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Italian Pages 814 Year 1979
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Music Section Fine Arts Division
Chicago Public Library
THE CHICAGO
PUBLIC LIBRARY
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LA VITA E LE OPERE DI
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Biblioteca di cultura musicale
Autori e opere
Indice IX 1
/
Prefazione Bibliografia generale dei due volumi
PARTE PRIMA - L'asse ereditario 13 31
1. Allievi e copisti 2. Le reliquie
32
a) La consistenza del patrimonio autografo
37
b) La trasmigrazione dei manoscritti
43
46
c) Le opere a stampa
3. La Bach-Renaissance
48
a) Testimonianze e polemiche di contemporanei
56
b) Le prime manifestazioni della Bach-Bewegung e l'ambiente viennese
65 73
c) La nascita della Bachforschung: le attività della prima metà dell' Ottocento d) La creazione della Bach-Gesellschaft
83
e) La Neue Bachgesellschaft
91
f) La Neue Bach-Ausgabe
PARTE SECONDA - L'ambiente luterano 103
Bibliografia generale della parte seconda
104
4. La liturgia luterana della Messa
113 122
5. Le origini del corale luterano 6. Lutero e lo sviluppo della musica evangelica
143
7. L'esperienza della musica figuralis
156
8. Musica e società
PARTE TERZA - Gli anni giovanili (1685-1708) CAPITOLO PRIMO - Ambienti e vita di gioventù 172
9. Eisenach
180
10. Le origini della famiglia
187
11. La famiglia del padre
193
12. La vita musicale di Eisenach e Johann Ambrosius
199
13. Gli anni di Johann Sebastian ad Eisenach
217 224
14. Ohrdruf 15. Lüneburg-Celle
236
16. Weimar I
241 257
17. Arnstadt 18. Mühlhausen
Indice
CAPITOLO SECONDO - Le opere giovanili 275
19. Praeambulum
284 285 309 316
20. Le opere per organo 20.1. I corali 20.2. Le composizioni libere 21. Le composizioni per clavicembalo
328
22. Le cantate sacre
PARTE QUARTA - Weimar (1708-1717) CAPITOLO PRIMO - Le vicende biografiche 351 360
23. La corte, specchio della cittä 24. Bach
a Weimar
375
: 25. Spostamenti e traversie
391
26. Le cantate in generale
406
27. Le cantate in particolare
443
28. I concerti P per cembalo
467
29. Prime esperienze
471 489 502
30. L'Orgelbüchlein (BWV 599-644) 31. Le composizioni libere per organo 32. Le composizioni per cembalo
CAPITOLO SECONDO - Le composizioni vocali
CAPITOLO TERZO - L'esperienza del concerto e P per organo g
CAPITOLO QUARTO - Le composizioni per strumento a tastiera a Weimar nel campo del corale organistico
PARTE QUINTA - Köthen (1717-1723) CaPrTOLO PRIMO - Le vicende biografiche 513
33. La città e la corte
521
34. Il trasferimento a Köthen
528
35. Primo contatto con Lipsia
531
36. I viaggi a Karlsbad e a Berlino
534
37. Anna Magdalena Wilcke
537
38. Il concorso organistico ad Amburgo
541
39. Una questione di eredità
545
40. Il concorso a Thomaskantor
556
41. Le cantate sacre e profane
567
CAPITOLO TERZO - Concerti e ouvertures 42. I Concerti Brandeburghesi (BWV 1046-1051)
592
43. I Concerti per violino (BWV
595
44. Le ouvertures (BWV 1066-1069)
CAPITOLO SECONDO - Le opere vocali
1041-1043)
VI
Indice CAPITOLO QUARTO - Sonafe, suites e partite per strumenti vari
606 607 617 624 631 635
45. Le A) B) . Le . Le . Le
opere per violino Senza accompagnamento (BWV 1001-1006) Con accompagnamento (BWV 1014-1019 e 1021-1026) suites per violoncello solo (BWV 1007-1012) sonate per viola da gamba (BWV 1027-1029) composizioni per flauto (BWV 1013; 1030-1039)
CAPITOLO QUINTO - Le composizioni per strumento a tastiera
641
650 663 675 707 742 747 761
. L'esperienza del Klavierbüchlein (le antologie per Wilhelm Friedemann e per Anna Magdalena) 50. Das Wohltemperierte Klavier (Libro Primo: BW'V 846-869) sh Le suites e le altre opere per cembalo
Note al testo Genealogia della famiglia Bach Tavola genealogica della famiglia Bach Indice delle opere citate nel testo Indice dei nomi
Indice delle illustrazioni 69
Presunto ritratto di J. S. Bach. Dipinto di Johann Jakob Ihle (Eisenach, Bach-Museum). Il quadro, che per lungo tempo si è ritenuto raffigurasse il Kapellmeister intorno al 1720, ritrae in realtà una personalità sconosciuta.
81
L'attuale facciata del Bachhaus ad Eisenach, restaurato nel 1973, sede
del Bach-Museum. Già ritenuto casa natale di Johann Sebastian, era stato originariamente abitato dalla famiglia Bach fra il 1671 e il 1674.
99
Frontespizio dello Achtliederbuch, stampato a Norimberga nel 1523-24 da Jobst Gutknecht, primo libro di canti della chiesa luterana.
105
Frontespizio
dello scritto di Martin Lutero, Deutsche Messe und
Ordnung Gottesdienst, stampato a Wittenberg nel 1526 da Michael Lotter.
117
Pagina autografa di Martin Lutero recante il corale Vater unser im Himmelreich (Wittenberg, Lutherhalle).
147
Sopra. Scultura in legno di Johann Brabender del 1543 ca. raffigurante due Turmbläser (Duomo di Münster, Vestfalia). Sotto. Stadtpfeifer di Norimberga (incisione di Johann Kramer da Nürnbergische Kleiderarten, Norimberga 1669).
VII
Indice delle illustrazioni
175
Eisenach intorno al 1650, da un'incisione di Matthaeus Merian.
209
Johann Ambrosius Bach [28]. Dipinto di anonimo contemporaneo (Berlino, Deutsche Staatsbibliothek).
247
Mühlhausen. Bibliothek).
227
Johann Christoph Bach [29]. Dipinto di anonimo contemporaneo (Berlino, Archiv für Kunst und Geschichte).
303
Il corale Wie schön leuchtet der Morgenstern BWV 739, primo autografo bachiano accertato, anteriore al 1707 (Berlino, BB/SPK P 488).
337
Frontespizio autografo della Cantata Gott ist mein König BWV (Berlino BB P 45).
395
Interno della Schlosskirche di Weimar, distrutta da un incendio nel 1774, in un dipinto di Christian Richter (Weimar, Kunstsammlungen).
401
Lettera autografa di J. S. Bach ad August Becker, datata « Weimar 14-1-1714 » (Halle, Archiv der evangelischen Kirchengemeinde U. L. Frauen).
447
Pagina autografa dalla Cantata Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd BWV 208, finale del duetto n. 12 e inizio dell'aria n. 13 (Berlino,
Incisione del XVIII
secolo
(Mühlhausen,
Städtische
71
BB P 42).
461
Il duca Wilhelm Ernst di Sassonia-Weimar. Incisione (Berlino, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz).
495
Pagina autografa della Fantasia et Fuga in do minore (Berlino, BB P 490).
525
Il castello di Kóthen in un'incisione del 1650 di Matthaeus (Berlino, Archiv für Kunst und Geschichte).
559
Il Principe Leopold di Anhalt-Kóthen. Dipinto di anonimo contemporaneo (Berlino, Archiv für Kunst und Geschichte).
587
Dedica autografa al margravio Christian Ludwig di Brandeburgo della raccolta contenente i Six concerts avec plusieurs instruments (Berlino, BB, Amalien-Bibliothek n. 78).
621
Prima pagina della Partita III in mi maggiore per violino solo BWV 1006 (Berlino BB P 967).
655
Frontespizio autografo del Klavierbüchlein del 1722 per Anna Magdalena Bach (Berlino BB P 224)
VIII
del 1716
BWV
562
Merian
Prefazione
Dei molti modi con i quali & possibile accostarsi a Bach, ci si stupirà,
forse, che io abbia scelto il piá complesso, percorrendo il tragitto più lungo e con la presunzione di realizzare qualcosa di completo ed esauriente in un campo d'indagine che non pare avere confini né di tempo né di spazio. Ma l'operazione mi è parsa indispensabile e a mio avviso non realizzabile in maniera diversa dal momento che scopo del libro era ed è — insieme a quello di rendere chiaro a me stesso un processo creativo che ha dell’incomparabile — di fornire al lettore italiano non un profilo, ma un ritratto integrale del musicista intorno al quale, fra le altre cose, è nata e si è sviluppata, per amore
di conoscenza, una disciplina storica: la musicologia. L'avarizia con la quale l’editoria e il mondo degli studi musicali italiani hanno guardato a Bach (i pochi studi nostrani sull'argomento sono
o monografie su aspetti particolari, o modeste « biografie », o
guide ad uso scolastico) ha impedito che si rendesse partecipe il lettore di casa nostra dell’imponente massa dei problemi che si agitano intorno al Kantor maximus. Da duecento anni gli studiosi si sono mossi alla scoperta di Bach e in migliaia di pubblicazioni si è coagulato il risultato di una ricerca che è ancora ben lontata dall’essere conclusa. Nulla dando per scontato, ho cercato di ricostruire metodicamente
e con abbondanza di dati tutti imomenti della troppo mutila biografia e dell'immensamente ricca condotta musicale bachiana, rettificata o
precisata in infiniti particolari da altrettanto infinite pubblicazioni «sparse» ospitate in riviste specializzate o in gazzette ed iniziative
editoriali «locali». Ma si trattava anche e soprattutto di agganciare una vita priva di avventure e una prodigiosa attività artistica al mondo IX
Prefazione
ad esse contemporaneo,
all'ambiente
circostante della corte, della
chiesa e della città, alla civiltà germanica luterana, inquadrando la grandiosa messe di interrogativi e di stimolanti indagini storiche che ne scaturisce sotto un'appropriata luce cronologica e nel pertinente contesto di un «sistema » compositivo irripetibile. L'operazione & stata condotta tenendo per guida sicura e fidata tre raccolte di testi fondamentali: la recente edizione dei Bach-Dokumente (BD), le annate del « Bach-Jahrbuch » (BJ) fondato nel 1904 e tuttora in vita, i Kritische Berichte che si accompagnano a ciascuno dei volumi della Neue Bach-Ausgabe (NBA/KB). Ma oltre a questi « monumenti»
della ricerca bachiana
si doveva
valutare
e comunque
consultare la prodigiosa e secolare fioritura della bibliografia bachiana, soprattutto quanto & stato pubblicato a partire dal 1950, l'anno del secondo centenario della morte, che ha scardinato gli esiti prodotti dall'ottocentesca « Bach-Gesellschaft » e da quanti avevano ricalcato le orme cosí ben tracciate nella preziosa monografia di Philipp Spitta, fondamentale sí, ma irreversibilmente contraddetta dalla più recente
Bachforschung. AI fine di non costringere il lettore ad un ininterrotto ed affaticante rinvio a note bibliografiche complementari, ho preferito limitare queste ultime al minimo
indispensabile e ricorrere,
invece,
ad un
metodo di citazione pit sommario e sbrigativo, ma che consente una visione dell'apparato documentario più immediata e razionale. All’intera opera — di cui vede ora la luce solo il primo volume (il secondo sarà interamente dedicato al periodo di Lipsia) — è premessa un’ampia bibliografia generale, suddivisa in tre sezioni. Le successive articolazioni . della materia — parti, capitoli, paragrafi — sono fornite, a loro volta,
di uno specifico apparato bibliografico che, salvo casi del tutto eccezionali, non conosce repliche. Cosí, per portare un esempio, al primo
paragrafo in cui si tratta delle cantate & premessa una duplice bibliografia, la prima relativa alle cantate in generale (e non piá ripetuta,
dunque, negli altri paragrafi riguardanti le cantate) e la seconda specifica delle cantate considerate in quel paragrafo. Tale apparato — copiosissimo, come si vedrà, ma ancora lontano dall'esaurire l'elencazione (a dispetto dei circa milleduecento titoli indicati in questo solo primo volume) — precede sempre la trattazione, costituendone il punto di partenza, con lo scopo anche di indicare la storia della «ricerca» connessa ad ogni singolo aspetto del mondo di Bach. Il metodo & inusitato, ma, presumo, conferisce chiarezza ed efficacia alla
trattazione. La quale
stata condotta secondo un ordine geometrico,
adottando uno schema espositivo- che &, in qualche modo, la conse-
guenza del pensiero e del comportamento di Bach. La scelta del metodo, e persino dello stile di scrittura, è stata in parte condizionata
Prefazione
e suggerita dalle modalità con cui si manifesta quell'esprit de géométrie che & la qualità piá appariscente della forma mentis bachiana. Alla sistematica esposizione dei giorni e delle opere di Bach mi è parso opportuno premettere due ampie trattazioni. La prima traccia il cammino della Bach-Renaissance, partendo dagli allievi stessi, e for-
nisce il quadro del grande lascito bachiano; la seconda & un'esposizione relativa alla musica « evangelica » (senza la conoscenza della quale vano sarebbe il tentativo di carpire l'essenza della concezione musicale del Thomaskantor e la sua dimensione spirituale), insieme con sommarie nozioni sull'organizzazione sociale della musica al tempo di Bach. Nel trattare delle singole opere o raccolte ho sempre fatto riferimento ai manoscritti (autografi o copie), in modo da fornire le coordinate
critiche necessarie.
Molti documenti
(lettere, perizie su
organi, memorie) sono stati tradotti, la maggior parte, per la prima volta (ma talune delle poche. traduzioni esistenti sono del tutto inattendibili o imprecise), colmando in tal modo una vistosa lacuna dell'informazione musicologica. A integrazione delle parti biografiche ho elaborato, raccogliendo le fila sparse di molti contributi, un’ampia e particolareggiata genealogia della famiglia Bach e, a conclusione del volume, ho posto un
indice delle opere citate (indicante i soli numeri del catalogo dello Schmieder, BWV) e un indice dei nomi; gli indici degli argomenti, dei documenti e dei manoscritti citati saranno collocati, invece, a
chiusura del volume secondo unitamente ad un elenco particolareggiato delle opere.
Il titolo di un poemetto di Martin Luther, Frau Musika, ricco di bibliche risonanze, marca l'avvio del lento scorrere di queste pagine. La dama gentile, che & insieme sposa e sovrana, che altrove il riformatore chiamò nobilis, salutaris, laeta creatura, è stata per secoli la vera
guida della cultura germanica: ad essa Bach guardó come ad una roccaforte maestosa ed invincibile e nel suo segno, seguendo l'imperiosa tradizione famigliare, realizzó in modo compiuto un messaggio di arte e spirito, di scienza e sintesi storica mai più ripetuto.
Un ringraziamento particolare per le informazioni e gli aiuti fornitimi sento il dovere di formulare nei confronti dei seguenti studiosi: il dr. Alfred Dürr del Johann-Sebastian-Bach Institut Góttingen, il prof. Werner Felix della Neue Bachgesellschaft Leipzig, il dr. Friedrich
Lippmann dell'Istituto Storico Germanico di Roma, il prof. Michael
Prefazione
Robinson dell'University College di Cardiff, il dr. Siegfried Schmalzriedt di Tübingen, il prof. Walther Siegmund-Schultze della MartinLuther-Universität di Halle/ Wittenberg, il dr. Hans-Joachim Schulze del Bach-Archiv Leipzig, il dr. Ernst Stóckl di Jena. Riconoscenza e gratitudine esprimo al fraterno amico Cesare Dapino che mi ha incoraggiato ad intraprendere il lavoro seguendolo poi un passo dopo l'altro, a Enzo Peruccio che lo ha curato sotto il profilo
editoriale con commovente dedizione, a mia moglie che mi ha messo nelle condizioni ideali per sostenere uno sforzo che la concomitanza di altri onerosi impegni — mi sia consentito affermarlo — ha reso duro piá del dovuto. AB:
XII
| È
A Massimo Mila
Stimo superfluo il voler descrivere il merito singolare del Sig. Bach, perché è troppo cognito ed amirato non solo nella Germania, ma in tutta
la nostra Italia, solamente dico che stimo difficile trovare un Professore che lo superi, perché oggi giorni egli può giustamente vantarsi di esser uno de primi che corrano per |’Europa. (Padre Giovanni Battista Martini a Johannes Baptist Pauli di Fulda, da Bologna il
14 aprile 1750).
BIBLIOGRAFIA
GENERALE
DEI DUE
VOLUMI
A. Cataloghi, cronologie, documenti, iconografia, rassegne bibliografiche,
fonti varie.
NBA
NBA/KB BD LIV
Deutsche Staatsbibliothek, Berlin (Est). Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Berlin (Ovest). J. S. Bachs Werke - Gesamtausgabe der Bachgesellschaft, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1850-1899 (46 volumi). « Bach-Jahrbuch » - Veröffentlichungen der Neuen Bachgesellschaft (NBG), dal 1904.
(Bach-Werke-Verzeichnis) Thematisch-Systematisches Verzeichnis der musikalischen Werke von J. S. Bach, a cura di Wolfgang SCHMIEDER, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1950. J. S. Bach - Neue Ausgabe Sämtlicher Werke, a cura dello J.-S.-BachInstitut Göttingen e del Bach-Archiv Leipzig, Bärenreiter, Kassel dal 1955.
Id., Kritische Berichte. Bach-Dokumente, a cura del Bach-Archiv Kassel - Kritische Gesamtausgabe:
I
Leipzig,
Bärenreiter,
Schriftstücke von der Hand]. S. Bachs, a cura di Werner NEUMANN e Hans-Joachim
ScHuLzE
(1963); in traduzione francese: Les
écrits de J.-S. Bach (Simone WarLoN e Edith Weser), Editions Entente, Paris 1976.
II
Fremdschrifiliche und gedruckte Dokumente zur Lebensgeschichte J. S. Bachs (1685-1750), a cura di Werner NEUMANN e HansJoachim ScHuLze (1969). II Dokumente zum Nachwirken J. S. Bachs, 1750-1800, a cura di Hans-Joachim ScHurzs (1972). IV Bilddokumente zur Lebensgeschichte J. S. Bachs,.a cura di Werner NEUMANN (1979).
Bibliografia generale dei due volumi
n Alfred Dónrrsr, Thematisches Verzeichnis der Instrumentalwerke von J. S. Bach, DU Kirchender Verzeichnis Thematisches Io., Peters, Leipzig 1867 (2. ediz. 1882); kantaten Nr. 1-120, in BG XXVII/2 (1878); Hermann KRETZSCHMAR, Die Gesangeswerke Bach’s. Thematisches Verzeichnis (séguito del precedente) e DE Instrumentalwerke Bach’s. Thematisches Verzeichnis, in BG XLVI (1896); J. S. Bach’s Handschrift in zeitlich geordneten Nachbildungen, in BG XLIV (1ios Wilhelm His, J. S. Bach, Forschungen über dessen Grabstätte, Gebeine und Antlitz, | Leipzig 1895; Emil Vocer, Bach-Porträts, in «Jahrbuch der Musikbibliothek Peters » III (1896), pp. 11-18; Gustav WusTMANN, Bachs Grab und Bachs Bildnisse, in Aus Leipzigs Vergangenheit. Gesammelte Aufsätze, Leipzig 1898; Max SCHNEIDER, Verzeichnis der bisher erschienenen Literatur über J. S. Bach, in BJ II (1905), pp. 76-110; In., Neues Material zum Verzeichnis der bisher erschienenen Literatur über J. S. ee in BJ VII (1910), pp. 133-159; Gotthold FrorscHEr, Übersicht über die wichtigsten in Zeitschriften erschienenen Aufsätze über J. S. Bach aus den Jahren 1915-1918, in BJ XV (1918), pp. 151-156; Anneliese Lanpau, Übersicht über die Bach-Literatur in Zeitschriften vom 1. Januar 1928 bis zum 30. Juni 1930, in BJ XXVII (1930), pp. 132-142; In., Übersicht über die Bach-Literatur in Zeitschriften vom 1. Juli 1930 bis 1. Juli 1931, in BJ XXIX (1932), pp. 146-154; Joseph Mürrzn, Bach-Portraits, in « The Musical Quarterly » XXI (1935), pp. 155165; J. S. Bach, Gesammelte Briefe und Schriften, a cura di Hedwig e Erich Hermann MürrER von Asow, Bosse Verlag, Regensburg 1938; Wilhelm Hrrzic, Bachs
Leben in Bildern, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1939; Gerhard Herz, A « New » Bach Portrait, in «'The Musical Quarterly» XXIX (1943), pp. 225-241; The
Bach Reader. A Life of J. S. Bach in Letters and Documents, a cura di Hans Theodor Davip e Arthur Menper, Norton, New York 1945 (2% ediz. ampl. 1966); Wolfgang SCHMIEDER, J. S. Bach als Briefschreiber, in BJ XXXVII (1940-1948), pp. 126-133; J. S. Bach-Dokumenta, herausgegeben durch die Niedersächsische Staats-und Universitätsbibliothek von Wilhelm Martin LUTHER zum Bachfest 1950 in Göttingen, Bärenreiter, Kassel 1950; Arthur Menper, More for the Bach Reader, in « The Musical Quarterly » XXXVI (1950), pp. 485-510; Hans RauPacH, Das wahre Bildnis J. S. Bachs, Möseler, Wolfenbüttel 1950; Richard PETZOLDT, J. S. Bach. Sein Leben in Bildern, Bibliographisches Institut, Leipzig 1950 (9% ediz. interamente rifatta 1970); Karl GEIRINGER, The lost Bach Portrait, Oxford University Pres, New York 1950; Walter BLANKENBURG, ÜberFAm über die wichtigste Bachltragm der letzten Jahre, in « Musik und Kirche» XXI (1951), pp. 279-281; Stanley GopMaN, A. classified Index of Bach articles (Including literature from 1935 to 1951), in «Music Book» VII (1952), pp. 392403; John Howard Davies, A List of durations and associated data of Bachs works,
in «Music Book » VII (1952), pp. 411-435; Wolfgang ScHMIEDER, Das Bachschriftum 1945-1952, in BJ XL (1953), pp. 119-168; Jinos HAMMERSCHLAG, Wenn Bach ein Tagebuch geführt hätte (Auswahl der Dokumente und Zusammenstellung), ediz. postuma a cura di Ferenc Bropszky, Litteratura, Budapest 1955 (trad. franc.: Le Journal de J.-S. Bach, Corvina, Budapest 1961); Stanley GonMAN, Bach Bibliothek. Die noch lano Handebegi ue in « Musica » X (1956), pp. 756761; Heinrich Besserer, Fünf echte Bildnisse J. S. Bachs, Bärenreiter, Kassel 1956; Ip., Die Echtheit des neuen Bachbildes um 1740, in BJ XLIII (1956), pp. 66-72; Hendrik Otto Raimond van Tuyır van SEROOSKERKEN, Probleme des Bach-
Bibliografia generale dei due volumi
porträts, Creyghton, Bilthoven 1956; Alfred Dürr, Zur Chronologie der Leipziger Vokalwerke J. S. Bachs, in BJ XLIV (1957), pp. 1-162 (nuova ediz. riveduta Bärenreiter, Kassel 1977); Georg von Dapeısen, Bemerkungen zur Handschrift J. S. Bachs, seiner Familie und seines Kreises, Hohner, Trossingen 1957 (— Tübinger Bach-Studien, a cura di Walter GERSTENBERG, 1); Paul Kasr, Die Bach-Handschriften der Berliner Staatsbibliothek, id., ivi 1958 (= id., 2/3); Georg von DaDELSEN, Beiträge zur Chronologie der Werke J. S. Bachs, id., ivi 1958 (= id., 4/5) . Heinrich Besserer, Die Gebeine und die Bildnisse J. S. Bachs, in BJ XLVI (1958),
,
pp. 130-148; In., Zum Problem der Bachbildnisse, in «Die Musikforschung » XI (1958), pp. 215-218; Georg von DApeısen, Nochmals zum Problem der BachBildnisse, ibid., pp. 219-221; Alfred Dürr, Probleme der Bach-Ikonographie, in «Musica» XII (1958), pp. 207-208; Wolfgang ScHMIeDer, Das Bachschriftum 1953-1957, in BJ XLV (1958), pp. 127-150; Johannes JAHN, Zur Frage des Bachbildnisses von Elias Gottlob Haussmann, in BJ XLVI (1959), pp. 124-129; Werner NEUMANN, Bach. Eine Bildbiographie, Kindler, München 1960; Arthur MENnDEL, Recent developments in Bach chronology, in « The Musical Quarterly » XLVI (1960), pp. 283-300; May DeForest McArr, Melodic Index to the works of J. S. Bach, Peters, New York 1962; Friedrich Brumz, Umrisse eines neuen Bach-Bildes. Vortrag für das Bachfest der internationalen Bach-Gesellschaft in Mainz, 1. Juni 1962, pubbl. in « Musica» XVI (1962), pp. 169-176; Alfred Dürr, Zum Wandel des Bach-Bildes. Zu Fr. Blumes Mainzer Vortrag, in « Musik und Kirche » XXXII (1962), pp. 145-152; Johannes G. Mzur, J. S. Bach - literaler Humanist oder lutherischer Christ? Zum « neuen Bachbild » Fr. Blumes, in « Gottesdienst und
Kirchenmusik » XIII (1962), pp. 203-220; Hans-Joachim Moser, Der alte und der «neue» (?) Bach, ibid., pp. 173-175; Georg von DADetsen, Originale Daten auf den Handschriften J. S. Bachs, in Hans Albrecht in memoriam, Bärenreiter, Kassel 1962, pp. 116-120; Walter BLANKENBURG, Zehn Jahre Bachforschung, in « Theologische Rundschau. Neue Folge» XXIX (1963; Tübingen), pp. 335-358, e XXX (1964), pp. 237-268; In., Zwölf Jahre Bachforschung, in « Acta Musico-
logica» XXXVII (1965), pp. 95-158; Conrad Frevse, Bachs Antlitz. Betrachtungen und Erkenntnisse zur Bach-Ikonographie, Bachhaus, Eisenach 1964; Johann Friedrich RiCHTER, J. S. Bach und seine Familie in Thüringen. Zusammenstellung des Bach-Schrifitums, in « 39. Deutsches Bachfest der Neuen Bach-Gesellschaft vom 25. bis 27. September 1964 in Weimar. Bachfestbuch », Weimar 1964, pp. 50-60; Hans Henny JauwN, Der Schädel J. S. Bachs und sein Bild, in « Fundamente. Jahrbuch der Freien Akademie der Künste Hamburg » 1967, pp. 25-36; Editionsrichtlinien musikalischer Denkmäler und Gesamtausgaben, a cura di Georg von DADELsEN (pp. 61-80: Neue Bach-Ausgabe. Richtlinien für die Mitarbeiter), Bärenreiter, Kassel 1967; Erhard FRANKE, Das Bachschriftum 1958-1962, in BJ LIII (1967), pp. 121-169; Hans Theodor Davip, The original titles of Bach's works, in «Bach. The quarterly journal» I (1970), pp. 5-14; Miriam KARPSILOW WHartes, Bach aria index, Music Library Association, Ann Arbor, Michigan, 1971 (= MLA Index Series, 11); J. S. Bachs Unterschriften, Veröffentlichung des Bachs Archivs, pref. di Werner NEUMANN, Messedruck, Leipzig 1972; Rosemarie NestLe, Das Bachschriftum 1963-1967, in BJ LIX (1973), pp. 91-150; In., Das Bachschriftum 1968-1972, in BJ LXII (1976), pp. 95-168; Sämtliche von J. S. Bach vertonte Texte, a cura di Werner NEUMANN, Deutscher Verlag für
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B. Vita e opere in generale.
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10
PARTE PRIMA
L'asse ereditario
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1. Allievi e copisti. BIBLIOGRAFIA
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13
L'asse ereditario
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der « Clavier-Übung » I/II, in BJ LI (1965), pp. 43-62; Hans-Joachim ScHuLze,
J. S. Bach und Christian Gottlob Meissner, in BJ LIV (1968), pp. 80-88; Isolde AHLGRIMM, Cornelius Heinrich Dretzel, der Autor des J. S. Bach zugeschriebene BWV 897, in BJ LV (1969), pp. 67-77; Friedrich STÄDTLER, Ein Klavierwerkes Augsburger als Schüler bei J. S. Bach, in « Gottesdienst und Kirchenmusik » XXI (1970), quad. 5, pp. 165-167 (su Philipp David Kräuter) ;Hans-Joachim SCHULZE, Der Schreiber « Anonymus 400», ein Schüler J. S. Bachs, in BJ LVIII (1972), pp. 104-117; Karl Trrrzr, Vom «einzigen Krebs in meinem Bach ». Johann Ludwig Krebs (1713-1780) als Bachschüler und Orgelkomponist, in « Musik und Kirche »
XLVI (1976), pp. 172-181.
La storia di Bach inizia con un gesto d’insolente obliterazione della memoria e con un atto di violenta repressione del gusto codificato da secoli di cultura. Tradito dall'insinuante profumo del diletto musicale, turbato dall'incomparabile paradiso degli affetti che avevano sede
nel cuore le cui porte si sarebbero spalancate fra poco all'incredulo viandante
romantico,
deviato
infine nella sua folle corsa
verso
la
perfezione da un maldestro sentimento di ripudio per il passato, l'uomo che aveva appreso dalle esili cronache del tempo la notizia della morte del Thomaskantor aveva smarrito l'orientamento e non era pit riuscito a raccogliere le idee giuste, che pur gli pareva di possedere, intorno alla musica e ai sacrifici che si consumavano su quell'alare venerato e grondante di doni. La teoria musicale che gli era stata inculcata non aveva tenuto conto della musica di Bach e la prassi esecutiva era stata crudelmente avara nel sottoporgli le opere del Kantor, a lui note solamente attraverso le tappe obbligate che la sua
fede luterana gli imponeva o che qualche particolare cerimonia cittadina gli offriva. Cosi, la morte di Bach non aveva lasciato segni del passaggio del musicista; qualcuno, forse, per qualche tempo ancora, aveva rammentato l’esuberante temperamento del Maestro, severo ma sempre: ragionevole, fortemente rispettoso della tradizione e del patrimonio culturale che il suo campo di azione gli porgeva, abilissimo nel suonare l'organo e ogni strumento da tasto, nell’improvvisare complessi contrappunti, nel dettare compiti e soluzioni per gli allievi, nel proporre problemi di stile e di forma, nel fornire musica a misura d’esercizio spirituale, nel ragionare in materia di teoria, di organaria, di liuteria, di acustica, versato — in una parola — in ogni campo dello
scibile musicale, fedele infine alla scienza non meno che al dogma.
14
L'asse ereditario
Obliterazione
della memoria,
in primo luogo, dunque; inerte,
| stanca prima ancora d'intraprendere il viaggio nella storia, la memoria aveva rifiutato di registrare il messaggio lasciato da Bach e, nel suo pigro indugiare sugli eventi del giorno, aveva trascurato di prender nota di ciò che pit tardi avrebbe potuto tornar utile per ricostruire il cammino del musicista. Repressione del gusto, in secondo luogo, un gusto antico e perciò ricco d esperienza, forte, equilibrato: il lettore
di musica si era arreso alla galanteria, desiderava, cercava e trovava soddisfazione non nel solido apparato del contrappunto lineare e della polifonia in stile osservato, non nella musica scolastica e chiesa-
stica, ma nelle trasparenti fioriture dello stile melodico accompagnato,
mosso da fremiti armonici che, con il cangiar di tono, insinuavano nel
consumatore di musica il dubbio, lo stadio primitivo dell'ambiguità romantica. Contro la fermezza del discorso bachiano, pietroso e consolidato, ancorato alle grandi fondamenta erette dal culto luterano e dalla tradizione dello stylus antiquus, si levavano ora le barriere dell'indifferenza, dell'oblio, del ripudio categorico; le vertiginose
altitudini raggiunte da Bach non impressionavano l'animo di chi s'industriava a trovare un'alternativa alle « guerre di successione » nel far musica e quale musica: galante, un poco civettuola, ben tornita,
ricca di contrasti e pronta al grande balzo del classicismo. Nessuno avrebbe potuto abitare nella regione solitaria che Bach aveva scelto per sé ed & questo il motivo per il quale il nostro sbigottimento per tanto scempio compiuto nei confronti d'un inestimabile patrimonio artistico non ha toni drammatici. Il processo che si vorrebbe intentare non puó avere né imputati né giudici; e i testimoni parlano
non a titolo personale, ma come rappresentanti d'una ideologia che escludeva Bach dalla contrapposizione dialettica, lo ignorava addirittura, perché ne ignorava la musica. Ed & proprio su quest'ignoranza che il mito di Bach avrebbe presto preso piede, e fatto del Maestro il simbolo della virtá musicale. C'è una legge naturale — è risaputo — che pone riparo e ristabilisce l'equilibrio là dove l'incuria degli uomini ha provocato devastazioni. La nostra civiltà musicale — uscita da quella medesima storia di cui Bach fu arbitro incontrastato — è civiltà che nel musicista di Turingia — tre volte rinnegato prima che sorgesse l'aurora del nuovo giorno — si è riconosciuta integra e ben forgiata. Speculando sul dissesto che
l'assenza di Bach aveva provocato nel mondo dei suoi eredi diretti,
la musica ha trovato la strada del proprio sviluppo critico, si è data una coscienza storica, ha ricostruito il proprio cammino percorrendo a ritroso un’interminabile sequenza di avvenimenti. Il modo umiliante con il quale Bach era stato messo da parte, per un’elettrizzante manovra
del contrappasso ha finito con il favorire la malinconia romantica e #5
L'asse ereditario
lironia moderna. Il Bach che noi oggi conosciamo è frutto del nostalgico ripensamento del secolo scorso, in espiazione di colpe che l’ultima società dei lumi aveva consumato prima di darsi, con le rivoluzioni,
un
nuovo
assetto;
un
ripensamento
che ha dato alla
musica lo spazio e il valore anche d’una disciplina storica. Ma quella conoscenza è anche il risultato dello scetticismo del nostro tempo che, nella celebrazione del dato scientifico, ha vanificato l’eresia del ripudio
e ha restituito senso di compiutezza a ciò che in sé era già compiuto e finito. Ripercorrere la strada di questa duplice conquista è quanto si richiede per comprendere nel suo profondo il fenomeno della presenza di Bach nella storia della musica; quella presenza si comporta come un concetto supremo, come una categoria, come un praedicamentum che investe la forma del giudizio e rende consapevoli delle ragioni della storia. Il cammino che qui c'industrieremo di tracciare, a mezza costa
fra il piano della cronaca attenta al dettaglio e la sommità spaziante su vasti orizzonti dell’interpretazione storica, ci viene orientativamente indicato dal patrimonio ereditario che Bach distribuì fra quanti gli erano stati vicini. I figli, in primo luogo, testimoni diretti e fruitori naturali di quella lezione. E, tuttavia, faremmo torto allo spirito paterno non meno che alla vocazione di educatore, sempre coltivata
da Bach con puntuale coscienza professionale, se nel novero degli allievi comprendessimo
anche i nomi
di Wilhelm
Friedemann,
di
Carl Philipp Emanuel, di Johann Gottfried Bernhard, di Johann Christoph Friedrich, di Johann Christian: la virtá musicale paterna simpose nei loro confronti per una sorta di osmosi costituzionale che il talento diversamente calibrato in ciascun soggetto filtrò a dovere. Del resto, il fervore musicale impregnò anche quei famigliari che non avrebbero bruciato sull’altare del mestiere le ore dedicate allo studio e all'applicazione pratica: le due mogli, Maria Barbara Bach (una cugina) e Anna Magdalena Wilcke, e la schiera delle figlie Catharina Dorothea, Elisabeth Juliana Friederica, Johanna Carolina, forse persino la piccola ultima nata Regina Susanna. E, fra tanto gineceo, altro
superstite della tragedia famigliare che ogni nascita portava con sé — seppur la morte era tragedia a quel tempo — il Gottfried Heinrich, . assai dotato per la musica, ma idiota, di cui il fratello Carl Philipp
Emanucl lascerà scritto per il rammarico dei posteri: « War ein grosses Genie»; la grazia aveva toccato anche chi, infermo di mente, era escluso dalla società: anche in questo «puro folle» la materia della musica si era fatta spirito.
Nel passaggio di generazione, tuttavia, il mondo aveva mutato aspetto: l'età di Federico II e dello Sturm und Drang, del pietismo illumi16
L'asse ereditario ,
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.
nista e della Realpolitik cancellava il messaggio di quella tradizione che Bach aveva ricevuto dagli avi e che ora, passando ai figli, non trovava
pit collocazione. Cosi, il seme di Bach, fecondissimo, si arrestò inerte
nei discendenti, impedendo che il discorso iniziato duecento anni prima proseguisse lungo la linea diretta. A quel punto della storia, tuttavia, erano già maturate le premesse che avrebbero consentito d’innalzare a Bach il monumento che i contemporanei non si erano neppure sognati di progettare. E agli allievi esterni, dunque, a coloro i quali frequentarono la casa del sommo Maestro o gli furono pit vicini nel metodico apprendistato presso la Thomasschule che ci si dovrà rivolgere per scovare i frammenti di vita e i luoghi deputati dell’archeologia bachiana. Archeologia e preistoria — si noti — sono termini ben appropriati e giustificabili presso chi voglia risalire la corrente della Bach-Renaissance, della Bach-Bewegung. I reperti più significativi per lo studio di quel movimento ci vengono dagli allievi, una guarnigione di fidi maestri sostituti e di «operatori culturali» che contribuì ad allargare le trame di quel tessuto musicale sino a coprire l’intero territorio germanico. L'esegesi, instancabile e minuziosa sino al tormento, ha individuato quasi un centinaio di musicisti cui toccò di
raccogliere dal vivo l’insegnamento scolastico bachiano. Non è un arido elenco quello che il lettore troverà qui di seguito, bensi una patente che consente d'intraprendere, con maggiore determinazione, il viaggio nel labirinto armonico del passato. Questa comunità di adepti, che segui gli insegnamenti d’una mente pedagogica preparata ad ogni obiezione e contestazione, si frantumò poi in pattuglie silenziose che segretamente avanzarono nei territori frequentati dai musicisti nel secondo Settecento, portando con sé non solo la testimonianza
d’un magistero, ma anche il documento musicale parlante; nel 1801 — scriverà il Forkel in una lettera indirizzata agli editori Hoffmeister e Kühnel — non v'era organista, Kantor o Musikdirektor di Germania
che non possedesse almeno un pezzo di Sebastian Bach. Non è poco, se si pensa che quel repertorio era tutto manoscritto. E si dovrà tenere in grande considerazione il fatto che, non a caso, quel patrimonio si trovava disperso in provincia, escluso = salvo eccezioni
(Berlino, ad esempio) — dal giro delle grandi città; si aggiunga, infine, il particolare — commovente ed esaltante — della circolazione di quei manoscritti come oggetti di studio e di scambio, circolazione che a sua volta, sino a metà Ottocento, presuppose un'instancabile
attività da parte di copisti, al punto che in mancanza di edizioni a stampa i commercianti di musica non esitavano a mettere in catalogo
copie manoscritte. | AM i i Ma ecco l’elenco, arricchito dei dati essenziali, di quei famuli, di
quei musici domestici, che frequentarono anche la casa del Maestro: 17
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L'ambiente luterano
8. Musica e società. BIBLIOGRAFIA
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L'ambiente luterano
La ricerca di una connessione fra la vita è la storia, fra la manifestazione da un lato delle azioni che rendono l'individuo, pur nel
condizionamento cui è sottoposto dalle circostanze, indipendente e in sé «unico » rispetto al quadro in cui opera, e la rappresentazione dall'altro dei grandi processi dello spirito, in cui quello stesso individuo è coinvolto e di cui egli può essere l'imprevisto protagonista, può fornire la chiave giusta per intendere il rapporto che lega, poniamo, l'artista al suo tempo e lo rende simultaneamente figlio e padre,
generato e genitore. La figura di Bach al pari di quella di Lutero, quantunque in una sfera più particolare ma inserita nel contesto della cultura scaturita dalla Riforma, deve essere ragionevolmente intesa come il punto culminante di un movimento e momento spirituale che si può com-
prendere risalendo dalla sfera individuale e genericamente umana sino alla sua più alta espressione storica. Da un modo di vivere che è comune ad un numero imprecisabile di soggetti si potrà accedere progressivamente alle manifestazioni superiori in cui l'individuo viene annullato per cedere il passo alla creazione spirituale, alla coscienza storica.
Il rapporto con la vita pratica e con gli istituti che regolano quella vita potrà dare significato e senso all'opera dell'artista: dagli eventi particolari, dai fatti della vita cosí come si sono consumati all'interno
di una comunità e per opera di una determinata categoria di persone, si potrà avanzare verso orizzonti maggiori in cui il contorno di quegli eventi e di quei fatti si perde, ma resta come una componente indistruttibile. Cosí, per intendere la reale dimensione storica di Bach si dovrà
procedere partendo non soltanto dagli clementi della biografia individuale, personale, ma anche dall'ambiente in cui quegli elementi si collocano: operazione, questa, che rivela tutta la sua carica energetica quando si tratta, appunto, di illuminare una grande figura della storia,
che dà il nome ad una età e riassume in sé idioma, spirito, struttura, valore di un tempo storico. Dopo aver tracciato sommariamente la storia musicale del luteranesimo, aver toccato i punti basilari della
sua espressione liturgica e le manifestazioni formali della musica evangelica, sino al momento in cui Bach vi si aggancia per trarne il sostentamento
e per darle slancio e vita, occorre
ora spiare nel-
l'organizzazione sociale della musica, individuare i parametri sui quali si misurava l'esperienza musicale al tempo di Bach.
A nessuno potrà sfuggire l'elementare constatazione che quasi tutte le espressioni «sociali» in cui si articolava in quel tempo la professione musicale sono presenti nella biografia bachiana e quelle poche che esulano dalla sua figura sono in lui ben radicate come
:
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L’ambiente luterano
esperienza vissuta dai famigliari, dai membri della grande stirpe cui egli apparteneva. In ordine di tempo, Bach fu Hofmusikus, Stadtorganist, Hoforganist, Konzertmeister, Kapellmeister, Kantor, Director musices: una progressione, una carriera che da funzioni modeste si sviluppa sino
a gradi di massima responsabilità e che logicamente trova una tangibile contropartita nel progressivo miglioramento del trattamento economico e nella maggiore autorevolezza acquisita nei confronti del mondo circostante.
La musica trattata da Bach & presente nelle sue principali manifestazioni con la sola eccezione di quelle legate al teatro; per il resto, Hausmusik, Stadtmusik, Hofmusik — le tre grandi espressioni della pratica professionale divisa fra casa, città e corte — sono punti fermi
della sua concezione musicale, la quale ha modo di esplicarsi in quelle altre branche della Kammermusik e della Kirchenmusik; queste sono,
in qualche modo, applicazioni concrete di quelle strutture «istituzionali», fra le quali si annidano anche la musica conviviale, quella per uso didattico o speculativo (la musica theorica contrapposta a quella practica e a quella poetica, nella quale ultima il musico poteva dimostrare di saper mirare ad una giusta espressione facendo leva sui tre momenti della inventio, della dispositio e della elaboratio o decoratio). La musica domestica, la cosiddetta Hausmusik nella quale si concentrava la pratica comune del musizieren, del far musica, era uno dei
punti di forza della spiritualità germanica. L'educazione musicale — in genere nei suoi fondamenti, ma spesso anche nelle sue espressioni piü elevate — era un frutto raccolto nel giardino di casa e maturato accanto al focolare degli avi, nel contatto intimo di padre e figlio cui si univano parenti ed amici. La musica era contemplata in casa
come una virtü del cristiano e praticata fra le pareti domestiche quotidianamente volgendo lo sguardo ora all'exercitium, all'apprendimento e alla sperimentazione, ora alle pratiche devozionali (il canto di corali, Lieder e mottetti, l'elaborazione di quelle melodie spirituali sotto forma di variazione), ora al piacere di far musica, per intrattenimento o ornamento, magari anche a tavola o per scacciare la malinconia d'una grigia giornata o per meglio godere di un incontro fra amici o forse per rinsaldare e sottolineare l'unione famigliare. Servizio musicale a beneficio della comunità era quello offerto dalla Stadtmusik. La musica civica interveniva più volte a ritmare il corso delle ore: al suono delle campane suscitato nei momenti deputati ma anche estemporaneamente per annunciare pericoli (il flagello degli incendi, su tutto), convocare i cittadini, festeggiare qualche evento inatteso o atteso, si aggiungeva la Turmmusik, suonata con strumenti
di ottone (la pratica dell’Abblasen) dall'alto delle torri o dei campanili, intonando fanfare o corali. Depositari di questa « musica delle 158
L’ambiente luterano
o dalle torri » erano gli Stadtpfeifer — regolarmente stipendiati, spesso riuniti in corporazioni, un tempo solo «pifferari» poi trasformatisi in musicisti capaci di toccare legni e ottoni, generalmente a gruppi di quattro-cinque persone, talvolta sino a otto, ben raramente di più; musici municipali, a volte impegnati anche come Nachtwächter, guardiani notturni che con segnali musicali, vigilando, annunciavano il tranquillo trascorrere delle ore, gli Stadtpfeifer erano addetti anche alla più impegnativa Ratsmusik, la musica del consiglio municipale o del palazzo (Rathaus), alla quale sovrintendeva un Hausmann; tale musica era eseguita per onorare certi particolari interventi del concistoro cittadino (il rinnovo delle cariche, l’elezione di magistrati), solennizzare pubbliche feste (anche con musiche di danza eseguite nelle piazze, vie e vicoli), accompagnare nozze e funerali di personalità, ingressi di autorità, manifestazioni scolastiche.
Il capillare frazionamento del territorio germanico e dell’autorità governativa ad esso preposta aveva favorito la creazione — per emulazione e in obbedienza ad una moda — delle cappelle di corte. Cosi, la Hofmusik un tempo limitata alle più importanti unità dell'impero, nel Seicento era divenuta una comune categoria della vita musicale, con la quale buona parte dei musicisti dovevano fare i conti e che, per converso, comportava un incremento nella domanda della
professione. Spesso il corpo degli Stadtpfeifer — i quali essendo impegnati in pochi momenti della giornata e quindi ricevendo una paga modestissima avevano bisogno di arrotondare le proprie, entrate con Accidentien (il modesto soldo che ricevevano per suonare a matrimoni, funerali, feste d’ogni genere) — spesso quel corpo, dicevo, poteva offrire alle piccole corti, insediate in centri che eran già dignitosi quando toccavano le 5.000 anime, il materiale primario per la costi-
tuzione di quelle che ampollosamente erano chiamate le « cappelle »,
anche quando i loro organici non superavano le 5-6 persone. Il servizio d'una musica di tipo «militare» quale era quella praticata dagli Stadtpfeifer poteva trovare analoga applicazione negli ambienti di corte e spesso le cappelle altro non erano che complessi di oboi con aggiunta di timpani, dove il termine oboe = hautbois, cioè «legno alto » aveva conservato ancora una sufficiente elasticità per indicare un complesso di strumenti omogenei ma diversi nel taglio e nel timbro. Piccoli ducati e principati dalle scarse risorse finanziarie non potevano certo permettersi organici strumentali superiori alle dieci unità; talvolta bastavano anche cinque-sei musici e a questi, capaci secondo le intenzioni dell’insegnamento musicale di quel tempo di esprimersi su pit strumenti anche di diversa famiglia, si dava la qua-
lifica di Kammermusikus, ma gli si attribuivano anche funzioni non musicali, quelle di Kammerdiener,
ad esempio, cameriere
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o aiutante
L’ambiente luterano
di camera, talvolta lacché o maggiordomo. Se poi l'équipe dei Kammermusiker non era sufficiente, la si integrava con Ripienisten saltuaria-
mente pagati cosí come saltuaria era la loro occupazione. Una posizione di maggior prestigio competeva all Hoforganist, ma
non tutte le corti ne disponevano; scarse erano le possibilità di mantenere una vera Kirchenmusik, che comportava l'impiego di cantanti e d'un coro; ma ove l'organista era inserito nei « ruoli » di corte, allora
gli si affidavano mansioni di responsabilità anche extramusicale, chiamandolo a funzioni di segretario del principe, di tesoriere, di controllore, in virtá della sua più soddisfacente preparazione culturale. Compiti di questo tipo, e magari anche più impegnativi e onerosi (interessando anche la sfera politica e amministrativa) potevano toccare al piá eminente degli Hofmusiker, il cosiddetto Konzertmeister che nelle cappelle maggiori svolgeva le funzioni del primo violino e di conduttore del complesso degli strumentisti. In progresso di tempo si deve poi rilevare la trasformazione dello Hofmusiker in uno strumentista specializzato in un determinato ruolo musicale (= virtuoso di un certo strumento), a differenza dello Stadtpfeifer che a lungo continuó a mantenere una qualificazione musicale molto generica e dalla quale comunque era esclusa ogni intenzione di virtuosismo strumentale. Vertice della gerarchia musicale era il Kapellmeister, al quale spetta-
vano la responsabilità del servizio musicale di corte e la scelta delle persone di cui di volta in volta si rendeva necessaria l'assunzione. A lui competeva, generalmente, l'allestimento delle musiche
(tanto
sul piano creativo quanto su quello esecutivo) che dovevano essere apprestate per la corte nella duplice fattispecie di musiche per la camera e per la chiesa, ma non escludendo quegli interventi estemporanei richiesti da particolari circostanze: il teatro, ove questo esistesse a corte, e tutto quanto era legato al cerimoniale delle feste, tornei, caroselli, balletti.
Le città di maggiore importanza e di più florida condizione economica, quando per la coesistenza di più cappelle o servizi musicali era indispensabile provvedere ad un coordinamento generale delle varie attività, potevano disporre anche di un sovrintendente, di un
director musices di nomina municipale, il quale talvolta s’identificava nel Kantor della Stadtkirche, della chiesa « metropolitana » diremmo
noi, che generalmente godeva d’un prestigio e d’una autorità a.quelli dei colleghi preposti ad altre chiese. L'ufficio di Kantor (Cantor), già previsto nella sua duplice pedagogica e direttoriale dalla chiesa primitiva, rappresenta componenti fondamentali dell'organizzazione ecclesiastica
superiori funzione una delle e civile
luterana e, nel sistema scolastico, s'inserisce al centro della gerarchia dei valori. Occorre premettere che due erano, fondamentalmente, i 160
L’ambiente luterano
tipi di scuola previsti nei paesi tedeschi nel periodo che dal momento della Riforma si protende fin ai margini dell'età illuministica: le Volksschule o scuole popolari nelle quali s'impartiva l’educazione primaria, e le Lateinschule, sviluppatesi soprattutto a partire dal XVI secolo, nelle quali lo studio della lingua latina e di altre discipline umanistiche preparava l'accesso ai livelli superiori, il liceo e poi l'università. Le scuole di latino erano affidate alle cure di un rettore,
al fianco del quale agiva un co-rettore; alle loro dipendenze stavano, nell'ordine, il Kantor, il praefectus chori (funzione di cui sovente era investito uno degli allievi più anziani) che lo coadiuvava nella direzione del coro
della scuola, e il praecentor o Schuldiener,
sorta di
istitutore supplente o aggiunto; vi erano poi i vari Lehrer (o maestri) cui spettava l'insegnamento specifico di determinate materie nelle varie classi (dalla sesta alla prima in ordine decrescente). A] Kantor, che generalmente era fornito di un titolo superiore di studio, di grado universitario (o quello di bakkalaureus, che segnava il compimento
del primo biennio, o quello di magister artium, che
indicava il conseguimento della laurea), In primo luogo quella pedagogica, che gnamento di discipline scientifiche, ma l'insegnamento del latino, del catechismo
competevano varie attività. si esplicava anche nell'inseche riguardava soprattutto e delle nozioni fondamentali
di musica. Era compito del Kantor, inoltre, la direzione del coro della
scuola, i cui membri erano addestrati nella musica practica, dapprima nel canto monofonico (musica choralis), poi anche in quello polifonico (musica figuralis), mentre non era escluso che in certe scuole particolari — generalmente annesse a chiese e conventi — e che curavano specialmente le discipline musicali, gli dovesse competere anche l'insegnamento della musica poetica (cio& della composizione) e di quella theorica (cioè speculativa). Ma il Kantor spesso svolgeva anche funzioni di parroco e, comunque,
a lui si chiedeva di prestare l'esercizio della
predica quando ció si rendesse necessario, quanto meno nel servizio liturgico minore, quello ad esempio che si teneva di primo mattino. Al Kantor, dunque, competeva la responsabilità della conduzione del coro della scuola (Schulchor), che limitava il proprio operato al canto monofonico. Per l'esecuzione della polifoniasi utilizzava un coro selezionato fra i migliori elementi delle varie classi (chorus symphoniacus © chorus musicus) che tuttavia aveva bisogno di essere integrato da voci maschili (tenori e bassi) già matüre (Adjuvanten), le quali venivano scelte fra gli allievi piá anziani o fra gli insegnanti o fra elementi disponibili in città. Il chorus symphoniacus era generalmente impegnato nel servizio liturgico domenicale, mentre per il servizio quotidiano (mattutino e vespri) si utilizzava un coro ridotto (Mettenchor). 161
L’ambiente luterano
Caratteristica di certe scuole di latino era la presenza del cosiddetto Kurrendechor, un termine che probabilmente trae origine dal latino corradere (= raccogliere), in quanto i currendarii erano giovani che, a piccoli gruppi, indossando neri mantelli e cappelli a tricorno generalmente, di strada in strada (vicatim), di casa in casa (ostiatim) si presentavano a cantare inni e semplici corali nelle grandi festività dell’anno (specie durante il periodo natalizio), in cambio d'una modesta offerta in danaro. Era la povertà a spingere questi giovinetti a rimediare un'elemosina. Il pietismo con la sua prorompente energia devozionale rafforzò alquanto quella pratica che aveva origini medievali, ma che dopo la Guerra dei Trent'anni trovó modo di contagiare ogni borgo e costringere i rettori delle Lateinschule a emanare ordinamenti e regolamenti affinché la prassi non degenerasse e non compromettesse il decoro dell'istituto. A livello di scuola superiore, mettendo a frutto le cognizioni musicali e la costante applicazione alla musica inculcata lungo tutto l'arco del corso di studi, si generó l'istituto del Collegium musicum che sul piano della cultura laica costituí una specie di contraltare della cantoria di chiesa o della cappella di corte o, su un piano diverso, della musica conviviale che si consumava nelle accademie, le scuole cui
accedevano i figli dell'aristocrazia. L'istituzione del Collegium musicum si colloca come un atto rivoluzionario nel contesto della situazione musicale del Seicento, poiché diede la possibilità di individuare un nuovo spazio per la musica e sollecitare la partecipazione della borghesia a fianco dei tradizionali quadri «operativi» legati alla chiesa, alla municipalità, alla corte. Già verso il 1650 s'era avvertita la necessità
di offrire esecuzioni musicali al di fuori delle consuete occasioni (il rito liturgico, la cerimonia di corte, la manifestazione cittadina piá o meno pubblica, l'esercizio musicale connesso al consumo famigliare
o alla riunione conviviale). Ma soprattutto era emersa l'esigenza di riunire dilettanti, gruppi di amici, di studenti, di soci d'un circolo
per far musica sotto la guida d'un esperto maestro o di un volenteroso organizzatore. Nei Paesi Bassi, in Svizzera, in Germania specialmente,
questo genere d'iniziativa trovó il terreno adatto per prosperare:
compagini strumentali di 10-20 elementi, formatesi: dapprima senza alcuna pretesa professionale, divennero poi organismi stabilf e specializzati e alcuni di questi svolsero un ruolo fondamentale nella storia della musica locale, e non solo in quella; si pensi, ad esempio, al
Collegium musicum fondato dal giovane Telemann (ancora studente) a Lipsia nel 1702: da quell’istituzione prenderà forma e slancio la grande vita musicale lipsiense. Una volta stabilizzatasi e, con opportuna selezione di elementi, resasi musicalmente valida, l’istituzione voluta
da Telemann ottenne il sovvenzionamento 162
da parte delle autorità
L’ambiente luterano
cittadine, rendendo pubblica in tal modo un'attività che prima era
privata: il « far musica » passò cosi ai locali pubblici, ai caffe, ai giardini,
alle sale di rappresentanza. La pedagogia si era eretta a disciplina già prima che l'età moderna
(Comenius, Locke, Rousseau) ne modificasse intenzioni e orienta-
menti. La teorizzazione dell'insegnamento, come dell'attività di apprendimento, in una metodologia che avesse una validità sotto il profilo dell'organicità e completezza degli studi, era uno dei risultati cui era pervenuta la dottrina medievale e che l'umanesimo avrebbe pol eretto a sistema. Le instructiones, i rudimenta, i praecepta, di cui fu invasa in seguito la circolazione del mercato editoriale musicale, si
collocano sotto il segno d'una pedagogia di avviamento cui corrisponde poi, sul lato opposto, quello del perfezionamento degli studi, un'attività di tipo meramente speculativo e teorico, votata all'analisi e alla confutazione delle teorie, più che alla conquista di spazi musicali. Fra l'uno e l'altro polo — segnati rispettivamente dalla fase di educazione elementare e dalla fase di elaborazione scientifica — sta un ampio settore che era generalmente colmato dalle attività pratiche legate all'appartenenza ad una scuola, questa volta intesa non come istituzione, ma come emanazione dello stile di uno o piá maestri, talvolta raggiunti in luoghi lontani (si pensi ai viaggi di apprendistato in Italia tanto diffusi fra i musicisti tedeschi). Ma, talvolta, era dalla tradizione famigliare che il musicista poteva cogliere i fermenti pedagogici necessari: il mondo della cultura musicale tedesca dell'età barocca (ma anche di altre età) & costellato dalla presenza di generazioni di musicisti, operanti nei medesimi campi e dediti ai medesimi interessi professionali. Accanto ai Bach, che di quel tipo di trasmissione ereditaria della formazione musicale furono gli impareggiabili depositari, la Turingia propone una nutrita serie di famiglie, il cui destino s'intreccia in maniera pit o meno solida con quello dei Bach: si pensi ai nomi dei vari Ahle, Drese, Eisentraut, Emmerling, Hartung, Hertel, Herthum, Hoffmann, Kellner, Körner, Krebs, Lämmerhirt, Möller, Sauerbrey, Schmidt, Treiber, Walther, Wedemann, Wülcken,
mentre in altri territori tedeschi il conto non ha fine: dai Dretzel ai Dedekind,
dai Froberger agli Hasse, dai Kleinknecht ai Kittel, dai
Pachelbel ai Praetorius & tutto un florilegio di presenze attive prevalentemente nei settori dell'arte organistica, della professione di Kantor, del mestiere di Stadtpfeifer. La preparazione del musicista avveniva utilizzando manuali d'uso,
piá raramente le grandi sillogi del « sapere » musicale quali il Syntagma musicum di Michael Praetorius (3 volumi, Wolfenbüttel 1614-1619); fra quei manuali acquistarono notorietà e diffusione in terra tedesca 163
L’ambiente luterano
in epoca barocca, sino al momento i seguenti:
dell'entrata in scena di Bach, i
1. Cyriacus ScHNEEGASS, Isagoges Musicae (Erfurt 1591)
2. Sethus Carvisius, Melopeia sive Melodiae condendae ratio, quam vulgo musicam poeticam vocant (Erfurt 1592) 3. Adam GUMPELZHAIMER, Compendium musicae latino-germanicum burg 1595; 2.a ediz. di un precedente Compendium del 1591)
(Augs-
4. Joachim BunMzisTER, Hypomnematum musicae poeticae... synopsis (Rostock 1599)
5. Heinrich BAnvPHONUS, Isagoge musica (Magdeburg 1609) 6. Christoph Thomas Wattiser, Musica figuralis praecepta brevia (Strassburg 1611)
7. Johannes Lipprus, Synopsis musicae (Strassburg 1612) 8. Laurentius ERHARD, am Main 1640)
Compendium
musices latino-germanicum
9. Johann Andreas HERBST, Musica poetica, sive Compendium
(Frankfurt melopoeticum
(Nürnberg 1643) 10. Wolfgang Caspar PrINTZ, Compendium musicae (Guben 1668)
11. Johann Rudolf Ante, Deutsche kurze und deutliche Anleitung zu der löblichen Singekunst (Mühlhausen 1690; ediz. ampliata a cura del figlio Johann Georg del precedente Compendium del 1648) 12. Wolfgang Caspar PrINTZ, Historische Beschreibung der edlen Sing-und Klingkunst (Dresden 1690).
A questo compatto manipolo di opere a stampa occorre aggiungere
quelle che rimasero manoscritte e che furono utilizzate da allievi « privati »; il caso dei trattati che Christoph Bernhard ricavó, intorno agli anni 1655-1664, dai contatti con Heinrich Schütz & ben indicativo,
ma non si trattó d'un fenomeno isolato: dal Musikalische Kunstbuch di Johann Theile (anteriore al 1670) al Musicalischer Schliss di Johann Jacob Prinner (1677) la documentazione non manca: e una felice «appendice» a quella pratica saranno i Praecepta der Musicalischen Composition che Johann Gottfried Walther dedicherà nel 1708 al giovane principe Johann Ernst di Sassonia- Weimar. Se da un lato l'appartenenza ad una « bottega », a un atelier, a una scuola era condizione determinante per l'apprendimento e per l'acquisizione di una capacità professionale — e spesso gli studi coprivano un arco di tempo che portava il discepolo alle soglie dei venticinque anni (l'età che, di norma, segnava l’entrata «in arte») — dall'altro lato largo spazio era concesso alle risorse autodidattiche, all'iniziativa 164
L’ambiente luterano
personale stimolata sfruttando manuali d'uso, ricopiando musiche, mandando a memoria i precetti fondamentali. La memoria, appunto,
era coltivata con ostinato ma ragionevole esercizio: alla percezione dei fatti e dei concetti faceva seguito la loro fissazione, la loro ritenzione nel tempo. Poche letture, ma fondamentali, ripetute regolarmente e spesso ritmicamente scandite nel corso della giornata, talvolta dette ad alta voce al cospetto dei famigliari, sembravano sufficienti per coprire le esigenze della cultura (che non ricorreva agli ingannevoli schemi
dell'informazione,
eticamente frequenza ricuperare nella scelta che molti
ma
era
invece
veicolo
di formazione,
intesa, dell'individuo): e su quelle letture si ritornava con oggi impensabile, sicché la memoria poteva facilmente i passi e le massime che avrebbero potuto guidare l’uomo dei comportamenti secondo i principii delle sacre scritture avevano totalmente mandato a mente. Cento libri erano
ritenuti sufficienti per costituire una buona biblioteca, anche quando
essa era prevalentemente orientata in senso devozionale e confessionale. Il lascito bachiano, ad esempio, risultante dall’inventario redatto nell'autunno 1750 (BD II, 627) comprendeva una ottantina di volumi d'argomento spirituale (i libri di musica e quelli di « varia letteratura » erano già stati divisi fra i figli maggiori); tale biblioteca rappresentava certamente un significativo archetipo della preparazione culturale che si doveva presumere in un buon luterano del ceto borghese: edizioni delle opere di Lutero in primo luogo (due ne elenca l’inventario, l’una in sette volumi, l’altra in otto), trattati di
teologia e di morale, commentarii alle sacre scritture, raccolte di prediche, di preghiere e di inni chiesastici, libelli polemici e di confutazione dottrinaria, manuali di edificazione e di avviamento alla meditazione, pubblicazioni di prassi devozionale e di liturgia. Con tale
bagaglio appresso, Bach —
non diversamente da tanti contempo-
ranei — affrontò e risolse i problemi della coscienza, andò incontro alle asprezze e alle gioie della vita famigliare, combatté con le istituzioni
e la società del tempo e sicuramente da quelle letture trasse quanto gli occorreva:
testimonianza,
conforto,
determinazione,
i
approvazione, ispirazione.
In questo culto della memoria,
|
indulgenza,
i
M
che si poneva in ultima analisi
come una affermazione dei valori stabiliti dalla tradizione, si palesava uno dei multiformi aspetti del concetto di essere e agire secondo natura che era una delle caratteristiche essenziali del pensiero filosofico dell'epoca. Il naturale era anche ció che & conforme alla tradizione,
ciò che è già stato sperimentato, ciò che risponde ad un ordine razionale dell’universo. Se le scienze dello spirito erano inquadrate in un
sistema « naturale», cosicché si parlava facilmente di diritto naturale (giusnaturalismo), ma anche di morale naturale e persino di teologia 165
L’ambiente luterano
naturale, era logico che anche la musica dovesse sottostare ad un regime naturale, appunto. Sotto il profilo « fisico » questo regime si traduceva nell'applicazione al linguaggio musicale dei principii naturali fisicomatematici, la cui dimostrazione era affidata a esperimenti acustici e
di «psicologia del suono»; & in questa direzione che si muove la speculazione dei teorici di fine secolo, per approdare alle soluzioni definitorie della divisione dell'ottava in dodici parti uguali e dell'armonia secondo i principii naturali. Sotto il profilo « spirituale », la natura della musica sta nella sua obbedienza a canoni stilistici prestabiliti e nella sua rispondenza ad affetti chiaramente individuati. Le classificazioni stilistiche, già elaborate da Athanasius Kircher nella sua Musurgia universalis (1650) resteranno nella teoria musicale per lungo tempo; ancora Walther, nel suo Musikalisches Lexikon (1732), le accoglierà quasi alla lettera, ribadendo la classificazione delle nove
categorie stilistiche di Kircher: Stilo Choraico (le danze di tipo piá semplice, minuetti, passepieds, sarabande, ecc.), Drammatico o Recitativo
(che registra i moti dell'animo), Ecclesiastico (severo, maestoso, capace d'indurre alla preghiera e destinato a lodare Dio), Fantastico (strumentale secondo i moduli di fantasia, ricercare, toccata, preludio), Hyporchematico (per indurre alla gioia e invitare alla danza, secondo i moduli
di ciaccona, passacaglia, a destinazione teatrale), Madrigalesco (oratori, passioni, dialoghi, arie, recitativi, serenate, cantate, ecc.), Melismatico
(qualificato come « stile naturale »: ariette e melodie semplici), Motectico (fughe, contrappunti, canoni per esprimere i piá diversi « affetti »), Sinfoniaco (strumentale: concerti, sinfonie, suifes, sonate).
Lo stile, in ultima analisi, consisteva nell'applicazione delle regole che governavano l'ars oratoría; la musica stessa era figlia della retorica ed era sapientemente strutturata sulla base delle quattro fasi canoniche (inventio, proposta del materiale; dispositio, articolazione del discorso; decoratio, ornamentazione del discorso; elocutio o pronuntiatio, esecu-
zione e interpretazione) e delle «figure retoriche» (i loci, i topoi) di cui la trattatistica dell'epoca è ricchissima: ellipsis, abruptio, heterolepsis, subsumptio, variatio, multiplicatio, retardatio, syncopatio, circulatio, noéma,
climax, hypallage sono soltanto alcuni dei termini scelti a caso per i quali la scienza musicale delirava dopo averli debitamente incorporati nelle tecniche e negli stili di composizione. Anche questo era un modo per rendere giustizia all'interpretazione meccanicistica della natura in termini di estensione, figura e movimento
che emanava dal Discours de la méthode (1637) di Cartesio e che condurrà la filosofia ad una sistematicità geometrica sino ad indurre uno Spinoza,
dietro quella spinta di razionalismo radicale, e quasi per un ricupero di tradizioni neoplatoniche, a formulare una Ethica ordine geometrico demonstrata
(1675). Ancora
una
volta, dunque, 166
i grandi strumenti
L’ambiente luterano
della misurazione perfezione
(clessidra, compasso, bilancia) e i simboli della
(quadrato
magico,
arcobaleno,
cometa
—
come
nella
straordinaria raffigurazione della Melencolia che Albrecht Dürer aveva firmato nel 1514 — erano chiamati a testimoniare la « magia» di un ordine che nella sua compiutezza formale rendeva occulta la realtà e fantastico il suo modo di essere. Il regime della ragione, instaurato rivoluzionando tradizionali proprietà filosofiche sino a rendere egemonica la sua presenza nei fatti della vita e nelle strutture della società, aveva creato, infatti, i
presupposti perché il suo contrario — l’irrazionale, la magia appunto — riconquistasse quello spazio e quella potenza di scienza e dottrina che già era stato nell’età dell'oscurantismo spirituale. Cosí, i fermenti mistici e le dottrine dell'occulto, intensamente combattuti dalla chiesa
evangelica ufficiale, riemersero e si spartirono il campo d'azione, spesso confondendosi in un sincretismo curioso ma, in fondo, non illogico. Da un lato si assistette alla nascita di movimenti eretici,
come la pansofia che troverà il suo massimo esponente in Comenius (il grande riformatore della pedagogia); richiamandosi a Paracelso, e significativamente ispirandosi alla scienza dei numeri, il movimento
che fu il prodotto essenzialmente di una setta religiosa (quella dei Fratelli Moravi) s'incanta di fronte a concetti come quelli di cyclus e di laboryntus e su questi costruisce un sistema di vita che il Comenius analizzerà poi, sotto il profilo della pedagogia, nella celebre formula del «tutto a tutti». Dall'altro lato l’edificio della mistica germanica — cosí intensamente speculativa in Jakob Bóhme proprio muovendo dai presupposti della pansofia, piegata verso segni e tendenze di tipo anche astrologico — si esaltò nell’ascesi, nella riconquista del radicalismo monastico, sino a decantarsi in quel movimento di massa che
va sotto il nome di pietismo. I Pia desideria che Philipp Jakob Spener pubblicò nel 1675 sono il manifesto di una prassi devozionale e di una filosofia della vita che modificarono il comportamento di intere comunità, divisero la popolazione rurale e cittadina e crearono tensione e irrisolutezza, mettendo
a dura prova il principio di tolleranza acquisito nell'ordo luterano. La spinta antidogmatica sostenuta dal movimento, tutto proteso nella missione « quietista » e nella ricerca di una condizione mistica in cui l’abbandono nelle braccia del Salvatore si accompagnava ad uno stato del pensiero perenne di malinconia, fu tuttavia salutare per le sorti atto. Cosi, in tempo da sentimento e ragione e attenuò lo scontro fra delle travaglio nel realtà la affrontare ad l’età di Bach si apprestava storica. esegesi ed fede fra scienza, e antinomie fra grazia
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PARTE TERZA
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Gli anni giovanili (1685-1708)
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5 E.
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CAPITOLO PRIMO
Ambienti e vita di gioventù
BIBLIOGRAFIA
GENERALE
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171
Gli anni giovanili (1685-1708) 17. Jahrhundert, in Arnstädter Bachbuch - J. S. Bach und seine Verwandten in Arnstadt, 2.a ediz., Thüringische Volksverlag, Arnstadt 1957, pp. 11-57; Hans ENGEL, Musik in Thüringen, Bóhlau Verlag, Kóln-Graz 1966.
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Da quando storici e cronisti, intellettuali e poeti hanno incominciato ad interrogare, con tono solenne e non di rado abusando delle armi fornite dalla rettorica, l’ordine supremo e magnifico col quale sono disposte le opere di Bach e ad interpretare l'enigmatica congiunzione del pensiero creativo di quel grande con i tempi, i luoghi e le circostanze in cui il musicista ha coltivato, con radicale fermezza
e irriducibile tenacia, il proprio talento, l'homo ludens et musicae deditus è passato attraverso età ed esperienze che hanno profondamente modificato i lineamenti del suo comportamento critico. Alla quieta contemplazione dei fatti artistici si & sostituita la tormentata concretezza dell'indagine conoscitiva, la venerazione per la pura bellezza ha ceduto il passo al rigore speculativo e la disputa sulle intenzioni e sul processo creativo ha avuto la meglio sulle visioni allegoriche e sugli ideali etici. Collazionando documenti e innestandoli gli uni sugli altri come atti autentici della storia, ci si illude forse di violare il segreto che
ognuno porta con sé, di svelare compiutamente le più recondite e riposte intenzioni,
di togliere alla fantasia
spazio e spessore,
per
ricuperare il senso della realtà, il valore degli oggetti e delle azioni. L'operazione ha dell’illusorio, ma consente un cammino relativamente sicuro e orientato nella giusta direzione, che è quella suggerita, appunto, 172
Gli anni giovanili (1685-1708)
dalle testimonianze del tempo. Su menti di vita in cui si vorrebbero mezzo secolo — e di quale secolo! genio alle prese con una materia testimonianze
—
dicevo —
queste testimonianze, deboli framcompendiare, lungo il corso d'un — le operazioni d'un impareggiabile musicale in evoluzione, su queste
si suole costruire la storia; ma poiché
la situazione non prevede e non consente uii modo di agire diverso e, comunque, piü soddisfacente, né puó esistere rimedio alcuno per sanare
la sperequazione
fra vita vissuta
e risultanza
storica,
ancora
una volta non si potrà resistere alla tentazione di narrare, come se si trattasse di cosa nuova e mai toccata, ciò che mille volte è affiorato
nella letteratura bachiana. Dal momento che un punto di partenza deve pur essere fissato, indicherò quello in una espressione geografica. La geografia bachiana —
per provvidenza, destino, tradizione e vocazione —
è prevalen-
temente collocata nella selvosa Turingia, la terra che gli avi di Bach avevano elettivamente indicato come luogo deputato per trarre il pane del sostentamento quotidiano. Di quella vasta area, fisicamente
e storicamente cosi importante per l'identità degli stati tedeschi, Eisenach — la cittadina dove Johann Sebastian vide la luce il 21 marzo 1685, giusto all'equinozio di primavera — costituisce, se non il centro geografico, certo il punto in cui convergono gli sguardi di tutti coloro i quali pongono nella musica e nella sua storia il momento culminante dei propri interessi. In altre parole, per un curioso quanto logico processo di comunicazione fra entità astratte, Eisenach s'iden-
tifica con la Turingia: e il sillogismo fa sí che, a sua volta, la Turingia s'identifichi con Bach. La regione storica, che confonde o amalgama le proprie vicende con quelle della Sassonia; che prima di quelli di Bach aveva visto i natali di Schütz; che potrà menar gran vanto di unire in unico cerchio Haendel,
Goethe,
Schiller,
Schumann
e Wagner,
aveva
goduto e
godeva, ancora ai tempi di Bach, di un privilegiato clima religioso. L’inclinazione tutta luterana alla meditazione, ad un efficace misticismo, protetto sentimentalmente ed intellettualmente dalle insidie
dell'abitudine e dall'usura delle pratiche devozionali, allignava in
quel terreno non per germinazione spontanea, ma per storica deter-
minazione: quell’inclinazione era un elemento stesso del paesaggio, si rifletteva nell'animo e nel costume dei suoi abitanti con un'efficacia spirituale altrove assai meno pronunciata, in conseguenza di avvenimenti che avevano fatto delle selve della Turingia il rifugio dell’inci-
piente movimento riformatore. Era vanto di Eisenach, in particolare,
l'aver ospitato in tempi calamitosi il dottor Martin Lutero. In quella
cittadina, che godeva dei felici ricordi d'una intensa vita culturale
sviluppatasi nel Medioevo (erano divenute celebri le tenzoni poctiche 175
Gli anni giovanili (1685-1708)
— le Sängerkriegen — dei Minnesänger, per lungo tempo organizzate in quel centro, e, famosissima su tutte quella del 1206-1207 cantata anche da Wagner nel Tannháuser), in quella cittadina, dunque, Lutero
aveva frequentato la Scuola di latino annessa alla Chiesa di S. Giorgio fra il 1498 e il 1501; memore,
forse, del clima favorevole, il padre
della Riforma vi era nuovamente ritornato nel maggio 1521, ma questa volta per cercarvi scampo e protezione, allorché si era avuta la gravissima rottura con la Dieta di Worms, dopo il fallimento delle trattative di conciliazione sulla ben nota questione dell'autorità delle Sacre Scritture. La qual cosa aveva costretto Lutero a riparare in
luoghi pit sicuri; munito di un salvacondotto dell'imperatore Carlo V, valido per ventun giorni, diffidato dal predicare per via, Lutero si era diretto verso Eisenach. Qui, in quella stessa Georgenkirche che lo aveva visto studente e nella quale sarebbe poi stato battezzato Johann Sebastian Bach, egli, rompendo
il divieto imperiale, aveva
predicato, il 3 maggio 1521. Con quest'atto, Eisenach era divenuta il primo punto geografico del nuovo cammino storico della Cristianità. Si aggiunga che, poco lontano dalla cittadina, alla Wartburg — che già dal 1221 al 1231 aveva accolto Sant Elisabetta, la principessa ungherese divenuta sposa, proprio in quella nobilissima Georgenkirche, di Ludwig IV langravio di Turingia e d'Assia e che dopo la morte del consorte era vissuta in severità e povertà — Lutero depose, per la prima volta, il saio di frate agostiniano per indossare il costume d'uno Junker germanico, d'un nobilotto di campagna, lui che per meglio celarsi al mondo s'era dato il nuovo nome di Junker Jórg. ‘In quel medesimo castello, eretto da Ludwig il Saltatore a partire dal 1067, situato su rupi maestose contornato da prodigiose foreste, isolato quasi dal mondo e perció degno di favolosi racconti, austero dominatore della landa, Lutero aveva atteso — erano gli anni 1521 e 1522 — alla traduzione della Bibbia e ad una prima revisione e formazione dei canti della Riforma, prima di riguadagnare la pace di Wittenberg. Il giovinetto Bach non ignorava certamente quei luoghi storici e santi, tanto misteriosi eppur cosí pregni di realtà; per chi, come lui,
era cresciuto saldamente nella fede luterana, la Wartburg doveva costituire méta di pellegrinaggio usuale, di curiosa e avida contem-
plazione. Ma Eisenach, al clima fortunato d'una profonda religiosità nel senso indicato da Lutero, univa prerogative di ordine politico. La cittadina, che al tempo in cui nacque Bach contava poco più di 6.000 abitanti, nel 1662 era divenuta sede d’un ducato indipendente,
formatosi in seguito alla spartizione del ducato di Weimar, sorto nel 1572, poi ricostituito nella sua interezza (ducato di Sassonia-WeimarEisenach) nel 1741 e rimasto in vita sino al 1918. Protagonista di 174
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Gli anni giovanili (1685-1708)
quella vicenda di dominii contesi era stata la potente Casa dei Wettin, regnante con alterne fortune sui territori della Turingia e della Sassonia da più secoli: divenuti margravi di Meissen nel 1130, i Wettin avevano ricevuto in eredità la Turingia nel 1264 ed erano poi stati investiti del titolo di conti palatini della Sassonia nel 1347. Quella Casa, in conseguenza della «spartizione di Lipsia» del 1485 voluta da Friedrich il Placido, si era scissa in due rami facenti capo ai due
figli del duca, Ernst (di qui la linea «ernestina») ed Albert (linea «albertina »). Al primo erano state assegnate la cosiddetta « Sassonia elettorale », il Wittenberg,
la Turingia meridionale
e Coburgo;
il
secondo aveva ricevuto la Turingia settentrionale e il Meissen. Ma,
dopo un certo periodo di prosperità venuto a coincidere con la protezione accordata al movimento
luterano, la linea ernestina era rapi-
damente decaduta, sino a ridurre i propri possedimenti ai soli territori della Turingia. Al contrario, quella albertina si era imposta, pro-
gressivamente ingrandendosi: con la « capitolazione di Wittenberg » (1547), che aveva posto fine alla guerra della Lega di Smalcalda, l’elettore Johann Friedrich I della linea ernestina era stato privato dall'imperatore Carlo V della propria dignità elettorale, consegnata invece nelle mani di Moritz di Sassonia della linea albertina. In breve,
all'erosione territoriale (e al conseguente impoverimento del titolo comitale attribuito alla linea ernestina) si aggiunse il dissennato ed inarrestabile frazionamento della marca in una serie di piccoli principati autonomi, politicamente inefficienti !.
Il ducato di Eisenach si era appunto costituito in seguito al progressivo frazionamento del primitivo territorio della « Sassonia elettorale ». Ripercorrendo a ritroso il cammino di quella tormentata storia, troviamo che il duca Johann Friedrich I aveva dovuto cedere (1547) la dignità elettorale, ma era stato privato anche di tutte le proprietà; in tal modo egli era stato punito per essersi posto alla testa
di quella Lega di Smalcalda che era sorta nel 1531 in opposizione all'intimazione imperiale, fatta ai riformati, di rientrare tosto (l’ulti-
matum concedeva sette mesi di tempo) nel seno della Chiesa cattolica. Uscito sconfitto a Miihlberg, il duca « ernestino » aveva dovuto subire la vendetta di Carlo V; a partire dal 1552, tuttavia, egli poté ricuperare
i beni che gli erano stati confiscati. Dei due figli, l'uno — Johann Friedrich II — succedutogli nel titolo di duca di Sassonia nel 1554,
ottenne (1565) il ducato di Sassonia-Weimar-Gotha, ma, bandito dall'impero nel 1567, dovette cedere parte dei propri beni (Weimar, Altenburg e Eisenach) al fratello Johann Wilhelm, il quale sin dal 1547 reggeva il ducato di Sassonia-Coburgo. Quest'ultimo nel 1572 restitui Coburgo ed Eisenach ai propri nipoti (i figli di Johann Friedrich II), dando luogo a due distinti ducati, quello di Sassonia-Coburgo 176
Gli anni giovanili (1685-1708)
(1572-1633) e quello di Sassonia-Eisenach (1572-1638). Una volta
estinto,
il ducato
di Sassonia-Eisenach
fu assorbito
da quello di
Sassonia- Weimar, da cui tuttavia fu nuovamente scorporato nel 1640
per essere assegnato ad Albert, uno dei tre figli del duca Johann Wilhelm. Albert morí nel 1644 e il ducato toccó in eredità al fratello Wilhelm
IV di Sassonia-Weimar,
ma
alla morte
di quest’ultimo
(1662) il ducato di Sassonia-Weimar fu spezzato in quattro tronconi,
tanti quanti erano i figli del duca; si formarono,
cosi, i ducati di
Sassonia-Weimar (1662-1741), di Sassonia-Eisenach (1662-1668), di Sassonia-Marksuhl (1662-1741) e di Sassonia-Jena (1662-1690). Il ducato di Sassonia-Eisenach era toccato al secondogenito Adolf
Wilhelm, ma questi si spense dopo soli sei anni di regno, senza lasciare eredi maschi; pertanto, il piccolo principato fu incorporato dal duca
Johann Georg I di Sassonia-Marksuhl. In pratica, e per riassumere, Eisenach fu principato indipendente una prima volta fra il 1572 e il 1638 e una seconda volta fra il 1662 e il 1741, sia pure in questa seconda circostanza nel più ampio contesto del ducato di Sassonia-Marksuhl, cui
spettò successivamente anche il ducato di Sassonia-Jena (1690). Estintosi il ramo nel 1741, i beni furono ereditati da Ernst August I di SassoniaWeimar, il quale assunse il titolo di Sassonia- Weimar-Eisenach (costituito in ducato sino al 1815 e poi in granducato sino al 1918). A] tempo in cui si colloca la nostra narrazione, il ducato di Sassonia-
Eisenach era retto, dunque, da Johann Georg I di Sassonia-Marksuhl, il quale nella Pasqua del 1672 prese stabile dimora nel piá agevole palazzo di corte di Eisenach. Qui egli regnerà sino al 1686, anno della morte; gli subentreranno nell'ordine, il figlio Johann Georg II (16861698), Johann Wilhelm (1698-1728) e, da ultimo, Wilhelm Heinrich
(1728-1741).
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Gli avvenimenti di Sassonia e Turingia altro non sono che il riflesso d'una situazione generale caratterizzata dall'indebolimento politico
della nazione tedesca. La suddivisione infinitesimale del potere gravava sulle coscienze dei cittadini e dei contadini impedendo loro di avviare
stati europei era il necessario processo di emancipazione che in alcuni già in atto, se non altro sul piano istituzionale. L'organizzazione politica
dello statalismo germanico aveva impronta medievale; la disgregazione dell'impero aveva rigettato indietro nel tempo il paese e, proprio nel momento in cui si sarebbe dovuto trovare l'energia per superare
la gravissima crisi economica e sociale provocata da guerre spietate e da infami disastri naturali, la nazione si vide anacronisticamente
bloccata da rigide strutture di marca feudale. Le spaccature create dai dissidii confessionali trovarono facile esca nel particolarismo delle sovranità territoriali, che fini col rendere debole e poco tempestivo il potere imperiale. È sempre con immenso stupore che si rileggono le 177
Gli anni giovanili (1685-1708)
risultanze del Trattato di Vestfalia (1648), col quale si pose fine all'indiscriminato massacro che va sotto il nome di Guerra dei Trent’Anni. Il paese risultava allora suddiviso in 318 entità territoriali, di diversa grandezza ed importanza, distribuite sul suolo germanico sino a coprirne le più piccole insenature: otto principati elettorali (tre ecclesiastici, quelli degli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri; e cinque secolari, quelli del re di Boemia, del margravio del Brandeburgo, del duca di Sassonia-Wittenberg, del conte Palatino del Reno e del duca di Baviera, ultimo arrivato in data recente, il 1623), cui si
aggiungevano, in una miriade di poteri delegati e gerarchicamente subordinati ma con ampie autonomie, 203 principati e signorie, 66 principati ecclesiastici e 51 città autonome. In tale marasma — a sua volta reso più pesante dal potere giurisdizionale concesso ad un migliaio e mezzo di comuni — non è difficile riconoscere causa ed effetto dell'atrofia che aveva colpito il paese, illanguidendo e talvolta paralizzando le sue risorse commerciali ed intellettuali. Uscito dalla funesta Guerra dei Trent'Anni devastato nel territorio e distrutto nello spirito, il paese tardò moltissimo a riprendersi. Popolazione decimata e ridotta, anzi, in molti casi a proporzioni minuscole per effetto non soltanto degli eventi bellici, ma anche delle epidemie
e delle carestie; attività commerciali ed artigianali stentate; comunicazioni difficoltose e, talvolta, impossibili; culture scarse vuoi per tristi
eventi naturali (alluvioni e siccità non risparmiano mai i derelitti) vuoi per scarsità di mano d'opera (il contadino era messo alla fame dagli esosi tributi richiesti dai proprietari terrieri); generale prostrazione dell'ethos civico; circolazione monetaria insufficiente e depauperata; istruzione fortemente
carente;
sono
queste soltanto alcune delle calamità che
colpirono il paese nel corso del Seicento. Poche erano le persone che — al di fuori del circoscritto mondo dei nobili e dei loro cortigiani,
dei militari e degli ecclesiastici di alto rango — riuscivano ad emergere e a trarre qualche partito dalla generale situazione di oppressione politica e morale, intellettuale e sociale: coloro i quali ricoprivano cariche pubbliche, maestri, pastori e parroci, artisti e musicisti, letterati
e studiosi campavano con stipendi miserrimi, al limite del tollerabile. Eppure, specialmente nelle terre conquistate al messaggio luterano, la cultura progrediva; la sensibilità per le operazioni dell’intelletto promanava essenzialmente dal rinnovamento religioso che, tanto sul
piano della dottrina teologica quanto sul piano degli affetti spirituali, aveva lasciato durevole traccia. E se la veste di pastore, di predicatore si addiceva spesso a filosofi e poeti, quella meno ufficiale ed appariscente ma più genuina dell'uomo di chiesa fu agevolmente portata da musicisti. La Guerra dei Trent'Anni non stremó le nuove forze del barocco musicale tedesco che, nella sua espressione piá illuminata e 178
Gli anni giovanili (1685-1708)
piü artisticamente significativa, & tutta sotto il segno alato ed immaginoso dell'ambiente evangelico. Il nuovo umanesimo musicale, germogliato sui rigogliosi prati rinascimentali, è — come la letteratura, la
poesia, la filosofia — e più di quelle, anzi, una manifestazione della cultura protestante; manierismo ed accademismo non intaccano quei
canti che la scienza contrappuntistica ornava di preziosi attributi. Cosi, il Seicento e il primo Settecento trascorrono — ora malinconici, ora arricchiti di echi e diletti pastorali, ora intrisi di turgide polifonie o aperti ad una cantabilità spianata e non volgare — all'ombra d'una schiera di perfetti maestri della musica evangelica: la grande triade Scheidt, Schein, Schiitz; Praetorius e Stoltzer; i due Melchior: Franck e Vulpius; Theile e Krieger; Tunder e Buxtehude; Pachelbel e Bóhm;
Kuhnau e Keiser e gli Ahle e piá oltre Telemann, sino al culmine supremo, alla sintesi magistrale: Bach, appunto. Non per misteriosi disegni della provvidenza o del fato, della fortuna o del caso, la musica evangelica ebbe il sopravvento su quella
cattolica: la bellezza di quell'età aurea che noi tout court identifichiamo nel Barocco, sta anche nel rigoglioso fiorire di scuole che le autonomie
locali contribuirono a rendere piá compatte e meglio caratterizzate, nell'entusiasmo col quale si affrontarono i compiti della fede, nell'immacolatezza di pratiche musicali ancora adolescenti e non mortificate da contaminazioni peregrine. Il Gottesdienst, il culto, l'Hofdienst, il servizio di corte, lo Stadtdienst, il servizio municipale, l'attività scolastica infine, offrirono ai disciplinati maestri, organisti e cantori
della società protestante occasioni splendide per creare e realizzare musiche nelle quali a buon diritto si puó scorgere la piá genuina espressione dell'anima tedesca. L'humus sociale s'arricchí a contatto con le esperienze di viaggio che ogni musicista si sentí in dovere di compiere: ognuno poté vantare nel proprio curriculum una serie piá o meno vistosa di Wanderjahre, di anni dedicati a viaggi e peregrinazioni di studio e di osservazione, quei Wanderjahre che l'età romantica avrebbe idealizzato e reso sentimentalmente piá efficaci, ma che sin dall'epoca rinascimentale i
musicisti tedeschi avevano programmato nell'imboccare la strada della professione. Ma, viandante e pellegrino, il musicista tedesco volle esserlo sempre, anche quando la giovinezza non gli offriva pit pretesti d’avventure. Il panorama musicale di quella nazione è costellato di spostamenti incrociati in cui vige ferrea la legge del ricambio: da un lato sta il legittimo desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, unito alla coscienza della progressiva conquista dello spazio circostante; dall’altro lato c'è la spinta d’una condizione psicologica in cui la Wanderlust, il piacere di viaggiare, esprime amore e gusto per la natura, confronto di idee e, in ultima analisi, cultura. 179
Gli anni giovanili (1685-1708)
10. Le origini della famiglia. BIBLIOGRAFIA
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L’esser governata da duchi che ponevano il massimo interesse nella conservazione di privilegi storicamente acquisiti aveva fatto dell'antica Isenacum un luogo di convergenza della cultura locale; qui,
nella cittadina mollemente adagiata sulle colline della valle in cui scorre l'Hórsel, il viandante
illuminato
poteva avere
la sensazione
d'essersi imbattuto in uno dei centri motori della vitalità culturale
della Turingia, un centro che, se non poteva competere con la grandiosa Erfurt, aveva buoni motivi per essere considerata alla pari di Weimar. La musica, in particolare, sin dagli antichi tempi si era palesata nelle vesti d'una componente essenziale del panorama. Come
non
dare ragione all’ingegnoso cronista?
che in quel vocabolo,
Isenacum, aveva scorto, celate ma chiaramente sottintese, espressioni 180
Gli anni giovanili (1685-1708)
anagrammatiche di inequivocabile significato quali en musica ed en canimus, se poi la storia stava a dimostrare che effettivamente Eisenach aveva camminato sulla strada dell’ars musica a testa alta? Il Medioevo
non era stato avaro di esperienze: Minnesang e Meistergesang avevano
equamente regolato il corso musicale. E quando la Riforma s'era
installata nel territorio, la continuità della vita musicale era stata assi-
curata da un'ininterrotta sequela di organisti e di compositori (talvolta investiti della primaria funzione di Kantor). I nomi di Michael Himmel (che aprí quella strada nel 1525), di Wolfgang Zeuner, di Theophilus Schoesser, di Johann Engelhardt, di Peter Albert, di Theodor Schuchard, di Andreas Schmidt, infine, sono per noi punti di riferimento
astratti, semplici documenti anagrafici: ma quei nomi, forse, furono famigliari a Bach; il piccolo musicista li sentí pronunciare in casa ed
in chiesa, ne conobbe i discendenti, i parenti, ne valutó l'operato agganciando la propria inesperienza di principiante alle loro esperte manovre
musicali, quantunque egli potesse disporre in loco, come si vedrà, diesempi piá illuminanti, primi fra tutti quelli che gli offriva la sua | stessa. famiglia. E ora di dire, infatti, che in Eisenach la prolifera progenie dei
Bach — il piá stupefacente clan della storia musicale — aveva trapiantato uno dei suoi germogli piá vitali, venuto ad aggiungersi nel 1665 a quelli innestati su altri centri della Turingia, i centri di Erfurt, Arnstadt, Wechmar,
Gotha, Ohrdruf, Weimar, Miihlhausen. E non
solo: in un modo o nell’altro, per vie dirette o traverse, la sterminata schiera dei Bach che strinsero il patto d'acciaio con la musica trovó modo d'inserirsi in altre località di quella regione; cosí, Sondershausen, Meiningen, Coburgo, Nordhausen, Weissenfels, Altenburg, Gera, Rudolstadt, Frankenhausen, Weida, Zeitz, Römhild, Eisenberg, Jena
diventano le stazioni obbligate d’un ipotetico viaggio attraverso la Turingia musieale, nelle quali sovente lo smarrito pellegrino rischia d’imbattersi in qualche esponente della gens bachiana. Invero, l'intero territorio geografico che ci interessa fu sottoposto alla vigile custodia d'una guarnigione che ripeteva la propria origine, secondo una tradizione a lungo mantenutasi intatta fra gli studiosi bachiani, da un prodigioso seminatore e reclutatore. | ^or ver qe Non era costui — 6 accertato dalle indagini piá recenti — il guardiano municipale di Wechmar (cost indicato in un documento del 1561), al quale era stato imposto il nome di Hans. Da questi nacque, forse, un Veit morto l'8 marzo 1619 (e nato intorno al 1555) che, a
nostra conoscenza, non ebbe discendenza, e che fu confuso con un
altro Veit morto prima del 1577, dal quale trae origine, invece, il
filo diretto che porta a Johann Sebastian. Quest ultimo Veit (che chia-
meremo Veit I per distinguerlo dall'altro, Veit II) generó Johannes [7]; 181
mm
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Johannes generó Christoph [18]; Christoph generó Johann Ambrosius [28]; e Johann Ambrosius generó Johann Sebastian [45], il re. Cosi, da Veit I a Johann Sebastian sono in tutto cinque generazioni. La genealogia di Johann Sebastian & ben degna di essere narrata nello stile d'un novello testamento; se ogni storia deve essere letta interpretata meditata ricorrendo ad un punto centrale, a un « prima »
e a un « dopo»
che sintetizzano il cammino percorso, ebbene per la
storia della musica il bivio imposto dalla dialettica del divenire, dalla
spinta emozionale prodotta da un evento clamoroso non puó essere che quello indicato dalla duplice espressione « prima di Bach » - «dopo Bach»; ma forse l'inesorabile scisma, nella sua paradossale enunciazione, esalta la condizione critica in cui si consuma la storia musicale,
continuamente dibattuta fra raziocinio e trascendenza. Consapevole di molto dovere alla tradizione famigliare che, come un marchio di fabbrica, gli era stata indelebilmente impressa e lo aveva
reso partecipe del comune destino di tutti i suoi parenti, vicini e lontani, Johann Sebastian stenderà nel 1735 — nel momento in cui compiva il cinquantesimo anno — una genealogia (Ursprung der musikalischBachischen Familie)? in cui si leggono succinte annotazioni biografiche relative a cinquantatre membri della famiglia (BD I, 184): non senza manifesto compiacimento, il maestro dei maestri sottolineava la natura
musicale della sua progenie. Nell'archivio di casa i documenti comprovanti il « movimento » delle nascite e dei decessi, dei matrimoni e degli incarichi ricevuti, le quietanze e i contratti, memoranda e lettere,
in una sola espressione le carte che documentavano «le opere e i giorni» dei Bach musicae cultores, non dovevano certamente mancare:
diversamente, Johann Sebastian non avrebbe potuto dar corpo a quel lessico famigliare, forse tracciato con
mano
un poco
trepidante e
sottilmente orgogliosa, che doveva costituire il punto di partenza per le ulteriori definizioni degli intricati nessi che governano il processo storico della famiglia; ma là dove le carte difettavano, la memoria dei parenti aveva supplito, concedendo qualche margine di errore e di confusione alla improvvisata esplorazione della genealogia famigliare. L'origine — l'Ursprung, il germe originario — Bach la fissava dunque, in un Veit del XVI secolo, percorrendo a ritroso il cammino
di cinque generazioni. Mugnaio e fornaio, Veit — & ancora il grande Bach a dircelo — aveva abbracciato la confessione luterana, era emi-
grato in Ungheria (vedremo poi l'imprecisione di questa delimitazione geografica e di tutta la vicenda storica), ma era poi rientrato in Turingia, nella nativa Wechmar per sfuggire alla persecuzione antiluterana, fattasi intollerabile in terra « magiara » verso il 1580, allorché
l’imperatore Rudolf II (1576-1612), già avviato sulla strada di una insanabile follia e comunque prigioniero della sua superbia e della 182
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,F Sua sospettosa natura, aveva preso la decisione d'imporre con la forza il cattolicesimo. Cosí questo Veit, che per una qualche misteriosa ma semplice ragione aveva varcato con bella speranza i confini d'Ungheria, si era poi trovato a dover riguadagnare (dopo il 1591) la frontiera che lo metteva al sicuro fra correligionari, in un minuscolo borgo della foresta di Turingia. Ma qui egli aveva potuto prender cura delle proprie inclinazioni artistiche. Con compiaciuta attenzione, seppur con un discorso estremamente succinto ed essenziale, manifestamente conse-
guente alla propria personalità incapace di tortuose manovre, Johann Sebastian denuncia quella che fu l'autentica passione di Veit: ein Cythringen, un suonatore di Cythringen, versione pit piccola e più acuta della cister, cordofono a pizzico che allora godeva d’una certa considerazione; cosi lo definisce Johann Sebastian e subito avverte che l'umile Veit fu il primo dei Bach ad avere coscienza dell’arte musicale,
il primo cui fosse chiara la portata del messaggio agostiniano-luterano: quis canat bis orat; Frau Musika, per dirla col titolo d’un celebre poema luterano, era entrata in casa Bach e vi prenderà stabile dimora per
trecento anni. Questo è il racconto che, con strana mescolanza dei dati forniti dalla storia e di quelli che si possono ricavare dal documento genealogico bachiano, viene riferito solitamente dai biografi bachiani più antichi e anche da qualcuno dei recenti. Ma la direttrice lungo la quale occorre muoversi è un’altra. Il Veit di cui si è appena detto, a quanto risulta, non ebbe successione. Era figlio probabilmente di quell'Hans segnalato a Wechmar nel 1561 (i cui estremi cronologici si situano approssimativamente fra il 1520 e 1l 1580) che ebbe almeno un altro figlio, Caspar, icui cinque figli furono avviati allo studio della
musica, ma conobbero tutti una fine prematura. Johann Sebastian non discende da questa linea che fu presto interrotta, ma da un altro Veit (I), morto — come si è già visto — prima del 1577, forse fratello o forse, più verosimilmente, cugino del citato Hans. Questo Veit I ebbe almeno due figli: Johannes [7], da cui la discendenza di Johann Sebastian, e Lips [8]. ;
Vi è stata confusione, dunque, fra Veit I e Veit II, fra i quali non soltanto esiste il salto d'una generazione, ma anche l'ipotetico rapporto
di parentela & del tipo indiretto, laterale. Il Veit. della genealogia (Ursprung) & quello morto prima del 1577 e non quello deceduto nel 1619. Stando cost i fatti, occorre sottoporre ad una diversa interpretazione la vicenda in « Ungheria» cui allude il documento bachiano quando afferma (BD I, 184, n. 1): Vitus Bach mugnaio in Ungheria, nel 16mo Seculo dovette cercar rifugio in Ungheria, a motivo della sua religione luterana. Di là, dopo aver venduto 183
Gli anni giovanili (1685-1708) per quanto era possibile i suoi beni, ritornó in Germania; e trovata in Turingia una sufficiente sicurezza per la sua religione luterana, si stabilí a Wechmar,
nei pressi di Gotha, e proseguí nella sua professione di mugnaio [...].
Il riferimento all'Ungheria non deve essere preso alla lettera. Günther Kraft ha spiegato che già intorno al 1600 in Turingia il termine Ungarn indicava genericamente i territori sottoposti al dominio absburgico: Austria e Boemia in primis. D'altra parte, si deve sottolineare
che il territorio proprio dell'Ungheria a partire da quel secolo (dopo la battaglia di Mohács, 1526) fu soggetto ai turchi, mentre la capitale del regno d'Ungheria fu trasferita nel 1541 da Buda a Bratislava (Presburgo), in Slovacchia, dove resterà sino al 1784.
Ora, a partire dal 1526 — e dunque contemporaneamente ai « fatti di Ungheria » — si verificó un forte movimento di emigrazione dalla Turingia verso i territori occupati da moravi e slovacchi: oltre 16.000 persone provenienti da quella regione si stanziarono nelle terre della «nuova Ungheria» in conseguenza dei disastrosi esiti della « guerra dei contadini» che proprio in Turingia, come & noto, ebbe il piá importante campo di operazione. Il movimento di rientro si verificó a partire dal 1546: circa 6.000 furono le persone che rientrarono in patria e fra queste doveva esserci anche il Vitus di cui parla la genealogia bachiana. 1
Si & fatto il nome di Bratislava. E importante ricordare che un cronista del XVIII secolo, Matthias Korabinsky, segnalava in una sua cronaca (Beschreibung der kónigl. ungarischen Haupt-Frey- und Krónungsstadt Pressburg, Pressburg 1780-1783) che la città era il luogo di origine della famiglia Bach (ne indicava allora 64 membri contro i 53 elencati nella bachiana Ursprung), fra i quali figura un Veit fornaio. E impossibile stabilire, comunque, se questo Veit possa identificarsi con uno
dei due omonimi personaggi della nostra storia, anche perché i Bach continuarono a prosperare nella cattolica Presburgo sino alla fine del Settecento. Del resto, notevolissima era stata la diffusione del nome Bach nei
territori tedeschi e di Turingia in particolare. Le prime notizie affer-
mano la pratica di quel nome già verso l'anno mille; ma il fatto & relativamente importante, poiché & solo in una fase avanzata del
XVI secolo che si possono cogliere i primi segni inequivocabili del
rapporto che poi si instaurerà con Johann Sebastian. A questo proposito
non ci soccorre neppure la testimonianza fornita da un Johann Christoph Bach [35], Cantor a Gehren, il quale in una sua lettera del 1727 sosteneva d’essere in grado di dimostrare l'ascendenza dei Bach sino al 1504. Qualche, motivo di serio aggancio qualcuno, forse, potrebbe trovare in altri Bach (che possono essere scritti, qui e in altri luoghi, 184
Gli anni giovanili (1685-1708)
con diverse grafie: Baach, Pach o Bac, quest'ultimo equivalente a Bock — caprone, ma vedremo fra poco che tutt’altro significato aveva il prezioso monosillabo; e, certo, occorre forse rinunciare alla
poetica ma ingannevole etimologia di Bach — ruscello); quei Bach,
ad esempio, che si trovano citati nei conti dell'archivio municipale di Smalcalda negli anni 1410, 1415, 1422 (un Hans), 1423, 1425, 1465
(Heinz), 1513 (Caspar), 1521 (Hans); o quegli altri che troviamo
dispersi in pit centri: Heinrich ad Augsburg nel 1360, un altro Heinrich
a Friemar nel 1369, Giinther a Georgental nel 1372, Heinz a Coburgo
nel 1401, Hans a Ohrdruf nel 1472, Matthäus ancora a Ohrdruf nel 1490, Bartholomäus a Lipsia nel 1497, Leonhard a Wiirzburg nel
1504, Veit a Pressnitz nel 1506, gli Hans di Arnstadt e di Gräfenroda nel 1509, Caspar a Weimar e a Erfurt nel 1526, Hartung a Mechterstádt nel 1531, Johann a Wittenberg nel 1548, Paul a Bratislava nel 1574. Ma ad incrementare la geografia bachiana occorre dire che numerosi altri centri — per limitarsi alla sola Turingia — custodirono la stupefacente progenie: Ilmenau, Schleusingen, Gotha, Gehren, Ruhla, Meiningen, Jena, Wolfsbehringen, Suhl, Themar, Molsdorf, Rock-
hausen, Bindersleben...
In realtà — lo si & ormai detto piá volte — il primo documento che si leghi alla nostra particolare vicenda, & quello datato Wechmar 1561 e relativo ad un Hans. Se questi fosse il padre di Veit II & incerto, cosí come & incerto se fosse sua figlia quella Margaretha Bach «da Wechmar » che il 13 febbraio 1564 si uni in matrimonio a Ohrdruf, una cittadina in cui i Bach erano presenti almeno sin dal 1472 (Hans). E parenti in qualche modo erano pure — ma sempre con beneficio d'inventario — il Kunz che si fidanzò nel 1568 a Wólfis, non lontano da Ohrdruf, e la Barbara che andó a nozze, ancora a Wiölfis, nel 1570. I registri parrocchiali di Ohrdruf, inoltre, registrano
il matrimonio di due Apollonia Bach (la prima nel 1565, la seconda nel 1576, figlia quest'ultima di Vitus I), la morte di una Anna nel 1576 e quella di un Hans Bach nel 1579, questi ultimi entrambi di Erfurt. A Wechmar, come dice la stessa Ursprung, s'era insediato Vitus Bach di ritorno dall’« Ungheria» e a Wechmar e nei villaggi dei dintorni
(Emleben,
Ingersleben,
Gundersleben,
Wandersleben,
Sülzenbrücken) sono numerosi i Bach documentati nella seconda metà del XVI secolo. A Wechmar, comunque, sono segnalati come possessori di casa nel 1577 i fratelli Johannes [7] e Lips [8] Bach, figli
di Veit I[3].
veri
dM
In questo fitto assembramento di nomi e di generazioni è impos-
sibile individuare una via, proporre una convincente ipotesi di lavoro.
Tuttavia, si puó quanto meno dedurre che l'imponente frequenza con la quale le fonti attestano, nei diversi luoghi, la presenza dei Bach 185
Gli anni giovanili (1685-1708)
& il risultato dell'origine stessa di quel nome.
Le minuziose
analisi
condotte da Günther Kraft in questa direzione assicurano che il vocabolo Bach (e le sue varianti Bachen, Pach, Pachen, Baach,
Baachen) nel dialetto di certe località dell'Europa orientale (Boemia,
Moravia, Ungheria, Polonia, Transilvania) e specialmente fra le popolazioni nomadi zingare indicavano, e indicano ancor oggi, il
musicante girovago, per cui se ne deve dedurre che & da una qualificazione « professionale » che deriva il nome (Ulricus dictus Bach, 1298; Otto der Bach, 1311; ancora un Mr. Le Bache e una Madame La
Bache compariranno nei registri della corte di Braunschweig, intorno al 1700-1720, per designare dei Kammerdiener con mansioni musicali). Bach, insomma, sarebbe un attributo del nome, che solo in un secondo
tempo si trasformó in un cognome. Alla luce di questo fatto etimologico, acquisterebbe un ben diverso significato, ad esempio, l'espressione
«i Bach » (sogenante Baachen) usata ancora nel Settecento a Erfurt per indicare i locali musici municipali (gli Stadtpfeifer): costoro erano chiamati «i Bach» non già per essere stati presenti fra le loro fila numerosi esponenti della famiglia Bach, come si è spesso sostenuto, ma per essere invece il nome Bach sinonimo di musico professionista, in genere con mansioni saltuarie e di pubblico impiego, assoldato per
svolgere i compiti propri di quella «corporazione ». L’etimologia sostenuta da Kraft, con argomenti non certo peregrini, non ha incontrato, tuttavia, il consenso di alcuni linguisti e glottologi, i quali insistono invece sulla derivazione del nome Bach dal concetto di « acqua corrente » (am, zum, bei, an dem Bach, con le varianti dei dialetti di Turingia: Bacha, Paac, Pooch, Paache). La questione resta aperta e spartita su due fronti, e tuttavia l'impressionante documentazione
raccolta città per città, villaggio per villaggio, con immenso scrupolo dal Kraft sulla generalizzata vocazione
musicale di coloro i quali
portarono il nome Bach e che agirono sulle frazionate terre della Turingia sta a sostenere, come un vigoroso contrafforte, la tesi secondo
cui & all'ars musica che bisogna guardare nell'interpretare l'etimologia del nome.
Johannes [7] e Lips (Philipp) [8] furono i due figli di Veit I che trasmisero la discendenza. Da Lips ebbe origine il «ramo di Meiningen », di non solenne rilievo per la storia musicale dei Bach, eccezion fatta per il pronipote Johann Ludwig [50]. Johannes, invece, fecondò il campo lavorato dal padre, procurando un rigoglioso raccolto. Nato a Wechmar
intorno al 1550, aveva studiato musica a Gotha
con lo zio Caspar [5] e a Wechmar aveva esercitato, accanto al mestiere di fabbricante di tappeti, l'arte musicale. Morí di peste nel 1626, il giorno di S. Stefano. Dei suoi tre figli, il primo — Johann [17] — diede vita al « ramo di Erfurt»; al terzo — Heinrich [19] — fa capo 186
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il «ramo di Arnstadt»; il secondo — Christoph [18] — fu il nonno
di Johann Sebastian. Nato a Wechmar nel 1613, Christoph apprese a coltivare — lo dice Johann Sebastian — musicam instrumentalem, forse dal padre Johannes [7]. Domestico alla corte di Weimar e forse membro
dell'orchestra di corte, fu musico della città di Erfurt dal 1642 al 1654, passando, con analogo incarico, ad Arnstadt, dove morí nel 1661.
Sposatosi intorno al 1640-41 con Maria Magdalena Grabler, ebbe sei figli, tre dei quali musicisti. Uno di questi è Johann Ambrosius [28], il padre di Johann Sebastian.
11. La famiglia del padre. BIBLIOGRAFIA
Oskar ScHuMM, Hof-und Stadtorganist Johann Christoph Bach [29], Organist zu Eisenach 1665-1703, Luginsland 1927; Fritz RorrBERG, Johann Christoph Bach [29], in « Zeitschrift für Musikwissenschaft » XI (1928/29), pp. 549-561; Friedrich ScHAFER, Der Organist Johann Christoph Bach [29] und die Eisenacher Münze, Luginsland 1929; Walter Dreck, Die Beziehungen der Familie Bach zu Erfurt, in « Thüringer Allgemeine Zeitung » 1935; William Gillies WHITTAKER, The Bachs and Eisenach, in « The Musical Quarterly » XXI (1935), pp. 132-142 (poi in Collected Essays, Oxford University Press, London 1940); Otto ROLLERT, Die Erfurter Bache, in J. S. Bach in Thüringen. Festgabe zum Gedenkjahr 1950, Thüringer Volksverlag, Weimar 1950, pp. 201-213; Oskar Srarr, Die Themarer Bache, ibid., pp. 229-230; Conrad Freyse, Johann Christoph Bach (1642-1703) [29],
in BJ XLII (1956), pp. 36-51.
Prima di proseguire lungo la direttrice che mena al vertice, occorre
imboccare una deviazione. Nonostante la dispersione in vari centri — a metà del secolo XVII i Bach erano già presenti, oltre che a Wechmar, anche a Gotha, a Erfurt, ad Arnstadt, a Meiningen — l'unità della
famiglia si era mantenuta intatta: la vocazione musicale, ormai cri-
stallizzatasi in tradizione, aveva potuto svilupparsi con facilità, senza subire interruzioni. La conquista di nuovi territori avveniva con progressione regolare, incamerando patrimoni locali che i pit grandi dei Bach avrebbero poi restituito alla civiltà musicale con cospicuo interesse.
Ad Eisenach, i Bach erano approdati nel 1665, sei anni prima che vi giungesse il padre di Johann Sebastian. Era dalla vicina Arnstadt che aveva avuto inizio il nuovo corso. Ad Arnstadt, dove la presenza
di famiglie col nome Bach è segnalata sin dai tempi anteriori alla Riforma, aveva acquistato fama Heinrich Bach [19], fratello dei già 187
Gli anni giovanili (1685-1708)
citati Johann [17] e Christoph [18]. Johann era divenuto Stadtpfeifer, musicista municipale, a Erfurt nel 1635 e nel corso dell'anno successivo aveva avuto la nomina ad organista nella locale Chiesa dei Predicatori, mantenendo il posto sino alla morte, che lo colse nel 1673. E il primo
dei Bach di cui si conoscano opere musicali *, ma egli condivide tale posizione privilegiata insieme col fratello Heinrich, di cui fu maestro (fra i due v'era una differenza di età di undici anni, essendo nati rispet-
tivamente Johann nel 1604 e Heinrich nel 1615). Dal 1641 alla morte, avvenuta nel 1692, Heinrich fu organista nella Oberkirche e nella Liebfrauenkirche di Arnstadt, acquisendo una certa rinomanza sia come virtuoso d'organo, sia come compositore ?. Dei sei figli nati dal suo matrimonio
con Eva Hoffmann *, tre furono
musicisti; il
primogenito — Johann Christoph [29] — eguagliò prima e superò poi la fama del padre, affermandosi come il piá grande dei Bach, prima dell'avvento di Johann Sebastian. Nato ad Arnstadt nel 1642,
aveva studiato col padre; nel 1665 ha luogo la svolta che proporrà un nuovo cammino alla grande famiglia dei Bach. In quell'anno Johann Christoph è invitato dalle autorità municipali di Eisenach a sostenere la prova preliminare per l'eventuale sua assunzione al posto di organista, nella Chiesa di S. Giorgio, rimasto vacante per la morte del titolare Andreas Osswald. Il ventitreenne Johann Christoph a quel tempo ricopriva la carica di organista ad Arnstadt nella cappella del castello (vi era stato chiamato nell'ottobre del 1663), e perció gli occorreva ottenere una speciale autorizzazione per poter accettare
il nuovo posto, subito a lui destinato dopo essersi imposto agli esaminatori con una prova esemplare. La petizione indirizzata al conte
Ludwig Günther di Schwarzburg-Arnstadt, da cui dipendeva la decisione del caso, abilmente spiegava come l'occasione offerta al musicista dovesse riguardarsi alla stregua di un atto della divina provvidenza. Al tempo stesso, il musicista proponeva a sua propria surrogazione il fratello Johann Michael [30] *. La petizione fu accettata e Johann Christoph, pertanto, fu assunto definitivamente dalle autorità municipali di Eisenach in qualità di organista, con l'obbligo di suonare in tre chiese, e in particolare nella principale, la storica
Georgenkirche. A quel posto, Johann Christoph rimase sino alla morte, avvenuta nel 1703; fra l'altro, gli sarebbe toccato in sorte di assistere il piccolo Johann Sebastian nei suoi primi passi a contatto con la musica. Ma quell'assistenza fu determinata dal caso, o, se si vuole, da un atto di
raccomandazione che si riveló ben presto decisivo per i futuri destini della famiglia. Successe, infatti, che il cugino Johann Ambrosius [28], il padre di Johann Sebastian, avesse bisogno d'un solido appoggio per proseguire la propria carriera su basi piá convenienti. 188
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Ma fermiamoci un istante ad osservare più da vicino il quadro della famiglia cui apparteneva Johann Ambrosius. Il padre, Christoph
[18] (Wechmar, 19 aprile 1613 - Arnstadt, 12 settembre 1661), di cui abbiamo già detto, si era sposato, intorno al 1640-1641, con Maria
Magdalena Grabler (Prettin, 18 ottobre 1614 - Arnstadt, 6 ottobre 1661). Dal matrimonio nacquero i seguenti figli:
1. Georg Christoph [26] (Erfurt, 6 settembre 1642 - Schweinfurt, 24 aprile
1697).
2. Johann Christoph [27] (Erfurt, 22 febbraio 1645 - Arnstadt, 28 agosto
1693).
3. Johann Ambrosius
[28] (Erfurt, 22 febbraio 1645 - Eisenach, 20 gen-
naio 1695).
4. Johann Jacob (Erfurt, batt. 25 settembre 1647 - Erfurt, sep. 16 aprile
1653).
5. Barbara Maria (Erfurt, batt. 2 maggio 1651 - Erfurt, sep. 25 maggio 1651).
6. Dorothee Maria (Erfurt, batt. 20 aprile 1652 - Eisenach, 6 febbraio 1679), mentecatta.
A. Georg Christoph, probabilmente, tocca la palma del primato, nel consesso dei fratelli musicisti. Non & certo l'unica sua superstite composizione — la cantata Siehe, wie fein und lieblich sul Salmo 133 — che puó darci la misura precisa del suo talento e della sua personalità; ma quella pagina, concepita in un momento che si puó ragionevolmente intendere del massimo
sviluppo musicale, testimonia quanto
meno il legame che teneva avvinti e sempre affratellati in un'unica dimensione famigliare i vari rivi del clan bachiano. Procedendo ordinatamente, diremo che Georg Christoph, dopo le prime esperienze musicali consumate nell'ambiente di Arnstadt, dove il padre aveva preso stabile dimora nel 1654, si era trasferito — era il 1661 — ad Heinrichs, un modesto sobborgo di Suhl, per esercitarvi la professione di istitutore supplente (Schuldiener) nella locale scuola, con funzioni che negli ultimi tempi lo portarono a coprire il posto di Kantor. E proprio come Kantor egli avrebbe poi trovato una definitiva sistemazione: dapprima, nel 1668, in quel di Themar, ancora in Turingia e
non lontano da Meiningen, presso la Chiesa di S. Bartolomeo e nella Scuola di latino (la Schola Themarensis) annessa a quel tempio; ed infine, a partire dal 1684 e per il resto dei suoi giorni, a Schweinfurt. In quest'ultima località, di ben più significativa rilevanza geografica ed economica, situata nella selva di Franconia, Georg Christoph diede vita ad un'ennesima ramificazione della famiglia, che qui fu illustrata a dovere dal primo dei suoi figli, Johann Valentin [38] (dieci furono 189
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i nati dal suo matrimonio con una certa J. Pretzel di Themar), e dal | figlio di quest'ultimo, Johann Elias [60]. Georg Christoph, a quanto pare, seppe coltivare anche l'ars poetica e che egli non fosse né musicista né persona di comunissimo contegno,
ma sapesse talvolta prender l'aere, & dimostrato da quella cantata di cui si diceva prima, garbata musica di circostanza scritta per onorare, il 6 settembre 1689, la visita che gli fecero i due fratelli nati da parto gemellare. La composizione ci & giunta ornata d'una iscrizione in latino sufficientemente saporosa: Trigae Fratrum Germanorum Bachiorum
nempe Concordia
florens
firma
^N
VA
suavis
E Psalmo CXXXIII demonstrata et musicè exornata 2 Tenor: et Violinó
Bassó.
3 Violdigamb: continuó
à fratrum natu maximo \
Giorgio Christophoro Bachio. Svvinfurt. Cant: Anno M.DC.LXXXIX.d.6.Septembris, cum illó ipsó die Dei gratid implevisset annos 47.
e con una copertina dipinta ad acquarello che sottolinea umoristicamente la simpatica riunione di famiglia, una delle tante che — come vedremo — i Bach erano soliti organizzare, chiamando a raccolta gli
sparsi membri della loro gens. Johann Christoph [27], il fratello gemello di Ambrosius, è uno dei tanti Bach di quel nome: tra quelli che esercitarono l’arte musicale ne conosciamo una decina, di diverso valore ed importanza, press'a poco compresi nello spazio d’un secolo. Il lettore avrà già fatto fatica e altra dovrà ancora sopportarne, per orientarsi in quel labirinto di omonimie, di ossessive iterazioni onomastiche; ma, al di lì del fatto
anagrafico in sé vistoso (ma non stupefacente, ché rispondeva ad una esigenza sociale del tempo), al di là della consuetudine e della tradizione inveterata, sorretta da una cosciente interpretazione dello spirito religioso che nella morte scorge solo trapasso e non soluzione, quel medesimo lettore troverà la stabilità e la continuità, la Státigkeit e la 190
vp
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Ständigkeit, l'essere permanente in una parola, che fa di quella famiglia e del suo protagonista un momento unico della storia. A detta di Carl Philipp Emanuel Bach, che chiosò la gencalogia stesa da suo padre, quello di Johann Christoph e di Johann Ambrosius era forse l’unico caso di parto gemellare verificatosi nella lunga storia della famiglia; ma ciò che Carl Philipp subito annota ci lascia quasi esterrefatti: Essi si amavano in misura somma. Erano cosí simili l'uno all’altro che le stesse loro mogli non riuscivano a riconoscerli. Costituivano motivo di stupore per tutti coloro i quali, fossero nobili o gente comune, li vedessero. Modo d'esprimersi, animo, tutto era identico. E anche nella musica non vi erano differenze: suonavano in maniera uguale ed interpretavano in identico modo. Se l'uno s'ammalava, l’altro non era da meno. distanza l'uno dall'altro.
Morirono a breve
Su questa straordinaria simbiosi, su questo rispecchiarsi reciproco
di gesto e di pensiero, di condizione sentimentale e di stato patologico, psicanalisti e psicologi dei nostri giorni avrebbero ampia materia di discussione e teorizzazione; l'esame retrospettivo dei due sosia e del loro comportamento potrebbe rivelarsi interessante anche ai fini d'una
indagine conoscitiva del processo logico della loro attività e creatività. Disgraziatamente, la gioia di altre scoperte ci & negata, per mancanza
di documenti e di altre testimonianze; le uniche superstiti sono quelle di un nipote che non conobbe mai il nonno e giacciono in una torre che non consente né visioni né viaggi delle memorie. In breve, qualche notizia su questo Johann Christoph [27]. Dalla nativa Erfurt, nel 1654 seguí ad Arnstadt il padre Christoph [18], chiamato all’impiego di Hof-und Stadtmusikus. Tragico epilogo ebbe la giovinezza sua e del fratello Ambrosius [28]: dopo lunga malattia, il padre cedette le armi nel settembre 1661; tre settimane dopo era la volta della madre. La troppo giovane età non consentiva ai due fratelli una sufficiente autonomia, quell'autonomia che invece il fratello
maggiore, Georg Christoph [26], come si & visto, aveva conquistato in quello stesso anno guadagnandosi un posto d'insegnante ad Heinrichs. Del resto, il padre — il quale pochi mesi prima di morire aveva cercato di migliorare la propria posizione, sollecitando un nuovo impiego a Naumburg —
non aveva lasciato mezzi di sostentamento sufficienti,
tanto che i gemelli si videro costretti, dopo aver subíto sí gravi lutti, ad indirizzare una petizione al conte Ludwig Günther di SchwarzburgArnstadt, alle cui dipendenze appunto era stato il padre, chiedendo il pagamento dello stipendio relativo all'intero trimestre in corso 191
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(quello che allora si chiamava il quartale). La richiesta fu caritatevolmente accolta, ma serví unicamente per prender tempo in attesa di poter concordare una qualche sistemazione ad Erfurt, presso lo zio Johann [17], che dal 1635 serviva come Stadtmusikus in quel centro. Il trasferimento ad Erfurt fu reso più pesante dal dover provvedere anche ad una sorella, la piccola Dorothee Maria, menomata nella mente e nel corpo, che per lunghi anni fu poi a carico e sotto l'assistenza di Johann Ambrosius; anche quello era un cruccio, un ele-
mento di grave preoccupazione che si aggiungeva ai mali dell'epoca, alle scarse risorse, alla sempre latente carenza di previdenze per il futuro. Gli storici musicali non ricordano che, in quegli anni, Erfurt, una
delle grandi capitali dell'umanesimo germanico, viveva la sua passione di dolore e di morte. Città luterana sin dal primo mattino e inquadrata nei possedimenti che le convenzioni politiche avevano posto sotto la protezione degli elettori di Sassonia da antica data (il 1483),
Erfurt nel 1664 fu cinta d'assedio dalle truppe dell'arcivescovo Johann Philipp di Magonza — uno degli otto grandi elettori dell'impero — il quale su di essa voleva imporre il proprio dominio, temporale e spirituale, e certamente piü il primo del secondo. Spalleggiato dalle forze messe in campo dalla lega renana e da una Francia compiacente e sempre pronta a lottare per l'affermazione del cattolicesimo anche sopraffacendo volontà e inclinazione delle popolazioni che si dichiaravano protestanti, l'arcivescovo bellicoso e prevaricante riuscí nel suo intento: Erfurt cedette le armi dopo un mese di assedio. Chiusi fra le mura della città, i Bach vissero quella dura esperienza in condizioni che non sapremmo descrivere, ma che certamente ricalcavano quelle di tutti i derelitti assediati; l'avvenimento, semmai, esaltó la precarietà
e povertà della loro condizione. Nel 1666-1667, finalmente, tanto Johann Christoph quanto Johann Ambrosius, dopo alcun tempo di stentata attività musicale, ebbero
la nomina a membri del complesso dei musicisti della città di Erfurt: la nomina di Johann Christoph decorre dal 21 dicembre 1666, quella di Johann Ambrosius dal 12 aprile 1667. Quest'ultimo era chiamato
a quel posto in sostituzione del cugino Johann Christian [22], il figlio di Johann [17] Bach e di Hedwig Lämmerhirt, che il giorno prima era stato promosso alla carica di direttore del complesso degli Stadtmusikanten, dopo aver fatto parte (dal 1666) di quell'organismo. Nel 1671 la separazione dei gemelli: Johann Ambrosius va ad occupare la piazza di Eisenach, mentre Johann Christoph riguadagna i luoghi d'origine, la diletta Arnstadt in cui piá tardi Johann Sebastian avrebbe dato le prove prime del suo talento. Dal 17 febbraio 1671 al 7 gennaio 1681 Johann Christoph presta servizio, prevalentemente 192
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come violinista, presso il conte Ludwig Günther di SchwarzburgArnstadt, con l'obbligo anche di provvedere al servizio della chiesa il cui livello musicale il conte intendeva migliorare. Deceduto il conte, il successore Anton Günther II nel 1682 allarga le mansioni di Johann Christoph, chiamandolo tanto al servizio di corte quanto a quello municipale; e in tali qualifiche il musicista si produrrà sino alla morte. Numerosi
episodi, fra cronaca e aneddoto, costellano la vita di
Johann Christoph che i documenti ci hanno illuminato con piá generosa attenzione; ma non è questo il luogo per rievocarli, volendo in qualche modo resistere alla tentazione di convogliare tutto quanto si conosce dei Bach nel suo vertice assoluto. Il quadro sarà sufficientemente completo ricordando che Johann Christoph il 29 aprile 1679 sposò a Ohrdruf Martha Elisabetha Eisentraut e che ne ebbe sei figli: di questi, naturalmente, una ragionevole porzione — i sopravvissuti agli eccidi della mortalità infantile — furono musicisti: Johann Ernst [40] e un altro, immancabile, Johann Christoph [41].
12. La vita musicale di Eisenach e Johann Ambrosius. BIBLIOGRAFIA
Hugo LÄMMERHIRT, Bachs Mutter und ihre Sippe, in BJ XXII (1925), pp. 101137; Fritz ROLLBERG, Johann Ambrosius Bach. Stadtpfeifer zu Eisenach von 16711695, in BJ XXIV (1927), pp. 133-152; In., Von der Eisenacher Stadtpfeifern, in « Zeitschrift für Thüringische Geschichte und Altertumskunde », Neue Folge, Band 30, Jena 1933; In., Die Geschichte der Eisenacher Kantoren, Aus Luthers lieber Stadt Eisenach, Eisenach 1936; Hermann HeLmBoLp, Bilder aus Eisenachs Vergangenheit, vol. II, Eisenach 1928 (contiene: Georg Dresser, Verzeichnis einiger Sachen, so von 1648 bis 1673 geschehen in Eisenach); Conrad Freyse, Das Porträt Ambrosius Bach, in BJ XLVI (1959), pp. 149-155; Fritz WrEGAND, Die mütterlichen Verwandten J. S. Bachs in Erfurt. Ergänzungen und Berichtigungen zur Bachforschung, in BJ LIII (1967), pp. 5-20.
E veniamo a Johann Ambrosius [28], il padre di Johann Sebastian. La sua vita per ventisei anni corre assolutamente parallela, senza il minimo scarto, a fianco di quella del fratello gemello. Del 12 aprile 1667, si & detto, & la sua nomina a musicista municipale di Erfurt, in
qualità di Altgeiger (violista, diremmo noi), lui che negli strumenti ad arco da braccio s'era formato alla scuola del padre; ma se il fratello prediligeva il violino, a lui pareva pit congeniale la viola. — L’incarico non dovette risultare molto soddisfacente per il giovane strumentista, specie dopo che questi ebbe contratto matrimonio 193
e
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messo al mondo i primi figli. La vicina Eisenach, con la sua corte ducale e con
la presenza
di musicisti
rinomati,
offriva ben altre
prospettive; si aggiunga che colà operava, con piena soddisfazione di tutti e con autorevolezza, il cugino Johann Christoph [29] e si comprenderà allora per quale motivo Johann Ambrosius volgesse lo sguardo ad Eisenach. Sta di fatto che, col non trascurabile appoggio di Johann Christoph, egli riuscí ad ottenere il posto di Hausmann, vale a dire di musicista della città in servizio presso il palazzo municipale (il Rathaus), subentrando a Christoffel Schmidt, appena defunto. L'intrecciarsi di rapporti fra i vari membri della famiglia Bach e fra coloro i quali entrarono in contatto con loro non conosce tregua: la successione fra Christoffel Schmidt e Johann Ambrosius fu anche favorita dal fatto che la primogenita dello Schmidt, Anna Margaretha, aveva
sposato,
nel 1665
in Eisenach, Johann
Christian
Bach
[22],
quel medesimo di cui Ambrosius aveva preso il posto a Erfurt: e, per rincarare la dose, diremo che, a sua volta, una sorella (terzogenita) di Anna Margaretha Schmidt, Susanne, andó sposa a Johann Aegidius
Bach [23], il fratello del sopracitato Johann Christian *. Superata la prova il 12 ottobre 1671, Johann Ambrosius prese subito possesso del nuovo incarico. Il contratto gli assegnava una duplice mansione: la prima consisteva nel provvedere due volte al giorno (alle 10 del mattino e alle 5 del pomeriggio) all'esecuzione di corali dall'alto della torre del palazzo municipale; per l'occasione, egli disponeva di quattro giovani suonatori di tromba. La seconda mansione gli faceva obbligo di porsi alle dipendenze del Kantor per l'esecuzione di musiche strumentali e vocali prima e dopo il sermone in tutte le domeniche e festività liturgiche. Va da sé che i suoi compiti non dovessero limitarsi a questi soli: battesimi, matrimoni, funerali, festività civiche, celebrazioni di corporazioni artigiane, ricevimenti di autorità, e via dicendo, dovevano impegnarlo ugualmente, consen-
tendogli quelle integrazioni allo stipendio — le Accidentien — che certamente egli non disdegnava *, ma anzi sollecitava. La vita musicale di Eisenach in quegli anni era dominata, dunque, da Johann Christoph e da Johann Ambrosius, rispettivamente zio e padre di Johann Sebastian; figli di fratelli (repetita juvant: l’uno aveva per padre Heinrich [19], l’altro era nato da Christoph [18]), i due musicisti coprivano buona parte del fabbisogno musicale di Eisenach: l'uno provvedeva al servizio liturgico, l'altro a quello municipale. Restavano scoperti il servizio di corte e quello di Kantor presso la Scuola di latino annessa alla Georgenkirche; quest’ultimo ufficio, che era stato coperto prima da Theodor Schuchard (dal 1643 al 1671), fu appannaggio negli anni dal 1670 al 1690 di Andreas Schmidt e, successivamente (1690-1706), di Andreas Christian Dedekind. Sotto la 194
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reggenza del duca Johann Georg I di Sassonia-Marksuhl, la musica incominció ad acquistare maggiore rilievo: il corpo musicale dapprima costituito soltanto da oboi, trombe e timpani subí un'evoluzione nel senso dettato dalle nuove esigenze di emulazione che a poco a poco trasformava in vere e proprie «cappelle» gli indistinti organismi musicali di corte. Determinante in questo senso fu la presenza contemporanea di due rappresentative personalità della scuola di Norimberga: Johann Pachelbel e Daniel Eberlin. Pachelbel era giunto ad Eisenach nella primavera del 1677, dopo quattro anni di soggiorno viennese durante i quali egli aveva perfezionato la propria formazione artistica a contatto con Johann Kaspar Ferdinand Kerll. Il 4 maggio di quell'anno Pachelbel ebbe la nomina ad organista di corte, mantenendo l'incarico, tuttavia, per un solo anno
(sino al 18 maggio 1678), per
assumere analoghe funzioni alla Predigerkirche di Erfurt, in sostituzione di Johann Effler. Quell'anno di permanenza ad Eisenach, tuttavia,
dovette dare ottimi frutti e gettare nuova luce sulla situazione musicale della cittadina, che per la prima volta fu posta in condizione di conoscere le esperienze musicali d'una città estremamente viva quale era appunto Vienna. Pachelbel portava con sé la lezione di Froberger e di Kerll (e, per loro tramite, quelle di Frescobaldi e di Carissimi), di Ebner e di Poglietti: una lezione, dunque, internazionale, che avrebbe
fornito piü tardi al piccolo Johann Sebastian l'humus vitale, la prima autentica intuizione di ció che significhi l'espressione « scuola ». In quel tempo, un altro cittadino di Norimberga suscitava interessi nel mondo musicale, e non solo in quello, di Eisenach: Daniel Eberlin,
figura di musicista e personalità sociale quanto mai curiosa, segretario di corte e direttore della musica a corte in svariate riprese. Dopo essere stato in gioventü capitano delle truppe pontificie nella guerra contro i turchi e, terminato il servizio militare, divenuto bibliotecario
nella sua città natale, Eberlin era venuto per breve tempo ad Eisenach una prima volta nel 1667-68, assunto dal duca non solo come musicista, ma anche come direttore della locale zecca. Attivo a Roma fra il luglio 1668 e la Pasqua 1671, fece ritorno a Marksuhl (1671-72),
quindi ad Eisenach (1672-73), come Musicant. Analogo incarico ebbe a Norimberga (1673-77), dove fu anche insegnante. Fu nuovamente ad Eisenach nel 1677-78, al tempo quindi della permanenza di Pachelbel, in qualità di Musicus e di Cammer-Secretär del duca. Rientrato a Kassel, Eberlin venne per la quarta volta ad Eisenach nel 1685; infine, nel
1690, il nuovo duca Johann Georg II gli affidó l'amministrazione
monetaria del suo territorio; ma una ispezione ordinata nel 1692
portò alla scoperta di grossi ammanchi. Lo scandalo non ebbe forse conseguenze giuridiche; Eberlin, tuttavia, fu costretto ad allontanarsi definitivamente da Eisenach: si rifugió ad Amburgo, ove esercitó per 195
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qualche tempo la professione, poi si trasferi a Kassel (1705), dove probabilmente la morte lo colse in data imprecisata, ma comunque fra il dicembre 1713 e il 5 luglio 1715. Anche Eberlin, alla pari di Pachelbel, doveva aver lasciato una certa impronta nella vita musicale di Eisenach. Telemann,
che ne
sposò (nel 1709) la secondogenita Amalie Louise, di lui lasciò scritto: «Er war, die Musik betreffend, ein gelehrter Contrapunctist und starcker Geiger», un sapiente contrappuntista e un capace violinista. Eberlin, certamente,
aveva
avuto
stretti
rapporti
con
Johann
Christoph
Bach [29], nonostante il fatto che questi non avesse incarichi nella cappella ducale. Una delle composizioni superstiti di Johann Christoph, le 15 Variazioni per cembalo sulla sarabanda pro dormiente Camillo di Eberlin !°, si configura come una specie di omaggio fatto dall'organista al musicista di corte. Johann Sebastian conobbe sicuramente la composizione dello zio e la utilizzó, anzi, come modello in alcune delle sue prime opere.
Ovviamente, anche Johann Ambrosius [28] fu in rapporto con Eberlin, in virtá soprattutto delle connessioni che potevano esistere fra il suo ufficio di Hausmann
e la musica di corte, l'una e l'altra
istituzione mirando in piü circostanze a soddisfare esigenze di carattere comunitario e sociale. Johann Ambrosius — lo abbiamo visto — era giunto ad Eisenach nell'ottobre del 1671. Il ventiseienne musicista vi si era installato con la famiglia: la moglie e un figlio; ma nella sua abitazione trovarono ricetto anche la sorella e la suocera. La povera Dorothee Maria, creatura demente e deforme, visse in quella casa sino
al momento della morte, giunta a liberare il fratello da quel triste fardello il 6 febbraio 1679. Conosciamo il testo del sermone che il pastore Valentin Schrón disse ai funerali della giovine: La nostra sorella ora con il Signore era semplice come un bambino e non sapeva distinguere la destra dalla sinistra. Ma i suoi fratelli sono uomini intelligenti e capaci, rispettati, ascoltati nelle nostre chiese e nelle nostre scuole, stimati da tutte le comunità; uomini in cui si esalta l'opera del Signore.
L'attestato di stima nei confronti dei tre fratelli commuove: quan-
tunque operanti in luoghi diversi (Themar, Arnstadt e Eisenach), essi erano
comune
conosciuti
in ogni borgo della Turingia,
ed il buon
senso
coglieva nelle loro azioni il segno d'un comportamento
privilegiato, degno d'una casta, d'una schiatta che sapeva coltivare
l'arte secondo regole particolari e gelosamente custodite in famiglia col talento di chi discende da una razza non contaminata. 196
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Anche la suocera era venuta a pesare sulle spalle di Ambrosius; ma la sua permanenza ad Eisenach fu di breve durata: raggiunta la figlia alcuni mesi dopo l'acquisizione dell'ufficio da parte di Ambrosius, ella si spense nel 1673 (sep. il 2 novembre). Eva Barbara Limmerhirt — tale il nome della donna — era rimasta vedova di Valentin Limmerhirt (nato forse a Guhrau nel 1585 e morto a Erfurt, sep. 19 novembre 1665), uomo di distinto rango sociale, pellicciaio, dal 1648
appartenente al nobile consesso dei consiglieri municipali di Erfurt e padre di quella Hedwig che nel 1637 era andata sposa, in seconde nozze, a Johann Bach [17], il capostipite dei Bach del «ramo di Erfurt». Un altro Valentin Lämmerhirt (Erfurt, c. 1608-09 - sep. 19 luglio 1665) figlio — anticipiamo — di quello sopra citato, sarà destinato ad incrociare la strada della musica; la figlia Martha Dorothea genererà Johann Gottfried Walther, l'organista ed erudito compositore e studioso che vedremo per diversi anni agire a fianco del cugino Johann Sebastian. Ambrosius aveva conosciuto colei che sarebbe diventata la sua prima moglie, Maria Elisabetha Lämmerhirt, in casa dello zio Johann. Le nozze furono celebrate ad Erfurt 1'8 aprile 1668, dodici mesi dopo l'assunzione di Ambrosius al posto di musicista municipale di Erfurt. Lievemente più anziana di Ambrosius (era nata il 24 febbraio 1644 e, dunque, un anno esatto la divideva dall’età dello sposo), Maria Elisabetha diede al mondo il primo figlio, Johann Rudolf, nel 1670,
morto pochi mesi dopo. Quando Ambrosius si trasferirà ad Eisenach, un altro figlio era già subentrato alla sfortunata prima creatura: si chiamerà, costui, in omaggio ai vincoli famigliari pit prossimi, Johann Christoph [42]. Nato ad Erfurt il 16 giugno 1671 (e perciò al tempo del trasferimento ad Eisenach questi contava solo quattro mesi di vita), Johann Christoph superò la terribile barriera del primo anno, entro il quale la morte allora, spietatamente, seminava le maggiori
vittime. Johann Sebastian gli sarà debitore di molte cose. Già abbiamo detto delle mansioni che Johann Ambrosius esplicava ad Fisenach
e della resa economica
del suo lavoro, modestamente
retribuito (esattamente 40 gulden, 4 groschen e 8 pfennig all'anno, più l’alloggiamento gratuito per i primi tre anni) e perciò in sé bisognoso di integrazioni: le Accidentien, fortunatamente, non erano risparmiate ad un musicista del suo rango e delle sue capacità. E, tuttavia, egli si era reso conto immediatamente di doversi industriare in qualche altro lavoro per poter sopravvivere. A distanza di pochi mesi dal suo insediamento in Eisenach, Ambrosius rivolgeva una petizione al duca Johann Georg I, che aveva appena preso possesso della nuova dimora, per ottenere l'autorizzazione a produrre birra, con l'esonero — almeno per un certo quantitativo — dalla relativa imposta di fabbricazione, 197
pe
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ad imitazione di quanto era stato concesso al suo predecessore, Christoffel Schmidt. Il privilegio fu accordato, soprattutto in grazia del parere favorevole espresso dal Consiglio municipale, fortemente impressionato dal talento musicale di Ambrosius e dalla sua profonda fede religiosa. Che ad ogni costo si volessero rendere confortevoli le condizioni di vita al nuovo Hausmann & confermato da un altro curioso privilegio a lui accordato poco tempo dopo. Era consuetudine che durante i periodi di lutto cittadino, decretati in seguito alla morte di qualche membro della casa regnante, fosse vietata l'esecuzione di musiche strumentali nel corso delle celebrazioni di matrimoni: lausterità luterana imponeva che in quelle circostanze ci si limitasse alle musiche previste dal culto, i canti dei corali o l'esecuzione di mottetti e cantate.
La disposizione restrittiva danneggiava in modo grave chi faceva assegnamento su quelle cerimonie per arrotondare le proprie entrate. Il Consiglio municipale fu dell’avviso che il musicista della città, l'Hausmann, dovesse essere indennizzato della perdita, e pertanto si
deliberò di accordargli un fiorino per ogni cerimonia matrimoniale
in cui egli non avesse potuto prestare la propria opera per effetto del divieto imposto dal lutto cittadino. Di analogo privilegio — si deve sottolineare — aveva goduto anche il predecessore di Johann Ambrosius, ma è interessante notare che al padre di Johann Sebastian la concessione fu riservata chiamando in causa non la funzione, ma il merito artistico, la sua evidente compe-
tenza musicale, senza troppo attendere per far maturare la decisione. La concessione d'un privilegio, infatti, era normalmente subordinata alla decorrenza di certi termini: al nuovo arrivato non era né lecito né opportuno offrire situazioni troppo favorevoli, a meno che, appunto, la cosa non si rendesse necessaria per trattenere un abile professionista. Ed era questo il caso di Ambrosius, al quale, pertanto, tutto fu concesso, e subito. Del resto, il musicista aveva avuto modo di mettersi in luce total-
mente nel corso della prima solenne cerimonia cui egli aveva preso parte: l'ingresso ufficiale in Eisenach del duca Johann Georg I e della sua consorte, la Pasqua del 1672. Un cronista dell’epoca, certo Georg Dressel, ha lasciato una breve memoria dell'avvenimento, che aveva
visto impegnati i musicisti allora attivi ad Eisenach, primi fra tutti il Kantor Andreas Schmidt e Johann Christoph Bach: [...] il nuovo Hausmann fece risuonare gli organi, i violini, i cantori, le trombe e i timpani come nessun Kantor o Hausmann aveva mai fatto da quando Eisenach esiste.
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A partire dal 1677 un'altra incombenza ufficiale si aggiunse a quella che già lo vedeva impegnato nel servizio pubblico municipale: il duca Johann Georg I lo chiamó a far parte della piccola orchestra di corte, il cui organico, tuttavia, ci è noto soltanto a partire dal 1692: in quell’anno, il piccolo complesso strumentale era costituito da otto suonatori di tromba, due timpanisti e un liutista, tutti alle dipendenze
di Ambrosius; ad essi si aggiungeva saltuariamente l'organista della Georgenkirche, Johann Christoph Bach [29]. L'onorario annuale di Ambrosius era fissato in 19 gulden e 9 pfennig, ma a quello si sommavano donativi di vario genere per prestazioni « fuori ordinanza ». Se si considera, infine, che altri impegni conducevano talvolta Ambrosius in altri centri della Turingia, si potrà agevolmente constatare che le sue condizioni
di vita non
erano
detestabili e che, nel quadro
vastissimo dei Bach impegnati sul fronte musicale, Johann Ambrosius poteva essere considerato,
a buon diritto, un privilegiato, un artista
che aveva fatto carriera e che nella professione aveva trovato completa soddisfazione. E quanto orgoglio vi fosse in lui per l'aver dato vita a figli presto avviati sulla strada della musica & facile immaginarlo: le tradizioni di famiglia non erano smentite e il sentimento del futuro era salvaguardato dalla consapevolezza che non vi sarebbero state defezioni, che la vocazione famigliare avrebbe trovato musicae parati le sue creature.
13. Gli anni di Johann Sebastian ad Eisenach. BIBLIOGRAFIA
Ludwig WNwiGER, Ein Schulbild aus der Zeit nach dem Dreissigjährigen Kriege. Das Gymnasium zu Eisenach von 1656-1707, in « Mitteilungen der Gesellschaft für deutsche Erziehungs-und Schulgeschichte» XV (Berlin 1905), pp. 7-22;
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Georgen-Orgel in Eisenach, in « Zeitschrift für evangelische Kirchenmusik » IV e V (Hildburghausen 1926 e 1927); Fritz RorrsERG, Wo stand J. S. Bachs Geburtshaus?, in « Eisenacher Zeitung » 10.X.1929; Hermann HzrMBorp, Die Söhne von Johann Christoph und Johann Ambrosius auf der Eisenacher Schule, in BJ XXVII (1930), pp. 49-55; Heinrich Alexander WINKLER, Die Bachstätte in Eisenach; der Streit um J. S. Bachs Geburtshaus, Verlag Thüringer Monatshefte, Flarchheim 1931; Conrad Frevse, Eisenacher Dokumente um Sebastian Bach. Im Auftrage der Neuen Bachgesellschaft, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1933; Fritz ROLLBERG, Adjuvantenchóre in Westthüringen, in « Beiträge zur Thüringischen Kirchengeschichte » Band 3, Jena 1933-35; Conrad Freyse, Das Bach-Haus in Eisenach. Ein Bericht, in BJ XXXVI (1939), pp. 66-80; In., Das Bach-Haus in Eisenach, 199
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in BJ XXXVII (1940-48), pp. 152-160; Fritz RorıBerc, Aus Heimat und Elternhaus J. S. Bachs, in J. S. Bach in Thüringen. Festgabe zum Gedenkjahr 1950, Thüringer Volksverlag, Weimar 1950, pp. 11-18; Hermann HELMBOLD, Junge Bache auf dem Eisenacher Gymnasium, ibid., pp. 19-24; Conrad FreysE, Wieviel Geschwister hatte J. S. Bach?, in BJ XLII (1955), pp. 103-107; Ip., Die Ohrdru-
fer Bache in der Silhouette: J. S. Bachs ältester Bruder Johann Christoph und seine Nachkommen, Erich Röth Verlag, Eisenach-Kassel 1957; Ip., Fünfzig Jahre Bachhaus, in BJ XLIV (1957), pp. 168-191; Günther Krart, Bach in Eisenach. Auf dem Wegstätten des jungen Sebastian, Wartburg Verlag Max Kessler, Jena 1967 (disegni di Erich Bock); Ilse Domziare, Bach-Haus, Eisenach 1971; In., Rekonstruktion und Neugestaltung des Bachhauses Eisenach, in BJ LX (1974), pp. 126130.
Guardiamo, dunque, a quel quadro famigliare che riceve la necessaria giustificazione storica dall’ultimo nato. Il quadro esprime i seguenti dati: dal matrimonio di Johann Ambrosius [28] e di Maria Elisabetha Lämmerhirt nacquero: 1. Johann Rudolf (Erfurt, batt. 19 gennaio 1670 - sep. 17 luglio 1670) 2. Johann Christoph [42] (Erfurt, 16 giugno 1671 - Ohrdruf, sep. 22 febbraio 1721)
3. Johann Balthasar [43] (Eisenach, batt. 6 marzo 1673 - ivi, sep. 5 aprile 1691)
4. Johann Jonas (Eisenach, batt. 5 febbraio 1675 - ivi, sep. 22 maggio 1685) 5. Maria Salome (Eisenach, batt. 29 maggio 1677 - Erfurt, sep. 27 dicembre 1728) 6. Johanna Juditha (Eisenach, batt. 28 gennaio 1680 - ivi, sep. 3 maggio 1686)
7. Johann Jacob [44] (Eisenach, batt. 11 febbraio 1682 - Stoccolma, 16 aprile
1722)
8. Johann Sebastian [45] (Eisenach, 21 marzo 1685 - Lipsia, 28 luglio 1750).
Qualche breve notizia sui fratelli che precedettero Johann Sebastian sull'avvincente sentiero della professione musicale. Johann Christoph [42] fu il primo a consolare il padre di tanta fortuna, a rinsaldargli profondi vincoli di fede, a confermarlo nel dogma della predestinazione, a dargli infine testimonianza di provetta capacità. Dopo gli studi compiuti alla Scuola di latino di Eisenach, fra il 1681 e il 1685, egli imboccó la strada che portava ad Erfurt, forse indirizzatovi dall'omonimo zio, che probabilmente gli aveva già dato contezza di poter aspirare alla carriera d'organista. A Erfurt, come si sa, i Bach non mancavano; ma quale era la plaga della T uringia, 200
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ci chiediamo noi, dove i Bach non avessero preso piede? Ovunque, ciascun membro di quella famiglia — della cui unione e compattezza le prove sono infinite e memorabili — poteva contare sull'appoggio,
la comprensione, la raccomandazione di qualche parente, prossimo o
lontano che fosse: un nobile marchio di razza distingueva quel popolo, un rigoglioso legame di sangue cingeva, come il collare d'un presti-
gioso ordine cavalleresco, quei magnifici custodi d'una tradizione che
non si voleva abbandonare e che pertanto imponeva di trovare rimedi ad ogni situazione, soluzione ad ogni equivoco, sacra dedizione ad
ogni causa della famiglia. Erfurt, come molti altri luoghi della Germania, usciva dall'atroce esperienza dell'ennesima peste, ma questa volta il «gran contagio»
Vi era stato portato dai turchi, lanciatisi lungo le pianure e sui colli dell'impero sino a raggiungere e cingere d'assedio Vienna. Nel 1682-83 la peste aveva decimato la popolazione di Erfurt (9.400 furono le vittime), colpendo implacabilmente anche la famiglia Bach: due figli di Johann Bach [17], Johann Christian [22] — che abbiamo visto precedere Ambrosius nel posto di Stadtmusiker — e Johann Nikolaus [25], membro dal 1673 di quel consesso di musicisti municipali ed eccellente suonatore di viola da gamba, erano morti nel luglio di
quell'anno. Il flagello continuerà la sua mostruosa corsa sino a tutto il 1683; fra le vittime, figureranno — ottobre 1683 — anche la moglie e il figlio di Johann Pachelbel. Questi, dopo i dodici mesi trascorsi alla corte di Eisenach, dal maggio 1678 esercitava le funzioni di organista
nella Predigerkirche di Erfurt. E alla sua scuola, appunto, che il fratello maggiore di Johann Sebastian accorse, memore dei legami di amicizia che univano
i Bach all'autore dei Musikalische Sterben-Gedancken,
i
«lamenti funebri» che Pachelbel aveva intonato sull’organo per compiangere la distruzione della propria famiglia. Il compositore .norimberghese non aveva perso i contatti con Johann Ambrosius: questi, nel 1680, lo aveva chiamato a tenere a battesimo l’ultima nata,
Johanna Juditha, poi precocemente scomparsa. Alla scuola di Pachelbel, Johann Christoph si formò sino al 1689; l’anno prima, comunque, il giovane apprendista aveva già ottenuto il suo primo impiego: il posto di organista nella locale Thomaskirche.
Passato ad Arnstadt nel 1689, qui si trattenne un anno esercitando le
funzioni di organista sostituto, a copertura della vacanza lasciata dal vecchio e ormai cieco Heinrich Bach [19] nella Oberkirche e nella Liebfrauenkirche. Ohrdruf, come
Infine, nel 1690,
il trasferimento
organista della Stadtkirche
definitivo
ad
(dedicata a S. Michele),
dove Johann Christoph sarà attivo sino alla morte. L'acquisizione del posto ad Ohrdruf non era certamente casuale: nella cittadina i Bach erano presenti almeno dal 1472 e di Ohrdruf era la moglie dello zio 201
Gli anni giovanili (1685-1708)
Johann Christoph [29], l'organista principe di Eisenach. Nell'ospitale | casa del fratello, Johann Sebastian troverà protezione fra il 1695 e il 1700, l'anno in cui, fra l'altro Johann Christoph assunse anche il ruolo di maestro nella scuola di Ohrdruf. Un'ultima notizia: & del 23 ottobre 1694 il matrimonio di Johann Christoph con Johanna Dorothea Vonhof (morta a Ohrdruf il 12 marzo 1745); le nozze saranno allietate — come si dice — da nove figli, cinque dei quali, manco a farlo apposta,
saranno attivi come musicisti.
Il secondo dei fratelli di Johann Sebastian per tempo avviato alla conoscenza e frequentazione della musica & Johann Balthasar [43]; il destino, tuttavia, gli fu troppo presto avverso: dopo gli studi compiuti alla Scuola di latino di Eisenach, fra il 1681 e il 1688, ottenne un posto,
come suonatore di tromba, nella cappella della corte di Kóthen, ma aveva appena compiuto il diciottesimo anno di età, quando la morte lo sottraeva (ad Eisenach) ai parenti, privando noi posteri d'una possibile convergenza critica delle sue capacità di strumentista con l'opera che piá tardi Johann Sebastian avrebbe realizzato al servizio di quella corte. Piá fortunata, invece, fu la sorte di Johann Jacob [44], di tre anni piü anziano del magistrale protagonista. Dopo gli studi protocollari ala Scuola di latino di Eisenach (1690-1695), alla morte del padre prese dimora, come Johann Sebastian, presso il fratello maggiore a Ohrdruf, ma dopo un anno di permanenza in quella casa, riguadagnava
Eisenach per avviarsi alla carriera di Stadtmusiker alle dipendenze del nuovo Hausmann, Johann Heinrich Halle. Dal 1704 (o 1706?) Johann Jacob fu al servizio di Carlo XII di Svezia, come oboista della guardia
d'onore, seguendolo ovunque: ad Altranstidt (nei pressi di Lipsia) dove il 24 settembre 1706 il sovrano firmó il trattato che prescriveva la rinuncia al trono di Polonia da parte di Augusto di Sassonia; nella campagna di Russia (1707-1709), culminata nella battaglia di Poltava che vide la pesante sconfitta delle truppe di Carlo XII da parte dell’esercito di Pietro il Grande; a Bender, in Bessarabia, dove il re
svedese trovò scampo presso il sultano turco; a Costantinopoli, dove Johann Jacob strinse amicizia e studió con Pierre-Gabriel Buffardin, il celebre flautista francese che nel 1713-14 fu appunto attivo in quella capitale al seguito del legato di Francia; a Stoccolma, infine, dove sammogliö (il 31 maggio 1715) una prima volta con Susanna Maria Gaast (dal matrimonio nacque una figlia, Maria Anna, battezzata il 2 luglio 1718 e morta prima del 1722). Rimasto vedovo, Johann Jacob contrasse seconde nozze (il 15 ottobre 1721) con Ingeborg Magdalena Norell, vedova Swahn; ma la morte lo colse appena sei mesi dopo. Negli ultimi anni, specie dopo la misteriosa morte di Carlo XII, esercitó la professione di strumentista (forse flautista?) irregolarmente, 202
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Gli anni giovanili (1685-1708)
e fu pensionato anzi tempo. E in occasione della sua partenza da Eisenach nel 1704 che Johann Sebastian compose quel Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo che non & soltanto un'aneddotica testimonianza di affetto, ma anche il primo monumento dell'arte musicale del maggior frutto dei Bach. Un'appendice, infine. Delle due sorelle di Johann Sebastian, una sola superò la fase critica dell'infanzia. Maria Salome trovò marito a Erfurt (la data delle nozze è: 24 gennaio 1700) nella persona del pellicciaio Johann Andreas Wiegand (poi defunto a Erfurt il 4 marzo 1737). Su Maria Salome e su Johann Jacob avremo occasione di ritornare trattando delle vicende biografiche di Johann Sebastian in i quel di Kóthen. Fra la nascita di Johann Jacob [44], e quella di Johann Sebastian si colloca, 1684, un avvenimento importante nello svolgersi del curriculum artistico di Johann Ambrosius. Si è visto che la peste di Erfurt aveva spazzato via i fratelli Johann Christian [22] e Johann Nicolaus Bach [25], entrambi esponenti del complesso degli Stadtmusiker. Un terzo fratello, Johann Aegidius [23], era subentrato, nella direzione degli strumentisti municipali,
a Johann Christian, della cui moglie —
tanto per non
smentire la ferace tentazione di rinforzare a doppio nodo i legami famigliari — egli aveva sposato la sorella. Un posto, comunque, restava
vacante in quella compagnia e le autorità municipali di Erfurt avevano pensato che quello potesse essere coperto da Johann Ambrosius, al quale pertanto essi rivolsero l'invito a rientrare nella città in cui egli aveva mosso i primi passi della sua professione musicale. La nuova
destinazione, presumibilmente, non doveva dispiacere a Maria Elisabetha, la sposa di Ambrosius, la quale contava ad Erfurt, sua città
natale, parenti e conoscenti in gran numero. Non era semplice, tuttavia, accettare il nuovo incarico; occorreva,
prima di tutto, richiedere ed ottenere l’autorizzazione liberatoria delle
autorità di Eisenach. La petizione loro rivolta da Johann Ambrosius il 2 aprile dell'84 poneva sotto gli occhi dei patres conscripti una serie di excusationes della cui bontà, forse, neppure il diretto interessato era realmente
convinto.
A giudicare da quel testo,
si direbbe
che la
situazione in cui s'era venuto a trovare Ambrosius fosse legittimamente insostenibile o, quanto meno,
difficile. Moglie e sei figli a carico;
tre assistenti e tre aiutanti il cui salario per le normali funzioni musicali era di sua diretta competenza; diminuito introito per effetto della minore solennità con la quale si celebravano i matrimoni in conseguenza di reiterati periodi di pubblico lutto; illegittima concorrenza degli strumentisti cosiddetti «della birra» (Bierfiedler, letteralmente « violinisti della birra »), vale à dire di quei musicisti-menestrelli, senza
fisso impiego i quali si spostavano da un centro all'altro a richiesta, 203
Gli anni giovanili (1685-1708)
accontentandosi di paghe più scadenti e le cui prestazioni erano per legge vietate, il diritto di suonare ai matrimoni essendo riservato ai soli Stadtmusiker; la riduzione di salario decretata inspiegabilmente dal
duca Johann Georg I per il servizio da lui prestato nel complesso strumentale di corte; la pochezza del suo stesso stipendio municipale. Erano queste, indubbiamente, ragioni plausibili, che avrebbero indotto
chiunque a cercare un nuovo posto di lavoro, pur nella difficoltà del momento
storico.
La domanda di Ambrosius tendente ad ottenere licenza da Eisenach per adire la via di Erfurt rimase senza risposta e non migliore esito ottenne una successiva missiva, del 21 aprile, nella quale Ambrosius calcava la mano sul comportamento scorretto dei Bierfiedler. La
risposta questa volta ci fu, ma irrimediabilmente negativa: il Consiglio municipale, con gentilezza e fermezza ad un tempo, gli rifiutava il
permesso, sottolineando come non vi fosse motivo per liberarsi di lui, che con tanta soddisfazione di tutti, duca compreso, esercitava la professione.
Se Johann Ambrosius si fosse trovato veramente
in situazione
precaria e necessitante d'una soluzione radicale, non fosse altro che per migliorare lo statu quo, non si sarebbe arreso al primo fallito tentativo
e non avrebbe interpretato in senso perentorio il cortese rifiuto del Consiglio di Eisenach, rifiuto che era facilmente giustificabile da parte di chi si dichiarava soddisfatto di quella prestazione e non aveva interesse a cercare un altro Hausmann, col rischio di trovare una persona
meno
dotata. Invece, Johann Ambrosius
archiviò la proposta di
Erfurt e non insistette oltre. Tutto sommato, evidentemente, Eisenach
consentiva un ménage tranquillo, sufficiente a soddisfare le esigenze famigliari. La città gli era grata per la sua opera. Il duca stesso — quello nuovo, Johann Georg II — assumendo il potere nel 1686 lo avrebbe reintegrato nello stipendio, che da quella data ritornò a decorrere completo, secondo quanto era stato stabilito nei patti iniziali del 1677. Scartata, dunque, l’idea d’un trasferimento a Erfurt — città senza dubbio alcuno attraente e allettante, ma allora in fase di decadenza se è vero che dai 60.000 abitanti che essa contava a metà del Seicento,
si era ridotta sul finire del secolo, dopo il passaggio della rovinosa pestilenza,
a poco pit di 15.000 — Johann Ambrosius
si senti più
che mai saldamente trapiantato in Eisenach, anche se egli avvertiva che ben difficilmente nella città un tempo cara a Lutero si sarebbe potuto eguagliare il primato raggiunto a Erfurt, dove i Bach avevano
eretto l'inespugnabile fortezza, il caposaldo della loro attività musicale. Già allora, e poi ancora in seguito lungo buona parte del Settecento,
il nome dei Bach era impiegato per designare, sic et simpliciter, i membri dell'orchestra municipale (non stupisca l'uso d'un termine cosí 204
Gli anni giovanili (1685-1708)
altisonante per indicare una sparuta compagnia musicale, ma ogni epoca
attribuisce dimensioni diverse a concetti che noi poi ci applichiamo a livellare). Tanto poteva la forza della consuetudine, il rispetto per un costume civico fattosi ereditario, sino ad identificare nei Bach una
corporazione, un mestiere, una funzione (ma su questo argomento
cfr. p. 186).
Eisenach, dunque, rimase a rappresentare, insieme ad altri centri
(principalmente Arnstadt e Meiningen, e piá il primo del secondo),
l’alternativa bachiana a Erfurt; e, del resto, si consideri con il rispetto
dovuto a quell'invincibile aspetto della storia che & la cronologia, il fatto che i Bach, in quanto musicisti, furono ininterrottamente attivi
ad Eisenach dal 1665 al 1797. La geografia di Eisenach, quantunque scompaginata dalle ferite dell'ultima guerra, prende per la gola il viandante che osi percorrerla in cerca di sensazioni, memorie, docu-
menti. E l'emozione si fa piá intensa di fronte a quattro edifici — le stazioni degli affetti — anche se il percorso turistico ci conduce continuamente a visitare altri luoghi un tempo frequentati da Johann Sebastian, a sfiorare muri, a: osservare scorci di vie, insegne, piante,
monumenti, abitazioni che qualcuno ben piá grande di noi aveva già sfiorato e osservato quasi tre secoli or sono. La casa natale, la Chiesa di S. Giorgio, il Palazzo ducale, la Scuola di latino annessa
al chiostro dei Domenicani (Predigerkloster) sono i quattro punti cardinali di quello spazio geografico sacro alla storia musicale. Ma altri punti di riferimento intervengono a rendere pit struggente il percorso ideale: il Rathaus, dove Johann Ambrosius esercitava la sua arte, in osservanza dei regolamenti municipali; le cinque torri che cingevano
la ben fortificata Eisenach, contornata da alte mura lungo le quali Johann Sebastian avrà imparato a coltivare la storia come il sentimento del presente; la casa di Johann Christoph [29], lo zio che per primo mostró al precoce talento di Johann Sebastian i segreti della secolare arte organistica e a intendere la musica come servizio divino; la casa
abitata dal giovane Lutero, prima di affrontare gli studi teologici a Erfurt.
Come molte città tedesche, prevalentemente costruite in legno, Eisenach fu preda di disastrosi incendi nel corso dei secoli. Qualificata come « città del langravio » in un documento redatto intorno al 1186,
Eisenach aveva conosciuto le prime distruzioni, a quanto ne sappiamo, nell'incendio del 1342, l'anno della peste. Risollevatasi, la città aveva subíto nuove violenze nel 1525, all'epoca della guerra dei contadini:
a quel tempo cacciati monaci e suore, 1 conventi erano stati bruciati
e le tre chiese principali devastate. Ma la piá furiosa delle distruzioni si era avuta con l'incendio scatenatosi, per l'imprudenza di un soldato,
il 12 novembre 1636: due terzi della città, circa 500 case, erano andate 205
Gli anni giovanili (1685-1708)
distrutte. La qual cosa non aveva impedito un rapido ricupero della struttura urbana: nel 1707, sappiamo, le case erano 800 e la popolazione ammontava a circa diecimila unità.
Centro della città era ed & il Markt, il mercato sul quale si affacciano i due principali edifici del vecchio borgo: la Georgenkirche e il Residenzschlos. La Georgenkirche era stata fondata nel 1188, un secolo dopo l'erezione della Wartburg, dal langravio Ludwig III (1172-1190). Questi era il fratello maggiore di Hermann I (1190-1217), il langravio sotto la cui signoria si svolse la più celebre delle contese dei Minnesánger. In quella chiesa, subito intitolata al patrono di Eisenach, S. Giorgio, si celebrarono nel 1221 le nozze fra Elisabetta
d'Ungheria e Ludwig IV. Edificata in stile romanico e in progresso di tempo ornata di 24 altari, poi modificata all'inizio del XVI secolo secondo le direttive dello stile tardo-gotico, la chiesa subí le gravi conseguenze della guerra dei contadini tanto da non risultare piá ‘ agibile al culto; ma fra il 1554 e il 1560 si provvide al riassetto dell’edificio che fu subito riaperto al servizio liturgico, ora secondo la nuova dottrina luterana. Restauri più o meno massicci subi la chiesa negli anni 1676, 1717, 1898-1902 (quando fu eretta la torre campanaria, alta 62 metri, secondo modelli neo-barocchi italiani, e
aggiunto un atrio d'ingresso) e nel 1939 (in quest'ultima data fu collocato nell’atrio un monumento
a Bach, il «5° evangelista », opera
del berlinese Paul Birr). I tragici bombardamenti del novembre 1944 colpirono duramente anche la chiesa, poi riaperta al culto nel 1947. Fra le opere d’arte che il piccolo Bach ammirò nella chiesa si devono citare il gruppo ligneo della crocifissione all'altare (c. 1500), il fonte battesimale (1503), la cancellata (1676) e una serie di monumenti sepolcrali a ricordo, ad esempio, dei duchi Johann Ernst I (| 1618),
Adolph Wilhelm (T 1668) e Johann Georg I (| 1686), o del vescovo Nikolaus von Amsdorf (T 1565) uno dei collaboratori di Lutero, o del monaco francescano Johann Hilten mosso da profetiche istanze, condannato all'isolamento perpetuo nel 1496. Bach non vide invece nella sua Georgenkirche le lapidi funerarie dei langravi e loro mogli che sono state ivi trasferite nel 1952 dal chiostro di Reinhardsbrunn. Di fronte all'ingresso della chiesa, infine, sta una fontana ottagonale, raffigurante il santo, opera di Hans Leonhard (1549): ma occorre dire che sino al 1938 essa stava al centro della piazza e fu poi collocata dove ora si trova prendendo il posto del monumento a Bach (qui sistemato nel 1884) trasferito sul Frauenplan. Il Residenzschloss che si erge sul lato nord-ovest del Mercato e che oggi è sede del Thüringer Museum è l’ultimo, in ordine di tempo, dei tre castelli o palazzi in cui presero dimora prima i langravi, poi .i duchi di Eisenach. All'inizio del Trecento Friedrich der Freidige 206
Gli anni giovanili (1685-1708)
aveva fatto costruire, sul lato sud della piazza, lo Steinhof. Poi, nel XVI secolo, il primo reggente del ducato, Johann Ernst (1572-1618), aveva fatto erigere un nuovo palazzo, sul luogo dove si trova ora i| Residenzschloss: quest'ultimo, incorporante talune parti della precedente costruzione, è opera di Gottfried Heinrich Krone ed è stato realizzato fra il 1742 e.il 1747 per volontà del duca Ernst August di Sassonia- Weimar, col quale — come si vedrà a tempo debito — Bach ebbe rapporto. Di quest'ultima residenza basterà ricordare che in essa nacque (il Natale del 1742) Charlotte von Stein, la grande amata di Goethe, figlia di un funzionario di quella corte, e che in essa
ancora Goethe concepí l'Urfaust. Non spenderö altre parole sugli edifici minori del vecchio borgo per cedere il passo, invece, all'argomento centrale: la nascita di Johann
Sebastian. Al suo arrivo ad Eisenach nel 1671, Johann Ambrosius aveva preso dimora in una casa sul Frauenplan. La «spianata» prendeva nome dall'antico duomo, la « Kirche zu unserer lieben Frauen »
consacrata a Maria e appartenente all'Ordine Teutonico dei Cavalieri. Affiancata da due possenti torri, che gli abitanti del borgo abbatterono
nel 1306-07, la chiesa fu distrutta durante la guerra dei contadini (1525), ma solo nel 1692-97 si provvide alla costruzione di una nuova chiesa, la Kreuzkirche, opera di Johann Mützel (1647-1717). L'abitazione scelta da Johann Ambrosius per lungo tempo fu creduta quella in cui aveva visto la luce Johann Sebastian ". Nel 1674, invece, Johann
Ambrosius si era trasferito in una casa della Fleischgasse (ora Luthergasse 5); qui aveva alloggiato una vedova, Maria Salome Petri, che in quel 1674 contrasse nuove nozze con Caspar Limmerhirt (cognato di Ambrosius). Maria Salome tenne a battesimo nel 1677 la prima figlia di Ambrosius, alla quale furono imposti i medesimi nomi della madrina.
Claruit semper urbs nostra musica. Tale appariva Eisenach, nella luce della storia, al Paullinus, ed era solo i| 1698: Johann Sebastian contava tredici anni e albergava a Ohrdruf. Il vento della profezia pareva aver già scosso i| diligente cronista, ignaro ancora della maggior gloria del suo paese. L'atto di battesimo (BD II, 1) di Johann Sebastian è registrato fra le carte della Georgenkirche, ma il foglio che lo custodisce è marmo scolpito. Del formale ingresso nel mondo della cristianità luterana fu ministro il pastore Johann Christoph
Zerbst,
addi 23 marzo
1685, al fonte battesimale
che
reca la data del 1503: Lunae, den 23. Martij - getaufft. Herrn Johann Ambrosio Baachen, Haussman ein Sohn, G.[evetter] Sebastian Nagel, Haussman zu Gotha, vnd Johann Georg Kochen, Fürstlicher Forstbedienter alhier. NF. Joh. Sebastian. 207
Gli anni giovanili (1685-1708)
La data di nascita — & Bach stesso a dircelo nella genealogia famigliare — era il 21 marzo (che in quell'anno cadde di sabato). In realtà, quella data non era adeguata al calendario solare: la Germania adottó il calendario riformato gregoriano con grave ritardo, solamente nel 1701. A conti fatti, l'effettiva data di nascita dovrebbe essere spostata i al 31 marzo.
Dunque, al piccolo fu imposto, accanto al nome di Johann che stava già divenendo tradizionale nella famiglia Bach, quello del padrino. Sebastian Nagel esercitava in quel di Gotha (onorata dalla presenza dei Bach sin dall’inizio del Seicento) quella medesima professione che Johann Ambrosius coltivava ad Eisenach. La morte lo coglierà poco meno di tre anni dopo, il 21 dicembre 1687. Quanto al Koch, qualificato come una specie di guardia forestale della locale corte, le uniche notizie sul suo conto sono le seguenti: dal 1674 esercitava quell'impiego a corte; nel 1682 Maria Elisabetha — la madre di Johann Sebastian — aveva tenuto a battesimo una sua figlia; morirà
ad Eisenach il 4 giugno 1685. La presenza del Koch, tuttavia, suggerisce un aggancio con un'istituzione — la «Schützengilde» (Società di caccia), che ad Eisenach era fiorente sin dal XIII secolo e alla quale appartenevano i notabili della città: forse Johann Ambrosius era membro di quell'associazione, la quale aveva eletto in San Sebastiano il proprio protettore. Tirando le somme, il duplice nome di Johann Sebastian fu ricavato per il primo verso dal nome del padrino Koch e dalla tradizione famigliare già favorevolmente espressasi nei confronti dell'evangelista dell’Apocalisse, e per il secondo verso prendendo a prestito il nome del padrino Nagel e quello del santo patrono della Schiitzengilde. Gli anni della prima infanzia restano senza traccia. Nella casa che si affacciava sulla Fleischgasse, le giornate dovevano trascorrere nella letizia della fede e nella serenità della musica, appena turbate da repentine visite della morte: quel süsser Tod, la dolce morte, che con la sua severa voce maschile non disgiunta da apparenze delicate sí da renderla tenera agli occhi della pietà luterana non incrinava le strutture della famiglia e non provocava traumi drammatici. Attraverso quelle esperienze, che già preludevano alla chiamata trascendentale del suo fuoco interiore, Johann Sebastian passò indenne, forse rassegnato ma non senza dolore, numerose,
troppe volte nel corso
della sua esistenza. E se egli non aveva ancora coscienza quando vennero a mancare il fratellino Johann Jonas (morto all’età di dieci anni) e la sorellina Johanna Juditha (spentasi a sei anni), calice certamente
amaro
dovette
accettare
quando,
Balthasar [43], il trombettiere di Kóthen.
208
nel 1691,
mori Johann
mo contemporanco Johann Ambrosius Bach [28]. Dipinto di anoni k). iothe (Berlino, Deutsche Staatsbibl
Gli anni giovanili (1685-1708)
Per trovare un documento che, dopo quello di battesimo, ci riproponga il nome di Johann Sebastian, occorre rifarsi alle carte scolastiche — (BD II, 2). La Scuola di latino fu quella cui il piccolo fu destinato. Era tradizione di famiglia, segno distintivo d'una piá consapevole ‘ affermazione di cultura, che i giovani rampolli fossero iscritti alla Lateinschule, anziché alle Deutsche Schulen (di quest’ultimo tipo Eisenach ne contava, allora, otto) adatte alla sola istruzione elementare.
Il desiderio di evolversi, di acquistare cognizioni più ampie e mentalità più aperta, d’introdursi nel mondo circoscritto dell’umanesimo lette-
rario e scientifico, aveva la meglio sugli studi pratici, che avviavano ad un mestiere, non ad una professione. Fra il 1671 e il 1703 — gli anni compresi fra l’arrivo del padre Johann Ambrosius ad Eisenach e la morte dello zio Johann Christoph — sono parecchi i nomi dei Bach che frequentarono quella scuola, già resa famosa un tempo, quand’essa era ancora legata alla parrocchia di S. Giorgio, dalla presenza d’uno studente d’eccezione, Martino Lutero
(1497-1501),
e poi, a partire dal 1544,
trasferita presso
i
Domenicani, i quali sin dal 1232 vi avevano fondato un convento. La scuola sulla Predigerplatz (dietro la Chiesa di S. Giorgio) acquisterà maggiore dignità nel 1707, allorché sarà promossa a Gymnasium; ma,
nel frattempo, essa aveva già espresso quanto di meglio era esprimibile in fatto d'importanza storica. Escludendo di proposito il nome di Jacob Bach [32], figlio di Wendel [20] del «ramo di Meiningen », che nella Scuola di latino di
Eisenach studiò nel 1669-1670, il quadro si presenta in questo modo (a fianco sono indicati gli anni di frequenza): figli di Johann Ambrosius [28]
figli di Johann Christoph [29]
1. Johann Christoph [42] 1681-1685
1. Johann Nikolaus [46] 1678-1689
2. Johann Balthasar [43] 1681-1688
2. Johann Christoph [47] 1684-1693
3. Johann Jonas
3. Johann Friedrich [48] 1692-1703
4. Johann Jacob [44]
?-1685 1690-1695
5. Johann Sebastian [45] 1693-1695
4. Johann Michael
[49]
1692-1703
E
Un altro Johann Christoph [35] (figlio di Johann Christian [22] di Erfurt), che sarà poi Kantor a Nieder-Zimmern, a Erfurt e a Gehren,
fu allievo di quella scuola nel 1683-1684. E ancora: fra gli allievi della. Scuola di latino figura, per gli anni 1690-1694, un Johann Nikolaus Bach che per qualche tempo fu creduto un fratello di Johann Sebastian, 210
Gli anni giovanili (1685-1708)
ma di cui non s'è mai trovata traccia nei locali registri di battesimo; e, del resto, la genealogia originale parla chiaramente di otto e non di nove figli avuti da Johann Ambrosius. Negli anni in cui la scuola fu frequentata da Johann Sebastian, almeno altri tre membri di quella « corporazione » famigliare vi furono
iscritti. Le classi previste erano sei, a partire dalla Sesta per giungere alla Prima, ciascuna delle quali poteva durare più anni, in media due,
addirittura quattro nella Prima, con la conclusione della quale si giungeva praticamente alle soglie dell'Università.
A conti fatti, l'intero
corso durava non meno di tredici-quattordici anni e gli allievi potevano contare
un'età variante dai 7 ai 24 anni.
;
La Sesta Classe costituiva una specie di scuola preparatoria, nel corso della quale s'impartiva l'insegnamento elementare. Johann Sebastian entró in Quinta nel 1693, all'età di 8 anni, e passó in Quarta nel 1695. Le ore perdute per le assenze sono cosí indicate nei registri: 96 nel 1693, 59 nel 1694, 103 nel 1695 (l'anno della morte del padre
e del trasferimento a Ohrdruf). Il numero degli allievi nelle classi frequentate da Bach & di 90 per ciascuno dei due anni di Quinta e di
64 per l'anno di Quarta. . Conosciamo gli orari della scuola che scandivano la giornata del piccolo Johann Sebastian. Al mattino, in estate dalle 6 alle 9 e nei mesi dell'autunno, dell’inverno e della primavera dalle 7 alle 10; al pomeriggio, sempre dalle 1 alle 3. Nei pomeriggi del giovedí e del sabato non si faceva scuola, mentre nelle mattinate delle domeniche
s'impartiva l'insegnamento della religione e si presenziava alle funzioni liturgiche. Lo scompiglio morale che le conseguenze del lungo conflitto avevano provocato nelle superstiti popolazioni (e che si trattasse di superstiti lo indicava il fatto che, ad esempio, la popolazione della Turingia s'era ridotta del 50%), si ripercuoteva ancora sulla gioventá che s'avviava a chiudere il secolo. Non era semplice, a quanto pare, mantenere la disciplina in quella popolazione scolastica (formata da 250 a 400 scolari): furto, stato di ubriachezza, disobbedienza, comportamento insolente e altezzoso, malacreanza erano all'ordine del giorno. ADS
Rettori della scuola in quegli anni furono Heinrich Borstelmann
e Christian Zeidler, coadiuvati, nella funzione di magister, da Rudolf Christian Hesselbarth, un «poeta laureatus caesareus» a quel tempo
abbastanza noto (ma le cui poesie sono oggi perdute), e in quella di cantor et scholae quartus (cioè d’insegnante nella Quarta Classe) da A Andreas Christian Dedekind. da dire quanto c' ento d’insegnam materie le concerne quanto Per i cui religione, la era base di materia la Classe Quinta Nella segue.
principii venivano inculcati attraverso lo studio del catechismo, letture 2H
m Gli anni giovanili (1685-1708)
e commenti dei salmi e di altre pagine dell'Antico e Nuovo Testamento, preghiere. Ma per la formazione dell’allievo (a parte altre materie « complementari » quali aritmetica e storia ) si faceva grande assegnamento sullo studio del latino, le cui regole grammaticali e morfologiche venivano studiate con l'ausilio d'un diffusissimo manuale,
il Latinitatis Vestibulum sive primi ad latinam linguam aditus (1662) di Jan Amos Komensky, il celebre Comenius (1592-1671), esponente di primissimo rango nella setta dei Fratelli Boemi e primo autentico rappresentante della pedagogia moderna. L'autore della Magna Didactica sosteneva, come & noto, il principio dell'insegnamento libero da costrizioni verbali e da nozionismo
fine a se stesso, per lasciar
ampio margine di manovra all'intuizione, utilizzando testi di studio ricchi di illustrazioni, condotti sulla proposta parallela di brani in tedesco e in latino, secondo una concezione razionale che dalle cose
piá elementari saliva alle piá complesse. L'ordine e la disciplina scolastica promossi da questo tipo di insegnamento erano specchio fedele d'una condotta spirituale che tutto regolava. Etica e dottrina procedavano di pari passo, in obbedienza ad una concezione giusnaturalistica della società. Non si dovrà sottovalutare il fatto che Bach attinse dall'educazione scolastica cui fu sottoposto quel particolare equilibrio di fronte ai casi del mondo raggiungendo senza sforzi apparenti la pienezza del proprio essere e, con l'arte, il grado supremo della saggezza. Il preponderante insegnamento della religione, corroborato dalle pratiche devozionali e dal sentimento col quale s'affrontava la giornata —
soli Deo gloria —,
trovava
un valido sostegno
nello studio del
latino, e più tardi, nelle classi superiori, nello studio del greco e dell'ebraico, le lingue dunque che la terminologia scolastica corrente qualificava come
ancillae theologiae. La lettura di opere morali e
filosofiche faceva il resto, completava quella preparazione alla vita
— la vita interiore — che nella Prima Classe veniva coronata con lo studio della logica e della rettorica. A tali gradi Bach non fece in tempo ad arrivare, durante gli anni trascorsi ad Eisenach; ma & già molto che egli abbia imparato a leggere e comprendere Virgilio, Terenzio, Cicerone, Plutarco, Cornelio Nepote, Esiodo, Teognide,
Isocrate, gli autori che la Lateinschule proponeva ad edificazione dell’intelletto e nutrimento dell'animus agendi. Non avrebbe gran senso insistere sulla formazione scolastica di Bach, affastellando dati che hanno valore oggettivo e che riguardano non il singolo ma una comunità di scolari, se non sapessimo che il
compiacimento per il particolare & un segno d'onore riservato ai grandi: quei dati noi li conosciamo — cosí come moltissimo sappiamo della vita e della storia di Eisenach — unicamente in virtá della 212
Gli anni giovanili (1685-1708)
grandezza del suo maggior cittadino. Il desiderio di tutto conoscere & figlio dell'opera d'arte; la ricerca, dopo decenni d'indagini negli archivi municipali e nei registri parrocchiali, ha finito col rendere pit chiara la visione dell'ambiente nel quale Bach si espresse. Il quale ambiente è quello d’una società fondata sull’ortodossia luterana, non turbata da deviazioni ideologiche o sentimentali, retta da strutture civiche ordinate e democratiche, governata dal buon senso, dalla
parsimonia e dal timor Dei. Che una simile società possa sembrare spenta e opaca a taluni, è cosa tutta da dimostrare: da quella sorti
qualcuno che fece grande il secolo in cui visse. Gli anni di iniziazione, noviziato e apprendistato di Johann Sebastian furono anche — come vedremo — anni di pellegrinaggio, di forzati spostamenti: le vicende famigliari non consentirono — e fu
un bene — una formazione omogenea ed unitaria, ma la preparazione
professionale non subi contraccolpi e non manifestò alcuna discontinuità. Se qualche sbandamento vi fu, questo fu solo e per breve tempo di natura psicologica, ma poi fu assorbito elegantemente dal
giovane musicista cui il senso dell'equilibrio non venne mai meno: serietà e saggezza sembrano tingere la stoffa di cui era rivestito il musicista
sin dall'infanzia;
anche in questo particolare aspetto egli
godeva d'una condizione privilegiata. Uno dei tanti interrogativi che popolano il mondo dell’esegesi bachiana riguarda il momento degli studi. A quale scuola si formò Bach? In famiglia, certamente; ma non solo in famiglia. L'aiuto del padre e dello zio Johann Christoph [29], e più di quest'ultimo che non del primo, fu sicuramente determinante, cosí come lo fu negli anni del soggiorno ad Ohrdruf quello del fratello maggiore, l'altro Johann Christoph [42] della nostra storia. Al di fuori di questo ambiente domestico, tuttavia, non & possibile cercare ed individuare con cogni-
zione di causa e con certezza un qualche maestro degno di questo nome; potenziali strumenti d'indottrinamento furono il Kantor Andreas
Christian Dedekind, forse Daniel Eberlin, i quali manovravano una materia musicale piá variata. Ció che il padre poteva insegnare al figlio non doveva avere grande rilevanza: cognizioni generali di
musica, principii elementari, una certa qual dimestichezza con gli strumenti ad arco che lui stesso suonava, il violino e la viola. Ma,
sotto il profilo della creazione, non diciamo artistica bensí pratica, Johann Ambrosius poteva offrire scarso materiale di osservazione:
pezzi — a quattro o cinque voci, come era nella consuetudine = appartenenti a quel genere della Turmmusik, destinata a strumenti a
fiato (cornetti, trombe e tromboni) illustrato in quegli anni da Pezel, da Reiche, da Stórl, da Theile con brani realizzati nello stile del corale,
della fanfara; del segnale, che più tardi si trasformeranno in sonate, 213
Gli anni giovanili (1685-1708)
cioè in organismi musicali un poco più elaborati. Quella pratica dell'abblasen (che cosí bene sottintende il concetto del dar fiato agli strumenti) resterà impressa, comunque, nella percezione musicale di Bach: la «musica delle torri» gli fornirà sovente un modello per intonare corali « rinforzati », per costruire musiche di glorificazione e di celebrazione solenne. Educazione e formazione musicale, grammatica e sintassi, tecnica
e morfologia, stile e idea furono insegnamenti che Johann Sebastian trasse soprattutto dal contatto con lo zio la cui importanza sul piano pedagogico noi siamo costretti a mitizzare per mancanza d'altri indizi: in questa fase istruttoria, in questo processo organizzato più intorno
ad intenzioni che a prove, siamo tutti portati a dare maggiore risalto alle azioni dello zio che non a quelle di qualsiasi altra persona dell’entourage bachiano. Ma è Bach stesso ad indirizzarci su questa strada, con l'affermare, nella genealogia, che lo zio « war ein profonder Componist », un'affermazione convalidata più tardi anche da Carl Philipp
Emanuel Bach: «Dies ist der grosse und ausdrückende Componist ». Attestati di questa. consistenza inducono alla riflessione: una vigile memoria aveva impedito che l'organista della Georgenkirche fosse confuso nella pleiade dei Bach; l’opera, a molti anni dalla scomparsa
dell’autore, viveva ancora, sia pure avvolta in ricordanze generiche e coperta dagli affetti famigliari. Il mestiere di compositore di chiesa e di organista Johann Christoph lo aveva svolto assai bene. Ce lo attestano numerose opere a cominciare da quella raccolta organistica intitolata Choraele | welche | bey währendem Gottes Dienst zum Präambulieren |gebraucht werden können |gesetzet | und | herausgegeben von Johann Christoph Bachen | Organ: in Eisenach, che Johann Sebastian certamente conobbe e che probabilmente non mancó d'influenzare anche il non ancora formato Pachelbel??. La raccolta comprende quarantaquattro composizioni di facile esecuzione, forse scritte o, comunque, radunate in un fascicolo organico intorno
al 1675 (quindi — e il particolare non è trascurabile — poco prima che Pachelbel prendesse servizio alla corte di Eisenach); in tali paginette Johann Christoph ha mirato intenzionalmente al raggiungimento d'uno scopo didattico, motivando implicitamente la semplicità della
scrittura con la necessità di raggiungere organisti scarsamente preparati,
musicisti di campagna privi di informazioni ed incapaci di dar vita ad una «regolare musica chiesastica ». Ponendosi su una strada cara alla tradizione germanica — come non pensare al Fundamentum organisandi che Conrad Paumann aveva elaborato trecento anni prima? — Johann Christoph non sapeva di fornire al nipotino il primo spunto per quell'apparato superbo di opere didascaliche in cui ars doctrina e scientia sono fuse in un solo corpo e forse un suggerimento per la 214
Gli anni giovanili (1685-1708)
creazione dell'Orgelbüchlein: invero, la vocazione didattica di Bach aveva profonde radici nella tradizione famigliare, poiché solo in questo modo si spiega l’ininterrotto flusso della musica dall'uno all'altro membro della comunità bachiana. Tutti i biografi di Bach immaginano che il piccolo Johann Sebastian, già affascinato dal suono dell'organo e a quello condotto dalla sua vocazione spirituale — il Gottesdienst come scopo primario del vivere civile — trascorresse alquanto tempo nel tirare le corde dei mantici, scoprendo in quell'esercizio la strada congeniale al suo temperamento ?*. Non sapeva o non comprendeva, il meschino — direbbe il favolista —,
che il mestiere di organista riservava sgradite sorprese, a cominciare ‘da quella calamitosa d'uno striminzito stipendio. Johann Christoph viveva secondo la condizione « miserabile» (è la parola impiegata in un documento) propria degli organisti di quel tempo. A distanza di sessanta e più anni erano ancora attuali le parole di Michael Praetorius: È riprovevole che agli organisti, anche a quelli impegnati in alcuni centri importanti, siano attribuiti (deputirt), per la loro opera artistica, solaria cosî scarsi che essi si possono ritenere miserabili e giungere al punto di maledire la propria nobile arte e di desiderare di condurre le mucche al pascolo o di apprendere qualche mestiere artigianale piuttosto che fare l'organista 14.
La vita di Johann Christoph — per quel che ne sappiamo — è intessuta di suppliche, lamentele, recriminazioni, petizioni che hanno
l’unico scopo di sollecitare pagamenti di onorari arretrati, di Accidentien, di anticipi. Il quadro che ne risulta è spesso quello d’una situazione drammatica, ma la realtà era forse diversa. Il Consiglio Municipale gli rimproverava di non saper amministrare le entrate che, in effetti, erano abbastanza consistenti, certo superiori non solo a quelle degli
altri musicisti, ma anche a quelle che mediamente venivano percepite dagli organisti di città e di corte. Risulta, ad esempio, che il solo
stipendio concesso
dal Comune
ammontava
a 116 fiorini annui
(Johann Ambrosius, si ricorderà, nella sua qualità di Hausmann riceveva
41 gulden); ma a tale emolumento si aggiungevano il « fisso » accordato dal duca per il servizio a corte (24 talleri all'anno; il tallero equivaleva ad un fiorino e 1/5) e le varie Accidentien. Forse il musicista, consapevole del proprio valore, aspirava ad un tenore di vita pit elevato e comodo, confortato dalla pubblica considerazione e dal
prestigio che gli poteva derivare proprio da un trattamento economico
privilegiato. i Se l’impressione che il piccolo Bach riceveva dalla diuturna frequentazione dello zio potesse risultare positiva o negativa, è fatto incon215
EP
Gli anni giovanili (1685-1708)
trollabile e, ai fini di questa storia, secondario. Erano il dominio della materia, l'aspirazione artistica o, piá concretamente, il desiderio. di
apprendere un mestiere — uno dei piá ambíti fra quelli che la professione musicale, e non solo quella, poteva offrire — che spingevano Johann Sebastian su quella strada che la tradizione di famiglia aveva
eletto a proprio destino. I miseri salari deprecati dal Praetorius costituivano una realtà inoppugnabile; ma in quella lamentatio si celava forse una componente di frustrazione: nobile era l'arte dell'organista e nobile avrebbe dovuto essere il trattamento che la società doveva riservargli. L'insegnamento e l'esperienza del padre e dello zio non erano i
soli stimoli che in campo musicale potevano raggiungere Johann Sebastian. Un terzo personaggio — a prescindere dalle meno documentabili azioni di Daniel Eberlin — era intervenuto a dar corpo e sostanza
alla sua educazione. Era costui il Kantor della Georgenschule, la Scuola di latino appunto, Andreas Christian Dedekind. Le notizie biografiche intorno a questo musicista — che porta un nome degnamente illustrato da altri nel campo della storia musicale, ma che non risulta con loro
legato da rapporti di parentela — sono ridotte al minimo !5. Per noi, tuttavia, & sufficiente sapere che il Dedekind nella sua qualità di Kantor provvedeva all'insegnamento e alla pratica musicale. Quest'ultima si estrinsecava essenzialmente nella duplice mansione attribuita al Schulchor. Il coro della scuola era distinto in Schulkurrende (riservato ai
principianti, impegnati solo nell’esecuzione dei corali) e in Chorus Symphoniacus al quale si accedeva solo dopo un'adeguata preparazione, tale da consentire l'esecuzione della Figuralitermusik, cioè della
musica polifonica, mottetti e cantate.
Quanto tempo assorbisse l’attività corale nell'economia delle giornate
scolastiche
non
lo sappiamo
esattamente;
ma,
certo, Johann
Sebastian vi fu impegnato più di molti altri compagni, a motivo della bellezza della sua voce sopranile e del talento musicale. E forse le troppe ore di lezione sottratte alle umane lettere erano impiegate nell’esercizio del musizieren. Indossando la tradizionale divisa del Kurrendeschüler — mantello nero o grigio, parrucca o codino, tricorno
o cilindro — Johann Sebastian partecipò assiduamente alle manifestazioni straordinarie o regolari cui era chiamato lo Schulchor: cantare inni innanzi alle case, ricavandone qualche ricompensa, certamente meglio remunerata nelle grandi occasioni del Natale e Capodanno, o intonando mottetti a matrimoni, funerali, manifestazioni varie in cui l'ornamento della musica era richiesto. Con altrettanta certezza si può affermare che a quel mestiere di pellegrino e itinerante musicale,
cosi ampiamente diffuso nei paesi tedeschi, Johann Sebastian fu avviato in gioventá: il Kurrendechor soleva esibirsi nelle borgate e nei centri 216
Gli anni giovanili (1685-1708)
non lontani da Eisenach, a scapito talvolta degli studi. Che quel girovagare potesse nuocere al progresso scolastico & probabilmente vero; preoccupato dell'andazzo, il rettore Borstelmann ad un certo momento aveva vietato agli scolari quella pratica che finiva con il depauperare la scuola a tutto vantaggio della casa e della chiesa. La qual cosa aveva mosso gli studenti ad indirizzare al Borstelmann (addi 18 gennaio 1693) una supplica nella quale convenientemente si ribadiva la funzione educatrice del far musica in quel modo: Te etiam atque etiam oramus, ut pro benignitate tua nobis concedas, ut in pagis quibusdam nobis canere liceat. Necessitas enim, ut hoc faciamus, nos monet, siquidem
animus nobis est aliquos parare libros. Il monito ha valore di sentenza ancor oggi.
14. Ohrdruf. BIBLIOGRAFIA
J. Chr. Runrorr, Geschichte des Lyceums zu Ohrdruf, Arnstadt 1845; Friedrich THomas, Der Stammbaum des Ohrdrufer Zweiges der Familie von J. S. Bach, Jahresbericht des Gräflich-Gleichenschen Gymnasiums, Progymnasiums und Realprogymnasiums, Ohrdruf 1899; In., Einige Ergebnisse über J. S. Bachs Ohrdrufer Schulzeit, aus der Matrikel des Lyceums geschöpft von F. Th., ibid., 1899-1900, pp. 3-13; P. WEBER, Ohrdruf, Ohrdruf 1916; E. Lux, Das Orgelwerk in St. Michaelis zu Ohrdruf zur Zeit des Aufenthalts J. S. Bachs daselbst (1695-1700), in BJ XXIII (1926), pp. 145-155; Auroni VARI, Festschrift zum Bachjahr 1950, herausgegeben vom Bach Ausschuss der Stadt Ohrdruf, Ohrdruf 1950; Alfred OERTEL, Erstveröffentlichung der Matrikel des Lyceum illustre Ordruviense, Ohrdruf 1950; Ferdinand ReinHoLp, Die Bache in Ohrdruf, in Bach in Thüringen. Gabe der Thüringer Kirche, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 1950, pp. 119-126; Julius BÖTTCHER, Geschichte Ohrdrufs, 2 voll., Ohrdruf 1955-1960; Conrad FrEysE, Die Ohrdrufer Bache in der Silhouette. J. S. Bachs ältester Bruder, Johann Christoph und seine Nachkommen, Erich Röth-Verlag, Eisenach-Kassel 1957.
Gli anni di Eisenach si chiudono nel segno della duplice tragedia
famigliare. Il 1° maggio 1694 muore Elisabetha, la madre. Ambrosius
era appena uscito, si può dire, dal lutto per la morte del figlio Johann
Balthasar [43] (1691), già attivo alla corte di Kóthen, e del fratello
gemello Johann Christoph [27] (1693). Dei quattro figli superstiti, due (Johann Christoph e Maria Salome) erano in grado di provvedere a se stessi: il primo [42] esercitava già l'arte di organista ad Ohrdruf; 217
Gli anni giovanili (1685-1708)
la seconda, giunta quasi alle soglie della maturità, era in età di matrimonio (e nel 1700, infatti, si sposerà, come abbiamo visto, ad Erfurt);
gli altri due figli (Johann Jacob e Johann Sebastian), invece, avevano ancora bisogno di qualcuno che facesse loro da madre. La soluzione
piá ovvia era quella, comunissima, di contrarre nuove nozze. E cosí fu: non erano ancora trascorsi sette mesi che, il 27 novembre di quello stesso anno, Johann Ambrosius si univa a Barbara Margaretha Keul,
reduce da due precedenti esperienze matrimoniali'**. Entrando nella nuova casa, Barbara Margaretha portava con sé la figlioletta di secondo letto, Christiana Maria, di nove anni.
La convivenza con Johann Ambrosius fu, per la sfortunata sposa,
di brevissima .durata;
a meno di tre mesi di distanza da quelle nuove
nozze il padre di Johann Sebastian si spegneva, dopo breve malattia: era il 20 febbraio del 1695. La situazione economica della famiglia di colpo si faceva disperata: preoccupata per le difficoltà che avrebbe incontrato nello sfamare tre ragazzini, la vedova tentava di risolvere il problema indirizzando al Consiglio municipale una petizione (la data & quella del 4 marzo) che il Dedekind, divenuto fraterno amico di Ambrosius, volentieri controfirmava (BD II, 3). La richiesta avanzata era quanto meno singolare, ma confortata da un precedente. Come la città di Arnstadt aveva concesso alla vedova del fratello di Ambrosius, Johann Christoph [27], quando questi era morto (1693), di esercitare le mansioni di Stadtmusiker per la durata di diciotto mesi e con l'aiuto di assistenti e apprendisti, cosí il Consiglio di Eisenach
avrebbe potuto favorirla chiamandola ad esercitare le funzioni di Hausmann. Il consesso municipale di Eisenach, tuttavia, fu di avviso diverso e non aderí alla richiesta: alla vedova fu versato quanto le era dovuto per le pendenze rimaste aperte con Ambrosius (esattamente 11 gulden, 12 groschen e 33/4 pfennig), alla cui successione, pertanto, fu chiamato un musicista di Góttingen, Johann Heinrich Halle. A questo punto era chiaro che Barbara Margaretha avrebbe potuto provvedere al sostentamento della sola figlia natale dal matrimonio col diacono Bartholomaei. Dei due figli minori di Johann Ambrosius avrebbe dovuto assumersene la cura qualcuno dei Bach. Non lo zio Johann Christoph [29], che aveva famiglia numerosa e lamentava di trovarsi in condizioni disagiate; ma il fratello maggiore Johann Christoph [42], l'allievo di Pachelbel a Erfurt, che dal 1690 si era stabilito a Ohrdruf, organista della Michaeliskirche, e vi aveva messo su famiglia. Il matrimonio con Johanna Dorothea Vonhof era stato celebrato nell'ottobre del '94. Un primo figlio era già in arrivo (questi vedrà la luce il 21 luglio del '95 e assumerà i nomi di Tobias Friedrich [61]), quando Johann Jacob [44] e Johann Sebastian raggiunsero l'abitazione del fratello maggiore (marzo 1695). 218
Gli anni giovanili (1685-1708)
Non lontana da Eisenach (una cinquantina di chilometri separano i due centri), Ohrdruf da oltre due secoli ospitava esponenti della famiglia Bach, ma è soltanto con Johann Christoph che aveva conosciuto il premuroso servizio musicale di cui essa era capace; di quel servizio la cittadina si valse sino al 1814, l'anno della morte di Johann
Christoph Georg [85], nipote del nostro Johann Christoph e per venticinque anni organista nella medesima chiesa in cui aveva esercitato il nonno. Del trapianto di Johann Christoph a Ohrdruf e dell'imponente fioritura che dal suo ceppo si originó & documento straordinario una raccolta di silhouettes conservata nel Bach-Museum diEisenach e sulla quale Conrad Freyse ha condotto un minuzioso studio. Un tempo la raccolta comprendeva dieci volumi: oggi, purtroppo, questo monumento eretto da un fortissimo amore per le memorie locali sfruttando l'onda di un gusto che dominó una intera epoca della storia, & dimezzato. Rimangono a testimoniare quel mondo scomparso i volumi numerati 1, 2, 3, 4 e 10 (quest'ultimo monco) ai quali il Freyse assegna
in progressione le date comprese fra il 1771 e il 1780, secondo un principio di regolarità che vide realizzato un volume per ciascun anno. Poiché ciascun volume, ad eccezione dell'ultimo, & composto
di 120 pagine e poiché in ogni pagina sono riportate due silhouettes, la raccolta doveva comprendere al momento in cui fu interrotta circa duemiladuecento ritratti. Fra quelli a noi pervenuti quarantatré riguardano membri della famiglia Bach nel suo ramo di Ohrdruf. Con il non cospicuo stipendio di cui godeva — si fa per dire — (45 gulden annui, piá tre misure di grano e un certo quantitativo di legna da ardere)", Johann Christoph doveva cercare di ridurre al minimo indispensabile la presenza dei due fratelli minori in casa propria. Quando nel '97 il primo dei suoi due « ospiti », Johann Jacob, raggiungerà il quindicesimo anno d'età — l'età dell'emancipazione — questi rientrerà ad Eisenach, per compiervi l'apprendistato musicale sotto la guida dello Halle, il successore del padre. Al compimento di quella medesima età, come vedremo, anche Johann Sebastian si staccher dal fratello, che le circostanze avevano trasformato in padre putativo.
er
Fu premura di Johann Christoph far sí che i due fratellini potessero proseguire gli studi iniziati ad Eisenach. Al momento in cui aveva abbandonato la Georgenschule, Johann Sebastian era stato ammesso da poco tempo nella Quarta Classe. Ad Ohrdruf il cursus si articolerà nel seguente modo: luglio 1696 ammissione in Terza; luglio del ’97
ammissione in Seconda; luglio 1699 ammissione in Prima. In pratica,
Bach raggiunse la Prima Classe con due anni dianticipo sull’età-base;
se parlare di precocità in questo caso & forse eccessivo, si deve ammettere 219
Gli anni giovanili (1685-1708)
tuttavia che disciplina e diligenza, volontà d'apprendimento e talento intellettuale permisero al giovane musicista di toccare il traguardo d'una solida preparazione culturale prima ed in misura superiore a quella dei contemporanei. Nella casalinga pace di Ohrdruf Bach predispose i quadri della strategia che egli avrebbe poi perseguito nel condurre la battaglia delle idee per e intorno alla musica. L'ordinamento scolastico del Lyceum di Ohrdruf aveva caratteristiche individuali proprie e tali, comunque, da rendere diversa l'istituzione dalla Lateinschule di Eisenach. Fondato nel 1560 dal conte Georg II di Gleichen, cui il territorio di Ohrdruf era sottoposto, il
Lyceum aveva conosciuto la riforma degli studi voluta dal duca Ernst di Sassonia-Gotha ?*, sensibile alle esortazioni del Comenius. Delegato
alla riforma degli studi nel territorio del ducato era stato il rettore del Gymnasium di Gotha, Andreas Reyther, cui si deve uno studio (pubblicato nel 1642) il cui titolo, nella traduzione italiana, suona nel seguente modo: « Rapporto speciale e particolare, stante a dimostrare come,
sotto la guida del Signore, i ragazzi e le ragazze dei villaggi, e delle classi più basse della popolazione potranno. essere educati semplicemente e con successo in questo Principato di Gotha». Dato per scontato il fitto e preponderante studio della religione e della teologia, si deve sottolineare la piá sottile natura «accademica» del Liceo di Ohrdruf, in breve
portatosi in posizione primeggiante rispetto ad analoghe scuole del territorio; prova ne sia il cospicuo numero
di allievi, oltre trecento
ai tempi in cui Bach vi fu iscritto, per una cittadina che contava meno della metà degli abitanti di Eisenach; ma si deve aggiungere che circa centocinquanta di quegli allievi provenivano da altri centri di Turingia e di Sassonia, e in alcuni casi anche da città abbastanza lontane, quali
Kassel e Jena. Il piano di studi non prevedeva l'insegnamento della storia (che vi fu introdotto soltanto nel 1716), né quello del francese (inserito solo nel 1740), già ampiamente programmato in molte delle scuole dei paesi tedeschi. Allo studio grammaticale del latino, insegnato sin dalle prime classi con il consueto Vestibulum del Comenius e con frequenti letture (le epistole di Cicerone e Cornelio Nepote in primo luogo), si aggiungevano exercitia styli, di prosodia e di dialogo che rendevano più appetibile la materia, e inoltre nozioni elementari di greco e letture dal Nuovo Testamento in greco, appunto. Rettorica,
aritmetica, geografia (e scienze naturali) completavano il panorama didattico che, da ultimo, riceveva una forte colorazione dalla intensa
educazione al canto e alla musica in genere. Rettore del Liceo era, al tempo di Bach, Johann Christoph Kiese-
wetter (Breitenbach, 15 marzo 1666 - Weimar, 27 maggio 1744); personalità di discreto rilievo, il Kiesewetter nel 1712 ottenne il posto di rettore
a Weimar e qui ebbe modo d’incontrarsi, coperto da ben 220
Gli anni giovanili (1685-1708)
altre vesti, col giovane che un tempo era stato alla sua scuola e al uale egli, come insegnante della Prima Classe, aveva impartito lezioni. Nelle aule dell'ex convento (tale era in origine il Liceo di Ohrdruf,
più volte funestato da incendi, fra cui gravissimo fu quello del 1655), altri insegnanti smaltivano il lavoro riservato alle classi inferiori.
In Quarta Bach ebbe per magister Johann Valentin Wagner, in Terza
Johann
Heinrich
Arnold,
in Seconda
infine il vice-rettore Johann
Jeremia Bóttiger. Sul conto del Wagner e del Bóttiger i documenti
non riservano annotazioni di rilievo; entrambi, è presumibile, svolsero
i propri compiti con quella fede e quella regolarità che discendevano
dal magistero teologico luterano. L'Arnold, invece, rimase famigera-
tamente noto negli annali di quella scuola, a petto tanto degli insegnanti
quanto
degli studenti,
per l'eccessiva
severità
(intollerabilis
disciplina è chiamata in una carta) con la quale egli trattava gli allievi; al punto che, in taluni casi, il rettore aveva dovuto ricorrere anzitempo
al trasferimento di studenti da una classe (la Terza) ad un’altra (la Seconda) per sottrarli alle vessazioni cui li sottoponeva l'Arnold. Nel 1697 — infine — questi fu allontanato dalla scuola; il documento
di «espulsione » colpisce l'Arnold con parole roventi, degne d'una
maledizione, d'un anatema: pestis scholae, scandalum ecclesiae et carcinoma civitatis. Era linvettiva che la moderazione cristiana riservava a chi infrangeva le regole del vivere civile. Ma l'Arnold ci interessa per
un altro motivo. Alla funzione di insegnante egli univa quella di Kantor e, dunque, a lui era demandata la « somministrazione » della musica, il cui studio, secondo i programmi del Liceo, copriva quattro ore (sulle trenta settimanali complessive) nella Quarta e Terza Classe e cinque in Seconda e in Prima. Ci sarebbe da restar stupiti, dovendo
parlare d'un musicista attivo in Turingia, qualora non si riscontrassero rapporti, anche solo superficiali, con la confraternita dei Bach. Il caso
dell’Arnold non ci smentisce: Kantor a Breitenbach (l'odierna Grossbreitenbach) prima di assumere il posto al Liceo di Ohrdruf, l'Arnold
il 12 ottobre 1682 aveva tenuto a battesimo una figlia di Johann Michael Bach [30], organista a Gehren. Quarta figlia, la piccola Maria Sophia
come la precedente sorella fu vittima della mortalità infantile; solo la quinta figlia, Maria Barbara, riuscí a proseguire nel faticoso cammino,
ma il padre, spentosi nel 1694, non ne avrebbe osservate le tracce;
tracce importanti per la nostra storia, aggiungeremo, poiché Maria Barbara fu la prima moglie di Johann Sebastian.
|
Il rapporto con i Bach non era valso a moderare il comportamento
dell'Arnold nei confronti di quelli che erano in età scolare e che si trovavano alle sue dipendenze al Liceo di Ohrdruf: fra i trasferiti dalla
Terza alla Seconda Classe, a seguito dell’intollerabilis disciplina da lui imposta, figura un cugino di Johann Sebastian, Johann Ernst [40] 221
Gli anni giovanili (1685-1708)
(Arnstadt, 5 agosto 1683 - ivi, 21 marzo
1739), figlio di Johann .
Christoph [27], il fratello gemello di Johann Ambrosius. Ad occupare il posto dell'Arnold fu chiamato Elias Herda (con funzioni, dunque, di Kantor e di Tertius). Nato a Leina, nei pressi
di Gotha, il 26 marzo 1674 e qui morto il 3 maggio 1728, lo Herda aveva studiato a Gotha e poi a Lüneburg, in quella medesima Michaelisschule in cui convergerà — e proprio per istigazione ed intercessione dello Herda — anche Johann Sebastian. Qui lo Herda rimase sei anni; fu poi studente in teologia a Jena ed infine ottenne l'impiego ad Ohrdruf, a partire dal 7 gennaio 1698. E probabile che lo studio della musica abbia ricevuto nuovo e piá vitale impulso dal momento in cui lo Herda prese possesso del suo ufficio al Lyceum: una maggiore preparazione culturale, la dimestichezza con la scuola organistica nordica, acquisita a Lüneburg a contatto con Georg Bóhm, concedevano il primato allo Herda, il quale —
sulla base delle esperienze
fatte alla Michaelisschule — seppe incrementare l'attività del Kurrendechor che, a Ohrdruf come già ad Eisenach, dava lustro alla scuola.
Le esibizioni di questo chorus musicus (costituito da una trentina di elementi e governato dal praefectus chori Johann Avenarius) fruttavano,
e il particolare è tutt'altro che trascurabile, discrete prebende ai giovani cantori. Dai registri dei conti si evince, che mediamente, ad ogni studente cantore toccavano annualmente dai 15 ai 17 talleri; quei Chorgelder, in altre parole, erano sufficienti ad assicurare l'indispensabile
per vivere. Sotto questo punto di vista, Johann Christoph Bach [42], nell'ospitare Johann Sebastian (e, nei primi tempi, anche l'altro fratello Johann Jacob), nonché il cugino Johann Ernst [40], non dovette lamentare
perdite secche:
l'economia
famigliare,
al contrario,
in
quegli emolumenti trovava motivi di equilibrio e di saldezza. Come già era avvenuto ad Eisenach, non unicamente dalla scuola Johann Sebastian traeva materia per il progresso negli studi musicali. L'apporto del fratello maggiore fu pari, probabilmente, a quello che gli era venuto dall'omonimo zio. E l'aver appreso il mestiere a contatto con Pachelbel giovó non tanto ai fini personali di Johann Christoph quanto piuttosto a quelli della storia musicale, dal momento che massimo fruitore di quel linguaggio, portatore pit significativo di quel messaggio, rivissuto tante volte anche in epoca di maturità e di sintesi dei valori, fu Johann Sebastian: invero, il fratello apri brecce di precoce sensibilità artistica e di maturazione tecnica a colui che era destinato al campo della gloria. Se poi qualcuno volesse calcolare in quale misura l'insegnamento e l'esperienza del fratello maggiore contribuissero alla formazione del musicista supremo, non sapremmo
dargli elementi utili per l'opera-
zione: il terreno delle ipotesi è ampio e non consente precisazioni ed 222
Gli anni giovanili (1685-1708)
accertamenti. Tuttavia, un dato & facilmente intuibile: l'organo !9, e
in via secondaria il cembalo, costituirono il punto di maggior concentrazione dell'attenzione del giovane apprendista e proprio dalle occasioni offerte dal servizio liturgico questi poté allacciare i primi contatti col pubblico e con la società (al di fuori delle esibizioni canore con il Kurrendechor) e trarre i primi spunti di composizione musicale, quei
| saggi di primissima maniera che la storia ci ha negato, ma che l’imma-
ginazione converte in buoni fruttiferi il cui interesse fu più tardi riscosso col massimo degli utili. Le biografie bachiane a questo punto indugiano nel narrare e commentare l'aneddotico episodio che, riferito dal Necrologio (BD III, 666) redatto da Carl Philipp Emanuel Bach e da Johann Friedrich Agricola (1754) per la Musikalische Bibliothek del Mizler, fu poi ripreso dal Forkel. Il Necrologio riporta il fatto nel seguente modo: La passione del nostro piccolo Johann Sebastian per la musica era grandissima sin dalla più tenera età. In breve tempo egli seppe tenere saldamente in pugno tutti i brani che suo fratello gli aveva assegnato per studio. Gli era stato proibito, tuttavia, malgrado le sue preghiere e senza motivo apparente, di prender visione d’un libro contenente pezzi per clavicembalo dei più rinomati maestri di quel tempo, Froberger, Kerll, Pachelbel. Lo zelo di cui era animato per progredire negli studi gli suggeri allora il seguente innocente inganno. Il libro stava in un armadio chiuso da una griglia. Infilando le sue manine lungo la griglia, egli riusci a raggiungere l’interno dell’armadio, ad arrotolare il libro, che consisteva in un quaderno di carta, e ad estrarlo, cosicché, di notte, quando tutti erano a letto, gli fu possibile copiarlo, al chiaror della luna, dal momento che non disponeva d’un lume. In capo a sei mesi quel bagaglio musicale fu interamente nelle sue mani. Egli cercò poi di utilizzarlo in segreto con eccezionale avidità, ma con il suo più gran dolore, il fratello se ne accorse e gli sequestrò, senza misericordia, la copia che con tanta fatica egli si era confezionata. Un avaro che in viaggio verso il Perá avesse perso centomila talleri nell'affondamento della nave ci potrebbe dare un'eloquente idea dell’afflizione che colpi il nostro piccolo Johann Sebastian Bach a quella perdita. Egli poté rientrare in possesso del libro solo dopo la morte del fratello. Ma non fu proprio questa avidità di sapere a farlo progredire nella musica e il vivace zelo e il metodo empirico adottato con il citato libro non costituirono forse, come si vedrà, la ragione prima e la cagione stessa della sua morte?
Stupisce che il documento fissi la morte di Johann Christoph oltre vent'anni prima di quando realmente avvenne, ma è elemento di giudizio non trascurabile che si consideri l’affezione viscerale di Bach al mondo della musica come una concausa primaria della sua immatura scomparsa. Quello studio tenace ed inarrestabile condotto in gioventi fini con il procurargli, negli ultimi anni, una malattia agli 223
Gli anni giovanili (1685-1708)
occhi — dice sempre il Necrologio — che per sei mesi l'afflisse, mentre le cure cui il musicista fu sottoposto dopo l'operazione fiaccarono, come si vedrà, la sua robusta fibra. Del resto, per ritornare al quaderno
pietra dello scandalo famigliare, si deve dire che quello fu solo uno dei tanti elementi di esperienza musicale che Bach attinse dalle mani del fratello. Ce lo conferma Carl Philipp Emanuel nel passo d'una lettera da lui indirizzata al Forkel (Amburgo, 13 gennaio 1775) a complemento del Necrologio. Sta dunque scritto in quel foglio (BD
III, 803):
Il defunto ricevette ad Ohrdruf l'educazione che compete a un organista e nulla più. Oltre a Froberger, Kerll e Pachelbel egli predilesse e studiò le opere di Frescobaldi, del maestro di cappella di Baden Fischer, Strunck, di qualche antico buon francese, di Buxtehude, Reincken, Bruhns e dell’organista di Lüneburg Bóhm.
Anche se il discorso può con ragione legarsi al periodo di Liineburg, non per questo viene meno la connessione con Ohrdruf. Lo scenario di questa cittadina — tanto quello naturale che gli si offriva con la spettacolare visione dello svolgersi delle stagioni, quanto quello culturale che gli veniva dall'atmosfera famigliare e dal cerchio delle conoscenze — s'impresse fortemente nell'animo di Johann Sebastian. Il ricordo di quelle giornate — ecco l’autentico senso della Erlebnis, dell’esperienza, della vita vissuta — agevolò la missione educatrice, pedagogica che sarebbe poi esplosa nell'età matura. Non il mestiere e neppure le circostanze (l'impellente bisogno) portarono Bach a infrangere l'arco delle proprie giornate, a distoglierlo dalla creazione per concedere spazio agli allievi, ad un ruolo privatistico di magister artium; bensi il temperamento acquisito nelle lunghe ore trascorse a speculare sulla musica in famiglia sin dall'infanzia, e la consapevolezza che uno degli aspetti peculiari dell'attività creativa sta nel porre il proprio talento a disposizione del biblico « prossimo ».
15. Lüneburg-Celle. BIBLIOGRAFIA
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Gli anni giovanili (1685-1708)
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Ostern 1870», Sternsche Buchdruckerei, Lüneburg 1870, pp. 3-42; Wilhelm Gòrces, Die Schulen des Michaelisklosters in Lüneburg. IL: Die Michaelisschule, in «Jahresbericht des Johanneum zu Lüneburg-Ostern 1902 », Lüneburg 1902; Richard BucuMavzm, Nachrichten über das Leben Georg Böhms, mit spezieller Berücksichtigung seiner Beziehungen zur Bachschen Familie, in « Programmbuch des 4. deutschen Bachfestes », Chemnitz 1908-(anche in BJ III [1908], pp. 107-122); Max SEIFFERT, Die Chorbibliothek der St. Michaelisschule in Lüneburg zu J. S. Bachs Zeit, in « Sammelbände der Internationalen Musikgesellschaft » IX (1907/ 1908), pp. 593-621; Werner WOLFFHEIM, Mitteilungen zur Geschichte der Hofmusik in Celle (1635-1706) und über A. M. Brunckhorst, in Festschrift R. von Liliencron, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1910, pp. 421-439; H. REUTER, Die St. Michaeliskirche in Lüneburg. Ein Rückblick auf ihre tausendjáhrige Geschichte am fünfhundertjährigen Jubeltag, dem 11. Juli 1918, Hannover-Leipzig 1918; W. REINECKE, Geschichte der Stadt Lüneburg, 2 voll., Lüneburg 1933; A. NEUKIRCH, Celler Barock, G. Stróher, Celle 1935; Georg LinNEMANN, Celler Musikgeschichte bis zum Beginn des 19. Jahrhunderts, Schweiger & Pick, Celle 1935 (in appendice: A. K. Hasse, J. S. Bach und die Hofmusik in Celle, pp. 169-174); O. von Bozuw, Das Celler Herzogschloss, G. Ströher, Celle 1936; Gustav Fock, Die Wahrheit über Bachs Aufenthald in Lüneburg, Hansischer Gildenverlag, Hamburg 1949; Ip., Der junge Bach in Lüneburg 1700 bis 1702, Merseburger & C., Hamburg 1950; Friedrich BLumE - Martin RUHNKkE, Aus der Musikgeschichte der Stadt Lüneburg, in Aus Lüneburgs tausendjährigen Vergangenheit, Lüneburg 1950, pp. 109138; C. Mever-RascH, Kleine Chronik der Kalandgasse, G. Stróher, Celle 1951 (contiene il cap. Von den Kurrende, den Kantoren und Organisten, pp. 51-64); Margarete REIMANN, Die Lüneburger Orgel-Tabulatur KN 2083, Litolff, Frankfurt a.M. 1957 (= Das Erbe Deutscher Musik, vol. 36); In., Lüneburger Orgeltabulatur KN 2082, id. 1968 (= Das Erbe Deutscher Musik, vol. 40); Horst WALTER, Musikgeschichte der Stadt Lüneburg vom Ende des 16. bis zum Anfang des 18. Jahrhunderts, M. Schneider, Tutzing 1967.
L'età della conferma — sacra alla testimonianza cristiana — giungeva _ per i luterani al compimento del quattordicesimo anno. Nel 1697 era toccato a Johann Jacob [44] riprendere la strada di Eisenach; tre anni dopo era Johann Sebastian a dover mettere in pratica il suo grado di emancipazione. Il Catalogus Discipulorum finito examine d. XXIV Juli MDCXCIX reca un'annotazione tardiva del rettore Kiesewetter: « Jo. Sebast. Bach. Lüneburgum ob defectum hospitiorum se contulit d. 15 Martij 1700»; di analogo contenuto & la nota scritta sul Catalogus Discipulorum finito examine d. XIV Augusti MDCC confectus: «Jo. Sebast. Bach, Isennac. ob defectum hospitiorum Lüneburgum concessit» (BD II, 4). Sembrerebbe che quell'espressione
«ob defectum hospitiorum », dovesse riferirsi a eventi di famiglia
(la necessità per il fratello di ricuperar spazio in casa); ma si deve considerare che Johann Christoph nel marzo del 1700 aveva due soli 225
Gli anni giovanili (1685-1708)
figli — Tobias Friedrich [61], nato nel '95, e Christina Sophie nata nel '97 — mentre il terzogenito non sarebbe venuto al mondo che ala fine del novembre 1700, troppo tardi per pensare che Johann Sebastian dovesse lasciare la casa in vista dell'ingresso del nascituro. Del resto, un'analoga espressione si legge a proposito di Georg Erdmann: «valed. ob defectum hospitiorum d. 19. Januar. 1700. abiit Lüneburgum ». La qual cosa farebbe pensare alla mancanza, al venir meno di un « posto gratuito », di cui i due studentelli avrebbero goduto presso il Liceo di Ohrdruf. Quale motivo indusse, allora, Johann Sebastian ad intraprendere il lungo viaggio alla volta di Lüneburg, all’estremo Nord della Germania? Stupisce questo radicale distacco dall'ambiente della Turingia, nel quale sarebbe stato facile avviarsi sulla strada della professione musicale. Ma Bach, probabilmente, intendeva proseguire gli studi e approdare all'Università, obbedendo ciecamente ma con preveggente intuito ai consigli che gli venivano dal Kantor Herda. E quest'ultimo il responsabile dell'immediato destino del piccolo emancipato. Elias Herda, lo abbiamo visto, aveva studiato per sei anni alla Michaelis-
schule di Lüneburg; & pertanto logico che egli indirizzasse Johann Sebastian a quella scuola, se era intenzione di Bach non interrompere il corso della preparazione umanistica. Ma un altro allievo del Liceo di Ohrdruf si accompagnó a Bach nel viaggio a Lüneburg e gli fu a fianco hello studio per qualche tempo: Georg Erdmann, che ritroveremo, ad un certo punto, destinatario della piá importante testimonianza epistolare di Bach ?°. La medievale Liineburg, distante circa trecentocinquanta chilometri
da Ohrdruf, fu raggiunta da Bach e da Erdmann (unitosi al compagno in quel di Gotha — questi aveva lasciato Ohrdruf tre mesi prima di Johann Sebastian) prima della Pasqua (figurano già nella lista di pagamento del coro il 3 aprile, Domenica delle Palme: BD II, 5), dopo un viaggio che insieme con avventurose situazioni, è facile prevederlo,
offri ai due viandanti
occasioni
di divertimento
e di
piacevole intrattenimento. Liineburg non vantava una storia musicale degna d’essere raccontata, ma verso la metà del Seicento aveva assistito
in loco alla realizzazione d’una colossale impresa d’arte organistica, sorprendente documento della già in sé monumentale produzione germanica in questo campo. Voglio dire, la cospicua serie di intavolature (nella consueta notazione alfabetica tedesca), note appunto con il nome della cittadina dello Schleswig-Holstein, dove esse furono predisposte, e che attualmente sono custodite nella locale Biblioteca
Comunale. Quale sia l'origine di queste intavolature, per conto di quale personalità siano state preparate e quali vicende abbiano attraversato nel corso della lunga storia che dall’oblio in cui caddero nei 226
Gli anni giovanili (1685-1708)
| primi decenni del Settecento porta alla riscoperta dei giorni nostri, sono interrogativi destinati a ricevere risposte evasive, interlocutorie.
L'unica notizia certa & che quei volumi nel 1845 furono trasferiti dall'archivio della Johanniskirche, dove Bach li consulto, alla Biblio-
teca Comunale. Ignoto & l'autore materiale dell'impresa, ignoto il committente di simile faticoso lavoro (pari unicamente alle intavolature tedesche della Biblioteca Nazionale di Torino e a quelle polacche di Pelplin), ignoto il possessore dei manoscritti. Uniche eccezioni: l’intavolatura indicata con la segnatura KN 147, autografa di Matthias Weckmann, e quella indicata KN 148, sul cui foglio d'intitolazione è scritto il nome di Franciscus Witzendorff (con le date d’inizio e termine dei «lavori»: 1655-1659). Né più confortanti sono le notizie relative alla data della stesura: la piti remota, il 1636, è contenuta nell'intavolatura KN 2070”, quella più recente, il 1667, nell’intavo-
latura KN 2079. Ma se la storia esterna è labile e troppo minuta, quella interna ci consegna un patrimonio d'indubitabile interesse, non solo sul piano dell’arte (ché i nomi dei musicisti ivi rappresentati sono fra i più grandi di quel tempo), quanto sul ballatoio delia storia musicale sociale, testimoniando quei volumi la ruggente partecipazione dell’organista al servizio liturgico, la copiosa penetrazione e circolazione delle opere che si compivano nei principali centri. La corona è presto ' fatta: Sweelinck, il più antico
(ma d'una antiquitas invero recentior),
il più giovane, e poi in fila Jacob Praetorius junior,
Weckmann,
Scheidt, Scheidemann, Tunder, Hammerschmidt, Froberger; quindi i minori come Morhardt, D. Strungk, Flor, Schildt, Woltmann, Decker, Kortkamp, Kniller. A dire l’importanza della raccolta, basti
segnalare che la maggior parte delle opere sono degli unica, mentre fra i lavori originalmente concepiti in polifonia vocale e poi intavolati
per l’organo si notano composizioni di Monteverdi, Lasso, Gallus, Franck, Hassler, M. Praetorius, G. M. Nanino.
Il privilegio di possedere quei manoscritti forniva indubbiamente agli organisti del luogo una considerevole documentazione dell'attività musicale delle terre « settentrionali » e si traduceva certamente in una preziosa fonte, che poneva a proprio agio lo strumentista desideroso di darsi un conveniente repertorio. L'ostinata curiosità, l'avido attaccamento ai beni del passato, il gusto della ricerca, del confronto, dello
studio ragionato, del modello da esperire e reinventare dovettero spronare Bach a prender nota di quel complesso apparato, a farne un punto di riferimento obbligato della sua incipiente coscienza professionale. L'ambiente organistico locale, del resto, al di là delle sollecitazioni
culturali, offriva concreti esempi e modelli di comportamento,
pur
riflettendo in gran parte le tendenze della vicina Amburgo. Tre chiese E
i
227
Gli anni giovanili (1685-1708)
si contendevano l'egemonia: S. Giovanni, S. Nicola, S. Michele. Gli
organisti preposti al servizio liturgico non dovevano né potevano essere mediocri: in misura più o meno rilevante i loro nomi figurano nelle storie della musica organistica. Dal minore al maggiore i loro nomi. Christian Flor, attivo a Lüneburg dal 1652 alla morte (avvenuta nel 1697), era stato organista prima alla Lambertikirche e poi alla Johanniskirche. Alla prestigiosa Michaeliskirche titolare dell'organo, dal 1662 alla morte (1685), era stato Peter Morhardt. Alla Nicolaikirche, dal 1683 al 1703 (anno della morte) quel ruolo era stato coperto da Johann Jacob Loewe, nativo di Vienna ma di padre conterraneo di Bach: non senza orgoglio l'organista — che si distinse anche nel campo teatrale — soleva firmarsi « Lów von Eysenach ». Ultimo della serie, ma primo nel merito, Georg Bóhm, successore di Flor all'organo della Johanniskirche, dove fu attivo sino al 1733, l'anno della morte. Ora, Bóhm, intorno al quale infinite volte si sono mossi gli interessi
del culto bachiano, era originario della Turingia (era nato a Hohenkirchen, nei pressi di Ohrdruf, nel 1661). Il vincolo alla propria terra, alla tradizione radicata nel chiuso mondo regionale, l'istintiva inclinazione giovanile a cercare protezione, appoggio, conforto in chi aveva
vissuto nel medesimo ambiente e conosceva i problemi e le abitudini in cui una determinata comunità si riconosce etnicamente omogenea,
dovevano spingere Johann Sebastian a frequentare Bóhm e Loewe (quantunque quest'ultimo avesse superato la settantina), in misura considerevole, quando scuola e incipiente mestiere gli lasciavano spazio e tempo
libero. Anni
di volontaria
galera dovettero
essere
quelli di Lüneburg, tutti spesi nell'apprendimento, nel soddisfacimento di interessi culturali che l'esuberante musicista continuamente individuava nella propria coscienza, non pigra allo studio ma al contrario ribollente d'iniziative. La presenza di organisti siffatti era solo uno degli elementi che Lüneburg offriva a Johann Sebastian: e non il principale. Strumenti preziosi di consultazione e di studio potevano essere attinti dalla biblioteca di cui era fornito il convento.di S. Michele: istituita nel 1555 dal primo Kantor protestante che aveva messo piede in quellabbazia benedettina, sino a quell’anno rimasta a difendere, per ultima, il cattolicesimo romano contro la precipitosa avanzata della Riforma, la biblioteca aveva poi acquisito un ricco ed interessante
patrimonio musicale per merito del Kantor Friedrich Emanuel Praetorius (1623-1695), il quale aveva procurato, oltre ad una grande quantità di musica a stampa, numerosissime composizioni manoscritte:
un totale di millecentodue volumina et libri di centosettantacinque autori diversi, fra i quali figuravano alcuni dei membri della famiglia Bach, principalmente Heinrich [19] e Johann Christoph [29], lo zio 228
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di Johann Sebastian. La presenza dei Bach, diremo per inciso, era facilmente spiegabile: il Practorius infatti era originario della Turingia. Nuovo incremento, specie nel settore delle opere a stampa, era avvenuto col nuovo
Kantor, August Braun, quello col quale si trovó a
dover studiare e far musica Johann Sebastian. Un incendio scoppiato intorno al 1800 ci ha privato della possibilità di consultare quel fondo
musicale, la cui consistenza, tuttavia, ci & nota grazie alla casuale e
fortunata conservazione dei cataloghi. Un parziale elenco delle principali composizioni in esso contenute è stato pit volte portato a conoscenza del pubblico dei lettori e non saremo noi a sottrarci a questa doverosa incombenza: da quel patrimonio librario Bach attinse una larga parte della sua cultura di base ed imparó ad apprezzare l’opera dei maestri antichi non meno dei contemporanei; il culto dell’antico,
cosi tenacemente
radicato in famiglia, trovò modo
di
cementarsi in una compatta forma mentis nella diuturna frequentazione di quella biblioteca. Testimoniano la qualità e l'indirizzo del repertorio custodito a
Lüneburg, fra le altre, le seguenti opere a stampa: il Promptuarium musicum, antologia in quattro volumi (i primi tre curati da Abraham Schadaeus, Strasburgo 1611-1613, il quarto curato da Caspar Vincentius, ivi 1617) contenente complessivamente 436 composizioni sacre, quasi tutte di autori italiani; il Florilegium Portense, altra antologia di
mottetti italiani e tedeschi per il servizio liturgico di tutto l’anno raccolta e pubblicata da Erhard Bodenschatz in due volumi (Lipsia 1618 e 1621; complessivamente 265 mottetti); la raccolta Musarum Sioniarum Motectae et Psalmi latini (Norimberga 1607); le Cantiones sacrae, 2 libri (Jena 1602-1603) di Melchior Vulpius; le Cantiones sacrae. (Amburgo 1599), Magnificat (ivi 1602) e il Liber Missarum (ivi 1616) di Hieronymus Practorius; le Selectissimae Cantiones (Norimberga 1568) di Orlando di Lasso; i Concerti sacri adjectis symphoniis et choris instrumentalibus (Amburgo 1621-1622) di Samuel Scheidt; le Geistliche Harmonien, 3 libri (Stoccarda 1659, 1660, 1664) di Samuel
Bockshorn (Capricornus); gli Hymni (Innsbruck 1628) di Johann Stadlmayr; la Selva morale e spirituale (Venezia 1640) di Claudio Monteverdi; i Diletti pastorali (Lipsia 1624) di Hermann Schein; le Arien (Lipsia 1657) di Adam Krieger; opere varie di Heinrich Schütz, di Andreas Hammerschmidt, di Giacomo Carissimi, di Giovanni Andrea Bontempi, di Tarquinio Merula, di Marco Uccellini, di
Antonio Bertali. Nell'opera di ricerca e di selezione del materiale musicale custodito
in quella biblioteca, Bach fruí certamente dell'aiuto e dell'esperienza
dei due pit qualificati maestri di musica di cui disponeva la Michaelisschule: il Kantor August Braun (il già citato successore, nel maggio 229
"e
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1696, di Friedrich Emanuel Praetorius e attivo nella scuola di Lüneburg
sino alla morte, 1713) e l’organista dell’annessa chiesa, Friedrich Christoph Morhardt (nato nel 1663), il figlio del citato Peter Morhardt e attivo nel posto già occupato dal padre dal 1690 al 1707. Il Fock, che al soggiorno di Bach a Liineburg ha dedicato approfonditi studi, riduce ai minimi termini le possibilità che il giovane studioso può aver avuto di consultare e studiare quella biblioteca, sostenendo
che essa era proprietà non già della Ritterakademie, l'Accademia dei Cavalieri in cui l’antico convento benedettino era stato trasformato nel 1655, bensi del Kantor, a titolo privato, il quale l'aveva acquistata
dal Praetorius, e la custodiva in casa propria. Questa affermazione,
tuttavia, pare contrastare con l’asserzione visitò Lüneburg nel 1710, tre anni prima Braun), secondo la quale la Ritterakademie ricca di 2-3.000 volumi, una parte dei quali
dell’Uffenbach ", (che della morte del Kantor possedeva una biblioteca non potevano che essere
quelli propri della Michaelisschule, in dotazione al Kantor per l'esercizio
dell'attività corale. Era stato il pastore Hecht a dar vita, dopo l'istituzione della Ritterakademie, ad un chorus symphoniacus, forse per colmare una lacuna fortemente avvertita dai giovani che frequentavano la scuola di latino annessa all'Accademia, dove l'insegnamento della musica non era previsto. Occorre dire, a questo punto, che l'Accademia era riservata all’aristocrazia: i giovani che vi affluivano erano ospitati nelle celle che un tempo erano state la dimora dei monaci benedettini e seguivano regole del tutto degne d'una disciplina conventuale. Coloro i quali appartenevano a famiglie borghesi o del ceto plebeo avevano accesso solo alla scuola di latino, nata — si puó dire — contemporaneamente alla Chiesa di San Michele, sulla fine del Trecento. Il complesso costituente il chorus symphoniacus era formato da circa venticinque elementi: una decina di soprani, da quattro a sei clementi per le restanti sezioni dei contralti, tenori e bassi. Ma nell'ambito di quell'organismo, ne operava un altro con funzioni piü specialistiche: il Mettenchor, ridotto ad una quindicina di elementi,
i quali per statuto dovevano essere «figli di povera gente, privi di risorse proprie per la sussistenza, e dotati di bella voce ». Quest'ultima qualità era, probabilmente, la più rara e la più ricercata: se Bach ed Erdmann poterono trovare ospitalità a Lüneburg, grazie all'intermediazione dello Herda, fu soprattutto in virtá delle qualità canore in loro possesso. In effetti, essi entrarono a far parte del Mettenchor (il coretto impegnato a cantare ogni mattina — il termine Metten, di
natura liturgica, corrisponde al nostro Mattutino) perché la scuola di Liineburg cercava buoni elementi, capaci di intonare facilmente il difficile repertorio della musica figuralis, della polifonia sacra che da 230
Gli anni giovanili (1685-1708)
duecento anni costituiva motivo di vanto per la città. L'impegno di Bach e di Erdmann, in qualità di Discantisten, comportava —
come
per gli altri membri del coro — un modesto compenso in moneta sonante, 12 groschen al mese, al quale si aggiungevano le prebende per la partecipazione a manifestazioni particolari, pagamenti in natura quali vitto (il beneficium coenobi) e alloggio. Il Terry ha riassunto egregiamente i dati raccolti da altri studiosi sul tipo di attività espletata dal chorus di cui faceva parte Bach: Gli studenti-coristi cantavano tutte le domeniche, con concerti speciali al Capodanno, all’Epifania, alla festa della « Purificazione », alla « Quinquagesima », all'Annunciazione, a Pasqua, al «Jubilate» (terza domenica dopo la Pasqua), all'Ascensione, alla Pentecoste, alla festa di San Giovanni Battista, di San Michele Arcangelo, alle domeniche d’Avvento, a Natale, ecc. In
queste occasioni, durante il servizio divino della mattina, probabilmente prima
del sermone,
come
a Lipsia, si cantava
un concerto o un dialogo o
«pezzo » con accompagnamento di strumenti. Durante le grandi feste, a Natale, a Pasqua, alla Pentecoste, il medesimo servizio veniva tenuto tanto al primo quanto al secondo giorno. La domenica, invece della « musica », si cantava un mottetto a cappella per quattro o più voci, e una volta ogni
tre settimane circa, si eseguiva un « piccolo pezzo » (brano per una o più voci con strumenti). Durante le tre grandi feste il servizio del pomeriggio s'iniziava con musica « figurata » e il sermone veniva seguito da un piccolo brano conclusivo per coro e strumenti. Nelle feste minori e nelle domeniche, il « piccolo brano » era cantato soltanto con accompagnamento di strumenti, ed anche il Magnificat era piá semplice. Al sabato e alla vigilia delle grandi feste si usava cantare uno o due mottetti a cappella, oltre al Magnificat nel fonus peregrinus.
Per ciö che ha attinenza con la formazione culturale del giovane Bach a Lüneburg, possiamo ricordare i nomi delle persone cui era preposto il governo della scuola: il rettore Johann Büsche (che impartiva le lezioni di teologia sulla falsariga del luteranesimo pit ortodosso, di rettorica, logica, latino e greco) e l'ispettore Martin Georg Hülsemann, pastore della Michaeliskirche, coadiuvato dal diacono Johann
Jacob Boje, che pit tardi successe allo Hüselmann nella conduzione delle anime. Al di fuori di Eberhard Joachim Elefeld (che insegnava
grammatica ebraica, latina e greca, prosodia latina, rudimenti di ars
gnomonica et optica mechanica), non sono noti i nomi di altri maestri, cosí come non ci è noto il curriculum scolastico di Bach a Lüneburg; era tuttavia al rettore o al suo sostituto che spettava il compito d'impartire, ma individualmente, quelle lezioni che contribuissero a formare
il bagaglio culturale del giovane: dalla storia alla geografia, dalla
matematica alla fisica, dalla letteratura tedesca all’araldica. Cicerone, 231
Gli anni giovanili (1685-1708)
Virgilio, Orazio,
Focilide,
Terenzio
erano
gli autori
studiati con
maggiore intensità. Il Compendium locorum theologicorum di Leonhard Hutter, vecchio quasi d'un secolo, era a Lüneburg come a Ohrdruf,
il manuale di religione piá studiato: ed & probabilmente da quest'opera che Bach apprese a intendere la teologia come fondamento della vita terrena e come premessa a quella celestiale. Il quadro ambientale che il processo di formazione della personalità di Bach ci propone nello sterile e inospitale territorio di Lüneburg, cosí diverso da quello fertile e generoso della Turingia, non offre particolari rimarchevoli e tali da chiarire gli interrogativi che costellano il momento della giovinezza. La scuola forniva le basi della cultura, il senso musicale si sviluppava attraverso la pratica del coro e del canto solistico, ma la tecnica del comporre, la teoria era materia
che il giovane analizzava per conto proprio, affrontando e risolvendo da solo i problemi, confortato unicamente dalla presenza di maestri forse prodighi di consigli, ma forse ugualmente restii ad affinargli le
armi del mestiere. L'idea che noi possiamo farci di quegli anni, spesi a terminare il corso regolare degli studi alla scuola di latino per poi accedere all'università, è incrinata dal sospetto che Bach ebbe vita difficile, tanto sul piano artistico quanto sul piano economico, ma è confortata dalla realtà dei risultati che entro pochi anni avrebbero reso eterno il loro autore. Bóhm, Loewe,
Morhardt
il giovine, Braun, il patrimonio con-
tenuto nella biblioteca della Ritterakademie e nelle intavolature organistiche della Johanniskirche non furono le uniche fonti della conoscenza che Bach compulsó con avido appetito. Non lontano da Lüneburg c'era modo di affrontare altre tematiche, allargando l'orizzonte del senso critico. La svolta verso nuovi orientamenti e verso uno studio piá approfondito, anche se forzatamente individuale, gli venne dal mutamento della voce, sopraggiunto in un momento non precisabile, ma che si potrebbe collocare poco tempo dopo l'ingresso a Lüneburg. Il Necrologio dà importanza all'avvenimento, quasi si trattasse d'un principium vitae: A Lüneburg, a motivo della sua voce straordinariamente bella, il nostro Bach fu ben accetto. Qualche tempo dopo, mentre cantava in coro, improvvisamente, contro voglia e senza rendersene conto, si trovò a passare dal tono di soprano, nel quale stava cantando, ad un'ottava piü bassa. Questo nuovo modo di canto duró otto giorni e nel frattempo non gli riuscí di cantare e parlare che passando da un'ottava all'altra. Di qui finí con il perdere il registro sopranile e al tempo stesso la sua bella voce.
Le ore che un tempo egli doveva impiegare nel coro (ma non ‘è escluso che egli passasse fra le voci virili del Mettenchor) potevano ora 232
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essere spese nella pratica strumentale: senza dubbio egli ebbe modo di suonare a Lüneburg tanto il violino quanto l'organo. Inoltre, col trascorrere del tempo divennero pit semplici gli spostamenti: Bach ne approfittò per recarsi sovente ad Amburgo e a Celle. Amburgo conosceva allora la florida stagione di quel teatro (« Am Gänsemarkt ») che, contro lo stile degli altri teatri municipali o di corte dei paesi tedeschi, tentava di proporre un tipo di melodramma con caratteristiche proprie, tedesche, nel tentativo di fermare l'invasione dell’opera italiana. Sarebbe assurdo pensare che Bach avesse evitato con cura qualsiasi spettacolo teatrale per dedicarsi unicamente all’organo; su questo punto, tuttavia, idocumenti tacciono, mentre è assodato (è il
Necrologio stesso a dircelo) che egli più volte si recò ad Amburgo ad ascoltarvi il celebre organista della Chiesa di Santa Caterina, Johann
Adam Reinken. La tradizione organistica amburghese era di quelle che chiunque
fosse avviato a quel mestiere chiesastico non poteva ignorare. La dinastia dei Praetorius aveva aperto una strada che ebbe sicuri riflessi
sull'arte organistica bachiana: da Jacob I (attivo ad Amburgo come organista dal 1555 al 1586) al di lui figlio Hieronymus, suo successore
(1586-1629), e ai figli di quest'ultimo Jacob II (attivo dal 1603 al 1651) e Johannes (attivo dal 1612 al 1660). Si aggiungano i due Scheidemann: David (organista sino al 1625) e Heinrich, suo figlio (1625-1663); e Matthias Weckmann (dal 1655 al 1674) e Reinken, il longevo Reinken
(nato nel 1623 e morto nel 1722), attivo alla Katharinenkirche sin dal 1658 e che Bach visiterà ancora nel 1720; e infine Andreas Kneller
(attivo ad Amburgo dal 1685 al 1724). Se a Lüneburg Bóhm imponeva un gusto, di derivazione francese, tutto proiettato verso l'ornamentazione, ad Amburgo era la realizzazione contrappuntistica ad avere la meglio nella struttura musicale organistica; su questo terreno, anzi, si poteva notare un eccessivo indugiare, un manieristico interessamento che portava i commenti,
per quanto riguarda il repertorio liturgico, le parafrasi delle melodie di corale ad ampiezze insolite, a decorazioni il piá delle volte impersonali e altamente virtuosistiche; il tempio si trasformava in sala da concerto e l'esecuzione pareva prender la foggia d'un agone, d'una esibizione, con tinte ed ambientazioni dunque ben diverse da quelle
in uso presso le scuole meridionali, votate a decorazioni semplici, a
forme piá intime. Ad Amburgo, tuttavia, per la prima volta Bach entrava in con-
tatto con un mondo, con una concezione di vita e del far musica non
più provinciale, non pit sottoposta alle poco elastiche esortazioni d’una cultura a livello locale, ma aperta a tutti i canali, a tutte le correnti, alimentata dal flusso ininterrotto delle esperienze internazionali. 233
Gli anni giovanili (1685-1708)
La città anseatica assisteva allora al florido svilupparsi d'una attività musicale, seconda soltanto a quella commerciale, di cui erano protagonisti Johann Mattheson, Johann Sigismund Kusser, Reinhard Keiser;
nel 1703 vi sarebbe approdato anche il giovane Haendel. L’opera, la musica» sacra e quella per le pubbliche cerimonie, frequentissime in una città divenuta sede degli scambi di tutta la Germania, offrivano vastissime possibilità di osservazione: il vigile intelletto di Bach recepi la lezione e rinchiuse quei tesori nello scrigno del suo sapere ??. Celle era l’altro centro verso il quale convergevano gli interessi del musicista. Ma se Amburgo costituiva il punto focale dello stile musicale tedesco, Celle era una preziosa oasi di cultura francese. L'ari-
stocrazia amava presentarsi secondo il gusto francese: nella stessa Ritterakademie di Liineburg lo studio del francese non solo era obbligatorio, ma la conversazione fra gli studenti avveniva in quella lingua, e non c'è dubbio che fu allora che Bach s'impossessó di quel veicolo espressivo, come fu allora che prese dimestichezza con il
patrimonio musicale di quella nazione. Tale patrimonio era stato massicciamente
introdotto
a Celle, che dal 1371
era residenza
dei
duchi di Braunschweig-Liineburg (e tale resterà sino al 1705) e vantava un castello che era considerato una piccola Versailles, dal duca Georg Wilhelm (nato nel 1624, salito al trono nel 1665 e morto nel 1705). Amantissimo della musica francese e di tutto ciò che proveniva da quella terra (la sua stessa consorte, divenuta tale nel 1675, era una francese, Eléonore Desmier d'Olbreuse), il duca aveva provveduto a ristrutturare l'orchestra di corte, ampliandone l’organico e affidandone
la direzione ad un maestro francese, Philippe de la Vigne, che copri quel posto dal 1666 sino alla morte, sopravvenuta nel 1706. L'orchestra di corte, che nel 1634 contava dieci elementi, con la nuova organiz-
zazione voluta dal duca Georg Wilhelm ne annoverava sedici, sette dei quali impegnati — secondo il modello francese — in qualità di oboisti. Appassionatosi al mondo dell’opera nel corso d’un viaggio effettuato a Venezia nel 1660 (in quella circostanza Pietro Andrea Ziani gli dedicò L’Antigona delusa da Alceste su testo di Aurelio Aureli), volle dotare la propria residenza d'un teatro che l’italiano Giuseppe Arighini costrui, nella nuova
ala del castello, fra il 1670 e il 1689.
Precedenti rappresentazioni a corte non erano mancate, ma è solo
con l'inaugurazione del teatro, nel 1690, che esse acquistarono una certa qual regolarità, in grazia soprattutto dell’intelligente rapporto di lavoro instaurato con una compagnia di canto italiana, forte di
undici membri, intorno ai quali tuttavia giostrarono, nel corso d’una attività protrattasi sino al 1699, una quindicina di altri attori. Le
rappresentazioni erano condotte con il sostegno d’una orchestra che raggiungeva le trenta unità stabili (con tredici strumenti d’ottone) e 234
Gli anni giovanili (1685-1708)
che era regolarmente impegnata sul duplice fronte della musica all'italiana (nel caso di melodrammi) e della musica alla francese (nel caso di balletti). Al tempo in cui Bach frequentó l'ambiente musicale di Celle, la vita del teatro di corte era ormai quasi del tutto spenta: gli altissimi costi della sua gestione ne avevano affrettato la fine; ma sopravviveva ancora, quantunque tutto dovesse poi precipitare nel nulla con la morte del duca, l'attività musicale della cappella. La fondamentale inclinazione calvinista (il piccolo ducato di Celle aveva accolto a braccia aperte i profughi ugonotti, allontanatisi dalla Francia dopo la revoca, 1685, dell'editto di Nantes) aveva precluso ogni possibilità di sviluppo della musica sacra, con la sola eccezione di quella organi-
stica che alla corte di Celle & rappresentata prima da Delphin Strungk (1634-1637), poi da Wolfgang Weissnitzer (1663-1697) e Louis Charles Gaudon (1698-1705?). Le maggiori attenzioni erano riservate alla musica strumentale « di camera », amministrata dal citato Philippe de
la Vigne e sovente corroborata dalle esperienze che, in fatto di arte
della danza e del balletto, vantava Thomas de la Selle, maítre de danse
alla Ritterakademie di Lüneburg. E, con tutta probabilità, fu proprio quest'ultimo ad offrire a Bach l'opportunità d'inserirsi, saltuariamente, come violinista nell’orchestra di corte, anche se si son fatti i nomi di altri possibili portatori di raccomandazione, il farmacista Scott, un
ugonotto che aveva sposato la figlia del borgomastro di Lüneburg, o il suonatore di tromba Johann Pach che nella radice del nome nasconde un qualche lontano grado di parentela con l'allievo della Michaelisschule. Philippe de la Vigne e Thomas de la Selle non sono i soli musicisti di rilievo che Bach ebbe modo di frequentare a Celle. Alla Scuola di latino locale (fondata nel XIV secolo dai fratres Kalendarii) agiva in veste di Kantor Johann Georg Kühnhausen, presente dal 1661 al 1714, cui spettava anche la direzione del Kurrendechor. All'organo della Stadtkirche sedeva Arnold Melchior Brunckhorst, attivo in
quell'impiego dal 1697 (in successione del citato Weissnitzer che dal 1679 aveva aggiunto alla carica a corte quella municipale) al 1705. Infine, dal 1698 almeno, faceva parte dell'orchestra di corte Johann Ernst Galliard, uno dei piá celebri oboisti di quel tempo, figlio d'un parrucchiere francese stabilitosi a Celle; Galliard si tratterrà a Celle
sino al 1706, anno in cui si trasferí a Londra dove svolse un ruolo.
fondamentale nello sviluppo della vita musicale inglese. Il repertorio strumentale della cappella di Celle non ci & noto, ma
& facile immaginarlo: lo stile francese vi teneva banco, confortato e
sostenuto dal particolare orientamento assunto da quella corte in fatto di gusto, di aggiornamento culturale e di scelta politica. E, tuttavia, 235
Gli anni giovanili (1685-1708)
non si deve credere che in questa operazione esterofila la corte di Celle fosse isolata. La musica francese godeva in quel tempo presso numerosi centri (ad Amburgo come ad Augsburg, a Schwerin come ad Ansbach, a Norimberga come a Rudolstadt, per non dire di Vienna,
di Praga, di Varsavia) d'una straordinaria popolarità. Le. maniere tipiche di Lully erano state introdotte nei paesi tedeschi da maestri che le avevano direttamente apprese dal privilegiato autore italofrancese: Johann Fischer aveva soggiornato a Parigi per cinque anni (1665-1670) esercitando presso Lully anche il mestiere di copista; Johann Sigismund Kusser fra il 1674 e il 1682 si era trattenuto nella capitale francese stringendo amicizia con Lully e cogliendone l'insegnamento; e con Lully erano stati in contatto anche Rupert Ignaz Mayr e il piá significativo Georg Muffat, il quale a Parigi aveva studiato fra il 1663 e il 1669. Una schiera di « lullisti tedeschi » popolava il mondo musicale ruotante intorno alle corti di maggior prestigio: suifes e ouvertures contendevano
il passo alle sonate e ai concerti
importati dall'Italia e lo stile francese attecchiva per mano di maestri quali Johann Abraham Schmierer, Johann Caspar Ferdinand Fischer, Benedict Anton Aufschnaiter, Philipp Heinrich Erlebach, modificando il severo panorama che la storia musicale locale proponeva. Una parte delle difficoltà di penetrazione che Bach incontró sul suo cammino sono conseguenza della diffusa rilassatezza stilistica che le maniere francesi avevano distribuito a raggiera, contaminando la ben registrata polifonia teutonica.
16. Weimar I. BIBLIOGRAFIA
Paul von Bojanowskı, Das Weimar J. S. Bachs. Zur Erinnerung an den 8. April 1703, Weimar 1903; Friedrich SCHMIDT, Geschichte der Stadt Sangerhausen, 2. Teil, Sangerhausen 1906; Hans Georg GADAMER, Bach und Weimar, Böhlau, Weimar 1946 (conferenza); Reinhold JAUERNIG, J. S. Bach in Weimar. Neue Forschungsergebnisse aus Weimarer Quellen, in J. S. Bach in Thüringen. Festgabe zum Gedenkjahr 1950, Thüringer Volksverlag, Weimar 1950, pp. 49-106 (spec. 50-52); Günther Krart, Thüringer Stadtpfeifer-Familien um Bach, ibid., pp. 145-169 (spec. 153 e 164).
Sine musica nulla disciplina potest esse perfecta; nihil enim est sine illa ®. Il motto, dettato quasi nove secoli prima da Rabano Mauro, abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, aveva investito la cultura 236
Gli anni giovanili (1685-1708)
tedesca con tale appassionato fervore, con tale suadente auctoritas da rendere naturale l'approvvigionamento a quel principio. Maturando la preparazione alla vita, il giovane Bach — già sospinto verso la musica dall'invincibile tradizione famigliare e dall'infaticabile ambiente circostante — sopravanzava i compagni di studi ed escogitava occasioni e pretesti per arricchire le proprie conoscenze. Da otto, dieci anni egli scrutava l'orizzonte, si preparava al gran momento, continuamente sbalestrato fra casa, chiesa e scuola, le tre entità e i tre stati nei
quali si esauriva il circolo supremo del suo intellectus vitae, ricevendone in cambio il mestiere e il sapere. Nel tentativo d'identificare qualcuno dei probabili maestri, per decenni ci si € compiaciuti — e quel compiacimento ci governa ancora
tutti — di accostare l'uno all'altro, a catena, nomi di Hausmänner, Kantoren, organisti, directores musicae che Bach incontró o avrebbe potuto incontrare ad Eisenach, a Ohrdruf, a Lüneburg, ad Amburgo,
a Celle; nessuno dei quali sembra aver svolto compiti primari, ma a ciascuno dei quali si vorrebbe attribuire l'espletamento di funzioni insostituibili. Il lungo elenco di quei maestri non ci dice chi effettivamente insegnó a Bach l'arte del violino e quella parimenti nobile del cembalo e dell'organo, chi gli inculcó la passione e la competenza in fatto di organaria, chi lo addestró nella composizione,
chi in una
parola lo rese convinto d'essere nel giusto affrontando la carriera del musicista. Ma dimostra con quale irrisoria facilità si possono affastellare interrogativi irrisolvibili all'atto di produrre il bilancio consuntivo
e di calcolare gli interessi. Il momento del primo rendiconto si presentó nella primavera del 1702, due anni dopo l'ingresso in Lüneburg, al compimento del ciclo regolare degli studi presso la Michaelisschule. L'alternativa fra professione musicale e iscrizione ai corsi universitari (la teologia o il giure, queste le scelte possibili) si risolse sbrigativamente a favore della prima soluzione, sia perché la seconda avrebbe richiesto una disponibilità di mezzi finanziari tali da scoraggiare chiunque non avesse potuto godere della protezione d'un mecenate o della rendita d'un capitale, sia perché il talento del giovane musicista si era già manifestato, soprattutto all'organo, in maniera esaltante.
;
Lüneburg non ha trasmesso documenti sul soggiorno che vi fece Bach, al di fuori di due mandati di pagamento, 12 groschen ciascuno, relativi ai mesi di aprile e maggio 1700 come onorario per la partecipazione all'attività del Mettenchor (BD II, 5). Non si puó sapere con certezza che cosa Bach abbia fatto, come abbia egli impiegato le giornate a corso forzoso durante l'ultimo anno passato in quel nordico centro, prima della partenza alla volta di Weimar: si può presumere che egli abbia studiato a lungo per conto proprio e che abbia 237
Gli anni giovanili (1685-1708)
cercato di sbarcare il lunario con qualche prestazione organistica e intensificando, magari, le presenze nell'orchestra di corte di Celle. Una prima occasione per darsi un qualche assetto professionale parve presentarsi negli ultimi mesi del 1702, allorché la costruzione dell'organo della Neue Kirche (anticamente sotto il nome di S. Bonifacio) ad Arnstadt sembrava sul punto di essere conclusa. Ora, Arnstadt era cittadina doppiamente appetibile: perché consentiva il ritorno alla terra originaria, l'amata Turingia, e perché aveva accolto e tuttora accoglieva esponenti della famiglia Bach. Le ragioni affettive avrebbero avuto ragione, facilmente, su quelle meramente speculative, se si fosse trattato di scegliere fra due sedi. Ma l'aspettativa fu presto delusa dalla notizia che i lavori intorno al nuovo organo avrebbero richiesto un altro anno di tempo. L'apprendista, guardandosi intorno, speró di poter rimediare al malcapitato contrattempo concorrendo al posto di organista, presso la Jacobikirche di Sangerhausen, non lontano da Halle, resosi vacante per la morte del titolare Gottfried Christoph
Gräffenhayn
(sepolto il 9 luglio 1702), ii quale alla funzione di
Figuralorganist univa la carica di Stadtrichter, di giudice conciliatore,
di scabino. Molto più tardi, in una lettera di raccomandazione in favore del proprio figlio Johann Gottfried Bernhard [68], indirizzata al borgomastro di Sangerhausen Johann Friedrich Klemm in data 18 novembre 1736 (BD I, 38), Bach avrebbe ricordato quel suo fallito tentativo di ottenere l'impiego. Nonostante l'ottima prova fornita, all’assunzione del giovane organista si oppose il duca in persona, Johann Georg di Sassonia-Weissenfels; il posto fu assegnato a Johann Augustin Kobelius (1674-1731), nipote per parte materna di Nicolaus Brause, che aveva coperto le funzioni di organista presso quella corte. Il Terry ha supposto che Bach abbia potuto raggiungere la corte di Weimar — e trovarvi impiego come musicista nella cappella privata del duca Johann Ernst — in conseguenza dei buoni rapporti esistenti fra la corte di Weissenfels e quella di Weimar; il duca di Sassonia-Weissenfels, dopo aver provocato la ricusazione del giovane organista, ne avrebbe appoggiata la candidatura presso il duca di Sassonia- Weimar. In realtà, è più probabile che si sia trattato d'una banale questione privata, risoltasi con l'intervento di David Hoffmann.
Questo Carneade, già musico presso la corte di Weimar (il suo ruolo era quello di Pfeiffer unter der Garde), discendeva da una famiglia che da lungo tempo era imparentata con i Bach. Se il lettore avrà pazienza di risalire la corrente e addentrarsi nella folta vegetazione fluviale delle genealogie, non troverà del tutto inutile la scoperta, nell'anno
del Signore 1636, del matrimonio contratto in quel di Erfurt fra Johann Bach [17] di Wechmar e una certa Barbara, figlia di Christoph Hoffmann, Stadtpfeifer a Suhl. Come non bastasse — i legami a doppia 238
Gli anni giovanili (1685-1708)
mandata erano una prerogativa della famiglia Bach — nel 1640 un fratello di Johann, Heinrich [19], aveva sposato una sorella di Barbara, Fraülein. Eva. Ora, Johann e Heinrich avevano ancora un fratello: Christoph [18]; e questi & il nonno di Johann Sebastian. Ci resta da dire di David Hoffmann: costui era figlio d'un fratello delle succitate Barbara ed Eva. E si deve aggiungere ancora un particolare non trascurabile: Heinrich Bach ed Eva Hoffmann generarono,
fra gli altri, Johann Michael [30] e questi, sposatosi con Catharina Wedemann, figlió Maria Barbara, la prima moglie di Johann Sebastian. Con la famiglia Hoffmann Bach continuó a mantenere rispettosi rapporti di buon vicinato, tanto da chiamare come padrino al battesimo dei suoi gemelli, Maria Sophia e Johann Christoph (1713), un Johann Christoph Hoffmann, pronipote di quel Christoph (lo Stadtpfeifer di Suhl) donde ha preso l'avvio il discorso. Come sarà giunto Bach alla corte di Weimar? L'interrogativo, in
sé poco consistente, non ha risposta, ma non si andrà troppo lontani dal vero nel supporre che il giovane musicista abbia fatto pervenire ale robuste schiere dei suoi parenti, prossimi c remoti, una specie di comunicato, di circolare in cui egli dichiarava la propria disponibilità. Destino volle che il primo o il piá conveniente intervento venisse da David Hoffmann: la corte di Weimar abbisognava d'un violinista, ma occorreva anche qualcuno che sapesse stare all'organo, dal momento che il titolare di quel posto, Johann Efller, che svolgeva anche funzioni di segretario della cancelleria ducale, era sovente assente per malattia. Anche Effler, in qualche modo, aveva avuto contatti o punti di riferimento con i Bach, sicché, ancora una volta, quasi non vi fosse
spazio per l'imprevisto, gli eventi della vita di Johann Sebastian paiono ricondursi ad un principio di meccanica circolarità, di ferrea conse-
guenzialità e interna concordanza. A Gehren Effler aveva preceduto, sullo scanno di organista presso la Stadtkirche, Johann Michael Bach [30] (il padre della futura sposa di Johann Sebastian), che a
quel posto era stato chiamato nel 1673 per coprire l'incarico lasciato libero da Effler; questi si era trasferito ad Erfurt come successore d'un
altro Bach, Johann [17], alla Predigerkirche, prima di raggiungere Weimar.
A questo punto, si può legittimamente immaginare che
Effler non solo non avesse motivo per opporsi all'assunzione di Johann Sebastian, ma anzi potesse caldeggiare e sostenere l'azione presso il duca, fiancheggiando l’opera stimolatrice di David Hoffmann. I due mandati di pagamento — due « quartali » — conservati negli archivi di Weimar, curiosamente sono intestati « dem Laquey Baachen » (BD II, 6), al lacché Bach; il termine, derivato dal francese, equivaleva al Kammerdiener, al nostro cameriere, nel senso che la parola ha nei cerimoniali di corte. In effetti, dovendo supplire Effler, al giovane 239
Gli anni giovanili (1685-1708)
musicista, dotato di buona cultura e pronto nel rendere servigi, ‘toccavano compiti propri d'un cancelliere o d'un segretario, che si cumulavano con quelli di Hofmusicus per i quali egli era stato propriamente assunto a Weimar.
L'ambiente di corte poteva garantire un buon avvenire ad un
musicista armato di volontà e di talento; ma non era quella la strada
che Bach intendeva percorrere. Nonostante le prestazioni organistiche di cui poteva beneficiare — un documento redatto ad Arnstadt il 13 luglio di quell’anno lo dice addirittura, erroneamente, Fiirstlich Sächsischer Hofforganiste zu Weimar (BD II, 7), la qual cosa farebbe pensare ad una vera e propria immissione in ruolo al posto di Effler — per contemperare il problema dell’esistenza e quello dell’aspirazione professionale, Bach non poteva affidarsi alla fortuna e al caso. Effler
avrebbe potuto vivere ancora parecchi anni (e cosi fu in effetti, poiché questi mantenne l’incarico a Weimar sino al 1708 e mori poi nel 1711) e Bach avrebbe potuto essere richiamato all’ordine, alla mansione originaria, che era quella di violinista, da un momento all’altro.
I sei mesi trascorsi a Weimar (gli estremi cronologici esatti sono: 4 marzo - 13 settembre 1703) furono impiegati a fare esperienza, ad assorbire
i vantaggi
che quella corte,
illuministicamente
retta
dal
duca Wilhelm Ernst, affiancato dal fratello Johann Ernst, offriva in campo musicale. Poiché Bach nel 1708 ritornerà volta per restarvi circa nove
a Weimar, e questa
anni, sarà opportuno
rinviare
a quel
momento la documentazione e la narrazione intorno a quel privilegiato ambiente di corte, animato dal coreggente, il quale era sensibile
musicista, e dalla presenza di Johann Paul von Westhoff, eccellente virtuoso di violino e compositore. Quest'ultimo, ad un tempo musicista e diplomatico ricercato ed esperto, nel 1699 era approdato a Weimar con funzioni di segretario della Camera ducale e di Hofmusiker, e tale resterà sino alla morte, 1705. Al Westhoff — anticipiamo la risaputa notizia — spetta un posto di rilievo in quella breve storia della pratica violinistica senza basso continuo prediletta nei paesi tedeschi che culminerà non a caso nelle opere prodotte da Bach a Kóthen. E poiché siamo in tema di correlazioni, di esperienze attinte al di fuori dei consueti canali dell'educazione scolastica, ricorderemo il nome di un organista, Samuel Heintze, predecessore nella Chiesa municipale dei
Santi Pietro e Paolo di Johann Gottfried Walther, il cugino di Bach. In pochi mesi & probabile che Bach non avesse avuto il tempo di trasformare quanto era stato da lui esperito a Weimar in opere concrete, in saggi di composizione musicale. L'ambizione che lo guidava — e che gli imponeva di seguire la strada piá favorevole — imprimeva in lui stimoli, illusioni forse, che lo inducevano a considerare il servizio
a corte
come
una
240
fase transeunte,
interlocutoria
Gli anni giovanili (1685-1708)
della propria personalità, nulla piá d'un apprendistato necessario in attesa del balzo prodigioso. Ció che non era stato possibile nell'estate del 1702 — abbiamo visto Bach esser costretto a deviare su Weimar,
dopo che giä gli era stata indicata la strada di Arnstadt — fu realizzato nell'estate dell'anno seguente: qualcuno doveva aver conservato buona memoria dell'organista e non doveva aver scordato di seguire il passo sicuro e deciso del musicista, il quale ormai una scelta, almeno, pareva
averla fatta, preferendo allo strumento ad arco quello a tastiera.
17. Arnstadt. BIBLIOGRAFIA
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ed ampliata col tit. Arnstädter Bachbuch. J. S. Bach und seine Verwandten in Arnstadt, Im Auftrag des Rates der Stadt in Verbindung mit der Arbeitsgemeinschaft für Bachpflege im Kulturbund Arnstadt herausgegeben von Karl MÜLLER und Fritz Wiecanp, Gutenbergdruckerei G. Stolzenberg, Arnstadt 1957; Karl Mutter, J. S. Bach in Arnstadt, in J. S. Bach in Thüringen. Festgabe zum 241
Gli anni giovanili (1685-1708) Gedenkjahr 1950, Thüringer Volksverlag, Weimar 1950, pp. 30-42; Fritz WIEGAND, Die Arnstädter Bache, ibid., pp. 191-200; Christof RoseLT, Kunstsammlungen im Schloss zu Arnstadt, Erich Röth-Verlag, Eisenach-Kassel 1957; Oskar S6HNGEN, Die Lübecker Abendmusiken als kirchengeschichtliches und theologisches Problem, in «Jahrbuch des St. Marien-Bauvereins» 1957/58, pp. 9-20 (anche in « Musik und Kirche » XXVII [1957], pp. 181-191); Georg KARSTADT, Die «extraordinairen» Abendmusiken Dietrich Buxtehudes. Untersuchungen zur Aufführungspraxis in der Marienkirche zu Lübeck. Mit den Textbüchern des « Castrum Doloris » und « Templum Honoris » in Faksimile-Neudruck, Max Schmidt-Römhild, Lübeck 1962; Annemarie NIEMEYER, 265. Jahre Arnstädter Bach-Orgel, Zum 39. Deutschen Bachfest der Neuen Bachgesellschaft in Weimar vom 25. bis 28. September 1964, Arbeitsgemeinschaft für Musik und Bachpflege, Weimar 1964.
Nella storia della piccola Arnstadt — la cittadina, capoluogo della
contea di Schwarzburg-Arnstadt, contava al tempo in cui vi si fissò Bach 3.800 abitanti — la data del 7 agosto 1581 è di quelle che per lungo tempo erano state lasciate alla meditazione dei cittadini. Un furioso incendio l’aveva devastata (oltre quattrocento case distrutte), per l'incredibile leggerezza d'un borgomastro,
tale Hans
Nebel, il
quale s'era incaponito d'incatramare il tetto della propria casa. La fumante colata aveva subito appiccato il fuoco alle travi e da quel momento
non si era più riusciti a circoscrivere le fiamme, trasmessesi
con rapidità alle case vicine e quindi all’intero paese, coinvolgendo nella rovina, fra l’altro, anche la sede comunale e la Bonifatiuskirche.
L'evento, tragico e pauroso, era stato commemorato ogni anno, ma nel 1661, ottanta anni dopo, ancora nessuno aveva varato il piano di ricostruzione della chiesa, che tuttavia fu deliberato soltanto nel 1676.
Ribattezzato Neue Kirche, il tempio era stato solennemente inaugurato il 24 aprile 1683, ma le difficoltà economiche in cui si dibatteva la comunità avevano impedito che si provvedesse alla costruzione d’un organo. Una colletta raccolta fra i cittadini (1.000 gulden) e un lascito testamentario (800 gulden) del commerciante Johann Wilhelm Magen resero possibile, finalmente, anche la soluzione di questo problema.
Per il tramite del diacono Theodor Fischer, aggregato alla St. Blasiuskirche di Mühlhausen, si riusci ad impegnare contrattualmente uno dei più valenti organari del tempo, Johann Friedrich Wender; il contratto,
stipulato il 17 ottobre
1699, prevedeva la consegna
del
lavoro al 24 giugno 1701; in realtà, l’opera fu condotta a termine con due anni di ritardo sul previsto. Con eccessivo tempismo il Concistoro di Arnstadt aveva provveduto a nominare, interinalmente, a far data
dal 1° gennaio 1702, un organista nella persona di Andreas Bórner, genero di Christoph Herthum, titolare dell’organo tanto alla Liebfrauenkirche quanto alla Oberkirche, le due principali chiese di Arnstadt. 242
Gli anni giovanili (1685-1708)
A collaudare ufficialmente l'organo * e a provarne la bontà fu chiamato — una volta che la messa a punto dello strumento fu portata a termine — non un organista locale (Herthum o Börner), bensi il diciottenne Johann Sebastian, vuoi perché il suo nome era già noto alle autorità di Arnstadt, vuoi perché si riteneva che il suo giudizio potesse dare maggiori garanzie di equanimità, vuoi infine — ed è questa la ragione pit plausibile — perché il borgomastro Martin Feldhaus preferiva rivolgersi ad un parente o quasi: Feldhaus aveva sposato una Margarethe Wedemann e una sorella di quest’ultima, Catharina, s'era unita in matrimonio con Johann Michael Bach [30], cugino di Johann Sebastian. Palesemente, la ronda delle affinità di sangue lambisce ogni passo della vita di Bach, come quella di tuttii suoi famigliari.
Johann Sebastian sostenne la prova del collaudo il 13 luglio 1703 (BD II, 7). Il «concerto » che il giovane organista tenne la domenica seguente dovette lasciar tutti stupefatti. Gli fu subito offerto il posto
stabile, dirottando il «titolare» interinale, Andreas Bórner, verso la
Liebfrauenkirche. Il decreto di nomina, firmato in data 9 agosto da Martin Volckmar Schultes, delegato del duca e del Concistoro municipale, recita (BD II, 8):
Per il quale il nostro illustrissimo e benevolissimo conte e signore Anthon Giinther, dei quattro conti dell’Impero conte di Schwarzburg e Hohnstein, signore di Arnstadt, Sondershausen, Leiitenberg, Lohra e Clettenberg, approva e comanda voi Johann Sebastian Bach al posto di organista della Nuova Chiesa, per cui dovrete mostrarvi a Sua Altezza Eccellentissima fedele, ben disposto e pronto, in special modo vi mostrerete diligente e fedele nell’ufficio, nella professione, nell’arte e nella scienza che vi sono state affidate e non vi mescolerete in altri affari; comparirete all'organo della sopra citata Nuova Chiesa a tempo debito, nelle domeniche e altri giorni festivi, nonché nei giorni fissati per il pubblico culto; tratterete a dovere lo strumento, avendone buona cura e conservandolo con ogni diligenza, ne denuncerete a tempo i mutamenti che si rendessero opportuni e le necessarie riparazioni; terrete presente che nessuno, senza autorizzazione
del Sovrintendente, potrà suonarlo e insomma farete quanto sarà nelle vostre possibilità per prevenire danni e mantenerlo in buona condizione e in ordine;
procurerete inoltre di condurre anche la vostra vita nel timor di Dio, sobriamente, con affabilità, evitando cattive compagnie e contrattempi, e del resto in tutto mostrerete di tenere un comportamento fedele e ligio al dovere, come un servo e organista probo e leale, nei confronti di Dio e della massima autorità. Per contro, a soddisfacimento della vostra retribuzione, riceverete annualmente cinquanta fiorini e per il vitto e l’alloggio trenta talleri in tal modo suddivisi: 25 fiorini dal ricavato sulla birra, 25 fiorini dalle offerte fatte in chiesa e i restanti 30 talleri dall’ospedale. Tale decreto di nomina è registrato presso la Cancelleria segreta comitale e opportunamente munito delle firme necessarie. “
243
Gli anni giovanili (1685-1708)
Cinque giorni appresso, il semplice formalismo dello Handschlag, l'onesta stretta di mano che dall'epoca medievale perfezionava giuridicamente i patti stipulati fra le parti, diede a Bach l’investitura effettiva,
un'investitura — occorre precisare — che lo poneva già in evidenza e sottolineava i meriti dell’organista: la retribuzione (un totale di 84 fiorini o gulden e 6 groschen o, se si vuole, di 73 talleri e 18 groschen, tenuto conto che un tallero equivaleva a 24 groschen, mentre un fiorino valeva 21 groschen) era ben superiore a quella che toccherà al suo successore, il cugino Johann Ernst [40], il quale dal 1707 al 1728 esercitò alla Neue Kirche con un salario di soli 40 fiorini (contro i 50 di Johann Sebastian) e dal 1728 al 1739 occupò il posto di organista tanto alla Oberkirche quanto alla Liebfrauenkirche con uno stipendio complessivo di 77 fiorini. Se, talvolta, il merito degli uomini si può giudicare col metro del valore di mercato, non c'è dubbio che a Johann Sebastian fu riconosciuta, subito e palesemente, una superiore capacità. Del resto, non è improbabile che il giuoco della contrattazione avesse
avuto un qualche peso nel definire il prezzo: a proprio vantaggio Bach poteva forse vantare l'eventualità, nel caso che le sue richieste
non fossero state soddisfatte, di trovare impiego ad Eisenach, dal momento che pochi mesi prima (l'ultimo giorno di marzo di quel 1703) lo zio Johann Christoph [29] se n'era andato nel regno eterno, lasciando aperta la successione alla Georgenkirche. Manco a farlo apposta, quel posto andò poi ad un altro Bach: Johann Bernhard [36], già organista ad Erfurt e a Magdeburgo, col quale Johann Sebastian fu sempre in teneri e cordiali rapporti. Esponenti oscuri della famiglia Bach, ma non per questo insigni-
ficanti nella storia della grande stirpe, erano presenti ad Arnstadt sin dall’inizio del Cinquecento. Un Hans Bach (nato nel 1480) è citato nel 1509 e, per sorvolare su molte altre frange, un Claus Bach sedeva
sugli scanni del Consiglio municipale di Arnstadt nel 1582. Nel campo delle attività musicali, si parte da Caspar [5], forse fratello minore di Veit, il mugnaio
cui Johann Sebastian, erroneamente,
attribuiva i
segni del capostipite; Caspar fu fagottista alla corte del conte di Schwarzburg-Arnstadt fra il 1620 e il 1644 circa; con lui operarono i cinque figli, per periodi più o meno lunghi. Ma ecco l'elenco dei quindici Bach che precedettero Johann Sebastian in quel di Arnstadt; ci limiteremo
a indicare gli anni di attività, rimandando
solito all'appendice per i dati biografici sommari: 1. 2. 3. 4.
Caspar [5]
1620(?) - 1644(?)
Caspar [9] Johannes [10] Melchior [11]
1620; 1623 1620(?) - 1632 1620- 1634
244
come
al
Gli anni giovanili (1685-1708) 5. Nicolaus [13]
prima del 1637
6. Heinrich [19]
1641 - 1692
7. Johann Christoph [29] 8. Johann Michael
[30]
9. Johann Günther [31] 10. 11. 12. 13.
Georg Johann. Johann Johann
Christoph Ambrosius Christoph Christoph
[26] [28] [27] [42]
1642- 1665 1648 - 1673
1653-1683 1654(?)- 1661 1654 - 1667 1671 - 1693 1689- 1690
14. Johann Ernst [40]
1705 - 1739
15. Johann Christoph [41]
prima del 1713
Se il particolare non guasta, aggiungeremo che i musicisti contrassegnati con 1 numeri progressivi 7, 8, 9, 14 e 15 nacquero ad Arn-
stadt; forse, Al dalla
morirono ad Arnstadt, invece, i numeri 3, 4, 5, 6, 9, 12, e, 1/1. tempo in cui Bach si trasferi nella nuova sede, proveniente corte di Weimar, uno solo — l'ultimo della lista — si trovava
ad Arnstadt; ma questo Johann Christoph [41], un cugino primo, era ancor troppo giovane per contar qualcosa nel mondo musicale, e Johann Sebastian sicuramente non gli prestó altre cure che quelle che si potevano
riservare ad un parente troppo precocemente rimasto
orfano di padre. Ma ad Arnstadt, probabilmente, Bach ritrovó qualcosa della sua famiglia: la matrigna, Barbara Margaretha Keul, figlia del borgomastro di Arnstadt, che aveva sposato in terze nozze Johann Ambrosius [28] — aveva fatto ritorno, lo si puó presumere, al luogo natale, piá nulla avendo da spartire con Eisenach.
Non si conosce con precisione il luogo di abitazione inizialmente prescelto da Johann Sebastian. Forse, casa Keul procuró una prima sistemazione, ma in seguito, dopo il 1704, egli dimoró in un grazioso edificio, affacciantesi ad angolo sulla piazza del mercato della legna
e contrassegnato con il patetico « Zur goldenen Krone» (Alla corona d'oro), evocatore di nostalgiche pagine cavalleresche e paesane. L'edificio apparteneva, insieme ad un altro (lo « Steinhaus » sull'antica piazza del mercato della carne, accostata alla «goldenen Krone»), al borgomastro Martin Feldhaus, già da noi conosciuto. In quella casa, custode di ben intrecciate memorie bachiane, Johann Sebastian incontrerà la cugina Maria Barbara, la futura prima moglie.
Non lontano da quella dimora stava la Neue Kirche, alla quale
per virtá di contratto Bach dedicava parte di sé: non una gran parte, per la verità, dal momento che il minuzioso regime del servizio liturgico gli concedeva alquanta libertà di movimento; 245
in un'epoca
Gli anni giovanili (1685-1708)
in cui il sentimento del giorno e il vivere civile offrivano un lento trascorrere del tempo, con una giornata che iniziava all'alba e che sul punto di dar principio al culto contava già qualche ora di buon lavoro, il musicista avrà trovato il modo di esercitarsi, di affinarsi, di predi-
sporsi alle grandi prove dell'ingegno. Il servizio liturgico della domenica lo impegnava dalle 8 alle 10; al lunedi, per analogia con una pratica
devozionale che trovava riscontro a Lipsia, l'organista doveva intervenire per accompagnare il canto dei corali ed eseguire passi strumen-
tali fra una preghiera e l'altra, fra l'una e l'altra lettura di pagine dell'Antico e Nuovo Testamento; al giovedi, altro impegno mattutino, dalle 7 alle 9, per un servizio liturgico meno solenne. Con un programma di questo genere, c'era spazio per realizzare qualsivoglia altra intenzione artistica. Pagato con denaro di pubblica estrazione — si ricordino i 25 fiorini prelevati dalla tassa imposta alle osterie (il Biergeld) e gli altri 25 fiorini stanziati sulle offerte raccolte in chiesa — l'organista, a tutti gli effetti, era soggetto al regime del pubblico impiego, come si direbbe oggi. È da questo principio che discendono le incriminazioni che, in seguito,
Bach dovette subire ad opera del Concistoro di Arnstadt. Ma le somme stanziate dalla comunità, quantunque proporzionali all'impegno effettivo, ed anzi superiori alla norma, non potevano bastare neppure ad un giovane scapolo. Un altro cespite, come prevedeva il decreto di nomina, veniva dal saltuario esercizio di organista espletato presso l'Ospedale di S. Giorgio e S. Giacomo; ma tanto rare erano le presta-
zioni liturgiche nell'oratorio annesso a quell'istituzione benefica che il compito di Bach dovette risolversi in una felice sine cura. Resta il fatto che, si voglia o no tener conto di quel servizio, il versamento
degli emolumenti a titolo di compenso è documentato almeno per gli anni 1704, 1705, 1707 — sempre in data 1° agosto e per una somma costante: 34 gulden e 6 groschen (BD II, 13) — quantunque sia stato rilevato (Karl Miiller) che Bach non poté esercitarvi né funzioni di praecentor, dal momento che all’uopo era già stipendiata altra | persona, né di organista, stante il fatto che l'organo fu instaurato in quell'ospedale soltanto nel 1794! | Misteriosa, dunque, resta la giustificazione di quella « retta»; come misteriosi sono i legami con la locale corte. Anton Günther II, conte
di Schwarzburg-Arnstadt (1653-1716) era salito al trono nel 1681 e s'era unito in matrimonio con Augusta Dorothea di BraunschweigWolfenbüttel (1666-1751): nel 1697 sarà elevato al rango di principe, ma solamente dal 1707 egli usó il titolo. Anton Günther, allineandosi al costume principesco dell'epoca, ambiva circondarsi di uomini che sul piano della cultura, potessero giovare al prestigio della corte. Cosi, fra il 1689 e il 1697, il poeta Salomo Franck (fissatosi ad Arnstadt 246
-SPWONITT Syssupes
*uosneqTqh]A) o[ooss IIIAX PP SUOISDU] “UOSNEY[YNIN
Gli anni giovanili (1685-1708)
sin dal 1683), che durante il periodo di Weimar collaboró strettamente con Bach, ebbe la carica di «Hochgräflicher Schwarzburgischer Regierungs-Sekräter » (segretario della reggenza o governo); e un insigne numismatico, Andreas Morelli, già addetto alla corte parigina, fu incaricato di sovrintendere alla preziosa raccolta di monete voluta dal principe. La cappella musicale, già fiorente a metà del Cinquecento, contava una ventina di membri al tempo in cui Bach aveva
preso possesso del nuovo impiego **. È assai probabile che il giovane organista abbia avuto rapporti di lavoro con la cappella di corte, ma in mancanza di documenti il terreno delle ipotesi dovrà essere sondato con cautela. Che la musica fosse tenuta nel dovuto conto, lo si può dedurre dalla presenza di musicisti d’un certo prestigio ed autorità. Johann Christoph Bach [27], fratello gemello del padre di Johann Sebastian, era stato al servizio del conte Ludwig Günther dal 17 feb-
braio 1671 al 7 gennaio 1681; dopo un'interruzione di un anno, nel marzo 1682 aveva ripreso l'attività alle dipendenze del nuovo
conte,
Anton Günther, conservando il posto sino alla morte (28 agosto 1693). Dal 1683 la carica di maestro di cappella, e di segretario di camera del conte, era stata assunta da Adam Drese, uno dei musicisti pit
quotati in quel tempo in Germania, con il figlio e il nipote del quale Bach avrà a che fare, come si vedrà, negli anni del soggiorno a Weimar. Successore di Adam Drese, che morí ad Arnstadt il 15 febbraio 1701, fu Paul Gleitsmann, buon suonatore di viola da gamba e di violino,
nonché liutista. Accanto all'attività musicale che poteva svolgersi nella cappella o nelle sale del castello — il documento recante la lista dei musici di corte nel 1690 parla di membri « zur Capella oder zum Complimento », dove l'ultimo termine indica la Tafelmusik, la «musica da tavola» — sicché il turrito Neideck risuonava di musica non meno di altre corti più prestigiose, c'era quella, forse meglio valorizzata e pit insigne per la città, che si teneva
all'Augustenburg,
il teatrino voluto da
Augusta Dorothea, preoccupata di tener il passo con quanto avevano fatto le cugine di Hannover e di Celle. La contessa, amantissima di commedie, incline ad ospitare accademie di musica, coltivava per di
pit la passione per le marionette (411 ne annoverava la sua collezione ancor oggi conservata nel «Palais Mon Plaisir » eretto giusto negli anni in cui Bach si trattenne ad Arnstadt, 1703-1707) e prediligeva il teatro musicale. Si ha notizia, ad esempio, di due pièces rappresentate
in quel teatrino nel 1705: Das Carneval e Die Klugheit der Obrigkeit in Anordnung des Bierbrauens, entrambe opere, per quanto riguarda il testo, di Johann Friedrich Treiber, rettore del locale Gymnasium, e messe in musica probabilmente dal di lui figlio Johann Philipp, un 248
Gli anni giovanili (1685-1708)
allievo di Drese, autore d'un piccolo trattato, Der accurate Organist
im General-Basse (Arnstadt 1704). Degli organisti operanti ad Arnstadt, Christoph Herthum e il di
lui genero Andreas Börner
sono già stati citati ?*; per associazione
bisognerà ricordare il precursore, che & quel Heinrich Bach [19], fratello del nonno di Johann Sebastian, il cui nome figura anche negli organici della cappella comitale. Completava il cenacolo musicale lo Stadtcantor, nella persona di Ernst Dietrich Heindorff, che copri quell'incarico dal 1681 al 1724 e fu attivo a corte come violinista e come Vocalist (basso)*". Nel considerare l'attività esercitata da Bach alla Neue Kirche per
decreto comitale, non si dovrà trascurare il particolare della minore
importanza che la Nuova Chiesa rivestiva nei confronti della Liebfrauenkirche (al cui organo sedeva Bórner) e della Oberkirche (dove l'anadlogo incarico era coperto da Herthum).- Soltanto quest'ultima chiesa disponeva d'un appropriato gruppo di cantori, mentre il materiale umano occorrente alle altre due chiese era direttamente prelevato dal Ginnasio.
Sin dai tempi anteriori alla Riforma,
il Ginnasio di
Arnstadt disponeva d'una duplice forza corale: il coro vero e proprio e il Kurrendechor; all'inizio del Settecento, il primo organismo constava
di diciotto elementi, mentre il secondo poteva contare su un apparato di venticinque cantori. La direzione competeva al praefectus chori, ma il compito di predisporre la musica per il culto e di accompagnare il canto dei corali spettava all'organista. Sin dai primi momenti del suo soggiorno, Bach incontró serie difficoltà nel coordinare l'attività musicale da lui promossa con quanto erano in grado di fare i coristi, non sufficientemente preparati al repertorio di mottetti e di cantate che l'organista avrebbe voluto loro assegnare. Fu probabilmente l’incontrollabile attrito, l'apparente inconciliabilità fra le azioni del coro e le proposte musicali di Bach che provocó quello stato di tensione fra pubbliche autorità e organista poi sfociato in penosi reciproci atti di accusa e in processi dai quali, come sempre, uscí trionfante non lo
spirito razionalista ma l'insipido formalismo incapace di levarsi in volo oltre la barriera del dettato giuridico.
Nel corso dei quattro anni trascorsi ad Arnstadt, la maturità del
poeta e il temperamento dell'uomo ebbero occasione di esprimersi in termini di inequivocabile grandezza; ma la storia —
dico quella
intesa secondo i documenti, non quella narrata per immagini intuíte e per ipotesi — ci ha consegnato pochissime prove. Quelle legate alla biografia stanno fra il sublime e il banale e gettano una luce penetrante su quel mondo chiuso, assillato da problemi d'ordine, quale cra la provincia tedesca al tempo in cui l'assolutismo era frazionato in cerchi di potere estremamente ridotti e privi di reale spazio vitale. 249
Gli anni giovanili (1685-1708)
Da tempo —
un tempo forse incalcolabile, stante la marcata in-
fluenza che la musica aveva sempre esercitato su quella progenie — la stirpe dei Bach usava riunirsi periodicamente, per confrontare le proprie condizioni di vita, per rinnovare quel tacito patto che d'una famiglia aveva fatto un popolo. Il Forkel **, che aveva raccolto dalla viva bocca di Carl Philipp Emanuel Bach la notizia leggendaria, riferisce: Poiché era impossibile che tutti potessero vivere in un unico luogo, essi avevano stabilito d'incontrarsi almeno una volta l’anno ed avevano fissato un certo giorno nel quale tutti insieme si sarebbero ritrovati in un determinato luogo. Anche quando il numero dei membri della famiglia crebbe considerevolmente e molti dovettero stabilirsi fuori della Turingia, di quando in quando anche nell'Alta e Bassa Sassonia e in Franconia, essi perseverarono nel tenere le annuali riunioni. Punti d'incontro erano generalmente Erfurt, Eisenach o Arnstadt. Il modo in cui la riunione si svolgeva nel tempo era di natura del tutto musicale. Poiché la compagnia si componeva esclusivamente di cantori, organisti e musicisti di città che avevano tutti à che fare con la chiesa e poiché era ormai divenuta una consuetudine iniziare ogni assemblea nel segno della religione, una volta che essi si erano
riuniti intonavano per prima cosa un corale. Dopo un inizio cosí devoto e raccolto si passava ai divertimenti, sovente in netto contrasto con quanto
era precedentemente avvenuto. Essi cantavano allora canzoni popolari dal contenuto in parte scherzoso, in parte anche scurrile, tutti insieme e in maniera affatto improvvisata, cosicché le varie voci estemporanee davano luogo ad una sorta di armonia, mentre i testi intonati dalle diverse parti erano l'uno diverso dall'altro. Questo tipo di canto comunitario estemporaneo veniva da loro chiamato Quodlibet e non soltanto essi ne traevano motivo per riderne di tutto cuore, ma anche chi si fosse trovato ad ascoltarli sarebbe stato trascinato ad una risata aperta ed incontenibile.
Una di queste riunioni conviviali e canore, sostenute da valori camerateschi, senza mascheramenti ed ipocrisie, votate alla salva-
guardia d'uno spirito che anche in questo solo fatto rivelava una saggezza irripetibile ed originale, una patente di nobile umanesimo e di geniale attaccamento al saldo ceppo delle origini, una di queste riunioni, dunque, si tenne ad Arnstadt in un imprecisato mese del 1704. E forse un delitto contro le memorie del tempo storico che le testimonianze
intorno a simili congreghe siano scomparse;
ma la narra-
zione di Forkel apre alla nostra fantasia orizzonti luminosi: sarà stato nel corso di quelle annuali adunanze — è questo ciò che più c'impressiona — che la famiglia avrà discusso le linee della propria politica e avrà verificato, autorizzato, promosso le linee di allacciamento dei rapporti famigliari, investendo ascendenti, discendenti e collaterali 250
PR 7 CS,
Gli anni giovanili (1685-1708)
in un organico piano di coesione famigliare, d'interdipendenza e communio fratrum. In quella circostanza, uno dei due superstiti fratelli di Bach, Johann Jacob [44], convenne ad Arnstadt, proveniente da Eisenach, per salutare 1 famigliari. Contravvenendo alle tradizioni di famiglia, egli prendeva congedo dalla consueta carriera di Kantor, di organista, di Stadtmusikus
o di Hofmusikus, per assumere il servizio di oboista nella guardia d'onore di Carlo XII re di Svezia. Johann Sebastian celebró l'avvenimento con una composizione, il Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo (BWV 992), che costituisce uno dei più singolari e perfetti documenti di quella pratica della « musica descrittiva » tanto cara alla dottrina estetica degli affetti: l'aneddoto, in tal modo, acquista forza
di evento, si fa monumento storico, soggiace alle forme della ratio speculativa. Il secondo dei reperti biografici connessi al periodo di Arnstadt manifesta in controluce il contrasto che oppose il giovane Bach al complesso di studenti che, come coristi
o come strumentisti, erano
chiamati a coadiuvarlo nell'allestimento della Kirchenmusik. L'indisciplina e la condotta scandalosa che, a quanto pare, tenevano gli studenti, compromettendo in tal modo l'esito delle esecuzioni, avevano
finito coll'esacerbare Bach, impedito talvolta dal frenare i piá turbolenti dalla minore età che egli contava nei loro confronti. La situazione provocó un incidente la sera del 4 agosto 1705. Bach stava ritornando dal castello in compagnia della cugina Barbara Catharina — la sorella maggiore di Maria Barbara e dunque sua futura cognata — quando nei pressi della piazza del mercato
fu avvicinato da uno studente,
suonatore di fagotto, certo Johann Heinrich Geyersbach, il quale — spalleggiato da cinque compagni e armato di randello — affrontó Bach chiedendogli ragione degli insulti di cui lui — diceva — era stato gratificato. Bach negò il fatto e per difendersi sguainò la spada (era dunque buona precauzione,
quando si doveva uscire di sera,
portare con sé un'arma di difesa). Il clamore suscitato dalla rissa impedi che la faccenda avesse un risvolto cruento,
ma
non
impedí che il
giorno dopo i contendenti fossero chiamati in causa innanzi al Conci-
storo; il processo verbale (BD II, 14) fa fede del fatto che Bach dovette
riconoscere di aver insultato il Geyersbach con l'epiteto di Zippelfa-
gottist, come dire «fagottista da strapazzo». Il processo, conclusosi dopo
quattro sedute (5, 14, 19 e 21 agosto) conun ammonizione, aveva co-
munque messo in luce la reale mancanza d'un director musices, mansione
che Bach si rifiutava di svolgere dal momento che essa non era prevista dal decreto col quale egli era stato nominato alla Chiesa Nuova. Nell'autunno di quel 1705 Bach chiese ed ottenne licenza dalle superiori autorità per recarsi a Lubecca. Il permesso accordato si ;
-
251
a
Gli anni giovanili (1685-1708)
riferiva ad un periodo di quattro settimane; Bach, invece, fece ritorno
ad Arnstadt solo dopo quattro mesi. Le ragioni che lo avevano spinto nella grande città anseatica potevano essere di duplice natura: il soddisfacimento d'un particolare e sentito interesse culturale e il desiderio di cercare una nuova sistemazione, dopo l'incidente col Geyers-
bach in conseguenza del quale i suoi rapporti con l'ambiente di Arnstadt si erano indubbiamente aggravati. L'uno e l'altro obiettivo potevano essere raggiunti quando si pensi che a Lubecca viveva il grande Buxtehude, come dire il piá grande degli organisti espressi nei paesi tedeschi sino a quel tempo e che la sua successione alla Marienkirche, stante l'avanzata età (Buxtehude contava allora 68 anni), era aperta. A quel posto, probabilmente il piá ambíto in terra tedesca, avevano guardato con interesse Haendel e Mattheson, i quali si erano
poi ritirati in buon ordine dopo aver constatato che troppo grave sacrificio per la loro età sarebbe stato l'ottemperare alla clausola imposta da Buxtehude: in ossequio ad una tradizione recente ma diffusa anche altrove (ne abbiamo visto un esempio tipico ad Arnstadt nella successione lineare Heinrich Bach - Christoph Herthum - Andreas Bórner),
colui che avrebbe dovuto rilevare la carica coperta da Buxtehude ne avrebbe dovuto sposare la figlia, non diversamente da quanto era stato obbligato a fare Buxtehude nei confronti del suo predecessore, Franz Tunder, la cui figlia aveva portato innanzi all'altare. Nel 1705 Anna Margreta Buxtehude contava trent'anni, dieci più di Bach: il giovane organista non si lasciò avvolgere dalla spirale degli interessi immediati e preferi mantenere il piccolo impiego di Arnstadt, in attesa di più favorevoli occasioni per l'affermazione della sua personalità ®. In realtà, ciò che maggiormente premeva al giovane organista era l'approfondimento del proprio bagaglio culturale: un incontro personale con Buxtehude non poteva che condurlo alla comprensione più intima e insieme pit problematica di quella personalità, la cui produzione musicale egli ben conosceva, quanto meno relativamente al settore che sin dai tempi del suo apprendistato scolastico egli aveva avvicinato e confrontato criticamente con quello dei maggiori autori. Il viaggio a Lubecca, vuoi per cosciente disegno, vuoi per casuale
coincidenza, forniva l'occasione per un'altra determinante presa di contatto, quella con la singolare istituzione delle Abendmusiken che, per iniziativa del locale ceto mercantile, si tenevano nella Marienkirche
nel periodo compreso fra la festa di S. Martino e il Natale, in pratica nelle ultime due domeniche
post Trinitatem
e la seconda,
terza e
quarta d'Avvento. Buxtehude aveva ereditato una tradizione che, tacendo di precedenti manifestazioni devozionali, aveva avuto inizio nel 1646 quando Franz Tunder, il suo predecessore, aveva proposto 252
Gli anni giovanili (1685-1708)
ad edificazione dei commercianti e degli artigiani di Lubecca che si
recavano alla Borsa, una serie di concerti serali (Abendspiele) che egli organizzava nei giorni feriali. L'esperimento delle nuove Abendmusiken,
che Buxtehude fissò in un preciso momento dell'anno liturgico e volle fossero realizzate in giorni festivi, si tenne per la prima volta nel 1673; per la circostanza, il grande organista aveva ottenuto dal consesso cittadino — e la prescrizione fu mantenuta nel tempo — che i musicisti municipali dovessero prender parte obbligatoriamente a
quelle manifestazioni. Organizzate.in cicli organici di cantate (tale sarà anche il Weihnacht-Oratorium di Bach, ultimo riflesso di quella gloriosa pratica devozionale), tali opere in breve avevano acquistato rinomanza in tutti 1 paesi tedeschi: Buxtehude le aveva elevate da semplici manifestazioni d'una pratica mistica al livello di fastose « rappresentazioni » drammatiche, conducendo i testi biblici ad ampie elaborazioni contrappuntistiche e strumentali, in cui il corale luterano costituiva principio e fine, causa ed effetto della condotta musicale. Le Abendmusiken « ordinarie » avevano carattere spiccatamente oratoriale e, nello spirito e nella forma, si potevano ricondurre al genere
della cantata. Ma nel 1705, quando Bach compí il suo viaggio di studio, due delle composizioni presentate furono gratificate della
qualifica di « straordinarie ». E in effetti cosí era, dal momento che la prima delle due, Castrum Doloris, fu eseguita il 2 dicembre per commemorare la morte dell'imperatore Leopoldo I, mentre la seconda,
Templum Honoris, fu eseguita il giorno successivo in onore del nuovo imperatore, Giuseppe I. Non & improbabile che fra la quarantina di strumentisti che presero parte a quelle manifestazioni sedesse anche
Johann Sebastian. Il carattere «straordinario » delle due composizioni risiedeva in primo luogo nel fatto che esse erano state presentate non nelle consuete domeniche dell'Avvento, bensí in giornate infrasettimanali; in secondo luogo si deve rilevare la piá marcata tipologia operistica del discorso musicale, a giudicare almeno dalla struttura librettistica dei due lavori, la cui musica & perduta. Da quel soggiorno a Lubecca Bach dovette uscire se non trasformato, almeno indirizzato piá compiutamente e coscientemente nel
campo delle idee e della cultura a lui congeniali. E, per prima cosa,
egli dovette acquisire un senso drammatico, una capacità nell indivi-
duare la soluzione musicale al di sopra delle convenzioni, al di sopra
dei loci topici che governavano, quasi con senso deterministico, le leggi
della creazione musicale. La rappresentazione rettorica, l'eloquenza e
il magistero tecnico, la sapienza nel dosare il « colore» musicale da
questo momento
diventano parte integrante della sua capacità di
afferrare l'essenza del discorso e di trasmetterlo ai fedeli. Il virtuosismo,
la magniloquenza delle figurazioni tematiche, l'ampiezza di giro degli 233
Gli anni giovanili (1685-1708)
sviluppi polifonici, la singolarità della ricerca armonica,
saranno
impiegati, principalmente sotto lo stimolo dell'esempio di Buxtehude,
in un'azione che si articolerà secondo
un'inconfondibile
«forma
bachiana», quasi un tipo, un modello che storicamente domina su
tutto e riassume in sé le qualità piá intrinseche e vitali d'una intera stagione della storia della musica. Sulla via del ritorno, Bach compí due doverosi pellegrinaggi: ad Amburgo, per salutare il vecchio Jan Adam Reinken, e a Lüneburg per ritrovare Georg Bóhm; l'uno e l'altro maestro avevano cementato
le primitive esperienze organistiche di Johann Sebastian, avviandole verso un respiro professionale. Rientrato in sede negli ultimi giorni del gennaio 1706, Bach riprese le funzioni di organista che, durante la sua assenza, erano state affidate al cugino Johann Ernst [40], ma poche settimane dopo (21 febbraio) fu convocato innanzi al Concistoro cittadino per rispondere della violazione di due principi: l'aver abusato della licenza ottenuta superando ampiamente i termini stabiliti e l'aver condotto la musica di chiesa in maniera disordinata; il nuovo
stile,
mediato dall'ambiente di Lubecca, si presentava alle orecchie dei censori non meno colpevole della violazione dei limiti di tempo accordati. Il processo verbale, che registra la comparizione di Bach innanzi al Concistoro di Arnstadt presieduto dal Superintendent Johann Gottfried Olearius ®, recita (BD II, 16): S'interroga l'organista della Nuova Chiesa, Bach, e gli si chiede il motivo per cui recentemente egli si sia allontanato per tanto tempo e da chi ne abbia ottenuto l'autorizzazione. Ille (= Bach) — Egli & stato a Lubecca per apprendervi i segreti della sua professione, ma afferma di averne richiesto il permesso anzi tempo al signor Sovrintendente. Dominus Superintendens — Gli ha concesso soltanto 4 settimane, ma ; à l'organista se ne è rimasto lontano un tempo quattro volte superiore.
Ille — Sperava che chi lo sostituiva all'organo nel frattempo svolgesse a dovere il compito, in modo da non dar luogo a lamentele. Nos (— il Concistoro) — Gli rinfaccia che egli finora abbia condotto l'accompagnamento al corale introducendo molte sorprendenti variationes, inframmezzando le melodie con suoni estranei, e confondendo in tal modo la comunità dei fedeli. Se in futuro vorrà introdurre un tonum peregrinum, dovrà proseguire con quello e non passare rapidamente ad un altro o, come egli sinora ha fatto, proporre addirittura un tonum contrarium. È poi cosa sorprendente che egli finora non abbia fatto musica [intendi: le prove], adducendo come causa che non voleva più avere a che fare con gli studenti.
254
Gli anni giovanili (1685-1708) Di conseguenza, deve spiegarci se intende eseguire con gli studenti tanto la musica figurata E polifonica] quanto i corali e gli si fa presente che non c'è la possibilità di assumere un Capellmeister. Se ritiene di non poter espletare tali compiti, dovrà dirlo categoricamente. Diversamente, si dovrà cercare qualcuno. che sia disposto a svolgere quelle mansioni.
Ille — Sarebbe disposto a simili incombenze se avesse a disposizione un
onesto e capace Director.
Resolvitur — Nello spazio di otto giorni dovrà giustificarsi. Nel contempo compare lo studente Rambach 31 e gli si rinfacciano parimenti i desordres che si sarebbero verificati sino ad allora nella Nuova Chiesa fra gli scolari e l'organista.
Ile (= Rambach) — L'organista Bach aveva l'abitudine di preludiare troppo a lungo, ma dopo che la cosa gli era stata fatta notare dal Sovrintendente, sarebbe caduto nell'estremo opposto e avrebbe eseguito preludi troppo brevi. Nos — Gli viene mosso rimprovero per essersi recato all'osteria, durante il sermone della passata domenica.
Ille — Ne è dispiaciuto e ciò non accadrà più; del resto per questo fatto è già stato severamente ripreso dalle autorità spirituali. L'organista non dovrebbe lamentarsi di lui a motivo della direzione, poiché non lui aveva tal compito, ma il giovane Schmid ??, Nos — Per l'avvenire egli dovrà agire in tutt'altro modo e meglio di come ha fatto sino ad ora; in caso contrario gli sarà ritirata la paga che gli compete. Ogni osservazione che egli dovesse muovere contro l'organista dovrà essere presentata a chi di competenza e non dovrà risolvere il caso per proprio conto, ma comportarsi in maniera che gliene sia data soddisfazione, come egli ha promesso. Si intima inoltre all'usciere di cancelleria di riferire al Rettore che il Rambach dovrà scontare in carcere la pena di ore 2 per quattro giorni consecutivi.
Era la seconda volta che Bach insisteva sulla necessità di assumere un director musices: la prima volta, come
si ricorderà, era stato in
occasione d'un altro processo, quello che lo aveva visto opposto al Geyersbach nell'agosto 1705. Ma le traversie giudiziarie non erano finite; una terza volta il giovane organista fu convocato innanzi al Concistoro, l'11 novembre
1706 (BD II, 17):
Viene introdotto l'organista Bach affinché dichiari se, come gli era stato
ordinato, abbia fatto o no le prove di musica con gli studenti; come non mostra vergogna nel mantenere il posto in chiesa e a ritirare lo stipendio, cosí parimenti non dovrebbe vergognarsi di far musica con gli studenti, tanto più che ciò gli è stato ordinato e dovrà farlo sino a nuovo ordine. 255
Gli anni giovanili (1685-1708) È inteso che quelli stessi dovranno esercitarsi, cosicché in avvenire si farà un
miglior uso della musica. Ille — Si riserva di dar spiegazioni per iscritto. Nos — Gli si fa poi osservare che recentemente egli ha permesso che una giovane straniera facesse musica con lui nel coro. Ille — Ne ha già parlato con il Magister Uthe 83.
La «giovane straniera» era la cugina Maria Barbara: undici mesi dopo, la coppia protagonista dello scandaloso episodio — solo agli uomini e alle voci bianche competeva il servizio musicale nel tempio — si sarebbe unita in matrimonio. E verosimile che già da qualche tempo, forse un anno o due, Bach conoscesse la cugina sua coetanea (Maria Barbara era nata a Gehren il 20 ottobre 1684); e quella conoscenza, destinata a dare un primo saldo volto al mondo degli affetti bachiani, si era formata non occasionalmente e non superficialmente nella dimora
del borgomastro
di Arnstadt,
Martin
Feldhaus,
nella cui
abitazione Bach aveva preso alloggio. Maria Barbara, figlia di Johann Michael Bach [30], che dal 1673 alla morte (1694) era stato organista
a Gehren, e di Catharina Wedemann, doveva aver trovato nella casa
del borgomastro di Arnstadt un tetto famigliare e ospitale: Feldhaus, già abbiamo avuto occasione di dirlo, aveva sposato una Margarethe Wedemann, sorella della madre di Maria Barbara. Il grande passo verso la soluzione nuziale fu reso facile, forse scontato, da una coabi-
tazione che gli offri i mezzi più certi per valutare, attraverso i gesti e le reazioni, il pensiero e le parole, i gusti e le inclinazioni, gli atteg-
giamenti assunti dalla cugina di ftonte al vivere quotidiano. Il comportamento apparentemente irriguardoso, non conforme al quadro « etico » in cui voleva riconoscersi la modesta, paesana mentalità delle autorità di Arnstadt, se gli aveva inimicato qualcuno, non
aveva però intaccato la sua crescente fama di organista, né distolto da lui gli sguardi attenti e forse ansiosi che altri gli rivolgevano. In quello stesso novembre, Bach fu chiamato a Langewiesen, un piccolo borgo presso Gehren, nel distretto di Arnstadt, per esaminare da buon perito —
un gesto, questo, che avrebbe ripetuto tante volte nella
vita — il nuovo organo voluto dalla comunità dei fedeli, che dal maggio 1675, quando un incendio aveva distrutto il precedente strumento, non possedeva pit il rituale e ben voluto mezzo di trasmissione della fede, il veicolo della pietà ecclesiale e della celebrazione
della gloria di Dio. La prima domenica di Avvento (28 novembre 1706) — lo afferma il registro parrocchiale (BD II, 18) — il nuovo strumento,
costruito da Johann Albrecht di Coburgo
e dal di lui
socio Johann Sebastian Erhardt di Gehren, fu esaminato da Bach e da
Johann Kister, organista a Gehren.
256
Gli anni giovanili (1685-1708)
Il carnet della vita di Bach non registra altri fatti nel tempo trascorso ad Arnstadt; ma è facile pensare che il musicista avesse già preso una decisione: perché di fronte a lui la strada fosse libera e possibilmente sgombra dal pregiudizio musicale che viziava il suo rapporto con le autorità locali. La tensione, dopo l'incivile eppur legittimo rimprovero che gli si muoveva a causa della cugina, dovette giungere a livelli insostenibili. Incapace di dominare un temperamento che, alla tranquillità del mestiere esercitato in osservanza delle norme e delle consuetudini, anteponeva la ricerca della perfezione musicale e la faticosa inascoltata esplorazione del nuovo e dell’originale, Bach attese la prima occasione per indirizzare il proprio talento verso un’altra direzione. A offrirgli un’altra svolta nell’incostante cammino della on fu ancora una volta una roccaforte della Turingia: Mühlausen.
18. Mühlhausen. BIBLIOGRAFIA
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Lungo la strada che dalla selvosa Turingia conduce alle desolate lande dello Schleswig-Holstein,
il viandante
un
tempo
toccava
il
punto obbligato di Mühlhausen. Da Ohrdruf muovendosi verso Lüneburg (marzo 1700) e da Arnstadt guadagnando Lubecca (ottobre 1705), Johann Sebastian aveva varcato le porte della turrita e ben fortificata città, che tragici e sanguinosi eventi della guerra dei contadini (1525) avevano reso famosa non solo nei luoghi della Turingia. A Mühlhausen non s'era spento, forse, il ricordo di quel governo effimero ma ideologicamente avanzato che, scalzando l'autorità convenzionalmente costituita, aveva dato vita ad un regime anarcoide ma democratico, fondato sul principio della comunione dei beni. L'infiammato profetismo di Thomas Münzer, il riformatore — «il demonio di Alstedt», lo aveva chiamato Lutero — che aveva legato il suo nome a quell'impresa in cui teologia e politica, visione messianica e sedizione permanente si fondevano in un unico corpo per affermare un egualitarismo radicale, aveva lasciato qualche traccia nel cuore della città: al tempo di Bach, Mühlhausen si reggeva ancora come una città autonoma, una Reichstadt non soggetta alla signoria di un principe o di un nobile, di un Edelmann. Governata democraticamente da un consesso di cittadini **, Mühlhausen — che pur aveva conosciuto
la dominazione imperiale (dal 1483 era stata una Schutzstadt, una città soggetta al protettorato dei Wettin), al tempo di Bach attraversava un momento di buona floridezza economica, che si sarebbe ulterior-
mente stabilizzata con il passaggio dell’antico borgo alla casa di Braunschweig-Lüneburg (1710). Al soggiorno di Mühlhausen — ultima stazione di transito in provincia prima del grande balzo verso i traguardi predisposti dall’ambizione professionale — Bach fu indotto da un evento luttuoso. Se la 258
Gli anni giovanili (1685-1708)
morte di un musicista doveva colpire dolorosamente la sensibilità di
chi riponeva nella pietas cristiana il fondamento stesso della propria condotta morale, non per questo si poteva pensare di frenare — per un pretestuoso gesto di pudore — la corsa alla successione; in cuor
suo, forse, Johann Sebastian sostenne non debolmente la speranza di
subentrare a colui che, fra il generale compianto, in non tarda età, era stato tolto alla comunità dei vivi.
A Mühlhausen, il 2 dicembre
1706 si era spento Johann Georg Ahle, l'organista della Divii Blasii, la piá importante delle chiese della città, portatore ultimo di una tradizione che aveva elevato quella civitas a livelli di non comune accesso. Da Magdeburgo, nel 1563, era stato chiamato al posto di Kantor della Scuola di latino annessa alla Blasiuskirche (dove sino alla morte esercitò anche le funzioni di organista) Joachim [Müller] a Burck (1546-1610), cui spetta una posizione di rilievo nel panorama della musica evangelica del suo tempo. Un suo allievo, Johannes Eccard (1553-1611), nativo di Miihlhausen, avrebbe contribuito a diffondere lo stile armonico, « verticale », inteso a porre in evidenza
l'elemento melodico — rinunciando al giuoco imitativo delle parti — che proprio da Joachim a Burck aveva preso le mosse. L'ambiente era solidamente preparato alla musica (e alla sua ancilla la poesia). Uno stampatore, Georg Hantzsch, fra il 1566 e il 1583 vi aveva potuto esercitare una ragguardevole attività editoriale, poi proseguita dal figlio Andreas sino al 1600. Un poeta, Ludwig Helmbold (1532-1598), pastore nella Chiesa di S. Biagio, aveva dettato odi spirituali che Joachim a Burck ed Eccard a pit riprese avevano ornato di musica e che costituivano il coronamento di una esperienza « pietista » ante litteram. Un altro letterato, Georg Neumark (1621-1681), poeta di corte a Weimar, buon musicista e autore di liriche spirituali presto confluite nei Gesangbücher della chiesa luterana, si era formato a Mühlhausen. Una società musicale, costituitasi nel 1617 e rimasta in vita
sino al 1688, infine, aveva raccolto intorno al proprio focolare cantori appassionati, pronti ad intervenire con un adeguato repertorio di musica figurata nel servizio liturgico. Tutto ciò indicava chiaramente un modus operandi, la presenza di un gusto e di un'attitudine tali da giustificare il motto coniato nel 1626 dal rettore del locale Gymnasium, Georg Andreas Fabricius: Qui non est musicus, non est Mulhusinus.
Quelle appena riferite, in realtà, erano soltanto le premesse alla
più grande stagione musicale di Miihlhausen, che si compendia nei
nomi di Johann Rudolph Ahle (1625-1673) e di suo figlio Johann Georg (1651-1706), ma che tocca il vertice nel breve quanto gagliardo
soggiorno bachiano. Dal 1654 al 1706 ?5, ininterrottamente, l'organo
della Divii Blasii era stato in appannaggio ai due Ahle, eminenti musicisti, ma anche ragguardevoli trattatisti e capaci di unire alle 259
ut a mle
Gli anni giovanili (1685-1708)
qualità musicali altre doti, il padre avendo ricoperto anche la carica di borgomastro di Mühlhausen e il figlio avendo ottenuto, per la sua attività letteraria, il prestigioso riconoscimento imperiale di poeta laureatus. La morte di Johann Georg Ahle doveva aver gettato nella costernazione i lodevoli membri del locale conventus parochianus — diremmo oggi: il comitato ristretto dei parrocchiani — cui, congiuntamente ad una commissione di consiglieri, Ratsherren, spettava la scelta dell'organista. Poiché soltanto nell'avanzata primavera del 1707 i documenti affermano la presa di contatto con Bach, si puó ragionevolmente supporre che altri organisti fossero stati interpellati, ma che nessuno avesse meritato il consenso dei primi cittadini di Mühlhausen. Un atto del 24 maggio 1707 testimonia l’interessamento da parte del decano dei Ratsherren, Conrad Meckbach # (BD II, 19): Viene ricordato che a causa della mortale dipartita del signor Johann Georg Ahle il posto di organista presso la Chiesa Divii Blasij & vacante, sicché si rende necessario sostituirlo e perció pone la questione Se non si possa pensare prima di tutto a N Pach (sic!) di Arnstadt, che recentemente a Pasqua hà tenuto una prova. Conclusum. Si faccia in modo da trovare convenientemente un accordo
con lui. A questo fine si decide di darne incarico al signor Bellstedt ?7.
In quel giorno di Pasqua — era il 24 aprile 1707 — dunque, Bach si era esibito davanti alla « commissione »; ma un mese era poi trascorso
senza che una decisione fosse presa nei suoi confronti e altri venti giorni sarebbero stati necessari prima di giungere alla definizione del contratto. Il fatto appare tanto pit strano se si pensa che la prestazione di Johann Sebastian era avvenuta su richiesta dei « nobilissimi e sapientissimi consiglieri dell'imperial libera Reichstadt di Mühlhausen », come ebbe a dire il cugino Johann Ernst Bach [40] in un documento (BD II, 22) assolutamente coevo (22 giugno 1707) e perció estremamente attendibile (Johann Ernst usa esplicitamente il termine avociret). Un primo atto, in data 14 giugno 1707 (BD II, 20) documenta: Coram Deputatis Parochiae D. Blasij al signor Gottfriedt Stüler al signor A. E. Reiss al signor J. C. Stephan accessitus (= è introdotto) il signor Joh: Seb. Bache (sic) e gli fu richiesto se volesse assumere presso la Chiesa Divii Blasii il posto vacante di organista e che cosa egli richiedesse per quell'incarico.
260
Gli anni giovanili (1685-1708)
Il signor Bache pretende 85 gulden, come
E quanto era 3 Malter 2 cataste 6 Schock
aveva ad Arnstadt
dato al signor Ahle, vale a dire (— misure) di grano di legna, una di faggio e un'altra di fascine, che vorrebbe fossero portate davanti alla porta,
in luogo del terreno arativo
ie. 60].
[lo Schock equivale a cinque dozzine
Spera poi che per facilitare la sua partenza e il trasloco, gli sia fornito un carro per il trasporto del mobilio. Prega infine che l'incarico gli sia offerto per iscritto.
Le richieste avanzate da Bach superavano i| contingente degli onorari e delle facilitazioni che il Consiglio di Mühlhausen aveva accordato a Johann Georg Ahle, il cui stipendio annuo era contenuto nella cifra di 66 gulden e 14 groschen. Ma Johann Sebastian voleva salvaguardare la posizione economica acquisita ad Arnstadt: l'onorario da lui preteso era quello stesso che egli già percepiva per il servizio nella Chiesa di S. Bonifacio. E probabile che in altre circostanze e dovendo agire ora in un ambiente duramente provato da una gravissima calamità Bach avrebbe richiesto un trattamento economico piü consistente, a sostegno e garanzia insieme della propria riconosciuta abilità, quell'abilità che certamente non potevano vantare né il suo predecessore né il suo successore
a Mühlhausen,
il cugino Johann
Friedrich [48] al quale il Consiglio municipale concederà uno stipendio pari a quello già percepito da Ahle. Gravissima calamità, infatti, fu
quella che colpí Mühlhausen la notte del 30 maggio 1707: un — evento frequente e quasi sempre d'imponente dimensioni agglomerati urbani prevalentemente costruiti in legno — oltre 360 case e momentaneamente impoveri l'economia
incendio in quegli distrusse cittadina.
Quantunque avesse già in animo di accasarsi, Bach rinunciò a far
valere i diritti della carriera. Di tale natura era stato il disastro che fra i consiglieri vi fu chi dichiarò (15 giugno) non aver a propria disposizione « penna o inchiostro » per firmare il contratto e di essere « cosí costernati a motivo della disgrazia che essi non potevano pensare ad alcuna musica». Ma la maggioranza dei consiglieri fu dell'avviso che si doveva procedere alla nomina
dell’organista. Cosí, in quella
medesima data del 15 giugno (solo il giorno prima, come si è visto, Bach aveva presentato le proprie richieste) fu perfezionato il contratto fra le due parti (BD II, 21):
Noi tutti parrocchiani, borgomastri e consiglieri della parrocchia Divi Blasij dell'Imperial libera Città di Mühlhausen, con la presente portiamo a conoscenza che, essendo rimasto vacante il posto di organista per la mortale 261
Gli anni giovanili (1685-1708) dipartita del signor Johann Georg Ahle già nostro collega ed amico, e dovendosi provvedere alla sostituzione, abbiamo chiamato il signor Joh: Sebastian Bach, organista presso la Chiesa di S. Bonifacio ad Arnstadt e lo abbiamo accettato alla carica di nostro organista presso la sopraddetta Chiesa Divi Blasij, alla condizione che egli si dimostri devoto e ben disposto nei confronti dei magistrati del luogo, non sia di danno alla nostra città e anzi ne curi gli interessi per il meglio, nell'espletamento del servizio affidatogli si dimostri volenteroso e in ogni circostanza disponibile, il suo servizio sia accurato e conforme particolarmente nelle domeniche e negli altri giorni di festa, l'organo:a lui affidato sia mantenuto quanto meno in buono stato, segnali ai signori sovrintendenti di volta in volta incaricati i difetti che dovesse riscontrarvi, provveda alle riparazioni e curi diligentemente la musica, si dimostri zelante nel seguire i buoni e decenti costumi ed eviti anche le persone sconvenienti e le compagnie sospette. E poiché ora il sopraddetto signor Bach si & obbligato per mezzo della stretta di mano (Handschlag) a rispettare ciò che in precedenza si è detto e a comportarsi conformemente, per suo annuo stipendio abbiamo promesso di assegnargli 85 gulden in moneta il tradizionale appannaggio di 3 misure di grano 2 cataste di legno, 1 di faggio e 1 di quercia o tremolo 6 Schock di fascine portate davanti alla porta in luogo del terreno arativo
e per questo abbiamo redatto il presente attestato di nomina e lo abbiamo munito del sigillo della Cancelleria. Dato il 15 giugno 1707. I parrocchiani della Imperial libera e santa Reichstadt di Miihlhausen.
L'effettiva presa di possesso dell'incarico avvenne con diversi mesi di ritardo. Bach doveva ancora presentare le dimissioni al Consiglio Municipale di Arnstadt, che ne prese atto il 29 giugno (BD II, 25), nominando al posto che già era stato di Johann Sebastian (BD II, 34) il cugino Johann Ernst [40]; questi, tuttavia, ebbe una paga sensibilmente ridotta (40 gulden e una misura e mezza di grano), meno della metà di quella che a suo tempo era stata assegnata a Bach. La definitiva cessazione del rapporto contrattuale con Arnstadt, tuttavia, avvenne solo con il 14 settembre; ed è dunque all’equinozio d'autunno
che il carro da Bach richiesto alle autorità di Mühlhausen per il trasporto delle proprie masserizie si mosse da Arnstadt per raggiungere la nuova sede. In quel frangente e in vista dell'ormai imminente matrimonio, dovette sembrare un regalo del cielo il lascito di 50 fiorini
(una somma che corrispondeva annuo di Bach) che il giovane testamentaria dallo zio materno consigliere della città di Erfurt
praticamente a metà dello stipendio organista ricevette per disposizione Tobias Lämmerhirt ?*, pellicciaio e (cfr. BD I, 8, nota C; BD II, 27). 262
Gli anni giovanili (1685-1708)
Il matrimonio con Maria Barbara — la cugina ultima nata dall'unione di Johann Michael Bach [30] con Catharina Wedemann e che Johann Sebastian aveva conosciuto nella serena dimora di Martin Feldhaus, il borgomastro di Arnstadt presso il quale i due cugini si erano trovati a coabitare per l'invincibile giuoco delle alleanze fami-
gliari — quel matrimonio, dicevo, forse atteso e preparato da un paio d'anni, fu celebrato a Dornheim, un piccolo villaggio nei dintorni di Arnstadt, il 17 ottobre 1707. Ministro del rito fu il pastore Johann
Lorenz Stauber, il cui nome & bene registrare, perché lo si ritrova comunque nel lessico famigliare bachiano ?*. Il documento che registra l'evento (BD II, 29) recita: Il 17 ottobre 1707 sono stati uniti in matrimonio l'onorevole signor Johann Sebastian Bach, celibe, organista a S. Biagio in Mühlhausen, figlio legitimo del defunto molto onorevole signor Ambrosio Bach famoso organista municipale e musico in Eisenach, e la virtuosa e nubile Maria Barbara Bach, legittima ultimogenita del defunto molto onorevole e distinto signor Johann Michael Bach, organista in servizio a Gehren, qui nella nostra casa di Dio, con il consenso di Sua Signoria [= Anton Günther II, conte di Schwarzburg-Arnstadt], dopo aver effettuato le pubblicazioni ad Arnstadt.
Dunque, & dal nuovo domicilio di Mühlhausen che Bach aveva
raggiunto la piccola Dornheim per unirsi a colei che per tredici anni sarà al suo fianco e gli darà sette figli. Sappiamo d'una breve permanenza prima ad Arnstadt (dove il matrimonio fu consumato), poi a Erfurt in luna di miele e in visita ai cugini; ma, in capo ad una settimana, la giovane coppia (lui ventiduenne, lei ventitreenne) era di ritorno a Mühlhausen, nella casa — un po' fuori mano, nel sobborgo della « Margaretan », a nord del centro medievale — che le autorità
locali avevano procurato all’organista. Un solo esponerite dalla folta progenie dei Bach sino ad allora aveva toccato Mühlhausen: Jacob [32], il quale nel 1674 vi aveva soggiornato sei mesi per completare gli studi. La tradizione bachiana, dunque, in quel territorio non si era ancora consolidata e non poteva
vantare la prodigiosa florescenza che in materia mostravano Eisenach,
Arnstadt ed Erfurt. A Johann Sebastian, quantunque il suo soggiorno
nella roccaforte di Thomas Münzer si esaurisse in nove mesi, toccó
in sorte di aprire una via che fu poi illustrata da due altri musicisti della sua stirpe: Johann Friedrich [48] e Johann Gottfried Bernhard [68], il primo organista alla Blasiuskirche dal 1708 al 1730 e il secondo organista alla Marienkirche dal 1735 al 1737. Ma si deve sottolineare
che, a differenza di altre città, Mühlhausen non serbó per lungo tempo 263
Gli anni giovanili (1685-1708)
le memorie della famiglia Bach, ché i due organisti non ebbero figli e il secondo, anzi, morí prematuramente.
Delusione e mortificazione furono le dee che presero in consegna Johann Sebastian nel settembre 1707. Pochi mesi furono sufficienti per convincere il musicista, accostatosi con speranza e fiducia all'ambiente, che il principio — l'idea stessa — di autorità prevaleva anche nella piá democratica Mühlhausen sull'ingenium. Gli si offriva ora la possibilità di sperimentare il proprio talento, di misurare le proprie forze anche nel campo della cantata (la Kirchenmusik o, semplicemente, la Musik come si legge nei documenti del tempo), per altro già da lui tentata, forse più che sommessamente, ad Arnstadt senza lasciarne
ai posteri segni e impronte. Trasferendosi nella terra fecondata dalla musica degli Ahle e perció abituata, come vedremo, a modi e forme e stili che Bach non amava coltivare, il giovane organista aveva portato con sé il patrimonio musicale accumulato ad Arnstadt e si era subito segnalato, stante le impellenti richieste di musica, nel predisporre il materiale, il repertorio per la Blasiuskirche e per le civiche cerimonie.
Lo affiancavano nel lavoro di rifinitura, nella copiatura delle parti che dovevano servire per le esecuzioni, due allievi, i primi, a nostra cono-
scenza, della falange di periti cultores usciti dalla domestica scuola di Bach: Johann Sebastian Koch, prefetto del coro, e Johann Martin Schubart. La storia sembra aver escogitato, per dare un senso e un valore al soggiorno di Bach a Mühlhausen, un sapiente intarsio di quaestiones e accidentiae. Quell'esperienza cade sotto il fuoco incrociato di tre fattori interdipendenti:
A) la pretesa disponibilità dell'organista a fornire alla comunità dei fedeli una « musica regolare »; B) il rapporto con le autorità municipali e religiose; C) l'intransigente polemica religiosa fra i pastori delle due chiese
principali.
Cerchiamo di esporre separatamente i tre punti.
A) I compiti che, per contratto, Bach doveva svolgere a Mühlhausen non erano sostanzialmente diversi da quelli che egli aveva dovuto espletare ad Arnstadt: tale l'ufficio e tale la mansione. Ma
quella che gli antichi romani chiamavano officii religio — implicante
un
preciso impegno
morale,
una
risoluzione
della coscienza,
una
abituali. Quello dell'ordinaria amministrazione
era
delicatezza nel compiere il proprio dovere — era in Bach a tal punto radicata da renderlo incapace di rispettare le consuetudini locali e i comportamenti
concetto a lui estraneo: ovunque egli avanzasse, comunque egli agisse
264
Gli anni giovanili (1685-1708)
era sempre in violazione dei regolamenti e delle clausole contrattuali
che egli non disattendeva, ma sottoponeva a interpretazione estensiva;
lo spirito, insomma, prevaleva sulla lettera e il gusto per l'azione la
vinceva sul quieto adagiarsi nella convenzionalità quotidiana e nelle formule codificate da una spiritualità per cosí dire sedentaria e imbalsamata. Bach lotterà tutta la vita contro le carte che egli sottoscriveva nella convinzione di poterne rispettare senza sforzo e fatica, da perfetto vir ethicus e diligente pater familias, ogni piá minuta prescrizione, ma riportandone poi piá danni che vantaggi e inimicandosi la controparte, per effetto di azioni che egli riteneva conseguenti al mandato e assolutamente regolari, ma che gli altri consideravano illegittime, sin offensive.
prevaricanti,
La sua
azione
incontrava
resistenze
e il
suo spirito d'iniziativa era mortificato dall'indolenza di coloro che dovevano sovrintendere al suo operato. Agli occhi di molti dei suoi «datori di lavoro » Bach si rese colpevole di negligenze e omissioni
e reo di manifesta e insistente molestia alle istituzioni e alle persone per il fatto di non essersi mai arreso al piatto lavoro artigianale, alla
convenzionalità della mentalità provinciale e campanilistica.
All’atto di dare le dimissioni dal posto di organista a Miihlhausen,
Bach dichiarerà — lo vedremo — di essersi proposto, in ottemperanza appunto al mandato che gli era stato affidato, di procurare ai parroc-
chiani una « regolare musica di chiesa ». Ed è proprio su questo concetto di «regolare» che ruoterà la questione, poiché una musica regolare
— conforme alla tradizione codificata dagli Ahle — era ciò che il conventus parochianus richiedeva; e una musica regolare fu sempre quella che Bach sostenne di fare a beneficio della chiesa, ad edificazione dei fedeli, a gloria di Dio; ma gli uni (i membri del conventus paro-
chianus) intendevano arginare il suo stylus phantasticus — ai loro orecchi era certamente giunta scandalosa la voce che indicava di qual natura e tempera inusitata fossero stati i suoi esperimenti musicali ad Arnstadt —; l’altro (Bach), al contrario, mostrava insofferenza per le comode e piatte elaborazioni proposte dalla tradizione locale, da quella
Landmusik che, ad esempio, misconosceva le conquiste del linguag-
gio realizzate ad Amburgo e a Lubecca, a Lipsia e a Dresda, a Stoccarda
e a Monaco: con sufficiente determinazione Bach sembrava voler proporre una nuova normativa alla Kirchenmusik, nel rispetto dell’ortodossia liturgica luterana. 1 Lo scontro dialettico, dunque, era determinato dalla diversa inter-
pretazione che doveva darsi del concetto di regolare, per gli uni equivalente alla espressione « conforme alla tradizione locale» e per
Bach, piá genericamente, equivalente alla formula « conforme allo
spirito della vera musica sacra ». Su questa discordanza terminologica si giuocò il destino di Bach a Mühlhausen come negli altri centri del
I
orf s
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Gli anni giovanili (1685-1708)
suo itinerario musicale. Non sarebbe facile documentare l'odissea ideologica attraversata nell'Imperial libera Reichstadt se non conoscessimo la preziosa fonte d'informazione sulla vita musicale di quella città fornita da Johann Lorenz Albrecht‘; pur scrivendo a cinquant'anni di distanza dall'epoca che ci interessa, Albrecht rende conto d'una situazione che non s'era punto modificata, sicché la testimonianza da lui fornita Anno Domini 1758 puó essere senza difficoltà alcuna ribaltata indietro al 1708. Il Marpurg, che ospitó lo scritto in una delle sue raccolte di contributi critici, aveva brevemente introdotto il discorso di Albrecht non esitando a definire Mühlhausen, un poco enfaticamente, « una fra
le piá ragguardevoli località di un paese in cui tutti cantano e suonano
e in cui il dio delle Muse è stato onorato più che altrove », ma aveva
poi aggiunto una severa lamentela per la totale mancanza di rinnovamento dimostrata dall'ambiente musicale della città. Albrecht traccia un quadro della vita musicale che ci rende ragione delle difficoltà incontrate da Bach: In tutto ci sono non piü di 10 musici municipali, e questi sono divisi fra le due chiese principali, cosicché in ognuna delle due chiese vi sono impiegate 5 persone. Ora, alle domeniche e soltanto una volta in una delle chiese principali c'è musica con l'impiego di tutti e 10 i musicisti; e anche i cantori sono richiesti da entrambe le chiese principali per le musiche della domenica: in tal modo si possono distribuire tutte le parti occorrenti per un brano di musica sacra e, in breve, si può dire che nella nostra città si può eseguire la musica migliore e più completa nelle feste ordinarie. Ogni congregazione chiesastica insiste perché si faccia musica nella propria chiesa nei giorni di festa, adducendo a giustificazione che essa gli & stata fornita da tempo immemorabile. Nessuno potrebbe rinunciarvi. Ora, la cosa non può essere realizzata in alcuna altra maniera se non spartendo i musici fra le due chiese principali. Come si & già ricordato, nelle domeniche [ordinarie] si riuniscono tutti i cantori e gli strumentisti: ma nei casi in cui il servizio liturgico deve essere celebrato nella maniera pit bella e solenne, in occasione delle maggiori festività, ci si ritrova con una manciata di cantori e con 5 musici municipali, sicché tutte le musiche risultano abborracciate. Le varie parti vocali non possono essere sostenute a dovere con gli strumenti e un numero cosí esiguo di persone non consente che si faccia musica con
strumenti in una chiesa quale & la nostra Obermarktkirche. Se unitamente a 3 violini si devono utilizzare 2 trombe non vi & equilibrio poiché queste soverchiano quelli, per tacere della circostanza che in un coro i violini quasi non si sentono. Se in un brano occorre far uso dei timpani, la situazione peggiora dal momento che viene a mancare una persona ai violini. In breve, nei giorni festivi, comunque si voglia risolvere il problema, il risultato & una mutilazione. [...] In questa circostanza, non posso fare a meno di rammentare una consuetudine alquanto insensata che qui è stata da sempre osservata, sebbene
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si possa ugualmente asserire che essa non ha alcun altro fondamento al di fuori di quello che io ho già addotto al $ 2 [l'essere consuetudine radicata da lungo tempo e quindi buona]. Brevemente, la cosa sta nei seguenti termini: a Mühl-
hausen la Kirchenmusik viene totalmente soppressa 1) nelle ultime tre domeniche di Avvento, 2) nelle sei settimane di Quaresima, 3) all'antivigilia delle tre feste principali, e 4) per alcune settimane all'epoca del raccolto delle messi.
L'insufficiente disponibilità di strumentisti municipali, che occor-
reva ripartire per il servizio liturgico fra le due chiese principali, e la scarsissima attitudine della popolazione religiosa della città all'introduzione di novità costituivano, dunque, i due argomenti di maggiore ostacolo alla pratica della Kirchenmusik; quest'ultima, in altre parole, risultava sacrificata, mortificata e mutilata da un doppio ordine di cause: di natura economica il primo, d'impronta ideologica il secondo.
Concludendo, si puó dire che per potersi definire «regolare» una musica (e il termine — lo ricordo ancora — è applicato in un senso specifico, quello proprio alla musica figuralis, commista di voci e strumenti) avrebbe dovuto rispondere a requisiti estremamente restrittivi della libertà creativa. In simili condizioni & sin troppo evidente che Bach non poteva sostenere un impegno che da un lato lo vincolava alla pochezza degli organici strumentali e dall'altro lo obbligava a seguire l'antiquato stile compositivo degli Ahle. B) Il rapporto con le autorità municipali e religiose investe principalmente due questioni: la composizione di cantate per l'elezione del Consiglio Comunale e il progetto di restauro dell'organo della Divi Blasii. A distanza di quattro mesi dalla propria nomina, Bach ebbe l'incarico di provvedere alla composizione di un motetto (cioè di una cantata) per la cerimonia d'insediamento dei due nuovi borgomastri e dei nuovi quattordici consiglieri (annualmente rinnovati, come si & visto, da una rosa rispettivamente di sei e quarantadue eletti). L'opera godette dello straordinario privilegio di essere consegnata alle stampe; l'edizione, opera del tipografo locale Tobias David Brückner, è in parti separate **; il testo figura anche in un «libretto » a se stante, ornato da un magniloquente frontespizio in tutto degno della solennità dell'evento (BD II, 30). Al compositore fu concesso un onorario di 3 talleri (equivalente a 4 gulden e 12 groschen) (BD II, 31). A questa prima cantata « municipale» — Gott ist mein König (BWV 71) — ne fece seguito, un anno dopo, un'altra con identica finalità; anche questa seconda
cantata — di cui purtroppo non si conoscono né la musica né il testo — fu stampata dal Briickner; composta da Bach durante i primi mesi del soggiorno a Weimar ed eseguita a Mühlhausen il 7 febbraio 1709, la cantata fu remunerata con una cifra superiore a quella ;
^
267
Ja
T po
Gli anni giovanili (1685-1708)
assegnata per la precedente analoga composizione: 4 talleri (= 6 gulden e 2 groschen); ma a Bach fu anche corrisposto un rimborso spese per il viaggio da Weimar
a Mühlhausen
nella misura
di 2 talleri
(=3 gulden e 1 groschen) (BD II, 43). | Di altre cantate scritte a Mühlhausen diremo successivamente. Qui occorre sottolineare che la Cantata BWV 71 fu eseguita il 4 febbraio 1708 nella Marienkirche e non nella Blasiuskirche (dove Bach era titolare); ma
la Marienkirche
era la sede stessa del Consiglio
Municipale (politica e religione, amministrazione temporale e spirituale erano tutt'uno nelle piccole comunità luterane). Autore del testo era stato, forse, il pastore della chiesa consacrata alla Vergine Maria, l'arcidiacono Georg Christian Eilmar, sul conto del quale spenderemo qualche parola fra breve. Nell'esecuzione di codesta cantata Bach fu coadiuvato dall'organista titolare di quella chiesa, Johann Gottfried Hetzehen*. Non è senza motivo di interesse il fatto che ventisette anni più tardi Bach abbia raccomandato a successore di Hetzehen (cfr. BD I, 30: lettera del 2 maggio 1735 a Tobias Rothschier) il proprio figlio Johann Gottfried Bernhard [68] e che la raccomandazione sia stata accolta. Non era certamente una caratteristica precipua dell'ambiente politico di Mühlhausen quella di voler celebrare con una solenne liturgia l'insediamento del nuovo Consiglio; ma era inusitata, per contro, la commissione d'una musica ad hoc: e tanto più sorprendente risulta quella commissione ufficiale se si pensa alla crisi economica che la città attraversava a cosi breve intervallo di tempo dall’incendio che l’aveva devastata. Ma quella dell'insediamento del nuovo Consiglio era una cerimonia alla quale non si voleva rinunciare e per tradizione e per calcolo politico: la Biblioteca Comunale di Mihlhausen conserva un certo numero di testi di cantate a stampa scritte per quella annuale ricorrenza. La solennità dell'evento — una solennità voluta, ricercata,
imposta come un segno del potere politico e come una manifestazione della forza di persuasione del diritto statutario — non sfuggi neppure a Bach: trombe e timpani illuminano quella musica che lo stampatore Briickner incise forse troppo affrettatamente e con caratteri grossolani; ma la sua officina, è possibile, aveva subito qualche danno nel corso
del funesto incendio. Non erano ancora trascorse tre settimane dall’esecuzione della cantata che le autorità municipali furono direttamente chiamate in causa da Bach, affinché si provvedesse alle riparazioni all’organo della Divi Blasii. Il progetto di restauro fu discusso dal conventus parochianus il 21 febbraio 1708: Proponeb. Dominus Sen. Cons. Dr. Meckbach: Il nuovo organista, il signor Pache (sic) ha osservato vari difetti all'organo della Chiesa D. Blasij e per
268
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rimediarvi e perfezionare lo strumento ha presentato un progetto scritto. Legebatur et quaereb.: 1. se l'opera possa essere realizzata siccome & stata progettata; 2. nominare qualche commissario per stipulare il contratto e 3. essendosi qualcuno offerto di acquistare il piccolo organo della cantoria, se i commissari incaricati possano concludere in tal senso con l’acquirente. Conclusum: ad 1. Affirmatur ad 2. Denominati il signor Bellstedt, il signor Reiss, il signor Seb. Vockerodt cum instructione di accordarsi nel modo preciso che essi conoscono e se necessario scambiare con l’organaro l'organo piccolo per l'equivalente di 50 talleri se egli non volesse accettare di condurre a termine l’opera per 200 talleri.
Conosciamo il testo di quel memorandum bachiano, la prima di sette « perizie » rilasciate dal compositore a testimonianza della straordinaria competenza che anche in materia organaria egli pateva vantare. Ecco il testo del documento (BD I, 83): Progetto delle nuove riparazioni all'organo della D. Blasii. 1. Si deve supplire alla mancanza d'aria con tre nuovi e adeguati mantici, cosicché siano sufficienti ad alimentare l'Oberwerck, il Rückpositiv e il Brustwerck. 2. I quattro vecchi mantici ora esistenti devono essere adattati con una maggiore pressione dell’aria al nuovo Subbasso (Untersatz) di 32 piedi e ai restanti registri del basso. 3. Le vecchie camere d’aria per il basso devono essere tutte eliminate e sostituite con nuove munite di condotte d’aria tali da consentire l’impiego sia di un unico registro, sia di tutti i registri insieme senza variazione di pressione, la qual cosa in passato non & mai accaduta ed ora & piü che mai necessaria. 4. Segue il Subbasso di 32 piedi o il cosiddetto Untersatz in legno, che è in grado di fornire all'intero organo la migliore « base » (gravität). Questo registro deve avere ora una propria camera d'aria. 5. Il Trombone basso deve essere munito di nuove e più grandi canne (corporibus) e le imboccature devono essere preparate in maniera alquanto diversa di modo che si possa produrre un suono di molto maggiore gravità.
6. Il nuovo Glockenspiel al pedale desiderato dai signori parrocchiani sarà composto di 26 campane di 4 piedi; tali campane saranno acquistate dai signori parrocchiani a proprie spese e l’organaro dovrà poi renderlo agibile. Per ciò che concerne il manuale superiore, in luogo della Tromba (che sarà eliminata) si collocherà un 269
Gli anni giovanili (1685-1708)
7. Fagotto di 16 piedi, che servirà a nuove inventionibus d'ogni specie e ' suonerà molto delicat nella musica [= musica concertata]. Inoltre, in luogo del Germshorn [= corno di camoscio] (che verrà pure eliminato) si collocherà una 8. VioladiGamba di 8 piedi, che sia mirabilmente accordata (admirabel concordiren) con il Salicional di 4 piedi già disponibile al Rückpositiv. Item in luogo della Quinta di 3 piedi (che parimenti sarà soppressa) si provveda a collocare un
9. Nassat [— nazarda] di 3 piedi. I restanti registri esistenti al manuale superiore possono rimanere come
pure l’intero Rückpositiv, ma mentre si provvede alle riparazioni dovranno essere di nuovo accordati.
10. Per ció che concerne principalmente il nuovo Brust[werck] si potranno provvedere i seguenti registri:
Sul davanti, 1. Quinta, 3 . Octava, 2 . Schalemoy,
3 Principalia, precisamente: piedi piedi di buon stagno a 14 once 8 piedi
. Mixtur, 3 file con la quale, mediante l'aggiunta di alcuni altri registri, si può portare a buon fine una bella e completa Sesquialtera.
. Tertia, Ut P RO
6. Fleute douce, 4 piedi e infine un 7. Stillgedackt, 8 piedi, tale da accordarsi completamente con la Music e sia fatto di buon legno, cogliendo cosí un risultato alquanto migliore di quello che si ottiene con un Gedackt metallico. 11. Fra i manuali di questo Brustpositiv (= Brustwerck) e dell'Oberwerck deve esserci la possibilità di un accoppiamento. E finalmente per il Tremolo, oltre ad aver riguardo all'accordatura dell'intero organo, si dovrà fare in modo che sia esatta la misurazione dei battimenti.
La scelta dell'organaro che avrebbe dovuto provvedere alle riparazioni e migliorie cadde, quasi inevitabilmente, su Johann Friedrich
Wender, originario dei luoghi e fra i piü interessanti artigiani di Turingia, a quel tempo molto attivo a Mühlhausen e dintorni e che aveva già intrecciato rapporti con Bach: infatti, a realizzare l'organo della Nuova Chiesa (Bonifatiuskirche) di Arnstadt, quello collaudato appunto da Bach, era stato proprio Wender **. Dopo lunghe trattative, il corrispettivo per la prestazione fornita da Wender fu fissato in 230 talleri (con uno sconto di 40 talleri in cambio del piccolo organo); l'organo cosi riparato, secondo una notizia fornita dallo Spitta ma non avvalorata da documenti, sarebbe stato inaugurato da Bach oltre 270
in j
Gli anni giovanili (1685-1708)
un anno e mezzo dopo, quando il compositore già figurava al servizio della corte di Weimar. L'originale lavoro compiuto da Wender non è pit disponibile da molto tempo 5. Un nuovo organo, in sostituzione di quello esistente nella prima galleria (un altro organo di piccole dimensioni, come si legge nel documento sopra citato, era collocato nella galleria superiore), & stato costruito nel 1821-1823 da Johann Friedrich Schulze. Recentemente (1956-1959) Hans-Joachim Schuke ha fornito la Divi Blasii di un nuovo organo, costruito secondo le indicazioni riportate nel progetto bachiano di restauro. C) Il terzo e ultimo punto determinante dell'esperienza vissuta da Bach a Mühlhausen tocca la vexata quaestio della polemica religiosa insorta fra i pastori preposti alle due chiese principali: pastore e sovrintendente alla Blasiuskirche era Johann Adolf Frohne (Mühlhausen, 11 gennaio 1652 - 12 novembre 1713), pastore alla Marienkirche era Georg Christian Eilmar (Windeberg, presso Mühlhausen, 6 gennaio 1665 - Mühlhausen, 20 ottobre 1715). Il Frohne, diacono nel 1684, era stato chiamato nel 1691 a succedere al padre nella carica
di sovrintendente della Divi Blasii. Il suo atteggiamento religioso era fortemente incline al pietismo; seguace delle idee di Spener, egli aveva fatto della sua chiesa una roccaforte di quel movimento che nei collegia pietatis, nelle assemblee di fedeli o conventicole individuava, attraverso l'esercizio della penitenza e il veicolo della predica edificante, il rimedio ai mali del tempo. La mansuetudine,
che era nei
programmi dei pietisti e che spingeva i piü zelanti a evitare le polemiche religiose, era probabilmente una qualità cara al pastore della Divi Blasii, ma il suo atteggiamento di uomo di pace, di servus bonus et fidelis, come avrebbe detto Spener, incapace di vera lotta e piuttosto custode d'un patrimonio spirituale che il luteranesimo aveva coltivato quasi in segreto, lo rendeva vulnerabile e forse un poco sottomesso alla controparte, rappresentata dal virile e solido pastore della Marienkirche. Suo malgrado, alla polemica egli era stato trascinato nel 1699 da Georg Christian Eilmar, portatore d'una ortodossia confessionale che, stimolata dalla sua vigorosa mentalità di studioso e di. storico ^5, non poteva restare inerte di fronte ai maggiori consensi che
la predicazione di Frohne incontrava presso i fedeli di Mühlhausen.
Conscio di rappresentare la verità e la tradizione, Eilmar aveva divisato
di combattere la tendenza scismatica e con forte senso polemico opporsi all'opera del Frohne e questi era stato costretto a raccogliere l'invito e a scendere in campo. Alla polemica che aveva spaccatoin due l'opinione pubblica si era posto fine in seguito ad un preciso divieto emanante dalle autorità municipali (23 maggio 1700), ma il 271
Gli anni giovanili (1685-1708)
focolaio non s'era spento del tutto e le sottili distinzioni teologiche continuavano a far aggio sui propositi di quiete e di concordia.
Costretto in qualche modo ad una scelta — & impensabile che l’indifferenza allignasse nei ventricoli del suo cuore — Bach sembrò parteggiare per Eilmar e dimostrare
una
minor
propensione
nei
confronti del Frohne, che pur era il suo diretto superiore alla Blasiuskirche; ma sarebbe fuori strada chi pensasse ad un conflitto ideologico serrato e dagli estremi inconciliabili. L'arma della tolleranza, non quella dell'accomodamento, del compromesso o della forzata convivenza, fu certamente cara a Bach e se è innegabile che le maggiori
simpatie andassero all'Eilmar, non per questo si deve concludere che difficili dovessero essere i rapporti col Frohne. È nell’intera comunità di Miihlhausen che Bach trovò il vero ostacolo all’approfondimento ed espletamento della propria arte: la polemica a favore o contro il pietismo fu più una conseguenza che una causa della mancata attuazione della riforma della musica sacra che Bach aveva in animo d'introdurre a Mühlhausen e nelle quattordici altre parrocchie costituenti la « diocesi ». Quanto ai più stretti legami che sembrano aver unito Bach e Eilmar, essi sono imputabili ad un doppio ordine di fattori: uno di natura pubblica e l’altro di natura privata. Se Bach mise in musica alcuni testi per cantate compilati dallo Eilmar fu inizialmente per un preciso dovere di ufficio, dal momento che Eilmar era il pastore della chiesa
in cui teneva le sedute il Consiglio Municipale. Ma da quel rapporto «pubblico » se ne generò un altro, privatistico questa volta, che prosegui nel tempo; Eilmar tenne a battesimo la primogenita di Bach, Catharina Dorothea (BD II, 42) e la figlia di Eilmar, Anna Dorothea, sposata a Gottfried Hagedorn, fu la madrina di Wilhelm Friedemann Bach [66] (BD II, 51). Invero, gratitudine, senso di amicizia, culto dei ricordi arricchivano il talento umano del musicista
e lo rendevano degno di memoria. La rottura con Miihlhausen avvenne clamorosamente nel giugno 1708 in maniera del tutto affrettata (BD I, 1): Magnifice, onorevoli e nobili signori, onorevoli e illustri signori, onorevoli e savi signori, affezionatissimi patroni e signori 47, Con deferente gratitudine in ogni momento devo riconoscere di sentirmi obbligato nei confronti di Vostra Magnificenza e dei stimatissimi patroni per aver riservato, or è un anno, alla mia modesta persona il ruolo di organista presso la Divi Blasii che si era reso vacante e per la benevolenza con la quale mi hanno concesso di godere della migliore sussistenza. Quantunque io abbia cercato di soddisfare lo scopo che era da Loro voluto, quello cioè di una regolare musica di chiesa a glorificazione di Dio, e secondo le
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Gli anni giovanili (1685-1708)
mie modeste possibilità abbia tentato di procurare una musica di chiesa diversa da quella praticata in quasi tutto il territorio, migliorandone la qualità, quando ció fosse possibile, con l'impiego di un'armonia più attraente € per questo motivo con ogni mezzo e non senza sacrificio abbia provveduto un buon apparato di scelte composizioni sacre e doverosamente abbia rimesso il progetto per ovviare con necessarie riparazioni ai difetti dell'organo e inoltre abbia adempiuto alle incombenze del mio incarico con passione, tuttavia è non senza ostilità che io ho potuto provvedere a tutto ciò, e poiché presentemente non vi è il minimo segno (apparence) che la situazione possa cambiare, ancorché in futuro possano trarne diletto le anime appartenenti a questa stessa chiesa, devo umilmente far rilevare che le mie condizioni di vita si son fatte cosi scadenti che, in conseguenza dell’affitto che
devo pagare e delle altre spese necessarie che devo sostenere, io vivo stentatamente. Ora, a Dio piacendo, mi è inaspettatamente capitata l'occasione di cambiar di posto e in ciò scorgo la possibilità d'una migliore esistenza e l'opportunità di condurre in porto il fine che mi sono prefissato in ordine ad una regolare musica di chiesa, senza aver noie da parte di altri. Sua Altezza Serenissima il principe di Sassonia- Weimar mi ha graziosamente offerto l'entrée a maestro di cappella e musico di camera. Conseguentemente, di tale proposito ho qui riferito, in pieno rispetto ed ubbidienza, ai miei affezionatissimi patroni e al tempo stesso chiedo loro di dichiararsi soddisfatti per il tempo nel quale ho prestato il mio modesto servizio in chiesa e di volermi gratificare di un buon e favorevole attestato di dimissioni. Se potró contribuire in seguito a rendere in qualche modo un servigio alla chiesa, lo dimostrerò pit con i fatti che con le parole vita natural durante.
Onorevolissimo Signore, Affezionatissimi Patroni e Signori, Di Voi
Mühlhausen
:
umilissimo servitore
il 25 giugno anno
Joh: Seb: Bach
1708
La critica bachiana si è particolarmente soffermata intorno a due parole che pit delle altre sembrano stare al centro del discorso: il concetto di Wiedrigkeit (= ostilità) e il concetto di Verdriessligkeit (= l’aver noie da parte di qualcuno). A Bach era stata impedita, con una sottile ma giustificabile opera di ostracismo, la realizzazione del programma che egli si era prefissato in ordine ad una regolare musica di chiesa: e il conflitto, come già si è detto, si era svolto intorno all’interpretazione di ciò che dovesse intendersi per regolare. La decisione di abbandonare l'ambiente di Mühlhausen e di impiegarsi diversamente dovette risultare sorprendente alle autorità del luogo, ma
in realtà era già stata preparata da tempo. Bach, da uomo previdente 273
Gli anni giovanili (1685-1708)
e calcolatore qual era, non si era esposto al pericolo di un licenziamento e aveva atteso il momento giusto; la chiamata da parte di qualcuno. L'offerta gli venne dalla corte di Weimar, che egli aveva già servito per alcuni mesi nel 1703. Le autorità di Mühlhausen, quantunque potessero rifiutare le « dimissioni », non ritennero oppor-
tuno entrare in conflitto col musicista e giudicarono l'evento conforme al propri interessi.
Il documento di congedo rilasciato dalle autorità locali cosí si esprime (BD II, 36): Actum 26 giugno 1708 in Conventu Parochianorum
Proponeb. D. Cons. Dr. Meckbach: lorganista Pach (sic!) & stato altrimenti richiesto a Weimar e ha accettato; conseguentemente egli ha presentato istanza scritta di dimissioni. quaereb. Poiché egli non puó essere trattenuto, si deve acconsentire alle sue dimissioni, tuttavia gli si fa intendere che dovrebbe aiutare a condurre a compimento l'opera intrapresa secondo il suo progetto.
Accolte le dimissioni, il 4 luglio il conventus parochianus provvide alla nomina di un nuovo organista nella persona di Johann Friedrich Bach [48]. Le autorità non mostravano di aver preclusioni nei confronti di Bach e, del resto, non vi fu risentimento da alcuna delle due parti;
a Conrad Meckbach e ai suoi famigliari Bach continuó a dimostrare amicizia: il di lui figlio Paul Friedemann fu chiamato da Johann Sebastian a tenere a battesimo il primogenito maschio Wilhelm Friedemann [66] (BD II, 51).
274
CAPITOLO
SECONDO
Le opere giovanili
BIBLIOGRAFIA
Johannes Mürter, Motivsprache und Stilart Vergleich zu derjenigen in der vorgeblich Bachschen pp. 38-71; Friedrich Brumz, Der junge Bach, Bach-Gesellschaft Schaffhausen, Societas Bach Wolfenbüttel-Zürich 1967.
des jungen Bach, insbesondere im Lukaspassion, in BJ XIX (1922), Jahresgabe der Internationalen internationalis, Möseler Verlag,
19. Praeambulum.
Col venir meno del rapporto di lavoro stabilito a Mühlhausen si chiude l'ineffabile prima parte della vita di Bach e, conseguentemente,
della sua attività creativa. Dovendo distinguere fra una Jugendmusik, emergente
da situazioni fluttuanti caratterizzate da tentativi, propo-
siti, inclinazioni a cogliere l'esperienza altrui, e una Kunstmusik in cui il concetto stesso di arte, appunto, & perfettamente compiuto,
maturato e finalmente segnato dall'impronta della personalità, si potrà indicare in quel momento storico — il giugno 1708 — lo spartiacque che separa il versante della giovinezza da quello dell'umanesimo cosciente e integrale. L'attesa primogenitura avallerà tosto, sul piano della vita dei sentimenti famigliari, il principio di distinzione che s'impone prepotente sul piano della vita artistica. Già si & accennato alle difficoltà d'individuare in quale maniera si sia effettivamente sviluppato il talento di Johann Sebastian, in quali 215
Gli anni giovanili (1685-1708)
termini si ponga la questione del suo apprendistato: alla base culturale fornitagli dal regolare corso scolastico (alla Lateinschule di Eisenach, al liceo di Ohrdruf, alla scuola-convitto di Lüneburg) si era sovrapposta la tenace opera didattica appresa in famiglia, iniziata dal padre e proseguita sotto la guida dello zio e del fratello maggiore; ma lo stimolo che gli veniva dal desiderio di apprendere tutto e subito aveva mosso la sua tempra d'indagatore delle altrui opere, sicché la condizione dell'autodidatta gli era divenuta a tal punto congeniale da farsi in lui permanente e indelebile. All'apprendimento e all'approfondimento, si dirà in altro modo, Bach non rinunció mai.
Il patrimonio musicale disponibile in famiglia gli forní 1 primi supporti conoscitivi, quei principalia fundamenta dai quali si sviluppò poi
tutta la sua esperienza di compositore. Conscio di dover provvedere alla salvaguardia dei valori espressi dalla progenie, già Johann Ambrosius aveva iniziato l'opera di raccolta delle opere dei Bach organizzandole in un'antologia sufficientemente articolata, che avrebbe potuto proporsi anche come silloge di esempi ad uso scolastico. Quella silloge, poi significativamente intitolata Alt-Bachisches Archiv! —
un archivio
di- documenti
musicali, dunque,
in cui il vecchio,
l'antico (alf) era sinonimo di «storico» — era stata continuata da Johann Sebastian ed era pervenuta, infine, al maggior depositario dei beni bachiani: il di lui figlio Carl Philipp Emanuel [67]. La maggior parte del fondo musicale di proprietà di Carl Philipp Emanuel era stato poi acquistato — lo si & visto — da Georg Pólchau, emerito collezionista e dal 1833 al 1836 (anno della sua morte) bibliotecario della Singakademie di Berlino: la prestigiosa raccolta del Pölchau era stata poi divisa (1841) fra la Biblioteca di Stato di Berlino, che ne ebbe la parte più consistente, e la Biblioteca della Singakademie; il
fondo bachiano in possesso di quest'ultima, infine, passó alla massima biblioteca berlinese nel 1854, ma
il manoscritto dell A/t- Ba-
chisches Archiv risultava già perduto. Nove di quelle venti composizioni tuttavia erano state pubblicate, sebbene malamente (con tagli o aggiunte, secondo i casi), ad opera di Johann Friedrich Naue, Musikdirektor all’Università di Halle ?. Soltanto negli anni del primo conflitto mondiale Max Schneider riusciva a ricostruire gli sparsi frammenti di quell'antologia che egli pubblicava unitamente ad altre opere vocali?. Il corpus delle musiche a noi pervenute dei predecessori di Johann Sebastian comprende a tutt'oggi novantaquattro composizioni, cinquantasei delle quali strumentali. Ne riporto qui il dettaglio indicando, ove esista, il numero di catalogo dello Schneider (Sch.)*. Le sigle EDM e MBF abbreviano quanto è specificato in nota 3. Si tenga presente che l'ordine col quale le venti composizioni appartenenti all Alt- Bachisches Archiv sono indicate alle pp. 84-85 del catalogo del 276
Johann Christoph Bach [29]. Dipinto di anonimo contemporaneo (Berlino, Archiv für Kunst und Geschichte).
Gli anni giovanili (1685-1708)
fondo musicale di Carl Philipp Emanuel Bach, & il seguente: nn. 18, 1959-1557 21 75:282; 70, 23.2800, 071160 722 N.
Sch.
JOHANN 30
Organico
Autore - Titolo
TE Edizione
[17]
Sei nun wieder zufrieden, mottetto a 8 v. (doppio coro)
SSAT-ATTB e org.
Unser Leben ist ein Schatten, mottetto su corale a 9 v.
SSATTB-ATB
rus latens) (e org.)
J. Michael B.); EDM
Weint nicht um meinen Tod, aria
SATB e org.
EDM
I, 3
Ich danke dir Gott, cantata per la 172 Domenica dopo la Trinità (datata: Erfurt, 29-1-1681)
SSATB SSATB
EDM
II, 1; MBF
Nun
SATB
Naue,
3 (come op. di
J. Michael B.); EDM et
31
(cho-
Naue, 7 (come op. di I, 2; MBF
HEINRICH [19]
ist alles überwunden,
aria
(ripieni) (favoriti), 2
vl, 2 vle e cont.
(e org.)
(anche attribuita a Johann Christoph [29] datata: Arn-
EDM I, 15 (come autore ignoto)
stadt, 6-7-1686)
GEORG CHRISTOPH [26] Siehe, wie fein und lieblich ist, cantata a 7 per compleanno
TTB (soli), vl., 3 vle
EDM
II, 2; MBF
da gamba, violone e
org. JOHANN
CHRISTOPH
[29]
Es ist nun aus, aria funebre
SATB
EDM
I, 16
Mit Weinen hebt sichs an, aria (1691)
SATB e org.
EDM
I, 17
Der Gerechte, ob er gleich. zu zeigt stirbt, mottetto a 5 v.
SATTB e org.
Naue,
1; EDM
Der Mensch, vom Weibe geboren, mottetto a 5 v.
SSATB
EDM
I, 18
Fürchte dich nicht, mottetto
SATTB e org. EDM
I, 19
a
(e org.)
(e org.)
I, 20
DEVI
14
68
Sei getreu bis in den Tod, mottetto a 5 v.
SSATB
Herr, nun lássest du deinen Diener, mottetto a 8 v. (doppio coro)
SATB-SATB
Ich lasse dich nicht, mottetto a
SATB-SATB
Naue, 9; numerose altre ediz. nel sec. XIX
SATB-SATB e org.
Naue,
(e org.)
8 v. (doppio coro)
15°
66
Lieber Herr Gott, mottetto
a
8 v. (doppio coro) (dicembre 1672) 16
67
Unsers
Herzens
Freude,
mot-
4; Breitkopf &
Härtel, Leipzig (A. Fareanu) SATB-SATB e org.
tetto a 8 v. (doppio coro)
Bote
&
Bock,
s.
a.
Berlin
s. a. («Musica Sacra», vol. 16, n. 18)
278
Gli anni giovanili (1685-1708) Sch.
17
Autore - Titolo
Organico
Edizione
Die Furcht des Herren, cantata
SSATB (soli), SATB
EDM
II, 8
(coro), 2 vl, 2 vle,
fag. e cont.
18
69
Es herub sich ein Streit, cantata
SATBB-SATTB,
2
vl., 4 vle, fag., 4 tr., timp. e cont.
19
20
71
70
Meine Freundin, du bist schón,
SATB
cantata per nozze
vl, 3 vle, violone e cemb.
Herr wende dich, « dialogus» a
SATB, 2 vl., 2 vle, violone e cont.
9 (Erfurt, 1671) 21
Ach,
dass
ich
Wassers
EDM
II, 9
gnug
A (solo), vl., 3 vle, vcl. e cont.
Breitkopf & Härtel, Leipzig 1911 (M. Schneider)
Wie bist du denn o Gott in Zorn, lamento
B (solo), vl, 3 vle
DDT, 53/54, 1916 (M.
e cont.
Seiffert; sotto il nome
76
Sarabande, con 12 variazioni
clavicembalo
77
Aria Eberliniana pro dormiente
clavicembalo
hátte, lamento
22
(soli e coro),
Leuckart, Leipzig 1911 (G. Schumann); MBF
58
di J. Ph. Krieger)
24
Camillo
25
81
variata,
Neue Bach-Gesellschaft
XXXIX
15 variazioni
(23-3-1690) Praeludium und Fuge ex Dis
Steingräber, Leipzig 1892 (H. Riemann)
(1940), quad.
2 (C. Freyse)
organo lo)
(clavicemba-
in A. G. RITTER, Zur
Geschichte
des
Orgel-
spiels, Hesse, Leipzig 1884, II, n. 103; MBF 82
Choraele welche bey währendem Gottes Dienst zum Práambuliren gebraucht werden können
26
1. Ach Gott vom sieh darein
27
2. Helft mir Gottes Güte preisen (Von Gott will ich
28
3. Aus tiefer Not
organo
(M. Fischer)
Himmel
nicht lassen)
29
4. Ein feste Burg
30
5. In dich hab ich gehoffet
31
6. Vater unser im Himmelreich
32
7. Es woll uns Gott genädig
33
8. Allein zu dir Herr Jesu Christ
34
9. Wir glauben all an einen Gott
35
10. Wir glauben all an einen Gott
Bärenreiter, Kassel 1929
Herr
sein
219
Gli anni giovanili (1685-1708) N. 36
Sch.
Organico
Autore - Titolo 11. Nun
lob mein
Seel den
Herrn
37
12. Nun
freut
euch
lieben
Christen (Es ist gewisslich an der Zeit) 38
13. Nun
lasst uns Gott dem
Herrn (Wach auf mein Herz und singe) 39
14. Wenn wir Nöten sein
in
höchsten
40
15. Durch Adams
4
16. Es ist das Heil uns kommen her
42
17. Ich ruf zu dir Herr Jesu
43
18. Auf meinen lieben Gott
dA
19. O Herre Gott, dein gótt-
45
20. Herr
Fall
Christ
lich Wort
Christ,
der
einig
Gottes Sohn
46
21. Dies sind die heiligen zehn Gebote
47
22. Wo Gott zum Haus nicht
48
23. Wenn mein Stündlein vor handen
49
24. Mit Fried und Freud ich fahr dahin
50
25. Meine
gibt sein Gunst
Seele
erhebt
den
Herrn
51
26. Allein Gott sei Ehr
in der Hóh
52
27. Herr Jesu Christ dich zu
53
28. Liebster Jesu wir sind hier
54
29. Wo Gott der Herr nicht bei uns hilt
55
30. Erhalt uns Herr bei dei-
56
31. Kommt
57
32, Wär Gott nicht mit uns dieser Zeit
uns wend
nem
Wort
her zu mir
58
33. Ach Gott und Herr
59
34. Jesu der du meine Seele (Alle Menschen müssen sterben)
280
"— Edizione
Gli anni giovanili (1685-1708) N.
Sch. —Autore - Titolo
60
35. Erbarm dich mein o Herre Gott
61
36. Ach Herr Sünder
62
37. Gott sei gelobet und gebenedeiet
63
38. Jesus Christus unser Heiland der von uns
64
39. Wie
schón
Organico
Edizione
SATTB con strum. (cornetto, 4 trb.) e org.
Naue, 5; EDM
I, 5
Naue, 6; EDM
I, 6
Naue, 2; EDM
I, 7
armen
mich
leuchtet
der
Morgenstern
65
40. Ich dank dir lieber Herre
66
41. Aus meines Herzens Grunde
67
42. Ich dank dir schon
68
43. Christ der du bist helle) Tag
69
44. Warum betrübst du dich mein Herz
20220
71
21
(der
JOHANN MICHAEL [30] Das Blut Jesu Christi, mottetto su corale a 5 v. Herr, wenn
ich nur dich habe,
SATTB
(e org.)
mottetto su corale a 5 v. 72
22
VO
25
74
27
Ich weiss,
dass
mein
Erlòser,
SATTB,
violone
e
mottetto su corale a 5 v.
org.
Unser Leben währet siebenzig Jahr, mottetto su corale a 5 v.
SATTB e org.
EDM
I, 4
SSATTB
EDM
I, 8
Sei
lieber
Tag
willkommen,
(e org.)
mottetto a 6 v. 75
36
SATB-ATTB
e org.
EDM
I, 13
Fürchtet euch nicht, mottetto su
SATB-SATB
(e
EDM
1I, 11
corale a 8 v. (doppio coro)
org.) (e
EDM
I, 10
(e
EDM
I, 12
SATB-SATB
e org.
EDM
I, 14; MBF
SATB-SATB
e org.
Naue,
8; EDM
Dem
Mensch
ist gesetzt, mot-
tetto su corale a 8 v. (doppio coro) 76 77 78
34 33 35
Halt, was du hast, mottetto su
SATB-ATTB
corale a 8 v. (doppio coro)
org.)
Herr,
du lässest mich erfahren,
SATB-ATTB
mottetto su corale a 8 v. (dop- ^ org.) pio coro) 79
37
Herr, ich warte auf dein Heil,
mottetto su corale a 8 v. (doppio coro) 80
32
Nun hab’ ich überwunden, mot-
tetto su corale a 8 v. (doppio coro)
281
I, 9
Gli anni giovanili (1685-1708) N.
Sch.
Autore - Titolo
81
42
Ach
Edizione
Organico
bleib bei uns,
Herr Jesu
Christ, cantata a 10
— SATB,
2 vl, 3 vie,
EDM
II, 7
fag. e org.
82
18
Ach wie sehnlich wart’ ich der Zeit, cantata
S (solo), vL, 3 viole da gamba, violone e org.
EDM
II, 4
83
17
Auf, lasst uns den Herren loben,
A (solo), vl., 3 vleda
EDM
II, 5
cantata
gamba, violone e org.
Es ist ein grosser Gewinn, can-
S
EDM
II 3
tata
3 vl. e cont.
84 85
16 —
Liebster Jesu, hór mein Flehen, dialogo per la Domenica« Reminiscere »
Choralbearbeitungen
(solo),
vl. picc,
ATTB (soli), 2 vl, — 2 vle, violone e org.
EDMIL
6
DDT, 26/27, 1907 (M. Seiffert)
organo
86
45
1. Wo Gott der Herr nicht bei
87
46
2. Wenn mein Stündlein vor-
88
47
3. Von Gott lassen
will ich nicht
MBF
89
48
4. Wenn wir in höchsten Nö-
MBF
uns hält handen ist
E
ten sein
90
49
5. Dies sind die heiligen zehn
91
50
6. In dich hab
Gebot
ich gehoffet
Herr
92
51
7. Allein Gott in der Hóh sei
93
52
8. Nun freut euch lieben Chri-
94
—
Ehr
sten g'mein
Aria con 15 variazioni
A. Cranz, Leipzig s. a. (LA. Zellner; trascr. per armonium)
clavicembalo
Il patrimonio che Johann Ambrosius aveva voluto raccogliere nell Alt- Bachisches Archiv e che Johann Sebastian si prese poi cura di perfezionare, per tramandare un documento
significativo, di storia
patria oserei dire, comprendeva opere esclusivamente vocali; quelle
strumentali — e in senso stretto le organistiche — non vi erano rappresentate forse perché la pratica quotidiana, il dovere d'ufficio nel servizio presso chiese e cappelle fornivano modelli sicuri e, co-
munque, numerosissimi. Ma se una raccolta di modelli di corali per organo occorreva, questa era già stata provvista da Johann Chri-
stoph [29], lo zio che autorevolmente s'era imposto nel mondo musicale di Eisenach. Abbiamo già avuto occasione d'intrattenerci brevemente su quella raccolta
(cfr. p. 214); qui converrà 282
aggiungere
che le
Gli anni giovanili (1685-1708)
quarantaquattro brevi composizioni che la costituiscono sembrano
sottintendere una prassi d'improvvisazione: quelle pagine sono sem-
plici schizzi, canovacci, scheletri e schemi sui quali erigere edifici piá elaborati, esecuzioni piá profonde ed accurate che superino i limiti imposti da un contrappunto semplificato, procedente attraverso ovvie sequenze di terze e seste parallele. Nel medesimo tempo, la brevità di quelle pagine & in funzione di una preoccupazione di carattere liturgico: quella di preparare l'intonazione dei corali veri e propri da parte della comunità dei fedeli. Le composizioni sono tutte tracciate secondo un unico formulario architettonico: un breve fugato (sezione polifonica) sul primo versetto introduce ad una tessitura meno dispersiva e lineare (sezione omofona) e raramente vi sono impiegate piü di tre parti. Tuttavia, sembra che il musicista abbia avuto cura che
non venisse mai meno l'impressione, il senso di una polifonia più estesa, a quattro o cinque parti reali (cfr. BD III, 666; il necrologio
pubblicato dal Mizler nella Musikalische Bibliothek). I brevi corali — non si dimentichi l’impiego nell’intitolazione del concetto di praeambuliren — ricordano per certi aspetti i lavori di Samuel Scheidt e di Johann Rudolf Ahle, è il Geiringer a dircelo, e s'inseriscono in quel filone dell’artigianato musicale liturgico che aveva vita effimera e che, tuttavia, si alimentava con il flusso delle nuove leve, sempre saldamente ancorate al principio di una scuola, di una tradizione locale. Un principio, questo, che non era facile superare e che, per ciò stesso, dava
vita a saggi musicali di gusto arcaico: pertanto, solo nel contatto diretto con la comunità dei fedeli l’organista trovava, insieme alla rispondenza funzionale, il segno espressivo e quel tanto di colore e di calore necessari affinché il linguaggio musicale non ne uscisse mortificato. Le opere di Johann Christoph scomparvero subito dalla circolazione una volta che l'autore morí; ma qualche debole traccia era rimasta (una sua composizione, la n. 22 del nostro elenco, era preservata a Lüneburg nella Biblioteca della Michaelisschule insieme con una cantata — vedi la nota 4 — di suo padre, Heinrich); stupisce, tuttavia,
che Johann Gottfried Walther, che pur era legato da rapporti di parentela con i Bach, non trovasse il modo nel suo Lexikon (1732) di menzionare i lavori organistici di Johann Christoph, la cui memoria sarebbe stata ancora venerata da Carl Philipp Emanuel: il Forkel, che nel discorrere brevemente dell'organista di corte di Eisenach non riusciva a trovare parole diverse da quelle dettate nel Necrologio pubblicato da Mizler, non mancava di sottolineare l'ammirazione che
Carl Philipp Emanuel dimostrava per lo zio di suo padre. — Anche l’esilissima notizia fornitaci da Walther sul conto di Johann Michael — del quale si limita a dire che scrisse « sehr viele KirchenStücke, starcke Sonaten und Clavier-Sachen » (moltissime composizioni 283
Gli anni giovanili (1685-1708)
da chiesa, robuste sonate e pezzi per tastiera) — non pare rendere giustizia ad un compositore che ancora il Gerber all'inizio dell'Ottocento mostrava di apprezzare. Di Johann Michael si conoscono attualmente, fra le altre opere, otto corali per organo, come
si è visto;
ma il Gerber nel suo Neues Historisch-Biographisches Lexikon der Tonkiinstler (1812) citava una raccolta di 72 verschiedene fugirte und figurirte Choralvorspiele, molti dei quali seguiti da 6, 8 o 10 variazioni. E aggiungeva trattarsi di opere nelle quali, compatibilmente con lo stile dell’epoca, regnava una grande molteplicità e varietà, e delle quali nessuna era indegna del nome di Bach. Limitando l'osservazione ai soli otto corali superstiti, si può dire che si tratta di composizioni abbastanza semplici, non molto originali ed esemplate su modelli che Johann Michael doveva avere facilmente a portata di mano, quelle di Johann Christoph, ad esempio, o quelle di Pachelbel e, in prospettiva pit lontana, quelle di Scheidt (come dimostrano i tre versetti del Wenn wir in höchsten Nöten sein).
20. Le opere per organo.
BIBLIOGRAFIA GENERALE André Pırro, L’orgue de J. S. Bach, Fischbacher, Paris 1895; Harvey GRACE, The Organ Works of Bach, Novello, London 1922; Hans Lórrrzm, J. S. Bachs Orgelprüfungen, in BJ XXII (1925), pp. 93-100; In., J. S. Bach und die Orgeln seiner Zeit, Bericht über die 3. Tagung für Deutsche Orgelkunst in Freiberg i. Sa., Bärenreiter, Kassel 1928, pp. 122 e sgg.; A. EacLEFIELD-Hutt, Bach’s Organ Works, London 1929; Reinhold Srerz, Die Orgelkomposition des Schülerkreises um J. S. Bach, in BJ XXXII (1935), pp. 33-96; Gotthold FROTSCHER, Zur Problematik der Bach-Orgel, ibid., pp. 107-121; In., Geschichte des Orgelspiels und der Orgelkomposition, vol. II, Verlag Merseburger, Berlin 1936, pp. 849-969; Hermann Kzrren, Unechte Orgelwerke Bachs, in BJ XXXIV (1937), pp. 59-82; Francois FLORAND, J. S. Bach. L'oeuvre d'orgue, Ed. du Cerf, Paris 1946; Norbert Durourca, J. S. Bach, le maítre de l'orgue, Floury, Paris 1948 (2.a ediz. Picard, Paris 1973); Hermann KzrreR, Die Orgelwerke Bachs. Ein Beitrag zu ihrer Geschichte, Form, Deutung und Wiedergabe, C. F. Peters, Leipzig 1948; Fernando GERMANI, Guida illustrativa alle composizioni per organo di J. S. Bach in forma di programma secondo l'ordine delle esecuzioni svolte dall'autore nella Chiesa di S. Ignazio in Roma, De Santis, Roma
1949; Putnam ALDRICH, Ornamentation in J. S.
Bach’s organ works, Coleman-R oss, New-York 1950; Rudolf WALTER, Themen gregorianischer Herkunft in J. S. Bachs Orgelwerken, in «Musik und Altar» II (1950), pp. 174-178 (anche in « Musique und Liturgie » n. 16/17, 1950, pp. 18-20); Karl MATTHAEI, J. S. Bachs Orgel, in Bach-Gedenkschrift 1950, a cura di Karl MarrHaz, Atlantis Verlag, Zürich 1950, pp. 118-149; Hans Krorz, Bachs Orgeln und seine Orgelmusik, in « Die Musikforschung » III (1950), pp. 189-203;
284
u FE
Gli anni giovanili (1685-1708)
Werner Davi, J. S. Bachs Orgeln, Aus Anlass der Wiedereröffnung der Berliner Musikinstrumenten-Sammlung, Berlin 1951; Walter Emery, The Compass of Bach’s Organs as evidence of the date of his Works, in « The Organ » XXXII (1952),
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20.1. I corali. BIBLIOGRAFIA
Hans LEDTKE, S. Bachs Choralvorspiele, in BJ XV (1918), pp. 1-96; Charles Sanford Terry, Bach’s Chorale, vol. II: The Hymns and hymn melodies of the organ works, Cambridge University Press, London 1921; Hans L6FFLER, Die Choralpartita « Ach, was soll ich Sünder machen», in BJ XX (1923), pp. 31-56; Fritz DIETRICH, J. S. Bachs Orgelchoral und seine geschichtlichen Wurzeln, in BJ XXVI (1929), pp. 1-89; Walter Emery, Two unknow pieces by Bach? (su O Lamm - Gottes unschuldig senza BWV), in « The Musical Times » agosto 1954, p. 428; Robert L. Tusrzn, The style ofJ. S. Bach's chorale preludes, University of California Press, Los Angeles-Berkeley 1956; Antoine BONNET, L'année liturgique dans
les chorals pour orgue de J. S. Bach, in « Revue Grégorienne » XXXVII (1958), pp. 182-191, XXXIX (1960), pp. 82-91, XL (1962), pp. 246-253; Georg FEDER, Bemerkungen über einige J. S. Bach zugeschriebene Werke, in « Die Musikforschung » XI (1958), pp. 76-78 (su BWV 759, 762; Anh. 44, 47, 180); Alberto Basso, Il corale organistico di J. S. Bach, in «L’Approdo Musicale » IV (1961), nn. 14-15, pp. 5-263; Henry Ercknorr, Bach’s Chorale Ritornello Forms, in « The Music Review» XXVIII (1967), pp. 257-276; Hermann Zierz, Quellenkritische Untersuchungen an den Bach-Handschriften P. 801, P 802 und P 803 aus dem « Krebs’schen Nachlass » unter besonderer Berücksichtigung der Choralbearbeitung des jungen J. S. Bach (= Hamburger Beiträge zur Musikwissenschaft, I, a cura di Georg von Dapersen), Verlag der Musikalienhandlung K. D. Wagner, Hamburg 1969; 285
Gli anni giovanili (1685-1708) Finn Vero, Nogle betragtninger over Bachtidens registreringspraxis (« Alcune osservazioni sulla prassi della registrazione al tempo di Bach »), in « OrganistBladet » XXXVI (1970), pp. 6-20 (su BWV 768); Ulrich Mzvzn, Zur Einordnung von J. S. Bachs einzeln überlieferten Orgelchorälen, in BJ LX (1974), pp. 75-89; Ernst May, Eine neue Quelle für J. S. Bachs einzeln überlieferte Orgelchoräle, ibid., pp. 98-103; Jacques CHaILLEY, Les Chorals pour orgue de J. S. Bach, A. Leduc, Paris 1974.
NBA/KB IV/3 (Hans Krorz 1962). L'incertezza che costantemente accompagna il cammino dello studioso votato a definire i limiti cronologici dell'opera bachiana appare tanto più grave e compromettente a mano a mano che si tenta di
risalire la corrente del tempo. Il periodo giovanile risulta fortemente corroso dal dubbio: di fronte ad una cinquantina di composizioni, fra quelle di grande o piccola mole, che sicuramente sono opera di Bach, ne stanno altrettante almeno d'incerta attribuzione o che fout
court si possono considerare spurie. Occorrerà subito avvertire che & nel settore cembalo-organistico, piá di quanto non avvenga nel campo della regolare Kirchenmusik, la musica di chiesa con strumenti, che si
concentra la maggior parte dell'attività compositiva del giovane Bach: ed & naturale che cosí sia, dal momento che gli incarichi a lui attribuiti
ad Arnstadt e a Mühlhausen lo avevano visto impegnato soprattutto come organista. E spingendo piü indietro lo sguardo — a Lüneburg o a Ohrdruf addirittura — & ancora con l'ambiente degli organisti che si possono cogliere i punti di contatto più probanti ed interessanti. Arduo, invece, risulterà il compito di chi volesse tentare una clas-
sificazione cronologica delle opere, come più volte è avvenuto, in base a orientamenti
meramente
stilistici
o a canoni tecnici, e conse-
guentemente distinguere un prima e un dopo fra pagine che in realtà possono essere state scritte a Lüneburg o a Arnstadt, a Mühlhausen o, piá tardi ancora, a Weimar; a seconda del criterio seguito e del
tipo di lettura adottato, in mancanza di autografi e in presenza di copie che non sono punto coeve al momento creativo e sovente anzi sono post-bachiane a tutti gli effetti, ne risulterà un diverso quadro cronologico, che potrà oscillare — poniamo — fra il 1700 e il 1715 per dirla in cifre tonde, con vistose manomissioni della logica successione dei fatti. Dato per scontato che agli anni di Arnstadt (1703-1707) dovrebbe risalire la maggior parte della produzione organistica giovanile, sarà bene evitare qualsiasi ulteriore precisazione quando non vi siano clementi sufficienti per pronunciarsi, al fine di evitare che l'ipotesi
acquisti dimensione di prova e il processo alle intenzioni costituisca la grammatica normativa del discorso critico. 286
Gli anni giovanili (1685-1708)
La produzione organistica, che sembra giusto considerare per prima puó essere distinta — e la distinzione & al di là della creazione bachiana — in due blocchi principali: A) le elaborazioni di o su corali; B) le composizioni libere. Di gran lunga pit complesso e vasto è il discorso sui corali che, per maggiore chiarezza di esposizione, cercherò di condurre avendo riguardo alle forme e alle tecniche impiegate. In primo luogo, tuttavia, si dovrà tener presente che disparatissime
sono le fonti contenenti i corali qui specificati e quelli che si assegnano al periodo di Weimar; inoltre risulta alquanto problematico ricondurre tutte quelle fonti ad una fonte primigenia — che comunque non ebbe carattere organico — diretta emanazione della creazione bachiana. Se alcuni di quei frutti furono raccolti dagli allievi, in seguito il collezionismo provocò una proliferazione a catena di manoscritti gli uni derivati dagli altri, aggiungendo nuovo materiale a quello che solerti organisti avevano predisposto per far fronte alle proprie professionali esigenze.
Il principale
manoscritto,
che tuttavia
non
esaurisce
la
materia, è quello già appartenuto alla Amalienbibliothek e qui contrassegnato col n. 72a (BB): originariamente proveniente dal lascito di Kirnberger, il manoscritto (Sammlung von varirten und fugirten Chorálen vor 1. und 2. Claviere und Pedal von J. S. Bach) contiene 31 corali numerati BWV 690-713, 741, 748, 759-761; suo fratello gemello & la raccolta n. 72 della medesima biblioteca, realizzata nel
1788. Fra le altre raccolte, mi limiteró a segnalarne due: quella contrassegnata Poel. mus. ms. 39 della Musikbibliothek der Stadt Leipzig, pervenuta nel 1839 per lascito di Karl Heinrich Ludwig Poclitz (contenente BWV
696, 709, 722, 723, 729-732, 736, 738), redatta
da J. C. Kittel intorno al 1780; e quella BB P 802 del lascito di J. L. Krebs (contenente BWV
714, 717, 720-721, 722a, 727, 729a, 732a,
738a).
= esplicito aggancio ai praeambula di Johann Christoph [29] e allo stile di fughetta caro a Pachelbel si può scorgere in una serie di corali di struttura estremamente semplificata: BWV
1. Christum wir sollen loben schon | Was fürcht'st
696
du, Feind Herodes, sehr
697
Gelobet seist du, Jesu Christ Gottes Sohn ist kommen Herr Christ, der einig Gottes Sohn Lob sei dem allmächtigen Gott
703 698 704
6. Nun komm, der Heiden Heiland 7. Vom Himmel hoch, da komm ich her
701
2. 3. 4. 5.
287
699
Gli anni giovanili (1685-1708)
Qualificate come fughette manualiter —
senza uso del pedale,
dunque — queste pagine, assai brevi e in genere a 3 voci ad eccezione
delle prime due (che sono a 4), rivelano in filigrana una preoccupazione di ordine scolastico e speculativo, nel senso di applicazione dell'ingegno alla tecnica contrappuntistica imitativa, senza rilevare una particolare e specifica inclinazione
strumentale,
che qui è semmai
più di natura cembalistica che organistica. Il modo di disegnare i contorni, le figure melodiche ornamentali, i ripieni contrappuntistici,
riflette l'analogia con certe maniere della toccata o della canzone di Frescobaldi o del suo allievo principale, il Froberger. La tendenza è specialmente visibile, ad esempio,
in Vom
Himmel
hoch, da komm
ich her e in Gelobet seist du, Jesu Christ. Opere di questo tipo, comunque, possono essere considerate come esperienze preliminari (di cui Bach non mancherà di fornire degli esempi anche nell'età matura) per più impegnative elaborazioni contrappuntistiche, come avviene ad esempio nel probabilmente coevo BWV
8. Vom Himmel hoch, da komm ich her
700
in forma di fuga, dall'atmosfera lievemente pastorale (e dunque con pretese espressive, contenutistiche più evidenti) che prevede l’uso del pedale. La minuscola forma della fughetta, tutta tesa a serrare l'elemento melodico in una struttura contrappuntistica rigida, trova un suo opposto nel cosiddetto «corale armonizzato », che fra un versetto e l’altro della melodia opportunamente armonizzata a 4 voci inserisce brevi passaggi cadenzali, nello stile di una «intonazione» (o di una toccata; corale-toccata è il termine usato da Jacques Chailley). Appartengono a questo tipo, che taluno (Meyer) vorrebbe assegnare al periodo di Weimar, ma che dovrebbero invece essere assegnati più verosimilmente agli anni di Arnstadt, i seguenti corali: BWV
9. Allein Gott in der Hóh sei Ehr
715
10. Gelobet seist du, Jesu Christ
722
11. Herr Jesu Christ, dich zu uns wend
726
12. In dulci jubilo
729
13. Lobt Gott, ihr Christen allzugleich
732
14. Vom Himmel hoch, da komm ich her
738a
La destinazione pratica di questi brani poteva essere varia; & presumibile
che
essi
potessero
servire
288
all'accompagnamento
del canto
Gli anni giovanili (1685-1708)
comunitario, appoggiandolo nota per nota, secondo un atteggiamento desunto dalla pratica cosiddetta alternativa in choro et organo; fra una
pausa e l'altra dei versetti corali, l'organista improvvisava dei liberi passaggi, alla maniera di una toccata. D'altra parte, l'insolita disposi-
zione armonica delle parti, disposizione alla quale il pubblico dei fedeli non doveva essere preparato, potrebbe suggerire l'ipotesi che si trattasse semplicemente di esercizi, di esempi didattici, come avverrà piá tardi nell'Orgelbüchlein; lipotesi sembra trovare conferma nel fatto che di alcune di queste composizioni esistono delle versioni semplificate a 2 voci e con i medesimi « passeggiati »; queste seconde versioni (BWV 722a, 729a, 732a) si prestavano, assai meglio delle prime, armonicamente troppo ardite, all'accompagnamento. Comunque, le sei composizioni sopra elencate hanno sapore nuovo; l'attenzione si accende di fronte alla notevole complessità armonica, quella stessa che aveva infastidito i membri del Concistoro di Arnstadt. Particolarmente eccitante & il rilievo delle progressioni cromatiche, delle false risoluzioni, dei continui impieghi di toni peregrini et contrarii, la cui arditezza & spiegabile soltanto con uno spiccato senso dell'improvvisazione, come quello di chi cerchi sulla tastiera combinazioni sonore sempre nuove, senza preoccuparsi di « risolvere »; questi carat-
teri sono ben evidenti nelle prime tre composizioni e particolarmente
nell’ Allein. Gott:
289
Gli anni giovanili (1685-1708)
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Allein Gott in der Hóh sei Ehr (BWV
715), batt. 1-7.
Pit sciolto è il corale Lobt Gott, ihr Christen allzugleich, che rivela
un prezioso senso per la miniatura, mentre più debole è, invece, l'In dulci jubilo che a tratti richiama lo stile delle « intonazioni » arcaiche. Tre fantasie su corale inaugurano una pratica compositiva dagli sviluppi più ampi: BWV
15. Christ lag in Todesbanden
718
16. Valet will ich dir geben 17. Wie schón leucht't uns der Morgenstern
735 739
La prima di queste pagine è un documento assai efficace ed indicativo del modo di operare in quegli anni di noviziato e di avviamento alla compiutezza stilistica, e pertanto le dedicheremo una particolare attenzione. In primo luogo, occorrerà segnalare che una fantasia sul 290
Gli anni giovanili (1685-1708)
medesimo corale del tempo pasquale (ricavato da Lutero nel 1524 dalla sequenza Victimae paschali laudes) era stata realizzata da Georg Bóhm: la popolarità della melodia, fra le piá rappresentative del repertorio evangelico, esigeva il rispetto di una tradizione, la salvaguardia di processi stilistici consolidati e non & senza meraviglia che . Si constata come i compositori, nell'accostarsi a quel materiale melodico, abbiano adottato per lo piá procedimenti arcaici ed evitato di oscurare le figurazioni del canto. Cosi, anche Böhm aveva fatto ricorso a mezzi
tecnici di gusto arcaico, lontani dal tipo di scrittura ornamentale che gli era piü congeniale. Bach doveva
aver conosciuto
il modello
di Böhm’,
articolato
nello stile di un ricercare alla Scheidt, e caratterizzato da una rigida impalcatura contrappuntistica che non conosce momenti di riposo. Al contrario, Bach impone all’apparato melodico un travestimento, di volta in volta modificando l'impianto stilistico e intendendo la fantasia come una catena di episodi di diverso carattere. Nell'ambito della composizione si riconoscono
cinque distinte sezioni; la corri-
spondenza dei versi costituenti la strofa del corale con i segmenti in cui si riparte la melodia del corale dà il seguente schema: verso
melodia
testo
battute
sez.
stile
modello
I
partita
Bohm
canone
Scheidt
III
giga-canone
Buxtehude
Tunder
X
f
A
2
B
Chris lag in Todesbanden
1-7
n 9
Für uns're Sünd gege-
7-13 1 N
ben.
3
A
Der ist wieder erstan-
13-20 ) _
den 4
B
5
E
20-23
wir sollen fróh-
24-33
\ II
lich sein,
6
D
È
E
Und hat uns bracht das Leben. Dess
:
Gott loben und dank-
i
33-42
bar sein
8
E
Und singen Halleluja,
42-61
IN
0
G
Halleluja.
61-77
V
cantusfirmus
Scheidt
Quantunque esile, la composizione propone già una delle caratteristiche dominanti del razionalismo bachiano: la totale disponibilità a circoscrivere il discorso in uno schema stilisticamente multiforme ma organico. Il principio della fantasia — in quanto condizione formale e genere musicale — dà luogo ad una articolazione eterogenea e ricca di contrasti. Se poi si vuole osservare più internamente come
si sviluppa il discorso, allora si coglieranno interessanti particolari 291
Gli anni giovanili (1685-1708)
costruttivi. La sezione I & formata da una specie di dittico, il cui
primo elemento è un bicinium, mentre il secondo è un tricinium; nel primo caso, la figura predominante è quella confinata al grave, in
veste di basso ostinato (di ciaccona), cui si sovrappongono le due entrate della melodia al superius; ma fra una proposta e l’altra del canto ornato stanno dei brevi «passeggiati» strumentali:
un prae-
ludium (batt. 1-3), un inter-ludium (6-7) e un post-ludium (11-13), tutti realizzati con la sola figura del basso. Analogo & il comportamento della seconda parte del dittico (13-23), con la differenza, tuttavia, che in questo caso la «base» su cui si regge la melodia & a 3 voci: un prae-ludium (13-15), un inter-ludium (18-20) e un post-ludium (23) costringono il corale in una morsa, in un'unitaria convergenza formale.
E se l'avvio del corale risponde ad un modello degno di Bóhm, la natura contrappuntistica dei brevissimi intermezzi che ornano la seconda parte rispecchia suggerimenti che palesemente provengono da Buxtehude (superflua ne & l'esemplificazione) e che Bach continuerä ad utilizzare anche nelle grandi opere della maturità. La vera e propria fantasia ha inizio con la sezione II (con la prescrizione allegro): il procedimento & a canone e, secondo il commento del Dietrich, si riallaccia alla terza variazione della fantasia sull'omonimo corale contenuto nella Tabulatura nova di Scheidt (parte II, 5). La
sezione III svolge un elemento ritmico (in 12/8) caratteristico dei movimenti di giga inseriti nei corali di Buxtehude (il Dietrich cita a mo’ di esemplificazione la fantasia Nun freut euch, lieben Christen g mein e le battute 98-139 di Gelobet seist du, Jesu Christ). La sezione IV è un brano «in eco » alla maniera di Tunder; vi si possono distinguere
due momenti: il primo (batt. 42-52), comprendente una sequenza di cinque elementi ciascuno costituito da «tesi» e «antitesi» (opposizione fra forte e piano, altrimenti detta in una lezione anteriore Riickpositiv e Oberwerk), presenta la progressione tonale di SOL-LADO-RE-MI; il secondo (batt. 52-61), costituito da una sequenza di tre dei suddetti elementi, segue la progressione di SOL-RE-DO. Il giuoco dei contrasti è accentuato dal fatto che la cosiddetta antitesi, la risposta in eco, avviene un'ottava sotto; si dovrà, inoltre, considerare
che la prima sequenza (quella formata da cinque elementi) è interamente costruita sulla prima semifrase del versetto corale (E), mentre la seconda è costruita tanto sulla prima semifrase (tesi), quanto sulla seconda semifrase (antitesi). La fantasia termina con una sezione V sul versetto dell'Halleluja; dal punto di vista formale si tratta di un'elaborazione contrappuntistica a 2 voci su cantus firmus, presentato tre volte, al tenor, al cantus e al bassus, quest'ultima con la melodia
(cinque note discendenti per gradi congiunti e di uguale durata) al pedale. A questa vox principalis si oppone un motivo figurato che ha 292
Gli anni giovanili (1685-1708)
il suo punto di partenza in una forma variata della melodia delI Halleluja: Es. 2
u Hal.le.lu. ja Se la tecnica nell'episodio precedente ricordava i passaggi in eco assai frequenti nelle composizioni di Tunder, quest'ultimo episodio ha una struttura ancora piü arcaica e si riallaccia ai modelli forniti dalla Tabulatura nova. La Fantasia super: Valet will ich dir geben (cum pedale obligato)* è inquadrata in un'atmosfera di religiosa pietà. L'elaborata tematica barocca che lo contraddistingue da capo a fondo fa di questo corale uno degli esempi più interessanti delle maniere giovanili di Bach: proiettata nella sfera dello stile nordico (quasi come un proseguimento della linea tracciata da Tunder), svela momenti di convincente abilità strumentale e di equilibrato slancio ritmico, nonostante una certa
monotonia
inventiva.
Il termine «fantasia» che Bach ha voluto
applicare alla pagina è in realtà inesatto 0, quanto meno, poco appropriato, ma era nel costume di Bach dare il nome di fantasia alle
composizioni più ampie ed elaborate con il cantus firmus al pedale: ciò avverrà, in particolare, nelle composizioni di questo tipo databili al periodo di Weimar, mentre in precedenza il termine era stato impiegato per indicare corali di specie diverse. L'ultima delle tre fantasie in questione, Wie schön leucht't uns der Morgenstern, quantunque pervenutaci autografa (BB/SPK P 488: fra i corali dell’epoca giovanile condivide il privilegio col solo corale dal medesimo titolo, BW V 764, incompleto; si tratta, anzi, del pit antico
autografo bachiano, anteriore al 1707), è stata indicata pit volte come opera dubbia”. Ma il Dadelsen pare aver risolto ogni controversia in merito, pronunciandosi a favore della sua autenticità, nonostante
il fatto che l’opera risulti stilisticamente debitrice nei confronti di Buxtehude; qui il cantus firmus è condotto fra le varie voci a turno;
l'uniformità della tessitura polifonica è resa più brillante con l'introduzione di frequenti mutamenti ritmici, giuochi concertanti, sincopi,
passaggi virtuosistici. 293
Gli anni giovanili (1685-1708)
A] principio stilistico del corale su cantus firmus si possono ricondurre 1 seguenti brani: BWV
18. Ach Gott vom Himmel siehe darein
741
19. Erbarm dich mein, o Herre Gott
721
20. O Lamm Gottes, unschuldig
:
21. Vom Himmel hoch, da komm ich her
— 738
Opera sicuramente giovanile e per un certo aspetto immatura è
il primo di questi corali (con cantus firmus al pedale), che tuttavia si distingue per il particolare dell'introduzione, nell'ultima parte, di un doppio pedale, evento rarissimo anteriormente a Bach (solo tentato da Tunder e da Lübeck) e che Bach stesso realizzó in non piá di due o tre occasioni. Singolare & il caso di Erbarm dich mein, o Herre Gott,
che non ha riscontro in altri corali organistici bachiani: la pagina per un verso & debitrice di Böhm (nel carattere arioso accordale e ostinato dell'accompagnamento) e per un altro è incline ad abbracciare le maniere di Buxtehude (linea melodica priva di ornamentazione, uso della dissonanza)*; ma sotto sotto si potrà già cogliere il modello tipico degli adagi dei concerti solistici veneziani. O Lamm Gottes, unschuldig (che non figura nel catalogo dello Schmieder e di cui il Klotz che per primo l'ha pubblicato nulla ci dice)? è,
come il precedente, un corale con cantus firmus al superius, ma qui esaltato da una « pre-imitazione » sulle prime quattro note del corale e da un uso del mordente nell'esposizione della melodia. L'ultimo corale di questo gruppo & una trasformazione in chiave di composizione su cantus firmus (al superius) dell'omonimo corale armonizzato (BWV 7382) di cui si è già detto: i liberi « passaggi » fra un versetto e l'altro del corale sono qui inquadrati non piá in un sistema
meramente
armonico,
ma
in un
contesto
contrappuntistico
(imitativo). La nuova versione è, in pratica, un probante e vistoso esempio di integrazione a tavolino di una scrittura che nella prima versione era schematica e approssimativa. Parenti prossimi dei corali appena citati sono i seguenti tre iscritti
all'albo dei corali-mottetto:
BWV
22. Gott, durch deine Güte | Gottes Sohn ist kommen
724
23. Herr Gott, dich loben wir
725
24. Vater unser im Himmelreich
737
294
Gli anni giovanili (1685-1708)
Il primo corale ci & pervenuto tramite un'unica fonte e quivi scritto secondo il sistema dell'intavolatura organistica tedesca. La fonte che lo riporta è il cosiddetto Andreas Bach-Buch *°; l'opera manifesta una maniera contrappuntistica piü vicina a Pachelbel, con procedimenti di imitazione tematica ricavati dalla cellula melodica del versetto iniziale del corale e, come pare logico negli stilemi propri del coralemottetto, con ammiccamenti a strutture di tipo vocalistico. Herr Gott, dich loben wir & la versione tedesca del Te Deum laudamus.
Il corale organistico bachiano potrebbe essere stato concepito per
l'accompagnamento
al canto
della comunità.
L’opera, di cui non
esiste più una fonte manoscritta (il Griepenkerl nel pubblicarla per primo aveva utilizzato una copia realizzata dal Forkel), ha carattere monumentale e prelude ai grandi corali contrappuntistici della maturità. L'inno paleo-cristiano è qui esposto mottettisticamente per omnes versus a 5 voci. I precedenti esempi forniti da Tunder e da Buxtehude non paiono aver particolarmente influito sulla struttura dell’opera che ha carattere piuttosto arcaico e che, per impegno costruttivo, supera tutte quelle del periodo giovanile bachiano (le battute sono 258!).
Dopo un inizio che segue ancora il principio dell’armonizzazione nota contro nota, si assiste ad un progressivo ampliamento ed incremento della scrittura polifonica (specialmente a partire dal versus « Hilf deinem Volk ») con frequenti posizioni cromatiche (particolarmente
al
«Nun hilf uns, Herr» e al « Zeig'uns deine Barmherzig-
keit ») e con passaggi armonici audaci, assai simili ai corali armonizzati di cui già si & detto (BWV 715, 722, 726, 729, 732, 738a). Alla magnificenza del testo corrisponde, pertanto, una ferrea e possente
disciplina musicale, indubbiamente un poco arida e monotona, ma nutrita della piá pura tecnica mottettistica di discendenza rinascimentale, la quale conferisce
alla melodia
del corale una
straordinaria
virtá sonora. Il lavoro, per altro, mal si regge come corale autonomo e tradisce la sua destinazione, tipicamente funzionale, di accompagnamento strumentale al coro, o meglio, di composizione « sostitutiva ». L'aderenza alla lettera del testo, infine, è molto relativa; le
ventisei sezioni in cui la pagina si spartisce hanno, approssimativamente, il medesimo carattere.
Alla monotonia della realizzazione contrappuntistica si aggiunge l'uniformità ritmica richiesta dalla squadrata simmetria della melodia originale, che Lutero
volle spezzare
e intendere
antifonicamente,
sicché ogni emisticchio & alternativamente cantato dal primo e dal secondo coro. Analogamente, Bach ha suddiviso ogni frase in due semifrasi di pari lunghezza e quasi sempre osservando il ritmo di cinque battute piá cinque battute (fanno eccezione i versetti 1 e 5 Amen che sono spezzati in due semifrasi di quattro battute ciascuna e l' :
295
Gli anni giovanili (1685-1708)
conclusivo di sei battute). I versetti dal 6 all’11 hanno identica musica e Bach ha prescritto la ripetizione per sei volte consecutive della medesima elaborazione polifonica. Arcaismo di scrittura e una certa predilezione per le armonie cromatiche convivono pure nel Vater unser im Himmelreich (BWV 737), esclusivamente condotto manualiter: formalmente, il brano si richiama
a certi aspetti della tecnica di Scheidt, privilegiando la tecnica vocale e in genere tutti i procedimenti tipici della scrittura mottettistica che erano particolarmente cari ai maestri tedeschi delle scuole nordiche e che trovavano un ovvio corrispettivo nella polifonia sacra praticata nei paesi tedeschi nel corso di tutto il XVII secolo. Al di sopra di questo complesso ma non esaltante panorama di corali organistici, di volta in volta richiamantisi a modelli che confluiscono nella grande triade dell'epoca (Bóhm, Buxtehude e Pachelbel), ma che in alcuni casi riflettono le esperienze di Johann Christoph Bach e quelle piá arcaiche d'uno Scheidt e di un Tunder, al di sopra di questo panorama,
dicevo, stanno come
testimoni capitali le tre
serie di partite su corale: BWV
25. Christ, der du bist der helle Tag, 7 partite
106366
26. O Gott, du frommer Gott, 9 partite
767
27. Sei gegrüsset, Jesu gütig, 11 partite
768
Il «sistema» in cui s'iscrivono i corali giovanili — il piano non era, a quanto sembra, organico, ma Bach aveva già adottato il principio della pluralità degli stili — era il sintomo di una vocazione che tendeva ad «eccitare» e sviluppare lo sforzo creativo a mano a mano che il compositore acquisiva esperienza; allo scopo di poter dominare la materia e manifestare le proprie capacità in ogni tipo, in ogni schema musicale, pur nel ristretto ambito del corale organistico, Bach si era
-impossessato della storia, aveva fatto appello alla propria forza di volontà per incrementare, una volta accettato un determinato modello, il processo compositivo, investirlo di problemi che erano di stile, di lingua, di «funzionalità», di coerente e rigorosa rispondenza al
concetto d'una musica regolare, che tale era innanzi a Dio prima che agli uomini. E le opere nascevano contemporaneamente per la vita pubblica e per quella privata, adempivano alle esigenze del servizio liturgico e a quelle dettate dalla personale: predisposizione all'apprendimento e nell'uno e nell’altro caso erano portatrici di edificazione spirituale,
poiché
servivano
la chiesa
conservazione del focolare domestico. 296
e promettevano
la mistica
Gli anni giovanili (1685-1708)
. E nel contatto con Böhm a Lüneburg e prima ancora nello studio intrapreso ad Eisenach e a Ohrdruf delle opere di Pachelbel che Bach dovette sentire lo stimolo a comporre in quella forma. Sullo slancio delle partite create da quei due maestri, Johann Sebastian dà vita ad
una serie di pagine che già indicano una piena maturità di pensiero,
un modo d'intendere lo sviluppo a variazione in maniera personale e originale. E soprattutto con le partite di Böhm che il parallelo torna
evidente; ma il tono di mondanità e di casalinga cerimoniosità che &
tipico del cembalismo di Böhm (tanto nel caso di Böhm quanto nel caso di Pachelbel le partite su corale avevano destinazione cembalistica, erano manifestazioni semi-devozionali della Hausmusik) si muta, almeno in alcuni episodi, in una più energica e convinta « affezione » religiosa. Tuttavia, caratteristica generale di queste pagine resta ancora la tendenziale disponibilità a condurre il discorso in maniera tale che esso si presti al consumo sul cembalo più che allo sfruttamento sull'organo: solo le ultime partite di ciascuna serie, in genere, prevedono l’impiego del pedale. Il rispetto della tradizione maggiormente affermata (Sweelinck, Pachelbel, Bòhm, per non dire del Frescobaldi delle partite profane) sembra indicare una scelta precisa da parte del musicista, al quale forse non dovevano mancare esempi di innovazioni tentate da esponenti di altre correnti, come Vincent Liibeck che nella serie incompleta di partite su Nun lasst uns Gott dem Herren aveva claborato una composizione inequivocabilmente organistica, con pedale obbligato. E gli organisti di casa, zii, fratelli, cugini che fossero, dovevano
avergli inculcato l’idea di pareggiare con loro il conto anche nel campo della partita. Di Johann Bernhard [36], che non figura fra i maestri rappresentati
nell'Alt-Bachisches
Archiv,
si conosce
un
esempio di
partite su corale: Du Friedefiirst, Herr Jesu Christ, quattro variazioni — tante quante sono le strofe del corale — precedute da una semplice armonizzazione della melodia di base. Non ci fermeremo ad illustrare ogni singola variazione, ma non ci esimeremo dal sottolineare il principio costruttivo sul quale è realizzata la prima: un bicinium, come era nelle consuetudini legate a questa prassi cembalo-organistica ".
1
Guardiamo più da vicino le tre composizioni bachiane. La maniera di Bóhm si nota, specialmente per quanto riguarda le prime due serie di partite, nel trattamento del bicinium, nella disposizione ritmica che talvolta segue i movimenti della suite cembalistica (specie dell'allemanda e della giga), nello stilema melodico tipico dell’aria operistica italiana, nel giuoco relativamente ristretto del contrappunto. La composizione risulta vincolata ad una concezione che non risponde più alle esigenze del tempo e che il musicista traduce magari con 297
d
Gli anni giovanili (1685-1708)
convinzione, ma non con quello slancio che dà vita e vigore alla vocazione musicale bachiana. Se si considerano queste pagine con le opere successive, di qualsiasi genere e forma, si puó avvertire qui un senso di artificio, di innaturalezza; si tratta piuttosto di una manifestazione scolastica, degli ultimi stimoli di una moda ormai decaduta (si pensi che, contemporaneamente a Bach, il solo Walther affronterà la forma
della partita su corale). Ció non elimina, naturalmente, certi specifici meriti; e occorre dire, anzi, che le partite bachiane sono probabilmente
le migliori che la storia della musica per strumenti a tastiera ci abbia lasciato. Un'unità stilistica & certamente evidente nei primi due cicli di partite, mentre il terzo (Sei gegrüsset, Jesu gütig) rivela qualche discontinuità, per il fatto di essere stata scritta in piü riprese e in epoche diverse. Le partite su Christ, der du bist der helle Tag sono sette, tante quante sono le strofe del cantico (testo di Erasmus Alberus, 1556;
melodia contenuta nel Gesangbuch dei Fratelli Boemi, 1556). Il primo brano è, secondo la consuetudine, una semplice armonizzazione del corale, mentre la variazione seguente è, stando sempre alla tradizione imposta da Sweelinck, Scheidt e Pachelbel, un bicinium, in cui la parte del basso è svolta con una certa elasticità e con un senso dell’ostinato,
tipico delle figurazioni ritmico-melodiche barocche; lo strumento imitato in questa parte sembra essere la viola da gamba. Delle variazioni seguenti notiamo: la partita III è forse la migliore ed è l’unica
che riveli in embrione ‘una certa interpretazione del testo; le par-
tite IV, V e VI si accordano pit precisamente con la tecnica cembalistica dimessa e uniforme di Pachelbel; nella partita VI si noterà poi la vicenda ritmica che riduce la pagina ad un'autentica giga. L'ultima partita, l'unica col pedale, ha carattere decisamente organistico e richiama, nella sua frantumazione ritmica, la maniera della scuola nordica, in particolare di Buxtehude, con figure che al Paum-
gartner hanno ricordato i tipici atteggiamenti della tecnica dell’hoquetus
medievale; del resto, non è questa un'eccezione nell'opera bachiana e
nello stesso settore del corale organistico pit volte s'incontreranno figurazioni del genere che, se da un lato rappresentano un curioso residuo del passato, dall'altro sono caratteristiche ben congeniali allo stile barocco pit ricercato. Le partite su O Gott, du frommer Gott non si discostano apparentemente dalle precedenti, quantunque esse rivelino una musicalità più attraente ed un superiore livello di maturità. La serie delle nove partite corrisponde alle nove strofe dell'inno di Johann Heermann (1630) e, almeno in alcune sue parti, è evidente il tentativo di un’interpretazione musicale del testo, come suggerirebbe la marcata applicazione del cromatismo,
specialmente
nella partita VIII, 298
che è un
autentico
"
Gli anni giovanili (1685-1708)
«lamento » alla maniera di Froberger e di Pachelbel e che Bach ripeterà con una certa frequenza in quegli anni. Complessivamente, la melodia (che fu pubblicata in un canzoniere di Hannover nel 1648) subisce un trattamento ben piü variato, rispetto a quello previsto nel precedente ciclo, e la stessa introduzione di controsoggetti, figurazioni o «diminuzioni » del nucleo tematico originario risulta ben più interessante. Sin dal bicinium, che costituisce la partita II, si possono notare
una maggiore vitalità nel disegno della voce inferiore e un pit acuto orientamento della fantasia. Le cinque partite seguenti formano un blocco di particolare interesse, poiché sembrano obbedire ad un concetto alquanto avanzato e più moderno della variazione: infatti, esse sembrano derivare sostanzialmente l’una dall’altra. Si notano in
comune alcuni brevi frammenti di materiale tematico e insistenti analogie: un salto di ottava nel basso, un altro salto di quarta suggerito dal tema del corale (e i due salti nelle partite IV, V, VI, VII si com-
binano in vario modo), una progressione discendente (particolarmente marcata
nelle partite III, V, VII), una base ritmica sostanzialmente
uniforme, una certa tendenza al cromatismo, una altrettanto evidente
predilezione per la scrittura cembalistica tipica della toccata virtuosistica. Le ultime due partite sono pagine di notevole bellezza e interesse; nella scrittura non sembra esservi posto per l'organo. La partita VIII, come si è detto, è una specie di « lamento »: il cromatismo, già vagamente preannunciato nei brani precedenti, vi esplode, impressionando per la sua forza costrittiva. L'esempio bachiano, pur nella sua rigidità cromatica, che indubbiamente risponde ad un «affetto» del tempo,
ad una maniera rettorica, non si confonde con gli analoghi tentativi dei suoi predecessori o contemporanei. L'artificio, quantunque visto-
sissimo, è piegato al servizio di un modo d’intendere la musica che
sin da questo momento rivela le sue grandi risorse e la sua singolarità:
299
Gli anni giovanili (1685-1708)
O Gott, du frommer Gott (BW'V 767), partita VIII, batt. 1-6.
Una volta di piá, il cromatismo di questa pagina & un pretesto (anche se la coincidenza con un testo particolarmente adatto possa suggerire una certa giustificazione alla condotta della pagina), ma il pretesto si eleva al valore di condizione necessaria, di strumento espres-
sivo. La mutazione stessa nell'interno del brano (in special modo nell'episodio conclusivo) evita genialmente la meccanicità del procedimento che avrebbe potuto rivelarsi, se impiegato con minor circospezione e attenzione critica, anche stucchevole.
L'ultima partita ha una scrittura speciale: vistosa per la sua ampiezza e per la varietà degli episodi, onde la composizione sembra articolarsi come
una «fantasia» a sé stante piü che come
una variazione,
essa
si ricollega tuttavia, per certi elementi della prima parte, alle partite
del gruppo centrale, ma subito se ne distacca per gli improvvisi effetti eco e per i suoi motivi evidentemente chiaroscurali. La partita & divisa in quattro sezioni, ma mentre le prime due sezioni mantengono una certa uniformità dinamica, le ultime due sono accompagnate da
specifiche prescrizioni, rispettivamente andante e presto. La particolare
struttura della pagina, quasi unica nella forma della partita su corale (ma un mutamento di tempo, presto-adagio-presto, si trova anche alla fine della partita VII di Wer nur den lieben Gott lässt walten di Böhm) ha suggerito al Keller la supposizione che Bach avesse voluto tradurre in modo singolare l'ultima strofa del cantico; non si potrebbe escludere, d'altra parte, che Bach abbia ricercato un effetto strumentale
spettacolare e coloristico. 300
Gli anni giovanili (1685-1708)
La terza serie di partite, quelle su Sei gegrüsset, Jesu giitig (BWV 768), presenta problemi di cronologia di vasta portata. Difficile parlare di datazione concreta !*: la ricostruzione delle fasi attraverso le quali puó essere passata la composizione & del tutto ipotetica ed empirica & la verifica delle conclusioni cui si puó giungere disponendo unicamente di elementi di differenziazione stilistica. Un'opinione convalidata dal
piü o meno tacito consenso di vari studiosi distingue, nell'ambito delle
mne partite in cui si articola la composizione, tre momenti crono-
ogici:
a) partite I, I, IV, X b) partite III, V c) partite VI, VII, VIII, IX, XI
c. 1700-1702 c. 1707-1708 c. 1708-1717
Come dire: Lüneburg-MühlhausenWeimar. Nonostante il fatto che la sezione più consistente di partite appartenga ad un momento, quello di Weimar, di cui non ci siamo ancora occupati, sarà bene trattare della composizione in questa prima fase dell'attività giovanile in quanto è in questa che Bach ha formulato le premesse per un discorso che in seguito egli ha voluto perfezionare, convalidando il principio a lui carissimo della coesistenza della pluralità degli stili. In un certo senso, la composizione può costituire il veicolo più giusto ed illuminante per poter cogliere il senso del processo artistico bachiano. Altra questione importante è la relazione esistente fra il numero delle variazioni e il numero delle strofe dell'inno (testo di Christian Keymann, anteriore al 1662, e melodia di Gottfried Vopelius, 1682),
questione che il Luedtke ha esaminato in profondità, ma che non è stata ancora del tutto risolta. I Gesangbücher dell'epoca forniscono dati alquanto discordanti: cosí, il Gesangbuch di Lipsia, curato dal Vopelius (1682) prevede 5 strofe, quello di Lüneburg (1702) 6 strofe, quelli di Weimar (1681) e Darmstadt (1699) 7 strofe. Sembra, comunque, che in origine la composizione di Bach comprendesse soltanto 5 parti (il corale armonizzato e 4 variazioni: I, II, IV, X) in corrispondenza
delle 5 strofe nella versione data da Vopelius; il fatto sarebbe dimostrato da un manoscritto berlinese (BB P 802 dove il Sei gegrüsset figura all'ultimo posto, cc. 348-355, e copiato da Johann Tobias Krebs nella citata versione in 5 parti). Per contro, un manoscritto di Königsberg (Universitätsbibliothek, Mus. ms. 15.839) aggiunge a
quelle, nell'ordine, le variazioni III, V, VII, XI, IX, VI, VII, fra le
quali le variazioni III e V sono forse contemporanee o comunque di pochissimo posteriori alle prime. Pertanto, se si prende in considerazione il Gesangbuch di Lüneburg, alle 6 strofe dell'inno corrisponderebbero le variazioni I, II, IV, X, III, V, mentre il corale armonizzato 301
Gli anni giovanili (1685-1708)
sarebbe una semplice introduzione; lo stesso criterio, tuttavia, potrebbe valere per i Gesangbücher in cui il cantico & in 7 strofe: in tali casi, il corale armonizzato non sarebbe un'introduzione, ma la « traduzione » musicale della prima strofa. Nel manoscritto di Kónigsberg le 11 variazioni non sono segnate sotto il titolo Sei gegrüsset, Jesu gütig, ma sotto quello di O Jesu, du edle Gabe, che & un cantico per la comunione in 10 strofe su cui Walther ha anche scritto una ciaccona. Non è possibile « decifrare» la situazione e riconoscere quale sia stato i| piano seguito da Bach nell'organizzare quest'opera; sembra comunque che l'opera possa essere divisa nel seguente modo: introduzione (corale armonizzato) — 10 variazioni (corrispondenti in parte a Sei gegrüsset, Jesu gütig e in parte a O Jesu, du edle Gabe) — brano finale di tipo concertistico (variazione XI «in organo pleno »). Tralasciando altre questioni filologiche e venendo a considerare la sostanza: dell'opera, balza subito evidente l'ecclettismo che la governa:
é un lavoro composito in cui confluiscono diversi stili e maniere. Un sondaggio analitico dell'opera dovrebbe, in primo luogo, tener conto della prospettiva formale dei singoli brani; il numero delle voci varia da 2 a 5; il pedale compare in cinque variazioni (VI, VIII, IX, X, XI); la struttura di volta in volta ha una diversa configurazione:
troviamo la forma del mottetto (var. X), del corale ornato (var. I), del corale figurato già vicino ai modelli dell'Orgelbüchlein
(var. VI,
VIII, IX). Anche le fonti di ispirazione sono di vario genere: incontriamo modi tipici di Bóhm (var. I, II), di Pachelbel (var. III, IV, V), di Buxtehude iib VI, IX), di Tunder (var. X). Ma ció che maggiormente impressiona è la enorme « distanza » che separa stilisticamente i vari brani: è impossibile un confronto, poniamo, fra la var. IIIe la var. VII, o fra la var. I e la var. VI, o fra questa e la var. X.
La troppa diversità fra una pagina e l’altra fa supporre che l’opera sia il risultato di uno studio di forme, pit che il frutto cosciente di
un dovere compiuto per ufficio. Alla semplicità delle variazioni che furono scritte per prime, si contrappongono la salda scienza e la vivace fantasia delle ultime; in particolare, le variazioni VI, VII e IX, che
costituiscono una specie di trittico unitario (vi è sottintesa in tutte la forma del «corale in trio») emergono sopra le altre e la VIII, addirittura, anticipa le astratte figurazioni delle variazioni canoniche Vom Himmel hoch, da komm ich her; in ogni caso, le tre pagine sembrano
quasi degli esercizi preparatori (se il termine non suona offensivo a Bach) alla tecnica dell'Orgelbüchlein e mostrano i segni più interessanti dell’irrequieta sensibilità bachiana. Alcune pagine (come le variazioni V, VI, VIII) colgono in pieno la disposizione poetica del musi-
cista; in esse si compie la definitiva costruzione del mondo bachiano, 302
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Il corale Wie schön leuchtet der Morgenstern BWV 739, primo autografo bachiano accertato, anteriore al 1707 (Berlino, BB/SPK P 488).
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Gli anni giovanili (1685-1708)
gradatamente sviluppatosi fra innumerevoli risoluzioni artistiche, ma
senza tentennamenti o indugi, seguendo soltanto il logico processo storico, giorno dopo giorno, quasi speculativamente, come se si trattasse di scoprire e conoscere ció che & veramente essenziale. In questo senso, le partite su Sei gegrüsset, Jesu gütig sono la rappresentazione pit
straordinaria del carattere dell'uomo Bach: dimostrano l’infinita ricchezza del suo divenire e insieme del suo operare nella vita quotidiana con la volontà e la forza di chi ne conosce il fine. Se i corali sino ad ora citati sono tutti opera di Bach — e, almeno,
tali risultano all'attuale stato degli studi — qualche incertezza esiste per una serie di opere: BWV
1. 2. 3. 4. 5.
716 745 702 719 705 .
fuga canone fughetta mottetto fuga
6. Gelobet seist du, Jesu Christ
723
mottetto
7. Herr Jesu Christ, dich zu uns wend
749
fughetta
8. 9. 10. 11. 12. 13.
Allein Gott in der Hóh sei Ehr Aus der Tiefe rufe ich Das Jesulein soll doch mein Trost Der Tag, der ist so freudenreich Durch Adam's Fall ist ganz verderbt
Herr Jesu Christ, mein’s Lebens Licht Ich hab’ mein’ Sach’ Gott heimgestelli Ich hab’ mein’ Sach’ Gott heimgestellt In dulci jubilo Nun freut euch, lieben Christen g'mein Nun ruhen alle Walder
^ 750 ^ fughetta
707 ^ mottetto 708 _armonizzato 751 mottetto 755 fughetta 756 fughetta
14. Vater unser in Himmelreich
762
ornato
15. Wir glauben all’ an einen Gott, Schöpfer
765
mottetto
Mi soffermeró soltanto su qualcuna di queste pagine, incominciando dall'Allein Gott in der Hóh sei Ehr, composizione alquanto sospetta, ma d'un certo interesse. Lo stile & un poco arcaico e presenta
la fuga quasi come una propaggine del ricercare e della fantasia rinascimentali. La fuga & a 3 voci, nel metro di 3/2; dopo la terza
entrata del soggetto (al pedale) sul primo versetto del corale, viene introdotto (batt. 28) 11 motivo del secondo versetto, variato con un accorto procedimento per semiminime, mentre il soggetto originale
compare, in note eguali, soltanto al pedale (batt. 40); il tema iniziale ritorna alla misura 57 due volte esposto in progressione dal tenor e dal superius. Sullo slancio di quest'esposizione, 304
si forma
un
terzo
Gli anni giovanili (1685-1708)
episodio (batt. 70), in cui il ruolo melodico è affidato al pedale, con l'esposizione in valori lunghi e uguali, dapprima del tema del primo versetto e poi di quello del secondo, quest’ultimo con una leggera variante. All’analisi, la composizione non può essere definita una fuga, quanto piuttosto un ricercare a 3 voci (meglio diremmo un tricinium) contrappuntistico su due soggetti, con tre episodi distinti: il primo in stile di fuga, il secondo in forma di fantasia su tema dato, il terzo nel
genere dell'elaborazione su cantus firmus. Ecco uno schema che può contribuire a chiarire meglio l’aspetto formale della composizione: I episodio
batt. 1-27
fuga a 3 voci (in due fasi:
19 versetto
batt. 1-19 e 19-27)
II episodio
batt. 28-69
fantasia: a) 28-39 bicinium ^ 29 versetto con note ornamentali di passaggio b) 40-60 tricinium 2° versetto (4046), indi libera elaborazione contrappuntistica c) 60-69 bicinium ^ 19 versetto (già annunciato alla batt. 57)
III episodio
batt. 70-89 — cantus firmus
19 e 2? versetto
La composizione non ha particolari pregi d'arte, ma dimostra un certo travaglio della fantasia creativa; in effetti, la pagina è semplice e lineare ed è costituita da una serie di elementi disposti a mosaico. La stessa esposizione tematica dei due versetti è sempre variata ritmicamente nel corso dei tre episodi: x
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Lo stile & quello tipico di Pachelbel, con frasi brevi e di modesta
estensione melodica e con uno svolgimento piuttosto meccanico, che esclude una « interpretazione » musicale del testo del corale. 305
Gli anni giovanili (1685-1708)
Quanto meno curioso & il caso di Wir glauben all’ an einen Gott, Schöpfer (BWV 765); la composizione, di stile arcaico e assai vicina alla maniera di Scheidt all'inizio del corale omonimo, fa parte di un gruppo di opere a noi giunte attraverso la raccolta di Krebs (BB P 801); in un manoscritto che apparteneva a Roitzsch, l'opera figurava in quattro versetti, ma il manoscritto prodotto da Seiffert e copiato dal Preller & scritto sotto il nome di Bach solo nella prima metà (due versetti). Bach deve aver rinunciato a completare l'opera forse per il carattere monotono ed eccessivamente prolisso della tecnica ivi impiegata.
La Fuga sopra: Durch Adam's Fall ist ganz verderbt (BWV 705) potrebbe aver le carte in regola per essere considerata opera autentica, anche se la nuda esposizione contrappuntistica legata alle maniere di Scheidt e di Pachelbel è, ancora una volta, un notevole esempio di
arcaismo. Bernhard Friedrich Richter l'ha pubblicata nel quadro delle edizioni della «Neue Bach-Gesellschaft » (26. Jahrgang) come mottetto, ritenendo quella composizione un brano di cantata che soltanto in un secondo tempo Bach stesso avrebbe adattato all'organo. Il tono dorico sottolinea il carattere mistico della pagina che, a detta del
Paumgartner, è una delle meraviglie più durevoli del giovane Bach, il primo presentimento della Kunst der Fuge. Analogamente, dovrebbe potersi considerare autentico Ich hab’ mein’ Sach’ Gott heimgestellt (BWV 707); la composizione è in stile di corale-mottetto, con frequenti inflessioni cromatiche. La condotta è severa e piena di dignità, senza figure ornamentali: la melodia è presentata in valori di tempo lunghi e uniformi, ma il movimento
contrappuntistico è abbastanza vivace, specialmente negli intermezzi fra un versetto e l’altro; tuttavia, l'eccessiva lunghezza danneggia il carattere generale della composizione, che fra l’altro è di rude sostanza armonica. Un'ampia serie di altri corali, infine, devono considerarsi opere non autentiche; e se in alcuni casi è ormai noto il nome dell’autore
RE AS in alcuni altri l'ipotesi attributiva non pare discostarsi troppo al vero: BWV
1. Ach Gott und Herr
692
attribuito a J. G. Walther
2. Ach Gott und Herr
693
opera di J. G. Walther
3. Ach Herr, mich armen Sünder
742
4. Ach, was ist doch unser Leben
743
5. Auf meinen lieben Gott
744
306
opera di J. L. Krebs
Gli anni giovanili (1685-1708) BWV
6. Christ ist erstanden
746
7. Christus der uns selig macht 8. Gott der Vater wohn’ uns bei
747
9. Jesu, der du meine Seele
752
attr. a J. C. F. Fischer
748
opera di Johann Christoph Bach [29] o di J. G. Walther
10. Liebster Jesu, wir sind hier
754
11. O Herr Gott, dein góttlich's Wort
757
12. O Vater, allmächtiger Gott
758
13. Schmücke dich, o liebe Seele
759'x-"opera- di». Christoph Bach [29] o di G. A. Homilius
14. Vater unser in Himmelreich
760
opera di J. Chr. Bach
15. Vater unser in Himmelreich
761
id.
16. Wie schön leuchtet der Morgenstern
763
17. Wir Christenleut
710
18. Wir glauben all an einen Gott
740
[29] o di G. Böhm
| opera di J. L. Krebs id.
Sarebbe fatica vana e controproducente considerare qualcuna delle pagine sopra citate, e in genere trascurate dagli organisti. Ma due altre opere spurie meritano qualche parola di commento, perché ancor oggi frequentemente abbinate al nome di Bach. Si tratta di due serie di variazioni su corale: BWV
1. Partite diverse sopra: Ach, was soll ich Sünder machen
770
2. Variationen über: Allein Gott in der Höh’ sei Ehr
771
La letteratura critica da cento e pit anni dibatte il problema della autenticità di queste due opere, ma le pit recenti conclusioni paiono definitivamente propense ad escluderle dal catalogo delle composizioni e i dubbi un tempo avanzati sembrano ora certezze ad negandum. Le dieci partite sopra Ach, was soll ich Siinder machen sono pervenute
mediante due manoscritti: l’uno in BB/SPK P 489, un tempo ritenuto
autografo di Bach, fu rinvenuto nel 1873 in Svizzera e fu poi acqui-
stato dalla Kóniglische Bibliothek di Berlino; l'altro (che contiene anche le partite su Sei gegriisset, Jesu gütig) è opera di Johann Ludwig 307
Gli anni giovanili (1685-1708)
Krebs (BB P 802) e manca della prima pagina, cosicché l'opera inizia con la partita II. Le partite I-VIII sono del tutto convenzionali: il bicinium in cui consiste la partita II potrebbe essere firmato indifferentemente tanto dal giovane Bach quanto da Bóhm, col quale anzi le parentele si accentuano nella partita VII nel ritmo di 12/8 (cfr. di Böhm: Jesu du bist allzu schöne, partita XIII). Le partite III, V, VI, VIII
sembrano, invece, piá vicine allo stile di Pachelbel (che su quello stesso tema ha svolto sei partite). La partita IX & un Adagio, in un movimento simile a quello di una sarabanda, con toni delicati e con frequenti alternanze d'intensità sonora; la varietà delle figurazioni
tematiche accenna ad un'impostazione nello stile della fantasia. Questa si dispiega chiaramente nell'ultima partita: un brano eccezionalmente ampio per questo genere di composizione e articolato in più sezioni, caratterizzate da precise indicazioni di mutamento dinamico (come avveniva, lo si & visto, nell'ultima partita di O Gott, du frommer Gott). Ad un breve allegro iniziale fa riscontro, con diversa colorazione
timbrica e dinamica, un episodio un poco adagio, cui risponde nuovamente un allegro, in uno stile imparentato con quello della toccata. La composizione si frantuma poi in una serie di episodi variamente impostati e fra i quali si deve segnalare per la sua particolarità un passagio (cosi definito dall'autore), che è un semplicissimo interludio improvvisato; l'inserzione di ritmi di giga in almeno due frammenti e una « chiusa » nel tempo adagio caratterizzano infine la pagina, secondo
uno stile che si richiama all'arte organistica di Buxtehude e dei maestri nordici. E proprio in quest'ultima più impegnativa pagina che si stenta a riconoscere la mano di Bach: e verrebbe fatto di pensare che, prescindendo da qualsiasi questione di attribuzione, l'opera sia stata
interpolata e, per cosí dire, manomessa, compromettendone l'originale scrittura. Se un nome di autore per quest'opera non risulta dalle carte a nostra disposizione, quello si evince invece per le variazioni su Allein Gott
in der Höh sei Ehr (BWV 771); due delle diciassette variazioni che concorrono a formare la composizione recano il nome di Andreas Nicolaus Vetter (autore delle variazioni III e VIII), ma molto probabilmente autore anche delle altre partite (cfr. BB/SPK P 1143). Il Vetter — lo ricordo — era stato allievo di Pachelbel a Erfurt e, per breve tempo, nel 1690, ne era stato il successore alla Predigerkirche di Norimberga; dal 1691 alla morte (1734) fu organista di corte a Rudolstadt. Il numero elevato di variazioni sembra volerci riportare conla memoria ai tempi della grandiosa elaborazione per variationes del medesimo corale, realizzata da un gruppo di esponenti della scuola tedesca di Sweelinck, intorno al 1630: elaborazione collettiva, quella, consistente in venti partite di diversa ambientazione contrappuntistica. 308
Gli anni giovanili (1685-1708)
Le variazioni dello « Pseudo-Bach » sono chiaramente d'uno stampo che discende dalla scuola di Pachelbel. L’elaborazione procede per lo
piü a 3 voci
(ma la variazione XII & un bicinium), generalmente
conservando integro il tema, ma talvolta presentandolo in « coloratura» (var. XVI) o in figurazione di «ostinato» (var. IV). Ad ogni modo, è nello stile del genere che ciascuna variazione abbia caratteristiche proprie, secondo una casistica convenzionale ma congeniale allo spirito del barocco: cost, ad esempio, la var. VIII è una fuga sulla « testa » del tema, la var. X si presenta sotto le spoglie d'una imitazione a canone, la var. XV è indicata come arpeggio, le var. II e XVII presentano nella voce superiore una figurazione « complementare »!?,
20.2. Le composizioni libere. BIBLIOGRAFIA
Reinhard Opper, Bachs D-dur-Präludium und Fuge für Orgel [su BWV 532], in « Zeitschrift für Musikwissenschaft » II (1919-20), pp. 149-156; Fritz DIETRICH, Analogie-formen in Bachs Tokkaten und Präludien für die Orgel, in BJ XXVIII
(1931), pp. 51-71; G. LAnGEr, Die Rhythmik der Bachschen Präludien und Fugen für die Orgel, Dittert, Dresden 1937; Janos HAMMERSCHLAG, Der weltliche Charakter in Bachs Orgelwerken, in Bach-Probleme. Festschrift zur Deutschen Bach-Feier Leipzig 1950, a cura di Hans-Heinz DräÄcer e Karl Laux, C. F. Peters, Leipzig 1950, pp. 17-37; Walter GERSTENBERG, Zur Verbindung Präludium und Fuge
bei J. S. Bach, in Kongress- Bericht, Gesellschaft für Musikforschung, Lüneburg 1950, pp. 126-129; Walter Emerv, The Dating of Bach’s organ works; the great G major and great G minor as stylistic landmarks, in «The Organ» XXXVIII (1958), pp. 181-187; Hans JenpIs, Zur Wiedergabe der Bachschen Orgeltoccaten, in « Musik und Kirche» XXVII (1958), pp. 248-255; Henry Eickuorr, Bach's ToccataRitornello Forms, in « The Music Review» XXVIII (1967), pp. 1-15; John Ocasapıan, The eight short preludes and fugues: the problem of their date and attribution [su BW V 553-560], in « Art of the organ» II (1972), pp. 17-25.
Poche sono le composizioni organistiche non iscritte nelle varie forme del preludio-corale che possano attribuirsi con sufficiente approssimazione alla prima fascia della speculazione bachiana. Ma il sospetto che quelle opere, come si & già avvertito, appartengano ai primi anni dell'ufficio a Weimar, piuttosto che alle più giovanili esperienze affrontate a Lüneburg, ad Arnstadt o a Mühlhausen, pesa sulla critica stilistica, al punto da sottoporre questo settore della creatività bachiana
ad una tensione quasi insostenibile e sin pericolosa. In questo regno 309
Gli anni giovanili (1685-1708)
del probabile, dove il provvisorio ha largo spazio, sarà dunque difficile
rintracciare il vero sentiero percorso da Bach e il giudizio, pertanto, resterà sospeso, quasi viziato da clementi critici non
conformi
alla
realtà.
Occorrerà sgombrare il campo, in primo luogo, da una serie di opere di dubbia autenticità o manifestamente spurie. Si tratta delle seguenti: BWV
8 Piccoli preludi e fughe Fantasia e Fuga in la minore
553-560 561
op. di Johann Tobias Krebs
Preludio in do maggiore
567
Fuga in sol maggiore
576
Fuga in sol maggiore
573
Fuga in re maggiore
580
Fugain sol maggiore
581
Trio in do minore
585
op. di Johann Tobias Krebs
Kleines harmonisches Labyrinth
591
op. di Johann David Heinichen
L'autorità bachiana & messa in discussione anche nei confronti di due fantasie entrambe in sol maggiore (BWV 571 e 572) di singolare struttura ed eventualmente databili agli anni di Arnstadt, intorno al 1705-06. La prima di queste fantasie (che sono escluse dalla NBA) ci & pervenuta attraverso tre manoscritti; uno di questi in luogo della dizione Fantasia usa titolo di Concerto. 'Tre sono 1 movimenti in cui si articola l'opera e, pertante, risulta in tal modo giustificato il richiamo alla forma del concerto; il modello, tuttavia, & da ricercarsi in Buxte-
hude e la denominazione di concerto ha tutta l'aria di essere stata data a posteriori o per adeguarsi ad una moda o per un errore di valutazione compiuto da un copista disattento, che ha identificato
quello schema tripartito con quello del concerto. In realtà, la composizione & dominata nel primo movimento dallo stile di toccata (che, per altro, ha in comune col concerto almeno certe progressioni e certe cadenze); ma colpisce, soprattutto, l'unitarietà tematica che lega
fra loro le tre parti, facendone quasi tre momenti di un unico discorso. Il finale, poi, è in forma di ciaccona e perciò al di fuori dei principii costruttivi del concerto, sebbene non manchino movimenti di ciaccona,
ad esempio, in alcuni finali vivaldiani. L'altra fantasia (BWV 572) ha tratti di maggiore maturità (e qualche studioso ha proposto date comprese fra il 1718 e il 1725). L'opera si presenta sotto il segno d’uno stile composito, largamente 310
Gli anni giovanili (1685-1708)
eclettico, persino imprevedibile. Nella penombra s'intravede la maniera francese (che Bach aveva conosciuto a Lüneburg e a Celle) di un Nicolas de Grigny o di un Frangois Couperin, col quale ‘ultimo, anzi, l'opera sarebbe imparentata, se si volessero prender per buone le dichiarazioni di Carl Philipp Emanuel
Bach, secondo le quali il
brano trarrebbe le sue origini da una messa per organo del grande maestro francese. Ma i tratti piá significativi denotano un'assimilazione
sin troppo studiata di stile italiano e di stile tedesco nordico. La composizione è tripartita e le indicazioni dinamiche (alquanto rare in Bach) sono date in francese: Très vitement - Gravement - Lentement. Le due sezioni estreme sono di gusto virtuosistico e rispondono alle caratte-
ristiche tipiche della toccata brillante, con figurazioni ostinate che si rincorrono e si riprendono, trasmigrando da un manuale all’altro, in un clima di varietà armonica, particolarmente notevole negli arpeggiati della sezione conclusiva. La parte centrale, molto elaborata ed ampia, si presenta in una scrittura a 5 voci, nella maniera delle cosiddette «durezze » di frescobaldiana memoria, qui esaltate per il tramite dello stile nordico. Il contrappunto, nutrito ed ossessivo, dà luogo a fre-
quenti scontri dissonanti, in una sequenza prestigiosa di accordi arditi e insoliti. E una scrittura di tipo mottettistico, di un gusto « goticheggiante », alla Buxtehude, ieratica e corposa. La durezza dello scontro fra le varie parti, che si muovono per lo pit in fase di opposizione, è sottolineata da una continua alterazione cromatica, sicché
anche le figure «ostinate» ricevono nuova veste sonora per effetto delle variazioni armoniche cui sono continuamente soggette: in qualche modo, lo spirito della ciaccona permea il discorso musicale,
aprendo di tanto in tanto squarci di luminosa chiarezza polifonica. Fra le opere assegnate agli anni giovanili non pare ve ne siano altre sulla cui autenticità sussistano dubbi rilevanti. Questi, invece,
sopravvivono, mente
in materia di collocazione cronologica; tradizional-
si attribuiscono agli anni di apprendistato lavori che, invece,
sono probabilmente di epoca ben piü tarda. Un caso clamoroso in questo senso & dato dal Pedalexercitium (BWV 598) tramandatoci da
un esile manoscritto (BB/SPK P 491), due soli fogli, contenente anche
il frammento di una parte di coro d'una sconosciuta cantata (BWV 224); sicuramente falsa è l'attribuzione agli anni di Lüneburg, cosí come falsa & la notizia che si tratti di un autografo: si tratta, al contrario, di una copia realizzata da Carl Philipp Emanuel, vergata al momento in cui il padre si era impegnato in una improvvisazione al pedale (e, fra l'altro, la pagina non ha una conclusione). Agli anni compresi fra il 1700 (ma pit probabilmente il 1703) e il 1708 (forse anche con qualche incursione nel territorio degli anni di Weimar) si assegnano una dozzina di opere: sette preludi e fughe 311
Gli anni giovanili (1685-1708)
(BW:V 1531; 532/533,5535; 549, 55] 566), due preludi (BWV 568,
569), unà fuga (BWV 575) e la Pastorale (BWV 590). Fra queste opere, due sole sono pervenute in manoscritti autografı, la Fuga in mi minore di BWV 533 (Musikbibliothek der Stadt Leipzig) e la prima delle due versioni del Preludio e fuga in sol minore (BW'V 535a), quest'ultima contenuta nel cosiddetto Móllersche Handschrift, risalente agli anni di Mühlhausen o ai primi di Weimar. La composizione indicata. BWV 533, con molta probabilità databile agli anni di Arnstadt, & un « piccolo » Preludio e fuga (ne esiste anche una variante, BWV 533a) che nulla ha da spartire con i grandi lavori di analoga impostazione formale contemporanei o della maturità. Il preludio consta di sole 32 battute e presenta nella prima sezione un « passeggiato» ai due manuali, interrotto da tre rapide figurazioni di tipo ostinato e da una cadenza al pedale; la seconda sezione, invece, & di
struttura piá contenuta e ritmicamente più regolare. La fuga è lunga 36 battute e fruisce di un tema in sé poco significativo, ma caratterizzato da un abbellimento (un mordente) due volte proposto su una medesima nota: è sufficiente questo particolare per conferire alla pagina un certo interesse e proporre uno « sviluppo » di natura insolita, anche se di breve durata. La prima versione del Preludio e fuga in sol minore (BWV 535a) si presenta incompleta (la fuga s'interrompe alla battuta 65, contro le 77 della versione definitiva). Rilevante, invece, è la differenza fra
le due versioni del preludio: nella prima, qualificata come passeggio, il discorso è contenuto in 21 misure; nella seconda, le battute sono 43
e la sezione centrale contiene una digressione di stile «improvvisato » con ampi e liberi passaggi virtuosistici in velocità, secondo i
modelli di Pachelbel, in progressione cromatica discendente; da notare
ancora nella fuga la concezione grandiosa che risente degli esempi della scuola nordica (Buxtehude) e si chiude con una cadenza toccatistica di grande effetto. Per quanto concerne le altre composizioni congeneri si puó facilmente constatare la notevole diversità d'impianto, sicché il binomio preludio-fuga non acquista qualità stereotipe e stabili, ma si muove in completa libertà di trattamento. Cosí, nel Preludio con fuga in la
minore (BWV 551) i due elementi del discorso si compenetrano a vicenda, dando luogo ad una struttura a sezioni alterne ora di spirito schiettamente toccatistico, ora di contrappunto rigoroso e sempre differenziate anche sotto il profilo tematico, sicché l'opera risulta da un insieme di segmenti, di episodi gli uni accostati agli altri. Al contrario, nel Praeludium et fuga in re maggiore (BWV 532) si assiste ad una netta separazione dei due elementi: il primo è tripartito, con un lungo episodio centrale alla breve nello stile della arcaica toccata di 312
N
Gli anni giovanili (1685-1708)
«durezze
e ligature», mentre
la fuga, di considerevoli
dimensioni
(137 battute, ma una versione anteriore, quella pervenutaci autografa, BWV 532a, constava di sole 98 battute), s’impone per la sua concezione «non tematica», ma determinata da uno spunto di natura spiccatamente ritmica, da una cellula poi sviluppata per germinazione spontanea:
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Praeludium et fuga in re maggiore (BWV 532), inizio della fuga. 313
Gli anni giovanili (1685-1708)
Il Praeludium et fuga in mi maggiore (BWV 566, dalla BG e dallo Schmieder indicato come Toccata) si presenta anche in una versione in do maggiore, probabilmente realizzata a Weimar; ma la particolarità dell'opera sta soprattutto nella monumentale fuga che in realtà è sdoppiata in due fughe di diverso carattere e soggetto (batt. 1122 la prima, batt. 134-229 la seconda), con un intermezzo toccatistico (batt. 123-133) inserito a separare i due episodi. Fra le restanti composizioni del periodo giovanile, la pit significativa e nota è la Pastorale in fa maggiore BWV 590, che s'inserisce in copioso filone illustrato in tutta Europa e tradizionalmente legato' al mondo dei « pifferari » e all'ambiente del Natale. La composizione bachiana adotta alcuni dei procedimenti tipici del genere (l'andamento di siciliana, in 12/8 o in 6/8, il basso di bordone, il procedimento
melodico per terze) ed è evidente il ricorso ad un certo eclettismo stilistico: la ricchezza dell'ornamentazione richiama l'arte organistica francese, ad esempio, ma se un precedente occorre trovare, questo deve essere individuato nelle toccate dell’ Apparatus musico-organisticus
di Georg Muffat (pubblicate a Salisburgo nel 1690), tutte articolate in più movimenti. Anche la Pastorale bachiana è suddivisa in quattro brevi parti, delle quali solo la prima (in un manoscritto indicata come Pastorella) corrisponde alla tipica ambientazione del genere, ed è
l’unica a sfruttare il poderoso sostegno del pedale. Bipartita è la seconda sezione, mentre la terza può essere intesa come un'aria strumentale. L'ultima sezione, pure bipartita, nella sua accentuata vitalità ritmica,
sembra anticipare la soluzione adottata nel finale del Terzo Concerto Brandeburghese:
Pastorale in fa maggiore (BWV
590), ultima sezione, batt. 124-129.
314
Gli anni giovanili (1685-1708) Es. 6B
Violino
I
Violino
II
Violino
III
Viola
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Continuo Violoncelli I-II-III Violone e Cembalo OH wrcort__P_icerolci
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Terzo Concerto Brandeburghese in sol maggiore (BWV 1048), finale.
315
Gli anni giovanili (1685-1708)
a
21. Le composizioni per clavicembalo. BIBLIOGRAFIA
GENERALE
Richard BucHMEYER, Cembalo oder Pianoforte?, in BJ V (1908), pp. 64-93; Karl Ner, Bachs Verhältnis zur Klaviermusik, in BJ VI (1909), pp. 12-26; Wanda LANDOWSKA, Bach und die französische Klaviermusik, in BJ VII (1910), pp. 33-44;
John Alexander FurLer-MAITLAND, J. S. Bach: The Keyboard Suites, Oxford University Press, London 1925; Heinrich Enrtich, Die Ornamentik in J. S. Bachs Klavierwerken. Studien und Erläuterungen, Steingräber, Leipzig s. a.; Yella Prssr,
French Patterns and their reading in Bach’s secular clavier music, in « Papers of the American Musicological Society» 1941 (1946), pp. 8-20; Hans Herıng, Die Dynamik in J. S. Bachs Klaviermusik, in BJ XXXVII (1949-1950), pp. 65-80; Hermann Keırer, Die Klavierwerke Bachs. Ein Beitrag zu ihrer Geschichte, Form, Deutung und Wiedergabe, C. F. Peters, Leipzig 1950; Erich Dortein, Über J. S. Bach und seine Klaviermusik, in « Musikerziehung » II (1950), pp. 195-205; Jörg Demus, Bach am Klavier, in « Österreichische Musikzeitschrift » IX (1954), pp. 7-17; Isolde AnLGRIMM e Erich Frara, Zur Aufführungspraxis der Bachschen Cembalowerke, ibid. pp. 71-77; Friedrich ERNST, Der Flügel J. S. Bachs, Peters, Frankfurt 1955; Erwin Bopky, The Interpretation of Bach’s Keyboard Works, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1960; Josef DıcHier, Bach auf dem modernen Hammerklavier, in « Österreichische Musikzeitschrift » XVII (1962), pp. 574-579; Ray McInTYRE, On the Interpretation of Bach’s Gigues, in « The Musical Quarterly » LI (1965), pp. 478-493; Frederick NEUMANN, The French « Inégales » Quantz and Bach, in « Journal of the American Musicological Society » XVIII (1965), pp. 313-358; Erhard Franke, Themenmodelle in Bachs Klaviersuiten, in BJ LII (1966), pp. 72-98; Werner OEHLMANN, Reclams Klaviermusikführer, vol. I: Frühzeit, Barock und Klassik, con la collab. di Christiane BERNSDORFF-ENGELBRECHT, Reclam, Stuttgart 1968 (su Bach: pp. 150-330); Peter SCHMIEDEL, Zum Gebrauch des Cembalos und des Klaviers bei der heutigen Interpretationen Bachschen Werke, in BJ LVII (1972), pp. 95-103; Hans HERING, Spielerische Elemente in J. S. Bachs Klaviermusik, in BJ LX (1974), pp. 44-69; Henning SIEDENTOPF, Tonartliche Verwandtschaften im Klavierwerk J. S. Bachs, ibid., pp. 70-74; Siegfried HerMELINK, Das Präludium in Bachs Klaviermusik, in «Jahrbuch des Staatlichen Instituts für Musikforschung Preussischer Kulturbesitz», a cura di Dagmar DnovseN, Band IX (1976), Berlin 1977.
BIBLIOGRAFIA
PARTICOLARE
Werner WOLFFHEIM, Die Möllersche Handschrift. Ein unbekanntes Gegenstück zum Andreas-Bach-Buche, in BJ IX (1912), pp. 42-60; Albert Protz, Zu J. S. Bachs « Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo », in « Die Musikforschung » X (1957), pp. 405-408; Isolde AHLGRIMM, Cornelius Heinrich Dretzel, der Autor des J. S. Bach zugeschriebenen Klavierwerkes BWV 897, in BJ LV (1969), pp. 67-77; Elke Krüger, Stilistische Untersuchungen zu ausgewählten
316
Gli anni giovanili (1685-1708) frühen Klavierfugen J. S. Bachs (= Hamburger Beiträge zur Musikwissenschaft, II, a cura di Georg von Dapeısen), Wagner, Hamburg 1970; Hartwig EicHBERG, Unechtes unter J. S. Bachs Klavierwerken, in BJ LXI (1975), pp. 7-49; Reinhold Krause, Zu den Posthornmotiven in J. S. Bachs B-dur-Capriccio BWV 992,
in BJ LXII (1976), pp. 73-78.
Dal punto di vista dell'esegesi critica, il piá tormentato ed intricato dei settori in cui Bach esercitó il proprio talento & quello della musica cembalistica. Accanto alle monumentali ma ben articolate raccolte di carattere didattico o speculativo che egli predisporrà a partire dagli anni di Kóthen (grosso modo dal 1720 in poi) stanno numerose pagine isolate in cui & difficile individuare tanto il segno dell’autenticitä quanto una valida determinazione cronologica. Prima di affrontare la non imponente produzione giovanile sarà opportuno procedere ad una selezione ragionata del materiale a noi versato dalla tradizione correggendo le indicazioni fornite nel suo catalogo da Wolfgang Schmieder, indicazioni che ormai sono largamente superate dagli studi piü recenti e che tuttavia devono essere ulteriormente integrate e perfezionate
in attesa, anche, che si pubblichi il volume critico (V/9) della NBA: Präludien und Fugen, Fantasien,
Tokkaten usw., affidato alle cure di
Siegfried Schmalzriedt. Nel « selezionare » il materiale mi avvarró delle gentili comunicazioni di Schmalzriedt, al quale va tutta la mia gratitudine, e di quanto è stato detto da Hartwig Eichberg. Escluderò dall'elenco le composizioni contenute nel Klavierbüchlein für Wilhelm Friedemann
Bach (ad esempio, BW'V
824, 836-837, 924a, 925, 932)
rimandando per quelle alla trattazione specifica dell'antologia didattica bachiana. Allo stato attuale degli studi devono ritenersi opere non autentiche le seguenti: BWV
1. Allemande in do minore
834
2. Allemande in la minore
835
op. di J. Ph. Kirnberger
3. Allemande e Courante in la maggiore
838
op. di J. Chr. Graupner
4. Sarabande in sol minore
839
5. Courante in sol maggiore
840
op. di G. Ph. Telemann
6. Scherzo in re minore
844
rielab. dovuta ad un allievo di j. Chr. Kittel di uno Scherzo in mi min. (BWV 844a) op. di W. Er Bach
SI
317
Gli anni giovanili (1685-1708) BWV
. Gigue in fa minore
845
. Preludio e fuga in la minore
897
. Preludio e fuga in si bem. maggiore (sul nome B-A-C-H)
898
. Fantasia e fuga in re minore
905
. Fantasia e fughetta in si bem.
907
op. di G. Kirchhoff
908
op. di G. Kirchhoff
op. di C. H. Dretzel
magg.
. Fantasia e fughetta in re maggiore
. Concerto e fuga in do minore
909
. Fantasia in sol minore
920
. Preludio (Fantasia) in do mi-
921
nore
. Preludio in si minore (2 versioni)
923/923a
. Fuga in mi minore
945
. Fuga in mi minore
956
. Fuga in sol maggiore
957
. Fuga in mi minore (incom-
960
piuta)
. Fughetta in do minore
961
. Fugato in mi minore
962
op. di J. G. Albrechtsberger
. Sonata in re minore
964
trascr. op. probab. di W. Fr. Bach, dalla Sonata per vl. solo BWV
1003
24. Sonata in la minore
967
19 tempo, trascr. da una sonata di ignoto autore per uno strumento melodico e continuo
25. Adagio in sol maggiore
968
trascr., op. probab. di W. Fr. Bach, del 19 tempo della Sonata per vl. solo BWV 1005
26. Andante in sol minore
969
DI Presto in re minore
970
28. Sarabande con Partitis in do
990
maggiore
318
op. di W. Fr. Bach
Gli anni giovanili (1685-1708)
L autenticità è messa in dubbio, in maniera piá o meno pronunciata, anche per le seguenti opere: ,
T:
i
.
.
.
.
.
BWV
29. Suite in si bemolle maggiore
821
30. Preludio e fuga in la minore
895
31. Preludio e fuga in la maggiore
896
32. Preludio e fughetta in re minore
899
33. Fuga in do maggiore
952
34. Fuga in la minore
958
35. Fuga in la minore
959
Dieci delle composizioni ora elencate facevano parte della raccolta Schelble-Gleichauf della Mozart-Stiftung di Francoforte sul Meno, ora purtroppo
non reperibile: BWV
844, 897, 905, 920, 923a, 957,
962, 969, 970, 990; a quella stessa raccolta appartengono altre quattro
composizioni elencate da Schmieder in appendice: BWV Anh. 107, 108, 110 (tre fughe sul nome B-A-C-H opera di Georg Andreas Sorge) e BWV Anh. 182 (Passacaglia in re minore di Christian Friedrich Witt). Fra le «fonti» per 1 brani sopra elencati va ancora ricordata la voluminosa antologia già posseduta da Johann Peter Kellner (BB/SPK P 804) contenente, fra l'altro, BWV 899.5907, .908, 956, 961,967, 970.
821, 895, 896,
Rispetto alle conclusioni cui era giunto lo Schmieder devono invece ritenersi autentiche le seguenti opere: BWV
1. Ouverture in fa maggiore
820
2. Suite in fa minore
823
3. Suite in la maggiore
832
4. Praeludium et Partita del Tuono Terzo in fa maggiore
833
ei,
5. Fantasia in sol minore 6. Fantasia sopra un rondò in do minore
918
7. Fantasia in do minore
919
8. Preludio (Fantasia) in la minore
922
9. Fuga in la minore
947
319
Gli anni giovanili (1685-1708)
BWV
10. Fuga in re minore
|
948
11. Fuga in la maggiore
949
12. Fuga in la maggiore su un tema di T. Albinoni
950
13. Fuga in si minore su un tema di T. Albinoni
951
14. Fuga in si bemolle maggiore (trascrizione da J. A. Reinken)
954
15. Fuga in si bemolle maggiore (da una fuga di J. Chr. Erselius)
955
16. Capriccio in honorem Joh. Christoph Bachii Ohrdrufiensis in
993
mi maggiore
Superate le secche determinate dai problemi di autenticità, un altro gravoso impedimento viene a turbare chi si avventura nel settore cembalistico alla ricerca di un approdo sicuro: la cronologia delle opere. Per il periodo giovanile, compreso fra gli anni di studio a Lüneburg e la dichiarazione di fine servizio a Mühlhausen, la critica é propensa a limitare il catalogo delle composizioni cembalistiche ai seguenti numeri: BWV
1. Ouverture in sol minore
822
2. Suite in fa minore
823
3. Suite in la maggiore
832
4. Praeludium et Partita del Tuono Terzo in fa maggiore
833
5. Sonata in re maggiore
963
6. Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo in si bemolle
992
maggiore
7. Capriccio In honorem Joh. Christoph Bachii Ohrdrufiensis in
993
mi maggiore
A queste opere bisognerebbe forse aggiungere le due toccate BWV 912 e 913 che, secondo Schmalzriedt, potrebbero collocarsi negli anni 1705-1708, alla vigilia del periodo di Weimar; ma converrà rinviarne la trattazione ad altro momento, insieme con le altre toccate cembalistiche ascrivibili agli anni di Weimar.
Tre sono le fonti principali delle sette opere sopra elencate: 1) la già citata antologia di Kellner (BB/SPK P 804) contenente BWV 823, 320
Gli anni giovanili (1685-1708)
963 e 993; 2) il Möllersche Handschrift (BB/SPK Mus. ms. 40644) di cui si è detto a suo tempo (cfr. p. 33) che riporta BWV 832 (in parte), 833 e 992; 3) un volume della raccolta Mempell-Preller, già della Musikbibliothek Peters ed ora conservato nella Musikbibliothek der Stadt Leipzig (Ms. 8), contenente BWV 822 (copiato da Johann Gottlieb Preller). Nell'ambito di queste composizioni si possono isolare, come risulta ben evidente, tre momenti: quattro opere sono nello stile e forma della suite di danze, una è intitolata genericamente «sonata» e due adottano la forma del capriccio. Dal punto di vista cronologico, i due capricci si collocano fra i più remoti esempi della tecnica compositiva bachiana. Il primo in ordine di tempo sembrerebbe essere il Capriccio BWV
993, sulla cui autenticità era stato sollevato in passato
qualche dubbio; la data di composizione potrebbe essere anticipata, rispetto a quella tradizionalmente accolta (Arnstadt, intorno al 1704), agli anni di Liineburg dove Johann Sebastian completò il proprio corso di studi. L’opera è intesa come un omaggio al fratello maggiore Johann Christoph [42] nella cui casa di Ohrdruf il giovane allievo aveva raccolto i primi frutti della sua educazione musicale. Né l’antica definizione del Praetorius (1618), che nel capriccio indicava una phantasia subitanea, né la più recente espressione del Brossard (1703), che in tal genere musicale individuava un brano in cui il compositore «donne l'essort au feu de son genie», paiono potersi applicare a questo primo
capriccio bachiano;
il comportamento
bizzarro, stravagante,
formalmente libero, articolato in più episodi è escluso da questa composizione che si presenta in un unico movimento (126 battute), dominato da un solo soggetto intorno al quale l’autore pare divagare alla ricerca di combinazioni contrappuntistiche nello stile di una fuga, ma evitando il rigore che è proprio di quest'ultima forma musicale: ampi squarci a due voci, nello stile di quelle che saranno poi le ‘invenzioni degli anni di Köthen, limitano il tessuto contrappuntistico (di norma a tre voci) che in due momenti (alle batt. 40-46 e nella conclusione, batt. 119-126) cede il passo a passaggi di tipo toccatistico. L'ombra di Frescobaldi, i cui capricci manifestano un'insolita ricchezza
di artifici ritmici e contrappuntistici, abbraccia la composizione bachiana piá di quanto possa sembrare ad un'osservazione superficiale. Di ben diversa natura, e certo lontanissimo
dai modelli fresco-
baldiani, è il Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo (BWV 992), una composizione che fu resa di pubblico dominio da Carl Czerny nel 1839 (nel quarto fascicolo delle Oeuvres complettes pour Pianoforte). L’opera è solidamente legata ad un evento famigliare: la partenza del fratello Johann Jacob [44], compagno di Johann
Sebastian a Ohrdruf, chiamato a far parte della guardia d'onore, in 321
Gli anni giovanili (1685-1708)
qualità di oboista, del re Carlo XII di Svezia, ad Altranstädt. Non si conosce la data esatta in cui si verificó l'evento, che verosimilmente si colloca nel 1704: la composizione, pertanto, si fa risalire a quella
data e, dunque, appartiene al primo anno dell'attività espletata ad
Arnstadt. Sin con troppa insistenza si è sostenuta la derivazione di
tale pagina pluriarticolata dalla raccolta di Johann Kuhnau intitolata Musicalische Vorstellung einiger Biblischer Historien in 6. Sonaten, pubblicata a Lipsia nel 1700 e certamente nota a Bach; in effetti, la composizione obbedisce ad un'idea «programmatica» e prevede lo svolgimento, la narrazione di una vicenda che opportune didascalie, come
avviene in Kuhnau,
contribuiscono
a rendere pit evidente.
Il piano dell'opera & il seguente: 1. Arioso: Adagio. Ist eine Schmeichelung der Freunde, um denselben von seiner Reise abzuhalten (« è una lusinga degli amici per trattenerlo dal partire »). - 17 batt. 2. Ist eine Vorstellung unterschiedlicher Casuum, die ihm in der Fremde kónnten vorfallen («è una rappresentazione delle diverse vicende cui potrebbe andare incontro nel paese straniero »). - 19 batt. 3. Adagiosissimo.
Ist ein allgemeines Lamento
der Freunde
(«è un
generale
lamento degli amici»). - 49 batt. 4. Allhier kommen die Freunde (weil sie doch sehen, dass es anders nicht sein kann) und nehmen Abschied (« qui arrivano gli amici che, rassegnati a non vederlo cangiar risoluzione, prendono congedo da lui»). - 11 batt. 5. Aria di Postiglione. Allegro poco. - 12 batt. 6. Fuga all'imitatione di Posta. - 58 batt.
Il «racconto » è frazionato in più episodi, la cui lunghezza tuttavia è determinata da ragioni puramente musicali, come pare eviderite
anche dal seguente schema predisposto sul numero delle battute di ciascun movimento:
i* 17 1|[2—19 585 3 = 49 4: 11 15.812.581 6 — 58 322
Gli anni giovanili (1685-1708)
Le sezioni finali dei due «blocchi» prevalgono nettamente; nel caso del n. 5 si tratta di un lamento, in forma di passacaglia, che prevede un disegno melodico discendente fortemente cromatico su un basso (non realizzato da Bach), nello stile dei lamenti di Froberger e Pachelbel:
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Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo (BWV 992), n. 3, batt. 1-8 e 29-36.
Nel caso del n. 6 ci troviamo in presenza di una fuga ilcui contro-
soggetto è cavato dal motivo, col caratteristico salto di ottava, +
figura nel brano precedente e che imita lo squillo della Kae a postiglione nota dal Medioevo col nome di Hiefhorn, già utilizzato da altri maestri come Johann Beer (1655-1700). 323
Gli anni giovanili (1685-1708)
Capriccio sopra la lontananza delfratello dilettissimo (BWV 992), inizio dei nn. 5 e 6.
L'impiego del termine « sonata » nell'ambito cembalistico non era ancora molto generalizzato quando Bach decise di impiegarlo in quel di Arnstadt intorno al 1704. Era stato Gregorio Strozzi, nel 1687,
ad utilizzare per primo quel termine nel contesto del repertorio cembalistico, ma solo con Kuhnau, nel 1695, l'accezione aveva trovato
una confortevole collocazione, indicando composizioni in piü tempi (da un minimo di tre ad un massimo di otto, con un modello-tipo stabilizzato su quattro-cinque movimenti). L'unica composizione originale per cembalo che nella produzione di Bach porti il titolo di sonata è quella indicata dallo Schmieder con BWV 963 (nei pochi altri casi in cui il termine figura nel settore per cembalo si tratta di trascrizioni). Il principio strutturale seguito da Bach nella Sonata in re maggiore si discosta notevolmente da quello impiegato nelle sonate polistrumentali. I movimenti sono cinque: un ampio brano introduttivo (123 misure) dalla scrittura prevalentemente accordale, un 324
Gli anni giovanili (1685-1708)
breve episodio in ritmo puntato alla francese (quasi nel gusto d'una ouverture), seguito da un fugato, un adagio (di sole dieci battute) nello stile di un arioso concluso rapidamente con una cadenza toccatistica e, in chiusura, una pagina che sembra ricollegarsi in qualche modo al Capriccio sopra la lontananza con un Thema all’ Imitatio Gallina Cuccu che, partendo da una figurazione a note ribattute ampiamente sfruttata dai maestri italiani tanto in campo cembalistico quanto in campo violinistico, si lancia in ostinate figurazioni ritmiche in cui è prevalente il tipico salto di terza minore discendente del verso del cucu:
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Sonata in re maggiore per clavicembalo (BWV 963), finale, batt. 1-12.
Allo stylus choraicus, alla danza stilizzata Bach si accostó, probabilmente, molto presto, forse sin dagli anni di Lüneburg, al tempo
dei suoi significativi contatti con la natura musicale francese (alla corte di Celle) che a quel mondo governato da numerus et mensura, retto da precise proporzioni e da cerimoniosi gesti prefissati, era fortemente affezionato. Il gusto francese, in effetti, sembra dominare i primi saggi bachiani nel genere della suite, saggi che non presentano il taglio marcato 325
Gli anni giovanili (1685-1708)
dalla regolare successione delle quattro danze fondamentali— allemanda, corrente, sarabanda, giga — ma che, al contrario, si abbandonano ad un discorso in sé «informale », sostenuto senza la coscienza
di dover provvedere ad un ordine interno, come avverrà poi nelle raccolte firmate a Köthen e a Lipsia. Accostati gli uni agli altri, i quattro esempi di suites «giovanili» a noi pervenuti forniscono un panorama dalle linee incerte, apparentemente stimolante, ma in realtà povero di autentici contenuti: e, del resto, solo la pit recente critica si è pronunciata per l'autenticità di tali opere in cui non è mai semplice riconoscere la grande mano di Bach e spesso, anzi, il documento è inerte, anche perché non è confortato da una precisa collocazione cronologica che potrebbe risvegliare attributi nascosti alla nostra vista. Il quadro comparativo dei movimenti delle quattro opere è il seguente (e la lettura è in sé istruttiva): BWV 822
BWV 823
BWV 832
BWV 833
1. Ouverture
1. Prélude
1. Allemande
1. Präludium
2. Aria
2. Sarabande en Rondeau
2. Air pour les Trompettes
2. Allemande
3. Gavotte en
3. Gigue
3. Sarabande
3. Courante
4. Bourrée
4. Bourrée
4. Sarabande
5. Menuet 1
5. Gigue
5. Double
Rondeau
6. Menuet 2
6. Air
7. Menuet 3 8. Gigue
La più remota di tali opere sembra essere l'Ouverture BW'V 822, che è generalmente considerata una trasposizione cembalistica di un'opera di altro autore. La realizzazione bachiana risalirebbe agli anni di Lüneburg e costituirebbe il primo documento di una prassi che più volte sarà messa in atto a Weimar e a Köthen. Opera dei primi anni di attività & pure il Praeludium et Partita del Tuono Terzo BW V 833 (edita per la prima volta in appendice al « BachJahrbuch » del 1912) e tramandataci attraverso il Móllersche Handschrift. La composizione ha una intitolazione arcaica: la tonalità & quella di fa maggiore. Singolare & il taglio formale: l'opera si apre con un preludio in imitazione (fortemente caratterizzato dagli abbellimenti) e si chiude con un air a due voci in imitazione canonica; fra l'una e
l'altra pagina stanno tre danze di non rilevante interesse (ma l'allemande 326
edi1
Gli anni giovanili (1685-1708)
— rileva Wolffheim — ricorda le maniere di Bóhm), l'ultima delle
quali è una sarabande con un double in tempo allegro. Frammenti di una composizione più vasta sono forse i tre brani costituenti la Suite in fa minore (BWV 823): un prélude in forma di rondeau con tre couplets secondo lo schema ABACADA, ciascuno di 8 battute (e Keller ha rilevato la presenza del tipico modello alla Couperin — ma si tenga presente che il Primo Libro delle Pieces de clavecin & del 1713); una sarabande tripartita (e, dunque, en rondeau), con la ripetizione della prima parte dopo la seconda, sicché lo schema in numero di battute risulta 16 + 12 + 16; una gigue in tempo canario.
L'ultima delle composizioni del gruppo è la Suite in la maggiore (BWV 832), il cui tratto caratteristico & rappresentato dall' Air pour les Trompettes, imitazione efficace (ed ingenua al punto giusto) di quelle musiche all'aperto che la moda incoraggiava vistosamente e di cui s’erano avidamente impadroniti anche i chiusi salotti della borghesia cittadina:
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Hs BE 08090 iti RUNE INE HT
LL
ecc.
pour les Suite in la maggiore per clavicembalo (BWV 832), n. 2, batt. 1-6 (Air Trompettes).
327
Gli anni giovanili (1685-1708) 22. Le cantate sacre. BIBLIOGRAFIA
GENERALE
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Il thesaurus musicus raccolto nel famigliare archivio storico bachiano comprendeva esclusivamente
opere vocali: mottetti, cantate, arie, in
un'unica espressione musica concertante da chiesa, devozionale e moraleggiante; e in due casi, quello della cantata Siehe, wie fein und lieblich ist di Georg Christoph [26] e quello della cantata nuziale Meine Freundin, du bist schón di Johann Christoph [29], si avventurava sul rischioso terreno della composizione profana di circostanza. Ma l'antologia dimostrava a fortiori che le vestigia piá interessanti e insieme gli esempi pit edificanti per servire la storia musicale della famiglia venivano e, anzi, dovevano venire dalla Musik per eccellenza, dal-
l'unione di voci e strumenti nella quale si realizzava il consortium perjectum.
Il florilegio radunava opere di Johann [17], Georg Christoph [26], Johann Christoph [29] e Johann Michael [30]. Trascurava, e non poteva essere diversamente (perché altrimenti avrebbe dovuto agganciare un'altra generazione di musicisti, quella cui apparteneva anche Johann Sebastian) due esponenti che pur dovevano segnalarsi nell'imponente Konvolut dei Bach compositori: Johann Bernhard [36] e Johann Ludwig [50]. Del primo si & detto qualcosa discorrendo dei corali organistici. Del secondo converrà ora rammentare che fu sommamente caro a Johann Sebastian. Di questo cugino che dal 1699 alla morte (1731) fu attivo a Meiningen, per lo piá a corte, Johann Sebastian copió di proprio pugno una serie di 17 cantate, 12 delle quali redatte in partitura e 5 in parti separate; la serie, che secondo il Dürr, sarebbe stata eseguita alla Thomaskirche di Lipsia nel 1726,
raduna i seguenti titoli: . Darum säet euch Gerechtigkeit . Darum will ich auch erwehlen . Der Gottlosen Arbeit . Der Herr wird ein neues im Land erschaffen
. Die mit Thränen säen
Die Weissheit kommt nicht . Durch sein Erkändtniss
. Er ist aus der Angst und Gericht NU TON Sq. Foo XO Rs . Er machet uns lebendig LE[e].
Gott ist unsre Zuversicht
. Ich aber ging für dir über
= PETS
. Ich will meinen Geist
- DN
. Ja mir hast'n Arbeit gemacht
TaIos
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14. Mache dich auf, werde Licht 15. Siehe, ich will meinen Engel senden
16. Und ich will ihnen 17. Wie lieblich sind auf den Berg
Secondo il giudizio dello Scheide, un certo numero di cantate
bachiane di quegli anni (BWV 17, 39, 43, 45, 88, 102, 187) rivele-
rebbe il profondo e determinante influsso delle opere di Johann Ludwig, autore di numerose altre composizioni che in un modo o nell'altro s'intrecciano con quelle di Johann Sebastian: 15 mottetti, 3 messe, una Trauermusik per la morte del duca Ernst Ludwig di Sassonia-Meiningen (1724) e altre pagine; ma su quelle opere avremo occasione di ritornare. A questo punto della storia bachiana si deve registrare, invece, la scoperta rivelata dallo Scheide (1959) che l'autografo bachiano (BB/SPK P 476) della cantata Denn du wirst | meine Seele nicht in der Hölle lassen (BW'V 15) non si riferisce ad un'opera propria, ma ad un'opera di Johann Ludwig ancora una volta copiata da Johann Sebastian. La scoperta ci ha forse privati d'un significativo punto di partenza dell'esegesi bachiana, quello che faceva risalire al 1703 (Weimar) il primo contatto reale del musicista con il genere della cantata da chiesa, ma rende piá misteriosa e piá corposa la penombra che avvolge l'alba della creazione bachiana. Volente o nolente, ad Arnstadt Bach aveva dovuto affrontare di
petto le questioni connesse con la produzione e l'esecuzione della Kirchenmusik. La mancanza di un director musices, tanto rimpianta da
Bach — lo abbiamo visto — aveva compromesso il lavoro del musicista, al quale per contratto competevano le sole mansioni legate all'ufficio di organista, ma al quale in realtà si volevano attribuire
anche funzioni direzionali, con il costringerlo ad effettuare le prove con il coro degli studenti, scapestrati, e a esercitare i compiti spettanti ad un Capellmeister. Di quell’esperienza con la musica figurata non esiste altra prova di quella che si ricava, per riflesso, dai documenti ufficiali della causa che oppose Bach al Concistoro cittadino; ma le
insistenti deduzioni su questo punto fanno credere che si sia trattato di cosa non marginale: a quel tipo di musica — indispensabile al culto e radicalmente presente nella formazione professionale e culturale di ogni organista — Bach dovette prestare alquanta attenzione, preparando il terreno alle per noi più concrete e palpabili esperienze di Mühlhausen.
Ma, trasferendosi al nuovo
domicilio, Bach aveva
recato con sé i frutti musicali raccolti ad Arnstadt e li aveva conservati
per l’uso previsto alla Blasiuskirche; il gesto, tuttavia, non ricevette
il giusto premio, ché di quell'insieme di musiche vocali nulla è 331
Gli anni giovanili (1685-1708)
rimasto !^: i fiori sbocciati a Mühlhausen sono dunque i primi preservati nell’hortus di Bach. A Mühlhausen Johann Sebastian aveva dovuto ingaggiare la lotta con la tradizione affermata dagli Ahle e difendere le proprie idee sulla quaestio prima et absoluta della «musica regolare»: una rigida barriera ideologica lo aveva irrimediabilmente diviso dal comune senso e sentimento della Kirchenmusik. Gli Ahle, dunque, in prima fila; con la considerazione acquisita anche per i meriti raccolti in altri campi (la politica o la poesia, ad esempio), Johann Rudolph e Johann Georg Ahle avevano fissato le regole della musica mit singenden und klingenden Stimmen ausgezieret, accomodata cioè per voci e strumenti: il concerto e il dialogo spirituali avevano ricevuto una conformazione particolare e a quella configurazione ci si sarebbe voluti attenere più a lungo se Bach non fosse sopraggiunto, confortato dalle idee attinte agli ambienti delle scuole nordiche e alle esperienze di famiglia, a tentarne la riduzione allo stato di nozione superata. Le innovazioni bachiane, insomma, ave-
vano turbato la quiete musicale in cui ci si era adagiati da mezzo secolo. L'applicatio che si puó riscontrare nelle oltre 120 composizioni spirituali che Johann Rudolph Ahle ci ha lasciato tocca generi diversi: dai dialoghi polivocali alle arie a una o pit voci, dai concerti per lo piá di piccolo taglio ai Lieder con o senza fundamentum (il basso continuo), talvolta muniti di ritornelli, preludi e interludi strumentali; gli organici varianti da 1 a 24 voci denotano la preminenza dello stile omofono, del principio armonico accordale e omoritmico sulle strutture a imitazione o contrappuntistiche, nello spirito di salvaguardia della « popolarità » e facilità di linguaggio; sicché l'anmutige .stylus, lo stile leggiadro, il principio della musica eseguita con amore e fatta auf
Lieblichkeit, per piacevolezza, caratterizza questa musica che sta tra il misticismo dolciastro e la galanteria affettata e interpreta lo stile madrigalistico e arioso, che aveva invaso anche il campo del mottetto con
o senza strumenti,
in chiave di teneri affetti, respingendo
le
soluzioni drammatiche e semmai abbandonandosi alla melanconia e alla nostalgia. E se di un gradino inferiore pare essere la musica del figlio Johann Georg, in questa si troveranno accentuati gli elementi lirici e quell'ingenua semplicitas che invitava alla grazia e alla serenità domestica. Alles was irdisch, muss endlich vergehn, Musica bleibet in Ewigkeit stehn!
[Tutto ciö che & terreno deve alfıne svanire, la musica rimane stabile in eterno].
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Cosí aveva cantato Johann Rudolph Ahle: l'edificio eretto dalla dolce pietas si dissolveva in questi suspiria immacolati e innocenti.
Il fronte sul quale si muoveva Bach, al momento in cui egli aveva preso possesso del posto alla Divi Blasii, era regolato da norme
compositive diverse. Il musicista guardava ai prodotti della scuola del nord, alla cantata, anche se dal punto di vista formale diversa-
mente articolata, quale era stata proposta da Tunder, Hanff, Fórtsch, Gerstenbüttel, Bóhm, Buxtehude su tutti, sensibile allo stile « arioso » € ben attenta alla tecnica concertante. Ma guardava anche, sicuramente,
ai prodotti di casa, specialmente alle cantate di Johann Christoph [29] e di Johann Michael [30]. La produzione superstite — quattro cantate del primo e cinque del secondo — & verosimilmente soltanto un campionario estratto da un ben più ampio complesso di Kirchenmusiken, ma almeno nelle realizzazioni piá ambiziose (valga per tutti il notevole esempio di Es erhub sich ein Streit di Johann Christoph) mostra quelle stesse corde che saranno poi toccate dal giovane Bach: l'impiego d'una sinfonia o sonata d'apertura, l'uso di organici stru-
mentali insoliti e comunque ricchi di impasti timbrici caratteristici, diversità di forme e stili (episodi mottettistici, arie e duetti, fughe, corali). Munito d'un simile viatico e confortato dallo spirito dei padri e dai saldi principii musicali che gli erano stati inculcati o che egli aveva spontaneamente assunto su di sé, Bach si avviava a Mühl-
hausen ad inaugurare il prodigioso monumento al quale lavorò sino al termine dei suoi giorni, calcolando che la musica di chiesa dovesse essere strumento della fede ed epifania dell’arte. Decenni di ricerche non sono stati sufficienti per risolvere i problemi che stringono in assedio le prime cantate bachiane, ma nel corso degli otto mesi di residenza a Mühlhausen si può affermare, con minimo margine di errore, che almeno cinque furono le opere di quel genere: BWV
1. Aus der Tiefe rufe ich, Herr, zu dir
131
4
2. Christ lag in Todesbanden
196
3. Der Herr denket an uns
7
4. Gott ist mein König
106
5. Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit
Sono questi, dunque, i primi passi documentati compiuti da Bach
nell'ambito della cantata; e sarà opportuno porne in evidenza subito i tratti caratteristici. L'applicazione di principii formali comuni — diversi da quelli che si riscontreranno nelle cantate del periodo di Weimar 333
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e nel gigantesco affastellamento del periodo di Lipsia — siglano una continuità di gusto e di esigenza espressiva. Cosí, quattro di queste
cantate hanno un brano strumentale introduttivo (BWV 4, 106, 131,
196), due utilizzano il principio della Permutationsfuge (BWV 71, 196), tre hanno brani mottettistici in stile di fuga (BWV 71, 131,196), quattro abbinano alle arie solistiche melodie di corali (BWV 4, 71,
106, 131).
sata
sa
Con ogni probabilità, Aus der Tiefe rufe ich è la prima in ordine di tempo: ad essa, dunque, spetterebbe il prestigioso primato d'inaugurare la prodigiosa serie delle cantate bachiane. L'anno di nascita è il 1707 e non si può escludere — anzi, è probabile — che essa sia stata scritta per commemorare il tragico incendio che semidistrusse Miihlhausen il 30 maggio 1707. Scartata dai più l'ipotesi avanzata dal Terry che l'opera sia stata eseguita nel primo anniversario dell'evento, e anticipatane la data al 1707, resta da vedere se sia stata presentata in pubblico subito dopo la firma del contratto (15 giugno) che legava Bach alla città o, come opina il Wustmann, nell'agosto oppure, infine, dopo l'effettivo trapianto di Bach in città (metà settembre). L'autografo conservato in una collezione privata di New York (quella della pianista Lilian Kallir-Frank) porta la seguente dicitura finale: « Auff Begehren [su richiesta] Tit: Herrn D: Georg Christ: Eilmars in die Music gebracht von Joh. Seb. Bach Org. Molhusino »; l'organico vocale-strumentale è cosí specificato sul frontespizio: «a una
Obboe. una Violino. doi Violae. Fagotto. C.A.T.B. è Fondamento ». Bach, ‘ dunque, ricevette l’incarico di scrivere codesta cantata direttamente dal pastore della Marienkirche Georg Christian Eilmar, l’ortodosso,
l'appassionato difensore della più pura tradizione luterana contro il deviazionismo predicato dal pastore pietista della Blasiuskirche, Johann Adolf Frohne. E solo una supposizione quella che attribuisce all’Eilmar la composizione del testo, che invece con molta maggiore verosimiglianza può esser stato predisposto da Bach, dal momento che si tratta d'un semplice intreccio di due testi: gli otto versetti del Salmo 130 (il De profundis, appunto) e due (n. 2 e 5) delle strofe costituenti il corale Herr Jesu Christ, du höchstes Gut di Bartholomäus Ringwaldt (1588). Lo schema della composizione obbedisce a criteri di rigorosa simmetria, secondo una disposizione «a catena »: pa
1. Sinfonia + Coro (Salmo 130, vers. 1-2) 2. Aria per B. con ob. obbl. (Salmo 130, vers. 3-4) -+ Corale (S.;strofa 2) Coro (Salmo 130, vers. 5) 4. Aria per T. (Salmo 130, vers. 6)+Corale (A.; strofa 5) 5. Coro (Salmo 130, vers. 7-8).
3|
334
DE
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Una semplice introduzione strumentale in sol minore (Sinfonia) di 23 battute in adagio (e sulla parte del Fondamento, cioè del continuo, è scritto Lente) annuncia il tono funebre di tutta la composizione, che ha carattere penitenziale. Il materiale tematico utilizzato successivamente dal coro è quello stesso della sinfonia (vers. 1), ma un brusco passaggio in tempo vivace conduce ad una fuga a 4 voci sulle parole «lass deine Ohren merken » (vers. 2). È interessante notare, tuttavia, che prima dell’attacco della fuga vera e propria, Bach ha voluto sottolineare
l’invocazione
«Herr,
Herr,
hóre
meine
Stimme»
(il
Domine exaudi vocem meam) con una triplice proposta in omofonia e omoritmia — ecco dispiegato il principio della preghiera comunitaria — spezzata da due interventi (affidati rispettivamente alle parti dell’altus e del superius) che anticipano il soggetto della fuga. L'episodio seguente (andante) vede impegnate in unica combinazione una parte solistica di basso (che intona i versetti 3-4 del Salmo) e le voci di soprano (che propongono la melodia del corale sulle parole della seconda stanza, « Erbarme dich mein»); ma a queste due voci assolutamente indipendenti, tanto sul piano del testo quanto sul piano melodico, se ne aggiunge una terza, concertante con quella solistica,
affidata ad un oboe obbligato. Di struttura diversa è invece l’altra aria (n. 4) per tenore, con la melodia del corale affidata all'altus sul testo della quinta strofa « Und weil ich », su un basso ostinato. Poiché la melodia del corale è la medesima per le due arie, ne risulta una
struttura a variationes; si tratta in altre parole di due partite su corale, di cui la prima è nella forma del trio (tricinium), mentre la seconda
è un bicinium.
Dei due cori restanti, quello mediano (n. 3) inizia con un breve adagio (5 battute) a mo’ di preludio e conclude con una semplice cadenza (3 battute), ma nella parte centrale (un largo di 34 battute) sviluppa una fuga che è forse la prima grande conquista artistica di Bach: la malinconia del secolo, non struggente e tragica, ma tenera e illuminata, si scioglie e distende in un impianto che oppone al delicato disegno della fuga corale il concerto dei sospiri affidati alle due parti superiori, l’oboe e il violino. L'ultimo episodio (n. 5) è ancora una volta una fuga, ma prima dell’eccitante «Und er wird Israel erlósen» Bach aggancia l'uno all’altro una serie di quattro episodi che suggeriscono l’immagine, in nuce, d'una sonata da chiesa: a) adagio (3 battute) in blocchi accordali sulla triplice invocazione « Israel »; b) un poc'allegro (10 batt.) in libere figurazioni
polifoniche
frammiste
a brevi interludi
strumentali;
c) adagio (8 batt.) omofono con una parte obbligata di oboe;d) allegro
(6 batt.) in libere figurazioni polifoniche incrociate con interventi dell’oboe, del violino e del fagotto. Segue infine la fuga (sulle parole 285
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corrispondenti al latino Et ipse redimet Israel) a triplice soggetto (46 batt.), con una conclusione piano e adagio; il brano utilizza già parzialmente quel principio della Permutationsfuge che vedremo poi ampiamente applicato nel finale della successiva cantata. L’intervallo di tempo che divide la Cantata BWV 131 da Gott ist mein Kónig (BWV 71) è di alcuni mesi; ma non si andrà lontano dal vero quando si sosterrà che in quella vacatio dovettero trovar posto altre Kirchenmusiken di cui non è rimasta traccia. La Cantata BWV 71 è quella eseguita nella Marienkirche il 4 febbraio 1708 per solennizzare l'insediamento dei nuovi rappresentanti comunali (due borgomastri e quattordici consiglieri). Unica cantata, fra quelle pervenute, pubblicata vivente Bach (cfr. pp. 44 e 267), la composizione riveste le prerogative tipiche di una musica di circostanza, sufficientemente impegnativa e opportunamente grandiosa. Il protocollo, il cerimoniale d'investitura imponeva che quell'annuale avvenimento fosse celebrato con un'austera manifestazione religiosa e che a questa si desse il massimo ornamento
con l'esecuzione d'una musica ad hoc. Per la circostanza, Bach scrisse un motetto: questo è il termine con il quale l'opera è indicata sul frontespizio a stampa. La definizione, ineccepibile dal punto di vista storico (la si impiegava nei casi in cui i testi fossero estratti dalle sacre scritture e su quelli appunto & prevalentemente costruita la Cantata BWV 71), richiama alla memoria l'antica pratica del mottetto « di stato », politico, scritto per testimoniare
coram populo il conforto che alle autorità veniva dalla grazia divina: all'uopo manovrati, sacre scritture e testi liturgici potevano esercitare una straordinaria forza di persuasione sul piano dei sentimenti politici, favorire lo stabilimento del potere, avallare un regime, giustificare metodi e azioni. Al contrario, l'uso del termine concerto per indicare cantate dal contenuto più libero, intessute di testi madrigalistici, si
riferiva ad ambientazioni musicali meramente spirituali. L'organico strumentale & diviso in quatuor Chori: I I III IV
3 2 2 2
trombe flauti e oboi e violini,
e timpani violoncello fagotto viola e violone
Le voci sono 4 ed è previsto l'impiego di un coro in ripieno; una parte di basso per l'Organo completa l'insieme. Suddivisa in sette brani, la composizione — di cui si conoscono anche la partitura autografa (BB P 45) e le parti separate (BB St 377) — si avvale di testi di diversa estrazione: 1. Salmo 74, v. 12
;
:
2. II Samuele cap. 19, vv. 35 e 37; stanza n. 6 del corale O Gott, du frommer Gott
336
—
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Gli anni giovanili (1685-1708) (SS).
4. 5. 6. 7.
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V Mosè cap. "33, v. 25 I Mosè cap. 21, v. 22 Salmo 74, vv. 16-17 libero Salmo 74, v. 19 libero
Una simile mescolanza di testi, tipica dell’antico stile della cantata evangelica, fu forse opera del pastore Eilmar, ma non si può escludere
che il collage sia stato montato da Bach stesso, espertissimo conoscitore delle sacre scritture e che anche nella stesura
dei due testi liberi
(nn. 5 e 7) non deve aver incontrato impacci di sorta. Piuttosto converrà sottolineare la natura tutta particolare di quell’affastellamento,
dal momento che i vari passi biblici sono sottoposti ad un sottile — quanto persuasivo — travestimento politico. Il n. 1 — un coro talvolta diviso in due semicori con o senza ripieno — è una breve e lapidaria (si noti la didascalia animoso posta in apertura) invocazione collettiva, una salda affermazione del principio di sovranità. Il n. 2 — un'aria per tenore e organo con una parte di soprano che intona il corale sopra citato ma presentando la melodia in ornamentazione — sostiene il concetto della necessità che il servo vecchio (cioè il vecchio consiglio) abbandoni il potere e torni alla propria città con il desiderio di morire
presso la tomba dei genitori: la tradizione, il fatto della conservazione s'impone come un dovere morale, come un elemento irrinunciabile della vita civile. Il n. 3 — uno straordinario coro a cappella (con il solo sostegno del basso realizzato dall’organo), in forma di fuga — esalta
il concetto della continuità: «La tua vecchiaia sia come la tua gioventü ». Il n. 4 sul piano del rapporto con il testo si presenta come una compassata affermazione del potere («Il giorno e la notte sono tuoi. Tu fai sí
che sole e tenebre seguano entrambi il proprio corso. Tu hai stabilito i confini propri di ogni terra »); su quello musicale è un arioso tripartito affidato al basso che nella parte centrale fruisce del solo appoggio del
continuo, secondo un procedimento caro ai maestri veneziani (era stato il Moser a riconoscere in quest'aria una tipica aria eroica vene-
ziana). Il n. 5 — un'aria per contralto con tre trombe e timpani — abbina in significativo accostamento i concetti di forza e di salvezza. Il n. 6 — coro pleno, in stile arioso — è finalmente una preghiera: « Non dare al nemico l'anima della tua tortora »; l'invocazione-esortazione ha riflessi pictisti e pacifisti.
L'ultima pagina è ancora un coro, augurante « pace, tranquillità € benessere» e poi ancora « fortuna, salute e grande vittoria » all'imperatore Giuseppe I (1705-1711). Il brano, quanto mai convenzionale nella sua veste «letteraria», è invece di rilevante interesse sul piano 338
Gli anni giovanili (1685-1708)
musicale. Questa sorta di «licenza» (doverosa nel caso di una libera città dell'impero quale era Mühlhausen) viene risolta da Bach articolando il poderoso blocco in do maggiore in tre parti, la prima e la terza delle quali hanno struttura accordale, mentre la seconda adotta il rigoroso principio della Permutationsfuge. Nel corso delle prime 39 battute la composizione subisce una serie di cambiamenti di tempo e di spinta dinamica in analogia a quanto si era già verificato nell’introduzione alla fuga conclusiva della Cantata BWV 131: quattro brevi episodi alternativamente in tempo lento e in tempo veloce: batt..1 -.4
batt. 5 - 22
batt. 23, - 32
batt 33.539
arioso
allegro
andante
vivace
4/4
3/2
4/4
4/4
(N.B.: alle batt. 29 - 36 è prescritto un organo obbligato).
Segue (allegro in 3/2) la fuga sul testo della seconda strofa del testo madrigalistico. Il principio qui impiegato, come si è detto, è quello della permutazione dei vari elementi costituenti il discorso contrappuntistico. Numerando da 1 a 5 tali clementi (ma il coro ne utilizza solo i primi quattro) si otterrà uno schema come dalla tabella della pagina seguente; si tenga presente che dal punto di vista tonale si devono distinguere per ciascuno degli clementi in questione due «forme» che si differenziano l'una dall'altra per un diverso «attacco »; chiameremo
questi due blocchi tonali con le lettere T
(tonica = dux) e D (dominante = comes). Con una x, infine, indicheremo quei passi che non si possono rigorosamente ricondurre a
uno dei cinque elementi del piano contrappuntistico. La caratteristica saliente di questo genere di fuga vocale (caro più ai teorici che ai compositori pratici) sta, dunque, nello scambio predisposto fra le varie voci degli elementi formanti un contrappunto multiplo e nella confluenza e sovrapposizione simultanea di quegli elementi in determinati punti la cui localizzazione risulta facilmente individuabile per effetto d'una scansione ritmica assolutamente regolare e uniforme: nel caso specifico, come si vede, il piede metrico è di quattro battute. Un simile trattamento, frutto di un calcolo di precisione, comporta naturalmente una totale indifferenza nei confronti
del testo; e forse si potrebbe ipotizzare che Bach abbia voluto riservare a quel testo, meramente di circostanza, osannante e Intessuto di
formule degne di un cerimoniale di corte o di un pubblico atto
giurisdizionale, una funzione musicale acritica, impersonale, volutamente. inespressiva e gelida, salvo a voler chiudere, smorzando le sonorità, con una coda (batt. 88-103, preceduta da un «ponte»,
batt. 84-87) in omofonia, ma talvolta mossa da repentine volatine, e 339
Gli anni giovanili (1685-1708)
60-63] 64-67 |68-71 |72-75 |76-79 |80-83
Jos 44-47 ms
battute
T
tromba I tromba II tromba III
timpani
|
flauto I flauto II violoncello
| Mu
oboe I oboe II
1 NW
fagotto violini I violini II viole violone
Soprano
1
Contralto Tenore Basso
organo
(cont.)
impianto tonale N. 7 della Cantata BWV
71
nel tempo di 4/4: in tal modo, egli ripristinava il principio di simmetria anche nel tempus movendi, sicché la disposizione metrica del brano visto in tutto il suo complesso risulta di tal fatta:
4/4 - 3/2 - 4/4 - 4/4 - 3/2 - 4/4
ia All'appuntamento con la musica pro civitatis consilium Bach non mancò — già si è avuto occasione di dirlo (cfr. p. 267) — neppure nell'anno successivo, nonostante il fatto che egli avesse abbandonato Mühlhausen
da oltre sette mesi: e ancora
una volta, sappiamo, le
autorità premiarono in qualche modo l'autore, col licenziarne alle stampe e il testo e, una tantum, la musica. Disgraziatamente,
quel-
l'encomium musicae non & sopravvissuto alle impietose insidie del tempo. Terza — forse — in ordine di tempo fra le cantate del periodo di Mühlhausen, e unica fra quelle superstiti ad avere carattere strettamente liturgico, è Christ lag in Todesbanden (BW'V 4). Poiché si tratta d'una composizione in Fería Paschatos, sarà semplice assegnarla alla Pasqua del 1708.
Resta
da spiegare,
tuttavia, 340
quel «forse»,
quel dubbio
Gli anni giovanili (1685-1708)
insinuato nella cronologia. Gli consegnare la pagina al soggiorno del tutto il sospetto che essa possa l'antica datazione che attribuiva tarda, il 1724-1725,
studi piá recenti concordano nel di Mühlhausen (pur non eliminando collocarsi nei primi anni di Weimar); la composizione ad epoca ben più
si fondava sulle erronee
indicazioni emergenti
dalle parti separate autografe, che furono appunto stese in quel periodo, | in occasione d'una ripresa dell'opera a Lipsia.
Agli anni giovanili, lo si & visto, risaliva anche una significativa
elaborazione organistica di quel Kirchenlied: la Fantasia BWV 718, pentapartita, che utilizza l'intera melodia del corale. Anche la cantata
sfrutta il materiale melodico nella sua totalità, ma si spinge ben oltre sul piano musicale, elaborando, ciascuna sotto veste formale diversa,
tutte e sette le strofe del cantico luterano. La tecnica costruttiva impiegata & quella della variazione su cantus firmus, quale si ritrova nella scrittura cembalo-organistica di fine Seicento-primo Settecento. La composizione vocale, insomma, & parente prossima delle tre partite
su corale scritte da Bach negli anni di apprendistato organistico; e lo schema costruttivo non & quello che si ritrova nelle cantate coeve, né tanto meno in quelle del tempo di Weimar o di Lipsia (con arie e recitativi), ma è quello della variazione per omnes versus, su un mate-
riale melodico sempre facilmente riconoscibile. La composizione si apre con una brevissima sinfonia (14 battute), nello stile di quella che sul finire del XVII secolo era stata la sinfonia «avanti l'opera» di stile veneziano, semplice e di struttura accordale e compatta; si noterà in questa, come in altri episodi della cantata, l’impiego arcaico di due parti di viola; significativa, inoltre, è la trasparente « allusione », anche nella figurazione affidata al continuo; al materiale melodico che caratterizza il tema del corale, sul quale
sarà poi costruita tutta la cantata: Ist
}
Continuo
Sr mE ruw EAE. He HH
ZI
Il versus I, che presenta la melodia del corale.a valori larghi nella
parte del superius, è affidato al coro e all'intero complesso strumentale (per l'occasione le quattro parti vocali sono raddoppiate da un cornetto e da tre tromboni, in funzione appunto di ripieno). L'Hallelujah conclusivo & contrassegnato da un cambiamento di tempo (alla breve) 341
Gli anni giovanili (1685-1708)
che esalta quella parola e sfrutta una diversa tecnica mottettistica,
non piá agganciata a quella precedente che éra stata sviluppata sul cantus firmus. Il versus II, duetto di soprano e contralto (sostenuti rispettivamente da cornetto e trombone), si presenta come un vero e proprio bicinium su un basso ostinato. Particolare risalto ha qui la parola « Tod » (morte), rimbalzante da una voce all'altra. Il versus III è un trio: due violini all'unisono, tenore e continuo; anche in questa
pagina il termine
«Tod»
riceve
una
particolare caratterizzazione
provocata da una modifica dinamica (adagio) all'atto della sua apparizione. Il versus IV ha la struttura di un mottetto a 4 voci (col cantus firmus al contralto), privo di apparato strumentale e col solo sostegno del continuo; ma si dovrà tener presente che la prassi esecutiva autorizzava ampiamente l'uso dei fiati — come del resto si & visto in altre pagine di questa medesima cantata — in raddoppio alle parti vocali. Il versus V presenta un'unica parte vocale (basso), con quattro
parti strumentali (due violini e due viole). Il versus VI, come il II (e, dunque, in perfetta simmetria), è ancora un duetto (sopranotenore), accompagnato da una figurazione ostinata del continuo in ritmo puntato. Il versus
VII, infine, chiude la composizione con la
proposta di un semplice corale armonizzato a quattro parti. Questa, per sommi capi — la struttura di una cantata che, se è formalmente atipica ed anzi unica nel panorama
musicale bachiano, è
pur sempre agganciata ad una prassi compositiva allora largamente in uso; ne è prova evidentissima,
ad esempio, l'omonima
cantata
Christ lag in Todesbanden di Johann Pachelbel, anch'essa suddivisa — come una partita — nelle sette parti di cui consta il Lied di Lutero. Ma, al di là di quell'affinità che tale si rivela anche nell'impiego degli strumenti,
sta la condizione
rigorosamente
calcolata,
simmetrica,
voluta da Bach. Lo schema che ne risulta è il seguente: I
II
III
IV
V
VI
VII
Coro
Duetto
Solo
Coro
Solo
Duetto
Coro
|
|
|
|
Lungi dal presentarsi come semplici soluzioni di comodo per mascherare una impotenza inventiva (ma quelle soluzioni erano conseguenti al gusto e alla filosofia della vita e dell’arte), schemi di questo tipo — altri ne abbiamo visti in precedenza e altri ne vedremo ancora in seguito — sono componenti essenziali della forma mentis bachiana, che mai nell’intero corso della sua volontà creatrice rinunciò 342
Gli anni giovanili (1685-1708)
ad organizzare ilpensiero musicale secondo coordinate precise e calco-
late. L'ésprit de géometrie, insomma, inteso come virti e non come limite.
Le ultime due cantate, se si accettano le ipotesi formulate recen-
temente in merito alle circostanze che ne determinarono la composizione, si collocano l'una a fianco dell'altra negli ultimi giorni del soggiorno di Bach a Mühlhausen. La prima delle due, Gottes Zeit ist
allerbeste Zeit (BWV 106) sarebbe stata eseguita il 3 giugno 1708; l'altra, Der Herr denket an uns (BW'V 196), sarebbe stata presentata il 5 giugno. Nel primo caso si tratta d'una cantata funebre (Actus tragicus), nel secondo d'una cantata nuziale; siamo in presenza, dunque, d'una specie di dittico che accosta morte e vita e che su questa espressione dialettica fonda due distinte, ma non difformi, esperienze musicali. Sull’effettiva destinazione della Cantata BWV 106 si sono accavallate, nel corso di cent'anni di esegesi bachiana, varie ipotesi. Lo Spitta, che collocava l'opera nella prima fase del periodo di Weimar, suggeriva l'ipotesi che quel monumento funebre fosse stato innalzato per la morte del rettore della locale scuola di latino, il magister Philipp Grossgebauer, deceduto nel 1711. André Pirro, a
differenza di molti studiosi propensi a collocare la composizione
dell'opera fra il 1710 e il 1714, si era pronunciato, invece, per la data del 1707 e aveva collegato la composizione con la morte dello zio
di Bach, Tobias Limmerhirt
(Erfurt, 10 agosto 1707), verificatasi
prima che il musicista prendesse possesso dell'incarico di organista a
Mühlhausen (cfr. p. 262). Recentemente (1970) Hermann Schmalfuss ha proposto il 3 giugno 1708 come data di prima esecuzione dell’opera. In quel giorno sarebbero stati celebrati i funerali di Dorothea
Susanna Eilmar (nata nel 1674), sposata al consigliere Johann Adolf
Tilesius e sorella del pastore Georg Christian Eilmar. Considerati gli
stretti legami che per diverso tempo unirono Bach alla famiglia Eilmar, l'ipotesi pare pit che suggestiva, anche se il Dürr ritiene di non aderirvi in virtá del fatto che, da un punto di vista stilistico, Gottes
Zeit ist die allerbeste Zeit deve ascriversi ad una fase creativa anteriore, pit arcaica. Non saranno certo quei dieci mesi di differenza a spostare
la bilancia a favore dell'una o dell'altra tesi.
L' Actus tragicus (cosi è designata l'opera nella copia — l’autografo
è
perduto —
dovuta a Christian Friedrich Penzel, datata «Lipsia,
ottobre 1768», BB/SPK P 1018) presenta un'insolita mescolanza di
testi: ancora una volta si potrà pensare ad un affastellamento realizzato
dallo stesso Bach; ma il musicista sembra essersi preoccupato di trovare il modo di amalgamare quei versetti provenienti da fonti diverse e di ricostruirne
l'identità
spirituale attraverso 343
un
unitario
discorso
Gli anni giovanili (1685-1708)
compositivo. L'organico strumentale & estremamente esile: 2 flauti a becco, 2 viole da gamba e continuo; eppure d'una straordinaria efficacia espressiva. Ecco il piano dell'opera: N.
forma
I
organico strumentale
Sonatina
2 flauti, 2 viole da gamba,
Coro
id.
Aria per tenore Aria per basso
id. 2 flauti e continuo
Coro
continuo
testo
continuo
DA
Atti degli Apostoli, cap. 17, v. 28
x b c d
Salmo 90, v. 12 Isaia, cap. 38, v. 1 Sirac (Ecclesiastico), cap. 14, v.
18;
Apocalise,
cap.
v. 20 (con la melodia mentale di un corale) D? a b
Aria per contralto Aria per basso--corale
continuo
Salmo 31, v. 6
— continuo
Luca, cap. 23, v. 43; strofa 1
corale con contralto e 2 viole da gamba L
4.
Corale
22,
stru-
del corale Mit Fried' Freud’ ich fahr’ dahin
und
2 flauti, 2 viole da gamba,
strofa
dich
continuo
hab’ ich gehoffet, Herr
7 del
corale
In
La Sonatina d’apertura (20 battute) presenta un discorso articolata su due piani sonori, con il gruppo degli archi che servono primo ad introdurre, poi a sostenere la dolce frase dei flauti; questi, successivamente, tendono a fondersi l'uno nell'altro, attraverso un calcolato
effetto di prolungamento del suono in eco: Esel?
LITI
ee
BI — 7n
Cantata Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit (BW'V 106), Sonatina.
344
Gli anni giovanili (1685-1708)
Il n. 2 & un blocco costituito da quattro elementi di diversa natura,
ma il materiale & suscettibile di ulteriori distinzioni, sino ad un totale di otto. Eccone lo schema: dinamica
a
| 1. coro omofono 2. coro fugato |3. coro omofono
D. (©
4. aria per tenore 5. aria per basso
d
| 6. coro fugato !7. solo (con corale) | 8. coro fugato
battute
tempo
osservazioni
(andante) allegro adagio assai
16 7- 39 40- 47
4/4 3/4 4/4
Il tempo di Dio Vita Morte
lento vivace
48- 70 71- 130
4/4 3/8
ciaccona libera stile concertante
131 - 145 145- 156 156 - 185
4/4 4/4 4/4
combinazione di 6 e 7
andante
Vista nel suo complesso la pagina è un mottetto a più sezioni, x
d'una novità e grandezza assolute, che — secondo un principio del-
l'intensificazione e progressione dei mezzi espressivi, tipico di Bach perché tipico del barocco — tocca il culmine nella sezione finale nella quale la tecnica della fuga viene esaltata questa volta non dal rigore geometrico delle sue componenti, ma dall’inserimento di ‘episodi liberi (le frasi affidate alle sole voci di soprano, la citazione in due riprese della melodia del corale Ich hab! mein’ Sach’ Gott heimgestellt) che verranno poi combinati insieme nella coda conclusiva; e quest'ultima, sullo slancio d'un geniale progressivo abbandono delle varie parti vocali e strumentali, si perde in questo sospiro dei soprani: Es. 15
pianissimo
PL
Av
L'episodio seguente (n. 3) & costituito da una coppia di arie: la prima & per contralto (mis. 1-24) ed & accompagnata da una figurazione ostinata del continuo; la seconda è per basso (mis. 25-70) ed è 345
Gli anni giovanili (1685-1708)
ancora
sostenuta
da una figurazione,
diversa, ostinata,
sulla quale
s'inserisce (mis. 39), sostenuta dalle viole da gamba, la melodia (ai contralti) del corale Mit Fried’ und Freud” ich fahr' dahin con significativi contrasti di piano (alle parole stille — tranquillo e Schlaf — sonno) e forte. Yl brano conclusivo & in due sezioni: la prima & un corale armonizzato (sulla melodia di In dich hab’ ich gehoffet, Herr) con interventi alternativi strumentali (6 la medesima tecnica già impiegata nei corali-toccata organistici); la seconda una fuga sulle parole Durch Jesum. Christum, Amen, con chiusura strumentale in eco.
L'ultima cantata del periodo di Mühlhausen & Der Herr denket an uns (BWV 196), una delle cinque composizioni per nozze che siano
state scritte da Bach: le restanti sono le cantate BWV
34a, 120a, 195
e 197, mentre perduta & la musica di BWV Anh. 14. E da notare, tuttavia, che una particolarità distingue la Cantata BWV 196 dalle consorelle: quella di essere scritta senza distinzione fra prima e seconda parte (la seconda parte, post copulationem, veniva eseguita dopo il pronunciamento della rituale formula di unione, mentre la prima introduceva semplicemente alla cerimonia). La cantata fu scritta — è una supposizione che si ritiene prossima alla verità — per le nozze del pastore Johann Lorenz Stauber, quello
stesso che aveva celebrato il matrimonio a Dornheim fra Bach e Maria Barbara, con Regina Wedemann: la cerimonia si svolse ad Arnstadt il 5 giugno 1708. Su queste, nozze abbiamo già avuto l'occasione di spendere qualche parola (cfr. p. 263, nota 39); qui ricorderemo al lettore che lo Stauber era al suo secondo matrimonio
e che la nuova sposa (anch'essa reduce da una precedente esperienza matrimoniale, con figli) era una zia della moglie di Bach. Delle cinque cantate superstiti di Miihlhausen, la n. 196 è non solo
la più breve ma anche la meno bella e interessante. Il testo, eccezionalmente, è estratto da un’unica fonte, il Salmo 115 nei vv. 12-15; ai quattro versetti, preceduti da una sinfonia, corrispondono quattro
numeri musicali: due cori (nn. 2 e 5), un'aria (n. 3) e un duetto (n. 4). Di lunghezza pari alla sonatina che apriva la Cantata BWV 106, la sinfonia (21 mis.) ne ricalca in qualche modo la struttura: la continuità della linea melodica divisa fra violino I e II comporta anche dei brevi effetti d'eco o di prolungamento della risonanza. Il primo coro presenta nella parte centrale (alle parole «Es segnet das Haus Israel») una tipica Permutationsfuge. L'aria del soprano con violino I e II all'unisono è tagliata nella forma con il da capo. Il duetto (tenore e basso) è di gusto arcaico, in imitazione, e alterna episodi strumentali e proposte vocali, come in una scrittura a due cori. Il finale è diviso in due parti: la prima è in stile compatto e generalmente accordale; la seconda è una doppia fuga sull’Amen con chiusura in piano: le tinte 346
“
2
Gli anni giovanili (1685-1708)
delicate si addicevano al giovane Bach, e il congedo era preferibilmente sobrio, discreto, firmato con umiltà. Di altre cantate bachiane risalenti al periodo di Mühlhausen non
esiste valida traccia; lo Spitta aveva dichiarato di aver rinvenuto nell’abitazione del Kantor Sachs di Langula, uno dei villaggi dei dintorni di Mühlhausen, la cantata Meine Seele soll Gott leben (BWV
223), copia della quale egli aveva avuto fra le mani nel 1868; ma
per ammissione dello stesso Spitta si trattava d'una cantata incompleta (egli discorre brevemente di un duetto e afferma che il finale & una splendida fuga — lieminente studioso ne forniva il tema) e manomessa con aggiunte e correzioni attribuibili ai vari Kantoren di Langula.
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PARTE QUARTA
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Weimar — (1708-1717)
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CAPITOLO PRIMO
Le vicende biografiche
BIBLIOGRAFIA
GENERALE
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« Bachfestbuch. 39. Deutsche Bachfest der Neuen Bach-Gesellschaft vom 25. bis 27. September 1964 in Weimar », Weimar 1964, pp. 29-35.
23. La corte, specchio della città. BIBLIOGRAFIA
Gottfried Albin Werte, Historische Nachrichten von der berühmten ResidenzStadt Weimar..., 2 voll., Weimar 1737-1739; Carl von BEAULIEU-MARCONNAY, Ernst August, Herzog von Sachsen-Weimar (1688-1748). Kulturgeschichtlicher Versuch, Leipzig 1872; Rudolf Herrmann, Die Bedeutung des Herzogs Wilhelm Ernst von Sachsen-Weimar (1683 bis 1728) für die Weimarische evangelische Kirche, in « Zeitschrift des Vereins für Thüringische Geschichte und Altertumskunde », Neue Folge, Band 22, Jena 1915; O. Fnawcks, Geschichte des Wilhelms-ErnstGymnasium in Weimar, Weimar 1916; Georg MENTZ, Weimarische Staats-und Regentengeschichte vom Westfälischen Frieden bis zum Regierungsantritt Carl August, in Carl August, Darstellungen und Briefe zur Geschichte des Weimarischen Fürstenhauses und Landes, a cura di Erich Mancks e Willy AnpREAS, 1. Abteilung, Jena 1936; Die Stadtkirche zu St. Peter und Paul in Weimar, a cura di Eva SCHMIDT,
351
"m
Weimar (1708-1717)
Berlin 1955; W. FLAcH, Grundzüge einer Verfassungsgeschichte der Stadt Weimar, Berlin 1956; Fritz LÖFFLER, Die Stadtkirche zu Weimar (= Das christliche Denkmal, Heft 86), Union Verlag, Berlin 1973; AA. VV., Tausend Jahre Kirche in Weimar. Vorträge zur Geschichte des kirchlichen Lebens anlässlich der 1000-JahrFeier der Stadt Weimar, a cura dell’Evangelisch-Lutherischen Kirchgemeinde Weimar, Weimar 1976 (contiene: Johannes Ernst Köhzer, Weimars Kirchenmusiker, pp. 42-45).
Le stazioni della mirabile ascesa della cittä di Weimar a signora e domina di tutta la cultura germanica romantica sono indicate negli anni del felice regno di Carl August (1775-1828), preparato con somma attenzione ai fatti della musica dalla madre Anna Amalie di Sassonia-Weimar che una precoce vedovanza (1758), quando l'erede al trono contava poco piü di un anno, aveva condotto alla reggenza. La storia, che ben raramente fu cosí prodigiosamente munifica nel raccogliere in unico mazzo intelletti supremi, in quei primi tempi del regno di Carl August vide agire fianco a fianco Wieland, Goethe, Herder, Schiller, a taluno dei quali toccó anche in
sorte di incidere profondamente nella vita pubblica e sociale, negli affari dell'amministrazione e nelle scelte della politica. Settant'anni prima, in cifra tonda, l'Hoforganist e Cammermusicus Bach aveva già elevato Weimar a stella di prima grandezza del firmamento artistico; ma quella stella era troppo lontana nello spazio perché
la forza della sua luce fosse subito avvertita, e cosí nessuno di quei
grandi, ai quali non sfuggiva certo la saggezza e potenza dell'arte musicale, immaginó di poter rappresentare la continuità di una linea che da Bach partiva e che la coscienza romantica in qualche modo a Bach avrebbe ricondotto. Il solo Herder, l'alto teologo, il sommo
pastore e predicatore, nel 1793 avrebbe pronunciato il nome di Bach inserendolo, ultimo non a caso, fra gli eminenti rappresentanti della musica sacra, dopo Leo, Durante, Palestrina, Marcello, Pergolesi (dunque, la cultura cattolica) e Haendel (BD II, 985). Weimar,
insomma, aveva rinnegato Bach (e tardivo sarà il riscatto procurato da Liszt che ottenne la nomina a Kapellmeister di quella corte il 2 novembre 1842): ne aveva rigettato il cospicuo legato testamentario
o forse, piá semplicemente, nell’esaltazione della stagione in atto, aveva incoscientemente eluso le memorie e il passato. Poiché essa, la città mecenate della cultura, si riconosceva viva, e forte solo da
quando — il 1741 — era stato costituito il ducato di Sassonia-W eimarEisenach (sorto dall'unione di Sassonia- Weimar e di Sassonia-Marksuhl): ora, veramente, la storica Turingia aveva la sua capitale. Il mutamento della «ragione sociale» del ducato, dei confini e del potere territoriale del nuovo stato si ebbe sotto il regno di Ernst 352
Weimar (1708-1717)
August (1728-1748), che — come si vedrà — di reciprocità con Bach; ma alla definizione di giungere per gradi e scoprendo ad una ad una abbastanza intricato. Nel primo decennio del Settecento Weimar zione che a stento raggiungeva i 5.000 abitanti:
fu in stretti rapporti quel rapporto occorre le carte di un giuoco contava una popolasotto l'aspetto demo-
grafico, dunque, la città era inferiore ad Eisenach (che toccava allora
| gli 8.000) e a Mühlhausen (circa 7.000) e di poco superava Arnstadt, la cui popolazione era assestata intorno ai 4.000 abitanti. Il dato com-
parativo è importante: trasferendosi a Weimar, Bach avrebbe continuato a ricalcare, forse, le vie della vita musicale di provincia, che si esauriva nella routine di un comodo esercizio quotidiano, senza possi-
bilità di scambi fruttiferi con altri centri. Anche se da parte del duca era in corso di attuazione un'ampia riforma della situazione religiosa e culturale, la città non sembrava prossima ad una reale espansione; le attività commerciali e artigianali vi languivano e l'alternativa dell'agricoltura non pareva soverchiamente sostenuta dalla volontà politica del sovrano. In un'epoca in cui sovente la città e il suo principe si specchiavano l'una nell’altro con geometrica esattezza, era scontato che il carattere, lo stile emergente dal complesso degli abitanti fosse quello stesso di cui disponeva il principe. L'esercizio del potere — che per definizione era assoluto — comportava spesso l'abdicazione di coloro i quali erano l'oggetto del potere stesso; il dispotismo era il risultato ultimo di quest'ordine che i teorici definivano naturale e che il sovrano «illuminato» poteva mitigare con l'ausilio di consiglieri da lui scelti ed imposti. Ma contro un Carl August che di tali scelte fu maestro, stavano decine e decine di regnanti, grandi e piccoli, che dei consiglieri facevano volentieri a meno e che a queste persone riconoscevano una funzione meramente formale. Di tal pasta doveva esser fatto anche il duca Wilhelm Ernst di -Sassonia- Weimar (nato a Weimar il 19 ottobre 1662 e ivi morto il 26 agosto 1728). Salito al trono nel 1683, alla morte del padre, il duca
Johann Ernst (I), in seguito ad una legge emanata oltre cinquant'anni prima (19 marzo 1629) a tutela del buon governo e a parziale attenuazione dell’assolutismo personale, Wilhelm Ernst era stato affiancato
dal fratello minore, Johann Ernst (II) (Weimar, 22 giugno 1664 10 luglio 1707), co-reggente con funzioni pit che altro di consigliere e di rappresentante della Gesammt-Consistorial-Cammer. Il matrimonio che Wilhelm Ernst aveva contratto con una principessa di rango — Charlotte Marie di Sassonia-Jena (1669-1703) — non era stato dei pit felici: la ragione di stato non aveva impedito che l'unione naufragasse sino al limite della rottura e della separazione fra i due augusti coniugi, dopo sette anni di matrimonio 3955
sterile. Alla morte
Weimar (1708-1717)
del fratello (1707), un altro membro della famiglia ducale avrebbe dovuto essergli affiancato come co-reggente; a coprire quell'incarico fu chiamato il nipote Ernst August (Weimar, 19 aprile 1688 Eisenach, 19 gennaio 1748), primogenito di Johann Ernst (II); ma quegli dovette attendere il compimento della maggiore età, e pertanto solo nel 1709 il ducato di Sassonia- Weimar ebbe il prescritto coreggente. Alla morte di Wilhelm Ernst (1728), Ernst August divenne
duca, ma nel frattempo (1724) la famigerata legge del 1629, causa di tante discordie fra zio e nipote, era stata finalmente abrogata. Assolutista anche nelle cose attinenti alla religione, Wilhelm Ernst non dimostrò mai attitudine alla politica; ma furono le circostanze, probabilmente,
ad indirizzarlo verso
altre finalità. Non
brigó per
ampliare il ducato, non si preoccupó di regolare la successione al trono con un matrimonio piü fortunato impedendo cosí che il ducato passasse poi ai discendenti del fratello minore, non allacció rapporti
d'interesse con i paesi sovrani limitrofi, non si impegnó nel tentativo di migliorare l'economia dei territori a lui sottoposti. Chiuso fra le salde e capaci mura del suo castello — il Wilhelmsburg * — o nella non lontana residenza di Ettersburg (costruita nel 1706) nel cui teatro furono poi detti immortali drammi di Goethe e di Schiller, indotto a vita severa, semplice, di rigidi costumi, regolata da orari inimma-
ginabili in una corte principesca (le luci si spegnevano alle 8 della sera durante i mesi invernali e alle 9 in quelli estivi), Wilhelm Ernst
dedicava la propria giornata alle pratiche religiose, agli studi teologici, ala regolamentazione
del culto, ma
tino maniacali, che certamente
a queste
inclinazioni
un
tan-
irritavano il co-reggente, il fratello
minore, che aveva vocazione più spiccatamente politica, il duca sapeva
anche opporre una preoccupazione costante per la cultura e per le istituzioni che di quella cultura erano veicolo e tramite. E insomma in lui albergava già qualcosa di quello spirito che negli ultimi decenni del secolo avrebbe fatto grande la piccola Weimar. Se il comportamento di Wilhelm Ernst aveva un che di pedante, di prelatesco, se sua ambizione massima era la fondazione e salvaguardia di un'autentica chiesa di stato, se in qualità di summus episcopus egli esercitava sui sudditi un forte potere tanto nel campo temporale quanto nella sfera spirituale,
e più in questa che in quello, non di
meno Wilhelm Ernst sapeva e poteva elevarsi ben al di sopra dei principi regnanti sulle frazionate terre tedesche. E se egli interveniva nel campo della cultura, ciò avveniva non per quella convenienza che alligna sotterranea nei mecenati, non per erigersi a protettore delle arti, ma sicuramente per un'intima convinzione, per tener fede
ad un richiamo interiore, ad un obbligo morale originato dalla sapienza in Dio, coerente col motto che egli si era scelto: Alles mit Gott - Tutto 354
, 42
Weimar (1708-1717)
con Dio. Libero da preoccupazioni famigliari, non corrotto dal fasto e dalla grandeur che, per puro spirito di emulazione, per prestigio, per il corso forzoso della moda inducevano gli altri príncipi a costruirsi su misura
una corte; confortato, infine, dalla pace dello spirito e dei
sensi, Wilhelm Ernst governava con lo stile di un pontifex benedicente. Aveva studiato teologia per tre anni all'Università di Jena, ma sin
da fanciullo aveva dimostrato la massima attitudine, un amore incon-
trollato e significati der Lage; lui ardore
certo disumano, per il mondo delle pratiche religiose i cui gli erano stati svelati dal predicatore di corte, Conrad von l'eloquenza di costui certamente contribuí a suscitare in e spirito di emulazione al punto che nel giorno delle ceneri
del 1670 il piccolo duca, in età di sette anni e mezzo, predicó — privi-
legium regi! — dal pulpito della cappella ducale a famigliari e notabili, sul tema suggerito dagli Atti degli Apostoli, cap. 16, v. 33: e col titolo Der durchlauchtigste Prediger (« Il serenissimo predicatore ») quel sermone subito conobbe l'onore della stampa. Sulla falsariga di quell'esperienza infantile, incentivata da un'ottusa condiscendenza cortigiana, il futuro duca si era preparato ai grandi cimenti, senza disporre di quel senso di autocritica e di proporzionata
valutazione delle cose che gli avrebbe impedito di cadere nel fanatismo e nell'esasperazione dei fatti della religione. Il duca, in altre parole,
si sentí ben presto legittimato a prescrivere riforme liturgiche non sempre coerenti con la professione di ortodossia luterana di cui egli menava gran vanto; non solo, ma giunse al punto di voler regolamentare con ordinanze d'ogni tipo la fede dei sudditi. Pur dimostrando una vivace inclinazione ad abbracciare talune pratiche devozionali e liturgiche proprie del Pietismo, Wilhelm Ernst non perdeva occasione per manifestare il proprio fiero dissenso nei confronti di quel movimento. Cosi, nel 1699 ripristino l'istituto della cresima (Konfirmation) che il luteranesimo integralista aveva rifiutato e che i pietisti invece caldeggiavano; per contro, nel 1715 emanò esplicito divieto di tenere riunioni private per fini religiosi (le conventicole care ai pietisti), ritenendo che solo il tempio fosse il luogo deputato alla vera edificazione del cristiano. Qualcosa di puritano informava il suo stile: nel regolamentare talune usanze congiunte a determinate festività, il duca proibí (26 aprile.1692), nella prima e seconda domenica di Pentecoste, le danze che
— secondo una tradizione diffusa in vari paesi europei — si esegui-
vano addirittura all'interno delle chiese, consentendo che solo nella
terza domenica di Pentecoste ne fosse permessa l'esecuzione e comunque mai sulla piazza innanzi alla chiesa o alla casa del parroco, ma ben lontano da quei luoghi. Con decreto del 25 settembre 1696 vietò che nei giorni di festa si tenessero le danze d'osteria e le cosiddette | 355
Weimar (1708-1717)
« danze a cenni » (la nota Winktanz, con la quale le donne invitavano gli uomini ad avvicinarsi a loro). Ad un sovrano che aveva rigorosamente ptestabilito l'ordine col quale servitá e vassalli di corte dovevano accostarsi alla comunione non fu certo difficile proibire che, sempre nei giorni di festa, si tenessero banchetti, che i pasticcieri prestassero
servizio, che i membri di corporazioni, giudici, consiglieri si riunissero nelle locande, mescite, osterie e taverne di cui pare fosse ben fornita Weimar. Un pesante clima di austerità era sceso, insieme con la noia, a rendere meno godibili i giorni di festa, che in realtà erano giorni di sacrificio, di penitenza, di assoluta dedizione a Dio: il lavoro era proibito e fin ai pastori, nel 1714, fu vietato di portare il bestiame al
pascolo affinché essi potessero assistere alle funzioni liturgiche. E nel colmo della mortificazione dei sensi, il 27 ottobre 1723 il duca prescri-
verà, sia pure temporaneamente, che nei giorni festivi non fosse con-
sentita altra musica di quella destinata al servizio in chiesa, e che al
calar della notte dovessero cessare le danze paesane. La vita di corte risultava mortificata dall’inesausta proliferazione di disposizioni che costringevano la fede in una morsa di pleonastiche pratiche devozionali, frutto d'una mentalità clericale e bigotta: durante
le funzioni liturgiche, i servitori e gli ufficiali avevano il compito di leggere ad alta voce, a turno, i passi biblici prescritti ed era fatto loro severo obbligo di ascoltare attentamente
il sermone,
poiché il
duca li avrebbe poi interrogati ed avrebbe giudicato della loro efficienza col metro dell’attenzione da essi prestata alle parole del predicatore. E, tuttavia, vi era nel principe il desiderio di chiarire i rapporti fra società religiosa e teologia, come ben dimostra la convocazione, nel 1710, di un Sinodo Generale cui parteciparono i ministri del culto di tutto il territorio (il ducato abbracciava un centinaio di comuni); in quella circostanza, il duca fu assiduo frequentatore delle congre-
gazioni di studio, intervenne nei dibattiti e ne guidò le conclusioni, secondo le direttive che a lui sembravano pit opportune per la salvaguardia della ortodossia luterana. Amantissimo dei fiori, aveva trasformato in spendidi giardini i fossati del castello, un tempo infestati da animali feroci. La sua tavola era frugale, l’ambiente schivo da preziosità e orpelli eccessivi, e il
suo modo di vestire a stento s'intonava con la funzione di sovrano. Alla sobrietà dei costumi s'accompagnavano carità e benevolenza, che erano i principii informatori della sua quotidiana applicazione del potere. Volendo lasciare tracce durevoli del proprio operato e ovviare alle manchevolezze di certe istituzioni, non si limitò a edificare templi (la Chiesa di S. Giacomo, da tempo distrutta, fu interamente ricostruita nel 1713), ma converti la vecchia scuola in un ginnasio (1712), che avrebbe poi avuto parte molto significativa nello sviluppo della cultura 356
Weimar (1708-1717)
a Weimar sino ai giorni nostri; fondó un orfanotrofio e infine, nel 1726, diede vita ad un seminario ecclesiastico.
„ Sul piano delle iniziative propriamente culturali si deve segnalare l'istituzione della biblioteca (1691), mentre la passione del duca per
la raccolta delle monete antiche trovó concreta attuazione nella creazione di un Gabinetto di Numismatica. Alla direzione di queste
due membra dell'apparato di corte, Wilhelm Ernst chiamó nel 1701 il poeta Salomo Franck, che cospicuo peso doveva avere nell'evoluzione dell'attività creatrice di Bach.
Nativo di Weimar (vi era stato battezzato il 6 marzo 1659), di
famiglia notabile ©, Franck aveva studiato all'Università di Jena giurisprudenza e probabilmente anche teologia. Dopo un soggiorno a
Zwickau, nel 1683 si era stabilito ad Arnstadt e qui a partire dal 1689 fu segretario del consiglio di reggenza del duca Anton Günther di
Schwarzburg-Arnstadt. Sposatosi nel 1697 con Johanna Margaretha Seiffart, figlia di un avvocato di Arnstadt, in quel medesimo anno : fece ritorno a Jena con funzioni di segretario presso i| consiglio di reggenza e del concistoro della corte sassone. Del 1701 & la chiamata a Weimar, come segretario del Concistoro Generale, ma i rapporti col duca Wilhelm Ernst dovevano già essere stati avviati da tempo,
se la raccolta manoscritta di cantate per tutto l'anno liturgico, Evangelische Seelen-Lust, del 1694, era stata dedicata appunto al duca di Sassonia-Weimar. Della biblioteca ducale, da lui notevolmente incre-
mentata, Franck non si occupó a lungo: il suo posto fu preso dal genero Scheibe. Già seriamente ammalato di podagra nel 1720, Franck mori l'11 o 12 giugno 1725, ma nel frattempo non aveva tralasciato di occuparsi di numismatica ?. Le tenaci ed invincibili inclinazioni religiose non avevano frastor-
nato il duca al punto tale da indurlo ad abdicare a ogni ambizione di prestigio. In una corte che volesse distinguersi e al tempo stesso uniformarsi
al costume
imperante,
la musica
doveva
trovare
una
precisa e non secondaria collocazione. Alla musica di chiesa, ovviamente, il duca provvide tutti i mezzi necessari e la produzione di testi per cantate liturgiche da parte di Salomo Franck, cui corrispose un corposo nucleo di musiche da parte di Bach, testimonia, insieme con l'esaltazione dell'attività organistica, la stimolante cura di Wilhelm
Ernst nei confronti del ruolo che la musica liturgica era chiamata a svolgere nell'ambito della sua concezione religiosa. Ma a quest'attività esercitata per le esigenze richieste dal culto, altre se ne aggiungevano
a sottolineare l'apporto della musica alla vita di corte. Cosi, fra il 1696
e il 1709 Wilhelm Ernst tenne in piedi una compagnia stabile d'opera, guidata da Gabriel Méller (poi passato alla corte di Dresda) con privilegio di tenere spettacoli anche in altri centri del ducato. Un poeta di SR
i
357
Weimar (1708-1717)
corte, l'avvocato Johann Christoph Lorber (1645-1722) fu incaricato della stesura dei libretti per gli spettacoli del teatro ducale, inauguratosi appunto nel 1696 con Von der denen lasterhaften Begierden entgegengesetzten tugendliche Liebe («Dell'amore virtuoso che s'oppone al desiderio dissoluto »), con musica probabilmente di Georg Christoph Strattner. Al carattere moralistico, educativo ed edificante —
come si vede —
non si rinunciava anche perché il costume operistico aveva abbondantemente imposto quel genere di teatro etico; il teatro dei gesuiti aveva | contagiato pure l'ambiente luterano e anche a Weimar, nel locale ginnasio, il dramma scolastico e moraleggiante aveva trovato un
terreno favorevole (fra il 1688 e il 1700 numerose furono le rappresentazioni di spettacoli del genere). Musiche sceniche, del resto, erano già apparse a Weimar in anni più lontani: un’opera di Adam Drese, Adam und Eva, era stata rappresentata nel 1676; e nel 1684 erano
stati inscenati alcuni spettacoli di argomento moralistico, con una compagnia proveniente da Weissenfels. Questo fiorire di attività teatrali & strettamente connesso con la
costituzione della cappella di corte voluta da Wilhelm Ernst nel 1683, l’anno stesso della sua investitura a duca regnante. Brevemente si può ricordare che le tradizioni musicali di Weimar erano abbastanza recenti. Un gruppo di musicisti municipali era stato regolarmente formato sin dal 1618 ed era stato affidato alla guida di Christoph Volprecht e, successivamente, di Matthias Sultza, Johann Steinau e Nicolaus Kirst. A corte, dal 1622 era stato attivo un organista, la cui opera era coadiuvata da sei cantori. Amante
della musica, il duca
Wilhelm IV aveva provveduto nel 1652 a nominare un Kapellmeister nella persona di Adam Drese (1620-1701), ma dieci anni dopo — alla morte del duca — la cappella era stata sciolta: Johann Ernst (I) non aveva interessi musicali e fu necessario attendere la salita al trono del figlio Wilhelm Ernst per assistere alla ricostituzione della cappella. A reggerne le sorti fu chiamato Johann Samuel Drese, cugino di Adam; un vice maestro di cappella fu nominato nel 1695 nella persona di Georg Christoph Strattner, scritturato l’anno precedente a Weimar in qualità di tenorista. Nel 1700 la cappella di corte risultava cost composta: N.
Qualifica
il
Maestro
Nome di cappella
Johann
Dati biografici Samuel
Drese
?, c.
1644
-
Weimar,
1-12-1716 2
Vice maestro di cappella
Georg Christoph Strattner
? - sep. Weimar, 1704
3
Organista
Johann Effler
?, c. 1635 - Jena, 4-4-1711
358
11-4-
TA PA:SETE
Weimar (1708-1717) N. 4
Qualifica
Nome
Dati biografici
Violinista
Johann Paul von Westhoff
Dresda,
1656 - Weimar,
14/15-4-1705 5
Violinista
Johann Georg Hoffmann
Uhlstádt, ? - ?
6 — Contrabassista
Johann Andreas Ehrbach
?-?
7
Fagottista (anche tenorista)
Johann Dóbernitz
? - sep. Weimar, 7-7-1735
8
Fagottista
Christian Gustav Fischer
?2-?
Johann Georg Beumelburg
? - sep. Weimar,
9
Trombettista
27-11-
1729 10
Trombettista
Johann Wendelin Eichenberg
?-?
11
Trombettista
Johann Martin Fase
?-?
Johann Martin Fichtel
?-?
Johann Christoph Heininger
? - sep. Weimar,
12
Trombettista
13.
Trombettista
19-8-
1729 14
Timpanista
Andreas Nicol
? - sep. Weimar,
16-8-
1736 15
Discantista (falsettista)
Johann Christian Gerrmann
2-?
16
Discantista (falsettista)
Adam Immanuel Weldig
Sitten, Dóbeln, 1-12-1667 - sep. Weissenfels, 23-11-
17
Altista
Joseph Friedrich Banz
?-?
Altista
Johann Petrus Martini
?-?
1716 18 —
Tenorista
19
Bassista
20
Bassista
Johann Dóbernitz
vedi n. 7
Christoph Alt
? - Weimar,
Gottfried Ephraim Thiele
? - sep. Weimar,
1715
12-8-
1726
Com'era buona consuetudine presso tutte le corti, a taluni di questi
strumentisti e cantori spettavano anche incombenze d'altro genere; . così, il Westhoff era Cammersecretarius, l'Ehrbach Kunstcämmerer, lo
Heininger Cammerfourier, il Weldig e il Thiele maestri dei paggi e il Banz Prinzeninformator (cioè istruttore dei nipoti del duca). Vi erano,
inoltre, otto fanciulli cantori, mentre il documento accenna anche a
tre cantatrici (esibitesi in spettacoli operistici): le sorelle Christine Elisabeth, Justine Elisabeth e Magdalena Elisabeth Dóbrichtin. Figura eminente nell'ambiente musicale di Weimar era quella dello Stadtkantor Georg Theodor Reineccius, o Reineck (Neubrandenburg, 1660 - Weimar, 30 novembre 1726). Reineccius, che vedremo
tenere a battesimo nel 1713 i due gemelli nati a Bach, era stato Kantor ad Eisleben e nel 1687 era stato chiamato a Weimar, dove fu anche
insegnante nel locale ginnasio. Nel suo Musikalisches Lexikon Walther lo dice «buon
compositore»;
suoi lavori teatrali educativi furono 359
Weimar (1708-1717)
P
rappresentati a Weimar a partire dal 1688 (anno in cui fu presentata un'azione scenica natalizia): cosi, del 1690 & una commedia scolastica, Der wunderlich beglückte Manfredo; del 1691 un divertimento dal titolo Des gottseligen Antenors christlicher Regentenspiegel durch die in der weimarischen Stadt-und Landschule studierenden Musenfreunde, in einem Lustspiel vorgestellt, e nel 1700 fu presentato un Drama de condemnatione salvatoris nostri passionale. Ma egli dovette manifestare il proprio talento soprattutto come compositore di cantate; i testi di un'annata completa di cantate da lui composte furono pubblicati nel 1700 * e si è supposto (Hoffmann-Erbrecht) che egli sia stato l’autore delle musiche per i testi della raccolta manoscritta di Salomo Franck Evangelische Seelenlust.
24. Bach a Weimar. BIBLIOGRAFIA
Hans LÖFFLER, J. S. Bach und der Weimarer Orgelbauer Trebs, in BJ XXIII (1926), pp. 156-158; Karl BECHSTEIN, J. S. Bachs Wohnung in Weimar, in « Allgemeine Thüringische Landeszeitung Deutschland», Jahrgang 81, n. 216, Weimar 6-8-1929; Kurt Wolfgang Senn, J. G. Walther und J. S. Bach. Ursachen und Wirkungen einer Musikerfreundschaft, in « Musik und Gottesdienst» XVII (1963), pp. 27-38 e 57-68; In., Über die musikalischen Beziehungen zwischen J. G. Walther und J. S. Bach, in «Musik und Kirche» XXXIV (1964), pp. 8-18; Hans Rudolf Jung, G. Ph. Telemann als Eisenacher Kapellmeister und seine weltliche Festmusiken für den Eisenacher Hof, Diss., 2 voll., Martin-Luther-Universität, Halle 1975; Eberhard MATTHES, Eisenach zur Zeit von Telemanns dortigem Wirken 1708-1712, in Telemann und Eisenach (= Magdeburger-Telemann-Studien, a cura dell'Arbeitskreis « Georg Philipp Telemann » im Kulturbund der DDR, Bd. V), Magdeburg 1976, pp. 5-15.
Il quadro, dominato dalla figura del duca Wilhelm Ernst e mosso da personalità di letterati e musicisti, rivestirebbe scarso interesse storico se non fosse vivificato dalla presenza di Bach: lo sfondo & mediocre, ma la figura in primo piano ha del sublime. Giunto a Weimar una prima volta, come si & visto, nel marzo
1703, Johann
Sebastian si trovó a contatto con la nuova poesia ecclesiastica di Franck e incrementó le proprie esperienze musicali affiancando un consistente manipolo di buoni musicisti: Drese, Strattner, Effler, Westhoff, Reineccius, ai quali aggiungeremo ancora il nome di Samuel Heintze
che dal 1692 al 1707 tenne il posto di organista nella Stadtkirche (la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo). : 360
Weimar (1708-1717)
In quel primo breve soggiorno, Bach aveva fatto parte (come violinista) non già della vera e propria cappella ducale, ma della cappella privata di Johann Ernst (II), il co-reggente fratello minore di Wilhelm Ernst, appassionato cultore di musica e che tale nobile inclinazione
seppe opportunamente
trasmettere
ai propri figli. Ma il
soggiorno del «lacché» Bach era stato presto interrotto, nel mese di
settembre di quello stesso anno, dalla chiamata ad organista della Chiesa Nuova di Arnstadt. Il ritorno a Weimar alla fine del giugno 1708 era poi stato propiziato dalle difficoltà che egli aveva incontrato a Mühlhausen. I documenti ora lo dicono Hoforganist (BD II, 38-41, 44) con una paga annua di 150 fiorini contro i 130 che in precedenza erano assegnati a Effler; ma, in realtà, come attestano altri documenti
(BD I, 1 e 184; II, 42) egli esercitava funzioni anche di Cammer-musicus. La somma percepita era notevolmente più elevata rispetto a quella prevista dal contratto stipulato per il servizio a Miihlhausen: 85 fiorini più altri 13 circa in beni di natura (farina, legna e fascine). Reinhold
Jauernig cumulando appannaggi e indennità ha calcolato che lo stipendio versato a Bach nei vari anni del periodo di Weimar abbia subito le seguenti variazioni: 1708 = 158 fiorini e 15 groschen 1711:.— 210
7%
1713=:229
o
1714 — 268 1716 — 316
» »
(nomina a Konzertmeister) e 12 groschen
Si tratta di stipendi ottimi, assai superiori a quelli spettanti al Kapellmeister Johann Samuel Drese che fra il 1683 e il 1716 godette della paga fissa di 200 fiorini annui, mentre al di lui figlio Johann
. Wilhelm, vice maestro di cappella dal 1704 al 1717, furono versati costantemente 150 fiorini annui. Si aggiunga che all'organista cui toccó poi di prender il posto di Bach, il suo allievo Johann Martin Schubart, fu nuovamente assegnato lo stipendio che già competeva a Effler, 130 fiorini; tale cifra rimase invariata anche sotto il successivo organista di corte, Johann Caspar Vogler (1721), al quale solo nel 1723/24 fu aumentata la paga a 200 fiorini, toccando poi la punta massima nel rác 1735/36 con 228 fiorini. Ovunque
stabilisse il proprio luogo di lavoro, Bach riusciva ad
ottenere le condizioni economiche pit favorevoli e in misura superiore a quelle dettate ai maestri che lo avevano preceduto o che lo avrebbero seguíto. Era questo, certamente, un segno del valore del musicista, per la cui opera organismi municipali o príncipi regnanti erano disposti 361
Weimar (1708-1717)
a sacrifici anche ingenti: & possibile che questa situazione di privilegio,
non conforme alle leggi ordinarie di mercato, che anche in fatto di musica condizionavano le istituzioni, finisse col creare screzi
e malu-
mori, invidie e ritorsioni fra coloro i quali non beneficiavano di pari o proporzionale trattamento, sicché nel ricercare i motivi che di volta
in volta condussero Bach alla determinazione di lasciare un servizio per assumerne un altro si dovrà tener conto anche di questa realtà
economica che lo innalzava sugli altri, ma lo rendeva anche piü isolato e vulnerabile.
L'organo al quale Bach sedette durante gli anni di Weimar e quello della Chiesa del Castello. La storia dell'edificio & presto fatta. Eretta sul luogo ove un tempo (VIII secolo) sorgeva la Chiesa di S. Martino, era stata riconsacrata, dopo vari lavori di ampliamento, nel 1468; un organo, con sei registri, era stato installato nel 1492. Rimodernata e ampliata nel 1533, la chiesa, nella quale piá volte aveva predicato Lutero,
fu distrutta da un incendio il 2 agosto 1618 (e analoga sorte subí, come si è detto, l'attiguo castello ducale, l'Hornstein). Subito ricostruita, fu consacrata il 28 marzo 1630 e dedicata alla SS. Trinità, ma dopo breve tempo fu lasciata in abbandono; solo nel 1651 il duca Wilhelm IV la ricuperó e riportó alle sue funzioni; restaurata, la chiesa fu nuovamente e solennemente inaugurata il 28 maggio 1658, nel giorno del genetliaco del duca, e ricevette la tenera denominazione di « Weg zur Himmelsburg » (Via alla Città Celeste). Un furioso incendio la
distrusse il 6 maggio 1774 unitamente, come si & visto, al Wilhelmsburg. Per qualche tempo le funzioni di cappella di corte passarono all'antica Jakobskirche (fondata nel 1168), la chiesa in cui Goethe sposó Christiane Vulpius (il 19 ottobre 1806) e nel cui annesso cimitero (in opera fra il 1530 circa e il 1818) furono sepolti, fra gli altri, Lucas
Cranach (1553) e Johann Gottfried Walther (1748). Un dipinto, opera di Christian I. Richter (1587-1667), eseguito intorno al 1660 e ora conservato nelle Staatliche Kunstsammlungen
di Weimar, riproduce l’interno della Chiesa del Castello, quale doveva essere anche al tempo di Bach. La struttura & singolare e ricca di particolari curiosi e fin bizzarri. Per la descrizione di quell’interno,
possiamo ricorrere ad una pagina del Terry: L'interno s'innalzava per tre piani del palazzo su un pavimento di lastre di marmo rossastro; i muri ed il soffitto variavano in grigio bleu e rossiccio.
Gli archi del primo piano erano decorati con modanature rosso-scure ed intarsi di marmo bruno. I pilastri del piano di mezzo erano d'un verde-giada e sotto il soffitto s'innalzavano venti erme di pietra grigia. Dietro una balaustra, sul pavimento a scacchi bianchi e neri, stava l'altare, sotto un baldacchino, in forma di piramide che arrivava al tetto. La base della piramide
362
Weimar (1708-1717)
serviva a formare il pulpito, decorato in rosso bruno, con piccoli cornicioni di marmo bianco, mentre dei cherubini arrampicantisi per la « via del ciclo » lo affiancavano sui due lati. Sei porte dagli stipiti dipinti in giallo conducevano ad altrettanti palchetti sul primo piano; porte dello stesso genere davano l’accesso ad altri palchi nelle gallerie superiori. Il palco ducale, congiunto direttamente agli appartamenti privati, si trovava probabilmente di fronte all’altare, in vista dell’organo posto in una galleria sotto il soffitto, sul muro meridionale, attorniato d'azzurro e di nuvole bianche.
di cherubini
musicanti
su uno
sfondo
Aggiungerò che l'obelisco nella parte mediana recava un affresco ovale e che le colonne che lo sostenevano erano in forma di palma. L'organo, che era stato collocato in posizione cosí elevata, immediatamente sotto il soffitto all'interno d'una cupola quadrangolare delimitata
da una
balaustra,
era stato
realizzato
originalmente
da
Ludwig Compenius nel 1657-1658 *, ma aveva subíto profonde modifiche nel 1707-1708 ad opera di Johann Conrad Weishaupt di Seebergen (Gotha): il costo stesso dell'operazione — 280 fiorini — dimostra che non s'era trattato di lavoro di poca consistenza. Il contratto firmato in data 9 marzo 1707 obbligava il Weishaupt a consegnare lo strumento entro il maggio 1708 e cosí fu fatto. Bach ebbe modo di provare lo strumento — e forse ricevette un esplicito invito in proposito — in una data compresa fra il 6 giugno (il giorno prima era impegnato ad Arnstadt per le nozze del pastore Stauber) e il 24 giugno (del 25 & la lettera di dimissioni presentata da Bach al Conventus Parochianus di Mühlhausen). Ai primi di luglio, egli aveva già preso dimora a Weimar: del 14 luglio & il pagamento effettuato ‘in sue mani di 10 fiorini quale rimborso per le spese sostenute nel trasloco (BD II, 38). Ufficialmente Bach prendeva il posto del vecchio organista di corte Johann Effler, collocato a riposo e da tempo ammalato. La casa in cui Bach trovó alloggio, si presume dal momento del suo arrivo a Weimar almeno sino al 1713, non esiste piá: l'impietoso bombardamento
del 9 febbraio 1945 l'ha distrutta. L'edificio, affac-
ciantesi sulla piazza del mercato, aveva già subíto, comunque, modifiche tali da non sembrare piá, almeno all'interno, quello frequentato da Bach: nell'Ottocento era stato trasformato in albergo («Zum Erbprinzen» - Ai príncipi ereditari) e successivamente aveva preso il nome di Parkhotel (ora ricostruito). Sappiamo che la casa era di proprietà di Adam Immanuel Weldig, un personaggio che abbiamo già visto iscritto, come falsettista, nell'organico della cappella di corte relativo all'anno 1700; un documento comunale del 13 marzo
1709 (BD II, 45) specifica che Bach abitava un alloggio « con i propri cari e una sorella »; quest'ultima era Friedelena Margaretha, la sorella 363
Weimar (1708-1717)
più anziana di Maria Barbara. Nell’estate 1713 Weldig si trasferi alla corte di Weissenfels: non sappiamo se Bach continuò ad abitare in quella casa o se invece, specie dopo la nomina a Konzertmeister, i poté usufruire d'un alloggiamento a corte. Al momento del trasloco a Weimar, Maria Barbara era già incinta. Feconda in misura adeguata ai tempi e capace di sostenere le gravidanze in maniera conforme alle tradizioni di famiglia, Maria Barbara negli anni di Weimar partorí sei figli: ma senza fortuna fu il parto gemellare del 1713; dei restanti figli, i tre maschi furono in grado di seguire la grande vocatio famigliare della musica, mentre la femmina primogenita menò esistenza mediocre e mori zitella. Fu la Stadtkirche (l’odierna chiesa intitolata a Herder) ad accogliere al fonte battesimale quelle creature. Elenchiamole qui di seguito, indicando anche i nomi e le generalità dei padrini (che, secondo il costume allora invalso, erano
sempre tre, di cui due generalmente del medesimo sesso del battezzando e uno di sesso opposto): 1. CATHARINA DOROTHEA
(BD II, 783).
batt. 29-12-1708
(BD II, 42) - Lipsia, 14-1-1774
Padrini - Georg Christian Eilmar (Windeberg, Mühlhausen, 6-1-1665 Mühlhausen, 20-10-1715), pastor primarius alla Marienkirche di Mühlhausen. - Martha Catharina Lämmerhirt, nata Brückner (? - Erfurt, sep. 12-9-1721), vedova di Tobias Limmerhirt, consigliere a Erfurt e zio di Johann Sebastian. - Johanna Dorothea Bach, nata Vonhof (Ohrdruf, 9-5-1674 -
12-3-1745), moglie di Johann Christoph Bach [42], organista a Ohrdruf. 2. WILHELM FRIEDEMANN [66] batt. 24-11-1710 (BD II, 51) - Berlino, 1-7-1784. Padrini - il barone Wilhelm Ferdinand von Lyncker (Jena, batt. 4-2-1687 - Weimar, 26-10-1713), gentiluomo di camera del duca. - Anna Dorothea Hagedorn, nata Eilmar (Grossgrabe, Mühlhausen, 9-3-1691 - Mühlhausen, sep. 15-3-1762), figlia del pastore Eilmar e moglie di Gottfried Hagedorn di Mühlhausen. - Paul Friedemann Meckbach (Mühlhausen, batt. 6-4-1674 Meiningen, sep. 11-2-1731), figlio del borgomastro di Mühlhausen Conrad Meckbach. 3. ManiA SorurA batt. 23-2-1713
(BD II, 56) - sep. 15-3-1713
(BD II, 5m,
Padrini - Samuel Heintze (Suhl, ? - ?), segretario e protocollista a già organista nella Stadtkirche di Weimar dal 1692 al - Johann Christoph Hoffmann. (Suhl, batt. 12-12-1662 commerciante di armi a Suhl. - Georg Theodor Reineccius (Neubrandenburg, c. 1660 mar, 30-11-1726), Kantor alla Stadtkirche.
364
Suhl, 1707. - ?), Wei-
dicax
Weimar (1708-1717) 4. JOHANN CHRISTOPH 23-2-1713 (BD II, 56) - 23-2-1713. Fratello gemello della precedente, probabilmente deceduto prima di ricevere il battesimo dal momento che i padrini sono specificati solo per Maria Sophia.
5. Carr PHiciep EMANUEL
[67] batt. 10-3-1714 (BD II, 67) - Amburgo,
14-12-1788.
Padrini - Adam Immanuel Weldig (Sitten, Dóbeln, 1-12-1667 - Weissenfels, sep. 23-11-1716), maestro dei paggi e Kammermusicus alla corte di Weissenfels, già maestro dei paggi e falsettista (dal 1697 al 1713) in quella di Weimar. - Georg Philipp Telemann (Magdeburgo, 14-3-1681 - Amburgo, 25-6-1767), Kapellmeister nella libera città di Francoforte sul Meno.
- Catharina 31-3-1676 cameriere Arnstadt,
Dorothea Altmann, nata Herthum (Arnstadt, batt. - 22-5-1758), moglie di Christian Friedrich Altmann, particolare alla corte del conte di Schwarzburgcugina di Maria Barbara e nipote di Heinrich Bach [19].
6. JOHANN GOTTFRIED BERNHARD
[68] batt. 12-5-1715 (BD II, 74) - Jena,
27-5-1739.
Padrini - Johann Andreas Schanert (Ohrdruf, 8-4-1664 - 28-7-1719), registrator a Ohrdruf. - Johann Bernhard Bach [36] (Erfurt, batt. 25-11-1676 - Eisenach, 11-6-1749), Kammermusicus e organista ad Eisenach. - Sophia Dorothea Emmerling, nata Bellstidt (Arnstadt, batt. 31-10-1684 - ?), moglie del cuoco particolare della corte di Schwarzburg-Arnstadt Johann Christoph Emmerling.
E poiché stiamo trattando di battesimi e di padrini coglieremo l'occasione per completare il discorso e specificare che, a sua volta, anche Bach fu chiamato, durante gli anni di Weimar, a testimoniare
al fonte battesimale. Quattro sono 1 casi occorsi: 1. Johann Gottfried Walther jun. (BD II, 54): Weimar, batt. 27-9-1712 Augusta, 14-9-1777, figlio dell'organista omonimo. 2. Johann Sebastian Bach jun. (BD II, 59): Ohrdruf, batt. 7-9-1715 - 5-111713, figlio di Johann Christoph Bach [42]; il fratello gemello, Johann Andreas [65] (Ohrdruf, 7-9-1713 - 25-10-1779) fu tenuto a battesimo da Andreas Schanert sopra citato.
3. Johann Gottfried Trebs (BD II, 61): Weimar, batt. 27-11-1713 - ?, figlio dell'organaro Heinrich Nicolaus Trebs. 4. Johann Friedrich Immanuel Weldig (BD II, 68): Weissenfels, batt. 22-3-1714 - ?, figlio del sopra citato Adam Immanuel Weldig. Bach non si recò a Weissenfels, ma fu «rappresentato» dal segretario della locale corte Johann Christian Eylenberg.
365
Weimar (1708-1717)
Maria Barbara, invece, tenne a battesimo un unico soggetto, Juliana Maria Philippina Heininger (BD IL 72): Weimar, batt. 28-10-1714 - ?, figlia del furiere di camera e suonatore di tromba a corte Johann Christoph Heininger. Questi elenchi di nomi potrebbero sembrare aride esercitazioni su
documenti di minimo significato; in realtà, & solamente ricorrendo a un metodo di lettura di questo genere che si potrà afferrare il senso di certe coordinate storiche, il valore integrale del rapporto con la vita contemporanea. All'amicizia con Weldig, il padrone di casa, o con l'organaro Trebs, sul conto del quale dovremo ancora dire qual-
cosa, la storia giustamente non ha dato soverchio peso; qualche motivo d'interessein più si può trarre, forse, dalla persistenza dei rapporti con le famiglie del pastore Eilmar e del borgomastro Meckbach, perché ciò sta a dimostrare, insieme con altri argomenti che qui non richiameró, come rottura vera e propria con l'ambiente di Mühlhausen non vi fu e la soluzione di Weimar fu pacifica e semplicemente conveniente a entrambe le parti in causa. Nella piccola corte di Arnstadt, parimenti, Bach continuó a sostenere un legame con figure certamente poco significative, ma pur sempre privilegiate rispetto ad .
altre del mondo di Weimar che ci si sarebbe attesi di veder rappre-
sentate in quegli elenchi, gli alti dignitari di corte (il solo barone von Lyncker, ancor molto giovane e persona certamente non molto influente, & qui presente), ad esempio, o Salomo Franck. Ma forse Bach, anche in queste circostanze della vita, non era ancora in grado
di puntare in alto e doveva accontentarsi di rapporti di natura piü semplice e più conveniente al suo stato. La dottrina che avvolge a spirale le opere di Bach induce a non trascurare alcun rapporto biografico, ma fra quelli ne esistono certuni che hanno il peso determinante proprio delle relazioni fra causa ed effetto, nonostante l'esigua consistenza della documentazione che dovrebbe sostenerli di fronte alla storia. Fra tanti nomi citati in quei
registri di battesimo, due dovettero ripagare dello sforzo chi per primo si diede a cercare fra le carte nel tentativo di ricostruire la genealogia bachiana e di individuare la continuità del sommo ceppo: e colui avrà scritto a grandi caratteri i nomi di Johann Gottfried Walther e di Georg Philipp Telemann. Walther per primo, il meno grande certamente, ma il più vicino
a Bach. Un saldo legame di parentela legava i due musicisti. Nato a Erfurt il 18 settembre 1684 — e dunque solo sei mesi prima di Bach —
Walther era figlio di una Lämmerhirt, Martha Dorothea
(Erfurt,
batt. 29-6-1655 - ?) e apparteneva,
perciò,
al medesimo
ceppo da cui erano discese la Hedwig sposa a Johann Bach [17] e la Maria Elisabetha madre di Johann Sebastian. Hedwig e Maria 366
Weimar (1708-1717)
Elisabetha erano sorellastre, figlie, l'una di primo letto e l'altra di secondo letto, di Valentin Lämmerhirt
(senior); Martha Dorothea,
invece, era figlia di un altro Valentin Lämmerhirt (junior), primogenito di quello sopracitato e fratello di Hedwig. Maria Elisabetha, insomma, era zia di Martha Dorothea e perciò i rispettivi figli, Johann Sebastian e Johann Gottfried erano cugini. Il padre, Johann Stephan, era uno stimato artigiano nel campo dei tessuti e aveva potuto avviarlo agli studi; dopo aver frequentato il locale ginnasio
negli anni
1697-1702,
avrebbe
dovuto
iscriversi
all'Università per seguirvi i corsi di filosofia e di giurisprudenza, ma aveva abbandonato l'idea per dedicarsi totalmente alla musica, il cui studio egli aveva intrapreso sotto la guida di Johann Bernhard Bach [36] e di Johann Andreas Kretschmar, nel favorevole ambiente creatosi intorno a Pachelbel, che fra il 1678 e il 1690 aveva esercitato alla
Predigerkirche di Erfurt. Nel luglio 1702 Walther otteneva il posto di organista nella Chiesa di S. Tommaso,
ma
non
desisteva dal-
l'approfondire le proprie conoscenze teoriche ed anzi proprio a quel momento risale lo studio della composizione iniziato con Buttstett e proseguito da perfetto autodidatta. Invitato a sostenere una prova all'organo della Blasiuskirche di Mühlhausen il cui ufficio si era reso vacante per la morte di Johann Georg Ahle, Walther aveva rinunciato a parteciparvi: involontariamente aveva lasciato libero il cammino al cugino Johann Sebastian. Nel luglio 1707 aveva invece accettato, succedendo a Samuel Heintze, il posto di organista nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Weimar *, posto che avrebbe poi conservato sino al 1745, quando, già da tempo seriamente ammalatosi agli occhi, fu costretto ad abbandonare l'impiego. Il 7 giugno 1708 aveva sposato Anna Maria Dressler (Braunschweig, 8 novembre 1688 - Weimar, sep. 23 giugno 1757) dalla quale ebbe otto figli (Johann Sebastian, come si é visto, fu padrino di battesimo di Johann Gottfried junior, terzogenito). Morí a Weimar il 23 marzo 1748. Nel 1721 Walther figura fra i musici attivi alla corte di Weimar, ma i contatti con la famiglia ducale erano stati avviati sin dai tempi in cui il musicista aveva preso servizio alla Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, poiché alle sue cure era stata affidata l'educazione inusicale dei
figli nati dal matrimonio del co-reggente Johann Ernst (II), deceduto il 10 luglio 1707 (venti giorni prima dell'arrivo di Walther a Weimar), con Dorothea Sophia di Assia-Homburg: il quasi maggiorenne Ernst August, futuro co-reggente (dal 1709), la principessina Johanna Charlotte e il giovane Johann Ernst (III). Quest'ultimo, che vedremo
seriamente legato anche all'attività creatrice di Bach, sin da fanciullo
aveva dimostrato un precoce talento di musicista: la dedica a lui indirizzata che Walther appose al proprio trattato di musica, Praecepta 367
Weimar (1708-1717)
der Musicalischen Composition ", nel giorno onomastico del principe il 13 marzo 1708, non è soltanto un omaggio formale, ma è un segno
di ammirazione per il giovane augusto allievo (che contava appena 12 anni) e una testimonianza esplicita delle possibilità di apprendimento della tecnica musicale che il principe dimostrava. Walther stesso non ha esitato a inserire nel proprio Musikalisches Lexikon (1732) il nome di cosí promettente allievo, la cui carriera musicale fu pur-
troppo stroncata da morte precoce. Nato a Weimar il 25 dicembre 1696, Johann Ernst, infatti, morí a Francoforte sul Meno il 1? agosto
1715. Walther ci dice che era particolarmente abile nell'arte del violino (appresa dal proprio Cammer-Diener Gregor Christoph Eylenstein), ma che sapeva suonare bene anche il cembalo; e aggiunge che sotto la sua stessa assistenza Johann Ernst aveva elaborato diciannove composizioni strumentali, fra cui sei concerti poi pubblicati in folio. Su quest'opera, edita a Francoforte nel 1718 a cura di Telemann, e su
altri particolari biografici, avremo occasione di trattenerci ampiamente in seguito. Ho già avuto modo di accennare alla scarna nota (trentanove righe) che Walther ha riservato al cugino Johann Sebastian nel proprio Musikalisches Lexikon (cfr. p. 49). L'intenzionale laconicità della notizia & stata interpretata sovente come una prova delle difficoltà dei rapporti intercorsi fra i due musicisti. In realtà, non si può addossare a Walther (cui si devono numerose copie di opere bachiane) una colpa — se tale veramente fu — che ricade su tutti icontemporanei. L'estraneamento di Bach è una conseguenza delle idee allora circolanti nel mondo della musica: ogni altra illazione appare gratuita e intempestiva, mossa più da un indignato sentimento di reazione e di rivalsa che da un equilibrato e realistico criterio di giudizio. La possente documentazione che Walther incominciò a raccogliere intorno al 1710 e che poi egli andò ampliando nel tempo sino al compimento dell'opera nel 1732 * colloca il cugino di Johann Sebastian in una sfera culturale a pochi accessibile in quei tempi: il lessico da lui firmato, il primo in lingua tedesca, è un monumento che lascerà traccia durevolissima nel tempo. L'altro rapporto privilegiato che occorre mettere in luce è quello che riguarda Georg Philipp Telemann, sul conto del quale tuttavia non
sarà necessario
spendere troppe parole, data la notorietà
del
personaggio. Dalla nativa Magdeburgo, Telemann si era portato a Zellerfeld (1694), a Hildesheim (1697), a Lipsia infine (1701) per
completarvi il piano di studi. All’attività musicale espletata a Lipsia, era seguita quella esercitata a Sorau (1705). L'11 marzo 1707 aveva preso servizio alla corte di Eisenach in qualità di Concertmeister; con
tale mansione egli si tratterrà nella cittadina che aveva dato i natali 368
Weimar (1708-1717)
a Bach sino all’inizio del 1712
(del 9 febbraio di quell’anno è il
contratto da lui stipulato col Consiglio Municipale di Francoforte sul Meno come Kapellmeister della Chiesa degli Scalzi, contratto che egli onorerà sino al 1721, l'anno del definitivo trasferimento ad Amburgo).
Non si finirà mai di rimpiangere la totale mancanza di notizie sui rapporti che dovettero intercorrere fra Telemann
e Bach, rapporti
che in ogni caso non dovettero essere né occasionali né peregrini, ma
che in piá di una circostanza (ad esempio, nell'estensiva applicazione del concetto
di concerto,
nella comunanza
stilistica risultante nelle
composizioni liturgiche, cantate e passioni specialmente) suggeriscono l'ipotesi di un contatto che, almeno negli anni in cui Telemann operó ad Eisenach, dovette essere abbastanza intenso. In ogni caso, il fatto
che Telemann sia stato chiamato nel 1714 a tenere a battesimo Carl Philipp Emanuel Bach (e con questi rimase costantemente in rapporto
per tutta la vita) prova che negli anni immediatamente precedenti Johann Sebastian aveva mantenuto i contatti con la corte di Johann Wilhelm di Sassonia-Marksuhl e con l'ambiente di Eisenach in genere,
dove emergevano figure di musicisti quali Telemann appunto e il cugino Johann Bernhard Bach [36]. Proiettata alla ricerca di legami, profondi o superficiali, determinanti o occasionali, la storiografia bachiana ha raccolto in unico mazzo anche altre personalità nelle quali si riconosce una minuscola
parte della storia vissuta in quegli anni dalla piccola Weimar. In campo musicale si deve riservare un posticino all'organaro Heinrich Nicolaus Trebs o Tróbs (Bad Frankenhausen, 10 agosto 1678 - Weimar, sep. 18 agosto 1748). Attivo a Weimar a partire dal 1709, Trebs sovrintendeva alla manutenzione degli organi del territorio del ducato: le cure particolari che il duca Wilhelm Ernst riservava al culto — e di
riflesso a tutto ciò che si ricollegava alla musica sacra — giustificavano un impegno «continuativo» di quel genere, siglato nel 1712 dal
privilegium del titolo di « organaro di corte». L'autorità acquisita da
Bach nel campo della valutazione degli organi impegnò subito il
musicista in un esame, che non sappiamo sino a qual punto rigoroso, della situazione organaria in collaborazione con il «tecnico » Trebs,
che egli per altro aveva già conosciuto poiché — è Walther stesso a specificarlo nel proprio Lessico — Trebs era giunto a Weimar prove
niente da Mühlhausen. Ancora Walther indica che fra il 1709 e l'anno
di pubblicazione del suo dizionario Trebs aveva costruito 16 organi
fra cui quello della locale Chiesa di S. Giacomo, ricostruita per volere
del duca e consacrata il 6 novembre 1713 (cfr. BD II, 60).
Il primo lavoro affidato a Trebs al momento dell'arrivo nella nuova
sede riguardò l'organo della chiesa d'un paesino del circondario di Weimar:
Taubach
nei pressi di Mellingen. 369
Il contratto
relativo è
Weimar (1708-1717)
datato 5 luglio 1709; l’organo fu collaudato da Bach il 26 ottobre 1710 nella Domenica 19a post Trinitatis (cfr. BD II, 50 e 50a), ma è alquanto verosimile che Trebs si sia limitato ad eseguire il lavoro, poiché si ritiene che il progetto cda sia opera di Bach *. Pochi mesi dopo (16 febbraio 1711) Bach rilascierà a Trebs che gliene aveva fatto richiesta — e il fatto si dovrà mettere in relazione, probabilmente, con la realizzazione dell’organo di Taubach — un attestato comprovante le capacità e i meriti di organaro coscienzioso e rispettoso dei
contratti stipulati (BD I, 84). i Degli altri lavori affidati a Trebs uno solo interessa in questa sede. L'organo della chiesa del castello, che era stato completamente revisionato da Weishaupt poco prima dell’assunzione del posto di organista da parte di Bach, fu nuovamente ritoccato pochi anni dopo. Il 29 giugno 1712 Trebs firmò un contratto per apportarvi riparazioni e per
aggiungervi nuovi registri. Il lavoro fu condotto a termine nella primavera del 1714, e l'inaugurazione dell'opera avvenne forse il 17 giugno con l'esecuzione della Cantata BWV 21 Ich hatte viel Bekümmernis. Nell'intervallo di tempo in cui l'organo della cappella ducale non fu agibile, Bach si serví frequentemente dell'organo della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo di cui era titolare il cugino Walther. Nel 1715 all'organo fu poi aggiunto, su suggerimento di Bach, un Glockenspiel di fabbricazione norimberghese e nel giugno 1716 alcuni elementi decorativi («un'insegna recante inciso il nome del principe, ramoscelli di palma e il cappello principesco »). Si deve ricordare, infine, che nuove essenziali modifiche furono apportate, sempre dal Trebs, nel 1719/20, al tempo in cui era organista di corte Johann Martin Schubart, sicché la disposizione dell'organo quale & registrata nella
memoria storica del Wette (1737) non corrisponde a quella che Bach ebbe l'occasione di praticare negli anni del suo magistero presso quella corte. La corona delle personalità che per diverso titolo furono in rapporto con Bach — e certo la storia riservò loro un trattamento di favore,
sicuramente inaspettato e ben superiore all'oggettivo valore della loro presenza in quel contesto — si completa con la citazione di pochi altri nomi. In primo luogo, quello di Johann Christoph Kiesewetter (Breitenbach, 15 marzo 1666 - Weimar, 27 maggio 1744), rettore del
Liceo di Ohrdruf nel 1696 — e dunque negli anni in cui quell’istituzione ebbe il più illustre degli allievi della sua centenaria storia — chiamato poi nel 1712 a reggere il Ginnasio di Weimar appena fondato dal duca Wilhelm
Ernst. In secondo luogo, quello del pro-rettore
Johann Matthias Gesner (Roth, Norimberga, 9 aprile 1691 - Góttingen, 3 marzo 1761), nominato a quella carica nel marzo 1715 e bibliotecario sino al 1729, che pit tardi, dal 1730 al 1734 fu rettore 370
Weimar (1708-1717)
della Thomasschule di Lipsia, quando Bach vi eserciterà le funzioni
di Kantor. In terzo luogo, e in unico mazzo, quelli del predicatore
di corte e consigliere del Concistoro Johann Klessen, del sovrintendente generale Johann Georg Lairitz, del consigliere segreto Georg Wilhelm von Reinhaben, del diacono Georg Wilhelm von der Lage, del segretario di corte Theodor Benedikt Bormann. Su tutti costoro, tuttavia, motivi di maggiore riguardo e di piü
logica e lineare considerazione possono vantare i componenti della cappella di corte. Diviso fra il servizio di chiesa (nella cappella ducale) e di camera (nelle sale del castello), Bach ebbe modo di toccare ogni sorta di musica, fatta eccezione per quella teatrale cui il duca, dopo un momentaneo
giovanile entusiasmo, aveva negato dignità regale
— vittima, come egli era, di fantasiose coercizioni moralistiche — o
che, più semplicemente, aveva ritenuto di dover eliminare dai propri interessi culturali per non.gravare troppo sui bilanci di corte. All'ori-
ginaria mansione di organista di corte e di strumentista subentró poi quella di Concertmeister. La data di conferimento del titolo & il 2 marzo
1714 (BD II, 66):
Sua Altezza Serenissima il Duca regnante ha graziosamente conferito al già organista di corte Bach, dietro sua umilissima istanza, la qualifica (praedicat) di Concert-Meister con opportuno rango dopo il vice Capellmeister Drese, per il che egli si obbliga ad eseguire mensilmente nuove composizioni e a tenere le prove dei musici della cappella dietro sua richiesta.
Un N.B. aggiunto a margine venti giorni dopo specifica e rettifica: La disposizione relativa alle prove dei brani musicali da effettuarsi in casa o nel proprio alloggiamento & cambiata in data 23 marzo 1714 nel senso che viene espressamente ordinato che esse abbiano luogo ogni volta nella cappella della chiesa.
Abbiamo già visto quale fosse la consistenza della cappella ducale nell'anno 1700. Due altri documenti offrono il quadro relativo agli anni compresi fra il 1714 e il 1715. Il primo (BD II, 69), datato 6 aprile 1714, si riferisce alla partecipazione dei musici alla cerimonia d'inse-
diamento di due marescialli di corte, e non puó essere considerato documento ufficiale dello status capellae. Quest'ultimo, invece, risulta chiaramente e categoricamente da un altro documento (BD II, 80) non datato ma che possiamo ricondurre al 1714-15. Ecco la tabella risultante (con asterisco indico i musici già in servizio nel 1700; cfr.
tabella di pp. 358-359):
37
Weimar (1708-1717) Qualifica
N.
Dati biografici
Nome
Kapellmeister
Johann Samuel Drese
?, c. 1644 - Weimar, 1-12-1716
2
Vice-Kapellmeister
Johann Wilhelm Drese
Jena, batt. 8-7-1677 - Erfurt, sep. 25-6-1745
3
Konzertmeister e Hoforganist
Johann Sebastian Bach
*1
4
Violinista
Andreas Christoph Ecke
? - Weimar,
*5
Wiolinista
Johann Georg Hoffmann
Uhlstädt, ? - ?
6 X Violinista
*7 8
. Cammer-musicus (contrabbasso) Fagottista
johann Gottfried Denstedt
?-?
Johann Andreas Ehrbach
re
Bernhard Georg Ulrich
?-?
sep. 31-1-1718
*9
Trombettista
Johann Christoph Heininger
? - Weimar, sep. 19-8-1729
10
Trombettista
Johann Christian Biedermann
? - ?
*11
— Trombettista
Johann Martin Fichtel
?-?
*12
Trombettista
Johann Wendelin Eichenberg
? - ?
*13
Trombettista
Johann Georg Beumelburg
? - Weimar, sep. 27-11-1729
14
Trombettista
Conrad Landgraf
?-?
*15
— Timpanista
16
Discantista
Johann Philipp Weichardt
Bösleben, Arnstadt, dopo 1737
Discantista
Johann Christian Gerrmann
[AE
Christian Gerhard Berhardi
?-?
*17
Andreas
Nicol
? - Weimar, sep. 16-8-1736
18
Altista
19
_ Tenorista
Andreas Aiblinger
?-?
*20
Tenorista
Johann Döbernitz
? - Weimar,
1699 - ?,
sep. 7-7-1735
*21
Bassista
Christoph Alt
? - Weimar, 1715
*22
Bassista
Gottfried Ephraim Thiele
? - Weimar, sep. 12-8-1726
Da altri documenti (BD II, 60 e 69) risultano i nomi di due altri
componenti dell’organico di corte: un altista, Johann Jacob Graff (assunto il 27 febbraio 1713), e un discantista, Gottfried Blühnitz (? - Weimar, sep. 29 settembre 1731). Naturalmente, al servizio prettamente musicale, alcuni dei componenti la cappella aggiungevano altre mansioni; cosí, avevano la qualifica di segretari Denstedt, Aiblinger
e Thiele (quest'ultimo era anche maestro dei paggi); furiere di camera era lo Heininger, mentre il Biedermann aveva la funzione di castaldo; infine, la qualifica di HofCantor si accompagna ai nomi di Dóbernitz e di Alt. All'attività musicale pubblica o comunque esercitata in corrispettivo di una paga che gli proveniva dall'appannaggio del duca, Bach 312
Weimar (1708-1717)
aggiungeva quella privata, non documentata ma sicuramente intensa.
Agli anni di Weimar, ad esempio, sono legati i nomi di una quindicina di musicisti che in misura piá o meno rilevante si formarono sotto
la guida di Bach. La vocazione didattica, che si era già manifestata sia pure debolmente, come era naturale, ad Arnstadt e a Mühlhausen,
esplode a Weimar al punto da condurre l'organista di corte alla com-
posizione di una prima raccolta ad uso degli « studiosi », l'Orgelbüchlein.
Apprendimento ed insegnamento procedono su vie parallele, confrontandosi l'uno con l'altro per un bisogno di chiarezza interiore, per un ineffabile senso di concretezza e di sperimentazione, per un
desiderio di perfezionamento nella speculazione teorica e di aggiornamento del gusto. Lo studio e l'approfondimento di certi processi stilistici (il concerto italiano, le maniere strumentali francesi, la nuova
veste contenutistica e formale assegnata alla cantata da chiesa, il piá serrato contrappunto
nel tessuto dei corali organistici, l'incremento
progressivo dell'apparato virtuosistico) si accoppiano alle intense cure che Bach dedica ai suoi allievi, accorsi da ogni parte della Germania, richiamati da una fama che non aveva tardato ad affiancarsi a quella, più imperiosa ed immediata, più accattivante ed invitante, di sommo
cultore dell’arte organistica. Fra quegli allievi — il lettore ne estrarrà i nomi dall’elenco pubbli cato alle pagine 18-27 — la maggior parte dedicherà la propria vita alle funzioni di organista e di Kantor: il segno impresso era dunque
quello del musicista di chiesa, posto al servizio di una comunità di
fedeli; e la creazione musicale si configurava come un prodotto artigianale di pubblica utilità, come un'espressione del patrimonio civico, come un reddito del capitale investito dalla cittadinanza per la propria elevazione culturale e spirituale e in ossequio alle tradizioni della
liturgia luterana. Allopera di educazione promossa nei confronti dell'ambiente circostante si deve aggiungere il contatto con i frutti di certa musica, ‘soprattutto italiana. Vedremo a parte il complesso problema delle trascrizioni di concerti adattati per il cembalo o per l'organo, senza
il supporto di altri strumenti; ma in quel quadro — che non è segnato da motivi personali di studio, di affinamento nell’ambito di uno stile e di una forma, bensi è determinato da un invito proveniente dall'alto —
si collocano
anche
altre iniziative
che dovettero
avere,
principalmente, una funzione didattica. Che Bach si sia accinto a copiare di proprio pugno oppure si sia procurato due interi libri di opere per organo, l’uno appartenente alla scuola francese l’altro a quella
italiana, è circostanza che potrebbe apparire stupefacente; ma occorre
tener presente che alla curiosità dell’artista, desideroso di custodire in
casa propria certi monumenti dell’arte musicale, si sarà aggiunta la 373
Weimar (1708-1717)
È
necessità di procurarsi uno strumento didattico alternativo da sotto-
porre ai propri allievi, al tempo stesso cogliendo l'occasione per approfondire in proprio certe tecniche compositive. Al 1713 risale il lavoro di copiatura del Premier Livre d'Orgue contenant une Messe et les Hymnes des principalles Festes de l'année di Nicolas
de Grigny,
pubblicato a Parigi nel 1699 (ma Bach indica sul frontespizio la data del 1700, che non si sa se ritenere legata ad una seconda edizione dell’opera, a noi sconosciuta, oppure errore di trascrizione; cfr. BD I,
147a, pubblicato in appendice a BD III); la copia autografa di Bach (54 fogli) è conservata nella Biblioteca di Stato e Universitaria di
Francoforte sul Meno (collezione del Manskopfsches Museum fiir Musik-und Theatergeschichte) e riporta, oltre al livre dell'organista della cattedrale di Reims,
anche la tavola degli abbellimenti
dalle
Pieces de Clavecin di Jean-Henry d'Anglebert (Parigi, 1689) e le Six Suittes de clavessin di Charles Dieupart (Amsterdam, c. 1701-02). La presenza di un libro quale i Fiori Musicali (1635) di Frescobaldi valorizza da sola la consistenza della biblioteca di Bach: la copia (104 fogli) era un tempo conservata all'Akademie für Kirchen-und Schulmusik di Berlino, ma & andata distrutta durante l'ultimo conflitto mondiale (cfr. BD I, Anh. I, 5); sulla copia erano indicati l'appartenenza a Bach e l'anno di acquisizione, il 1714. Del 1715, circa, & la stesura autografa (BB/SPK P 270) di quattro invenzioni di Francesco Antonio Bonporti (i nn. 2, 5, 6, 7 delle Invenzioni a violino solo e Basso op. X, Bologna 1712) !°, testimonianza
precisa dell'attenzione che Bach poneva al mondo musicale italiano. Forse su quelle invenzioni Bach avrà indotto gli allievi ad applicarsi
nella realizzazione del basso, cosi come, secondo la testimonianza di
Heinrich Nicolaus Gerber
(BD II, 950), insegnava loro il basso
continuo servendosi dei soli per violino di Albinoni. Queste e altre non documentate iniziative, che dovevano trovare
una giustificazione prevalentemente nei dominii della didattica, mo-
strano un risvolto forse amaro: Bach dovette vivere gli anni di Weimar
in uno stato di isolamento, rotto solo dal contatto con gli allievi, che probabilmente fu da lui cercato non solo per incrementare le entrate. Le possenti tradizioni di famiglia non erano riuscite a far
breccia in quel ducato. E infatti, a differenza di altri centri della
Turingia, Weimar non contava fra quelli prediletti dalla famiglia
Bach. Prima dell’insediamento
di Johann Sebastian, un solo Bach
aveva avuto contatti con quella cittadina; il vecchio Christoph [18], il nonno, che per breve tempo intorno al 1640-41 aveva prestato
servizio alla corte del duca Wilhelm IV in qualità di « domestico » € quasi sicuramente anche di musico della cappella. Né in Weimar
Bach aveva protettori, conoscenti che in qualche modo lo potessero 374
NE.
Weimar (1708-1717)
agevolare nel contatto con le istituzioni locali e con l’ambiente della borghesia cittadina. La storia, pigra e dilapidatrice, non ha avuto riguardi per i biografi bachiani, costretti dalla povertà dei dati, ad «inventare » una massa di documenti marginali, interlocutori, sui quali
esercitare la propria fantasia. Se le opere nacquero in un clima d’incertezza cronologica, la cui definizione costituisce oggi uno dei principali esercizi della ricerca musicologica, i giorni trascorsero in un ambiente che non registrò eventi né passioni: cosi, dieci anni d'una esistenza
che pochi eguagliarono, si compendiano nella miseria di astratte e raggelanti informazioni anagrafiche e burocratiche.
25. Spostamenti e traversie. BIBLIOGRAFIA
Max SerFFERT, J. S. Bach 1716 in Halle, in « Sammelbände
der Internatio-
nalen Musikgesellschaft » VI (1904/05), pp. 595-596; Arno WERNER, Städtische und fürstliche Musikpflege in Weissenfels bis zum Ende des 18. Jahrhunderts, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1911; Werner WOLFFHEIM, Ein Orgelattest J. S. Bachs aus Erfurt 1716, in BJ XXV (1928), pp. 172-174; Walter SERAukv, Musikgeschichte der Stadt Halle, vol. II/1, Vom S. Scheidt bis in die Zeit G. Fr. Händels und J. S. Bachs, Buchhandlung des Waisenhauses, Halle/Saale-Berlin 1939, pp. 470-503; Ewald GuTBIER, Ist J. S. Bach 1714 in Kassel gewesen?, in « Die Musikforschung » IX. (1956), pp. 62-64.
La cronaca di quegli anni registra una serie di spostamenti momen-
tanei e saltuari di Bach in alcuni centri. In sintesi, ecco l'elenco di
quelli accertati: 1709 - fine gennaio - inizio febbraio: viaggio a Mühlhausen per l'esecuzione della cantata richiestagli per il rinnovo del Consiglio Municipale
(BD II, 43).
- 26 ottobre: collaudo dell'organo della chiesa di Taubach (BD II, 50). 1713 - febbraio: viaggio a Weissenfels, ospite presso la corte di quella città (BD II, 55). - settembre: viaggio a Ohrdruf per il battesimo di un nipote (BD 1-59):
- dicembre: viaggio a Halle per l'eventuale assunzione ad organista della Liebfrauenkirche (BD II, 62). 1716 - 28 aprile - 3 maggio: soggiorno a Halle per una perizia all'organo ; della Liebfrauenkirche (BD II, 76). erAugustin della no dell'orga - luglio: viaggio a Erfurt per il collaudo kirche (BD II, 79). 375
Weimar (1708-1717)
T EURE
Di alcuni altri viaggi, ricordati da taluni biografi (a cominciare dallo Spitta) non si ha notizia certa. Il primo sarebbe avvenuto nell’ottobre 1709 alla volta di Mühlhausen per inaugurarvi l'organo della Blasiuskirche restaurato da Wender, sulla base delle indicazioni fornite
da Bach; la solenne cerimonia si sarebbe tenuta nel giorno di commemorazione della Riforma (31 ottobre). Un viaggio si sarebbe verificato alla fine del 1714 con meta Kassel: Bach avrebbe suonato all'organo della cappella di corte alla presenza del principe ereditario Friedrich (il futuro re di Svezia). Dell'uno e dell'altro viaggio, tuttavia, manca la documentazione probante e se il primo dei due può essere pit che | verosimile, il secondo invece è confinato al rango di pura ipotesi. x
Parimenti ipotetici sono i viaggi a Lipsia sul finire del 1714 (con l'esecuzione della Cantata BWV 61 Nun komm der Heiden Heiland) e a Meiningen
nel settembre
1716 in visita al cugino Johann Ludwig
Bach [50]. Di alcuni fra questi spostamenti si & già detto. Per completare le informazioni diró quanto segue. Il 21 e 22 febbraio 1713 Bach fu ospite del serenissimo duca Christian di Sassonia-Weissenfels. Il giorno 23 cadeva il genetliaco del principe; 1 buoni rapporti esistenti fra la sua casata e quella di Sassonia- Weimar consentivano frequenti scambi anche nell’ambito musicale. Recenti studi fanno ritenere, anticipando di tre anni la data usualmente seguita, che in quella
circostanza sia stata eseguita la cosiddetta Jagdkantate (BWV 208); ma sulla questione ci soffermeremo in seguito. Piá importante ai fini d'una maggiore completezza biografica & i
rapporto instaurato con la'città di Halle. Nella città che aveva visto i natali di Haendel, la vita musicale era stata dominata per lungo tempo' da Friedrich Wilhelm Zachow che di Haendel era stato il grande maestro e che dal 1684 alla morte (avvenuta il 7 agosto 1712) aveva ricoperto la carica di organista nella locale Liebfrauenkirche. Alla successione il consiglio di reggenza della chiesa (otto membri) aveva subito pensato, ma il concorso la cui soluzione era stata rimessa nelle mani di due grandi musicisti come Krieger e Kuhnau, non aveva
avuto esito: sui vari candidati — Melchior Hoffmann di Lipsia, Gottfried Kirchhoff di Quedlinburg, Hertel di Merseburg, Koch di Halle, Haussmann di Schafstadt, i due reputati giudici non avevano raggiunto l'accordo. Nel frattempo, si era deciso di costruire un nuovo organo, la cui realizzazione era stata affidata all'organaro Christoph Cuncius con contratto in data 1° ottobre 1712: lo strumento, del costo di 6300 talleri, avrebbe dovuto essere inaugurato nella Pasqua del 1714.
Alla fine del novembre 1713 Bach era venuto a conoscenza tanto del fatto che era tuttora vacante il posto di organista ad Halle, quanto del fatto che era in costruzione un nuovo, grandioso organo (63 registri)
376
,
Weimar (1708-1717) :
la possibilità di utilizzare uno strumento di proporzioni maggiori rispetto a quelli esistenti a Weimar (e per di più quello del castello era allora in fase di riattamento) e di prender dimora in una città dotata d'una buona università e di godere quindi di agganci culturali pit solidi lo indusse a cercare il contatto con le autorità preposte alla Chiesa di Nostra Signora. A testimonianza della grande considerazione di cui godeva Bach, il posto di organista gli fu assegnato senza concorso. In data 13 dicembre 1713 il collegio ecclesiale dichiarò di aver fatto cadere la propria scelta su Bach e che questi aveva accettato l’incarico (BD II, 62). Il giorno successivo, fu steso l’atto formale che
obbligava le parti contraenti (BD II, 63):
Noi in calce sottoscritti padri e membri del Consiglio degli Otto della Chiesa di Nostra Signora, per noi e per i nostri successori nel Collegio della Chiesa, con la presente attestiamo e rendiamo noto che in virtá di questo [documento] l'onorevole e dottissimo signor Johann Sebastian Bach è stato nominato organista presso la Chiesa di Nostra Signora, e abbiamo risoluto che egli attenda lealmente al servizio nostro e della nostra chiesa, si adoperi a condurre vita virtuosa ed esemplare, perseveri fermamente sino alla morte nel professare l'immutabile Confessione Augustana, la Formula Concordiae e le altre dichiarazioni simboliche della fede, con devota attenzione alla parola di Dio serva diligentemente all’altare di questa chiesa e testimoni in tal modo all'intera comunità la sua fede e il suo cristianesimo. Inoltre,
per quanto concerne l'espletamento del suo servizio, gli spetta 1) Suonare, a incremento del servizio liturgico e con la miglior sua diligenza e capacità, il grande organo in tutte le ricorrenze solenni o nei giorni festivi e nelle relative vigilie, come pure tutte le domeniche e i sabati pomeriggio, e parimenti durante le prediche ordinarie del Catechismo e in occasione di pubblici matrimoni. Tuttavia, dovrà ricorrere talvolta, specialmente nelle grandi feste, per l'esecuzione dei corali e della musica figurata, all'organo piccolo e al regale. 2) In via ordinaria, nelle feste solenni e nelle altre feste, come pure alla terza domenica [di ogni mese], dovrà eseguire, insieme col Cantor, il coro degli studenti, i musici municipali e altri strumentisti, una musica [= cantata] commovente e di bell'effetto; ma in via straordinaria, negli ultimi due giorni festivi seguenti le maggiori solennità 11, in collaborazione col Cantor e gli studenti, dovrà comporre e dirigere brevi pezzi figurati [= mottetti], talvolta con alcuni violini e altri strumenti, in maniera tale che la comunità dei parrocchiani sia vieppiü esortata ed incoraggiata al raccoglimento e si disponga ad ascoltare con amore la parola di Dio; ma soprattutto egli
3) dovrà comunicare in tempo al signor pastore superiore della nostra chiesa il dr. Heinecke, consigliere del Concistoro, i testi scelti per le cantate e per i mottetti (cantiones), per ottenerne l'approvazione, ragion per cui egli appunto, con la presente, deve risponderne al signor consigliere del Concistoro. Inoltre, egli
51
Weimar (1708-1717) 4) dovrà fare in modo che tanto i canti dei corali ordinari quanto di quelli prescritti dai ministri del culto prima e dopo le prediche domenicali e delle | altre feste, e cosí pure quelli relativi alla Comunione, ai Vespri e alle Vigilie, siano realizzati senza strani abbellimenti in tempo lento, a quattro e cinque | voci e devotamente accompagnati al Principale, e vi sia ad ogni versetto cambiamento di registro, utilizzando anche il Quintaton, il bordone, il Gedackt(e), come pure sincopi e legature, di maniera che la comunità dei | parrocchiani possa usare dell'organo come del fondamento di una buona armonia e per intonare all'unisono e quindi cantare con devozione, ringraziare e lodare l'Altissimo. Per cui a lui 5) sono affidati e raccomandati in pari tempo il grande e il piccolo organo unitamente al regale e a tutti gli altri strumenti che appartengono alla chiesa e che sono specificati in un inventario con la presente a lui rilasciato; gli si fa obbligo di averne diligente cura, di conservare i primi, per ció che concerne
mantici, canne, registri e ogni altro accessorio, in buono
stato, e
ben intonati, senza dissonanza e indicare, ove occorresse qualche modifica o si riscontrasse qualche manchevolezza, le riparazioni e le misure da prendersi per i danni più gravi, rivolgendosi immediatamente al sovrintendente, o se il caso & importante al collegio della chiesa. Ma si fa obbligo che il regale acquistato dall’erario della nostra chiesa e gli altri strumenti musicali siano utilizzati solo per il servizio liturgico nella nostra chiesa e nella maniera piá assoluta non in altre chiese, né tanto meno siano imprestati senza il nostro benestare per banchetti; se poi ne andasse perduto uno o se per trascuratezza uno si rompesse, il danno dovrà essere da lui risarcito. Per tale sua prestazione gli sarà corrisposto annualmente dalla chiesa un salario di 140 talleri, più 24 talleri per l'alloggio e 7 talleri e 12 groschen per la legna; inoltre, gli saranno dati un tallero per la composizione della Catechismus-Musique ciascuna volta e un tallero per ogni servizio di nozze. Per contro, egli promette di non accettare, durante il periodo di validità della sua nomina, alcuna altra occupazione secondaria, ma di provvedere diligentemente al servizio unicamente di questa chiesa; tuttavia, egli sarà libero di dare lezioni (instruction) o di procurarsi degli accidentia, purché ció avvenga senza che la sua assenza pregiudichi il servizio. In attestazione, abbiamo redatto questa nomina in duplo munendola del sigillo più grande della chiesa; entrambi gli esemplari sono stati sottoscritti di proprio pugno dall’organista e di questi uno è stato a lui consegnato mentre l'altro à stato trattenuto presso la chiesa per documentazione. Dato in Halle il 14 dicembre 1713. Andreas Ockell Augustus Becker A. Matthesius Friedrich Arnold Reichhelm Christoph Semler Christianus Knaut J. S. Móschel Johann Gotthilff Kost
378
Weimar (1708-1717)
. Il documento è prezioso per i numerosi spunti di « prassi esecutiva» in esso contenuti e per la puntualizzazione delle varie e circostanziate incombenze e responsabilità che spettavano allora ad un organista addetto al servizio d'una chiesa notabile. Degli otto membri formanti il collegio ecclesiale, uno & il personaggio-chiave, l'interlocutore ufficiale di Bach, August Becker
(Halle, 4 aprile 1668 -
1° maggio 1750); con lui Bach trattenne in quel tempo un piccolo rapporto epistolare — sono tre le lettere di Bach indirizzate a Becker — di natura formale. Il primo dei tre scritti bachiani (l'indicazione del destinatario manca, ma si ritiene che debba essere il Becker) & datato 14 gennaio 1714 (BD I, 2): Nobilisimo e onorevolissimo Signore, ho ricevuto a tempo debito la Sua spettabile lettera con la vocation in duplo [= duplice copia]. Del quale invio Le sono molto obbligato, e considero una fortuna che il nobile Collegium nella sua totalità abbia benevolmente chiamato la mia modesta persona e sono convinto, prima di tutto, di dover intendere una cotale vocation come un segno manifesto della volontà divina. Tuttavia, mio onorevolissimo Signore, spero che non Le dispiaccia se ancora non
posso comunicarLe
la mia resolution definitiva, dal momento
che in
primo luogo,non ho ancora ottenuto il congedo (dimission) definitivo e (2) di buon grado vedrei una qualche modifica [del contratto] sia per quanto concerne il salario sia per quanto riguarda le mie incombenze. Le comunicheró per iscritto le mie osservazioni su questi particolari in questa stessa settimana. Nel frattempo restituisco un esemplare [del contratto] e poiché non ho ancora ottenuto il congedo definitivo spero, mio onorevolissimo Signore, che non Le dispiaccia se ora non mi posso impegnare apponendo
la firma del mio nome prima di ottenere la dispensa dal servizio che qui esercito. Non appena si sarà potuto raggiungere un accordo sulle condizioni (station), sarà mia premura farmi vivo di persona e apporre la firma che dovrà realmente provare la mia intenzione di legarmi al Suo Servizio.
Intanto, voglia porgere, onorevolisimo mio Signore, a tutti i signori rap-
presentanti della Chiesa, il mio devotissimo ossequio e le mie scuse per trovarmi io, al momento attuale, nell’impossibilità di comunicare una risoluzione categorica sia per certi impegni che ho a corte a motivo delle feste per il genetliaco del Principe, sia anche per gli obblighi connessi al servizio liturgico; ma senza fallo lo faró in modo circostanziato in questa
settimana. Accetto con tutto il rispetto [la nomina] che mi avete indirizzato e spero che l’esimio Collegium della Chiesa si compiaccia di voler benevolmente rimuovere dal cammino le poche difficoltà accennate. Nella speranza di una pronta e positiva risposta, rimango
Nobilissimo e Onorevolissimo
Signore
Suo devotissimo servitore Joh. Sebast. Bach
Non conosciamo la risposta del Becker (BD I, 3), con la quale si comunicava la ricusazione di Bach da parte del consiglio ecclesiale 379
E
Weimar (1708-1717)
^
di Halle, ma la replica del musicista, 19 marzo 1714, fa credere ad |
una rude svolta di tutta la vicenda, con insinuazioni nei confronti
del musicista anche di scadente lega. La seconda lettera di Bach (BD I, 4),
indirizzata « A Monsieur A. Becker, Licentié en Droit. Mon tres honoré Amy a Halle», come dice il verso esterno dello scritto, rivela un fiero
risentimento, l'atteggiamento di un uomo offeso nella sua dignità di persona e di musicista: Nobilissimo, dottissimo e onorevolissimo Signore, che l'esimio Collegium della Chiesa si meravigli per il mio rifiuto del posto di organista al quale (come Lei opina) ambivo, non mi sorprende, dal momento che constato quanta poca considerazione abbia ricevuto la cosa. Lei pensa che io abbia sollecitato il posto di organista, ma non c'è cosa di cui io sia meno convinto di questa. So benissimo che sono stato io a presentarmi e che poi l’esimio Collegium mi ha sollecitato; poiché io, dopo essermi presentato, ero intenzionato a partire nuovamente, se l’ordine e la cortese esortazione del signor D. Heineccius non mi avessero obbligato a comporre ed eseguire la cantata (Stück) in questione. Per di più non si può presumere che uno voglia andare in un posto dove si è peggio trattati; ma di questa cosa io non ho potuto rendermi conto in maniera accurata nello spazio di due o tre settimane, dal momento che sono assolutamente dell’avviso
che se nella retribuzione relativa all’ingaggio in un certo luogo si devono calcolare anche gli accidentia, a ciò non bastano neppure alcuni anni, men che mai due settimane; e questa è in qualche misura la ragione per la quale allora accettai la nomina e poi, dopo esser stato sollecitato, l'ho nuovamnte rimessa. Da tutto ciò, tuttavia, non si può ancora arguire che abbia voluto prendermi gioco dell'esimio Collegio, allo scopo d’indurre il mio graziosissimo Signore ad aumentarmi la retribuzione, dal momento che Sua Altezza era già cosi ben disposta nei confronti del servizio da me prestato e della mia arte che per aumentare la mia retribuzione non era punto necessario che io prendessi la via di Halle. Mi dispiace solo che così certa persuasione dell’esimio Collegio abbia condotto a un risultato notevolmente incerto e aggiungo quanto segue: se io potessi avere a Halle lo stesso trattamento economico che ho raggiunto a Weimar, non sarei io tenuto a preferire il servizio che è prioritario rispetto all’altro? Da perfetto uomo di legge Lei può giudicare quale sia la situazione migliore, e mentre La prego di trasmettere queste mie giustificazioni all’esimio Collegio, rimango di Vostra Eccellenza devotissimo Joh: Seb: Bach Concertmeister e Hofforg.
Al tempo in cui scriveva questa lettera, da pochi giorni, come si
ricorderà, Bach vantava il titolo di Concertmeister, che gli era stato concesso il 2 marzo; ma la «resipiscenza» di Bach era già stata manifestata 380
Weimar (1708-1717)
qualche
settimana
innanzi.
La
circostanziata
risposta
annunciata
nella lettera del 14 gennaio (una risposta che, purtroppo, & andata
perduta), con la quale Bach chiedeva un aumento
di salario e piü
precise garanzie sugli accidentia, i supplementi di cui avrebbe potuto
godere, voleva ribadire in sostanza la non convenienza economica del suo trasferimento a Halle alle condizioni dettate dal consiglio della Liebfrauenkirche: contro un salario fisso di 200 talleri annui percepito a Weimar stava l'offerta di 171 talleri per il nuovo posto
a Halle. Ma il consiglio non fu dell'avviso di concedere ulteriori
supplementi di salario a Bach, motivando la delibera, in data 19 feb-
braio 1714 (cfr. BD II, 65), con le altre importanti e ingenti spese che si dovevano sostenere (principalmente, per il nuovo organo) e concedendo a Bach due giorni di tempo per prendere una decisione non
senza sottolineare che le condizioni di lavoro
(labores) offerte
per Halle non differivano molto da quelle esistenti a Weimar. La trattativa si protrasse ancora per qualche tempo, dal momento che Bach esplicitamente nella lettera del 19 marzo riferisce di aver
sostenuto la prova' di composizione ed esecuzione di una cantata voluta dal pastor primarius della Liebfrauenkirche, Johann Michael Heineccius (Eisenberg, 14 dicembre 1674 - Halle, 11 settembre 1722); di quale
cantata si trattasse non & dato conoscere con sicurezza: forse la Cantata BWV 21 Ich hatte viel Bekümmernis o forse la Cantata BWV 63 Christ ätzet diesen Tagen, come vedremo più oltre. Sta di fatto che a conclusione dell'intricata vicenda si ebbe la rinuncia di Bach: il 1° maggio
(BD II, 70), i Consiglio degli Otto provvedeva alla nomina del nuovo organista nella persona di Melchior Hoffmann, ma avendo poi questi rinunciato all’incarico, in data 30 luglio conferiva il posto a Gottfried Kirchhoff; successore di quest'ultimo, nel 1746, sarebbe poi
stato Wilhelm Friedemann Bach [66]. Nonostante
i toni sostenuti e acerbi che caratterizzarono l'ultima
fase della vicenda, i rapporti con Halle non furono troncati e, anzi,
rimasero aperti a soluzioni di collaborazione alle quali nessuna delle
due parti, del resto, aveva interesse a rinunciare: constatata una non convenienza economica per entrambi i contraenti, la trattativa fu
sospesa. Due anni pit tardi, tuttavia, il Consilium Marianum su richiesta
del Cuncius, l'organaro incaricato della costruzione del nuovo stru-
mento, si ricordò di Bach: unitamente a Johann Kuhnau, Kantor alla Thomasschule di Lipsia, e a Christian Friedrich Rolle (Halle, 14 aprile
1681 - Magdeburgo, 25 agosto 1751) dal 1709 organista a Quedlinburg, Bach fu invitato (cfr. gli atti del Consiglio in data 31 marzo e 17 aprile 1716 in BD II, 76 e 78) ad esaminare l'organo e a rilevarne gli eventuali difetti. La perizia fu fissata per il 29 aprile. Rispondendo all'invito, 381
Weimar (1708-1717)
pervenutogli per corriere, Bach scriveva ad August Becker il 22 aprile (BD): Nobilissimo, ecc. In special modo onoratissimo Signore.
à
Sono altamente obbligato per la confidence del tutto particolare e sommamente benigna di Vostra Eccellenza e del Collegio tutto nobilissimo, e poiché io provo il più gran plaisir nell'offrire in qualsiasi momento i miei più deferenti servigi a Vostra Eccellenza, tanto più mi adopererò ora a rendere visita a Vostra Eccellenza con risolutezza e conformemente alle mie possibilità dare satisfaction nell'examine richiesto. La prego dunque, se non La disturbo, di comunicare questa mia meditata resolution al nobilissimo Collegio e al tempo stesso esprimergli il mio totale e deferentissimo ossequio e di assicurarlo del mio doveroso respect per la fiducia accordatami. Esprimo la mia deferente gratitudine a Vostra Eccellenza per i molteplici incomodi che si & presa non solo ora ma anche in passato e La assicuro che vita natural durante con la più grande gioia mi dichiaro, Di Voi Eccellenza Mio nobilissimo Signore obbedientissimo servitore Joh: Seb: Bach. Concertmeister
Del circostanziato esame condotto dai tre maestri fu redatto un
verbale (1° maggio 1716) contenente le osservazioni del caso (BD I, 85): Poiché l'onorevole Collegio Mariano della città di Halle ha invitato per iscritto noi in calce sottoscritti, qui comparsi l’altro ieri, il testé trascorso 29 aprile, a esaminare (perlustriren) e ispezionare in tutte le sue parti il nuovo grande organo costruito, per grazia di Dio e per la sua gloria, nella Chiesa di Nostra Signora dall’organaro signor Christoph Cuncius, e a indicare ciò che di buono o di cattivo vi riscontrassimo e a formulare il nostro giudizio (Censur) su di esso; cosí noi ci siamo qui riuniti nel termine sopra riferito e abbiamo dato corso coscienziosamente alla graziosa richiesta (Requisition) e tenuto fede alla Confidence riposta nella nostra Experience e Dexterité e dopo essere stati nuovamente richiesti a voce che ciò fosse fatto, in nome di Dio abbiamo proceduto all’esame di codesto nuovo organo nella detta chiesa. Noi abbiamo dunque stimato (1°) che la camera del mantice è sufficientemente comoda per i mantici e ben preservata dalle intemperie, ma abbiamo rilevato tuttavia che, siccome la finestra è a ponente, i mantici sono esposti al calore eccessivo del sole, cosicché sarà necessario provvedere un tendaggio o una qualche altra protezione per i momenti in cui l'organo non viene usato. *
^
va È E è (2) Per ciò che riguarda iO mantici, che sono in numero dil. dieci (nonostante che il maestro nel Contract ne avesse promessi solo nove, forse perché egli pensa che quod superflua non noceant e che un numero pari [par numerus]
382
Weimar (1708-1717)
è preferibile a uno dispari [impari] per la sistemazione dei mantici che si trovano l'uno di fronte all'altro) essi mostrano alla fin fine le richieste capacità ed applicazione del maestro; tuttavia, la pressione che noi abbiamo rilevato col misuratore non raggiunge ancora il livello di liquido (Liquorem) di 35 o 40 gradi [millimetri] richiesto per simili grandiosi strumenti, e che si trova in altri validi organi, ma soltanto (3)2 o 33 gradi: per cui, nell'utilizzare l'Hauptwerk si ha un abbassamento di pressione nei mantici. Però ciò sarebbe ancora tollerabile se soltanto l'Oberwerk alla tastiera mediana non calasse, il che deve essere calcolato fra i principali difetti. (3) Ma altrimenti non abbiamo riscontrato alcun vitium visibile a proposito dei somieri che abbiamo anche sottoposto alla prova consistente nel premere contemporaneamente i tasti tanto del manuale quanto del pedale senza che si verificassero dispersioni sconvenienti al di fuori di quella poca rilevata nel manuale mediano, la qual cosa deriva da un assito (Stócke) superiore non ben avvitato e che può essere facilmente corretto. Sotto le valvole, poi, non sono state piazzate quelle due o tre molle, con cui di solito i cattivi maestri vogliono impedire il cigolio, ma una sola: in siffatte condizioni si dovrebbe poter suonare la tastiera piuttosto comodamente. Tuttavia, sarà possibile fare ancora qualcosa per renderla più dolce, senza impedire per questo il ritorno rapido delle tastiere [= tasti] e tanto meno provocare uno stridio: le quali cose il maestro ha promesso di realizzare. (4) Per ciò che riguarda la cassa, a dire il vero sarebbe stato desiderabile uno spazio più ampio, affinché non fosse tutto affastellato insieme e si potesse raggiungere ogni elemento più agevolmente. (5) Per il resto, si trovano tutti i registri specificati nel contratto e realizzati con quei materiali che vi erano indicati, salvo che in luogo del basso di corno di camoscio (Gemshorn Bass) di 16’ specificato in metallo è stato collocato un Untersaz o Sub Bass di 32’ in legno. Con tale misura delle canne si è voluto cosí rimediare all'assenza del metallo. Inoltre, sono stati aggiunti a quelli previsti dal contratto i seguenti registri di buona fattura e cioè:
Spizflóte (= flauto conico) Quinta
2 piedi 3 piedi
Octava
2 piedi
Nachthorn (= corno di notte) Quinta aperta
4 piedi 6 piedi
| di metallo
|
Per contro sono stati omessi
il Fagott Bass di stagno Gedackt (= bordone) di metallo Waldflóte (= flauto di selva) di detto Rohr Flóte (= flauto tubolare) Parimenti, ha fornito, in luogo E (6) benché non si possa discutere lega del metallo, è facile constatare per quanto riguarda i registri che non
8 4 2 12
piedi piedi piedi piedi di detto
di 2 Cimbaln doppi, 2 Cimbaln tripli. come si sia proceduto nel formare la (c si tratta di cosa quasi comune) che cadono sotto il viso, si è economizzato
383
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più sullo stagno che sul piombo; cosí in questo strumento la lamiera delle canne avrebbe potuto o dovuto essere un po’ più spessa. Le canne che si presentano sulla Facciata [in italiano nel testo] dovrebbero certamente brillare di chiara luce e probabilmente la maggior parte del buon stagno è stato usato qui; se siffatta cosa non succede, la colpa non è del maestro, bensi della fuliggine che vi cade sopra. A] contrario, gli si deve imputare se il suono, specialmente delle grandi canne, non è percepito chiaramente e se lo strumento difetta della dovuta buona intonazione; un difetto di questo tipo si è anche manifestato in taluni differenti Corporibus [= canne], fra gli altri nel Sub Bass e nel Trombone Basso di 32 piedi e anche in altri registri ad ancia; tuttavia, siccome il signor
Cuncius ha promesso che di tanto in tanto riaccorderà lo strumento, che noi abbiamo trovato ancora alquanto stonato in tutti e tre i manuali, e di adottare un sistema di teinperamento passabilmente buono che ci è stato una volta da lui indicato, cosí egli si obbliga anche alla medesima correzione per una migliore intonazione desiderata di alcune canne: sarebbe stato certamente meglio se ciò avesse potuto succedere prima dell’ Examination, poiché allora noi avremmo esaminato tutti quei pezzi che ancora mancano, e cioè Accoppiamento,
2 tremolanti 2 stelle un sole tornante al Positivo superiore e
un canto d'uccello. Ecco dunque ciò che noi sottoscritti dovevamo ricordare a proposito di quest’organo secondo il nostro dovere e in omaggio alla verità. Per il resto, ci auguriamo che l’organo possa farsi ascoltare in ogni tempo a onore dell'Altissimo e in omaggio particolare di Lor Signori Patroni onorevolissimi e della città tutta intera in buona pace e tranquillità per una santa emulazione e devozione e possa costantemente durare lunghi anni. Halle, nel giorno di S. Filippo e Giacomo 1716. Johann Kuhnau Christian Friedrich Rolle Joh. Seb. Bach
In quel medesimo giorno, l'organo '? fu inaugurato con una solenne cerimonia liturgica; il pastor primarius Johann Michael Heineccius tenne il rituale sermone e il nuovo organista e director musices Gottfried Kirchhoff (che aveva assunto l'incarico, come si ricorderà, il 30 luglio 1714) diresse il complesso dei musici municipali, per l'occasione rinforzato dal Collegium musicum studentesco, nell’esecuzione di due proprie cantate solistiche, di cui sono pervenuti i soli testi ^: Auff, auf erfreute Seelen eseguita avanti la predica, e Wie lieblich ist die Lust?, eseguita dopo la benedizione. 384
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Il 4 maggio Bach ripartí alla volta di Weimar dopo aver riscosso 6 talleri come rimborso per le spese di viaggio sostenute (BD I, 108). Il soggiorno a Halle era stato dei piá piacevoli: servitori, cocchieri, Carrozze erano stati messi generosamente a disposizione dei tre illustri
periti. Un sontuoso banchetto aveva coronato l'ultima giornata; ne conosciamo nei particolari il menu, che il lettore dei nostri giorni pregusterà, forse, con ammirazione: Lista delle vivande del lodevolissimo Collegio della Chiesa in occasione dell'inaugurazione del nuovo organo boeuf à la mode luccio con salsa di burro acciuga piatto di piselli piatto di patate | piatto con salsicce e spinaci quarto d'arrosto di montone zucca bollita frittelle scorza di limone candita ciliege in conserva insalata di asparagi caldi insalata di lattuga radici burro fresco arrosto di vitello totale 11 talleri e 12 groschen
A distanza di poco piá di due mesi dal rientro a Weimar, Bach si assentava nuovamente per alcuni giorni, impegnato a Erfurt, unitamente all'organaro Johann Anton Weise di Arnstadt, a esaminare
l'organo che Johann Georg Schróter aveva appena costruito per la Chiesa degli Agostiniani. La perizia organologica non ci è pervenuta, ma possediamo un attestato di merito rilasciato dai due esperti, su richiesta dello stesso Schréter e da questi pubblicato in un curioso opuscolo reclamistico: Churfürst. Mayntzisches Gnádigstes | PRIVI LEGIUM | Wie auch | Derer Clóster und Gemeinden |ATTESTATA | Wegen derer verfertigten neuen | Orgel-Wercke | Ertheilet |Johann Georg Schrótern |Bürgern und privilegierten Orgelmachern zu Erffurth | Gedruckt
Anno 1723 (se ne conoscono due soli esemplari, uno alla Library of
Congress di Washington e l'altro al Landesarchiv di Gotha). Nato a Berlstidt in Turingia il 20 agosto 1683, Schröter, che era divenuto cittadino di Erfurt il 10 novembre 1712, aveva ottenuto un privilegio in data 24 ottobre 1716 per il quale egli aveva l'esclusiva di costruzione 385
Weimar (1708-1717)
e riparazione di tutti gli organi della città e del territorio; di tale privi-
legio egli fa bella mostra nell'opuscolo sopra citato insieme con 14 attestati riguardanti organi da lui costruiti (sono 22 gli organi realizzati da Schróter in quella terra) e due perizie organologiche. Ecco il documento bachiano che lo riguarda (BD I, 86): Examinatorum
Attestatum
Poiché noi in calce indicati, in qualità di examinatores designati, abbiamo . provato il nuovo organo costruito per la Chiesa degli Agostiniani, della confessione evangelica in Erfurt, dall'organaro signor Johann Georg Schróter e abbiamo trovato dopo sufficiente esame (tentamine) che è stato costruito fedelmente e diligentemente secondo il contratto; e inoltre, poiché il già citato signor Schróter ci ha pregato di non rifiutargli un attestato della diligenza da lui qui impiegata, abbiamo voluto di ciò gratificarlo, come è giusto, e dobbiamo aggiungere a sua lode che (come è già stato sopra ricordato) egli ha eseguito diligentemente il contratto stipulato; inoltre, ci si deve onestamente congratulare con lui che questo primo capolavoro da lui costruito sia cosi ben riuscito, per cui non si potrà mettere in dubbio che, conformemente alla conoscenza che gli è stata conferita da Dio, i suoi futuri lavori non saranno realizzati con la stessa diligenza e solerzia. Ciò noi non abbiamo potuto né voluto negargli per amor del vero. Datum a Erfurt il 31 luglio 1716. Johann Sebastian Bach Concertmeister e Hof-organist
della corte del principe di Sassonia-Weimar
Johann Anton Weise, organaro di Arnstadt.
Il 1716 si era aperto solennemente alla corte di Weimar con le nozze fra il co-reggente Ernst August, nipote del duca Wilhelm Ernst,
e la giovane (era nata il 7 maggio 1696) ma già vedova principessa Eleonore Wilhelmine di Anhalt-Kóthen (che in prime nozze aveva sposato il duca Friedrich Erdmann di Sassonia-Merseburg, deceduto il 2 giugno 1714), sorella di quel principe Leopold alla cui corte Bach prestó servizio nei cinque anni successivi al soggiorno di Weimar. La cerimonia aveva avuto luogo nella residenza di Schloss Nienburg, non lontano da Weimar, il 24 gennaio; ma di quell'evento non &
rimasta traccia che riguardi esplicitamente il ruolo svolto da Bach. Il Konzertmeister prese parte, invece, ai festeggiamenti dell'aprile per il genetliaco di Ernst August, pochi giorni prima di partire alla volta di Halle (il compleanno del co-reggente cadeva il 19). Per questa circostanza sappiamo che furono presentati dei carmina: un documento del 4 aprile (BD II, 77) registra l'elargizione di 45 fiorini e 15 groschen in favore,
cumulativamente,
del 386
segretario
concistoriale
Salomo
Weimar (1708-1717).
Franck, del signor Nicolaus Castelli (insegnante di lingua), del Konzertmeister Bach, dei due figli dello scrivano di camera Heinrich Schnorr e dello stampatore. Ma sappiamo anche che in quell’occasione fu eseguita la Cantata profana BWV 208 Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd (Cantata di caccia), con la partecipazione di due Waldhornen (corni da caccia) provenienti da Weissenfels. La cantata non era stata scritta espressamente da Bach per quella ricorrenza, ma il compositore aveva recuperato l'opera scritta tre anni prima (come è stato recen-
temente appurato — già lo si è detto — cancellando la data del febbraio 1716) per il genetliaco del duca Christian di Sassonia-Weissenfels, che in quella occasione aveva ricevuto la visita del duca Wilhelm
Ernst e del suo seguito. Il 1° dicembre 1716 moriva il Kapellmeister Johann Samuel Drese: da lungo tempo infermo (pare dal 1695), il musicista era stato coadiuvato nelle sue funzioni dapprima dal vice-maestro di cappella Georg Christoph Strattner, poi (a partire dal 1704) dal figlio Johann Wilhelm. Bach avrebbe ambito raggiungere il prestigioso posto di Kapellmeister, quantunque sul piano economico il trattamento a lui riservato fosse notevolmente superiore (ma si deve tener presente che, in realtà, il maestro di cappella riceveva, più che uno stipendio, una specie di vitalizio per le sue precarie condizioni di salute che gli impedivano di svolgere il lavoro per il quale era stato nominato). Se si considera che la nomina di Bach a Kapellmeister presso la corte di Kóthen data dal 5 agosto 1717 e che invece il primo pagamento effettuato al Drese nella sua nuova veste direttoriale a Weimar è del 13 dicembre 1717, si deve concludere che il rapporto di causa-effetto non dovette essere quello che muoveva da una ingiusta preferenza accordata ad un compositore di mediocre talento. Al posto di Kapellmeister il duca avrebbe voluto chiamare Telemann, ma questi — allora impegnato a Francoforte s. M. — aveva opposto un rifiuto: a quella nomina, probabilmente, Bach non avrebbe avuto motivi per opporsi né vantare ragioni per ritenersi esautorato. La nomina di Drese junior fu un
ripiego dovuto a due ordini di considerazioni: la prima riguarda la posizione per cost dire «ideologica » di Bach nei confronti del duca e del suo modo d'intendere il rapporto con la società; la seconda è una giustificazione a posteriori della necessità di provvedere in qualche modo a riscuotere gli interessi di un capitale investito molti anni prima. Incominciamo con il guardare alla seconda di queste considerazioni. Nel 1702, per un periodo di otto mesi, Johann Wilhelm Drese aveva compiuto, a spese del duca, un viaggio in Italia per perfezionarsi nella composizione; se è certo che quel poco di talento da lui posseduto il Drese lo aveva già messo tutto a profitto, senza fornire grandi
vantaggi alla corte (tanto è vero che, con la nomina a Konzertmeister, 387
Weimar (1708-1717)
Bach aveva sottoscritto l'impegno di produrre mensilmente una can-tata), è altrettanto certo che in mancanza di pit conveniente alternativa (e Bach non era un'alternativa conveniente) s'imponeva l'utilizzazione del Drese, quasi per giustificare un'ingente spesa sostenuta agli inizi
della carriera del musicista e confortata da un servizio prestato per dodici anni in qualità di vice-maestro. In secondo luogo, il duca doveva soppesare, lui che cosi profondamente si sentiva legato a certi valori tradizionali e che giudicava ogni azione col metro dell'etica, l'apporto che i Drese avevano dato alla corte di Weimar, sin dal lon-
tano 1652, quando la cappella era stata affidata alle cure di Adam Drese, e poi, dopo la ricostituzione della cappella da lui voluta nel 1683 al momento della sua assunzione al trono, col nuovo affidavit assegnato a Johann Samuel Drese: la continuità della gestione era forse un bene sociale, una garanzia politica, un sigillo di corretta condotta amministrativa che non aveva prezzo e che comunque poteva valere una rinuncia al servizio di musicisti più prestigiosi.
La considerazione primaria, quella che dovette convincere Bach a cercare una diversa soluzione professionale, è di altra natura e coinvolge il rapporto personale col duca e con l’ambiente di corte in genere. Le particolari condizioni in cui era esercitato il potere politico-amministrativo nel ducato, affiancando al vertice un duca effettivo e un co-reggente in veste consultiva, davano luogo ad attriti, a pareri
discordi, ad azioni e comportamenti contraddittori dei quali era investito spesso l’imperatore. Ai funzionari e ai dipendenti del Wilhelmsburg, ove risiedeva Wilhelm Ernst, si impediva di prestare la propria opera anche al Rotes Schloss, in cui aveva dimora Ernst August; ai membri della cappella ducale, addirittura, era fatto divieto, sotto la pesante pena pecuniaria di 10 talleri, di servire al Castello Rosso. Ma il divieto, che era stato imposto anche a tutti gli addetti di rango della corte (le varie dame e aiutanti di camera), non era osservato da Bach con la prescritta rigidità, dal momento che la nuova duchessa, Eleonore Wilhelmine, aveva concesso la propria protezione al musicista.
Si aggiunga la probabile scarsa simpatia circolante fra il duca e il
suo Konzertmeister: conoscendo la sensibilità religiosa di Bach, la sua
profonda adesione al luteranesimo «storico », la sua equilibrata interpretazione e osservanza dei dogmi della fede, è facile immaginare che le esose pretese del duca in fatto di culto e di precetti devozionali, il desolante ed ipocondriaco quadro che scaturiva dalla sua concezione bigotta della vita, il maniacale tono ecclesiastico che ogni gesto acqui-
stava in sua presenza non dovessero incontrare né l'approvazione né il gradimento di Bach. La ricerca di un nuovo posto, di un impiego che segnasse un avanzamento e di una sistemazione professionale che soddisfacesse la famiglia 388
Weimar (1708-1717)
ormai molto cresciuta (quattro figli) non si presentava semplice; ma al musicista venne in aiuto, forse insperatamente, la circostanza
provvidenziale del solido legame che univa la duchessa al principe Leopold di Anhalt-Kóthen, suo fratello. Non esistono documenti che provino quando le trattative siano state iniziate, ma sappiamo che a partire dal 5 agosto 1717, prima
ancora di aver ottenuto il placet del duca e quando già la famiglia si era portata a Kóthen, Bach percepí lo stipendio che gli competeva il qualità di Kapellmeister della corte di Kóthen. Nonostante le numerose e insistenti richieste, il congedo del duca tardava a giungere; e
tale dovette essere l'esasperazione delle due parti, l'una a vantare il proprio diritto e la propria libertà personale, l'altra ad affermare il
possesso di un bene, che la piá forte volle imporre un'ultima volta il segno del proprio potere con un inutile atto repressivo. In poche righe vergate dal segretario di corte Theodor Benedikt Bormann & riassunto l'incredibile e vessatorio episodio (BD II, 84): eod. d. 6. Nov. il fino ad ora Concert-Meister e organista di corte, Bach, a causa della sua ostinata richiesta per strappare il congedo & stato messo agli arresti nel palazzo di giustizia, e finalmente il 2 dicembre gli & stato comunicato, con animo maldisposto, il congedo tramite il segretario di corte, e in pari tempo è stato liberato dagli arresti.
La pena carceraria di oltre tre settimane costituiva l'ultimo anello di una catena di eventi negativi. Il segno più evidente e consistente del forzato estraniamento di Bach dalla vita di corte è dato dalla totale mancanza di cantate per l’anno 1717; la produzione di questo genere di composizione,
che obbligatoriamente
Bach
doveva
fornire alla
cappella dal momento in cui aveva ricevuto la nomina a Konzertmeister (una cantata al mese), cessa improvvisamente e alle 33 cantate scritte fra il marzo 1714 e il dicembre 1716 non ne seguono altre. ‘Persino nella solenne circostanza della celebrazione del secondo centenario della Riforma (31 ottobre 1717), per la quale il poeta di corte Salomo
Franck scrisse vari testi ^, fu negata a Bach ogni diretta e
responsabile partecipazione o, se si vuole, Bach stesso rifiutò la propria collaborazione. Fra la nomina di Bach a Kapellmeister della corte di Kóthen e la sua partenza da Weimar si colloca un ultimo avvenimento biografico sulla cui veridicità sono stati sollevati alcuni dubbi: la tenzone, gara o accademia programmata ma non svoltasi fra Bach e Louis Marchand.
L'episodio, che si collocherebbe a Dresda sul finire del settembre 1717,
non è riferito da fonti dirette. Il primo cenno in merito si trova nella memoria difensiva di Johann Abraham Birnbaum (1739) contro il 389
Weimar (1708-1717)
giudizio formulato dallo Scheibe nei confronti di Bach (BD II, 441);
conferme del fatto sarebbero fornite da altri documenti: il necrologio pubblicato nel 1754 da C. Ph. E. Bach, Agricola, Mizler e Venzky
(BD II, 666) e altri scritti di Marpurg (BD III, 675, del 1755; BD III,
914, del 1786) e di Adlung (BD III, 693, del 1758). Secondo queste fonti, Bach sarebbe stato invitato a Dresda ove già si trovava l’organista
francese, su sollecitazione di Jean-Baptiste Volumier, che ricopriva
allora il posto di Konzertmeister presso quella corte. È improbabile che Bach abbia compiuto espressamente il viaggio da Weimar a Dresda con il solo scopo di affrontare in una gara di virtuosismo alla tastiera il celebre maestro francese; e tuttavia il Birnbaum e gli autori del necrologio riferiscono di una lettera (BD I, 6) che Bach avrebbe scritto a Marchand proponendogli di cimentarsi nell'esecuzione all'improvviso di pagine proprie che ciascuno dei due contendenti avrebbe sottoposto all’altro. La gara avrebbe dovuto svolgersi in casa del conte Jakob Heinrich von Flemming, ma all’ultimo momento Marchand si sarebbe ritirato, allontanandosi di nascosto da Dresda. L'aneddoto, riferito dalle fonti con una certa ricchezza di parti-
colari, ma anche con troppo compiaciuta soddisfazione per essere giudicato ín toto attendibile, è materia di leggenda più che di storia. Alla leggenda l'episodio fornisce il corposo attestato dell'ammirazione e considerazione che i contemporanei riponevano nel musicista, invincibile nell’arte dell'improvvisazione e della lettura a prima vista. Ma lo stesso episodio sottrae alla storia una parte di verità; esaltando oltre misura l’aspetto transeunte della grande forza musicale di Bach,
ignora il dramma della persona e le mortificazioni dello spirito. Per breve tempo, durante gli anni di Kóthen, Bach calcolò di poter
smentire le leggende e di dar corpo alla storia: il calcolo che a mezzo del dicembre 1717 prendeva l'avvio, cinque anni dopo doveva rivelarsi
errato e nelle premesse e nelle conclusioni.
390
»
CAPITOLO
SECONDO
Le composizioni vocali
26. Le cantate in generale. BiIBLIOGRAFIA: vedere anche $ 22 (Bibliografia generale). Percy Rosmson, Bach's Indebtedness to Handel's « Almira », in « The Musical Times » maggio 1907, pp. 309-312; Werner WOLFFHEIM, « Mein Herze schwimmt
in Blut». Eine ungedruckte Solo-Kantate J. S. Bachs, in BJ VIII (1911), pp. 1-22; Arnold ScHErInG, Die Kantate Nr. 150 « Nach dir, Herr, verlanget mich », in BJ X (1913), pp. 39-52; Friedrich Noack, J. S. Bach und Christoph Graupner: Mein Herze schwimmt im Blut, in « Archiv für Musikwissenschaft» II (1919/20), pp. 8598; Kurt SCHLENGER, Über Verwendung und Notation der Holzblasinstrumente in’ den frühen Kantaten J. S. Bachs, in BJ XXVIII (1931), pp. 88-106; Werner Neumann, Zur Aufführungspraxis der Kantate 152, in BJ XXXVII (1949/50), pp. 100-103; Walther Verter, Der Kapellmeister Bach. Versuch einer Deutung "Bachs auf Grund seines Wirkens als Kapellmeister in Köthen, Akademische Verlags. gesellschaft Athenaion, Potsdam 1950, pp. 72-99 (specialmente su BWV 208); Heinrich BesseLer, Die Meisterzeit Bachs in Weimar, in J. S. Bach in Thüringen. Festgabe zum Gedenkjahr 1950, Thüringer Volksverlag, Weimar 1950, pp. 106119; Lothar HoFeMANN-ERBRECHT, Bachs Weimarer Textdichter Salomo Franck, ibid., pp. 120-134; Anneliese BacH, Salomo Franck als Verfasser geistlicher Dichtungen, ibid., pp. 135-139; Alfred Dürr, Über Kantatenformen in den geistlichen Dichtungen Salomon Francks, in « Die Musikforschung » II (1950), pp. 18-26; Ip., Studien über die frühen Kantaten J. S. Bach’s, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1951; Reinhold Javernıg, Zur Kantate « Ich hatte viel Bekiimmernis» (BWV Nr. 21), in BJ XLI (1954), pp. 46-49; Helene WERTHEMANN, Zum Text der Bach-Kantate 21 « Ich hatte viel Bekiimmernis in meinem Herzen », in BJ LI (1965), pp. 135-143; Elisabeth Noack, Georg Christian Lehms, ein Textdichter J. S. Bachs, in BJ LVI (1970), pp. 7-18; Paul BnamNARD, Cantata 21 Revisited, in Studies in Renaissance and Baroque Music in Honor of Arthur Mendel, a cura di Robert L.
391
Weimar (1708-1717) MARSHALL, Bärenreiter, Kassel, e J. Boonin, Hackensack pp. 231-242.
)
NBA/KB, I/1 (Alfred Dürr - Werner NEUMANN, 1955), pp. 7-17 (BWV 61),
pp. 86-112 (BWV 70a, 186a, 132, 1472) NBA/KB, I/2 (Alfred Dürr, 1957), pp. 7-38 (BWV 63) NBA/KB,
1/5 (Marianne Heıms,
1976), pp. 152-164
(BWV
155)
NBA/KB, 1/13 (Dietrich Kira, 1960), pp. 7-51 (BWV 172) NBA/KB, I/15 (Alfred Dürr
pp. 9-22 (BWV 165)
- Robert
FREEMAN
- James WEBSTER,
1968),
NBA/KB, 1/18 (Alfred Dürr - Leo TrerrLER, 1967), pp. 9-26 (BWV 54) NBA/KB, 1/21 (Werner Neumann, 1959), pp. 52-82 (BWV 164)
NBA/KB, 1/35 (Alfred Dürr, 1964), pp. 7-56 (BWV 208) NBA/KB, VII/1 (Christoph Wozrr, 1976), pp. 15-16, 29-32 (BWV 1073). La nomina a Konzertmeister, il 2 marzo 1714, obbligava Bach ad eseguire mensilmente nuove composizioni, neue Stücke secondo la sommaria dizione frequentemente usata nei documenti dell'epoca per designare le cantate liturgiche. Dopo un certo silenzio nel campo che avrebbe visto l’alacre operosità bachiana esprimersi in misura somma, il musicista riprendeva — e questa volta con imposta continuità — una pratica avviata a Mühlhausen: ma il suo intervento non
era piü dettato, ora,
da eventi
occasionali
(funebri, nuziali,
celebrativi di avvenimenti laici), bensí dalla necessità, riconosciuta come tale dal duca, di dialogare con i fedeli o, meglio, col ridotto manipolo di uomini e donne, dignitari, cortigiani, domestici, funzionari
che per intento devozionale, per fede o semplicemente in ossequio alla volontà del sovrano frequentavano la cappella di corte. Anteriormente a quella data, ma sempre durante il soggiorno di Weimar, Bach aveva già avuto modo, saltuariamente, di far valere le proprie capacità nel genere della cantata, subito superando in grandezza, profondità, varietà e piacevolezza i locali maestri, idue Drese e Rei-
neccius. | Fra il marzo 1714 e il dicembre 1716 — le date estreme in cui si collocano quelle cantate (poi il rapporto con la cappella s'interruppe per i prolungati dissapori col duca) — intercorre uno spazio di 33 mesi, ma delle 33 cantate che Bach almeno avrebbe scritto, solo 16 sono
a noi note nella versione originale. Ecco il dettaglio:
Do»
|
(New Jersey) 1974,
Weimar (1708-1717) N.
BWV
Titolo
182 2
12
3
172
Data
Testo
Himmelkónigs, sei willkommen
25-3-1714
Salomo Franck (?)
Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen
22-4-1714
Salomo Franck (?)
Erschallet ihr Lieder, erklinget, ihr ^ 20-5-1714
Salomo Franck (?)
Saiten
;
4
2
Ich hatte viel Bekümmernis
17-6-1714
Salomo Franck (?) |
5
54
Widerstehe doch der Sünde
15-7-1714
Georg Christian Lehms
Mein Herze schwimmt im Blut
12-8-1714
Georg Christian Lehms
Nun
2-12-1714
Erdmann
30-12-1714
Salomo Franck
6
199
7
61
8
152
komm,
der Heiden Heiland
Tritt auf die Glaubensbahn
Neumeister
--
[72]
[Alles nur nach Gottes Willen]
27-1-1715
Salomo Franck
—
80a
Alles, was von
24-3-1715
Salomo
31
Der Himmel lacht! die Erde jubilieret
21-4-1715
Salomo Franck
9
Gott geboren
Franck
10
165
O heilges Geist-und Wasserbad
16-6-1715
Salomo Franck
11
185
Barmherziges Liebe
14-7-1715
Salomo Franck
Herze
der
ewigen
12
161
Komm,
13
162
Ach! ich sehe, itzt, da ich zur Hoch-
du süsse Todesstunde
6-10-1715
Salomo Franck
3-11-1715
Salomo Franck
14
163
Nur jedem das Seine
24-11-1715
Salomo Franck
15
132
Bereitet die Wege, bereitet die Bahn
22-12-1715
Salomo Franck
zeit gehe
16
155
Mein Gott, wie lang, ach lange
19-1-1716
Salomo
—
[168]
[Tue Rechnung! Donnerwort]
9-8-1716
Salomo Franck
Franck
Uhr, die ihr euch von Christo nennet]
6-9-1716
Salomo Franck
Wachet! betet! betet! wachet
6-12-1716
—
[164]
—
70a
Salomo
Franck
—
186a
Argre dich, o Seele, nicht
13-12-1716
Salomo
Franck
—
147a
Herz und Mund und Tat und Leben
20-12-1716
Salomo Franck
Si presume che le tre cantate BWV 72, 168, 164 — note unicamente
nella versione allestita per Lipsia — in realtà fossero già state scritte per Weimar (come del resto si potrebbe dedurre dal fatto che i testi appartengono ad una annata di cantate di S. Franck già ampiamente utilizzata da Bach al tempo del servizio da lui prestato presso il duca Wilhelm Ernst). Di altre tre cantate (BWV 70a, 186a, 147a) è accertata l'esecuzione
a Weimar, ma è nota unicamente la versione realizzata
a Lipsia (BWV 70, 186, 147). Della Cantata BWV 80a (Alles, was von Gott geboren) si conosce i| solo testo: la musica & parodiata nella nuova cantata di Lipsia BWV 80 (Ein feste Burg ist unser Gott). 395
Weimar (1708-1717)
A tutte queste cantate occorre aggiungerne altre due che non sembrano essere state utilizzate nel corso di quei cicli mensili: la Cantata BWV 18, scritta nel 1713 (o nel 1714) su testo di Neumeister, e la Cantata BWV 63, che sarebbe stata composta per Halle alla fine del 1713 oppure nella primavera del 1716. Complessivamente, dunque, le cantate da chiesa superstiti, relativamente al periodo di Weimar, sono 18; a queste si aggiungerà la Cantata profana BWV 208 (Jagdkantate). Importante è il fatto che quasi tutte le cantate superstiti (con la sola eccezione di BWV 54, 132 e 152) siano state riprese, e in taluni casi anche piá di una volta, a Lipsia. Ecco nel dettaglio la cronologia delle esecuzioni a Lipsia: N.
BWV
Data
N.
BWV
Data
si 2 3 4 5 6 7 8 9 10
21 185 147 186 162 163 70 61 63 199
13-6-1723 20-6-1723 2-7-1723/c.1728-31 11-7-1723 10-10-1723 31-10-1723(?) 21-11-1723/18-11-1731 28-11-1723 25-12-1723/1729(?) 8-8-1723
11 12 13 14 15 16 7 18 19 20
182 31 12 172 165 1955 18 168 164 72
25-3-1724/1728 (?) 9-4-1724/25-3-1731 30-4-1724 28-5-1724/13-5-1731/dopo 4-6-1724 (prob.) 16-1-1724 13-2-1724 29-7-1725 26-8-1725 27-1-1726
1731
L’elenco delle cantate liturgiche scritte a Weimar potrebbe essere completato dalla Cantata BWV 150 (Nach dir, Herr, verlanget mich), che si vorrebbe far risalire agli anni 1708-1709 ma sulla cui autenticità
si & molto discusso, preferendosi assegnarne la paternità a qualche musicista operante nella cerchia bachiana, forse un allievo che avrebbe
svolto il lavoro sotto il diretto controllo del maestro !. Tre sono i poeti che concorrono a formare il complesso delle
cantate di Weimar:
Salomo
Franck, Georg Christian Lehms
ed
Erdmann Neumeister. Preponderante è la presenza di Franck, il quale
— come si & visto — al pari di Bach ricopriva un'importante carica alla corte del duca Wilhelm Ernst. Abbiamo già accennato sommariamente alla vita di Franck; qui occorre dire brevemente della sua
attività di poeta che, nel campo specifico della composizione di testi per cantate liturgiche, si articola in cinque grandi raccolte, concepite come vere e proprie annate o cicli completi (o quasi) di cantate per tutto l'anno liturgico. Le cinque raccolte sono le seguenti: |
1. Evangelische Seelen-Lust über die Sonn-und Festtage durchs ganze Jahr, dedicata al duca Wilhelm Ernst il 27 agosto 1694, ma pubblicata soltanto
394
2
ee
CT PNE £6
ed
Y
wes
Mm
o CIS 1 CHOQ IT a Ne DR VENFEN, ad GU TUI
Interno della Schlosskirche di Weimar, distrutta da un incendio nel 1774, in un dipinto di Christian Richter (Weimar, Kunstsammlungen).
Weimar (1708-1717)
2.
3.
4.
5.
nel 1711 nella raccolta franckiana di Geist-und Weltliche Poesien (Johann Felix Bielken, Jena). Evangelisches Andachts-Opffer... Anordnung in geistlichen Cantaten, welche auf die ordentliche Sonn-und Fest-Tage in der F. S. ges. Hof-Capelle zur Wilhelmsburg A. 1715 zu musiciren (la dedica & datata 4 giugno 1715; pubblicata a Weimar, senza indicazione di anno). Singende Evangelische Schwanen, oder Arien von der Sterblichkeit und Betrachtung der seeligen Ewigkeit aus den Sonn-und Fest-Tags Evangelien durch das gantze Jahr, pubblicata nel 1716 nella raccolta franckiana di Geist-und Weltliche Poesien Zweiter Theil (Johann Felix Bielken, Jena). Evangelische Sonn-und Fest- Tages-Andachten auf... Hof-Capell-Music in geistlichen Arien (Johann Felix Bielken, Weimar e Jena 1717). Epistolisches Andachts-Opffer in Geistlichen Cantaten über die Sonn-und FestTages-Episteln durch das ganze Jahr (Johann Felix Bielken, Weimar e Jena 1718).
Unica fra le cinque, la terza delle raccolte sopra citate non presenta testi per l’intero anno liturgico, ma solo per le feste principali. Dal punto di vista formale, le annate si distinguono notevolmente l'una dall'altra; la situazione, sotto il profilo delle forme adottate, puó
essere così riassunta:
i
. Lieder strofici e versetti biblici (senza recitativi e senza corali). . Arie, recitativi, corali (tutti in misura variabile).
. Arie strofiche (in genere 3) e corale finale (senza recitativi). . Coro iniziale — Ui + LUN a . Arie
4 arie —
corale finale (senza recitativi).
e recitativi (in misura variabile, senza corale).
Soltanto due di quelle raccolte sono state utilizzate, a quanto pare,
da Bach: la seconda e la quarta. Appartengono all’ Evangelisches Andachts-Opffer le cantate BWV
152, 72, 80a, 31, 165, 185, 161, 162,
163, 132, 155, 168, 164. Le cantate BWV
70a, 186a e 147a sfruttano,
invece, testi delle Evangelische Sonn-und Fest-Tages-Andachten, ma si deve ricordare ancora una volta che la musica originale di tali cantate è andata perduta e che a noi è pervenuta unicamente la versione di Lipsia, alquanto
modificata:
nella piá recente
versione,
infatti, le
cantate BWV 70, 186 e 147 sono divise in due parti (prima e dopo il sermone), recano recitativi fra un’aria e l’altra, il testo stesso delle
arie è modificato anche in conseguenza della diversa destinazione liturgica e i corali sono sempre due (a chiusura della prima e della seconda parte). Di quattro altre cantate (BWV 182, 12, 172, 21) non si conosce con assoluta sicurezza l’autore del testo, ma la critica è pressoché concorde nell’attribuirne la paternità a Franck, sia sotto il 396
Weimar (1708-1717)
profilo formale (che per le cantate BWV 182, 12 e 172 & assolutamente identico a quello messo in atto nella terza delle raccolte franckiane), sia sotto l'aspetto contenutistico e l'uso di immagini e modi di dire tipici di Franck. Nell’affrontare il problema della forma in cui inscrivere i testi
delle cantate liturgiche, Franck seguí, sommariamente, due strade:
quella della cantata tradizionale costituita unicamente di versetti biblici e di Lieder strofici e quella della cantata di moderna invenzione, pro-
posta sin dall'anno 1700 da Erdmann Neumeister e fortemente debi-
trice nei confronti del melodramma per l'adozione del doppio cardine sul quale poggiava, appunto, l'opera all'italiana impostasi anche sulle scene tedesche, l'aria tripartita (col da capo) e il recitativo.
Come si è visto, seguono l'antica via le cantate della prima raccolta franckiana, tardivamente diffusa a stampa, e le cantate della quarta
raccolta. Calcano il nuovo cammino segnato da Neumeister le cantate appartenenti alla seconda e alla quinta serie, mentre la terza & di un tipo intermedio, a mezza strada fra il gusto antico e quello moderno. A Erdmann
Neumeister, dunque, va il merito di aver introdotto
per primo un modello di cantata che s'imporrà come il piá confacente allo spirito della confessione evangelica illuminista. Neumeister era nato a Uchtritz, nei pressi di Weissenfels, il 12 maggio 1671; figlio di un modesto organista e maestro di scuola, non si avviò allo studio ‚della musica (che ignorò), bensi della teologia, presso l'Università
di Lipsia. Coltivò con molto interesse la poesia, anche sotto il profilo storico e critico (una sua De poetis Germanicis hujus saeculi praecipuis Dissertatio compendiaria, stampata a Lipsia nel 1695, incontró discreta
fortuna e fu più volte riedita). Divenuto pastore, nel 1704 passò alla corte del duca Johann Georg di Sassonia-Weissenfels, ma due anni dopo si trasferi a Sorau, chiamatovi dal conte Erdmann von Promnitz, cognato del duca testé citato. Nell'ambiente di Sorau, manifestamente incline al movimento pietista, Neumeister combattè una dura battaglia in difesa dell’ortodossia luterana, a colpi di veementi sermoni, di infiammati opuscoli, di versi ardenti e ruggenti; ma la sua
predicazione per gesti, scritti e parole non sorti altro effetto che quello opposto alle proprie intenzioni; divenuto nemico
alla comunità dei
fedeli e all'autorità, cercò riparo (1715) ad Amburgo, dove sino alla morte (18 agosto 1756) fu pastor primarius nella Jacobikirche. Fra i numerosissimi scritti di Neumeister (129 ne elenca il catalogo piá attendibile, oltre a prefazioni varie e a opere di dubbia attribuzione), grande importanza hanno le dieci annate di cantate pubblicate nei seguenti anni: 1700 (in opuscoli settimanali e riedita in blocco
nel 1704), 1708, 1711, 1714, 1716 (in un corpus che comprende le prime cinque annate), 1719, 1726 (due annate), 1752 (due annate). 397
Weimar (1708-1717)
A questo poderoso complesso di testi Bach ricorse, durante gli anni di Weimar, solo in due occasioni: nel caso della Cantata BWV
18,
che appartiene alla terza annata (Geistliches Singen und Spielen, 1711) e nel caso della Cantata BWV 61, quarta annata (Geistliche Poesien mit untermischten Biblischen Sprüchen und Choralen, 1714); si osservi che | l'una e l’altra annata erano state scritte da Neumeister per la corte di Eisenach e interamente messe in musica da Telemann che in quel tempo era, appunto, Kapellmeister nella città natale di Bach. Que- -
st'ultimo poi, all’inizio della sua attività a Lipsia, riprese i testi della quarta annata di Neumeister e ne utilizzò tre rispettivamente nelle. cantate BWV
24, 28 e 59.
Il terzo degli autori di testi ricorrenti nelle cantate di Weimar è Georg Christian Lehms. Nato a Liegnitz nel 1684 e morto a Darmstadt il 15 maggio 1717, Lehms aveva studiato al ginnasio di Górlitz e all'Università di Lipsia, conseguendo il grado di magister philosophiae -
nel febbraio 1708. Poeta di corte e bibliotecario alla corte di Darmstadt dalla fine del 1710, Lehms fu in rapporti, epistolari, di amicizia e di lavoro, con Graupner, Keiser e Telemann. Alla sua attività, troppo presto stroncata, di poeta e romanziere (talvolta pubblicata con lo pseudonimo di Palidor) si deve aggiungere quella di autore di quattro annate complete di cantate
(1711, 1712, 1715, 1716). Alla prima di
queste, pubblicata a Darmstadt con il titolo Gottgefálliges KirchenOpffer in einem gantzen Jahr-Gange Andächtiger Betrachtungen über die gewóhnlichen Sonn-und Festtags- Texte, Bach ricorse due volte a Weimar (cantate BW V 54 e 199) e otto volte nei primi anni di Lipsia (BWV 57, 151, 16, 32, 13, 170, 35, 110); da notare che in quattro casi (BWV 54,
199, 170, 35) si tratta di cantate ad una sola voce; si aggiunga che la raccolta di Lehms è divisa in due parti: una relativa al servizio liturgico del mattino
(formata di versetti biblici e arie, saltuariamente anche
di corali), l'altra relativa al servizio liturgico della sera (costituita da poesie madrigalesche e recitativi, secondo il modello di Neumeister); le cantate di Bach con l'eccezione di una sola (BWV 110) si riferiscono al servizio serale. Non identificato è l'autore del testo della cantata natalizia BW V 63,
che tuttavia potrebbe essere Johann Michael Heineccius, il pastor primarius della Liebfrauenkirche di Halle. Come si & visto (cfr. p. 380), dell'esecuzione di una cantata per concorrere al posto di organista in quella chiesa fa fede Bach stesso nella lettera del 19 marzo 1714 (BD I, 4), narrando le vicende che lo portarono a rifiutare l'offerta
di Halle. E probabilmente a quella data che si deve ricondurre l'origine di quest'opera che lo Spitta aveva assegnato erroneamente al 1723. Un testo molto simile, sicuramente di Heineccius, fu messo in musica
da Gottfried Kirchhoff, l'organista che era stato chiamato al posto
398
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prima offerto a Bach, per la festa della Riforma (31 ottobre) del 1717 celebrata appunto in quella chiesa. Ipotesi varie sono state avanzate sull’eftettiva natura della composizione bachiana in rapporto con quella del Kirchhoff (la cui musica è purtroppo perduta); ma l'ipotesi più verosimile è forse quella firmata da Dürr, il quale sostiene che il testo usato da Bach sarebbe quello originale, opera probabilmente di Heineccius; questi avrebbe poi compiuto un'operazione di « parodia » del proprio lavoro in vista della nuova realizzazione del Kirchhoff destinata a celebrare una ben diversa festività della liturgia luterana. La situazione delle cantate da chiesa del periodo bachiano di Weimar sotto il profilo dei testi potrebbe essere riassunta, sulla scorta del Diirr, nel modo seguente: I
Tipo franckiano costituito di sole arie e cori (corali), senza recitativo: BWV 182, 12, 172, 70a, 186a, 147a (terza e quarta annata franckiana).
II Tipo alla Neumeister della prima e seconda annata, con recitativi e arie, senza versetti biblici e corale: BWV 54, 152, 199. III Tipo alla Neumeister della terza e quarta annata, con recitativi, arie, versetti biblici e corale: BWV 18, 21, 61, [72], 80a, 31, 165, 185, 161,
162, 163, 132, 155, [168], [164].
Composte in un arco di tempo assai breve (1713-1716), nonostante la disparità di trattamento
nell'articolazione
formale
dei testi, tali
cantate possono essere ricondotte ad un'unitarietà ed omogeneitä stilistica che solo l'adozione di forme diversificate rende poco evidente. La sostanza del costrutto si sposa con la forma accidentale storica che
in quel momento Bach coglie ed estrae da manifestazioni musicali dalle quali la cantata chiesastica pareva doversi tener lontana. Cosí, recitativo e aria — tipiche estrinsecazioni della tecnica del melodramma — entrano di prepotenza, ma chiamate, advocatae (per necessità espressiva, per desiderio d'innovazione, per germinazione spontanea) nel cerimonioso e regolato mondo della Kirchenmusik, nell'ordinato apparato della liturgia evangelica. Ancora qualche indugio, qualche reticenza si noterà prima di raggiungere il grado definitivo, quello delle cantate della terza e quarta annata di Neumeister; poi non vi sarà piá margine per peregrinazioni di altro tipo:
i modelli arcaici scompariranno dal repertorio, dal mondo delle idee, dalle occasioni e circostanze per cedere il passo ad un calco che, sia pure con alcune varianti, condizionerà tutta la successiva produzione bachiana in quel settore. Intanto, qualcosa dell'antica maniera, un riverbero del linguaggio secentesco pare cogliersi nelle cantate fornite d'introduzione strumentale: non questa è segno di stylus vetus, ché Bach vi ricorrerà ancora 399
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nelle cantate di Lipsia, ma il suo modo di estrinsecarsi: a Lipsia quello della sinfonia di apertura si tradurrà in veri e propri allegri di concerto con organo obbligato (BWV 29, 35, 42, 49, 52, 110, 120a, 156, 169,
188), con pretese di linguaggio aulico, solenne, impegnativo, virtuosistico; nelle cantate di Weimar,
al contrario, l'elementarità della
funzione che sono chiamate a svolgere le sinfonie oscura il privilegio della loro apparizione, la quale si esaurisce nel significato che puó avere una sigla, un motto espressivo. Ció & evidente nella maggioranza dei casi. Cosi, la Cantata BWV 182 si apre con una Sonata di sole 21 battute (grave-adagio) nel ritmo puntato tipico delle ouvertures di stile francese, con uno strumentale a cinque parti compatto e stringato. Analogamente, le sinfonie delle Cantate BWV 12 e 21 si esauriscono in poche battute (16 e 20 rispettivamente), ma recanti palesi segni d'implicazione dello stile di concerto: i due piani del solo (oboe nel primo caso, oboe e violino nel secondo) e del tutti d'accompagnamento sono quelli propri di un movimento centrale di concerto italiano. Piá disteso, invece, & il discorso di apertura della Cantata BW'V 18, ma in questo caso si assiste ad un curioso innesto di elementi
tedeschi, non senza un riferimento di tipo arcaico che contrasta con la modernità della concezione formale. La pagina sfrutta un tema di ciaccona liberamente inteso ed organizzato, nel suo sviluppo, secondo
lo schema tripartito dell'aria con il da capo. Insolito e arcaicizzante & lo strumentale, che prevede quattro parti di viola, una di fagotto, una di violoncello, oltre al basso continuo. Una seconda versione
dell'opera, risalente al 1724, aggiunge due flauti dolci in funzione ottaveggiante rispetto alle due prime parti di viola, alle quali & affidato un ruolo concertante, mentre la restante impalcatura strumentale ha
compiti di sostegno e di ripieno. In questi sospiri strumentali, atti meditativi, inviti al raccoglimento prima dell'ascolto della parola di Dio, si può scorgere l'esatto corrispondente dell'organistica « toccata per l'elevazione»; di questa significativa espressione dello spirito controriformista, teso a conquistare e trattenere piü a lungo la pietas del fedele, l'adagio di concerto è il puntuale equivalente e come quella accentua la partecipazione spirituale al momento culminante del servizio liturgico. Momenti strumentali piá importanti anche per la maggior loro ampiezza sono quelli posti in apertura delle cantate BWV 31, 61 e 152. Nel primo caso la Sonata ha carattere trionfale, festoso, nello
stile dell'antica intrada, con tre trombe e timpani, come si conviene ad una cantata scritta per solennizzare la Feria 1 Paschatos. Il taglio è quello di certi allegri di scuola italiana; il discorso procede sostanzialmente compatto, con radi interventi concertanti delle trombe, frequen-
temente affermato con poderosi unisoni, secondo una tecnica «di 400
Ae eR
EIE
Lettera autografa di J. S. Bach ad August Becker, datata « Weimar 14-1-1714 » (Halle, Archiv der evangelischen Kirchengemeinde U. L. Frauen).
Weimar (1708-1717) ir
gruppo» e che qualifica i vari piani sonori sulla base dei timbri e | dello spessore sonoro, più che delle varie stratificazioni contrap3 puntistiche. Nei restanti due casi, il modello è quello dell’ouverture francese;
61, secondo un singolare processo compo-
ma nella Cantata BWV
sitivo, sull’ouverture s'innesta il canto del corale Nun komm, der Heiden Heiland; la parte centrale, poi, in forma di fuga, reca l'indicazione
dinamica gai. Noteremo di passaggio che sul retro del foglio d'intestazione dell'autografo (datato 1714) si legge un'importante avvertenza sull'ordinamento liturgico in vigore a Lipsia (la cantata fu ripresa in quella città nel 1723) che Bach ha voluto indicare su quel manoscritto dal momento che tale cantata, riferita alla prima domenica di Avvento, apre il calendario chiesastico, inaugura la serie delle festività
per anni. circulum. L’ouverture della Cantata BWV 152 (che Bach indica con il termine italiano sinfonia, mentre l’intera cantata reca l'ntitolazione concerto)
presenta quattro battute di un adagio ricamato che introducono, dopo una « fermata », all’allegro ma non presto in forma di fuga (con un tema
che sarà poi ripreso in una composizione organistica, BWV 536). Ma la particolarità della pagina non sta tanto nella struttura formale, quanto nell’organico strumentale, cameristico, che è poi quello stesso impiegato nel corso della cantata: flauto diritto, oboe, viola d'amore
e viola da gamba; quattro strumenti (cui si aggiunge il continuo), senza la partecipazione dell'usuale complesso d'archi, quattro strumenti intesi in funzione meramente
solistica, come
in certi « concerti
da camera » a tre, a quattro o a cinque di scuola italiana, vivaldiana
specialmente.
|
Indipendentemente dall'apertura strumentale riservata ad alcune cantate, il primo brano vocale puó essere variamente concepito: il brano per coro, di natura mottettistica, è nella maggioranza dei casi
il più funzionale, tanto nella forma tripartita, cioè con il da capo (BWV
12, 63, 172, 182), quanto nella forma bipartita (BWV
21)
o quadripartita (BWV 31). Arie solistiche con il da capo aprono le cantate BWV
54, 132, 152, 162, 163, mentre
passa al recitativo nelle cantate BWV infine (BWV
la posizione primaria
18, 155 e 199; in due casi,
161 e 185), il brano di apertura è una elaborazione di
melodia di corale. La casistica, dunque, è alquanto varia e rispecchia un orientamento
non determinato
da Bach, bensi conforme
alla lettera del testo, al
suggerimento invocato dal poeta. Ma all’interno di quella struttura
letteraria, che già individuava aria (con o senza da capo), recitativo, corale, coro in funzione mottettistica, il musicista interviene con
precise scelte. E qui, per un primo esame, occorrerà procedere con 402
:
.
|
Weimar (1708-1717)
metodo statistico e classificatorio, allo scopo di individuare le varianti di una condotta musicale che è in sé coerente e omogenea. Su un totale di 118 brani — tanti ne annoverano complessivamente le 18 cantate di Weimar (dal conto escludo, lo ricordo ancora quelle pervenute nella sola versione realizzata a Lipsia) — si possono individuare: 6 brani strumentali d’introduzione (un settimo, in BWV anche l’intervento del coro, in stile di corale-mottetto)
61, prevede
12 cori (mottetti concertati) 34 recitativi (la maggior parte dei quali tendenti allo stile arioso) 36 arie 2 ariosi 6 duetti
10 elaborazioni su melodia di corale 12 corali 118
Delle pagine strumentali si è già detto. Consideriamo alcuni altri particolari. Per quanto concerne i cori, oltre ai 6 che figurano in apertura di cantata (o subito dopo l’introduzione), se ne contano altri 6, 3 dei quali di chiusura; la forma tripartita con il da capo prevale in 7 casi (nella Cantata BWV 172 il coro finale è una ripetizione di quello iniziale), bipartiti sono i 3 cori previsti nella Cantata BWV 21, quadripartiti sono quelli delle cantate BWV 31 e 161. Ma le caratteristiche stilistiche variano considerevolmente. Cosi, in 4 casi (BWV 182/2 e 8; 21/6 e 11) prevale il principio della Permutationsfuge, mentre in diversa circostanza (BWV 172/1 e 7) la fuga, inquadrata fra due episodi omofoni, non presenta caratteri costruttivi cosí rigidi. Il coro della Cantata BWV 12/2 è costruito, nella prima e terza sezione (da capo) su un basso discendente cromatico di ciaccona, ripetuto 12 volte secondo un procedimento tipico del lamento in uso nel secolo XVII (il testo stesso, Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen, suggerisce immagini dolorose). In 3 circostanze (BWV 21/9, 61/1, 182/7) il coro intona mottettisti-
camente un corale, variamente elaborato. In quanto organismo vocale, il coro manca
nelle cantate BWV
54, 152, 199; mentre
in altre 7
limita la propria funzione alla sola intonazione del corale armonizzato (BWV 18, 132, 155, 162, 163, 165, 185). L'aria è l'elemento caratterizzante della cantata, il veicolo dell’espressione musicale, del messaggio pastorale, della pietà individuale. 403
Weimar (1708-1717)
L'articolazione formale puó essere di varia estrazione; la struttura
con il da capo (ABA) s'impone in 25 casi (su un totale di 42, considerando in questa cifra anche i duetti) e dunque il margine d'impiego di altri tipi è ‘abbastanza consistente. Il principio bipartito (AB) è affermato in quattro casi: BWV 18/4, 31/6, 155/4, 165/3. Quello
tripartito in 6 casi: BWV 132/3, 132/5, 152/4, 162/3, 163/3, 185/3
con diversa impostazione formale (ad: esempio: schema AAA in 185/5; AAB in 152/4; ABC in 132/5). La struttura quadripartita & adottata in un caso (BWV 165/5) nello schema AABB; un duetto (BWV 162/5) è addirittura ABBCAC.
Andamento libero, nello stile di un
duo concertante (fra voce di basso e continuo) ha BWV 185/5, mentre un duetto (BWV 152/6) ha il carattere di una loure e un'aria (BWV 165/1) è in forma di fuga. Indipendentemente dalla struttura formale riversata nell'aria, l'ac-
compagnamento
strumentale può essere di varia natura. In 11 casi
(BWV 21/10, 31/4, 61/5, 132/3, 162/3, 162/5, 165/3, 182/6, 185/5 e
i duetti 21/8 e 162/5) il canto è sostenuto dal solo basso continuo;
nelle altre situazioni prevalgono le strutture concertanti con uno strumento obbligato, ma si dànno esempi di aria accompagnata dal tutti (BWV 132/1, 162/1, 185/3, 199/8) o dal gruppo degli archi (la
prassi più comune) o da particolari « congegni » strumentali (ad esempio: i soli violini in 165/5 oppure tutti gli strumenti all’unisono in 152/6, flauti a becco e viole in 18/4 o, esempio più significativo e singolare, 3 trombe e timpani in BWV 172/3). Nella gamma delle arie con un solo strumento obbligato (pit il continuo) si annoverano 1 duetto (BWV 63/3) e 4 arie (BWV 12/4, 21/2, 152/2, 199/2) con oboe, 1 aria con flauto a becco (BWV 182/5), 1 aria con violino (BWV 132/5) e 1 duetto con fagotto (BWV 155/2). Con due strumenti obbligati sono BWV 152/4 (flauto a becco e viola d’amore) e BWV 163/3 (2 violoncelli). Infine, si dovrà tener presente che 11 arie sono per soprano, 10 per tenore, 8 per basso e 7 per contralto. Il formulario seguito nel trattamento delle arie, specie di quelle con il da capo, è mediato dall’opera cosiddetta, alquanto impropriamente,
napoletana,
e impegna
i solisti sul piano del virtuosismo,
della tecnica vocale nella sua totalità. Le parti vocali e quelle strumentali agiscono su piani di eguaglianza pressoché assoluta, nello spirito di
un cantus gemellus, ma sviluppando un discorso che procede su strade parallele e alternatim, per sequenze simmetriche e regolari, governate da una tecnica del fraseggio che abbraccia sovente i due membri del discorso, sicché l'uno risulta essere il proseguimento dell'altro; quando
non si sviluppino altri principii, quello del contrappunto rigoroso o quello dell’imitazione stretta, ad esempio, il ricorso al modulo del
ritornello strumentale (in apertura, fra le varie fasi dell'enunciato, in
404
Weimar (1708-1717)
chiusura) & normale e sembra conferire rotondità, scorrevolezza, agilità agli interventi vocali.
Nelle prime cantate, quelle legate all'ambiente di Mühlhausen, Bach non aveva impiegato lo stile del recitativo; la tipologia musicale individuata in questo genere di canto dalla prassi barocca — lo stile «secco », sostenuto unicamente dal continuo, intonato con una certa
libertà ed elasticità di fraseggio, e lo stile « accompagnato », realizzato in unione di voce e strumenti (il complesso degli archi, in genere),
ritmicamente più vincolante e armonicamente
più determinato —
viene adottata da Bach solo quando lo imponga la nuova concezione della cantata suggerita da Neumeister e poi recepita anche da Franck
e da Lehms. Ma la tensione del linguaggio e la temperatura del momento spirituale sono tali, in genere, da indurre il compositore a sorvolare sui due tipi, modificandone continuamente la struttura che, dalla condizione primaria, propria dello stile di declamazione del testo, dello stile oratoriale, sillabico, poco mosso e scarsamente accidentato,
scivola nei punti culminanti,
nei momenti
in cui si renda
necessario sottolineare certe immagini, illuminare il tono di predi-
cazione o di preghiera, il contenuto esortativo o narrativo dell’episodio, verso altre soluzioni musicali: ampi melismi, rotture del ritmo, improvvise modifiche nella dinamica, frasi aperte ad una condizione melodica in sé compiuta, sicché la pagina si trasforma in un arioso,
in un qualche cosa che è ben pit di un recitativo, pur non raggiungendo ancora la ‘rotondità, la tornitura dell'aria. La prosa, insomma, l'oraziano sermo pedester si nobilita: il logos si fa poesia e invita all'alta meditazione.
Accanto
all'utilizzazione
del corale armonizzato,
generalmente
collocato a chiusura della cantata (su 12 esempi del periodo di Weimar, 11 si pongono come brani terminali della Kirchenmusik, come pagine
di congedo; l’eccezione è data da BWV
172/6), si deve considerare
l'inserimento di melodie corali nell'ambito di differenti strutture vocali: in 4 casi (BWV 12/6, 31/8, 161/1, 199/6) l'elaborazione del corale (Choralbearbeitung) è inscritta in un contesto solistico, mentre
in 3 casi (BWV 163/5, 172/5, 185/1) l’interpolazione avviene nell'ambito di un discorso a due e in altri 3 (BWV 21/9, 61/1, 182/7) è affidata al coro.
Tale principio, sorta di farcitura che vorrebbe
proporre a chi assiste al rito un principio di «associazione di idee », di giustapposizione fra meditazione poetica e canto liturgico, cra già
invalso nelle cantate del periodo storico pre-bachiano, nell'ambito di ariosi o di brani per coro. Le citazioni bachiane, invece, avvengono
in strutture solistiche più esplicite, più fermamente individuali, sog-
gettive, e affidandone la realizzazione a strumenti, senza intonare il testo del cantico: ciò a differenza di quanto si era verificato nelle
IX
M
405
Weimar (1708-1717)
quattro cantate di Mühlhausen (BWV 4, 71, 106, 131) in cui is principio era stato applicato accettando del corale anche i testo. In tre casi (quelli delle cantate BWV 31, 161 e 185) vi è stretto |
rapporto di connessione fra il corale conclusivo armonizzato a 4 voci e la citazione del corale all’interno di un’aria: la melodia, insomma, è la medesima. Negli altri casi, invece, le fonti melodiche sono diverse. |
Gli strumenti cui è affidata la proposta della melodia-corale variano
di volta in volta; il trattamento è, in genere, solistico e ornato, secondo
la tecnica della diminuzione, dei « passeggiati »: tromba (in BWV 12/6), -
violino (172/5), oboe o tromba (185/1), viola da gamba (199/6), mentre in un caso (161/1) la melodia è affidata allo strumento del continuo, l'organo. Le proposte pit semplici (senza varianti melodiche) si hanno in BWV 31/8 (violini e viole) e in 163/5 (violini e viola all'unisono). Carattere anomalo hanno, invece, i casi previsti da BWV 21/9 (di tecnica mottettistica), da BWV 61/1 (in cui il corale è intonato mottettisticamente
nell'ambito di un brano strumentale |
introduttivo, un’ouverture nello stile francese) e da BWV
182/7 (in
cui il corale è realizzato come un mottetto nello stile di Pachelbel).
27. Le cantate in particolare.
BIBLIOGRAFIA: vedere $ 26.
Da questa prima generale e parziale presa di contatto con le cantate del periodo di Weimar si deve ripiegare su qualche considerazione più specifica, che delimiti i principii particolari e proprii di ciascun'opera, senza per altro cadere nella ripetizione di fatti già resi noti. In ordine cronologico, la prima delle cantate di Weimar a noi pervenute è forse Gleichwie der Regen und Schnee vom Himmel fallt (BWV 18). La composizione & conservata, autografa in parti separate (BB St 34), in due versioni, la seconda delle quali predisposta per Lipsia (1724) e caratterizzata dall’aggiunta di due parti di flauto a becco e da una modifica dell'impianto tonale (da sol minore a la minore). Quest'ultima situazione & determinata non già dall'impiego di strumenti traspositori (che suonano cioé in una tonalità diversa da quella realmente scritta), bensí dall'adozione di un diverso modello d'intonazione. Nella prassi corrente si usavano il Chorton per le voci, gli archi, l'organo, le trombe e il Kammerton per i legni (flauti, oboi,
fagotti). La differenza fra l'uno e l'altro tipo d'intonazione era di circa un tono intero (seconda maggiore): il Chorton risultava più alto di un tono rispetto al Kammerton e pertanto ciò che, per riferirci
406.
Le EN
Weimar (1708-1717)
al caso specifico della Cantata BWV
18, era scritto in sol minore
nella realtà risuonava in la minore. E L'impiego del Kammerton non era frequente a Weimar; lo diventerà invece a Lipsia (e infatti il Kammerton è quello generalmente adottato da Bach nelle cantate, per l’intero organico vocale-strumentale, dal momento che la maggior parte di quelle cantate risalgono agli anni di Lipsia). A introdurlo nell’accordatura dell’orchestra di Lipsia
era stato Kuhnau, sullo slancio della prassi francese, al tempo del suo
cantorato alla Chiesa di S. Tommaso (1702). Per adeguarsi alla situa-
zione, Bach si vide costretto a modificare l'impianto di talune cantate scritte in precedenza, volendole utilizzare con i complessi di Lipsia.
Il doppio regime di «notazione » usato a Mühlhausen e a Weimar — Chorton per le parti di canto, degli archi e delle trombe (oltre l'organo che seguiva regolarmente quel principio) e Kammerton per i legni (sicché questi ultimi erano «registrati» un tono sopra alla tonalità di impianto per potersi adeguare a quella) — non era più consentito. Si deve poi sottolineare che la differenza fra i due tipi di intonazione non era mantenuta a livelli costanti, ma poteva dar luogo a due diversi sistemi. A Lipsia il sistema prevedeva la differenza di un tono fra Chorton e Kammerton;
ma a Weimar
questa differenza
era maggiore e raggiungeva l'ampiezza di un tono e mezzo
(terza minore = tief-Kammerton). Nell'adattamento che Bach dovette effettuare a Lipsia, quando si trovò nella necessità di riprendere cantate scritte in un diverso sistema di intonazione, due furono i gradi della trasposizione: trasporto di un tono nelle cantate BWV 12, 18 e 172; trasporto di un tono e mezzo nelle cantate BWV
31, 70, 80, 152, 161,
162, 163, 165, 182, 185, 186. Fra le cantate giovanili bachiane, dieci (BWV
131, 152, 161, 182, 185, 199) adottano per della trasposizione, a dispetto del fatto strumenti traspositori; cosi, nella Cantata nalmente il violoncello) sono scritti in
18, 31, 71, 106,
le parti dei legni il principio che non si tratta punto di BWV 71 i legni (e ecceziore maggiore (Kammerton),
mentre le altre parti (trombe, archi, timpani, continuo e ie parti vocali) sono in do maggiore (Chorton); nella Cantata BWV 131 i
legni sono indicati in la minore (Kammerton), gli altri strumenti e le voci in sol minore (Chorton); nella Cantata BWV 106 i flauti sono in fa maggiore (Kammerton), le altre componenti della partitura in mi bemolle maggiore (Chorton), etc. Il Chorton continuerà ad essere impiegato a Lipsia nella parte di organo (con identica intonazione), ma questa wolta creando un altro problema: quello determinato dalla necessità di scrivere la parte un tono sotto la tonalità d'impianto adottata per l'orchestra (Kammerton) *. 407
i Weimar (1708-1717)
La Cantata BWV
18 è, come si diceva, forse la prima fra quelle
di Weimar ed esula probabilmente dal gruppo di opere che Bach
avrebbe dovuto scrivere, al ritmo di una al mese, dopo la sua nomina a Konzertmeister; al pit tardi, tuttavia, potrebbe essere stata
scritta per la Domenica di Sexagesima del 1715 (24 febbraio) o del 1714 (4 febbraio), ma si è dell'avviso che essa possa risalire 261113.
La struttura arcaica dell’opera & determinata non tanto dalla sinfonia di apertura, che — di gusto pastorale — è organizzata intorno ad un tema di ciaccona, ma si avvale di un processo compositivo moderno quale & quello del concerto italiano, quanto piuttosto dalla concisione delle forme, dalla utilizzazione di un modulo
di canto
(recitativo n. 3) dell'antica chiesa e dall'impiego di un complesso strumentale di 4 viole (senza violini). Due recitativi, il secondo dei quali accompagnato dall'intero gruppo strumentale e interpolato da interventi corali, precedono un'aria bipartita per soprano con le viole all'unisono. Un corale (sul testo dell'ottava strofa di Durch Adams Fall ist ganz verderbt di Lazarus Spengler, 1524) chiude la breve cantata che ha il suo punto di forza espressivo nel citato lungo recitativo n. 3, inteso come un recitativo accompagnato ma fortemente tendente all’arioso. La pagina & suddivisa in quattro sezioni tripartite costituite: a) dal recitativo vero e proprio, alternativamente proposto da una voce di tenore e da una di basso, con
autentiche cadenze
espressive e virtuosistiche in corrispondenza di parole o concettichiave, quale & il caso di Verfolgung (persecuzione), in cui si manifesta l'assimilazione dell’antica arte della diminuzione; b) da un'esposizione in tono di lezione (salmodico), a note ribattute e sempre ai soprani, di una preghiera; c) dalla invocazione terminale, come una litania,
sulle parole Erhór uns, lieber Herre Gott (corrispondente al nostro « Ascoltaci, o Signore »), affidata in omofonia al coro. Fra il recitativo vero e proprio e i due altri momenti di ciascuna sezione (strettamente congiunti fra loro sul piano musicale secondo una struttura tipicamente responsoriale) si configura un salto qualitativo e stilistico notevolissimo, accentuato anche dalla diversa dinamica musicale: un espressivo
adagio nel primo caso, un risolutorio allegro nel secondo. Ma un pit nascosto elemento di contrasto si nota fra lo spirito generale della cantata, e di quel brano in particolare, che si aggancia alla parabola evangelica del seminatore — e dunque pare avere dimensione agreste (come già & testimoniato dalla natura pastorale della sinfonia) — e la violenta e infiammata requisitoria luterana, di tono predicatorio (preghiera ed invettiva ad un tempo), che chiama in causa, quali comuni nemici, turchi e pontefici: « E paternamente proteggici dal crimine
spietato e dalle bestemmie, dalla furia e dalla violenza dei turchi e 408
Weimar (1708-1717)
del papa», in cui l'immobilità del canto recto tono è controbilanciata
da un basso agitato e collerico:
Ach!
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Weimar (1708-1717)
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Weimar (1708-1717)
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Cantata Gleichwie der Regen und Schnee vom Himmel fällt (BWV 18), n. 3, batt. 41-59 (dall’esempio sono escluse le parti « obbligate » di accompagnamento).
La visione «scenica» — ché d'una vera e propria scena oratoriale si tratta — è tale da dar luogo ad una peripezia, la greca peripéteia, ad un mutamento imprevisto, drammatico e quasi improvviso della situazione, in rapida successione costituita da elementi contrastanti.,
Tre settimane dopo la nomina a Konzertmeister di Bach, la cappella ducale di Weimar risuonava della musica della prima cantata scritta dal già Hoforganist nella nuova veste ufficiale di coadiutore, ma in realtà sostituto
effettivo, di Johann
Samuel
Drese;
quella cantata,
scritta per la Domenica delle Palme (25 marzo 1714), era Himmelskónig, sei willkommen
(BW'V
182; partitura autografa in BB/SPK
P 103). Al motivo liturgico iniziale — che ricordava l'ingresso del Cristo in Gerusalemme (secondo la narrazione evangelica di Matteo 21, 1-9) — se ne & poi sostituito un altro, quello della festa dell'Annun-
ciazione: ed è sotto il segno di questa causale liturgica che si pongono le due riprese dell'opera a Lipsia, la prima avutasi il 25 marzo 1724, la seconda in data non certa ma presumibilmente intorno al 1728. Una Sonata (Grave. Adagio) introduttiva vede impegnati violino concertante e flauto, su un pizzicato degli archi (violino di ripieno, due parti di viola e violoncello), nello svolgimento di una trama melodica tendenzialmente ascendente in ritmo puntato (stile ouverture); 411
Weimar (1708-1717)
il carattere marcato della soluzione ritmica partecipa al fedele l'oggetto — stesso della cantata: è un incedere solenne che preannuncia l'ingresso del Cristo nella Città Santa. Il coro che segue è nella forma con il da capo, e applica nelle due sezioni estreme il principio costruttivo della Permutationsfuge; la struttura rigorosamente canonica che guida tutte le voci sino alla chiusura in omofonia, in un'incalzante succes-
sione di « fasi» molto ravvicinate (i quattro membri in cui si articola il soggetto della fuga si susseguono a distanza di poco pit di una battuta), solo apparentemente trova un'attenuazione nella parte centrale del brano, in omofonia, giacché Bach ricorre all'artificio di un canone
all'ottava. A] breve recitativo arioso del basso seguono tre arie con il da capo (ma la « ripresa » è di andamento più libero nella prima e nella terza): la prima con violino concertante su un'armonia sorretta dalle due —. parti di viola e dal continuo, in stile ostinato; la seconda con flauto
e la terza col solo accompagnamento di violoncello e continuo, ancora in stile ostinato, fungendo quasi da pendant alla prima aria. Il corale Jesu, deine Passion, penultimo brano della cantata, è intonato nello stile mottettistico caro a Pachelbel, con la cosiddetta
« pre-imitazione » nelle voci inferiori fortemente elaborate e la melodia vera e propria (cantus firmus) al soprano, in tutta la sua scarna e dimessa
veste di canto assembleare. La pagina conclusiva & ancora affidata al coro
e, in simmetrica
rispondenza
con
il brano
corale
collocato
all'inizio dell'opera, & concepita come una Permutationsfuge, con una sezione centrale in doppio canone. Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen (BWV 12; partitura autografa in BB/SPK P 44) è dominata dal patetico conflitto della mistica evangelica fra tristitia e jubilatio, fra Traurigkeit e Freude. La progressione dall'uno all’altro concetto si realizza con simmetrica e regolare continuità, in maniera tale da non ingenerare distacco, iato, ma con-
siderando i due estremi come membra corporis di un'unica figura. Una breve Sinfonia (Adagio assai) con oboe concertante, impegnato in una incerta infiorescenza, oscillante fra ansia e riposo, fra progressioni ascendenti e discendenti, prelude al primo elemento (lento) di un coro tripartito (con il da capo) che, nella parte iniziale e in quella terminale, su un basso ostinato di ciaccona —
si tratta, lo abbiamo già detto,
di quattro battute in successione cromatica discendente — un tipico passus duriusculus — (cfr. l'inizio della Cantata BWV 78) dodici volte ripetute — innesta la lamentatio corale: & una splendida reiterazione a distanza ravvicinata,
in imitazione,
dall'alto verso
il basso, che
ritroveremo parodiata nel Crucifixus della Messa in si minore (BWV 232). Nella sezione centrale (un poco allegro) gli strumenti, con l'eccezione del basso, tacciono, dando luogo ad un mottetto le cui parti 412
Weimar (1708-1717)
vocali, tuttavia, secondo una prassi comune, potrebbero essere raddoppiate dall'apparato strumentale. Il brevissimo recitativo che segue rende il significato del testo («Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molta tribolazione », Atti degli Apostoli XIV, 22) con un moto ascensionale di liberazione realizzato dal violino I con l'esposizione completa della scala di do maggiore, mentre l'armonia delle altre parti è inscritta nel clima del do minore. Un gruppo di tre arie consecutive, collocate al centro della cantata, espongono tre diversi atteggiamenti formali e stilistici: un'aria con il da capo in stile fiorito, per contralto, con oboe obbligato; una breve aria tripartita con da capo «anomalo», alquanto abbreviato, per basso con violini obbligati e in stile di canone; un'aria per tenore, infine, su un basso ostinato con la citazione della melodia del corale Jesu, meine Freude affidata alla tromba
(e, perció, in forma bipartita). Chiude
la cantata un corale fornito di una parte obbligata (oboe o tromba). Sono almeno quattro le esecuzioni accertate, vivente Bach, della
Cantata Erschallet, ihr Lieder (BWV 172): la prima alla Pentecoste del 1714 (20 maggio), le altre nella medesima festività degli anni 1724 (28 maggio) e 1731 (13 maggio); ma sicuramente una quarta ripresa
si ebbe dopo il 1731, come è testimoniato dalla parte di organo obbligato, autografa, per il quinto brano. Le modifiche nel passaggio dall'una all'altra versione sono date principalmente: a) dalla tonalità d'impianto: in re maggiore nelle prime due esecuzioni, in do maggiore nelle restanti; b) dalla diversa individuazione delle parti obbligate nel n. 5 (l'elaborazione sul corale Komm, Heiliger Geist): oboe (o forse il flauto dolce) per la melodia del corale (cantus firmus) e violoncello come strumento obbligato d'accompagnamento nella prima esecuzione (Weimar) dell'opera; oboe d'amore (cantus firmus) e violoncello obbligato nella versione del 1724; ancora oboe (di taglio normale) e violoncello in quella del 1731; organo nella quarta esecuzione, assommando nello strumento a tastiera tanto il cantus firmus quanto l’elaborazione contrappuntistica (’accompagnamento obbligato); c) dalla ripresa integrale del coro di apertura dopo il corale Von Gott kömmt mir ein Freudenschein (n. 6) nella prima versione; lindicazione chorus repetatur ab initio non figura nella seconda versione;
d) la presenza di un flauto traverso come raddoppio della parte di violino I nel coro di apertura, nell'aria «O Seclenparadies» (n. 4) e nel corale conclusivo della versione del 1724.
La partitura originale di questa cantata, scritta per la prima dome-
nica di Pentecoste, & andata perduta; parzialmente perdute sono pure le parti staccate realizzate da copisti sulla scorta della partitura weimariana, sicché, nel pubblicare per la prima volta (1959) la versione 413
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5
originale, Dietrich Kilian ha dovuto ricorrere ad un'operazione di collage che, fin dove era possibile, utilizza le parti superstiti di Weimar | e negli altri casi ricorre al materiale relativo alle esecuzioni del 1724 e del 1731. Cosi come & ora, l'edizione della versione in re maggiore rispecchia in pratica la situazione delle parti vocali e strumentali quale si ebbe con l'esecuzione del 1724. Due,
comunque,
sono
le fonti
principali: le parti separate autografe in do maggiore (BB St 23) e le parti separate autografe in re maggiore (Bach-Archiv di Lipsia, raccolta Rudorff Ms. R. Nr. 1). Il coro di apertura (ma, come si € visto, nella versione in re maggiore
tale coro ricompare a chiusura della cantata) & nella forma con il da capo e presenta una sezione centrale (« Gott will sich die Seelen zu Tempeln bereiten ») in stile di fuga contrastante con le due estreme che sono invece a condotta omofona; si tratta, comunque, nel complesso, di un chiaro esempio di Fest-Musik, di musica solenne, degna
d'un corteggio reale, come & subito reso manifesto dall'impiego di un complesso strumentale supplementare costituito da tre trombe e timpani (che, per contrasto, tace nella sezione mediana). Il consueto
recitativo previsto dalla forma franckiana adottata nelle prime cantate di Weimar (su parole di Giovanni XIV, 23-31) introduce alla sequenza di tre arie: la prima, con il da capo abbreviato, utilizzante virtuosisticamente il « coro » di tre trombe e timpani con figurazioni ostinate anche nella parte del continuo;
la seconda, con regolare da capo,
affidata all'altro « coro», ma all'unisono, di archi (anche flauto nella versione in re maggiore); la terza in forma di duetto con uno strumento obbligato per l'intonazione del corale Komm, Heiliger Geist, Herre Gott. Perduta la parte originale del 1714, & giocoforza servirsi, per la versione in re maggiore, della parte di oboe d'amore scritta nel 1724 e di poco posteriore all'invenzione dello strumento stesso (che, secondo J. G. Walther, si sarebbe verificata intorno al 1720). In quest'ultimo caso,
un corale «ornato» alla maniera di quanto Bach aveva realizzato nell’Orgelbüchlein, si innesta su una tessitura vocale alquanto abbellita in cui dialogano l'Anima
(soprano) e lo Spirito Santo
(contralto),
secondo un modulo espressivo tipicamente pietistico. Nonostante la conduzione «parallela» delle linee melodiche e l'omogeneità dell'impasto, il dialogo pone in evidenza diversi caratteri: l'indipendenza delle parti (il violoncello svolge un impegnativo ruolo di strumento obbligato) fa si che si possa parlare di una struttura a quattro. Un semplice corale, ma con strumento
obbligato, chiude la cantata che
è da iscriversi fra le più prestigiose della produzione bachiana. Complessi problemi di datazione, di destinazione e di pluralità di versioni presenta Ich hatte viel Bekümmernis (BWV. 21), l'unica fra le cantate di Weimar che adotti il taglio formale in due parti. La partitura
414
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originale & perduta e le parti separate autografe che si conservano (BB St 354, già 56a) pare non debbano riferirsi alla prima esecuzione dell'opera, bensí ad una versione rimaneggiata e ampliata. Il foglio d'intestazione delle parti reca la dicitura a grandi lettere, in italiano, Per ogni Tempo; la genericità di questa espressione & contraddetta da una nota a fondo pagina nella quale si specifica la destinazione liturgica o, meglio, il tempo di esecuzione della cantata: « terza dome-
nica dopo la Trinità 1714 ». Dalla qual cosa si deduce: a) che la cantata fu effettivamente eseguita il 17 giugno 1714; b) che tale esecuzione era stata preceduta da una presentazione dell'opera senza riguardo per una particolare festività liturgica. A quest'ultima conclusione si era già giunti nel secolo scorso (Chrysander, Spitta), quando si era prospettata l'ipotesi che Bach avesse sostenuto una prova in qualità
di compositore di cantate al tempo in cui aveva posto la propria candidatura al ruolo di organista nella Liebfrauenkirche di Halle (dicembre 1713); lo stesso Bach, come si & visto, in una sua lettera
del 19 marzo 1714 (BD I, 4) aveva ricordato di aver composto una cantata in quella circostanza. La tesi & stata sostenuta anche dal Dürr e recentemente rinforzata dalle osservazioni di Paul Brainard, secondo
il quale la cantata eseguita cantata, bensí una cantata circostanza, con l'aggiunta e l'impiego di un oboe non comunque, ebbe due altre
il 17 giugno 1714 era non già una nuova composta l'anno prima e adattata per la di due nuovi brani (ai nove già esistenti) previsto nella proposta originale. L'opera, esecuzioni, oltre a quelle di Halle (?) e di
Weimar; una ad Amburgo, intorno al 1720, al tempo in cui Bach visitó Reinken, e una a Lipsia, il 13 giugno 1723; & a quest'ultima
esecuzione che si riferisce la partitura ricostruita da Wilhelm Rust
per l'edizione della BG, recante fra l'altro 4 tromboni in funzione di raddoppio al n. Corre l'obbligo di ricordare, inoltre, che nig la cantata potrebbe essere stata eseguita
l'importante aggiunta di 9. secondo Reinhold Jauercome solenne manifesta-
zione di congedo in onore del principe Johann Ernst, già minato da
un male incurabile, e in procinto di partire (4 luglio) alla volta di Schwalbach per tentar di lenire le proprie tribolazioni, quelle tribolazioni cui fa esplicito riferimento l'incipit del testo. La stesura di quest'ultimo & unanimemente attribuita a Salomo Franck, ma
una recente indagine esperita da Helene Werthemann
mette in luce le notevoli affinità «tematiche » di quel testo con un Lied di Johann Rist (pubblicato nella raccolta Himmlische Lieder, das
dritte Zehn, Lüneburg 1642), diviso in due parti di nove strofe ciascuna
(per un totale di 126 versi) e intitolato Herzliches Klag-und Trost-Lied einer angefachtenen, hochbetrübten Seelen, so mit Angst und Verzweiffelung ringet. Peculiare della struttura di questa cantata è l'inserimento di 415
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quattro cori (nn. 2, 6, 9, 11) cui è affidata l'intonazione di versetti È biblici: rispettivamente Salmo 94, v. 19; Salmo 42, v. 12; Salmo 116,
v. 7; Apocalisse 5, vv. 12-13. Il principio mottettistico (che nel n. 9 è esaltato dalla presenza in cantus firmus di un corale) è qui applicato per la prima volta a versetti biblici: si ricorderà che in precedenza (BWV 182, 12, 172) tali versetti erano intonati in stile recitativo-arioso da un solista. Come già era avvenuto nella Cantata BWV 12, l'ambientazione
pietistica è sottolineata dalla presentazione di uno stato d'animo che, partendo da manifestazioni di tribolazione e di angoscia, raggiunge la sublimazione della gioia: la speranza e la fiducia in Dio si affermano, dopo una serie di struggenti lamenti, con il coro che chiude la prima parte (n. 6); le invocazioni e la preghiera che seguono preparano il terreno ai due brani conclusivi (nn. 10 e 11) in cui è incisa la certezza della consolazione e della felicità e la visione della gloria eterna di Dio. Non darò soverchia importanza alla tesi sostenuta da Percy Robinson di presunte intense affinità fra l'Almira di Haendel (rappresentata ad Amburgo nel 1705 e ripresa nel 1713) e la Cantata BWV 21 (ma il discorso di Robinson interessava anche le cantate BWV 8 e 70, ben più tarde, e una cantata falsamente attribuita a Bach, la BWV 142).
Si tratta di proposte tematiche affini che testimoniano non tanto la «circolarità » di certe idee, quanto piuttosto l'omogeneità della concezione musicale di un'epoca; lo stile compositivo si serve di parametri fissi, di modelli scolastici, di immagini caratteristiche, di disegni alla moda, sicché sovrapposizioni, ricalchi, sinonimi, imitazioni, coinci-
denze sono sempre possibili, e solo molto raramente risultano ricercati come segni, citazioni emblematiche, messaggi, suggerimenti per suggestionare o guidare il pubblico, un pubblico che difficilmente aveva modo di servirsi di simili gradi o mezzi di comparazione. Cosí, nulla più di una coincidenza può essere, ad esempio, l’affinità fra il tema (in sol minore) di apertura del coro «Ich hatte viel Bekiimmernis » e quello della Fuga in sol maggiore BWV 541, a loro volta assai prossimi al tema del finale del Concerto op. 3 n. 11 di Vivaldi: rn Soprano u ME 5 AVE Essi è Zn „EEE Aue
Ich,
ich,
kümmer.nis
ich,
m d BEN DIC Re NK
ichhatte viel Be-kümmer-nis, ich hat-te viel Be-
inmei-nem Her
-
zen,inmei
Cantata Ich hatte viel Bekümmernis (BWV
416
- nem
Her.zen,
21), coro di apertura.
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Fuga in sol maggiore per organo (BWV 541). Es. 15 C
Allegro
tr (
Violini concertanti
A L-4— si
& —
u
„EEE Eis
BEE SE ENGE
RE
ecc.
Antonio Vivaldi, Concerto in re minore op. 3 n. 11, finale.
La probabile vicinanza cronologica delle due opere non prova né relazione di causa-effetto fra di esse, né intenzioni « ripetitive », trasferimenti parodistici dall'uno all'altro genere musicale. Dopo la breve Sinfonia (Adagio assai) in cui oboe e violino primo
tessono una trama melodica di puro stile concertante, il coro intona
mottettisticamente il primo versetto biblico: la forma adottata è 417
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dii vas x
quella bipartita e il «punto di rottura» è dato espressivamente e intenzionalmente da una fermata (adagio) sulla parola aber («Il mio cuore & pieno di afflizione — dice il testo — ma le tue consolazioni dilettano l’anima mia »); da una struttura fugata, in imitazione canonica, si passa ad un vivace in cui lo stile polifonico è pit libero. L accavallarsi di parole reiterate nella prima parte di questo coro, sarà portato più tardi (1725), da Mattheson (BD II, 200), come esempio di metodo compositivo negativo, che il practicus hodiernus dovrà evitare. Al tono arcaico di questo coro — seguito da due arie collegate fra loro da un recitativo — si contrappone il carattere moderno del n. 6, un coro dalla struttura bipartita, ma concepito come una sorta di « preludio e fuga » in cui l’ultimo elemento è costituito da una Permutationsfuge; da notare lo sdoppiamento del discorso fra soli e tutti. La seconda parte della cantata, dopo il sermone, inizia con un dialogo (recitativo e aria) fra soprano e basso impersonanti l'Anima e Gest, manifestazione tipica della mistica pietista. Il coro « Sei nun
wieder zufrieden»(n. 9) è un mottetto che alterna voci soliste ad episodi affidati al tutti; al testo biblico si aggiunge un corale (Was helfen uns die schwere Sorgen, sulla melodia di Wer nur den lieben Gott
lässt walten) intonato dai tenori; è in questo brano, come si è già detto, che in vista di una ripresa dell’opera a Lipsia (1723) Bach ha aggiunto il raddoppio di quattro tromboni (alle due parti di violino, alla viola e al fagotto). Un'ultima aria per tenore su un basso nutrito di figurazioni ostinate conduce al coro finale; pagina celebrativa, trionfale (e perciò caratterizzata dall'uso di tre trombe), con una prima parte omofona, nello stile di un recitativo, e la seconda condotta
usufruendo ancora una volta del principio della Permutationsfuge. Dopo la prima serie di cantate redatte su testi di Salomo Franck,
la cronologia di Weimar propone due cantate compilate, per ciò che concerne la parte letteraria, da Georg Christian Lehms ed estratte dalla raccolta Gottgefälliges Kirchen-Opffer (1711). Recente (1970) è l'assegnazione certa al poeta di Liegnitz, stretto collaboratore di Graupner a Darmstadt, del testo della Cantata Widerstehe doch der Sünde (BWV 54) ?, originalmente scritta per la Dominica Oculi, ma quasi certamente impiegata da Bach in altra festività: la settima domenica dopo la Trinità (15 luglio 1714), anziché la Dominica Oculi di quell’anno (che cadeva il 4 marzo e cioè due giorni dopo la nomina di Bach a Konzertmeister). D'altra parte, due edizioni a stampa di quel testo (Leisnig 1739 e 1748), utilizzato da Johann Melchior Stockmar senior, che era stato allievo di Bach, si riferiscono a due diverse festività,
rispettivamente la prima e la ventesima domenica dopo la Trinità: la qual cosa sottintende una certa elasticità nell’interpretazione e applicazione del dettato liturgico che, del resto, come ha rilevato 418
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Dürr, consente d’intravedere un'affinità ideale nelle letture dell'ufficio
relativo a quelle festività, letture che sono impostate generalmente intorno al problema del peccato e della misericordia divina. Ecco il quadro dei testi per l'Epistola e l'Evangelo nelle quattro festività: Dom. Oculi
Ep. Efesini 5, 1-9
Vang. Luca 11, 14-28
Dom. 1 post Trinitatis Dom.7 » » Dom. 20 » »
Ep. I Giovanni 4, 16-21 Ep. Romani 6, 19-23 Ep. Efesini 5, 15-21
Vang. Luca 16, 19-31 Vang. Marco 8, 1-9 Vang. Matteo 22, 1-14
Partitura e parti originali sono perdute, ma il manoscritto principale che ci ha trasmesso l'opera & di rilevante interesse, dal momento che si tratta di una copia coeva vergata da Johann Gottfried Walther ora in possesso della Bibliothéque Royale de Belgique, Bruxelles (II. 4196). La Cantata BWV 54 è insieme con quella contrassegnata BWV 155, la piá breve fra quelle di Weimar, poiché consta di soli tre numeri, ma
& certamente fra le piá belle e originali. Impostata sul registro vocale grave — all'unico solista, un contralto, si aggiungono due parti di violino e due di viola nella prima aria, mentre nella seconda (n. 3) le parti relative a questi strumenti sono unificate e quindi suonano all'unisono — la cantata offre due tipi di aria nettamente differenziati. La prima & con il da capo (poi parodiato nel n. 53, l'aria « Falsche Welt», della Markus-Passion) :l'esortazione predicatoria a non cedere alle insidie del maligno trova corrispondenza musicale nell'insistente proposta d'un disegno melodico che è in se stesso ripetitivo e ossessivo:
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Weimar (1708-1717)
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Cantata Widerstehe doch der Sünde (BW'V 54), n. 1, batt. 1-6.
La seconda aria, preparata dal recitativo, ha la struttura di una fuga
a 3 parti su un basso ostinato; tale struttura trova la sua naturale giusti-
ficazione nell'immagine del demonio messo
in fuga da chi saprà
mantenere la rechte Andacht, la giusta devozione: la casualità non ha di-
ritto di ospitalità nella concezione musicale bachiana, sempre impegnata nel sottolineare con immagini comunicative i concetti espressi dal testo. 420
Weimar (1708-1717)
La partitura originale della seconda delle cantate su testo di Lehms,
Mein Herze schwimmt im Blut (BWV
199), & stata ritrovata soltanto
nel 1911 nella Biblioteca Reale di Copenaghen; anche quest'opera, scritta per l'undicesima domenica dopo la Trinità (e ispirata alla parabola del fariseo e del pubblicano; Luca XVIII, 9-14) è a carattere solistico (voce di soprano), ma di dimensioni alquanto maggiori. Già posto in musica da Graupner nel 1712, il «libretto » fu utilizzato da Bach avendo probabilmente una diretta conoscenza della composizione realizzata dal Kapellmeister della corte di Darmstadt. Una sequenza regolare di quattro recitativi (tutti con accompagnamento di archi e fagotto, salvo il n. 5, secco, di sole 3 battute) che precedono tre arie con il da capo e un’elaborazione di corale costituiscono l'opera. Due delle arie (nn. 4 e 8) impiegano come accompagnamento il complesso degli archi, e l'ultima & nel ritmo di una giga, sicché la cantata sembra quasi assumere il carattere di una suite; l'aria n. 2
— bellissima invenzione — reca l'oboe come strumento obbligato nella proposta di una melodia dall'arco ampio e patetico. Il n. 6 affida
alla voce solista il compito d'intonare la melodia del corale Wo soll
ich fliehen hin di Johann Heermann (1630), sul testo della terza strofa; una figurazione obbligata della viola (sostituita nella versione di Lipsia da un violoncello piccolo) fa da contrappunto al cantus firmus con aerei ricami. Nun komm, der Heiden Heiland (BWV 61) è la prima delle tre cantate bachiane (le altre sono BW'V 36 e 62) scritte per la festività che inaugura l'anno liturgico, la prima domenica di Avvento. L'opera & pervenuta per il tramite di un'unica fonte, ma molto importante trattan-
dosi della partitura autografa che, insieme con quelle relative ad altre sette cantate (BWV 13, 16, 17, 19, 36, 71, 152), & legata in un volume
già appartenuto al collezionista bachiano Georg Pólchau (BB P 45). Il testo & di Erdmann Neumeister (dalla quarta annata di cantate, 1714, per la corte di Eisenach); ma il poeta ha organizzato la materia in sei momenti, tre dei quali sono costituiti da testi liturgici o biblici: per il n. 1 il testo & dato dalla prima strofa del Lied di Lutero (traduzione del Veni redemptor gentium) che dà il titolo a tutta la cantata; per il n. 4 (recitativo) è utilizzato un passo dell'Apocalisse (cap. III,
v. 20); per il n. 6 il poeta ha adottato l'ultima strofa del corale Wie
schön leuchtet der Morgenstern di Philipp Nicolai (1599). Il processo compositivo che guida questa cantata & alquanto originale. Al brano di apertura, concepito nello stile di una ouverture francese come è giusto si convenga per una cantata destinata ad inau-
gurare il ciclo liturgico, si è già avuto modo di accennare: Bach ha innestato sulla struttura strumentale, che è in sé indipendente e autonoma, il cantus firmus del corale, dapprima intonato sulle parole 421
Weimar (1708-1717)
3
iniziali quattro volte ripetute dalle singole parti del coro — nell'ordine
decrescente di soprani, contralti, tenori e bassi — con opportuni inserti
strumentali di brevissimo respiro (da una a tre battute), quindi simultaneamente proposto, sulle parole del secondo verso, dal coro in stile | omofono. La sezione centrale (gai), sulle parole «des sich wundert alle Welt» («di cui tutto il mondo si meraviglia») & in stile di mottetto fugato; la sezione conclusiva, di nove battute, è nuovamente nel ritmo francese di apertura, ma l'ultimo verso del corale, come già
era avvenuto col secondo, & presentato dal coro intero. Un recitativo che nella parte conclusiva si trasforma in arioso precede la prima delle due arie con il da capo, quella per tenore « Komm, Jesu, komm », in 9/8 con violini e viole all'unisono (nei brani d'insieme
si hanno due parti di violino e due di viola). Segue un breve recitativo con gli archi in « pizzicato » (senza l'arco è scritto sulla partitura), mirabile preludio declamato alla semplice aria del soprano (« Offne dich, mein ganzes Herz ») con accompagnamento di continuo (organo e violoncelli). Il conciso finale presenta il cantus firmus del corale al soprano su una libera organizzazione contrappuntistica
e un insi-
stente disegno per scale del violino primo in funzione di strumento obbligato. L'ultima delle cantate del 1714, scritta per la Domenica dopo il Natale, è Tritt auf die Glaubensbahn (BW'V 152; la partitura autografa
& in BB P 45). L'ambientazione di stile francese, già saltuariamente presente in cantate immediatamente precedenti (il finale in tempo di giga — e perciò ispirato alla suite strumentale — nella Cantata BWV 199 o l'ouverture di BWV 61), si accentua qui per la presenza ancora di una ouverture (quantunque Bach usi, e non senza ragionevole interpretazione, il termine sinfonia), di un finale in stile di loure (danza in 6/4 e in tempo moderato) e di un armamentario strumentale che si conviene più al concert di marca francese, costituito da strumenti solisti (flauto diritto, oboe, viola d'amore e viola da gamba, per la circostanza), che non al concerto italiano, nonostante l'esplicita intitolazione di concerto data all’intera cantata e la presenza di analoghi esempi (di diverso organico) in Vivaldi, sia pure ricondotti dal « prete rosso » nella normale struttura tripartita tipica del concerto italiano. Di quella «intenzione» strumentale solistica ma applicata a principii formali
che discendono
direttamente
dalla suite, saranno
mirabili
portatori — come è noto — Couperin e Rameau alcuni anni dopo.
E quasi per sottolineare il significato individuale e fortemente incline al sentimentalismo pietistico del testo di Franck che Bach pare essersi risolto ad una simile ambientazione strumentale solistica non più ripetuta nel corso della sua carriera creativa. Questa soluzione, ovviamente, è subito proposta in tutta evidenza nel brano introduttivo 422
* =
Weimar (1708-1717)
bipartito, il cui primo elemento (adagio) non presenta il caratteristico
ritmo saccadé, puntato, a sbalzi, tipico dei francesi, ma un flusso, un ricamo, quasi uno svolazzo melodico che a turno interessa, nel breve giro di quattro battute, flauto, oboe e viola d'amore, mentre la viola
da gamba si limita a raddoppiare la parte del continuo; il secondo elemento (allegro ma non presto) & un'ampia fuga nello stile di permutazione, e dunque estremamente rigoroso, quale certo non s'addice alle maniere francesi. Da questa duplice negazione delle piá tipiche caratteristiche dell'ouverture francese (rinuncia al ritmo puntato nella prima parte, rinuncia al libero stile fugato nella seconda) discende la mancata intitolazione del brano col termine ouverture, pur ripetendo la composizione la forma delle tipiche espressioni dello stile transalpino. Nel trattamento del testo franckiano Bach ha talvolta modificato l'inquadramento formale voluto dal poeta. Cosí, come ha messo in rlievo il Dürr, la prima aria (« Tritt auf die Glaubensbahn»,
con
oboe obbligato) presenta questa situazione: xo
Franck
ade
AT Sv
/ B — vv. 2-4 A vw5(21)
Bach 4 B = vv. 5-6 A= vv. 24
E nella seconda aria (« Stein, der über alle Schätze» con flauto diritto e viola d'amore obbligati) la forma assume la seguente struttura: pt
Avv
Franck / B = vv. 2-5
Bach
lA — v. 6 (21)
14
| B = vv. 5-6
A= vw. 24
In un caso, poi, Bach ha voluto intervenire sul testo modificandone
due elementi per una migliore «lettura» musicale, senza mutarne il sostanziale significato: nel primo recitativo (n. 3) il verso franckiano « der seinen Glaubensbau auf diesen Eckstein gründet» e stato variato in «der seinen Glaubensgrund auf diesen Eckstein leget ». Due recitativi secchi (il primo dei quali reso celebre da un esempio sintomatico di «simbolismo » musicale, con il salto di decima, FA diesis - RE diesis per indicare il concetto di «caduta », Fall, e la ripresa immediata alla quota del FA diesis per indicare la «risurrezione »,
Auferstehen) distanziano fra loro le tre arie, l'ultima delle quali è un duetto, un vero e proprio dialogo fra soprano (l'Anima) e basso (Gest), articolati in pit sezioni con «gli Stromenti all'unisono »: un ritornello strumentale di 16 battute apre e chiude la pagina che vede costante mente impegnate le due voci in un giuoco di domanda (Anima) e risposta (Cristo), frequentemente in imitazione canonica, per frasi brevi, musicalmente corale.
compiute e simmetriche
423
come
i versetti di un
* Weimar
(1708-1717)
Quasi quattro mesi intercorrono fra l'ultima delle cantate del 1714 e la prima fra quelle superstiti del 1715, Der Himmel lacht! die Erde jubilieret (BWV 31; parti separate parzialmente autografe in BB St 14), eseguita la Pasqua di quell’anno, il 21 di aprile. Come sempre avviene nelle cantate legate alla massima festività della fede cristiana, l'organico strumentale risulta notevolmente arricchito; nel caso specifico sono impiegati tre trombe, timpani, tre oboi, taille (oboe tenore), fagotto,
due parti di violino, di viola e di violoncello (ma la seconda di queste 1 ultime raddoppia il continuo). Già si è detto della Sinfonia di apertura, scandita su un ritmo trionfale e marziale. Il coro che segue è a 5 voci e ha taglio quadripartito, secondo il seguente schema: versi A
1-2
battute 1-21
Allegro (fuga)
5x
34
20.42
Adagio (accordale) . Allegro (canone) Allegro (ripresa strum.)
B C A’
5 6 —
43-50 51-62 63-71
Da notare la breve ripresa strumentale (coda) che utilizza le prime 8 battute della fuga iniziale. Tre recitativi e altrettante arie conducono al corale conclusivo che, nella logica della fede luterana, mentre celebra la Resurrezione non esita a invocare la morte che apre le porte del cielo. Fra i recitativi, il più significativo è il primo, in stile prevalentemente arioso (al punto che alle parole «lebt unser Haupt» si assiste ad un canone fra voce e continuo) e continuamente scosso da mutamenti di tempi (otto ne indica la partitura fra allegro, adagio e andante). Fra le arie, la prima
« Fiirst des Lebens » (molto adagio) presenta una ripresa dei versi iniziali (da capo) non prevista dal poeta e impegna la voce di basso e il violoncello II in una sequenza di ritmi puntati in veste di ostinato; la seconda (« Adam muss in uns verwesen »), per tenore e archi e a struttura bipartita, è di grande delicatezza espressiva; la terza («Letzte Stunde, brich herein »), per soprano e oboe obbligato (con la interessante alternanza di piano e forte), invocazione di morte, dell’ultima
ora, anticipa il contenuto del corale finale con la citazione (ai violini e alle viole) della melodia del corale. Wenn mein Stündlein vorhanden ist; l'anticipazione è tanto pit evidente in quanto il corale di chiusura è sulla medesima melodia e sul testo della quinta strofa del Lied di Nikolaus Herman (1575). Una sola fonte ci ha trasmesso la partitura della Cantata O heilges Geist-und Wasserbad (BWV 165): la copia realizzata da Johann
424
Weimar (1708-1717)
Christian Kópping, già allievo della Thomasschule a Lipsia e aiutante di
Bach fra il 1723 e il 1726, una copia (in BB/SPK, Am. B. — Ama-
lienbibliothek, 105) pertanto che risale alla « ripresa » lipsiense dell'opera avvenuta, con qualche modifica, probabilmente nel 1724. L'organico
strumentale & contenuto al massimo: a parte gli strumenti del continuo, la composizione comporta l'impiego soltando di due violini e di una viola. Articolata in sei numeri, la cantata è di breve durata. Alla voce di basso è riservata l’intonazione di due recitativi, il secondo dei
quali — fiorito — «con stromenti». Alle altre tre voci soliste competono le tre brevi arie nessuna delle quali, si noti, con il da capo: la prima (soprano e archi) ha carattere di fuga, ma con una struttura formale simmetrica che il Diirr schematizza in ABCB'A', dove B principia come inversione di A, non senza significato simbolico (la
rinascita dell’uomo nel sacramento del battesimo cui il testo si riferisce); la seconda (contralto sostenuto dal continuo in stile ostinato) è bipar-
tita; la terza (tenore e violini all'unisono) è quadripartita nello schema AABB’, inquadrato fra due ritornelli strumentali.
Di pari lunghezza (un quarto d'ora) & Barmherziges Herze der ewigen Liebe (BWV 185, partitura autografa in BB/SPK P 59) che all’organico della precedente cantata aggiunge un oboe concertante nel duetto iniziale e nella seconda aria; anche in questo caso compete
ai solisti la funzione d'intonare il corale conclusivo con parte obbligata di violino sulla prima strofa di Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ di Johann
Agricola (c. 1530). Quest'ultimo brano trova un pendant nella rielaborazione (in forma di trio-corale) adottata nel brano d'apertura: duetto vocale, in imitazione canonica (pre-imitazione sulla melodia-
corale) e parte obbligata di oboe (tromba nella versione di Lipsia) che intona la melodia del citato corale conclusivo. Un recitativo accompagnato precede l'aria (adagio) «Sei bemüht in dieser Zeit», fortemente melismatica e ornata da passi virtuosistici in agilità. L'ultima aria, per basso e continuo (ma nella versione di Lipsia integrata da una parte degli archi all'ottava) ha carattere concertante.
Fra le piá belle ed affascinanti in assoluto é la cantata Komm, du
süsse "'odesstunde: (BWV 161; la fonte principale è una copia anonima della partitura, già appartenuta a Zelter, ora in BB/SPK P 124), che nel titolo stesso tradisce una delle componenti radicali della mistica pietista: la dolce aspettazione della morte. Il brano di apertura intonato dal contralto reca all'organo (a partire dalla battuta 13) la citazione del corale Herzlich tut mich verlangen, che poi ritornerà nella consueta armonizzazione a 4 voci (ma con due parti obbligate di flauto diritto) a conclusione della cantata. Come era già avvenuto nell' Actus tragicus accompagnata da due flauti diritti e, come (BWV 106), l'aria iniziale la melodia di quel corale permea, quasi Dürr, il rilievo in messo ha 425
È Weimar (1708-1717)
"
alla maniera di una libera variazione, tutta la composizione,
inve-
stendo anche la parte del contralto nel n. 1 (in cui, come si & detto, la melodia vera e propria del corale & all'organo), quella del tenore nel n. 3 e quella del soprano nel contesto del n. 5. Quest'ultima pagina,
preceduta da un recitativo obbligato che nel finale si abbandona al grazioso effetto di tintinnio di campane in lontananza
(per inter-
pretare descrittivamente il testo), prodotto da una coppia di flauti
Es. 17
Flauto
o”
I II
Cantata Komm, du süsse Todesstunde (BWV
161), n. 5.
è affidata al coro in stile semplice, con alcuni timidi interventi in imita-
zione e intermezzi strumentali di breve respiro, con ricami leggerissimi
in semicrome e biscrome dei due flauti diritti. La cantata s'impone all’attenzione per la particolare unitarietà della sua concezione che è determinata in primo luogo dall’insistente 426
Weimar (1708-1717)
affezione alla melodia di Hassler, in secondo luogo dall'aerea e lieve
presenza di flauti diritti impegnati in un discorso concertante di finissima ed esile fattura e in terzo luogo dall'interiore spinta purificatrice (in analogia con la destinazione liturgica della cantata stessa: in festo Purificationis Mariae), che ha indotto Bach a intervenire direttamente
sul testo franckiano, non solo affidando al coro
(sia pure
ad un coro di solisti, probabilmente) il quinto brano che il pocta
aveva indicato come aria, ma anche modificandone il contenuto. Il Tagliavini ha messo in rilievo la sostituzione, nell'ambito del
secondo recitativo (n. 4), delle parole originarie di Franck: «Ich will im Leben täglich sterben, so bringt der Tod mir kein Verderben » (Voglio morire in vita ogni giorno, affinché la morte non mi sia funesta), con queste altre intenzionalmente introdotte da Bach: « Und kann ich nur den Trost erwerben, in Jesu Armen bald zu sterben » (E io posso soltanto ottenere la consolazione di presto morire fra le braccia di Gesü), esaltando in tal modo la presenza del Cristo e interpretando il sentimento della morte come un sollievo e un conforto dello spirito. Ach! ich sehe, jetzt, da ich zur Hochzeit gehe (BWV 162; parti sepa-
rate parzialmente autografe in BB/SPK St 1) è una cantata dall'aspetto quanto meno
conclusivo
singolare, poiché solo nel primo brano
sulla settima strofa di Alle Menschen
(e nel corale
müssen sterben di
J. G. Albinus) fa uso d'un certo apparato strumentale, mentre i quattro brani centrali (due recitativi, un'aria e un duetto) sono accompagnati
dal solo continuo, anche se si & supposto che l'aria per soprano (n. 3) fosse sostanziata dalla presenza di due parti (perdute) di violino. L'organico strumentale è caratterizzato dalla presenza di un corno da tirarsi (= tromba da tirarsi — di cui si dirà trattando delle cantate di Lipsia — con bocchino da corno) introdotto per la ripresa della cantata a Lipsia nel 1723. Lo strumento è utilizzato non in veste con-
certante, ma come integrazione timbrica, quasi un'aggiunta posticcia,
in parallelismo con la parte di viola e secondo lo stile di una proposta di corale, dal momento che il discorso risulta spezzato in « versetti »; su questa sorta di sottofondo o di preparazione armonico-timbrica si colloca l’articolazione contrappuntistica dei due violini concertanti in trio con la parte vocale di basso, mentre il continuo (raddoppiato dal fagotto) si produce in un'incessante figurazione ostinata. Delle
altre pagine della cantata, merita una certa attenzione il duetto, che
è realizzato nella forma ABBCAC e secondo lo stile tipico del duetto da camera italiano. Tipico esempio — osservava Tagliavini — di Predigtkantate, secondo
la definizione del Blume, vale a dire di cantata che, partendo da un episodio evangelico, da un evento narrato elabora un concetto morale, 427
Weimar (1708-1717)
un modello di comportamento; suggerisce — come in una predica — un atteggiamento di vita, è Nun jedem das seine (BWV 163). Dalla narrazione di Matteo 22, 15-22 (il tributo a Cesare) Franck ha tratto
materia per argomentare che il cuore è la moneta del tributo che il
cristiano deve versare a Dio quale corrispettivo dei suoi doni (« Das Herze
soll allein, Herr, deine Zinsemiinze
sein», n. 2, recitativo).
La partitura autografa :(BB/SPK P 137) si riferisce all'elaborazione dell’opera per Lipsia: un oboe d’amore (Walther nel suo Lexikon
ci attesta che l'invenzione dello strumento si colloca intorno al 1720)
in veste di strumento concertante nell’aria di apertura lo prova senza equivoci. La seconda aria (n. 3), per basso, reca due parti obbligate di violoncello ed è in forma tripartita (ma non con il da capo). Di eccezionale interesse è il recitativo seguente, realizzato come duetto fra soprano e contralto, generalmente in canone, con qualche passaggio
in omofonia. Quest'arioso — ché d'un arioso si tratta per la sua fitta e ben articolata fiorettatura melodica — precede l’aria n. 5, duetto fra le medesime voci sul quale si innesta la melodia di A. Hammerschmidt per il corale Meinen Jesum lass ich nicht di C. Keimann, intonata da « violini e viola all’unisono ». La cantata si chiude ancora con il canto di un Chorale in simplice stylo (cioè armonizzato) di cui Bach
si è limitato a notare la parte del continuo e che è stato identificato
solo grazie all’indicazione di Franck (si tratta dell’undicesima strofa di Wo soll ich fliehen hin di J. Heermann). Anche l'ultima delle cantate del 1715, Bereitet die Wege, bereitet die Bahn! (BWV 132), appena precedente il Natale, segue lo schema
franckiano
di aria-recitativo-aria-recitativo-aria-corale
regolarmente
adottato nelle ultime cinque cantate considerate (BWV 165, 185, 161,
162, 163) con l'eccezione di un coro al n. 4 di BWV 161 in luogo di un'aria solistica. E come
avviene nell'ultima delle cantate di cui
si & appena detto (BWV 163), la partitura autografa di questo « concerto » — tale la dizione che accompagna le preziose carte conservate in BB/SPK P 70 — non reca una precisa indicazione per il corale di chiusura, che tuttavia & identificato sulla base del testo di Franck: la quinta strofa di Herr Christ, der einig Gottes Sohn di Elisabeth Creutziger (1524) *. La composizione manifesta una spiccata tendenza al virtuosismo,
anche nei recitativi, specie il primo (n. 2) che impegna il tenore in un arioso (tale & la precisa indicazione espressa in partitura) con passaggi in agilità e in canone con la parte del continuo. In ossequio ala dulcedo e all’ambientazione sentimentale del testo franckiano — costante nelle cantate bachiane di quegli anni attratte dalla mistica
pietista, ma qui forse più in rilievo — l'aria di apertura si abbandona,
è il caso di dirlo, sul ritmo cullante in 6/8, di siciliana, e con il supporto 428
Weimar (1708-1717)
di un oboe concertante, a manifestazioni della piá ardita arte della coloratura:
ce
di tecnica vocale degne
fre Pi edi rn
ELLE en DR
II 125 nd Ci #% Da SI — ===
be- rei
-.
Cantata
-tet
die
Bın_____,
be - rei-tet
Bereitet die Wege, bereitet die Bahn!
(BWV
-
die
-
=
We-ge, be-
132), n. 1, batt. 32-47.
E se l'aria di mezzo (per basso) fa uso di altri mezzi virtuosistici, ad esempio il canto «sbalzato »
>47
IIa CNS | s H8.—4—129—— £DU AT —L.J——NABE—I ui Tr ÉL
á
das wirddir sagen, wer du bist,daswirddir sagen,wer du bist,
Td.#n#3, batt ’26-29.
429
Weimar (1708-1717)
l'arpeggio
I I e SR RIP Poiana mE ET EEE PER EEE L4. PN mar 9-—Lr9-43 —L EEE CE —
M
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-
=
M
3
- le rischer Christ,
Id., n. 3, batt. 37-41.
la sincope Es. 19 C
heuch
.
AL
E
- le.ri.scher Christ
Id., n. 3, batt. 44-45.
quella finale si pone come una mirabile pagina di alto virtuosismo non solo vocale, ma anche violinistico, affidando allo strumento solista concertante una serie imperiosa quanto prestigiosa di passaggi
in velocità. Di breve respiro è Mein Gott, wie lang, ach lange (BWV 155; partitura autografa in BB P 129) che consta di soli cinque numeri e che, come la precedente cantata (le due opere sono cronologicamente contigue, un solo mese le separa l'una dall'altra), ha carattere prevalentemente virtuosistico. A sostenere questo principio programmatico — testimonianza allo stesso tempo della validità di strumentisti e 430
Weimar (1708-1717)
cantanti di cui Bach disponeva a Weimar — è sufficiente il recitativo nello stile quasi di un lamento, concluso con un passaggio
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es Weimar (1708-1717)
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Cantata Mein Gott, wie lang, ach lange (BWV 155), n. 1, batt. 13-17.
che & un chiaro esempio di applicazione della teoria dell’imitazione delle parole: su quel «der Freudenwein gebricht» (manca il vino della gioia), l’ebbrezza dell’espressione poetica trova una mirabile corrispondenza
musicale,
che non
& né meccanica,
né forzata,
ma
aderente allo spirito del lamento. Il duetto contralto-tenore & l'invenzione piá esaltante di questa splendida cantata, un gioiello della corona; ne è protagonista il fagotto, impegnato — ed è la prima volta che succede in Bach — a concertare con le voci, a competere con loro in agilità e destrezza, con vistosi interventi, volatine, trilli e arpeggiati che penetrano nel tessuto connettivo del brano e che solo un abilissimo strumentista è in grado di svolgere senza rompere il ritmo interno del discorso. Un recitativo del basso con intensi ariosi conduce alla seconda aria (n. 4) per soprano, su un ritmo puntato e a struttura bipartita, prima della chiusura sulla dodicesima strofa del corale Es ist das Heil uns kommen her di Paul Speratus (1524). Un pesante silenzio grava sulla documentazione delle altre cantate scritte da Bach nel 1716: sino al dicembre di quell’anno non si hanno indicazioni che manifestino concretamente l’attività del compositore in questo settore primario; ma allo scadere dell’annata (anzi, all’inizio del nuovo anno liturgico) si collocano tre cantate (BWV 70a, 1862,
147a) di cui si conosce la sola versione di Lipsia, mentre di altre due (BWV 168 e 164, unitamente alla precedente BWV 72) si presume 432
Weimar (1708-1717)
che siano state scritte per Weimar. Di queste opere, tuttavia, ci Occupe-
remo in seguito.
Resta da esaminare, invece, un'ultima cantata che, pur collocandosi nel quadro cronologico delle opere di Weimar, &, come la Cantata
BWV 18, estranea al ciclo nato dall'incaricodiKonzertmeister ricevuto
nel marzo del 1714; si tratta dalla Cantata Christen, ätzet diesen Tag
(BWV 63) che, come si & già avuto occasione di ricordare, & stata composta per Halle alla fine del 1713 o nella primavera del 1716 e che si avvale di un testo, parodiato, svolto da Johann Michael Heineccius. Priva di corale, questa cantata natalizia (di cui si conoscono solo le parti separate autografe in BB/SPK St 9) obbedisce ad una
perfetta architettura simmetrica: coro - recit. accomp. - duetto - recit. secco - duetto - recit. accomp. (da capo) (da capo) (da capo) |
- coro (da capo)
|
e non ha elementi esterni tradizionali che in qualche modo richiamino l'ambientazione tipica del Natale (ad esempio, ritmi di pastorale, canti natalizi). Il testo stesso a mala pena svela la trama di quell'evento che il poeta ha voluto appena adombrare al termine del primo recitativo (n. 2). I due cori estremi, fortemente improntati allo stile del concerto italiano, ad episodi alterni, progressioni, ritornelli, sequenze, hanno
diversa struttura, pur nel rispetto dell'identico principio del da capo. In quello iniziale, la prima sezione & in parte accordale e in parte polifonica, mentre la seconda si articola in tre momenti, nello stile
rispettivamente accordale - imitativo - accordale. In quello finale, dopo un primo episodio accordale, si ha un'enunciazione fugata, mentre la parte centrale & prevalentemente accordale. Ampi ritornelli strumentali a piena orchestra (la solennità del momento liturgico suggerisce un uso fastoso degli strumenti, il cui organico comprende un'ampia sezione di fiati, 4 trombe, 3 oboi e fagotto, più tamburi,
non timpani, si badi) si alternano all’azione corale. Dei due recitativi,
quello per contralto (n. 2), ampio e orante, ha momenti di straordi-
naria bellezza; sempre piano è la didascalia che s'accompagna a questa mistica pagina, tutta tesa nella contemplazione del gran giorno che dà inizio al processo di redenzione dell'umanità,
e mosso da intense
proposizioni ariose. L'aria « Gott, du hast es wohl gefüget » (Dio, tu l'hai ben deciso) impegna le due voci — secondo un'interpretazione letteraria del testo — in figurazioni in canone, su una densa melopea
dell'oboe concertante (ma nella versione di Lipsia del 1723 lo strumento 433
Weimar (1708-1717)
obbligato & l'organo). Musica per gli occhi, pittura musicale è ancora quella che sublima il finale del secondo recitativo (n. 4), alle parole «sein Bogen ist gespannt, das Schwert ist schon gewetz » (il suo arco è teso, la spada è già affilata):
| ACROSS SORRISE
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|Der Löw’ aus Da-vids
Stamme
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Cantata Christen, ätzet diesen Tag (BW'V 63), n. 4, batt. 7-12.
L'aria seguente, ancora un duetto, adotta una forma con il da capo che si concede una qualche libertà (ABA") e si sviluppa su un ritmo (3/8) che ha carattere di danza. . L'apparato celeste delle cantate liturgiche di Weimar ha un prologo in terra: Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd (BW'V 208). La data in cui si inscrive questa « cantata di caccia» & il 23 febbraio 1713 (e non 1716, come si era creduto sino a pochi anni or sono). L'occasione
434
—
Weimar (1708-1717)
che mosse Bach a produrre quest'opera fu determinata dalle cele-
brazioni per il genetliaco del duca Christian di Sassonia-Weissenfels (Sangerhausen, 23 febbraio 1682 - 28 giugno 1736), regnante dal 1712, celebrazioni che si tennero appunto a Weissenfels e che videro la presenza di numerosi invitati fra cui il duca Wilhelm Ernst di Sas-
sonia- Weimar, intervenuto con parte della sua cappella di corte. La cantata fu poi eseguita a tre anni di distanza, il 19 aprile 1716, per il genetliaco del co-reggente, il principe Ernst August di Sassonia-
Weimar, ma fu ancora utilizzata piá tardi, forse il 23 febbraio 1729 — sempre per il genetliaco del duca Christian — durante i festeggia-
menti solenni cui prese parte anche Bach (BD II, 254) e un'ultima volta il 3 agosto di un imprecisato anno, ma probabilmente il 1740, per l'onomastico di Federico Augusto II di Sassonia (re di Polonia
con il nome di Augusto III) con modifiche nel testo (BWV 208a;
BD II, 480).
Il testo, opera di Salomo Franck, fu pubblicato a Jena nel 1716 nela seconda parte (la prima era uscita nel 1711) delle Geist-und Weltlicher Poesien, ma Bach si serví di una copia manoscritta di anonimo (che figura attualmente unita alla partitura autografa in BB P 42 insieme col nuovo testo per BWV
208a) contenente anno-
tazioni autografe del musicista. La tesi un tempo sostenuta dallo Spitta, sulla base della successione «cronologica» delle cantate contenute nella raccolta di poesie di Franck, e che pareva suffragata dal ritrovamento di un documento da parte del Werner ? indicante la presenza a Weissenfels il 22 febbraio 1716 di «zwei Cammer Musici von Weymar», & contraddetta
e dalle ricerche di Schmiedecke 5, che ha potuto dimostrare la presenza di Bach a Weissenfels già nei giorni 21-22 febbraio 1713, con un rimborso spese giornaliero di 16 groschen (BD II, 55), e da un esame accurato (Dürr) della scrittura e della carta utilizzata per la redazione della partitura autografa, esame che conferma una datazione sicu-
ramente anteriore al 1716 e quindi molto probabilmente anticipabile al 1713.
Alle varie esecuzioni, documentate o presunte, della Cantata BWV 208 devono aggiungersi le diverse utilizzazioni di parte dell'opera, testimonianze certe di una predilezione non casuale. Le arie «Ein Fürst ist seines Landes Pan» (n. 7) e « Weil die wollen reichen
Herren » (n. 13) si ritroveranno rielaborate, rispettivamente nei nn. 4 e 2, nella Cantata Also hat Gott die Welt geliebt (BW'V 68) del 1724. Il coro conclusivo «Ihr lieblichste Blikke » (n. 15) sarà riversato come brano introduttivo
nella Cantata Man
singet mit Freuden
vom
Sieg
(BWV 149) del 1729 circa. E infine i già citati nn. 13 e 15 figureranno parodiati in una cantata per il rinnovo del Consiglio Municipale di 435
Weimar (1708-1717)
Lipsia, Herrscher des Himmels, König der Ehren (non catalogata in BWV), È
eseguita il 29 agosto 1740, la cui musica è perduta °. Si noti poi che la partitura autografa reca una sorta di appendice, un brano strumen-
tale (BWV 1040) per violino, oboe e continuo, tematicamente affine
alla predetta aria n. 13, che dovrebbe riconnettersi in qualche modo alle esecuzioni del 1713 (Weissenfels) o del 1716 (Weimar) e che si ritrova ugualmente nella citata aria (n. 2) della Cantata BWV 68; la funzione che può aver svolto una tale elaborazione strumentale
(a canone), allo stato attuale delle ricerche, è ignota, ma potrebbe facilmente ricollegarsi alla utilizzazione cameristica di un brano che
era risultato particolarmente gradito all’augusto destinatario della cantata. Con le cantate liturgiche a poco a poco Bach avrebbe avuto modo
di fondare un vero e proprio repertorio stabile di musica sacra: se a Weimar egli era ancora ben lontano dal concepire il raggiungimento di un simile risultato — che del resto non per volontà propria sarebbe
stato costituito ma in virtü di una funzione che egli avrebbe dovuto espletare — a Lipsia, invece, Bach si sarebbe industriato di predisporlo
in breve tempo, utilizzando ove occorresse anche il materiale di Weimar
o, quando fosse possibile, anche di Miihlhausen.
delle cantate profane —
Nel caso
che Bach produsse certamente in buon
numero, assai più rilevante, probabilmente, di quello a noi noto — la
necessità della conservazione e utilizzazione di quelle musiche era meno
essenziale alla vita del compositore,
stante l’occasionalità di
quel prodotto, la cui origine era legata a genetliaci, onomastici, matrimoni, nascite di principi, a festeggiamenti quali si potevano avere in occasione di rinnovi di consigli municipali, manifestazioni
universitarie, omaggi di varia natura, trattenimenti pubblici. E, tuttavia,
Bach attinse ugualmente da quel serbatoio profano, nel quale confluivano tali prodotti occasionali, ove»se ne presentasse l'opportunità. Ma la precarietà o attualità di quel suo impegno creativo ha finito col lasciare, sovente, scarsa testimonianza di sé; le musiche sono spesso
perdute o persistono nei successivi adattamenti (parodie) in cantate sacre, anziché nella loro primaria e originale veste profana. Il caso della Cantata BWV 208 — la prima, a nostra conoscenza,
‘ uscita dal padiglione sfarzoso e aristocratico delle grandi opere di
circostanza, destinate a svolgere, in molti casi almeno, un ruolo di musica ufficiale, inserita nel contesto di un cerimoniale, di un'etichetta,
di un protocollo — non si discosta da quelli che s'incontreranno in seguito e, anzi, è sintomatico di un atteggiamento, si concreta in un
modello sia per il taglio formale adottato, sia per la polivalenza della
sua destinazione: con minimi mutamenti, con ritocchi banalissimi al
testo, con rapidi interventi sull'apparato musicale, la composizione 436
Weimar (1708-1717)
puó servire — come in effetti serví — a piü usi, senza che ne risulti alterata la natura.
L'opera presenta un'articolazione in quindici numeri. Un recita-
tivo di breve respiro apre il discorso che per la solenne circostanza si
sarebbe pensato dovesse inaugurarsi con una vistosa polifonia vocale, come di norma accadrà nelle maggiori cantate profane bachiane. Ma il recitativo & subito un avviso che la vicenda venatoria ha per protagonista
Diana
cacciatrice
(soprano).
Il « dramma
per musica »
— la composizione non ha tale qualifica, che si ritroverä, invece, con una certa frequenza nelle similari opere di Lipsia — si svolge con la partecipazione di quattro personaggi, sostanzialmente tutti collocati al medesimo livello e con funzioni del tutto analoghe, giacché l'allegoria mitologica immaginata da Franck per tessere le lodi e celebrare la gloria del principe è priva di azione. Diana esalta la caccia
« piacere degli dei» (nn. 1-2); l'amante Endimione (tenore) pensa di essere stato abbandonato e interroga la dea se ella nutra ancora amore per lui (nn. 3-4). Diana lo rassicura e giustifica la propria assenza con il dovere di accompagnare alla caccia «il caro Christian»; la
riconciliazione dei due amanti è immediata (n. 5). A rendere grazie al duca e al suo governo intervengono anche Pan (basso, nn. 6-7) e Pale (soprano, nn. 8-9), dea degli armenti. Infine, Diana introduce
(n. 10) l'ampia sequenza di omaggi a quattro (nn. 11 e 15), in duetto (n. 12) o in arie solistiche (nn. 13-14). Formalmente, si potrebbero distinguere nella cantata tre momenti, l’ultimo dei quali rinuncia — e non occorreva pit coordinazione fra i vari elementi del discorso Lu al'impiego del recitativo, ma si risolve in una catena di musiche « concertanti ». Lo schema della composizione puó essere cosí riassunto: B Dar
ius
Endimione Diana-Endimione
1 [2
recitativo aria
[e
x gr
5
itati
recitativo
pun
6 recitativo LLpara
Pale
E
8.
:
recitativo aria
| È m
Diana
10
recitativo
a4 Diana-Endimione
11 12
coro (aria) | duetto
Pale Pan
a 4
135 aria i daria
15
437
coro (aria) |
III
Weimar (1708-1717)
Come & nella norma delle opere bachiane di Weimar, il recitativo
tende a modificarsi in arioso (nn. 1, 3, 5, 8), mentre solo in due casi
(nn. 6 e 10, quest'ultimo di sole tre battute) mantiene lo stile « secco ». Il n. 5 presenta inoltre l’insolita particolarità di modificarsi da recitativo dialogato in un vero e proprio duetto polifonico, nel genere dei duetti dello Steffani, con ampie volute melodiche e dall'andamento vivace. Le arie — tutte nella forma con il da capo, rigoroso o libero — sono accompagnate o dal solo continuo (nn. 4, 13, 14) o da una coppia di strumenti (2 corni da caccia nel n. 2; 2 flauti dolci nel n. 9) o da
tre strumenti (2 oboi e oboe da caccia nel n. 7) o infine da un solo strumento concertante (violino nel n. 12), tutti sostenuti, naturalmente, dal continuo. Il duetto n. 12, inoltre — in omaggio ad un principio « casistico » di varietà cui si prestava facilmente la pluriarticolata cantata — a differenza del duetto-recitativo (n. 5) governato come si è detto da un rigido intreccio polifonico delle voci, presenta le due parti in perfetta omofonia, secondo modelli non di scuola italiana (Stefani), bensi di scuola francese (Bernier). L'organico strumentale completo — 2 corni da caccia, 2 oboi, taille (oboe da caccia), fagotto, 2 violini, viola, violoncello, violone grosso e continuo — è prescritto soltanto nei due cori (nn. 11 e 15), che in realtà sono brani in cui le
quattro voci soliste si riuniscono in una struttura compatta di tipo mottettistico. Il n. 11, «Lebe, Sonne dieser Erden », & concepito nello stile di una Permutatiorisfuge con una parte centrale accordale, e si
allinca pertanto alle analoghe strutture delle contemporanee cantate BWV 21 e 182 (ciascuna recante due esempi di quel tipo di fuga rigorosa). Il n. 15 in almeno una circostanza — forse quella del 1713 o forse in occasione di una piü tardiva esecuzione a Weissenfels — reca una seconda strofa (aggiunta sull'autografo bachiano da ignota mano) in cui si augura felicità al duca e a Luise Christine von Stolberg (1675-1738) con la quale Christian si era unito in matrimonio l'11 maggio 1712.
L'intera cantata — ed è già indicativa la scelta degli strumenti «obbligati» — ha chiara impronta pastorale e ambientazione naturalistica, quasi per scavalcare l’encomiastica destinazione dell’opera e attutirne la goffa ed ingenua forma allegorica. Cosi, l'impegno costruttivo che in misura più o meno massiccia percorre tutta la composi-
zione vanifica l'intenzione esecutiva, che voleva una una musica da cerimonia. le prime due) fa riscontro
originaria della commissione, della proposta musica di consumo, di puro trattenimento, Al virtuosismo delle arie (particolarmente non solo l’intensa partecipazione delle voci
strumentali concertanti ma anche del continuo, il cui compito culmina 438
Weimar (1708-1717)
nel n. 4 ove si assiste ad un four de force imitativo di stupenda ed indicibile bellezza:
Wo__ man. auch,
wenn
——* man. ge-fan. gen, nach Ver .lan . gen,
sone frocco
siconce cioe es sg SS RE
sel
ecc.
Cantata
Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd (BWV 208), n. 4, batt. 21-26.
, che copre l'intero arco della pagina, E il prolungarsi ; di quest'azione in strumento concertante e s I:innalza per cui il continuo si trasforma 439
Weimar
al medesimo
(1708-1717)
livello della struttura melodica, è la controprova del-
l'esuberanza dello spirito creativo di Bach che, posto di fronte all’ostacolo di un testo insipido e concettualmente irrilevante, ne evita le insidie annientandolo con i provocatori mezzi che gli forniva l’arte della scienza, il magistero tecnico. Chi altri mai — c’è da chiedersi —
avrebbe saputo inventare per una parte di sostegno un tal rigoglio ornamentale e capovolgere, per cosi dire, il concetto architettonico e fare del capitello la base e la giustificazione della colonna stessa? La relativa esiguità del materiale di musica liturgica predisposto da Bach per la corte di Weimar dovrebbe indurre a pensare che una consistente parte della musica figuralis sia andata dispersa*. Già si è visto che una certa «quota» di cantate manca all'appello. Qualche segno di un'attività, che dovette essere pit febbrile e vivace di quanto appaia’ dai documenti musicali in nostro possesso, è dato dal fatto che negli anni di Weimar — ma l'esperienza fu ripetuta e in modo ben pit corposo a Lipsia — Bach copiò di proprio pugno opere di autori a lui contemporanei o, quando più fervida e ostentata divenne la sua inclinazione allo stylus antiquus, di un passato che non sempre può dirsi prossimo, mostrando in tal modo di possedere, per cultura e per elezione spirituale, la coscienza della storia. Per formazione mentale
e per interesse professionale egli si volse verso talune manifestazioni del gusto musicale e le fece proprie, quasi per rinforzare e rendere più allettante nei colori il complesso tessuto del suo stile, votato all’eclettismo e ad una sottile varietas. Le testimonianze di questo comportamento tendente a ricuperare
il lavoro altrui in un’epoca in cui si prestava un ascolto distratto al mondo circostante che non fosse quello della scuola, dell’entourage nel quale ci si era formati, stanno in alcune opere che qui mi limiterò ad elencare come le prove di un giudizio che il lettore potrà formulare da se medesimo.
a) Sotto la segnatura BB Mus. ms. 11471/1 sono raccolte le parti separate di una Markus-Passion di Reinhard Keiser (1674-1739), uno dei « grandi » dell’epoca, che Bach avrebbe copiato (Dadelsen) intorno agli anni 1709-1712. Sotto la segnatura BB Mus. ms. 11471 è conservata la partitura del medesimo lavoro, di anonimo copista, ma con
il testo copiato da Bach; la data che vi si legge è il 1720 corretta in 1729 (l'anno della Matthäus-Passion). Le parti separate di Weimar e la partitura di Lipsia indicano che si tratta di due diverse versioni (la prima in un'unica parte, la seconda divisa in pars prima e pars secunda). Dell’opera si dirà qualcosa in più quando si dovrà considerare la poderosa attività di Lipsia negli anni delle grandi esperienze nel genere della « passione ».
440
Weimar (1708-1717)
b) Sotto la segnatura BB Mus. ms. 30187 (non elencata in Kast) è preservata la partitura, copiata da Bach, del mottetto Auf Gott hoffe ich di Johann Christoph Schmidt (1664-1728), dal 1696 maestro di cappella a Dresda. Il manoscritto fu copiato da Bach negli anni di Weimar. Si tratta, come dice il frontespizio di mano bachiana, di un Motetto. á Trombe è Tympani. 2 Flaut: | Allem. 2 Violini 2 Viole. Violonc: | Fag. S.A.T. et B. e 4 Ripie:
c) Una Messa in la maggiore (Missa tota) di Johann Baal (XVII sec.), conservata in partitura in BB Mus. ms. 30091 & stata copiata in parte
da Bach (Kyrie) e in parte da Johann Gottfried Walther (le restanti sezioni della messa). L'accostamento dei due nomi, al di là della filigrana della carta, prova di per sé che il manoscritto fu realizzato a Weimar.
d) A Bach copista si deve sicuramente assegnare la partitura della Missa S. Lamberti (BWV Anh. 24; Kyrie e Gloria) di Johann Christoph
Pez (1664-1716), dal 1706 Kapellmeister a Stoccarda; il manoscritto è in BB P 13 (ma in BB/SPK St 327 esistono anche le parti separate di altri copisti). Il. Kyrie fu eseguito a Weimar (copiato circa tra il 1715 e il 1717), l'intera messa a Lipsia (1724).. e) Autografa di Bach (BB/SPK, Mus. ms. 17079/10) & infine l'intitolazione di un Kyrie in do maggiore, in partitura, di Marco Giuseppe Peranda (c. 1625-1675), dal 1661 vicemaestro (poi maestro) di cappella a Dresda; la partitura, invece, & stata realizzata da anonimo
copista.
La constatazione che Bach copió due Kyrie (Baal e Pez) e applicó l'intitolazione ad un altro Kyrie (Peranda) & colta da Christoph Wolff come una riprova significativa per datare il Kyrie-Christe, du Lamm Gottes (BWV 233a), copiato in BB P 70, prima versione del Kyrie
della Messa in fa maggiore (BWV 233). La datazione alla prima Domenica di Avvento del 1734 normalmente accolta dovrebbe essere riportata indietro, al tempo di Weimar, dal momento che il brano utilizza il cantus firmus nella versione fornita dal Gesangbuch di Gotha,
che Bach sfruttó unicamente a Weimar. Un ultimo frammento di vitalità vocale. Al 2 agosto 1713 & datato il primo dei canoni noti di Bach, BWV 1073, Canon 4 4 Voc. perpetuus,
il cui autografo & ora alla Houghton Library dell'Università di Harvard (Cambridge, Mass.; Locker-Lampson- Warburg-Grimson Album, £ MS Eng. 870 [35 B]). La dedica (BD I, 147) dice: « Questa piccolezza qui annotata voglia essere per il signor possessore il benevolo ricordo di Joh: Sebast. Bach, organista di corte e musico di camera della corte
441
Weimar (1708-1717)
ducale di Sassonia ». Ignoto è il destinatario, che Spitta volle indicare nel cugino Walther, ma le espressioni usate non paiono ricollegarsi ad un linguaggio rivolto ad un famigliare. Schulze ? ha fatto i nomi di due allievi: Johann Gotthilf Ziegler o Philipp David Kräuter. Certo, dovette trattarsi di un foglio da inserire in un album di auto-
grafi. L'ignoto «collezionista » con questa cosuccia accaparrato un segno tangibile di una antica arte, all’età barocca e che Bach dimostrò, frequentemente mente, di elevare a simbolo del proprio linguaggio dell’artista.
442
(wenige) si era carissima anche e appassionatae della dignità
CAPITOLO
TERZO
L'esperienza del concerto
28. I concerti per cembalo e per organo. BIBLIOGRAFIA Paul von WALDERSEE, A. Vivaldi’s Violinconcerte unter besonderer Berücksichtigung der von J. S. Bach bearbeiteten, in « Vierteljahrsschrift für Musik wissenschaft » I (1885), pp. 356-380; Arnold Schering, Zur Bach-Forschung, in « Sammelbände der Internationalen Musikgesellschaft » IV (1902/03), pp. 234-243; Ip., Zur Bach-Forschung II, ibid. V (1903/04), pp. 565-570; Ernst PRAETORIUS, Neues zur Bachforschung, ibid. VIII (1906/07), pp. 95-101; Max SCHNEIDER, Das sogenannte « Orgelkonzert d-moll von Wilhelm Friedemann Bach», in BJ VIII (1911), pp. 23-36; Karl Grunsky, Bachs Bearbeitungen und Umarbeitungen eigener und fremder Werke, in BJ IX (1912), pp. 61-85; Putnam Arpnicn, Bach’s Technique of Transcription and Improvised Ornamentation, in «The Musical Quarterly » XXXV (1949), pp. 26-35; Frank Warxrn, A Little Bach Discovery, in « Music
& Letters» XXX (1950), p. 184; Howard SHANET, Why Did J. S. Bach Transpose His Arrangements?, in « The Musical Quarterly » XXXVI (1950), pp. 180203; Rudolf STEPHAN, Die Wandlung der Konzertform bei Bach, in « Die Musik-
forschung» VI (1953), pp. 127-143; Leslie D. Paur, Bach as Transcriber, in «Music & Letters» XXXIV (1953), pp. 306-313; Rudolf ELLer, Zur Frage Bach-Vivaldi, « Bericht über den internationalen musikwissenschaftlichen Kongress Hamburg 1956», pp. 80-85; Hans Herinc, Bachs Klavierübertragungen, in BJ XLV (1958), pp. 94-113; Albert VANDER LINDEN, Zur Frage J. S. BachMarcello, in «Die Musikforschung » XI (1958), pp. 82-83; Bernhard PaumGARTNER, Nochmals « Zur Frage J. S. Bach-Marcello », ibid. p. 342; Ernst Thomas FerAND, Marcello: A. oder B.?, ibid. XII (1959), p. 86; Rudolf Errer, VivaldiDresden- Bach, in « Beiträge zur Musik wissenschaft » III (1961), pp. 31-48 (anche in J. S. Bach, a cura di Walter BLANKENBURG, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
443
Weimar (1708-1717) Darmstadt 1970, pp. 466-492); Erwin R. JAcoBr Neues zur Frage « Punktierte Rhythmen gegen Triolen» und zur Transkriptionstechnik bei J. S. Bach, in BJ IL (1962), pp. 88-96; Walter KoLNEDER, Antonio Vivaldi, Leben und Werk, Breitkopf & Härtel, Wiesbaden 1965, pp. 130-144; Peter RvoM, La comparaison entre les versions différentes d'un. Concerto d'Antonio Vivaldi transcrit par J. S. Bach, in «Dansk Aarbog for Musikforsking » 1966-67, pp. 92-111 (su BWV 594); Luigi Ferdinando Tacııavinı, Johann Gottfried Walther trascrittore, in « Analecta Musicologica» vol. VII (= Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte, VI), Böhlau Verlag, Kóln-Wien 1969, pp. 112-119; Hans-Gunter KLEIN, Der Einfluss der Vivaldischen Konzertform im instrumentalwerk J. S. Bachs (— Sammlung musikwissenschaftlichen Abhandlungen, 54), Heitz, Strassburg-BadenBaden 1970; Theodor GÖLLNER, J. S. Bach and the Tradition of Keyboard Trans-
criptions, in Studies in Eighteenth-Century Music. A tribute to Karl Geiringer on his Seventieth Birthday, a cura di Howard Chandler RoBBINS-LANDON in collaborazione con Roger E. CHAPMAN, Oxford University Press, New York 1970, pp. 253-260; James T. Icoz, Bachs Bearbeitungen für Cembalo solo. Eine Zusammenfassung, in BJ LVII (1971), pp. 91-97; Hans-Joachim SCHULZE, J. S. Bach’s Concerto- Arrangements for Organ. Studies or Commissioned Works?, in « The Organ
Yearbook» III (1972), pp. 4-13; Ulrich SieceLE, Kompositionsweise und Bearbeitungstechnik in der Instrumentalmusik J. S. Bachs (= Tübinger Beiträge zur Musikwissenschaft », III, a cura di Georg von DApeısen), Hänssler-Verlag, Neuhausen-Stuttgart 1975, pp. 89-96.
Discorrendo di Bach, vale a dire d’un musicista il cui spirito fu
costantemente pronto a cogliere i suggerimenti del proprio tempo e in misura ancora maggiore quelli del tempo passato, e incline per naturale vocazione ma anche per volontaria determinazione a tentare ogni via, risulterà sempre incerta e contraddittoria quella semplice operazione critica che consiste nel radunare il materiale musicale in blocchi distinti, secondo forme, generi o atteggiamenti stilistici.
A nessuno sfuggirä l'elementare constatazione che Bach, tando rigorosamente i canoni costruttivi consuetudinari, un'eterogenea tradizione che fa capo a più scuole e a pit conferire alla materia musicale una straordinaria unità di
pur rispetavallati da stili, seppe pensiero e
passare da una forma all'altra, da un genere all'altro senza debolezze
o tentennamenti. Lo confermano — se mai occorressero — le infinite «trasmigrazioni» di brani musicali da una composizione all'altra, ricorrendo a tecniche di adattamento di volta in volta diverse: la semplice trascrizione, l'elaborazione organica con aggiunta o eliminazione di parti vocali o strumentali, la diversa ambientazione tonale, il travestimento o, infine, la parodia che comporta una ri-composizione o un adattamento dell'opera sfruttando un materiale preesistente.
E indubbio che alla base di questo comportamento sta, al di là di
determinate esigenze pratiche o occasionali, un impulso speculativo
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Weimar (1708-1717)
che induce il musicista ad agire sul processo creativo in modo tale da trasferire il messaggio, il significato, l'essenza di un'opera su altri territori, valicando le frontiere dei generi e delle forme e dimostrando come questi generi e queste forme siano vuote astrazioni che abbisognano di sostanza, di contenuto per divenire una realtà musicale. In ultima analisi, sono
le virtá della fantasia quelle che trionfano
e queste si risolvono in un motivo culturale, in un atteggiamento
spirituale che trova la propria giustificazione in quella concezione
della musica pratica e, per cosi dire, mondana — nel significato migliore
del termine, quello già presente ai dotti medievali — contrapposta a quell'altra concezione della musica teorica che Bach possedette in
misura somma ed irripetibile. Pratica e teoria convivono in lui, l'una
— la pratica — inducendolo a sperimentare il già sperimentato, ma cogliendone ben più profondi aspetti, quasi scavando all’interno delle cose per giungere alla loro essenza, per dar loro ordine e sviluppo; l’altra — la teoria — invitandolo ad inventare possibilità e per gli strumenti del discorso e per la scienza musicale in senso lato. Operazioni, queste, mai vane o gratuite, ma suggerite dalla coscienza che l'arte è prima di tutto conquista e progresso e che ad essa presiede l'intelletto. Luterano convinto ed ortodosso, Bach non poteva non avvertire la colorazione etica di questo suo comportamento in parte contraddittorio,
collocato
fra misticismo
e razionalismo,
inviso ai
contemporanei, ma che avrebbe fatto la gioia probabilmente d'un Erasmo da Rotterdam o di un Hegel. Non è certo per arrendevolezza o per civetteria o per obbedire contro voglia ad ordini superiori che Bach talvolta indossò le vesti alla moda; e, del resto, anche se cosi
fosse stato non ne ricavò né benefici economici, né apprezzamenti
concreti. Di questi benefici e di questi apprezzamenti — non è retorico affermarlo — Bach non sapeva che farsene: la sua condizione umana non fu né quella dell'infelice, né quella dell'ipocondriaco ed egli non si arrese mai alle condizioni dettategli dai suoi superiori; al contrario,
le piegò alle proprie idee e le utilizzò a vantaggio del suo spirito di i avventura e di sperimentazione. Impulso speculativo, sperimentazione e adeguamento ad una situazione favorita da sollecitazioni esterne sono concetti che servono ad introdurre il discorso sui primi interventi fatti da Bach nel campo del concerto. Per lungo tempo, sin dall’epoca delle testimonianze
fornite dal Forkel, si è sostenuto il principio che i concerti-trascrizione
realizzati da Bach nel periodo di Weimar — 16 concerti per cembalo solo (BWV 972-987) e 5 concerti per organo solo (BWV 592-596) — sono il frutto di un tenace studio della forma che, nella duplice veste di concerto
solistico e di concerto
grosso, da qualche anno
si era
affermata in Italia e di qui era poi trasmigrata anche in altre terre,
445
. Weimar (1708-1717)
particolarmente in quelle.tedesche. Nel tracciare il quadro della formazione culturale e artistica di Bach, Forkel ! scriveva: I primi saggi di Bach nella composizione furono, come lo sono tutti i primi saggi, molto difettosi. Non avendo avuto istruzioni particolari che lo guidassero e lo avviassero ad un progresso graduale e sicuro lungo la strada che aveva imboccato, egli fu obbligato, come tutti coloro i quali intraprendono una simile carriera da soli, a fare ció che poteva e come poteva. Correre lungo la tastiera e saltare da un capo all'altro di essa, toccare con le cinque dita quante più note sia possibile, trattare lo strumento con modi selvaggi fino a che le mani non abbiano trovato per caso un punto di riposo: questi sono generalmente gli artifici che i principianti adottano. Essi non sono altro che dei compositori per le dita (o degli ussari della tastiera, come li chiamerà Bach negli ultimi anni), vale a dire essi lasciano che le dita prendano il sopravvento su quanto vorrebbero scrivere, in luogo di far sí che sia la propria testa a dettare ció che le dita devono eseguire. Ma Bach non rimase a lungo su questa strada. Egli avvertí presto che con tali corse e tali salti non si poteva giungere a qualcosa di concreto e che soltanto attraverso l'ordine, la connessione e la relazione interna delle idee si poteva realizzare un discorso musicale; ma soprattutto egli si rese conto che per far ciò occorreva una specie di guida. Una tale guida egli la trovò nei concerti di Vivaldi allora appena pubblicati, e di cui egli aveva sentito parlare sovente come di composizioni perfette: di conseguenza, egli ebbe la felice idea di ridurli per lo strumento a tastiera. Studió la condotta delle idee, i rapporti che le legavano le une alle altre, la tecnica mutevole della modulazione e molti altri particolari compositivi. I cambiamenti che egli dovette apportare nelle idee e nei passaggi concepiti originalmente per il violino ma non adatti alla tastiera gli insegnarono a pensare in musica, cosic-
ché al termine del suo lavoro egli si trovò a non dover pit far dipendere il suo pensiero musicale dall'articolazione delle dita, ma a servirsi della propria fantasia. Cosí preparato, ora occorreva soltanto applicarsi con sempre
maggiore diligenza e ininterrottamente, per poter giungere ad un punto che non solamente si presentasse come un ideale artistico, ma facesse sperare in un ulteriore arricchimento col trascorrere del tempo.
Su questa testimonianza in sé molto generica e che, come vedremo, sembra smentita da eventi piá consistenti, si & costruita l'impalcatura per sorreggere l'artificioso rapporto di causa-effetto che si & voluto applicare al binomio Vivaldi-Bach. A Weimar, Bach avrebbe scoperto Vivaldi, ne avrebbe studiato le opere disponibili o a lui accessibili,
« riducendone » alcune in concerti per strumento a tastiera senza impiego di altri strumenti d'accompagnamento o concertanti, col preciso scopo d'indagare su quella forma e impratichirsi di quella tecnica. Che Bach prima di quel tempo non avesse avuto né modo né
occasione di conoscere e studiare il concerto strumentale & cosa in sé
quasi impensabile se si tiene conto del particolare habitus bachiano, 446
4
um
NE ce me
em
E
N
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li
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ti
N
eh.2$ t
Pagina autografa dalla Cantata Was mir behagt , ist nur die muntre Jagd BWV 208, finale del duetto n. 12 e inizio dell atia 11. 15 (Berlino , BB P 42). tu
Weimar (1708-1717)
incline a esplorare ogni settore del linguaggio musicale e a curare l'aggiornamento su ogni suo aspetto. Al concerto strumentale — cosí diverso da quello vocale a carattere spirituale eppure cosî strettamente unito a quello per genesi e sviluppo, come chiaramente si avvertirà anche in tanti esempi bachiani in cui il rapporto fra cantata e concerto è strettamente osservato — al concerto strumentale, dicevo, la cultura
tedesca si era rivolta assai presto con il « benestare » e il sostegno di Georg Muffat, che enorme materia di osservazione e di analisi aveva
tratto dal contatto diretto dapprima con l'ambiente parigino brulicante intorno a Lully, poi col mondo musicale di Corelli. Dall’ Armonico tributo del 1682 al Florilegium primum (1695) e secundum (1698), ai concerti pubblicati nel 1701, le tecniche concertanti di Muffat, in
bilico fra il goüt francese dedito alle galanti arie di danza e lo stile italiano più grave e patetico, si erano compiutamente realizzate. Nei pochi mesi in cui aveva prestato il primo servizio presso la corte di Weimar (4 marzo - 13 settembre 1703), Bach aveva fatto parte della cappella privata del co-reggente, il duca Johann Ernst. Non conosciamo il repertorio di quel piccolo organismo strumentale, ma non si andrà lontani dal vero pensando che esso potesse essere simile a quello in uso presso la vicina corte di Dresda, della cui cappella aveva fatto parte Johann Paul Westhoff, poi assunto in quella di Weimar ?. Per conoscere il mondo del concerto Bach non aveva bisogno di attendere sino a metà degli anni di Weimar. In Germania circolavano manoscritti ben prima della loro postuma edizione (1714); i concerti di Corelli e le opere di Torelli, che era stato attivo presso la corte di Ansbach, di Albinoni e di altri maestri italiani erano noti. Nella
sua Eisenach, poi, Telemann operava già nel campo del concerto e i suoi suggerimenti dovevano aver raggiunto Bach. La tesi sempre sostenuta che l'avvicinamento di Bach a Vivaldi sia da imputarsi a una scrupolosa intenzione di «studiare» la forma del concerto attraverso un adattamento pratico e, per cosí dire, casalingo, è contraddetta dalla contemporanea presenza di analoghi adattamenti (per organo) realizzati da Walther: che i due cugini si siano industriati di svolgere il lavoro insieme, fianco a fianco, in una gara di emulazione o di velocità è ipotesi arrischiata e sostanzialmente improbabile. Lo stimolo e il condizionamento ad agire in quel senso vennero
da un'intenzione « esterna ». Provetti musicisti, professionisti
affermati, essi non avevano necessità di ridursi.ad un compito di natura scolastica: lo scrivere concerti autentici, per’ più strumenti,
non avrebbe comportato differenze sostanziali di tecnica e da perfetto violinista qual era stato in gioventá Bach conosceva i principii della composizione per lo strumento ad arco non meno di quelli per lo
strumento a tastiera. E, d'altra parte, non si deve dimenticare che la
448
Weimar (1708-1717) .
prassi della trascrizione nelle sue più varie manifestazioni — dal contrafactum all'intavolatura alla parodia — aveva costituito un capitolo importante della storia musicale nei secoli passati: la riduzione al cembalo
di pagine orchestrali
era stata praticata, ad esempio,
Jean-Henry d'Anglebert, immettendo
da
nei propri Pieces de clavecin
(Paris 1689) trascrizioni di quindici composizioni (airs) di Lully, che
egli distribuí nelle quattro suites di quella raccolta. Quale fu, dunque, la molla esterna che fece scattare il meccanismo dei concerti-trascrizione? In un breve saggio, Hans-Joachim Schulze ha prospettato per la prima volta l'ipotesi che i concerti del periodo di Weimar non siano lavori di studio, ma opere appositamente commissionate dal giovane principe Johann Ernst. L’ipotesi può essere sostenuta sulla base delle seguenti considerazioni. Fra i musicisti che numerosi accorsero a Weimar per perfezionare i propri studi figura anche Philipp David Kräuter di Augusta. Questi si trasferi a Weimar nel marzo 1712 (BD III, suppl. II, 53a) e in data 27 aprile 1713 (BD II, 58) ottenne, dall’ufficio scolastico della comunità ecclesiastica di Augusta, il permesso di prolungare quel «corso di studi». Il Kräuter aveva avanzato la richiesta ? il 10 aprile (BD III,
suppl. II, 58a) con motivazioni varie: [...] in primo luogo perché io possa ulteriormente perfezionarmi oltre che nella composizione anche nello studio degli strumenti a tastiera e di altri strumenti e con l’aiuto di Dio far molta più strada nella mia arte. In secondo luogo, perché il principe della locale corte di Weimar, il quale non solo è un eccellente dilettante di musica, ma sa anche suonare il violino in maniera incomparabile, rientrerà a Weimar dall'Olanda dopo Pasqua e vi si fermerà durante l’estate, cosicché ci sarà la possibilità di ascoltare parecchie belle musiche italiane e francesi da cui potrò trarre grande profitto nel comporre concerti e ouvertures. In terzo luogo, perché l’organo del locale castello verrà a trovarsi dopo la Pentecoste in cosí buone condizioni che, se qualcuno ne avrà voglia, mi potrà rendere pienamente edotto della vera natura di un organo, quanto meno m’insegnerä a giudicare correttamente se questo o quell'organo mi possa o no essere utile, se tutti i lavori siano stati eseguiti nel modo migliore e non superficialmente, parimenti quale sia l'intonazione e il costo approssimativo di questo o quel registro, e indicarmi comunque tutto ciò che io posso ritenere utile [...] Per di più so che il sig. Bach dopo la costruzione di questo nuovo organo a Weimar esegue cose particolari, originali e certo incomparabili, cosicché io avrei ancora modo di vedere, ascoltare e copiare [...].
La permanenza di Kräuter a Weimar si protrasse sino al settembre di quell’anno, quando il giovane musicista rientrò ad Augusta per assumere il posto di Kantor e di Musikdirektor nella locale Chiesa di S. Anna.
449
' Weimar (1708-1717)
—
La «domanda» presentata da Kräuter contiene alcune importanti notizie. Ci informa — disinteressatamente — delle alte qualità musicali del principe Johann Ernst, che allora contava poco più di sedici anni, e ne preannuncia il ritorno a Weimar dopo una permanenza di oltre due anni in Olanda, e pit precisamente ad Utrecht alla cui Università egli era stato iscritto, come già era avvenuto (1706) per il fratello maggiore Ernst August. Il principe era partito alla volta di Utrecht nel febbraio 1711, avendo fra le persone del proprio seguito, & da presumersi, il suo maestro di violino Gregor Christoph Eylenstein *. Il contatto con gli ambienti musicali olandesi,
a Utrecht ma soprat-
tutto ad Amsterdam (primavera 1713), doveva essere stato estremamente proficuo e delle «novità» trovate sul luogo la corte doveva essere.ampiamente informata, se anche un estraneo qual era il Kräuter poteva pregustare il piacere di «ascoltare parecchie belle musiche ‘italiane «e francesi» e cosi applicarsi meglio nella composizione di concerti è di ouvertures. Johann Ernst doveva aver portato a Weimar una certa quantità di musiche nuove, concerti soprattutto, e nei mesi
successivi, sino alla sua partenza per Schwalbach, ai primi di luglio del 1714, i conti ufficiali della cosiddetta «linea giovane» dei duchi
di Sassonia-Weimar
(Wilhelm
Ernst, come
si è visto, non
aveva
figli) registrano un notevole incremento delle spese relative alla musica
(acquisto di libri di musica, rilegature varie, copiatura di musiche,
acquisto e riparazionedi strumenti). Tutto ciò è da porsi in relazione con i nuovi studi intrapresi dal principe, sulla cui figura è giunto ora il momento di intrattenerci più a lungo. Già si è avuta occasione di indicare i dati biografici essenziali (cfr. p. 368), quelli stessi forniti da Walther nel suo Lexikon, ricordando anche che Johann Ernst aveva studiato il violino con Eylenstein, che dall'estate 1707, insieme con la sorella Johanna Charlotte, aveva. studiato il cembalo sotto la guida di Walther, che infine nel marzo 1708 quest'ultimo gli aveva dedicato i suoi Praecepta der Musicalischen Composition. È sicuramente con l’ausilio di questo manuale che il principe si era formato alla composizione, il cui studio egli aveva poi proseguito in Olanda e infine ancora a Weimar, di ritorno da Utrecht. Dal giugno 1713 al marzo 1714 — le date sono precisate da Walther nella sua autobiografia — il principe ricevette, infatti, altre lezioni particolari dallo stesso Walther e questi, sono parole sue, ebbe parecchie volte l’onore di sedere alla tavola del principe e di rimanere sovente presso di lui, durante la sua malattia, anche di notte 5. Di qual genere di malattia si trattasse. non sappiamo, ma è certo che Johann Ernst nella primavera del 1714 dovette interrompere gli studi. La malattia
si era manifestata in forma probabilmente già violenta nel novembre 1713: l'archivio di corte documenta tutta una serie di preparativi 450
Weimar (1708-1717)
per il viaggio — compreso l'allestimento di una carrozza particolare — che, una volta superati l'inverno e la primavera, avrebbe dovuto portarlo nella lontana Schwalbach (nella Saar). È Jauernig crede fermamente — e molte cose parrebbero confermarlo — che la Cantata Ich hatte viel Bekümmernis (BWV 21) sia stata eseguita il 17 giugno 1714 (terza domenica dopo la Trinità) per salutare l'imminente mesta partenza del principe; sull'argomento ci siamo già intrattenuti (cfr. p. 415), ma occorre sottolineare che, agli occhi di tutti e anche del diretto interessato, il viaggio era senza speranza, tanto che il principe sin dal novembre 1713 aveva firmato un testamento. La partenza alla volta di Schwalbach ebbe luogo il 4 luglio, ma la permanenza sul luogo dovette essere breve, poiché il 26 settembre : il principe redasse, a Wiesbaden,
dove la malattia si aggravò,
un
secondo testamento. Ripreso il viaggio il 18 ottobre con destinazione Francoforte sul Meno, qui si spense il 1° agosto 1715. Telemann, che da tre anni risiedeva a Francoforte e che forse ambiva a un posto di prestigio in uno dei ducati della linea ernestina sassone, gli dedicò nei primi mesi di quell’anno una raccolta di Six Sonates a Violon seul, accompagné par le Clavessin (Francoforte 1715) e tre anni dopo curò la pubblicazione di sei concerti per violino del giovane principe, che costui aveva già scelto dal gruppo di quelle diciannove composizioni di cui parla Walther nel suo Lexikon e che erano state scritte presumibilmente nel periodo giugno 1713-marzo 1714. Ecco frontespizio i e prefazione dell’opera: Six | Concerts | à | Un Violon concertant | deux Violons, une Taille, et |.Clavecin ou Basse de Viole | de feu |S. A. S. Monseigneur le Prince |Jean Erneste |, Duc de Saxe-Weimar |. Opera I.ma | Par les soins de Mr. | G. P. Telemann | 1718. Avertissement
Vou voyez, Lecteur le nom du Sérénissime Auteur sur le titre de cet Ouvrage. Pour l'etendué et le feu de son génie supérieur, on ne saurait vous les bien dépeindre. Vous en trouverez de belles étincelles dans les Concerts qu'on. vous offre. Sa vie n'a passé que de peu dix-huit ans. Admirez le d'avoir aquis à cet äge d'aussi vastes lumiéres dans une art aussi difficile que la Musique. Le savant J. Lipse écrit de lui méme: Qu'il avoit l'esprit docile et propre à toutes les Sciences excepté la Musique (v. Misc: Ep. 87. Cent. 3). Outre la composition.defeu S. A. S. qu'on abandonne à votre jugement, Elle joüoit en Maitre de plusieurs instrumens, surtout du violon. Ce Prince fut attaqué vingt et un mois avant sa
mort de la cruelle et douloureuse maladie qui le mit dans le tombeau. Il ne laissa
pas de composer; c'etoit là le meilleur remede dont il adoucissoit ses maux.Il entreprit méme de faire graver cet Ouvrage; il n'eut pas le plaisir d'en voir la fin; la mort vint le ravir, après qu'il eut donné ses ordres pour le continuer, et y joindre 451
Weimar (1708-1717) une seconde Partie, que vous verrez dans peu. Que la Republique de Musique rende donc des hommagesà toujours durables à la mémoire de cet incomparable Prince. On finit en disant que comme l'empereur Tite étoit apellé durant sa vie les délices du genre humain; de méme aussi notre Seren.me Prince n'en a pas seulement fait les delices le peu de temps qu'il a vécu, par les belles qualités du corps et de l'esprit qu'il possedoit dans un degré éminent: mais que par ses Ouvrages il en sera méme apres la mort, les perpetuelles délices. Frankfort le 1 febr. 1718. G. P. Teleman. A Leipzig et Halle chez M. Kloss et M. Sellius.
Noteró che Telemann & assolutamente esatto nell'individuare il momento in cui ebbe inizio la malattia del principe (che in altri documenti & sempre detta Schmertzhafften, dolorosa): ventun mesi prima . della morte, cioè il novembre 1713, data alla quale risalgono, secondo
i documenti di archivio, i primi preparativi per il viaggio a Schwalbach. Quanto alla seconda parte dell'opera (presumibilmente Sei Concerti op. 2), purtroppo non ne
rimasta traccia né sappiamo se effettiva-
mente fu pubblicata. A mala pena si conosce l'opera prima, di cui esiste un esemplare nella Landesbibliothek di Weimar (ed & questa la copia di cui mi sono servito), mentre un altro esemplare era stato segnalato nella Biblioteca dell'Università di Rostock *. Le lodi di Telemann non devono sembrare esagerate. A tre anni di distanza dalla morte del principe, non vi era motivo di adulazione,
né in quel tempo il maestro di Magdeburgo poteva ambire a una posizione di rango inferiore, rispetto a quella coperta a Francoforte,
col portarsi a Weimar. Anche Mattheson ebbe modo di esprimersi piá che favorevolmente nei confronti di quei concerti che sono ben piá d'una semplice e anonima esercitazione scolastica, se si vuol tenere
conto — come si deve in effetti — dell'età in cui furono scritti. Ad Amsterdam, il centro in cui l'editoria musicale guardava con maggiore attenzione alla produzione di concerti, Johann Ernst aveva colto la migliore delle occasioni per sviluppare il proprio talento: librai e stampatori gli avevano sottoposto le pit recenti opere a stampa della produzione italiana, lo avevano interessato con manoscritti in cui era raccolto il succo del nuovo genere alla moda, il concerto. Né erano mancate, di certo, le occasioni per ascoltare dal vivo qualche buon frutto di quella produzione. E a quella esperienza se ne era aggiunta un'altra che avrebbe dato vita ad un capitolo, forse minuto ma ugualmente importante, della storia musicale. Johann Ernst e il suo seguito avevano potuto apprezzare quei concerti d'organo che Johann Jacob Grave teneva in cattedrale, allo strumento stesso di cui quegli era titolare. C'è un'importante testimonianza di Johann 452
Weimar (1708-1717)
Mattheson (1717) portata a incremento d'un discorso sullo «stile sinfonico » (genuina significatio Styli Symphoniaci è l’espressione usata dal grande musicografo per illustrare la categoria che era stata introdotta da Athanasius Kircher): a quello stile appartengono concerti
grossi, sinfonie (in specie, precisa lo scrittore), ouvertures, suites. Ma
prosegue *:
Che per l'appunto queste Species possano essere anche trattate per Curiosit su un solo strumento polivoco (ad esempio, sull'organo o sul cembalo) lo dimostra da qualche anno, fra gli altri, Msr. de Graue, l'organista famoso, ma cieco, della Chiesa Nuova di Amsterdam; questi conosceva a memoria tutte le novità italiane in fatto di concerti, sonate etc. a 3 o 4 parti e con straordinaria precisione in mia presenza li ha eseguiti sul suo organo meraviglioso.
La notizia é ripresa da Walther (1732) e riportata tale e quale da altri importanti lessici: Gerber, Schilling, Eitner. Nato intorno al 1672 a Bordeaux (e non ad Amsterdam come si affermava nei citati lessici) e morto ad Amsterdam il 16 aprile 1738,
il Grave (Jan Jacob de Graaf) dal 31 luglio 1702 sedeva all'organo della Chiesa Nuova (il Duomo). La notizia fornita da Mattheson dovrebbe collocarsi intorno al 1712-13, giusto al tempo del soggiorno di Johann Ernst in quella città. Il Mattheson, si noti, ha cura di specificare che il Graaf non era il solo a seguire quella maniera (un parentetico «fra gli altri» sottintende la diffusione della pratica); e giustamente il Schulze ha ricollegato quel principio esecutivo ai concerti d'organo che, da quando erano stati autorizzati dal Sinodo Provinciale di Dordrecht del 1574, si tenevano durante il servizio liturgico e che
si erano a tal punto diffusi da generare altre consimili manifestazioni musicali, ad esempio le Abendmusiken
di Lubecca.
A queste notizie se ne dovrà aggiungere un'altra, a conferma di una relativa diffusione della pratica dei concerti concepiti o adattati per lo strumento a tastiera: Walther nel suo Lexikon (e l'informazione sarà ripresa da Gerber e da Eitner) riferisce che Christian Ernst Rolle,
l'organista che, come si vedrà, era attivo dal 1714 nella luterana Agnuskirche di Köthen, aveva pubblicato (1716) una raccolta di sei concerti per il cembalo solo: purtroppo, non si conosce alcun esemplare di quella stampa. DEE a Non è possibile stabilire sino a qual punto la prassi dei concertitrascrizione di derivazione olandese abbia potuto condizionare la produzione di musica che doveva servire agli usi della cappella di Weimar o per allietare le ore dell’infelice principe; ma è certo che a quella prassi furono chiamati a dare impulso i due virtuosi di strumenti a tastiera che avevano stretto contatto con il principe; durante 453
pr
Weimar (1708-1717)
la permanenza di Johann Ernst (un anno esatto, dal giugno 1713 al giugno 1714) nella dimora materna, Bach produsse non meno di Ventuno trascrizioni di concerti e Walther non meno di quattordici (contando fra questi ultimi un paio di composizioni che, nell’originale, concerti non sono): la maggior parte di queste opere è tratta da composizioni di maestri italiani. CONCERTI N.
Tonalità
DI WALTHER
Autore
fa maggiore
Note
Tommaso
op. II, n. 4 in sol magg.
Albinoni
(Venezia
1700)
[4
si bem. magg.
Tommaso
la magg.
Blamr
mi magg. (Alcuni Variationi sopr’un
Arcangelo Corelli
op. II, n. 5 in do magg.
Albinoni
(Id.)
op. V, n. 11 (Roma 1700), preludio]
Basso Continuo del
Sign.r Corelli) la magg.
Giorgio Gentili
si bem. magg.
Giovanni Lorenzo Gregori
sol min.
Luigi Manzia
op. II, n. 3 (Lucca 1698)
(Mancia)
si min.
Antonio Vivaldi 8
do magg.
Joseph Meck
si bem. magg.
Giulio Taglietti
do min.
Georg Philipp Telemann
re min.
Giuseppe Torelli
op. VIII, n. 7 in re magg. (Bologna 1709), solo il 1° tempo
si bem. magg.
Giuseppe Torelli
Sinfonia a 2 Violini in re magg. (manca l’ultimo tempo)]
la min.
Giuseppe Torelli
op. VIII, n. 8 in do min.
.
CONCERTI
DI BACH
A) per cembalo N.
BWV
Tonalità
Autore
Note
1
972
re magg.
Antonio Vivaldi
op. II, n. 9 (Amsterdam 1711 ) — RV 230; R 414
2
973
sol magg.
Antonio Vivaldi
op. VII, libr. II, 2 (Amster-
1 i 3
974
re min.
Alessandro Marcello
454
dam c. 1716) =RV R 448
464;
in « Concerti a cinque» di vari autori (Amsterdam c. 1716)
Weimar (1 708-171 7) Lv
N.
BWV
976
Tonalita
Autore
sol min.
Antonio
Vivaldi
op. IV, n. 6 (Amsterdam c. 1712), parziale = RV 316a; R 423
do magg.
Antonio Vivaldi
op. III, n. 12 in mi magg.
Note
(Amsterdam 265; R. 417
977 978
do magg.
? (probab. Antonio Vivaldi)
fa magg.
Antonio Vivaldi
979
si min.
Giuseppe Torelli (?)
980
sol magg.
Antonio Vivaldi
do min.
Benedetto
1711)
—
RV
op. III, n. 3 in sol magg. (Amsterdam 1711) — RV
310; R. 408
10
. 981
Marcello
op. IV, n. 1 in si bem. magg. (Amsterdam c. 1712), parziale — QDN5VOSSSS 76438535 R. 377 e 418 op. I, n. 2 in mi min.
(Ve-
nezia 1708) 11
982
983 > 984
si bem. magg.
Johann Ernst di SassoniaWeimar
sol min.
?
do magg.
Johann Ernst di Sassonia-
op. I, n. 1 (Francoforte 1718)
Weimar
985
sol min.
Georg Philipp Telemann
986
sol magg.
?
987
re min.
Johann Ernst di Sassonia-
op. I, n. 4 (Francoforte 1718)
Weimar
. La sigla RV — Ryom Verzeichnis rinvia alla numerazione progressiva delle opere di Vivaldi: Peter Ryom, Antonio Vivaldi. Table de concordances des oeuvres, Engstrom & Sodring, Kobenhavn 1973; la sigla R indica il numero del tomo delle Opere Strumentali di Vivaldi nell'edizione Ricordi, Milano 1947-1972.
B) per organo N.
Tonalità
Autore
Note
592
sol magg.
593
la min.
Johann Ernst di SassoniaWeimar Antonio Vivaldi
op.
594
do magg.
Antonio Vivaldi
do magg.
Johann Ernst di SassoniaWeimar
re min.
Antonio Vivaldi
BWV
1711)
III,
=
n.
596
455
(Amsterdam
op. VII, libr. II, 5 in re magg. (Amsterdam c. 1716), parziale = RV
595
8
.RVE 522722413
208a; R 452
(solo il 19 tempo, trascritto da BWV 984) op:
I,
1711) =
n.
RV
11
(Amsterdam
565; R 416
Weimar (1708-1717)
Si può ragionevolmente supporre che il materiale utilizzato da Walther ® e da Bach per codeste trascrizioni provenisse da Amsterdam: lo attestano numerose edizioni di raccolte di concerti e di sonate pubblicate ad Amsterdam (talvolta come ristampe di edizioni veneziane) nell’officina di Estienne Roger, della di lui figlia Jeanne e del genero Le Cène!° (nei cui cataloghi figurano appunto opere di Albinoni, di Gentili, dei due Marcello, di Meck, di Taglietti, di Torelli e
di Vivaldi). Tanto nel caso di Walther quanto in quello di Bach è netta la predilezione per i maestri italiani, ma anche nei casi in cui l’autore dell’originale non è italiano, la forma è quella venuta d'Oltre Alpe e sempre
nello stile veneziano in tre o quattro movimenti; guardando alle trascrizioni cembalistiche bachiane, i concerti in tre movimenti sono.
in numero di dodici (i restanti sono invece in quattro tempi), mentre fra quelli organistici due sono in tre tempi, due in quattro e uno in un unico movimento, primo tempo di un concerto tripartito già interamente realizzato per il cembalo. Il fatto è che il concetto di « concerto nello stile italiano » era entrato
nel panorama della vita strumentale tedesca, dapprima sub specie corelliana, sotto la spinta impressagli da Muffat, poi nella struttura affermatasi con Torelli e Vivaldi e in genere prediligendo il concerto solistico rispetto al concerto grosso. Autori come Telemann, Quantz, Pisendel, Fasch, Graupner, Heinichen, Stólzel, Zelenka furono più o
meno prolifici cultori di componimenti strumentali di tal genere ma, con la sola eccezione di Zelenka, nessuno di costoro riusci a pubblicare i propri concerti: e analogo destino incontrò Bach; gli editori — italiani, olandesi, inglesi o tedeschi — privilegiavano in maniera esclusiva
i maestri italiani. Alle istanze di Johann Ernst e alla moda che subitamente doveva essersi introdotta a corte, Bach rispose con una serie di trascrizioni la cui fonte originale deve ricercarsi nelle opere che il principe aveva portato con sé (o fatto arrivare) da Amsterdam; la nuova destinazione strumentale doveva fornire un più agevole ed agile materiale d'uso per la camera e per la cappella. Ma Bach volle rendere omaggio anche al talento dell'augusto compositore: non un atto di vassallaggio, un segno di adulazione, un'operazione encomiastica e sdolcinata, ma un gesto che assicurava per l'avvenire, garantiva, avallava le qualità del principe, un adolescente che già dimostrava di essere un compositore-violinista completo, capace di mantenere il passo a fianco di esperti e maturi professionisti. L'impronta vivaldiana è nettissima in tutti i quattro saggi che portano la firma di Johann Ernst (due ricavati da concerti che andranno poi a formare l'Opera Prima, e due da concerti che probabilmente avrebbero dovuto concorrere alla formazione 456
Weimar (1708-1717)
dell'Opera Seconda annunciata da Telemann ma forse mai uscita dai torchi); un quinto saggio (BWV 595) & un’elaborazione organistica del primo tempo del concerto cembalistico BWV 984: nella trascrizione bachiana per organo, il brano ha una lunghezza maggiore di 16 battute, allo scopo di prolungare con risultato piá spettacolare l’effetto di eco, di modo che la dilatazione è in funzione non della
er forma ma dello strumento. La principale fonte per le trascrizioni che Bach ha compiuto dei concerti vivaldiani & un manoscritto che porta — in un italiano sgrammaticato — la seguente dicitura: «XII Concerto di Vivaldi, elaborati di J. S. Bach»,
con
la annotazione
«Johann
Ernst Bach,
Lipsiensis 1739» (in BB/SPK P 280). Tale manoscritto comprende i primi undici (BWV 972-982) dei sedici concerti trascritti da Bach per clavicembalo e un concerto per organo (BWV 592); in realtà, soltanto sei di quei dodici concerti sono tratti da originali vivaldiani,
i rimanenti essendo o di altri autori già identificati o di compositori il cui nome non è stato accertato. Allievo di Bach alla Thomasschule nel 1737, Johann Ernst [56], del ramo di Erfurt, copió le trascrizioni del suo maestro forse per ricavarne concreti frutti ai fini dello studio e della preparazione professionale. Per i restanti cinque concerti cembalistici, la fonte principale è un manoscritto compilato da Johann
Peter Kellner (BB/SPK P 804), organista e compositore di non trascurabile talento, legato a Bach da rapporti ambientali (era anche lui nativo della Turingia), di studio, di amicizia, forse anche di colla-
borazione, attivissimo — come si & visto — nel redigere copie di . composizioni bachiane intorno agli anni 1725-26. Le due fonti citate hanno fornito il materiale di base per la prima edizione dei concerti-trascrizione cembalistici, uscita nel 1851 per i tipi della Peters di Lipsia in soli cento esemplari. Quanto ai concerti per organo, a noi pervenuti attraverso varie copie manoscritte, quattro furono pubblicati nel 1852 in un'edizione di centoventicinque esem-
plari, uno (BWV 597) fu pubblicato nel 1904 ma fu poi riconosciuto come opera spuria, uno infine (BWV 596) fu pubblicato, come si vedrà, sotto il nome di Wilhelm Friedemann Bach [66] e soltanto piá tardi (1910) si scoprí che si trattava di una trascrizione di Johann Sebastian da Vivaldi. Tutte le citate edizioni, si noti, furono realizzate
dalla Peters, la prima fra le case editrici che abbia pensato ad una sistematica pubblicazione delle opere bachiane. | Nel campo di quelle vie parallele o di quei confronti a misura d’artista, che generalmente stimolano la critica a valutare le epoche
storiche sulla base di presunti conflitti, di artificiose alternative, di
contrapposizioni dialettiche fra due figure dominanti o comunque
emergenti, non c'è dubbio che il rapporto Vivaldi-Bach si presenti 457
Weimar (1708-1717)
con caratteristiche eccezionali e con una problematica interna tutta particolare. Misteriosi sono i fili che legano i due musicisti, al punto che risulta persino
difficile
immaginare
qualche
cosa
di analogo
nell'intero arco della storia musicale. Non & documentato un rapporto diretto di conoscenza e questo rapporto, anzi, è estremamente improbabile; ma anche sul piano delle relazioni indirette, provocate dalla
circolazione di musiche e di musicisti in ambienti per cosí dire omogenei, la fitta coltre di mistero e di ignoranza che circonda quell'argomento non sembra aprire spiragli di luce, concedere un respiro e un ritmo regolari alle immagini dei sogni. Che Vivaldi in quanto musicista e in quanto compositore di concerti fosse già noto in Germania intorno al 1706 & fatto sostanzialmente assodato; ma intorno a quella data non si conoscevano ancora edizioni a stampa di concerti vivaldiani, che per altro circolavano in.
forma manoscritta ed erano oggetto di studio al punto da costituire il modello-base per i compositori tedeschi. La prima edizione d'una raccolta vivaldiana di concerti & quella dell'op. III intitolata L'Estro Armonico
e contenente,
frontespizio, dodici Concerti Consacrati all'Altezza
come
recita il
Reale di Ferdi-
nando III Gran Prencipe di Toscana da Don Antonio Vivaldi, Musico di Violino, e Maestro de Concerti del Pio Ospedale della Pietà di Venezia. L'opera fu pubblicata ad Amsterdam da Estienne Roger; l'anno non è indicato, ma è stato appurato che si tratta del 1711 9. Bach
utilizzò sicuramente questa edizione a stampa, anche se almeno cinque concerti di quella raccolta si ritrovano in copie manoscritte custodite in biblioteche tedesche, e precisamente tre a Dresda, una a Schwerin e una a Vienna. Ancora una volta figura in primo piano la città di Dresda che,
nel campo dei manoscritti vivaldiani — come & noto — & seconda soltanto a Torino. In quella grande collezione (comprendente fra l'altro un centinaio di concerti vivaldiani) si conservano i manoscritti autografi di sei concerti e di quattro sonate vivaldiane recanti la dicitura «fatto per il Signor Pisendel»; ora, noi sappiamo che Pisendel nel marzo
1709 era passato a Weimar e vi aveva conosciuto Bach ? e
che negli anni in cui Telemann era stato attivo ad Eisenach si era più volte incontrato col musicista di Magdeburgo; ma soprattutto non si deve dimenticare che Pisendel aveva studiato ad Ansbach (1697) con Giuseppe Torelli e che più tardi (1716), durante il soggiorno veneziano al seguito del principe elettore Friedrich August di Sassonia, incontrerà e frequenterà Vivaldi, dopo averne conosciuta e sperimen-
tata certa produzione concertistica anche negli ambienti di Lipsia, di Darmstadt e di Dresda. La figura di Pisendel, insomma,
incrocia a
piá riprese la storia del concerto e in qualche modo attraversa il 458
Weimar (1708-1717)
cammino di Bach proprio nel momento in cuiquesti si accinge a lavorare
su quella forma e a interpretarne in varia maniera le strutture formali. Metà dei dodici concerti de L’Estro Armonico furono oggetto di
trascrizione da parte di Bach: i numeri 3, 8, 9, 10, 11 e 12 (rispettivamente BWV 978, 593, 972, 1065, 596, 976); sin da questo momento
si tenga presente — ma dell'argomento si parlerà molto più avanti — che il decimo concerto fu oggetto di un'elaborazione tutta particolare,
per quattro cembali, archi e continuo. La raccolta vivaldiana, come si sa, ha carattere eterogeneo: in essa si combinano in perfetta sim-
metria lo stile del concerto solistico e del concerto grosso, del concerto da camera e del concerto da chiesa. La raccolta & indice di una condizione intellettuale, d'una forma mentis che fa dell'ésprit de géométrie il fulcro, la ragione del discorso: quattro sezioni di tre concerti ciascuna, nell'ordine sempre e costantemente uno per quattro violini, uno per due violini e uno per un violino solista. Le trascrizioni bachiane prendono in considerazione tre concerti per violino, tutti ridotti per cembalo; due concerti per due violini, entrambi
rielaborati
per organo;
un
concerto
per quattro
violini,
realizzato per quattro clavicembali, archi e continuo. Dei due « doppi
concerti» riversati all’organo, uno ha vissuto una storia che merita di essere raccontata e che riflette in maniera agghiacciante il mortificante silenzio caduto sulle opere di Vivaldi e di Bach dopo la loro morte. La trascrizione bachiana (BW'V 596), unica fra tutte — si noti — ci & giunta attraverso un manoscritto autografo (BB/SPK P 330), passato fra le mani d'uno fra i musicalmente piá qualificati figli di Bach, quel Wilhelm Friedemann per il quale il futuro Kapellmeister scriverà varie pagine a sfondo didattico o propedeutico. Wilhelm Friedemann aveva scritto sul primo foglio dell'autografo paterno la seguente annotazione: «di W. F. Bach... manu mei Patris descriptum »; l'autografo era poi passato al Forkel ed era stato pubblicato, infine, da Griepenkerl nel 1844 come opera di Wilhelm Friedemann (ediz. Peters, Leipzig); si era creduto, infatti, e l'errore fu
perpetrato per molto tempo, che quel « di» volesse indicare l'autore e non, come si appuró, il semplice possessore del manoscritto.
Per l’eccezionale sua bellezza il concerto fu subito preso in considerazione dagli strumentisti; nel 1865 il Golde ne pubblicava una versione pianistica, seguito nel 1897 da August Stradal, il famoso virtuoso della tastiera allievo di Liszt. Stradal infarcí il concerto d'una incredibile serie di proprie cadenze virtuosistiche (sette pagine di partitura), nelle quali Beethoven, Liszt e Wagner si dànno la mano in buona compagnia. Ma Stradal era andato anche oltre e ne aveva fatto un concerto descrittivo, con tempesta, nuvole grevi d'acqua torrenziale, lampi e tuoni, e con tanto di conflitto di un'anima resa
=
È
459
Weimar (1708-1717)
folle dal dolore, torturata da una passione incontenibile. Il frontespizio dell'edizione (pubblicata da Breitkopf & Härtel) è degno di tanto contenuto:
un titolo vistoso, graficamente molto variato, collocato
su un foglio svolazzante arrotolato alle estremità come una pergamena, con caratteri tipografici solenni, carichi, nello stile d'un manifesto vergato a mano; un cielo cupo, squarciato da una folgore, turbini
di vento, pioggia scrosciante, sullo sfondo una chiesa con un alto campanile gotico e in primo piano un enorme tronco divelto dal fulmine e con le sue tentacolari radici messe a nudo: insomma, una
scena di terrore, di tregenda in un clima da romanticismo corrotto. e fradicio. Naturalmente, la partitura è trasformata con la più ampia
libertà: la fuga, ad esempio, è posticipata e nella fantasia iperbolica dell’arrangiatore diviene « lugubre e liberissima ». La verità, comunque, doveva
ancora
tardare a farsi luce; ancora
nel 1906 la tenebrosa
interpretazione dello Stradal trovava pronto l'editore a tirarne una seconda edizione. Finalmente, nel 1910 Ludwig Schittler accertava che si trattava d'una parafrasi molto libera del Concerto op. III n. 11 di Vivaldi e l’anno seguente usciva sul « Bach-Jahrbuch » il saggio di Max Schneider nel quale si dichiarava che il concerto non solo non era opera di Wilhelm Friedemann, non solo non era una trascrizione da questi compiuta, ma si trattava d'un autografo di Johann
Sebastian e d’una trascrizione da lui effettuata del concerto vivaldiano. Il tardivo riconoscimento, comunque, aveva causato conseguenze non lievi: fra l’altro, il concerto non era stato inserito né nella edizione
Peters delle opere complete per organo di Bach, né nei volumi degli opera omnia bachiani.
Anche l'op. IV vivaldiana, che reca il titolo La Stravaganza, era stata pubblicata dal Roger intorno al 1712-13; la raccolta, che comprende dodici concerti per violino tutti nello schema tripartito allegro-adagio-allegro, era stata dedicata al nobile veneto Vettor Delfino. Le due trascrizioni bachiane per cembalo (i nn. 1 e 6), tuttavia, non seguono l'edizione a stampa, bensi una versione manoscritta, probabilmente anteriore alla pubblicazione di Amsterdam. Il fatto è particolarmente evidente nel concerto che occupa nella raccolta vivaldiana il primo posto (BWV 980); a parte la diversa ambientazione tonale (da si bemolle maggiore a sol maggiore), c'è da rilevare che se il primo tempo corrisponde in tutto all’originale a stampa, i restanti due sono nettamente diversi e ricalcano la versione manoscritta conservata a Upsala (Caps. 61, 7): d’altra parte, è pure evidente che Bach non ha utilizzato il manoscritto di Upsala, ma un'altra copia allora circolante in Germania e oggi perduta. I due movimenti in questione non hanno praticamente punti in comune con i corrispon-
denti movimenti dell'edizione a stampa: il largo trascritto da Bach 460
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Il duca Wilhelm Ernst di Sassonia- Weimar. Incisione del 1716 (Berlino, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz).
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è caratterizzato principalmente da una serie di arpeggi di cui non c'è traccia nell'op. IV, n. 1, edizione Roger; quanto all'allegro conclusivo, che nella versione a stampa & in 2/4 e si presenta come un tipico allegro finale vivaldiano, c'è da dire che nella trascrizione bachiana ha
la veste di una giga bipartita, nella quale non & possibile riscontrare neppure una qualche analogia tematica col tempo finale dell'edizione a stampa. L'altro concerto dell'op. IV trascritto da Bach occupa nella raccolta pubblicata da Roger il sesto posto (ultimo del Libro Primo). Conservata l’originale tonalità di sol minore, l'elaborazione bachiana (BWV 975) tuttavia, si discosta alquanto dalla versione che è poi confluita nell'edizione olandese: anche in questo caso, è indubbio, Bach ha ricavato
il concerto da una copia manoscritta, probabilmente anteriore alla stampa, forse quella stessa che prima della guerra si conservava nella Landesbibliothek di Darmstadt. Il primo movimento presenta numerose varianti, ma di non cospicua rilevanza; al contrario, le varianti che
caratterizzano il largo sono di notevole consistenza: se l’inizio della trascrizione cembalistica potrebbe far pensare soltanto ad un discorso pit fiorito, ma sostanzialmente agganciato al tema quale si ritrova nella stampa del Roger, in seguito risulta palese che il discorso bachiano è alquanto più corposo e traduce una serie di figure violinistiche dal carattere virtuosistico; carattere, quest'ultimo, che invece non risulta
nella versione stampata. Per contro, il virtuosismo — sottolineato dalla
presenza di vere e proprie cadenze — domina l'allegro conclusivo del concerto, quale risulta dall'edizione Roger. Il finale utilizzato da Bach — e che egli indica come presto — & invece una giga: si tratta, in sostanza, di un altro movimento,
d'un brano che non ha punti
in comune con quello che ritroviamo nel corrispondente concerto dell'op. IV; lo dice, d'altra parte, la diversa dimensione della pagina, che nella versione a stampa tocca le 166 battute, mentre nell'elabo-
razione bachiana si ferma a 60. Problemi analoghi comportano anche i due concerti dell'op. VII (i nn. 2 e 5 del Libro Secondo), pubblicati da Jeanne Roger, la figlia
di Estienne, intorno al 1716-17; la raccolta, contenente dodici Concerti
a Cinque Stromenti (due per oboe e dieci per violino), non & stata direttamente utilizzata da Bach, il quale si & servito invece di copie manoscritte anteriori all'edizione a stampa. La prima delle due trascrizioni bachiane, quella cembalistica (BWV 973), & sostanzialmente vicina all'originale a stampa, piá di quanto non lo siano, almeno,
i due concerti dell'op. IV e l'altro dell'op. VII; in altre parole, il concerto segue lo schema di quei tre medesimi tempi che compaiono nell'edizione olandese. E, tuttavia, le differenze sono sensibili e tali da mostrare, questa volta, quasi una vocazione alla variazione. 462
Weimar (1708-1717)
La parte centrale del primo movimento, pur non discostandosi molto dal modello originale (anche il numero delle battute — e il discorso vale pure per gli altri tempi — non cambia), presenta figure ritmiche di tipo inconfondibilmente cembalistico. Il secondo tempo, un largo, in Vivaldi si presenta semplicissimo, molto cantabile, con una ritmica nitida e marcata, dall'incedere costantemente mantenuto sui medesimi
valori, tranne che nelle ultime cinque battute. In Bach; invece, il
discorso & tutto fiorito, la cantabilità scossa da un continuo passeggiare di note che colmano la distanza esistente fra i diversi gradi dell'origi-
nale proposta melodica; il disegno ritmico è continuamente variato, al punto che ogni battuta è impostata su una diversa organizzazione
dei valori delle note, anche se non viene modificato il metro di 3/4. L'allegro finale, che nell’originale vivaldiano mostra una discreta concessione al virtuosismo, pur mantenendosi sensibilmente più accostato alla scrittura del « prete rosso », ne esalta la funzione concer-
tante e nella sezione centrale concede al cembalo una lunga parte in scale, alla mano sinistra, che testimonia una precisa volontà di dare un altro «spessore» alla pagina. L'altro concerto dell'op. VII è stato trascritto per organo (BWV 594), trasportandone la tonalità da re maggiore a do maggiore: l’opera.
corrisponde al concerto quale noi lo conosciamo nell’edizione Roger
soltanto nel primo e terzo tempo, pur con varianti d’un certo significato e peso. Il movimento centrale è una pagina tutta nuova, che nella versione organistica è incomparabilmente più bella di quella figurante nella stampa. Bach si è servito di un adagio, in stile di recitativo, straordinariamente ricco di melismi, di superbi « passeggiati », propri della maniera della toccata, esaltando la funzione dell’apparato
armonico e vanificando il principio dell’organizzazione vantaggio d’una tecnica compositiva che è il frutto improvvisazione, della fantasia e che, in ultima analisi, ‘sommo grado i diritti espressivi precipui dell'organo. Ai dieci concerti sicuramente vivaldiani trascritti da
devono forse aggiungere altri due stilistiche con le opere del « prete non si conosce la fonte originale, La struttura formale richiama sin
tematica a della libera rispetta in Bach se ne
che presenterebbero forti analogie rosso ». Del Concerto BWV 977 per altro sicuramente violinistica. troppo ovviamente modelli vival-
diani: un primo movimento tutto slancio, in cui l'elemento solistico
& alquanto sviluppato, un breve adagio notevolmente fiorito, una giga conclusiva in 12/8 e bipartita. Il manoscritto che ha tramandato la trascrizione bachiana (BB/SPK P 804) fa esplicito riferimento a Vivaldi: non dovrebbe esservi motivo di alcuna sorta per dubitare della paternità. Piá intricate sono le questioni relative al Concerto BWV 979: in un manoscritto scoperto a Vienna nel 1958 da Albert 463
Weimar (1708-1717)
Van der Linden (Fondi d'Este, Ms. 143 a) è indicato come autore Giuseppe Torelli; un piá recente ritrovamento,
1967, ad opera di
Peter Ryom nella Biblioteca di Lund in Svezia (collezione Christian Wenster, Lit. D. 28) indica come autore Vivaldi. Sotto il profilo stilistico l'opera sembra vivaldiana, ma sotto l'aspetto formale (quattro movimenti, ciascuno dei quali preceduto da poche battute in tempo grave o adagio) non puó sfuggire il richiamo a Torelli: in ogni caso, l'impianto di questo concerto non trova un riscontro in alcuno degli altri concerti trascritti o composti da Bach. I fratelli Marcello sono rappresentati nel catalogo delle trascrizioni bachiane con opere significative. Del piá grande, Benedetto, & il Concerto BWV 981 identificato da Jean-Pierre Demoulin (1962) col secondo dei concerti op. I (Concerti a Cinque con Violino e Violoncello obligato) pubblicati dal Sala a Venezia nel 1708. Da notare che questo è l'unico dei concerti in versione cembalistica che inizi con un adagio. Ad Alessandro Marcello compete, invece, la paternità del Concerto
BWV 974 trascritto da un originale per oboe. Alla fine del secolo scorso, all'epoca in cui si conosceva unicamente la trascrizione bachiana, il concerto era stato attribuito a Benedetto Marcello. Tale attribuzione, tuttavia, era stata vista con un certo sospetto e in seguito non era
mancato chi (come Sebastiano Arturo Luciani, 1941) aveva proposto il nome di Vivaldi o chi (come Pietro Berri, 1949) aveva sostenuto l'ipotesi che potesse trattarsi di un'opera di Alessandro Marcello. Quest'ultima ipotesi doveva rivelarsi esatta, in seguito al rinvenimento dell'originale concerto per oboe, non già in qualche manoscritto dell'epoca (già si conosceva un manoscritto di Schwerin recante il solo nome di Marcello, senza indicazione del nome di battesimo), bensí in un'edizione uscita ad Amsterdam, per i tipi di Jeanne Roger,
intorno al 1716. Il concerto in questione, infatti, & il n. 2 del Libro
Secondo d'una raccolta di dodici concerti cosí intitolata: Concerti a
cinque con violini, oboe, violetta, violoncello e basso continuo del (sic) signori G. Valentini, A. Vivaldi, T. Albinoni, F. M. Veracini, G. St. Martin, A. Marcello, G. Rampin, A. Predieri. Contrariamente a quanto
si era creduto un tempo, la trascrizione bachiana di questo concerto,
al nostri giorni assunto a insperata notorietà, rispetta la tonalità origi-
nale del Concerto di Alessandro Marcello, che & quella di re minore € non quella di do minore quale risulta dal citato manoscritto di Schwerin. È fuor di dubbio — tenuto conto della stretta corrispondenza fra l'originale e la trascrizione — che Bach abbia compiuto il proprio lavoro sulla base d'una copia dell'edizione a stampa. Il Concerto BWV
985 è una trascrizione da Telemann; recente-
mente edito, l'originale è giunto manoscritto in due copie, l'una conservata alla Sächsische Landesbibliothek di Dresda (in duplice
464
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esemplare), l'altra alla Hessische Landes-und Hochschulbibliothek di Darmstadt (con il nome di Telemann anagrammato in Melante) 1°. La trascrizione corregge in qualche punto l'originale, ne rimpolpa con semplici quanto opportuni ritocchi l'impalcatura armonica, muove le parti in maniera più organica e musicalmente pit efficace; è, insomma, quasi la correzione di un compito scolastico svolto con
troppa fretta e con scarsa considerazione per il bello stile. Il capitolo
dei concerti-trascrizione
si chiude
con
due
opere,
BW'V 983 e 986, i cui originali sono perduti e la cui paternità non è stata ancora appurata. Nel secondo caso ci troviamo in presenza di una situazione solistica ancora primordiale: sezioni brevissime di tutti, a quattro parti, e di solo alternati con simmetrica disposizione, concedendo al solista — un violino, probabilmente, ma anche un oboe —
un unico intervento d'un certo significato nella parte centrale del primo movimento. Un aspetto solistico piü evidente si ha nel brevissimo adagio (soltanto dieci battute) che nell'economia del concerto rappresenta per cosí dire il momento statico ed estatico allo stesso tempo, contrapposto al momento dinamico rappresentato dai due tempi estremi. Il finale, poi, nel tempo composto di 12/8, & una giga bipartita e risente, come si è visto in altri concerti, del prepotente influsso della suite e della sonata. Piá consistenti, invece, sono gli interventi
solistici del Concerto
corrispondente
al BWV
983, che
come il precedente ha al centro una pagina meditativa e un finale-giga in 12/8. L'affinità fra i due concerti è tale che si dovrebbe pensare ad un unico autore, che potrebbe essere individuato fra qualcuno dei
tanti maestri veneziani dell’epoca, forse Tommaso Albinoni (ma si è fatto anche il nome di Telemann per il BWV
986). E, in effetti,
la brevità dei singoli movimenti, specie di quelli centrali, lo stile concertante dimesso e trattenuto, una certa affinità tematica e ritmica
con alcune opere di Albinoni potrebbero avallare in qualche modo ipotesi che si tratti di composizioni, ora perdute, di colui che molto elegantemente si definiva «musico di violino dilettante veneto». È difficile immaginare un qualche cospicuo mutamento, rispetto al modello originale, per quanto riguarda questi ultimi concerti. Ciò non toglie, comunque, che regola generale e direi cogente nell'affrontare l'operazione dell'adattamento allo strumento a tastiera di concerti solistici, sia stata sempre, per Bach, quella di modificare il discorso musicale a vantaggio del cembalo o dell'organo: in altre parole, non si & mai trattato di una diminutio, ma semmai
di una
augmentatio: la qual cosa deve esser posta in relazione non con l'esi-
genza didattica, ma con la necessità d'una coerente funzionalità. In misura piá o meno rilevante, tutte le varianti introdotte da Bach
sono frutto non soltanto d'una disposizione musicale in un certo senso 465
Weimar (1708-1717)
più completa e pit raffinata (la qualità del discorso in tutti i casi risulta migliore e più razionale rispetto all'originale stesura), ma anche d'una coscienza strumentale spiccata, che sapeva cogliere l'esatta dimensione tecnica e fisica dei suoni trasferiti su altri strumenti. In taluni casi — ad esempio la diversa ambientazione tonale resa indispensabile o opportuna dalla limitatezza dell'estensione delle tastiere, oppure la trasformazione in valori di tempo pit brevi — si trattava di modifiche, diciamo cosi, oggettive; ma il più delle volte, il gusto per l'introduzione di varianti, cioè di formule nuove, è la conseguenza
di un comportamento che, a differenza di quanto accade nelle trascrizioni di Walther, non si risolve in una compromettente farcitura o in una
correzione
scolastica o in un'interpretazione
arbitraria, ma
incide nella sostanza del discorso inusicale con pochi tratti e con garbati interventi intesi a rendere stilisticamente efficace e verosimile l'adattamento cembalo-organistico. Quegli interventi, insomma, non costituiscono mai una violazione di domicilio, un atto di violenza,
ma son fatti della medesima pasta che Bach metterà in forno pit tardi, claborando a Lipsia le grandi creazioni strumentali degli anni di Kóthen.
466
CAPITOLO
QUARTO
Le composizioni per strumento
a tastiera
29. Prime esperienze a Weimar nel campo del corale organistico. BIBLIOGRAFIA: vedere $ 20.
La copiosa messe dei corali organistici giovanili non aveva trovato un'organica sistemazione, né aveva manifestato convincenti segni premonitori di un assestamento in una « normativa » liturgica o formale
o stilistica. Bach non aveva ancora individuato un piano nel quale riversare razionalmente e conservare ordinatamente le idee con le quali egli dava corso al suo mandato di organista; ma a Weimar egli darà vita all'ambizioso e tonificante progetto dell'Orgelbüchlein e, come si è visto, ad una regolare produzione di cantate. La pattuglia dei corali
«sparsi» superstiti che si assegnano all'epoca di Weimar & costituita . dalle seguenti opere (per le fonti si veda quanto è stato detto a proposito dei corali giovanili): BWV
1. Ach Gott und Herr
714
2. Allein Gott in der Höh’ sei Ehr
711
3. Allein Gott in der Höh’ sei Ehr
717
4. Christ lag in Todesbanden
695
5. Ein feste Burg ist unser Gott
720
6. Herr Jesu Christ, dich zu uns wend
709
7. Herzlich tut mich verlangen
727
467
Weimar. (1708-1717) BWV
8. In dich hab’ ich gehoffet, Herr
712
9. Fantasia: Jesu, meine Freude
713
10. Liebster Jesu, wir sind hier
706
11. Liebster Jesu, wir sind hier
730
12. Liebster Jesu, wir sind hier
734
13. Fuga sopra il Magnificat
733
14. Nun freut euch, lieben Christen g’mein
734
15. Valet will ich dir geben
736
16. Wer nur den lieben Gott lässt walten
690
17. Wo soll ich fliehen hin
694
Una delle prime pagine prodotte a Weimar dovette essere la fantasia-corale Ein feste Burg ist unser Gott (BWV 720) che lo Spitta pensa sia stata eseguita dallo stesso Bach durante la cerimonia d'inaugurazione del restaurato organo :della Blasiuskirche di Mühlhausen il 31 ottobre 1709, nel giorno commemorativo della Riforma. L'ipotesi
di Spitta non è suffragata da alcun documento (il viaggio stesso di Bach a Mühlhausen in quella data non trova pezze d’appoggio fra le carte dell’epoca), ma è certamente suggestiva. La composizione, che è «à 3 claviers et pédale», ci è pervenuta attraverso vari manoscritti,
il più importante dei quali, opera di Walther (e oggi conservato all'Aia, Dienst voor Schone Kunsten der Gemeente, 4 G. 14, conte-
nente anche fra i corali qui considerati BWV 727), reca alcune indicazioni di registrazione (fagotto, sesquialtera). La pagina risente della tecnica e delle forme nordiche: d'una evidenza estrema &, ad esempio, l'accostamento allo stile di Buxtehude e di Bruhns, ma forse,
ancora più marcatamente, allo stile di Böhm per il continuo movimento del cantus firmus da una voce all'altra. Il canto è qua e là ornato e la scrittura abbraccia stilemi riconducibili allo stile di partita. Il genere della fantasia & documentato in due altre pagine: Christ lag in Todes Banden (BWV 695) e Jesu, meine Freude (BWV 713). Nel primo caso, con la melodia del corale alla parte dell'altus e con una
realizzazione manualiter, il discorso procede con estrema linearità, utilizzando figurazioni che si rincorrono sui due manuali: la realizzazione contrappuntistica & poi seguita dall'esposizione della melodia del corale accompagnata dal basso continuo (cifrato). Questo particolare si riscontra anche nella fantasia BWV 713 (di cui esiste anche una variante, BWV 713a, in re minore in luogo dell'originale mi minore): questa fantasia & un esempio della calcolata « discontinuità » 468
Weimar (1708-1717)
stilistica all’interno d'una composizione tipica di Bach. L'opera, manualiter, & divisa in due parti: la prima (mis. 1-52) & una specie di «invenzione »fugata, mentre la seconda (mis. 53-103), contraddistinta dalla didascalia dolce (ed è l'unica volta che s'incontra tale espressione nell'intera produzione bachiana), varia di ritmo (da 4/4 a 3/8) ed è più fluida; inoltre, la tecnica impiegata nella prima parte
è quella dell’elaborazione su cantus firmus non ornato, mentre nella
seconda Bach trasforina melismaticamente la melodia, sino ad immet-
terla nel tessuto stesso della composizione. Nei corali di Weimar i modi contrappuntistici sono prevalenti. Ach Gott und Herr (BWV 714) è svolto per canonem all’ottava, in forma semplice, con estrema essenzialità di linee e con un senso molto marcato della funzione melodica del frammento corale; la vicinanza di Walther, che in questa forma fu particolarmente fecondo e felice, fu forse determinante nell'indurre Bach a praticare quello stile, che troverà
poi il suo coronamento nei corali in canone dell’Orgelbüchlein. Frequenti sono le alterazioni cromatiche, mentre la pagina segue in parte i modelli vocali, quasi annullando la natura strumentale dell'elabora-
zione. Questa è invece ben evidente nell'importante Meine Seele erhebt den Herren (BWV 733) che nel titolo originale è segnato come
« fuga sopra il Magnificat pro organo pleno con Pedale »; l'ampia composizione, di schietto stile fugato (non di una fuga vera e propria si tratta, ma di una parafrasi che sfrutta la prima parte del corale), è a 5 voci, ma la quinta voce compare soltanto nella parte conclusiva (mis. 98), allorché il cantus firmus passa al pedale in note lunghe. Il contrappunto
è movimentato,
ritmicamente
uniforme,
con
fre-
quenti sequenze di frammenti ripetuti. Il tema è ovunque presente con enunciazioni
che, a turno, circolano in tutte le voci. E una mani-
festazione di potenza, d’impegno, anche se il risultato è un poco artificiale e manierato. Minore importanza hanno In dich hab’ ich gehoffet, Herr (BWV 712), una fughetta-fantasia in tre sezioni, e Allein Gott in der Höh’ sei Ehr (BWV 717), con il cantus firmus al superius; entrambi i brani sono nel tempo di 12/8; ma il primo è una
delicata pastorale, in uno stile che si avvicina alle composizioni pit semplici di Buxtehude (si osservi, ad esempio, Wie schón leuchtet der
Morgenstern del maestro
nordico); il secondo, invece, è una vivace
giga, garbata e contrappuntisticamente elegante.
PRE
Fra le composizioni su cantus firmus meritano appena una citazione
Wo soll ich fliehen hin (BWV 694), condotta secondo la tecnica del
concertato; e il « bicinium » Allein Gott in der Höh’ sei Ehr (BWV 711),
un tempo anche assegnato a Johann Bernhard Bach [36]. Ben più consistente è la validità di Valet will ich dir geben (BWV 736), superba fantasia, una delle opere pit maestose e brillanti del periodo di Weimar. 469
3
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Il ritmo di giga impresso a tutta la pagina (nel metro insolito di 24/16) mette a nudo le qualità tipiche del « cembalismo » bachiano. Di questa melodia Bach aveva già dato un'interpretazione in un corale degli anni giovanili (forse di Arnstadt: BWV 735); in quella circostanza era prevalsa la struttura della fantasia, qui emerge soprattutto il movimento di danza, come se si trattasse della pagina finale di una suite: ma il corale cosí « mondanizzato » non perde di lucentezza e di compostezza. Occorre tuttavia notare che il corale forma, insieme
con la precedente elaborazione della stessa melodia, una specie di dittico: si tratta di due membri di un unico corpo; in un certo senso,
la fantasia BWV 735 rappresentava il desiderio della morte, mentre la «giga» BWV 736 simboleggia il trionfo sulla morte. Il disegno melodico che percorre la composizione da un capo all'altro & abituale in Bach: lo troviamo, sia pure variato, ad esempio, nel corale Lobt
Gott ihr Christen allzugleich (BWV 732), già considerato fra le opere giovanili, e nella seconda parte di In dich hab’ ich gehoffet, Herr (BWV 712). Tuttavia, la pagina non risulta mai incolore, diafana o monotona; il giuoco concertante ai due manuali & sviluppato con quelle magistrali progressioni armoniche che tanto frequentemente s'incontrano nei preludi bachiani, mentre il movimento ritmico si serve in continuazione di interessanti varianti.
Fra i corali di Weimar figurano due fra le più famose realizzazioni bachiane del genere: Nun freut euch, lieben Christen g’ mein (BWV 734) e Herzlich tut mich
verlangen
(BWV
727). La prima
pagina, resa
famigliare dalla trascrizione pianistica di Busoni, con il cantus firmus al tenor realizzato manualiter, si risolve in un autentico perpetuum mobile
di notevole splendore contrappuntistico e di esaltante agilità ritmica. La seconda, sulla celebre melodia di Hans Leo Hassler (per un testo amoroso, Mein Gemiith ist verwirret) più volte utilizzata da Bach nella
Matthäus-Passion e qui sottolineata con una commovente partecipazione polifonica, preannuncia da vicino il modello formale che diven-
terà tipico dell'Orgelbüchlein. A questo modello si riconduce anche Herr Jesu Christ, dich zu uns wend (BWV 709), un corale ornato in cui è chiaramente avvertibile l'antica tecnica della « coloratura », non
solo negli ornamenti sovrapposti alle note fondamentali del cantus firmus, ma anche nelle copiose fioriture ritmico-melodiche, simili a « diminuzioni » che informano le note di passaggio. L'elaborata struttura melodica del cantus firmus si riflette poi nelle altre tre voci, impegnandole in un giuoco continuo di riferimenti contrappuntistici e con un rilievo ben superiore a quello normale della tecnica del corale figurato, quale era stata trasmessa, ad esempio, da Bóhm. Riconducibili ai modelli dell’Orgelbiichlein sono pure le due elaborazioni di Liebster Jesu, wir sind hier (BWV 730 e 731), corali ornati 470
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entrambi, ma il secondo in misura maggiore, derivati dallo stile di Bóhm e intesi a sottolineare una concezione virtuosistica dell'arte della
diminuzione
o ornamentazione,
e degli «affetti»
musicali.
Wer nur den lieben Gott lässt walten (BWV 690) ha stilisticamente la struttura di un movimento di partita (cfr. le partite III e V su O Gott, du frommer Gott BWV 767), senza impiego del pedale; si tratta di un piccolo corale, simile ad altri che vedremo impiegati nella Dritter Theil der. Clavier-Uebung. Semplice corale armonizzato, ultimo esempio, forse, della pratica giovanile, ma in questo caso senza « intermezzi » strumentali, & Liebster
Jesu, wir sind hier (BWV 706).
30. L'Orgelbüchlein (BWV 599-644). BIBLIOGRAFIA
Charles Sanford Terry, The Orgelbüchlein: another Bach-Problem, in « The Musical Times» LVII (1917), pp. 887 e sgg.; Hans LueDTKE, Zur Entstehung des Orgelbüchleins (1717), in BJ XVI (1919), pp. 62-66; Georg von DADELSEN, Zur Entstehung des Bachschen Orgelbüchleins, in Festschrift Friedrich Blume, a cura di Anna Amalia ABerT e Wilhelm PFANNKUCH, Bärenreiter, Kassel 1963, pp. 7479; J. C. Mozszn, Symbolism in J. S. Bach's « Orgelbüchlein », in « The American Organist » XLVII (1964) nov. pp. 14-20, dic. pp. 14-22, e XLVIII (1965) genn. pp. 12-16; Ernst AnrkEN, Zur Entstehungsgeschichte des Orgelbüchleins, in BJ LII (1966), pp. 41-58; Siegfried VoceLsANGER, Zur Herkunft der kontrapunktischen Motive in J. S. Bachs « Orgelbüchlein» (BWV 599-644), in BJ LVIII (1972), pp. 118-131.
Funzionalità, semplicità formale, contrappunto esteso ma armonico sono caratteristiche essenziali dei corali organistici di Weimar. Quelle medesime componenti si ritrovano in misura organica e in sé compiuta
secondo un piano musicale prestabilito nella grandiosa nova cyclopeias harmonica che costituisce l’Orgelbüchlein. È questa la prima e veritiera manifestazione del pensiero didattico bachiano, qui applicato in vista di un preciso compito professionale, quello spettante all'organista di chiesa, impegnato a rispettare gli articoli della fede e il canone litur-
gico. La raccolta ha una intitolazione efficace e significativa: « Piccolo libro d'organo, nel quale si dà ad un organista principiante un metodo per eseguire in tutte le maniere un corale e nel medesimo tempo per perfezionarsi nello studio del pedale, poiché nei corali che vi si trovano
il pedale & trattato in modo obbligato. Al solo Dio supremo per
onorarlo, al prossimo perché si istruisca». Ma l'iscrizione originale (BD I, 148) presenta qualche motivo di interesse in più: 47
Weimar (1708-1717) Orgel-Büchlein Worinne einem anfahenden Organisten Anleitung gegeben wird, auff allerhand Arth einen Choral durchzuführen, anbey auch sich im Pedal studio zu habilitiren, indem in solchen darinne befindlichen Choralen das Pedal gantz obligat tractiret wird. Dem Höchsten Gott allein zu Ehren, Dem Nechsten, draus sich zu belehren. Autore
Johanne Sebast: Bach p. t. Capellae Magistri S. P. R. Anhaltini-
Cotheniensis.
L'intestazione dell'autografo (BB P 283)', volutamente disposta in righe oblique l'una rispetto all'altra e conclusa da un distico, collocherebbe l'opera al. tempo del soggiorno di Köthen: in realtà, a quel. tempo la raccolta era già stata completata nel modo che noi conosciamo, con la sola eccezione di due aggiunte negli anni di Lipsia, forse intorno al 1740 (il n. 15, Helft mir Gotts Güte preisen BWV 613, e il frammento, 2 battute, di O Traurigkeit, o Herzeleid). Infondata
è l'opinione espressa da taluni, secondo la quale il manoscritto sarebbe stato allestito, sulla base del p. t. (— pro tempore) che precede la firma, fra il 5 agosto 1717 (data della nomina di Bach a Kapellmeister della corte di Kóthen) e il 2 dicembre di quell'anno (momento della scarcerazione di Bach dopo l'atto di insubordinazione nei confronti del duca di Weimar); in realtà, si & osservato, il termine pro tempore
compare anche in altri documenti senza avere quel carattere di « attualità» che gli si vorrebbe attribuire. La perizia grafica indicherebbe negli anni ultimi di Kóthen (1722-23) l'epoca dell'intestazione, ma la composizione della raccolta si deve far risalire a una decina di anni prima; il lavoro, iniziato prima del
1714, sarebbe stato sospeso nel 1716 e l'ambizioso ed ampio progetto originale sarebbe stato poi definitivamente compromesso dalla sfavorevole situazione in cui Bach venne a trovarsi per discordie con la casa regnante. Era intenzione di Bach elaborare un vistoso ciclo di corali
organistici,
ma
dei 164
corali
programmati,
tutti indicati
nell'autografo, solo 45 ebbero la dovuta realizzazione musicale (46 se si tiene conto che un corale, Liebster Jesu, wir sind hier, è indue diverse
elaborazioni, BWV 633-634). Punto di partenza per l'individuazione del piano architettonico della raccolta è il Gesangbuch in uso a Weimar, pubblicato da Johann 472
Weimar (1708-1717)
Leonhard Mumbach nel 1713 con una prefazione firmata dal predicatore di corte Johann Georg Lairitz (il libro liturgico era giä stato edito nel 1708): Schuldiges Lob Gottes oder: Geistreiches Gesang- Buch... So in Kirchen und Schulen des Fürstenthums Weimar wie auch in der Hennebergischen Landes-Portion zu gebrauchen... Mit Fürstl. Sächss. Gnädigsten Privilegio. L’ordine nel quale si presentano i corali, tuttavia, non & quello stabilito nel Gesangbuch — che inizia con i canti relativi al servizio liturgico — bensí quello determinato dal ciclo delle festività previste dall'anno liturgico cui fanno seguito i Lieder « devozionali ». Nell'ambito della realizzazione bachiana si individuano tre momenti: il primo & determinato dai 26 brani (BW'V 599-624) che occupano i fogli 1-35 dell'autografo quasi senza soluzione di continuità (manca uno solo dei corali progettati in questa sezione); segue un vuoto che avrebbe dovuto essere occupato da 6 corali. Il secondo momento & determinato dai 5 corali per la Pasqua. L'ultimo & formato dall'ampio panorama di 125 corali, dei quali soltanto 13 sono stati elaborati da Bach. Il monotono succedersi di pagine lasciate in bianco (il manoscritto conta 92 fogli, per complessive 182 pagine) & interrotto solo qua e là da occasionali elaborazioni. Sulla base delle varie rubriche, il progetto bachiano prevedeva 55 corali per le feste dell'anno liturgico (Avvento,
Natale,
Nuovo
Anno,
Purificazione,
Passione,
Pasqua,
Ascensione, Pentecoste, Trinità) e 109 corali di varia natura (i cosiddetti Glaubenslieder per le varie occasioni o necessità quotidiane della vita). Della prima serie Bach giunse a elaborare 35 cantici (4 per l'Avvento, 10 per il Natale, 3 per il Nuovo Anno, 2 per la festa della
Purificazione, 7 per la Passione, 6 per la Pasqua e 3 per la Pentecoste); della seconda serie, 10 corali. Riporto qui il progetto integrale, specificando la numerazione progressiva del piano originale, la numerazione dei corali realizzati, il numero di battute di ciascun corale e la
sua soluzione formale (C. sta per corale, c. f. per cantus firmus).
N
BWV
progetto
Mi
;
du
Titolo
5a
mplipo formale
A. CANTI DELL'ANNO LITURGICO
Avvento 1 2
102599 2
600
Nun komm’
der Heiden Heiland
Gott, durch deine Güte / Gottes Sohn
10
C. su c. f. (soprano)
26
C.
3
3
601
Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn / Herr Gott, nun sei gepreiset
4
4
602
Lob sei dem allmächtigen Gott
473
in canone all'ottava
(soprano e basso)
ist kommen
20
C. su c. f. (soprano)
9
C. su c. f. (soprano)
Weimar (1708-1717)
i
BWV
progetto
Titolo
sure
Tipo formale
Natale 5 6
5 —
603 =
C. su c. f. (soprano)
Puer natus in Bethlehem Lob sei Gott in des Himmels Thron
t7,
6
604
Gelobet seist du, Jesu Christ
C. su c. f. (soprano)
8
7
605
Der Tag, der ist so freudenreich
Gi suc» E (soprano)
9
8
606
Vom Himmel hoch, da komm' ich her
C. su c. f. (soprano):
10
9
607
Vom Himmel kam der Engel Schaar
C. su c. f. (soprano)
11
10
608
In dulci jubilo
C. su canone doppio all'ottava (c. f.: soprano ‘e basso; controsoggetto: contralto e tenore)
12
11
Lobt Gott, ihr Christen, allzugleich
C. su c. f. (soprario)
13
12221610
Jesu, meine Freude
C. su c. f. (soprano)
14
132611
Christum wir sollen loben schon
C. su c. f. (contralto)
15
14
Wir Christenleut’
C. su c. f. (soprano)
609
612
Nuovo Anno 16
1595615
Helft mir Gottes Güte preisen
C. su c. f. (soprano)
17
16
Das alte Jahr vergangen ist
C. ornato
18
17252615
In dir ist Freude
Fantasia sul C.
19
18
616
Mit Fried’ und Freud’ ich fahr’ dahin
15
C. su c. f. (soprano)
20
19
2617,
Herr Gott, nun schleuss den Himmel
24
C. su c. f. (soprano)
614
(soprano)
Purificazione (Cantico di Simeone)
auf
Passione 21
20
618
22
2192619
Christe, du Lamm
23
22
Christus, der uns selig macht
C. in canone all'ottava (soprano e basso)
24
237621
‘Da Jesus an dem Kreuze stund
C. su c. f. (soprano)
25
24
622
O Mensch, bewein’ dein’ Sünde gross
C. ornato (soprano)
26
25)
2623
Wir danken dir, Herr Jesu Christ / Dass du für uns gestorben ist
C. su c. f. (soprano)
27
26
624
Hilf Gott, dass mir’s gelinge
C. in,canone alla quinta (soprano e contralto)
28
-——
620
-—
O Lamm
Gottes, unschuldig Gottes
O Jesu, wie ist dein’ Gestalt .
474
C. in canone alla quinta (basso e contralto)
C. in canone alla duodecima (tenore e soprano)
\
Weimar (1708-1717)
Sm
"atii
29
—
30
—
==
O Traurigkeit,
p
Tipo formale
=
E
Herr, Jesu
—
=
o Herzeleid
(frammento
di 2 battute)
Allein nach Christ
dir, Herr,
31
—
—
O wir armen Siinder
—
—
32
—
—
Herzliebster Jesu, was hast du ver
—
=
33
—
—
-—
—
34
27.
625
Christ lag in Todesbanden
16
C. su c. £. (soprano)
35
28
626
Jesus Christus, den Tod
9
C. su c. f. (soprano)
36
29
627
Christ ist erstanden
brochen Nun giebt mein Jesus gute Nacht
Pasqua unser
Heiland,
der
61
C. su c. f. (soprano; 3 versetti)
37
30
Erstanden ist der heil’ge Christ
16
C. su c. £. (soprano)
38
31.629
628.
Erschienen ist der herrliche Tag
19
C. in canone all’ottava
39
32
630
Heut’ triumphiret Gottes Sohn
27
C. su c. f. (soprano)
40
—
—
Gen Himmel aufgefahren ist
—
—
41
m
et
Nun
—
—
—
—
(soprano e basso)
Ascensione freut euch, Gottes Kinder, all
Pentecoste 42
—
=
Komm,
heiliger
Geist,
erfüll
die
Herzen deiner Gläubigen 43
44 . 45 46
“>
=
Komm,
heiliger Geist, Herre
Gott
—
—
47
—
—
Komm, Gott, Schópfer, heiliger Geist Nun bitten wir den heil'gen Geist Spiritus Sancti gratia / Des heil'gen Geistes reiche Gnad O heil’ger Geist, du góttlich Feu'r
—
—
48
—
—
O heil’ger Geist, o heiliger Gott
=
—
Herr Jesu Christ, dich zu uns wend’ Liebster Jesu, wir sind hier Liebster Jesu, wir sind hier (distinctius)
17 15 15
C. su c. f. (soprano) C. in canone alla quinta C. in canone alla quinta
49 50 51
323298631 — — — —
34 632 3507633 35 634 : bis
8 — —
C. su c. f. (soprano) — —
Trinità 52
—
—
Gott, der Vater, wohn' uns bei
=
=
53:
—
—
Allein Gott in der Hóh sei Ehr
-—
—
54
— . —
DÒ
—
Der du bist Drei in Finigkeit
—
—
Gelobet sei der Herr, der Gott Israel
—
E
475
Weimar (1708-1717)
reihe
BWV
Titolo
da
Tipo formale
B. GLAUBENSLIEDER
(Canti della Fede) Lodi 56
—
—
Meine Seele erhebt den Herren
—
57
—
—
Herr Gott, dich loben alle wir
ems
58
—
—
Es stehn vor Gottes Throne
--
59
—
—
Herr Gott, dich loben wir
—
60
Lera
=
O Herre Gott, dein góttlich Wort
—
61
36
635
Dies sind die heil'gen zehn Gebote
20
62
—
—
Mensch,
—
63
—
—
Herr Gott, erhalt uns für und für
—
64
—
—
Wir glauben all'an einen Gott
-—
65
9729630
Vater unser im Himmelreich
12
66
—
—
Christ, unser Herr, zum Jordan kam
67
—
—
Aus tiefer Noth schrei'ich zu dir
—
68
—
—
Erbarm' dich mein, o Herre Gott
—
69
—
—
Jesu, der du meine Seele
=
70
—
—
Allein zu dir, Herr Jesu Christ
-—
Dogma
willst du leben seliglich
C. su c. f. (soprano)
C. su c. f. (soprano)
Battesimo —
Confessione
71
—
—
Ach Gott und Herr
—
72
—
—
Herr Jesu Christ, du höchstes Gut
—
73
—
—
Ach Herr, mich armen
—
Siinder
74
—
—
Wo
75
—
—
Wir haben schwerlich
sollt'ich fliehen hin
— —
76
3912637
Durch Adam's Fall ist ganz verderbt
16
C. su c. f. (soprano)
77
39
14
C. su c. f. (soprano)
Assoluzione 638
Es ist das Heil uns kommen
her
Comunione 78
—
—
Jesus Christus, von uns
unser
Heiland,
79
—
—
Gott sei gelobet und gebenedeiet
—
80
—
—
Der Herr ist mein getreuer Hirt
—
476
der
—
Weimar (1708-1717)
Eros N.
BWV
Titolo
MEAN po füstale
81
—
—
Jetzt komm? ich als ein armer Gast
—
—
82
—
—
O Jesu, du edle Gabe
—
=
83
—
—
Wir danken dir, Herr Jesu Christ, dass du das Làmmlein
—
E
84
—
—
Ich weiss ein Bliimlein hiibsch und fein
—
—
Christen,
—
—
Seel’, den Herren
—
—
Canti del ringraziamento 85
———
Nun freut
euch,
lieben
g mein 86
—
—
Nun lob’, mein’
87
—
—
Wohl dem, der in Gottes Furchtsteht
—
-—
88
—
—
Wo Gott zum Haus nicht giebt sein’
e
—
89
—
—
Was
will, das gescheh'
—
—
her zu mir, spricht Gottes
—
-
Canti della vita cristiana
Gunst mein
Gott
allzeit
90
—
—
Kommt Sohn
91
40
639
Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ
18
C. in trio
92
—
—
Weltlich Ehr' und zeitlich Gut
—
—
93
—
—
Von Gott will ich nicht lassen
—
—
94
—
—
Wer Gott vertraut
—
—
95
—
—
Wie’s Gott gefällt, so gefällt mir's auch
—
—
96
—
—
O Gott, du frommer Gott
—
-—
97
—
98
41
99
—
100
42
Canti della consolazione In dich hab’ich gehoffet, Herr
—
In dich hab'ich gehoffet, Herr (alio modo)
10
C. su c. f. (soprano)
—
Mag ich Unglück nicht widerstahn
-—
—
64
Wenn wir in höchsten Nöthen sein
9
640
—
101
—
—
An Wasserflüssen Babylon
==
—
102
—
—
Warum betrübst du dich, mein Herz
—
—
103
==
AS
Frisch auf, mein’ Seel’, verzage nicht
=
=
—
—
Ach Gott, wie manches Herzeleid
=
—
—
—
Ach Gott, erhór'mein
Seufzen und
—
I
So wünsch’ ich nun eine gute Nacht
—
—
104 105
È 106
Wehklagen —
—
477
"
C. ornato (soprano)
Weimar (1708-1717)
rad2
BWV
Titolo
A
Tipo formale
—
Ach lieben Christen, seid getrost
—
—
107
—
108
cara
Wenn dich Unglück thut greifen an
—
-—
109
—
—
Keinen hat Gott verlassen
—
—
110
—
—
Gott ist mein Heil, mein Hülf’ und Trost
—
—
111
=
e
Was
—
LI
—
—
15
C. su c. f. (soprano)
Gott thut, das ist wohlgetan,
kein einig 112
—
—
Was
Gott thut, das ist wohlgetan,
es bleibt gerecht 113
43
642
Wer nur den lieben Gott lässt walten
Canti della Chiesa 114
—
—
Ach Gott, vom Himmel sieh darein
—
e
115
—
—
Es spricht der Unweisen Mund wohl
—
--
116
—
—
Ein feste Burg ist unser Gott
—
-—
1:7,
—
—
Es woll uns Gott genädig sein
—
—
—
—
Wir Gott nicht mit uns diese Zeit
_
—
. 118 119
—
—
Wo Gott, der Herr, nicht bei uns hält
—
—
120
—
—
Wie schön leuchtet der Morgenstern
—
-—
121
—
—
Wie nach einer Wasserquelle
—
—
122
—
—
Erhalt uns, Herr, bei deinem Wort
—
—
123
—
—
Lass mich dein sein und bleiben
—
—
124
—
—
Gieb Fried’, o frommer, treuer Gott,
—
—
du
125
—
—
Du Friedefürst, Herr Jesu Christ
—
—
126
—
—
O grosser Gott von Macht
—
—
Canti della morte e della sepoltura 127
—
—
Wenn mein Stündlein vorhanden ist
—
—
128
—
—
Herr Jesu Christ, wahr Mensch und
—
=
120
—
—
Mitten wir in Leben sind
—
—
130
—
—
Alle Menschen miissen sterben
—
—
131
44
643
Alle Menschen müssen sterben (alio modo)
16
C. su c. f. (soprano)
Gott
132
—
—
Valet will ich dir geben
—
—
193
—
—
Nun lasst uns den Leib begraben
—
—..
134
—
—
Christus, der ist mein Leben
—
—
135
—
—
Herzlich lieb hab' ich dich, o Herr
—
—
136
—
—
Auf meinen lieben Gott
—
478
1
—
Weimar (1708-1717) N. progetto
BWV
Titolo
Tipo formale
137
Herr Jesu Christ, ich weiss gar wohl
138
Mach's mit mir Gott nach deiner Güt
139
Herr Jesu Christ, mein's Lebens Licht
140
Mein Wallfahrt ich vollendet hab’
141
Gott hat das Evangelium
142
Ach Gott, thu dich erbarmen
143
Gott des Himmels und der Erden
144
Ich dank dir, lieber Herre
Canti del mattino
145
Aus meines Herzens Grunde
146
Ich dank dir schon
147
Das walt mein Gott
Canti della sera 148
Christ, der du bist der helle Tag
149
Christe, der du bist Tag und Licht
150
Werde
151
Nun
152
Danket,
munter,
mein Gemüthe
ruhen alle Wälder
Canti della mensa dem Herrn, denn er ist
153
Nun
154
Lobet den Herrn, freundlich
155
Singen wir aus Herzens Grund
156
Gott Vater, der du deine Sonne
lasst uns
Gott, dem
Herren
denn er ist sehr
Canti della Penitenza 157 . 158
Jesu, meines Herzens
Freud
Ach, was soll’ ich Sünder machen
159
Ach, wie nichtig, ach wie flüchtig
160
Ach, was ist doch unser Leben
161
Allenthalben, wo ich gehe
162
Hast du denn, Jesu, dein Angesicht /
Soll ich denn, Jesu 163
Sei gegriisset, Jesu, giitig / O Jesu, du edle Gabe
164
Schmiicke dich, o liebe Seele
479
C. su c. £. (soprano)
Weimar (1708-1717)
Da un punto di vista formalistico, i corali dell'Orgelbüchlein hanno una fisionomia inconfondibile e rivelano un'unitaria applicazione costruttiva, una concezione tecnica assai omogenea;
la « traduzione»
strumentale delle melodie procede secondo schemi precisi, mentre la lunghezza stessa delle parafrasi non supera quella dei corali originali. La forma è, nella grande maggioranza dei casi, quella generica del «corale contrappuntistico », quale era stata applicata da Buxtehude nei suoi Choralvorspiele; fanno eccezione nove corali in canone (BWV 600, 608, 618, 619, 620, 624, 629, 633, 634), tre corali ornati (BWV 614, 622, 641), un corale in trio (BWV 639), un corale in forma di
fantasia (BWV 615). L'elaborazione è sempre serrata, priva di improvvisazioni e senza « intermezzi » fra un versetto e l’altro (unica eccezione è la citata fantasia In dir ist Freude BW'V 615); è perciò esclusa la pratica alternatim col coro. Inoltre, il cantus firmus è sempre al superius, come avviene in Buxtehude, ad eccezione di un corale (BWV 611)
in cui il cantus firmus è all’altus. Il trattamento è quasi costantemente a 4 voci; si discostano dalla norma solo pochi corali: uno è a 3 voci (BWV 639), due a 5 voci (BWV 619, 633), mentre due altri (BWV
599, 615) variano da 4 a 5 voci. Tutti i corali, infine, prevedono l'elaborazione della sola prima strofa del corale, ma uno, eccezionalmente (il BWV 627), svolge le tre strofe del cantico. Da questa disposizione formale dell’Orgelbiichlein, nonostante la presenza di alcune varietà d'impostazione, si può ricavare un tipo, un modello
di corale organistico a sé stante, nel quale il corale è intonato in maniera rigorosamente contrappuntistica. Non si tratta, naturalmente, di armonizzazioni, ma di elaborazioni strumentali, con caratteristiche tecniche ben precise, ribadite, del resto, dalla finalità dichiaratamente
pedagogica e scolastica della raccolta (ma infondata e sostanzialmente falsa è la notizia che l'Orgelbüchlein fosse stato concepito per il figlio Wilhelm Friedemann). A questo proposito, occorre ricordare che la raccolta assolve per l'organista la medesima funzione delle Invenzioni e Sinfonie e di tutte le altre raccolte per strumento a tastiera che Bach destinò a scopi didattici. C'è da aggiungere che il musicista, con la sua illuminata perspicacia per i fini pratici, volle ispirarsi alla particolare funzione liturgica dell’organo e, quindi, volle impartire una vera e propria lezione di tecnica del corale, adoperandosi a sviluppare
il materiale di base secondo un determinato modo
o tipo stilistico,
allo scopo di fornire all’organista « principiante» un solido fondamento. Alle tecniche superiori egli sarebbe arrivato in seguito, con
la pubblicazione dei Katechismuslieder, nella terza parte della Clavier-
übung (1739).
\
Nonostante la mancanza del testo, i rapporti con questo sono assai stretti; la circostanza è stata più volte assunta per documentare x
480
Weimar (1708-1717)
la natura del simbolismo che si nasconde dietro le varie figurazioni tecniche. Per contro,
queste sono
di una varietà inaudita e costitui-
scono quasi un «repertorio » di casi, specialmente dal punto di vista della struttura ritmica. L'impalcatura delle singole .composizioni comporta
vari piani ritmici,
antitetici
e diversamente
concepiti.
Salvo poche eccezioni (vedansi in genere, i corali in canone e su tutti il corale Christe, du Lamm Gottes [BWV 619], che è curiosamente uniforme), le composizioni dell'Orgelbüchlein prevedono un superius che espone la melodia in valori relativamente lunghi, una parte di bassus (pedale) con funzione di ostinato o di interpunzione ritmicaconcertante
o comunque
di voce fondamentale, cioè di fondo, in
valori generalmente brevi (le note tenute sono evitate con scrupolo); e infine due parti centrali (altus e tenor) a loro volta diverse per struttura, assai più mosse, ricche di agili figurazioni contrappuntistiche:
ZI] =
481
Weimar (1708-1717)
Da Jesus an dem Kreuze stund BWV ( 482
621
)
n. 23 dell "Orgelbüchlein.
1 Weimar (1708-1717)
Specialmente considerevole è il « meccanismo » della paste del pedale, tanto che l'Orgelbüchlein può essere definito un vero e proprio prontuario (se il termine non suona a detrimento dei valori espressivi e della «cantabilità» che pervadono anche la più minuta delle figurazioni bachiane) della tecnica di accompagnamento, elevata al medesimo rango e importanza delle voci superiori. Il principio stilistico generale che guida e informa l’elaborazione del corale nell’Orgelbüchlein è assai simile a quello impiegato nelle Partite giovanili; e tuttavia, il discorso riserva una carica emotiva
che non regge il confronto con quel tipo di musica, governato da una
concezione, per cosi dire, casalinga e domestica. Semmai il confronto
sembrerebbe più naturale con la copiosa e densa raccolta dei corali armonizzati a 4 voci che Bach predispose e che fu poi pubblicata in quattro volumi da Johann Philipp Kirnberger e da Carl Philipp Emanuel Bach; ma tale confronto risulta ugualmente artificioso, se si pensa che questi corali seguono un principio compositivo (quello appunto di una semplice armonizzazione) che è estraneo all'Orgelbüchlein, la cui natura è spiccatamente strumentale e contrappuntistica. Resta però il fatto che, come avviene nelle armonizzazioni a 4 voci, lo schema ritmico (indipendentemente dai diversi piani ritmici tipici
delle varie parti), una volta stabilito, rimane immutato: la composi-
zione non conosce, cosí, rotture o sbalzi, ma si presenta dinamicamente uniforme, secondo un principio che pare contrastare nettamente con
la pratica dei predecessori (si pensi ad uno Scheidt) e con quella stessa tecnica che Bach impiega nelle altre opere, anche del medesimo genere. Composizioni senza affanno, senza illusioni formali, ma tutte sinteticamente elaborate secondo un unico sistema (e però, quanta varietà nel sistema!), lasciando all’onda dell’intelligenza e del sentimento il
compito di variare l’emozione di ogni cantico; sotto questo punto di vista, mai opera sembrò più modesta, umile e saggia dell’Orgelbüchlein. Il blocco dei 45 (46) corali ha una forza interna che annulla la parzialità delle analisi, le quali non possono che soddisfare qualche esigenza della curiosità critica; e d’altra parte, sarebbe inutile predisporre un monumentale apparato di esegesi, tenendo conto della qualità poetica ed edificante di ciascun corale, o raffrontando le varietà delle figurazioni contrappuntistiche e ritmiche con precise intenzioni espressive, o considerando la diversità delle tecniche impiegate per la realizzazione strumentale, o analizzando, infine, la copiosa
simbologia del procedimento musicale.
;
|
Non è possibile, tuttavia, rinunciare a tracciare qualche linea direttiva o, meglio, qualche frammentaria indicazione sulla realtà del
linguaggio bachiano in questa circostanza. Ogni corale è un organismo
a sé stante, ma rivela parentele con l’intero ciclo, parentele di ordine 483
Weimar (1708-1717)
stilistico, ma soprattutto di natura ideale. La sintesi deriva anche da una costante scelta delle possibilità tecniche. Ora sarà il cromatismo intenso suggerito da Pachelbel, come in Das alte Jahr vergangen ist (BWV 614), uno dei tre corali ornati, o come in Christus, der uns
selig macht (BWV 620) e in Durch Adam's Fall ist ganz verderbt (BWV 637); ora sarà l'irrompente consistenza di un basso ostinato, come in Dies sind die heilgen zehn Gebot (BWV 635) dove la figurazione è suggerita dalla melodia stessa del corale, o come nell'analogo Ich ruf’
zu dir, Herr Jesu Christ (BWV 639) e in Herr Gott, nun schleuss den Himmel auf (BWV 617); ora sarà la continuità di un uniforme e complementare discorso melodico d'accompagnamento al corale, come in Alle Menschen müssen sterben (BWV 643), in Christ ist erstanden (BWV 627), in Herr, Christ, der ein'ge Gottes Sohn (BWV 601), oppure sarà la netta differenziazione melodica fra le varie parti, come in Hilf
Gott, dass mir's gelinge (BWV 624) e in Der Tag, der ist so freudenreich (BWV 605). In ogni caso, i vari elementi non dànno luogo a distorsioni della forma, ma ne costituiscono solo le varianti, le modalità
discorsive. Priva di dispersioni, la rappresentazione procede adottando, secondo l'occasione, questo o quell’elemento, ma non si allontana mai da una ideale dimensione tecnico-espressiva. Ma latteggiamento stilistico è solo un fattore complementare dell'organismo musicale. Si prenda il caso delle nove composizioni nello stile del cantus firmus in canone;
qui, nell'ambito
di una sola
tecnica (che, ricordo, fu prediletta da Walther) possiamo confrontare elaborazioni d'una grande varietà. Si va dal caso di Christe, du Lamm
Gottes (BWV 619, in canone alla duodecima) che si. presenta uguale in tutte le sue parti, quasi come in una struttura rinascimentale, al caso di Hilf Gott, das mir's gelinge (BWV 624) che & curiosamente immerso in una atmosfera da corale in trio, con un canone alla quinta
confinato nelle due voci superiori. E ancora: il canone può .essere trattato nel superius e nel bassus come un pretesto per sviluppare un abile dialogo contrappuntistico nelle due voci centrali (si vedano Christus, der uns selig macht [BWV 620], e, in misura minore, Erschienen
ist der herrliche Tag [BWV 629], Gott, durch deine Güte [BWV 600]
e In dulci Jubilo [BW'V 608] tutti canoni all'ottava), oppure può costituire l'ossatura di un vero e proprio gioco concertante come nello stupendo
«adagio»
O Lamm
Gottes, unschuldig
(BWV 618)
che prevede un canone alla quinta fra l’altus e il bassus e una imitazione stretta fra superius e tenor. A sé sta il Liebster Jesu, wir sind hier a 5 voci, di cui esistono nell’Orgelbiichlein, come si è già detto, due versioni (BWV 633 e 634), una discretamente ornata, e l’altra dai contorni
più marcati e senza ornamenti (che Bach ha contrassegnata « distinctius»): la composizione, forse scritta sotto l’influenza di Walther, si
484
Weimar (1708-1717)
presenta come un canone alla quinta sviluppato al superius e all’altus,
con l'indicazione forte, mentre eseguite piano.
le due voci centrali devono
essere
Tutta questa varietà di atteggiamenti, nell'ambito di un medesimo
procedimento, provoca certamente una rottura o un frazionamento
dello stile, ma presuppone sempre un'unitaria e superiore concezione dell'organismo musicale. Tali atteggiamenti sono meditati caso per caso e scelti dal musicista con intenzione e sempre con riferimento ai motivi del testo; ma la psicologia e il soggettivismo delle immagini,
in questo caso, interessano relativamente; il simbolismo ha un valore
solo didascalico e perció bisogna trovare altre giustificazioni critiche. In primo luogo, ciò che conta è la durevole inclinazione a trattare il materiale melodico secondo un'assoluta originalità tematica. L'autentica esperienza bachiana non è tanto nella comprensione sentimentale del Lied e nell'accompagnamento che vuole in qualche modo tradurre
in simboli o comunque in segni il contenuto spirituale, quanto piuttosto
nell'individuale potenza dell'idea, nella dinamica costruttiva che ogni frammento possiede, sino al suo esaurimento nell'economia dell'opera. L'Orgelbüchlein vive per il suo essere musica individuale, espressione del sentimento religioso; ma i corali dell'Orgelbüchlein non sono né dei poemi in miniatura, né astrazioni meccaniche di un campionario stilistico, né tanto meno oggetti musicali da scoprire attraverso
la soluzione di enigmi psicologici e simbolistici. Esclusa una finalità virtuosistica, che Bach rifiutó sempre di considerare, nonostante la fama di virtuoso
che egli si era acquistata presso 1 contemporanei,
il destino dell'Orgelbüchlein si puó solo spiegare con l'individuazione di un fatto storico che il flusso musicale di coloro che stavano prima
o intorno a Bach non basta a determinare e giustificare. Questo fatto storico potrebbe essere identificato nella fondamentale vocazione architettonica che muove il pensiero bachiano. Il Choralvorspiel era
stato coltivato, con intenti non differenti da quelli che ritroviamo in
"Bach, presso compositori della levatura di Pachelbel, Buxtehude, Bóhm e Walther, ma la costituzione polifonica del Konzertmeister di Weimar non & uha mera applicazione esterna alla linea melodica
e non è soltanto una conseguenza dell'affetto che il musicista ha
«immaginato »: il lavoro tematico s'inserisce nel primitivo materiale, non tanto con l'intento di commentarlo, di parafrasarlo, ma piuttosto
con lo scopo, oserei dire, di annullarlo,
di sostituirsi ad esso, di
modificarne totalmente la struttura espressiva. Il processo tecnicostilistico rivela puntualmente un condizionamento soggettivo, una
definizione personale del clima religioso; quindi, non una traduzione di immagini, ma una creazione squisitamente « ambientale ». Non più forme in libertà, applicazioni mitiche e, per cosí dire, usuali di 485
Weimar (1708-1717)
intenzioni espressive, non più una teoria degli affetti, un'adozione di be Ì schemi prestabiliti. Ciò è evidente ad ogni passo. Il canone dell'Orgelbüchlein è in tutti i casi un puro schema, ma la vera realtà dell'elaborazione sta nelle voci indipendenti, che non subiscono l'attrazione canonica. Persino nei tre corali ornati, la melodia originale viene totalmente trasformata sotto l'impulso di una «arte del cantabile» soggettiva. Si guardi allo stupendo
corale della Passione O Mensch, bewein’ dein’ Sünde gross
(BWV 622), che & uno dei piá impressionanti capolavori di Bach: la vicenda virtuosistica delle fioriture & in funzione non di una coloritura (come era il caso, ad esempio, del pur splendido Vater unser im Himmelreich di Bóhm), ma di una maggiore consapevolezza drammatica, che si nota anche nella presenza di elementi esteriori, come la robusta linea cromatica nella parte finale del basso e in quel curioso | adagissimo che chiude il brano:
A
Adagissimo
Corale O Mensch, bewein’ dein’ Sünde gross (BWV 622), n. 24 dell'Orgelbüchlein, batt. 22-24.
La commozione è sollecitata da un continuo mutamento della struttura ornamentale, la quale non è limitata alla voce del canto, ma coinvolge, in una inebriante esaltazione sonora, anche le altre voci; nel medesimo tempo, la differenziazione ritmica fra le varie parti risulta talmente accentuata da conferire al brano una profondità musicale, un senso prospettico quale, in egual valore ma con diverse
dimensioni, troveremo nel gigantesco corale figurato a 2 cori della Matthauspassion (finale prima parte), in cui figura la stessa melodia. 486
Weimar (1708-1717)
Un analogo discorso vale per il melanconico Das alte Jahr vergangen ist (BWV 614) che rivela un trattamento cromatico addirittura stupefacente e per il toccante Wenn wir in höchsten Nöten sein (BWV 641). Altre volte la melodia originale viene sommersa dalla esaltazione cui sono soggette le altre voci; si pensi all'eadagio» Christum wir sollen loben schon (BWV 611), dove la melodia originale del corale è poco più di una figurazione ritmica sovrapposta a un gioco elaborato di concertazione contrappuntistica; oppure al commovente Mit
Fried’ und Freud’ ich fahr dahin (BWV 616), nel quale il processo tematico muove
da una cellula ritmico-melodica assai cara a Bach,
quasi annullando l’importanza del superius. . Ma non passeremo in rassegna tutti i corali dell’Orgelbiichlein, onde non perderci in una casistica che qui è fuori luogo. Una rapida conclusione sul valore e sul significato dell’opera s'impone non solo per fissare un momento particolare della produzione bachiana o localizzare un tipico atteggiamento che il musicista non riprenderà mai più, ma piuttosto per chiarire a noi stessi la singolarità del fenomeno, singolarità che non è meno evidente nell'Orgelbüchlein di quantolo sia, per altro verso, nel Clavicembalo
ben temperato, nella
Offerta Musicale o ne l'Arte della fuga. Non si tratta di indagare i propositi che Bach aveva avanzato
nel predisporre l’opera, ma
di
trovare la ragione intima di tale condotta musicale. Che l’opera dovesse essere una « scuola del pedale » è fatto che oggi ci lascia indifferenti o, tutt'al più, può stupirci per l'estrema modestia che Bach dimostrò nell'annunciare un lavoro di tale mole e cosí fondamentale per l’arte organistica di ogni tempo. L’opinione di Schweitzer — l'Orgelbüchlein è il dizionario della lingua musicale di Bach — ha dominato incontrastata la ricerca critica per interi decenni; le figure retoriche per definire l’affetto, i « loci topici » hanno finito con il materializzare il significato dell'Orgelbüchlein ridotto, anche contro le piá pure intenzioni, a un campionario di formule; il fascino dei testi dei corali, d'altra parte, è tale che è
difficile rinunciare a scorgere le piá minute traduzioni musicali a cui essi possono essere soggetti; inoltre, il gusto di quel tempo richiedeva ad un simboquasi assiomaticamente la rispondenza della notazione lismo generico, quando addirittura non elevava quel simbolo (spesso nascosto fra sconcertanti allegorie numeriche) a suprema giustificazione della creazione poetica. L'Orgelbüchlein mirava, in ultima analisi, a dar vita ad un puro mondo di pensieri, ad analizzare, si direbbe, caso per caso, le infinite
possibilità della fantasia e della libera concezione strumentale: non vi è frammento o periodo di un brano che si possa ricondurre ad un altro, e ciò non già per la presenza di un diverso schema melodico 487
Weimar (1708-1717)
(quello del corale), ma per un calcolato e preciso senso della varietà, nel ritmo come nelle'figurazioni contrappuntistiche, nella forma come nello stile, nel bilanciamento delle voci come
nella condotta
dell'accompagnamento. L'ordine individuale ha la prevalenza sul sentimento della collettività; il corale non è pit uno strumento in mano alla comunità religiosa, ma & la manifestazione di una spiccata personalità poetica ed è il frutto di una soggettiva esaltazione spirituale. Il modo di tradurre in suoni quel mondo, cosi strettamente legato ad una liturgia precostituita, è inteso non più nel suo senso originario
di distaccato ma funzionale rispetto delle norme create da una lunga tradizione per l'edificazione spirituale e per l'esaltazione del culto, bensi nel nuovo senso di dimensione privata, di religiosità personale,
di alienazione dal culto esteriore. In questo senso le impressionanti strutture dell'Orgelbüchlein (impressionanti proprio perché minute e quasi miniaturistiche) ci pongono di fronte alla necessità d’indicare una interpretazione del tutto particolare nel complesso dell’opera organistica di Bach: nonostante il piano liturgico dei 164 corali, predisposto da Bach stesso, nonostante la perfetta corrispondenza fra
corale vero e proprio e parafrasi organistica, nonostante l’altissima spiritualità che investe ogni pagina, l'opera ha un valore, per cosi dire, astratto, che sembra maturato nella sfera del puro intelletto, non
diversamente dall’ Arte della fuga o dalle Variazioni Goldberg. Un'« arte del corale », dunque, con tutti quei crismi che il campo d'azione d'un tale esercizio razionale, ma
saldamente
ancorato
alla realtà di una
poetica musicale, comporta e rivendica.
L'Orgelbüchlein è una lezione di scienza, una lezione di gusto che il Bach trentenne impone a tutti i suoi contemporanei, rivoluzionando
totalmente la pratica organistica posta al servizio del culto. La fredda, metodica, compassata fissità del corale si trasforma, non già perché venga meno il rispetto all'antica melodia, ché anzi il processo si compie senza violare o minimamente intaccare il tradizionale austero legame liturgico-popolare, bensi perché l’invenzione musicale si personalizza ed il poeta penetra là dove prima non si notava che la presenza di un rito, di un apparato esteriore. È una trasfigurazione che si compie dall'interno; si sente l'approfondimento e piá ancora la teorizzazione di una forma, di-un modo di «pensare in musica »,
di una esigenza religiosa; del resto, il minor sfarzo sonoro, il razionale controllo della fantasia, la modestia della forma, se cost si può dire,
che contraddistinguono l’Orgelbiichlein devono pur significare qualcosa, al di sopra dei limiti che il musicista si era imposto: una « deviazione» che Bach tentò per imporre una contrazione della pratica corrente; e ci viene il sospetto che egli abbia troncato il lavoro per non perdersi nel labirinto di una concezione troppo fine a se stessa. 488
Weimar (1708-1717)
31. Le composizioni libere per organo. BIBLIOGRAFIA: vedere anche $ 20. Reinhard Oper, Die grosse A-moll-Fuge für Orgel und ihre Vorlage (su BWV 543), in BJ III (1906), pp. 74-78; Woldemar Voricr, Über die F-dur- Toccata von J. S. Bach (su BWV 540), in BJ IX (1912), pp. 33-41; Dietrich Kırıan, Studie über Bachs Fantasie und Fuge c-Moll (BWV 562), in Hans Albrecht in memoriam, Gedenkschrift mit Beiträgen von Freunden und Schülern, a cura di Wilfried BrEnNECKE e Hans Haase, Bärenreiter, Kassel 1962, pp. 127-135; Walter EMERY, Bachs rudiments (su BWV 543/2), in « The Musical Times » CVIII (1967), pp. 3234; Reinhold Birk, Bachs Toccata in F [BWV 540] und Beethoven Eroica, Satz I. Gedanken zur Barockmusik und ihrer Interpretation an Hand eines Werkvergleichs, in «Musik und Kirche» XL (1970), pp. 261-276; Hartmut Braun, Eine Gegenüberstellung von Original und Bearbeitung, dargestellt an der Entlehnung eines Corellischen Fugenthemas durch J. S. Bach (su BWV 579), in BJ LVIII (1972), pp. 5-11; David G. Mursunv, Bach’s Passacaglia in C minor. Notes Regarding Its Background, Essence, and Performance, in « Bach. The Quarterly Journal» III (1972), pp. 14-27, 12-20, 17-24; Ernest May, J. G. Walther and the Lost Weimar Autographs of Bach's Organ Works, in Studies in Renaissance and Baroque Music in Honor of Arthur Mendel, a cura di Robert L. Mansnarr, Bärenreiter, Kassel e J. Boonin, Hackensack (New Jersey) 1974, pp. 264-282.
Il periodo di Weimar,
che come
altri momenti
della creazione:
bachiana (con l'unica eccezione della lunga e definitiva permanenza
a Lipsia) pare soggetto ad un respiro unitario, ad una maniera creativa caratteristica e sua particolare, è in realtà scandito da un ritmo interno,
da tempi e modi di lavoro che unicamente per mancanza di dati noi non siamo in grado di determinare o quanto meno individuare: un vento maligno si ostina a sospingere fitte e oscure nubi all'orizzonte di chi osserva, compromettendo la visione critica delle cose. L'unico
vero ritmo interno riconoscibile è, come si è visto, quello legato alla
realizzazione periodica di cantate imposta al nuovo Konzertmeister a partire dalla primavera del 1714. La critica ha cercato, in qualche modo,
d'interrompere e precisare meglio la successione delle opere compiute a Weimar, nel tentativo di meglio capire le ragioni di quella stagione creativa, ma & con scarso convincimento che ci si accosta a periodizzazioni in cui l'epoca di Weimar risulta spartita in fasi viziate dal sospetto che tutto il processo critico sia un processo indiziario, fondato non su prove, ma su ipotesi e sospetti. Hi Cosi, è del tutto convenzionale e forzata la spartizione delle opere organistiche di tipo «libero » in due distinti tronconi, separati l'uno dall'altro da un ingiustificato intervallo di tempo in cui l'organista
avrebbe abbandonato le armi; quell'intervallo —
ma non si sa fino
a qual punto la circostanza sia stata coscientemente valutata — coincide 489
Weimar (1708-1717)
con il tempo della vacatio all'organo della cappella di corte (estate 1712 - primavera 1714), quando lo strumento dovette essere rimesso nelle mani dell'organaro Heinrich Nicolaus Trebs per le necessarie | riparazioni e migliorie. Non per questo — come sappiamo — venne
meno l'esercizio dell'arte organistica, che Bach continuó a sviluppare con una certa regolarità nella Chiesa Municipale dei SS. Pietro e Paolo di cui era organista titolare il cugino Walther. E con ampio beneficio d'inventario, pertanto, che ci si accosterà al principio delle due fasi cronologiche, l'una individuata negli anni
1708-1712 (ma con netta prevalenza per l'assegnazione della materia ‘ al 1708-1709) e l'altra localizzata negli anni 1714-1717 (ma insistentemente centrata intorno al 1716). Apparterrebbero al primo momento le opere contrassegnate BWV
543, 550, 563, 564, 565, 570, 574, 578,
579, 588, 589, su alcune delle quali —
per altro —
incomberebbe
lombra di una possibile anticipazione agli anni di Arnstadt e di Mühlhausen; apparterrebbero al secondo momento, invece, i numeri BWV 534, 536, 537, 540, 562 e 582, per alcuni dei quali & certo o
fortemente probabile che siano stati in parte compiuti a Lipsia. Per maggiore chiarezza, sarà bene — forse — ripartire la materia
considerandola per generi. Otto di quelle opere rispondono al collaudato binomio di preludio o fantasia o toccata seguiti da una fuga: BWV
1. Praeludium et Fuga in fa minore
534
2. Praeludium et Fuga in la maggiore
536
3. Fantasia et Fuga in do minore
55»
4. Toccata et Fuga in fa maggiore
540
5. Praeludium et Fuga in la minore
543
6. Praeludium et Fuga in sol maggiore
550
7. Fantasia et Fuga in do minore
562
8. Toccata con fuga in re minore
565
A queste opere occorre aggiungerne una nona, la Toccata in do maggiore BWV 564, che & composizione tripartita costituita da un brano introduttivo, da un adagio e da una fuga. Due soltanto fra
queste composizioni sono note in copia autografa: BWV
536 e 562.
Nel primo caso, l'autografo, che fu visionato da Griepenkerl quando
questi apprestó il vol. II delle composizioni organistiche bachiane per la Peters (1844), & da tempo perduto: era appartenuto al Kapellmeister di Francoforte sul Meno Carl Wilhelm Ferdinand Guhr (morto 490
Weimar (1708-1717)
nel 1848), possessore anche di altri autografi bachiani (BWV 574, 582, 766, 910) misteriosamente scomparsi. L’autografo di BWV 562, invece, è tuttora conservato (BB/SPK P 490), ma la fuga è incompleta (sono registrate solo le prime 27 misure); mentre della prima parte della composizione (la Fantasia) si conoscono varie copie coeve (fra cui una di Kellner: BB/SPK P 288), della fuga non esiste altra fonte, sicché lopera risulta irrimediabilmente mutila, a meno di qualche
sensazionale scoperta che ne consenta l'integrale ripristino. In mancanza degli autografi, per le altre pagine suppliscono fonti secondarie ma di rilevante interesse: uno dei tre volumi miscellanei già appartenuti a Walther e ai Krebs (nel caso in questione: BB P 803) . per BWV 537, 540, 564; il manoscritto miscellaneo di Johann Peter Kellner (BB/SPK P 288) contenente BWV 543, oltre la citata Fantasia di BWV 562; copie di Johann Andreas Dróbs per BWV 534, di Gottfried August Homilius per BWV 550 (BB/SPK P 1090) e di Johannes Ringk per il famosisimo BWV 565 (BB/SPK P 595). Due composizioni, infine, sono note anche in varianti, che ne costi-
tuiscono probabilmente la prima versione: BWV 536a e 543a (e in quest'ultima il Preludio risulta essere di 43 battute contro le 53 della versione definitiva). Lo stile arcaico s'impone nelle fughe di BW V 534, 536, 540, sorrette in gran parte da strutture che sono echi, ripercussioni della pratica del ricercare: a quello stile — che in qualche misura si riconnette al contatto maturato in quegli anni con i frescobaldiani Fiori Musicali — si conformano anche l'incompleta (o incompiuta?) Fuga di BWV 562 e le fughe per BWV 538, 545 e 546 che, con molta probabilità, furono
concepite
a Weimar, ma poi integrate da preludi scritti a Lipsia.
Si tratta, dunque, d’una maniera di far contrappunti rigorosa e serrata,
ma spesso dilatata da « divertimenti » che finiscono con l'imporre il maggiore e massimo accento sulla fuga e a intendere il preludio come . una semplice preparazione alla esercitazione contrappuntistica. La situa-
zione di soggezione del preludio alla fuga è ben riflessa in BWV 534 (il Preludio è di 76 battute, la Fuga a 5 voci di 138), in BWV 536 (Preludio = 32; Fuga = 182), in BWV 537 (Fantasia — 48; Fuga = 130). In analoga situazione si trova anche BWV
543, che secondo l’inter-
pretazione corrente sarebbe stato scritto in due diversi momenti: il Preludio (53 battute) a Weimar, intorno al 1709, la Fuga (151 battute) negli anni di Lipsia, ma trasformando una precedente Fuga per cembalo (BWV 944 di 198 battute) realizzata a Kóthen. La composizione & fra le piá note del repertorio organistico ed ? un'esemplare manifestazione dello stylus phantasticus, caratterizzato da ravvicinate mutazioni di ritmo e di figurazioni: quartine e terzine, arpeggi (sul pedale di tonica tenuto fisso per 14 battute), improvvise volatine 491
Weimar (1708-1717)
e un episodio (da battuta 36 alla conclusione) in cui pare farsi avanti lo stile di concerto.
Il predominio quantitativo (ma anche di impegno costruttivo e di applicazione delle qualitä inventive) che si rileva nella fuga in rapporto al preludio, trova una smentita — o un'eccezione, se si vuole—
nel Praeludium (Toccata) et Fuga in fa maggiore (BWV 540), una delle piá monumentali opere destinate all'organo. Il Preludio occupa 438 misure, uno spazio che sconfina dal concetto stesso di preludio (di qui la preferenza talvolta accordata a questa pagina nel classificarla
come toccata; cfr. anche NBA IV/5); la Fuga & contenuta in 170 battute, ma si presenta articolata su due temi di diverso carattere: il primo (batt. 1-69) in stile di ricercare; il secondo (batt. 70-146) di veste piü agile, mentre una sezione conclusiva (batt. 147-170) riunisce i due soggetti. Il Preludio & una manifestazione gloriosa di spirito d'improvvisazione: le figure proposte vengono dilatate nello spazio sino al limite della rottura, con un'insistenza tale da rendere virtuosistici elementi che in sé non
lo sono.
Su questa pagina, che
taluni in considerazione dell'estensione della pedaliera assegnano al periodo di Kóthen, si apre una,dimensione strutturale spartita in sezioni regolari: due grandi blocchi, il secorido dei quali (batt. 168-
438) sviluppa un discorso fra il pedale e i due manuali per accordi simultanei o spezzati. E sul primo blocco, tuttavia, che si concentra l'attenzione, perché in quello s'impone il duplice ordine architettonico determinato l'uno da un episodio (batt. 1-54) in cui i due manuali
sviluppano a mo' di invenzione un contrappunto a due parti su un pedale di tonica ininterrotto:
492
Weimar (1708-1717)
Toccata et Fuga in fa maggiore per organo (BWV 540), batt. 1-8 della Toccata.
e l'altro (batt. 55-80) da un virtuosistico passaggio del pedale solo; il medesimo discorso viene poi replicato su un diverso livello tonale
rispettivamente alle batt. 83-136 (e, perció, con pari lunghezza) e alle batt. 137-169. Si tratta, dunque, dell'innesto di processi ripetitivi — tanto piá evidenti nella seconda parte del preludio — che solo la magniloquenza dell'organo giustifica e che solo una calcolata interpretazione del contributo che lo strumento può dare alla comunità cristiana come messaggero di fede può salvare dal pericolo della monotonia e dal farsi portatore d'indifferenza. Cosí, ancora una volta, fra il banale e il sublime corre un'inezia.
Due delle composizioni di questo gruppo propongono la fuga come prosecuzione della pagina iniziale, senza uno stacco nel discorso. Sono i casi del Praeludium et Fuga in sol maggiore (BWV 550), che
presenta una fuga (« alla breve e staccato » è la didascalia indicata nel manoscritto
principale,
redatto
da Homilius),
e la celebratissima
Toccata con Fuga in re minore (BWV 565), straordinaria manifestazione
di un Bach giovane, forse anteriore all’epoca di Weimar. Su questa pagina tanto ardita quanto fornita di immediata
evidenza musicale,
alla portata di tutti, ricca di effetto e poderosamente dotata di un eclettismo stilistico che non denota scompensi di equilibrio né fratture
interne, si è sviluppata gran parte della popolarità dell’opera organistica bachiana, probabilmente a scapito: di composizioni che avrebbero meritato maggiore attenzione. Ma tant'è: anche le trascrizioni-elabo-
razioni pianistiche di Tausig e di Busoni o quelle sinfoniche di Stokowski hanno contribuito a deviare il corso logico di un’opera alla quale non si puó né si deve chiedere l'esercizio di un ruolo incantatorio, magico, rituale, di un'opera cui non è lecito attribuire connotati di simbolo né, tanto meno, di summa. In realtà, la pagina
& una manifestazione — certo, non la piá vistosa — della grande arte organistica della scuola nordica: Bruhns e Reinken, Buxtehude e 493
Weimar (1708-1717)
Lübeck sono i padri putativi chiamati in causa per risolvere il problema di un virtuosismo tanto piá penetrante ed impressionante quanto piü costruito con mezzi semplici, elementari, di facile accesso, assai vicini
a quell’arte dell'improvvisazione che qui allontana da sé le architetture contrappuntistiche. La composizione & tripartita, ma tende a
modellarsi tutta sul principio della toccata di libera invenzione. Il primo episodio (29 battute complessivamente) accosta lo stile recitativo e rapsodico (adagio), spezzato da corone, contenuto in spazio
ridottissimo e sciolto in arpeggi, scale e accordi dissonanti (veri e propri grumi di materiale sonoro) allo stile di toccata (prestissimo) fatto di formule e figurazioni fisse in progressione. La Fuga (97 battute) si sviluppa direttamente dalla prima sezione, ma in maniera lineare,
senza adottare organizzazioni polifoniche e subito avviandosi a calcare una concezione di tipo concertante, poi abbandonata per cedere il passo ad un episodio (batt. 59-85) spavaldamente toccatistico. Una sezione conclusiva (batt. 127-143) riprende lo stile recitativo (qui expressis verbis indicato), alternando fasi dinamiche di segno opposto (adagissimo - presto - adagio - vivace - molto adagio sono le indicazioni prescritte in brevissimo spazio), che frantumano il blocco della composizione, con esiti entusiasmanti. Connotati singolari ed eccezionali presenta la Toccata in do maggiore (BWV 564), esempio unico dell'applicazione allorgano — se si eccettuano le Sei Sonate (BW'V 525-530) scritte forse per un cembalo con pedaliera — del principio formale del concerto tripartito in stile italiano, anche se la parte iniziale & schiettamente toccatistica. La com-
posizione, che trova corrispettivi in opere cembalistiche coeve (le toccate BWV 911, 913, 914, 916, ad esempio) & costituita da tre momenti, il secondo dei quali & un adagio di concerto solistico, mentre
il terzo & una fuga. Il primo movimento (84 battute), a sua volta, presenta tre sezioni nettamente differenziate: la prima (batt. 1-12) & formata da liberi passaggi in scala, da un'ampia figurazione spezzata fra i due manuali e avviata da una specie di motto due volte proposto; la seconda (batt. 13-30) & risolta interamente da una cadenza virtuosistica affidata al pedale; la terza (batt. 31-84) & una sorta di fantasia contrappuntistica dominata da una progressione ascendente a ritmo spezzato, affidata alternativamente al primo e al secondo manuale con l'intervallo di una battuta fra una proposta e l'altra (batt. 1 e 3, 7 e 9, 19 e 21, 30 e 32, 46 e 48). Un mirabile adagio, che potrebbe
figurare splendidamente come tempo centrale di un concerto violinistico, prepara la grande fuga, costruita su un tema di straordinaria semplicità, dalla scarna veste melodica ma di grande incisività ritmica: il trattamento è alquanto libero e ha funzioni concertanti, quasi combinando insieme il carattere austero di fuga e il tono svagato di preludio.
494
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Pagina autografa della Fantasia et Fuga in do minore BWV (Berlino, BB P 490).
562
Weimar (1708-1717)
Delle due composizioni qualificate come Fantasia e Fuga (BWV 537 e 562), la prima & nota attraverso una delle raccolte manoscritte di Johann Ludwig Krebs (BB P 803), dove è riportata con l'espressione finale « Soli Deo Gloria», seguita dalla data «d. 10 Januarij 1751» (dunque, meno di sei mesi dopo la morte di Bach): il termine fantasia è senza dubbio più appropriato di quello di preludio, con il quale la composizione è talvolta designata, poiché si tratta non di una libera maniera, ma di un episodio a carattere strettamente imitativo, non
lontano da certe fantasie di Pachelbel (ad esempio, la Fantasia in sol minore). Piá complessa è la Fantasia BWV 562 (quella con la fuga mutila di cui si è detto), massiccia polifonia a 5 voci, resa agile da una rigogliosa applicazione di abbellimenti, il cui tema — secondo un'indicazione di Hermann Keller — sembrerebbe imparentato con una fuga di Nicolas de Grigny, l’autore francese di cui Bach nel 1713 copiò l'intero Premier Livre d'Orgue. Il discorso bachiano è qui condotto su linee rigorose, ma si chiude, quasi per siglare una liberazione, con
una cadenza in stile recitativo. Fantasie e fughe separate — non conglobate, cioè, in dittici organici — figurano. fra le altre composizioni assegnabili al periodo di Weimar. Si tratta delle seguenti opere: 9. Fantasia in si minore 10. Fantasia in do maggiore
11. Fuga in do minore 12. Fuga in sol minore 13. Fuga in si minore
hi
BWV 563 570 574 578 579
Quattro di queste composizioni (ne è esclusa la BWV trovano
nell’Andreas-Bach-Buch,
un
manoscritto
miscellaneo
579) si conte-
nente opere cembalo-organistiche di vari autori (15 sono le pagine di Johann Sebastian) che, come si è già visto (p. 33), fu in possesso di Johann Andreas Bach [65], ma che fu compilato dal di lui fratello maggiore Johann Bernhard [62]. Le due fantasie divergono nettamente da quelle già esaminate e culminanti in una fuga, sebbene la prima (BWV 563) sia seguita da una fughetta senza pretese, che il manoscritto intitola, innocuamente,
imitatio. Ben maggiore impor-
tanza hanno le tre fughe, la prima delle quali (BWV 574) è conservata anche in una tardiva copia (BB/SPK P 279; circa 1800) che porta la dicitura Thema Legrenzianum, elaboratum cum subiecto pedaliter per J. S. Bach. La pagina, che mi pare atto gratuito anticipare agli anni di Lüneburg (!), deve essere considerata nel contesto, delle grandi operazioni compiute da Bach sugli autori italiani, francesi e tedeschi negli anni di Weimar, con trascrizioni, elaborazioni, copie di lavori 496
Weimar (1708-1717)
per l'uso della cappella del principe e a beneficio della propria attività di maestro e di didatta. L'opera del musicista che fu a capo della cappella di San Marco — Giovanni Legrenzi, lo ricordo, era morto a Venezia nel 1690 — era dunque conosciuta anche oltre i confini patrii, ma ancora non si è riusciti ad identificare da quale composizione
Bach abbia tratto lo spunto per questa fuga, che si presenta a due soggetti (il secondo entra alla batt. 37) e con una sezione conclusiva, una stretta, in cui i due soggetti sono proposti insieme (da batt. 70 alla fine, batt. 104), non diversamente da quanto accade nella fuga di BWV
540. Al di là di una certa allure arcaica, la composizione
mostra di essere un saggio non secondario del moderno intendere di Bach, che nel caso specifico giunge a rovesciare il binomio « toccata e fuga» e a concludere l’opera, quando ormai il discorso sembrava definitivamente risolto, con una perorazione toccatistica di 14 battute,
dai colori vistosi e appropriati ad un cerimoniale solenne. Dell'opera si conoscono
due altre versioni
(BWV
574a e 574b), anteriori, la
prima delle quali priva della «toccata ». Un altro degli interventi di Bach sul materiale fornito dai maestri italiani — e a questo proposito occorrerà ricordare anche le due fughe cembalistiche (BWV 950 e 951) su temi di Albinoni — è documentato dalla Fuga in si minore (BWV 579), il cui doppio tema è estratto dalla quarta delle Sonate da chiesa a tre op. III (Modena 1689) di Arcangelo Corelli. La composizione, che è nota attraverso tre manoscritti, uno
dei quali proveniente dal lascito di Kellner (BB/SPK P 804), si configura come un ricalco del fugato corelliano, qui trasformato in autentica fuga, con l'aggiunta di una quarta voce e un considerevole aumento dell'estensione, portata da 39 a 102 battute; non & soltanto
l'inserimento di due « divertimenti » (batt. 25-30 e 65-72) a determinare l'incremento
dell'originale stesura
di Corelli, ma
l'intera condotta
delle parti che, giuocando sul dualismo dinamico impresso dal doppio
tema, l'uno ben scandito e per moto
discendente, l'altro cromatico
€ per moto ascendente:
Fuga in si minore per organo
497
(BWV
579), batt. 1-4.
FA =
Weimar (1708-1717)
vot
dilata il discorso: le sei entrate del doppio tema volute da Corelli diventano dieci in Bach (cfr. batt. 1, 11, 21, 31, 37, 49, 53, 73, 90, 96), con continui scambi di posizione fra i due elementi tematici, ribaltati
fra le varie voci. Minore rilievo ha la terza delle fughe di quel gruppo — (BWV 578), quantunque la pagina sia dotata di un tema straordinariamente fluido, costituito da tre clementi, fra i quali i due ultimi
fungono da materiale propulsore per'il controsoggetto; si noterà, soprattutto, la grande vitalità del dialogo di stile concertante fra le parti negli episodi liberi (i divertimenti). Tre pagine di diverso taglio formale ed impegno costruttivo completano il panorama della produzione organistica di Weimar: BWV
14. Passacaglia in do minore
582
15. Canzona
588
in re minore
16. Allabreve in re maggiore
589
Le due ultime composizioni sono prodotti certamente secondari, ma a tal punto complementari che non se ne potrebbe trascurare la portata. La Canzona, che denota la conoscenza dei modelli frescobal-
diani (i Fiori Musicali erano alle porte), è concepita in due sezioni, differenziate nel metro
(4/4 e 3/2, rispettivamente), ma con unico
tema, a ritmo puntato e sincopi, sia pure diversamente strutturato.
In qualche modo, si tratta di una particolare applicazione del principio della variazione, reso ancor più esemplarmente manifesto dal fatto
che il « controsoggetto » della prima sezione costituisce la « risposta » nella seconda, mentre in questa il controssoggetto è il medesimo della
prima sezione ma a valori più larghi:
498
Weimar (1708-1717)
Canzona in re minore per organo
(BWV
588).
Es. 27 B
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milazione, non certo sco
oa
Su simili artifici e su altri
blocco contrappuntistico
27308 Ss 8.
4 Id., batt. 71-78.
rinascimentali. Nel P rocesso di adozione ra gionata dei modelli ita liani s "inserisce
anche quel A llabreve che secondo Keller ha un punto in comune con 499
Weimar (1708-1717)
il Concerto grosso in re maggiore op. VI n. 1 di Corelli (inizio del sesto
movimento). L'intitolazione — che & accompagnata dalla prescrizione pro Organo pleno — non deve essere intesa nel senso di indicazione di tempo, ma risponde ad una condizione stilistica votata a sottolineare la grande arte antica del contrappunto, qui affrontata trasferendo sull'organo una scrittura di tipo mottettistico, pluriarticolata e sostanzialmente parente stretta di quella applicata nella Canzona. Culmine
della creazione organistica di Weimar
& la Passacaglia,
che per similitudine formale viene spesso accostata, in un ipotetico dittico, alla Ciaccona con cui si chiude la Partita II per violino solo, BWV 1004. L'accostamento & determinato dal principio sul quale
le due composizioni si fondano, la ciaccona e la passacaglia essendo entrambe danze costruite in stile di variazione sopra un tema ostinato,
ma con differenze di impostazione che, per altro, non paiono regolate da norme fisse. Il Mattheson (Der Volkommene Kapellmeister, 1739) poneva l’elemento dissociante nella tonalità, avvertendo che nella passacaglia s'impiega la tonalità minore, mentre nella ciaccona si utilizza quella maggiore (ma la Ciaccona di Bach sta proprio a fornire il più qualificato esempio di composizione di questo tipo adottando il modo minore!). Altri teorici vorrebbero individuare la differenza nel fatto che il tema ostinato nella passacaglia può essere trasposto. E a questa tesi se ne aggiunge un’altra che considera il tema della ciaccona come una semplice successione di accordi che costituiscono
la base armonica per ognuna delle variazioni, mentre quello della passacaglia funge da elemento motore per lo sviluppo delle singole
variazioni. Certo è che, ad ogni modo, il termine passacaglia rende meglio l'idea di movimento insita nella forma, derivando dallo spagnolo pasacalle (= pasar una calle, camminar per la strada). L'andamento è lento (come già sottolineava Walther, 1732), processionale, solenne. i Le fonti manoscritte della Passacaglia bachiana (pubblicata per la
prima volta dall'editore Dunst di Francoforte nel 1834) sono numerose (una decina in BB), ma non particolarmente vicine al suo autore, se
si eccettua la copia realizzata da Johann Tobias Krebs (P 803). L'autografo & perduto (faceva parte della collezione Guhr, di cui si & detto, e fu ancora utilizzato da Griepenkerl per la sua edizione delle opere organistiche bachiane, volume I, 1844), mentre & di anonimo copista
il manoscritto BB/SPK P 274 che lo Schmieder indica come autografo. Il tema della composizione non & originale, ma ricavato dal Christe
della Messe du Deuziesme ton, anch'esso concepito come una piccola passacaglia, contenuto nel Livre d'orgue (Parigi 1688) dell'organista francese André Raison
(?, c. 1650 - Parigi, 1719), che a sua volta 500
Weimar (1708-1717)
doveva averlo estratto dall'antifona per il Communio
Acceptabis
sacrificium (e vien da chiedersi: che in questa scelta vi sia un recondito -
significato?). Dal tema, in ritmo anacrusico e di otto battute (contro le quattro usuali in questo genere di composizione) si sviluppa la salda architettura dell’opera, che è articolata in due sezioni: la prima comprende venti variazioni (per un totale, dunque, di 160 misure pit le 8 del tema), mentre la seconda è un thema fugatum (questa è l’espressione usata da Bach) di 124 battute. Reduce dalle esperienze delle partite
su corale, Bach affrontava ora una diversa applicazione del principio della variazione, intendendola, sulle tracce degli esempi forniti da Buxtehude e da Pachelbel, come una catena ininterrotta di Verän-
derungen, di alterazioni melodico-ritmiche su un basso ostinato. Sotto il profilo strettamente tematico, si può notare che le variazioni da 1 a 10 confinano il soggetto della passacaglia al pedale, senza modificarne la struttura:
soltanto nelle variazioni 5, 9 e 10 si assiste ad
una leggera alterazione del disegno-base sotto il profilo ritmico. Nelle variazioni 11 e 12 il tema passa al superius, nella 13 all’altus (primo manuale), mentre le variazioni 14 e 15 sono trasformazioni, in arpeggio, dello schema armonico; nelle successive variazioni il tema ritorna al pedale invariato, salvo che nella variazione
subisce una lieve alterazione ritmica. È sulla varietà dei disegni ritmici (che consentono
18 dove
i processi di
«accelerazione» e «decelerazione» tipici della passacaglia e della ciaccona) che s'innesta il copioso materiale contrappuntistico ideato da Bach; lo schema può essere cosi riassunto: E279
[
tema
d
2 pai
var. 7-16
dar
^
var. 17
dr
var. 4-5
Jes ^
var. 18
Js ^
var 6
dd d
var. 19-20.
77773
var.1-2
IN
var. 3
us a
Nella parte centrale — variazioni da 7 a 16 — il piede ritmico è uno solo, ma dì luogo a sequenze nello stile dei « passeggiati », variando al tempo stesso l'affetto e la condotta (direzione) delle parti. 501
Weimar (1708-1717)
La seconda parte della composizione & occupata dal thema fugatum (o fuga cum subjectis, come & detto in certi manoscritti). In questo caso Bach utilizza solo la prima parte del tema della passacaglia (le quattro prime misure) e lo avvolge nelle spire di due contrappunti obbligati, di due «controfigurazioni» di diverso carattere e valore ritmico, intendendo la composizione piá come una sorta di brano su cantus firmus vagante da una voce all'altra e talvolta alterato, che come una fuga con il suo caratteristico meccanismo motorio. Si tratta, dunque,
di una ars contrapuncti di natura particolare, in cui il tema è esaltato, ma senza enfasi peroratoria, nel rigore di una concezione che, prima
di tutto, mira a porre in evidenza i valori della polifonia, della concomitanza di voci discordi. Ben altri intenti muoveranno i compositori di epoche successive (da Beethoven a Schumann,
da Brahms
a Reger a Britten) sulla strada della fuga collocata in chiusura d'una serie di variazioni: la magniloquenza di simili processi neobarocchi di proliferazione non trova riscontro nella realtà della creazione bachiana, la quale — al contrario — è conservatrice di esperienze rinascimentali e, in ultima analisi, denota un cosciente adeguamento
ad uno stile antico fuori del proprio tempo ma ancora pieno di risorse.
32. Le composizioni per cembalo.
BisLIOGRAFHA: vedere anche $ 21.
John Alexander FurtER-MarrLAND, The Toccatas of Bach, in der Internationalen Musikgesellschaft» XIV (1912/13), pp. VALENTIN, Die Entwicklung der Tokkata im 17. und 18. Jahrhundert Archivium 45/VI), Münster 1930; Hans Herinc, J. S. Bachs in BJ XL (1953), pp. 81-96.
« Sammelbände 578-582; Erich (= UniversitäsKlaviertokkaten,
L'epoca di Weimar non & soltanto quella che segna il poderoso sforzo di assestamento inteso a dare all'arte organistica un repertorioguida, che si spingeva ben oltre le esigenze della piccola cappella di corte o, casualmente, della Stadtkirche, e ad individuare, al tempo stesso, la soluzione di certi problemi connessi alla funzione che lo
strumento deve esercitare nell'ambito del servizio liturgico. L'attività creativa esplicata nel campo delle composizioni libere (toccate, fantasie, preludi e fughe) conduce direttamente verso altre frontiere e trova un solido punto di aggancio e di confronto nelle analoghe opere scritte per il cembalo. Cosí, il settore che pare aver lasciato poche 502
Weimar (1708-1717)
tracce di sé negli anni giovanili (si è visto quante delle cosiddette opere nello stile giovanile siano in realtà lavori spuri o comunque viziati da troppi sospetti per essere considerati nell’area dell’autenticità bachiana), quel settore — dicevo — riceve ora a Weimar l’impulso che ci si doveva attendere da chi sapeva rendere stupefatti i contemporanei con giuochi sulla tastiera mai prima osservati e condotti con una conoscenza totale delle tecniche compositive ed esecutive, degli stili e delle maniere, quasi riassumendo è convogliando in sé la storia e l’esperienza di scuole dalla diversa estrazione e dai distinti orientamenti. L'incertezza dei riscontri cronologici che, come un’ombra sospetta grava su buona parte dell’opera strumentale, non consente di avviare un discorso attendibile di priorità sul complesso della produzione che, x
con buona approssimazione, si colloca nell’età di Weimar, anche se
per qualche quota di quell’apparato compositivo potrebbe valere una datazione anticipata ad Arnstadt o a Miihlhausen. È questo il caso di qualcuna delle sette toccate per cembalo, opere non riunite in un ciclo organico, ma convergenti per osmosi verso un'unitaria
concezione stilistica e chiamate ad esplorare un nuovo settore sperimentale. La mancanza totale di autografi (nessuna delle diciotto composizioni che elencheremo in questo paragrafo gode del privilegio di essere stata tramandata dalla mano di Bach ed in questo tali opere condividono il destino che già era stato delle pagine cembalistiche di piá antica data) non aiuta a risolvere quei problemi che, se ben focalizzati, potrebbero dirci molte cose sul reale processo compositivo bachiano. Per le sette toccate si sono sempre indicate date di composizione ruotanti intorno agli anni di Weimar. Secondo qualche studioso (Schmalzriedt) il quadro potrebbe presentarsi ora in maniera diversa: BWV 910 911 DI2 915 914 915
1. Toccata in fa diesis minore 2. Toccata in do minore 3. Toccata in re maggiore 4. Toccata in re minore 5. Toccata in mi minore
:
6. Toccata in sol minore 7. Toccata in sol maggiore
916
Anno c. c. c. c. c. c.
di composizione 1709-1712 1709-1712 1705-1708 1705-1708 1707-1710 1707-1710
c. 1710
| Le fonti principali sono, con varie repliche, alcune raccolte antologiche più volte citate: quella di Kellner (BB/SPK P 804) per BWV
910 e 912; l’Andreas-Bach-Buch
per BWV
910, 911 e 916;
la raccolta Mempell-Preller (Ms. 8) per BWV 910, 911, 912 e 913; il Möllersche Handschrift per BWV
912; una serie di altri manoscritti
berlinesi, ad esempio BB/SPK P 281 (BWV 913), BB/SPK P 213 503
Weimar (1708-1717)
e BB/SPK P 275 (BWV 914), BB/SPK P 1082 (BWV 915), BB P 803
(BWV 916). L'abbondanza delle fonti è in sé un chiaro sintomo della diffusione che tali opere ebbero fra gli allievi e seguaci di Bach, anche per le qualità di prototipi della forma-concerto che tali toccate presentano, con la loro struttura pluriarticolata, commista di stili diversi,
impostata su ritmi e soluzioni contrastanti e su opposizioni dinamiche
marcate. In effetti, il principio dominante è quello del concerto, dialogante fra solo e tutti, ma con ampi squarci di libera invenzione nello stile del « passeggiato » toccatistico o di rigorosa osservanza nello stile della fuga. La natura del concerto è particolarmente palese nella Toccata BWV 916, che è suddivisa in tre movimenti: un presto iniziale, un adagio centrale e un allegro finale in forma di fuga, secondo un costume che non era infrequente (e non è da sottovalutare il fatto che un manoscritto tardivo rechi proprio l'intitolazione di « concerto »). Il primo movimento — che non indica propriamente una specifica-
zione dinamica — rispecchia fedelmente lo schema tipico del primo tempo di concerto, alternando le proposte del tutti (in numero di cinque) a quelle del.solo (quattro), l’ultima delle quali sviluppata in una vera e propria cadenza costruita su uno stilema toccatistico (come succederà nel Quinto Concerto Brandeburghese): del resto, è proprio dalla toccata che la cadenza virtuosistica del solista trae la propria origine. L'adagio, nel tono di mi minore, presenta una chiusa che,
dopo la riaffermazione della tonalità di base, divaga su una cadenza modale preparando in tal modo l’entrata della fuga: è un comportamento, questo, che dimostra la perfetta assimilazione dei modelli italiani, ma il discorso — tuttavia — risulta irrobustito da una condotta
contrappuntistica insolita, per cui alla cantabilità ampia e maestosa di quella che sarebbe la parte solistica si oppone il muscoloso controcanto del tutti. Il finale è una fuga a tre voci, nel tempo di 6/8 e quindi abbastanza ben caratterizzata dal punto di vista ritmico, con movenze
di danza (frequenti nei finali di concerto) che riducono in parte la severità della concezione. Il principio della struttura tripartita è applicato anche nella Toccata BWV 911, ma la composizione si esaurisce in gran parte nella proposta d'una complessa ed ampia fuga a tre voci (175 battute). La composizione prende lavvio con un episodio preludiante in maniera libera, cui segue un adagio di stile arcaico che nella parte terminale usufruisce di una cellula ritmico-melodica già apparsa in apertura. La breve pagina cede subito il posto alla fuga nell’ambito della quale si colgono due distinte « esposizioni », entrambe concluse con passaggi di libera improvvisazione, il primo alle batt. 49 e 52 e il secondo (batt. 171-175) giuocato sul contrasto di un adagio e di 504
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un presto. Nonostante la palese vicinanza a modelli toccatistici contemporanei (si pensi alle toccate di Georg Muffat), la composizione si riallaccia ad organizzazioni musicali quasi cadute in disuso. Contrariamente alla prassi impostasi nei primi momenti del Settecento tendente ad un tipo di toccata dominato dal principio del perpetuum mobile, un principio cioè che nega cittadinanza al tematismo e allo
sviluppo tematico per slanciarsi in figurazioni ritmiche ostinate sfruttando al massimo le qualità virtuosistiche dell'esecutore, Bach si attiene ancora alla concezione contrappuntistica rigorosa ed a questa, anzi,
erige una sorta di monumento nella stretta condotta polifonica della fuga, che è la vera protagonista, il punto culminante e risolutore di questa come di tutte le restanti toccate per cembalo. Conforme allo spirito del concerto italiano sembra essere anche la Toccata BWV
912, una delle tre (le altre sono BWV
913 e 914)
dalla struttura quadripartita. L'allegro di apertura prende l'avvio da un episodio introduttivo di dieci battute in passaggi liberi e si sviluppa poi secondo trattamenti scopertamente concertanti. Segue un adagio,
nel quale sembra d'intravvedere un tentativo di fusione fra la tecnica del concerto e quella della toccata. L’adagio, tuttavia, non « chiude» e prosegue, dopo una «fermata» su una corona, con un episodio
libero (indicato con discrezione) sfociante in un improvviso presto sul quale s'innesta, infine, la fuga, anche questa a tre voci, ampia, csal-
tante, ritmicamente mossa nel tempo eccezionale di 6/16. Anche la Toccata BWV 913 si presenta con un allegro di apertura avviato da quindici battute preludianti, ma evita poi il modello del concerto per irrigidirsi in una breve struttura accordale (batt. 15-27) per poi nuovamente presentarsi in termini più liberi nelle ultime cinque battute. Attacca quindi un allegro (qualificato come thema) in stile di doppia fuga (con due temi similari) che solo nelle ultime battute si scioglie in un discorso meno rigoroso, cedendo poi il passo ad uno splendido adagio, in stile di arioso, costruito su una cellula ritmicomelodica reiterata: Es. 29
505
Weimar (1708-1717)
Toccata in re minore per clavicembalo
(BWV 913), n. 3, batt. 4-8.
La fuga finale è una sorta di « variazione » del secondo tempo. La più famosa fra le toccate del gruppo è, probabilmente, quella
in mi minore (BWV 914), nel cui ambito possiamo distinguere due momenti, il primo dei quali è suddiviso in tre sezioni. L'opera si apre con un breve preludio (13 battute): una semplice formula sviluppata consente di raggiungere, dopo brevi divagazioni, l'accordo sulla tonica; segue un episodio di carattere più meditativo e chiaramente in stile organistico, con reminiscenze frescobaldiane (28 battute); un'ultima sezione (adagio, 29 battute) concede allo strumentista un maggior spazio per far valere le proprie qualità di abile tastierista, con passaggi in libertà, rapide successioni di note, improvvisi capovolgimenti del disegno melodico, rotture del ritmo, progressioni armoniche. A queste tre sezioni, in cui propriamente consiste quella che è la toccata in senso stretto, segue un’ampia fuga a tre voci: dal punto di vista contrappuntistico, il brano si rivela semplice, con vistosi scorci a due voci, e interessante soprattutto per l’articolazione ritmica,
condotta sulla costante proposta di note ribattute. Due
sono
i movimenti
costituenti
la Toccata
BWV
915, ma
il
primo (78 battute) è tripartito: quattro misure di liberi passaggi in terzine, un intenso arioso (adagio, batt. 5-17), un allegro che si con-
figura come un « doppio fugato »; il secondo movimento è una fuga a tre voci sviluppata in due sensi, utilizzando tanto la figura fondamentale (molto accentuata sotto il profilo ritmico, puntato) quanto il suo rivolto. 506
Weimar (1708-1717)
Unica fra le sette opere, la Toccata BWV 910 & in cinque sezioni delle quali la terza e la quinta sono delle fughe (l'una a tre, l'altra 5
quattro voci), mentre la prima è un libero preludio e la quarta un movimento di transizione fra le due fughe; la seconda sezione (lento) è invece un arioso di stile arcaico, nello spirito di Frescobaldi. Il 1709 è la data assunta come punto di riferimento cronologico
per la serie di sei fughe (ma il catalogo dello Schmieder colloca BWV 948 a Kóthen intorno al 1720), sulla cui autenticità in passato erano stati sollevati alcuni dubbi:
BWV
8. Fuga in do maggiore
946
9. Fuga in la minore
947
10. 11. 12. 13.
Fuga Fuga Fuga Fuga
in in in in
re minore
la maggiore la maggiore su un tema di T. Albinoni si minore su un tema di T. Albinoni
948 949 950 951
Fonti principali per tali opere sono, ancora una volta, l’AndreasBach-Buch (BWV 949), l'antologia di Kellner BB/SPK P 804 (BWV 949 e 950), il Ms. 8 della raccolta Mempell-Preller (BWV 951, che
è contenuto anche in BB P 801, dove il copista è, in questo specifico caso, Johann Gottfried Walther). Dal punto di vista storico il maggiore interesse va alle due fughe costruite su temi estratti dalle Sonate a tre dell'op. 1 di Tommaso Albinoni (pubblicate da Giuseppe Sala a Venezia nel 1694, ma probabilmente note a Bach attraverso una delle ristampe di Amsterdam ad opera di Estienne Roger). Le sonate prese in considerazione da Bach sono rispettivamente la Terza (per BWV 950) e l'Ottava (per BWV 951), in entrambi i casi il secondo
movimento (allegro). Notevolmente più ampio è il trattamento riservato ai due temi da parte di Bach rispetto ad Albinoni: nel primo caso 99 battute contro le 48 del maestro veneziano, nel secondo 112
(ma esiste anche un’altra versione — BWV 951a — di 88 battute) contro le 36 di Albinoni. Qualche cosa di analogo era già successo, lo. si è visto, nella contemporanea Fuga in si minore per organo (BWV 579) su tema di Corelli. È noto che Bach conosceva profondamente
le opere
di Albinoni
e che, anzi, soleva
utilizzare,
per
istruire i propri allievi sulla pratica del basso continuo, i soli per violino di Albinoni, come è documentato da Ernst Ludwig Gerber nel proprio lessico (1790) a proposito delle lezioni che suo padre aveva preso da Bach
(BD 1L; 9507-6; del resto, ci è stato conser-
vato un esempio (BB Mus. ms. 455) di basso realizzato da Gerber per la Sesta Sonata in la minore dell'op. VI di Albinoni (Trattenimenti 507
Weimar (1708-1717)
Armonici per Camera divisi in dodici Sonate, c. 1712) con correzioni autografe di Bach. L'elenco delle restanti opere cembalistiche assegnabili al periodo di Weimar & presto fatto: BWV
14. Ouverture in fa maggiore
15. 16. 17. 18.
820
Preludio e fuga in la minore Fantasia in sol minore Preludio (Fantasia) in la minore Aria variata alla maniera italiana in la minore
894 - 917 922 989
L’Andreas-Bach-Buch ci viene in soccorso in due casi (BWV 820 e 989; quest’ultimo & replicato anche in BB P 801, copiato da Johann Tobias Krebs, e in BB/SPK P 804 dove compare pure BWV 894); anche nella raccolta Mempell-Preller sono due le composizioni rappresentate: nel Ms. 7 BWV 917 (che figura anche nel Möllersche Handschrift)
e nel Ms.
8 BWV
922 (che & anche in BB P 803, copiato
ancora da Krebs). La più nota di queste opere è probabilmente l’Aria variata, ripor-
tata da più fonti talvolta con un numero di variazioni inferiore alle dieci del manoscritto più autorevole (quello dell'AndreasBach- Buch,
in cui fra l’altro il tema risulta fortemente abbellito). La composizione si colloca nel filone delle partite per organo (BWV 766, 767, 768) e non certo in quello dominato dal contrappunto rigoroso e dal principio del canone che si ritroverà nelle Goldberg-Variationen (BWV 988). Nel manoscritto redatto da Krebs (P 801, che porta solo nove variazioni) si leggono alcune specificazioni dinamiche: var. 1= largo; var. 4 e 8= allegro; var. 5 e 7= un poco allegro; var. 6 = andante; il fatto è stato interpretato come una prova che la composizione originariamente doveva essere stata scritta per uno
strumento (violino) e basso continuo, dal momento che l’uso d'indicare i tempi riguardava la musica violinistica e da camera in genere,
non quella cembalistica; volendo accogliere tale tesi, dunque, si deve
supporre che la composizione sia stata ridotta per il cembalo. Resta il fatto, comunque, che lo stile della pagina è tipicamente violinistico (la scrittura è sempre a due voci, con la sola eccezione della var. 10) e consta di semplici variazioni ornamentali (di qui la qualifica alla maniera italiana), tendenti a modificare i valori di tempo: solo nel-
l'ultima variazione la figura musicale adottata riprende l'assetto che
era stato del tema. La data approssimativamente indicata per l’Aria variata è il 1709; alla medesima epoca risalirebbe anche l'Ouverture BWV 820, che 508
Weimar (1708-1717)
è un'altra esemplificazione dello stile francese. Anche nel caso di quest opera — che dopo l'ouverture in senso stretto propone una entrée, un menuet con trio, una bourrée e una brevissima gigue — si potrebbe sostenere la discendenza da un lavoro orchestrale ridotto per il cembalo. Del 1710 circa sarebbero le due composizioni indicate BWV 917 e 922, entrambe scritte nello stile di una fantasia con passaggi liberi
in apertura: la prima è caratterizzata da un fugato, mentre la seconda
presenta la reiterazione di due figure (l'una proposta circa 70 volte, l'altra oltre 100) tale — a detta di Hermann Keller — da sottoporre a dura prova la pazienza dell'ascoltatore e dell'esecutore. Al 1717, infine, a conclusione degli anni di Weimar, viene assegnato BWV 894,
un'ampia composizione che Bach trasformerà poi in un Concerto per flauto, violino, cembalo, archi e continuo
(BWV
1044), utiliz-
zando anche il secondo movimento della Terza Sonata per organo (BWV 527). Il carattere vistosamente concertante del preludio deve aver indotto Bach — il quale era alla ricerca di materiale per il Collegium musicum di Lipsia — alla trasformazione, avvenuta forse una
quindicina d'anni dopo (dopo il 1730). Il principio del contrasto tutti e solo & avvertibile anche nella fuga: lo spirito del concerto, ormai, aveva felicemente raggiunto la mano
di Bach, al punto da avviare
ogni genere e forma musicale verso quel gusto.
509
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PARTE QUINTA
3
CAPITOLO
PRIMO
Le vicende biografiche
BIBLIOGRAFIA
GENERALE
Rudolf BungGe, J. S. Bachs Kapelle zu Cöthen und deren nachgelassene Instrumente, in BJ II (1905), pp. 14-47; Wilhelm Berucr-Walther Górzz, J. S. Bach 1685-1750 und sein Wirken in Cöthen 1717-1723. Ein Führer durch die Bachabteilung des Cöthener Heimatmuseums (= Schriftenreihe des Cöthener Heimatmuseums, Heft 1), Cöthen 1925; Wilhelm HorrMANN, Die Bezüge J. S. Bachs aus der Cöthener Kammerkasse 1717-1729, in « Askania. Wochenblatt für Vaterländische Geschichte. Beilage zur Cöthenschen Zeitung», Jahrgang XXIV (1926), pp. 79 e sgg.; Walther GòTZE, J. S. Bach. Hochfürstlich-Kötenscher Kapellmeister 1717-1723. Neues über den Meister in Köthen, in « Serimunt. Blätter des Vereins Heimatmuseum für Stadt und Kreis Köthen. Beilage zum Köthener Tageblatt », Jahrgang X, Folge 6, 29-3-1935; Walther VETTER, Der Kapellmeister Bach. Versuch einer Deutung Bachs auf Grund seines Wirkens als Kapellmeister in Köthen, Akademische Verlagsgesellschaft Athenaion, Potsdam 1950; Friedrich SMEnD, Bach in Köthen, Christlicher Zeitschriftenverlag, Berlin s.a. (1951); Ernst König, Neuerkenntnisse zu J. S. Bachs Köthener Zeit, in BJ XLIV (1957), pp. 163-167; Ip., Die Hofkapelle des Fürsten Leopold zu Anhalt-Köthen, in BJ XLVI (1959), pp. 160-167; In., Zu J. S. Bachs Wirken in Köthen, in BJ L (1963-64), pp. 53-60; Ip., Johann Jeremias Göbel, ein Zeitgenosse des Köthener Bach, in « Wann und wo?», Köthen dicembre 1967, pp. 1-3 e gennaio 1968, pp. 1-2.
33. La citta e la corte. BIBLIOGRAFIA
Carl Friedrich Hartmann, Geschichte der evangelisch-lutherischen St. AgnusKirche in Köthen, Köthen 1799; W. Beısser, Die restaurirte Riformirte
513
Köthen (1717-1723) Kathedral-Kirche zu St. Jakob in Cöthen, Cöthen 1876; Oskar HarTUNG, Geschichte der reformierten Stadt-und Kathedralkirche zu St. Jakob in Cöthen, Cöthen 1898; Ip., Geschichte der Stadt Köthen bis zum Beginn des 19. Jahrhunderts, Köthen 1900; Hermann WAscHKE, Anhaltische Geschichte, 3 voll., Dessau 1912-1913; Robert SCHULZE, Köthen in Anhalt, Köthen 1923; Walther GòTZE, J. S. Bach und Fürst Leopold von Anhalt-Köthen, in « Serimunt. Blätter des Vereins Heimatmuseum für Stadt und Kreis Köthen », Jahrgang X, Folge 8/9, 26-4-1935; Paul EHRHARDT, Gisela Agnes- Bach. Bilder aus Köthens Vergangenheit, Köthen 1935; Ernst HAETGEMarie Luise HARKSEN, Die Kunstdenkmale des Landes Anhalt, vol. II, 1: Landkreis Dessau-Köthen; erster Teil: Die Stadt Köthen, Burg 1943.
Köthen o Cöthen? La grafia moderna segue la prima forma, definitivamente impostasi sull’altra — storica — soltanto negli ultimi cinquant'anni, più precisamente a partire dal 1923. Le coordinate geografiche
dànno
per
Köthen
una
posizione
quasi centrale,
di
baricentro e perno, nel quadrilatero che tocca a settentrione Bernburg e Dessau e a meridione Halle e Bitterfeld; mentre, nell'ideale triangolo isoscele che a ovest converge su Eisleben, la città di Lutero, e a est su Wittenberg, il centro storico della Riforma, la sede prescelta dal
grande agostiniano per rendere pubbliche le 95 tesi della sua appassionata protesta, Kóthen si trova a mezza strada, come pare giusto per una città che fu investita d'una funzione equilibratrice, simile all'asse d'una bilancia, nella piccola contesa fra riforma ortodossa, luterana, e riforma calvinista.
La regione cui appartiene Köthen non & piü la selvosa e collinosa Turingia, amante
dei silenzi, ma
l'industriosa
Sassonia,
adagiata in
quella parte su un pianoro ricco di acque. La città, che ai nostri tempi conta circa 50.000 abitanti e all'inizio del Settecento era popolata da circa 5.000 unità, aveva fatto parte, nella sua storia meno remota, di un
territorio — l'Anhalt — spartito fra due ducati indipendenti: quello di Anhalt-Bernburg e quello di Anhalt-Dessau-Kóthen, poi unificati nel 1863 e quindi scomparsi, naturalmente, nel mostruoso dissesto
del 1918. Quel territorio era stato dominio dell'omonima famiglia
degli Anhalt, la cui dinastia era stata fondata da Enrico (morto nel 1244), nipote di Alberto l'Orso (Alberto I di Ballenstedt), margravio del Brandeburgo e fondatore della grande casata degli Ascani, cui sono legate sino al primo ventennio del nostro secolo tutte le vicende storiche di quella porzione di Germania. Gli Anhalt sino allo spirare del XVI secolo erano passati attraverso un impetuoso rivolo di frazionamenti in rami di modesta consistenza. Nel
1603, finalmente,
si era giunti al riconoscimento
formale
di
quattro rami: Anhalt-Zerbst (estintosi nel 1793 e dal quale discendeva la grande Caterina, zarina di tutte le Russie), Anhalt-Kóthen (estintosi nel 1847), Anhalt-Bernburg (estintosi nel 1863) e Anhalt-Dessau 514
Köthen (1717-1723)
(sopravvissuto sino ai giorni nostri). Köthen, dunque, dal 1603 era
sede di un principato che faceva parte del ducato di Anhalt prima che questo venisse spartito nei due ducati indipendenti di cui si à detto. Il ramo dei principi di Anhalt-Kóthen aveva conosciuto il momento di maggiore splendore sotto il regno di Ludwig (1579-1650), protettore delle lettere e delle scienze, ma il piccolo sovrano si era rivelato scarsamente incline a valorizzare il mondo della musica a motivo della sua tenace e rigorosa osservanza della confessione calvinista, notoriamente ostile alla musica figuralis. Era stato il padre di Ludwig, il principe Johann Georg, ad imporre — correva l'anno 1595 — la fede calvinista su tutto il territorio di Kóthen; la cosa aveva sollevato non pochi malumori in tutti i ceti sociali (non si dimentichi che Kóthen era nel giusto mezzo di un'area geografica tutta luterana) e, insomma, non era con una semplice ingiunzione, con un decreto che si poteva emarginare il sentimento luterano che in quelle terre aveva trovato principio e conferma. Se in un primo tempo la stella del luteranesimo puro parve declinare (anche altrove alcune corti, ad esempio, Kassel e Nassau, si dimostrarono propense ad abbracciare la confessione calvinista), in seguito si
dovette registrare un riscatto del credo ortodosso. A tal punto era cresciuto sul finire del Seicento il numero di coloro i quali a Köthen dimostravano di preferire le pratiche religiose luterane che il principe regnante Emanuel Lebrecht fu costretto ad accordare nuovamente libertà di culto ai luterani. A distanza di un secolo dal momento in cui il luteranesimo era stato bandito dal territorio, la quarta domenica
di avvento del 1693 si celebró nuovamente il rito secondo il culto luterano. Al gesto, magnanimo, opportunista o legalitario che fosse, non era stata estranea la spinta venuta dalla consorte del principe, Gisela Agnes von Rath (Kleinwülknitz, 9 ottobre 1669 - Nienburg, 12 marzo 1740), di solida fede luterana. Il matrimonio, celebrato nel 1692, aveva destato scalpore e fra i sostenitori della linea calvinista
(a cui apparteneva la grande maggioranza della popolazione del principato) e fra i grandi esponenti dell’aristocrazia germanica: la famiglia dei von Rath, quantunque altolocata, apparteneva a quella «bassa nobiltà » di origine borghese, mal vista da chi poteva vantare feudi da lunga data e possedimenti aviti. Ma il principe aveva voluto siglare con un gesto coraggioso, anche se politicamente imprudente, una vicenda d'amore, che avrebbe poi avuto una risonanza nell'animo
popolare. E Gisela Agnes era donna di grandi qualità moräli e munita di quella saldezza d'animo e intelligenza delle cose che consentono il superamento anche di ardui ostacoli. Non fu certo per supina acquiescenza che il sovrano si decise all'importante passo di riaprire la strada al 515
Köthen (1717-1723)
culto luterano, ma piuttosto in omaggio ad un principio di eguaglianza
e di libertà al quale la sua mente illuminata non poteva rinunciare; la comunanza di spiriti, la vicinanza d'una donna che, quantunque di rango inferiore, egli aveva elevato alla propria altezza, fecero il resto
e condussero il principe a esaltare la convivenza fra fede luterana e devozione calvinista. Un segnale anche piá visibile dei nuovi tempi fu la decisione presa di innalzare una nuova chiesa, luterana questa, che si ponesse in docile
alternativa a quella calvinista, la St. Jakobskirche. Il nuovo tempio, inaugurato il 7 maggio 1699, fu dedicato all’Agnello di Dio; la Agnuskirche
era, nelle premesse
e nelle risultanze,
un
doveroso
omaggio alla principessa Gisela Agnes, la quale vorrà proseguire su quella strada nel momento in cui le toccherà di assumere la reggenza del principato, a causa della prematura morte dell'augusto consorte (1704) e nell'impossibilità giuridica del primogenito Leopold (allora appena decenne) di salire al trono: sarà un coronamento della sua politica di restaurazione illuminata della fede originale la creazione (1711) di una scuola luterana (quella stessa che poi frequenteranno anche i figli di Bach) e di un istituto per l'educazione delle fanciulle e il ricovero delle zitelle. Un altro segno, sottile ma importante, della penetrazione del rinnovato impegno luterano, fu la chiamata di tre musici agli ordini della corte, premessa per la costituzione di una vera e propria cappella, di un Collegium musicum, come lo qualificherà il principe Leopold,
atto a perseguire le finalità di un regolare servizio musicale. Gli Hoff-Musikanten nominati il 17 ottobre 1707 da Gisela Agnes, « principessa di Anhalt, duchessa di Sassonia, Enger e Vestfalia, contessa di Ascania e Nienburg, signora di Bernburg e Zerbst », rispondevano
ai nomi di Wilhelm Andreas Harbordt, di Johann Jakob Müller e di Johann Freytag. Alla nomina si era giunti dietro una denuncia (28 settembre) da loro firmata ed appoggiata dal principe ereditario Leopold, già in possesso di un'educazione musicale di prim'ordine (fra l'altro, eccelleva nel suonare la viola da gamba); i tre musici avevano fatto presente il comportamento ingiurioso e diffamante tenuto nei loro confronti dallo Stadt-Musikant Johann Georg Bahn, e il principe Leopold aveva subito colto l'occasione per sollecitare l'impiego a corte dei tre musici, desiderando esercitarsi con loro in quartetto. Le tappe della progressiva acquisizione della musica come pubblico servizio e ornamento della corte sono documentate da una serie di atti che, alla luce degli eventi, prepararono il terreno: all'assunzione di Bach e al conseguente primato raggiunto dalla cappella di Kéthen nella storia musicale di quel tempo. In mancanza di un sufficiente 516
Köthen (1717-1723)
appannaggio (7600 talleri all'anno, complessivamente), il governo del principe prima, della reggente poi, non poteva sopportare l'onere di un teatro di corte, ma non potevano mancare tuttavia certi pilastri
determinanti e propri di un istituto politico quale era una corte principesca. La Ludwigsbau — il castello che prendeva nome dal principe Ludwig che lo aveva fatto erigere e che aveva fatto di Kóthen una città florida e attraente — ospitava, ovviamente, anche la cappella
di corte: a questa facevano capo un Kantor, un predicatore e un organista. Nel 1708 il posto di Schlosskantor fu assegnato a Heinrich Matthias Knaut, che si troverà ancora in servizio al tempo in cui Bach prese possesso della sua carica di Kapellmeister. Incerte sono le notizie sull'organo della cappella, che tuttavia era sicuramente in funzione prima del 1700. Il primo e unico nome di organista a noi noto è quello di Johann Christian Kreyser il quale, assunto all’inizio del
secolo, era ancora attivo a corte all’epoca in cui (18 febbraio 1754) il principe August Ludwig — che a differenza del fratello Leopold era indifferente alle manifestazioni artistiche — decretò lo scioglimento
della cappella. L'organo del castello, tuttavia, era di modeste
dimensioni e alquanto difettoso: nel 1731 ne fu decisa la ricostruzione che venne affidata all'organaro Johann Michael Hoppenhaupt di Merseburg. Anche la Jakobskirche, riformata, e la Agneskirche, evangelica, erano dotate di un organo. La Jakobskirche, che era chiesa municipale
e cattedrale di Kóthen ad un tempo, sin dal 1532 era stata fornita di un organo che aveva subíto in varie riprese (1575, 1592, 1618, 1660) riparazioni e rifacimenti; da ultimo era stato deliberato dalla muni-
cipalità di costruire un nuovo strumento la cui realizzazione fu affidata (24.gennaio
1674) all'organaro Zacharias Teissner di Quedlinburg.
Compiuti i lavori il 17 giugno 1676, lo strumento (che era costituito di 25 registri ed era costato complessivamente 1337 talleri e 12 groschen)
fu collaudato da Bernhard Meier, organista a Zerbst. Già nel 1703 lo strumento si presentava in condizioni precarie: a lavori di restauro e riattamento, tuttavia, si giunse solo negli anni 1765-1769, quando lo strumento fu affidato alle cure dell'organaro Johann Christoph Zoberbier di Halle. Nel 1713, & da notare, si era provveduto alla nomina di un regolare organista, nella persona di Johann Jakob Müller, uno dei tre musici che erano stati assunti a corte nel 1707. Müller rimase in carica sino al 1731, l'anno della sua morte; durante il tempo
del servizio da lui prestato, Kantor della Jakobskirche fu Johann Jeremias Göbel. Di maggiori dimensioni (28 registri) era l'organo installato nella Agnuskirche, inaugurato nella Pasqua del 1708, per la cui costruzione
(affidata a Justus Müller) la principessa Gisela Agnes aveva stanziato 517
Köthen (1717-1723)
sin dal 1699 la somma di 1000 talleri. Primo organista fu il figlio stesso del costruttore, il già citato Johann Jakob Müller, che peró lasció quasi subito il posto, quando nell'ottobre di quell'anno fu assunto a corte, a Emanuel Lebrecht Gottschalck (morto a Köthen il 1° settembre 1727), che tenne l'incarico sino al 1714; in quell'anno Gott-
schalk fu assunto a corte come Kammerdiener e piá tardi (1719) svolse funzioni di copista di musica; suo successore all'organo della Agnuskirche fu Christian Ernst Rolle, che il 24 giugno 1722 entró poi a far parte della cappella di corte. In quella stessa chiesa, frequentata da Bach, il posto di Kantor fu tenuto, dal 1717 alla morte
(1751), da
Johann. Kaspar Schultze. La situazione musicale di Kóthen doveva subire una radicale trasformazione nel momento in cui (28 dicembre 1715) il principe Leopold, raggiunta la maggiore età, poteva assumere la reggenza del principato. Dal matrimonio di Emanuel Lebrecht di Anhalt-Kóthen con Gisela Agnes von Rath (1692) erano nati: 1. Leopold
(Kóthen, 28-11-1694 - 19-11-1728)
2. Eleonore Wilhelmine (Köthen, 7-5-1696 - Weimar, 30-8-1726) 3. August Ludwig (Köthen, 9-6-1697 - 6-8-1755)
Dell’ultimogenito, succeduto a Leopold alla fine del 1728, sappiamo che non aveva amore per l’arte e la cultura in genere. Di Eleonore Wilhelmine si & già avuta l'occasione di citare il matrimonio da lei contratto (24-1-1716) con Ernst August di Sassonia- Weimar: è per il suo tramite che Bach ottenne il posto di Kapellmeister a Köthen. Quanto a Leopold, occorre intrattenerci su di lui più diffusamente. Leopold sin dall'infanzia aveva dimostrato di possedere spiccate attitudini musicali, anche se sugli studi da lui compiuti in: materia nulla sappiamo. Avendo studiato alla « Ritterakademie» di Berlino (1708-1710) e avendo colà frequentato l'ambiente musicale (non per nulla il nucleo principale dei musicisti poi confluiti nella sua cappella proveniva da Berlino), & facile immaginare che avesse raccolto in quella sede i frutti migliori della propria formazione musicale. Nell'ottobre 1710 aveva intrapreso un lungo viaggio attraverso Paesi Bassi, Inghilterra, Francia e Italia per meglio approfondire le proprie conoscenze musicali; lo aveva accompagnato in quel four, conclusosi
il 17 aprile 1713, l'allora maggiordomo (Hofmeister) Christoph Jost von Zanthier, che in seguito ricoprirà la funzione di «direttore del governo del principe» sino al 1721. Di quel viaggio Leopold aveva tenuto un diario dal quale si apprende, fra l'altro, che egli aveva preso a Roma alcune lezioni da Johann David Heinichen e che s'intrattenne qualche tempo a Venezia per meglio conoscere l'opera veneziana. 518
Köthen (1717-1723)
Documenti dell'epoca attestano che egli sapeva suonare il violino, la viola da gamba, il cembalo e cantare con buona voce di basso (citi famosa lettera di Bach a Erdmann; BD I, 23; inoltre, BD II, 734) e che possedeva una notevole collezione di strumenti musicali. Per
completare i dati biografici, occorrerà tener presente che Leopold si sposò due volte: la prima volta (11 dicembre 1721) con Friederica Henrietta di Anhalt-Bernburg (Bernburg, 24 gennaio 1702 - Kóthen, 4 aprile 1723), la seconda (2 giugno 1725) con Charlotte Friederica Wilhelmine di Nassau-Siegen (30 novembre 1702 - 22 luglio 1785). Rientrato dal lungo viaggio musicale, Leopold si preoccupò di
costituire un nucleo di musicisti tale da formare una vera e propria
cappella musicale. Memore
di quanto aveva visto a Berlino, dei
legami quivi intrecciati e volgendo a proprio favore una circostanza
che aveva dolorosamente colpito molti dei musicisti berlinesi, Leopold avviò subito quell’operazione che qualche anno dopo avrebbe portato alla sua corte il migliore dei Kapellmeistern. Nel febbraio 1713 si era spento Federico I di Prussia e subito la cappella berlinese era stata
sciolta dal successore Federico Guglielmo I, che solo per le cose militari dimostrava di nutrire attenzione. Si dovrà attendere l’avvento di Federico II (1740) perché la corte berlinese riacquisti un prestigio
musicale, prestigio che l’imperatore saprà facilmente cogliere mettendo a frutto la profonda conoscenza che egli aveva della musica.
Dalla disciolta cappella berlinese, il principe Leopold fece venire a Kéthen in primo luogo il Kammermusikus berlinese Augustin Reinhard Stricker e la di lui moglie, cantante (soprano) e liutista, Catharina Elisabeth Miiller, scritturandoli per tre anni (i pagamenti riguardano
il periodo 8 giugno 1714 - 30 agosto 1717) con lo stipendio mensile complessivo di 23 talleri. Inoltre, i seguenti strumentisti: i violinisti Joseph Spiess e Martin Friedrich Marcus; il violoncellista Christian Bernhard Linigke, l’oboista Johann Ludwig Rose, il fagottista Johann
Christoph Torlée e il copista Johann Kräuser; in tutto sette persone (la cantante non faceva parte della cappella). A costoro occorre aggiungere i due musici che dal 1707 servivano a corte (Harbordt e Freytag; Miiller, invece, non era più del numero,
poiché dal 1713 militava
come organista alla Jakobskirche) e altri otto strumentisti appositamente ingaggiati a Kóthen nel 1714 e nel 1716, sicché in quest'ultimo anno l’organico della cappella constava di sedici membri più il direttore. Ecco il quadro che ne risultava: 1. STRICKER Augustin Reinhard - Kapellmeister (Berlino ?, c. 1675 - ?, dopo il 1720) attivo a Berlino dal 1702, Kapellmeister a Köthen dall’8-6-1714 sino alla nomina di Bach (5-8-1717).
519
Köthen (1717-1723)
. Spiess Johann - 1° violino (? - Köthen, sep. 2-7-1730) membro dell’orchestra di corte di Berlino sino al 1713, attivo a Köthen dal 1714 alla morte.
. Marcus Martin Friedrich - 2° violino (? - ?) Kammermusikus a Berlino sino al 1713, attivo alla corte di Köthen dal 1714 al 20-6-1722 (gli subentrö Christian Ernst Rolle).
. Freytag Emanuel Heinrich Gottlieb - violino (?, 1698-Köthen, 28-3-1779) figlio dell’Hofmusikant Johann F., divenne membro della cappella di corte di Köthen il 17-10-1716 e vi rimase sino al suo scioglimento (1754). . Aser Christian Ferdinand - viola da gamba (Hannover, agosto 1682 Köthen, 3-4-1761)
membro d'una importante famiglia di musicisti (il figlio Karl Friedrich fu a lungo attivo a Londra con Johann Christian Bach), fu al servizio di Carlo XII di Svezia e dal 1714 attivo nella cappella di Kóthen. . LiNIGKE Christian Bernhard - violoncello
51-1751)
(?, 3-6-1673 - Köthen, sep.
appartenente ad un'importante famiglia di musicisti del Brandeburgo, fece parte della cappella di corte berlinese e poi di quella di Kóthen dal marzo
1716.
. FaEvTAG Johann Heinrich - 1° flauto (? - Köthen, 1-8-1720) figlio di Johann F., fu assunto alla corte di Kóthen nel 1716. . WURpIG Johann Gottlieb - flauto (? - Köthen, sep. 19-9-1728) Stadtpfeifer e Hausmann, divenne membro della cappella di Kóthen nel 1714. Il 2-1-1717 ebbe la nomina a Stadtmusikus in sostituzione di Johann Georg Bahn. . Rose Johann Ludwig - oboe (? - dopo il 1754) membro della cappella di corte berlinese sino al 1713, nel 1714 ebbe la nomina in quella di Kóthen. 10. TonrÉs Johann Christoph - fagotto (? - ?) membro della cappella di corte berlinese sino al 1713, nel 1714 ebbe la nomina in quella di Kóthen. dus SCHREIBER Johann Ludwig - 1° tromba (? - Köthen, 28-3-1723) assunto nella cappella di Köthen nel 1714.
12 KnAur Johann Christoph - 2° tromba (? - Köthen, 1745) assunto nella cappella di Köthen nel 1714. To: UNnGER Anton - timpani (? - ?). 14. Kreyser Johann Christian - organista (? - dopo il 1754) assunto nei primi anni del secolo, rimase in carica sino allo scioglimento della cappella (1754). Nel 1714 figura come Musikus. \ 17 FREYTAG Johann - «ripienista» (? - c. 1742) lacché nel 1695, il 17-10-1707 ebbe la nomina a Hofmusikant.
520
Köthen (1717-1723) 16. Harsorpr Wilhelm Andreas - «ripienista » (? - ?) Hofmusikant dal 17-10-1707, figura nella cappella dal 1714 sino alle sue dimissioni presentate il 19-1-1718. 17. WEBER Adam Ludwig - «ripienista» (? - ?) Stadtpfeifer, fu poi chiamato nella cappella di corte di Kóthen nel 1716.
Si deve aggiungere che nel 1719 fra i musici si trova anche un Johann Valentin Fischer e che nel giugno 1722 fu assunto, in qualità di violinista e violista, Christian Ernst Rolle (già organista dal 1714 alla Agnuskirche) in sostituzione di Marcus. Rolle (? - Neubrandenburg 1739) mantenne il posto nella corte di Kóthen sino al 1728, anno in cui si trasferí come organista a Neubrandenburg. Infine si devono ricordare i copisti; il ruolo fu coperto, in successione di tempo,
da Johann Kräuser (luglio-novembre 1717), Johann Bernhard Göbel (dicembre 1717 - giugno 1718), Johann Bernhard Bach [62] di Ohrdruf, figlio di Johann Christoph [42] il fratello di Johann Sebastian (dicembre 1718 - luglio 1719), Carl Friedrich Vetter (agosto 1719 - estate 1720). Non possiamo sapere con certezza quando per la prima volta il principe Leopold
ebbe l'occasione
d'incontrare
Bach;
di certo,
il
primo documentato approccio è quello avvenuto a Weimar per le nozze della sorella di Leopold, Eleonore Wilhelmine, con Ernst August
di Sassonia- Weimar (24 gennaio 1716). A quel tempo, Leopold doveva già preoccuparsi di trovare un successore al posto coperto da Stricker, il cui contratto scadeva nell'estate del ‘17. Stricker non era probabilmente il direttore della musica di corte che più conveniva agli interessi di Leopold: le predilezioni del principe andavano tutte alla musica strumentale, mentre Stricker era soprattutto un compositore di musica vocale !. È per questo motivo che, secondo l’opinione di alcuni studiosi,
Leopold avrebbe accettato volentieri la « candidatura » di Bach; ma occorre tener presente che a quell’epoca, per quanto ci risulta, Bach aveva scritto solo cantate e la sua produzione strumentale era legata esclusivamente all'organo e al cembalo.
34. Il trasferimento a Kóthen. BIBLIOGRAFIA
Hermann Wäsche, Die Hofkapelle in Cöthen unter J. S. Bach, in « Zerbster
Jahrbuch» III (1907), pp. 31-40; Christoph SCHUBART, J. S. Bachs Wohnung
in Köthen, in BJ XLI (1954), pp. 89-93.
Il contrasto ideologico che aveva provocato la rottura dei rapporti
fra il duca Wilhelm Ernst di Sassonia- Weimar e il suo Konzertmeister 521
Köthen (1717-1723)
aveva indotto Bach a cercare un nuovo impiego, e nella nuova sistemazione
una parte importante
doveva
aver avuto
l'appoggio di
Eleonore Wilhelmine, la quale infine aveva patrocinato la causa del musicista e indotto l'augusto cognato a concedere il placet, forse piá per rendere un favore al proprio fratello Leopold che per venir incontro alle attese di Bach. L'assunzione di Bach a Kóthen in qualità di Kapellmeister decorre dal 5 agosto 1717, anche se il pagamento dello stipendio fa data dal
primo giorno di quel mese (BD I, 110; II, 86). La paga mensile, rimasta invariata sino al termine dell’impiego presso quella corte, era di 33 talleri e 8 groschen ed era in sé sufficiente a dimostrare il divario di considerazione di cui godeva Bach rispetto al suo predecessore, lo Stricker, al quale la tesoreria di corte versava 23 talleri mensil-
mente e in quella cifra conglobava anche le prestazioni musicali della consorte. Con i 400 talleri annui a disposizione — il medesimo stipendio, si noti, percepiva il maresciallo di corte, secondo funzionario in ordine di grado — Bach poteva condurre un regime di vita senza dubbio migliore di quello di Weimar (dove lo stipendio era, nel 1716, di 316 fiorini; in pratica, era come se a Kóthen Bach disponesse di
100 fiorini in più), specie per far fronte alla crescita Ai quattro figli che, accompagnati da Maria Barbara, — agosto 1717 — nel viaggio di trasferimento verso — un viaggio all'incirca di 130 chilometri — doveva
della famiglia. lo precedettero la nuova sede aggiungersene
un altro, un anno dopo la sistemazione a Kóthen; ma non si dimentichi
che due gemelli erano morti nel 1713. Il settimo figlio di Bach ebbe padrini di altissimo lignaggio e in grande abbondanza:
7. LeoporD Aucusr batt. 17-11-1718 (BD II, 94) - sep. 28-9-1719 (BD II, 96). Padrini -
Leopold, principe reggente di Anhalt August Ludwig, principe di Anhalt Eleonore Wilhelmine, duchessa di Sassonia- Weimar Christoph Jost von Zanthier (? - Dresda, 16-3-1724), Hofmeister e poi direttore del governo del principe sino al 1721 - Juliana Magdalena (propr. Sophia) von Heyse (Stassfort/ Württenberg, ? - Köthen, 20-2-1742), moglie dell’Hofmeister Gottlob von Nostitz (Reichstädt, 18-3-1680 - Köthen, 21-8-
1745).
Quantunque il primo stipendio che fosse versato a Bach dalla tesoreria di corte riguardasse i mesi da agosto a dicembre del 1717 (sicché in un sol colpo Bach ebbe 166 talleri e 16 groschen!), il servizio effettivamente prestato era risultato di pochissimi giorni: uscito dalla carcerazione
infamante
il 2 dicembre, 522
una
settimana
dopo, circa,
Köthen (1717-1723)
Bach aveva intrapreso il viaggio verso Kóthen; qualche giorno per raggiungere la nuova sede, qualche altro di sosta e poi subito la partenza per Lipsia, dove — come vedremo — il 17 dicembre Bach stese
una perizia sull'organo della Paulinerkirche. Poi il trapianto a Kóthen: a conti fatti, Bach sarà stato a disposizione del principe al massimo per quindici giorni.
I| musicista prese dimora in una casa della Wallstrasse falnt25)
di cui era proprietario un commerciante in panni, Johann Andreas Lautsch. A questi Bach versava anche l'affitto per l'uso di altri locali, nella Schalaunische Strasse (al n. 44), adibiti alle prove del Collegium musicum (la cappella del principe). I conti della camera del principe documentano una serie di rimborsi, anno per anno e sempre nella misura
di 12 talleri, per l'exercitium
musicum,
dapprima
sotto la
direzione di Stricker (dalla Pasqua 1715 al maggio 1717), poi sotto la direzione di Bach: la data di inizio di ogni annualità è il 10 dicembre (sino al 1722), giorno in cui Bach prese effettivamente servizio presso la corte di Kóthen. È da notare, tuttavia, che la causale per i rimborsi
a partire da quello per l'annata 1719 non è pit indicata con l'espressione generica « pigione per il Collegium musicum», bensi con la specificazione « per le prove tenute in casa sua [di Bach] e per la manutenzione del Clavecin » (BD II, 91); inoltre, per il periodo anteriore all'assun-
zione del servizio da parte di Bach, l'affitto dei locali per le prove era direttamente versato al proprietario Lautsch (e non al direttore della cappella Stricker), mentre durante la permanenza di Bach a Köthen
era il musicista stesso ad essere rimborsato della cifra da lui pagata a Lautsch. Da questi dati si dovrebbe poter concludere, ma manca la prova «ufficiale», che dopo un primo periodo in cui le prove si tenevano
nella casa della Schalaunische
Strasse, le medesime furono
poi trasferite nell'abitazione stessa di Bach. La chiesa frequentata da Bach — non poteva essere diversamente — era quella luterana intitolata all'Agnello di Dio. Qui teneva i sermoni il predicatore di corte Paulus Berger, un fiero oppositore della corrente pietista; qui il posto di Kantor (dal 1717 alla morte, avvenuta al capodanno del 1751) fu coperto da Johann Kaspar Schultze di Langensalza; qui del servizio d'organo, come si è già visto, fu incaricato (dal 1714 al 1722) Christian Ernst Rolle; ed è, appunto, su quell'organo che Bach di tanto in tanto si esercitó. Scarsissimi, invece, dovevano essere
i suoi contatti con gli esponenti dell'altra chiesa, quella di S. Giacomo (riformata) di cui era Kantor Johann Jeremias Góbel e del cui organo,
per altro in cattive condizioni, era titolare — come si & visto — Johann Jakob Müller. Al momento in cui Bach prese possesso del posto di Kapellmeister, con mansioni che in pratica escludevano impegni di ordine liturgico 523
Köthen (1717-1723)
(e non a caso il complesso a sua disposizione veniva piü giustamente indicato con il termine Collegium musicum), l'organico della « cappella» comprendeva, come si & visto, sedici membri. Un « Protocollo delle
paghe per la cappella del principe e i trombettieri dalla festa di S. Giovanni (24 giugno) 1717 sino al giugno 1718» ci indica nomi, mansioni ed emolumenti dei singoli componenti il complesso strumentale; uno solo dei nomi qui registrati, quello del copista Góbel, non compare nell'analoga lista per il 1716-1717, oltre — naturalmente — a Bach; ma Göbel subentró a Kräuser il 1° dicembre 1717. Ecco l'elenco: stipendio gr. d.
Il Capellmeister nuovo arrivato signor Johann Sebastian Bach riceve mensilmente 33 talleri e 8 groschen e il medesimo ha ricevuto secondo quietanza dal 16
primo agosto 1717 sino al giugno 1718?
366
Il Premier Cammer-Musicus Josephus Spiess (mensilmente 16 tl., 16 gr.) dall’agosto 1717 al luglio 1718
200
Il Cammer-Musicus Johann Ludwig Rose (mensilmente 12 tl. e 12 gr.) dall’agosto 1717 al giugno 1718
137
Il Cammer-Musicus Martin Friedrich Marcus (mensilmente 10 tl. e 20 gr.) dal luglio 1717 al giugno 1718
130
Il Cammer-Musicus Johann Christoph Torlée (mensilmente 10 tl. e 20 gr.) dal luglio 1717 al giugno 1718
122
Il Cammer-Musicus Johann Heinrich Freytag (mensilmente 7 tl. e 20 gr.) dal luglio 1717 al giugno 1718
94
Il Cammer-Violagambist Christian Ferdinand Abel (mensilmente 12 tl.) dal luglio 1717 al giugno 1718
144
Il Cammer-Musicus Johann Gottlieb Würdig (mensilmente 7 tl.) dal luglio 1717 al giugno 1718
84
Il Cammer-Musicus Christian Bernhard Linigke (mensilmente 12 tl. e 12 gr.) dal luglio 1717 al giugno 1718
150
Il copista Johann Kräuser dal luglio al novembre 1717
88
Il Musicus Johann Freytag sen. (mensilmente 2 tl. e 16 gr.) dal 17 luglio 1717 al 16 luglio 1718
34
16
38
16
Il Musicus Wilhelm Harbordt (mensilmente 4 tl.) dal 17 luglio 1717 al giugno 1718 Il Musicus Adam Weber (mensilmente 4 tl.) dal luglio 1717 al giugno 1718
524
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Köthen (1717-1723) stipendio t. gr. — Il copista Johann Bernhard Göbel (mensilmente 2 tl.) dal 1° dicembre 1717 al giugno 1718
14
=
— Il Musicus Emanuel Heinrich Gottlieb Freytag 5 tl. per quartale, non pagato
=
=
— Il trombettista Johann Ludwig Schreiber (mensilmente 9 tl.) dal luglio 1717 al giugno 1718
108
—
— Il trombettista Johann Christoph Krahl (mensilmente 9 tl.) dal luglio 1717 al giugno 1718
108
=
72
—
— Il timpanista Anton Unger luglio 1717 al giugno 1718
(mensilmente 6 tl.) dal
Da quest'elenco emerge chiara la distinzione fra Cammer-Musicus e Musicus, che ha peso rilevante anche sul piano del trattamento economico. Fra gli otto strumentisti qualificati come Cammer-Musicus, come si è visto, due erano violinisti (Spiess e Marcus), due flautisti (J. H.
Freytag e Wiirdig), uno oboista SESS uno fagottista (Torlée o Torlén o Torley), uno violoncellista (Linigke), uno «gambista» (Abel). Gli altri strumentisti indicati genericamente col termine Musicus avevano funzioni, piá che altro, di coadiutori. Dalla specificazione manca l'indicazione di uno strumentista per la viola: data la predilezione che Bach nutriva per questo strumento, che era stato quello del padre, non & escluso che fosse proprio Johann Sebastian a coprire quel ruolo. Al manipolo dei musici stabilmente impiegati a corte si aggiungevano,
quando occorressero,
cantori
e strumentisti
di passaggio
o
appositamente ingaggiati. In genere, si trattava di concerti che si tenevano a corte; i documenti contabili attestano manifestazioni di questo tipo, ad esempio, alle seguenti date: 20-10-1718
(BD II, 93)
16-12-1718 (id.)
con l’impiego di un « discantista » di Rudolstadt.
con l'impiego del « bassista » Johann Gottfried Riemschneider, del Concert-Meister Linigke (un parente del Cammer-Musicus Christian Bernhard L.), di Johann Gottfried Vogler (organista alla Chiesa Nuova di Lipsia e violinista), del « discan-
tista» Emanuel Prese, tutti ingaggiati per l'esecuzione delle cantate Der Himmel dacht auf Anhalts Ruhm und Glück (BWV 66a) e Lobet den Herrn, alle seine Heerscharen (BWV Anh. 5).
526
Köthen (1717-1723)
21-3-1719
con l'impiego del « discantista » Ginacini.
8-4-1719
con l'impiego dei 4 musici cit. in 16-12-1718.
24-7-1719
con l'impiego di un cantore di Weissenfels.
17-8-1719
con l'impiego di un liutista di Düsseldorf. con l'impiego di un « discantista ».
24-8-1719
(BD II, 93)
21-10-1719
—
19-9-1721
—
6-6-1722
con l'impiego di due suonatori di corno
da
caccia.
Un non trascurabile elemento della biografia di Bach è la sua partecipazione a cerimonie di battesimo in veste di padrino, poiché dai documenti relativi si possono ricavare utili elementi per l'osservazione dell'ambiente in cui egli operó, della cerchia delle conoscenze piü assiduamente frequentate: l'area di azione a sua volta puó essere ancora ampliata se analoga operazione di controllo si vorrà estendere agli atti che riguardano la moglie. Cosi, sappiamo che Maria Barbara il 19 aprile 1718 avrebbe dovuto tenere a battesimo, ad Halle, la piccola
Christiana Renata Ziegler (Halle, 15 aprile 1718 - 25 luglio 1719), figlia di Johann Gotthilf Ziegler, allievo di Bach a Weimar (BD II, 90); ma in quella circostanza, impedita da qualche ignota causa, fu sostituita da Rosina Thiele. Negli anni seguenti Johann Sebastian funse da padrino ai seguenti battezzandi:
1. Sophia Charlotta Abel (BD II, 99): Kóthen, batt. 10-1-1720 - ?, figlia di Christian Ferdinand Abel, Cammer-Musicus (« gambista ») a corte. 2. Johann Christian Heinrich Bähr (BD II, 105): Köthen, batt. 28-6-1721 ?, figlio dell’orafo Christian Heinrich Bähr. 3. Johann Christian Hahn (BD II, 108): Köthen, batt. 25-9-1721 8-10-1721, figlio del cantiniere di corte Christian Hahn.
- sep.
4. Johann Ernst Bach [56] (BD II, 113): Eisenach, batt. 30-1-1722 - 3-9-1777, figlio di Johann Bernhard Bach [36]. 5. Sophia Dorothea Schultze (BD II, 116): Köthen, batt. 26-10-1722 - ?,
figlia di Johann Kaspar Schultze, Kantor alla Agnuskirche.
6. Johann Friedrich Bahr (BD II, 126): Köthen, batt. 4-3-1723 - ?, figlio del già citato orafo. 527
Kothen V 717-1723)
35. Primo contatto con Lipsia. BIBLIOGRAFIA Arnold ScHerING, Musikgeschichte Leipzigs, vol. II: Von 1650 bis 1723, Fr. Kistner & C. F. W. Siegel, Leipzig 1926, pp. 317-319; Wilhelm STIEDA, Der Neubau der Paulinerkirche in den Jahren 1710-12 (= Schriften des Vereins für die Geschichte Leipzigs, vol. XXII), Leipzig 1938, pp. 75-89.
La cronologia del soggiorno a Kóthen è spezzata da una serie di spostamenti; la documentazione su questo argomento può essere condensata nei seguenti punti: x
dicembre 1717
Lipsia
maggio-giugno 1718
Karlsbad
autunno
(estate ?) 1718
Berlino
febbraio 1719
Berlino
maggio-luglio 1720
Karlsbad
novembre 1720
Amburgo
agosto 1721
Schleiz
luglio-agosto 1722
Zerbst
novembre
Lipsia
1722
febbraio 1723
Lipsia
marzo
Lipsia
1723
aprile 1723
Lipsia
È probabilmente a Johann Kuhnau, Kantor alla Thomasschule di Lipsia, che si deve il suggerimento di invitare Bach, sullo scorcio del 1717, per una consulenza sull'organo della locale Chiesa di S. Paolo: Bach aveva fatto parte, insieme con Kuhnau e con Christian Friedrich
Rolle, del collegio di esperti che nel maggio 1716 era stato chiamato a collaudare il nuovo organo della Liebfrauenkirche di Halle. Il musicista aveva appena preso servizio a Kóthen quando si dovette
portare nella non lontana Lipsia per eseguire la perizia che gli era stata richiesta. La Chiesa di S. Paolo (che era la chiesa stessa dell'Uni-
versità) era stata dotata del nuovo strumento dall'organaro Johann Scheibe (?, c. 1680 - Lipsia, 3 settembre 1748), il padre del musicografo Johann Adolph Scheibe che in piá di una circostanza si riveló un avversario del pensiero musicale di Bach. Johann Scheibe — che firmó un contratto per 2.926 talleri l'11 maggio 1711 dopo il fallimento 528
Kóthen (1717-1723)
delle trattative con Gottfried Silbermann — svolse un profondo lavoro di rimaneggiamento del vecchio strumento, risalente al 1528, già riparato da Josias Ibach nel 1626/27 e poi nuovamente da Heinrich e Esajas Compenius. L'organo, per la cui realizzazione ci si era valsi
anche della consulenza di Adam Horatius Casparini di Breslavia, fu
portato a termine il 4 novembre
1716, ma si attese un anno prima
di chiedere ad un competente una perizia, un collaudo definitivo. Il documento dell'esame condotto da Bach si esprime in questi
termini
(BD I, 87):
Poiché su richiesta di Sua Nobile Magnificenza il Signor Dr. Rechenberg, attualmente Rettore Magnifico dell'illustre Academie di Lipsia sono stato incaricato dell'esame dell'organo, in parte di nuova costruzione e in parte riparato, sito nella Chiesa di S. Paolo, ho portato a termine tale lavoro per quanto era possibile, ne ho rilevato gli eventuali defecta e rilascio sullo strumento nel suo complesso le seguenti osservazioni: 1) Per quanto riguarda l'intera struttura, non si può certo negare che essa è troppo angusta e che perciò con difficoltà si potranno raggiungere i singoli elementi quando a tempo debito si dovrà procedere a qualche riparazione. Della qual cosa il signor Scheibe, in quanto costruttore dell'organo sopra menzionato, si scusa con l'osservare che in primo luogo la cassa non è stata costruita da lui, che inoltre volente o nolente ha dovuto conformarsi a quell'impianto e che infine non gli si & voluto concedere lo spazio richiesto per sistemare la struttura più comodamente. 2) Le consuete parti principali di un organo, quali somieri, mantici, canne, comandi dei registri e le restanti parti sono state realizzate con buona cura e non vi é nulla da aggiungere in proposito se non che il flusso continuo dell'aria dovrà essere meglio egualizzato affinché si possano prevenire eventuali perdite d'aria. I comandi dei registri avrebbero dovuto essere contenuti in una intelaiatura al fine di evitare ogni scricchiolio in caso di cattivo tempo; ma poiché il signor Scheibe secondo il suo costume li ha sistemati su tavole e ha quindi assicurato che essi funzioneranno come quelli disposti in intelaiature, la cosa puó essere passata.
3) Tutti gli elementi menzionati tanto nel progetto [Disposition] quanto nei contratti, sia per quanto riguarda la qualità sia per quanto riguarda la quantità, sono presenti, ad eccezione di due ance e precisamente lo Schallmey di 4 piedi e il Cornet di 2 piedi, che hanno dovuto essere tralasciati per ordine dell’Illustre Collegio; al loro posto sono stati piazzati l'Octava di 2 piedi al Brustwerck e l'Hohlflóte di 2 piedi all'Hinterwerck.
4) Gli eventuali defecta che riguardano l'ineguaglianza [inaequalitate] dell’intonazione dovranno e potranno essere subito corretti dall’organaro, affinché ad esempio le canne più gravi del Trombone e della Tromba bassa non suonino in modo cosî orrendo e tremolante, ma producano e conservino 529
Köthen (1717-1723) un suono puro e fermo; inoltre, le rimanenti canne ineguali potranno essere corrette con cura ed egualizzate, la qual cosa potrà farsi convenientemente provvedendo ad intonare nuovamente l'intero strumento quando si avrà un tempo migliore di quello attuale. 5) Il tocco [Tractirung] dello strumento dovrebbe essere certamente piü leggero e i tasti non dovrebbero abbassarsi cosí a fondo, ma poiché a motivo della struttura ristretta non sarebbe possibile fare altrimenti, si dovranno lasciare le cose come stanno; comunque si potrà ancora suonare in modo
tale che non vi sia timore di fermarsi nel mezzo dell'esecuzione. 6) Poiché l'organaro andando al di là dei termini del contratto ha dovuto predisporre anche un nuovo somiere per il Brustwerck, dal momento che il vecchio somiere che avrebbe dovuto essere utilizzato al posto di quello nuovo aveva prima di tutto un'unica tavola di risonanza, cosa che & in sé sbagliata e condannabile; e in secondo luogo, stando alla vecchia usanza,
esso impiegava ancora l’Octava corta e poiché i tasti mancanti non avrebbero potuto essere aggiunti al fine di rendere uguali tutte e tre le tastiere, e ciò avrebbe provocato di conseguenza una deformité, cosí è stato assolutamente necessario procurarne uno nuovo, evitando i defecta, che si potevano temere e mantenendo una bella conformité: senza che io debba ricordarlo si dovrà pertanto retribuire l’organaro anche per i pezzi nuovi costruiti e non previsti dal contratto e cosí egli sarà risarcito.
Inoltre l'organaro mi prega di far presenti all’Illustre Collegio quelle parti su cui non si sono presi accordi in precedenza, quali i lavori di scultura, l'indoratura, e cosi pure i contanti [espegen] che il signor Vetter ha ricevuto pro inspectione e tutto quanto gli si potrebbe ancora accreditare in compenso,
dal momento che egli non era tenuto a fare tali cose, e tanto meno quelle che non è nell'uso di fare (altrimenti egli si sarebbe meglio cautelato); cosí egli prega umilissimamente di non essere indotto a sostenere delle spese per questo motivo.
Per concludere non posso passare sotto silenzio che 1) la finestra per quello che riguarda la parte che si trova dietro l'organo dovrebbe essere riparata all'interno per mezzo di un muretto o di una solida lamiera in ferro allo scopo di poter prevenire i danni provocati dalle intemperie. 2) & cosa consueta e altamente necessaria che l'organaro presti una garanzia di almeno un anno per ovviare completamente alle manchevolezze che potessero ancora insorgere; di tale cosa egli potrebbe volentieri assumersene il carico se si provvedesse a dargli più pronto e pit completo risarcimento [satisfaction] per le spese sostenute al di fuori di quanto previsto dal contratto. Ciò dunque è quanto ho ritenuto necessario annotare nell’esaminare l'organo; dichiarando nel miglior modo e confermando di essere a totale disposizione di Sua Nobile Magnificenza, il signor Dr. Reichenberg, e del Nobile Collegio nel suo complesso, sono il Lipsia, il 17 dicembre anno 1717
devotissimo e obbedientissimo Joh. Seb. Bach Capellmeister della corte di Anhalt-Cóthen
530
Köthen (1717-1723)
La notizia della verifica compiuta da Bach & data da Christoph Ernst Sicul su un annuario di Lipsia (Andere Beylage zu dem Leipziger Jahrbuche, aufs Jahre 1718, pp. 198 e sgg.). Questi afferma che l'esame fu condotto da Bach alla presenza del rettore magnifico, il Dr. Carl Otto Rechenberg (1689-1751), del Dr. Johann Cypriani (1642-1723), del consigliere ed ex-rettore Johann Burckhard Mencke (1674-1732) e del Dr. Johann Wolfgang Trier (1686 - c. 1750); testimoni per il costruttore il signor Lorenz Lieberoth, organaro a Mannsfeld, e Johann Michael Steinert (T 1731), organista della Chiesa di S. Giovanni a Lipsia. Il Sicul, che dà anche la « composizione » dell'organo, sottolineava — e il documento di perizia lo conferma — la bontà dello strumento sul quale Bach aveva espresso un parere sostanzialmente molto positivo. Ma non è il parere in sé, ovviamente, che potrà interessare lo storico, bensí la natura del lavoro svolto da Bach e la sua
incidenza nella manifestazione della sua personalità: fra le componenti di quel magistero artistico, fra le trame di cui & intessuta quella espe-
rienza musicale e culturale si dovrà aver cura di mettere in evidenza anche questa solida e massiccia conoscenza di una tecnica che è tutt’altra cosa dalla creazione musicale e la cui padronanza è demandata
ad una specifica attitudine artigianale, ad una scuola professionale e altamente specializzata. L'universale perizia che Bach dimostrava di possedere nelle cose della musica, tuttavia, influí come
un fattore
negativo nella considerazione dei contemporanei e ciò che era un pregio divenne, si suppone, un limite. Resi stupefatti da una capacità
di osservazione che era sostenuta da un’ineguagliabile conoscenza dei problemi tecnici e delle loro possibili soluzioni, quei contemporanei
non seppero afferrare il vero senso della compattezza del pensiero bachiano e finirono col privilegiarne taluni aspetti a totale scapito degli altri, compromettendo il grande disegno della natura che aveva convogliato, per una volta, in una prodigiosa sintesi una pluralità di esperienze marifestamente incontrollabili da parte di un solo uomo.
300 I viaggi a Karlsbad e a Berlino. BIBLIOGRAFIA
Curt SAcus, Musik und Oper am kurbrandenburgischen Hof, M. Hesse, Berlin 1910; M. KaurMANN, J. S. Bach in Karlsbad, in «Der Merkur» VII (1916), pp. 330 e sgg.; Heinrich Besserer, Markgraf Christian Ludwig von Brandenburg,
in BJ XLII (1956), pp. 18-35.
Rientrato a Kóthen, Bach non ebbe motivo d'intraprendere nuovi viaggi, a quanto sembra, fino al maggio 1718, quando dovette seguire 531
Köthen (1717-1723)
il principe Leopold a Karlsbad, in Boemia.
La data della partenza
da Köthen della comitiva principesca & accertata: 9 maggio; il ritorno avvenne circa cinque settimane dopo, il 12 giugno. Seguivano il principe sei musici della sua cappella: Abel, Linigke, Marx (Marcus), Rose, Torlée e Bach. Karlsbad, stazione di cure climatiche e dal 1707
città libera alle dirette dipendenze della corona, era luogo di ritrovo dell'aristocrazia germanica e in quell'ambiente socialmente selezionato
i trattenimenti musicali non potevano mancare. S'ignora quali compiti
precisamente i sei musici (sette se si tiene conto anche del principe, il quale si univa volentieri al complesso nel ruolo di « gambista »)
siano stati chiamati a syolgere, ma si puó essere certi che durante quel soggiorno i nobili e ricchi signori in cura e in diporto ebbero l'opportunità di ascoltare alcune musiche strumentali bachiane, proba-
bilmente quelle più conformi al gusto moderno, obbedienti ai canoni formali alla moda.
La cronologia dei viaggi bachiani prospetta, dopo Karlsbad, due soggiorni a Berlino, in relazione all'ordinazione di un nuovo cembalo
per la corte di Köthen. Una nota di pagamento del 1° marzo 1719 (BD II, 95) indica che a Bach furono versati 130 talleri « per il clavessin fabbricato a Berlino e spese di viaggio »; ma Bach, a quella data, era già ritornato da Berlino dove si era recato per visionare lo strumento
e dare la sua approvazione per il trasporto a Kóthen (lo strumento giunse a corte il 14 marzo). Nell'autunno (o forse l'estate) del 1718 Bach aveva già compiuto un primo viaggio a Berlino per ordinare il cembalo. Quest'ultimo, fra l'altro, risultava ancora segnalato nell'inventario degli strumenti della camera del principe addí 8-3-1784; la specificazione lo diceva opera di Michael Mietke (morto in quello
stesso 1719, dal 1697 cembalaro della corte berlinese) e lo descriveva come un «grosse Clavecin oder Flügel mit 2 Clavituren »?. Al duplice soggiorno berlinese & probabilmente legata la raccolta dei Concerti Brandeburghesi e l'argomento merita la dovuta attenzione. Non si dovrà dimenticare che un sottile filo congiungeva l'attività
musicale di Kóthen a quella di Berlino: non solo il principe Leopold
si era formato nella capitale prussiana, ma dalla corte berlinese provenivano i principali componenti del Collegium musicum. Se Federico Guglielmo I non aveva perduto tempo a sciogliere la cappella di corte nel momento in cui era salito al trono (1713), vi era chi contemporancamente aveva provveduto a riparare quel gesto insolente dando vita
ad una propria privata cappella, che pur agiva nel castello reale.
Di tanto merito era portatore Christian Ludwig, margravio di Brandeburgo (Berlino, 14 maggio 1677 - Malchow, Berlino, 3 settembre
1734), fratello minore del defunto sovrano Federico I e pertanto zio
del nuovo
re Federico Guglielmo I. Investito dei possedimenti 532
di
Köthen (1717-1723)
Malchow e di Heinesdorf « ad dies vitae » dal nuovo sovrano nel T1713
Christian Ludwig aveva fissato la propria dimora nel castello berlinese, ma nei mesi estivi soggiornava a Malchow, a 8 chilometri di distanza dalla residenza ufficiale. Gli archivi di corte hanno negato la possibilità di conoscere i nomi degli strumentisti e la consistenza stessa della cappella nel momento in cui s'instaurarono i contatti fra Bach e il margravio del Brandeburgo. I dati a disposizione riguardano la situazione al momento della morte di colui che era stato prescelto come destinatario della raccolta dei Six Concerts avec plusieurs Instruments (la dedica & del 24 marzo 1721); nel 1734 erano al suo servizio sei Kammer-Musici: Emmerling, Kotowsky,
Hagen, Kühltau, Emis, Ellinger, tutti di ardua identifi-
cazione, fatto salvo il caso di [Cyriak] Emmerling (c. 1660 - 1737), citato da Walther nel suo Lexikon (1732) come compositore, clavicembalista e suonatore di viola da gamba nativo di Eisleben *. Il margravio aveva raccolto una notevolissima biblioteca musicale, il cui contenuto ci è noto per sommi capi a mezzo di un inventario
redatto alla sua morte al fine di provvedere alla divisione dei beni, divisione che avvenne in parti uguali fra cinque membri della famiglia reale 5. Il titolo 28 di tale inventario riguarda le musiche e gli strumenti e per quanto concerne le musiche vi si trovano rappresentati 5 oratori, 73 opere teatrali, un numero imprecisato di cantate (per lo pit di autori francesi) e di arie, 274 concerti, 53 ouvertures, 81 fra trii e sonate (Solos).
Il gruppo più nutrito di composizioni, quello dei concerti, è anche il meno specificato: mentre si elencano a parte concerti di Albinoni, Locatelli, Vivaldi, Venturini e altri maestri minori, mancano indicazioni puntuali su due imponenti raccolte, una di 77 e l’altra di 100
concerti « di diversi maestri e per diversi strumenti ». È in una delle due raccolte che furono conglobati i Concerti Brandeburghesi (e forse anche altri concerti bachiani); il manoscritto, per nostra fortuna, fu
preservato e consegnato (si pensa nel 1754) a Johann Philipp Kirnberger. Un secondo viaggio a Karlsbad, dal 25 maggio al 17 luglio 1720 sempre al seguito del principe Leopold, doveva riservare a Johann Sebastian un’amara e certamente atroce sorpresa. Al suo ritorno egli apprendeva della morte di Maria Barbara, che era stata sepolta il giorno 7 (BD II, 100). In tredici anni di matrimonio la cugina di Gehren gli aveva dato sette figli (ma tre erano morti in breve tempo). Le consuetudini dell’epoca consideravano l’atto del trapasso come un ineluttabile segno della provvidenza divina e però non sconvolgevano le strutture della famiglia alla cui ricostituzione subito ci si poteva
dedicare senza subire traumi psicologici, né incontrare la disapprovazione della pubblica opinione; Johann Sebastian, pertanto, fu presto 533
Köthen (1717-1723)
indotto a cercarsi una nuova compagna, per ridare una madre ai propri figli (la primogenita contava 12 anni, il piá giovane appena 5) e per ritrovare quell'equilibrio nell'esistenza quotidiana, quella tran-
quillità e sicurezza nell’attività professionale che egli pareva aver raggiunto da tempo.
37. Anna Magdalena Wilcke. BIBLIOGRAFIA Reinhold JuseLt, Anna Magdalena Bach, eine geborene Zeitzerin, in Unsere Heimat im Bilde, Bachjahrheft, Zeitz 1935; Arno WERNER, Anna Magdalena Bach, in J. S. Bach in Thüringen, Festgabe zum Gedenkjahr 1950, Thüringer Volksverlag, Weimar 1950, pp. 170-174; Christoph SCHUBART, Anna Magdalena Bach. Neue Beiträge zu ihrer Herkunft und ihren Jugendjahren, in BJ XL (1953),
pp. 29-50; Adolf SCHMIEDECKE, Anna Magdalena Bach zu ihrem 200. Todestag, in « Weissenfelser Heimatbote » VI (1960), pp. 37-40; Ip., J. S. Bachs Verwandte in Weissenfels, in «Die Musikforschung » XIV (1961), pp. 195-200; Günther Knarr, Das mittelthüringische Siedlungszentrum der Familien Bach und Wölcken, in Musa-Mens-Musici. Im Gedenken an Walther Vetter, herausgegeben vom Institut für Musikwissenschaft der Humboldt-Universität zu Berlin, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1969, pp. 153-164.
La scelta di una nuova sposa cadde su Anna Magdalena Wilcke; due «note caratteristiche» parevano avvicinarla a lui e comunque favorirne l'elezione: l'origine turingia e l'appartenenza ad un ceppo
famigliare che, tanto da parte di padre quanto da parte di madre,
traeva il proprio sostentamento dalla musica. Anna Magdalena era nata a Zeitz — un tempo inglobata nella Turingia, poi divenuta sede di un piccolo ducato compreso nel territorio di Halle — il 22 settembre 1701. Il padre, Johann Caspar (Schwerstedt, c. 1660/65 - Weissenfels, 30 novembre 1731), era impiegato come suonatore di tromba presso la corte di Zeitz dal 1686: lo sarà sino al 1718 per passare poi in quella di Weissenfels. La sua famiglia — il nome & variamente scritto: anche Wilke, Wilcken, Wölcken, Wülcke, Wülcken — era originaria della
Turingia e già introdotta nel mondo musicale, poiché il nonno di Anna Magdalena, Stephan, era già stato musico a Schwerstedt.
La madre di Anna Magdalena si chiamava Margarethe Elisabeth
Liebe (Friessnitz, Weida, c. 1666 - Weissenfels, 7 marzo 1746) e si
era sposata con Johann Caspar a Friessnitz il 15 novembre 1686; era figlia di Andreas, organista di quel villaggio di Turingia, e un suo 534
Köthen (1717-1723)
fratello, Johann Siegmund (Friessnitz, c. 1670 - Zeitz, 4 luglio 1742), sarà organista municipale e del castello di Zeitz dal 1694 alla morte. Dal matrimonio di Johann Caspar Wilcke e Margarethe Elisabeth Liebe nacquero: 1. Anna Katharina (Zeitz, 25-11-1688 - Weissenfels, 24-12-1757). Il 28-9-1710 sposa Georg Christian Meissner (Weissenfels, ? - 7-4-1730), suonatore di tromba alla corte di Weissenfels. Dei sei figli nati dal matrimonio, uno, Christoph Friedrich (Weissenfels, 16-1-1716 - ?), figura fra gli allievi della Thomasschule negli anni 1729-1731. 2. Johann Caspar II (Zeitz, 12-7-1691 - Zerbst, 24-3-1766). Dal 1717 suonatore di tromba alla corte di Zerbst. Il 18-7-1718 sposa a Zeitz in prime nozze Dorothea Maria Longolius (T 19-9-1729). Il 3-3-1729 Johann Sebastian Bach tenne a battesimo, come si vedrà, un loro figlio e di un altro era stato padrino (15-1-1725) Johann Friedrich Fasch. In seconde nozze sposa (10-4-1731) una vedova, Anna Margareta Zweidler e in terze nozze (14-7-1751) un'altra vedova, Anna Christina Hildebrandt.
3. Johanna Christina (Zeitz, 4-1-1695 - Weissenfels, 1-1-1753). Il 18-10-1716 sposa Johann Andreas Krebs (? - Weissenfels, 14-7-1748), suonatore di tromba alla corte di Weissenfels. Johanna Christina, al pari di Anna Magdalena, fu attiva come cantante. 4. Erdmuthe Dorothea (Zeitz, 18-9-1697 - Ratisbona, ?). Il 22-4-1720 sposa a Weissenfels il suonatore di tromba a corte Christian August Nicolai (? - Weissenfels, 1760) di cui parla Johann Ernst Altenburg nel suo Versuch einer Anleitung zur heroisch-musikalischen Trompeter-und Pauker-Kunst (Halle 1795). Il figlio Christian August II (Weissenfels 1721 - c. 1806) fu attivo prima a Zerbst come suonatore di tromba (1753) e di violino (1757), poi a Ratisbona come Kapellist (1769) e violista (1787). 5. Anna Magdalena (Zeitz, 22-9-1701 - Lipsia, 27-2-1760).
E per una curiosa congiunzione del caso e del mondo degli affetti che il destino della famiglia Wilcke doveva essere scandito sui ritmi delle trombe di corte: la professione di trombettiere non fu solo quella del padre di Anna Magdalena, ma anche quella del fratello, mentre
alle tre sorelle toccó di sposare tre suonatori di tromba che furono tutti attivi alla corte di Weissenfels, dove Johann Caspar Wilcke prese servizio nel 1718; a questa data, comunque, in quella città vivevano
già le due sorelle maggiori di Anna Magdalena. Un sottile legame,
intanto, s'era già intrecciato fra la famiglia di Johann Caspar Wilcke e quella di Johann Sebastian Bach. Non si trattava ancora di un qualcosa cementato da una sostanza coagulante, che rendesse già aderente e 535
Köthen (1717-1723)
compenetrato il rapporto, ma di una situazione che preparava un avvicinamento
di confini, una coerenza di territorio.
Fra i padrini di battesimo dei gemelli nati dall'unione di Anna
Katharina con Georg Christian Meissner —
la cerimonia
si tenne a
Zeitz il 20 agosto 1713 — figura Adam Immanuel Weldig; questi si era appena trasferito a Weissenfels da Weimar ed è nella sua casa
di Weimar che Johann Sebastian aveva preso dimora in quegli anni. Lo stesso Weldig fu padrino, insieme con Telemann, di Carl Philipp
Emanuel Bach e a sua volta Johann Sebastian fu padrino di uno dei figli di Weldig il 22 marzo 1714 (sia pure non presente personalmente al rito, ma «rappresentato » dal segretario di corte Johann Christian Eylenberg).
Se non
altro, comunque,
Bach aveva
già incontrato
i
giovani coniugi Meissner, e in particolare forse la sorella maggiore
di Anna Magdalena, quando egli si era recato a Weissenfels, febbraio 1713, per l'esecuzione della Jagdkantate (BW'V 208). Anna Magdalena aveva ricevuto l'educazione musicale attraverso due persone: il padre e lo zio materno Johann Siegmund Liebe. La ragazza era dotata di bella voce di soprano e le sue qualità probabil-
mante furono mésse a frutto ogni qual volta se ne fosse presentata l'occasione, forse anche in chiesa, là dove alle donne competesse un simile « privilegio » (a Weissenfels, ad esempio, le cantatrici in chiesa non destavano pubblico scandalo all'inizio del Settecento; per contro,
a Lipsia il permesso fu accordato solo alla fine del secolo). Christoph Schubart ha dimostrato che le presunte esibizioni di Anna Magdalena a Zerbst nel 1716 sono prive di fondamento; la prima documentazione
di esibizioni della futura seconda sposa di Bach si ha presso la corte di Weissenfels; in data 24 giugno 1721, furono versati 6 talleri al trombettiere Wilcke e 12 alla di lui figlia che ha « mitgesungen » (lette-
ralmente « cantato insieme », cioè da lui accompagnata) alcune volte nella cappella zur Discretion, cioè per concessione discrezionale. E tuttavia si deve tenere presente che nel primo documento in cui Bach e Anna Magdalena compaiono insieme (BD II, 108), quando funsero entrambi da padrini al battesimo di Johann Christian Hahn, il 25 settembre 1721 (cioè una settantina di giorni prima del matrimonio),
Anna Magdalena è qualificata come «fürstl. Sángerin » (cantatrice del principe) e in un altro registro, riferito al medesimo avvenimento,
come « Cammer-Musicantin ». L'assunzione a corte di Anna Magdalena — ad imitazione di quanto era avvenuto con la moglie del primo Kapellmeister di Köthen, Catharina Elisabeth Stricker-Müller, che dal 1714 al 1717 aveva svolto funzioni di liutista e cantatrice — & cosa certa ^. Ipotizzare, tuttavia, come è stato fatto, che Anna Magdalena sia stata assunta a corte in sostituzione della Stricker è cosa non suffra-
gata da elementi concreti. E piá probabile, invece, che Bach passando 536
Köthen (1717-1723)
per Weissenfels durante il suo viaggio di ritorno da Schleiz (agosto 1721) abbia «ingaggiato» Anna Magdalena a nome del principe Leopold e che a quella data, pertanto, si debba far risalire il primo incontro fra i due futuri sposi. Non occorrerà la fantasia di un roman-
ziere per immaginare gli sviluppi di quel contatto musicale e la sua influenza sul rapporto umano c sentimentale. Alle nozze si giunse con grande rapidità, e con allegrezza: lo potrebbe dimostrare la duplice registrazione (BD II, 111) di una bella dose di vino (4 barili e 32 boccali,
per un complesso di quasi 100 litri), dietro pagamento di 27 talleri. Non c'é data di registrazione ma quel buon « vino del Reno », procu-
rato da uno dei rinomati vignaiuoli di Heiligenstadt nell' Alta Franconia, forse allietó icommensali che festeggiarono le nozze di Johann Sebastian e di Anna Magdalena il 3 dicembre del 1721. . Il matrimonio fu contratto (BD II, 110) in casa dello sposo « per ordine del principe». Quest'espressione, esplicitamente riportata nel documento comprovante l'avvenuta celebrazione del rito e registrato nell'apposito libro della Jakobskirche, tradisce l'esistenza di un aperto conflitto fra Leopold, aderente alla confessione riformata, e la principessa madre Gisela Agnes, sotto la cui reggenza tutti coloro 1 quali servivano a corte, se di fede luterana, erano stati uniti in matrimonio
e i loro figli battezzati nella Agnuskirche. Il principe, evidentemente, ad un certo momento vietò che ciò avvenisse, costringendo i propri
dipendenti a servirsi della cappella di corte, con la conseguenza di provocare una notevole diminuzione delle entrate nella Agnuskirche. Della qual cosa vi fu chi si lagnò (BD II, 158) e proprio citando il caso del Capell-Meister Bach, al quale era stato riservato il particolare
trattamento della celebrazione delle nozze in casa propria, per comando del principe e cioè per graziosa concessione del medesimo, che aveva
dispensato il musicista dall’obbligo di servirsi della cappella di corte.
38. Il concorso organistico ad Amburgo. BIBLIOGRAFIA
Max SEIFFERT, Seb. Bachs Bewerbung um die Organistenstelle an St. Jakobi in Hamburg 1720, in « Archiv für Musikwissenschaft » III (1921), pp. 123-127.
L'evento nuziale ci ha portati a scavalcare una serie di avvenimenti succedutisi fra la morte di Maria Barbara e quel dicembre 1721. Giusto un anno prima, novembre 1720, Bach si era recato ad Amburgo, spintovi dall’opportunità di ottenere l’incarico di organista nella locale 537
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Jakobskirche. È facile comprendere perché Bach potesse ambire a quel posto: la città di Amburgo era una delle grandi roccaforti della musica tedesca, e pur di raggiungere una posizione di preminenza in quel luogo che le attività commerciali avevano reso prospero anche sotto il profilo musicale, chiunque avrebbe rinunciato alla carica di
Kapellmeister se questa fosse stata esercitata, come avveniva nel caso di Bach, in una piccola corte di provincia. Il 12 settembre 1720 era morto l’organista di quella chiesa, Heinrich
Friese, che aveva coperto la carica per un tempo incredibilmente lungo (la sua assunzione risaliva al 26 novembre 1674). Al concorso furono invitati, il 21 novembre, otto candidati e fra questi figurava
anche Bach. La concorrenza non era certo di quelle temibili: « rivali » di Bach erano: 1. Johann Heinrich Frenkel (? - ?) organista a Ratzeburg. 2. Johann Joachim Heitmann (? - Amburgo, 4-5-1727) organista alla Jakobskirche dal 1720. 3. Johann Georg Hertzog
(? - ?) organista ad Amburgo.
4. Vincent Liibeck, jun. (Stade, 2-9-1684 - Amburgo, 1755) organista alla Georgenkirche di Amburgo dal 1724 al 1740 e poi dal 1740 alla morte, in successione del padre, alla Nikolaikirche. 5. Hans Heinrich Liiders (Rellingen, 24-2-1677 - Pinneberg, 1706 organista alla Nikolaikirche di Flensburg.
1750) dal
6. Matthias Christoph Wiedeburg (? - ?) già attivo come insegnante di musica a Kóthen, poi Kapellmeister a Gera, dal 1718 presente ad Amburgo, dal 1728 al 1744 Kapellmeister e Kantor ad Aurich. 7. Heinrich Zinck (? - ?) organista a Itzehoe.
Il concorso si doveva tenere il 28 novembre; in realtà Bach non poté essere ascoltato perché il giorno 23 doveva rientrare a Kóthen
(si stavano preparando i festeggiamenti per il genetliaco del principe, che cadeva proprio il 28 di quel mese); Lübeck e Hertzog rinunciarono al concorso rispettivamente il 25 e il 27, mentre Wiedeburg — l’unico che potesse in qualche modo sostenere il confronto con Bach, se non altro per il discreto curriculum che aveva alle proprie spalle — non rispose all'invito della commissione. Solo i restanti quattro candidati
furono ammessi alla prova del giorno 28. La giuria era composta dal pastore Erdmann Neumeister (il ben noto autore di testi per cantate liturgiche e predicatore fra i più rinomati del tempo) e da sei altri esponenti della chiesa e del consiglio municipale (cfr. BD II, 102: ma il documento è qui riportato solo parzialmente). Completavano 538
en
Köthen (1717-1723)
la giuria, affiancando il Kantor Joachim Gerstenbüttel per assisterlo nel giudizio di merito, i tre organisti delle principali chiese del luogo: lanziano Johann Adam Reinken (il decano degli organisti tedeschi contava allora 97 anni), titolare nella Chiesa di S. Caterina dal 1663,
Andreas Kneller della Chiesa di S. Pietro dal 1° dicembre 1685, e Georg Preuss della Chiesa dello Spirito Santo. La procedura d'esame era quella stessa instaurata il 26 novembre
1674 quando si era provveduto alla nomina del Friese in successione di Matthias Weckmann. Requisito essenziale per accedere al posto era la garanzia prestata dall'eletto di versare nella cassa della chiesa una conveniente somma
di denaro; in pratica, la carica sarebbe stata
attribuita al miglior offerente. La cosa, probabilmente,
poteva aver
ragione di essere nel caso in cui ci si fosse trovati a dover scegliere fra musicisti di pari perizia: la presenza di Bach, tuttavia, doveva
aver sovvertito il naturale « ordine» della procedura. Ma il fatto che Bach, nonostante le sue incomparabili qualità di organista (che erano tali da escludere la possibilità per altri candidati d'imporsi nella prova), fosse stato invitato al concorso ben sapendo che da lui non si sarebbe potuto ricavare molto a vantaggio della chiesa, dimostra che in qualche
modo si voleva superare la prescrizione o quanto meno ci si sarebbe
potuti accontentare d'una offerta più modesta. E in effetti, venuta a mancare la prova di Bach, si prese tempo nella speranza di ricuperare il Kapellmeister di Köthen. L'esame dei concorrenti si tenne il giorno 287, ma ogni decisione in merito fu rinviata al 12 dicembre e poi ancora di un’altra settimana, al 19. Il rinvio era stato richiesto da uno dei consiglieri della chiesa, Johann Luttas, il quale sperava di poter
ricevere da parte di Bach una lettera di accettazione del posto. La lettera effettivamente giunse pochi giorni dopo, ma non ne conosciamo
purtroppo il testo (cfr. BD I, 7): comunque, si trattava certamente d’una risposta negativa. Alla giuria non rimase altra soluzione che
quella di provvedere ad una scelta fra i quattro candidati ascoltati il 28: e la scelta cadde su Johann Joachim Heitmann (22 dicembre), il quale provvide a versare (6 gennaio 1721) nelle casse della Jakobskirche la ragguardevole somma
di 4.000 marchi.
La risposta negativa formulata da Bach con ogni probabilità aveva una «giustificazione» di carattere economico e morale al tempo stesso. Il consesso dei giudici aveva voluto precisare, il 21 novembre,
che il tradizionale versamento di una somma a favore della chiesa, proprio in vista, forse, dell’auspicata assunzione bachiana, non doveva intendersi come una conditio sine qua non e che in ogni caso la capacità contributiva dei concorrenti non doveva anteporsi a quella musicale. La scelta, dunque, sarebbe stata libera e l'obolo avrebbe dovuto inten-
dersi solo come un gesto di ringraziamento da parte del prescelto. 539
Köthen (1717-1723)
La dichiarazione era nulla piá di un'affermazione di principio, espressa per tranquillizzare l'opinione pubblica: in realtà, c'era dell'ipocrisia, dell'impertinenza nella forzata interpretazione dell'antico costume. L'episodio dell'esclusione, volontaria o provocata, di Bach fece scan-
dalo. Mattheson lo volle registrare nel suo Der Musikalische Patriot (Amburgo 1728, p. 316) in questi termini (BD II, 253): Mi ricordo, e della cosa si ricorda anche una notevole quantità di persone, che alcuni anni prima di ottenere meritatamente un ragguardevole cantorato, un certo grande virtuoso aveva concorso al posto di organista in una non piccola città; aveva dimostrato tutto il proprio valore sugli organi migliori e piá belli e aveva destato in tutti l'ammirazione per la sua abilità; ma al tempo stesso, era stato informato che, accanto agli altri inetti compagni di concorso, c'era anche il figlio di un agiato artigiano il quale sapeva preludiare meglio coi talleri che con le dita e a costui, come si poteva facilmente
supporre, era poi toccato il servizio, con la conseguenza di scandalizzare quasi tutti. Si era giusto al tempo del Natale e l'eloquente predicatore in capo, che non aveva punto dato il propric consenso ad una delibera simoniaca, lesse nella maniera più splendida il Vangelo in cui si narra della musica degli angeli alla nascita di Cristo: il recente episodio dell’artista respinto gli diede l'opportunità di esprimere in maniera naturale il proprio pensiero e concludere press'a poco con questo singolare epiphonemata: egli crederebbe fermamente che se anche venisse dal cielo un angelo di Betlemme,
il quale suonasse divinamente, e volesse diventare organista nella Chiesa di S. Giacomo, ma non avesse denaro, quegli dovrebbe soltanto volarsene via.
Il laconico passo di Mattheson, in cui i protagonisti della vicenda e il luogo stesso dove si svolsero i fatti non sono mai esplicitamente citati, in realtà è chiarissimo in ogni sua parte: Bach, Lipsia, Amburgo, Heitmann, Neumeister sono facilmente identificabili; ma Mattheson,
che pubblicava quello scritto ad Amburgo, non voleva troppo compromettersi con citazioni appropriate e cosi aveva deciso di trincerarsi
dietro le correnti espressioni secondo le quali «ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale ».
La breve narrazione di Mattheson ci dice che Bach provò i migliori e più begli organi della città. La cosa è certamente possibile e, anzi, sappiamo che Bach aveva sostenuto una prova anzi tempo, dovendo rientrare a Kóthen, nella Chiesa di S. Caterina, alla presenza di Reinken;
il più volte citato necrologio (BD III, 666) s'intrattiene sull’avvenimento e ci dice che Bach suonò per oltre due ore fra la generale meraviglia di fronte al magistrato e a molti altri nobili cittadini. E cost prosegue: \
Il vecchio organista di questa chiesa, Johann Adam Reinken, che era in età di quasi cent'anni, lo ascoltò con particolare diletto e avendo suonato
540
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il nostro Bach in maniera singolare sul corale An Wasserflüssen Babylon, su richiesta degli astanti, improvvisando, molto dettagliatamente, per quasi mezz'ora, secondo diverse maniere come un tempo erano stati abituati i migliori organisti amburghesi ai vespri del sabato, gli fece il seguente complimento: pensavo che quest'arte fosse morta, ma vedo che vive ancora in lei. Tanto più inattesa fu quest’osservazione di Reinken dal momento che egli stesso molti anni prima aveva composto
questo corale sulla sopra-
citata melodia: la qual cosa il nostro Bach non ignorava, e di ció anzi era sempre stato un poco invidioso. Costringendolo a quel compito, Reinken gli aveva dato prova di molta cortesia.
Se Bach, dunque, non aveva sostenuto una regolare prova di concorso, aveva tuttavia manifestato, plena voce, la propria straordinaria
abilità sull'organo della Chiesa di S. Caterina (ma non & provato che
in quella circostanza, come riferisce lo Spitta, egli abbia presentato anche il grande Preludio [Fantasia] e fuga in sol minore BWV 542) e, con molta probabilità, anche sugli strumenti di altre chiese amburghesi. Nei pochi giorni in cui s'era intrattenuto nella capitale anseatica,
Bach aveva ripercorso, questa volta da protagonista, gli itinerari già toccati in gioventá, quando dalla non lontana Lüneburg si era portato ad Amburgo (1700-1702) in visita di studio, di esplorazione, di pelle-
grinaggio, dividendo la propria curiosità fra gli organi delle chiese e il teatro dell'opera, fra la musica municipale e le istituzioni dei pubblici
concerti;
aveva
ritrovato
musicisti
(Reinken
e Gerstenbüttel,
ad
esempio) ai quali già negli anni di apprendistato si era avvicinato con la curiosità e l'esitazione del novizio, ma anche con l'acuta percezione e diffidenza critica dello studente che incalza i maestri con l'arma del dubbio.
39. Una questione di eredità. BIBLIOGRAFIA
Hugo LÄMMERHIRT, Bachs Mutter und ihre Sippe, in BJ XXII (1925), pp. 101137; Fritz WIEGAND, Die mütterlichen Verwandten J. S. Bachs in Erfurt. Ergänzungen und Berichtigungen zur Bachforschung, in BJ LIII (1967), pp. 5-20.
Nell'agosto 1721 Bach si reca, passando per Gera, a Schleiz, nella bassa Turingia (il soggiorno & documentato dal 7 al 13 di quel mese e l'albergo in cui il musicista prende alloggio si chiama «Angelo azzurro»;
cfr. BD II, 107) in visita alla corte del conte Heinrich XI. Reuss, la 541
Köthen (1717-1723)
cui cappella era allora diretta da Gottfried Siegmund Liebich (Frankenberg, 22 luglio 1672 - Schleiz, 1° luglio 1727). Si ignorano i particolari del viaggio e chi abbia procurato a Bach, e con quale reale scopo, quell'invito. Un anno dopo, alla fine di luglio e ai primi di agosto del 1722, Bach si trova a Zerbst (BD II, 114) in occasione dei festeggiamenti per il genetliaco del principe Johann August di Anhalt-Zerbst (29 luglio 1677 - 7 novembre 1742), reggente dall'8 novembre 1718. Per quell'avvenimento Bach compose una cantata (e ne fu compensato con 10 talleri), sul cui conto non & dato di sapere alcunché di preciso *. E probabile che Bach sia stato invitato a scrivere la musica occorrente per quella celebrazione essendo ancora vacante presso la corte di Zerbst (la cui cappella era stata fondata nel 1709) il posto di Kapellmeister, lasciato vacante da Johann Baptist Kuch, che solo nel settembre sarà attribuito a Johann Friedrich Fasch. Fra l'uno e l'altro di questi due viaggi, gli ultimi prima dell'avvio dei contatti per l'assunzione a Thomaskantor a Lipsia, si colloca una questione famigliare di un certo interesse. Nel settembre 1721 era morta a Erfurt Martha Catharina Lämmerhirt, già vedova Brückner e seconda moglie di Tobias Limmerhirt: questi — come si ricorderà — era il fratello maggiore di Maria Elisabetha, la madre di Johann Sebastian
(Martha Catharina Lämmerhirt, si rammenti, aveva
tenuto a battesimo la primogenita di Bach). Tobias Lämmerhirt, morto nel 1707, aveva disposto per testamento che i suoi beni fossero ereditati dalla moglie, ma che 50 fiorini fossero versati alla nipote Anna Christina (figlia di suo fratello Andreas) e che uguale somma toccasse a ciascuno dei quattro figli di sua sorella Elisabetha (e cioè a Johann Christoph, Maria Salome, Johann Jacob e Johann Sebastian Bach). Infine, Tobias Limmerhirt aveva legato 20 fiorini a ciascuno dei cinque fratellastri e sorellastre che egli aveva. Il testamento prevedeva poi due situazioni: 1) se Martha Catharina si fosse nuovamente sposata, alla di lei morte avrebbero dovuto essere versati ai parenti piá prossimi del testatario — vale a dire alla figlia di suo fratello e ai figli di sua sorella — 50 fiorini a testa; 2) se Martha Catharina non si fosse più accasata, una metà della successione sarebbe andata ai parenti del testatario
e l'altra metà ai parenti della vedova.
Ora, Martha Catharina aveva conservato lo stato di vedovanza. In data 8 ottobre 1720 aveva redatto un proprio testamento (BD II, 101), che era stato aperto il 26 settembre 1721 (Martha Catharina
era morta a mento erano quelle stesse cinque erano
Erfurt una quindicina di giorni prima). In questo testaindicate come eredi dieci persone: le prime cinque erano previste dal testamento di Tobias Lämmerhirt, le altre parenti per parte di Martha Catharina. 542
Köthen (1717-1723)
In data 24 gennaio 1722 (BD II, 112) fu presentata alle autorità di Erfurt un'istanza da parte degli eredi nominati nel testamento di Tobias Lämmerhirt; ma & verosimile che quella istanza non sia stata firmata da Bach né tanto meno dai suoi due fratelli, poiché di questi
uno, Johann Christoph, era già morto (a Ohrdruf il 22 febbraio 1721) e l'altro, Johann Jacob, si trovava inSvezia (per quest'ultimo fu richiesta 27 ottobre 1721, la nomina di un curatore, su istanza di Johann Sebastian; cfr. BD II, 109). Firmatari della richiesta erano stati (ma a
nome di tutti e cinque e con evidente «abuso») Anna Christina sposata Zimmermann e Maria Salome sposata Wiegand (cioè la sorella di Johann Sebastian). I ricorrenti chiedevano che la restante parte dell'eredità Lämmerhirt fosse dedotta dall'insieme della successione e suddivisa fra loro cinque e non fra dieci persone. La cosa non garbava punto a Johann Sebastian, che evidentemente era ben compreso della esosità della richiesta. Pertanto, una volta venuto a conoscenza del
Es ;affrettó ad inviare alle autorità di Erfurt la seguente lettera
BD I, 8):
Nobilissimi etc. Dottissimi e Sapientissimi Signori
In special modo onoratissimi Signori Patroni Vi € già noto, nobilissimi Signori, in qual modo io e mio fratello Johann Jacob Bach (che & al servizio del re di Svezia), siamo coeredi nella successione Lemmerhirt. Ora io vengo a sapere da estranei che gli altri signori coeredi sono intenzionati ad avviare un processo in relazione a tale successione, ma poiché esso non giova né a me né all'assente mio fratello, pertanto non ho l'intenzione d'impugnare giuridicamente il Testamento Lemmerhirt, che al contrario mi soddisfa per quanto vi si ordina di assegnare a me e a mio fratello; io rinuncio dunque con la presente per me e sub cautione rati nomine di mio fratello a ogni procedimento giudiziario e con protestation ordinaria mi voglio premunire. Cosí ho ritenuto necessario di comunicare la cosa ufficialmente a Loro Nobilissimi Signori, con l'umilissima preghiera di accettare benevolmente questa mia rispettosa rinuncia [respective renunciation]
e la mia protesta [protestation] e di voler gentilmente far versare a me e a mio fratello le quote dell'eredità ancora a venire, tanto quelle che si trovano già in deposito, quanto quelle che vi dovranno ancora essere depositate in futuro. Riconoscendo la mia devotissima gratitudine per tale favore, continuo a dichiararmi Di loro Nobilissimi Signori servitore devotisimo Johann Sebastian Bach Capellmeister del Principe di Anhalt-Cöthen
Cóthen, il.15 marzo anno 1722
543
Köthen (1717-1723)
Quali esiti abbia avuto la lite di fronte alle autorità di Erfurt non
& dato sapere: puó darsi che vi sia stata una transazione, ma si dovrà tener presente, comunque, che dei cinque coeredi inscritti nel testamento di Tobias Limmerhirt solo Anna Christina e Maria Salome proseguirono nel giudizio, se pur non abbandonarono anch'esse la causa che, del resto, aveva poche possibilità di riuscita a loro favore: Johann Christoph era già morto, come si & visto, al momento del ricorso; Johann Sebastian si era sdegnosamente dissociato dal pretendere quanto non gli era stato assegnato; e Johann Jacob (che dal 1713 si
trovava a Stoccolma al servizio del re di Svezia), della cui rinuncia | s'era assunto la responsabilità Johann Sebastian, sarebbe morto un mese dopo (16 aprile 1722) la presentazione della richiesta di rimessione firmata dal Kapellmeister di Köthen. Due avvenimenti a breve distanza l’uno dall’altro vennero a modificare radicalmente la vita di Bach, che aveva appena celebrato le nuove nozze con Anna Magdalena (3 dicembre 1721). A otto giorni da quell'evento, la corte di Köthen veniva dotata d'una principessa.
Il principe Leopold sposava a Bernburg (l'11 dicembre) la cugina Friederica Henrietta di Anhalt-Bernburg (Bernburg, 24 gennaio 1702 -
Kóthen, 4 aprile 1723) sul cui conto l'unica importante notizia è quella riferita da Bach nella più famosa delle sue lettere, quella del 28 ottobre 1730 (BD I, 23), secondo la quale la principessa era una « amusa »: nemica o comunque indifferente all'arte musicale e alla cultura in genere, Friederica Henrietta visse sufficientemente la nuova parte di sovrana per rendere poco confortevole e intollerabile addirittura la permanenza di Bach presso quella corte; e anche se la principessa ebbe la sventura di finire presto i suoi giorni, ormai Bach all’epoca del suo trapasso aveva già deciso di assumere il nuovo servizio a Lipsia.
Gli sfarzosi festeggiamenti organizzati per dar lustro alle nozze dei principi si protrassero per cinque settimane. Nel corso di quelle manifestazioni, Bach fu più volte chiamato a eseguire musiche col suo Collegium musicum e scrisse almeno due cantate: una cantata augurale per gli sposi non identificata, probabilmente eseguita durante la cerimonia nuziale, e una cantata per il nuovo anno dedicata a Friederica Henrietta (BWV Anh. 8), di cui non si conoscono, come la
precedente, né musica né testo; unico documento superstite è un foglio di frontespizio, segnato al retro da calcoli numerici (BD II,
120).
Il matrimonio dei principi fu coronato dalla nascita di una sola figlia, che fu battezzata coi nomi della nonna paterna: Gisela Agnes (Kóthen, 21 settembre 1722 - 20 aprile 1751), poi divenuta sposa (25 maggio 1737) di Maximilian Leopold di Anhalt-Dessau. 544
Kóthen (1717-1723)
40. Il concorso
a Thomaskantor.
BIBLIOGRAFIA
Wilhelm KLeeFeLD, Bach und Graupner als Bewerber um das Leipziger Thomas-
kantorat 1722/23, in «Jahrbuch der Musikbibliothek Peters » IV (1897), p. 70;
Bernhard Friedrich Rıcater, Die Wahl J. S. Bachs zum Kantor der Thomasschule i. J. 1723, in BJ II (1905), pp. 48-67; Friedrich Noack, J. S. Bachs und Christoph Graupners Kompositionen zur Bewerbung um das Thomaskantorat in Leipzig 1722-23, in BJ X (1913), pp. 145-162; Ernst Knokzn, Bachs Berufung in das Kantorat der Thomasschule, in «Leipzig. Eine Monatsschrift» I (1924), quad. 2, pp. 33-38 (rist. in E. K., Aufsätze zur Stadtgeschichte und Reformationsgeschichte, Leipzig 1929, pp. 137-148); Martin GECK, Bachs Probestück, in Quellenstudien zur Musik. Wolfgang Schmieder zum 70. Geburtstag, a cura di Kurt DORFMÜLLER, in collab. con Georg von DADELsEN, C. F. Peters, Frankfurt-London-New York 1972,
pp. 55-68.
Johann
Salomon
Riemer,
autore
di una
cronaca
della città di
Lipsia (Continuatio Annalium. Lipsiensium Vogelii, 1714-1771), rimasta manoscritta e redatta come continuazione del Leipzigisches Chronicon di Johann Jacob Vogel, registra all'anno 1722 (tomo I, p. 107): Il 5 giugno morí il Sig. Johann Kuhnau, Director musices nelle due chiese principali di S. Tommaso e di S. Nicola, nonché della Chiesa di S. Paolo dell'Università e Cantor alla Thomas-Schule, di anni 62 e mesi 2, uomo colto, esperto nell'arte, che non soltanto possedeva una buona conoscenza
dell'ebraico, del greco e del latino, ma in aggiunta a quanto riguarda la sua musica, era un perfetto matematico e prima di assumere la carica di
Cantor era stato un dotto avvocato.
Colmare il vuoto lasciato da Kuhnau, protagonista indiscusso della
vita musicale di Lipsia in un momento in cui la città conosceva un fervore di iniziative in tutti i campi che la ponevano ai primi posti fra le città tedesche, non era cosa difficile: tant'è, ai reggitori della cosa pubblica non restava che il proverbiale imbarazzo della scelta. Sei settimane dopo la morte di Kuhnau, il 14 luglio, il Consiglio Comunale di Lipsia inizió l'esame delle candidature, che erano sei:
1. Johann Friedrich Fasch (Buttelstedt, Weimar, 15-4-1688 - Zerbst, 5-121758), già allievo di Kuhnau, fondatore a Lipsia di un Collegium musicum (1708) e in procinto di essere assunto come Kapellmeister alla corte di Zerbst.
545
Köthen (1717-1723) 2. Georg Lembke (? - Weissenfels, 22-3-1744), Kantor a Laucha a. d. Unsturt, presso Lipsia, poi Kantor a Weissenfels dal 1725. 3, Christian Friedrich Rolle (Halle, 14-4-1681 - Magdeburgo, 25-8-1751), dal 1709 Stadtkantor a Quedlinburg e dal 1721 Kantor in S. Giovanni a Magdeburgo. Collega di Bach nella perizia all’organo della Liebfrauenkirche di Halle (1716). 4. Georg Balthasar Schott (Schönau/Hörsel, 22-10-1686 - Gotha, sep. 26-3-1736), dall’1-8-1720 organista della Chiesa Nuova di Lipsia, poi Stadtkantor a Gotha dal 1729. 5. Johann Martin Steindorff (Teutleben, 18-3-1663 - Zwickau, 3-5-1744), Kantor a Zwickau. 6. Georg Philipp Telemann (Magdeburgo, 14-3-1681 - Amburgo, 1767), dal 1721 direttore generale della musica ad Amburgo.
25-6-
La candidatura di Telemann non era dettata dal desiderio incontenibile del musicista di rientrare nelle mura della città che lo aveva visto studente, organizzatore infaticabile di attività musicali, bensí dal
calcolato proposito di approfittare d'una vacatio cosí palesemente allettante per imporre alle autorità di Amburgo dalle quali dipendeva un ancor più favorevole trattamento nei suoi confronti. Una volta posta la propria candidatura a Lipsia, malgrado la sua esplicita riserva di non volersi sottoporre ai doveri d'insegnamento che la carica di Kantor comportava, il Consiglio ne approvó la nomina all'unanimità l'11 agosto, due giorni dopo che il musicista aveva sostenuto la prova rituale. Per trattenere in città il compositore pit famoso del momento si facevano ponti d'oro, si trascurava il rispetto d'una tradizione secolare e l'Università, presso la quale un tempo egli era stato studente,
gli affidava la direzione musicale della Chiesa di S. Paolo. Il 13 agosto Telemann riceveva l'investitura ufficiale a Thomaskantor in Municipio: il giorno dopo egli avrebbe dovuto presentarsi al rettore dell'Università, Johann Heinrich Ernesti, per fissare il calendario dei propri doveri. Evitava, invece, l'incontro, e partiva alla volta di Amburgo, dove si tratteneva un mese, lasciando nell'incertezza tanto le autorità di Lipsia
quanto quelle di Amburgo. Con un brillante e astuto comportamento, il 25 settembre egli si presentava nuovamente:a Lipsia, fermandosi un paio di settimane presso il notaio Johann Christoph Gótz; quindi ripartiva alla volta di Amburgo e questa volta «ingiungeva» alle autorità locali di concedergli gli aumenti da lui voluti: in caso contrario, egli sarebbe definitivamente ritornato a Lipsia. Il giuoco al rialzo riusci perfettamente e Telemann rimase ad Amburgo, lasciando nuovamente
vacante il posto di Thomaskantor a Lipsia. 546
Köthen (1717-1723)
Ripreso l'iter formale da capo, il 23 novembre si rivolse l’attenzione ai candidati rimasti, ai quali intanto s'erano aggiunti: LI
b
.
.
.
.
7. Georg Friedrich Kauffmann (Ostermondra, Sémmerda, Turingia, 14-21679 - Merseburg, 24-2-1735), dal 1710 organista e Musikdirektor a Merseburg, poi (1725) Kapellmeister.
8. Andreas Christoph Tufen (? - ?), Kantor a Braunschweig.
Il consigliere Abraham Christoph Platz propose di ridurre la rosa a tre nomi: Fasch, Rolle e Tufen e la proposta fu appoggiata dal borgomastro Adrian Steger: i tre concorrenti sarebbero stati convocati (dietro un rimborso di 20 talleri a persona) per sostenere una prova di idoneità tanto sul piano musicale quanto su quello didattico. Il consigliere Jacob Born privilegiò invece il nome di Kauffmann, che però
aveva già fatto sapere di non essere disposto ad assumersi incarichi pedagogici. Da una gazzetta amburghese dell’epoca (Staats-Belehrte und ordentliche Zeitung des Hollsteinischen unpartheyischen Correspondenten), in data 8 dicembre 1722, si apprende che « nella Chiesa di S. Nicola la domenica testé trascorsa il signor Capell-Meister di Merseburg (=Kauflmann) ha tenuto la sua prova prima della Predica, ma finita la Predica è stata la volta di un altro [Capell-Meister] di Braunschweig (—'Tufen) e, al Vespro, del sig. Schotte (sic) in un'altra chiesa »°. La notizia è in sé d’una certa importanza, sia perché precisa che i tre sopraddetti maestri sostennero la prova prima di Graupner, sia perché testimonia l’esistenza di una prassi liturgica che inquadrava il momento del sermone fra due cantate o fra due parti d'una medesima cantata. C'é da credere, tuttavia, che quella « prova» non avesse
un carattere ufficiale, poiché si erano aggiunte altre candidature e più tardi, come si vedrà, Kauffmann e Schott furono nuovamente ascoltati.
Un verbale del Consiglio Comunale in data 21 dicembre 1722 (BD II, 119) ci fa sapere infatti che, nel frattempo, si erano aggiunti
al «concorso » Graupner, Kapellmeister a Darmstadt, e Bach, Kapellmeister a Kóthen, mentre Fasch aveva dichiarato che non si sarebbe
del 15 genassoggettato all'obbligo dell'insegnamento. Nella seduta a chiaConsiglio del o naio 1723 apparve già chiaro l'orientament Sassonia, (Kirchberg, Graupner mare al cantorato Johann Christoph 13 gennaio 1683 - Darmstadt, 10 maggio 1760); di questo parere furono il borgomastro Gottfried Lange e i consiglieri Jacob Born e Johann August Hólzel, mentre il consigliere Gottfried Wagner votando per Graupner chiese se non fosse stato il caso di ammettere ancora alla prova Rolle e Bach (BD II, 121). 547
Köthen (1717-1723)
Il 17 gennaio Graupner sostenne la prova con l'esecuzione di due cantate, una per coro sul salmo Aus der Tiefe rufen wir, Gott, zu dir, e l'altra anche con solisti sul salmo Lobet den Herrn alle Heiden. Graupner si trovava a Lipsia da almeno tre settimane: alla vigilia del Natale era stato eseguito un suo Magnificat. Che egli ambisse fortemente al posto di Kantor, e che la cosa fosse valutata dalle autorità con estremo favore, & fuor di dubbio: in quella medesima Thomasschule egli era
stato allievo di Schelle e di Kuhnau fra il 1696 e il 1705 e presso la locale Università aveva seguito i corsi di giurisprudenza. Dopo un periodo di attività ad Amburgo (dal 1706), nel 1712 Graupner era divenuto maestro di cappella alla corte del langravio Ernst Ludwig d'Assia-Darmstadt. Sostenuta la prova, Graupner rientró a Darmstadt recando con sé la richiesta ufficiale del Consiglio di Lipsia al langravio perché questi concedesse la « liberatoria » al musicista (il documento è datato 20 gennaio). Nell'attesa d'una risposta, che si temeva potesse essere negativa, furono ammessi alla prova anche gli altri candidati: il Kauffmann in data imprecisata, lo Schott (2 febbraio) e Bach (7 febbraio, Dominica Estomihi). Il Kapellmeister di Köthen si presentò con la cantata Jesus nahm zu sich die Zwölfe (BWV 22) e forse anche con la cantata Du wahrer Gott und Davids Sohn (BWV 23): l'avvenimento è registrato tanto da Christoph Ernst Sicul (Annalium Lipsiensium; BD II, 122),
quanto dalla cronaca di Johann Salomon Riemer (BD II, 123), quanto infine dallo «Hamburger Relationscourier», n. 26 (BD II, 124). Bach ricevette un rimborso spese nella misura di 20 talleri (BD II, 125). Nel corso del mese di marzo pare che Bach fosse stato pit volte a Lipsia: il 26 di quel mese (venerdí santo) avrebbe diretto, addirittura,
una sua passione nella Thomasschule; l'argomento, sul quale ritorneremo, e di grande importanza: si & ipotizzata, in quella circostanza, la prima esecuzione della Johannespassion, che allo stato attuale degli studi
non pare tuttavia possa essere stata presentata in quella data. Ma i viaggi nella vicina Lipsia avevano il comprensibile scopo di mantenere vivo il contatto con le autorità, seguire dappresso gli avvenimenti ed evitare sorprese nell'assegnazione di quel tribolato ufficio di Kantor. Era su Graupner, tuttavia, che il Consiglio di Lipsia puntava i propri sguardi, struggendosi quasi nell'attesa del nihil obstat che tardava a venire da Darmstadt. Sollecitato ancora una volta dal borgomastro Lange a pronunciarsi sul destino di Graupner, il langravio finalmente sciolse ogni dubbio, negando la libertà al suo Kapellmeister, ma ripagandolo abbondantemente con un buon aumento di stipendio, con una vistosa regalia (douceur, dice il documento) di 3100 fiorini e con la promessa di concedere, in caso di sua morte, una pensione alla vedova e ai figli. 548
Kóthen (1717-1723)
La risposta del langravio, dunque, rimetteva in discussione ancora
una volta la questione dell'elezione del Kantor: due nomine, Telemann prima, Graupner poi, erano state disattese. Il 9 aprile (BD II, 127) l'organo deliberante si riuní nuovamente e dovette constatare che la situazione era tanto pit grave in quanto i tre candidati rimasti — Bach, Kauffmann, Schott — non pareva potessero essere adatti all'insegnamento e che, pertanto, secondo quanto si era già pensato nel momento in cui Telemann aveva dichiarato la propria indisponibilitä per le funzioni didattiche, sarebbe forse stato meglio provvedere ad una separazione delle due mansioni, musicale e didattica. Il consigliere
Platz intervenne ritenendo discutibile quest'ultima proposta e dichiarò che se non si poteva ottenere il miglior soggetto desiderato, ci si poteva accontentare di qualcuno più mediocre, ma capace di coprire entrambe le funzioni e consigliò di prendere in considerazione un maestro di Pirna (con tutta probabilità egli pensava al Kantor Christian Heckel)'*. Il deterioramento della situazione musicale a Kóthen aveva forse indotto Bach a interessarsi vivamente alla successione di Kuhnau. Acquisita l'idea di mutare impiego e di ritornare alla prediletta musica sacra, Bach non modificó i propri progetti quando la principessa, che aveva cosí severamente sdegnato la musica, venne prematuramente a morire,
il 4 aprile. Nove
giorni dopo Bach otteneva
il congedo,
preparandosi cosí ad espletare le ultime formalità necessarie per raggiungere quel conteso posto di Kantor. Il placet di Leopold dice
(BD II, 128):
Per grazia di Dio Noi Leopold principe di Anhalt ecc. con la presente portiamo a conoscenza di tutti in quale maniera abbiamo avuto a servizio, in qualità di Capellmeister e di Direttore della nostra Musica di Camera l'onorevolissimo ed espertissimo Johann Sebastian Bach dal 5 agosto 1717. Poiché Noi siamo stati in ogni momento pienamente soddisfatti delle di lui prestazioni, ma questi vuole d'ora in avanti tentare la propria fortuna in altro modo e ci ha umilissimamente richiesto di accordargli le nostre benevole dimissioni, cosí Noi gli concediamo graziosamente il permesso e vogliamo raccomandarlo al massimo per il servizio che svolgerà altrove. In fede di ció Noi abbiamo apposto la nostra propria firma a codesto congedo e l'abbiamo corredato del nostro sigillo principesco. Visto in Cóthen il 13 aprile 1723.
Il 19 aprile Bach assumeva l'impegno formale di prender possesso del posto di Kantor, prima ancora che questo gli fosse ufficialmente assegnato: era una garanzia che il Consiglio Municipale di Lipsia aveva deciso di chiedere al candidato prescelto, constatati i poco lusinghieri risultati che erano stati ottenuti con le nomine di Telemann e 549
Köthen (1717-1723)
di Graupner. La dichiarazione, una sorta di « compromesso » stretto fra le parti in vista dell'atto giuridico compiuto e nel quale era implicitamente chiamata in causa l'onorabilità stessa del musicista, diceva
(BD 1, 91):
Essendomi presentato io sottoscritto innanzi al Sapientissimo Consiglio
della Città di Lipsia per ottenere il servizio di Cantor, vacante nella Scuola di S. Tommaso e in questo caso essendosi convenientemente disposto di prendere in considerazione la mia persona, in forza della presente assicuro che nel caso in cui la mia richiesta venga accolta e mi sia affidato tale servizio, non soltanto mi renderò libero nello spazio di 3 o 4 settimane al massimo dall’incarico che mi compete presso la corte del principe di Anhalt-Cóthen e di conseguenza rimetterò allo stimatissimo Consiglio il certificato di dimissioni, ma anche, se dovessi veramente assumere tale servizio di Cantor, di conformarmi all'ordinamento scolastico cosi come è attualmente o che dovesse essere modificato in futuro, e in particolare d’insegnare il canto ai ragazzi che sono stati ammessi alla scuola non solo durante l'orario normale che compete, ma anche in privato gratuitamente, ed eseguire ovunque come si deve ciò che sono obbligato a fare a questo proposito; non di meno, tuttavia, se dopo averne preavvisato il sapientissimo Consiglio e averne ottenuta l’autorizzazione, mi si rendesse necessario qualcuno che mi sollevasse nell'insegnamento del latino, questi sarebbe pagato di tasca mia senza nulla richiedere al Sapientissimo Consiglio o a chicchessia, fedelmente e senza inganno. In fede di ció ho redatto di mio pugno questo attestato di garanzia e l'ho autenticato con il mio sigillo. Visto in Lipsia il 19 aprile 1723. -
Johann Sebastian Bach p.[ro] t.[empore] Capellmeister del principe di Anhalt-Cöthen
E del 22 aprile 1723 la delibera di assunzione definitiva pronun-
ciata dal Consiglio Comunale di Lipsia (BD II, 129); ecco il verbale della seduta: Dominus Consul Regens Dr. Lange nella riunione congiunta delle tre sezioni del Consiglio riferisce, come era noto, che si era pensato di offrire il posto di Cantor in S. Tommaso al sig. Telemann e che questi aveva promesso di fare tutto quanto occorreva, ma che poi egli non aveva mantenuto la promessa. In seguito, era stata sua intenzione accordarsi privatamente con il
sig. Graupner, Capellmeister a Darmstadt, al quale tuttavia non era stato concesso il permesso. Si erano poi presentati Bach, Hoffmann [= Kauffmann] e Schott. Bach era Capellmeister a Cóthen ed eccelleva negli strumenti a tastiera. Oltre alla musica egli avrebbe dovuto provvedere all'insegnamento e dal momento che al Cantor toccava anche di insegnare i Colloquia Corderi e la Grammatica, egli era anche disposto a svolgere quest'incombenza. Egli si era riservato d'insegnare non solo pubblicamente, ma anche privatamente.
550
Köthen (1717-1723) Nel caso in cui Bach fosse prescelto ci si potrebbe dimenticare della Conduite tenuta da Telemann. Dominus Consul Dr. Platz. Poiché la vacatio si & a lungo protratta, si ha ragione di provvedere alla scelta. Sarebbe auspicabile che ci si incontrasse anche con il terzo [candidato: cioè Bach]. Egli potrebbe accordarsi per l'insegnamento alla gioventá. Bach sarebbe certo adatto per questa funzione e lo vuole fare; pertanto gli dà il suo Votum. Dominus Consul Dr. Steger. Rende grazie per la scrupolosità [dimostrata nell'affare]; gli è stato riferito perché si è pensato ad altri e per quale motivo si vuole prendere il signor Bach. Come persona Bach sarebbe meglio di Graupner. Egli stesso si sarebbe dichiarato pronto a manifestare la propria fedeltà alla Scuola di S. Tommaso non solo come Cantor, ma anche come Collega. Come Collega quartus egli vorrebbe mettersi d’accordo con gli altri praeceptores che dovessero fargli da vice. Anch'egli ha votato per Bach e ha espresso la volontà che le sue compositiones non abbiano carattere teatrale. Il Signor Consigliere Comunale D. Born. Dì il suo Votum al signor Bach. Il Signor edile Wagner. Bach gli sarebbe stato molto elogiato e perciò vota per lui. Il Signor edile Lehmann. Non nutre dubbi a dare il propio Votum a Bach. Il Consigliere di appello Dr. Troppaneger. Ha votato Bach; egli dovrebbe provvedere all’insegnamento oppure mettersi d’accordo con un altro. Il Signor Sieber. Diede il proprio Votum a Bach. Il Sig. Consigliere di corte Dr. Kregel. Similiter, Etiam; non dovrebbe sottrarsi all'insegnamento, ma se non gli fosse possibile provvedervi, lo si dovrebbe lasciar fare ad un altro. Il Signor Gottfried Winckler hanno votato per Bach. Il Signor Dr. Stieglitz Il Signor Dr. Baudiss, Etiam. Per quanto riguarda l'insegnamento, dal momento che si dovrebbe verificare una carenza si dovrà provvedere con una supplenza. Il Signor Dr. Kiistner, Similiter; a spese del candidato l’insegnamento dovrà essere trasferito sui rimanenti colleghi di scuola. Il Signor impiegato comunale superiore Menser
Il Signor Caspar Bose
|
danno il proprio
|Votum a Bach
Il Signor Zacharias Jócher
Il Signor Kreuchauff Il Signor Dr. Masskow. Etiam; per quanto riguarda l’insegnamento si dovrebbe trovare un accomodamento. Il Signor Pro-Consul Dr. Born.
Parimenti,
nella speranza
di ricevere
le sue dimissioni da Cóthen. Il Signor Pro-Consul Dr. Höltzel, Similiter. Il Signor edile Kregel, ugualmente. Il Signor Syndacus Job. Etiam; per quanto riguarda le dimissioni, la cosa non soltanto sarebbe fondata ma anche corretta.
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Köthen (1717-1723) Il Signor giudice conciliatore Dr. Romanus Il Signor Küstner Il Signor edile Hohmann tutti quanti danno il Il Signor Örttel proprio Votum a Bach. Il Signor Bóttcher Il Signor consigliere di corte Dr. Trier Dominus Consul Regens. Sarebbe necessario puntare su un uomo famoso che potrebbe dar animo ai signori Studiosi. Bach dovrebbe procurarsi le dimissioni e desidererebbe che potesse riuscirvi; e con ciò pone fine anche a questa Consultation.
Il verbale (di cui esiste anche un'altra stesura «parallela»; cfr. BD II, 130) dimostra che il Consiglio di Lipsia non sapeva ancora, al momento di deliberare sull'argomento, che Bach aveva già ottenuto una decina di giorni prima le « dimissioni » da parte del principe Leopold; ma, soprattutto, quel documento testimonia la volontà ormai
unanime del consesso cittadino (su 32 consiglieri, 27 erano presenti alla riunione e tutti si dichiararono a favore di Bach) di assegnare al celebre organista il posto di Thomaskantor. A orientare il Consiglio su quella strada non fu neppure necessario attendere ulteriori pressioni esterne; si sa, ad esempio, che Graupner all'atto di inviare la sua definitiva rinuncia (4 maggio), si era espresso in questi termini a proposito di Bach: « un Musicus, tanto abile all'organo quanto esperto nelle cose di chiesa e nelle musiche di cappella, che onestamente e convenientemente & idoneo a coprire la funzione» (BD II, 132). Non si tratta certo d'una dichiarazione esaltante, ma il senso positivo del suo
contenuto sta non tanto nella lettera del testo, quanto piuttosto nella spontaneità del gesto compiuto da Graupner, il quale non era tenuto ad esprimere pareri su chi gli subentrava nel posto che egli non aveva potuto accettare. La comunicazione ufficiale della nomina di Bach & del 5 maggio (BD II, 133). In quella medesima data, Bach sottoscrisse l'impegno nei termini previsti dall'autorità, apponendo la propria firma al seguente documento (BD I, 92): Dichiarazione del Cantor della Scuola di S. Tommaso
Poiché il Sapientissimo Consiglio di questa città di Lipsia mi ha assunto come Cantor della Scuola di S. Tommaso, mi ha chiesto di sottoscrivere una dichiarazione nei seguenti punti, e precisamente: 1. di servire di buon esempio ai ragazzi per una vita e una condotta ritirata, di assistere gli scolari diligentemente ragazzi, ^
e di istruire fedelmente
i
\
2. di portare a un buon livello la Musica nelle due chiese principali di questa città, secondo le mie migliori possibilità,
552
Köthen (1717-1723)
3. di mostrare tutto il mio deferente respect e tutta la mia obbedienza al Sapientissimo Consiglio e di salvaguardare e migliorare ovunque e nel migliore dei modi la sua onorabilità e reputazione, di concedere senza difficoltà i ragazzi se un membro del Consiglio li desidera per una Musica, e inoltre di non consentire assolutamente agli scolari di recarsi nel territorio per funerali o nozze senza preavviso o senza il benestare del signor borgomastro reggente e dei signori soprintendenti della scuola. 4. Di eseguire gli ordini che mi competono e tutto quanto i signori ispettori e soprintendenti della scuola mi ordineranno in nome del Sapientissimo Consiglio, 5. di non ammettere alla scuola alcun ragazzo che non abbia già una qualche cognizione (fundament) musicale o che non sia realmente idoneo a ricevere una formazione in proposito, cosa che comunque non farò senza
averne
informati
i signori ispettori e soprintendenti
e averne
ottenuta
l’autorizzazione. 6. Di istruire diligentemente i ragazzi non solo nella musica vocale, ma anche in quella strumentale, affinché la Chiesa non debba sopportare costi non necessari.
7. Di disporre, per mantenere il buon ordine nella Chiesa, che la Musica ivi eseguita non duri troppo a lungo, e inoltre di procurare che essa non appaia di carattere teatrale, ma esorti piuttosto gli ascoltatori alla devozione. 8. Di assicurare dei buoni allievi alla nuova Chiesa,
9. di trattare i ragazzi amichevolmente e con delicatezza, ma nel caso in cui essi non volessero eseguire gli ordini, di punirli moderatamente o di avvisarne l’autorità competente;
10. di attendere fedelmente quant'altro mi compete,
all’insegnamento
nella scuola e di fare
11. e nel caso in cui io stesso non fossi in grado di eseguire tali incombenze, di disporre che a ció provveda un altro valido Subjectum senza che il Sapientissimo Consiglio o la scuola abbia a contribuirvi, 12. di non recarmi fuori città senza il permesso del signor borgomastro reggente, 13. di procedere a fianco dei ragazzi, come d'uso e in quanto possibile, durante i funerali, 14. e di non dover né poter accettare alcun officium all'Università, senza il consenso del Sapientissimo Consiglio;
Con la presente e in forza di fedelmente tutto quanto & sopra perdere il servizio. In fede ho sottoscritto di mio lidata con il mio sigillo. Fatto in
questa mi impegno e obbligo a eseguire scritto e di non oppormi, sotto pena di keiner pugno questa dichiarazione e l'ho convaLipsia il 5 maggio 1723.
Johann Sebastian Bach
553
Kóthen (1717-1723)
Con questa dichiarazione, redatta sulla base del regolamento che il Consiglio Comunale aveva elaborato per la Scuola di S. Tommaso nel marzo del remoto 1634, Bach s'impegnava a rispettare una serie
di obblighi, ben piá gravosi di quelli che sino a quel momento lo avevano condizionato durante i servizi espletati nelle varie sedi. Si aggiunga che lo stipendio che competeva al Thomaskantor, come vedremo, era di molto inferiore a quello che Bach riceveva come
Kapellmeister a Köthen, quantunque gli accidentia fossero poi tali da risollevare alquanto il bilancio domestico e portare le rimunerazioni e le gratifiche ad un livello superiore. Era pur sempre un’alea, tuttavia, quella che Bach correva, poiché da un lato la rigidità del regolamento avrebbe potuto nuocergli, a breve o a lunga scadenza, e incidere
negativamente sulla sua forza d'animo, sulla sua naturale predisposizione all'osservanza dei principii scritti, purché se ne interpretasse lo spirito con illuminata
saggezza;
e dall'altro lato gli accidentia non
potevano garantirgli in toto un tenore di vita conveniente, per l'intrin-
seca « precarietà » della loro natura. Eppure, se Bach si decise a questo passo, il piá importante e deter-
minante per la sua csistenza e per la sublimazione stessa del suo impegno creativo, fu non soltanto perché riteneva che la sua posizione a Kóthen
fosse stata in qualche maniera compromessa e che comunque non potesse offrire uno spazio sufficientemente ampio all'invenzione: artistica, ma anche perché il posto di Kantor, se pur inferiore nella considerazione generale al ruolo di Kapellmeister, era di quelli che piü
a lungo si conservavano nel tempo e, oggettivamente, fornivano una stabilità, una sicurezza, una continuità; al contrario, nel servire presso
‘una corte, quella sicurezza poteva trovare un ostacolo nei capricci di un principe, nei giuochi sotterranei delle raccomandazioni, nelle improvvise falle che potevano aprirsi nei bilanci e negli appannaggi di cui disponevano i piccoli sovrani. E un'altra ragione, ancora, aveva
potuto indurre Bach a mutar rotta, a scendere i gradini d'un palazzo principesco per salire le scale d'una severa scuola professionale: la necessità di provvedere all'avvenire dei figli, di procurar loro quell'istruzione superiore, universitaria, che a lui era mancata,
di offrire
ai loro interessi una vita musicale e culturale più aperta, non mortificata dalla limitatezza delle conoscenze e del gusto d'una cittadina di provincia, di preparar loro infine le condizioni per ottenere al momento
opportuno un servizio musicale meno avventuroso, una posizione che sin dall'inizio offrisse prestigio e decoro. Le ultime formalità relative alla definitiva installazione del Kantor
sono presto enunciate. Quel medesimo 5 maggio in cui Bach aveva sottoscritto la dichiarazione d'impegno, veniva comunicata al superintendente Salomon Deyling la scelta effettuata dal Consiglio Comunale 554
Köthen (1717-1723)
(BD II, 133). Bach si sottoponeva, quindi, all'« esame » obbligatorio,
tendente ad accertare le sue cognizioni teologiche; lo attesta questa pezza giustificativa firmata dal teologo Johann Schmid (BD II, 134): Dn. Jo. Sebastianus Bach ad quaestiones a me propositas ita respondit, ut eundem ad officium Cantoratus in Schola Thomana admitti posse censeam.
D. Jo. Schmidius Consentit
D. Salomon Deyling
Il Deyling si affrettava, in quello stesso 8 maggio, a notificare e l'avvenuta nomina e l'esito positivo dell'esame al Consistorium per la necessaria ratifica (BD II, 135). Il Consistorium, che era l'organismo
(costituito di dieci membri fra laici e religiosi) cui era demandato il compito di confermare le nomine effettuate dal Consiglio Comunale
in materia ecclesiastica e scolastica, provvide alla ratifica il 13 maggio
(BD II, 136): il documento dice che Bach superó l'esame e che sottoscrisse la Formula Concordiae (risalente al 25 giugno 1580), compendio
dello statuto (Concordienbuch) in cui erano stati concordati e fissati i punti dottrinali della chiesa luterana. Due giorni dopo, era il 15 maggio, Bach prendeva ufficialmente servizio come Thomaskantor: da tale data,
almeno, principiano i pagamenti. Sulla « Stats-und Gelehrte Zeitung des Hollsteinischen unpartheyischen Correspondenten » del 29 maggio si poteva leggere questa notizia, riferita al giorno 22 (BD II, 138): Sabato scorso a mezzodí giunsero qui da Cóthen 4 carri carichi di suppellettili domestiche appartenenti al già Capell-Meister di quel principe, che è stato nominato a Lipsia al posto di Cantor Figuralis; verso le 2 arrivò su 2 carrozze il musicista stesso con la sua famiglia, ed entrò nell’alloggio rimesso a nuovo nella Scuola di S. Tommaso.
555
asi ud
CAPITOLO
SECONDO
Le opere vocali
41. Le cantate sacre e profane.
BisLIoGRAFIA: vedere anche $ 22. Philipp Serrra, Uber die Beziehungen Sebastian Bachs zu Christian Friedrich Hunold und Mariane von Ziegler, in Historische und Philologische Aufsátze. Ernst Curtius zu seinem siebenzigsten Geburtstage am zweiten September 1884 gewidmet, Gebriider Paetel 1884 (poi: Mariane von Ziegler und J. S. Bach, in Ph. SPITTA, Zur Musik-Sechzehn Aufsátze, Gebr. Paetel, Berlin 1892, pp. 93-118; Bach und Christian Friedrich Hunold, in Ph. SerrtA, Musikgeschichtliche Aufsätze, id. 1894, pp. 89-100); Friedrich Smenp, Bach in Köthen, Christlicher Zeitschriftenverlag, Berlin s.a. (1951); Martin Geck, Bachs Probestück, in Quellenstudien zur Musik. Wolfgang Schmieder zum 70. Geburtstag, a cura di Kurt DORFMÜLLER, in collab. con Georg von DADELSEN, C. F. Peters, Frankfurt-London-New York 1972, pp. 55-68; Wolf HosonM, Neue « Texte zur Leipziger Kirchen-Musik », in BJ LIX (1973), pp. 5-32 (spec. pp. 12-13).
NBA/KB, 1/4 (Werner Neumann, 1964), pp. 20-22 (BWV 190) NBA/KB, 1/5 (Marianne Herms, 1976), p. 141 (BWV 32) NBA/KB,
1/10 (Alfred Dürr, 1956), pp. 15-22 (BWV 66a), pp. 86-94 (BWV
134a), pp. 144-146 (BWV 145)
NBA/KB, 1/14 (Alfred Dürr - Arthur MenpEL, 1963), pp. 18-28 (BWV 173a),
pp. 146-147 e 164-174 (BWV 184a)
NBA/KB,
1/33 (Frederick Hupsow,
1958), pp. 66-68 (BWV
120)
NBA/KB, 1/35 (Alfred Dürr, 1964), pp. 7-10, 59-151, Abbildungen 10-36 (BWV 66a, 134a; Anh. 6, 7, 8; BWV
NBA/KB, 1/40 (Werner NEUMANN,
173a)
1970), pp. 14-16 (BWV 202)
556
Köthen (1717-1723)
| L'attitudine, che si vorrebbe tipicamente tedesca, alla sottomissione neiconfronti dell’autorità costituita, congiunta alla spinta atavica all'organizzazione della propria esistenza secondo quadri rigorosi, dalle strutture chiare e stabili, parrebbe estranea al temperamento di Bach e contraddetta dal comportamento che il musicista tenne in
tutti i momenti importanti, quando per convenienza, opportunità, libera o forzata elezione personale egli decise di cambiare sede e servizio, ambiente e mansione. E palese a chiunque che Bach fu in conflitto
pressoché perenne con i propri superiori, si trattasse di principi o di consessi municipali, di pastori ecclesiastici o di soprintendenti scolastici,
e che tutta la sua vita fu caratterizzata da una irrequietezza motivata spesso con ragioni economiche e famigliari, ma provocata in realtà
dall’attrito, dal disaccordo con quella che, da un punto di vista contrattuale, era la controparte. Questa intendeva e interpretava i punti dell'accordo generalmente in senso restrittivo, come è nella logica di
chi sostiene una spesa e governa una situazione; al contrario, Bach tentava di giustificare, con la forza del genio artistico, la libertà del proprio comportamento, la licenza non confortata da una preventiva
autorizzazione, e spesso violava le regole del servizio nella convinzione che l'etica professionale dovesse prevalere su qualsiasi altra ragione. A Kéthen,
dove Bach sembrava
aver trovato l’ambiente ideale
— al punto da dichiarare un giorno (cfr. la lettera del 1730 a Erdmann: BD I, 23) che vi avrebbe voluto terminare i propri giorni — il dissenso ideologico fu forse meno pungente che in altri luoghi; e se i rapporti del principe Leopold con la musica s'intiepidirono alquanto, generando in tal modo scontento e preoccupazione in Bach, fu soltanto perché quegli aveva scelto, per darsi un erede al trono, una sposa scarsamente
propensa alle arti. Un'indagine pit precisa, e anche pit convincente, su quella « rot-
tura», che fu comunque pacifica e confortata in seguito dal mante. nimento di contatti a livello professionale e personale, & negata dalla laconicità e lacunosità della documentazione. Occorrerà non dimenticare almeno, nel giustificare la vicenda, che per la particolare natura della confessione riformata professata dalla corte, a Bach erano rifiutati
i compiti in cui solitamente si distingueva il Kapellmeister, quelli di compositore ed esecutore di musica sacra: la rinuncia alla Kirchenmusik,
cui Bach si sentiva votato per vocazione artistica e per temperamento
religioso, fu probabilmente molto gravosa e tale da determinare nel
musicista la convinzione che il limite non si presentasse come una
conquista di spazio privilegiato, e specializzato nella Kammermusik, nella Hofmusik in cui il principe stesso s'impegnava abbassandosi al
livello dei suoi musici, bensí si rivelasse come una mortificazione, una
diminutio e dello spirito luterano e della professione musicale. Dad
Köthen (1717-1723)
C'è poi da chiedersi sino a qual punto l’exercitium professionale che gli era imposto — e qui veramente si rivelava in piena luce quell'attitudine tutta tedesca alla sottomissione di cui si diceva — fosse soddisfacente per un musicista della sua natura ed educazione, abituato ad
una creatività incessante, ininterrotta. Se si guarda al complesso delle opere prodotte a Kóthen e si escludono dal conto le creazioni ad uso didattico e domestico (le composizioni cembalistiche in genere), ci si troverà di fronte ad un repertorio poco consistente: una quindicina di concerti strumentali (i sei « brandeburghesi », i tre concerti violinistici, gli altri concerti perduti nella versione originale ma conservati nelle rielaborazioni, per uno o più cembali, risalenti agli anni di Lipsia), le quattro suifes per orchestra, tre sonate e tre partite per violino solo, sei suites per violoncello solo, otto sonate per violino e cembalo, tre sonate per viola da gamba e cembalo, quattro sonate per flauto e cembalo, una sonata per due flauti e cembalo, una partita per flauto solo,
forse alcune composizioni per liuto (su queste ultime, tuttavia, ci soffermeremo quando si dovranno esporre gli anni di Lipsia). Complessivamente, una cinquantina di opere (mediamente, una decina all’anno): una cifra chiaramente inattendibile per un musicista cosi fecondo quale era Bach e in rapporto al costume musicale dell’epoca, una cifra che probabilmente non giustificava il non modesto onorario di 400 talleri annui. Se ne potrebbe dedurre che molta della produzione predisposta per il Collegium musicum di Köthen è andata perduta. Cosi come parrebbe insensato sostenere che Bach in quegli anni non abbia mai voluto toccare l’organo né fornire — impedimenti formali non risultano dagli atti di archivio della corte — qualche musica, cantate, mottetti, corali, alla chiesa luterana dell'Agnus Dei alla quale egli
apparteneva come parrocchiano. Del resto, è documentato
almeno
un esempio
di Kirchenmusik
bachiana «ordinata» dalla corte di Kóthen. Si tratta della Cantata Lobet den Herrn, alle seine Heerscharen (BWV Anh. 5), scritta per il genetliaco del principe Leopold ed eseguita il 10 dicembre 1718, su testo di Christian Friedrich Hunold e la cui musica è perduta. La tolleranza del principe anche in materia di culto, è stato detto, era tale da non ostacolare del tutto l’esecuzione di cantate liturgiche; due volte l'anno — ci spiega Friedrich Smend — la musica figuralis aveva diritto di ospitalità nella cappella di corte: nel giorno in cui si festeggiava il compleanno del principe (10 dicembre, secondo il calendario gregoriano da poco adottato dai protestanti tedeschi, corrispondente al 28 novembre — giorno della nascita del principe — secondo il calendario giuliano) e in occasione del Capodanno. In questi giorni le cantate eseguite erano due, una sacra (nella cappella) e l’altra profana. 558
Il Principe Leopold di Anhalt-Köthen. Dipinto di anonimo contemporaneo (Berlin, Archiv für Kunst und Geschichte).
Köthen (1717-1723)
Ma in questa concessione, che si verificava in circostanze in cul era sin
troppo comodo dar prova di spirito liberale e di illuministica condiscendenza, si aveva una conferma del carattere assolutista anche della piccola corte di Kóthen, sicché emergeva ancora una volta la componente irrazionale ed illogica di quel comportamento in sé tipicamente reazionario, ostentato quasi per far dispetto alla controparte luterana e privarla dell'opportunità di celebrare piá solennemente quelle due date. Secondo Smend, poiché due erano le cantate ammesse ogni anno, Bach avrebbe scritto per la corte di Kóthen almeno ventiquattro cantate, metà delle quali sacre. Alcune cantate del periodo di Lipsia non sarebbero altro che parodie o rifacimenti di cantate che erano state scritte a Kóthen. La questione si porrebbe per quindici cantate: BWV
32, 66, 120, 134, 145, 173, 184, 190, 193, 194, 202 e Anh. 5,
6, 7, 8. Solo per una parte di queste opere, tuttavia, & possibile giun-
gere a conclusioni concrete. Esaminiamo partitamente la situazione,
considerandola fin dove & possibile secondo l'ordine cronologico. Che Bach abbia scritto una cantata per il primo genetliaco del principe rientrante nei limiti temporali del proprio servizio a corte, è cosa possibile. Il musicista ebbe la nomina a Kapellmeister il 5 agosto 1717 (e i pagamenti, anzi, decorrono dal primo giorno del mese), ma il suo arrivo a Kóthen, dopo la carcerazione cui era stato sottoposto
a Weimar, ebbe luogo giusto in tempo per la celebrazione di quella festa di corte (10 dicembre). Bach potrebbe aver scritto la cantata nei mesi precedenti o aver utilizzato, per la circostanza, musiche già
realizzate. Ancora pit probabile è che il Capodanno del 1718 sia stato festeggiato con una composizione del nuovo Kapellmeister. Non vi è, peró, traccia di musica né per l'uno (10 dicembre 1717) né per l'altro (1° gennaio 1718) evento. La prima segnalazione di cantate riguarda la fine del 1718, quando per il genetliaco del principe furono eseguite, secondo il costume vigente, due cantate, una sacra e una profana. È questo il solo caso in cui si conoscano almenoi titoli di entrambe le composizioni che dovevano servire per celebrare l'avvenimento. Negli altri casi — e solo in alcuni, anzi — la documentazione superstite si
riferisce ad una sola parte della « doppia celebrazione », quella che ri-
guarda la «sezione » profana. Ecco riassunta per sommi capi, ma caso
per caso, la situazione delle cantate prodotte per la corte di Kóthen: N.
BWV
Data
Testo
Titolo e osservazioni
1
66a
10-12-1718
Hunold
Der Himmel dacht’ auf Anhalts Ruhm
und
Glück.
La musica è perduta, ma se ne conserva la parodia
(BWV
sacra,
Erfreut euch, ihr Herzen
66), probabilmente
realizzata per
la Pasqua 1724 e ripresa nel 1731.
560
Köthen (1717-1723) N.
BWV
Data
Testo
2:
Anh. 5
10-12-1718
Hunold
Titolo e osservazioni Lobet den Herrn, alle seine Heerscharen.
La musica & perduta. Cantata sacra.
3
134a
1-1-1719
Hunold
Die Zeit, die Tag und Jahre macht. Se ne conserva parzialmente la partitura originale. L’opera fu poi parodiata nella cantata
Ein Herz,
das seinen Jesum lebend
weiss (BWV 134), per la «Feria 3 Paschatos» 1724, poi ripresa nel 1731 e c: 01735:
4
Anh. 6
5
6
1-1-1720
Hunold
Dich loben die lieblichen Strahlen der Sonne. La musica é perduta.
Anh. 7 . 10-12-1720 (?)
Hunold
173a
?
Heut ist gewiss ein guter Tag. La musica è perduta. La datazione è molto probabilmente riferita al 1720 (Hunold mori il 6-8-1721). Durchlauchster Leopold. Se ne conserva la partitura originale. La
10-12-1722 (?)
«serenada»
fu poi trasformata in cantata
sacra, Erhóhtes Fleisch und Blut (BWV 173)
per la «Feria 2 Pentecostes» probabilmente del 1724, poi ripresa intorno al 1728 e nel 1731.
7
184a
1-1-1723 (?)
—
— Il testo è perduto; si conservano 5 parti strumentali (2 flauti traversi, 2 violini e violoncello). La musica fu poi parodiata nella cantata Erwünschtes Freudenlicht (BW V 184) per la «Feria 3 Pentecostes» del 1724 e ripresa nel 1731. Si é supposto che originalmente potesse trattarsi non d'una cantata
per
il Nuovo
Anno,
ma
d'una
cantata di nozze (il matrimonio di Leopold: 11-12-1721;
KB
I/14, 173); più concreta-
mente, si suppone che il frontespizio figurante in BD II, 120 (per una cantata del Nuovo
Anno 1723, indicata come Anh. 8)
si riferisca alla Cantata BWV —
Anh. 8
8
194a
vedi BWV
?
?
184a.
184a.
A Il testo & perduto; si conservano le parti strumentali
(3 oboi, 2 violini,
viola). La
musica fu poi parodiata nella cantata sacra Höchsterwünschtes Freudenfest (BWV 194) realizzata per l’inaugurazione dell’organo
di Störmthal presso Lipsia il 2-11-1723 e quindi ripresa per la Festa della Trinità negli anni 1724, 1726 e 1731.
Secondo
Smend,
in parte confortato
giunto Spitta, le cantate BWV
dalle conclusioni cui era
32, 120, 145, 190, 193, 202 presente-
rebbero particolari stilistici tali da far pensare che esse debbano
considerarsi parodie o rielaborazioni, con aggiunta di nuovi pezzi, di 561
74
Köthen (1717-1723)
cantate scritte all'epoca di Köthen. Cosi, i numeri 3-7 della Cantata — BWV 190 potrebbero essere stati concepiti come parti di una cantata — per l'Anno Nuovo (probabilmente il 1722); e le cantate BWV 32, 120, 145, 193 potrebbero essere state realizzate originalmente come opere di omaggio nei confronti di Leopold. Certo è che più volte i conti della camera del principe registrano pagamenti per carmina e musiche relative (cfr. BD II, 115 per due note espressamente riferite a Bach in data 28 novembre 1722 e 3 aprile 1723). 4
D
Delle cantate riportate in tabella, solo due sono conservate nella musica e nel testo: BWV 134a e 172a, mentre di due altre cantate
(BWV 184a e 194a) si sono preservate le parti strumentali originali, ma, essendo andate perdute quelle vocali e non esistendo copia del testo, la ricostruzione della partitura sulla base delle corrispondenti
« parodie » sacre risulta impossibile.
«
In cinque casi autore del testo & Christian Friedrich Hunold, i cui
carmina (Stücke nell'originale) sono pubblicati nella raccolta in tre volumi da lui stesso curata col titolo Auserlesene und theils noch nie gedruckte Gedichte unterschiedener Berühmten und geschickten Männer zusammengetragen und nebst seinen eigenen an das Licht gestellet von Menantes, Halle 1718/20. La parte II (1719) contiene i testi di BWV 66a
(pp. 84-90), 134a (pp. 286-291) e Anh. 5 (pp. 194-196). La parte III (1720) i testi di Anh. 6 (pp. 6-10) e Anh. 7 (pp. 580-586). Nei primi anni di Lipsia Bach metterà ancora in musica un altro testo profano
di Hunold (BWV 204), ma la collaborazione fra il poeta e il musicista non si limitó alle sole opere citate. Almeno sino alla morte di Hunold (6 agosto 1721), i carmina del poeta, che negli ultimi quattordici
anni aveva abitato a Halle, dovettero servire come base per le « serenate» e cantate di omaggio che Bach doveva fornire alla corte di Köthen !. Hunold, che si firmava con lo pseudonimo di Menantes, era nato in Turingia, a Wandersleben, il 29 settembre 1681, aveva studiato ad Arnstadt, poi al ginnasio di Weissenfels e infine all’Universitä di
Jena (giurisprudenza). Interrotti gli studi nel 1700, si era trasferito ad Amburgo iniziando l'attività letteraria (scrisse anche libretti per opere di Reinhard Keiser); nel 1707 si era stabilito a Halle, dove
rimase sino alla morte. Hunold — si legge nelle storie letterarie — é un tipico rappresentante, e certamente fra i piá considerevoli del momento, di quella poesia galante, un poco frivola, leggermente satirica e scherzosa, ma sempre mantenuta sui toni del bon goüt, che
fiorí in Germania a imitazione delle maniere francesi. La sensibilità pietista (a Hunold si deve il testo d'una delle piá famose passionioratorio, Der Blutige und Sterbende Jesus, messa in musica da Keiser,
1704) gli impedí di cadere in quel turgore immaginifico e presuntuoso 562
Köthen (1717-1723)
che era nello stile di molti scrittori, volgendosi invece ad una poesia semplice e più convincente. L'unica cantata bachiana di quel tempo su testo di Hunold di cui si conosca la partitura è quella parzialmente conservata autografa alla Biblioteca del Conservatorio di Parigi (Ms. 2) e ripristinata con l’ausilio dell'autografo di BWV 134 (BB/SPK P 44), mentre le parti separate sono in BB St 18. Die Zeit, die Tag und Jahre macht (BW'V 134a) è, come le altre cantate bachiane scritte per la celebrazione del Capodanno, un omaggio augurale indirizzato al principe in nome dell’intera corte (Im Namen anderer, nel nome degli altri, è l'espressione usata
da Menantes) e nell’osservanza di un cerimoniale entrato in uso, probabilmente, nel momento in cui Leopold aveva deciso la formazione di una cappella di corte. Il termine di Glückwunschkantate («cantata di augurio ») è appunto quello che ricorre nell’intitolazione del libretto di questa e di altre opere del genere. Nel caso specifico della Cantata BWV
134a compare anche la dizione di Serenata, testi-
monianza non equivoca che l'esecuzione di tali musiche avveniva nella notte del trapasso verso l'anno nuovo. Come volevano le consuetudini dell'epoca — un'epoca che sotto questo profilo era destinata a protrarsi anche oltre il secolo dei lumi — non si voleva rinunciare al facile gioco delle apparizioni di personaggi astratti e di entità mitologiche. Per augurare un felice 1719 alla Casa Serenissima (Durchlauchtigste Haus) di Anhalt-Kóthen, Hunold aveva sviluppato un dialogo fra il Tempo (Die Zeit), tenore, e la Divina Provvidenza (Géttliche Vorsehung), contralto, contrapponendo due concetti antitetici, il passato e l'avvenire, in chiave pagana ma con qualche velata allusione biblica, ad esempio, come ha rilevato Dürr,
nell'ultimo recitativo (n. 7), quando si afferma che la grazia del principe «si rinnova
ogni mattina»,
con
evidente
riferimento
all'identico
concetto espresso nelle Lamentazioni (Cap. 3, v. 23). La struttura formale obbedisce ad una precisa condotta simmetrica che, naturalmente, la musica di Bach accentua vistosamente. Come
già era avvenuto nella « Cantata di caccia » (BWV 208) e come avverrà ancora, ad esempio, nella Cantata BWV
173a, è allo stile recitativo
che è affidata la funzione d'inaugurare il discorso, con un breve motto. Altri tre recitativi, tutti nella veste del «secco », si inseriscono fra le
tre arie (nn. 2, 4, 6), sempre nella forma con il da capo (e la seconda è concepita in duetto); a due parti vocali, del resto, sono tutti e quattro
i recitativi (nn. 1, 3, 5, 7), sicché la composizione ha carattere forte-
mente dialogico e viene poi coronata da un brano madrigalistico conclusivo, affidato al coro (ancora nella forma con il da capo), ma intercalato da brevi passaggi che competono alle due figure allegoriche.
Momento culminante della partitura, tuttavia, è il n. 4, un duetto in cui il 563
Köthen (1717-1723)
conflitto fra passato e futuro viene affrontato con un discorso concertante
sostenuto concitatamente dal violino, mentre un secondo violino e la
viola si limitano all'accompagnamento o a un discorso più «contenuto». La seconda e ultima cantata superstite dell'epoca, Durchlauchster Leopold (BWV 173a) — la partitura autografa completa è in BB P 42 — è un esempio dell'altro tipo di composizione vocale profana coltivato da Bach in quegli anni per dovere di ufficio e devozione di suddito: quello predisposto per solennizzare il compleanno del sovrano. La cantata di cui si tratta non reca una data precisa: il 10 dicembre, giorno «eletto » a celebrazione dell'anniversario, potrebbe riferirsi a più anni:
1718, 1721, 1722; l’ipotesi più attendibile è che la cantata si riporti alla celebrazione del 1722. L'autore del testo, che reca l'intestazione
di Serenada, è sconosciuto (si è fatto in proposito anche il nome dello stesso Bach) e sicuramente non è opera di Hunold. La struttura formale prevede due recitativi (nn. 1 e 5), cinque arie (nn. 2, 3, 4, 6, 7) e un
«coro » finale (n. 8) che è in realtà un duetto. Un segno particolare è dato non solo dal rilevante numero di arie (raggruppate in due « sezioni », di tre elementi ciascuna), ma anche da una differenziazione della struttura formale che aggiunge un motivo di ricercatezza all'omaggio poetico:
I
2 aria bipartita P 3 aria col da capo (libero, ; senza ritornelli)
6 aria col da capo (libero, con d È ritornelli) II
7 aria in stile di ostinato 8 aria bipartita in stile di Lied
4 aria strofica
omofono
Ma il carattere eccezionale dell'intera cantata risulta evidente anche dai seguenti altri particolari: a) l'organico strumentale impiega per la prima volta in una cantata due flauti fraversi;
b) il carattere di danza & imposto in tutte le arie: 2 tempo di danza imprecisato, ma determinato da folte sequenze di terzine a periodi regolari; tempo « vivace» (indicato in partitura) fortemente accentato; aria «al tempo di minuetto » (cosi in partitura); tempo di bourrée; oO ROC N aria su un basso ostinato a periodi di otto battute (come in una passacaglia ?); 8 tempo di polonaise;
c) il brano conclusivo indicato come « coro » è un Lied a due voci (soprano e basso), con intermezzi strumentali.
564
Köthen (1717-1723)
La serenata è scritta per due voci; si è supposto che quella di basso (dalla tessitura particolarmente alta) fosse stata sostenuta innanzi al principe da Bach stesso, mentre quella di soprano potrebbe essere stata eseguita da Anna Magdalena, se la data del 1722 si può considerare la più vicina alla verità ?. Sul piano meramente vocale, le arie
sono di difficile esecuzione, con frequenti passaggi in agilità; ma non
è questa, certamente, una caratteristica cosi tipica da rendere più interessante la cantata, la quale semmai trae motivi di singolarità da altri particolari. L'abbondanza dei tempi di danza, ad esempio, suggerisce l'immagine di una specie di suite vocale, nel cui interno si distinguono
singolari trattamenti formali. Un esempio di singolarità e irripetibilità (n. 4), che alla particolarità è il duetto « Unter seinem Purpursaum» del tempo di minuetto aggiunge quella di uno schema formale di aria strofica costituita da tre elementi, il secondo e il terzo dei quali sono una variazione del primo. Ciascuno dei tre elementi è formato di 48 battute ed è caratterizzato da un diverso impianto tonale: sol
maggiore (batt. 1-48), re maggiore (49-96), la maggiore (97-144),
secondo una progressione che procede di quinta in quinta. Il concetto di progressione trova poi riscontro, come ha notato il Diirr, anche nella diversa organizzazione vocale e strumentale (nel primo episodio basso, archi e continuo; nel secondo soprano, 2 flauti, archi e continuo; nel terzo basso e soprano, 2 flauti, archi e continuo, ma con la parte del violino I concertante) e nell'aumentazione dei valori (predominio della semiminima nel primo troncone, della croma nel secondo, della
semicroma nel terzo). Si & visto prima che di una sola delle cantate sacre composte per la cappella di Kóthen si conoscono i dati estremi: la Cantata BWV Anh. 5, la cui musica & purtroppo perduta e la cui esecuzione avvenne il 10 dicembre 1718. Non si puó pensare, tuttavia, che a Bach non
siano state offerte altre occasioni di quelle « previste» dal principe, due volte l’anno, per realizzare opere destinate all’integrazione del servizio liturgico. Una cantata sacra sicuramente scritta nel momento
in cui Bach prestava ancora la propria opera alla corte di Kóthen,
è quella che fu presentata come pezzo di prova per l'ammissione al
posto di Thomaskantor: si tratta della Cantata BWV 22, Jesus nahm zu sich die Zwölfe, fra le cui particolarità vi è anche quella di essere
stata copiata (ma dell'opera si conserva anche la partitura autografa, in BB P 119) da Johann Andreas Kuhnau (in BB/SPK P 46), nipote del defunto
Thomaskantor: il copista, che solo recentemente è stato
identificato per merito di Werner Neumann, ha apposto sulla partitura l'annotazione « Dies ist das Probestück in Leipzig ». La prova sostenuta da Bach a Lipsia potrebbe essere consistita, come cra toccato a Graupner e come eccezionalmente si praticava in 565
Köthen (1717-1723)
quella città, nella presentazione di due cantate; a quella contrassegnata |
BWV 22 dovrebbe aggiungersi la BWV 23, Du wahrer Gott und Davids Sohn. Quest'ultima ci è pervenuta in una veste, autografa (BB/SPK P 69), che si riferisce all’esecuzione del 20 febbraio 1724
(vale a dire alla Dominica Estomihi dell’anno successivo), con integrazioni nello strumentale e con l'elaborazione del corale Christ, du
Lamm Gottes concepita per quella circostanza e poi provvisoriamente collocata a conclusione della Johannes-Passion. Se si eccettua questo tardivo finale di cantata, l’opera in questione era già stata composta a Köthen e forse presentata in occasione della prova (tenutasi appunto | nella Dominica Estomihi), a meno di abbracciare la tesi secondo la quale il compositore avrebbe mutato parere e composto, quando già si trovava a Lipsia in attesa di sostenere la prova, una nuova cantata,
appunto la BWV 22.
A sostegno dell'ipotesi di un opportunistico intervento sostitutivo
qualche studioso, ad esempio Martin Geck, invoca la necessità sentita
da Bach di adeguarsi al tipo di cantata proposto da Graupner nella prova del 17 gennaio e di accostarsi in maniera più convincente alla sensibilità dei consiglieri che dovevano giudicarlo e dei parrocchiani che certamente avrebbero prestato un'attenzione eccezionale alla sua musica. Un confronto stilistico fra le due cantate rivelerebbe che BWV
23 è opera di difficile comprensione, di concezione cameristica
e destinata ad un pubblico colto; al contrario, BWV 22 sarebbe musicalmente più accattivante, rifletterebbe il gusto della borghesia lipsiense e si collocherebbe in un filone più comune e tradizionale, quello
appunto perseguito da Graupner, il quale in apertura di cantata aveva collocato un versetto evangelico, per meglio sottolineare il contatto
con la liturgia del giorno: ciò che appunto accade in BWV 22 con le parole di Luca XVIII, 31 e 34 sigillate nell'esordio. Le differenze stilistiche e formali, in realtà, non sono tali da giustificare il ripensamento, il calcolato gesto di colui che cerca intensamente la vittoria.
Le due cantate sono ambientate in situazioni spirituali e musicali di grande affinità (i testi si direbbero opera della medesima mano, forse di Bach stesso), e poiché nella prassi esecutiva e liturgica di Lipsia era tal-
volta ammesso l’uso di due cantate, la coesistenza delle due pagine non può essere negata a priori. Ma non sono questi gli argomenti che contano: l'essenza sta nel fatto che le due opere sono gemelle, di pari intensità espressiva, governate da un severo contrappunto e talvolta rese aeree da tratti danzanti (l’aria n. 4 di BWV 22) o da una inattesa lievitazione della forma (il n. 3 di BWV 23 che presenta una struttura di rondò di questo tipo: ABACADAEA), nel perfettò dosaggio di scienza e concentrazione interiore.
spirituale, di arte costrutta
566
e di sapienza
CAPITOLO
Concerti
BIBLIOGRAFIA
TERZO
e ouvertures
GENERALE
August HarM, Über J. S. Bachs Konzertform, in BJ XVI (1919), pp. 1-44; Walther Kaüczn, Das Concerto grosso J. S. Bachs, in BJ XXIX (1932), pp. 1-50; Heinrich BesseLer, Zur Chronologie der Konzerte J. S. Bachs, in Festschrift Max Schneider zum achtzigsten Geburtstage a cura di Walther VETTER, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1955, pp. 115-128; Rudolf STEPHAN, Die Wandlung der Konzertform bei Bach, in «Die Musikforschung » VI (1953), pp. 127-143; Arthur HurcHINGs, The Baroque Concerto, Faber and Faber, London 1961; Walter F. HiNDERMANN, Möglichkeiten der Wiedergewinnung verschollener Instrumentalwerke J. S. Bachs, in « Neue Zeitschrift für Musik » CXXVIII (1967), pp. 238-247.
42. I Concerti Brandeburghesi (BWV 1046-1051). BIBLIOGRAFIA Richard Hormann, Die F-Trompete im 2. Brandenburgischen Konzert von J. S. Bachs, in BJ XIII (1916), pp. 1-7; John Alexander FuLLER-MAITLAND, Bach’s « Brandeburg Concertos », Oxford University Press, London 1929; Julien TIERSOT, Sur les origines de la symphonie. Une « Sinfonia » de J. S. Bach, in Mélanges de Musicologie offerts àM. Lionel de La Laurencie, E. Droz, Paris 1933, pp. 177-
184; Peter WACKERNAGEL, J. S. Bach - Brandenburgische Konzerte Einführungen, Bote & Bock, Berlin 1938; Rudolf GerBer, Bachs Brandenburgische Konzerte. Eine
Einführung in ihre formale und geistige Wesenart, Bärenreiter, Kassel 1951 (1965?); 567
Köthen (1717-1723)
Peter WACKERNAGEL, Beobachtungen am Autograph von Bachs Brandenburgischen Konzerten, in Festschrift Max Schneider zum achtzigsten Geburtstage, a cura di Walther VETTER, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1955, pp. 129-138; Jean-Frangois PartLtARD, Les Six Brandenbourgeois de J. S. Bach, Costallat, Paris 1956; Henrich BesseLER, Bemerkungen, J. S. Bachs Brandenburgische Konzerte betreffend, in « Die Musikforschung » XIII (1960), pp. 383-384; Johannes KmEv, Zur Entstehungsgeschichte des ersten Brandenburgischen Konzerts, in Festschrift Heinrich Besseler zum 60. Geburtstag, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1961, pp. 337-342; Hans Pzzorp, J. S. Bach: Brandenburgisches Konzert Nr. 2 F-Dur (BWV 1047), Volk und Wissen, Berlin 1962; Norman Carreıı, Bach’s Brandenburg Concertos, Allen & Unwin, London e Bärenreiter, Kassel 1963; Rudolf STEGLICH, J. S. Bachs Drittes Brandenburgisches Konzert, in Vom Nützlichen durchs Wahre zum Schónen. Festschrift für E. Madsack zum 75. Geburtstag, Madsack, Hannover 1964, pp. 53-56; Ulrich GÜNTHER, Das Instrumentarium in den « Brandenburgischen Konzerten » von J. S. Bach, in « Musik im Unterricht » LIX (1968), pp. 128-136; Emil Praten, Zum Problem des Mittelsatzes im dritten Brandenburgischen Konzert Bachs, in Chorerziehung und neue Musik. Für Kurt Thomas zum 65. Geburtstag, Breitkopf & Härtel, Wiesbaden 1969, pp. 58-70; Martin GECK, Gattungstraditionen und Altersgeschichten in den Brandenburgischen Konzerten, in « Die Musikforschung » XXIII (1970), pp. 139-152; Walter Felix HINDERMANN, Wiedergewonnene Schwesterwerke der Brandenburgischen Konzerte J. S. Bachs, Hofmeister, Hofheim a. T. 1972 (= Jahresgabe der Internationalen Bach-Gesellschaft Schaffhausen, 1972/73, Societas Bach Internationalis); Alfred Dürr, Zur Entstehungsgeschichte des 5. Brandenburgischen Konzerts, in BJ LXI (1975), pp. 63-69.
NBA/KB, VII/2 (Heinrich Besserer, 1956; Nachtrag: Frühfassung BWV Alfred Dürr, 1975).
1050a,
Il repertorio di musiche strumentali affrontato da Bach a Köthen prevede da un lato una serie di musiche per l’orchestra (il Collegium musicum di corte) e dall'altro lato opere per strumenti solisti, scritte verosimilmente per i « virtuosi della camera del principe», i Kammer-
musiker, oppure, nel caso delle musiche cembalistiche, per i propri famigliari ed allievi. Ouvertures e concerti da un lato, sonate e suites
o partite dall'altro, tutti confluenti a formare l’Hofmusik, la musica di corte, cui si contrapponeva — nata da ben altre esigenze — la
Hausmusik, la musica domestica frutto della speculazione scientifica,
del pensiero didattico o del trattenimento famigliare. Al centro del periodo di tempo che Bach trascorse nella quieta e parca Köthen sta la serie dei cosiddetti Sei Concerti Brandeburghesi, che il musicista consegnó accompagnandoli con un'ossequiosa dedica al margravio Christian Ludwig di Brandeburgo, il 24 marzo 1721. Una tesi stimolante e, quantunque non suffragata da documenti che
ne provino l'esattezza, assai prossima alla verità, indicherebbe che la 568
Köthen (1717-1723)
raccolta fu predisposta scegliendo da un piá ampio contesto di concerti di vario genere scritti durante gli ultimi momenti del soggiorno di Weimar e i primi di quello di Kóthen. Un argomento che in qualche modo potrebbe recare soccorso e conferire forza a questa « ipotesi di lavoro» è la presenza di altri concerti che possono considerarsi pressoché contemporanei dei Brandeburghesi. Di tali concerti noi ne conosciamo soltanto tre (due per violino e uno per due violini), almeno volendo guardare ai soli concerti pervenuti in veste originale; ma a queste opere se ne devono aggiungere altre, in numero non precisabile, alcune delle quali a noi giunte in versioni per uno o pit cembali, archi e basso continuo,
versioni elaborate da Bach grosso
modo verso il 1730 per soddisfare particolari esigenze professionali legate ad uno specifico incarico ricevuto a Lipsia.
La qualifica «tecnica» adottata da Bach per designare queste opere è quella di concerts avec plusieurs instruments, una qualifica che sembrerebbe eludere le usuali categorie del «concerto di gruppo» o «concerto ripieno », del concerto grosso e del concerto solistico per agganciarsi
a distinzioni francesi, quali saranno
quelle adottate da
Couperin (Concerts royaux... qui conviennent non seulement au Clavecin,
mais aussy au Violon, a la Flute, au Hautbois, a la Viole et au Basson, pubblicati nel Troisieme Livre de pieces de clavecin, 1722) e piá tardi da Rameau (Pieces de Clavecin en concerts, avec un violon ou une flüte, et une viole ou un deuxieme violon, 1741). Si tratta, insomma, di
un tipo di organizzazione musicale in cui ogni parte (con l'unica eccezione del Primo Concerto) & affidata ad un solo esecutore, senza
ricorso a raddoppi o a rinforzamenti dell'organico strumentale. Il solismo, dunque, sarebbe una caratteristica assoluta dei Brandeburghesi
e in tal modo cadrebbe definitivamente qualsiasi tentativo. — per altro già arduo dal punto di vista formale — di valutare tali concerti nell'ambito « storico » del genere del « concerto grosso », come invece
& stato fatto per vari decenni dalla critica bachiana meno informata. La denominazione di Concerti Brandeburghesi non & originale, ma & stata introdotta nella moderna nomenclatura dallo Spitta, facendo riferimento alla destinazione di tali opere che, probabilmente, furono
eseguite soltanto dai virtuosi della cappella di Kóthen (e, in parte, forse di Weimar) e ignorata dai musici che formavano la cappella
al servizio del margravio del Brandeburgo. L'etichetta apposta da Bach alla raccolta & generica, non sembra impegnarlo in alcuna direzione formale precisa: concerts avec plusieurs instruments, appunto. La prefazione che accompagna la raccolta rende omaggio all'augusto destinatario e ricorda come il musicista fosse stato direttamente invitato dal margravio, due anni prima, a fornirgli alcuni brani di sua composizione. Facendo professione di umiltà — come si conveniva ad un 569
Köthen (1717-1723)
suddito o a un dipendente, a un servitore — Bach prega il margravio | di non voler rilevare l'imperfezione di tali opere, ben conoscendo
di quale gusto fine e delicato Christian Ludwig fosse dotato e come la sua competenza in campo musicale fosse universalmente nota. La conclusione, rispettosissima, si risolve in una supplica a volergli concedere ancora il proprio favore e a volerlo impiegare in occasioni piá degne. Probabilmente, Bach pensava già ad un altro trasferimento, si cautelava quanto meno per il futuro avviando strategicamente il discorso della propria candidatura alla corte del margravio, in quella Berlino che gli avrebbe consentito di affinare l'educazione dei figli. Dedica e prefazione dell'opera sono scritte in un francese che la moderna filologia giudica corretto e in regola col protocollo di corte. E difficilmente pensabile, tuttavia, che lo scritto sia stato concepito
da Bach in quella lingua; piü verosimile & che il musicista se ne sia fatta comporre la versione francese dal contabile di corte Jean-Frangois Monjou. Ecco il testo ricavato dall'autografo (BD I, 150): Six Concerts
Avec plusieurs Instruments. Dediées A Son Altesse Royalle Monseigneur CRETIEN LOUIS
Marggraf de Brandenbourg &c: &c: &c: par Son tres-humble & tres obeissant Serviteur Jean Sebastian Bach, Maitre de Chapelle de S.A.S: le Prince regnant d'Anhalt-Coethen.
A Son Altesse Royalle Monseigneur
Crétien Louis Marggraf de Brandenbourg &c:&c:&c: ' Monseigneur.
Comme f'eus il y a une couple d'années, le bonheur de me faire entendre à Votre Altesse Royalle, en vertu de ses ordres, & que je remarquai alors, qu’ Elle prennoit quelque plaisir aux petits talents que le Ciel m'a donnés pour la Musique, & qu'en prennant Conge de Votre Altesse Royalle, Elle voulut bien me faire l'honneur de me commander de Lui envoyer quelques pieces de ma Composition: j'ai donc selon Ses tres gracieux ordres, pris la liberté de rendre mes treshumble devoirs à Votre Altesse Royalle, par les presents Concerts, que j'ai accommodes à plusieurs Instruments; La priant tres-humblement de ne vouloir pas juger
570
Köthen (1717-1723)
leur imperfection, à la rigueur du gout fin et delicat, que tout le monde sait qu’ Elle a pour les piéces musicales; mais de tirer plutot en benigne Consideration, le profond respect, & la tres-humble obéissance que je tache è Lui temoigner par là. Pour le reste, Monseigneur, je supplie tres humblement Votre Altesse Royalle, d'avoir la bonte de continüer Ses bonnes graces envers moi, et d'étre persuade
que je n'ai rien tant à coeur, que de pouvoir étre employé en des occasions plus dignes d' Elle et de son service, moi qui suis avec un zele sans pareil Monseigneur
De Votre Altesse Royalle Coethen, den 24 Mar 1721
Le tres humble & tres obeissant Serviteur Jean Sebastien Bach.
L'autografo bachiano una volta pervenuto al margravio Christian Ludwig non ebbe, probabilmente, la considerazione che meritava: inventariato e collocato in qualche scaffale, fu poi inserito in uno dei
due grossi fondi di concerti, l'uno costituito da 77 opere e l'altro da 100, che dovevano essere distribuiti fra i cinque principi eredi delle fortune del margravio alla di lui morte (1734). A chi sia toccato in sorte l’autografo bachiano non si sa, ma la partitura, comunque, intorno al 1754 pervenne nelle mani di Johann Philipp Kirnberger, uno degli allievi prediletti di Bach. Kirnberger a partire dal 1752 era attivo presso la corte di Potsdam, dapprima come violinista nella cappella imperiale, poi (1754) nella cappella del margravio Heinrich (1726-1802), il fratello di Federico II, infine dal 1758 a Berlino come maestro di musica della principessa Anna Amalia di Prussia, sorella delle due auguste personalità appena citate. E probabile che Kirnberger sia entrato in possesso del preziosissimo autografo bachiano tramite il fagottista Samuel Kühltau che per vari indizi potrebbe identificarsi con lomonimo Kammermusicus che era al servizio del margravio Christian Ludwig al tempo della dedica dei Concerti. Brandeburghesi. Il Kirnberger lasció poi l'autografo ad Anna Amalia alla cui morte (1787) l'opera passò — insieme con tutta la biblioteca della princiessa — allo Joachimstahl Gymnasium, per confluire infine (1904) alla Biblioteca di Stato di Berlino e qui si trova sotto la segnatura
Am. B. 78 (BB).
Questa in breve la storia del manoscritto per lungo tempo rimasto in ombra e reso pubblico solamente con l'edizione dei sei concerti
avvenuta nel centesimo anniversario della morte di Bach, e dunque
solo nel 1850, per i tipi dell'editore Peters di Lipsia e a cura di Siegfried Wilhelm Dehn. L’autografo è tanto più prezioso in quanto si tratta anche dell'unico documento che raccolga unitariamente i sei concerti.
Le numerose altre copie esistenti si riferiscono tutte a singoli concerti,
senza mai indicare (ad eccezione di un caso) il riferimento ad una
,
A
571
ic Köthen (1717-1723)
raccolta. Oltre alla fonte principale, che per altro — nonostante varie correzioni operate dallo stesso Bach — & tutt'altro che immune da errori, si devono tener presenti varie altre fonti, che possiamo così x
,
-
sintetizzare:
Concerto I
2 copie in partitura
BB/SPK P 255
BB/SPK P 1061
Concerto II — 2 copie in partitura 2 copie in parti separate
BB/SPK P 256 BB/SPK St 149
BB/SPK P 1062 BB/SPK St 637
Concerto III — 2 copie in partitura 1 copia in parti separate
BB/SPK P 258 BB/SPK St 638
BB/SPK P 1063
Concerto IV
2 copie in partitura 1 copia in parti separate
BB Am. B. 77 BB/SPK St 151
BB/SPK P 259
Concerto V
11 copie in partitura
BB/SPK P 261
BB/SPK P 262
BB/SPK P 263
BB/SPK P 264
BB/SPK P 306
Darmstadt, Landesbibl. Mus. ms.
534/1 e 534/2
8 copie in parti separate
Oxford, Bodleian Library, fondo Mendelssohn Stoccarda, Landesbibl. cod. mus. fol..11.249 = Berlino, Staatliche Akademie für Kirchen-und SchulmusikH 713 collezione privata (fondo Rudorff, non localizzato) BB St 130 - BB/SPK St 131 BB/SPK St 132 BB/SPK St 164
BB/SPK
St 133
Darmstadt, Landesbibl. Mus. ms.
534/3 Lipsia Musikbibl. Poel. mus. ms. 37 Berlino, Staatliche Akademie fiir Kirchen-und Schulmusik zig
Concerto VI
2 copie in partitura 1 copia in parti separate
BB Am. B. 77 BB/SPK St 150
BB/SPK 265
Occorre sottolineare che, per il Concerto V, fra le parti separate di BB St 130 figura la parte autografa del cembalo concertante; che Christian Friedrich Penzel (1737-1801) ha copiato la partitura dei
Concerti I (datata aprile 1760 = P 1061), II (= P 1062), III (= P 1063),
e le parti separate dei Concerti II (= St 637) e III (= St 638) entrambe datate 1755 (non sono di Penzel, invece, le due partiture e le parti 572
Köthen (1717-1723)
separate citate da Besseler in possesso del Franz-Hauser-Archiv a
Weinheim,
segnatura 5a, sc e sb rispettivamente, ora a Darmstadt
534/1, 534/2 e 534/3); che Johann August Patzig (1738-1816) ha copiato le parti dei Concerti II (= St 149), IV (— St 151) e VI (= St 150); che Johann Christoph Altnickol (1719-1759), il genero ed allievo di Bach, ha copiato con altri le parti del Concerto V
(= St 132).
Le intestazioni applicate ai concerti variano da copia a copia e
anche se si tratta di documenti di epoca tarda (tutti databili fra il 1750 e il 1835 circa) è doveroso prender atto del modo con il quale veniva diversamente inteso il rapporto organico fra situazione strumentale e intenzione formale. Cosí, il Concerto I nella partitura copiata
da Penzel porta il titolo di Sinfonia (e si riferisce, come vedremo, ad una prima versione dell’opera, diversa da quella registrata nell'autografo bachiano); il Concerto IV è indicato come Concerto a tre; il Concerto V secondo le parti copiate da Altnickol e aiuti è un Concerto quadruplo e in altre fonti è indicato ora come Concerto doppio, ora come
Concerto per Cembalo, ora come
Concerto à 7 Stromenti, sicché
il discorso sembrerebbe aperto a diverse soluzioni. Sensibile è la differenza che regna fra i vari concerti sia sul piano dell’organico strumentale sia sul piano dell’articolazione dei movimenti, per tacere del diverso impianto formale e stilistico. La situazione «esteriore » può essere riassunta in questo quadro: N.
BWV
Tonalità
Organico strumentale
I
1046
fa magg.
Corno da caccia, I, II Oboe, I, II, III
Tempi
1. (Allegro) I
Fagotto Violino piccolo Violino I, II Viola Violoncello Continuo e Violone grosso
II
1047
famagg.
Tromba Flauto (dolce) Oboe Violino
Î II |
2. Adagio
senza i corni
3. Allegro 4. Menuet Trio Menuet Polonaise
2 oboi e fagotto
1. (Allegro) 2. Andante
3. Allegro assai
573
II
archi senza violino piccolo
Menuet Trio Menuet
I
Violino I, II Viola Violone Continuo (Violoncello e Cembalo)
Meses
2 corni e oboi
flauto, oboe, violino e continuo
Köthen (1717-1723)
N.
BWV
III
1048
Tonalità
solmagg.
;
;
Organico strumentale
Tempi
Violino I, II, III Viola I, II, III
1. (Allegro) 2. Adagio
Violoncello I, II, III Continuo (Violone e
[cadenza] 3. Allegro
Varianti
iui
violini, viole e con-
Cembalo)
IV
1049
solmagg.
tinuo (con i violoncelli)
Violino Flauto in echo, I, II
li |
1. Allegro 2. Andante
violoncello e violone uniti al continuo
X iR
Auu
3. Presto
Violoncello Violone Continuo V
1050
remagg.
II
Flauto traverso | Violino principale I Cembalo concertato | Violino Viola Violoncello Violone (Continuo)
VI
1051
sibem. magg.
mdi
1. Allegro 2. Affettuoso 3. Allegro
We senza ripieni
II
Viola da braccio I, II
1. (Allegro)
Viola da gamba I, II
2. Adagio ma
senza
Violoncello Continuo (Violone e Cembalo)
non tanto 3. Allegro
gamba
viole da
In tutto o in parte alcuni di questi concerti hanno poi conosciuto una
diversa
utilizzazione.
Per
quanto
riguarda
il Primo
Concerto,
l'allegro n. 3 e il trio n. 2 sono stati inseriti nella Cantata profana BWV 207 (Vereinigte Zwietracht der wechselnden Saiten, dramma per musica, 1726, rispettivamente n. 1, coro, e n. 5a, ritornello) e il mede-
simo allegro & stato impiegato come brano corale introduttivo della Cantata BWV 207a (Auf, schmetternde Töne der muntern Trompeten, 1734), parodia di quella precedentemente citata: il primo movimento del Concerto, inoltre, funge da Sinfonia introduttiva alla Cantata BWV
52 (Falsche Welt, dir trau ich nicht, 1726). Il primo tempo del
Terzo Concerto & stato utilizzato nella Cantata BWV 174 (Ich liebe den Höchsten von ganzem Gemüte, 1729) come brano introduttivo (Sinfonia). Infine, il Quarto Concerto & stato rielaborato come Concerto per « cembalo certato », 2 flauti, archi e continuo (BW'V 1057) intorno al 1730-35. 574
|
Köthen (1717-1723)
Fra gli innumerevoli interrogativi che la raccolta propone, uno sembra emergere con preoccupante frequenza e disparità di risposte: quello della collocazione cronologica, tema sicuramente affascinante scaturito dalla molteplicità degli stili, dalla multiforme apparenza del linguaggio, dalla probabile diversa destinazione delle musiche. La data conclusiva, quella che chiude il discorso ante quem, il 24 marzo 1721,
rappresenta soltanto il sigillo finale di un processo indiziario che vorrebbe risalire la china del tempo sino alle estreme conseguenze addirittura alle prime fasi della creatività bachiana: Thurston Dart non ha esitato a proporre per il Sesto Concerto un improbabile concepimento durante gli anni di Arnstadt (1703-1707). Il problema della cronologia dei Brandeburghesi, già avviato dall'esegesi bachiana ottocentesca, & stato particolarmente studiato in questi ultimi tempi, a cominciare da Heinrich
è preoccupato
di «conquistare»
una verità
Besseler, il quale si
cronologica anche
in
connessione con altre opere. Visto limitatamente alla produzione di concerti, il rapporto di Besseler si sintetizza in questi dati: c. 1718
Concerto Concerto Concerto Concerto Ouverture
Brandeburghese n. 6 (BWV 1051) per 2 violini (BWV 1043) Brandeburghese n. 1, prima versione (BWV Brandeburghese n. 3 (BWV 1048) n. 1 (BWV 1066)
1071)
c. 1719
Concerto Brandeburghese n. 2 (BWV 1047) Concerto poi inserito nell’Oster-Oratorium (BWV 249, nn. 1-3) . Concerto per violino e oboe (BWV 10602) ir Concerto per violino sol min. (BWV 10562) Concerto per violino re min. (BWV 10592) Allegro n. 3 del Concerto Brandeburghese n. 1 (BWV 1046) Concerto Brandeburghese n. 4 (BWV 1049)
c. 1720
Concerto Concerto Concerto Ouverture
per violino mi magg. (BWV 1042) per violino la min. (BWV 1041) Brandeburghese n. 5 (BWV 1050) n. 2 (BWV 1067)
Nel tentativo di perfezionare questa proposta cronologica e di
individuare la causa che diede l’avvio alla creazione dei Brandeburghesi,
la critica ha ulteriormente anticipato talune date. La versione originale del Primo Concerto (Sinfonia BWV 1071) sarebbe stata concepita come introduzione alla Jagdkantate (BWV 208): la presenza di 2 corni da caccia e 3 oboi nell’una e nell’altra partitura ne costituirebbe una 575
E
Köthen (1717-1723)
conferma. L'opera, dunque, potrebbe essere stata scritta nel 1713 ed eseguita alla corte di Weissenfels. A quella medesima data Martin
Bernstein vorrebbe ricondurre anche il Secondo Concerto, invocando
a sostegno della tesi la presenza di un virtuoso di tromba (clarino) presso quella cappella. E sempre al 1713 Martin Geck vorrebbe assegnare la composizione del Terzo e del Sesto Concerto, nati forse come
introduzioni strumentali a cantate profane. La tormentata ricerca del tempus nascendi & in massima parte provocata dai problemi posti dall'autografo bachiano, che & apparentemente molto
curato
nella
scrittura,
calligraficamente
notevole,
ma
che
all'analisi rivela numerose correzioni sebbene non in misura tale da eliminare tutti i difetti, gli errori di copiatura. Si direbbe quasi che Bach, conscio dell'inutilità del suo sforzo — egli forse già sapeva che la cappella del margravio non avrebbe potuto eseguire in quel tempo le sue musiche e per le difficoltà oggettive del discorso e per la mancanza di talune parti strumentali — non abbia voluto dare all'opera quella perfezione che ad essa conveniva. L'esistenza di copie tardive ha consentito, comunque, di ricuperare l'autentico apparato musicale bachiano; ma & un elemento importante del discorso critico che quelle copie, in particolare quelle dovute ad Altnickol e soprat- tutto a Penzel, siano state condotte sugli originali e, ovviamente, non
sulla raccolta autografa predisposta da Bach per il margravio. Le varianti registrate nelle copie realizzate da Penzel (le cui fonti sono purtroppo andate perdute) dimostrerebbero che esse si riferiscono ad una prima versione delle singole opere, mentre l'autografo registre-
rebbe la versione definitiva di concerti che furono modificati in vista di nuove esigenze. i Tutto ció non impedisce d'intendere i sei concerts avec plusieurs instruments come un vero e proprio ciclo in sé compiuto. Pur nella varietà della forma, dell'organico strumentale e dello stile, che sono di volta in volta convenientemente e coscientemente diversi, tali
opere costituiscono un gruppo unitario, formano una sorta di piccolo
dizionario dimostrativo delle possibilità aperte al genere del concerto,
inteso
in un'accezione
per cosí dire globale
e universale.
In altre parole, come sovente succede in Bach, la raccolta ha in sé qualcosa di didattico e di sistematico. Dato per scontato il fatto che tali musiche dovevano servire per le esecuzioni a corte (e in questo senso
i concerti
coprivano
un'esigenza
«sociale»,
mondana,
della
classe dominante), Bach si & preoccupato di svolgere un discorso musicale che si presentasse sempre nuovo e sorprendentemente contraddittorio. Il termine « concerto », cosí, risulta dilatato; il contenuto &
eterogeneo e non riconducibile ad un principio unico; le situazioni sono atipiche e l'eclettismo stilistico diventa esso stesso un modo di 576
Köthen (1717-1723)
essere: stile italiano, gusto francese, severità tedesca, polifonia e omo-
fonia, movenze di danza e strutture compatte e rigorosamente contrappuntistiche si alternano
con disinvoltura; il numero
dei movi-
menti non è fisso e la loro tipizzazione formale all'interno di ciascun concerto & incostante; le maniere proprie del discorso concertante si scontrano con quelle tipiche della sonata a tre; stile da chiesa e stile da camera sono equamente distribuiti; la tecnica dei cori strumentali
contrapposti si alterna con quella solistica tendente a sottolineare al massimo grado l'elemento virtuosistico; e gli organici strumentali
sono a bella posta variati per offrire ad ogni passo novità d'impasti timbrici. Le particolarità che informano la struttura d'ogni concerto indicano,
comunque, che Bach intendeva dotare gli strumentisti della corte di Köthen (o di Weimar?) di un « campionario » — se cosí & lecito esprimersi — di possibilità virtuosistiche ad alto livello, ma non solo ba-
dando alle capacità del singolo virtuoso, ma anche a quelle del complesso strumentale in sé, del Collegium musicum. La ricerca di combi-
nazioni strumentali insolite o inedite, il gusto per una concezione del concerto di volta in volta rinnovata, irripetibile, schiva da inutili duplicati, dimostrano che il compositore nell’affrontare la raccolta,
e anzi nel selezionarla (poiché & ragionevole supporre come si & già detto che essa sia il frutto d'una scelta operata su un piá vasto numero
di concerti), pensava a veri e propri «studi», organizzati secondo un « piano di lavoro » precedentemente preparato. Visitiamo ora il ciclo
in tutte le sue parti. 1. La singolarità del Primo Concerto (BWV 1046), che apre con solennità e cerimoniosamente il corteo, balza evidente dalla semplice
osservazione dell'organico strumentale che esso prevede: un gruppo di fiati (2 corni da caccia, 3 oboi e fagotto) e un gruppo di archi (violino piccolo e il normale ripieno con due parti di violino, una di viola e una di violoncello, cui si aggiunge il basso continuo realizzato dal cembalo e dal violone grosso, cioè dal contrabbasso). La presenza di un violino piccolo in funzione solistica deve essere posta in relazione con lo stile francese prevalente in quest'opera: violino piccolo alla francese era denominazione strumentale corrente sin dall'epoca del monteverdiano Orfeo e i maestri francesi ne avevano fatto ampio uso nelle musiche di danza, vale a dire in un campo particolarmente congeniale alla loro sensibilità: non a caso questo Primo Concerto si conclude con una serie di danze tipicamente francesi, nello spirito della suite anziché
in quello del concerto. Il violino piccolo, ad ogni buon conto, non era strumento con caratteristiche standardizzate e uniformi: si trattava, ovviamente, di uno strumento dalle dimensioni ridotte rispetto al
a
;
577
Köthen (1717-1723)
violino normale, e perció accordato in una tessitura piá alta: nel caso specifico di Bach il violino piccolo € accordato una terza minore sopra (sebbene i normali violini piccoli avessero un'accordatura superiore di una quarta).
Quella del Primo Concerto & essenzialmente una struttura, come si
dice, «di gruppo», appena rotta dall'inserimento del violino piccolo in veste solistica e mancante in una prima versione dell'opera. Questa struttura di insieme & intesa in maniera rigorosa, contrapponendo il gruppo degli archi e quello dei fiati e, nell'ambito di quest'ultimo, distinguendo ancora fra i due corni da caccia da un lato e il quartetto dei legni (tre oboi e fagotto) dall'altro. Analoga struttura Bach aveva già sperimentato nella Jagdkantate (BWV 208) che, come si è già avvertito, si sarebbe aperta — è questa l'opinione sostenuta da Johannes Krey —
con una
sinfonia, la prima versione,
appunto,
del Primo
Concerto. È significativo il fatto che il compositore non abbia trattato i legni come raddoppio degli archi (secondo la consuetudine dell’epoca), ma come parti spesso indipendenti (è ciò che avviene nel secondo tempo, ad esempio), non disdegnando di condurle in contrappunto con quelli o in funzione « alternativa », quasi come due « cori » stru-
mentali contrapposti. La struttura «di gruppo» risulta particolarmente evidente nella prima versione dell’opera, versione che prevede il medesimo organico strumentale con la sola esclusione del violino piccolo e che porta il titolo non di concerto, bensi di Sinfonia. Imovimenti sono tre: manca quello che nel Primo Brandeburghese è il terzo tempo e la serie di danze costituenti l’ultimo tempo è ridotta al solo minuetto con due trii. Questa versione, indicata nel catalogo dello Schmieder col numero BWV 1071 ma nella NBA più giustamente classificata come BWV 1046a (variante del Primo Brandeburghese), ci è pervenuta attraverso una copia manoscritta (BB/SPK P 1061) datata aprile 1760, redatta — come si è già detto — dal prefetto della Scuola di S. Tommaso di Lipsia, Christian Friedrich Penzel. Da notare che nell’ottocentesca edizione della Bach-Gesellschaft la composizione era stata pubblicata unitamente alle quattro ouvertures per orchestra. . Se si considerano i soli tre movimenti costituenti la Sinfonia, si potrà facilmente constatare che l’articolazione musicale non ha rapporti con la forma e con lo stile del concerto propriamente detto. E, tuttavia,
Bach non esita a deviarne il contenuto verso una definizione concertante. L'operazione che portò alla trasformazione della Sinfonia in Concerto si ridusse a quello che potremmo chiamare un intervento di chirurgia plastica ed estetica. Il programma di tale operazione si presenta distinto in tre fasi: in primo luogo, l’aggiunta in funzione solistica di un violino piccolo (e non di un violino normale, allo scopo 578
Köthen (1717-1723)
quasi di porre in evidenza la moda francese cui l'opera si richiama);
in secondo luogo, l'inclusione di un altro movimento
allegro, dopo
l’allegro iniziale e l’adagio, in maniera da creare il tipico schema tripar-
tito proprio del concerto; in terzo luogo, l'inserimento di una polonaise
(senza violino piccolo) all'interno del minuetto conclusivo, cui invece quello strumentino è stato aggiunto. La presenza della polonaise rende
automaticamente
necessaria una ripetizione supplementare del mi-
nuetto; questo, pertanto, figura ora quattro volte, contro le tre della
Sinfonia, la quale prevedeva due trii. Nella nuova versione il secondo di questi trii (che & curiosamente in 2/4, come se si trattasse d'una contraddanza) risulta modificato nello strumentale: due parti di corno da caccia e una per gli oboi tutti all'unisono, contro le due parti per i corni e quella dei violini in unisono prescritte nella Sinfonia (in cui la pagina era indicata come Trio pour les Cors de chasse). La composizione risulta ora divisa in due sezioni: la prima, tripartita, ha l'aspetto di un concerto, ma dalle diverse soluzioni stilistiche; cosi, il primo e il terzo tempo presentano un discorso sostanzialmente «di gruppo » e solo nel terzo tempo il violino piccolo si abbandona a qualche intervento solistico (come, del resto, fanno — ma in misura minore — il primo oboe e il primo corno); per contro, l'adagio ha le caratteristiche d'un tempo di «doppio concerto», con il primo oboe e il violino piccolo dialoganti secondo lo stile italiano; esclusi da questo movimento i corni (non solo per ragioni espressive, ma anche per concedere una pausa di riposo agli strumentisti), tutto il discorso risulta concentrato sulla massima esaltazione dello stile cantabile, dal
periodare aperto, flessibile, ma nel medesimo tempo intimo e trattenuto. La seconda sezione del concerto & costituita da un'appendice di .gusto francese, nello spirito della suite; quest'appendice si risolve in un blocco pluriarticolato di danze: un quarto tempo suddiviso com-
plessivamente in sette episodi, quattro dei quali (il minuetto propriamente detto) possono essere intesi come un refrain (e dunque con allusione alla forma del rondeau), con impasti timbrici variabili.
La singolare struttura di questo Primo Concerto — assolutamente atipica — fa pensare ad un'opera nata per celebrare un evento particolare; la presenza in orchestra d'una coppia di corni da caccia (strumenti non previsti, fra l'altro, nell'organico della cappella di Kóthen)
e di tre oboi (fatto abbastanza eccezionale, ma suffragato, ad esempio, dagli organici di certe cantate che Zachow, il maestro di Haendel,
aveva scritto per la Liebfrauenkirche di Halle) potrebbe avvalorare l'ipotesi. In altre parole, mentre tutti gli altri concerti della raccolta sono
stati scritti tenendo
presenti i consueti
organici, sia pure con
variato impiego di strumenti (non fa differenza che si trattasse delle cappelle di Weimar, di Kóthen o del margravio del Brandeburgo), DR
579
Köthen (1717-1723)
il Primo Concerto (che & l'unico concepito per una « orchestra ») sarebbe legato a circostanze senza dubbio solenni e tali da richiedere l'impiego di musicisti in soprannumero. Da documenti degli anni successivi, relativi sia al soggiorno di Kóthen sia ai primi tempi del periodo di Lipsia, si ricava che con ogni probabilità il Primo Concerto fu piá volte eseguito. E, del resto, & tutt'altro che inverosimile la tesi sostenuta da Johannes Krey secondo la quale la versione col violino piccolo fu predisposta da Bach nel 1717, al tempo della sua visita a Dresda (la mancata « gara » con Marchand) e in omaggio al violinista Jean-Baptiste | Volumier, virtuoso di grande fama, noto compositore di balletti e
musiche di danza. Questo Primo Concerto del mirabile ciclo rispecchia, dunque, il goüt francese. La chiusa con un movimento nel quale minuetto e polonaise si fondono in una composizione unitaria è indubbiamente insolita, ma d'altra parte non si deve dimenticare che la forma o lo spirito della danza stilizzata si ritrovavano con una certa frequenza a conclusione dei concerti anche dei maestri italiani. Non si può ignorare il contributo storico recato dalla suite, in quanto successione di danze,
alla formazione del concerto vero e proprio; tracce di questo contributo si ritrovano ancora in quelle gighe, o tempi di giga, in quei minuetti, o tempi di minuetto, che la letteratura barocca ci propone a chiusura di concerti. Il caso di Telemann, per citare uno dei compositori tedeschi più significativi fra quelli contemporanei di Bach, è esemplare: una sua Suite-Concerto per violino e orchestra, in fa maggiore, articolata in sette movimenti, termina con una polacca e prevede
un organico strumentale in una certa misura assimilabile a quella del Primo Brandeburghese: oltre al violino solista, due trombe da caccia con gli immancabili timpani, due flauti, due oboi, archi e basso continuo.
2. Che una specie di «concerto alla francese » aprisse la raccolta dei Brandeburghesi potrebbe apparire cosa strana, ma la dedica del ciclo, anch'essa tutta francese, sottolinea che non v'era modo migliore di rendere omaggio al margravio Christian Ludwig, ad un principe che amava la cultura francese e che, come tanti altri principi, grandi e piccoli, di Germania, guardava a Versailles e alla moda di Francia
come a esempi, modelli da imitare e sostenere di fronte alla società civile. Ma la società musicale amava in pari misura il nuovo stile italiano, da pochi anni circolante in Europa. Cosi, il Secondo Concerto (BWV 1047) è sicuramente un tributo alle maniere, italiane, ma rivisitate e nuovamente studiate da Bach al punto di modificarne dall'interno la soluzione architettonica. La forma è quella tripartita vivaldiana, ma al ripieno degli archi Bach contrappone quattro strumenti : 3560
Köthen (1717-1723)
solisti: tromba,
flauto dolce, oboe
e violino.
Eccezionale
in quel
contesto strumentale & la presenza della tromba, quantunque non si tratti d'una idea originale (i maestri bolognesi della Cappella di S. Petronio si erano dimostrati ampiamente generosi nell’impiego d'un tale strumento); la singolarità dell'idea bachiana sta piuttosto nel tipo di strumento adottato pet l’occasione, non la consueta tromba in RE o quella in DO o quella meno comune in MI bemolle, ma una tromba piccola in FA, dalle sonorità pit penetranti ed emergenti. Il trattamento dei quattro solisti avviene, comunque, secondo moduli analoghi a quelli del concertino nell'ambito del concerto grosso. E, tuttavia, occorre subito sottolineare che si tratta d'una concezione musi-
cale autonoma; ad esempio, il particolare tipo di concertino imposto in quest'opera alterna episodi solistici a momenti in cui i quattro strumenti agiscono contemporaneamente o a coppie o in trio. Si deve
poi notare il rigoroso impianto simmetrico: le entrate degli « strumentini», ad esempio, avvengono
alternando una sezione d’insieme ad
una solistica e secondo una concezione architettonica che, nel primo
movimento, prevede dapprima il solo violino, poi il violino accoppiato all'oboe, quindi l'oboe unito al flauto, infine il flauto con la tromba, secondo una sequenza determinata dall’orientamento della partitura,
nella direzione dal basso verso l’alto. Una più serrata indagine sulla struttura del primo tempo porta ad individuare uno schema costruttivo preordinato, per la cui lettura
occorre munirsi di un apposito « codice mentale »: l'ordine geometrico, come è comportamento costante in Bach, precede l'invenzione musicale e la determina. Il movimento consta di 118 misure, 100 delle quali sono affidate al tutti, mentre soltanto 18 vedono impegnati gli strumenti solisti. Questa « circostanza » è in sé già indicativa di un comportamento stilistico che si distacca sensibilmente dalle maniere italiane, da quel tipo di concerto a segmenti regolari alterni, e scontati (5-6 episodi del tutti, ad esempio, e 4-5 dei soli). In quelle 18 battute dei soli si può notare l’applicazione della « formazione » 8 + 2 + 8. Le prime 8 battute sono affidate ai soli, considerati a coppie di strumenti
« prossimi » in partitura (con l’eccezione del primo intervento solistico, che è avviato dal solo violino) e sempre per una lunghezza di due battute
(mis. 9-10, 13-14, 17-18, 21-22) cui corrisponde un intercalare di pari lunghezza del tutti; le successive 2 battute di quella « formazione » (mis. 29-30) sono realizzate ancora da una coppia di strumenti (ma. questa volta si tratta dei due strumenti, tromba e violino, che si trovano all’estremità del « quartetto »), sostenuti, oltre che dal basso continuo,
da scarni ed essenziali interventi armonici degli altri due strumenti; le restanti 8 battute (mis. 60-67) sono affidate al blocco quartettistico 581
E gu
Köthen (1717-1723)
dei soli. Nei tre momenti
dell'articolazione solistica, insomma,
si
colgono tre impianti strumentali diversi. Il procedimento & già in sé stupefacente, ma le sorprese non sono:
terminate, poiché in realtà il movimento nel suo complesso (118 battute) si presta ad essere esaminato, dal punto di vista strutturale, in due diversi modi: sulla base della prima analisi, che chiameremo A, si possono individuare due sezioni (a e b) ciascuna delle quali è costituita da tre segmenti (I, II e III); sulla base della seconda analisi, che chiameremo B, le sezioni si riducono a due, entrambe costituite da 59 battute. Si dovrà notare, inoltre, che nel tratto delle prime 30 battute
la ripartizione fra battute del tutti e dei soli & nel rapporto matematico di 2 a 1, certamente non casuale: 20 battute al tutti e 10 ai soli. Ma ecco
il dettaglio in uno schema essenziale: I
II
tutti | 1-8 mis. 1-30
11-12
III
15-16
19-20
23-28
a |
|
soli
9-10 vl.
A —
13-14 vl.-ob.
17-18 ob.-fl.
21-22 fl.-tr.
29-30 vl.-tr.
(+ ob. e fl.) mis. 31-118
tutti |31-59 1l soli é
68-118 60-67 vl.-ob.-fl.-tr.
LI
mis. 1-30 I | mis. 31-59
ieh Sn
tutti - soli (coppie) - tutti
30 +
tutti
29 =
B—
59
mis. 60-67 II | mis. 68-118
quartetto dei soli tutti
8 4 51 =
59
Il secondo movimento, come già era avvenuto nel Primo Concerto, rinuncia allo strumento
a bocchino; e la ragione & eminentemente
di natura pratica, in quanto tiene conto delle difficoltà che l'esecutore incontra sul piano della resistenza del labbro: poiché i due movimenti estremi sono pagine virtuosistiche e di agilità, e dunque affaticanti, il
compositore ha evitato d'impiegare lo strumento in tutti e tre i movimenti, concedendo quindi una pausa per consentire un ricupero
di forze e di efficienza. Seguendo tale principio, già piá volte proposto
dai maestri italiani, l'Andante è limitato al flauto, all'oboe e al violino,
che contrappuntano su un unico spunto melodico, sostenuti dal basso continuo: si tratta, pertanto, di un movimento di sonata a tre (del 582
Köthen (1717-1723)
tipo «da chiesa», si potrebbe dire), la cui caratteristica piá saliente sta nella scelta dei timbri strumentali. Nel terzo movimento si manifesta nuovamente quello spirito ordinatore e geometrico che soltanto all'analisi « spettrografica » del brano si può cogliere, ma che è la guida, la gabbia entro la quale il musicista costringe e quasi « forza » il proprio discorso. Un primo dato: a differenza di quanto avviene nel primo movimento largamente dominato dagli interventi del tutti, nel terzo gli episodi dei soli coprono 95 delle 139 battute di cui consta il brano. L’articolazione formale & completamente diversa e si rivela costituita da tre sezioni: la prima interamente affidata ai soli (mis. 1-46), la seconda alternante tutti e soli (mis. 47-118), la terza affidata al tutti (mis. 119-139). Ma all’interno delle prime due sezioni è possibile distinguere tutta una serie di episodi: cinque diverse combinazioni strumentali nella prima, sette nella 2 +3 + 2 alternati da simmetrici
seconda, secondo la formazione
episodi del tutti, mentre la terza sezione è un blocco compatto del tutti (giusto per rispettare la simmetria della formula: I= soli; II = tutti + soli; IT = tutti). Si potrà poi notare come i singoli segmenti del discorso siano condotti rispettando precise regole numeriche. Ecco la situazione quale risulta da uno specchio sistematico: |
Sezioni
numerazione | impiego dei soli pues
due a
progressiva degli interventi Zh
1-6 7-20 soli | 21-26 27-40 41-46
I
tutti
1 D 3 4 5
ob.
a * =
È a
n. battute dell'episodio
vl.
6 19 6 19 6
Kit t
t
s
47-56
57-65 sli [ 6671
6 7
: d
tutti —72-84 85-88
8
soli |89-92 93-96
10
x
11
J
:
qp
IN
—
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107112
tutti
119-139
46
? [15 6 | | me) 4
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9
t
dA 4
*
tutti —97-106
|
|
n. battute della sezione
m
(p
II
iri
72
- 10
soli| 113-118
12
aste
e
*
6
a =
21
12
21 139
Questo tipo di analisi potrebbe dar luogo a interessanti scoperte anche nei confronti degli altri concerti della raccolta (cfr. lo studio di Rudolf Gerber); ma non voglio abusare del metodo; un campione, 583
Köthen (1717-1723)
tuttavia, doveva essere scelto per dimostrare il particolare atteggiamento di Bach nei confronti della tecnica del comporre: la spontaneità delle idee — va da sé che si tratta di idee di prima grandezza — & subordinata alla individuazione di una piattaforma e di una serie di supporti che devono sostenerle e contenerle, affinché il pensiero
musicale riceva una giustificazione e una « qualificazione » nei confronti di un certo canone architettonico. Un'ultima osservazione: l'impiego della tromba in questo Secondo
Concerto non & fatto pacifico; una copia a parti separate realizzate da Penzel porta l'indicazione Tromba 6 vero Corno da Caccia; tenendo
presente che le copie di Penzel sono state condotte sugli originali, si può supporre — considerando anche il fatto, non trascurabile, che quello del Secondo Brandeburghese è l’unico caso, nell’intera produzione bachiana, di impiego della tromba in FA e che questa è la tonalità tipica del corno — che l'alternativa proposta fosse autentica e pit che plausibile.
3. La raccolta dei Brandeburghesi sembrerebbe idealmente suddivisa in due libri, ciascuno dei quali costituito da tre concerti. A chiusura dell'uno e dell'altro «libro» Bach colloca due concerti di gruppo, affidati esclusivamente a strumenti ad arco e concepiti in chiave prevalentemente polifonica. Tre violini, tre viole, tre violoncelli oltre al violone (e al cembalo) per la realizzazione del continuo costituiscono l'organico del Terzo Concerto (BWV 1048). La scrittura è compatta,
attenta a mantenere
una elevata temperatura contrappuntistica e a
realizzare un continuum, una serie di passaggi in ostinato: il contrasto
con i primi due concerti sia sotto il profilo stilistico, sia sotto l'aspetto formale, sia nella concezione timbrica (che nei primi due concerti &
vistosa e penetrante e si avvale di strumenti più corposi quali i corni da caccia e la tromba) & largamente scontato. Cosi come & scontato il fatto che il gruppo degli ultimi tre concerti si serve di strumenti
sonori pit delicati e teneri ed evita accuratamente gli ottoni e impasti di strumenti in opposizione timbrica. Fatto essenziale di questo Terzo Concerto è l'assoluta situazione di parità raggiunta dagli strumenti: qui non si ha il dislivello tipico della forma del concerto, che alterna
episodi solistici ad altri d'insieme o che tratta in maniera « concertante » uno o più strumenti, riducendo gli altri ad un ruolo di accompagnamento
o di «ripieno »; ma si ha un blocco unitario, si tocca una
compattezza strumentale che annulla ogni differenza. Il taglio formale del concerto non è meno singolare del suo organico strumentale: due movimenti, il secondo dei quali bipartito, come nell'arcaica
sonata da chiesa o da camera (che Bach frequenterà ancora), divisi da una cadenza frigia costituita da due accordi. Questo, che & forse 584
e Lo
Köthen (1717-1723)
il piü travolgente dei Brandeburghesi, offre spunti di straordinaria versatilità ritmica e contrappuntistica. Il discorso che a tratti risulta spezzato nel corso del primo movimento, per effetto d'un riflesso fra tutti e soli, ma sempre intendendo ciascuno dei tre gruppi strumentali a ranghi riuniti, senza rompere la compattezza dell'insieme strumentale, € invece estremamente coagulato nell'ultimo tempo, che riduce le dimensioni dello strumentale, mantenendo le tre parti di violino e le tre parti di viola, ma riunendo in una sola i tre violoncelli, insieme
con i due strumenti del continuo (violone e cembalo): il processo
musicale & ininterrotto, inarrestabile quasi, mosso come & da un'ine-
sauribile carica energetica. Un singolare problema di « interpretazione » pone la cadenza frigia che si colloca fra i due movimenti e che Bach indica col tempo adagio,
quasi volesse significare l'inserimento di un movimento ad libitum. Non si tratta, senza dubbio, d'una pura e semplice modulazione da un tempo ad un altro, poiché entrambi i brani sono in sol maggiore. E d'altra parte un'esecuzione dei due accordi parrebbe priva di senso musicale, anche se l'evento & previsto per spezzare la continuità di due allegri (una semplice pausa d'attesa non avrebbe altrettanta efficacia psicologica). Si & fatto rilevare che una cadenza frigia figura anche ala fine del movimento
centrale del Quarto Concerto:
ma
il caso
parrebbe diverso, poiché quella cadenza viene dopo un ampio discorso strumentale che genialmente Bach corona con una volatina affidata al flauto dolce II e che per la circostanza necessita di una chiusura,
sia pure alla maniera arcaica. Se dunque pare piá verosimile l'ipotesi che lo spazio occupato da quella cadenza debba essere colmato in qualche modo, le soluzioni possibili non sono che due: o introdurre fra i due accordi una libera improvvisazione del cembalo o di uno strumento melodico sostenuto dal continuo, oppure ricorrere allimpiego di un Adagio estratto da qualche altra composizione. Quest'ultima soluzione è forse la piá arbitraria: Thurston Dart soleva
utilizzare in questo caso l’Adagio della Sonata in sol maggiore per violino e continuo (BWV 1021); la farcitura non s'addice al rigore, alla precisione delle linee geometriche che governa l'intera raccolta. E se nessuna delle fonti dell'epoca ha proposto soluzioni a questo falso enigma, quale motivo noi avremmo per correggere un dato di fatto?
4. Il Quarto Concerto (BWV 1049), pure in sol maggiore, prevede un organico che alla massa del ripieno contrappone tre strumenti: un violino principale e una coppia di flauti. Al violino Bach affida ampie digressioni indipendenti, mentre ai flauti spetta un compito meramente concertante; il discorso fra questi due strumenti & talvolta proposto «in eco», l'uno ad imitazione dell'altro. E qui occorre ó
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Q
Köthen (1717-1723)
mettere in evidenza la particolare espressione usata da Bach per designare questa coppia di strumenti: Fiauti d' Echo. Tale espressione .
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‘
D
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e
& stata fout court tradotta in «flauti dolci», ma Thurston Dart, che
ha voluto affrontare criticamente il problema
(1960), è giunto a
conclusioni di cui non si puó non tener conto, e ha individuato in
quegli strumenti una coppia di flageolets. Una terminologia inglese equivalente, echo flute, compare frequentemente negli annunci delle gazzette londinesi degli anni 1713-1718 e sempre in connessione con i concerti tenuti da James (Jacques) Paisible?, un virtuoso di flauto a becco, nato in Francia intorno al 1650, membro
della « King's
Musick » dal 1674 e deceduto a Londra nel 1721. Quegli annunci dànno diversi nomi per strumenti che sembrerebbero potersi ricondurre tutti ad un unico mezzo musicale: octave flute, echo flute, small echo flute, little flute, flageolet. Dart pensa ad una equivalenza che porta ad individuare nei Fiauti d' Echo (l’espressione si trova solo in Bach) il flageolet francese, divenuto di gran moda a Londra nella seconda decade del Settecento. Il flageolet era praticato in due taglie: una grande in RE, del tutto assimilabile alla flüte-a-bec, ma intonato un'ottava sopra; e una piccola
in SOL, designata anche come flauto piccolo o flageolet-a-oiseau per l'impiego particolare che se ne faceva in scene in cui si evocassero canti d'uccelli (tipico modello l’aria « Augelletti che cantate» nel Rinaldo di Haendel, 1711). Anche nella Water Music (1717) Haendel aveva fatto ricorso all'uso del flageolet e la cosa non era passata sotto silenzio, giacché un rapporto sull'esecuzione di quella musica (in data 19/30 luglio 1717) era stato inviato, dal rappresentante prussiano a Londra, alla corte di Berlino, che fra l’altro si trovava in stretti
rapporti di parentela con gli Hanover. È possibile che Bach sia stato indotto a usare il flageolet, proprio in ragione della curiosità che lo strumento poteva aver destato presso il margravio del Brandeburgo. Si aggiunga che un altro compositore tedesco attivo a Londra, Johann Christoph Pepusch, ricorse con una certa frequenza al flageolet e un suo fratello, Gottfried, fu al servizio della cappella berlinese sino al suo scioglimento (1713), passando poi probabilmente fra i Kammermusici del margravio Christian Ludwig. La conseguenza finale è che la parte dei «flauti » in questo Quarto Concerto deve suonare una ottava sopra, come del resto sarebbe giustificato e da certe strutture armoniche e dal più brillante risultato fonico. Ma guardiamo brevemente al Concerto. L'ampiezza con la quale è realizzato il primo movimento è insolita e rispecchia uno sviluppo tematico piti corposo (come avviene, ad esempio, nell'episodio centrale in biscrome e nei bicordi del violino). La pagina si regge interamente sul contrasto fra il violino e i due flauti da un lato e il ripieno 586
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Köthen (1717-1723)
dall'altro: quest'ultimo oppone allo stile fiorito dei solisti disegni È
semplici e talvolta di limitata consistenza. L' Andante, contrariamente
alle aspettative e al costume tipico del concerto, presenta un discorso cantabile realizzato in blocco dagli strumenti; soltanto al primo flauto & concesso l'onore di due brevissimi interventi solistici, due volatine,
la seconda delle quali — come si è già detto — è in chiusura di pagina e si presenta isolata: da un lato il discorso d'insieme in sé già concluso, dall'altro i due accordi della cadenza frigia-in preparazione dell'ultimo tempo. Il finale ha struttura fugata (una caratteristica, questa, che riguarda anche i tempi conclusivi dei concerti III, V e VI, quasi per
sottolineare una particolarità stilistica mediata da un'antica maniera compositiva, quella della sonata da chiesa). Il giuoco contrappuntistico, tenace e puntuale, si rompe a metà del movimento
per cedere
il passo ad un pitù libero sfogo del violino principale che, pur accompagnato dal tema affidato alla sezione del ripieno, si produce in una cadenza virtuosistica di stampo prettamente concertistico.
5. Fra i sei concerts avec plusieurs instruments quello che probabilmente riveste il maggiore interesse storico è il Quinto, in re maggiore
(BWV 1050), che sotto il profilo cronologico sembrerebbe essere stato l’ultimo realizzato. In realtà, la tesi sostenuta da Besseler, essere stato scritto questo concerto nell'inverno 1720-21, alla vigilia dell'invio della raccolta al margravio, è contraddetta — forse — dall’esi-
stenza di tre versioni dell’opera. La prima di queste versioni è quella consegnata dalle parti separate copiate da Altnickol e aiuti (BB/SPK St 132). La seconda versione è quella che si riscontra nelle parti di BB St 130, delle quali solo quella del cembalo concertato è autografa. La terza versione, infine, è quella riversata nella partitura autografa
BB Am. B. 78. La versione più antica è dunque quella di Altnickol (un tempo, come si è visto, il lavoro di copiatura era attribuito per la massima parte a Gottlob Harrer); ma occorre tener presente che sotto quel blocco di parti separate bisogna distinguere due gruppi: un primo gruppo comprende le parti di cembalo concertato, flauto traverso, violino concertato, violino, viola e violone; un secondo gruppo comprende violoncello e cembalo. Solo le parti del primo gruppo si riferiscono
alla versione
l’impiego del violoncello.
originaria,
che
pertanto
non
prevedeva
Le varianti non si fermano a questo particolare, sicché nell'insieme
si può parlare di una versione a sé stante (che è stata recentemente, 1975, pubblicata a cura di Alfred Diirr, con il numero
di catalogo
BW' 10502, come supplemento al volume edito da Heinrich Besseler). Il secondo movimento nella prima versione & qualificato come adagio e solo nelle versioni successive riceverà la più singolare didascalia di 588
Köthen (1717-1723)
Affettuoso. Ciò che, tuttavia, distingue maggiormente la prima versione è la diversa lunghezza della cadenza affidata al cembalo: 18 battute contro le 65 della seconda e terza versione. Secondo una certa ipotesi il concerto potrebbe essere stato scritto a Weimar, riveduto a Kóthen anteriormente alla primavera del 1719 (epoca del viaggio di Bach a Berlino per ritirarvi il cembalo appositamente ordinato per la corte i Kóthen) e quindi definitivamente ritoccato per inserirlo nella raccolta destinata al margravio di Brandeburgo: la tesi potrebbe trovare un supporto (Dürr) nel fatto che alla misura 92 del primo tempo, nella parte del cembalo figura un SI, che, a quel tempo, non era alla portata di tutti i cembali (lo era, invece, del cembalo fatto
costruire a Berlino) e, infatti, nelle prime due versioni dell’opera quel SI figura all’ottava superiore (SI,). Come per il Primo Concerto, dunque, anche per il Quinto esiste una
versione anteriore a quella « ufficiale »: è probabile che anche gli altri concerti della raccolta abbiano conosciuto più di una versione (che genericamente potrebbe riportarsi al tempo del servizio di Weimar); ma in proposito non sono state acquisite agli atti delle prove concrete. Anche nel caso del Quinto Concerto Bach non abdica al principio
fondamentale del concerto « di gruppo »: un «insieme»
di strumenti
solisti opposti al « coro » del tutti. Le parti dei soli sono affidate in questo caso al flauto traverso (i flauti impiegati nel Secondo e nel Quarto Concerto erano rispettivamente dei Blockflóten o dei flageolets), al violino e al clavicembalo. Quest'ultimo, tuttavia, & investito d'un compito che lo rende protagonista indiscutibile del discorso musicale. Alla
consueta funzione di accompagnamento come realizzatore del continuo, si aggiunge ora quella dello strumento concertante e, nel corso d'una ampia cadenza nel primo movimento, anche di strumento solista. E questo, anzi, il solo esempio di cadenza virtuosistica d'una
certa consistenza, che trovi riscontro nell'intera produzione bachiana di concerti e, diremo di piá, dell'intero repertorio concertistico della
prima metà del Settecento. Il concetto di cadenza, in quanto brano virtuosistico inserito nell'episodio conclusivo d'un tempo di concerto (normalmente il primo) ha acquistato nel corso del tempo un signifi cato e una veste stilistica che in Bach sicuramente non aveva: nel
Quinto Brandeburghese la cadenza & un evento musicale che scaturisce
a proseguimento del discorso, è essa stessa sviluppo d una idea, d'un principio tematico precedentemente esposto, non un improvvisazione, una parafrasi del tema-base, una divagazione accidentale determinata dalla sola intenzione di far brillare le doti di un virtuoso. In un certo senso, la cadenza bachiana — che nella partitura originale & indicata in italiano con l'espressione solo senza stromenti — gode del privilegio 589
Köthen (1717-1723)
di essere l'unica in tutta la storia del genere del concerto che palesi uno «stato di necessità ». Non si tratta, dunque, d'una formula aggiun-
tiva piá o meno gratuita, di una tautologica e pleonastica appendice lasciata alla discrezione del solista, ma di un organismo musicale al cui apporto non si può rinunciare e che rappresenta l'essenziale coronamento del processo musicale. Che si tratti di un divenire, di un farsi & anche dimostrato, appunto,
dall'esistenza di due diverse cadenze, la prima delle quali & quella applicata alla versione originale e consta — come si & detto — di 18 battute contro le 65 della versione definitiva: si tenga presente, tuttavia, che in entrambi i casi il giuoco solistico viene proposto dopo 14 battute di vorticosi passaggi toccatistici accompagnati da un raffinato disegno in filigrana del tutti. Il discorso esposto nella prima versione è ancora
esile, ma
pur sempre
importante.
La versione
definitiva muta, tuttavia, le prospettive e si preoccupa di richiamare subito, non appena il cembalo dà inizio al suo intervento solistico, il disegno ritmico-melodico col quale esso aveva iniziato il suo discorso concertante nelle prime battute della composizione; questo immediato aggancio tematico non può essere interpretato che come un segno di concretezza, di realismo: è soltanto in seguito, con stupenda progressione e come segno di massima libertà espressiva, che il clavicembalo
si abbandona alle forze del toccatismo funambolistico. La novità e
l'originalità del procedimento sono inimitabili, e del resto la soluzione
proposta da Bach rimase lettera morta: quando i Brandeburghesi divennero di pubblico dominio la storia aveva ormai camminato troppo a lungo e la stessa concezione del romanticismo stava per naufragare, sicché il beneficio della scoperta di Bach non andò a vantaggio di alcuno. Non mi dilungherò sugli altri particolari che contraddistinguono questo capolavoro del camerismo bachiano. Mi limito a sottolineare che, per quanto riguarda il ripieno, Bach prevede l'impiego di una sola parte di violino, e non delle due consuete. Nel primo movimento,
a parte la cadenza solistica del cembalo, flauto traverso e violino principale si contendono il predominio, mentre lo strumento a tastiera
è alternativamente impiegato ora come realizzatore del continuo ora come mezzo concertante. Il secondo movimento reca un'intestazione dinamica
che ha una
marcata
funzione
espressiva,
Affettuoso,
un
termine che, raro in Bach, era invece frequente in compositori come
Telemann, già proiettati verso le soluzioni sentimentali della galanterie. La pagina presenta un dialogo fra i due strumenti melodici, con il cembalo
in funzione
accompagnante,
mentre
il tutti tace.
Se nel
Secondo Concerto il movimento centrale era assimilato ad un tempo di sonata a tre, qui la casistica bachiana ci presenta un duo con l'immancabile sostegno del continuo. Il finale (Allegro) procede per imitazione, 590
Köthen (1717-1723)
concedendo nuovamente al cembalo il doppio ruolo di strumento d'accompagnamento e di strumento concertante. Gli interventi del ripieno sono più limitati rispetto al primo tempo e pit scoperta risulta la funzione dei solisti, specialmente quella dello strumento a tastiera, privilegiato. 6. A conclusione del ciclo e a suggello di quello che potrebbe es-
sere considerato il secondo « libro » o parte della raccolta, in simmetria
con il Terzo Concerto, Bach colloca un’opera (Sesto Concerto, in si bemolle maggiore, BWV 1051) che è nello stile «di gruppo », con impiego di soli strumenti ad arco e, nell’ambito di questa famiglia, con una vistosa limitazione dei registri. Due viole da braccio, due viole da gamba, violoncello e basso continuo (violone e cembalo) sono gli strumenti dell'organico. L’opera si presenta come un « doppio concerto » che è realizzato dalle due viole da braccio, mentre i restanti strumenti hanno funzione di ripieno; l’esclusione di strumenti «so-
prani» (i violini, appunto) dà luogo ad un impasto timbrico insolito, che trova corrispondenza soltanto nel consort inglese (che & appunto costituito da sole viole), ma che Bach aveva già sperimentato nella Cantata BWV
18 (Gleichwie die Regen und Schnee vom Himmel fällt),
il'cui organico strumentale si componeva di quattro viole «da braccio ». L'organizzazione strumentale impiegata nel Sesto Concerto suggerisce l'idea di uno stylus vetus, confermata del resto dalla qualità e
natura del discorso musicale, sicché si & generalmente sostenuto che questo concerto, ultimo della serie, sia in realtà il primo sotto il profilo cronologico; in quale momento preciso possa poi trovare collocazione quest'opera singolare è questione che invano si è cercato di risolvere, anche con coraggiose proposte che anticipano notevolmente i tempi di lavorazione (Thurston Dart, già lo si è ricordato,
tirava in ballo i tempi di Arnstadt). La partitura del Sesto Concerto & dunque predisposta per un « sestetto », in cui due strumenti (le viole da braccio) svolgono la parte melodica,
mentre
gli altri quattro
(ridotti
a due nel movimento
centrale, che è privo di viole da gamba) limitano il proprio compito
a un semplice sostegno armonico, sovente realizzato sotto sembianze
di ostinato. Il suono vellutato, le tinte discrete degli strumenti, che
soltanto per il giuoco delle parti, per la condotta contrappuntistica
si differenziano l'uno dall'altro (troppo marcata essendo la parentela
timbrica), esaltano una concezione strumentale arcaica, ma rinnovata
dall’interno attraverso una stupefacente organizzazione polifonica, che non concede tregua e che specialmente nel finale impressiona per la potenza del risultato fonico. Si noterà in questa pagina conclusiva il ruolo determinante coperto dal violoncello, in competizione con 591
Köthen (1717-1723)
e
le due viole da braccio. Per contro, le due viole da gamba (dialoganti con quelle da braccio nel primo tempo, ma — ripetiamo — escluse | dall'organico nel secondo) si limitano a proporre disegni di ripieno. Singolare, inoltre, & il secondo
tempo,
concepito a ranghi ridotti,
come un tempo di sonata a tre; il violoncello contrappunta in modo «ostinato » il dialogo intavolato dai due strumenti cui è affidata la parte melodica.
43. I Concerti per violino (BWV 1041-1043). BIBLIOGRAFIA
Joseph Sziceti, The rediscovered « Violin» Concerto in G minor (BWV 1056a) based on the researches of Gustav Schreck, in « Music Book » VII (1952), pp. 333-335; Hans ENGEL, J. S. Bachs Violinkonzerte, in Festschrift zum 175jihrigen Bestehen der Gewandhauskonzerte, 1781-1956, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1956, pp. 40-62; Walter KoLnEDER, Besetzung und Satzstil Zu J. S. Bachs Violinkonzerten, in Festschrift Walter Wiora zum 30-XII-1966, a cura di Ludwig FinSCHER e Christoph-Hellmut Manrmc, Bärenreiter, Kassel 1967, pp. 329-334; Annette Guvor, J. S. Bach: Concerto in mi major pour violon et orchestre (BWV 1042), in « L'Education Musicale » 1968, pp. 295-298, 338-340, 364-365; Werner Bnzrc, Bachs Violinkonzert d-Moll. Studien zu seiner Gestalt und seiner Entstehungsgeschichte, in BJ LXII (1976), pp. 7-34.
Nessuno poträ mai dire a quale ritmo e con quale intensitä Bach simpegnö nella produzione di musiche per la camera del principe di Köthen e per il suo Collegium musicum. Il fascicolo dei Brandeburghesi è accompagnato da un manipolo disperato di superstiti concerti che non rendono giustizia alle generose capacità contributive del musicista: e tanto più grave è quella falcidia se all’esiguità delle opere di Köthen si aggiunge il silenzioso vuoto di quelle che egli non mancó di consegnare alla Hofkapelle di Weimar. Per i virtuosi che Bach settimanalmente guidava nell'exercitium musicae egli avrà fornito il materiale occorrente, secondo gli obblighi che gli venivano da un contratto in cui la prestazione d'opera era piá che degnamente ricompensata. Al violinista Joseph Spiess, primo Kammermusikus, e al suo collega Martin Friedrich Marcus, Bach avrà destinato qualcosa di piá, per rimanere nel solo campo dei concerti violinistici, delle tre opere sopravvissute nella veste originale. 592
Köthen (1717-1723)
La data di composizione convenzionalmente attribuita a questi concerti & il 1720, ma si tratta d'una medietas artificiosa che potrebbe trarre in inganno e fare di quell'anno un fulcro del periodo di Köthen, quando sotto il profilo della « produttività» esso non dovette sopravanzare gli anni circostanti. Questo ristretto gruppo di opere
solistiche,
nettamente
dominate
da una
concezione
musicale
tutta
italiana, scopertamente vivaldiane nella forma e nello spirito, sembrerebbe costituire il giusto contraltare, nel simmetrico
giuoco della
dialettica bachiana, dei concerts avec plusieurs instruments. Nei due concerti per violino, opere gemelle in tutti i sensi, ma sicuramente dotate d'una propria autonoma
personalità, lo strumento
solista ha
modo di sviluppare una tecnica che nei Brandeburghesi gli è negata o per favorire altri strumenti o per inserirlo in un contesto timbrico, contrappuntistico, dinamico di cui è, appunto, solo un elemento.
Il Concerto in la minore (BWV 1041) — la fonte dalle parti separate parzialmente autografe (BB/SPK con un movimento che alterna simmetricamente assoluta la parte del solo e quella del tutti. L'andante caratteristica figurazione
ostinata
pit antica è data St 145) — s'inizia e con regolarità & costruito su una
del basso, che propone
al brano
un incedere solenne, un passo marcato e pulsante, sul quale s'innesta il disegno fiorito (per lo più a terzine) del solista. Il terzo tempo, in 9/8, ha la vigoria ritmica di una giga e concede al violino solista
una serie di passaggi virtuosistici di trascinante effetto. Anche il Concerto
in mi maggiore
(BWV 1042), conosciuto nelle
parti separate copiate da S. Hering (BB/SPK St 146) ma anche in due copie della partitura, piuttosto tardive (BB/SPK P 252 e 253, contenenti anche BWV 1041), si presenta nel primo movimento con la costante proposta alternativa di tutti e solo con le tipiche progressioni «a terrazza» e i giochi di forte e piano. Ma molto marcata ed evidente risulta la condotta tematica, sviluppata in misura notevolmente più ampia di quanto figuri nei « modelli» vivaldiani, mentre anche lo spazio concesso al solista è in proporzioni superiori alla norma. Da notare la breve cadenza (Adagio) affidata al solista prima degli interventi conclusivi. Il secondo movimento è un Adagio (« sempre piano ») con struttura a dialogo: un disegno ostinato del ripieno, cui si contrappone l’intensa e costante cantabilità del violino solista (con l'eccezione delle due frasi di apertura e chiusura). Se il discorso proposto in questa pagina è palpitante e commovente, per contro il breve Allegro conclusivo sfrutta l'elemento ritmico-dinamico, con movenze che arieggiano anche lo stile di danza: la simmetria della pagina è perfetta. 593
Köthen (1717-1723)
È manifestamente certo che questa coppia regina di concerti era accompagnata da altre opere concepite per uno, due o tre violini. Lo stanno a dimostrare gli adattamenti per uno, due o tre cembali (sempre col gruppo degli archi e il continuo) effettuati da Bach durante gli anni di Lipsia, al tempo in cui egli era direttore del locale Collegium musicum. Dei sette superstiti concerti per cembalo, archi e continuo, quattro sono sicuramente trascrizioni di concerti violinistici :
BWV 1058 e 1054 sono trascrizioni, con diverso impianto tonale, dei due originali violinistici già considerati, BWV 1041 e 1042; a questi occorre aggiungere i concerti BWV 1052 (re minore) e 1056 (originalmente in sol minore), il primo dei quali fu utilizzato nelle cantate BWV 146 (i primi due movimenti) e 188 (il terzo tempo). Dei tre rimanenti concerti cembalistici, uno
(BWV
1053) è trascri-
zione da un concerto concepito forse per oboe o per flauto traverso e utilizzato in due cantate (BWV 169 e 49), un altro (BWV 1055) era stato scritto originariamente per oboe d'amore, il terzo infine (BWV 1057) è l’adattamento del Quarto Concerto Brandeburghese.
Di queste trascrizioni e dei problemi connessi ci occuperemo quando si dovrà esaminare l'attività di Bach presso il Collegium musicum di Lipsia.
Nell'ambito del genere del «doppio concerto», scritto per una coppia di strumenti uguali o diversi, si contano quattro opere, e in
due casi si tratta di repliche. Una sola di queste opere & pervenuta nella sua veste originale: il Concerto in re minore per due violini (BWV
1043); le parti autografe di questo concerto
(BB St 148)
sono andate perdute nel corso del conflitto mondiale. Allo slancio ritmico dei due movimenti estremi, nei quali il tematismo & netto e fortemente caratterizzato, si contrappone la stupenda natura lirica, cantabile, del tempo centrale in 12/8, con un andamento tipicamente di siciliana. In tutti i movimenti i due violini « concertati» (questa e la dizione usata da Bach) agiscono su un piano di parità assoluta, scambiandosi trame melodiche e contrappuntistiche con indefettibile regolarità. Di questo concerto esiste una trascrizione per due cembali (BWV 1062). Le due ultime opere concorrenti a formare il quartetto dei «doppi concerti» sono quelle indicate rispettivamente con i numeri di catalogo BWV 1060a e 1060, quest'ultimo trascrizione per due cembali di un concerto, il BW V 1060a appunto, che era stato realizzato
originariamente forse per violino e oboe. Anche di queste opere ci occuperemo in seguito, cosí come s'impone il rinvio della discussione su un concerto per tre violini a noi pervenuto nella veste per tre
cembali (BWV 1064). 594
Köthen (1717-1723)
La situazione, pertanto, puó essere cosí riassunta: Concerti originali
Trascrizioni per cembalo
1. per violino
BWV 1041
la min.
BWV 1058
sol min.
24
BWV
mi magg.
BWV
1054
re magg.
>
=
(re min.)
BWV
1052
re min.
(sol min.)
BWV 1056
fa min.
4.
1042
[BWV 1056a]
5. per oboe (o flauto)
—
—
BWV 1053
mi magg.
6. per oboe d'amore
—
_
BWV 1055
la magg.
7. per 2 violini
BWV 1043
re min.
BWV 1062 (2 cembali)
do min.
8. per violino e oboe
[BWV 1060a]
(do min.)
BWV 1060 (2 cembali)
do min.
9. per 3 violini
—
(re magg.)
| BWV 1064 (3 cembali)
do magg.
Unendo a questo gruppo i Brandeburghesi si raggiunge la cifra totale di 15 concerti, dei quali solo 9 sono pervenuti nella veste originale: se si considera che tale produzione deve essersi sviluppata nell'arco di una decina d'anni (è possibile, anzi probabile, che a Weimar accanto
ai concerti trascritti per solo cembalo od organo da opere di altri autori Bach abbia realizzato anche concerti propri col consueto accompagnamento di archi e continuo), & facile giungere alla conclusione che molte delle composizioni iscritte nel genere del concerto devono essere andate perdute.
44. Le ouvertures (BWV 1066-1069). BIBLIOGRAFIA John Alexander FurreR-MarrLAND, The suites of Bach, Oxford University Press, London 1924; Hans Voet, Zwischen Pathos und Badinerie. Gedanken und Erfahrungen über Bachs Orchestersuiten, in « Musica» IV (1950), pp. 256-260; Walther Verter, Die Trompeten in Bachs dritter Orchesterouvertüre, in BJ XL (1953), pp. 97-107; Martin Bernstein, Die Chronologie der Orchestersuiten, in 595
Sesi rg
Köthen (1717-1723) «International Musicological Society, Report of the Eighth Congres New York 1961 », Bärenreiter, Kassel-Basel-London-New York, vol. II, pp. 127-131
(anche in J. S. Bach, a cura di Walter BLANKENBURG, Wissenschaftliche Buch-
gesellschaft, Darmstadt 1970, pp. 416-418); Constantin Froros, Die Thematik (= Studien zur Musikin J. S. Bachs Orchestersuiten, in Festschrift für Erich Schenk wissenschaft, Beihefte der Denkmäler der Tonkunst in Österreich, 25), Böhlau, Graz 1962, pp. 193-204; Karol Hrawıczka, Die Herkunft der Polonaise-Melodie aus der Ouvertüre h-Moll (BWV 1067), in BJ LII (1966), pp. 99-101; Henry SCHMIDT, Bach’s C major Orchestral Suite: a New Look at Possible Origins, in «Music & Letters» LVII (1976), pp. 152-163; John O'Dowwzu, The French style and overtures of Bach, in « Early Music » VII (1979), pp. 190-196 e 336-345. NBA/KB, VII/1 (Heinrich Besserer - Hans Grüss, 1967).
Per il Collegium musicum di Köthen Bach scrisse anche un numero imprecisato di ouvertures o suites, composizioni che più dei concerti dovevano servire al trattenimento del principe e della sua corte. Le opere di questo genere a noi note sono quattro (BWV 1066-1069); una quinta composizione, l'Ouverture in sol minore (BWV 1070) è sicuramente opera spuria, probabilmente frutto di scuola bachiana e forse attribuibile al figlio Wilhelm Friedemann, mentre un'altra ouverture, in mi minore, appartenente alla collezione di Hans Georg Nigeli ?,
potrebbe essere assegnata al cugino Johann Bernhard [36]. Anche sull'autenticità della prima delle suites bachiane (BWV 1066) si & avanzato qualche dubbio (Martin Bernstein), proponendo in alternativa il nome di Johann Friedrich Fasch che al genere si dedicó con notevole fervore (sarebbero una settantina le ouvertures di sua produzione); ma il tentativo di esautoramento non pare aver sortito effetti concreti, ché lo stile dell'opera & inconfondibilmente bachiano.
Sulla datazione delle quattro ouvertures non si posseggono elementi certi. Parrebbe alquanto probabile la collocazione della Prima all'inizio del soggiorno di Köthen e della Seconda e Terza negli ultimi due anni, mentre l’ultima sarebbe pervenuta in una nuova versione allestita durante i primi momenti della permanenza a Lipsia, intorno al 17241725. In pratica si sono fatte queste date: I — c. 1718; II— c. 1721;
III — c. 1722; IV — c. 1723. L'incertezza cronologica —
che coin-
volge, naturalmente, la stessa successione di composizione delle singole opere — è determinata dalla mancanza di fonti autografe, con le sole eccezioni di alcune parti separate (quelle del flauto traverso e del violino I della Seconda Suite — BB St 154 —, che Dadelsen assegnerebbe agli anni compresi tra il 1735 e il 1739, e delle parti di violino I e continuo, ma solo per ciò che riguarda la bourrée e la gigue, della Terza Suite, BB St 153). Parte del materiale di esecuzione superstite risalirebbe 596
Köthen (1717-1723)
agli anni intorno al 1730, all'epoca in cui Bach era maggiormente impegnato come director musices del Collegium musicum di Lipsia. Recentemente, una nuova proposta di datazione della Prima Ouverture — è doveroso segnalarlo — è venuta da parte di Henry Schmidt: «non prima del 1725» è la nuova ipotesi cronologica avanzata sulla base della constatazione che l’intera composizione sarebbe concepita — e il fatto è particolarmente evidente nei due minuetti che figurano al centro della suite — sulla falsariga del corale Dir, dir, Jehovah, will ich singen (BWV 299), n. 39 del Klavierbiichlein per Anna Magdalena del 1725. A detta dello Schmidt, che è propenso a collocare l’opera intorno al 1729, questa Prima Suite sarebbe improntata, nella sua totalità, a quella melodia, sicché ci si troverebbe di fronte ad un
particolare tipo di tecnica della variazione, nella quale più dell’affermazione di un tema dai connotati precisi che dovrebbe servire da stimolo per una serie di variazioni, varrebbe il principio di certe « costanti » melodiche che avrebbero servito da modello all'invenzione dei motivi o temi sui quali ogni tempo della suife è costruito. La teoria di Schmidt sembra un poco forzata là ove si sostiene la derivazione di quei motivi dalla matrice di un corale, da un ben individuato prototipo liturgico, mentre è sicuramente attendibile nella localizzazione di una precisa tecnica compositiva che ridurrebbe i vari movimenti ad un principio « unitario ». Piá semplicemente e probabilmente l’affinità con il citato corale è del tutto casuale: una coincidenza,
insomma, che nulla prova — e quindi non vale neppure come testimonianza di fatto d’una priorità cronologica — anche perché non si vedrebbe la ragione d’un processo compositivo cosi impegnato sotto il profilo tematico per una serie di danze che non aveva altro fine se non quello di ornare una manifestazione di corte. Le parti esistenti per le varie suites testimoniano spesso la presenza di due versioni, una destinata all'orchestra di corte di Kóthen e l'altra realizzata per il gruppo strumentale di Lipsia, di più ampie dimensioni;
l’individuazione di una « versione originale », tuttavia, è impossibile sul piano pratico. I numerosi interventi a matita sulle varie parti indicherebbero, inoltre, che le opere furono eseguite più volte, pro-
babilmente sotto la guida di Bach. Dimenticate dopo la morte del loro autore, le ouvertures furono risuscitate alla vita per iniziativa di Mendelssohn (che diresse la Terza Suite al Gewandhaus di Lipsia il 15 febbraio 1838 e che già in precedenza, nel 1830, aveva suonato
la medesima opera al pianoforte per Goethe) e di Siegfried Wilhelm Dehn, il quale pubblicò le prime tre presso l'editore Peters di Lipsia nel 1853-54. Il riconoscimento per la Quarta Suite avvenne pit tardi:
l'opera fu edita, sempre da Peters, e per cura di Ferdinand August
Roitzsch, nel 1881; per lungo tempo si erano nutriti forti dubbi sulla 597
Köthen (1717-1723)
sua autenticitä, sino al momento in cui lo Spitta non individuö l'auto-
grafo — correva il 1873 — della Cantata BWV 110 ilcui coro intro- | duttivo & basato sul brano di apertura di quella suite.
Il termine col quale le quattro composizioni sono indicate nelle fonti dell'epoca — copie in partitura o in parti separate — & quello di ouverture, che & anche il termine col quale si designa il brano di apertura di ciascuna opera. L’accezione suite, quantunque non errata,
di indicare le pare più impropria in quanto meno frequente nell'uso composizioni a più strumenti. Nelle opere orchestrali prevaleva il criterio di designare la parte per il tutto, di indicare quindi con il termine
ouverture non
solo il brano introduttivo,
ma
l’intera serie
dei brani, la suite di danze appunto, che seguiva all’ouverture vera e propria, salvo a completare poi l’intitolazione con espressioni quali « Allemanden, Couranten, Sarabanden, Gavotten, Giguen » ecc..
A provocare la fioritura in terra tedesca di questo genere di composizioni era stata l’immissione massiccia delle maniere francesi in tutta
la cultura germanica: ogni corte, grande o piccola che fosse, voleva dimostrare in qualche modo di volersi rispecchiare nel fastoso modello francese di Versailles. Ai musicisti tedeschi e a quelli che le corti tedesche avevano chiamato dalla Francia era fatto obbligo, come un onere professionale, di adeguarsi ai modelli strumentali che erano stati forniti da Lully; lo imponeva la moda, e lo spirito della danza, che di quella
moda era il riflesso più immediato e spontaneo, era divenuto un punto obbligato del discorso musicale, tanto da « contaminare » anche l’incipiente forma del concerto e indurre poi Bach a creare col Primo dei Concerti Brandeburghesi una «ingeniosa mescolanza», uno «stile mischiato », come avrebbe potuto dire Georg Muffat che del goüt francese era stato conoscitore profondo; le giubilanti manifestazioni della suite francese e la galanteria in essa più che latente avevano affascinato ogni tedesco e non è certo contro voglia che Bach affrontò l'argomento e lo sviluppò sino al punto di elevarsi al di sopra di ogni esempio passato, presente e futuro. Prevalentemente concepita come autentica Hofmusik, l’ouverture orchestrale — che Spitta mosso da non sospetta precisione preferiva indicare con il termine Orchester-Partien, spesso usato nei componimenti
dell’epoca intorno al 1700 — si prestava splendidamente a sostenere la funzione del maestro di cerimonie, del banditore e camerlengo in occasione di banchetti, festini, parate di corte, manifestando in ciò il suo non dimenticato ruolo di « pezzo per l'apertura del teatro »; non a caso molte delle edizioni di quell’epoca recano per simili composizioni la dizione di « ouvertures de theatre», anche se poi nella realtà
dovevano prestarsi all'inaugurazione di manifestazioni di corte di svariato genere e condotte con pompa diversamente ornata. 598
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L'epoca non era stata avara di esempi. Sarà sufficiente osservare quanto era accaduto nella non lontana Lipsia nel mezzo secolo che aveva preceduto l'ingresso di Bach alla corte di Köthen *. A Lipsia -lo Stadtmusikus Johann Pezel aveva pubblicato (1669) una raccolta di Musica Vespertina Lipsiaca oder Leipzigische Abend Music bestehend in Sonaten, Präludien, Allemanden, Couranten, Balletten, Sarabanden, Allebreven, Intraden, Capriccien, Bransles, Gayen, Amenern, Gavotten, Monti-
raden, Doblen, Giquen ecc. da eseguirsi con 1-5 voci (l'organico strumentale constava di 2 violini, 2 viole, fagotto o violone e continuo);
l'opera si componeva di 12 suites costituite da brani in quantità variabile (da 5 a 9) per un totale di 100 pezzi. Il gusto francese imperava in
questi esempi e sarà riconfermato in altre raccolte di Pezel (Musicalische Gemüths- Ergetzung, 90 pezzi in 10 suites, 1672; Deliciae musicales, 63 pezzi in 7 suites, edita a Francoforte nel 1678). Un altro musicista, questi dilettante ché egli esercitava la professione di medico a Dresda, Johann Caspar Horn, già nel 1664 aveva dato alle stampe, sempre a Lipsia, la prima di cinque parti di un Parergon musicum. (l'ultima uscirà nel 1675) consistente in balletti e in svariate danze. E Georg Bleyer, uno dei candidati al posto di Thomaskantor dopo la morte di Knüpfer, nel 1670 pubblica in due parti una Lust-Musik, nach ietziger Frantzösischer Manier gesetzet, bestehend von unterschiedlichen Airn, Bourreen, Gavotten, Gagliarden, Giquen, Chansons, Allemanden, Sarrabanden, Couranden & c. à 4. und mit dem Fagotto bis 5. Stimmen.
Anche chi era impegnato nell’austera professione del Thomaskantor non rinunciava all’applicazione di quella musica di trattenimento:
Sebastian Knüpfer, Johann Schelle, Johann Kuhnau — i tre immediati predecessori di Bach in quel posto — furono solerti partecipi del movimento che aveva fatto della danza stilizzata un momento di primaria importanza del consumo musicale e che tutti i musicisti attivi a Lipsia (si pensi ancora al giovane Johann Rosenmüller, a Johann Theile, a Werner Fabricius, ad esempio) frequentavano con un gusto pari alla facile popolarità che ad essi ne derivava. L'arte della danza, proprio a Lipsia, trovava in quegli anni di trapasso dal-
l'uno all'altro secolo una considerazione schietta e rispettosa; alcuni maestri di danza seppero acquisire una posizione di primo piano nella vita culturale della città e affrontarono i problemi della danza su un piano teorico solido e vivificante; cosí, Johann Pasch di Dresda,
autore di una Apologia wahrer Tantz-Kunst (1690); cosi, Samuel Ru-
dolf Behr, di cui & purtroppo perduta la Anleitung zu einer wohlgegründeten Tanzkunst (pubblicata in due parti nel 1702 e 1703); cosí, infine, Gottfried Taubert, cui si deve il prestigioso Rechtschaffener Tantzmeister oder gründliche Erklärung der Frantzösischen Tantz-Kunst
(1717).
599
Köthen (1717-1723)
La tradizione formatasi a Lipsia lasciö profonde tracce in tutti gli ambienti e la fioritura dei Collegia musica, come vedremo, rafforzò il principio di queste pagine scritte per i caffé, igiardini, i saloni di rappresentanza, le parate e le manifestazioni di ogni genere: una
musica gaia, talvolta sentimentale e patetica, fatta per intrattenere un vasto pubblico; una Lust-Musik, appunto, una musica piacevole, una musica per il piacere. E non dovrà meravigliare, allora, che persino
negli archivi della Thomasschule Hugo Riemann abbia potuto ritrovare una raccolta di parti manoscritte di ouvertures: 6 opera di Christoph Fórster, 10 di Johann Friedrich Fasch, 3 di Johann Nikolaus Tischer,
2 di Johann Adolph Hasse, 1 di Johann Schneider, 1 di Johann Carl Wiedner, 1 di un Fuchs che potrebbe essere Johann Joseph Fux *. È da quella tradizione che Bach attinse per realizzare quanto occorreva al Collegium musicum di Kóthen, anche se non si puó dimenticare l'apporto, l'indiretto suggerimento del cugino Johann Bernhard [36], autore di quattro suites orchestrali, per tre delle quali (in sol minore,
sol maggiore e re maggiore) Johann Sebastian copió le parti. A differenza di altre opere strumentali, le quattro ouvertures non sono organizzate in un ciclo, né a quanto pare Bach aveva intenzione
di disporre la materia in modo sistematico. La sicura perdita di altri lavori e insieme la considerazione che i manoscritti del tempo non riuniscono insieme le quattro composizioni (solo nel manoscritto dell’Anonimo 13 proveniente dalla Amalienbibliothek n. 52 si trovano una di seguito all'altra le prime tre suites) sono fatti che attesterebbero la mancanza di una unitarietà di intenti. Le copie predisposte, intorno al 1753, da Christian Friedrich Penzel per le ouvertures nn. 2-4 e per
la spuria ouverture BWV 1070 sono copie isolate, collocate in quattro distinti fascicoli: per BWV 1067 e 1068 si tratta di partitura (= BB] SPK P 1065; BB/SPK P 1055) e di parti separate (— BB/SPK St 639;
BB/SPK St 636); per BWV 1069 e 1070 solo di parti separate (= BB/ SPK St 160; BB/SPK St 161).
Nulla di organico, dunque, nulla che ci possa ricondurre ad una sequenza ragionata di fatti e proposte musicali. E, tuttavia, c'è qualcosa dell'idea che aveva guidato il compositore ad organizzare in ciclo «coerente» il gruppo dei concerts avec plusieurs instruments, c'è un tracciato obbligato, segnato in superficie ma nettamente, che sembra suggerire l'aggancio ad una astratta concezione della forma e del genere e che, al tempo stesso, da un lato afferma il principio della ricerca di un campionario di varianti e dall’altro lato qualifica in maniera inconfondibile le singole opere e dà loro una fisionomia propria e individuale: non si tratta, insomma,
di un unico calco applicato
a quattro diverse composizioni, bensi di quattro distinte applicazioni del principio, fatti salvi alcuni elementi di coesione e di richiamo. 600
£zei ‘
Köthen (1717-1723)
Parrà strano che fra questi elementi figuri un’omissione, non certamente casuale: l'assenza preordinata dell'allemanda, vale a dire della danza tedesca per eccellenza, & un segno indiretto di un « programma » musicale tutto di gusto francese. Questo & abbondantemente affermato nei quattro movimenti di apertura, nelle ouvertures in senso stretto,
elaborate secondo la tipica struttura, che & ternaria per quanto riguarda l'articolazione dinamica e le proposte tematiche: grave (A) - allegro (B) - grave (A°) e binaria per quanto riguarda l’effettiva successione degli episodi, dal momento che il primo grave deve essere subito ripetuto e poi seguito dai due successivi episodi (allegro e grave) per i quali è prescritta la ripetizione (generalmente ignorata nelle esecuzioni pratiche del nostro tempo). La forma, in altri termini, può essere sintetizzata nella seguente formula: AA/BA'BA' (variante preziosa del semplicistico ABA’). Le ouvertures in senso stretto sono condotte in stile «sublime », con aulica pompa e incedere solenne, ma la tentazione per una parata
musicale di gusto esteriore e decorativa è temperata dall’inserimento di episodi concertanti all'interno della sezione «fugata» per la cui realizzazione Bach prescrive organici diversi, secondo un piano variato,
che esclude repliche e ricalchi. Cost, gli interventi concertanti nella Prima Ouverture sono affidati a un trio di 2 oboi e fagotto (batt. 27-31 e 54-66); nella Seconda, a più riprese, ad un flauto traverso; nella Terza a 2 violini e viola (batt. 42-57 e 71-76); nella Quarta dapprima a 3 oboi
e fagotto (batt. 48-66), poi a 2 violini e viola (batt. 128-146) e in entrambi i casi, si noti, vi è assoluta parità di lunghezza (18 misure). I movimenti estremi —
in tempo grave —
hanno ritmi puntati
alla francese, come si conviene al vero stile lulliano, volatine, orna-
menti, sincopi, notes inégales che richiedono una divisione del tempo che si discosta da quella realmente scritta. Il metro in 4/4 è costante in tutti gli episodi in grave e nelle due prime ouvertures è confermato anche negli episodi in allegro, mentre questi ultimi sono nella Terza in 2 e nella Quarta in 9/8. All’indeterminatezza tematica degli episodi
lenti si contrappone la chiarezza e caratterizzazione degli incipit dei fugati, sui quali si sviluppa poi un ampio discorso che tempera la
condotta imitativa con una congrua reductio negli episodi concertanti. Il numero delle parti strumentali e la scelta stessa degli organici variano di volta in volta. La Prima Ouverture è a 7 parti, la Seconda a 5, la Terza a 10, la Quarta a 12; ma solo nel caso della Seconda
(BWV 1067) l'organico è mantenuto compatto nel corso dell'intera suite (con la particolare eccezione del double della polonaise), concedendo però ad uno strumento solista — il flauto traverso — un ruolo preminente; si dovrà sottolineare, ad ogni modo, che codesta compattezza allinea la composizione alle più correnti ouvertures del tempo 601
Köthen (1717-1723)
dsa
in misura maggiore di quanto non accada nelle altre tre composizioni
bachiane. Nelle restanti ouvertures, la diminutio dell'impianto strumentale & regola costante. Cosí, nella BW'V 1066 tutte le danze sono a 3 o0 a 4 parti e nella BWV
1068 a 4, 8 o 9; nella BWV
1069, invece,
si hanno tre brani eccezionalmente a 12 parti; contro altri tre rispettivamente
a 6, 8 e 4 parti.
Ecco
un
quadro
completo
della
situazione: N.
Movimenti
Parti
Organico
BWV
1066 Ouverture in do maggiore, a 7
1:
Ouverture
"
ob. I / ob. IL / fag. / vl. I / vl. II / vla / cont., cemb.
2:
Courante
4
ob. I e II, vl. I / vl. Il / vla / fag., cont., cemb.
3:
Gavotte I alternativement
4
id.
4.
Gavotte II alternativement
4
ob. I / ob. IL / vl. I e II, vla / fag., cont., cemb.
5.
Forlane
4
ob. I e II, vl. I / vl. I1 / vla / fag., cont., cemb.
6.
Menuet I alternativement
4
id.
1%
Menuet II
4
vl.
I/ vl. I1 / vla / cont., cemb.
8.
Bourrée I alternativement
4
ob. I e II, vl. I / vl. II / vla / fag., cont., cemb.
9:
Bourrée II
3
ob. I / ob. II / fag.
10.
Passepied I alternativement
4
ob. I e II, vl. I / vl. II / vla / fag., cont., cemb.
a
Passepied II
3
ob. ILe II / vl. I e II, vla / fag., cont., cemb.
BWV
1067 Ouverture in si minore, a 5
ils
Ouverture
5
fl. trav. / vl. I/ vl. I / vla / cont.
Zi
Rondeau
5
id.
3i
Sarabande
5
id.
4.
Bourrée I alternativement
5
id.
5,
Bourrée II (doucement)
5
id
6.
Polonaise (lentement)
5
id.
7:
Double
2
fl. trav. / cont.
8.
Menuet
5
fl. trav. / vl. E / vl. I1 / vla / cont.
9:
Badinerie
5
id.
602
Köthen (1717-1723) N.
Movimenti
BWV
Parti
Organico
1068 Ouverture in re maggiore, a
d.
Ouverture
2.
Air
4
B.
Gavotte I alternativement
8
10
10
tr. I / tr. I / tr. II / timp. / ob. I / ob. II / vl. I / vl. II / vla / cont.
vl. I / vl. II / vla / cont.
tr. I / tr. IL / tr. II / timp. / ob. I e II, vl. I / vla / cont.
4.
Gavotte II
9
tr. I / tr. IL / tr. HT / ob. I/ ob. IL/ vl. 1/ vl. IE / vla / cont.
B.
Bourrée
8
tr. E / tr. IE / tr. HL / timp. / ob. Ie II, vl. I / vl. II / vla / cont.
6.
Gigue
8
id.
BWYV 1069 Ouverture in re maggiore, a
12
i.
Ouverture
12
te. T / tr. U / till / timp- jrob. I ]-obz Ir} ob. III / fag. / vl. I / vl. II / vla / vcl., violone,
p.
Bourrée I alternativement
12
id.
5.
Bourrée II
cont.
ob. I / ob. II / ob. II / fag. / vl. I e II, vla /
6
vcl., violone, cont.
4.
Gavotte
5.
Menuet
come il n. 1
12 I alternativement
ob. I / ob. II / ob. III / fag. / vl. I/ vl. IE /
8
vla / vcl., violone, cont.
6.
Menuet II
J.
Réjouissance
vl. I / vl. II / vla / vdl., violone, cont.
4
12
come il n. 1
Delle quattro danze fondamentali che compongono generalmente una suite —
allemanda, corrente, sarabanda, giga — la prima, come
si & visto, & del tutto assente dal panorama tracciato da Bach in queste ouvertures, mentre alle tre restanti & riservata un'unica presenza in tre distinte suites (le prime tre, nell'ordine sopra enunciato). Privilegiata fra tutte è la bourrée, che compare in ognuna delle quattro ouvertures, mentre la gavotte è inserita nelle suites n. 1, 3 e 4 e il menuet nelle
suites n. 1, 2 e 4. Tutte le rimanenti danze (e si tratta di 9 brani più il double della polonaise per la Seconda Suite) godono di un'unica citazione. In questo ultimo gruppo spiccano per il loro poco frequente :
N
'
603
.
9
^
Köthen (1717-1723) ©
impiego tre danze in tempo veloce: una ‚forlane (danza in 6/4, di
origine friulana, simile alla giga, che in Francia aveva ottenuto un discreto successo, specie negli opéra-ballets di Campra), una badinerie (in 2/4, a carattere scherzoso) e una rejouissance (in 3/4) che in realtà non é una vera e propria danza, ma
una stilizzazione ritmica per
chiudere con gioia la composizione. Le maniere francesi si manifestano brillantemente anche in due altri brani che propriamente non rientrano nel novero delle danze stilizzate: il rondeau della Seconda Suite e l'air della Terza; tali pagine, comunque, risultano realizzate a tempo di danza, ben marcato e vigoroso nel primo caso, lento e cantabile nel secondo. Una copia manoscritta (partitura e parti separate — BB/SPK P 1055 e BB/SPK St 636), dovuta a Christian Friedrich Penzel, riporta l'ouverture e l'air della Terza Suite in una versione con violino concertante, ma è difficile
dire sino a qual punto una simile variante strumentale sia creazione
di Bach o risponda ad una primitiva versione dell'opera. Non si può fare a meno di constatare, tuttavia, l'analogia esistente fra questa versione e la famosissima «interpretazione» di quell'air da parte di un virtuoso qual-era August Wilhelmj, cui si deve la pubblicazione (1871) di quella pagina in una versione «sulla quarta corda» con accompagnamento di pianoforte o archi. Per danze quali la gavotte, il menuet, il passepied, la bourrée (ma
non nel caso della Terza Suite) Bach ricorre, in omaggio alla tradizione, all'accoppiamento, con modifica del tema (non si tratta cioè di doubles) e quasi sempre anche dell'organico strumentale; & la prassi cosiddetta alternativement, che consiste nel riproporre, dopo l'intera esposizione della prima e della seconda danza entrambe in forma bipartita e con il segno di ripetizione, nuovamente la prima danza ma questa
volta senza le ripetizioni di rito; ne risulta una formula di questo
tipo: AA/A'A' || BB/B'B' || AA”. Lo spirito popolare che in qualche
modo
aleggia sulla serie delle danze —
in antitesi con la solenne,
severa e aristocratica ouverture alla francese — riacquista cosí, attraverso
un
artificioso processo
di alternanze,
una
dimensione
accademica,
rituale, manierata, quale appunto conveniva ad una Hofmusik o ad una musica di cerimonia o da concerto. La serie delle danze, di qualunque tipo si tratti, dà luogo a sfolgoranti esibizioni di preziosismi ritmici e timbrici, spesso imprevedibili e d'una eleganza ineguagliabile; cosí, anche nelle piá convenzionali manifestazioni della « musica di consumo » dei suoi tempi, Bach sa
imprimere una svolta al discorso stereotipato delle «figure ». Se nella Suite BWV 1067 l'immissione del flauto solista modifica il tessuto
costruttivo in senso virtuosistico e quasi funambolico per la velocità i base impressa a talune pagine, nelle altre suites sono le infinite 604
Köthen (1717-1723)
invenzioni timbriche, i continui spostamenti dell’asse tematico (spesso in «cori» contrapposti, disposti per famiglie, trombe e timpani da un lato, legni da un altro, archi da un altro ancora) a rendere vivo il discorso. E una stupefacente manifestazione di genialità l’ampia e voluttuosa melodia dell'air nella Suite BWV 1068; ma non è di minor rilievo la « fanfara » delicatissima che, a mo’ di corale, viene affidata
agli archi in opposizione alla melodia degli oboi (a distanza d’una terza) nella gavotte II di BWV 1066 o, sempre in questa Prima Suite, il dolce menuet II, o ancora la bourrée II, un trio in do minore, unico
esempio, fra tutte e quattro le suites, di deviazione dall’impianto tonale di base. Superlative sono le invenzioni nella bourrée II della Suite BWV
1069, con la splendida filigrana del breve disegno ripetitivo
affidato agli archi, la figurazione « ostinata » del fagotto e la condotta omofona spezzata del trio d’oboi. E il double della polonaise di BWV 1067 stupisce per l’arditezza del principio: alla compatta impalcatura a cinque si sostituisce l’esile e arabescata variazione affidata al flauto solista, sostenuto
semplicemente
dal continuo
che propone
il tema
della polonaise. Ouvertures e suites di danze furono campi che Bach negli anni di Kóthen sembrò prediligere in virtá anche delle sollecitazioni promosse da un ambiente di corte che voleva essere «alla moda», conforme
ai modelli della moderna Hofmusik. Ciò che era stata un'eccezione a Weimar (si ricordi l’uso dell’ouverture nelle Cantate BWV 61 e 152),
a Kóthen si cristallizza in parametro fisso, in comportamento abituale sicché le caratteristiche di stile e di forma proprie di quel goüt vengono innestate anche su altre strutture, quali il concerto, la cantata (si pensi ai tempi di danza applicati alle arie di Durchlauchster Leopold BWV 173a), la musica da camera solistica e d'insieme. La tendenza troverà ancora una rilevante applicazione nei primi momenti del nuovo impiego a Lipsia, per sfumare a poco a poco e poi scomparire col | progressivo allontanamento di Bach dalle esperienze contemporanee. Anche quello sarà un modo per decretare, in anticipo sui tempi, la fine di un'era, lo scioglimento da secolari sudditanze.
605
CAPITOLO
QUARTO
Sonate, suites e partite per strumenti vari
BIBLIOGRAFIA
GENERALE
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EPPsTEIN, Studien über J. S. Bachs Sonaten für Cembalo (= Acta Universitatis Upsaliensis, Nova Series II) Almquist & Wiksells, Uppsala Sonatenschaffen, in BJ LV (1969), pp. 5-30;
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606
Köthen (1717-1723)
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NBA/KB, VI/1 (Günter HAusswArp - Rudolf GerBER, + 1958).
A. Senza accompagnamento
(BWV 1001-1006).
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Georges KULENKAMPFF,
Bachs
Chaconne für Violine allein. Einiges über Interpretationsfragen, in « Schweizerische Musikzeitung» LXXXXIX (1949), pp. 457-469; Homer UrnicH, The Nationality of Bach’s Solo-Violin Partitas, in «Journal of the American Musicological Society » III (1950), pp. 155-156 (ampl. in Paul A. Pisk Essays in ‚His Honor, a cura di John Growackı, College of Fine Arts, The University of Texas, Austin 1966, pp. 96-102); Rolph Scunozpzn, Über das Problem des mehrstimmigen Spiels in J. S. Bachs Violinsolosonaten, in Bach-Probleme. Festschrift zur Deutschen Bach-Feier Leipzig 1950, a cura di Hans-Heinz DrAEGER e Karl LAux, C. F. Peters, Leipzig 1950, pp. 74-80; Emil TELMANYI, Lösung der Probleme der Solo-Violinwerke von Bach, in « Schweizerische Musikzeitung » XCV (1955), pp. 430-434; In., Some problems in Bach's unaccompanied violin music, in « The
Musical Times » XCIV (1955), pp. 14-18; Günter HAUSSWALD, Zur Stilistik von
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schaft» XIV (1957), pp. 304-323; Eduard Mzrkus, Zur Frage des Bachbogens und der historisch getreuen Wiedergabe der Bach-Solosonaten, in « Neue Zeitschrift für Musik » CXXIII (1962), pp. 502-507; In., Zur Frage des Bachbogens, in « Musik im Unterricht » LIV (1963), pp. 38-44; Wladimir RaBey, Der Originaltext der Bachschen Soloviolinsonaten und-partiten (BWV 1001-1006) in seiner Bedeutung 607
Kóthen (1717-1723) für den ausführenden Musiker, in BJ L (1963-1964), pp. 23-46; Tossy SPIVAKOVSKY, Polyphony in Bachs Works for Solo Violin, in «The Music Review» XXVIII (1967), pp. 277-288; Georg Fzprm, Geschichte der Bearbeitungen von Bachs Chaconne, in Bach-Interpretationen, a cura di Martin GEck, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1969, pp. 168-189; Peter P. VARNAI, Ein unbekanntes Werk von Johann Paul von Westhoff, in «Die Musikforschung » XXIV (1971), pp. 282-286; Max Rosrar, Zur Interpretation der Violinsonaten J. S. Bachs, in
BJ LIX (1973), pp. 72-78.
Al violino, che il Kapellmeister trattò solisticamente durante gli anni di Kóthen in un numero imprecisabile di concerti (ma furono almeno sette le opere di questo genere) e in alcuni dei concerts avec plusieurs instruments (L, II, IV, V), sono destinate due fra le piá impor-
tanti raccolte strumentali bachiane: la serie delle Tre Sonate e Tre Partite per violino solo, senza accompagnamento
(BW'V 1001-1006), e
la serie delle Sei Sonate per violino e cembalo obbligato (BWV 1014-1019). E assioma critico inconfutabile che la prima di queste raccolte si collochi al vertice assoluto dei valori cui & pervenuta la letteratura violinistica di tutti i tempi. L'autografo & conservato (dal 1917) in BB/SPK
P 967 e reca, particolare interessante, l'indicazione
Louisa
Bach| Bückeburg| 1842. Christiane Louisa Bach (batt. Bückeburg, 26 settembre 1762 - 1° ottobre 1852) era la terzogenita di Johann Christoph Friedrich [70], Kammermusikus alla corte di Bückeburg sin dal 1750. Il prezioso manoscritto rimase in famiglia sino a metà Ottocento e solo dopo la morte di Louisa fu ceduto a qualche collezionista, per giungere infine nelle mani di Wilhelm
Rust, lo studioso bachiano,
negli ultimi anni della sua vita (Rust morí nel 1892); fu appunto nel 1917 che la biblioteca berlinese (allora Kónigliche Bibliothek) entró in possesso di quell'autografo insieme con l'intera biblioteca di Rust. La raccolta riscosse una certa fortuna nel corso del XVIII secolo,
come è dimostrato dai numerosi manoscritti che ce l'hanno tramandata: all'autografo, infatti, si devono aggiungere altre sei copie, una delle quali opera di Anna Magdalena (circa 1725-1735), in una «cartella» contenente anche le suites per violoncello solo (BB/SPK P 268) mentre un’altra copia è stata realizzata da un allievo di Bach, Johann Peter Kellner nel 1726 (ma si tratta d’una copia non completa inserita nel bel mezzo d'una grande raccolta di opere bachiane, per un totale di 396 pagine = BB/SPK P 804). A questi manoscritti se ne dovrà aggiungere un settimo (BB/SPK P 236) in cui le composizioni risultano trascritte per il violoncello
(una quinta sotto, dice
il manoscritto, ma in realtà alla duodecima inferiore). Se si considera il destino cui andó incontro la gran parte della produzione bachiana, si deve dire che la raccolta in questione godette d'una 608
cedi ^
Köthen (1717-1723)
attenzione privilegiata: la prima edizione & del 1802, per i tipi di N. Simrock a Bonn;
ma si deve ricordare che la fuga della So-
nata III (BWV 1005) era già stata pubblicata da Jean-Baptiste Cartier nella sua Art du violon (1798). E a proposito di edizioni converrà sottolineare che nelle pubblicazioni ottocentesche fu sempre usata, impropriamente,
la sola dizione di «sonate»
(cosí Ferdinand David
nella sua edizione presso Kistner di Lipsia nel 1843), oppure di sonates ou suites (Joseph Hellmesberger per Peters di Lipsia, 1865), mentre non mancano le qualificazioni di tali opere come studio (a partire dalla seconda edizione di Simrock, 1809), intendendo quelle pagine
come esercizi di tecnica superiore. Il titolo di Sonaten und Partiten, destinato poi a rimanere in tutte le catalogazioni delle opere bachiane, comparve solo nel 1908 nell'edizione curata da Joseph Joachim e Andreas Moser per Bote & Bock di Berlino. Un problema di non facile soluzione & quello relativo all'epoca in cui la raccolta fu effettivamente composta. L'autografo — il cui titolo completo suona: Sei Solo. | a | Violino | senza |Basso | accompagnato. Libro Primo. | da |Joh: Seb: Bach. | ao. 1720 — sembrerebbe indicare un anno
preciso; in realtà, si tratta soltanto del momento
in cui la raccolta fu predisposta, forse in vista di una possibile pubblicazione (l'espressione Libro Primo potrebbe costituire una buona indicazione in questo senso). Le singole sonate e partite possono essere state concepite, in parte, ancora
durante gli ultimi anni del
periodo di Weimar e magari utilizzate in un contesto ben diverso da quello che la pratica concertistica ci riserva al giorno d'oggi. Già il Forkel aveva fatto presente come al tempo di Bach si fosse soliti eseguire in chiesa, al momento del Communio, un concerto oppure un brano a Solo, affidato cioè ad un unico strumentista ?.
Si spiegherebbe chiaramente, in tal modo, perché il tema utilizzato nella fuga (secondo movimento) della Sonata III (BWV 1005) sia improntato a quello del corale Komm, heiliger Geist, Herre Gott. La tecnica altamente virtuosistica e «specializzata» che caratterizza le sei composizioni presuppone la presenza e la disponibilità di uno strumentista dalle straordinarie capacità esecutive. Ciò è tanto più evidente a mano a mano che si risale nel tempo: all'epoca di Bach tali opere dovevano essere accette a pochissime persone e alquanto problematica doveva risultare l’eventuale loro diffusione in edizioni commerciali. Quale nome si nasconde dietro le sonate e partite per violino solo? Non una risposta, ma un'ipotesi di risposta
si profila dietro quella domanda. Non si deve trascurare troppo il fatto che durante gli anni di Weimar Bach ebbe modo d'incontrare colui che per lungo tempo fu considerato il piá eminente dei violinisti tedeschi. A Johann Georg Pisendel — che ricevette composizioni 609
Köthen (1717-1723)
in omaggio o per lui espressamente «confezionate» da musicisti come Vivaldi, Albinoni, Telemann, Fasch, Graupner — Bach potrebbe
aver indirizzato la prima idea di quel suo ciclo violinistico. E se di Pisendel non si fosse trattato, allora converrebbe pensare al primo Kammermusikus di Kóthen, a quel Joseph Spiess che si vorrebbe essere stato anche il destinatario dei concerti per violino. E ancora: non si dovrà dimenticare che il violino fu il primo strumento « professionale » di Bach — durante i pochi mesi del 1703 trascorsi a Weimar — e che fu nel corso di quella sua prima esperienza di musico stipendiato che egli poté prender confidenza con un repertorio violinistico di particolare natura, privo totalmente di accompagnamento. Alla corte di Weimar aveva operato Johann Paul von Westhoff, che vi era ancora attivo nel momento in cui Bach aveva assunto quell'impiego; e Westhoff & l'autore di una Suite per violino solo (pubblicata sul parigino « Mercure Galant» del gennaio 1683 *) e di una raccolta di Sei Partite per violino solo che è recentemente venuta alla luce, per opera di Peter P. Várnai, nella Biblioteca Comunale di Szeged in Ungheria. Il ciclo (mancante di frontespizio) datato da Dresda il 6 luglio 1696, è dedicato alla regina di Sassonia Christine Eberhar-
dine di Brandeburgo-Bayreuth e si articola nelle seguenti tonalità: la minore - la maggiore - mi maggiore - do maggiore - re minore re maggiore. Ogni partita, intessuta di passaggi omofonici e polifonici, è costituita da quattro movimenti invariabilmente secondo la
successione allemande-courante-sarabande-gigue. In quel medesimo filone battuto da Westhoff si colloca anche l’opera di Johann Jakob Walther, il quale nel 1688 a Magonza pubblicò una raccolta (Hortus chelicus) contenente, fra l’altro, quattro serie di variazioni per violino solo. Lo stesso Pisendel è autore di una sonata (anteriore al 1716) per violino solo * e, a sostegno parziale dell'ipotesi sopra riferita — che i sei Solo bachiani fossero stati scritti per Pisendel — si deve rammentare che nella Landesbibliothek di Dresda si conservava un manoscritto (andato poi distrutto durante l’ultimo conflitto mondiale) nel quale erano contenute opere per violino solo di Angelo
Ragazzi, Nicola Matteis il Giovane, Francesco Geminiani, unitamente alle tre sonate e tre partite bachiane: tale manoscritto, con tutta
probabilità, era appartenuto a Pisendel. Infine, fra i possibili « destinatari » della raccolta bachiana si deve contare ancora Jean-Baptiste Volumier, il Konzertmeister della corte di Dresda.
Non si può escludere, tuttavia, che Bach avesse concepito tali
opere anche per uso personale. Va detto, comunque, che, assecondando un costume corrente, talune di quelle composizioni furono
trasformate, in tutto o in parte, in opere per altri strumenti. La Sonata II
(BWV 1003) fu elaborata come Sonata per cembalo (BWV 964) 610
,
Köthen (1717-1723)
modificando la tonalità da la minore a re minore: la trascrizione non è opera di Bach (il manoscritto che ce l'ha tramandata — BB/SPK P 218 — era stato copiato da Johann Christoph Altnickol ed era stato in possesso di uno degli ultimi allievi, Johann Gottfried Miithel); e la medesima cosa deve dirsi per il grave iniziale della Sonata III (BWV 1005) trasformato in Adagio per cembalo (BWV 968, contenuto nel citato manoscritto), con il consueto trasporto da do maggiore a sol maggiore. A operazioni di questo genere Bach era certa-
mente abituato, come ben dimostrano le trascrizioni-elaborazioni per solo cembalo da concerti e sonate a tre di altri autori, ma nei
casi in questione il lavoro di adattamento e trasferimento di quelle musiche dal violino alla tastiera è stato compiuto da altra mano, presumibilmente da Wilhelm Friedemann Bach *. Ben piá probante è il caso della Partita III (BWV 1006) che esiste anche in una versione autografa (già parte della collezione Martha Klinckerfuss,
Stoccarda-Sillenbuch
e ora
all'Accademia
di Musica
« Musashino » di Tokio), databile intorno al 1737, per uno strumento non specificato e nella tonalità originale di mi maggiore (BWV 1006a): la destinazione strumentale è stata indicata dagli studiosi ora (ormai prevalentemente) per liuto, ora per cembalo, ora persino per arpa, ora infine per uno strumento melodico (flauto o violino) e continuo. Il solo preludio della medesima Partita III è poi stato impiegato due volte in un adattamento per organo concertante, archi e continuo: una prima volta come sinfonia alla seconda parte della Cantata nuziale BWV 120a (Herr Gott, Beherrscher aller Dinge, del 1729) e una seconda volta come sinfonia d'apertura alla Cantata BWV
29 (Wir danken dir, Gott, wir danken dir, del 1731). Infine, si
deve segnalare che la fuga della Sonata I (BWV 1001) è stata oggetto di due diverse trascrizioni: una per liuto (BWV 1000), mantenendo l'originale tonalità di sol minore, e una — più tarda — per organo (BWV: 539), qui preceduta da un preludio manualiter e inscritta nella tonalità di re minore. Intorno al serrato nucleo delle sonate e partite la ricerca musicologica si è mossa sempre con estrema circospezione, quasi che l'altezza e l'apparente astrattezza di quelle opere — che la prassi esecutiva ormai frequenta abitualmente — costituissero una barriera di arduo superamento. I problemi interpretativi sono tali che non basta la capacità tecnica, la perizia per risolverli e piegarli alla giusta misura. Capola-
vori indiscussi di cui i piá grandi virtuosi, da David in poi, si sono im-
padroniti saggiando su quelli le proprie forze e confrontandosi l'un con l'altro, le pagine bachiane sono ancora sotto il segno dell'ambiguità. Non tanto per l'impulsiva vocazione, un tempo sentita da alcuni *, di fornirli
di un
«basso
d'accompagnamento » che, quantunque 611
Köthen (1717-1723)
non segnato, & stato almeno immaginato da molti e in un certo senso
«internamente» pensato da Bach lincerta realizzazione del tessuto quale molti interpreti sono indotti comitanti mediante arpeggi piü
medesimo, quanto contrappuntistico a sciogliere il nodo o meno spaziati e
piuttosto a cagione dei suoni forzature
per del consulla
pit acuta delle parti del discorso. La tecnica violinistica, in altre parole,
non parrebbe sufficiente per superare i gravosi ostacoli di quella superba scrittura se in suo aiuto non accorresse un mezzo meccanico — l’ar-
chetto — atto a risolvere con artificio il caso. Su questo punto, che è stato oggetto di appassionati rilievi, non spenderò altre parole, se non quelle necessarie per segnalare che l’uso di un archetto corto, ricurvo e convesso, in luogo di quello normale con il fascio di crini quasi parallelo alla bacchetta, sembrerebbe pit logico in opere in cui la simultaneità dei suoni è perseguita non di passaggio e in via eccezionale, ma con costante attenzione e con deliberato disegno
virtuosistico. E tuttavia, l'opinione ardentemente sostenuta da Schering e da Schweitzer, dell’esistenza di un archetto ricurvo « bachiano », è stata smentita da Boyden il quale ha negato che un simile archetto sia mai esistito ai tempi di Bach e trovi conferma in qualche testimonianza coeva, non potendosi riportare alle musiche bachiane l'archetto francese di cui parla Georg Muffat nel riferirsi alle banali musiche di danza in uso nelle feste d'Oltralpe. L'archetto cosiddetto « bachiano », insomma,
sarebbe una arbitraria invenzione
dei tempi
moderni, cui avrebbero prestato fede, nel tentativo di mostrare la validità di certi esperimenti
esecutivi,
alcuni violinisti della nostra
epoca, quali Emil Telmányi e Rolph Schróder.
Quello del mezzo meccanico di trasmissione del suono non & che uno dei tanti problemi che premono sul grande basamento delle sonate e partite. L'interpretazione di queste pagine — che sarebbe incosciente e sciocco considerare come fatti musicali puri e astratti, oggetti da contemplare e venerare senza trarne il suono — è più di tante altre condizionata da questioni di ritmo, di dinamica, di tempo,
di ornamentazione, diteggiatura, intonazione, legatura, colpi d’arco, di «scioglimento » delle polifonie, di forma infine. E dove vi è pro-
blema è facile che severità e austerità, sacralità persino, prevalgano sui reali contenuti musicali. Non per un esercizio cerebrale, non per una manifestazione di abilità strumentale e compositiva furono create queste pagine prive di quel basso che anche Tartini spesso scriveva solo «per cerimonia», per obbedire ad una convenzione pur desiderando che fossero eseguite senza di quello; il loro scopo era di rinchiudere in un unico vasum electionis due manifestazioni del gusto contemporaneo: la sonata da chiesa, severa e ornata di giuochi contrappuntistici, e la partita o suite di danze, spogliando il primo 612
Köthen (1717-1723)
attore — il violino — di tutti i comprimari e avviandolo al mono-
logo. Ció che nella prassi era concesso ad un gruppo di strumenti, qui
è riservato ad un solo strumento e, di conseguenza, a questo si affida una funzione riassuntiva e riepilogativa. È il tentativo, dunque, di attribuire alla sonata da chiesa e alla suite un’organizzazione musicale
particolare, fuori del comune, ma che Bach non creava ex novo, dal
momento che gli esempi di Biber, Westhoff, J. J. Walther, Pisendel (e magari quelli ancora più lontani nel tempo di un Biagio Marini) avevano già fornito la linfa vitale al filone della musica privata del sostegno del basso. All’origine di quegli esempi stava forse il desiderio di fare cose bizzarre, di soddisfare il capriccio che l'estetica del tempo vantava come una qualità dell'arte. Ma con Bach l'esperimento del bizzarro si trasforma in proposta geometrica, la licenza cede il passo all'ordine architettonico, e il principio che i predecessori avevano attuato seguendo le vie del più semplice e del meglio godibile — era pur
sempre la controfigura di un maître de ballet con la sua pochette, il
suo violino tascabile, a ispirare quelle musiche prive di accompagnamento — in Bach si manifesta sub specie maioris opus, come qualcosa di monumentale e di magistrale. Quella che doveva essere una musica di consumo — e lo fu in una certa misura — si fa materia di studio, di applicazione, di speculazione, di experimentum. La successione alternata di sonate e partite indica che non si tratta di entità musicali autonome, ma di coppie di composizioni in cui il secondo termine o membro è un corollario del primo (si ricordi quanto si è detto alla nota 1). Il regime tonale è scelto in funzione del principio della coppia, secondo il seguente schema: I
SOL
II
LA
III
DO
minore
- SI minore
minore - RE
minore
maggiore - MI maggiore
Tenendo conto dei gradi della scala, nella prima e nella terza coppia & affermata la distanza di una terza
(SOL-SI; DO-MI),
mentre
la
coppia centrale & regolata sull'intervallo di quarta (LA-RE). L'intero ciclo & poi disposto in modo da toccare i primi sei gradi nel cosiddetto «circolo delle quinte» secondo un principio di simmetria: SOL
DO
I
III IIS
sonate
La
RE II |
ne
partita
Rm
Ilyas
MI
II
III
LI
X sonata
613
SI I direi
partite
Köthen (1717-1723)
La componente geometrica, cosi radicata nello stile bachiano da risultare una manifestazione essenziale dell’espressione, condiziona la struttura generale della raccolta. Cosí, tutte le sonate adottano, come
si è detto, l'impianto «da chiesa», con un movimento adagio o grave in prima posizione, concepito nei primi due casi secondo lo stile di una fantasia, con liberi passaggi toccatistici a largo raggio e dotati di complesse suddivisioni ritmiche, continuamente variate: Es. 30
Vi
Vi Atm
ET
Dios Lta es
Sonata II in la minore per violino solo (BW'V
1003), 19 mov.,
batt. 13-15.
mentre nella Sonata III s'impone una pluralità di figurazioni «ostinate » in progressione armonica: Es. 31
Köthen (1717-1723)
Sonata III in do maggiore per violino solo (BWV
1005), 19 mov., batt. 1-10.
Questo primo movimento funge sempre da introduzione ad una
fuga che, nei casi delle Sonate II e III, ha vistose proporzioni (rispetti-
vamente 289 e 354 misure): quella della Sonata I nella testa del tema richiama i tipici esempi della canzone strumentale tardo-rinascimentale; quella della Sonata III ha l'aspetto di un ricercare ed & tematicamente
improntata alla melodia del corale Komm, Heiliger Geist, Herre Gott,
già lo si & detto; quella della Sonata II ha invece un avvio tematico piá moderno, ritmicamente piü incisivo. In terza posizione sta sempre un tempo andante di carattere cantabile (le denominazioni usate sono siciliana, andante e largo), che in un caso, quello della Sonata II, rinuncia allo schema formale « uni-
tario», per adottare quello bipartito che, scartato in tutti gli altri movimenti, è invece imposto nei tre « finali » in tempo veloce. Infine, si noterà che l'unità tonale & mantenuta in tre movimenti su quattro: il terzo tempo — come avviene in Corelli — è sempre in una diversa
ambientazione tonale (il relativo maggiore nelle prime due sonate, che sono in minore, mentre nella Sonata III si passa dalla tonalità di do maggiore a quella di fa maggiore, la sottodominante). Alla rigorosità formale delle sonate (che, per altro, al loro interno
sono soggette ad una notevole differenziazione stilistica) fa riscontro un'ampia «discrezionalità » nella distribuzione delle danze che concorrono a formare le partite. La tecnica della variazione è in primo piano nella Partita I: ognuna delle quattro danze (allemanda, corrente, sarabanda, tempo di borea, e cioè di bourrée, si noti la totale « italia-
nizzazione » dei termini; fra l'altro, il termine borea è impiegato da Tommaso
Motta,
Armonie
capricciose di suonate
musicali da camera,
Milano, 1681) è seguita da un double (il modello forse proviene da talune suites dell'Hortus chelicus di J. J. Walther), che è sempre inteso non come variante ornata, intessuta di abbellimenti e decorazioni, ma come un'alterazione del disegno ritmico in valori diminuiti, 615
Köthen (1717-1723)
riducendo tutto al comune denominatore della semicroma nei primi due casi e della croma nei restanti due. L'acquisto di maggiore velocità e impulso dinamico è compensato dalla perdita della fantasiosità ritmica; si noti, ad esempio, il discorso riduttivo nel double
dell'allemanda; tanto questa era ricca di proposte ritmiche, tanto quello & uniforme nel disegno e sin nel sistema delle legature, abbraccianti quasi costantemente due sole note — tre in pochi casi — e per lo piá alternando fasi ascendenti e fasi discendenti. La Partita II aggiunge alla consueta serie di danze (allemanda-correntesarabanda-giga) una ciaccona, della lunghezza di 257 misure, a mo’ di appendice, secondo un costume abbastanza diffuso che siglava con
una serie di variazioni «obbligate» (ciaccona o passacaglia) e in senso virtuosistico la normale suite. Dei due tipi di ciaccona in uso a quei tempi, quello su un basso libero (molto praticato dai francesi) e quello su un basso ostinato (pit comune tra i maestri italiani), Bach sembra prestare maggiore attenzione al primo, anche perché vi era indirizzato, per cosí dire, dallo strumento incapace di sostenere a lungo un disegno obbligato e sul quale si potessero sovrapporre disegni decorativi. Da una cellula tematica costituita da quattro note (un vero e proprio tetracordo discendente) disposte su quattro battute — ma vi è chi sostiene che il disegno è surrettiziamente raddoppiato sicché lo spazio assorbito dalla proposta tematica si estende a otto battute — si origina un organismo complesso in costante fase di crescita, sospinto in avanti da riprese del tema, come in un rondò. Secondo una tecnica di modificazione
continua
del discorso
musicale,
al tema
vero
e
proprio si agganciano altre figurazioni tematiche (lo Spitta ne aveva individuate cinque) di volta in volta variate sino a provocare una vera e propria « variazione della variazione»; e non manca neppure, naturalmente, l'inversione del tema, per moto ascendente (batt. 193196), a coronare l'incredibile catena di artifici, figure, passaggi, tecniche
che fanno di questo capolavoro un monumento, una sorta di carta costituzionale del violinismo trascendentale. La Partita III (BWV 1006) è quella a carattere più anomalo e pit tipicamente francese, anche se riflessi consistenti di quel goüt si riscontrano nelle altre due partite, cosi da dar vita ad un forse deliberato contrasto fra stile italiano (applicato nelle sonate) e gusto francese (in rilievo nelle partite). Un
severo
Preludio,
solenne,
fortemente
marcato nel ritmo, di dimensioni nettamente superiori.a quelle degli altri brani componenti la partita (138 battute) inaugura la composizione; il carattere « monumentale » della pagina fu poi sfruttato da Bach, come si è già detto, trasformando la struttura violinistica in
una sinfonia per la Cantata BWV 120a (riutilizzata in BWV 29). Seguono sei danze, solo in parte corrispondenti a quelle « canoniche », 616
Köthen (1717-1723)
proprie della suite codificata; in pratica, la sola gigue corrisponde
al modello « obbligato » di finale. Per il resto, troviamo la rara loure,
una danza diffusa in Francia o, meglio, in Normandia, derivata nel
nome dal famoso strumento nordico ludr o lun o luur, sorta di corno da richiamo, e di andamento moderato, in tempo ternario e con accen-
tuazione irregolare; una gavotte en rondeau, una coppia di minuetti e una bourée (sic!). B. Con accompagnamento
(BWV 1014-1019 e 1021-1026).
BIBLIOGRAFIA
Friedrich BLume, Eine unbekannte Violinsonate von J. S. Bach (su BWV 1021), in BJ XXV (1928), pp. 96-118; W. SCHÜTTE, Eine neuendeckte Violinsonate J. S. Bachs, in «Nachrichten für Stadt und Land Oldenburg », 15-9-1929 (su BWV 1021); Werner DANCKERT, Beiträge zur Bach-Kritik, I, (= Jenaer Studien zur Musikwissenschaft, vol. I), Bärenreiter, Kassel 1934, pp. 33 e sgg. (su BWV 1020 e 1021); Horst BÜTTNER, J. S. Bach: Sonate F-dur für Violine und Cembalo, in « Zeitschrift für Musik » CIV (1937), pp. 1255-1256 (su BWV 1022); Eric Daniel Mackznwszss, Bach’s F Major Violin Sonate, in « The Music Review » XI (1950), pp. 175-179 (su BWV 1022); Rolf van Leypen, Die Violinsonate BWV 1024, in BJ XLII (1955), pp. 73-102; Ulrich SieceLe, Noch einmal: Die Violinsonate BWV 1024, in BJ XLII (1956), pp. 124-139; Karl-Heinz KÓHLER, Zur Problematik der Violinsonaten mit obligaten Cembalo, in BJ XLV (1958), pp. 114-122; Hans Eppstein, Zur Problematik von J. S. Bachs Sonate für Violine und Cembalo G-dur (BWV 1019), in « Archiv für Musikwissenschaft» XXI
(1964), pp. 217-242.
L’altra raccolta
di composizioni
violinistiche,
le Sei Sonate per
violino e cembalo (BW'V 1014-1019) secondo l'inesatta dizione universalmente accettata, & probabilmente contemporanea alla prima e si puó comunque collocare negli anni 1718-1722. «Destinatario» di simili opere — ma viene da chiedersi se proprio sia necessario individuare una | personalità sulla misura della quale Bach avrebbe tagliato tali pagine — potrebbe essere stato, ancora una volta, Pisendel o Spiess o, magari, anche l’altro violinista della cappella di Köthen, Martin Friedrich
Marcus. La raccolta, meno organica di quella precedente, è nota attraverso alcune copie, due delle quali sono particolarmente importanti. La prima (BB/SPK P 229), databile fra il 1748 e il 1758, e dovuta
a Johann Christoph Altnickol, il genero e allievo di Bach, e contiene oltre alle sei sonate (che il copista indica come Sechs Trios für Clavier und die Violine) anche la Sonata in si minore per flauto e cembalo (BWV 1030) e un Trio di Carl Philipp Emanuel Bach.Il secondo manoscritto a parti separate (BB St 162), in cui si possono individuare
tre distinti copisti, porta il titolo Sei Sounate (sic!) / à | Cembalo certato è | Violino solo, col | Basso per Viola da Gamba accompagnata / 617
"
Köthen (1717-1723)
se piace | composte | da | Giov: Sebast: Bach e congloba le parti autografe del cembalo per i tempi 3-5 della Sonata VI (seconda versione). La prima edizione di tali opere è contemporanea di quella delle sonate e partite: il 1802 presso H. C. Nägeli di Zurigo. La raccolta reca evidenti i segni d'una derivazione della sonata a tre secentesca,
che Bach, fra l'altro, coltivó ancora, con caparbia ostina-
zione e quasi per ribadire il proprio dissenso dalla nuova musica, durante gli ultimi anni di Lipsia. A parte la presenza del basso continuo che può essere affidato ad libitum alla viola da gamba, raddoppiando la funzione della mano sinistra nel cembalo, vi è da notare che la mano
destra dello strumento a tastiera è concepita come la parte di un secondo violino. Il precedente storico che Bach sembra invocare con maggiore chiarezza è la sonata di tipo corelliano, qui modificata secondo una prospettiva di musica concertante pit slanciata e completa e con una più intensa partecipazione della scrittura contrappuntistica. E ancora una volta, ad esempio, per quanto concerne la disposizione tonale si rileva l’unità di impostazione dei movimenti 1, 2 e 4, mentre
il n. 3 (andante © adagio, con l'eccezione della Sonata VI) è in una tonalità parallela, come già era avvenuto in Corelli e come Bach aveva stabilito nelle sonate per violino solo. Le composizioni in questione — alla pari di altre opere contemporanee di struttura analoga (le tre sonate per viola da gamba, le quattro sonate per flauto traverso e cembalo) — risentono di vari apporti tradizionali e paiono germinate dalla confluenza di due diversi tipi di impostazione stilistica: quello tipico della scuola italiana, che è prevalente, e quello della scuola nordica. Su questo duplice aspetto sapientemente dosato, Bach costruisce la sua opera con un'ariosità di concezione, una fantasia speculativa, una destrezza tecnica che ancora una volta fanno di una raccolta una manifestazione esemplare del «saper comporre», dell’arte
di scrivere in un genere e per un determinato strumento. Le sei sonate, ad eccezione dell’ultima che —
come
si vedrà —
costituisce un problema a sé stante, sono concepite nello stile e forma della sonata da chiesa, alternante un tempo lento e uno vivace per un
totale di quattro movimenti; inoltre, le singole pagine evitano le movenze proprie delle danze stilizzate (ma il largo iniziale della Sonata IV è una siciliana bipartita) e prediligono le organizzazioni di tipo polifonico. La dizione che si legge su tutte le copie manoscritte (sette in totale) più o meno coeve delle due sopra citate indica sempre in prima linea il cembalo; si tratta, dunque, di sonate «a cembalo
e violino » (0, come è pit volte scritto, « a cembalo concertato e violino
solo » o « obbligato ») e non di sonate per violino e cembalo. La distinzione è importante: la parte dello strumento a tastiera è predominante e, anzi, il terzo tempo della Sonata VI è per « cembalo solo »: lungi 618
a
Köthen (1717-1723)
da costituirsi come semplice parte di accompagnamento o sostegno, essa guida il discorso musicale, lasciando al violino il compito di svolgere un ruolo che spesso è complementare, di ornamento e
intensificazione espressiva.
Considerando soltanto il blocco delle prime cinque sonate, si noterà che il movimento di apertura è quasi sempre di taglio unitario; l'eccezione è data dalla Sonata IV in cui esso è bipartito e in stile di siciliana. L'ambientazione è quella propria dello stile cantabile con fioriture melismatiche, fortemente marcate nella Sonata IIT, mentre nella
Sonata I le figure « ostinate » hanno talvolta l'aspetto di procedimenti bicordali per moto parallelo, in genere per terze o seste; nella Sonata III una didascalia espressiva, dolce, sostituisce quella dinamica. Nella Sonata V, invece, il carattere del brano è radicalmente modi-
ficato dalla struttura rigidamente polifonica a quattro parti (è l’unico caso di condotta a quattro dell’intero ciclo di sonate); il secondo dei manoscritti indicati qualifica questo largo con il termine lamento. La derivazione da pit arcaici modelli sonatistici — la sonata a quattro della prima epoca barocca — è evidente nella pagina, che ha notevoli dimensioni, si basa su un tema assai simile a quello che s'incontrerà
nel mottetto Komm, Jesu, komm (BWV 229) e si articola in quattro sezioni: batt. 1-37; 37-59; 59-88; 88-108.
Lo stile contrappuntistico che comunque
traspare, pit o meno
accentuato, nella condotta delle parti di ognuno dei movimenti di apertura è il dichiarato linguaggio dei secondi tempi, che sono delle vere e proprie fughe (Sonate I, II e IV) o dei trii fugati (Sonate III e V); il taglio formale è tripartito nelle prime quattro sonate, bipartito nella Quinta. Nel caso della Sonata I il secondo movimento è conce-
pito come un'aria strumentale del tipo ABA, con un episodio centrale che è un vero e proprio sviluppo (batt. 41-91); nella Sonata II c'è un’intenzione « concertante » piá marcata, mentre al centro figura un
‘curioso arpeggio (cosí nel testo) su un lungo pedale del basso (mano sinistra del cembalo);
e qui veramente, la tenuta del MI protraendosi per
18 misure, occorre pensare ad una realizzazione con la viola da gamba. Il terzo tempo, caratterizzato dalla modifica dell'impianto tonale,
ha carattere « unitario », ma sempre diverso: nella Sonata I & un fluente ed ininterrotto discorso condotto parallelamente dai due strumenti; nella Sonata II s'impone la scrittura a canone; nella Sonata III & impie-
gato lo stile di ciaccona, con un tema di quattro battute esposto dal
basso per quindici volte, sul quale si innestano le variazioni fiorite affidate al violino, dialogante talvolta con la mano destra del cembalo;
nella Sonata IV la parte del canto spetta unicamente al violino, in
proposte alternate di forte e piano, a mo’ di eco, mentre il cembalo si limita ad accompagnare in terzine; nella Sonata V, infine, il violino 619
Köthen (1717-1723)
& costantemente impegnato in bicordi, mentre la parte del cembalo si risolve in veloci arpeggi, in stile di toccata, su due figure costanti, l'una affidata alla mano destra e l'altra alla sinistra: I5: 327A
AIA VIRG l.l 72 ^ V—-037——91 8 oa Ve BEI
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Sonata V in fa minore per violino e cembalo (BWV 1018), 3° mov., batt. 1-2.
Della pagina si conosce anche un'altra versione, in cui la scrittura cembalistica & semplificata e ridotta nei valori di tempo: Es. 32 B
Id., variante 39 mov.
(BWV
10182), batt. 1-2.
Il quarto movimento & in tutte le cinque sonate una fuga o un
trio fugato (con aspetto di canone nelle Sonate II e V); la forma & tripartita nelle Sonate III e V, bipartita nelle Sonate I, II e IV; lo stile
concertante emerge nelle Sonate I e III. Il caso della Sonata VI (BWV 1019 e 10192) va considerato a parte. Sciolte le riserve un tempo avanzate sull'autenticità dell'opera, occorre dire che essa ci & pervenuta in tre versioni, la prima delle quali risale al periodo di Kóthen, mentre le restanti due appartengono al periodo di Lipsia, l'una ai primi anni dell'ufficio di Thomaskantor e laltra agli ultimi anni, intorno al 1749, secondo il Kóhler. E chiaro che è la terza versione quella che dovrebbe considerarsi definitiva e che, 620
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Prima pagina della Partita III in mi maggiore per violino solo BWV 1006 (Berlino BB P 967).
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Lp
Köthen (1717-1723)
d'altra parte, & quella riportata dal maggior numero di manoscritti, quattro su sette. L'impianto formale & nettamente diverso da quello impiegato nelle precedenti sonate della raccolta. Lo schema non & piá quello della sonata da chiesa, ma quello della sonata da camera, con preminenza dei movimenti in tempo allegro. In secondo luogo, la sonata & in cinque tempi e il terzo di questi & per cembalo solo. Rispetto a quella che puó essere considerata la versione definitiva (cioè, la terza), la prima si identifica con quest'ultima soltanto per
quanto riguarda i primi due movimenti: dei restanti tre, due (un cantabile, ma un poco Adagio e un adagio) sono stati sostituiti da un brano per cembalo solo e da un altro adagio, mentre l'ultimo & una ripetizione del primo tempo (il manoscritto reca l'indicazione ab Initio repetat et claudat). Per quanto concerne la seconda versione, si deve dire che essa è in sei tempi (ma l’ultimo è ancora una ripetizione del primo) ed è identica alla prima in ciò che riguarda il primo, il secondo e il quarto tempo (oltre al sesto, naturalmente). Il fattore caratterizzante di questa seconda versione sta nel fatto che il terzo tempo è un brano per cembalo solo, diverso da quello che compare nella terza versione,
ma
identico
alla courente della Partita
VI per
cembalo (BWV 830), mentre il quinto movimento è un brano per violino con accompagnamento del continuo (poi riversato nella gavotte della citata Partita cembalistica). Si noti, infine, che il canta-
bile ma un poco Adagio, terzo tempo della prima versione, è stato poi utilizzato nella Cantata BWV
120, Gott, man lobet dich in der Stille.
La situazione può essere schematizzata nel modo seguente (le lettere maiuscole si riferiscono ai sette manoscritti elencati nel Kritischer Bericht della NBA
VI/1):
Versione I
Versione II
Versione III
(C - D)
(E)
(A-B-F-G)
1. Presto - sol magg.— 2. Largo - mi min. — 3. Cantabile, ma un poco Adagio - sol magg.
= 1. Vivace - sol magg.> = 2. Largo - mi min. —3: - mi min. (Cembalo solo; cfr. BWV 830/3)
4. Adagio - si min. —
— 4. Adagio - si min.
5. Presto - sol magg. (zn. 1)
A — B = C = D.=
Bi
- sol min. (Violino solo e basso l'accompagnato ;
= 1. Allegro - sol magg. — 2. Largo - mi min. 3. Allegro - mi min. (Cembalo solo; diverso da quello della vers. II) 4. Adagio - si min. (diverso da quello delle vers. I e II) 5. Allegro - sol magg. (diverso dal n. 1)
cfr. BWV 830/6) 6. Vivace - sol magg. (cmd) BB/SPK P 229 E = BB St 162 BB/SPK P 426 F = BB/SPK St 468 Kobenhavn, Det Kongelige Bibliotek G = BB/SPK St 403 BB/SPK Am. B. 61
622
Köthen (1717-1723)
La struttura rigorosamente simmetrica della terza versione emerge
immediatamente. I movimenti 1 e 5 sono tripartiti, nello stile di un
trio concertante che nel caso dell'ultimo tempo acquista anche le caratteristiche di un fugato. L'allegro centrale, per cembalo solo, & bipartito e ha funzione di ponte piá che di intermezzo. Dei due movimenti lenti, infine, entrambi costituiti da un unico blocco discor-
sivo, il largo & un dialogo a due parti (sostenuto dal basso del cem-
balo), mentre l’adagio è un trio con una forte innervatura ritmica sincopata.
Alla raccolta delle sei sonate — una raccolta che, per taluni difetti di organicità e di «squilibrio» architettonico dell’insieme, potrebbe
anche non essere stata messa in opera da Bach, ma piuttosto dai suoi eredi patrimoniali e spirituali — si devono aggiungere alcune altre composizioni per violino e basso cifrato in Delle sette pagine che la tradizione ancora attribuisce a Bach, soltanto due, cronologica-
mente attribuibili al periodo di Kóthen, sono sicuramente autentiche: la Sonata in sol maggiore (BWV 1021) e la Sonata in mi minore (BWV 1023). Dubbi di diverso carico, ma più che legittimi, sollevano le altre opere che sono nell’ordine le seguenti: 1. Sonata in sol minore BWV
1020 (forse per flauto)
. Sonata in fa maggiore BWV
1022
. Sonata in do minore BWV
1024
. Suite in la maggiore BWV DI TS
1025
5. Fuga in sol minore BWV
1026.
Sulla Sonata BWV 1020 spenderemo qualche parola nel contesto delle composizioni per flauto. La Sonata BWV 1022 — alla pari della Sonata per flauto, violino e continuo BWV 1058 di cui si dirà anche in quella sede — è una rielaborazione della Sonata BWV 1021, di cui conserva la parte del basso,ma ha una diversa veste melodica,
con una trasposizione di un tono intero sotto (da sol maggiore a fa maggiore). La rielaborazione & forse opera di Carl Philipp Emanuel
Bach al quale si potrebbe attribuire anche la Suite BWV 1025, mentre
anonimi e comunque non bachiani sono i restanti due prodotti sopra elencati: la Sonata BWV
1024, che alterna due movimenti lenti di
breve respiro (un adagio e un affettuoso) a due veloci alquanto ampi (un presto di 167 battute e un vivace di 232), e la Fuga BWV 1026. Ma veniamo alle sonate autentiche. 623
Köthen (1717-1723)
Per la Sonata BWV 1021 l’unica fonte & una copia rinvenuta nel 1928 nella collezione di Manfred Gorke di Eisenach (ora al BachArchiv Leipzig, Go. s. 3.) e proveniente dal lascito di Forkel; il manoscritto fu ritenuto autografo da Friedrich Blume (al quale si deve la scoperta dell’opera e la sua pubblicazione nel 1929 per i tipi di Breitkopf & Härtel, Leipzig), ma Georg von Dadelsen ha appurato che si tratta di una copia redatta da Anna Magdalena Bach intorno al 1733-34. La forma & quella medesima riscontrata nelle prime cinque sonate della raccolta già esaminata: quattro movimenti, con un adagio iniziale che, come
avveniva nella Sonata IV, & bipartito, ma
senza
inflessioni di danza; due allegri, il secondo dei quali in stile fugato, inquadrano un largo fiorito. La particolarità di questa e dell'altra sonata sta, tuttavia, nella funzione e natura dell'accompagnamento
che è
concepito non nello stile del trio di tipo concertante adottato nella raccolta delle sei sonate, bensí nello stile di una parte di violino predominante sostenuta da un basso cifrato che, come tale, & subordinato
a quella e non dà vita al certamen, al dialogo continuato di cui sono intessute le sonate della raccolta, quando il cembalo addirittura non prevalga sul violino ridotto a elemento integrativo del discorso. L'altra sonata — in mi minore, BWV 1023 — rivelata da Ferdinand David nella sua Die hohe Schule des Violinspiels (Breitkopf & Härtel,
Leipzig 1867), & conservata a Dresda in copia unica realizzata forse da Anna Magdalena (Sächsische Landesbibliothek, Mus. 2405 R/1). Lo schema formale, questa volta, & quello da camera in quattro movi-
menti, ma il rapporto interno che governa l’architettura della pagina è una sorta di contaminatio fra stili differenti: i primi due tempi sono concepiti liberamente, mentre gli altri sono iscritti nei ritmi dell’allemanda (con abbondante articolazione di figure) e della giga, come dire la prima e l'ultima delle danze della suite « regolamentare ». L'interesse maggiore è per la prima coppia di movimenti: quello di apertura è un brillante continuum del violino, in figure regolari e uniformi, in
stile di toccata, su un pedale inalterato di MI (prolungato per tutte le 29 battute del brano), affidato al basso; l’altro (adagio ma non tanto) è direttamente congiunto al primo e al disegno elementare e costante di questo oppone una frastagliatura ritmica copiosa e volutamente incerta. 46. Le suites per violoncello solo (BWV 1007-1012). BIBLIOGRAFIA \
Wilhelm ALTMANN, Zur Verbreitung von Bachs Sonaten und Suiten für Violine bzw Violoncello allein, in « Die Musik » XV (1915), pp. 3 e sgg.; Heinrich ScHENKER, The Sarabande of J. S. Bach's suite n°. 3 for unaccompanied violoncello, in
624
Köthen (1717-1723) Das Meisterwerk in der Musik, Il, Drei Masken, München 1926, pp. 97-104; Frank Thomas Anworp, Die Viola Pomposa, in « Zeitschrift für MUSEI schaft » XIII (1930-31), pp. 141-145; Georg Kinsky, Nochmals: die Viola Pomposa,
ibid., pp. 325-328; F. T. ARNOLD,
id., ibid. XIV
(1931-32), pp. 35-38; Luigi
Forino, 6 Suites a Violoncello solo senza Basso composées par G. S. Bach Maitre de Chapelle, in « Musica d'Oggi» XIII (1931), pp. 450-453; Francis William Garin, Viola Pomposa and Violoncello piccolo, in « Music & Letters » XII (1931), pp. 354-364; Charles Sanford Terry, Bach’s Orchestra, Oxford University Press, London 1932 (violoncello piccolo); Heinrich Husmann, Die Viola Pomposa, in BJ XXXIII (1936), pp. 90-100; Günter WAEGNER, Die sechs Suiten für das Violoncello allein von J. S. Bach. Ein Beitrag zur Geschichte des Violoncellos und zur Erkenntnis des Bachschen Personalstiles, Diss., Berlin 1957; G. HULSHOFF, ' De zes suites voor violoncello-solo van J. S. Bach. Studies over compositietechniek, tekstafwijkingen, articulatie en andere onderwerpen verband houdende met Bachs solomuziek, Van Loghum Slaterus, Arnhem 19622; Dimitry MARKEVITCH, Les Manuscrits de Kellner et Westphal des suites de J. S. Bach pour violoncello seul, in «Revue de Musicologie» LV (1969), pp. 12-19; Gustavo BORINGHIERI, A proposito del « Violoncello piccolo » di Bach, in « Rivista Italiana di Musicologia »
VIII (1973), pp. 113-131.
Le opere per violino solo e quelle per violoncello solo, che di quelle costituiscono un'immagine speculare ribaltata sul fronte di un'altra tecnica dello strumento ad arco (quella «da gamba » contrapposta a quella «da braccio»), rappresentano due diversi stadi di
un unico disegno compositivo. In quelle pagine si sviluppa l'affermazione del momento «lineare» del contrappunto, l'esaltazione di una particolare concezione della polifonia intesa non come organizzazione verticale della frase — secondo i principii della pura imitazione canonica o dell'armonia tonale — bensí come estrinsecazione rigorosa, simmetrica, delle proprietà melodiche (e ritmiche) del linguaggio musicale, in virtá di una sua rappresentazione nello spazio e nel tempo. - La logica del periodo, per cui questo risulta scandito in particelle che a tratti regolari ricompaiono sulle diverse corde dello strumento cosí da dar luogo a figurazioni in forma di imitazione, e la forza che il
movimento imprime al discorso, quasi che ogni elemento di questo sia dotato di una sua propria « energia cinetica» (per dirla con Ernst Kurth), dànno origine a un'immagine musicale, ad un prodotto in cui la «linea» conta pit della « massa» e in cui l'arte del « cantabile » è l’autentica ragion d'essere della composizione. Ogni proposta musicale sembra suggerita dalla dinamica interiore propria di ciascuna figura — si osservi il rilevante peso che sull'organizzazione di una pagina può avere l'impulso iniziale, l'avvio del discorso — tanto nel caso in cui il compositore segua un «ritmo libero », quanto nel caso
in cui la proposta ritmica sia prestabilita, dettata da una precisa formula
2
:
625
Köthen (1717-1723)
tematica o di danza. Il cosiddetto « ritmo libero » è impiegato là dove il discorso & allentato sotto il profilo dinamico (adagi di apertura, preludi) e reso elastico dall’applicazione di figure multiformi e « ineguali» e dalla proliferazione dell'ornamentazione,
che talvolta puó
interessare anche certi particolari tipi di danza (allemanda e sarabanda).
Al contrario, il «ritmo misurato » s'impone nei movimenti di natura
veloce e quando occorra seguire il formulario stilizzato delle danze di accentuazione ben marcata (correnti e gighe, nonché tutte le danze che, proposte in coppie o singolarmente, si aggiungono alle danze « fondamentali» della suite). Se nelle composizioni violinistiche il problema dello stile « non accompagnato » era stato affrontato sotto un duplice profilo formale (sonate e partite, queste ultime intese come un'integrazione delle prime), ma riconducendo l'insieme ad un principio architettonico assolutamente omogeneo e unitario, in quelle per violoncello la forma è una sola: annunciata da un prélude preposto, in diverso stile, ad ogni suite, ciascuna delle sei opere prevede la regolare successione delle danze «di rito» — allemande, courante, sarabande, gigue — inserendo fra la terza e la quarta un menuet I e II nelle Suites I e II, una bourrée I
e II nelle Suites III e IV, una gavotte I e II nelle Suites V e VI; in tal modo la raccolta presenta un'articolazione interna a coppie. Il probabile primo interprete di queste opere severe e nutrite di ardue difficoltà tecniche fu Christian Bernhard Linigke (o Lünecke): nato il 3 giugno 1673 in un luogo imprecisato ma forse a Berlino, dove fu attivo prima nella cappella del margravio Philipp Wilhelm,
1692-1706, poi nella cappella di corte dal 27 ottobre 1706 sino allo scioglimento di quella nel 1713, apparteneva ad una famiglia di musicisti. Fece poi parte, sino al marzo 1716, della cappella del margravio Christian Ludwig, il dedicatario dei Brandeburghesi, e nel maggio di quell'anno divenne Kammermusikus alla corte di Köthen, dove morí
il 1° gennaio (fu sepolto il giorno 3) del 1751. Nell’affrontare la composizione delle suites per violoncello, Bach
potrebbe aver guardato ad alcuni esempi «storici»: poniamo, ai Ricercari per violoncello solo, con un Canone a due violoncelli et alcuni
Ricercari per violoncello e basso continuo di Domenico Gabrielli (1689), o alle Ricercate sopra il violoncello o clavicembalo op. 1 di Giovanni
Battista Degli Antonii (1687). Ma la forma e lo stile adottati da Bach non si agganciano a manifestazioni tipicamente polifoniche, quali il ricercare e il canone, si orientano, invece, verso la trasformazione
dei movimenti di danza o di strutture libere in architetture nelle quali prevalgono i principii del contrappunto, del flusso melodico ininterrotto e del ritmo costretto in figurazioni continuamente variate. 626
Köthen (1717-1723)
E possibile, in altri termini, che i modelli — se di modelli si deve
discorrere — non emergano dalle opere dei maestri italiani che allora stavano scoprendo le virtá del violoncello (si pensi, tanto per fare un altro nome, a che cosa aveva creato Giuseppe Maria Jachini), ma
dal repertorio della viola da gamba, che era stato particolarmente vivace e produttivo in Francia e nei paesi tedeschi. E, in effetti, non
pare illogico ritenere che Bach abbia modificato una « intenzione »,
un progetto formulato e modellato sulle caratteristiche. precipue della viola da gamba e lo abbia indirizzato al violoncello, quasi per provare ed applicare a quest'ultimo strumento una tecnica che la tradizione affidava alla viola da gamba, ma che le circostanze — la presenza di un violoncellista di vaglia quale era Linigke o, forse più verosimilmente, di un « gambista» come Christian Ferdinand Abel, che era anche un esperto violoncellista — ora gli indicavano di sperimentare sul violoncello, appunto. L'ipotesi potrebbe trovare una conferma
anche nella particolare natura delle ultime due suites, al
cui strumentario sono state apportate modifiche o con la prescrizione
d'una diversa accordatura o con l'impiego d'un mezzo sonoro «anomalo ». Sotto questo profilo, e tenendo presente che la raccolta è sostanzialmente sotto il segno del got francese, sembra logico ricondurre le suites bachiane ai modelli che in copiosa quantità erano stati forniti — negli ultimi decenni da Marin Marais e da Johannes Schenck —
alla viola da gamba, al regale basse de viole.
La tendresse, la delicatesse di quelle pagine — esemplari zioni del gusto di corte — si ritrova nelle composizioni sia pure a livelli infinitamente più preziosi; la proliferazione riale melodico, che era stato uno degli stilemi essenziali
manifestabachiane, del matedel modo
di costruire il discorso da parte dei maestri francesi, viene assunta a regola fissa da Bach, ma ribaltando sul piano di strutture polifoniche inedite e su uno strumento, che non aveva ancora trovato il modo
‘di competere ia raffinatezza e splendore con la viola da gamba. E, insomma, Bach inventava lo stile del violoncello e siglava l’inizio della decadenza dell’antico strumento a 6-7 corde.
L'idea, forse, non incontrò l'approvazione dei contemporanei e la
raccolta non usci che molto tardi dalla cerchia bachiana. L'autografo è perduto e la fonte principale è una copia (un tempo considerata autografa) realizzata da Anna Magdalena (BB/SPK P 269); fra le poche altre fonti varrà la pena di citare la copia (BB/SPK P 804) posseduta da Johann Peter Kellner, l’organista e compositore che fu amico di Bach. Un esemplare manoscritto, sappiamo, era in vendita presso l'editore e negoziante di musica Johann Traeg di Vienna nel 1799, ma la prima edizione a stampa comparve soltanto nel 1825 (presso H. A. Probst di Vienna) con il titolo Six Sonates ou Etudes 627
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©
pour le Violoncello solo... Oeuvre. Posthume.Il termine « studi» già applicato, come si & visto, alle opere per violino solo, ribadisce — per meri fini commerciali — una destinazione «scolastica», che sarà
ripetuta anche nell'edizione del 1826 curata da Justus Johann Friedrich Dotzauer, il ben noto autore d'una Violoncellschule ancor oggi
utilizzata, per i tipi di Breitkopf & Härtel (Six Solos ou Etudes) *. La pretesa natura didattica della raccolta — una pretesa che costituisce il più colpevole estraneamento del capolavoro — è evidentemente riconosciuta nel difficile contatto con i brani introduttivi: quei sei préludes non soltanto presentano un campionario di difticoltà tecniche colte con il ricorso costante ad un pensiero «lineare », dilatato
in figure ostinate e ripetitive, sostenuto da pedali al limite dell’ossessione, da mutazioni armoniche in progressione, da figure ritmiche ricorrenti, dalla regolare pulsazione alternata di gruppi di note «sciolte» e «legate», da insistenti passaggi in scala, ma obbediscono anche ad una concezione musicale in cui l'esercitazione, l’exercitium è il
solo terreno sul quale si conquista e acquisisce il significato della musica. È un linguaggio preminentemente costituito di frasi slanciate, proiettate in avanti, non trattenute, e disegnate con grande semplicità e leggerezza
inventiva (fatta eccezione per il complesso prélude della Suite V), ma tecnicamente ardua. Una formula ritmico-melodica subito dichiarata in apertura, senza preamboli, indica su quali binari dovrà procedere l’intero movimento, e la continuità del discorso trova poi un freno, s'impenna in « fermate» che consentono quasi il ricupero dell'energia dispersa per condurre a buon fine l'opera; la «fermata» è
anche pretesto per il cambiamento della « figura » e talvolta (Suite V) anche del metro e dello stile e risulta tanto più opportuna quando la pagina è di dimensioni eccezionalmente ampie e dilatate (Suites V e VI). La velocità, il contrasto dinamico, persino quello « timbrico »
che trae origine dal diverso «colore» delle corde e dal mutamento dei registri, i giuochi di piano e forte (nella Suite VI specialmente), le figure a mo’ di cadenza virtuosistica e di toccata libera sono le note caratteristiche, i segni particolari dei préludes, fortemente seriosi e di grande precisione simmetrica. La simmetria,
a maggior ragione, governa anche le varie danze,
una delle quali — la sarabande, che Bach colloca al centro della suite vera e propria —
ha sempre carattere intensamente espressivo. La
composizione è sempre contenuta in poche battute, il cui numero varia di volta in volta ([=8+8; II— 12 4- 16; HII=8+ 16; IV —124-20; V-—8--12; VI=8+24) e le figure ritmiche
all'interno sono variamente organizzate. Ad esempio, considerando soltanto la prima sezione della danza, si noterà: A) nella Suite I: il disegno ritmico & uguale nelle battute 2 e 4. B) Nella II: sono uguali 628
Köthen (1717-1723)
fra loro le batt. 1 e 5; le batt. 2, 4, 6, 8; le batt. 9 e 10. C) Nella III: sono uguali le batt. 1 e2; 5e 6. D) Nella IV: sono uguali le batt. 1 e 3; le batt. 5, 6, 7, 9, 10. E) Nella V: sono uguali le batt. 1, 2, 4; le batt. 3, 5, 6, 7. F) Nella VI: sono uguali le batt. 1 e 5; le batt. 2, 3, 6. Si tratta, dunque, d'una casistica di combinazioni architettoniche appli-
cata all'incedere grave di quella danza. Lo stile italiano di carattere gaio, esprimente gioia e liberazione, sembra dominare la maggior parte delle altre danze, fatta eccezione
per una courante (quella della Suite V, una composizione tutta « fran-
cese », a cominciare dallo stesso prélude, che & inteso come una ouverture) e per tre allemandes (Suites II, III e VI). Le due ultime suites presentano qualche problema pit specifico. Già si è detto della maggiore ampiezza dei préludes e della particolare
conformazione
di quello che apre la Suite V, concepito in stile di
ouverture, con un'ampia fuga (il cui soggetto ha entrate disposte sulle diverse corde — nell'ordine la II, la I, la IV e la III — per raggiungere, tramite il loro diverso « colore », l'effetto « polifonico »). Questa Suite V, in do minore, ha anche la particolarità di essere scritta per un violoncello « scordato », cioè fornito di una accordatura anomala: DO,-SOL,-RE,SOL,,
invece
del
consueto
DO,-SOL,-RE,-LA;;
dunque, la IV corda & accordata un tono sotto la norma. La Suite VI & scritta per uno strumento a cinque corde (la copia di Anna Magdalena porta semplicemente l'indicazione Suitte 6me à cing acordes, senza specificare il tipo di strumento, che tuttavia — lo si vedrà — non può essere altro che un violoncello a cinque corde). Per inveterata consuetudine si sostiene generalmente che il mezzo tecnico cui si riferisce questa suite & la viola pomposa, uno strumento
che, secondo il Forkel (Musikalischer Almanach für Deutschland auf das Jahr 1782; cfr. BD III, 856) sarebbe stato inventato da Bach. La notizia, ripresa dal Gerber (Historisch- Biographisches Lexicon der Tonkünstler, 1790; BD III, 948) e quindi da quasi tutta la storiografia bachiana,
in realtà era già stata riferita parecchio tempo prima da Frantisek Benda, il compositore boemo cui la corte di Potsdam dovette molto del suo splendore; Benda ebbe occasione d'incontrare Bach a Lipsia
nel 1724 e nel carnevale 1738 a Dresda si produsse al cembalo mentre Pisendel imbracciava la viola pomposa. Descrivendone l'impianto in un periodo musicale di Lipsia molti anni dopo («Wóchentliche Nachrichten und Anmerkungen die Musik betreffend» del 16 dicembre 1766; cfr. BD II, 731), Benda indicava nella viola pomposa uno strumento inventato da Bach e «intonato come un violoncello, ma
con una corda in pit all'acuto, più grande di una viola e fornita di un nastro che consentiva di fissarla contro il petto e sul braccio » (la notizia fu poi ripresa con le medesime parole da Forkel). La corda 629
o Ss NE
Köthen (1717-1723)
aggiunta era un MI, sicché l'accordatura dello strumento risultava essere: DO,-SOL,-RE,-LA,-MI, E ormai opinione diffusa che le
fonti settecentesche nel riferire la notizia abbiano confuso fra violoncello a cinque corde (il cosiddetto «violoncello piccolo») e viola pomposa, la cui invenzione non deve attribuirsi a Bach (che, oltre tutto, non lasció per questo strumento alcuna composizione), ma ad un liutaio di Lipsia, Johann Christian Hoffmann (Lipsia, 2 maggio 1683 - 1° febbraio 1750), il quale realizzó la nuova viola su « ordinazione» del Thomaskantor. Tre sono gli esemplari di viola pomposa dovuti allo Hoffmann a tutt'oggi conservati (su dieci complessivamente noti nella storia della liuteria e preservati in vari musei); la loro data di fabbricazione è rispettivamente il 1732, il 1737 e il 1741,
date quindi ben lontane dal momento in cui Bach creó la raccolta delle suites per violoncello. Secondo Husmann la viola pomposa è una viola « da spalla » modificata, simile per struttura al violoncello, ma da questo diversa sia per la posizione esecutiva (da imbracciarsi), sia per le dimensioni più ridotte (di qui la denominazione, che Bach nelle cantate ritenne più
appropriata, di violoncello piccolo), sia per l'accordatura realizzata per quinte anziché per quarte e con cinque corde in luogo di quattro (DO;-SOL,-RE,LA;-MI,).
Secondo
Terry, invece, questo tipo di
violoncello non avrebbe nulla da spartire con la viola pomposa: si tratterebbe di un vero e proprio violoncello (il cosiddetto « violoncello mezzo », qui realizzato a cinque corde anziché quattro). Resta il fatto incontrovertibile che la Suite VI — a detta dello stesso Husmann, che pur aveva sostenuto l’identità di viola pomposa e violoncello piccolo — è ineseguibile sulla viola pomposa, la quale fra l’altro
gode di una letteratura musicale limitatissima, ridotta a sole quattro composizioni*; di conseguenza non si può pensare, per la Suite VI,
che ad un violoncello piccolo a cinque corde (pit propriamente il violoncello mezzo, di cui, nel tipo a cinque corde, non esiste alcun esem-
plare, ma che si può in pratica identificare in un violoncello quasi normale, munito appunto di cinque corde), diverso tuttavia dal violoncello piccolo, pure a cinque corde, impiegato da Bach in nove cantate !° composte
negli anni 1724-1726:
BWV
6, 41, 49, 68, 85, 115, 175,
180, 183. La questione, come si vede, non pare semplice, tanto più che se
veramente lo strumento impiegato nella Suite VI è un violoncello piccolo (mezzo) a cinque corde, la composizione allora dovrebbe collocarsi in un diverso momento cronologico: nei primi anni di Lipsia, anziché a Kóthen. Le complicazioni sono determinate, tuttavia,
dallo scrupolo filologico di voler ricostituire la situazione originaria — al tempo di Bach le tecniche di esecuzione non erano certo quelle 630
Köthen (1717-1723)
dei nostri tempi e pertanto si ovviava alle difficoltà tecniche con l'invenzione di nuovi strumenti o con l’adattamento di quelli normalmente impiegati;in realtà, la pagina puó essere eseguita su un normale violoncello a quattro corde !, a patto di adottare un impegno tecnico-virtuosistico, a motivo dell’ampiezza del registro (oltre tre ottave), nettamente superiore alla « norma».
47. Le sonate per viola da gamba (BWV 1027-1029). BIBLIOGRAFIA
Christian DÖBEREINER,
Über die Viola da gamba und ihre Verwendung bei
J. S. Bach, in BJ VIII (1911), pp. 75-85.
Se per il violoncello Bach seppe predisporre una raccolta organica e strettamente unitaria, malgrado le particolarità tecniche che distinguono le ultime due suites, per lo strumento a latere, ma non congenere — la viola da gamba — il Kapellmeister realizzò brani indipendenti e non riconducibili ad un preordinato disegno inventivo. Tre sonate con cembalo testimoniano il suo impegno in questo campo, a quell'epoca ancora capace di dare buoni frutti, specie nelle terre francesi
e tedesche, ma
già deprezzato dall’insorgenza di nuove
esigenze
espressive, sicché lo strumento un tempo tanto amato, se non altro
in funzione di sostegno, pareva ormai avviato a chiudere il proprio ciclo storico. Di quelle tre sonate, solo quella indicata convenzionalmente come Sonata I in sol maggiore (BW'V 1027) ci è giunta autografa, ma in parti separate (BB P 226), con la significativa dizione Sonata à Cembalo è Viola da Gamba che pone in evidenza la funzione primaria dello strumento a tastiera. La Sonata II in re maggiore (BWV 1028) è nota attraverso una copia (partitura e parti) realizzata nel 1753 da Christian Friedrich Penzel (BB/SPK P 1057), mentre la Sonata III in sol minore (BWV 1029) esisteva in parti separate autografe, oggi perdute, che nel 1860 erano in possesso della contessa von In-
genheim. È fatto rilevante, comunque, che nessuna delle fonti manoscritte disponibili riporti le tre sonate, provando indirettamente, in tal modo, la « non appartenenza » di queste opere a qualcosa di sistematico. Nella « cappella » di Kóthen la viola da gamba era terra di contesa,
se cosí è lecito esprimersi, fra Christian Ferdinand Abel, che nell'orga-
nico dell'istituzione ricopriva appunto il ruolo di «gambista», e il 631
Köthen (1717-1723)
principe Leopold, che dello strumento era un eccellente dilettante, un degno «virtuoso». All'uno e all'altro, per ragioni diverse ovviamente, Bach prestava la dovuta attenzione, talvolta anche pensandoli uniti nel proporre un discorso musicale, come avviene, ad esempio, nell'ultimo dei Concerti Brandeburghesi, il cui organico prospetta l'uso di due viole da braccia e di due viole da gamba. Abel, in quanto titolare dello strumento nella cappella, potrebbe essere stato, se non il reale destinatario di queste e di altre (perdute) pagine, almeno l'interprete ideale e il ragionevole propagatore. Lo strumentista era in amicizia
con Bach: nato ad Hannover nell'agosto 1682, dal 1714 era membro della cappella di Köthen, nei cui organici rimase sino al 1737, l'anno
del suo pensionamento (morirà a Kóthen il 3 aprile 1761). Una sua figlia, Sophia Charlotta, fu tenuta a battesimo da Bach, lo si & visto, il 10 gennaio 1720, e un altro suo figlio, Karl Friedrich (1723-1787), allievo di Johann Sebastian ed eccellente virtuoso di viola da gamba, diverrà intimo di Johann Christian Bach, il londinese, dando vita insieme con lui, nel 1764, in quella Londra che per tanto tempo li
vide operare uniti, ad un'importante istituzione concertistica '?.
Non era compito del violoncellista — nel caso specifico Linigke — la realizzazione di queste pagine; la separazione fra funzioni e repertorio
di violoncello e di viola da gamba era in quel tempo netta e senza equivoci. E solo con la progressiva scomparsa dello strumento pit
antico, negli ultimi decenni del Settecento, che alla viola da gamba si & opposta l'alternativa del violoncello. Ma si tratta di una violenza perpetrata ai danni della verità storica dal momento che la viola da gamba & un prodotto derivato dall'evoluzione della famiglia rinascimentale delle viole, mentre il violoncello & un risultato della trasformazione del violino e, dunque, solo indirettamente, discende da
quella famiglia. Fra i vari tagli in cui poteva articolarsi la viola da gamba in epoca barocca (Praetorius ne citava cinque), quello più comune cra il tipo detto « basso», munito di sei corde intonate per quarte, alla maniera del liuto, con una terza intermedia: generalmente
RE,-SOL,-DO,-ML-LA,;,-RE;.
Al contrario,
come
si sa, le
quattro corde del violoncello procedono per quinte. Si aggiunga il diverso colore e peso del volume sonoro, che nella viola da gamba è alquanto più delicato e vellutato, anche se meno incisivo e penetrante. Del resto, proprio di questa particolarità timbrica Bach volle rendersi interprete in celebri pagine ad alto contenuto espressivo. Già si è detto della colorazione specifica del Sesto Concerto Brandeburghese (BWV. 1051), in cui due viole da gamba si uniscono in polifonia a quelle da braccia; e già abbiamo discorso di due cantate in cui la viola da gamba interveniva a determinare impasti timbrici di
grande efficacia, in Gottes Zeit ist allerbeste Zeit (BWV 106) del 1707, 632
Köthen (1717-1723)
con due viole da gamba, e in Tritt auf die Glaubensbahn (BWV 152)
del 1714, in cui lo strumento concorreva a formare un « quartetto »
con flauto diritto, oboe e viola d’amore. Ma & opportuno qui antici-
pare che nei primi anni di Lipsia Bach ricorrerä ancora a quel mezzo in due cantate sacre, Die Himmel erzählen die Ehre Gottes (BWV 76) del 1723 e la « Trauer-Ode » Lass, Fürstin, lass noch einen Strahl (BWV
198) del 1727; mentre saltuariamente imporrà la viola da gamba quale
‘strumento
obbligato in altre tre arie: in unione alla viola d'amore
nell'aria per tenore (n. 5) «Frische Schatten, meine Freude» della cantata profana Der zufriedengestellte Aeolus (BW'V 205), nell'aria per contralto « Es ist vollbracht» (n. 58 — NBA 30) della Johannes-Passion e nel recitativo «Ja! freilich will in uns das Fleisch und Blut» e successiva aria per basso « Komm, süsses Kreuz» (nn. 65 e 66 — NBA
56 e 57) della Matthäus-Passion: in quest'ultimo caso (come avviene anche nella Sonata BW'V 1028) Bach ha impiegato una viola da gamba a sette corde (la corda aggiunta, al grave, è un LA,, secondo la tipica accordatura francese — e francese, si noti, & tutto lo stile della pagina — introdotta da Marin Marais). Si osservi, infine, che nelle cantate BWV 76 e 205 e nell'aria della Johannes-Passion la corda piá grave è un DO,, anziché un RE,.
Tipico strumento della « camera », frequentemente impiegato come sostegno (si ricordi, ad esempio, che la raccolta delle sei sonate à Cembalo certato e Violino solo reca la precisazione col Basso per Viola
da gamba accompagnato se piace), la viola da gamba aveva avuto nei paesi tedeschi un grande sviluppo ^. Al tempo di Bach, tre principalmente
erano
i nomi
dei virtuosi e compositori per tale strumento
che monopolizzavano l'attenzione (ma soltanto uno di quelli, probabilmente, era ancora attivo nel momento in cui si collocano le opere
bachiane): August Kühnel (1645 - c. 1700), da ultimo presente alla corte di Kassel; l'olandese Johannes Schenck (1656 - morto in data imprecisata dopo il 1712-16), membro della cappella di corte di Düsseldorf, del quale si conoscono molte opere a stampa; e Ernst Christian Hesse (1676 - 1762), allievo a Parigi dei grandi Robert Forqueray e Marin Marais e maestro di cappella a Darmstadt e a Vienna. Dal punto di vista stilistico e formale le tre opere bachiane si presentano con caratteristiche diverse. Le prime due adottano lo schema della sonata da chiesa in quattro movimenti, con tempi lenti contenuti
in poche battute e tempi allegri (alternati) di piü ampio respiro; la
Sonata III, invece, & tripartita e risente fortemente di un organizzazione del discorso molto simile a quella di un concerto, specie nei
due tempi vivaci, mentre l’adagio centrale & bipartito. In tutte e tre le sonate il cembalo & inteso come strumento concertante, talvolta 633
Köthen (1717-1723)
preminente rispetto alla viola da gamba; il fatto è soprattutto evidente nella Sonata I che Bach ci ha consegnato in due distinte versioni, una per due flauti e continuo (BWV 1039), l'altra per viola da gamba e cembalo (e in quest'ultima versione lo strumento a tastiera riunisce in sé alla mano sinistra la parte del continuo e alla mano destra la parte del primo flauto); quale delle due versioni debba ritenersi prioritaria è questione non risolvibile in via definitiva, anche se la musico-
logia è prevalentemente orientata a qualificare come prima versione quella per due flauti. Alla funzione concertante del cembalo Bach non abdica se non in un paio di occasioni: in due passi dell'andante della Sonata in re maggiore (BWV 1028) e all'inizio del vivace della Sonata in sol minore (BWV 1029). Ne risulta un discorso compatto — a trio — con continui riversamenti dell'apparato melodico dall'una all'altra voce strumentale, secondo rigorose applicazioni contrappuntistiche, in imitazione; ciò è particolarmente evidente nella densa Sonata in sol maggiore (BWV 1027), che elegge l'imitazione a sistema e si conclude
con una vera e propria fuga, poi adattata all'organo dallo stesso Bach
(BWV 10272).
Considerata su un piano inferiore rispetto a quello delle consorelle, la Sonata II è probabilmente la meno interessante, ma — si sa — Bach non tradisce mai la propria missione: la splendida insistenza delle fioriture che ornano l’andante e il vigoroso e incalzante ritmo dell’allegro finale sono pur sempre testimonianze di un magistero altissimo. Infine, la Sonata III: un capolavoro, con un primo tempo in straordinaria espansione, ricchissimo di articolazione ritmica,
geniale nella proposta di strutture concertanti, in un tumulto di « pittoresche » immagini che già allo Spitta avevano suggerito l’idea d'una composizione «in stile magiaro ». Di grande bellezza è anche il breve adagio bipartito, dalla trama lievissima. E il finale è d’una straordinaria
ricchezza tematica,
nella quale l’arte del cantabile si
esplica in completa evidenza. La struttura formale sulla quale si regge la composizione è quella tipica del concerto, come si è già detto, ma con un movimento centrale bipartito. Ciò ha indotto Ulrich Siegele a prospettare un'ipotesi ardita, ma non assurda: la sonata — e la considerazione vale specialmente nei confronti del primo movimento — sarebbe una rielaborazione o riduzione di un concerto che all’attenta analisi del Siegele parrebbe essere stato scritto originalmente per due flauti traversi. La congettura non è avventata e, quantunque difficilmente suscettibile di approfondimento, conferma il poderoso lavoro di riattamento cui Bach sottoponeva la propria opera, utiliz-
zandone parti e spezzoni con diversa veste strumentale (o vocale), senza per questo inficiarne l'originale valore, ma semmai esaltandone 634
Köthen (1717-1723)
le funzioni in una rigogliosa multiplicatio delle qualità inventive. Del resto, proprio in tema di sonate per viola da gamba si deve anticipare qui ciò che si dirà a proposito delle opere per flauto: una
non peregrina tesi proposta da Eppstein sostiene che tutte e tre le
sonate bachiane per viola da gamba sarebbero adattamenti di opere originariamente scritte per coppie di strumenti melodici (flauti, appunto), mentre recentemente Werner Thomas ha proposto una realizzazione delle sonate in una versione per tre violoncelli.
48. Le composizioni per flauto (BWV 1013; 1030-1039). BIBLIOGRAFIA John Francis, What Bach wrote for the flute; and why, in « Music & Letters » XXXI (1950), pp. 46-52; Hans-Peter SCHMITZ, Querflöte und Querflótenspiel in Deutschland während des Barockzeitalters, Bärenreiter, Kassel 1954 (19582); Ip., Marginalien zur Bachischen Flötenmusik, in Musa-Mens-Musici. Im Gedenken am Walther Vetter, a cura di Heinz WEGENER, Institut für Musikwissenschaft der Humboldt-Universität zu Berlin, Leipzig 1969, pp. 169-172; Hans EPPSTEIN, J. S. Bachs Triosonate G-dur (BWV 1039) und ihre Beziehungen zur Sonate für Gambe und Cembalo G-dur (BWV 1027), in «Die Musikforschung» XVIII (1965), pp. 126-137; In., Über J. S. Bachs Flötensonaten mit Generalbass, in BJ LVII (1972), pp. 12-23; Amy Dowzr-DiÉNv, Le premier mouvement de la Sonate BWV 1034 pour flüte et clavecin en mi mineur de J. S. Bach, in « Schweizerische Musikzeitung » CXIX (1979), pp. 12-17. NBA/KB, VI/3 (Hans-Peter Schmitz, 1963).
La famiglia dei Freytag era fedele servitrice della corte di Kóthen. Il pater familias, Johann, lacchè nel 1695, era uno dei tre musici « privi-
legiati» che Gisela Agnes von Rath aveva chiamato al Hofmusikant il 17 ottobre 1707. Dei due figli noti, l'uno — Heinrich Gottlieb — ricoprí a lungo la carica di violinista, al 1754, data dello scioglimento della cappella di corte; l'altro Heinrich —
posto di Emanuel dal 1716 — Johann
fu assunto come primo flauto anche lui nel 1716, ma
ebbe troncata la carriera da una morte precoce, nel 1728. E per quest'ultimo dei Freytag che, verosimilmente, Bach apprestó il complesso di opere per flauto a noi pervenute, opere che sono tutte concepite per lo strumento traverso, il Querflöte (perla prima volta
utilizzato a Köthen), e non, per la meno aristocratica versione dal taglio diritto, il Blockflóte, prediletto dai maestri tedeschi (Zachow, 635
L i
Köthen (1717-1723)
Keiser, Hesse, Telemann, Mattheson, Heinichen) che in quel tempo
fornirono il primo repertorio allo strumento. Il quadro d'insieme offre, oltre all'Ouverture in si minore (BWV
1067) che, come si & visto, concede ampia funzione solistica a quello strumento, nove composizioni ^: quattro sonate per flauto e cembalo obbligato
(BW'V 1020, 1030, 1031, 1032), tre sonate per flauto e
basso continuo (BWV 1033, 1034, 1035), una sonata per due flauti e continuo (BWV 1039), una partita per flauto solo (BWV 1013). Tuttavia, tre delle opere citate sono opere di assai dubbia autenticità, quando non si tratta addirittura di apocrifi; la questione riguarda le
sonate BW V 1020 (che già abbiamo elencato fra le opere violinistiche), 1051-e^ 1053; La Sonata in sol minore BWV 1020, che sulla base di un manoscritto
risulterebbe essere stata scritta per violino, ma che rivela inequivocabile impronta flautistica, & talvolta indicata come opera giovanile di Bach: nessun dato certo puó confermare una simile ipotesi che vorrebbe difendere ostinatamente l'autenticità dell'opera confinandola in una fase creativa ancora immatura, anche se fornita di pregevoli qualità, come avviene ad esempio nell'ampio finale (250 battute) in cui protagonista è il cembalo, o nell'insieme dell'opera, che è concepita in chiave tripartita, analoga a quella del concerto di stile italiano. La Sonata in mi bemolle maggiore BWV 1031 riflette, in modo più marcato di quella precedente, il gusto per il concerto tripartito con figure che si allontanano dallo stile barocco per avvicinarsi sensibilmente a quello « rococò », allo stile galante. La parte del flauto presenta difficoltà tecniche certamente non comuni e la concezione virtuosistica sembra costituire la ragion d'essere dell'intera sonata che, nel suo complesso,
quantunque estranea allo stile di Bach (e, dunque, spuria) costituisce uno degli esempi pit affascinanti dell’arte flautistica settecentesca. La Sonata in do maggiore BWV
1033, infine — a differenza delle due
precedenti — presenta il cembalo non come strumento concertante, ma come strumento realizzatore del basso numerato. La sonata, che
è piena di grazia, è quasi sicuramente apocrifa: la struttura formale è nettamente diversa da quella che si riscontra in tutte le composizioni del gruppo e rispecchia uno stile arcaico; con la sua coppia conclusiva di minuetti, poi, rivela chiaramente la propria derivazione dalla suite ®. Tutte le restanti composizioni, in numero
di sei, sono autentiche.
Due (BWV 1030 e 1032) sono sonate in cui il cembalo interviene in funzione concertante. La prima di queste, la Sonata in si minore, è pervenuta autografa (BB P 975) ed è stata pubblicata per la prima volta dall'editore Körner a Erfurt nel 1855 proponendo in alternativa al flauto la concertina, un genere di fisarmonica (!) brevettata dal londinese Wheatstone nel 1829 in tagli diversi e sui quali si potevano eseguire 636
Köthen (1717-1723)
le opere concepite per il violino o il flauto. La destinazione per il flauto è pacifica nell'autografo, mentre in due delle altre quattro fonti manoscritte è prevista l'alternativa col violino. Nell'ambito delle composizioni bachiane per flauto, è questo forse il capolavoro. La versione a noi giunta è attribuibile al 1735 circa, ma quella originale,
in sol minore (della quale si conosce la sola parte del cembalo) era stata scritta sicuramente a Kóthen, forse per un altro strumento melodico, l'oboe !°. Opera magistrale, questa sonata si presenta in quattro movimenti, con un primo brano straordinariamente ampio, in tempo
andante, condotto con un gusto ornamentale ricchissimo di imitazioni
canoniche. Se questo primo movimento ha carattere rigorosamente
concertante, il secondo invece — un largo e dolce bipartito — è prettamente solistico e apre vistosi spazi melodici al flauto. Un presto prelude ad un finale risolto su effetti ritmici trascinanti sul tipo della giga (in 12/16) e costruito sull’ambivalenza dei due strumenti, in un dialogo
serrato e lineare che sottolinea il fine virtuosistico della pagina. La Sonata in la maggiore BWV
1032, quantunque
conosciuta nel-
l'autografo (insieme con la versione per due cembali, BWV 1062, del Concerto per due violini BWV 1043), — ma il manoscritto (già
BB P 612) è andato smarrito dopo i disastri dell’ultima guerra — presenta una vistosa lacuna nel primo tempo: il manoscritto, sicuramente tardivo (degli anni di Lipsia, intorno al 1736), s'interrompeva alla misura 63; a completare la pagina di cui si conoscevano le due
battute conclusive mancherebbero circa 46 misure !”. Carattere concertante
e virtuosismo
dominano
la sonata che, dopo un secondo
tempo cantabile, presenta un allegro di concerto splendidamente articolato. E da notare che del secondo movimento esiste una versione per violino, violoncello e continuo che a metà del Settecento fu utilizzata come un movimento centrale di un « Concerto » a tre i cui tempi estremi erano stati ricavati dai corrispondenti brani della Sonata in mi bemolle maggiore BW V 525 per organo (o cembalo con pedaliera) '*. A questa coppia di sonate col cembalo concertante fa da contraltare simmetrico un altro dittico costituito dalle Sonate BWV 1034 e 1035, pubblicate per la prima volta (Peters, Leipzig 1865) con l'indicazione «für Flóte oder Violine» del tutto arbitraria (ma giustificata
dalla personalità del curatore, il grande violinista Ferdinand David). Le due opere sono stilisticamente e formalmente differenziate, la qual cosa ha indotto Hans Eppstein — sulla base di un documento certo (BD III, Anh. I 3) — a sostenere la tesi d'una diversa collocazione nel
quadro della cronologia bachiana. La Sonata in mi minore BWV 1054
(di cui mi limito a indicare le due fonti principali: la copia esistente nella
Musikbibliothek der Stadt Leipzig, Ms R 17, che si vorrebbe realiz-
zata da Wilhelm Friedemann Bach, e quella contenuta nell'antologia 637
DUM 1
Köthen (1717-1723)
di Kellner, BB/SPK P 804) ? nello stile da chiesa e senza dubbio appartiene al momento
creativo di Köthen; la Sonata in mi maggiore
BWV 1035, e invece nel tipo da camera e potrebbe essere stata scritta all'epoca di una delle due documentate visite compiute a Potsdam (nel 1741 e nel 1747) presso Federico di Prussia. Le intestazioni di due dei tre manoscritti che ci hanno tramandato l'opera indicano il nome di un destinatario: il cameriere segreto del principe elettore, Michael Gabriel Fredersdorf (1708-1758), dilettante di flauto; in una di queste copie (BB/SPK P 622) si legge: «nach dem Autographo des Verfassers welches o.17 da er in Potsdam war, für den Geh. Kämmerir Fredersdorf von ihm angefertigt worden »; la data tronca potrebbe essere letta 1741 o 1747. Secondo lo Schmitz l'opera risalirebbe al tempo di Kóthen e la copia sarebbe stata realizzata in occasione di una visita a Potsdam; il 1740.
Eppstein, al contrario,
sostiene la datazione
dopo
In ogni caso, c' da rilevare la singolarità dell'opera che, dopo un adagio ma non tanto iniziale, nel tipico stylus phantasticus, comporta tre movimenti bipartiti che hanno spiccate caratteristiche di danza: un allegro concepito come un rigaudon, un siciliano e un allegro assai in stile di polonaise. Secondo Eppstein questo modo d'intendere la sonata contrasterebbe nettamente con la tendenza sempre espressa a Kóthen (e poi ancora nei primi anni di Lipsia con le sonate per organo) di adottare un unico modello sonatistico, quello da chiesa, appunto.
A. questa osservazione, in sé esatta, si potrebbe obiettare tuttavia che negli ultimi due decenni Bach abbandonó del tutto lo stylus choraicus e bandí dalla propria concezione quelle Galanterien che proprio allo spirare dell'età barocca avrebbero invaso il mondo musicale e dato un nuovo carattere al gusto del tempo. Sul piano stilistico, poi, occorre tener presente che la semplificazione della scrittura non va a scapito del carattere concertante dei movimenti in tempo allegro: ci si trova di fronte a qualcosa di non troppo discosto dall'impalcatura che sorregge l'Ouverture in si minore (BWV 1067), con lo scopo forse calcolato di fornire al flauto una alternativa allo stile italiano delle sonate da chiesa (e in questo senso & esemplare proprio la Sonata in mi minore BW'V 1034) calcando il versante francese: del resto, Eppstein ha messo in evidenza l'affinità del rigaudon (secondo movimento) della Sonata BW V 1035 con il rigaudon del quarto Concert royal di Couperin. L'edizione parigina della raccolta di Couperin & del 1722: e non & forse questa una data che offre un motivo in piá per collocare la discussa sonata nell'ultima fase del periodo di Köthen? Al di là di ogni considerazione
di cronologia,
tuttavia, emerge
un
fatto: l'arte di
abbellire la melodia & chiaramente affermata in queste pagine bachiane, ma artifici ed effetti spettacolari non sono clementi esteriori di 638
Köthen (1717-1723)
sovrapposizione o alterazione della linea melodica; al contrario, ne
costituiscono l'ossatura, la stessa ragion d'essere e insieme ne sottolineano la natura «vocalistica» la sapiente applicazione dell'arte del cantabile a strumenti melodici. Il linguaggio puramente melodico & dunque la componente primaria di queste sonate, una componente che trova modo di trasformarsi in fattore unico nel caso della Partita in la minore BW V 1013. La composizione è scritta per il flauto solo e ci è pervenuta attraverso un manoscritto (BB/SPK P 968) che & opera di due diversi copisti e che contiene anche il ciclo delle sonate e partite per violino solo; in un primo tempo, si noti, l'opera fu ritenuta non autentica, e poi
con certezza è stata rivendicata a Bach. La copia manoscritta di questo Solo pour la Flute traversiere potrebbe essere stata redatta negli anni 1722-23, ma l'opera & probabilmente anteriore di qualche anno. Resa di pubblico dominio nel 1917 in una edizione pubblicata dalla Peters a cura di Maximilian Schwedler (primo flauto dell'orchestra del Gewandhaus di Lipsia) e con un accompagnamento pianistico ad libitum del Thomaskantor Gustav Schreck, la Partita & stata anche
ritenuta opera non originale, scritta forse per qualche altro strumento (il violino in particolare) e poi trasferita sul flauto. La singolarità della pagina, totalmente priva di accompagnamento, balza evidente anche se non si deve trascurare il fatto che per il flauto solo avevano già scritto o stavano per scrivere autori come
Hotteterre, Telemann
e Bodinus. Non ha fondamento l'ipotesi che l'opera possa essere stata composta per il celebre flautista francese Pierre-Gabriel Buffardin, che dal 1715 al 1749 fu attivo presso la cappella di corte di Dresda. Strutturata come
una suite (ma con un brano conclusivo anomalo,
una Bourée Angloise), la composizione consta di quattro tempi, tutti di notevole bellezza: ancora una volta si deve sottolineare che l'organizzazione del pensiero musicale intorno alle possibilità tecniche offerte dallo strumento non si contrae in un semplice decorativismo, ma le ragioni dell'esuberante fantasia bachiana e del suo miracoloso razionalismo sono fatte valere assecondando i riflessi d'una sensibilità espressiva magistrale. Anche la Sonata in sol maggiore BW V 1039 per due flauti e continuo non & autografa: la fonte principale (BB St 431), dovuta a due distinti copisti, riporta una composizione che nel catalogo bachiano — lo si & già visto — & elencata anche sotto un altro apparato strumentale,
in veste di Sonata, sempre in sol maggiore, per viola da gamba e cembalo
(BWV
1027). Si tratta, dunque, di un'opera che ha cono-
sciuto due diverse soluzioni strumentali, la prima delle quali — come abbiamo già avuto occasione di dire — è probabilmente quella flautistica. 639
ey
Köthen (1717-1723)
Trio è la qualifica che l'opera riceve nella fonte di cui si diceva,
una fonte che conserva la composizione in parti separate: & la terminologia corrente nelle copie bachiane per opere di questo genere, sia nel caso in cui gli strumenti melodici siano due, sostenuti da un basso, sia quando uno solo & lo strumento
del canto e al cembalo
è affidato un doppio ruolo di strumento concertante e accompagnatore ad un tempo. Nella versione con la viola da gamba il cembalo riunisce in sé alla mano sinistra la parte del continuo e alla destra la parte del primo flauto, mentre lo strumento ad arco traduce la parte | del secondo flauto. Lo schema della sonata da chiesa &, ancora
una
volta, quello prediletto: l'imitazione in quanto tecnica contrappuntistica vi & eletta a sistema e una vera e propria fuga (che Bach ha anche trasformato in Trio per organo, BWV
1027a) conclude l'opera;
ma pagine grandissime sono i due tempi lenti, l'adagio di apertura è come un'aria di cantata e il terzo movimento, adagio e piano, & un arioso costruito sul mormorio incessante di un arpeggio ascendente.
Secondo Eppstein, il caso della Sonata BWV 1027 pervenuta in due distinte versioni strumentali & unico nella produzione bachiana di questo tipo per la sola ragione che sarebbero venute a mancare altre prove dirette e concrete di una prassi che, invece, dovette essere abbastanza generalizzata. In altre parole, Eppstein sostiene che anche
le due restanti sonate per viola da gamba (BWV 1028 e 1029) sono trascrizioni da trii strumenti melodici raccolto da qualche si è artificiosamente
concepiti originariamente per una coppia di e basso continuo. Il suggerimento critico é stato solerte « ricostruttore » !° e in tal modo, pertanto, arricchito il repertorio flautistico bachiano, con
risultati forse discutibili, ma
indubbiamente
interessanti e di certo
non troppo lontani da una realtà storica di cui è opportuno avere
adeguata coscienza.
640
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CAPITOLO
QUINTO
Le composizioni per strumento
a tastiera
49. L’esperienza del Klavierbüchlein (le antologie per Wilhelm Friedemann e per Anna Magdalena). BIBLIOGRAFIA: vedere anche $ 21. Reinhard Opper, Die neuen deutschen Ausgaben der zwei-und dreistimmigen Inventionen, in BJ IV (1907), pp. 89-102; H. Nıcorassen, Die beiden Klavierbüchlein der Anna Magdalena Bach, in « Leipziger Zeitung », 5-V-1913; Werner DANCKERT, Die A-dur-Suite in Friedemann Bachs Klavierbuch. Grundsätzliches zur Stilkritik, in « Zeitschrift für Musikwissenschaft » VII (1924/25), pp. 305-312; Fritz Jópg, Die Kunst Bachs, dargestellt an seinen Inventionen, G. Kallmeyer, Wolfenbüttel 1926 (cfr. anche recensione di Rudolf STEGLICA, in BJ XXVII [1926], pp. 159-165); Kurt von FiscHer, Zum Formproblem bei Bach. Studien an den Inventionen, Sinfonien und Duetten, in Bach-Gedenkschrift 1950, a cura di Karl MarrHaz, Atlantis Verlag, Zürich 1950, pp. 150-162; Erwin RATZ, Einführung in der musikalischen Formenlehre. Über die Formprinzipien in den Inventionen J. S. Bachs und ihre Bedeutung für die Kompositionstechnik Beethovens, Österreichischer Bundesverlag, Wien 1951 (19739); Siegfried Borrıs, Das Bearbeitungsverfahren bei den 11 Praeludien im Friedemann-Bach- Buch, in «Die Musikforschung » V (1952), pp. 50-53; Alvin Jounson, Un VET de J. S. Bach en la Universidad Yale, in « Revista de Estudios Musicales» III (1954), pp. 259-270; Fritz REUTER, Einführung in die zweistimmigen Inventionen Bachs, in Festschrift Max Schneider zum 80. Geburtstage, a cura di Walther VETTER, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1955, pp. 153-155; Johann Nepomuk Davip, Die zweistimmige Inventionen von J. S. Bach, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1957; Ip., Die dreistimmige Inventionen von J. S. Bach, id. 1959; Ralph KIRKPATRICK, prefazione a J. S. Bach, Clavierbüchlein vor Wilhelm Friedemann Bach. Edited in fac-simile, Yale University Press, New Haven, Conn., 1959;
641
Pe
Köthen (1717-1723) Werner Breic, Zur Harmonik von Bachs f-moll-Sinfonia (BWV 795), in Erich Doflein, Festschrift zum 70. Geburtstag, Schott, Mainz 1972, pp. 17-26; James B. Vassan, The Bach two-part inventions. A question of authorship, in « The Music Review» XXXIII (1972), pp. 14-21; Sigismund TopugTA, Formule muzicale ale barocului în operele lui J. S. Bach, vol. II (15 inventiuni la doud voci, 15 invenfiuni la trei voci), Editura muzicalä, Bucaresti 1973. NBA/KB, V/4 (Georg von DADELsEN, 1957) NBA/KB, V/5 (Wolfgang von PLATH, 1963)
La forzata rinuncia alla musica da chiesa, al servizio divino in quanto
espressione anche musicale, se per il fido e credente Kapellmeister poteva rappresentare una diminutio, una mortificazione della. funzione, per il praeceptor musicae poteva costituire, invece, la conquista di uno
spazio prezioso e di cospicue dimensioni nel quale riversare le altre risorse del temperamento artistico. La «camera » del principe — per quanto ampie e generose potessero essere le disponibilità di tempo — non era in grado di esaurire la giornata del musicista, il quale, liberato ufficialmente dalle incombenze ad horam della « chiesa », si era egual-
mente data una disciplina (non v'è altro modo di spiegare la sua dedizione alla musica teorica e didattica), non volendo privarsi, col sottrarre
all'arte l'esperienza pedagogica, anche del gusto per l'indottrinamento diretto, per la trasmissione di quegli elementi stilistici dai quali infine si poteva riconoscere la qualità di una scuola, di una scelta e di una
condotta artistica. L'attività precettistica, a differenza di quanto accadde a Weimar € accadrà in misura ancora maggiore a Lipsia, era esercitata soprattutto
in famiglia, per l'istruzione ed educazione dei primi figli, quelli nati dal matrimonio con Maria Barbara, e per una garbata attenzione nei confronti della nuova sposa, la quale alla musica era già stata ampiamente educata, ma aspirava a esercitarsi in quell'arte per la delizia e,
insieme, l'edificazione morale della nuova famiglia, nella quale ella era entrata con virginale discrezione. Fuori dell'ambito in cui Bach esercitava gli affetti famigliari, il musicista aveva — a quanto sembra — rare occasioni per manifestare in maniera conveniente l'altro volto della sua esperienza professionale, quello del magister che impartiva insegnamenti non a giovani principianti, ma a persone che talvolta
alla maturità degli anni potevano aggiungere già il vanto d'una posizione in qualità di organista o Kantor. In mancanza
d'una più approfondita
documentazione,
si deve
supporre, dunque, che i frutti e le risorse della vocazione didattica bachiana siano stati gli uni colti e le altre sfruttate — durante gli anni di Kóthen — prevalentemente nella cerchia famigliare e che molte 642
Köthen (1717-1723)
manifestazioni di quella vocazione siano state realizzate ad personam,
pensando non ad un allievo in astratto.e senza fisionomia, maád un
musicista in fieri, colto nel momento dello sviluppo è appartenente
| al proprio ambiente. Una cronologia delle opere per strumenti a tastiera che sono state realizzate a Köthen non è possibile: il discorso pare intrecciarsi con quello già intrapreso a Weimar, cosí da rendere spesso incerto e vano ogni tentativo di individuare l'ambiente di nascita. E anche l'aggancio con la successiva produzione del periodo di Lipsia, nel quale tutto pare acquistare contorni più netti e organizzarsi secondo modalità esplicite, di rigorismo scientifico e di precisione nei particolari, deve essere tenuto presente. La matrice di tutta la produzione cembalistica degli anni di Kéthen sembra doversi individuare in due raccolte ad uso prettamente famigliare e congegnate in modo da fornire uno strumento di lavoro lungo determinate direzioni. La prima di queste antologie è quella che porta il titolo Clavier-Biichlein vor Wilhelm Friedemann Bach (cfr. BD I, 149). L'originale, scritto in parte da Johann Sebastian e in parte da Wilhelm Friedemann, reca una precisazione cronologica: «iniziato in Cóthen il 22 gennaio 1720». Il manoscritto era rimasto nelle mani di Wilhelm Friedemann sino al 1746, seguendolo dunque anche nel suo trasferimento (1733) a Dresda; entrò poi in possesso di Johann Christian Bach [75], da non confondere con l'omonimo
fratello di Wilhelm Friedemann — quello era figlio di Georg Michael [52], Kantor di S. Ulrico ad Halle — che dell’originale destinatario del Clavier-Biichlein era allievo (si spiega in tal modo il passaggio dall’una all’altra mano). Morto Johann Christian nel 1814, il manoscritto fu più volte oggetto di compravendita, sino a quando fu acquistato, nella primavera del 1932, dalla Library of the School of
Music della Yale University (New Haven, Connecticut). L'antologia si apre con due «tavole» didattiche: la spiegazione delle tre maniere di indicare — come si esprime la terminologia medievale
—
le claves signatae (secondo i segni, cioè, delle chiavi
di SOL, DO, FA) e una explication (cioè scioglimento) di 13 segni di abbellimento. Le composizioni sono in numero di 63 (ma la n. 1 è una Applicatio, BWV
994, consistente nella dimostrazione di un
modello di diteggiatura in cui Bach, contro le consuetudini del tempo, introduce l’uso del pollice e conserva lo scomodo passaggio del terzo dito sul quarto); 5 brani con tutta probabilità dovrebbero ascriversi a Wilhelm Friedemann (pur potendosi facilmente immaginare l'apporto di Johann Sebastian): i nn. 6, 7, 26, 27, 28 (rispettivamente: BWV 836, 837, 924a, 925, 932). Tre pagine sono opera di altri autori:
il n. 25, Pièce pour le Cavecin composée par J. C. Richter * (si tratta d'una 643
Köthen (1717-1723)
parte di suite consistente di una Allemande e di una Courante); il n. 47 (BWV 824), che & una Suite in la maggiore (Allemande, Courante, Gigue) riconosciuta come
opera di Telemann;
e il n. 48, Partía di
Signore Steltzeln, cioè Gottfried Heinrich Stólzel* (formata da Ouverture, Air Italien, Bourrée, Menuet,
quest'ultimo fornito di un Trio
espressamente scritto da J. Sebastian, BWV 929). Per altri tre brani, i nn. 11, 12, 29 (BWV 841, 842, 931) l'attribuzione a Johann Sebastian potrebbe essere posta in discussione, particolarmente per l'ultimo, un Praeludium di 8 battute ricche di agréments, che potrebbe essere opera di un maestro francese (e a tal proposito si son fatti i nomi di d'Anglebert, de Grigny, Dieupart e Le Roux).
Le restanti composizioni — in numero di 52 — sono opera di Johann Sebastian. Alcune pagine sono allo stato di frammento (mancano, in genere, poche battute) o perché sono andati perduti dei fogli (sono i casi dei nn. 7 — BWV 837; 62 — BWV 789; 63 — BWV 788; quest'ultima composizione manca del tutto, essendo stati dispersi gli
ultimi due fogli del manoscritto originale, ma la ricostruzione & stata possibile in base ad altre fonti) o perché nel copiare al luogo « giusto » isingoli pezzi & venuto a mancare, talora, lo spazio: sono i casi dei
nn. 5 (BWV 753), 17 (BWV 850), 20 (BWV 856), 23 (BWV 853), 24 (BWV 857), 25 (1 e 2 della suite di Richter), 28 (BWV 932),
30 (s. n. BWV). Occorre considerare, infatti, che l'antologia è stata predisposta lungo un arco di tempo abbastanza ampio e che ad ogni composizione
& stata assegnata una posizione ben precisa, secondo
un'organizzazione della materia chiaramente preordinata. Sotto il profilo della cronologia, la critica testuale ha riconosciuto che l'antologia dovette essere compiuta entro la primavera del 1723 (al momento, dunque, del trasferimento a Lipsia), ma che vi furono anche alcune
successive aggiunte, che si collocano negli anni 1725/26 al massimo (è quanto riguarda i nn. dal 25 al 29). Sotto il profilo contenutistico, invece, bisogna tener presente la reale destinazione dell'opera, che non era quella di fornire una serie di esercizi tecnici, in ordine progressivo di difficoltà, per l'uso della tastiera, bensí di indicare dei
modelli ed esercizi di composizione, in alcuni tipici generi della Hausmusik: dall'elaborazione di un corale (Wer nur den lieben Gott lässt walten, n. 2=BWV
691; Jesu, meine Freude, n.
5 — BWV
753;
entrambi scritti nello stile del contemporaneo Orgelbiichlein) alla suite cembalistica (i già citati numeri 25, 47, 48 di altri autori), dalle danze isolate (le allemande nn. 6 e 7 = BWV 836 e 837; i minuetti nn. 11,
12, 15 = BWV 841, 842, 843) alla fuga a 3 voci (n. 31 = BWV 953) al semplice basso (n. 30, non indicato in BWV) da realizzare. Tali tipi di composizione, tuttavia, figurano nella raccolta a livello di esem-
plificazione sommaria ed occasionale: ben altro spazio hanno i tre
644
Köthen (1717-1723)
titoli maggiormente ricorrenti, praeludium, praeambulum e fantasia. Una serie di 11 praeludia occupa i nn. dal 14 al 24 (ma altre 6 com-
posizioni con quel titolo si trovano ai numeri 4, 10, 26-29): si tratta
di preludi che ritroveremo nel Libro I del Clavicembalo ben temperato. Una serie di 15 praeambula occupa i nn. dal 32 al 46 (altre 3 compo-
sizioni del genere figurano ai nn. 2, 8, 9, ma queste sono pagine di
ben meno evidente rigore costruttivo); con diverso ordine, questi 15 praeambula corrispondono alle invenzioni a 2 voci (BWV 772-786) figuranti in un altro manoscritto autografo (BB P 610) del 1723.
Una serie di 15 fantasie, infine, occupa 1 nn. dal 49 al 63; anche in
questo caso vi è corrispondenza (salvo il diverso ordine di disposizione) con le sinfonie a 3 voci (BWV 787-801) contenute in quel medesimo testo autografo. I tre gruppi di lavori, pertanto, esplorano in diversa maniera il mondo della composizione a più voci, per imitazione o per figure ricorrenti. I praeambula delincano lo stile a 2 voci, le fantasie
quello a 3 voci, mentre ai praeludia è demandato il compito di dipanare un discorso più libero, dalla scrittura mutevole, secondo specifiche «qualità », moduli inventivi e fattori tecnici particolari, quali, ad esempio, il moto continuo a mani unite per figure parallele, la scansione
per terzine o per quartine, gli accordi spezzati, le proposte alternate, l'arpeggiato e altre ancora. In Nomine Jesu (abbreviato in J. N. J.) è il motto che apre la serie dei praecepta, delle brevi esemplificazioni. Con gli undici praeludia, che costituiscono il primo gruppo omogenco di composizioni, l’allievo viene posto in condizione di riflettere sull'elasticità e ampiezza del concetto di praeludium, di brano cui spetta il compito di preparare il ludus, il giuoco che si farà costruzione e architettura regolata da rigidi procedimenti: e, infatti, quelle proposte saranno convenientemente immesse nel Libro Primo del Wohltemperiertes Klavier, di cui anticipano — almeno sul piano dei preludi — il progetto di progressione tonale, che nei praeludia del Klavierbüchlein risulta coperto per metà (dal do maggiore al fa minore), con la sola mancanza del mi bemolle maggiore (il n. 7 — BWV 852, del Wohltemperiertes Klavier). Anche nel Klavierbüchlein l'impostazione & per gradi tonali progressivi, ció almeno sino al Praeludium 7, ultimo numerato: i restanti quattro praeludia (8-11) non portano numerazione nel manoscritto originale. Ecco come si presenta il piano, cui aggiungo per completezza la corrispondenza nel Clavicembalo ben temperato: Wohltemperiertes Klavier, I
Klavierbiichlein
N.
14
(1
do maggiore (BWV 846a) =
15
|2
do minore
E
645
i (BWV 846) 2 (BWV
847)
Köthen (1717-1723)
N. 16
3 re minore
LA
|4 re maggiore
= =
18
5 mi minore
19
|6 mi maggiore
20
Wohltemperiertes Klavier, I
Klavierbüchlein
(BWV
855a)
=
=
6 (BWV 851) 5 (BWV 850) 10 (BWV
855)
9 (BWV 854)
7 fa maggiore
=
21 \ (8) do diesis maggiore
=
3 (BWV 848)
11 (BWV
856)
22
|(9) do diesis minore
=
4 (BWV 849)
23
(10) mi bemolle minore
=
8 (BWV 853)
24
(11) fa minore
=
12 (BWV 857)
È certamente qualcosa di più di un progetto in embrione quello che qui si manifesta, ma che Bach con tutta probabilità ritenne logico interrompere, essendosi già impegnato nella formulazione del più complesso e completo disegno del Wohltemperiertes Klavier. Praeludia, in genere di più modeste dimensioni e di minori pretese, sono quelli che il Klavierbiichlein porta ai numeri
4, 10, 26-29, piccoli esercizi
parte dei quali (i nn. 26-29) — come si è visto — dovrebbero essere opera di Wilhelm Friedemann. Composizioni di questo tipo, tendenti a sviluppare certe possibilità inventive (pit che certe qualità esecutive), ci sono state tramandate anche al di fuori del Klavierbüchlein: nelle raccolte didattiche per i principianti figurano sempre, accanto ai praeludia dell'antologia per Wilhelm Friedemann, altri 11 piccoli preludi (BWV 933-943) che dovrebbero tutti farsi risalire al periodo di Kóthen (anche se, ad esempio, per l'ultima di queste pagine si propone la datazione di Arnstadt, 1703-1707). Diverso è il caso dei praeambula e delle fantasie, corrispondenti rispettivamente alle invenzioni e alle sinfonie dell'autografo (BB P 610), presumibilmente ancora vergato a Köthen, del 1723. Questo manoscritto ripropone in diversa prospettiva tonaleidue cicli di quindici composizioni, con il duplice intento di fornire un metodo esecutivo e proporre una maniera compositiva, come dice l'intestazione autografa (BD I, 153): Guida veridica, mediante la quale si indica ai dilettanti della tastiera (Clavires), ma specialmente a coloro i quali sono desiderosi di apprendere, un metodo [Art] chiaro, non soltanto (1) per imparare a suonare correttamente a 2 voci, ma anche con ulteriori progressi (2) a procedere giustamente e bene a 3 parti obbligate, e inoltre a ottenere al tempo stesso non solo delle buone inventiones, ma
646
Köthen (1717-1723)
anche a ben eseguirle, e soprattutto ad acquisire nell'esecuzione una maniera cantabile e inoltre ad impadronirsi sin dall'inizio di un solido gusto nei confronti della composizione. Predisposta da Joh:Seb:Bach Anno Christi 1723, etc.
Capellmeister della corte di Anhalt-Cóthen
L'ordinamento tonale (che abbraccia solo le tonalità piá usuali) tiene conto, nel caso del Klavierbüchlein, della successione crescente da DO al SI e decrescente da SIba DO, mentre nell'autografo del
1723 è prospettata la progressione unica da DO a SI, col sistematico accoppiamento di modo maggiore e modo minore. Nel caso del Klavierbüchlein si noterà, inoltre, che la distribuzione delle tonalità
maggiori e minori & determinata da una organizzazione di tipo geometrico e da interne simmetrie regolate dalla disposizione dei segni in chiave. La seguente tabella rende ragione del duplice ordo voluto da Bach: Praeambula - Fantasie
Invenzioni
Sinfonie
BWV
BWV
ii
| do |maggiore
2
787
. do maggiore
2b
Ic minore
773
788
| do minore
9 È
| mi |minore
774
789
re maggiore
4
fa |maggiore
775
790
5 #
sol |maggiore
776
791
mi bem. maggiore
yiri)
792
mi maggiore
778
793
|bem. maggiore
779
794
fa maggiore
|maggiore
780
795
fa minore
781 782
796 797
sol maggiore sol minore
6
©
|la
|minore
7 Hn
A
si
|minore
8bb
9 gm
'[si
la
ta;
| re minore
mi minore
10 bb 11 bbbb
ol ininore |fa minore
12 Hg
mi |maggiore
783
798
la maggiore
13 bbb
mi |bem. maggiore
784
799
la minore
14 Hn
re
785
800
si bem. maggiore
15 bb
do |minore
786
801
si minore
|maggiore
647
Köthen (1717-1723)
La terminologia impiegata per designare i due tipi di composizione & solo parzialmente in linea con quella usuale ai tempi di Bach. Cosi, l’espressione praeambulum, usata nel Klavierbüchlein, & volutamente arcaica e si riallaccia a quella prediletta dai primi organisti tedeschi (si pensial Fundamentum. organisandi di Conrad Paumann, 1452), mentre il termine sinfonia (cui corrisponde quello di fantasia nel Klavierbüchlein) richiama concetti di generica organizzazione musicale, ma in realtà sottintende una specifica articolazione contrappuntistica. Diverso & il caso del termine inventio (usato in sostituzione alternativa a praeambulum) che ha alle proprie spalle una storia ricca di contraddizioni e di svariate applicazioni: Bach lo intende nel senso di artificio, di experimentum contrappuntistico, quale si ritrova in quelle che Giovanni Battista Vitali chiama le «invenzioni curiose» (cfr. la raccolta Artificii Musicali ne quali si contengono canoni in diverse maniere, contrapunti dopii, inventionj curiose, capritii, è sonate op. XIII, Modena 1689) e non
nel senso di cui sono testimonianza le invenzioni di Francesco Antonio Bonporti (Invenzioni a violino solo e basso op. 10, Bologna 1712) *.
L'adozione di una terminologia in sé « vaga» e polivalente trova una evidente giustificazione nel variato carattere delle composizioni, le quali non si possono ricondurre né ad una condotta stilistica unica, né ad una sola forma o struttura inventiva. In taluni casi ci si trova di fronte a fughe (meglio, fughette) a 2 voci (invenzioni nn. 10 e 15)
e a 3 voci (sinfonie nn. 1, 3-4, 6-10, 13-14); il canone all'ottava si
esprime in due invenzioni (nn. 2 e 8), il contrappunto doppio in tre invenzioni
(nn. 6, 7, 13), l'omofonia & adottata, ad esempio, nelle
sinfonie nn. 5 e 11. La forma & sempre o bipartita (A-A’; talvolta con la variante A-A'-A) o tripartita, secondo il principio dell'arcaica Barform (A-A-B; oppure A-A-B-A). Varianti interessanti nella scrittura si hanno attraverso due manoscritti (uno & una copia redatta da Heinrich Nikolaus Gerber e datata «Lipsia 22 gennaio 1725»),
dai quali risultano delle versioni con abbellimenti per le sinfonie Bud.
5,7. 9. 11:6.13.
In questo contesto poliarticolato, ma sempre dominato da principii di simmetria assoluta, qualunque sia la struttura o lo stile delle singole
pagine, & evidente che Bach mira ad esaltare principalmente un elemento, quello tematico (che qui & oggetto di un vero e proprio «sviluppo » in nuce), a delineare i principii fondamentali dell'arte del cantabile; il microcosmo di immagini, di silhouettes musicali che risulta
da queste pagine & in funzione di una concezione della melodia che è fine a se stessa, in sé specchiantesi e riflessa in tutte le parti del discorso. « Sequuntur adhuc 15 Sinfoniae, tribus vocibus obligatis » indica Bach sull'autografo del 1723 al termine della quindicesima invenzione: il processo evolutivo del discorso & pienamente in atto e le 648
Köthen (1717-1723)
composizioni a tre voci, anche nel risultato, si pongono come l'ampliamento ideale di una materia prima già adoperata in un diverso ciclo produttivo. Pubblicate per la prima volta nel 1801 (a Lipsia, presso Hoffmeister et Comp., «au Bureau de Musique» come cahiers I e II degli oeuvres complettes!), e dunque agli inizi della grande « Bach-R enaissance », le invenzioni e le sinfonie (ma quest'ultime erroneamente spesso chiamate come le prime) erano destinate, per un vizio di prospettiva storica, ad esprimere soltanto uno dei due punti che era nelle intenzioni di Bach sviluppare in misura adeguata nel discente: il punto esecutivo, la presa di contatto con l'articolazione del pensiero musicale che deve essere tradotto sulla tastiera. La didattica ha spesso dimenticato l'altra lezione, quella del comporre, il discorso della costruzione che qui non & certo elementare, ma si vale di solidi artifici e di rigorosa appli-
cazione mentale. In questo senso, la lectio del Klavierbüchlein & stata assimilata a quella del Wohltemperierte Klavier,
e ció che si & guada-
gnato in un senso senza dubbio è stato perduto nell’altro, confondendo 1 termini della questione e manipolando il punto di vista originario. La seconda raccolta a destinazione famigliare, nella quale pare di doversi individuare un'altra delle matrici della musica cembalistica bachiana, è il Clavier- Büchlein vor Anna Magdalena Bachin Anno 1722,
come dice l'intestazione del manoscritto vergata dalla destinataria *. Tale manoscritto, poi appartenuto a Carl Philipp Emanuel e quindi alla Singakademie di Berlino prima di confluire nel grande « deposito » della Deutsche Staatsbibliothek berlinese (BB P 224), si presenta largamente incompleto: solo 25 fogli rimangono a costituire il qua-
derno, che ne doveva comprendere circa 75. La raccolta è in gran. parte autografa e solo due minuetti, figuranti ai nn. 9 e 11, sarebbero di mano di Anna Magdalena. Il manoscritto contiene undici composizioni: nn. 1-5 n. 6 ne
n EY n. 9
le prime cinque (BWV 812-816) delle sei Suites francesi (ma le prime tre sono incomplete); frammento di una Fantasia pro Organo (BWV 573) 5; frammento di un Air con variazioni (BWV 991); le variazioni superstiti sono due, ma la seconda & incompleta; il corale per organo Jesu, meine Zuversicht (BWV 728); Menuet facénte parte della suddetta Suite BWV 813; 814;
DUO
Menuet e Menuet- Trio appartenenti alla Suite BWV
Sl
Menuet BWV 841, già contenuto nel Klavierbüchlein per Wilhelm Friedemann Bach (pure al n. 11).
Di tutte queste composizioni, solo le suites BWV 812 e 813 (quest'ultima parzialmente) si ritroveranno nel secondo Klavierbüchlein 649
Köthen (1717-1723)
per Anna Magdalena, quello datato 1725. Il primo Klavierbüchlein, dunque, & caratterizzato da quella che & considerata la prima versione delle suites francesi di cui si dirà nel $ 51.
50. Das Wohltemperierte Klavier (Libro Primo:
BWV 846-869).
BIBLIOGRAFIA Carl van Bnuvck, Technische und aesthetische Analysen des Wohltemperierten Claviers, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1867; Hugo RIEMANN, Katechismus der Fugen-Komposition (Analyse von J. S. Bachs « Wohltemperierte Klavier» und « Kunst der Fuge », vol. I, M. Hesse's Verlag, Leipzig 1890; Wilhelm TAPPERT, Das Wohltemperierte Klavier, in « Monatshefte für Musikgeschichte» XXX
(1899), pp. 123-133; Reinhard Oppet, Über J. K. F. Fischers Einfluss auf J. S. Bach, in BJ VII (1910), pp. 63-69; Wanda Lanpowska, Über die C dur-Fuge aus dem I. Teil des Wohltemperierten Klaviers, in BJ XIV (1913), pp. 53-58; Iwan Knorr, Die Fugen des Wohltemperierten Klaviers in bildlicher Darstellung, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1912 (19262); Wilhelm WeRKER, Studien über die Symmetrie im Bau der Fugen und die motivische Zusammengehörigkeit der Präludien und Fugen des « Wohltemperierten Klaviers» von J. S. Bach (= Bach-Studien, 1) Breitkopf & Härtel, Leipzig 1922 (cfr. anche Arnold Schering, Kritik, in BJ XIX [1922], pp. 72-88); Rudolf SrEcricH, Das c moll-Präludium aus dem ersten Teil des Wohltemperierten Klaviers, in BJ XXIV (1923), pp. 1-11; Paul CARRIÈRE, Das harmonische Gefüge und Arpeggio des C dur-Präludiums im I. Teil des Wohltemperierten Klaviers, in BJ XXVI (1925), pp. 64-92; John Alexander FuLLERMarrLAND, J. S. Bach: The «48», Oxford University Press, London 1925; Fritz REUTER, Die Beantwortung des Fugenthemas, dargestellt an den Themen von Bachs Wohltemperierten Klavier, Kahnt, Leipzig 1929; Orlando Morcan, J. S. Bachs Forty-Eight Preludes and Fugues. Analysis of the Fugues, London 1931; Cecil Gray, The Forty-Eight Preludes and Fugues ofJ. S. Bach, Oxford University Press, London 1938; Hans BrAnDTs-Buys, Het Welltemperierte Clavir van J. S. Bach, Gottmer, Haarlem 1944; Luigi PERRACHIO, I! Clavicembalo ben temperato di G. S. Bach, Edizioni Palatine, Torino-Parma 1947; Ludwig Miscu, Unerkannte Formen im Wohltemperierten Klavier, in «Die Musikforschung » I (1948), | pp. 39-47 (su BWV 847/2 e 859/1); In., Zwei Fugen aus dem Wohltemperierten Klavier in neuer Beleuchtung, in «Die Musikforschung » V (1952), pp. 179-190 (su BWV 851/2 e 868/2); Walter GERSTENBERG, Zur Verbindung von Präludium und Fugen bei Bach, in « Kongress-Bericht, Gesellschaft für Musikforschung, Lüneburg 1950», Bärenreiter, Kassel 1952, pp. 126-129; Carl DAHLHAUS, Bemerkungen zu einigen Fugen des Wohltemperierten Klaviers, in BJ XLI (1954), pp. 40-45; Wilhelm Hemıtz, Taktprobleme in J. S. Bachs « Wohltemperiertem Klavier», in Festschrift Max Schneider zum 80. Geburtstage, a cura di Walther VETTER, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1955, pp. 147-151; Fritz RoTHscHILD, A Handbook to the Performances of the 48 Preludes and Fugues of J. S. Bach, Adam & Charles Black, London 1955; Ludwig Czaczxzs, Analyse des
650 °
Köthen (1717-1723)
Wohltemperierten Klaviers, Form und Aufbau der Fuge bei Bach, 2 voll., P. Kaltschmid, Wien 1956-1963; Hermann ZEnck, J. S. Bachs Wohltemperiertes Klavier, in Numerus und Affectus. Studien zur Musikgeschichte, a cura di Walter GERSTEN-
BERG (— Musikwissenschaftliche Arbeiten, Nr. 16), Bärenreiter, Kassel 1959, pp. 67-78 (anche in J. S. Bach, a cura di Walter BLANKENBURG, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1970, pp. 43-60); Herbert KELLETAT, Zur musikalischen Temperatur, insbesondere bei J. S. Bach, Oncken, Kassel 1960; Ip., Zur Tonordnung (Wohltemperierung) im Werke J. S. Bachs, in « Annales Universitatis Saraviensis » IX (1960), pp. 19-26; Guglielmo BARBLAN, Guida al Clavicembalo ben temperato di J. S. Bach, Curci, Milano 1961; Johann Nepomuk Davıp, Das Wohltemperierte Klavier. Versuch eines Synopsis, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1962; Ulrich SreGELE, Zur Verbindung von Präludium und Fuge bei J. S. Bach, in « Gesellschaft für Musikforschung. Bericht über der Internationalen musikwissenschaftlichen Kongress Basel 1962 », Bärenreiter, Kassel 1963, pp. 164-167; Hermann Kerzer, Das Wohltemperierte Klavier von J. S. Bach. Werk und Wiedergabe, Bärenreiter, Kassel 1965; Siegfried HERMELINE, Bemerkungen zum ersten Präludium aus Bachs Wohltemperiertem Klavier, in Festschrift J. Miiller-Blattau (= Saarbrücken Studien zur Musikwissenschaft, a cura di Walter Wiora, vol. I), Bärenreiter, Kassel 1966, pp. 111-121; Erwin Rarz, Über die Bedeutung der funktionellen Harmonielehre für die Erkenntnis des « Wohltemperierten Klaviers», in «Die Musikforschung» XXI (1968), pp. 17-29; Wolfgang Maancnar, Thematisches Arbeit in den Fugen des Wohltemperierten Klaviers, in « Beiträge zur Musikwissenschaft » X (1968), pp. 265-269; Rudolf SurHorr-Gnoss, Das Wohltemperierte Klavier von Bach. Die totale Synopsis, in «Neue Zeitschrift für Musik» CXXIX (1968), pp. 529-536; Stefan Kunze, Gattungen der Fuge in Bachs Wohltemperierten Klavier, in Bach-Interpretationen, a cura di Martin Geck, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1969, pp. 74-93; Franz-Peter CONSTANTINI, Zur Typusgeschichte von J. S. Bachs Wohltemperierten Klavier, in BJ LV (1969), pp. 31-45; Harry Hann, Symbol und Glaube im ersten Teil des Wohltemperierte Klavier von J. S. Bach, Breitkopf & Härtel, Wiesbaden 1973; Magali Prutiprssorn, Die Frühdrucke der Werke J. S. Bachs in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts. Eine kritische vergleichende Untersuchung anhand des Wohltemperierten Klaviers I, Diss., Frankfurt a. M. 1975; Franz-Peter CONSTAN“TINI, Das Thema der Fuge C-dur aus J. S. Bachs Wohltemperierte Klavier I, in «Die Musikforschung » XXX (1977), pp. 332-336.
Straordinario, affascinante monumento al razionalismo e alla musica
disciplina & la raccolta che Bach intitoló, con precisa e viva espressione tecnica, Das Wohltemperierte Klavier e che egli, dopo un primo sistematico ordinamento nel 1722, volle replicare — a oltre vent'anni di distanza, nel 1744 —
quasi per ratificare un principio affermato in
sede didattica e che infine doveva imporsi come una categoria defini-
tivamente acquisita allo sperimentalismo compositivo piü evoluto.
Maturata alla luce di un unico schema assunto a livello di paradigma, di parametro, di struttura fissa ma vista in proiezione dinamica, la raccolta costituisce il coronamento di una vicenda che aveva alle 651
Köthen (1717-1723)
proprie spalle duecento anni di vita e che resisterà al pervicace impulso della ricerca per altri due secoli, sino alla proposta della serialità dodecafonica, che indicava per prima una alternativa al sistema tonale, ma non poteva rifiutare il principio di una regolamentazione arbitraria dei livelli sonori, quale il temperamento aveva definitivamente conquistato. Proposto
come
una
universitas rerum musicalium, come un
progetto scientifico, come una inventio artistica per la quale il musicista
non richiedeva un riconoscimento formale, un attestato, un brevetto,
ma solo una verifica sul piano della prassi compositiva, il complesso dei 48 preludi e fughe risolveva, bis in idem e con sapienza e arte altissima, un problema che era presente nel mondo musicale sin dal-. l'epoca rinascimentale. Il Rinascimento aveva scalfito e quasi distrutto il principio di autorità che per secoli aveva dominato la cultura occidentale: la scienza si era presa la giusta rivincita sul dogma e aveva aperto la strada alla conoscenza
e all'esplorazione dei fatti, sicché l’edificio eretto
dalla
speculazione medievale all’arte musicale era stato a poco a poco intaccato,
corroso
ed infine
demolito
dall’introduzione
di nuovi
principii di organizzazione del suono meno artificiali e piá rispondenti ai risultati della ricerca scientifica. E se una certa stanchezza parve subentrare nel mondo dei teorici dell’epoca barocca, dopo il grande arco che da Gaffurio conduce sino a Zarlino, condannandoli ad ‘una
estenuante e retorica ripetizione delle teorie espresse nella grande età rinascimentale, la prospettiva parve mutare quando il « buon senso » di cartesiana memoria — quello che il filosofo francese aveva invocato nel 1637 nella prima riga del suo Discours de la Méthode scritto, lo si tenga sempre presente, « pour bien conduire sa raison et chercher la vérité
dans les sciences» — doveva riportare la vittoria sulle forze oscure della codificazione accademica, delle regole per troppi anni stanca-
mente trascinate di maestro in allievo. Le scienze erano figlie del dubbio, ma genitrici della verità: e la verità consisteva nell'adeguarsi ai tempi, nell’evitare che un’autorità precostituita ed esterna imponesse
un corso forzoso ed inattuale alle cose. Cost lo scientismo riusci a convivere con l'empirismo e il principio matematico poté essere posto al servizio della pratica. Vi è di più: la scienza seppe penetrare nei territori che un tempo le erano preclusi. Nonostante la spinta all’indietro voluta dalla Controriforma, nel tentativo di restaurare il vecchio metodo autocratico,
sul finire del Scicento, la dottrina religiosa — sulla quale poi si fondava
ogni esperienza umana — fu sottoposta a durissimi attacchi: il senso critico e l'incipiente coscienza storica penetrarono nei fatti spirituali, misero in discussione la natura stessa del verbo divino. E in politica si dovette fare i conti col nuovo 652
spirito libertario, che imponeva
Köthen (1717-1723)
diverse e pit adeguate leggi e riconosceva diritti soggettivi a chi prima era stato considerato semplice oggetto cui spettavano solo doveri e obblighi. ‚Fu l'empirismo — come dire la dottrina della tolleranza, la dottrina
che mirava a salvaguardare la possibilità di porre rimedio alle situazioni compromesse — a dare un volto e giustificare la prima importante rivoluzione musicale dei tempi di Bach, scaturita da un'osservazione
banale ma poi portatrice d’incalcolabili conseguenze sul piano storico.
John Locke, il massimo rappresentante dell’empirismo, nel suo Saggio sull'intelletto umano (1689) aveva teorizzato i limiti dell'intelligenza umana ed aveva accertato che quell’intelligenza avrebbe saputo distinguere, comunque, i « falsi problemi » posti dalla tradizione e procedere alle necessarie innovazioni, agli adattamenti indispensabili. Uno dei «falsi problemi» che angustiavano la musica del tempo era dato dalle difficoltà di superare nella pratica le differenze d’intonazione esistenti fra diesis e bemolle negli strumenti a suono fisso (organo, cembalo, clavicordo, virginale, spinetta, gli strumenti a tastiera, insomma, quelli che i tedeschi con unico termine indicavano con Klavier), i quali venivano accordati secondo un sistema che favoriva alcuni intervalli (in particolare alcune terze maggiori che dovevano essere perfette) rendendo praticabili soltanto alcune tonalità (con non
più di tre diesis e non più di due bemolle). Tale procedimento consentiva che risultassero perfettamente intonati soltanto pochi dei suoni alterati con diesis e bemolle ed escludeva praticamente l’uso enarmonico di essi (vale a dire la loro equivalenza; ad esempio, fra re diesis
e mi bemolle). Quando il sistema modale ecclesiastico fu superato e l’impiego degli strumenti della musica vocale dotata di basso continuo rese troppo difficile seguire il principio della scala naturale (che fra
l’altro distingueva toni grandi e toni piccoli e due diverse grandezze di semitoni), di conseguenza
introducendo
il concetto
di tonalità
nelle due configurazioni di maggiore e di minore, si avverti l’indero-
gabile necessità di accordare in maniera diversa gli strumenti a suono fisso, vale a dire secondo un procedimento che consentisse l'intonazione immediata dei diesis e dei bemolle enarmonicamente corrispondenti. Il cambiamento di tonalità, cioè, non avrebbe dovuto significare un mutamento nell’accordatura dello strumento. Si creò cosi, artificiosamente, un’ottava che fu suddivisa in dodici semitoni
uguali, nella quale non si faceva più distinzione né di tono grande
e di tono piccolo, né di suoni alterati con il diesis o con il bemolle, ma tutto era «equalizzato », seguendo il principio di un « temperamento»
che toglieva qualcosa ad un suono per dare qualcosa ad un altro. Ai tempi di Bach le discussioni sul temperamento equabile erano giunte ad uno ‘stadio teorico e scientifico notevolmente avanzato, 653
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seguendo la strada indicata dal calcolo matematico. In questo settore si erano distinti gli studi di Etienne Loulié, ma soprattutto quelli di Andreas Werckmeister (Musicalische Temperatur oder deutlicher und wahrer mathematischer Unterricht wie man durch Anweisung des Monochordi ein Clavier, sonderlich die Orgel-Wercke, Positive, Regale, Spinetten,
und dergleichenwol temperirt stimmen könne (Frankfurt a. M. - Leipzig 1686-87; 2.a edizione 1691) e di Johann Georg Neidhardt (Beste und leichteste Temperatur des Monochordi, vermittelst welcher das heutigen Tages bräuchliche Genus Diatonico-Chromaticum also eingerichtet wird, Jena 1706). Sul piano pratico valenti musicisti avevano già sperimentato la validità del sistema: Johann Pachelbel (si pensi al suo Hexachordum Apollinis, 1699), nelle cui suites cembalistiche si riscontra l’impiego di diciassette diverse tonalità; Johann Caspar Ferdinand Fischer, autore della raccolta Ariadne Musica, Neo-Organoedum, per
viginti Praeludia, totidem Fugas atque quinque Ricercares Super totidem Sacrorum anni Temporum Ecclesiasticas Cantilenas é difficultatum labyrintho educens (che, secondo Walther, risalirebbe al 1702, ma di cui
si conosce solo l’edizione del 1715), contenente una serie di preludi e fughe per organo in cui si toccano diciannove tonalità (venti con il tono frigio sul mi) disposte progressivamente per gradi (e la raccolta fu certamente presente a Bach quando si accinse a disporre in ordine il suo Clavicembalo ben temperato) *. Sulla strada della totale utilizzazione di tutti i ventiquattro gradi della scala cromatica, in una completa raffigurazione del circolo delle
quinte, si porrà nel 1719 Johann Mattheson dando alle stampe (ad Amburgo) un manuale di apprendimento del basso continuo: Exemplarische Organisten-Probe im Artikel vom General-Bass, welche mittelst 24 leichter und eben so viel etwas schwerer Exempel aus allen Tonen, des Endes anzustellen ist, dass einer, der diese 48 Prob-Stücke rein trifft...
ein Meister im Accompagniren (sey)... E nel 1722, l'anno della prima silloge bachiana, l'anno del Traité de l'harmonie réduite à ses principes naturels
diRameau, un oscuro organista di Dresda, Friedrich Suppig,
redigeva un manoscritto
contenente
tre brani dai seguenti titoli:
1. Calculus Musicus vom grossen C bis ins kleine dreygestrichene c, alle
intervalla gerechnet durchs gantze Clavier, welches alle Subsemitonia hat, nebst dem calculo oder dispositione ac denominatione aller commatum des neuen fünff-fachen Transponir-Claviers, mit allen circulis. musicis, durch eine Octav hindurch inventirt und ausgerechnet; 2. Circulus Musicus omnium intervallorum, quae Octava pracedens continet; 3. Labyrinthus Musicus, bestehend in einer Fantasie durch alle tonos, nemlich: durch 12 duros und
12 molles, zusammen 24 tonos, und kan so wohl auf dem Clavicymbel ohne Pedal, als auf der Orgel mit dem Pedal gespielt werden. 654
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Concetti come labirinto, circolo, calcolo e altri ancora quali orga-
nicum, prototypon, manuductio, indicavano una presa di posizione sistematica nei confronti dell'allargamento della base tonale: il cromatismo sperimentale e artificioso s'imponeva come un modulo compositivo cui occorreva rendere omaggio, come una specie di passaggio obbligato allo scopo di dimostrare la propria inventio, le doti di studio e di abilità nel trattamento della condotta armonica e contrappuntistica. Né mancó chi seguí Bach su quella strada: il caso di Bernhard | Christian Weber (1712-1758), organista e poi Kantor a Tennstedt nei pressi di Erfurt, & illuminante e dimostra la circulatio dell'idea:
l'unica opera nota del Weber & una raccolta manoscritta (composta non prima del 1743) dall'eloquente titolo: Das wohl temperirte Clavier oder Praeludia und Fugen durch alle Tone und Semitonia sowohl Tertiam majorem oder Ut re mi anlangend, als Tertiam minorem oder Re mi fa destinata all'organo. Quest'ultimo titolo, si noti, riproduce esattamente ciò che si può leggere sul frontespizio dell'autografo bachiano relativo al Libro Primo, arricchito da ulteriori specificazioni; quel frontespizio (BD I, 152) presenta, tuttavia, motivi di interesse anche sul piano grafico, alternando terminologia e frasario latini (in caratteri romani) e tedeschi (in scrittura gotica) e disponendo il discorso secondo un disegno geometrico di forma conica, come se dall’estremità inferiore della figura la musica dovesse fluire incanalata in un ipotetico vas electionis: Das Wohltemperirte Clavier. oder Preludia, und
Fugen durch alle Tone und Semitonia, So wohl tertiam majorem oder Ut Re Mi anlangend, als auch tertiam minorem oder Re Mi Fa betreffend. Zum Nutzen und Gebrauch der Lehr-begierigen Musicalischen Jugend, als auch derer in diesem studio schon habil seyenden besonderem ZeitVertreib auffgesetzet und verfertiget von Johann Sebastian Bach. p. t.: HochFürstlich AnhaltCóthenischen CapelMeistern und Directore derer \ CammerMusiquen. Anno
1722 656
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La raccolta, dunque, consta di «Preludi e Fughe attraverso tutti i
toni e semitoni », riguarda «tanto la terza maggiore ossia DO RE MI,
quanto la terza minore ossia RE MI FA » (come dire le tonalità maggiori e minori) ed è scritta « per utilità e uso della gioventá musicale
avida di apprendere, e anche a ricreazione di coloro che sono già provetti in questo studio ». E, in effetti, l'ampia e sistematica opera vuole
erudire, esemplificare e perció pone lo strumentista — e il compositore —
di fronte a situazioni continuamente variate, rinnovando e
il materiale tematico e il suo modo d'impiego e di sviluppo. Solo del cosiddetto Libro Primo (BWV 846-869) esiste l'autografo, conservato nella Deutsche
Staatsbibliothek di Berlino
(P 415); ma
l'iscrizione dell'intestazione recante la data del 1722 è contraddetta dalla data che si legge alla fine dell'ultima fuga, « 1732». Alla supposizione un tempo avanzata che la prima stesura dell'opera fosse andata perduta e ne fosse stata conservata solo una copia autografa di dieci anni posteriore, si preferisce oggi — sulle orme delle conclusioni di Georg von Dadelsen — considerare come iniziata nel 1722 la stesura del manoscritto, che sarebbe stato condotto a termine nel 1723 (donde
l'errore manuale del 1732). Non autografi sono, invece, due manoscritti che tali furono considerati per lungo tempo: si tratta dei manoscritti contrassegnati con BB P 202 e BB/SPK P 401; il primo
& il cosiddetto Müllersche Autograph dal nome dell'organista e vicario del Duomo di Braunschweig, Müller, cui si devono i primi fogli della copia, poi in gran parte di mano di Anna Magdalena e portata
a termine da Johann Friedrich Agricola (il manoscritto contiene correzioni ad opera di Wilhelm Friedemann Bach); il secondo è il cosiddetto Fischhofsche Autograph, dal nome del collezionista, redatto da Johann Christoph Oley, allievo di Bach. La raccolta completa & poi tramandata in altre copie: le due un tempo facenti parte della Amalien-Bibliothek (nn. 57/SPK e 49), una copiata da Johenn Philipp Kirnberger, l'altra redatta in bella scrittura probabilmente per l'uso personale della principessa Amalia; le copie tutte conservate in BB/SPK P 203-204 (redatte da Christian Friedrich Gottlieb Schwencke e datate rispettivamente 1783 e 1781); quelle segnate P 205-206, anonime, appartenute a Georg Pölchau; la P 207 datata 21 agosto 1791, anonima, quasi integrale (mancano i numeri BW'V 860, 866, 881, 884, 889); la copia (P 237) di Johann Stephan Borsch e quella (P 402) di Johann Christoph Altnickol (datata 1755). A queste redazioni integrali occorre aggiungere quelle relative al solo Libro Primo, di cui mi limiterò a citare le quattro berlinesi: BB/SPK P 208 (anonima), P 417 (probabilmente di Schwencke),
BB/SPK P 1074 (di Johann Gottfried Walther) e BB P 1075 (forse 657
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ge
>
in parte di Christian Friedrich Penzel). Di quelle riguardanti il Libro Secondo diremo al momento giusto. L’autografo del Libro Primo proviene dall’asse ereditario di Wilhelm Friedemann e giunse poi in mani di privati attraverso il di lui amico Johann Joachim Eschenburg. Intorno al 1840 il prezioso cimelio era in possesso del compositore Robert Volkmann (18151883), ma venne ceduto ad un anatomo-patologo di Marburg, Guido Richard Wagener (1822-1896) che da ultimo ne fece dono, nel 1874, alla biblioteca berlinese. La rilevante quantità di manoscritti che tramandarono in tutto o in parte la raccolta suprema non rende sufficiente ragione della diffusione che l'opera ebbe prima di giungere alla stampa, nel 1801, presso Nägeli di Zurigo e Simrock di Bonn; ma sull'argomento abbiamo già speso qualche parola nella prima parte di questa monografia e a quella sede si rimanda (cfr. p. 64). Certo, l'experimentum bachiano — questa illuminante ardimentosa penetrazione nel labirinto del linguaggio musicale per giungere alla soluzione finale, alla radiosa conquista dell'harmonia mundi — forniva a chi avesse voluto approfondire la tecnica esecutiva insieme con quella compositiva gli elementi concreti dell'antica arte che il gusto e la cultura dell'incipiente romanticismo imponevano alle giovani generazioni. Se la tradizione del Wohltemperierte Klavier non s'era mai offuscata e sotto sotto aveva circolato come fra i catecumeni d'una setta, essa ora sorgeva a piena luce imponendosi alla maniera di un evangelium, un segno del divino nella musica, una manifestazione dell'Assoluto, una meraviglia mitica.
Armonia
e contrappunto,
fantasia inventiva
e processo
creativo,
immaginazione tematica e rigore formale, intuizione tonale e imitazione costruttiva, varietà ritmica ed espansione melodica si congiun-
gevano in nozze che la romantica Erlebnis — l'esperienza imprigionata nel ricordo — e la Stimmung — la fortezza d'animo — non avevano difficoltà a proclamare mistiche. Proprio il Romanticismo doveva impadronirsi del capolavoro (sono 26 o 27 le edizioni documentate fra il 1801 e il 1852) per violentarne la natura, condurlo su strade lontane da ogni retto intendimento, trasferendolo su uno strumento (il pianoforte) che non era il perfezionamento ma l'esatto contrario dell'antico strumento da tasto. Il pensiero didattico, presuntuoso oltre misura, rese gravido d'incalcolabili incomprensioni
il limpido discorso
bachiano,
dirottandolo
— con la complicità d'una superflua sensiblerie — verso complicazioni espressive estranee al puro linguaggio della tastiera barocca. L'alibi della pratica musicale e dell'insegnamento suggerí di ricostruire il testo, munendolo di intenzioni arbitrarie e di norme interpretative assurde. Pare strano che un compositore di talento e un interprete 658
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supremo quale fu Ferruccio Busoni — pur nutrito del grande messaggio di Bach — egli stesso messaggero del Kantor — e intriso di cultura autenticamente germanica — abbia potuto riscrivere l'opera cembalistica bachiana, soggiacendo ad un'incalzante progressione di immagini dinamiche ed espressive invadenti, ridicole e insensate, unite a geniali intuizioni nell’analisi delle strutture formali, armoniche, tematiche: una contraddizione che oggi non sapremmo giustificare,
ma che invece ai suoi tempi era legittimata dall’entusiasmo col quale
ci si avvicinava alla fons perennis, al «primo e ultimo»
dei musicisti.
L'esercizio della meditazione e del tutto voler interpretare per meglio spiegare fini col condurre Busoni (cogliendo una tendenza che già era stata di Czerny, di Bülow, di Tausig, di Riemann, ad esempio)
a indicazioni dinamiche (e mi limito ad elencarne alcune per il Primo Libro) esasperate e invereconde: « allegro moderato ed eroico »,
«andante (non troppo) con un certo sentimento severo », « allegretto sereno
€ spiritoso », « moderato
deciso,
con
fermezza
e gravità »,
«allegro volante », «allegro giocoso », «allegro con fuoco », «andante mistico», «andantino idillico», «andante (religioso) », «andantino, lusingando », «allegretto, in modo pastorale», «uri poco agitato non allegro», «andante serioso poco lamentoso». E fra tanto scempio, disseminate qua e là, aggettivazioni in inarrestabile proliferazione: misterioso, armonioso, dolcissimo, pesante, tranquillo, non strepitoso... insieme con catene di legati, staccati e tutto il campionario della scrittura
che pretende di «soggettivare» ció che & puro oggetto, fenomeno
musicale in sé”. Due aspetti, quello ricreativo ed « extravagante » e quello di studio € di severa applicazione, emergono dal contesto della raccolta; il primo
è codificato nei preludi, mentre il secondo è precipuo delle fughe. ll divario formale e costruttivo fra i due momenti del discorso tonale,
che sono per altro inseparabili in quanto l'uno è causa ed effetto dell'al-
tro, è accentuato dall'assoluta indipendenza dalle due enunciazioni tematiche. Ma, se è esclusa la relazione tematica fra i due membri
del discorso, non viene meno, tuttavia, l'interno rapporto di causa
ed effetto: impensabile e sacrilega sarebbe una separazione fra i due momenti. Questi trovano un vincolo invincibile di unione nell'ambien-
tazione tonale, che è còlta facendo leva sui principii dell’ars oratoria contemporanea, sul significato «metaforico» e psicologico delle tonalità e delle figure musicali, secondo una teoria della musica poetica elaborata dalla trattatistica contemporanea (Mattheson e Heinichen su tutti). In questa illuministica visione dell'opus perfectum et absolutum, governato da leggi « affettive » alle quali non ci si poteva sottrarre,
Bach dovette concepire la sua raccolta, ma non per applicare razio-
nalmente sul piano della prassi la teoria dei simboli, bensi per dar 659
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forza di penetrazione e persuasione al proprio pensiero secondo le regole correnti e rappresentare in tal modo la qualità primaria del discorso: l'ars inveniendi sulla base di un ordo prestabilito, di loci topici codificati. I preludi consistono spesso nella reiterata e ostinata esecuzione di una figura musicale in movimento, sicché la composizione puó presentarsi sotto le spoglie di un perpetuum mobile, ma l’organizzazione stilistica abbraccia anche altre possibilità, manomettendo, sotto la spinta di un evoluto spirito indagatore e innovatore, il parametro fisso di un principio (quello del preludio, appunto) con piena libertà e anche con un'insistente scrittura contrappuntistica. Il quadro dei ventiquattro preludi puó essere cosí riassunto: stile arcaico:
8-brani 455: :15:2,:5$5263 7, 15; 21)
invenzioni a 2 voci:
4 brani (nn. 11, 13, 14, 20)
invenzioni a 3 voci:
4 brani (nn. 9, 18, 19, 23)
ariosi:
6 brani (nn. 4, 8, 10, 12, 16)
allegro di concerto:
1 brano (n. 17)
sonata bipartita:
1 brano (n. 24).
Lo stile del perpetuum mobile, che è una costante stilistica bachiana, compare nei nn. 1, 2, 3, 5, 6, 15, 21; questi sono regolati sul metro
ideale di una concezione arcaica, simile all'antico praeambulum, con
una sorta di cadenza finale in stile di toccata: il discorso vale per i primi cinque numeri sopra citati, mentre il n. 15 non conosce simile
tipo di «rottura », di fractio del ritmo compositivo e di precipitazione conclusiva; quanto al n. 21, questo è una vera e propria toccata nello stile, poniamo, di Pachelbel. Di stile fortemente arcaico è pure l'ampio
Preludio n. 7 che sembra esitare di fronte alla scelta dell'atteggiamento che dovrebbe assumere: le prime nove misure sono nello stile di un praeambulum; le battute 10-24 presentano una struttura contrappuntistica serrata sul modello di un ricercare; segue quindi (batt. 25-71) una fuga a 4 voci, costruita sul tema iniziale. La pagina è di concezione singolare e per tale motivo è l’unica mancante all’anello di quelle che già erano state incluse, sotto la specificazione di praeludia, nel Klavierbiichlein per Wilhelm Friedemann, a coprire la serie delle prime dodici tonalità. Le restanti sci pagine del Wohltemperierte Klavier già contenute nella raccolta per il figlio (e cioè i Preludi nn. 4, 8, 9, 10, 11, 12) sono
concepite o come ariosi (i numeri pari) o come invenzioni a 2 voci (n. 11) o a 3 voci (n. 9). Fra queste pagine e quelle che Bach destinò 660
Köthen (1717-1723)
direttamente, a quanto sembra, alla massima raccolta, non v’& diffe-
renza di sostanza, né di metodo espositivo, tale da poter suggerire la presenza di una evoluzione stilistica, di una diversa maturazione del pensiero. Il blocco, nonostante le sue interne articolazioni, si
presenta compatto e conseguente a se stesso, anche quando evadere alla ricerca di sperimentazioni piá moderne, come con la breve incursione nello stile del concerto (n. 17) o con tentativo nel quadro della sonata bipartita (n. 24). Alla differenziazione delle forme e degli stili si aggiunge duazione di prospettive che privilegiano — e qui & in atto una
sembra avviene l’isolato
l'indivivolontà
di riunire in un corpus una certa casistica tecnica, compositiva ed ese-
cutiva —
particolari aspetti o momenti
del linguaggio musicale,
sfuggendo dalle galanterie per provocare, invece, soluzioni general-
mente polifoniche (il caso del Preludio in do maggiore — quello della parafrasi di Gounod per l'Ave Maria — è del tutto eccezionale in quel contesto). Il sondaggio, la calcolata ricerca nel labirinto delle maniere compositive per estrarne linfa e tessuto connettivo, sono condotti
sottolineando
ora l'aspetto ritmico,
ora quello armonico,
ora l’articolazione delle frasi nel passaggio dall’una all’altra mano, o il conseguente sviluppo di una idea, o prestando oculata attenzione all’ornamentazione, alla dinamica dell'apparato melodico e della cantabilità polifonica. L'ingresso nel sanctuarium delle fughe, pertanto, è favorito dalla rivelazione di tutte le risorse dello stile strumentale utilizzando una gamma di valori che partendo dalle figure più semplici giunge a quelle più elaborate e virtuosistiche. Espertissimo nell’arte della fuga, che in gioventi aveva coltivato soprattutto nelle cantate e nelle opere per organo, Bach si accinse con le fughe del Wohltemperierte Klavier a dare una metodica e scientifica sistemazione ad una materia in ebollizione, confermando quanto provocatoria potesse essere la manifestazione delle leggi di attrazione esercitata dalla progressiva affermazione
del tonalismo.
Lo stylus antiquus, il
contrappunto inteso nella pit rigorosa delle sue espressioni, quello dell'imitazione canonica, trovava ora una nuova ambientazione: con
il consolidamento della scala temperata, la fuga si erigeva a sistema architettonico rigido, ma non immobile, vincolato ad un certo forma-
lismo che poteva interessare ogni aspetto della composizione, non ultima la natura del tematismo. Fu anzi dalla particolare necessità di rendere chiaramente percepibile il tema che si sviluppò la coscienza tematica: di qui l’istanza di fare del tema stesso non un mezzo per avviare la composizione, ma un elemento per renderla inconfondibile e originale. In quest'opera di regolamentazione razionale (e devozionale nei confronti di un principio costruttivo riconosciuto come il pit intelligente ed elevato per un musicista), Bach si impegnò utilizzando schemi 661
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diversi. Se si guarda al numero delle voci chiamate a formare le singole
fughe, il Primo Libro della raccolta si presenta nel seguente modo: Fughe a 2 voci a-3 vod
1 (n. 10) 236,
a 4 vod
10 (nf,
5-12
a 5 voci
2 (nn. 4, 22).
7 8'9*117
157 15, 19020
14. 16, 17,518, 20, 23. 28)
Non si tratta, tuttavia, che di una prima elementare suddivisione della materia, una suddivisione in sé inerte e incapace d'inquadrare |
la straordinaria varietà di atteggiamenti formali, di modelli compositivi, di soluzioni nello sviluppo della condotta contrappuntistica (anche mediante l'inversione del tema, la sua aumentazione o diminuzione), di proposte integrative con l'inserzione di episodi interni (divertimenti, code) sí da fare di ogni fuga un caso a sé stante. La trattatistica dell'epoca aveva individuato una consistente tipologia nell'ambito della fuga. Walther nei suoi Praecepta der Musicalischen Composition (1708), e piá dettagliatamente, nel Lexikon (1732) aveva elencato una casistica comprendente, fra l'altro, le seguenti specificazioni: fuga aequalis motus, al contrario riverso, autentica, cancrizans, composta, contraria, diatona, doppia,
fracta, grave, homophona, impropria, inaequalis motus, incomposta, libera, ligata, pathetica, partialis, perpetua, plagalis, propria, recta, sciolta, totalis. i Un simile repertorio di varianti occasionali, sciorinate con acca-
demica dovizia e poi ribadito dai principali teorici del contrappunto, non illuminava la strada per la conquista di un nuovo spazio, non rivelava un progresso e semmai,
anzi, costituiva un ulteriore impe-
dimento alla soluzione « artistica »; soggetto, risposta, controsoggetto — gli clementi costitutivi fondamentali — esercitavano un’unica funzione,
quella di avviare il meccanismo attraverso il quale si dava vita e consistenza alla fuga, la cui caratterizzazione non era raggiunta mediante il tema, ma con figure convenzionali,
stereotipe, scarsamente
caratteri
stiche e che si muovevano lungo itinerari obbligati in un certo ambito tonale, generalmente individuato in uno degli otto toni ecclesiastici. Non era solo l'ampliamento dello spazio tonale a dover suggerire una diversa soluzione al problema; le ventiquattro fughe dovevano organizzarsi intorno a un'idea di base, di volta in volta munita di assoluta autonomia, anche e specialmente sul piano espressivo, e che
fosse tale da imprimere al discorso musicale una caratterizzazione
non elementare. È su questa che Bach si muove, evitando di cadere
sugli ostacoli tesi dalla dottrina scolastica e di individuare quindi nel tipo di fuga la ragione d'essere della fuga medesima, ridotta a costruzione astratta e impotente. Nel processo razionale di conquista della 662
cu
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)
dimensione espressiva della fuga, Bach si spingeva oltre i concetti che potevano qualificare una data organizzazione contrappuntistica come
composizione
corretta
e come
coerente
esercitazione
nello
stylus moteticus. Su quest'ultimo ora egli innestava lo spirito dello stylus phantasticus (proprio dei preludi e della libera composizione), ne indicava come necessaria la presenza al fine di condurre la fuga ad essere elemento complementare e, insieme, coronamento della vicenda che nel preludio aveva trovato l'avvio. Le suggestioni della casistica tradizionale, tuttavia, ebbero un qualche
peso — e non poteva essere diversamente — nel determinare la scelta dei campi di azione; ma lo studioso moderno rifiuta quelle classificazioni e ne propone altre piá qualificanti e aderenti: Fuga patetica:
nn. 5:412; 14,18, 24
Fuga-ricercare:
nn. 4, 8, 22
Fuga-mottetto:
noui
s17:220)
Fuga in stile di danza:
nn. 2, 7, 11, 13, 15, 19, 21
Fuga concertante:
72035910523
Fuga « pura »:
DI
516:
Si tratta di una visione che tiene conto ora di certi fattori ritmici (nelle fughe elaborate in stile di danza, ad esempio, il tempo di giga è evidente nei nn. 15 e 19, il n. 11 è un passepied), ora di caratteri stilistici o formali, imparentati con altre esperienze musicali. La solu-
zione proposta da Bach & sicuramente conforme al duplice criterio enunciato sul frontespizio dell'opera (di fornire sia uno strumento di lavoro utile alla gioventü musicale avida di apprendere, sia un modello di ricreazione per le persone provette), ma privilegia l'aspetto sistematico, a livello di coordinamento integrale di tutta una prassi che ora ripartiva dal punto zero, esaltando la logica del processo costruttivo governata dagli affetti, da metafore musicali regolate, appunto, secondo i principi dell’ars oratoria, ma sorrette da una sostanza di cui non s'era mai conosciuto l'eguale.
S19 T'exsuites "ee ‘altre opere per cembalo. BIBLIOGRAFIA
Philipp Serrra, Bachiana I. Umarbeitung fremder Original-Kompositionen, in « Allgemeine musikalische Zeitung » 1881, nn. 47 e 48 (anche in Musikgeschichtliche Aufsätze, Gebrüder Paetel, Berlin 1894, pp. 111-120); SCHWARTZ, Sechs
kleinere (genannt französische) Suiten, in «Zeitschrift für Musik» LXXXVIII 663
Köthen (1717-1723)
(1921), pp. 11 e sgg.; Wilhelm Fischer, Zur Chronologie der Klaviersuiten J. S. Bachs, in « Bericht über den musikwissenschaftlichen Kongress, Basel 1924», Breitkopf & Härtel, Leipzig 1925, pp. 127-130; Günther OBerst, J. S. Bachs Französische und Englische Suiten, in Gedenkschrift für Hermann Abert, a cura di Friedrich BLume, M. Niemeyer, Halle/Saale 1928, pp. 116-124; August SCHMIDLinDner, Etwas über J. S. Bachs « Englische Suiten », in « Zeitschrift für Musik » CIV (1937), pp. 1086-1089; Hermann Ketter, Über Bachs Bearbeitungen aus dem « Hortus musicus» von Reinken, in « Kongress-Bericht der Internationalen Gesellschaft für Musikwissenschaft Basel 1949 », pp. 160-161; Ulrich SIEGELE, Die musiktheoretische Lehre einer Bachschen Gigue, in « Archiv für Musikwissenschaft » XVII (1960), pp. 152-157 (su BWV 811); Erhard FRANKE, Themenmodelle in Bachs Klaviersuiten, in BJ LII (1966), pp. 72-98; Friedrich NEUMANN, Typische Stufengänge im Bachischen Suitensatz, in BJ LIII (1967), pp. 28-56.
Si & visto che l'autografo del primo Klavierbüchlein per Anna Magdalena è largamente frammentario (solo le Suites IV e V risultano complete) e non vi è traccia della Suite VI (BW'V 817) che è sicuramente di epoca piü tarda e dovrebbe risalire ai primi anni di Lipsia. La ricostruzione della serie completa, che non dovette avere carattere pedagogico, ma soddisfare un'esigenza pratica di produzione e consumo musicale, & resa possibile, tuttavia, dall'esistenza di altri manoscritti, fra i quali hanno particolare rilevanza uno per lungo tempo
erroneamente ritenuto autografo (BB P 418), contenente le prime quattro suites (pit altre due suites, in la minore BWV 818 e in mi maggiore BWV 819)* e un altro copiato da Heinrich Nikolaus Gerber negli anni 1725-26. Le fonti coeve per le suites francesi (BWV 812-817) sono complessivamente una quindicina e recano varianti che pregiu-
dicano la «restituzione » di un testo autentico. La stessa Bach-Gesellschaft dovette riproporre — eccezionalmente — tanto per le suites francesi quanto per quelle inglesi, a distanza di trent'anni, un'edizione più corretta
(BG XIIP, 1865, a cura di Franz Espagne; BG XLV!,
1895, a cura di Ernst Naumann).
La qualifica di francesi (desunta piá che altro dalle intitolazioni, tutte in francese, delle varie danze, e il medesimo discorso, tuttavia,
dovrebbe valere anche per quelle inglesi) non & riportata nei documenti dell'epoca, ma & stata introdotta per un criterio pratico di individuazione delle numerose composizioni nello stylus choraicus (distinguendo empiricamente, in tal modo, fra suites francesi, suites inglesi e partite tedesche). La struttura & semplice e i singoli brani hanno estensione limitata; ma non si deve credere, tuttavia, che il discorso
proceda in maniera elementare: al contrario, in molti tratti (specie nel caso delle Suites I e V) le difficoltà tecniche sono rimarchevoli. Nell'organizzazione interna della raccolta si distinguono due gruppi di suites: le prime tre sono in tonalità minore (re-do-si), le restanti 664
Köthen (1717-1723)
tre in tonalità maggiore (mi bemolle-sol-mi). Dal punto di vista della successione delle danze, alle quattro « formule » rituali (allemande courante - sarabande - gigue) si aggiungono — dopo la sarabande — due, tre o quattro danze intermedie (le cosiddette Galanterien): una coppia
di minuetti nella Suite I; air e menuet nella II; menuet con trio e anglaise
nella III; gavotte, menuet e air nella IV; gavotte, bourrée e loure nella V; gavotte, polonaise, bourrée, menuet nella VI. È una progressione, un’accentuazione in crescendo della struttura della suite che non è certo casuale, ma risponde ad un preordinato disegno compositivo. A dispetto della loro qualificazione « nazionale » — non originale — lo stile francese, che è chiaramente affermato nelle danze intermedie
e in molti tratti delle danze « obbligate» (curioso, ad esempio, il tono grave della gigue della Suite I, che pare costruita come una prima
sezione di ouverture, a ritmo puntato), sembra sposarsi con moduli italiani: le courantes delle Suites II, IV, V e VI, ad esempio, sono
d'impronta italiana e tali sono pure gli airs e in genere i brani ad impianto fortemente melodico (si pensi all’ariositä delle sarabandes inserite nelle Suites I e III). Marcata & la predilezione per un impianto in cui la melodia ha il sopravvento sulle combinazioni contrappun-
tistiche e sulla tecnica dei contrasti: anche sotto questo profilo, la raccolta risponde a un criterio di Hausmusik intimo, severo nelle prime
tre suites, gaio nelle restanti tre, e la cui realizzazione sembra demandata pit facilmente al clavicordo che non al cembalo. Se notevoli incertezze sussistono nei confronti delle suites francesi per quanto riguarda la cronologia, ancora maggiori perplessità affiorano, e non solo sotto quel profilo, nei confronti delle suites inglesi
(BWV 806-811), che si & tendenzialmente portati a ritenere scritte prima di quelle francesi e destinate sicuramente al cembalo e non al clavicordo. L'epoca di composizione, comunque, é sempre la medesima:
fra il 1720 e il 1722, anche se queste date — troppo spesso ricorrenti nella cronologia degli anni di Kóthen — devono essere assunte con beneficio
d'inventario.
Resta
il fatto che, a differenza delle suites
francesi, quelle inglesi riflettono un impianto costruttivo piá omogeneo ed unitario e di più ampie dimensioni e pretese, del quale i préludes anteposti a ciascuna suite (e forse scritti in epoca posteriore alle danze) rappresentano soltanto l'aspetto pit vistoso. Delle varie copie che ci hanno tramandato la raccolta (nessuna delle quali & autografa), le piá importanti sono quelle redatte da Heinrich Nikolaus Gerber (contenente le Suites I, III, V e VI) intorno al 1725-26 (coeva, dunque, della copia delle suites francesi) e da Johann Christian Bach in epoca molto più tarda, probabilmente dopo la morte del padre (nel 1750 Johann Christian contava appena quindici anni). Perché a questa raccolta si sia tradizionalmente assegnato il 665
bs Lad
Köthen (1717-1723)
titolo di suites inglesi © questione irrisolta, cui recano ben scarso con-
tributo tanto la scritta che si legge sull’intestazione della Suite in la maggiore (BWV 806) — fait pour les Anglois — con la conseguente ipotesi avanzata da Forkel, essere state scritte queste opere per un vornehmen Engländer, per un nobile inglese, quanto la supposizione che tali appaiano perché esemplate sulle suites che il francese Charles Dieupart, dal 1700 attivo a Londra, aveva pubblicato e che Bach copiò di proprio pugno (cfr. BD I, 147a, in appendice a BD III); il titolo della raccolta di Dieupart suona: Six suittes de clavessin divisées en ouvertures, allemandes, courantes, sarabandes, gavottes, menuets, rondeaux
& gigues... pour un violon & flüte avec un basse de viole & un archilut, Estienne. Roger,
Amsterdam
s. a..
Sotto il profilo della distribuzione
tonale, anche nel caso
delle
suites inglesi si avverte l'adozione di un disegno precostituito, qui realizzato nell'ordine continuativo e discendente di la maggiore - la minore - sol minore .fa maggiore - mi minore - re minore is:2339
de ==
una successione che corrisponde esattamente alle note iniziali del corale Jesu, meine Freude.
Come
avviene nelle contemporanee
suites per violoncello, ogni
serie di danze & preceduta da un prelude. La successione regolare delle danze, a parte l'inserimento di alcuni doubles, & interrotta da coppie di danze omologhe, ancora una volta in analogia con le suites per violoncello: bourrée I e II nelle Suites I e II; gavotte I e II nelle Suites III e VI; menuet I e II nella Suite IV; passepied I e II nella Suite V. Caratteristica costante e l'impiego di un diverso livello tonale nella seconda
danza di ciascuna coppia (nel tono relativo o parallelo) e di una struttura che nella prima danza di ciascuna coppia è sempre a due voci (tranne che nel caso della Suite VI, a tre voci), mentre nella seconda danza & a due voci solamente nelle Suites I e VI, e a tre voci nelle
quattro suites centrali. Si noterà che la Suite I è anomala, in quanto presenta due courantes, la seconda delle quali ha due doubles; altri doubles si hanno nelle sarabandes delle Suites II e III. Infine, la gavotte II
della Suite III è indicata anche come musette, mentre il passepied I della Suite V è en rondeau. E nei préludes che si individua il tratto caratteristico
e saliente
delle suites inglesi e che conferisce a queste opere una dimensione 666
Köthen (1717-1723)
grandiosa. In tali pagine, con le parziali eccezioni delle Suites I e VI, s'impone la figura formale del concerto nello stile italiano, in calcolata opposizione con i préludes delle suites per violoncello che avevano rappresentato la glorificazione dello stylus phantasticus. Il prélude che apre la Suite I, a differenza dei confratelli, è di breve respiro: 37 battute
in tempo di giga (12/8) con una formula d’avvio — di due battute — nel carattere di toccata; gli altri préludes hanno invece dimensioni ragguardevoli, nell'ordine 164, 213, 108, 156 e 194 battute. Per quel principio di variabilità e ricercata differenziazione nel contesto di una formula compositiva e di una raccolta, principio che è tipico della mente speculativa bachiana ma che risponde anche ad una concezione retorica della musica secondo figure prestabilite e secondo una casistica obbligata, i vari préludes pur richiamandosi alla
forma del concerto seguono un ifer, un processo costruttivo di volta in volta diverso. Il prélude della Suite II è diviso in tre parti, adottando lo schema ABA, organicamente omogenee,
della lunghezza rispetti-
vamente di 54 - 55 - 54 battute e con una terza parte che è il da capo della prima, la sua ripetizione fouf court: le proposte del tema nell'ambito di questa sezione sono tre della lunghezza rispettivamente di 18, 28 e 8 battute, tutte inscritte nella tonalità di impianto
(la
minore). La Suite III si avvale di un prélude di eccezionale ampiezza, nello
stile di un allegro di concerto con alternanza regolare di tutti e solo. Dalla pagina si può estrarre uno schema di questo tipo: A | tutti
batt.
n. batt.
1=32
32
33 - 66
34
B
(solo
Ac
ulituta reni 64.98
13|
si bemolle maggiore
112-124 125 - 160 161 - 179
13 36 19
Y re minore
180-213
34
B' (solo
99-111
A'|tuti A \solo C | solo A
tutti
45-32]
sol minore
re minore - mi bem. maggiore - sol minore sol minore
Il prélude della Suite IV si avvicina al taglio formale impiegato nella corrispondente pagina della Suite II; tre sezioni (lunghezza 20 -
68 - 20 battute), l'ultima delle quali & una ripetizione della prima;
nelle 68 battute centrali si assiste ad una continua trasmigrazione di effetti dall'impianto dei solo a quello dei tutti (nove sezioni l'ultima delle quali occupa anch'essa 20 battute) con passi « solistici » che rive-
lano un’analogia con la cadenza Brandeburghese.
667
cembalistica
del Quinto
Concerto
cis
Köthen (1717-1723)
Anche nella Suite V il prélude & tripartito, con il da capo; le sezioni hanno una lunghezza, rispettivamente, di 40 - 78 - 38 battute: la somma
dei due estremi dà per risultato una cifra pari alla lunghezza della sezione interna, articolata col consueto giuoco alterno di tutti e solo. L'ultima suite fruisce di un prélude dal carattere anomalo: una
sorta di combinazione organica fra lo stile di fantasia (batt. 1 - 37) e quello di concerto (batt. 38 - 194). Se i préludes mostrano un tenace attaccamento allo spirito e alla forma del concerto italiano, le danze che costituiscono il corpo vitale delle suites sono tutte manifestamente di gusto francese. All'abbondanza della ornamentazione, disseminata in ogni parte della proposta musicale, si aggiunge la specifica imposizione di doubles, in cui il discorso fiorito & incrementato quasi a saturazione ed esaurimento di quello stile. Cosi, la serie delle quattro courantes, che Bach sembrerebbe aver
inserito nella Suite I forse per compensare la brevità del prélude, & una testimonianza ragguardevole dell'applicazione implacabile di quello stile: le due courantes, nella tipica scansione metrica di stampo
francese, il 3/2, applicata in tutte le suites inglesi (a differenza di quelle francesi dove la courante & nel taglio italiano in 3/4 — Suites II, IV, V e VI — mentre & in 3/2 solo nella I e in 6/4 nella III), sono già esse stesse abbondantemente fiorite, ma alla seconda Bach ha voluto far
seguire due doubles in cui l'arte della variazione & intesa nel senso di replicare, per incremento sia del basso sia della figurazione melodica, il disegno fondamentale.
In due altri casi — le sarabandes delle Suites II e III — Bach prescrive una versione ornata. Nel primo caso viene indicata la sola linea melodica e si puó supporre che nella replica di ciascuna delle due parti della danza Bach intendesse che si dovesse ricorrere alla versione con
gli agréments, anziché eseguire la sarabande stessa una prima volta nella veste normale e una seconda volta con gli agréments. Nel caso della Suites III l'applicazione degli agréments & tale da modificare radicalmente
la pagina, che ora adotta soluzioni
degne di una
fantasia,
liberandosi dalla costrizione del ritmo di danza, quasi agganciandosi al mirabile prototipo della Fantasia cromatica e fuga in re minore (BWV. 903) e conducendo il discorso a livello di‘recitativo: Es. 34
668
Kóthen (1717-1723)
Terza Suite inglese in sol minore per clavicembalo (BWV 808), sarabande-double,
batt. 9-16.
Questo infiammato stile recitativo & manifesto anche nella sarabande della Suite I, ma tocca da vicino, talvolta, anche le allemandes, stimo-
lando impressioni di una schietta parentela con strutture tipiche di certe fantasie o di certi preludi abituali nella produzione cembaloorganistica bachiana; durezze armoniche, passaggi melismatici e spezzature del ritmo in figure complesse e sempre variate acquistano
in taluni momenti (ad esempio nelle allemandes delle Suites I e VT) una funzione « patetica », di intensa cantabilità emotiva, che solo la loro collocazione in un'ambientazione contrappuntistica rigorosa (dove
regnano sovrani i principii del moto contrario e delle figurazioni rovesciate, a specchio) impedisce che vengano attribuite ad un'altra dimensione storica. Tale libertà di concezione, che proprio attraverso la costrizione del meccanismo contrappuntistico trova modo di evadere dalla banalità del giuoco delle danze accademiche, ha l'esatto contrapposto nei regolari ingranaggi delle formule ritmiche delle coppie di danze che seguono le sarabandes; ma la scontata ripetitività di gavottes, bourrées, menuets
e passepieds si esalta a contatto con stupende invenzioni contrappuntistiche a due o a tre voci; disegni ritmici saporiti, spesso sottolineati da brillanti agréments, si presentano ad ogni passo a scansare la noia di un discorso convenzionale e semplificato al massimo. E nelle gigues conclusive, tuttavia, che il ritmo — già perentoriamente impostosi con esaltante continuità nei préludes di stile concertante — sigilla virtuosisticamente le suites. Le combinazioni ritmiche sono percorse da pulsazioni dinamiche che trovano ulteriore slancio negli svolgimenti in stile fugato, mentre sottili arabeschi impreziosiscono quelle 669
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strutture forti e tenaci; valga per tutti la figura per semitoni discendenti o ascendenti, sostenuta o abbellita da un trillo prolungato che scandisce e chiude virtuosisticamente le due parti della gigue della Suite VI: 555
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4 ER E LZ we BER LL) LLILIS--9! Pel |. er
I
Sesta Suite inglese in re minore per clavicembalo (BWV 811), gigue, batt. 20-22 e 44-46.
Il periodo di Kóthen vede la nascita anche di altre composizioni
cembalistiche, in genere di non esaltante qualità:
BWV
1. 2. 3. 4. 5.
Preludio Preludio Preludio Fantasia Fuga in
e fughetta in mi minore e fughetta in fa maggiore e fughetta in sol maggiore in do minore la minore
900 901 902 919 944
Le fonti sono quelle consuete per questi tipi di opere: l'antologia di Kellner (BB/SPK P 804) per BWV 900 e 902 (dove compare
anche una seconda versione, BWV
902a), la raccolta Mempell-Preller
(Ms. 8) per BWV 901 e 944 (quest'ultima anche nell’ Andreas- BachBuch), mentre una terza fonte (BB/SPK P 1089) contiene BWV 900, 901 e 902. Per BWV 919 l'unico punto di riferimento & dato da una copia realizzata da Kellner che fu utilizzata per l'edizione della Bachgesellschaft ma che in seguito & andata dispersa. 670
Köthen (1717-1723)
La più significativa di queste opere è, probabilmente, la Fuga in la minore confluita in quel Preludio e fuga BWV 543 per organo, di cui si è già detto discorrendo delle opere di Weimar. La versione per cembalo è preceduta da una breve fantasia (10 battute) ad accordi arpeggiati; la fuga è sviluppata per 198 battute, come un allegro di x
concerto, accentuandone al massimo il carattere « motorio ». Tre opere, infine, rivelano un contatto non superficiale con la musica di Johann Adam Reinken, il grande organista della Chiesa
di S. Caterina di Amburgo al quale Bach aveva ancora fatto visita nel novembre 1720, quando il maestro fiammingo contava 97 anni. .E possibile che le elaborazioni siano state realizzate come un « doveroso » omaggio, forse anche per ottenere la carica cui Bach ambiva,
quella di organista nella Jacobikirche della grande città anseatica (si ricordi che nella giuria del concorso siedeva, appunto, il Reinken); l'ipotesi, tuttavia, è di quelle che devono essere prese in considerazione con estrema cautela, anche perché l’elaborazione bachiana talvolta si
discosta notevolmente dall'originale. Le tre opere in questione sono: BWV
6. Fuga in si bemolle maggiore 7. Sonata in la minore 8. Sonata in do maggiore
954 965 966
Tutte le composizioni si trovano nell’antologia di Kellner (BB/SPK P 804), mentre le due sonate sono riportate anche in BB P 803, copiate da J. G. Walther. Reinken aveva pubblicato, intorno al 1687, nella « sua » Amburgo, una raccolta di sonate a tre: Hortus Musicus recentibus aliquot. flosculis Sonaten, Allemanden, Couranten, Sarbanden et Giquen cum 2 Violin, Viola et Basso continuo. La raccolta è formata da sei sonate,
tutte concepite secondo lo schema: adagio-allegro-adagio-allegro (il primo allegro è sempre una fuga, il secondo adagio è una brevissima introduzione al finale); ciascuna di queste sonate funge da introduzione ad una suite sempre costituita dalla regolare successione delle quattro danze fondamentali. È appunto da questa raccolta che Bach ha ricavato lo spunto per le sue elaborazioni cembalistiche: la Fuga BWV 954 è tratta dall’allegro della Sonata II (non VI come è detto da Schmieder), la Sonata BWV 965 è un « rifacimento » della Sonata I, la Sonata BWV 966 è una parziale elaborazione della Sonata III (non XI, come è detto in Schmieder): in quest'ultimo caso, Bach si è limitato a elaborare la Sonata vera e propria e, della suite, la sola allemande.
Si è già detto che l’elaborazione cembalistica si allontana conside-
revolmente, talvolta, dalla situazione propria dell'originale. Un ele-
mentare confronto fra le due « fonti» rende ragione chiaramente di 671
Köthen (1717-1723)
questo fatto. La Fuga BWV 954 si estende in Bach per 95 battute contro le 50 di Reinken. Nella Sonata BWV 965 risultano notevolmente ampliati il secondo movimento (allegro), vale a dire la fuga (85 battute in Bach, 50 in Reinken) e la gigue (Bach 60, Reinken 39). À parte il generale maggiore senso dell'abbellimento e arricchimento in Bach, c'é da notare nell'adattamento della gigue l'introduzione di una quarta voce e il ricorso a « divertimenti », mentre il trattamento in
stile di fuga operato da Reinken impone sempre la presenza del tema
lungo l'intero arco della pagina. Si noterà, ancora, nel terzo movi-
mento della Sonata, adagio-presto, che Bach elimina la ripresa (in Reinken la prima volta il discorso è condotto dal violino I, la seconda volta dalla viola). Anche nella Sonata BWV 966 vi sono differenze consistenti fra la versione originale e il rifacimento bachiano: la piá considerevole è la maggiore ampiezza della fuga che in Bach tocca le 97 battute mentre in Reinken è limitata a 47 misure. Nell’arduo compito di fissare le cadenze cronologiche di ciascuna opera, si è attribuito all'età di Kóthen anche uno dei capolavori dell’arte cembalistica bachiana, la Fantasia cromatica e fuga in re minore
(BWV 903); in realtà, la versione a noi nota è quella elaborata a Lipsia e conservata in numerosi manoscritti (nessuno dei quali autografo), il più antico dei quali è quello (BB/SPK P 421) che l’anonimo copista ha datato «6 dicembre 1730». E agli anni di Lipsia, quindi, che conviene rimandare ogni discorso su quest'opera che una non controllabile ipotesi di Spitta assegnerebbe al momento del concorso amburghese del 1720.
E su questo rinvio si sospenda la lettura: lasciamo alle nostre spalle l'epoca di Kóthen, nella quale una ragionevole proposizione storica individua lo spartiacque dell'attività creativa bachiana. Il ductus — stile della scrittura ed espressione dell'azione, ad un tempo — s'interrompe per poi riprendere il proprio corso a Lipsia secondo una condizione emotiva e spirituale, una disposizione scientifica e un impianto strutturale affatto nuovi. Il catalogo dei gesti e delle cose poste in vita dal Thomaskantor e Director musices merita un suo specifico manuale di devozione.
672
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Parte prima 1 Scarso conforto recano le poche testimonianze d'un contatto con l'arte della stampa. Un Canone a 4 voci (BWV 1074) fu pubblicato da Georg Philipp Telemann nel suo Der getreue Musik-Meister (Hamburg 1728; poi ripreso da Johann Mattheson in Der vollkommene Capellmeister, ivi 1739) e un Canon triplex a 6 Voc. (BWV 1076) fu inciso per la « Societät der musikalischen Wissenschaften» di Lorenz Christoph Mizler (Leipzig 1747). Di una cantata scritta per il rinnovo del Consiglio Municipale di Mühlhausen nel 1709 sappiamo che furono pubblicati tanto il testo quanto la musica (BD II, 43), ma dell'una e dell'altra stampa non abbiamo alcun esemplare. Si deve poi tenere presente che vari testi di cantate furono pubblicati a Lipsia, separatamente o in cicli liturgici. A quelli già noti (cfr. BD II, 164, 186, 219, 221, 229, 258, 287, 292, 311, 344, 347, 351, 358, 360, 402, 424) si sono aggiunti recentemente quelli rinvenuti
nella Biblioteca Saltykov-Stedrin di Leningrado [cfr. Wolf Hosonw, Neue « Texte zur Leipziger Kirchen-Music », in BJ LIX (1973), pp. 5-32]. Ma di questo aspetto particolare della vita musicale di Lipsia si dirà a tempo debito. ? In Der Critische Musicus, herausgegeben von Johann Adolf Scheibe. Erster Theil. Hamburg 1738, ma già edito il 14 maggio 1737 (nel Sechstes Stück, p. 46) senza nome d'autore e sotto forma di lettera. Pit tardi, Scheibe dichiarò pubblicamente che era lui l'autore dello scritto, sciogliendo — se mai ve ne fossero stati — gli ultimi dubbi sulla paternità del brano. 3 Cfr. Ernst Fritz SCHMIDT, Zu Mozarts Leipziger Bach-Erlebnis, in « Zeitschrift für Musik » CXI (1950), pp. 297-303; Konrad AMELN, in NBA/KB, III/1 (1967), pp. 32-34. Si vedano anche: Robert Haas, Bach und Mozart in Wien, Kaltschmidt, Wien 1951; Walther Verter, Mozart und Bach, in Mythos-MelosMusica. Ausgewählte Aufsätze zur Musikgeschichte, Zweite Folge, Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1961, pp. 333-345.
4 Sul barone van Swieten (nato a Leida il 29 ottobre 1733 e morto a Vienna il 29 marzo 1803) si vedano principalmente, per quanto ci riguarda, 675
Note al testo (Parte seconda) anche: Reinhold BERNHARDT, Aus der Umwelt der Wiener Klassiker, Freiherr G. v. Sw.,in «Der Bär», Jahrbuch von Breitkopf & Härtel auf die Jahre 1929/30,
pp. 74-166; Andreas HOLSCHNEIDER, Die musikalische Bibliothek G. v. Sw.s, in « Kongressbericht des Internationalen Musikwissenschaftlichen Kongress Kassel 1962 », Bärenreiter, Kassel 1963, pp. 174-178; Wouter PAAP, G. Baron v. Sw., A
Dutch patriarch of Music in Vienna, in « Sonorum Speculum », n. 27, Amsterdam 1966, pp. 9-18 (in ingl. e in ted.); Edward OLızson, G. v. Sw., Patron of Haydn and Mozart, in «Proceedings of the Royal Musical Association», LX XXIX 1962/ 63, pp. 63-74. Inoltre, Ernst Fritz SCHMID, G. v. Sw. als Komponist, in « MozartJahrbuch» IV (1953), pp. 15-31.
5 Cfr. More Slow Introductions by Mozart to Fugues of J. S. Bach, in « Journal of the American Musicological Society », XVII (1964), n. 1, pp. 43-65; e, più ampiamente del medesimo, Fuge und Fugato in der Kammermusik des Rokoko und der Klassik, H. Schneider, Tutzing 1966.
$ Nato a Meeder (Coburgo) il 22 febbraio 1749 e morto a Góttingen il 20 marzo 1818, Forkel era divenuto organista della Chiesa dell'Università di Góttingen nel 1770 e tenne corsi di musica in quell’Universitä a partire dal 1772 (ma fece parte del corpo docente solo dal 1787); ebbe fra gli allievi Wackenroder, Tieck, A. W. Schlegel, Humboldt e si puó dire, dunque, che forgió il destino del romanticismo
musicale.
? Cfr. le 4 edizioni della Verzeichnis der Sammlung alter Musikinstrumente im Bachhaus zu Eisenach edita dalla Neue Bachgesellschaft: 1913 (a cura di Edward Bunrz), 1918 (Curt Sachs), 1939 (Friedrich Bremert), 1964 (Conrad FrEYSE). Inoltre, il definitivo volume di Herbert Hzvpz, Historische Musikinstrumente im Bachhaus Eisenach, herausgegeben vom Bachhaus Eisenach, 1976. Cfr. anche: - Verzeichnis der Sammlung alter Musikinstrumente im Bachhaus zu Eisenach, in BJ
VIII (1911), pp. 109-128.
Parte seconda
1 Per il testo integrale della Formula Missae et Communionis vedasi nel vol. 12 dei D. Martin Luther's Werke, Kritische Gesamtausgabe, Hermann Böhlaus, Weimar
1891, pp. 197-220.
? Come è noto, il moltiplicarsi indiscriminato e gratuito delle sequenze, sorte nel IX secolo come espediente mnemonico per intonare i lunghi melismi degli Alleluja, indusse il Concilio Tridentino (nella ventiduesima sessione, 1562, e dunque quarant’anni dopo le prescrizioni dettate da Lutero in materia di riforma liturgica) a limitarne l'uso, conservandone solo quattro. Il Missale romanum del 1570 riporta unicamente le sequenze Lauda Sion, Dies irae, Victimae paschali
676.
Note al testo (Parte seconda)
laudes e Veni Sancte Spiritus. Una quinta sequenza, lo Stabat mater, entró nella liturgia romana a far data dal 1727.
3 Per il testo della Deutsche Messe vedasi nei D. Martin Luther's Werke cit., il vol. 19, 1897, pp. 44-113. Inoltre, l'edizione in facsimile con prefazione di Johannes Worr, Bärenreiter, Kassel 1934. 4 Cfr. D. Martin Luther's Werke cit., vol. 44, p. 352 (Genesi 39, 5, 6a). 5 Cfr. Monumenta Germaniae Historica- Leges, tomus I, a cura di Georg Heinrich Pertz, Hannover 1835, art. 69, p. 64.
* Ibid., p. 439. ? Non sarà inutile ricordare che il Kyrie, venuto dall'Oriente, originariamente non faceva parte della messa. In un documento dell’Abbazia di Etheria in Spagna (c. 385), esso è menzionato in connessione con una litania cantata ai Vespri, nella quale un folto numero di bimbi risponde ad ogni supplica con il Kyrie eleison. Piá tardi, le parole greche sono disposte all'inizio delle suppliche a mo’ d'introduzione; questa forma della litania sopravvive tuttora nella processione dei giorni delle rogazioni e nell'antica messa del sabato santo (cfr. Willi APEL, Gregorian Chant, Indiana University Press, Bloomington 1958, p. 408; inoltre, Louis DucHESNE, Origines du culte chrétien, Paris 1889, p. 156).
8 Gli Statuta Salisburgensia dell'anno 799, raccolti nei Karoli Magni Capitula (cfr. Monumenta
Germaniae
Historica-Leges,
tomus
I, p. 80) prescrivono:
« Ut
omnis populus honorifice cum
omnis supplicationibus devotione, humiliter et cum
reverentia absque praetiosarum
vestium ornatu vel etiam incelebroso cantico et lusu
saeculari cum laetaniis procedant, et discant. Kyrieeleison clamare, ut non tam rustice et nunc usque, sed melius discant ».
9 Se ne veda la trascrizione musicale in Joseph MuLrer-BLaTTAU, Zu Form und Überlieferung der ältesten deutschen geistlichen Lieder, in « Zeitschrift für Musikwissenschaft » XVII (1935), p. 129. 10 In Francia si chiamarono pure Kyriole, Quirielle ed infine Lais. 11 Il testo latino di Ekkehart IV è preceduto da un’interessante annotazione: « Ratpertus monachus Nokteri quem in Sequentiis miramur condiscipulus fecit carmen barbaricum populo in laude sancti galli canendum. Quod non multo impares homini ut tam dulcis melodia latine luderet quam proxime potuimus in latinum transtulimus » (cfr. Deutsche National- Literatur historisch-kritische Ausgabe, vol. I, 1884, Die älteste deutsche Literatur bis um das Jahr 1050, a cura di Paul Pırer). 12 Cfr. Patrologiae Latinae
Cursus completus, a cura
217 voll., Parigi 1845-1855, vol. 193, Salmo XXXIX,
di Jacques-Paul
MIGNE,
col. 1436.
13 Ibid., vol. 185, Sancti Bernardi abbatis Clarae-Vallensis vita et res gestae, col. 395. 14 Cfr. Johann Friedrich ScuannaT-Joseph HARTZHEIM e collab., Concilia Germaniae, 11 voll, Köln 1759-1790, vol. V, p. 381. 15 Ibid., p. 308. 677
Note al testo (Parte seconda)
3
16 Guido Maria DREvEs, Beiträge zur Geschichte des deutschen Kirchenliedes, in «Kirchenmusikalisches Jahrbuch » II (1887), pp. 26-36. 17 J. Fr. SCHANNAT,
op. cit., p. 655.
18 Cfr. W. Crecetius, Crailsheimer Schulordnung von 1480 mit deutschen Liedern, in « Berlingers Alemannia » III (1875), pp. 247-262. 19 Cfr. Otto SCHEEL, Martin Luther. Vom Katholizismus zur Reformation, 2 voll., Tübingen 1916-1917, vol. I, p. 230.
20 La raccolta, intitolata Symphoniae iucundae atque a Deo breves quatuor vocum, ab optimis quibusque musicis compositae, ac iuxta ordinem tonorum dispositae, quas vulgo Mutetas appellare solemus, si compone di cinquantadue brevi componimenti di venti diversi musicisti: A. Brumel, J. Després, B. Ducis (2), M. Eckel, A. Févin, G. Forster (3), L. Hellinck, H. Isaac (2), La Fage (2), E. Lapicida, P. de La Rue (2), S. Mahu, J. Mouton (2), J. Richafort, L. Senfl (2), C. Sermisy, C. van Stappen, R. Unterholtzer (2), Ph. Verdelot (4), J. Walter, piá venti composizioni di anonimi. Se ne veda l'edizione moderna in Georg Rhau, Musikdrucke aus den Jahren 1538 bis 1545, a cura di Hans ALBRECHT, vol. III, Bárenreiter, Kassel 1959. Walter tenne in cosi grande considerazione la prefazione di Lutero che nel 1564 la volle tradurre in tedesco e annettere al suo scritto Lob und Preis der himlischen Kunst Musica; Michael Praetorius ugualmente l'inserí nella prima parte della monumentale raccolta Musae Sioniae oder geistliche Concert Gesaenge
(1605).
?1 Vedine il testo integrale in Martin Luther's Werke kritische Gesamtausgabe, vol. 50, pp. 364 e sgg. 22 Si legga anche il seguente passo (p. 372 della cit. ediz. di Weimar): « Ubi autem tandem accesserit studium et Musica artificialis, quae naturalem corrigat, excolat et explicet, hic tandem gustare cum stupore licet (sed non comprehendere) absolutam et perfectam sapientiam Dei in opere suo mirabili Musicae, in quo genere hoc excellit, quod una et eadem voce canitur suo tenore pergente, pluribus interim vocibus circum circa mirabiliter ludentibus, exultantibus et iucundissimis gestibus eandem ornantibus, et velut iuxta eam divinam quandam choream ducentibus, ut iis qui saltem modice afficiuntur, nihil mirabilius hoc seculo extare videatur. Qui vero non afficiuntur, nae illi vere amusi et digni sunt, qui aliquem merdipoetam interim audiant vel porcorum Musicam ».
?3 Con l'asterisco sono indicati quei testi di cui si conoscono versioni tedesche anteriori a quella di Lutero, di cui ne & spesso il rifacimento o adattamento. Si deve sottolineare che talvolta Lutero diede vita ad un carme completo, articolato in più strofe, partendo da un'unica strofa preesistente utilizzata nella tradizione popolare. 24 Cfr. Gustave Reese, Music in the Renaissance, revised edition, J. M. Dent & Sons LTD., London 1959, p. 675. \ 25 Cfr. Hans-Joachim Moser, Luthers Lieder, in collab. con O. Albrecht e H. Lucke, M. Luther's Werke kritische Gesamtausgabe, vol. 35, Weimar 1923; e Die Melodien der Luther-Lieder, G. Schloessmann, Leipzig-Hamburg 1935.
678
Note al testo (Parte terza, cap. I) 2 Cfr. Hans-Joachim Moser, Der Zerbster Lutherfund, in « Archiv für. Musikwissenschaft » II (1920), p. 337; inoltre, M. Luther's Werke cit., vol. 35, pp. 487 e sgg. ?: Cfr. W. Gosstau, Die religiöse Haltung in der Reformationsmusik, nachgewiesen an den « Newen Deudschen Geistlichen Gesengen » des Georg Rhau, Bärenreiter, Kassel 1933, p. 73. 28 Iohannis Calvini Opera quae supersunt omnia, in Corpus Reformatorum, voll. 29-87, Braunschweig 1863 e sgg.; vol. X, Des Chants Ecclésiastiques, p. 104.
29 La prima edizione del 1543 conteneva soltanto cinquanta salmi, quanti Marot aveva potuto portare a termine, prima che la morte lo cogliesse. Il salterio di Marot fu poi completato, con altri cento salmi, da Théodor de Bèze fra il 1551 e il 1562.
30 Cfr.. Epistre au lecteur premessa allo scritto La forme des prières et chantz ecclesiastiques, notevolmente ampliata nella seconda edizione (1543) rispetto alla prima del medesimo anno; vol. I. Calvini Opera cit., vol. VI, pp. 165 e sgg. La nuova prefazione comparve poi in tutte le successive edizioni del salterio.
Parte terza
Capitolo primo 1 A parte i ducati della Alta e Bassa Sassonia (rispettivamente: Sassonia-Wittenberg e Sassonia-Lauenburg), la cui storia si confonde con quella del ducato di Sassonia prima (850-1356) e della Sassonia elettorale poi (1356-1806), in Turingia si assiste, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, alla creazione di piccoli principati, dalla vita più o meno breve e, comunque, sempre soggetti a confluenze o smembramenti di agghiacciante provvisorietà. Ecco l’elenco dei principati, con l’indicazione degli anni della loro durata: Altenburg (16031672), Coburgo (1572-1633), Eisenach (1572-1638; nuovamente 1662-1741), Fisenberg (1680-1707), Gotha (1640-1675), Hildburghausen (1680-1826), Jena
(1662-1690), Marksuhl (1662-1741), Meiningen (1680-1826), Rémhild (1680-
1710), Saalfeld (1680-1826), Weimar (1573-1741). La loro confluenza in organismi politici e territoriali più consistenti si ebbe solo con grande ritardo. A partire dal 1741, comunque, si assiste alla formazione di quattro grandi ducati, che sono
i seguenti:
Sassonia-Weimar-Eisenach
(1741-1918),
Sassonia-Alten-
burg (1826-1918), Sassonia-Meiningen-Hildburghausen (1826-1918), SassoniaCoburgo-Gotha (1826-1918). Con la proclamazione della repubblica (novembre 1918), i quattro ducati furono trasformati in stati liberi, poi riuniti nel 1920
in un solo Stato di Turingia (con l’esclusione di Coburgo, annessa alla Baviera), trasformato poi in Land nel 1933. A completezza d’informazione, diremo che
nell’aprile 1945 la Turingia fu occupata dalle truppe americane comandate dal generale Patton (la Terza Armata occupò Eisenach il 5 aprile), ma nel luglio
679
Note al testo (Parte terza, cap. I)
1945 fu assegnata alla zona di occupazione sovietica. Dal dicembre 1946 fa parte della Deutsche Demokratische Republik. 2 Christianus Franciscus PAuLLINUS, Annales Isanacenses, Francofurti ad Moenum, anno MDCXCVII, p. 237. Il Paullinus (1643-1712) esercitava la professione di medico.
3 L’autografo del documento & andato perduto; l'unica copia completa a noi nota (ne esistono due altre copie parziali) è quella di mano di Anna Carolina Philippina Bach (Berlino, 4 settembre 1747 - Amburgo, 2 agosto 1804), secondogenita di Carl Philipp Emanuel [67] e, dunque, nipote di Johann Sebastian. Il documento, che risulta integrato da Carl Philipp Emanuel, fu da questi consegnato al Forkel e passó poi nelle mani di Georg Pólchau (1773-1836) che nel 1805 acquistó la biblioteca del figlio di Bach. S'ignora dove il documento attualmente si trovi. 4 Di Johann [17] si conoscono tre composizioni: l'aria a 4 voci Weint nicht um meinen Tod, il mottetto a 9 voci Unser Leben ist ein Schatten e il mottetto a 8 voci Sei nun wieder zufrieden.
5 Unica composizione sicuramente autentica di Heinrich [19] & la cantata Ich danke dir, Gott.
6 Johann ed Heinrich Bach sposarono rispettivamente le sorelle Barbara ed Eva Hoffmann, figlie di Johann Christoph Hoffmann, Stadtpfeifer a Suhl e maestro di Johann. Barbara mori di parto nel 1636, ma l’anno seguente Johann prese nuovamente moglie nella persona di Hedwig Limmerhirt, zia della madre di Johann Sebastian.
? Johann Michael [30] occupò il posto ad Arnstadt sino al 1673, anno si traferi nella vicina Gehren, lasciando la carica di organista presso la corte di Arnstadt al genero di Heinrich, Christoph Herthum. Nel 1675 Michael si sposò con Catharina Wedemann, sorella della moglie di suo Johann Christoph [29]; dal matrimonio nacque Maria Barbara, la prima di Johann Sebastian.
in cui piccola Johann fratello moglie
8 Johann Aegidius Bach [23] fu direttore dei musici della città di Erfurt a partire dal 1682, in successione al fratello Johann Christian [22]. ® Lo stipendio annuo di Johann Ambrosius era di 41 gulden (fiorini), contro i 28 percepiti dal predecessore Christoffel Schmidt. 1 gulden equivaleva a 21 groschen e 1 groschen a 12 pfennig. Intorno al 1653 una libbra di manzo costava 20 pfennig, un boccale di birra 9 pfennig. Per un confronto si tenga presente che il borgomastro percepiva uno stipendio di 132 gulden annui. 10 Il titolo originale della composizione, datata marzo 1690, è il seguente: Aria Eberliniana | pro dormiente Camillo | variata 4 Joh | Christoph Bach, org: | Mens. . Mart. ao. 1690. Non è escluso che la composizione sia stata scritta in coincidenza della nomina di Eberlin ad amministratore monetario del ducato, nomina avvenuta appunto all’inizio del 1690. Da notare che quella medesima aria fu utilizzata nel 1713 da Johann Heinrich Buttstett, come parte di un tema per variazioni.
680
Note al testo (Parte: terza, cap. I)
1! Per tale motivo — come si è visto (cfr. p. 90) — l’edificio fu acquistato dalla - Neue Bachgesellschaft nel 1905 e trasformato in museo.
12 L'espressione indicata nell'intestazione — « gesetzet und herausgegeben» — potrebbe far pensare ad un'edizione a stampa dell'opera o, almeno, ad una intenzione dell'autore in tal senso; d'altra parte, Johann Gottfried Walther nel suo Musikalisches Lexikon (1732) afferma che nessuna delle opere di Johann Christoph fu pubblicata. La prima edizione dell'opera in questione & stata curata da Martin Fischer (Bärenreiter, Kassel 1929). È 13 L'organo della Georgenkirche, sul quale esercitava la sua arte Johann Christoph Bach, era stato costruito da Georg Schauber nel 1576. Quantunque sin dal 1679 Johann Christoph avesse fissato in una memoria indirizzata al Consiglio Municipale le migliorie di cui lo strumento abbisognava, i lavori s'iniziarono soltanto nel 1696, per terminare nel 1707. Quindi, Johann Sebastian non poté usufruire se non dell'antico strumento. Sul nuovo strumento elaborato da Georg Christoph Stertzing (nativo di Ohrdruf) e inaugurato il 22 giugno 1707 da Christian Friedrich Witt di Gotha, si veda: Hans Lörrter, Die St. Georgen-Orgel in Eisenach, in « Zeitschrift für evangelische Kirchenmusik », a. IV e V, Hildburghausen 1926 e 1927. 14 Michael PRAETORIUS, Syntagma Musicum, II, De Organographia, Wolfenbüttel 1619, p. 89.
15 Andreas Christian Dedekind era nato ad Andreasberg, nei pressi di Hannover, in anno imprecisato (ma forse intorno al 1660-65). Morí ad Eisenach il 21 settembre 1706. Aveva studiato all'Università di Lipsia (dove risulta immatricolato nel 1681). Nel 1687 era attivo ad Arnstadt (e qui fu certamente in contatto con i Bach) in qualità di tertius (insegnante nella Terza Classe della Lateinschule) e di vice-rettore. Nel 1690 passó ad Eisenach, ricoprendo il ruolo di Kantor (oltre che di quartus) nella Georgenschule. Mantenne tale impiego sino alla morte.
16 Barbara Margaretha era nata ad Arnstadt il 29 dicembre 1658 ed era figlia di Caspar Keul, già borgomastro di quella città. Il 28 novembre 1682 aveva sposato Johann Günther Bach [31] (Arnstadt, 15 luglio 1653 - ivi, 10 aprile 1683), figlio di Heinrich [19] e, dunque, cugino di Johann Sebastian. Divenuta vedova dopo poco più di quattro mesi di matrimonio, Barbara Margaretha si sposò (1° aprile 1684) con Jacobus Bartholomaei, diacono di Arnstadt, poi deceduto, all'età di 69 anni, il 14 dicembre 1688. Da quest'ultimo matrimonio era nata Christiana Maria (battezzata il 18 settembre 1685). Barbara Margaretha morí in data imprecisata. | 1? Lo stipendio, tuttavia, fu aumentato di 10 gulden annui nel 1696, a partire dal momento in cui Johann Christoph declinó l'invito a ricoprire il posto di organista a Gotha, posto che gli era stato assegnato in virtá dell'intervento del suo antico maestro, Johann Pachelbel. 18 Ernst di Sassonia-Gotha
di Sassonia-Weimar,
(1601-1675, regnante dal 1640), figlio di Johann
& il capostipite dei duchi di Sassonia-Gotha; il ducato, 681
Note al testo (Parte terza, cap. I)
poi frazionatosiin diversi rami, si estinse nel 1825. Fra l'altro, nel 1642 il ducato ricevette Eisenach. Ernst ebbe il nome di I} Pio. 19 Nell’antica Michaeliskirche (fondata nel 724) esisteva un organo già nel 1421. Un secondo organo, di grandi dimensioni, era stato installato nel 1559. Soltanto
nel 1675 l’organista titolare, Johann Paul Beck (attivo in quella chiesa dal 1660 al 1690 e predecessore di Johann Christoph Bach) suggeri la costruzione d’un nuovo organo, che — opera di Casparus Lehmann da Suhla — fu inaugurato nel 1679. Sottoposto a revisione da parte di Johann Conrad Weishaupt, subí nuove modifiche con gli organari Christian Wächter da Werningshausen (cui si deve anche il restauro dell’organo piccolo, 1683), nel 1681 e seguenti, e Heinrich Brunner da Sandersleben, nel 1688 e seguenti. Collaudato da Pachelbel il 15 settembre 1693, l’organo, su proposta di Johann Christoph Bach, fu
nuovamente sottoposto a revisione: i nuovi lavori, iniziati nel 1696 da Christian Rode, furono portati a termine nel 1713. Ecco la disposizione dei registri, quale Bach la conobbe: Organo piccolo
(positivo con pedaliera estensione: da DO (l’ottava inferiore priva di DO 1. Principal 2. Gross Gedackt 3. Klein Gedackt 4. Flöte
aggiunta) a dog RE FA SOL LA) 8 piedi 16 » 4 » 200
5. Cymbel Organo grande secondo il progetto di Casparus Lehmann (10 settembre 1675)
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
DO-do, = 49 tasti
secondo il rifacimento di Heinrich Brunner (14 settembre 1688 e 5 agosto 1690) DO-do; = 49 tasti
Manual
Manual
Principal Gedackt Oktav Violdigamba Gedackt Mixtur IV Quinta Oktav
8 piedi 8 » 4 » 8 » 4 »
1 piede e mezzo 2 piedi
682
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
Principal Quintadena Gross Gedackt Oktave Quinta Klein Oktave Mixtur IV Cymbel II Trompeta
8 piedi 16 » 8 » 4» 31$ DU 2M Y 1 piede 8 piedi
Note al testo (Parte terza, cap. I)
Rückpositiv 1. 2. 3. 4. 5.
Rückpositiv
Principal Gedackt Gemshorn Oktav
4 piedi ros 8 » 2 Uh»
Flóte
dios
1. 2. 3. 4. 5.
Principal Stillgedackt Flóte Nassat
4 piedi 8 » Zon 30x
Sesquialtera
6. Oktave
Pedal
1 piede
Pedal
1. Principal 2. Quintadena
16 piedi » 16
1. Principal 2. Subbass
16 piedi 16 »
3. Posaune
16
»
3. Oktav
Bea
4. Posaune
8
»
4. Mixtur III
4
5. Schweizer Flöte 6. Oktav
2 8
» »
5. Fagott 6. Cornetto
»
» 16 2555
Tanto il grande quanto il piccolo organo — e con essi la chiesa — furono distrutti dalle fiamme nel 1753. Ricostruita nel 1760, la chiesa fu nuovamente preda del fuoco nel 1808.
20 Georg Erdmann, nato a Leina, e dunque compaesano di Herda, il 17 (?, l'atto di battesimo & del 19) febbraio 1682 e morto il 12 ottobre 1736 a Danzica, era entrato nel Liceo di Ohrdruf il 17 gennaio 1698. A differenza di Bach, gli fu possibile intraprendere gli studi universitari (in giurisprudenza); nel 1713 divenne consigliere presso il tribunale militare della divisione del principe Anikita Ivanovit Repnin in Lituania. Nel 1718 divenne rappresentante diplomatico della Russia a Danzica e fu poi consigliere della corte imperiale zarista. La lettera a lui indirizzata da Bach è del 28 ottobre 1730, ed è conservata all' Archivio Storico Centrale di Mosca (BD I, 23).
21 Cfr. Johann Friedrich Armand von Uffenbach’s Tagbuch einer Spazierfarth durch die Hessische in die Braunschweig-Lüneburgischen Lande, nach der unveröffentlichen Göttinger Handschrift, herausgegeben und eingeleitet von M. Arnim, Göttingen 1928.
22 Ad Amburgo — ecco un motivo in più per non trascurare la forte città anseatica — studiava un cugino di Bach, Johann Ernst. [40], figlio di Johann Christoph [27] di Arnstadt (il fratello gemello del padre di Bach). Johann Ernst negli anni 1696-1700 era stato compagno di studi di Johann Sebastian nel Liceo di Ohrdruf. 23 Rabano Mauro, De universo libri XXII sive etymologiarum opus, cit. da Wilibald Gunurr, Zur Bedeutungsgeschichte von musicus und cantor bei Isidor von Sevilla, Steiner, Wiesbaden 1950, p. 545.
24 La disposizione dei registri dell'organo costruito da Johann Friedrich Wender per la Bonifatiuskirche (Neue Kirche) comprendente 23 registri, più un tremulo all'Oberwerk, un accoppiamento di manuale e uno fra manuale e pedale 683
Note al testo (Parte terza, cap. I)
era originalmente la seguente
al Brustwerk, nonché due giochi di campane, (ma la «lettura » & incerta in taluni casi): Oberwerk
1. 2. 3. 4. 5. 6.
Principal Viola daGamba Quintadena Gedackt Quinte Octave
Brustwerk
8 piedi 8 » 16 » 8 » < bere 4° >
1. 2. 3. 4. 5. 6.
7. Mixtur IV
8. Gemshorn
9. 10. 11. 12.
4 piedi 8 » e 6 » 4
»
7. Mixtur IV
8
Cymbel III Trompete Tremulant Glockenakkord
Principal Gedackt Spitz-Flóte Quinte Sesquialtera Nachthorn
»
8. Octave
2529
9. Glockenakkord ^ Manualkoppel Pedalkoppel
aun
Pedal
1. 2. 3. 4. 5.
Principalbass Sub-Bass Posaunenbass Violonbass Hohlflöte
8 piedi 16 » 16 dc» In 8 »
Lo strumento fu notevolmente ampliato (tre manuali, pedale e 54 registri) nel 1864 ad opera dell'organaro Julius Hesse di Dachwig (presso Erfurt) su progetto di Heinrich Bernhard Stade, organista e Kantor di Arnstadt. Altre modifiche furono apportate negli anni 1874-78 da Fr. Meissner e nel 1911 dalla ditta G. F. Steinmeyer & Co. di Oettingen. Gli ultimi ritocchi (56 registri) risalgono al 1938-39, opera di Wiegand Helfenbein di Gotha, che aggiunse ancora un registro nel dicembre 1949. ?5 Lo Spitta ha pubblicato il « quadro » dei musicisti impiegati a corte nel 1690, al tempo in cui la carica di Kapellmeister era coperta da Adam Drese: Cantori
Discant Altist Tenorist
Strumentisti
Hans Dietrich Sturm Hans Erhardt Braun 1. lo scrivano di camera 2. l'addetto all'annona
Violini
(Kornschreiber) Bassist
. Hans Heinrich Longolius 1. l’ispettore edile (Bauschreiber) . il Cantor (= Ernst Dietrich Heindorff)
Alt-Viole
1. Johann Christoph Bach 2. Christoph Jäger 3. Actuarius (cioè l'archivista — Johann Martin Heindorff) 4. Wentzi(n)g (cameriere) assistenti di H. Bach e
Tenor-Viole apprendisti Bass-Viole Violon l’economo della mensa Christoph Herthum) Organo Heinrich Bach
684
(=
Note al testo (Parte terza, cap. I) oltre isuonatori di tromba, sinora sono stati ammessi, per gentile concessione, a questa musica:
per la Cappella o per Complimento o per la scuola:
(= musica da tavola)
il figlio di Jäger Sauerbrey Miller Schmidt
Discantista Altista Tenorista Bassista
Di queste persone possono nella musica strumentale:
essere impiegate specialmente
Jäger
Bach Actuarius (= J. M. Heindorff) Wentzig lo scrivano di camera l'addetto all'annona il trombettiere Förster il. trombettiere Herthum il Cantor Hans Erhardt Braun Hans Heinrich Longolius assistente di Bach
Violinisti
i
apprendista di tromba Hans Dietrich Sturm Miiller, della scuola
Viole contralto
Schmidt, della scuola Sauerbrey, della scuola apprendista di Bach
I
\
l'economo della mensa assistente di Bach apprendista di Bach
Vidom vow Bee, \ A
Viole tenore
26 Christoph Herthum, nato ad Angelroda nel 1651 e morto ad eh il 12 febbraio 1720, nel 1672 era stato assunto come Kiichenschreiber, si potrebbe dire « economo della mensa » a corte; aveva sposato una figlia (Maria Catharina)
di Heinrich Bach [19], di cui prese poi il posto (1692) alla Oberkirche e, nei primi tempi, anche alla Liebfrauenkirche. Herthum tenne a battesimo (1671) Johann Christoph Bach [42], il fratello maggiore presso il quale Johann Sebastian dimorò ad Ohrdruf, che nel 1689-90 sostituí Heinrich Bach nell’ufficio di organista ad Arnstadt. A corte, esercitó pure funzioni di organista. Andreas Börner, nato a Rudisleben (nei pressi di Arnstadt) nel 1673 e Sonoro ad Arnstadt il 9 maggio 1728, dal 1703 fu organista alla Liebfrauenkirche. Come si è già avuto occasione di dire (cfr. p. 242) il 1° gennaio 1702 era stato nominato organista della Neue Kirche, prima che l’organo di questa chiesa fosse portato
685
Note al testo (Parte terza, cap. I) a termine. Aveva sposato (Arnstadt, 18 novembre 1695) una figlia di Christoph Herthum, Maria Elisabetha (Ebeleben, batt. 20 febbraio 1669 - Arnstadt, 10 settembre 1706). Fu pure attivo a corte.
27 Ernst Dietrich Heindorff aveva preso la successione del padre, Johann Friedrich, il quale fu Stadtcantor di Arnstadt dal 1620 al 1681. Era probabilmente fratello di Ernst Dietrich quel Johann Martin Heindorff che figura come violinista nella lista degli Hofmusiker del 1690. Questo Johann Martin Heindorff aveva funzioni diActuarius, cioè di archivista e cancelliere: è a lui che fu trasmesso il decreto di nomina di Johann Sebastian Bach ad organista della Neue Kirche (BD II, 8).
28 Johann Nicolaus ForkeL, Ueber Johann Sebastian Bachs Leben, Kunst und Kunstwerke, Hoffmeister und Kiihnel, Leipzig 1802 (cfr. la ristampa a cura di Walther VETTER, Bärenreiter, Kassel 1970, pp. 18-19).
29 Anna Margreta Buxtehude trovò poi un volenteroso sposo nella persona dell’organista Johann Christian Schiefferdecker (Teuchern, nei pressi di Weissenfels, 10 novembre 1679 - Lubecca, aprile 1732), che dal 1707 alla morte ebbe il posto alla Marienkirche. Anna Margreta mori nel 1717 e Schiefferdecker contrasse un nuovo
matrimonio.
30 Johann Gottfried Olearius (Halle, 28 settembre 1635 - Arnstadt, 21 maggio 1711) era sovrintendente dal 1688; fra l'altro, l'Olearius era stato diacono e direttore della « musica di chiesa » nella Liebfrauenkirche di Halle fra il 1661 e il 1672.
31 Johann Andreas Rambach (Arnstadt, 5 aprile 1681 - Erfurt, sep. 8 dicembre 1729) fu « prefetto del coro » dal settembre 1705 all’aprile 1706; il Rambach si iscrisse poi all’Università di Jena (20 aprile 1706) e più tardi fu co-rettore a Erfurt. 82 Andreas Gottlieb Schmid (Arnstadt, 17 ottobre 1685 - 13 novembre 1737); di lui sappiamo che nel 1728 concorse, senza successo, al posto di organista nella Neue Kirche, quando si apri la successione a Johann Ernst Bach [40].
33 Justus Christian Uthe (Schernberg, 1680 - Langensalza, 25 giugno 1716) fu predicatore nella Neue Kirche di Arnstadt dal 1704 al 1709. 84 Il Consiglio Comunale di Miihlhausen, di nomina triennale, era formato da 6 borgomastri e da 42 consiglieri, suddivisi in tre gruppi (ciascuno dei quali composto da 2 borgomastri e da 14 consiglieri), cui a turno competeva per la durata di un anno il governo della città.
85 Il quadro degli organisti che precedettero Bach alla Chiesa di S. Biagio è il seguente: Joachim Müller a Burck 1566 - 1610 Johann Heydenreich 1610 - 1633 Rudolph Radecker 1633 - 1634 Hermann Schmied 1634 - 1649 ^ Johann Vockerodt 1649 - 1654 Johann Rudolph Ahle 1654 - 1673 Johann Georg Ahle 1673 - 1706
686
Note al testo (Parte terza, cap. I)
3$ Nato a Mühlhausen il 19 aprile 1637 e ivi morto il 4 settembre 1712, Meckbach era membro del Consiglio Comunale dal 1676 ed era divenuto borgomastro per la prima volta nel 1679. ?' Johann gliere dal dopo tanti Bach: un
Hermann Bellstedt (morto a Mühlhausen l'11 aprile 1711), consi1687, svolgeva funzioni di cancelliere. Non stupisce pit nessuno, incroci di parentele, trovarlo legato in qualche modo alla famiglia suo fratello, Johann Gottfried, notaio ad Arnstadt, aveva sposato
Susanne Barbare Wedemann, sorella di Catharina, la futura suocera di Bach (moglie, cioè, di Johann Michael Bach [30]); la figlia di Johann Gottfried Bellstedt, sposata a Johann Christoph Emmerling, fu madrina al battesimo di
Johann Gottfried Bernhard Bach [68], Weimar 1715, sesto dei figli di Johann Sebastian!
88 Tobias Lammerhirt (Erfurt, batt. 7 aprile 1639 - ivi, 10 agosto 1707) era fratello della madre di Bach, Elisabeth; sposatosi con Martha Catharina Briickner il 16 gennaio 1684, non aveva avuto figli ed aveva voluto dividere le proprie sostanze fra i figli del fratello e della sorella e fra altri parenti. La moglie Martha Catharina (morta a Erfurt e ivi sepolta il 10 settembre 1721) fu poi chiamata da Johann Sebastian a tenere a battesimo la primogenita Catharina Dorothea (Weimar, 27 dicembre 1708). Su Tobias Limmerhirt si veda: Hugo LÄMMERHIRT, Bachs Mutter und ihre Sippe, in BJ XXII (1925), spec. pp. 113-125. 39 Nato ad Arnstadt (dove fu battezzato il 12 giugno 1660) e morto a Dornheim l’8 aprile 1723, lo Stauber, infatti, sposerà otto mesi più tardi (5 giugno 1708) Regina Wedemann (Arnstadt, batt. 19 settembre 1660 - 2 luglio 1730), sorella di Catharina, la madre di Maria Barbara! Ma occorre aggiungere che quello di Stauber era il secondo matrimonio: in prime nozze (28 febbraio 1688), quando era parroco a Rudisleben presso Arnstadt, aveva sposato Anna Sophie Hoffmann (morta a Dornheim l'8 giugno 1707); ora, Maria Barbara Bach era nipote di Eva Hoffmann, la consorte di Heinrich Bach [19], a sua volta sorella di Barbara Hoffmann, sposa a Johann Bach [17]. Ancora una volta, dunque, il cerchio si chiude inesorabilmente.
‚40 Johann Lorenz Albrecht (Górmar, Mühlhausen, 8 gennaio 1732 - Mühlhausen 1773), Kantor e Musikdirektor alla Marienkirche di Mühlhausen dal 1758, poeta laureatus, pubblicó la memoria in questione (Kurze und unpartheyische Nachricht von dem Zustande und der Beschaffenheit der Kirchenmusik in der Oberstädtischen Hauptkirche Beatae Mariae zu Mühlhausen) negli Historisch-kritische Beyträge zur Aufnahme der Musik di Friedrich Wilhelm Marpurg, vol. V, G. A. Lange, Berlin 1762, pp. 381-409.
41 Dei due nuovi borgomastri il primo, Adolf Strecker (Mühlhausen, batt. 15 giugno 1624 - 13 settembre 1708), era alla sua quinta elezione: consigliere nel 1669, era stato borgomastro per la prima volta nel 1695. Il secondo, Georg Adam Steinbach (? - Mühlhausen, 7 maggio 1720), ricopriva la carica per la prima volta. I due subentravano a Johann Georg Stephan (? - Mühlhausen, 26 ottobre 1716), già consigliere nel 1674, e a Christian Grabe (? - Mühlhausen, 17 marzo 1716), eletto consigliere la prima volta nel 1686. 687
Note al testo (Parte terza, cap. I) 42 Dell'edizione a stampa si conoscono tre esemplari conservati rispettivamente alla Deutsche Staatsbibliothek di Berlino (ex Preussische Staatsbibliothek), al British Museum (Biblioteca Paul Hirsch) e al Gemeentemuseum dell'Aja (raccolta D. F. Scheurleer). 43 Johann Gottfried Hetzehen (Mühlhausen, 29 aprile 1664 - 6 aprile 1735) era organista alla Marienkirche dal 1693. 44 Johann Friedrich Wender (Dórna, Mühlhausen, batt. 6 dicembre 1655 Mühlhausen, 13 giugno 1729) già negli anni 1689-1691 aveva provveduto (dietro un compenso di 450 talleri) ad un primo restauro dell'organo della Divi Blasii (secondo le istruzioni impartite da Johann Georg Ahle). Fra gli organi da lui costruiti ne figurano vari per le chiese di Mühlhausen: St. Petri (1707-1710), St. Martini
(1708-1719), St. Georgi (1712-1714).
45 Ci è nota, tuttavia, la disposizione dei registri (cfr. Jakob ApLunG, Musica Mechanica Organoedi, Berlin 1768, vol. I, pp. 260-261): Ober-und Hauptwerk
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
"(tastiera mediana) Principal Oktave Oktave Cymbel II Mixtur IV Violdigamba Gedackt
8. Quinte
Brustwerk
8 piedi 4 » Zip
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
8 piedi 4 »
(tastiera superiore) Principal 2 piedi Mixtur III Schallmey 8 piedi Quinte 112 ala Terz 13/55 .» Flóte 4 » Stillgedackt 8 »
jaa
9. Fagott (da DO a do) 10. Quintatón
11. Sesquialtera
16
»
10
E»
II
Rückpositiv
1. 2. 3. 4. 5.
(tastiera inferiore) Gedackt Salcional Spitzflöte Sesquialtera Principal
6. Quintatön
Pedaliera
8 piedi 4.» Zia
1. 2. 3. 4. 5.
4 piedi B
O)
Accessori:
Accoppiamento
col
32 piedi 16 » 16 » BS» 4 »
6. Mixtur IV
7. Quintflöte bla 8. Oktave 2a 9. Cymbel II (i registri erano collocati dietro l'organista)
Accoppiamenti
Untersatz Principal Subbass Oktave Oktave
7. 8. 9. 10.
Brustwerk.
Posaune Trompete Cornetbass Rohrflótenbass Accoppiamento
col pedale e l'Hauptwerk. Tremolo
688
,
16 piedi Sis x 251 d 1 piede
col Rückpositiv.
a tutti e tre i manuali.
Note al testo (Parte terza, cap. II) Cymbelstern. Timpani. Campanelli per gli addetti ai mantici. Inoltre 6 grossi mantid, 2 per il pedale e 4 per i manuali. Le tastiere hanno 50 tasti. Il pedale 26.
46 Fra le opere di Eilmar converrà citare in primo luogo l'importante Kirchenhistorie der Stadt Mühlhausen (Mühlhausen 1714) e i due brevi scritti Güldnes Kleinod Evangelischer Kirchen (Braunschweig 1701) e Entwurf der Andacht bei der Papperoder Brunnensolennité (Mühlhausen 1714) entrambi contenenti osservazioni sulla musica chiesastica in polemica sullo scarso impiego di musica concertata da parte delle comunità pietiste. 4? Secondo lo Spitta le formule d'intestazione che accompagnano il documento ‚si riferiscono rispettivamente: a) al borgomastro; b) ai consiglieri municipali; c) al personale direttivo delle scuole; d) agli insegnanti; e) ai cittadini tutti.
Capitolo secondo 1 Cfr. Philipp Emanuel Bachs musikalischer Nachlass. Vollständiger, dem Original entsprechender Neudruck des Nachlassverzeichnisses von 1790. Eingeleitet und herausgegeben von Heinrich Mresner, in BJ XXXV
(1938), pp. 103-136; XXXVI
(1939), pp. 81-112 (spec. 94-95); XXXVII (1940-1948), pp. 161-181.
2 Neun Motetten für Singchöre von Johann Christoph Bach und Johann Michael Bach, Fr. Hofmeister, Leipzig 1821, 3 quaderni (nella serie Kirchenmusik verschiedener Zeiten und Volker).
3 Altbachisches Archiv. Aus Johann Sebastian Bachs Sammlung von Werken seiner Vorfahren Johann, Heinrich, Georg Christoph, Johann Michael und Johann Christoph Bach, 2 voll.; Erster Teil: Motetten und Chorlieder (20 compos.); Zweiter Teil: Kantaten (9 compos.), Breitkopf & Härtel, Leipzig 1935, nella serie Das Erbe Deutscher Musik (EDM), voll. I e II (Sonderbände zum Bach-Gedenkjahr 1935); rist. Breitkopf & Härtel, Wiesbaden 1966. Una sola delle composizioni in questione & pervenuta in manoscritto autografo: si tratta della cantata Die Furcht des Herren di Johann Christoph Bach (n. 17); il n. 19 è giunto in una copia realizzata da Johann Ambrosius, mentre i nn. 14 e 16 sono stati copiati da Johann Sebastian. Di mano di Georg Zugwurst è il n. 84 (datato 29 maggio 1698), di Johann Christian Appelmann, invece, il n. 4. Alla principessa Anna Amalia di Prussia (1723-1787) si devono le copie manoscritte dei nn. 75, 76, 77, 78, 79; a Philipp Spitta, infine, risalgono i nn. 10 e 12. Tutte le restanti opere sono pervenute in manoscritti redatti da ignoti copisti, il piá antico dei quali è quello relativo al n. 1; del 1679 è il n. 8; alla seconda metà del XVII secolo risalgono i nn. 2, 3, 7, 8, 71, 72 tutti di mano del medesimo copista, mentre di diverse mani sono i nn. 5, 6, 70, 81, 82, 83, 85; intorno al 1700 è stato copiato
il n. 73; da ultimo, il n. 74 è databile al primo terzo del secolo XVIII. È da notare poi che Schneider nei due volumi di cui sopra non ha pubblicato, perché già noti, i nn. 14, 15, 18, 21.
689
E. a "
Note al testo (Parte terza, cap. II)
4 Max SCHNEIDER, Thematisches Verzeichnis der musikalischen Werke der Familie Bach, in BJ IV (1907), pp. 103-177 (pubbl. solo la prima parte). Dalla tabella sopra riportata mancano le composizioni indicate da Schneider con i nn. 2, 6, 7, 78: il n. 2 è una cantata (perduta) di Heinrich Bach, Als der Tag der Pfingsten erfüllet war; i nn. 6 e 7 sono due corali per organo (Christ lag in Todesbanden e Erbarm dich mein, o Herre Gott) che lo Schneider attribuiva ad Heinrich Bach ma che sono invece opera di Johann Heinrich Buttstett; il n. 77 è un’Aria con 15 variazioni di Johann Christoph già in possesso di Philipp Spitta, ora alla Zentralbibliothek di Zurigo. 5 Vedilo in Georg Böhm Samtliche Werke. Klavier-und Orgelwerke, Band I (Choralarbeiten und Anhang), a cura di Johannes e Gesa Worcasr, Breitkopf & Härtel, Wiesbaden
1952,
Nr.
6,1 (il Nr.
6,2 & un’altra elaborazione della
medesima melodia nello stile del corale ornato). 6 Della fantasia esiste una variante (BWV 735a) risalente al periodo di Weimar e caratterizzata semplicemente da una modifica nella chiusa. ? Si può sottolineare il fatto, ad esempio, che ia pagina non sia compresa nell'edizione curata da Hans Krorz, Die einzeln überlieferten Orgelchoräle, NBA IV/3, 1961.
8 Hans Krorz, NBA/KB, IV/3, p. 47 riferisce di una lettera di Christhard Mahrenholz (10 settembre 1958) il quale sostiene la diretta connessione del corale bachiano con l'omonima cantata di Buxtehude. L'ipotesi critica cade in seguito alla scoperta che la cantata Erbarm dich mein, o Herre Gott sempre creduta opera di Buxtehude è in realtà opera di Lovies Busbetzky (cfr. Martin GEcK, Die Authentizität des Vokalwerkes Dietrich Buxtehudes in quellenkritischer Sicht, in «Die Musikforschung » XIV (1961), p. 404 e XVI (1963), p. 175. ? Il Klotz rinvia ad un manoscritto, che sarà descritto in NBA V/3, copiato da
Johann Giinther Bach [55]. Una seconda versione (pure non indicata dallo Schmieder e pubblicata dal Klotz) ha carattere di corale accompagnato: si tratta in pratica di un corale armonizzato con qualche breve escursione toccatistica. 10 Johann Andreas Bach [65], ottavo figlio di Johann Christoph [42], il fratello maggiore di Johann Sebastian, entrò in possesso di questo manoscritto in età già avanzata; il volume era stato compilato — come si è avuto occasione di notare (cfr. p. 33) — dal fratello maggiore Johann Bernhard [62], alla cui morte egli subentrò come organista nella Michaeliskirche di Ohrdruf. Johann Bernhard era stato allievo di Johann Sebastian a Weimar fra il 1715 e il 1717 ed è a quell'epoca che si deve far risalire la redazione del manoscritto. Il fatto ha indotto più di un commentatore a pensare che il corale Gott, durch deine Giite si collochi appunto in quegli anni. Personalmente resto dell’idea che l’opera debba essere EAR : à à riferita ad un'epoca anteriore al soggiorno
: à di Weimar.
Y
!! Le partite sono pubblicate da Karl STRAUBE, Choralvorspiele alter Meister für den praktischen Gebrauch bearbeitet, C. F. Peters, Leipzig 1907 (n. 4). Di Johann Bernhard, che fu dapprima organista a Erfurt (dal 1695) e poi ad Eisenach (dal 1703
690
Note al testo (Parte quarta, cap. I) al 1749, anno della morte), si conoscono altri otto corali per organo, tre dei quali (Helft mir Gott’s Güte preisen; Jesus, Jesus, nicht als Jesus; Wir glauben all an einen Gott) sono dei bicinia. I restanti cinque sono: Christ lag in Todesbanden: Nun freut euch, lieben Christen g'mein; Vom Himmel hoch, da komm ich her: e die altre elaborazioni del Wir glauben all an einen Gott. 12 Il manoscritto principale, un tempo considerato autografo — già in possesso dell'organista Johann Christian Heinrich Rinck (Elgersburg, Turingia, 18 febbraio 1770 - Darmstadt, 7 agosto 1846), allievo di Johann Christian Kittel, che a sua volta aveva studiato con Bach — era stato donato al musicista e pittore Joseph Bonaventure Laurens nel 1841, la cui raccolta di musica confluí nella Biblioteca Comunale di Carpentras. Si noti che in alcune edizioni vi & uno scambio di posizione fra le partite VI e VII. Nel considerare l'ordine di queste due variazioni, seguo l'edizione Peters. :
13 Di alcune altre opere iscritte al genere della partita su corale non si hanno
notizie sicure. Le partite su Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn (BWV Anh. 77), corale e sette variazioni, fanno parte, secondo una notizia riferita da Spitta (I, 207), di un manoscritto contenente altri corali bachiani che fu copiato da Johann Ludwig Krebs. Il nome di Bach non figura sulla partitura, ma lo Spitta si diceva certo della sua autenticità (e la collocava cronologicamente a fianco delle partite BWV 766-768). Lo Schmieder la classifica come opera dubbia allo stesso modo di due altre similari composizioni: le sei variazioni su Wenn wir in höchsten Nöthen sein (BWV Anh. 78) e il corale con una variatio sopra Befehl du deine Wege (BWV Anh. 79). 14 Per la verità occorre segnalare un'eccezione. La prima composizione vocale bachiana a noi nota & un Quodlibet (BWV 524) sul testo, intitolato Der Backtrog (La madia), scritto, per le nozze di imprecisate persone, da Johann Friedrich Treiber, rettore ad Arnstadt. La composizione, che é a 4 voci e continuo, ci è pervenuta in un manoscritto autografo, purtroppo monco (mancano la parte iniziale e quella finale), conservato presso il Bach-Archiv di Lipsia. Il lavoro dovrebbe farsi risalire all'ultimo anno del periodo di Arnstadt; da notare che
lintonazione iniziale corrisponde ad una melodia giullaresca. Cfr. Charles Sanford Terry, Bach’s Quodlibet, in « Music & Letters » (1933); Bernhard Grosse,
Zum Bachschen Hochzeitsquodlibet von 1707, in BJ XXXII
(1935), pp. 97-106;
Günther Krart, Zur Entstehungsgeschichte des « Hochzeitsquodlibet » (BWV 524),
in BJ XLII (1956), pp. 140-154.
Parte quarta Capitolo primo 1 Il Wilhelmsburg era stato innalzato dal duca Wilhelm IV (1598-1662; regnante
dal 1644) fra il 1650 e il 1662 ed era divenuto l’abituale dimora dei duchi di Sassonia-Weimar; tale edificio sostituiva l'antico Hornstein eretto nel 1439 dal 691
Note al testo (Parte quarta, cap. I) n
duca Wilhelm il Valoroso (morto nel 1482) e distrutto da un incendio il 2 agosto 1618. Due altri palazzi affiancavano l'imponente residenza ducale, il primo dei quali era il cosiddetto Rotes Schloss (Castello Rosso) eretto nel XVI secolo, collegato col Wilhelmsburg mediante un Roter Gang (Galleria Rossa) che superava il fossato esistente tutto intorno all'edificio principale; in questo Rotes Schloss, ai tempi di Bach, dimorava stabilmente il duca co-reggente, Johann Ernst (II). L'altro edificio, terzo del complesso, si chiamava Goldes Schloss (Castello Giallo) ed era di recentissima costruzione: infatti era stato terminato soltanto nel 1704 per volere di Johann Ernst (II), il quale vi aveva insediato la propria regal consorte; le lettere CDSDSLHH pit volte ricorrenti sulla facciata | dell'edificio stavano ad indicare, appunto, un segno di quella precisa destinazione, significando esse il nome di Charlotte Dorotea Sophie Dux Saxoniae Landgravia Hessen-Homburg. Il Wilhelmsburg sarà distrutto dal fuoco il 6 maggio 1774, subendo cosí la medesima sorte che già era toccata allo Hornstein un secolo e mezzo prima; un terzo castello, quello poi indicato col nome di Schloss Goethe, fu realizzato fra il 1779 e il 1803, ed & quello che ancor oggi si erge maestoso al bordo del centro cittadino in un contesto urbanistico felicissimo e mirabile. 2 Il padre, Jacob (Langewiesen, Arnstadt, 11 novembre 1617 - Weimar, sep. 26 maggio 1682) fu segretario della camera demaniale di Weimar; temperamento musicale, ebbe dal conte di Arnstadt la possibilità di istruirsi alla cappella di corte di Dresda, ricevendo lezioni di canto e imparando a suonare l'arpa. Nel 1649 sposó Dorotea Maria Brandes, figlia dell'arcidiacono Salomo. 3 Nel 1723 Salomo Franck pubblicó uno scritto concernente il Gabinetto di Numismatica: Illustris Nummophylacii Wilhelmo-Ernestini, quod Vinariae fulget, rariores Bracteati Nummique, figuris aeneis expressi, breviter explicati a Salomone Franckio, Secretario Saxo-Vinariens. Vinariae, litteris Mumbachianis. Lo scritto fu riedito nel 1759. 4 Wohlklingendes Lob Gottes aus denen ordentlichen Sonntags-Evangelien in der Pfarrkirche zu St. Petri und Pauli zu Weimar vom 1. Sonntag nach Trinitas anno 1700 mit lieblichen Concerten Gott zu Ehren und der Gemeinde zur Erbauung abgesungen.
5 Sul Compenius (nato probabilmente ad Halle intorno al 1603 e morto a Erfurt l'11 febbraio 1671) si veda Thekla Schneider, Die Orgelbauerfamilie Compenius, in « Archiv für Musikwissenschaft » II (1937), pp. 72-75.
* Terza in ordine di tempo fra le chiese di Weimar (dopo la Chiesa di S. Martino, onorata dai duchi, e la Chiesa di S. Giacomo), la Stadtkirche intitolata ai Santi Pietro e Paolo era stata eretta nel XV secolo su un precedente tempio sorto
fra il 1245 e il 1249, dedicato a S. Pietro. Distrutta dall'incendio che aveva devastato il borgo nel 1299, era stata ricostruita ma era stata rovinosamente colpita dalle fiamme che avevano divorato Weimar nel 1424, quando la città contava 1800 abitanti. La nuova costruzione era sorta fra il 1434 e il 1487 (ma la torre è del 1493). Il bombardamento del 9 febbraio 1945 la mutilò orribilmente, ma è stata riaperta al culto il 29 giugno 1953. Fra le personalità che illustrarono la chiesa, oltre a Walther, devono essere ricordati Melchior Vulpius
692
Note al testo (Parte quarta, cap. I) che fu Kantor dal 1596 alla morte (1615) e Johann Gottfried Herder, pastore dal 1776 alla morte (1803).
? Il trattato, conservato manoscritto nella Landesbibliothek di Weimar (segnatura Hs Q 341°), è stato pubblicato a cura di Peter BenARY, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1955 (vol. 2 dei « Jenaer Beiträge zur Musikforschung » a cura di Heinrich BesseLER). Il trattato, 419 fogli manoscritti, occupa 210 pagine a stampa.
8 Il titolo completo dell’opera è il seguente: Musicalisches Lexicon oder Musicalische Bibliothec, Darinnen nicht allein Die Musici, welche so wol in alten als neuern Zeiten, ingleichen bey verschiedenen Nationen, durch Theorie und Praxin sich hervor gethan, und was von jedem bekannt worden, oder er in Schriften hinterlassen, mit allem Fleisse und nach den vornehmsten Umständen angeführet, Sondern auch Die in Griechischer, Lateinischer, Italiänischer und Französischer Sprache gebräuchliche Musicalische Kunst oder sonst dahin gehörige Wörter, nach Alphabetischer Ordnung
vorgetragen und erkläret, Und zugleich die meisten vorkommende Signaturen erläutert werden von Johann Gottfried Walthern, Fürstl. Sächs. Hof-Musico und Organisten an der Haupt-Pfarr-Kirche zu St. Petri und-Pauli in Weimar. Leipzig, verlegts Wolffgang Deer, 1732. Estratti del lessico erano giä stati resi noti nel 1723, 1725 e 1728; in quest'ultimo anno, anzi, Walther aveva pubblicato a Weimar (per i tipi di D. Limprecht di Erfurt) l'intera lettera A. Il lessico, che Walther dedicó al duca Ernst August (con lettera del 16 febbraio 1732), non fu più ripubblicato ai tempi di Walther; un supplemento già pronto per le stampe nel 1739 e i lavori preparatori per una seconda edizione non videro la luce. Attualmente è disponibile la ristampa anastatica, a cura di Richard ScHAaL, Bärenreiter Verlag, Kassel-Basel 1953 (nella serie « Documenta Musicologica », n. 3). Ricorderò che il dizionario del Walther è il primo a comprendere accanto ai termini musicali anche i nomi dei musicisti; sia il Terminorum musicae diffinitorium (1473) di Johannes Tinctoris, sia la Clavis ad Thesaurum Magnae Artis Musicae di Tomás Baltazar Janovka (1701), sia il Dictionnaire de Musique (1703) di Sébastien de Brossard erano esclusivamente terminologici. Per alcuni importanti particolari sul lessico del Walther, cfr. Georg SCHUNEMANN, J. G. Walther und H. Bokemeyer. Eine Musikerfreundschaft um Sebastian Bach, in BJ XXX (1933), pp. 86-118. 9 Dalle ricerche di Jauernig apprendiamo che la chiesa di Taubach era di nuova costruzione; l'edificio precedente era bruciato il 6 novembre 1704. La nuova chiesa, dal costo complessivo di 532 fiorini, era stata' inaugurata il 18 ottobre 1705 (Domenica 19.a post Trinitatis); la spesa per l'organo ammontò a 110 talleri (a Trebs fu subito versata, ad inizio dei lavori, una caparra di 30 talleri). Ecco la disposizione dell'organo quale fu dettata da Bach:
Pedale
Manuale
16 piedi legno 1. Sub basso 4 piedi stagno 1. Principale 2 » metallo Bass Flóth Wald 2. legno » 8 2. Gedact 8 » legno 3 » metallo 3. Principal Bass 3. Quinta Inoltre: Stern, Cymbel, Tremolante, » PR 4. Octava accoppiamento al pedale, 2 mantici » 5. Tritonus (— Terza) 13/5 » 693
Note al testo (Parte quarta, cap. II) Manuale
6. Superoctav
Pedale
1 piede metallo ^ lunghi 9 piedi e larghi 4 1/2.
7. Mixtur III
8. Quintathón
8 piedi metà in legno metà in metallo
10 Sull'argomento si vedano: Werner WOLFFHEIM, Bachiana I, in BJ VIII (1911), pp. 37-41; Charles Bouver, Un groupe de compositions musicales (de Buonporti) publiées sous le nom de Bach, in « Bulletin de la Société Frangaise de Musicologie » I (1918), pp. 83esgg.; Guglielmo BARBLAN, F. A. Bonporti « Gentilhuomo di Trento, dilettante di musica », in «La Rassegna Musicale » XII (1939), spec. pp. 329-334. 11 Le feste di Natale, Pasqua e Pentecoste dal punto di vista liturgico erano articolate ciascuna in tre giornate. 12 La disposizione dei registri è riferita da Jacob Aprung, Musica Mechanica Organoedi, Berlino 1768, vol. I, pp. 239-240. L'organo subí rimaneggiamenti nel 1740 e nel 1745; altre riparazioni rilevanti furono portate nel 1808, nel 1837 e nel 1844 (per opera di Johann Friedrich Schulze). Un nuovo organo fu
costruito nel 1897 da Wilhelm Rühlmann, conservando la facciata originale. 13 Kirchen-Musique, welche bey der wegen der in der Kirchen zu U.(nser) L.(ieb) F.(rauen) Neuerbauten Orgel gehaltenen Danck-Predigt am Tage Philippi Jacobi 1716 auffgeführet wurde von Gotfried Kirchhoffen, Directore Musices und Organisten, Halle. 14 Geistliche Lob-und Dank-Opfer bei der den 31. Oktobris und folgenden erst und anderem November 1717 angeordnetem Hochfeyerlichen Celebrirung des andern Evangelischen Jubelfestes wie auch des Hochfürstl. Wilhelm-Ernestinischen Geburts- Tages und gehaltenen Predigt auf die von Höchstgedachter Hoch-Fürstl. regierenden Durchl. errichtete Christmildeste neue Stiftung zur Fürstl. Sächs. Hofkapell-Musik in der Wilhelmsburg auf gnädigsten Befehl angezündet von Salom. Francken, Fürstl. Sächs. Oberconsistorialsecretario in Weimar. La raccolta consta di cinque cantate, di cui una per il genetliaco del duca, tre per le celebrazioni della Riforma e una per la nuova fondazione della cappella al Wilhelmsburg.
Capitolo secondo
1 Si osservi che la composizione è in sé debole, ma si avvale di principi formali tipici del Bach di quegli anni, quali l'impiego di un brano strumentale introduttivo (Sinfonia), la tecnica della Permutationsfuge nel n. 6, la mancanza di recitativi e persino l'adozione di una ciaccona (il cui tema & identico a quello poi utilizzato da Brahms nel Finale della Quarta Sinfonia) nel brano corale conclusivo, come accadrà nella Cantata BWV 12 del 1714 (coro, n. 2) e anche 694
Note al testo (Parte quarta, cap. III)
nella sinfonia della Cantata BWV 18. Quanto all'autore del testo, che ha agganciato ad alcuni versetti del Salmo 25 (vv. 1-2 per il secondo brano, v. 5 per il quarto e v. 15 per il sesto) tre interventi liberi (madrigalistici), non si & riusciti ad individuarne la personalità. ? Sulla complessa questione si vedano, principalmente: Alfred Dürr, Studien über die frühen Kantaten J. S. Bach's, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1951, pp. 12 e sgg. e 61 e sgg.; Arthur MENDEL, On the Pitches in Use in Bach's Time, in « The
Musical Quarterly » XLI (1955), pp. 332-354 e pp. 466-480. 3 Si osservi che codesto è uno dei sette esempi d'impiego del termine « cantata » per indicare composizioni liturgiche di questo genere (gli altri sono dati dalle cantate BWV
30, 56, 82, 173, 195 e 197).
4 Nelle odierne esecuzioni si adotta il coralé ihr euch von Christo nennet (BWV 164) che ma nell'esecuzione della Cantata BWV 132 tonalità di la maggiore (contro il si bemolle brano iniziale che & appunto in la maggiore.
conclusivo della Cantata Ihr, die impiega quel medesimo corale; il corale viene trasportato nella di BWV 164) per organicità col
5 Arno WERNER, Städtische und fürstliche Musikpflege in Weissenfels, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1911, p. 109. 6 Adolf SCHMIEDECKE, J. S. Bachs Verwandte in Weissenfels, in « Die Musikfor-
Bes XIV (1961), pi 196.
? Werner
NEUMANN,
Eine verschollene Ratswechselkantate J. S. Bachs, in BJ
XLVIII (1961), pp. 52-57.
8 Fra le cantate perdute, Dürr indica Leb’ich oder leb’ich nicht (non classificata dallo Schmieder), su testo di S. Franck (dalla raccolta Evangelisches AndachtsOpffer) e scritta probabilmente per la domenica 19 maggio 1715 (Dominica Cantate).
® Cfr. Hans-Joachim ScHuLze, J. S. Bachs Kanonwidmungen, in BJ LIII (1967), pp. 82-92 (spec. 83-85).
Capitolo terzo 1 N. FORKEL, op. cit., ediz. 1970, pp. 49-50.
2 Le opere di quei maestri tedeschi (quali Muffat, Erlebach, Aufschnaiter, Dez, Mayr, Johann Fischer, Schmierer, Kusser e Krieger), che erano state pubblicate
fra il 1682 e il 1704 e chein qualche misura potevano ricondursi allo stile del
concerto, circolavano intensamente nelle varie corti e particolarmente in quella
di Dresda, che avrebbe presto conosciuto, a partire dal 1710, un’invidiabile condizione di benessere musicale in cui grandi privilegi avrebbe ricevuto la 695
Note al testo (Parte quarta, cap. III) musica strumentale con la presenza di virtuosi quali Zelenka, Pisendel, Buffardin
|
e Volumier.
3 Il documento è stato pubblicato per la prima volta in Friedrich STÄDTLER, Ein Augsburger als Schiiler bei Joh. Seb. Bach, in « Gottesdienst und Kirchenmusik », 1970, quad. 5, pp. 165-167. 4 Sul conto di Eylenstein è lo stesso Walther ad informarci. Nel suo Lexikon egli ci dice che Eylenstein era nato a Gelmroda, nei pressi di Weimar, il 28 ottobre 1682; trasferitosi a Weimar (1696) per apprendervi il mestiere di Stadtpfeifer, dieci anni dopo entrò al servizio di Johann Ernst (II) come oboista | e laquais e dopo la morte del duca co-reggente (1707) divenne maestro di violino del principino di cui nel 1713 fu nominato Reise-Cammerdiener (e cioè cameriere di viaggio) e Cammer-Musico. Analoghe qualifiche egli ricopri dal 1715 al 1728 presso il duca Wilhelm Ernst, passando poi al servizio del successore Ernst August. Walther ci dice, inoltre, che Eylenstein suonava ordinairement il violon-
cello. Mori nel 1749. Il nome di Eylenstein compare in una nota di rimborso spese in data 17 agosto 1713 per una sua permanenza ad Amsterdam, dove egli si era trattenuto col principe di ritorno da un viaggio che l'augusto musicista aveva compiuto (febbraio 1713) a Düsseldorf per conoscere espressamente il | teatro d'opera di quella corte. 5 Nell'Autobiografia, pubblicata da Johann Mattheson (Grundlage einer Ehrenpforte, Amburgo 1740, pp. 387-389), Walther scrive: « Gleich nach meinem Antritt [Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, 29-7-1707], welcher (wegen währender Kirchentrauer) erst auf Michaelis a. c. geschahe, bekam den Durchlauchtigsten Printzen, Herrn Johann Ernsten, und die Durchlauchtigste Princeszinn, Johannen Charlotten, in die Clavier-Information, welchem hohen Beyspiele verschiedene andere Personen adelichen und bürgerlichen Standes folgeten. Ersterm habe auch, nach geschehener Wiederkunfft von der Universität Utrecht, vom Junio des 1713ten, bis in den Mertz des 1714ten Jahres, in der musicalischen Composition Lection zu geben, und, bey dieser Gelegenheit, etliche mahl an Dero Tafel mit zu speisen, ingleichen des Nachts, währender Kranckheit, öffters bey Jhnen zu bleiben, die Gnade und Ehre gehabt ».
6 Cfr. BG, XLII (1894), p. XXIII (Ernst Naumann). ? Johann MATTHESON, Das böschützte Orchestre, Schiller, Hamburg 1717, pp. 129130. Cfr. anche Martin Grck, Gattungstraditionen und Altersschichten in Brandenburgischen Konzerten, in « Die Musikforschung » XXIII (1970), p. 142. 8 Il manoscritto di Walther indica come autore Joseph Meck (1690-1758), Kapellmeister alla corte di Eichstätt. Il Beckmann lo ha identificato con un concerto di Vivaldi (Pincherle N. 109) a noi pervenuto in sei fonti — una a stampa — quattro delle quali indicano come autore Vivaldi (l'opera & originalmente scrita in mi minore). Cfr. Klaus BECKMANN, Zur Echtheitsfrage des Concerto RV 275, in « Vivaldi Informations », vol. 2, 1973, pp. 7-16. 9 Johann Gottfried Walther - Gesammelte Werke für Orgel, in Denkmäler Deutscher Tonkunst, voll. 26-27, a cura di Max SzrrrenT, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1906 (rist. a cura di Hans-Joachim Moser, Akademische Druck-und Verlangsanstalt, Graz 1958): III, Arrangements fremder. Werke für die Orgel, pp. 285-356.
696
Note al testo (Parte quinta, cap. I)
10 Cfr. Frangois Lesure, Bibliographie des éditions musicales publiées par Estienne Roger et Michel-Charles Le Cène (Amsterdam, 1696-1743), Heugel et C.ie, Paris 1969 (= Publications de la Société Frangaise de Musicologie, Deuxième Serie, Tome XI). 11 [p., op. cit., pp. 48 e 84.
12 La notizia è riferita da Johann Adam Hier, Lebensbeschreibungen berühmter Musikgelehrten und Tonkünstler neuerer Zeit, Leipzig 1784, p. 184. 13 Cfr. Siegfried Kross, Das Instrumentalkonzert bei Georg Philipp Telemann, Hans Schneider, Tutzing 1969, p. 142. Per l’edizione moderna del concerto, v. G. Ph. Telemann - Musikalische Werke, Band XXIII: Zwölf Violinkonzerte, a cura di Siegfried Kross, Bärenreiter, Kassel-Basel 1973, n. 9, pp. 137-150.
Capitolo quarto 1 Perduto è un altro « preteso » autografo, già appartenuto a Mendelssohn, contenente 26 corali; Paul Kast avrebbe identificato questo manoscritto nel perduto BB P 1216. Il manoscritto è opera di Christian Gottlob Meissner.
Parte quinta Capitolo primo
1 Al nome di Stricker sono legate le rappresentazioni di due lavori teatrali con musica (sorta di Singspiele): Der Sieg der Schónheit über Helden (1706), per le nozze del principe ereditario, e Alexander und Roxanens Heirat (28 novembre 1708), per le terze nozze di Federico I con Sofia Luisa di Mecklenburg; entrambi i lavori utilizzano un testo di J. von Besser. Da notare che l’unico lavoro a stampa di Stricker s'intitola Erster Theil bestehet in sechs italiänische Cantaten à voce sola, worzu Violino-oder Hautbois-Solo accompagniret all’ Altezza Serenissima Leopoldo, Principe d’Anhalt op. 1, Ant. Löffler, Köthen 1715.
2 Il conto relativo a Bach (BD II, 86) è cosi ripartito: talleri 166 agosto - dicembre 1717 1718
gennaio
febbraio-marzo aprile
P
maggio
giugno (viaggio a Karlsbad) 697
groschen 16
33
8
66 dd
16 8
33
8
33
8
Note al testo (Parte quinta, cap. I) 3 Si veda in merito Friedrich Ernst, Der Flügel J. S.,Bachs. Ein Beitrag zur Geschichte des Instrumentenbaues im 18. Jahrhundert, C. F. Peters, Frankfurt 1955.
4 Il Besseler opina che il Kotowsky dell'elenco sia identificabile con il padre del flautista Georg Wilhelm Kottowsky (nato a Berlino il 16 maggio 1735) citato da Eitner e che Kühltau sia quel Samuel K., fagottista, attivo nella cappella di corte berlinese nel 1754. Quanto a Emmerling (identificabile con Cyriak e non con Johann Christoph), si sa che compose un Concerto per flauto traverso, 2 violini, viola e basso continuo
(conservato nella Biblioteca dell’Università
di Rostock, ma distrutto durante l’ultimo conflitto mondiale) e 7 arie (6 per soprano e 1 per contralto) tutte con strumenti e nella forma con il da capo (tuttora esistenti a Rostock).
i
5 Eredi dei beni di Christian Ludwig furono: Friedrich Wilhelm von Brandenburg-Schwedt (1700-1771), Friedrich Heinrich von Brandenburg-Schwedt (1709-1788), Karl von Brandenburg-Sonnenburg (1705-1762), Friedrich von Brandenburg-Sonnenburg (1710-1741), Friedrich Wilhelm von BrandenburgSonnenburg (1714-1744). 6 Nei conti della camera di Kóthen (BD II, 86), registro relativo all'anno 1721/22, si dichiara che al Capellmeister sono versati annualmente 400 talleri e alla di lui moglie 16 talleri e 16 groschen al mese e che questa il 6 giugno 1722 ha ricevuto quella somma per il mese di maggio e il 29 giugno analoga somma per il mese di giugno. Nel libro dei conti del 1722/23 il pagamento è registrato per 166 talleri e 16 groschen quale corrispettivo delle prestazioni effettuate nei dieci mesi sino al 1° maggio.
? La prova consisteva nell'esecuzione di due corali per organo, O lux beata Trinitas e Helft mir Gott's Güte preisen e dall'esecuzione estemporanea di una fuga su tema dato. Si tenga presente che l’organo della Jakobikirche era sicuramente fra quelli pit pregevoli del momento: ai numerosi strumenti che avevano ornato quella chiesa a partire dal 1443 si era da ultimo arrivati al grandioso organo realizzato da Arp Schnitger negli anni 1688-1693 (60 registri, 4 manuali e pedaliera). Cfr. Karl MeHRKENS, Die Schnitger-Orgel der Hauptkirche St. Jakobi in Hamburg, Bäranreiter, Kassel 1930.
* Sull'argomento
si vedano:
Hermann
WäscHkE,
Die Zerbster Hofkapelle
unter Fasch, in « Zerbster Jahrbuch » II (1906), pp. 47-63; In., Eine noch unbekannte Komposition J. S. Bachs, in «Sammelbände der Internationalen Musikgesellschaft »X (1908-1909), pp. 633-634; Bernhard EnGELKE, Johann Friedrich Fasch. Versuch einer. Biographie, ibid., pp. 263-283.
* Cfr. H. Becker, Die frühe Hamburgische
Tagespresse als musikgeschichtliche
Quelle, in « Beiträge zur Hamburgischen Musikgeschichte » a cura di Heinrich Husmann, quad. 1, Hamburg 1956, p. 39. |
10 Cfr. H. VorkMANN, Christian Heckle, ein sächsischer Kantor des beginnenden 18. Jahrhunderts, in « Zeitschrift für Musikwissenschaft» XIII (1930/31), pp. 369-384.
698
Note al testo (Parte quinta, cap. IV) Capitolo secondo
1 In un caso, quello della ricorrenza celebrata il 10 dicembre 1719 per festeggiare
l'entrata di Leopold nel suo ventiseiesimo anno di età, Hunold scrisse non già iltesto per una cantata, ma un'ode in versi alessandrini (in dieci strofe). Al-
l'omaggio si unirono, per mostrare la propria devozione, secondo quanto dice l'intestazione del carme, il Capell-meister e tutti i Cammer-Musici; Bach mise in musica le strofe 7 e 8 (BD II, 97).
? Se la cantata dovesse risultare precedente all’arrivo di Anna Magdalena a Kóthen (estate 1721), a intonare questa e altre cantate augurali per quella corte potrebbero essere state le due Demoiselles de Monjou di cui parla Mattheson (Critica Musica, vol. I, parte III, p. 85), le probabili figlie di Jean-Frangois Monjou, maestro dei paggi di corte.
Capitolo terzo 1 Un tempo si credeva che la copia in questione del Quinto Brandeburghese fosse dovuta a Gottlob Harrer (1703-1755), il successore di Bach alla Thomasschule. Nel predisporre (1956) l'edizione critica dei Brandeburghesi (NBA VII/2), Besseler aveva elencato per il Quinto Concerto, oltre alla partitura originale, altre 7 copie del concerto in partitura e 5 in parti separate. Nel frattempo, tuttavia, sono venute alla luce altre 4 copie in partitura e 3 in parti separate, sicché le fonti per questo concerto sono, contando anche la partitura autografa della raccolta, complessivamente 20. La copia in parti separate realizzata da Altnickol e aiuti, come vedremo, risponde ad una prima versione dell’opera.
2 Cfr. Michael TimoutH, A Calendar of References to Music in Newspapers Published in London and the Provinces, 1660-1719, Royal Music Association, «Research Chronicle » n. 1, London 1961 (rist. 1968). 3 Cfr. Max FeHr, Die Bachschen Werke im Besitze Hans Georg Nägelis, in « Schweizerische Musikzeitung » LXXXVI (1946), pp. 365-367.
4 Cfr. Arnold
ScHErIinG,
Musikgeschichte
Leipzigs, zweiter Band:
von
1650
bis 1723, Fr. Kistner & C. F. W. Siegel, Leipzig 1926, pp. 385-413.
5 Cfr. Karl Neg, Geschichte der Sinfonie und Suite, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1921, p. 96 (= Kleine Handbücher der Musikgeschichte, a cura di Hermann Krerz; SCHMAR, Band XIV).
Capitolo quarto
1 L'edizione stampata da Simrock porta il titolo Tre Sonate per il Violino solo
senza Basso. Del medesimo anno, 1802, è anche l’edizione parigina, presso Decombe, con il titolo Trois Sonates pour le violon seul sans basse. A dispetto
699
Note al testo (Parte quinta, cap. IV) dell'espressione, non si deve pensare ad una pubblicazione parziale, che esclude dal ciclo le partite; queste figurano come parti integranti delle tre sonate che le precedono; il ciclo compositivo, insomma, è inteso come costituito da sonate integrate, per cosî dire, da una suite di danze, secondo un costume che non era tanto infrequente nella musica dell’epoca: si pensi, per citare un esempio glorioso, alla raccolta di Les Nations di Couperin (1726) in cui ad ogni sonade segue una suite di danze. Si ricordi, inoltre, la raccolta dell’ Hortus Musicus di Johann Adam Reinken (da cui Bach ricavò le elaborazioni cembalistiche BWV 954, 965 e 966) costituita da sei sonate ciascuna delle quali seguita da una suite. ? Una disposizione del 1694 — e altre di anni successivi (1717 e 1719) — prescriveva che «al Communio, prima che si dia inizio ai canti in tedesco, si esegue un brano strumentale o si intona un mottetto » (cfr. Arnold SCHERING, J. S. Bachs Leipziger Kirchenmusik. Studien und Wege zu ihre Erkenntnis, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1936 (19542), p. 10, nota 2. 3 Nella sperimentazione del violinismo polifonico, senza accompagnamento, | Westhoff era stato preceduto da Heinrich Ignaz von Biber, autore di una raccolta di sedici sonate scritte « per celebrare i misteri di Maria » (c. 1674): i misteri sono quindici, ma il ciclo si chiude con una sedicesima sonata, che è una Passagaglia (sic!) a violino solo.
4 Cfr. Hans Rudolf Jung, Johann Georg Pisendel (1687-1755), Leben und Werken, Diss., Friedrich-Schiller-Universitàt, Jena 1956, p. 266.
5 Sull'argomento si veda: Hartwig EICHBERG, Unechtes unter J. S. Bachs Klavierwerken, in BJ LXI (1975), alle pp. 29-42. 6 Sarà sufficiente ricordare che Mendelssohn elaborò per violino e pianoforte la Ciaccona dalla Partita in re minore (l'elaborazione fu pubblicata nel 1847 da Ewer & C. a Londra, e da Crantz ad Amburgo) e che Schumann dotò di accompagnamento pianistico le sonate e partite per violino solo (Sechs Sonaten für die Violine von J. S. Bach mit hinzugefügter Begleitung des Pianoforte, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1854). Prima di Mendelssohn, analogo accompagnamento pianistico alla Ciaccona era stato pubblicato da F. W. Ressel (Schlesinger, Berlin 1845).
? Si tenga presente che la posizione di esecuzione sul violoncello, all'epoca di Bach, non era quella « da seduti » poi impostasi nel tempo. L'esecutore si manteneva eretto e lo strumento era fornito di un lungo puntale, oppure era semplicemente appoggiato su uno sgabello (come si può vedere, ad esempio, nell'incisione che funge da antiporta all'edizione del Musikalisches Lexikon di J. G. Walther, 1732, dove forse è raffigurato un violoncello piccolo a cinque corde). Per una documentazione sull'argomento, si veda Johann Samuel PETRI, Anleitung zur praktischen Musik, Breitkopf, Leipzig 1767 (17822, p. 415); cfr. A. SCHERING, op. cit., pp. 113-114.
\
8 Si dovrà ricordare che Schumann nel 1853, dopo aver « dotato » le sonate e
partite per violino solo di un accompagnamento pianistico, si accinse a compiere
un'analoga operazione sulle suites per violoncello, ma il lavoro rimase allo stato ’
.
.
.
700
.
.
Note al testo (Parte quinta, cap. IV)
di frammento, poiché Schumann lo interruppe quando venne a sapere che né la Casa Breitkopf & Härtel, né l'editore Fr. Kistner avevano interesse a pubblicare tale elaborazione.
? Si tratta di due Duo per «Flauto traverso e Viola pomposa o Violino» di Georg Philipp Telemann (pubblicati in Der getreue Music-Meister, 1728), di un Concerto
doppio in re maggiore
a 7 stromenti, per « Flauto concertato
e
Violino o Viola pomposa », archi e continuo di Johann Gottlieb Graun, e di una Sonata a solo per la pomposa col basso di Cristoforo Giuseppe Lidarti (circa 1760).
10 In tali cantate — ha sostenuto Gustavo Boringhieri (cui si deve un’originale ed ingegnosa soluzione del problema) — Bach non poté far ricorso allo strumento già impiegato nella Suite VI (il violoncello a cinque corde), per la mancanza di adeguati strumentisti. In San Tommaso il Kantor dovette lamentare lo scarso rendimento dei due violoncellisti e ciò che era stato già scritto per il normale violoncello fu trasferito su un altro strumento, dalla tessitura più acuta, ma rinunciando al violoncello a cinque corde, e affidandone la realizzazione ad un violinista, nelle cui mani fu consegnato uno strumento «da braccio », ricon-
ducibile al modello del violoncello. 11 Fra le tante edizioni delle suites per violoncello, vale la pena di segnalare, per la serietà dell'impegno, quella curata da Enrico Mainardi (ediz. B. Schott's Söhne, Mainz s. a., ma 1953) che al testo originale (secondo il manoscritto di Anna Magdalena) sottopone una «interpretazione» esecutiva fornendo una particolare « analisi » del testo stesso, nonché diteggiature e arcate. 12 Cfr. Walter KnAPE, Karl Friedrich Abel. Leben und Werk eines frühklassischen Komponisten, Schünemann Universitàtsverlag, Bremen 1973. L'autore ipotizza, si noti (p. 20) che Christian Ferdinand Abel sia stato attivo alla corte di Celle
— dove già era impiegato come strumentista suo padre Clamor Heinrich dal 1686 al 1694 — intorno al 1700, all'epoca in cui, cioè, quella cappella di corte
si avvaleva saltuariamente delle prestazioni del giovane Bach.
18 Cfr. Alfred Eınstem, Zur deutschen Literatur für Viola da Gamba im 16. und 17. Jahrhundert, in « Beihefte der Internationalen Musikgesellschaft », Folge 2, Heft 1, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1905. 14 Una decima composizione, la Sonata in sol maggiore BWV 1038 per flauto, violino e continuo, deve comunque essere esclusa da questo gruppo di opere: il manoscritto autografo, già appartenuto a Ferdinand David, poi a Julius Rietz quindi a Otto August Schulz, nel 1901 & passato in proprietà del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. Si tratta di tre fogli, uno per ciascuna delle parti strumentali, che sono qualificate come Traversa, Violino discordato e Continuo. Che si tratti di un autografo è fuori dubbio, ma la composizione è opera di altri,
forse del figlio Carl Philipp Emanuel. In ogni caso — come già era avvenuto
per la Sonata violinistica BWV 1022 —, si tratta di una rielaborazione della Sonata per violino BWV 1021, di cui conserva la parte del basso numerato, con una diversa figurazione della voce superiore (dal violino trasferita al flauto)
e l'inserimento d'una terza parte «concertante » affidata ad un violino con 701
Note al testo (Parte quinta, cap. V)
accordatura anomala. Il procedimento è insolito, ma trova altri esempi in quel tempo: Kirnberger citava (1783) il caso di un Trio di Graun al quale un suo allievo, Johann Abraham Peter Schulz, aveva aggiunto due nuove parti per il flauto e il violino, mantenendo inalterata quella del basso (cfr. BD III, 881).
15 Per queste tre composizioni — BWV 1020, 1031 e 1033 — il probabile o possibile autore è Carl Philipp Emanuel Bach, al quale sono convenzionalmente attribuite anche, con buona approssimazione alla verità, oltre alla Sonata BWV 1022 (rielaborazione di cui si è detto) e alla Suite BWV 1025, entrambe opere violinistiche, anche la Sonata in re minore BWV 1036 per due violini e continuo e la Sonata BWV 1038, citata nella precedente nota. Per esaurire il campo della musica da camera d'insieme, si dovrà tener presente che anche la Sonata in do maggiore BWV 1037 per due violini e basso numerato non è
opera di Bach, ma di un suo allievo, Johann Gottlieb Goldberg; cfr. Alfred Duns, J. G. Goldberg und die Triosonate BWV 1037, in BJ XL (1953), pp. 51-80. 16 Cfr. l'edizione curata da Raymond MEyLAN, Sonate für Oboe (Flöte), Cembalo und Viola da gamba (ad lib.), G-moll, Henry Litolff's Verlag - C. F. Peters, New York 1972. 17 Fra le varie integrazioni proposte per questo primo movimento, cito quella
dell'edizione di Wilhelm Barce e B. Topr (Breitkopf & Härtel, Leipzig 1908) e quella curata da Gustav SCHRECK, Maximilian SCHWEDLER e Andreas Moser
(Peters, Leipzig 1909). 18 La Sonata BWV
1032 secondo alcuni studiosi, d'altra parte, sarebbe una
elaborazione di un precedente Concerto in do maggiore per flauto, archi e continuo: una ricostruzione in questo senso & stata pubblicata da Hug & Co. (Zürich 1972) a cura di Wilhelm Momm. 19 Cfr. la ricostruzione proposta da Joseph Bor» per la Ernst Reinhardt Verlag, Basel 1973 (realizzazione del continuo di Eduard MuLLER).
Capitolo quinto 1 Non è ancora chiarito di quale Richter si tratti. Le iniziali pongono l’alternativa di scegliere fra Johann Christian Richter (1689-1744), oboista nella cappella di corte di Dresda, e Johann Christoph Richter (1700-1785), organista in quella medesima cappella. ? Gottfried Heinrich Stölzel (Grünstädtel, Sassonia, 13-1-1690 - Gotha, 27-111749) dal febbraio 1720 era attivo alla corte di NE RIE (in qualità di Kapellmeister). ? Quattro delle invenzioni di Bonporti (nn. 2, 5, 6, 7) — lo abbiamo già visto — furono copiate di proprio pugno da Bach (BWV Anh. 173-176) e pubblicate come opera di Bach in BG XLV, pp. 172-189.
702
Note al testo (Parte quinta, cap. V) 4 Una curiosità del frontespizio è l'« appunto» — questo, autografo di Bach — relativo a tre volumi che facevano parte della biblioteca del Kantor:
Ante (sic!) Calvinismus und Christen Schule item Anti Melancholicy
von D. Pfeifern
La notizia (BD I, Anh. I, 3) riporta i titoli di tre opere del teologo ed orientalista August Pfeiffer (Lauenburg 1640 - Lubecca 1698) che negli anni 1681-89 fu arcidiacono in San Tommaso a Lipsia: Anti-Calvinismus (Lübeck 1699); Evangelische Christen-Schule (Leipzig 1688) ;Antimelancholicus oder Melancholey-Vertreiber, 2 parti (Leipzig 1683 e 1689; 2* ediz. 1710). Cfr. Hans Preuss, Bachs Bibliothek, in Festgabe für Theodor Zahn, Leipzig 1928, pp. 105-129, e BD II, 628 (13).
5 Completamento in Orgelvorspiele alter Meister in allen Tonarten, a cura di Hermann Ketter, Bärenreiter, Kassel 1934. 6 I venti praeludia dell’Ariadne musica sono veri e propri versetti per organo, la cui lunghezza varia da un minimo di sette ad un massimo di venticinque battute. L'ordine delle tonalità & il seguente: 1, do magg.; 2, do diesis min.; 3, re min.; 4, re magg.; 5, mi bem. magg.; 6, mi frigio; 7, mi min.; 8, mi magg.;
9, fa min.; 10, fa magg.; 11, fa diesis min.; 12, sol min.; 13, sol magg.; 14, la bem. magg.; 15, la min.; 16, la magg.; 17, si bem. magg.; 18, si min.; 19, si magg.; 20, do min. — La raccolta si chiude con cinque Choralvorspiele.
Per il rapporto Fischer-Bach, cfr. Reinhard Opper, Über Joh. Kasp. Ferd. Fischers
Einfluss auf J. S. Bach, in BJ VII (1910), pp. 63-69.
? [ primi due volumi (in 8 fascicoli complessivamente) dei Klavierwerke di Bach, curati da Busoni col contributo di Egon Petri e Bruno Mugellini (25 volumi in tutto) sono dedicati a Das wohltemperierte Klavier, con la seguente specificazione relativa al Primo Libro: bearbeitet und erláutert, mit daran anknüpfenden Beispielen und Anweisungen für das Studium der modernen Klavierspieltechnick (Breitkopf & Härtel, Leipzig-Berlin, 1894; il Secondo Libro apparve nel 1915) e cioé «elaborato e commentato con esemplificazioni che vi si ricollegano e istruzioni per lo studio della moderna tecnica pianistica ». Fra gli arbitri più clamorosi di quest'edizione, che pure ha grandi meriti didattici ma è inficiata alla base da clamorosi equivoci di critica «storica», troviamo la sostituzione di due fughe del Primo Libro (nn. 7 e 15) con le corrispondenti del Secondo Libro (nel quale, naturalmente, figurano quelle radiate dal Primo Libro).
8 La Suite BWV 818 è costituita dai quattro tempi-base (ma il terzo è sdoppiato in sarabande simple e sarabande double; una seconda versione dell’opera (BWV 818a), riportata dalla consueta antologia di Kellner (BB/SPK P 804) e dalla raccolta Mempell-Preller (Ms. 8), si presenta con caratteri notevolmente diversi nella sarabande (che è priva di double), ma soprattutto innesta sul corpo della composizione due nuovi movimenti, un prélude di apertura (con la insolita didascalia fort gay) e un menuet in 3/8. Con la Suite BWV 819 ci si trova in presenza,
probabilmente,
di un’opera incompiuta dal momento
che, dopo la succes-
sione di allemande-courante-sarabande-bourrée-menuett I e II, non compare l'attesa gigue; nel manoscritto autografo figura, invece, un'altra allemande (BWV 819a).
703
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Genealogía
della famiglia Bach
BIBLIOGRAFIA
Cfr. paragrafi 10-14, 17-18 e inoltre: Carl Heinrich Brrrzn, Carl Philipp Emanuel und Wilhelm Friedemann Bach und deren Brüder, 2 voll., W. Müller, Berlin 1868; In., Die Söhne Seb. Bachs, in « Waldersee: Sammlung musikalischer Vorträge», a cura di Paul Graf WALDERSEE, 5. Reihe, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1884; Werner WOLFFHEIM, Hans Bach, der Spielmann, in BJ VII (1910), pp. 70-85; Martin Farck, Wilhelm Friedemann Bach, sein Leben und seine Werke (= Studien zur Musikgeschichte, a cura di Arnold Schering, I), Kahnt, Leipzig 1913; Georg SCHUNEMANN, Johann Christoph Friedrich Bach, in BJ XI (1914), pp. 45-165; Charles Sanford Terry, Johann Christian Bach [71], Oxford Un. Press, London 1929; Reinhold BERNHARDT, Das Schicksal der Familie Bach, in «Der Bär», 1929-30; E. Lux, Der Familienstamm Bach in Gräfenroda, in BJ XXVIII (1931), pp. 107-111; Heinrich Mresner, Mitteilung über die Familie Friedemann Bachs, ibid., pp. 147-148; Ip., Urkundliche Nachrichten über die Familie Bach in Berlin, in BJ XXIX (1932), pp. 157-163; Gotthold Hey, Zur Biographie Johann Friedrich Bachs [70] und seiner Familie, in BJ XXX (1933), pp. 77-85; Hermann PuschH, Meiningen und die Meininger Bach’schen Nebenlinien, in « Thüringer Fähnlein », 4. Band, 2. Heft, Jena 1935; Hugo LAMMERHIRT, Ein hessischer Bach-Stamm, in BJ XXXIII (1936), pp. 53-89; Ludwig BacH, Ergänzungen und Berichtigungen zu dem Beitrag « Ein hessischer Bach-Stamm » von H. Lämmerhirt, in BJ XXXIV (1937), pp. 118-131; Karl Fischer, Das Freundschaftsbuch des Apothekers Friedrich
Thomas Bach (figlio di [81]). Eine Quelle zur Geschichte der Musikerfamilie Bach, in BJ XXXV (1938), pp. 95-102; Heinz Julius Rausch, Der Stockholmer Bach [44], in «Programmheft zu den Eisenacher Bachtages» 1939, pp. 28-32; Hans LOFFLER, « Bache » bei Seb. Bach, in BJ XXXVIII (1949-50), pp. 106-124; Peter HanLAN, Vitus Bach und sein Cythringen, in « Zeitschrift für Musik » CXI (1950), pp. 295-297; Fritz Jouw, J. S. Bachs Erfurter Vorfahren, in Bach in Thüringen. 707
Genealogia della famiglia Bach Gabe der Thüringer Kirche, Evangelische Verlangsanstalt, Berlin 1950, pp. 92-97; D. R. Herrmann, Die Thüringer und die Bache, ibid., pp. 97-103; H. KunN, | Vier Organisten Eisenachs aus bachischem Geschlecht, ibid., pp. 103-119; Herbert |, Koch, Der Jenaer Bach [46], ibid., pp. 127-146; Otto RoLLERT, Die Erfurter Bache, in J. S. Bach in Thüringen. Festgabe zum Gedenkjahr 1950, Thüringer Volksverlag, Weimar 1950, pp. 200-213; Wilhelm MARTINI, Die Gehrener Bache, ibid., pp. 214-216; Paul BacH, Die Meininger Bache, ibid., pp. 217-219; Ernst BRINKMANN, Die Mühlhäuser Bache, ibid., pp. 220-228; Oskar STAPF, Die Themarer Bache, ibid., pp. 229-230; Wolfgang InrENKAUr-Helmut MAIER,
Gehört der Spielmann Hans Bach zur Musikerfamilie Bach?, in «Die Musikforschung » IX (1956), pp. 450-452; Adolf SCHMIEDECKE, J. S. Bachs Verwandte in Weissenfels, in « Die Musikforschung » XIV (1961), pp. 195-200; Hans-Joachim
SCHULZE, Marginalien zu einigen Bach-Dokumenten. I. Zur Überlieferung der Bachschen Familienchronik, in BJ XLVII (1961), pp. 79-88; Walter HAACKE, Die Söhne Bachs, Langewiesche, Königstein im Taunus 1962; Siegfried ORTA, Zu den Erfurter Jahren Johann Bernhard Bachs (1676-1749), in BJ LVII (1971), pp. 106-111; Hannsdieter WOHLFAHRT, Johann Christoph Friedrich Bach, ein Komponist im Vorfeld der Klassik, Francke Verlag, Bern-München 1971.
(1.) ? - Wechmar?, fine secolo XV — prima metà secolo XVI Per quanto numerose, attente e capillari siano state le ricerche sulle origini
della famiglia Bach — il cui nome per altro compare anche in documenti anteriori all'anno 1000 — non é stato ancora possibile individuare, come si & visto (cfr. pp. 180 e sgg.), il ceppo originario che tuttavia, secondo la tradizione codificata nel documento bachiano su cui & stata fondata tutta la ricerca (Ursprung der musikalisch- Bachischen Familie = BD I, 184, qui abbreviato sempre in Ursprung seguito dal numero d'ordine che contraddistingue i singoli membri della famiglia), si colloca a Wechmar, nei pressi | di Gotha. All'ignoto capostipite pare debbano ricondursi Hans [2] e Veit [3], forse fratelli o cugini, dal secondo dei quali prese sviluppo l'articolatissima progenie dei Bach. 2. Hans - Wechmar ?, c. 1520 — dopo il 1580 Matr.: ? Figli: 1. Margaretha 2. Caspar
3. Veit
Wechmar,
? — ? Matr.: Ohrdruf, 13-2-1564 : ? [5] [6]
Fratello o cugino di Veit [3], era guardiano municipale a Wechmar nel 1561. 3. VEIT - Wechmar ?, ? — prima del 1577 Ursprung: N. 1. Matr.: ?
708
\
Genealogia della famiglia Bach Figli: 1. Johannes
[7]
2. Lips 3. Apollonia
Wechmar, c. 1558 — ?
[8] Matr.:
Fratello intorno dovette Cfr. le
Ohrdruf,
1576: ?
o cugino di Hans [2], si stabili a Wechmar, di ritorno dalla Moravia, al 1546. La genealogia lo dice fornaio attivo in Ungheria, donde fuggire a causa della sua fede luterana. Era suonatore di Cythringen. pp. 181-186.
(4.) Hans - Andelsbuch, Vorarlberg, c. 1555 — Nürtingen, Baden-Württemberg, 1-12-1615
Gli studi piü recenti parrebbero escludere che questo Hans debba ricondursi al ceppo di Wechmar. Attivo prima del 1591 alla corte di Stoccarda, fu poi carpentiere e Spielmann (menestrello) alla corte di Nürtingen, presso la duchessa Ursula del Württemberg. Di lui si conoscono due ritratti: il primo (acquaforte) databile intorno al 1605, il secondo (incisione) realizzato post mortem nel 1617. 5. CASPAR - Wechmar, c. 1570 —
?, c. 1642-44
Padre: forse Hans [2] - Madre: ? Matr.: Gotha ?, prima del 1597: Catharina...
(?, c. 1569 — Arnstadt, sep. 17-7-1651)
Figli: 1. Caspar 2. Johannes 3. Melchior 4. Heinrich
[9] [10] [11] [12]
5. Christina
Gotha, 1616 — Matr.:
Arnstadt,
Arnstadt, sep. 29-1-1666 30-5-1642:
Ritze
Focke
(Nieder-
willingen, 1620 — Arnstadt, sep. 28-11-1669) 6. Marie
Gotha, 20-2-1617 —
7. Nicolaus
[13]
Stadtpfeifer e vedetta mann e come musico dal 1620 al 1632, si ancora oggi esistente
?
a Gotha sino al 1620; attivo ad Arnstadt come Haus(fagotto) al servizio del conte di Schwarzburg-Arnstadt ritirò poi a vita privata. Nel 1635 acquistò una casa (Jakobsgasse 13-15). Morí probabilmente in qualche
centro dei dintorni di Arnstadt dopo il settembre
1642; nel 1644 la sua
sposa era già indicata come « vedova ». 6. Verr (Vitus) - Oberkatz, Rhön, batt. 15-7-1579 —
Wechmar,
8-3-1619
Padre: forse Hans [2]
Si ignora ogni particolare sulla vita di questo Veit, piü volte confuso con il precedente Veit [3]. Non ebbe discendenza e non risulta si sia sposato. 709
Genealogia della famiglia Bach
7. JoHannes (Hans) - Wechmar, c. 1549-50 — 26-12-1626 (di peste) Ursprung: N. 2
|
Padre: Veit [3] - Madre: ? Matr.: 1. ? 2. Wechmar,
1619: Anna Schmied
Figli:
=
1. Johann
[17]
2. Christoph
[18]
(Wechmar,
3. Heinrich
[19]
4. N. N. (figlia) 5. N. N. (figlio)
Wechmar, ? — Wechmar, ? —
? —
18-9-1635,
di peste)
ottobre 1626, di peste 1635, di peste
Fornaio a Wechmar, dove nel 1577 risulta proprietario insieme col fratello Lips [8] della casa paterna, per le sue inclinazioni musicali fu accolto a Gotha dallo zio (?) Caspar [5], presso il quale studiò. Rientrato a Wechmar, sposò Anna Schmied figlia di un albergatore; esplicò l’attività musicale in vari centri da dove era sovente chiamato (Gotha, Erfurt, Arnstadt, Smalcalda, Suhl) per collaborare con i locali musici municipali. Secondo la genealogia era fabbricante di tappeti e alla morte del padre (c. 1577) rilevò il mulino. Poiché i tre figli che si distinsero nell'arte musicale nacquero prima del 1619, anno in cui si colloca il matrimonio con Anna Schmied, si deve supporre che egli abbia contratto un precedente matrimonio.
8. Lies - Wechmar,
c. 1552 —
?, 1620 ?
Ursprung: N. 3 Padre: Veit [3] - Madre: ? Matr.: ?
Figli:
(1.) Wendel (2.) Andreas 3. Lips 4. Jonas ? 5-6. N. N.
[14] [15] [16]
La genealogia confonde, probabilmente, i figli di Lips con quelli di Caspar [5]. Il documento bathisso afferma che Lips, fabbricante di tappeti come il fratello Johannes [7] con il quale divise dal 1577 la proprietà della casa paterna, ebbe tre figli i quali appresero la musica e furono poi mandati
a studiare in Italia a spese del conte di Schwarzburg-Arnstadt.
Ma ad
Arnstadt, sin dal 1620, si era fissato Caspar [5]. Uno dei tre figli di Lips, per una disgrazia occorsagli, divenne cieco e venne soprannominato, dice sempre la genealogia, « Jonas il cieco ». Costui potrebbe forse essere identificato con Heinrich [12].
710
Genealogia della famiglia Bach 9. Caspar - Gotha, c. 1600 — ? Padre: Caspar [5] - Madre: Catharina...
Dal 1620 fu attivo come musico presso la cappella del conte di Schwarzburg-Arnstadt, dove fu allievo di Constantin Göbisch. Nell’aprile 1621 lasciò la cappella di Arnstadt e si trasferi, per volere dello stesso Signore, nella cappella di corte di Bayreuth; nel febbraio 1623 rientrò nella cappella di Arnstadt, dove le sue tracce si perdono dopo l’ottobre 1625. 10. JOHANNES - Gotha, c. 1602 — Arnstadt, sep. 9-12-1632 Padre: Caspar [5] - Madre: Catharina...
Musicus ad Arnstadt dal 1620 al 1632.
PL. MELCHIOR - Gotha, c. 1603 —
Arnstadt, sep. 7-9-1634
Padre: Caspar [5] - Madre: Catharina...
Musicant alla corte di Arnstadt dal 1620 al 1634.
12. HEINRICH - Gotha, c. 1609 —
Arnstadt, sep. 27-5-1635
Padre: Caspar [5] - Madre: Catharina...
Cieco, fu forse musico. Identificabile forse con « Jonas il ciecd» di cui parla la genealogia (Ursprung: N. 3).
13. NicoLAUS - Gotha, 6-12-1619 —
Arnstadt, sep. 1-10-1637
Padre: Caspar [5] - Madre: Catharina...
Spielmann ad Arnstadt. 14. WENDEL - Grossenbehringen, c. 1570 — ?, dopo il 1641 Padre: Lips [8] ? - Madre: ? Matr.: Grossenbehringen, ?: Elsa... (Grossenbehringen,
dopo il 1641)
1593 —
Figli: 1. Margaretha
Grossenbehringen, 1617 —
2. Wendel
Grossenbehringen,
1619 —
3. Valtin
Grossenbehringen,
c. 1622 —
dopo il 1641 ?
?
Non è accertata la discendenza da Lips [8], cosí come il Wendel suo secondogenito (?) non deve essere confuso con un altro Wendel [20], nato dieci anni dopo e probabilmente non figlio suo. 71
Genealogia della famiglia Bach (15.) Anpreas - Suhl ?, c. 1587 — Themar, 21-4-1637 Padre: Lips [8] ? - Madre: ?
Matr.: Themar, 2-2-1618: Sybilla, vedova di Johann Frankenberg Figli: 1. Johann
[21]
2. Elisabeth
Themar,
3. Johannes
Themar, c. 1625 — ?, attivo come teologo a Mitau (Jelgava) e a Riga, in Lettonia, già nel 1653 *
Senator
1-2-1624 —
?
a Themar, dove il suo nome compare intorno al 1620.
* Era forse figlio di Johannes, un Salomon (Themar, c. 1655-1660 — Danzica, dopo il 1729) che fu attivo a Danzica in qualità di teologo.
16. Lies (Philipp) - Wechmar, c. 1590 —
Wolfsbehringen, 10-10-1620
Padre: Lips [8] - Madre: ?
Spielmann a Wolfsbehringen; da non confondere col padre, morto nello stesso anno. 15 JoHANN (Johannes) - Wechmar, 26-11-1604 —
Erfurt, sep. 13-5-1673
Ursprung: N. 4 Padre: Johannes [7] - Madre: ? Matr.:
1. Wechmar,
6-7-1635: Barbara Hoffmann
2. Erfurt, 1637: Hedwig Làmmerhirt
(Suhl, ? —
Erfurt, 1637, di parto)
(Erfurt, c. 1604 —
sep. 5-9-1675)
Figli:
IHNEN. 2. Johann Heinrich
Erfurt, 1637 — 1637 Erfurt, batt. 7-5-1639 — sep. 6-8-1639
3. Johann Christian
[22]
4. Johann Heinrich 5. Johann Aegidius
Erfurt, batt. 9-10-1642 — sep. 15-9-1644 [23]
6. Eva Marie
Erfurt, batt. 4-2-1648 —
7. Johann Jacob 8. Johann Nikolaus
[24] [25]
9. Anna
Erfurt, batt. 22-3-1655 —
Elisabeth
10. Johann Georg 11. Martha Hedwig
sep. 3-7-1648
?
Erfurt, batt. 23-7-1657 — sep. 27-3-1659 Erfurt, batt. 22-12-1661 — 1707 Matr.:
1. Erfurt, 10-4-1683: Jeremias Heinrich Weise,
barbiere (? — Erfurt, 1683, di peste) 2. Erfurt, 3-2-1684: Johann Oswald, musico
della città e del Consiglio Municipale
Studió a Suhl con Johann Christoph Hoffmann, Stadtpfeifer, di cui piá tardi (1635) avrebbe sposata la figlia Barbara. Rientrato a Wechmar nel 1626, dopo il 1630 si portó nuovamente a Suhl. Intorno al 1635 ebbe la nomina a
712
Genealogia della famiglia Bach
membro della Ratsmusik di Erfurt, allora diretta da Christoph Volprecht il Vecchio. Il 16-4-1636 fu chiamato alla carica di organista nella Predigerkirche, che tenne sino alla morte: gli succedette Johann Effler. 18. CHRISTOPH - Wechmar,
19-4-1613
—
Arnstadt, 12-9-1661
Ursprung: N. 5
Padre: Johannes [7] - Madre: ? Matr.:
Arnstadt, c. 1640: Maria Magdalena Grabler (Prettin, 18-10-1614 — Arnstadt, sep.
6-10-1661)
Figli: 1. Georg Christoph 2. Johann Christoph 3. Johann Ambrosius
[26] [27]
4. Johann Jacob 5. Barbara Maria
Erfurt, batt. 25-9-1647 — sep. 16-4-1653 Erfurt, batt. 2-5-1651 — sep. 25-5-1651
6. Dorothee
[28]
Maria
Erfurt, batt. 20-4-1652 —
Eisenach,
6-2-1679
(men-
tecatta)
Allievo del padre, fu domestico e musico alla corte di Weimar. Nel 1642
Ratsmusikant a Erfurt, il 17-5-1654 ebbe la nomina a musico nella cappella del conte di Schwarzburg-Arnstadt. Nel 1661 sollecitó un posto a Naumburg, ma morí prima di poter concludere l'affare. 19. HEINRICH - Wechmar,
16-9-1615
—
Arnstadt, 10-7-1692
Ursprung: N. 6
Padre: Johannes [7] - Madre: ? Matr.:
Arnstadt, 6-1-1642: Eva Hoffmann
(Suhl, batt. 6-12-1616 —
Arnstadt, 21-5-1679),
sorella di Barbara Hoffmann sposa di Johann [17] Figli: 1. Johann Christoph
[29]
2. Johannes Matthäus
Arnstadt, batt. 3-1-1645 —
3. Johann Michael
[30]
4. Maria Catharina
Arnstadt, batt. 17-3-1651
sep. 30-8-1647
| —
sep. 8-9-1687
Matr.: Arnstadt, 19-5-1668: Christoph Herthum (Angelroda, 1651 — Arnstadt, sep. 12-2-1720),
organista a Ebeleben, poi (1672) ad Arnstadt 5. Johann Günther
[31]
6. Anna Elisabeth
Arnstadt, batt. 25-6-1656 — ? Matr.: Arnstadt, 15-11-1676: Johann Heinrich Kühn, Kantor a Sondershausen
Studiò con il padre e quindi per sei anni a Erfurt col fratello Johann [17]. Fu probabilmente Ratsmusiker a Schweinfurt e a Erfurt dopo il 1635. Nel settembre 1641 ebbe la nomina ad organista nella Liebfrauenkirche e nella Oberkirche di Arnstadt (succedendo a Christoph Klemse), di cui fu titolare sino alla morte. Negli ultimi anni fu affetto da cecità. 713
Genealogia della famiglia Bach 20. WENDEL - Grossenbehringen, c. 1629 —
Wolfsbehringen, 18-12-1682
Padre: ? (cfr. [14]) - Madre: ? Matr.: ?
Figli: 1. Jacob
[32]
Di mestiere agricoltore.
21, JOHANN - Themar, 1621 — Lehnstedt, Weimar, 12-9-1686 Padre: Andreas [15] - Madre: Sybilla ved. Frankenberg Matr.: Themar,
19-10-1659:
Elisabeth Dorothea
Sauerbrey
(Suhl, ? —
?)
Figli:
1. Johannes Poppo Ursprung: N. 3 2. Catharina
3. 4. 5. 6.
.
Margaretha
Ilmenau, batt. 23-8-1659 — Lehnstedt, 21-6-1738 pastore a Lehnstedt dal 20-11-1686 al 1716 Ilmenau,
Johann Stephan Johann Daniel Johann Georg Friedrich Salomon
1663 —
?
[33] Ilmenau, 17-7-1665 — ? Ilmenau, 12-4-1668 — ? Ilmenau, 19-6-1669 — ?
7. Elisabeth Dorothea
Ilmenau,
19-12-1675
—
?
Kantor a Ilmenau dal 1659; ordinato diacono a Ilmenau il 6-8-1668, fu parroco a Unterpórlitz (nei pressi di Ilmenau) dal 1675 e infine a Lehnstedt dal 1680 alla morte. 22. JOHANN CHRISTIAN - Erfurt, batt. 17-8-1640 —
sep. 1-7-1682 (di peste)
Ursprung: N. 7
Padre: Johann [17].- Madre: Hedwig Lämmerhirt Matr.: 1. Eisenach, 28-8-1665: Anna Margaretha Schmidt sorella della moglie di Johann Aegidius [23] 2. Erfurt, 11-6-1679:
Figli: 1. Johann Jacob 2. Johann Christian 3. Johann Christoph 4. Anna Margarithe
Anna
Dorotea
(? —
Erfurt, sep. 15-2-1676)
Peter
[34] Erfurt, batt. 5-3-1671 — sep. 13-12-1671 [35] Erfurt, batt. 7-11-t675 — ?
5. Anna Dorothea
Erfurt, batt. 14-5-1680 —
6. Anna Sophia
Erfurt, batt. 15-5-1681 — ?
?
7. Johann Christian
Erfurt, batt. 16-10-1682 —
sep. 18-6-1683 \
Studiò col padre e si portò poi ad Eisenach, dove contrasse un primo matrimonio. Rientrato a Erfurt nel 1666, l’anno seguente (11-4-1667) successe a Christoph Volprecht il Vecchio al posto di direttore della Ratsmusik; suo successore, a sua volta, fu il fratello Johann Aegidius [23].
714
Genealogia della famiglia Bach 23.
JoHANN Ascıpıus - Erfurt, 9-2-1645 — sep. 22-11-1716 Ursprung: N. 8 Padre: Johann [17] - Madre: Hedwig Lämmerhirt Matr.:
1. Erfurt, 9-6-1674: Susanne Schmidt (Arnstadt, ? — Erfurt, c. 1683, di peste), sorella
della moglie di Johann Christian [22] 2. Erfurt, 24-8-1684: Juditha Katharine Syring (? —
Erfurt, sep. 18-1-1712)
Figli: 1. Johann Christoph
Erfurt, batt. 4-4-1675 —
2. Johann Bernhard 3. Johann Kaspar
[36] Erfurt, batt. 9-6-1678 — ?
4. Johann Georg 5. Martha Hedwig 6. Johann Christoph
Erfurt, batt. 8-1-1680 — ? Erfurt, batt. 3-1-1683 — ? [37]
7. Martha
Katharina
8. Dorothee
Eva
9. Marie
?
Erfurt, batt. 8-10-1688
—
?
Erfurt, batt. 12-1-1691
—
?
Erfurt, batt. 14-12-1693 — ?
Studió con il padre e fu attivo come violista nella Ratsmusik. Alla morte del fratello Johann Christian [22] ebbe la nomina (30-7-1682) a direttore della Ratsmusik, carica che ricoprí sino alla morte. Gli subentró il figlio Johann Christoph [37]. Fu anche organista alla Michaeliskirche di Erfurt.
24. JOHANN JAcoB - Erfurt, batt. 24-4-1650 — ?, dopo il 5-11-1686 Padre: Johann [17] - Madre: Hedwig Lämmerhirt Matr.: ?
Figli: 1. Johann David
Erfurt, batt. 5-11-1686 — ?
Non risulta aver esplicato attività di musicista.
25; JoHANN NikorAus - Erfurt, 3-2-1653 — sep. 30-7-1682 (di peste) Ursprung: N. 9
Padre: Johann [17] - Madre: Hedwig Lämmerhirt Matr.:
Erfurt, 29-11-1681:
Sabine Katharine
Burgolt
Erfurt, sep. 13-7-1683)
(? —
Figli: 1. Johann Nikolaus
Ursprung: N. 20
Erfurt,
batt.
8-9-1682
—
?, barbiere
a Erfurt, poi
chirurgo nella Prussia orientale Matr.: Erfurt,
19-4-1705:
Anna
Dorothee
Gebhard
Dal 1673 attivo nella Ratsmusik di Erfurt. J. S. Bach lo dice ottimo suonatore di viola da gamba. 715
E
Genealogia della famiglia Bach 26. GEORG CHRISTOPH - Erfurt, 6-9-1642 —
Schweinfurt, 24-4-1697
Ursprung: N. 10
Padre: Christoph [18] - Madre: Maria Magdalena Grabler Mate
SE Bretzel
Figli: 1. Johann Valentin 2. Maria Juditha 3. Anna Sybilla 4. Johann Ernst 5. Johannes Mattháus
[38] Themar,
batt. 24-9-1670 —
sep. 12-5-1682
Themar,
batt. 30-7-1672 —
?
Themar, batt. 19-3-1674 — sep. 19-2-1675 Themar, batt. 6-1-1676 — sep. 5-5-1676
6. Justina Maria
Themar,
7. Johannes Christian
Themar, batt. 15-3-1679 —
3-4-1677
—
sep. 22-7-1678
16-6-1707
Matr.: ?: Patientia Pfannenschmid
Figli: 1. Johann Paulus Ludwig (Weikersheim, 1704 — 53) 2. Sophia Elisabetha (Weikersheim, 1706 — ?) 8. Maria Elisabeth 9. Johanna Elisabeth 10. Johann Georg
Themar,
batt. 1-10-1680 —
sep. 7-7-1681
Themar,
batt. 23-3-1682 —
?
[39]
Attivo prima ad Arnstadt, dove il padre si era trasferito nel 1654, nel 1661 ottenne un posto di insegnante supplente a Heinrichs presso Suhl. Nel 1668
divenne Kantor della cittadina di Themar (Chiesa di S. Bartolomeo) e insegnante nella Schola Themarensis. Nel 1684, probabilmente, passó con i medesimi incarichi a Schweinfurt. Fu anche, occasionalmente, poeta. 2). JoHANN CHRISTOPH - Erfurt, 22-2-1645
—
Arnstadt, 28-8-1693
Ursprung: N. 12
Padre: Christoph [18] - Madre: Maria Magdalena Grabler Matr.: Ohrdruf, 29-4-1679: Martha Elisabetha Eisentraut (Ohrdruf, 9-6-1654 — Arnstadt, sep. 16-1-1719)
Figli: 1. Barbara Catharina
Arnstadt, batt. 14-5-1680 —
22-1-1709
2. Anna Martha
Arnstadt, batt. 18-4-1682 —
sep. 23-7-1682 -
3. 4. 5. 6.
[40] Arnstadt, batt. 3-12-1686 — sep. 12-12-1686 [41] Arnstadt, batt. 8-5-1692 — sep. 6-4-1694
Johann Johann Johann Johann
Ernst Heinrich Christoph Andreas
Dopo la morte dei genitori (1661) si portó probabilmente ad Arnstadt. Qui fu assunto fra gli Stadtmusikanten il 21-12-1666. Il 17-2-1671 ebbe la nomina a musicista presso la corte del conte Ludwig Günther di Schwarzburg-Arnstadt (in qualità di violinista e con l'obbligo di curare anche il servizio musicale in chiesa). Sospeso dall'incarico il 7-1-1681 unitamente
716
Genealogia della famiglia Bach al musico della città Heinrich Gräser in seguito ad una controversia sulle prestazioni sfociata in pesanti calunnie rivolte dal Gräser a Bach, fu reintegrato nel posto — con la qualifica di musicista di corte e della città — dal nuovo conte, Anton Günther, il 31-3-1682. Era fratello gemello di Johann
Ambrosius [28].
28. JOHANN AmBRrosIus
—
Erfurt, 22-2-1645 - Eisenach, 20-2-1695
Ursprung: N. 11 Padre: Christoph [18] - Madre: Maria Magdalena Grabler Matr.:
1. Erfurt, 8-4-1668: Maria Elisabetha Limmerhirt
(Erfurt, 24-2-1644 —
Eisenach,
1-5-1694) 2. Eisenach, 27-11-1694: Barbara Margaretha Keul (Arnstadt, batt. 29-12-1658 — ?), già sposata (28-11-1682) a Johann Günther Bach [31] e poi (1-4-1684) al diacono Jacob Bartholomaei (Kindelbrück, 24-6-1619 — Arnstadt, sep. 16-12-1688) Figli:
1. 2. 3. 4.
Johann Johann Johann Johann
5. Maria
Rudolf Christoph Balthasar Jonas Salome
6. Johanna Juditha 7. Johann Jacob 8. Johann Sebastian
Erfurt, batt. 19-1-1670 — sep. 17-7-1670 [42] [43] Eisenach, 3-1-1675 — sep. 22-5-1685 Eisenach, 29-5-1677
—
Erfurt, 27-12-1728
Matr.: Erfurt, 24-1-1700: Johann Andreas Wiegand (2 — Erfurt, 4-3-1737) Eisenach, 26-1-1680 — sep. 3-5-1686 [44] [45]
Nel 1654 segui il padre (da cui apprese la tecnica del violino e della viola) ad Arnstadt dove si trattenne sino a qualche anno dopo la morte del genitore. Il 12-4-1667 ebbe la nomina a Stadtmusikant a Erfurt al posto del cugino Johann Christian [22], creato direttore della Ratsmusik. Nell'ottobre 1671, probabilmente per interessamento del cugino Johann Christoph [29], ottenne il posto di musico municipale ad Eisenach e, a partire dal 1677, anche alla corte del principe Johann Georg I. Era fratello gemello di Johann Christoph [27]. 20. JoHANN CHristorH - Arnstadt, batt. 8-12-1642 — Fisenach, 31-3-1703 Ursprung: N. 13
Padre: Heinrich [19] - Madre: Eva Hoffmann Matr.:
Eisenach, 26-11-1667: Maria Elisabetha Wedemann
(Arnstadt, batt. 12-11-1645 —
Fisenach, 23-3-1703)
Figli: 1. Johann Nicolaus 2. Maria Sophie
[46] Fisenach, batt. 26-3-1674 —
3. Johann Christoph
[47]
Jy
?
Genealogia della famiglia Bach 4. Christine Dorothea
Eisenach, batt. 19-9-1678 —
5. Johann Friedrich 6. Johann Michael
[48] [49]
7. Margaretha
, gemelli
8. Anna Elisabeth
?
Y Eisenach, batt. 1-8-1685 — sep. 4-6-1686 Eisenach, batt. 6-6-1689 —
31-3-1703
Dopo gli studi compiuti sotto la guida del padre, il 2-10-1663 ebbe la nomina ad organista della cappella di corte ad Arnstadt (al posto del defunto Johann Nicolaus Carolus). Nel dicembre 1665 si trasferi ad Eisenach, chiamatovi per succedere all’organista della Georgenkirche, Andreas Osswald. 30. JoHANN MICHAEL - Arnstadt, 7-8-1648 —
Gehren, 17-5-1694
Ursprung: N. 14
Padre: Heinrich [19] - Madre: Eva Hoffmann Matr.: Gehren, 13-1-1675:
Catharina Wedemann
(Arnstadt, batt. 28-1-1650 —
Gehren,
sep. 19-10-1704), sorella della moglie del fratello Johann Christoph [29] Figli: 1. Friedelena Margaretha
Gehren, batt. 20-10-1675 —
2. Anna
Gehren, batt. 20-6-1677 —
Dorothea
Lipsia, 28-7-1729 ?
3. Barbara Catharina
Matr.: Gehren, 10-10-1701: Hans Gregor Schneider (Oberweissbach, ? — ?) Gehren, 13-12-1679 — ?
4. Maria Sophia
Gehren,
10-10-1682 —
?
5. Maria Barbara
Gehren,
20-10-1684
Köthen,
6. Johannes Gottfried
Matr.: Dornheim, 17-10-1707: Johann Bach [45] Gehren, 18-3-1690 — sep. 20-8-1691
—
sep. 7-7-1720
Sebastian
Studiò col padre e, dopo aver sostenuto la regolare prova (5-10-1673), fu nominato organista della città di Gehren (dopo aver esplicato analoga attività ad Arnstadt), al posto di Johann Efler che si era trasferito a Erfurt in successione a Johann Bach [17]. 31. JOHANN GÜNTHER - Arnstadt, batt. 17-7-1653 —
10-4-1683
Ursprung: N. 15 Padre: Heinrich [19] - Madre: Eva Hoffmann Matr.: Arnstadt, 28-11-1682: Barbara Margaretha Keul (Arnstadt, batt. 29-12-1658 — ?) che, rimasta vedova, sposerà prima (1-4-1684) Jacob Bartholomaei e successivamente (27-11-1694) Johann Ambrosius Bach [28]
Figli: 1. Catharina
Margaretha
Arnstadt, 14-10-1683 —
?
\
Organista e abile costruttore di strumenti, dietro richiesta del padre fu incaricato dal Consiglio cittadino di aiutare il genitore nel servizio musicale
(9-11-1682).
718
Genealogia della famiglia Bach A JAcos - Wolfsbehringen, 13-9-1655 — Ruhla, 11-12-1718 Padre: Wendel [20] - Madre: ? Matr.:
1. Eisenach, 10-11-1674: Anna Martha Schmidt (Gotha, 15-11-1655 — ?, c. 1688)
2. Wasungen ?, c. 1689: Dorothea Katharina Herwig (? — ?, 1697) 3. Ruhla, 1-3-1698: Christina Regina Vogel (Hirschfeld, ? — ?, c. 1703) 4. Ruhla ?, c. 1704: Anna Barbara Schenk (? — ?)
Figli: 1. Johann Ludwig
[50]
2. Nicolaus Ephraim
[51]
3. Christiane Johanna
Wasungen, batt. 6-2-1693 —
4. Anna
Wasungen,
Christiane
5. Judith Elisabeth
Ruhla, 1695 — ?
6. Margarethe
Ruhla, 21-5-1696 — ?
7. Johann Jacob
Ruhla, 27-8-1699 — ?
8. Georg Michael
9. Johann Georg 10. « Budenelse»
sep. 13-2-1693
batt. 15-12-1693 —
sep. 2-1-1694
[52]
Ruhla, 16-12-1705 — 3-11-1786 Ruhla, 7-5-1714 — ?
Nel 1669-70 frequentö la Scuola di latino di Eisenach, donde fu poi allontanato per essersi reso colpevole di un furto. Prosegui gli studi a Gotha (dove ricevette l'istruzione musicale) ;innamoratosi di Anna Martha Schmidt e non trovando fra i genitori di lei il consenso alle nozze per la sua troppo giovane età, fuggí con la ragazza, che subito sposó; ma dovette presto separarsene per le difficoltà economiche insorte nel frattempo. La giovine ritornó presso i genitori, mentre Jacob proseguí gli studi à Mühlhausen per sei mesi (1675) e fu poi costretto dall'indigenza in cui si dibatteva ad arruolarsi come moschettiere fra le truppe del principe di Eisenach (impegnate nel conflitto contro la Francia a fianco dell'imperatore). Ritiratosi dopo un anno dal servizio militare, trovó posto finalmente come maestro e Kantor a Thal, nei pressi di Eisenach, dove fu raggiunto dalla moglie (1679). In questo stesso anno si trasferí, con analogo incarico, a Steinbach, presso Bad Liebenstein, e successivamente fu Kantor a Wasungen (1690) e a Ruhla (1694), dove concluse la sua carriera.
33. JOHANN STEPHAN - Ilmenau, 1664 — Braunschweig, 10-1-1717 Ursprung: N. 3
Padre: Johann [21] - Madre: Elisabeth Dorothea Sauerbrey Matr.:
1. Braunschweig,
1690: Dorothea
Schultzen
25
Figli:
;
1. Johann Albrecht
Braunschweig,
1703 —
?
2. Juliana Elisabeth
Braunschweig,
1705 —
?
3. Eberhard Christian
Braunschweig, 1709 — ?
A partire dal 1690 fu Kantor e succentor nella Chiesa di S. Biagio a Braunschweig. 719
Genealogia della famiglia Bach 34. JoHANN JAcos - Erfurt, 12-8-1668 —
Eisenach, sep. 29-4-1692
Ursprung: N. 16
Padre: Johann Christian [22] - Madre: Anna Margaretha Schmidt
Servi come supplente ad Eisenach Johann Ambrosius [28] e mori nella sua casa. Non si sposò.
SI. JoHANN CHrIsTorH - Erfurt, 11-1-1673 —
Gehren, 30-7-1727
Ursprung: N. 17 Padre: Johann Christian [22] - Madre: Anna Margaretha Schmidt
Matr.: Erfurt, 13-8-1693: Anna Margaretha Kónig (Ringleben, ? — Figli: 1. Johann Samuel 2. Johann Christian
[53] [54]
3. Barbara Elisabeth
Gehren,
4. Johann Günther 5. Johann Christoph
[55] Gehren, 18-2-1708 —
19-7-1700 —
?)
?
16-3-1721
Studiò alla Scuola di latino di Eisenach (1683-84) e si dedicó contemporaneamente agli studi di musica e di teologia. Kantor e organista a Niederzimmer presso Erfurt dal 10-5-1693 al 2-3-1696, fu poi Kantor nella Thomaskirche di Erfurt (1696-98) e infine Kantor a Gehren.
36. JOHANN BERNHARD - Erfurt, 23-11-1676 — Eisenach, 11-6-1749 Ursprung: N. 18
Padre: Johann Aegidius [23] - Madre: Susanne Schmidt Matr.: Eisenach, 6-8-1716: Johanna Sophia Siefer (? —
Eisenach, sep. 17-4-1732)
Figli: 1. Carolina Amalia
Eisenach, 13-5-1717 —
2. Wilhelm
Eisenach,
Heinrich
11-10-1719
3. Johann Ernst
[56]
4. Christian Heinrich
Eisenach, 23-6-1724 —
5. Friderica Maria
Eisenach, 1-9-1730 —
?
—
?
sep. 2-4-1725 ?
Ricevette dal padre l'educazione musicale e frequentó anche l'Università di Erfurt (1690-96). Dal 1695, in successione di Andreas Armsdorff, ebbe il posto di organista alla Kauffmannskirche di Erfurt, passando poi (1699) alla Katharinenkirche di Magdeburgo. Nel 1703 fu chiamato alla corte di Eisenach, presso il duca Johann Wilhelm, e alla morte di Johann Christoph [29] ebbe il posto di organista alla Georgenkirche. Nel 1741, sciolta la cappella ducale di Eisenach per la fusione del ducato con il principato di Weimar, si dedicó interamente alle funzioni di Kantor.
720
Genealogia della famiglia Bach 37. JoHANN CHRISTOPH - Erfurt, 15-8-1685
—
sep. 15-5-1740
Ursprung: N. 19
Padre: Johann Aegidius [23] - Madre: Susanne Schmidt Matr.:
1. Erfurt, 2-2-1706:
Katharina
Adlung
(? —
Erfurt, sep. 19-6-1718), vedova. di
Rudolf Ernst Adlung, Kantor alla Kauffmannskirche 2. Erfurt, fine 1718: Rebekka Regina Werner (Erfurt, batt. 5-1-1698 —
?)
Figli:
1. Johann Friedrich
[57]
2. Johann Aegidius
[58]
It
Erfurt,
4. Marie Rebekka
Erfurt, batt. 18-2-1721 — ? Matr.: Erfurt, 31-7-1740: Christoph
?—
sep. 19-9-1719
tersleben,
?—
5. Marie Dorothee
Erfurt, batt. 28-7-1722 —
?
6. Anna
Erfurt, batt. 28-3-1724 —
?
Christine
7. Wilhelm Hieronymus
Müller
(Wal-
?)
Erfurt, batt. 4-5-1730 —
?, 1754
Musico della città di Erfurt nel 1705, ebbe la nomina a direttore della Stadtmusik il 19-12-1716 succedendo in tale carica al padre e conservandola sino alla morte.
38. JoHANN VALENTIN - Themar, 6-1-1669 —
Schweinfurt, 12-8-1720
Ursprung: N. 21
Padre: Georg Christoph [26] - Madre: J. Pretzel Matr.: Schweinfurt, 25-9-1694: Anna Margaretha Brandt (? — Schweinfurt, sep. 6-8-1741) Figli: 1. Johann Lorenz 2. Johann Elias
[59] [60]
3. Johann Heinrich
Schweinfurt,
27-1-1711
—
?
4. ?
Ricevuti gli insegnamenti musicali dal padre, il 19-5-1694 ebbe la nomina a musico della città di Schweinfurt. 29. JOHANN GEoRG - Themar, 9-11-1683 — Weikersheim, 13-3-1713 Padre: Georg Christoph [26] - Madre: J. Pretzel Matr.: Forchtenberg ?, 1711: Agnes Maria Weber
Figli: 1. Johann Ludovicus
Weikersheim, 1708 —
1710
2. Maria Helena
Weikersheim,
1711 —
1713
— Weikersheim,
1713 —
1713
3. Sophia Margareta
Succedette al fratello Johannes Christian (v. Georg Christoph [26], n. 7) come precettore a Weikersheim (dal 1707), dove l'anno seguente ebbe lanomina a Kantor. Fu istruttore dei domestici del principe di Hohenlohe-Weikersheim. 721
Genealogia della famiglia Bach 40. JoHANN ERNST - Arnstadt, 5-8-1683 —
21-3-1739
Ursprung: N. 25
Padre: Johann Christoph [27] - Madre: Martha Elisabeth Eisentraut
Matr.: 1. Wandersleben, 22-10-1720: Anna Helena Margaretha Wirth (Wandersleben, ? — Arnstadt, 3-12-1721) 2. Wandersleben, 13-11-1725: Magdalena Christiana Schober (Gotha, ? — 9-5-1785) Figli: 1. Anna
Susanna
Maria
Arnstadt,
19-11-1721
—
24-5-1792
Matr.: Arnstadt, 7-6-1774: Johann Jacob Stöhr 2. Christiane Maria
Arnstadt, 25-3-1727 —
3. Sophie Eleonore
Arnstadt, 28-2-1729 —
sep. 10-4-1730
4. Katharina Elisabeth
Arnstadt, 16-4-1734 —
?
5. Christian Friedrich
Arnstadt,
?
10-5-1737 —
sep. 24-5-1733
Studió prima a Ohrdruf e poi ad Amburgo e Francoforte s. M.; nel 1705 fece ritorno ad Arnstadt e il 14-5-1707 prese il posto di Johann Sebastian [45] come organista alla Nuova Chiesa. Il 22-6-1728 ebbe analogo incarico alla Liebfrauenkirche e alla Oberkirche, sempre di Arnstadt. 41. JoHANN CHRISTOPH - Arnstadt, 13-9-1689
—
Blankenhain, 26-2-1740
Ursprung: N. 26
Padre: Johann Christoph [27] - Madre: Martha Elisabeth Eisentraut Matr.: Blankenhain, 5-2-1732: Sophie Eleonore Rosenberger
Negoziante, scrivano dal 1713, organista e insegnante (1726-29) a Keula, fu poi organista a Blankenhain dal 1729 alla morte. Non ebbe figli. 42. JoHANN CHRISTOPH - Erfurt, 16-6-1671
—
Ohrdruf, 22-2-1721
Ursprung: N. 22
Padre: Johann Ambrosius [28] - Madre: Maria Elisabetha Lämmerhirt Matr.: Ohrdruf, 23-10-1694: Johanna Dorothea vom Hofe (Vonhof) (Ohrdruf, 9-5-1674 —
12-3-1745)
Figli: 1. Tobias Friedrich 2. Christina Sophie
[61] Ohrdruf, 22-8-1697 —
15-3-1757
Matr.: Ohrdruf, 28-4-1722: Johann Christian Happ 3. 4. 5. 6.
Johann Johann Johanna Johann
Bernhard Christoph Maria Heinrich
7. Magdalena Elisabeth
(? — Ohrdruf, 4-6-1761) [62] [63] Ohrdruf, 29-3-1705 — 21-5-1742 | [64]
Ohrdruf, 26-9-1710 — ? Matr.: Ohrdruf, 11-10-1746: Johann Ludwig Möller
Tese
Genealogia della famiglia Bach 8. Johann Andreas È
gemelli
9. Johann Sebastian
2
[65] Ohrdruf, 7-9-1713 —
5-11-1713
Studiò alla Scuola di latino di Eisenach (1681-85) e passò poi ad Erfurt (1686-89) dove fu allievo di Johann Pachelbel e dove, nel 1688, ebbe la nomina ad organista nella Thomaskirche. Nel 1689-90 fu per breve tempo sostituto di Heinrich [19], ormai cieco, ad Arnstadt. Dal 1690 fu organista della Michaeliskirche (Stadtkirche) di Ohrdruf e dal marzo 1700 maestro di scuola. Nella sua casa di Ohrdruf Johann Sebastian [45] si trattenne dal 1695 al 1700.
43. JOHANN BALTHASAR - Eisenach, batt. 6-3-1673 — sep. 5-4-1691 Padre: Johann Ambrosius
[28] - Madre: Maria Elisabetha Limmerhirt
Studiò nella Scuola di latino di Eisenach (1681-88) e fu poi assunto come suonatore di tromba alla corte di Köthen.
. JOHANN JACOB - Eisenach, batt. 11-2-1682 —
Stoccolma, 16-4-1722
Ursprung: N. 23
Padre: Johann Ambrosius Matr.:
[28] - Madre: Maria Elisabetha Lämmerhirt
1. Stoccolma,
31-5-1715:
2. Stoccolma,
15-10-1721:
Susanna Maria Gaast
(? —
Stoccolma, 24-11-1719)
Ingeborg Magdalena Norell
(? —
?), vedova Swahn
Figli: 1. Maria Anna
Stoccolma,
batt. 2-7-1718 —
prima del 1722
Studiò nella Scuola di latino di Eisenach (1690-95). Alla morte del padre (1695) insieme con Johann Sebastian [45] si trasferi nella casa del fratello Johann Christoph [42] a Ohrdruf, ma nel 1697 ritornò ad Eisenach dove fu apprendista di musica presso Johann Heinrich Halle. Nel 1704 (o 1706) divenne oboista nella guardia d'onore del re Carlo XII di Svezia che egli segui in varie spedizioni: fu ad Altranstädt, poi nella campagna di Russia (1706-09), a Bender in Bessarabia (1709-13), a Costantinopoli (1713) dove incontrò il flautista Pierre Gabriel Buffardin col quale si perfezionò. In seguito, fu musico nella cappella di corte di Stoccolma.
45. JOHANN SEBASTIAN - Eisenach, 21-3-1685 — Lipsia, 28-7-1750 Ursprung: N. 24
Padre: Johann Ambrosius [28] - Madre: Maria Elisabetha Limmerhirt Matr.:
1. Dornheim,
17-10-1707:
Maria Barbara Bach (Gehren, 20-10-1684 —
Kóthen,
sep. 7-7-1720), figlia di Johann Michael [30] 2. Kóthen, 3-12-1721: Anna Magdalena Wilcke (Zeitz, 22-9-1701 — Lipsia, 27-21760)
Figli: 1. Catharina Dorothea
Weimar,
2. Wilhelm Friedemann
[66]
723
batt. 29-12-1708 —
Lipsia, 14-1-1774
Genealogia della famiglia Bach 3. 4. 5. 6. 7.
Johann Christoph gemelli Maria Sophia Carl Philipp Emanuel Johann Gottfried Bernhard Leopold Augustus
Weimar, 23-2-1713 — 23-2-1713 Weimar, 23-2-1713 — 23-2-1713 [67] [68] Kóthen, 15-11-1718 — sep. 28-9-1719
8. 9. 10. 11.
Christiana Sophia Henrietta Gottfried Heinrich Christian Gottlieb Elisabeth Juliana Friederika
Lipsia, primavera 1723 —
Lipsia, batt. 14-4-1725 — 21-9-1728 Lipsia, batt. 5-4-1726 — 24-8-1781 Matr.: Lipsia, 20-1-1749: Johann Christoph nickol
12. Ernestus Andreas 13. Regina Johanne 14. Christiana Benedicta
15. Christiana Dorothea 16. Johann Christoph Friedrich 17. 18. 19. 20.
Johann Johann Johanna Regina
August Abraham Christian Carolina Susanna
29-6-1726
[69]
Lipsia, Lipsia, Lipsia, Lipsia,
(Berna/Oberlausitz,
fine
1719
Alt[batt.
Küpper, 1-1-1720] — Naumburg, sep. 25-71759) batt. 30-10-1727 — 1-11-1727 batt. 10-10-1728 — 25-4-1733 batt. 1-1-1730 — 4-1-1730 batt. 18-3-1731 — 31-8-1732
[70] Lipsia, batt. 5-11-1733 —
6-11-1733
[71] Lipsia, batt. 30-10-1737 — 18-8-1781 Lipsia, batt. 22-2-1742 — 14-12-1809
46. JOHANN NıcoLAus - Eisenach, 10-10-1669 — Jena, 4-11-1753 Ursprung: N. 27
Padre: Johann Christoph [29] - Madre: Maria Elisabetha Wedemann Matr.: 1. Jena, 2-8-1697: Anna Amalia Baurath (? — Jena, 14-4-1713) 2. Jena, 30-8-1713: Anna Sybille Lang(e) (? — Jena, 14-1-1757)
Figli: 1. Anna Dorothea
PUN . Johann
Jena, Jena, Jena, Jena,
5. Christian Friedrich 6. Anna Catharina
Jena, 24-4-1707 — 27-5-1709 Jena, 18-5-1710 — 8-6-1710
7. Anna Sophie Catharina
Jena, 21-3-1715 — 26-3-1777 Matr.: Jena, 2-1-1758: Johann
. Maria Elisabetha
. Heinrich Christoph Ernst Christoph Ursprung: N. 51
8. Johann Christian
10-6-1698 24-7-1700 24-4-1702 12-11-1705
— 12-12-1704 — 20-1-1750 — 19-9-1704 — 14-5-1709
(? — Jena, 11-2-1758) Jena, 17-3-1717 — 1-2-1738
Gottfried
Thieme
\
Ursprung: N. 52
9. Dorothea Magdalena
Jena, 5-3-1719 —
11-4-1799
Matr.: Jena, 12-10-1753: Friedemann Wilhelm Stock
(? — Jena, 20-5-1770)
724
Genealogia della famiglia Bach 10. Johanna Maria
Jena, 6-7-1721 — 25-10-1760 Matr.: Jena,
10-1-1757:
Johann
Heinrich
Möller
(? — Jena, 1795), organista
Frequentò la Scuola di latino di Eisenach (1678-89), passò quindi all'Uni-
versità di Jena; nel 1695-96 viaggiö in Italia. Rientrato a Jena, nel 1696 ottenne il posto di organista della città (Michaeliskirche). Alla morte del
padre nel 1703 gli fu offerto di succedergli nella carica di organista ad Eisenach, ma rifiutó l'invito. Dal 1719 ebbe la carica di organista anche nella chiesa (Kollegienkirche) dell'Università di Jena. Si occupò di questioni relative all’arte organaria (fu anche fabbricante di strumenti ed inventó il Lautenwerk, specie di liuto con tastiera); collaborò sovente con il locale Collegium |musicum. Ebbe diversi allievi, fra cui Jacob Adlung ed Ernst Gottlieb Baron. 47. JOHANN CHRISTOPH - Eisenach, batt. 29-8-1676 — ?, dopo il 1730 Ursprung: N. 28
Padre: Johann Christoph [29] - Madre: Maria Elisabetha Wedemann Matr.: Amburgo, 7-7-1708: Anna Mencke Figli: 1. Johann Heinrich
[72]
2. Anna
Rotterdam,
Magdalena
3. Johann George
batt. 9-8-1717 —
?
Rotterdam, batt. 29-3-1719 — ?
:4. Johann Christian
Rotterdam,
batt. 29-10-1720 —
?
Studiò nella Scuola di latino di Eisenach (1684-93) e si iscrisse poi all'Università di Erfurt (23-4-1696) dove fu maestro di cembalo. Passò poi ad Amburgo, dove si trovava alla morte del padre (1703) e dove la sua presenza è attestata ancora per gli anni 1708-09. Invano tentò di subentrare al padre come organista nella Georgenkirche di Eisenach; gli fu preferito Johann Bernhard [36]. Si trasferi poi a Rotterdam (dove la sua presenza è attestata per gli anni 1717-20) e nel 1730 si stabili in Inghilterra; il resto della sua vita è sconosciuto.
48. JOHANN FRIEDRICH - Eisenach, c. 1682 —
Mühlhausen, sep. 8-2-1730
Ursprung: N. 29
Padre: Johann Christoph [29] - Madre: Maria Elisabetha Wedemann Matr.:
1. Mühlhausen, 21-7-1722: Martha Marie Schroeter (? —
Mühlhausen, 1726), ve-
dova di Jacob Holtz 2. Mühlhausen,
c. 1727: Anna
Sidonia Mehlbach
Studiò nella Scuola di latino di Eisenach (1692-1703) e frequentò poi l'Università di Jena (dove risulta iscritto il 10-9-1707); in questa città ricevette anche l'educazione musicale per mano di Johann Nicolaus [46] di cui era ospite. Nel 1708 successe a Johann Sebastian [45] nel posto di organista alla Divi Blasii di Mühlhausen. Non ebbe figli. 725
Genealogia della famiglia Bach 49. JoHANN MicHAEL - Eisenach, batt. 1-8-1685 — ? Ursprung: N. 30
Padre: Johann Christoph [29] - Madre: Johanna Elisabetha Wedemann
Allievo della Scuola di latino di Fisenach (1692-1703), apprese l’arte organaria e fu poi attivo, come dice la genealogia, nei paesi del Nord, forse a Stoccolma. 50. JoHANN Lupwic - Thal, Eisenach, 4-2-1677 —
Meiningen, sep. 1-5-1731
Ursprung: N. 3
Padre: Jacob [32] - Madre: Anna Martha Schmidt Matr.: Meiningen, 17-11-1711: Susanna Maria Rust (? — Figli: 1. Samuel Anton Jacob 2. Gottlieb Friedrich 3. Friederica Dorothea Jacobina 4. Elisabeth Ernestina Antonia 5. Friederica Wilhelmina
Meiningen, 1733)
[73] [74] Meiningen, 22-11-1715 — ? Meiningen, 10-10-1719 — ? Meiningen, 5-4-1721 — 16-12-1798
Frequentò il ginnasio di Gotha (1688-93) e più tardi si dedicò allo studio della teologia. Attivo dapprima nella chiesa e nella scuola di Salzungen, nel 1699 fu chiamato alla corte di Meiningen e nel 1703 il principe Bernhard I gli conferí la carica di Kantor e di maestro dei paggi. Nell'ottobre 1706 richiese di passare ad Eisenach, ma il permesso gli fu rifiutato. Nel 1711 fu nominato Kapellmeister di corte. In quest'epoca sposó la figlia dell'architetto Samuel Rust. Fu profondamente stimato da Johann Sebastian [45] che copió di proprio pugno la partitura e le parti staccate di 18 cantate, le uniche a noi giunte. 5l. NicoLAUs EPHRAIM - Wasungen, schweig), 12-8-1760
24-11-1690
—
Gandersheim
(Braun-
Padre: Jacob [32] - Madre: Dorothea Katharina Herwig Nate?
2. Gandersheim,
1755: ?
Figli: 1. Ernst Heinrich Ephraim
Gandersheim, 2-8-1756 — ?
2. Sophie Sibylle Anastasia
Gandersheim,
21-10-1758
—
?
Allievo forse del fratello Johann Ludwig [50] a Meiningen, lavoró a partire dal 1708 fino alla morte nel convento di Gandersheim, al seguito di Elisabeth Ernestine Antonia, sorellastra del principe Anton Ulrich di SassoniaMeiningen, nominata abbadessa di quel convento luterano. Nicolaus Ephraim vi prestó opera non solo di musicista (compositore e organista): il 30-11-1712 era lacché e ispettore delle collezioni di quadri e di statue; nel 1724 amministratore del convento. Il 15-5-1719 aveva avuto la nomina a organista e cantiniere.
726
Genealogia della famiglia Bach De GEoRG MicHAEL - Ruhla, 27-9-1703 — Halle, 18-2-1771 Padre: Jacob [32] - Madre: Christina Regina Vogel Matr.:
1. Halle, febbraio 1733: Elisabeth Schleyer (Halle, ? —
1748)
2. Halle, 9-1-1749: Dorothea Eleonora Glaser (Halle, ? — 3. Halle, settembre
27-5-1765)
1765: Friederica Sophia Schubart
Figli:
3
1. Johann Christian
[75]
2.-4. ?
viventi nel 1748
Studió teologia nelle università di Helmstedt e di Halle (in quest'ultima fu immatricolato nel 1731). Kantor a Neumarkt nei pressi di Halle, dal 1732 alla morte fu Kantor e maestro di scuola nella Chiesa di S. Ulrico ad Halle. 97. JOHANN SAMUEL - Niederzimmern, 4-6-1694 — Gundersleben, 1-7-1720 (di peste) Ursprung: N. 31 Padre: Johann Christoph [35] - Madre: Anna Margaretha König
Segui il padre nei trasferimenti a Erfurt (1696-98) e Gehren. Musico a Sondershausen, fu poi (1720) maestro di scuola a Gundersleben.
54. JOHANN CHRISTIAN - Unterzimmern,
1696 —
? (in giovane età)
Ursprung: N. 32 Padre: Johann Christoph [35] - Madre: Anna Margaretha König
Musico a Sondershausen.
35: JOHANN GÜNTHER - Gehren, 4-4-1703
—
Erfurt, sep. 24-10-1756
Ursprung: N. 33
Padre: Johann Christoph [35] - Madre: Anna Margaretha König Matr.: Erfurt, 13-5-1736: Susanne Katharine Herig (Nordhausen, ? —
?)
Tenore e suonatore di viola, fu musico della cittä di Erfurt, e a partire dal 1735, divenne insegnante di scuola in quella cittä (nella Kauffmannsgemeinde).
56. JOHANN Ernst - Eisenach, batt. 30-1-1722 —
sep. 3-9-1777
Ursprung: N. 34 Padre: Johann Bernhard [36] - Madre: Johanna Sophia Siefer
Matr.: Eisenach, 21-10-1750: Florentina Catharina Malschin (Mihla, ? — ?) Figli: 1. Johann Georg
[76]
2. Ernst August Friedrich
Eisenach, batt. 4-11-1752 —
727
sep. 21-3-1753
Genealogia della famiglia Bach 3. Johann Carl Philipp 4. Johann Theodor Friedrich
Eisenach, batt. 21-6-1754 — 8-6-1806 Eisenach, batt. 9-10-1756 — dopo il 1780
5. Christina Maria
Eisenach, batt. 30-3-1760 —
6. Johann August Jacob 7. Christian Gottlieb
Eisenach, batt. 30-1-1763 — ? (mercante in Svizzera) Eisenach, batt. 14-1-1765 — ? (avvocato di corte a Vacha) Eisenach, batt. 14-2-1766 — sep. 17-6-1783
8. Johann Christian
4-3-1828
Dopo aver frequentato la Scuola di latino di Eisenach (dal 1732), il 16-1-1737 si iscrisse alla Thomasschule di Lipsia, dove fu allievo di Johann Sebastian [45]. Poco dopo, però, lasciò la scuola per abbracciare gli studi giuridici all'Università; ma anche questi studi non furono condotti in porto. Rientrato ad Eisenach nel 1742, sostituí il padre come organista e alla di lui morte (1749) divenne organista titolare alla Georgenkirche; contemporaneamente fu organista nella cappella di corte. Tentó senza successo la strada delle discipline giuridiche e fu poi incaricato di riorganizzare il servizio musicale alla corte di Weimar. Qui lavoró con Georg Benda e il 3-2-1756 ottenne il posto di Kapellmeister. Sciolta la cappella nel 1758, riprese l'attività ad Eisenach e nel 1765 ebbe la nomina a Kastenverwalter (tesoriere dei proventi del culto). 57. JoHANN FRIEDRICH - Erfurt, batt. 22-10-1706 — Andisleben, sep. 30-5-1743 Ursprung: N. 35
Padre: Johann Christoph [37] - Madre: Katharina Adlung Matr.: Andisleben, 19-11-1725: Eleonore Maria Langula
Figli: 1. ? (figlia) 2. ? (figlia)
Andisleben, 1726 — ? Andisleben, 1731 — ?
3. Johann Friedrich
Andisleben,
11-9-1731
—
1731
4. Johann Christoph
Andisleben,
17-9-1736
—
1808
Matr.: ? Figli: 1. Johann Friedemann
(1765 — ?) 2. Friedrich Nikol (1767 — 1803) Matr.:
?
Figli: 1. Johann Christoph (1802) 5. ? (figlia)
2. Carl Friedrich (1803) Andisleben, 1742 — ?
Fu maestro di scuola e Kantor ad Andisleben. . JOHANN AEcIDIUS - Erfurt, batt. 4-8-1709
—
Grossmonra,
17-5-1746
Ursprung: N. 36
Padre: Johann Christoph [37] - Madre: Katharina Adlung
Maestro di scuola e Kantor (dal 1733) a Grossmonra, nei pressi di Kólleda.
728
Genealogia della famiglia Bach
59. JoHANN LORENZ - Schweinfurt, 10-9-1695 — Lahm, Itzgrund, 14-12-1773 Ursprung: N. 38
Padre: Johann Valentin [38] - Madre: Anna Margaretha Brandt Matr.: Lahm, 28-11-1719:
Catharina Froembes
Figli: 1. Dorothea Catharina
Lahm, 1720 —
2. Anna
D3bun
90721091772
Lahm,
1723 —
Barbara
3. Dorothea
Christina
1720 1725
4. Florina Sophie
Lahm, 1726 —
1737
5. Antoinette Elisabeth
Lahm,
dopo 1757
1729 —
Studió dapprima a Ohrdruf (1712-13) e poi, sotto la guida di Johann Sebastian [45] a Weimar (1715-17). Il 4-12-1718 ebbe la nomina a Kantor a Lahm.
60. JoHANN Etras - Schweinfurt, 12-2-1705 —
30-11-1755
Ursprung: N. 39
Padre: Johann Valentin [38] - Madre: Anna Margaretha Brandt Matr.:
1. Schweinfurt, 1745) 2. Schweinfurt,
Figli: 1. Johanna Elisabeth 2. Friedrich Adam 3. Johann Michael 4. Simon Friedrich
12-11-1743: 25-1-1746:
Johanna Anna
Rosina
Fritsch
(?, 1705
—
Schweinfurt,
Maria Hüller
Schweinfurt, batt. 26-12-1748 — ? Schweinfurt, 5-9-1752 — 2-3-1815 [77] Schweinfurt, 18-3-1755 — 2-5-1799
Iscritto all'Università di Jena il 15-4-1728, interruppe gli studi intorno al 1730 ritornando a Schweinfurt dove si trattenne sino al 1737. Si trasferí poi a Lipsia, dove fu attivo come precettore dei figli e segretario privato di Johann Sebastian [45], di cui fu anche allievo. Studente di teologia all'Università di Lipsia (1739-42), fu poi precettore a Zóschau presso Oschatz. Il 27-5-1743 ebbe la nomina a Kantor nella Johanniskirche di Schweinfurt, con mansioni anche di ispettore del ginnasio.
61. Tosras FRIEDRICH - Ohrdruf, 21-7-1695 —
Udestedt, 1-7-1768
Ursprung: N. 40 Padre: Johann Christoph [42] - Madre: Johanna Dorothea vom Hofe Matr.:
Udestedt, 22-9-1722: Susanna Elisabeth Wölckner (Orlishausen, Sómmerda, 1699 — Udestedt, sep. 31-1-1753)
Figli: 1. Tobias Friedrich
[78]
2. Maria Elisabeth
Udestedt, 12-5-1730 —
22
?
Genealogia della famiglia Bach Matr.: Udestedt, 12-5-1750: Andreas nista e maestro a Neumark
3. Dorothea Wilhelmina
Udestedt, batt. 4-12-1732 —
Studiò nel Liceo di Ohrdruf e nel 1714 kirche. Dal 1717 al 1720 prestó servizio di Gandersheim presso Braunschweig. Gotha. nel 1720-21, dal 1721 fu Kantor
Pfeiffer, orga-
sep. 24-7-1735
era attivo presso la Dreifaltigkeitcome Kantor di corte nel Capitolo Organista a Pferdingsleben presso a Udestedt presso Weimar.
62. JoHANN BERNHARD - Ohrdruf, 24-11-1700 —
12-6-1743
Ursprung: N. 41
Padre: Johann Christoph [42] - Madre: Johanna Dorothea vom Hofe Matr.: Ohrdruf, 29-5-1731: Anna Christina Roth (Langenburg an der Jagst, Württem-
berg, ? — Ohrdruf, 30-11-1772) Figli: 1. Johann Wilhelm Î gemelli 2. Maria Elisabetha ) 3. Eleonore Elisabetha
samanerie
4. Christina Maria Elisabetha
Ohrdruf, 6-9-1736 —
Ohrdruf, 12-4-1732 —
18-3-1800, fabbricante di pas-
Ohrdruf, 12-4-1732 — 16-1-1733 Ohrdruf, 3-5-1734 — ? ?
Matr.: Ohrdruf, 5-8-1760: Johann Valentin Scherlitz 5. Elisabetha Friederica
Ohrdruf, 4-5-1739 —
9-8-1740
6. Johanna Friederica Catharina
Ohrdruf,
30-10-1806
1-6-1742 —
Matr.: Ohrdruf, 8-7-1783: Georg Bartholomäus Schmutzler (? — Ohrdruf, 14-3-1798)
Studió al Liceo di Ohrdruf (1710-15) e fu poi allievo di Johann Sebastian [45] a Weimar (1715-17) e a Kóthen (1717-19), dove fu anche attivo come copista a corte. Rientrato a Ohrdruf, sostituí il padre all'organo della Michaeliskirche e alla di lui morte (1721) gli subentró nell'incarico (dal 25 aprile). Suo successore fu il fratello Johann Andreas [65]. 63. JOHANN CHristoPH - Ohrdruf, 12-11-1702 —
2-11-1756
Ursprung: N. 42
Padre: Johann Christoph [42] - Madre: Johanna Dorothea vom Hofe
Matr.: Ohrdruf, 24-7-1731: Johanna Christina Sophia Meyer (Langenburg, ? — Ohrdruf, 8-5-1774) Figli: 1. Eva Elisabetha
Ohrdruf, 5-5-1732 —
2. Philipp Christian Georg 3. Johann Georg Friedrich
[79] Ohrdruf, 11-3-1736 — Langenburg, 8-9-1818 (mag-
4. Ernst Carl Gottfried 5. Augustinus Tobias 6. Johann Christian Ludwig
giordomo a Langenburg) [80] [81] Ohrdruf, 10-9-1742 — 25-11-1750
7. Heinrich Michael Gottfried
Ohrdruf,
730
25-2-1745 —
6-1-1733
25-12-1750
\
Genealogia della famiglia Bach 8. Ernst Christian
[82]
9. Johanna Clara Christina
Ohrdruf,
10. Johann Christoph Ludwig
18-5-1750 — 6-7-1802 Matr.: Wechmar, 24-8-1779: Nicolaus Andreas Frank
(? — Ohrdruf, 12-1-1796) Ohrdruf, 25-2-1753 — 18-8-1793
Studió giurisprudenza all'Università di Jena (1723-26); rientrato a Ohrdruf,
dal 28-10-1728 fu Kantor nella Michaeliskirche e maestro di scuola succedendo nella carica a Elias Herda.
64. JoHANN HEmRIcH - Ohrdruf, 4-8-1707 —
Oehringen, 20-5-1783
Ursprung: N. 43 Padre: Johann Christoph [42] - Madre: Johanna Dorothea vom Hofe Matr.: 1. Oehringen, 21-6-1735: Marie Susanne Renner (Neuenstadt an der Linde, 20-3-1708 — Oehringen, sep. 7-3-1745) 2. Oehringen, 8-7-1749: Maria Christina Brinckmann (Gnadenthal, 1-12-1726 — ?) Figli: 4 maschi e 7 femmine, tutti dal 2° matrimonio, 1. Theodor 2. Dorothea
Christian Wilhelm Sophie Wilhelmina
Oehringen, ^ Oehringen,
fra cui:
22-9-1750 —
16-5-1760
27-1-1752
?
—
Matr.: Oehringen, 29-11-1774: Gottfried Ernst Sall3. Johann Ludwig 4. Louise Elisabetha Felicitas
mann Oehringen, 31-8-1753 — 20-8-1754 Oehringen, 8-9-1755 — ? Matr.: Oehringen, 24-4-1781 : Johann Zacharias Pflüger
Allievo del Liceo di Ohrdruf sino al 1724, il 9-9-1724 entró alla Thomasschule di Lipsia dove fu allievo di Johann Sebastian [45]. Rientrato a Ohrdruf nel 1728, il 26-5-1735 ebbe la nomina a Kantor e maestro di scuola a Oehringen nel Württemberg, alle dipendenze del conte von Hohenlohe.
65. JOHANN AnprEAS - Ohrdruf, 7-9-1713 —
25-10-1779
Ursprung: N. 44 Padre: Johann Christoph [42] - Madre: Johanna Dorothea vom Hofe Matr.: Langenburg,
1743: Anna Maria...
(? —
Ohrdruf, 9-6-1761)
Figli: 1. Johann Christian Carl
Ohrdruf,
2. Johann Christoph Georg 3. Maria Sophia Elisabetha 4. Johann Christoph Heinrich
[83] Ohrdruf, 28-10-1749 — 26-6-1788 Ohrdruf, 26-6-1755 — 2-9-1755
1-11-1744 —
8-7-1755
Studiò a Ohrdruf dove rimase sino al 1733. Il 19-6-1733 entrò come oboista nel Reggimento dei Dragoni di Sassonia-Gotha e per cinque anni fu al servizio del conte Ludwig von Hohenlohe e Gleichen a Langenburg. Nel 1738 assunse servizio come organista nella Trinitaskirche di Ohrdruf e il 4-10-1742 divenne maestro di scuola. Il 2-1-1744 fu nominato organista della Michaeliskirche, succedendo al fratello Johann Bernhard [62]. 731
Genealogia della famiglia Bach 66. WILHELM FRIEDEMANN - Weimar, 22-11-1710 —
Berlino, 1-7-1784
Ursprung: N. 45 Padre: Johann Sebastian [45] - Madre: Maria Barbara Bach Matr.: Halle, 25-2-1751: Dorothea Elisabetha Georgi
(? —
Berlino, 21-6-1791)
Figli:
1. Wilhelm Adolph 2. Gotthilf Wilhelm
Halle, 10-1-1752 — 20-11-1752 Halle, 30-7-1754 — 16-1-1756
3. Friederike Sophie
Halle, 7-2-1757 —
Berlino, 1797
Matr.: Berlino, 10-2-1793: Johann Schmidt (1761 —
?) Figli: 1. Sophie Dorothea (Berlino, 5-2-1793 — ?) 2. Sophie Friederike (Berlino, 30-3-1797 — ?)
Primogenito di Johann Sebastian, studió a Köthen con il padre, che scrisse per lui un. Klavierbüchlein (1720). Trasferitasi la famiglia a Lipsia, fu iscritto alla Thomasschule; alla fine del 1723 ricevette dal padre, come regalo natalizio, l'iscrizione simbolica all'Università di Lipsia (quella effettiva decorre dal 5-4-1729). Dal luglio 1726 all'aprile 1727 studió il violino a Merseburg con Johann Gottlieb Graun; ritornato a Lipsia, terminó gli studi alla Thomasschule (1729) e successivamente all'Università (1733). Dal 19-8-1733 fu organista a Dresda (Chiesa di S. Sofia), dove frequentò l'ambiente artistico. Dal 16-4-1746 si trasferí ad Halle come organista nella Liebfrauenkirche, dove ebbe anche il titolo di Director musices. Il 12-5-1764
diede le dimissioni dai suoi incarichi e nell'ottobre 1770 lasció Halle per trasferirsi a Braunschweig. Concorse invano ai posti di organista a Wolfenbüttel (Stadtkirche) nell'aprile 1771, e a Braunschweig (St. Aegidienkirche), il 17-5-1771. Dall'aprile 1774 visse a Berlino, dove trascorse gli ultimi anni in miseria.
67. CARL PHıLıpp EMANUEL - Weimar, 8-3-1714 —
Amburgo,
14-12-1788
Ursprung: N. 46 Padre: Johann Sebastian [45] - Madre: Maria Barbara Bach
Matr.: Berlino, inizio 1744: Johanna Maria Dannemann
(Berlino, batt. 12-10-1724 —
Amburgo, 19/20-7-1795) Figli: 1. Johann August 2. Anna Carolina Philippina
Berlino, batt. 10-12-1745 — Amburgo, 25-4-1789, giurista Berlino, 4-9-1747 — Amburgo, 2-8-1804
3. Johann Sebastian
Berlino, batt. 26-9-1748 —
Roma,
11-9-1778, pittore
Secondogenito di Johann Sebastian, fu tenuto a battesimo da, Georg Philipp Telemann; compí i primi studi a Köthen e fu poi iscritto come esterno alla Thomasschule di Lipsia il 14-6-1723, dove studió sino al 1730. Immatricolato presso l’Università di Lipsia, facoltà di giurisprudenza, il 19-10-1731, passò poi all'Università di Francoforte sull'Oder (9-9-1734), dove fu attivo
732
Genealogia della famiglia Bach
come musicista. Nel 1738 si trasferi a Berlino, in qualità di musico alla corte del principe Federico (il futuro Federico II di Prussia), esercitando principalmente nella residenza di Rheinsberg. Nel 1740 ebbe la nomina a cembalista di corte e insegnante di musica. Nel 1750, alla morte del padre, tentò invano di succedergli nella carica di Thomaskantor. Nel 1768 si trasferi ad Amburgo succedendo a Telemann nella carica di Kantor allo Johanneum e di direttore della musica nelle cinque chiese principali (19-4-1768). 68. JoHANN GOTTFRIED BERNHARD - Weimar, 11-5-1715 — Jena, 27-5-1739 Ursprung: N. 47 Padre: Johann Sebastian [45] - Madre: Maria Barbara Bach
Frequentò la Thomasschule di Lipsia e fu allievo del padre. Per interessamento di Johann Sebastian, dal 16-6-1735 ebbe il posto di organista nella Marienkirche di Mühlhausen, ma a causa dell'ambiente ostile incontratovi, decise di mutare sede: dal 4-4-1737 fu organista nella Jacobikirche di Sangerhausen; qui contrasse molti debiti e nella primavera del 1738 abbandonó furtivamente la cittadina, trasferendosi a Jena, con l'intenzione di studiare giurisprudenza all'Università (dove fu immatricolato il 28-1-1739), ma morí prematuramente a causa di una febbre acuta. 69. GOTTFRIED HEINRICH - Lipsia, 26-2-1724 — Naumburg, sep. 12-2-1763 Ursprung: N. 48
Padre: Johann Sebastian [45] - Madre: Anna Magdalena Wilcke
Secondo la genealogia, aveva grandi inclinazioni per la musica, in specie per gli strumenti a tastiera. Carl Philipp Emanuel lo definiva «un grande genio, ma che non poté svilupparsi »; in realtà, Gottfried Heinrich era nato « idiota ». 70. JOHANN CHRISTOPH FRIEDRICH - Lipsia, 21-6-1732 — Bückeburg, 26-1-1795 Ursprung: N. 49 Padre: Johann Sebastian [45] - Madre: Anna Magdalena Wilcke Mart.: Bückeburg,
8-1-1755:
Lucia Elisabeth Münchhausen
(Bückeburg,
25-1-1732 —
1-10-1803) Figli: 1. Anna
Philippine Friederica
Bückeburg,
batt. 7-10-1755 —
23-8-1804
Matr.: Bückeburg, 29-10-1776: Wilhelm Ernst Colson (Bückeburg, batt. 8-1-1746 — 30-12-1795)
2. Wilhelm Friedrich Ernst Ludolf Anton Christiane Louisa Carolina Wilhelmina Eleonora Charlotta Ernestina
3. 4. 5. 6.
[84] Bückeburg, Bückeburg, Bückeburg, Bückeburg,
755
batt. batt. batt. batt.
23-8-1761 26-9-1762 3-2-1765 6-5-1767
— —
— —
sep. 16-8-1763 7-10-1852 ?, prima del 1852 sep. 5-1-1779
!
Genealogia della famiglia Bach 7. Friedrich August
Bückeburg, batt. 27-1-1769 — sep. 23-5-1772
8. Ludolff Emanuel
Bückeburg,
9. Dorothea Charlotta Magdalena
Bückeburg, 16-9-1772 — 21-11-1793
batt. 3-2-1771
—
?, sep. 2-1-1773
Ricevette i primi insegnamenti dal padre e da Johann Elias [60] che dal 1738 al 1743 abitó a Lipsia nella casa di Johann Sebastian. Iscrittosi alla Thomasschule e all'Università (facoltà di giurisprudenza), all'inizio del 1750 ebbe un posto di Cammer-musicus alla corte di Bückeburg. Nel 1756 successe ad Angelo Colonna nella carica di Konzertmeister del conte Wilhelm di Schaumburg-Lippe, quindi (1777) del conte Philipp Ernst e infine (1787) della reggente Juliane Wilhelmine Louise, che fu sua allieva per il cembalo. Nel 1778 si recó a Londra presso Johann Christian [71] e ad Amburgo presso Carl Philipp Emanuel [67]. A Bückeburg per cinque anni (1771-76) fu in stretto contatto con Herder. Morí per una violenta febbre di petto.
vl: JOHANN CHRISTIAN - Lipsia, 5-9-1735 — Londra, 1-1-1782 Ursprung: N. 50
Padre: Johann Sebastian [45] - Madre: Anna Magdalena Wilcke Matr.: Londra, probabilmente inizio 1773: Cecilia Grassi (Napoli, c. 1740 —
?), cantante
Ricevuta una prima educazione musicale in famiglia, e soprattutto ad opera del cognato Johann Christoph Altnickol, alla morte del padre (1750) si trasferí a Berlino, dove studió sotto la guida del fratello maggiore Carl Philipp Emanuel [67]. Frequentando il locale teatro d'opera, si famigliarizzó con lo stile italiano e avvertí la necessità di approfondirlo al punto che abbandonó Berlino nel 1754 e si recó in Italia, rompendo i rapporti con i famigliari. Si stabilí à Milano in casa del conte Agostino Litta, si convertí al cattolicesimo e mutó il proprio nome in Giovanni Cristiano. Nel 1757 studiö per qualche tempo a Bologna presso Padre Martini. Nel 1760 ebbe la nomina ad organista del Duomo di Milano, succedendo ad Angelo Caselli. L'anno seguente fu rappresentata al Teatro Regio di Torino la sua prima opera (Artaserse) che insieme con altri lavori teatrali gli procuró subito fama e onore, tanto che nel 1762 fu chiamato in Inghilterra, ingaggiato dalla impresaria signora Mattei del King's Theatre di Londra, dove si rappresentava l'opera italiana. Nel 1764 ebbe il posto di maestro di musica della regina Sophia Charlotta e in quello stesso anno si compiacque di stringere amicizia col piccolo Mozart (che allora contava solo 8 anni) e di suonare con lui. Sempre nel 1764 diede inizio, in collaborazione con Karl Friedrich Abel, ad una istituzione di concerti in abbonamento che i due musicisti condussero insieme sino alla morte di Johann Christian. Nel 1772 si recó a Mannheim, per il cui teatro scrisse il Temistocle; ritornó nella città tedesca
nel 1776 per una nuova opera (Lucio Silla, sul medesimo libretto utilizzato anche da Mozart). Nel 1778 ricevette l'offerta di scrivere un'opera per Parigi, Amadis de Gaule, che peró non ebbe successo. Gli ultimi anni furono assai tristi; morí lasciando scoperti molti debiti che vennero saldati poi dalla regina.
734
Genealogia della famiglia Bach 72. JOHANN HEINRICH - Amburgo, batt. 4-11-1709
— ?, c. 1735
Ursprung: N. 53
Padre: Johann Christoph [47] - Madre: ?
Ultimo membro della famiglia citato nella genealogia che lo dice « un buon clavicembalista ». i3. SAMUEL ANTON JACOB - Meiningen, batt. 26-4-1713 — 29-3-1781 Padre: Johann Ludwig [50] - Madre: Susanna Maria Rust Matr.: Meiningen, 12-9-1759: Maria Catharina Axt
Allievo del padre per quanto riguarda la musica, studiò nel Liceo di Meiningen (1721-30). Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Lipsia (7-5-1732), si trattenne in quella città sino al 1734, ospite in casa di Johann Sebastian, dal quale prese anche lezioni. Rientrò poi a Meiningen, ove tenne il posto di organista a corte dal 1735 al 1761. Dal 1740 esercitò anche la professione di avvocato. Nel 1746 ebbe la nomina a cancelliere del dipartimento di guerra, segretario di camera nel 1764 e segretario per le imposte nel 1777. Fu abile anche nell’arte della miniatura. Non ebbe figli. 74. GOTTLIEB FRIEDRICH - Meiningen, 10-9-1714 — 25-2-1785 Padre: Johann Ludwig [50] - Madre:
Susanna Maria Rust
Matr.: Meiningen, ?: Juliane Friederika Charlotte Anthing (1723-94)
Figli: 1. 2. 3. 4.
Johann Philipp Samuel Friedrich Antoinette Ernestine Caroline
Gottlieb Bernhard
[85] Meiningen, 5-4-1755 — 1841 (pastore) Meiningen, 13-3-1757 — ? Meiningen, 6-2-1762 — 1819 (pastore)
Organista di corte a Meiningen, e buon clavicembalista, si diede soprattutto alla pittura. Dal 1745 fu pittore di corte a Meiningen. È autore di un ritratto (pastello) di Johann Sebastian, eseguito forse intorno al 1736, tuttora in possesso degli ultimi discendenti, ad. Eisenach.
gb: JOHANN CHRISTIAN - Halle, 23-7-1743 — 20-6-1814 Padre: Georg Michael [52] - Madre: Elisabeth Schleyer
Noto come «Clavier-Bach», fu allievo di Wilhelm Friedemann [66]. Insegnante di musica ad Halle (Pidagogium der Franckeschen Stiftung). 76. JoHANN GEORG - Eisenach, 30-9-1751
—
12-4-1797
Padre: Johann Ernst [56] - Madre: Florentina Catharina Malschin Matr.: Eisenach, 22-7-1779: Johanna Elisabeth Langius
735
Genealogía della famiglia Bach Figli: 1. Philipp Ernst Christian
[86]
2. Friederika Christina
Eisenach, batt. 26-12-1783 — 16-11-1857 Matr.: Eisenach, 1-12-1812: Christian Ernst Amandus Wedekind
3. Christiane Marianne Friederique
Eisenach, batt. 19-8-1789 —
Grossmölsen, Weimar,
16-10-1846 Matr.: Eisenach, 5-7-1814: Heinrich Müller (1782 —
4. Christiane Charlotte Friederique
1852) Eisenach, batt. 2-6-1793 — 22-3-1866 Matr.: Eisenach, 18-7-1809: Johann Wilhelm Viktor Kühn
(? —
Eisenach, 21-5-1849)
Tesoriere comunale (Stadtkämmerer), avvocato di corte e organista ad Eisenach, in quest'ultima carica succedendo al padre dal 1777 alla Georgenkirche. HR JOHANN MicHÒaet - Schweinfurt, 10-9-1753 — ?, 1820 Padre: Johann Elias [60] - Madre: Anna Maria Hüller
Trasferito negli Stati Uniti. 78. TOBIAS FRIEDRICH - Udestedt, 22-9-1723 —
Erfurt, 18-1-1805
Padre: Tobias Friedrich [61] - Madre: Susanna Elisabeth Wölck Matr.: Erfurt, 20-1-1750: Sophia Christina Hage
Figli: 1. Friederica Sophia
Erfurt, batt. 12-5-1751 —
2. Friedrich Christian
Erfurt, 2-7-1753 —
3. Friederica Christina
Erfurt, batt. 5-8-1755 — Matr.: Erfurt, ?: Huber
4. Anna Juditha 5. Maria Dorothea Wilhelmina
Erfurt, Erfurt, Matr.: Erfurt,
6. Martha Magdalena
sep. 17-8-1753
sep. 15-4-1775 1775?
batt. 5-6-1760 — sep. 30-1-1792 batt. 24-2-1764 — 1784? Erfurt, ?: Kämpf batt. 20-10-1766 — sep. 23-10-1766
Dal 1747 alla morte fu Kantor nella Reglerkirche di Erfurt e dal 1763 circa ricoprí il medesimo incarico presso la Barfüssergemeinde, svolgendo anche funzioni di maestro di scuola.
Uo PurLiPP CHRISTIAN GEORG - Ohrdruf, 5-4-1734 — Werningshausen, 18-8-1809 Padre: Johann Christoph [63] - Madre: Johanna Christina Sophia Meyer Matr.: 1. Ohrdruf, 27-10-1761: Dorothea Regina Hempel (Gräfenhain, Werningshausen, 5-2-1780), vedova di Johann Ludwig Dolch
16-7-1727 —
2. Wechmar, 16-4-1782: ... Hopf (Wechmar, 10-3-1753 — ?), vedova di Heinrich August Laurenzi
3. Werningshausen, ?: Johanna Christiane Elisabeth Wechmar
Fra il 1752 e il 1757 studió teologia all'Università di Jena e alla morte del padre (1756) gli successe come Kantor alla Michaeliskirche di Ohrdruf.
736
Genealogía della famiglia Bach Fu poi (1757) parroco nella Trinitatiskirche, insegnante nel Liceo di Ohrdruf e dal 1772 parroco a Werningshausen. Non ebbe figli.
80.
Ernst Cari GorrruEp - Ohrdruf, 12-1-1738 — 21-6-1801 Padre: Johann Christoph [63] - Madre: Johanna Christina Sophia Meyer Matr.: Wechmar,
19-10-1779:
Elisabeth Magdala
Wolf
(Wechmar,
6-6-1822)
1759 —
Ohrdruf,
Figli: 1. Elisabetha Christina Frederica
Ohrdruf,
2. Eleonore Carolina Wilhelmine
Ohrdruf, 27-8-1782 —
11-1-1781
—
27-7-1787 1833
3. Charlotte Frederica Louise
Ohrdruf, 20-5-1783 —
21-4-1797
4. Ernst Carl Christian
[87]
Studió all'Università di Jena dal 1759 al 1765 e fu poi Kantor e maestro di scuola delle bambine a Wechmar (1765-1772). Dal 1773 Kantor nella Michaeliskirche di Ohrdruf.
81. AucusrINUS TOBIAS BERNHARD - Ohrdruf, 22-8-1740 — Langenburg, 10-31789 Padre: Johann Christoph [63] - Madre: Johanna Christina Sophia Meyer Matr.: Langenburg, 7-8-1770: Luise Juliane Helmschmidt Figli: 1. Johann Christian
(1751-1816)
Langenburg, 25-12-1771 — Michelsbach, 12-6-1835, parroco a Michelsbach an der Haardt; si sposó forse 2 volte Matr.: ?: Katharine Henriette Kretzschmer Langenburg, 26-4-1773 — Eisfeld, 15-6-1847 farmacista in Eisfeld
2. Friedrich Thomas 3. Charlotte Katherine
Langenburg,
14-6-1775 —
Matr.: 27-11-1794: 4. Sophie Charlotte
Langenburg, à
1781 —
Matr.: Langenburg,
Eisfeld, 9-3-1859
Georg Heinrich Fischer Ohrdruf, 26-9-1868 25-6-1817:
Ernst Carl Christian
Bach [87]
5-7. ?
Trasferitosi a Langenburg, fu insegnante nella Scuola di latino e organista nella cappella dei principi di.Hohenlohe. 82. ERNST CHRISTIAN - Ohrdruf, 26-9-1747 —
Wechmar, 29-9-1822
Padre: Johann Christoph [63] - Madre: Johanna Christina Sophia Meyer Matr.: Ohrdruf,
18-10-1774:
22-8-1744 — ?)
Johanna
Dorothea
Luise
Mäder
(Pferdingsleben,
Erfurt,
|
Immatricolato all'Università di Jena il 3-11-1768, non portó a termine gli studi universitari, ma prese servizio come maestro di scuola (1770). Dal 1773 fu Kantor a Wechmar. Non ebbe figli. 737
Genealogia della famiglia Bach 83. JOHANN CHRISTOPH GEORG - Ohrdruf, 8-5-1747 — 30-12-1814 Padre: Johann Andreas [65] - Madre: Anna Maria... Matr.: Emleben, 29-8-1780: Eleonore Marie Henriette Philippine Herrmann (? — Ohrdruf, 22-10-1811) Figli: 1-2. ? (morti bambini) 3. Johann Tobias Heinrich
Ohrdruf,
4. Johanna Elisabetha Margaretha
Ohrdruf, 27-1-1787 —
10-4-1785 —
6-12-1787
5. Johanna Friederica Carolina
Ohrdruf, 23-11-1790 — ? (ancora vivente a Ohrdruf
?
nel 1815)
Alla morte del padre (1779) gli successe come organista alla Michaeliskirche di Ohrdruf. 84. WILHELM FRIEDRICH ERNST - Bückeburg, batt. 27-5-1759 — Berlino, 25-121845 Padre: Johann Christoph Friedrich [70] - Madre: Lucia Elisabeth Münchhausen Matr.: 1. Berlino, 21-1-1798: Charlotte Philippine Henriette Elerdt (Berlino, dic. 1780 —
29-11-1801) 2. Berlino, 2-8-1802: Wilhelmine Susanne Albrecht (Berlino, c. 1773 — Eberswalde,
21-8-1862)
Figli: 1. Caroline Auguste Wilhelmine
Berlino, 14-12-1800 —
13-5-1871
Matr.: Neustadt-Eberswalde, 30-6-1849: Ludwig Al-
2. Juliane Friederika Ernestina
brecht Herrmann Ritter (? — Berlino, 24-31871) Berlino, 8-9-1801 — 28-10-1807
3. Auguste Wilhelmine
Berlino, 6-12-1805 — Neustadt-Eberswalde, 12-2-1858
4. Friedrich Wilhelm Ludwig
Berlino, 10-11-1807 —
26-8-1808
Allievo del padre a Bückeburg e poi (1778-82) dello zio Johann Christian [71] a Londra, dove inizió una brillante carriera di virtuoso di cembalo. Alla morte di Johann Christian (1782) ritornó in Germania, tenendo concerti in Francia e in Olanda. Ebbe dapprima il posto di direttore di musica a Minden (nei pressi di Bückeburg), poi, intorno al 1787, fu chiamato a Berlino, alla corte di Federico Guglielmo II: qui fu a lungo insegnante dei principi reali (il futuro Federico Guglielmo IV, Wilhelm e Heinrich di Prussia) e attivo come cembalista e pianista (dal 1797 al 1811 fu cembalista della regina Luisa, consorte di Federico Guglielmo III). Dal 1811 visse a Berlino come pensionato. Fu l'unico dei Bach a godere della rinascita della musica di Johann Sebastian: il 23-4-1843 assistette all'inaugurazione del monumento al nonno a Lipsia. 85. JOHANN PHÒitipp - Meiningen, 5-8-1752 —
2-11-1846
Padre: Gottlieb Friedrich [74] - Madre: Juliane Friederika Charlotte Anthing Matr.: 1. ?: Constantia Amalia Briegleb (Coburgo, ? — ?) 2. ?: Johanna Rosine Frankenberger (1769 — 1817)
738
Genealogía della famiglia Bach Figli: 1. Johanne 2. Juliane
Meiningen, ? — | bambina Meiningen, ? — ?
:
3. Ludwig
Matr.: Karl Schwanitz (Eisenach, ? — ?) Meiningen, 1805 — 1807
4. Eduard
Meiningen, 1813 —
5. Friedrich Carl Eduard
[88]
6. Amalie 7. R.osalie
Meiningen, ? — Meiningen, ? —
1814
+ bambina ?
Matr.: ?: Eduard Lotz (? —
1892)
Tenuto a battesimo da Carl Philipp Emanuel [67], fu organista di corte a Meiningen e pittore del gabinetto ducale. In Schloss Elisabethenburg a Meiningen si conservano 22 ritratti opera sua; altri 5 sono in possesso dei discendenti del nipote Karl Bernhard Paul [90] e fra questi ultimi figurano un autoritratto e i ritratti del fratello Samuel Friedrich e di Carl Philipp Emanuel (1773).
86. PHırıpp ERNST CHRISTIAN - Eisenach, 18-5-1780 — 29-3-1840 Padre: Johann Georg [76] - Madre: Johanna Elisabeth Langius Matr.: Eisenach,
1-11-1808:
Christina Maria Fuchs
Figli: 1. Carl Christian Leonhardt
Eisenach, 30-1-1811 —
14-12-1881
Matr.: ?
Figli: 1. Mathilde Matr.:
(24-12-1837)
?: Max
Lemme
2. Eugenie (16-12-1841 —
2-1-1929)
Matr.: ?: Carl Graef 2. Wilhelm
Amandus
3. Carl Volkmar
Eisenach,
12-2-1822 —
. Eisenach, 2-1-1830 —
? 2-9-1910
Matr.: ? Figli: 1. Carl Oscar (8-3-1863 —
1943)
2. Antonie (4-2-1872)
Studiò col padre, che avrebbe voluto gli succedesse nella carica di organista alla Georgenkirche di Eisenach, dimostrando di possedere «straordinarie disposizioni per la musica ». Morto il padre quando egli era appena diciassettenne, e non ancora in grado di succedergli in quella carica, si volse ad altra strada e fu Oberamtkopist (specie di cancelliere municipale). 87. ERNST CARL CHRISTIAN - Ohrdruf, 8-6-1785 —
26-6-1859
Padre: Ernst Carl Gottfried [80] - Madre: Elisabeth Magdala Wolf :
Matr.: Langenburg, 25-6-1817: Sophie Charlotte Bach (Langenburg, 1781 — 26-9-1868), figlia di Augustinus Tobias Bernhard [81]
739
Ohrdruf,
Genealogia della famiglia Bach Figli: 1. Amalie Elise Henriette
Ohrdruf, 1818 —
2. Friedrich Bernhard Christian Theodor 3. Friedrich Carl Wilhelm Franz
1899
[89] Ohrdruf, 7-9-1821 —
4. Friedrich August Anton
Ohrdruf, 28-10-1823 —
25-9-1823 2-7-1863
Matr.: Ohrdruf, 8-10-1854: Therese Stopfel
Parroco in Ohrdruf, direttore del ginnasio di Schaffhausen dal 1827 al 1839 e quindi nuovamente a Ohrdruf in qualitä di sovrintendente. 88. FRIEDRICH CARL EDUARD - Meiningen, 14-1-1815 —
Coburgo, 23-7-1903
Padre: Johann Philipp [85] - Madre: Johanna Rosine Frankenberger Matr.: ?: Anna Wilhelmine Hilfert Figli: 1. Bernhard
1858 — 1931 Matr.: Maria L. P. Walde
2. Joseph August
Figli: Willy Eduard (1895 — ?) 1862 — 1940
3. Marie Louise Emilie 4. Karl Bernhard Paul
Matr.: Ida ©. H. Seym Figli: 1. Richard A. Eduard (1892 — 2. Elsa Bertha (1902 — ?) 1868 — ? [90]
1940)
Ispettore forestale del ducato di Sassonia-Meiningen, prima a Liebenstein poi a Coburgo. 89. FRIEDRICH BERNHARD CHRISTIAN THEODOR - Ohrdruf, 21-10-1819 — 16-61862 Padre: Ernst Carl Christian [87] - Madre: Sophie Charlotte Bach Matr.: Ohrdruf, 5-10-1848:
Dorothea
Frederica Luise (Künzelsau, Würtemberg,
? —
?)
Figli: 1. Carl August
Ohrdruf,
2. Hermann Julius 3. Alfred Wilhelm
Ohrdruf, 19-4-1853 — dopo 1899 Ohrdruf, 2-9-1854 — 10-12-1912 Matr.: ? Figli: 1. Bernhard (24-12-1889 — 1942)
10-10-1851
—
7-12-1896
Matr.: ?
Figli: 1. Bernhard (11-4-1924) 2. Friedemann (30-3-1925 —
1927)
3. Joachim (1928)
4. Marie
2. Alfred (24-12-1893 — Oberhof, 1855 — ?
?)
Dal 1854 al 1860 parroco a Oberhof, poi vicerettore e diacono a Ohrdruf.
740
Genealogía della famiglia Bach 90. KARL BERNHARD PauL - Bad Liebenstein, 22-3-1878 — Ebersbach, Monaco, gennaio 1968 Padre: Friedrich Carl Eduard [88] - Madre: Anna Wilhelmine Hilfert
Matr.: ?: Anna S. M. Claus Figli: 1. Anneliese Lucretia
Ufficiale delle poste
?, 22-7-1913 — viv. Matr.: Rudolph M. Ortner
a Coburgo, pittore e musicista.
74
17 JonANN —— (1604-1673) -
9 CASPAR
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M (1(e.1520 - post 1580) Be.
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(c. 1600 - ?)
(c. 1555 - 1615) — [10JoHANN
(c. 1602 - 1632)
5 (?) Caspar
—
11 MELCHIOR
(c. 1570 - c. 1642)
6 VET (1579 - 1619)
:
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(c. 1603 - 1634) 12 HEINRICH
(c. 1609 - 1635) 13 NicoLaus
(1619 - 1637)
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7 JOHANNES (c. 1550- 1626)
+18 CHRISTOPH (1613 - 1661)
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i -3 Veit (? - ante 1577)
19 HEINRICH (1615 - 1692)
30 J. Mich (1648 - |
31 J. Gün (1653 114] WENDEL- - - - - - 20 WENDEL — — — — 32 JacoB 4
:
|
8 Lips
(c. 1552 - 1620?)
(c.1570-post1641) — (c. 1629 - 1682)
[15] AwpREAs — — — 21 JOHANN — —
(c. 1587 - 1637)
16 Lips x (c. 1590 - 1620)
(1621 - 1686 )
(165533]. STEPH,
(1664 -
3
53 J. SAMUEL
TOPH
54 J. CHRISTIAN
1692)
(1694 - 1720)
1727)
(1696 - ?) 55 J. GüNTHER (1703 - 1756) 56 J. ERNsT
HARD
1749)
(1722 - 1777)
76 J. GEORG
(1751 - 1797)
86 PH. E. CHRISTIAN (1780 - 1840)
57 J. FRIEDRICH STOPH
1740)
E
(1706 - 1743) 58 J. AsEGiDIvs
(1709 - 1746)
59 J. LORENZ m ——1 (1695 - 1773) 60 J. ELIAS — —— —— 1720)
(1705- 1755)
77 J. MICHAEL
(1753 - 1820)
1713)
1739)
61 T. FRIEDRICH (1695 - 1768)
78 T. FRIEDRICH (1723 - 1805)
62 J. BERNHARD
79 PH. CHR. GEORG
63 J. CHRISTOPH
80 E. C. GoTTrrıep— 87 E. C. CunisrTiAN—— 89 Fr. B. Cun. THEODOR (1738 - 1801) (1785 - 1859) (1819 - 1862)
(1700 - 1743)
(1702 - 1756) TOPH
64J. HEINRICH
TOPH
65 J. ANDREAS
(1707-1783)
(1713 - 1779)
TASAR
[66 W. FRIEDEMANN
|
[6r C. PH. EMANUEL
1691)
1722)
81 A. T. BERNHARD (1740 - 1789)
1740)
1721)
(1734 - 1809)
82 E. CHRISTIAN (1747 - 1822)
83 J. Cun. GEORG
(1747 - 1814)
(1710 - 1784)
TIAN —
(1714 - 1788) 68 J. G. BERNHARD (1715 - 1739)
1750)
69 G. HEINRICH
(1724 - 1763) 70 J. CHR. FRIEDRICH—84 W. Fr. ERNST
LAUS
1753) TOPH
post 1730)
(1732 - 1795) Un J. CHRISTIAN (1735 - 1782)
(1759 - 1845)
72 J. HEINRICH
(1709 - c. 1735)
ICH
- 1730)
\EL
73 S. ANTON JACOB
s——] 1731)
(1713 - 1781) 74 G. FRIEDRICH
(1714 - 1785) 75 J. CHRISTIAN
(1743 - 1814)
85 J. PHILIPP (1752 - 1846)
88 Fn. C. EDUARD (1815-1903)
90 K. B. PAUL (1878 - 1968)
- CS 51)
el 0
A
Indice delle opere citate
N.B. I numeri in corsivo indicano le pagine in cui le singole opere sono trattate per esteso.
BWV 34, 39, 154, 370, 399-400, 402-6, 451 34, 39, 153, 548, 34, 39, 153, 548, 34, 154, 398 34, 60, 154 34, 155 34, 39, 154 34, 39, 152, 398 34, 39, 400, 611, 34, 39, 155, 695 34, 36, 39, 153, 400, 402-7, 424 34, 39, 152, 398, 34, 59, 154 34, 153 346 34, 39, 154, 398, 34,39, 152, 421 153 34, 155 34, 39, 154, 331 34, 40, 152 34, 60, 152, 630 34, 39, 153, 400
Cantate sacre
34, 155 34, 35, 154 34, 35, 152 34, 153, 333-4, 340-3, 406
34, 35, 155 34, 39, 153, 630 34, 155 34, 60, 154, 416 VDVOoONINANVIRODND 34, 61, 154 34, 155 36; 739." 153 34, 39, 153, 393-7, 399-400, 402-7, 412-3, 416, 694 34,39, 152, 1398, .421 34, 152 36, 331 34, 39, 152, 398, 421 34, 39, 154, 331, 421 34, 88, 152, 394, 398-9, 400, 402-4, 406-7, 408-11, 433, 5915-695 34, 39, 155, 421 34, 35, 154
747
381, 393-6, 414-8, 438, 565-6 566
616 393-6, 399, 560-2
400
Indice delle opere citate BWV 34,.39:1153, 331 34, 39,7153 34, 39, 154, 331 34, 154 34, 154 34, 155 34, 155, 400, 594, 630 34, 155 34, 39, 154 34, 155, 400, 574
34, 36, 154, 393-4,
398-9,
402-3, 418-20 34, 155
34, 155, 695 34391523398 34, 152
34, 153, 398 155 3430039, 398-400,
152, 376, 402, 403-6,
303-4; 421-2,
605 34, 60, 152, 421 34, 39, 152, 381, 394, 398, 402, 404, 433-4 34, 39, 152 34,39,
152
34, 39, 153, 560 560, 562
34, 39, 153
34, 68, 153, 435-6, 630 154
34, 155, 393-6, 407, 416 152:8993,:159678599
2:32.
34, 39, 44, 46, 67, 87, 267-8, 333-4, 336, 338-40, 406-7, 421 34, 39, 152, 393-6, 399, 432 34, 39, 152 39, 3185 34, 39, 154 34, 39, 154-5, 633 34, 154 34, 60, 154, 412 34, 155 67, 155, 393, 407 153, 155, 393, 396, 399
81 82
34, 39, 152 34,.39,,133,.093
84 85 86 87 88
34, 39, 34, 39, 244-39, 34, 39, 34, 39,
90 91 92 93 94 25 96 37 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 119
34, 155 34, 152 34, 152 34, 154 34,59, 154 154 34, 154 34, 39, 60 34,.155 34, 36, 59, 154 34, 39 34, 59, 61, 67, 154 94, 39; 67, 154, 3531 34, 39, 67, 153 39, 67, 153 34, 39, 67, 154 60, 67, 87, 333-4, 343-6, 406-7, 425, 632 34, 154 34, :39, 153 34, 155 34, 39, 1524398, 400, 598 36, 152 34, 60, 153 34, 35, 59, 154 34, 35, 60 34, 155, 630 24,7153 35 34
122 123 124
34, 152 34, 36, 152 34, 152
120 120a 121
748
152 85; 1533 690 (153 153 85, 154, 331
34, 560-2, 622 34, 346, 400, 611, 616 4454,26, 01527-—
Indice delle opere citate BWV 34, 60, 155 34, 60, 152 34, 153 34, 153 34, 60, 154 34-5, 155 34-5, 333, 334-6, 339, 406-7 34, 39, 152, 393-6, 899, 402-4, 428-30, 695 344604 152 34, 39, 153, 560-1 561-2, 563 34, 154 34, 154 34, 59, 154 34, 68, 154 34, 155 34, 59, 68, 155 154 87, 416 152 34. 30. 152 153, 560-2 153, 594 ° 34, 39, 61, 155, 393-6 192.,.932396,,399,7432
407, 427, 428
163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 173a 174 175 176 Tipo 178 179 180 181 182
39, 154 60-1, 155, 435 59, 394, 694-5
183 184
184a 185
34, 39, 152, 398 34, 39, 89, 152, 393-6, 399400, 402, 403-4, 407, 421, 422-3, 605, 633 152 34, 39, 152 34, 152, 393-6, 399, 402-4,
186 186a 187 188 190 191 192 193 194 194a 195 196 197 197a
419, 430-2
34, 152, 400 60, 155 60,7159. 155 60, 153 87 i 34.4545, 393/7396. 300, 402-3, 405-7, 425-7, 428 34, 155, 393-6, 399, 402-4,
749
34, 155, 393-6, 399, 402-7, 428 34, 39, 154, 393-6, 399, 432, 695 41, 154, 393-6, 399, 403-4, 407, 424-5, 428 39.2153 155 34, 39, 154, 393-6, 399, 432 34, 39, 154, 400, 594 34, 39, 61, 154, 398 34-5, 152 34, 39, 153, 393-7, 399,402-7, 413-4, 416 34-5, 39, 153, 560-1, 695 561-3, 564-5 34, 153, 574 34, 334153, 630 34, 39, 154 34, 59, 154 34, 59, 154 34, 39, 154 34-5, 155, 630 3079152 34, 39, 153, 155, 393-7, 399400, 402-7, 411-2, 416, 438 34, 39, 153, 630 34, 39, 153, 560-1 561-2 34, 39, 154, 393-6, 399, 402-7, 425, 428 34, 39, 154, 393-6, 407 152,393, 396,.599..432 34,539. 154.0531 34, 155, 400, 594 34, 39, 152, 560-2 34, 152 155 560-2 34, 39, 560-1 561 34, 39, 346, 695 333-4, 343, 346-7
54, 39, 346, 695 34, 152
Indice delle opere citate BWV
BWV
198
34, 633
199
34, 39, 86, 154, 393-4, 398-9, 402-7, 421, 422
536, 563, 575-6, 578 2082 210
435 A35
200 099^.
34, 35, 41, 155 41,347
224
411
212
35, 68
Anh.1(—XVII) 2 (=XXIX) Anh.
154 36, 155
213 214
35 35
526, 558, 560-2,
215
35
Anh. 5
210a 211.
35 35, 68
Anh. 14 V
565 346 436
VI XVIII
153 152
XXIV
153
Mottetti
XXXII
153
118
35, 86
153
205
35, 60, 66
155 155
227 229
39, 66 66, 619
XXXI
Anh. 6 560-2 Anh. 7 560-2 Anh. 8 544, 560-1
155
XXXIII XXXIV
695
XXXV XXXVI
XXXVII
XXXVIII SSA
226
154
35, 39, 66
230
154-5 154
41, 66
Messe
Cantate profane
30a 36b 36c 66a 134a 173a 184a 194a 201. 202 204 205 205a 206 207 207a
35 35 35 526, 560, 562 35, 561-2, 563-4 561-3, 564-5, 605 561-2 35, 561-2 35 560-1 35, 562 35, 633 61 35 35, 574 35, 574
232 233 233a 234 235 236 237 238 239 240 241 242 Anh.24 Anh.25 Anh. 26 Anh. 166
35, 39, 61, 65, 68, 73, 75, 92, 412 39, 441 441 35-6, 39, 67 39 35, 36, 39, 55, 67 36, 39 35, 39 36, 39 36, 39 36 35, 41 36,44 . 36 36 36
208
35, 376, 387, 394, 434-40,
Anh. 167
36
750
Indice delle opere citate BWV
BWV
Magnificat
Composizioni per organo
243 243a Anh.30
352539 35, 39, 67 36
A) Libere
Passioni e oratori
244 244b 245 245a-c 246 247 248 249
352 39::67,:21-3, 82,188, 633 35 25989921007, N39) 548, 566, 633 35 36 41, 419 5. 199182152253 358 39441535575
35 35 35 40-1 355 597
45 35 85
Quodlibet 524
532
70, 312-3
532a 539 534 535
702913 35-6, 70, 312 41, 70, 490-1 708312 34, 353412 36, 70, 402, 490-1 491 70, 490-1, 496 70, 491 70, 611 70, 490-1, 492-3, 497 36, 70, 416-7 70, 541 67, 70, 490-1, 671 491 355 3740675870 36, 39,.67, 70, 491 70 64, 67, 70, 491 Sr 075870) 35, 64, 67, 70 34,70; 312 70, 490-1, 493 20553 12 45, 70 70, 310 il 35, 70, 490-1, 496 33, 71, 490, 496 70, 490-1, 494 70, 490-1, 493-4 70312 308
536 536a 537 538 539 540 541 542 543 543a 544 545 545a 546 547 548 549 550 551 552 553-560 561 562 563 564 565 566
Lieder spirituali e arie 439-507 Sl 52
70 64, 70, 494 5723637 64 . 3571397467500 70 34, 70, 312
535a
Corali 250 251 252 253-438 299
131a 525-530 525 526 527 528 591
35-6, 88, 691
751
Indice delle opere citate BWV
BWV 567
568 569 570 571 572 573 574
70-1, 310 70, 312 70, 312 33, 70, 490, 496 71, 310 79, 310 35, 649 33, 36, 67, 70, 490-1,
496-7 574a 574b 575 576 5777 578 579 580 581 582
583 584 585 586 587 588 589 590 591 592-597 592 593 594 595 596 597 598
497 497 70599512 VASTO 41, 71, 310 33, 70, 490, 496, 498 70, 490, 496, 497-8, 507 71589510
33, 36, 68, 70, 490-1, 498, 500-2 70 41 74, 310 41, 71 41, 71 34, 70, 490, 496-9 70, 490, 498, 499-500 67, 70, 312, 313-4
712310 445, 455 70, 457 70, 459 70, 463 70, 457 35, 457, 459-60 41, 71, 457 TAN, S
B) Corali 599-644
599
35, 39, 68; 70, 84, 215, 289, 303, 373, 414, 467, 469-70, 471-81, 644 473, 480
473, 480, 484 55, 473, 484 473 474 474 474, 484 474 474 474, 480, 484 474 474 474, 480, 487 474 472, 474 67, 474, 480, 484, 487 474, 480 474, 487 474, 484 474, 480, 484 474, 480-1, 484 474, 480, 484 70 474 474, 480 55, 474 474, 480, 484 475 55, 475 475, 480, 484 475 475, 480, 484 56, 475 475 70 475 55, 67, 472, 475, 480, 484 67, 70, 472, 475, 480, 484 476, 484 476 476, 484 476 | 477, 480, 484 477 477, 480, 487 478
Indice delle opere citate BWV
669-689 678 686 690 691 691a 692 693 693a 694 695 695a 696 697 698 699 700 701 702 703 704 705 706 707 708 708a 709 710 711 7i 713. 7133 714 715 716 TL 718 719 720
478, 484 479 55. 70 45, 67 35, 39, 68, 70, 88 67 45, 57, 67, 70, 471, 480 41 55 287, 468, 471 35, 67, 287, 644 70 67, 287, 306 67, 287, 306 70 71, 70, 70 287 67, 67, 67, 67, 67, 71, 287 67, 67, 67, 67, 67, 67
287, 294 70, 287-9, 295 287, 289 70, 287, 304 33, 41, 70, 294, 295 41, 70, 294, 295-6 71, 288, 295 287, 468, 470 35, 70, 649 70, 287-9, 295 287, 289 T 70, 287, 468, 470° 70, 287, 468, 470 70, 287-8, 295, 470 287, 289 41, 70, 468, 469 70, 468, 470 70 70, 290, 293, 470 70, 690 70, 287, 468, 469-70 41, 70, 294, 295 70, 287, 294 287-8, 294-5 AZZ), 41, 68, 70
287, 468, 469 287, 467, 468
287, 288 287 287 70, 287, 288 70, 287, 288 287, 304
71, 287, 294
287 70, 287, 304, 306 287, 468, 471 70, 287, 304, 306 287, 304
41, 41, 71, 71, 41, 67, 70
287, 467, 470
671597199287. 67, 70, 287, 467, 469 70, 287, 468, 469, 470 70, 287, 468-9 70, 468 71, 287, 467, 469 71, 288, 289-9o, 295 70, 304-5
70, 70, 41, 70,
287, 467, 469 290-2, 293, 341 304 287, 467, 468
753
71, 306 71, 306 306 304 71 70, 287
Indice delle opere citate BWV
BWV 761 762 763 764 765 766
768
7139287 71, 304 71 3514124293 71, 304, 306 36, 68, 70, 296-8, 491, 508, 691 70, 296-300, 308, 471, 508, 691 35-6, 68, 70, 296-8, 301-2,
769
407;
767
39, 34, 34, 31% 317 41,
O Lamm Gottes, unschuldig
846-893 846-869
846 870-893 870 871 872 873 874 875 876 877 878 880 881 882 883 884 885 889 890 891 894 895 896 897 898 899 900
^^ 294
Composizioni per clavicembalo 772-801 788 789 802-805
4 36-9, 480, 645-8 644 644 45
812-817 818 818a 819 819a
. 36-7, 649-50, 664-5 36, 664, 703 703 36, 664, 703 36, 703
820 821 822
317, 643-4
304, 307, 508, 691
3552395 4555.57. 70, 88, 302 769a 67 770 71, 307-8 771 307, 308 An 57 — 11 Anh.75 70 Anh.77 691 Anh.78 691 Anh.79 691 Anh.171 71
806-811
44 319-21, 326-7 319-21, 326-7
665-70
33, 319, 508-9 319 320-1, 326
823
319-20, 326-7
824 825-830 827 830
317, 644 44 36 36, 622
754
41, 317, 319 318 63-6 34, 36, 38, 55, 64-5, 645-6, 650-63 57 36-7, 39, 487
Indice delle opere citate BWV
670 670 670 38-9, 55, 67, 668, 672 41, 318-9
951a 507 952 319 953 36-7, 644 954 320, 671-2, 700 955 320 956 318-9 957. 41, 318-9 958 319 959 41, 319 960 33, 41, 318 961 318-9 962 318-9 963 320-1, 324-5 964 318, 610 965 671-2, 700 966 671-2, 700 967 34, 318-9 968 91925611 969 41, 318-9 970 41, 318-9 971 44 972-987 445, 454-5, 457, 459, 462-5 988 36, 45, 66, 488, 508 989 33, 508 990 41, 318-9 991 36, 649 992 34, 203, 251, 320, 321-3 993 320, 321 994 36-7, 41, 643 Klavierbüchlein für Wilhelm Friede-
33, 36; 491, 503, 507 33, 494, 503, 504-5 34, 40, 320, 503, 505 34 320, 494, 503, 505-6 494, 503, 505, 506 503, 506 33, 494, 503, 504 34, 319, 508, 509 319 41, 319, 670 41, 318-9 33,-318 319, 508, 509 318 318-9 Do 41 317, 643 41, 317, 643 36-7
mann
317, 641-9, 660
Klavierbüchlein für Anna Magdalena I
41, 644 41, 317, 643-4 40, 646
649-50, 664
Klavierbüchlein für Anna Magdalena II 597, Anh. 107-108 Anh. 110 Anh. 179 Anh. 182
33, 491, 670-1 318 41, 70, 507 AML. MG 07, 320, 507 956320507 320, 497, 507 320, 497, 507
650 319 319 71 319
Composizioni per liuto 997
5795
40
Indice delle opere citate BWV 998 1000
BWV 36-7, 40 611
1042 1043 1044 1045 1046-1051
Musica da camera 1001-1006 1001 1004 1005 1006a 1007-1012 1013 1014-1019
36,66,318, 607-17,639 70, 82 82, 500 57 36-7, 611 36, 40, 67, 624-31,666 636, 639 40, 57, 66, 84-5, 608,
1046 1046a 1047 1048 1049 1050
617-23
1050a
1019a 1020 1021
620 623, 636, 702 36, 41, 88, 585, 623,
1051 1052-1058 1052
624, 701
1055
1022 1023 1024 1025 1026 1027-1029 1027 1027a 1029 1030 1031 1032
41, 623, 701-2 41, 623, 624 41, 623 40, 623, 702 623 631-5, 640 36 71, 634, 640 36 36, 617, 636-7 40, 636, 702 36, 636, 637, 702
1056a 1059 1059a 1060 1060a 1061 1062 1064 1065 Anh. 23
636, 702
Ouvertures
1033
1034 1035 1036 1037 1038 1039 1040 Anh. 173-176
636, 637-8 636, 637-8 41, 88, 702 702 36, 41, 623, 701-2 40, 634, 636, 639-40 36, 41, 436 702
1066-1069 1066 1067 1068 1070 1071
36, 85, 575, 593, 594-5
36, 40, 86, 575, 594,
36, 70, 532-3, 567-92; 505,:626:1632 85, 577-80, 608 578 580-4, 608 85, 314-5, 584-5 585-8, 594, 608 40, 588-91, 608, 699 588 591-2, 632
36, 594-5
55.595 36 575 594-5 575, 594-5 36 36, 594-5, 637 594-5 459 36
595-605 40, 575 36, 40, 575, 636, 638 36, 40 596, 600 41, 575, 578
Canoni Concerti
1041
1072 1073
36, 40, 575, 593, 594-5
756
668,
41, 55 36, 41, 441-2
=
58
vid =
i
SH
ieh
N.B. Nell'indice non compaiono i nomi citati nelle bibliografie e nella genealogia della famiglia Bach; i numeri in corsivo indicano le pagine in cui il soggetto & trattato per esteso.
: ABEL
Christian
Ferdinand,
18, 520,
524, 526-7, 532, 627, 631-2, 701
ABEL Clamor Heinrich, 701 Aser Karl Friedrich,
AURELIANO,
318 ALIGHIERI
107, 135-6
AGRICOLA Johann, 425 AGRICOLA Johann Friedrich, 18, 28, 223.1390; 657. AGRICOLA Martin, 66, 133
Amnrig,
fam., 163, 179, 264-5, Johann
Georg,
164,
Dante,
72
ALT Christoph, 359, 372 ALTENBURG Johann Ernst, 535 ALTMANN Christian Friedrich, 365 ALTNICKOL (Altnikol) Johann Chri-
AMELN Konrad, 95 AMMERBACH Elias, 144
259-62,
ANARG
332, 367, 686, 688
von WILDENFELS,
128
ANGLEBERT Jean-Henry d', 374, 449,
AHLE Johann Rudolf, 164, 259, 283,
644 ANGLES Higinio, 92 ANHALT, fam., 514 ANNA AMALIA DI PRUSSIA, 22, 32, 42, 6015716578639
332, 333, 686
AIBLINGER Andreas, 372 ALBERT, duca di Sassonia-Eisenach, 177 ALBERT III, duca di Sassonia, 176 ALBERT
128-9
stoph, 18, 28, 88, 95, 573, 576, 588, 611, 617, 657, 699
267,
332
AHLE
Hans, 93 DI Prussia,
ALBRECHT Johann, 256 ALBRECHT Johann Lorenz, 266, 687 ALBRECHTSBERGER Johann Georg, 63,
18, 520, 632
ABeL Sophia Charlotta, 527, 632 ADLUNG Jacob, 390 ADOLF WILHELM, duca di SassoniaEisenach, 177, 206 AGOSTINO
ALBINUS Johann Georg, 427 ALBRECHT ALBRECHT
Peter, 181
ANNA AMALIE, duchessa di SassoniaWeimar-Eisenach, 352 ANTON GÜNTHER II, conte di Schwarzburg-Arnstadt, 193, 243, 247, 263,
ALBERTO l’Orso (Alberto I di Ballenstedt), 514 ALBERUS Erasmus, 298 ALBINONI Tommaso, 33, 320, 374, 448, 454, 456, 464-5, 497, 507, 533, 610
57
761
Indice dei nomi
APPELMANN Johann Christian, 689
Bach Elisabeth Juliana Friederika, 16,
APPONYI, conti, 62 ARIGHINI Giuseppe, 234 ARNOLD VON BRUCK, 133
BacH Friedelena Margaretha, 363 BacH Georg Christoph [26], 189-91,
18
AnNOLD Johann Heinrich, 221-2 ATTAINGNANT
246, 278, 330
BacH Georg Michael [52], 643 Bacu Gottfried Heinrich [69], 16, 33 BacH Günther, 185
Pierre, 128
. ASCANI, casata, 514 AUERSPERG,
principi, 62
AUFSCHNAITER Benedict Anton, 236,
BacH Bach BACH
695
Aucusta DoroTHEA di BraunschweigWolfenbiittel, 247-8 August Lupwic, principe di Anhalt-
BacH Heinrich, 185 BacH 201, 283, BAcH
Kóthen, 517-8, 522
Aucusto II il Forte, elettore di Sassonia e re di Polonia, 202 Aucusto III, re di Polonia v. FEDERICO Aucusto II AureLI Aurelio, 234 AVENARIUS Johann, 222
BacH Johann, 185
BacH
188,
192,
Johann
Aegidius
[23],
194,
BacH Johann Ambrosius [28], 40, 90, 182, 187-90, 191, 192, 193-200, 201, 203-4, 205, 207-8, 210-11, 213, 215, 217-8, 246, 248, 263, 276, 282, 689
185
Barbara,
[17], 186,
203, 680
BacH Anna Carolina Philippina, 680 BAcH Anna Magdalena v. WILCKE BacH Apollonia, 185 BacH
Johann
197, 201, 238-9, 278, 330, 680, 687
BacH
Anna,
Heinrich [19], 41, 186-8, 194, 228, 239, 246, 249, 252, 278, 365, 680, 681, 684-5, 687, 690 Heinz, 185
BacH Jacob [32], 210, 263
Baar Johann, 441 Bassr Valentin, 134 Bach
Hans, 185, 244 Hans [2], 181, 183, 185 Hartung, 185
BacH Johann Andreas [65], 33, 365,
185
496, 690
BacH
Bach Barbara Catharina, 251 Bach Barbara Maria, 189 Bach Bartholomäus, 185
Johann
Balthasar
[43], 200,
202, 208, 210, 217
BacH Johann Bernhard [36], 41, 244,
BAcH Carl Philipp Emanuel [67], 16,
297, 33023650 36743369 24699985275 596, 600
29, 33, 37-43, 57-8, 61, 63, 66, 86, 191, 214, 223-4, 248, 276, 278, 283, 311, 365, 369, 390, 483, 536, 617, 623, 649, 680, 701-2 BACH Caspar, 185
BacH Johann Bernhard [62], 18, 28, 33, 496, 521, 690
BacH
Johann
Christian
[22], 192,
194, 201, 203, 210, 680 BacH Johann Christian [71], 16, 18, 33, 41, 520, 632, 643, 665 BacH Johann Christian [75], 37, 643
BAcH Caspar [5], 186, 244 BACH Caspar [9], 244 BacH Catharina Dorothea, 16, 272,
BacH Johann Christoph, 239, 365 BacH Johann Christoph [27], 41,
364
BacH Christiane Louisa, 608 BacH Christina Sophie, 226
189, 190-3, 217-8, 222, 246, 248, 683, 684
Bach Christoph [18], 182, 187-9,
BacH
191, 194, 239, 374
Bach Claus, 244 BACH Dorothee Maria, 189, 192, 196
194, 213,
762
Johann Christoph 196, 198-9, 214-5, 218,
202, 228,
[29], 188, 205, 244,
210, 246,
Indice dei nomi 278-9, 282-3, 284, 287, 296, 307, 330, 333, 680-1, 689-90 BACH Johann Christoph [35], 184, 210 BacH Johann Christoph [41], 193, 200, 246
BacH
Johann
Christoph
Bacn Johannes [7], 181-3, 185-7
BacH Johannes [10], 244
[42], 19,
897.197, 200-22: 210;..213,. 217, 218, 219, 222-4, 246, 321, 364-5, 521, 542-4, 682, 685, 690
BacH Johann Christoph [47], 210 BacH Johann Christoph Friedrich i
[70], 16, 33, 40-1, 608
Bacn Johann Elias [60], 18, 190 Bacn Johann Ernst [40], 193, 221-2, D
[48], 210,
Gottfried
Bernhard
261, 263, 274
BacH
Johann
[68], 16, 33, 238, 263, 268, 365, 687
BacH Johann Günther [31], 246, 681 BacH BacH BacH BacH
Johann Johann Johann Johann
Günther [55], 29, 690 Heinrich [64], 18 Jacob, 189 Jacob [44], 200, 202,
209:722105021829;5222; 321, 542-4
Maria
Barbara,
16, 49, 221, $346: 642,
Maria Sophia (II), 239, 364 Matthäus, 185 Melchior [11], 244 Nicolaus [13], 246
BacH
Otto, 186
Bach BAcH BacH BacH BacH
Paul, 185 Regina Susanna, 16 Samuel Anton Jakob [73], 19 Tobias Friedrich [61], 218, 226 Ulricus, 186
BacH
Veit, 185 Veit II [6], 181-5, 244
BacH Wendel [20], 210 Bach Wilhelm Friedemann [66], 16, 33,.,37-41,943, 261-37. 272: 24A 317-8, 364, 381, 457, 459-60, 480, 596, 611, 637, 643, 646, 649, 657-8, 660
[30], 41, 49,
BacH Wilhelm Friedrich Ernst [84],
188, 221, 239, 243, 246, 256, 263, 278, 281, 283-4, 330, 333, 680, 687
Johann Johann Johann Johann Johann Johann Johann
Maria Anna, 202
BacH
Bach
225,1.251,
330-1, 336
BacH Baca BacH BacH Bach BacH BacH
185
Bach Veit I [3] (Vitus), 181-6
Bach Johann Jonas, 200, 208, 210 BacH Johann Lorenz [59], 19 BacH Johann Ludwig [50], 41, 186, BacH Johann Michael
BAcH
BacH Bach Bach Bach
244, 246, 254, 260, 262, 683, 686
BacH Johann Ernst [56], 18, 41, 457,
Friedrich
Leonhard, 185 Leopold August, 522 Lips [8], 183, 185-6 Margaretha, 185
BacH Maria Catharina, 685 BAcH Maria Salome, 200, 203, 207, 217-8, 542-4 BaAcH Maria Sophia (I), 221
932219
Johann
Kunz,
BAcH BacH BacH BAcH
239, 246,251; 1:256, ::263, 364-6, 522, 527, 533, 537, 680, 687
BacH Johann Christoph Georg [83],
BacH
BacH
33, 41 BAHR Christian Heinrich, 527
Michael [49], 210 Michael [77], 41 Nikolaus, 210 Nikolaus [25], 201, 203 Nikolaus [46], 41, 210 Rudolf, 197, 200 Sebastian (II), 365
Bàun
Johann
Christian
Heinrich,
527
BAHR Johann Friedrich, 527 BÄRENREITER-VERLAG, 91-2, 98 Bann Johann Georg, 516, 520 Baını Giuseppe, 72 BALLARD, 137-8
BacH Johann Valentin [38], 189 Bacu Johanna Carolina, 16 BacH Johanna Juditha, 200-1, 208
BAMMLER Johann Nathanael, 19 Bawz Joseph Friedrich, 359
763
Indice dei nomi BarcieL Woldemar, 35 BARTH Christian Samuel, 19 BARTHOLOMAFI Christiana Maria, 218,
Bm Paul, 206 Bitter Carl Heinrich, 80 BLAMR,
454
BARTHOLOMAEI Jacobus, 218, 681
BLANKENBURG Walter, 95 BLARER Ambrosius, 128
BanvrHONUS Heinrich, 164 Baupiss Gottfried Leonhard, 551
BLECHSCHMIDT Eva, 43 BLEYER Georg, 599
BAUMGART,
BLünnıtz
681
74
BAUMGARTEN Johann Christoph, 19 Beck Johann Paul, 682 BECKER August, 378-80 Becker Carl Ferdinand, 33, 74, 76 BECKER Cornelius, 139 BeckER Johann, 19 BECKMANN Klaus, 696
Beer Johann, 323 BEETHOVEN
Ludwig
van,
64-5, 74,
459, 502
Bzun Samuel Rudolf, 599 BeLLstADT Sophia Dorothea, 365 BeLLsTEDT Johann Gottfried, 687 BeLLstenT Johann Hermann, 260,
Gottfried, 372
BLuME Friedrich, 88, 91-2, 111, 133, 427, 624 ^ BLuMNER Martin, 83
BocksHoRN
(Capricornus)
Samuel,
229
BODENSCHATZ Erhard, 140, 148, 229 Bopinus Sebastian, 639 BOHM Georg, 33, 145, 179, 222, 224 228, 232-3, 254, 291-2, 294, 296-7, 300, 302, 307-8, 327, 333, 468, 470, 485-6
Bönme Jakob, 167 BOERHAAVE
Hermannus,
61
BEnDA Frantisek, 629 Bennett William Sterndale, 73
BónNER Andreas, 242-3, 249, 252, 685 BÖTTCHER Johann, 552 BÖTTIGErR Johann Jeremia, 221 Borro Arrigo, 76
BERGEN
Boje Johann Jacob, 231
269, 687
G., 134
BERGER Paul, 523 BerHARDI Christian Gerhard, 372
BonportI Francesco 648, 702
BERNARDO
BowrEMPI Giovanni Andrea, 229
DI CHIARAVALLE,
116
Antonio,
BERNHARD Christoph, 148, 164 BERNIER Nicolas, 438
Boosey & Co., 71 BORINGHIERI Gustavo, 701
BERNSTEIN Martin, 576, 596 Bznnr Pietro, 464 BeRTALI Antonio, 229
BonMANN
Theodor
Benedikt,
374,
371,
389
BrsseLER Heinrich, 92, 97, 573, 575, 588, 698-9
Born Jacob, 547, 551 Born Johann Franciscus, 551 BORNEMANN
Georg, 90
BESSER J. von, 697 BEUMELBURG Johann Georg, 359, 372 Bzz& Theodor de, 679 Bier Heinrich Ignaz Franz von, 613, 700
BorrEN Charles van den, 92 BorscH Johann Stephan, 29, 657 BORSTELMANN Heinrich, 211, 217 Bose Caspar, 551 Bosster Heinrich Philipp, 58
BIEDERMANN Johann Christian, 372
Borg & Bock, 609 BourGeois Loys, 136, 137
BreLKEN Johann Felix, 396 BiNcHors Gilles, 137 BmNBAUM Johann Abraham,
51-2,
389-90
BirnstIeL Friedrich Wilhelm, 57
BoypEN David D., 612 BnAnMs Johannes, 82, 502, 694 BRAINARD Paul, 95, 415 Bnawpzs Dorothea Maria, 692
Indice dei nomi
Branpes
Salomo, 692
Carvin Johannes (Calvino Giovanni),
BRAUN August, 229, 230, 232 BRAUN Hans Erhardt, 684-5
Brause Nicolaus, 238 BREIDERT Friedrich, 89 Breitkopr (& HARTEL), 66-8, 74, 80, 82-3, 624, 628
124, 135, 136
Carvisius Sethus, 138-9, 164 CaMPRA André, 604 CanrssiMI Giacomo, 49, 195, 229 CaRL Aucusr, duca di SassoniaWeimar-Eisenach, 352-3
35, 56-7,
89, 91, 460,
Caro V, imperatore, 174, 176 Carıo XII, re di Svezia, 202, 251, 322, 520, 543-4 CARLO Macno, 114
BRrEITKOPF Bernhard Christoph, 45 Bnzrrkorr Johann Gottlob Immanuel, 57 BnrrrEN Benjamin, 502 Bnossanp Sébastien de, 321, 693
CARTESIO
BrÜCKER Martha Catharina (sposata Lämmerhirt) v. LÄMMERHIRT Martha Catharina BrucknER Tobias David, 44, 267-8 BrÜCKNER Wolfgang, 151 Bnünr Heinrich von, 29 Brunns Nicolaus, 33, 145, 224, 468, 493 BnuMzr
(Descartes
René),
166,
652 CARTIER Jean-Baptiste, 57, 609
Casparını Adam Horatius, 529 CasteLLI Nicolaus, 387 CATERINA DI Russia, 514 CHAILLEY Jacques, 288 CHARLOTTE DOROTEA SOPHIE,
chessa di Sassonia-Weimar, CHARLOTTE
du692
FRIEDERICA WILHELMINE,
principessa di Nassau-Siegen, 519 CHARLOTTE MARIE di Sassonia-Jena,
Antoine, 678
BrunckHorsT Arnold Melchior, 235 Brunner Heinrich, 682 Bürow Hans von, 90, 659 BÜMLER Georg Heinrich, 52 BüscHE Johann, 231 BurranpiN Pierre-Gabriel, 202, 639 Bunre Edward, 86, 90
353 CHRISTENSEN Niels, 56 CHRISTIAN, duca di Sassonia-Weissenfels, 376, 387, 435 CHRISTIAN Lupwic, margravio di Brandeburgo, 532-3, 568-71, 580,
BuMxz Erwin, Bunsen, 74
CHRISTINE
586, 626, 698
83
BuonarrotI Michelangelo, 72 ‘ Burck Joachim a (Müller), 139, 259, BURMEISTER Joachim, 164
Cicerone
Dietrich,
Friedrich,
Marco
Tullio,
212, 220,
Crauprus ‚Matthias, 128 CoBErG Johann Anton, 33 Comenrus Johann Amos, 163, 167,
Busoni Ferruccio, 470, 493, 659, 703 BUTTSTETT Johann Heinrich, 33, 146, 367, 680, 690 BUXTEHUDE Anna Margreta, 252, 686 179, 224, 252-4,
Franz
231
Lovies, 690
BuscH Adolf, 88
BUXTEHUDE
Karl
82, 415
Charles, 72
BussErzkv
di Brande-
regina di Sasso-
nia, 610
CHRYSANDER
686
Burney
EBERHARDINE
burgo-Bayreuth,
21208220) COMPENIUS Esajas, 529 COoMPENIUS Heinrich, 529
CompenIus Ludwig, 363, 692 Coretti Arcangelo, 448, 454, 497-8,
33, 49, 145,
291-6, 298, 302,
500, 507, 615, 618 CORNELIO NEPOTE, 212, 220
308, 310-12, 333, 468-9, 480, 485, 493, 501, 690
765
Indice dei nomi CouperIN Frangois, 569, 638, 700
311,
327,
422,
Dorzs Johann Friedrich, 19, 28, 38,
381-2,
Donnporr Adolf von, 90 Dorn Johann Christoph, 19 DOROTHEA SopHIA di Assia-Homburg, 367 DOTZAUER Justus Johann Friedrich,
43, 59
CRAMER Carl Friedrich, 64 CRANACH
Lucas, 362
CREUTZIGER Elisabeth, 428 Crücer Johann, 142 Cuncrus 384
Christoph,
376,
67, 628
CyprIanı Johann, 531
Drese, fam., 163, 248
CZERNIN, conti, 62, CzeErny Carl, 68, 321, 659
Drese Adam,
Drese
248-9, 358, 388, 684
Johann
Samuel,
358, 360-1,
372, 387-8, 392, 411
DADELSEN Georg von, 33, 96, 98, 293, 440, 596, 624, 657 Danr Thurston, 575, 585-6, 591 Davıp Ferdinand, 74, 609, 611, 624, 637, 701
Dròss Johann Andreas, 29, 491 Ducıs Benedictus, 133, 678 194,
7219.326051
DEDERIND Constantin Christian, 151 DEDEKIND Henning, 148 Decrı Antoni Giovanni Battista, 626 Denn Siegfried Wilhelm, 68, 70, 74, 5719597. DzrriNO Vettor, 460
DzMANTIUS
Christoph, 148
DEMOULIN
Jean-Pierre, 464
DzNsrEDT Johann Gottfried, 372 DesMIER D’OLBREUSE Eleonore, 234 DzsPnEs
Josquin, 66, 123, 129, 132,
678
DeyLING Salomon, 554-5 DIETHMAR (vescovo), 115 DIETRICH DIETRICH DIETRICH
392 Georg, 198 Anna Maria, 367 fam., 163
20518
DECKER & HARTUNG, 56 DECOMBE, 57, 66, 699
211722132160.
387-8, DresseL DressLer DRrETZEL,
^ DnETZEL (Drezel) Cornelius Heinrich,
Decker Johann, 227 DepEKIND, fam., 163 DepEKIND Andreas Christian,
Drese Johann Wilhelm, 361, 371-2,
Fritz, 292 Sixtus, 133 VON Bern, 127
Düsen
Andreas, 145
Dürer Albrecht, 72, 167 Dürr Alfred, 33, 89, 91-8, 330, 343, 399, 415, 419, 423, 425, 435, 563, 565, 588-9, 695
Duray Guillaume, 137 Dunst (editore), 68, 500 DURANTE
Francesco, 352
EBeEr Paul, 127
EBERLIN Amalie Louise, 196 EBERLIN Daniel, 195-6, 213,
216,
680
EBERLIN Johann, 126 EBERLIN Johann Ernst, 63 EsNER Wolfgang, 195 Eccarp Johann, 139, 148, 259 Eck Johann, 133 Eck£ Andreas Christoph, 372 Ecker Matthias, 678
DrEuPART Charles, 374, 644, 666 DósBEnNITZ Johann, 359, 372 DéòBrICHTIN Christine Elisabeth, 359
EDELMANN Moritz, 33 ErrLER Johann, 195, 239-40,
DÖBRICHTIN Justine Elisabeth, 359 DósnicurIN Magdalena Elisabeth, 359 Dörrrer Alfred, 78-80
EHRBACH Johann Andreas, 359, 372 EHRMANN Johann Samuel, 52
360-1, 363
|
ErcHBERG Hartwig, 97, 317
358,
Indice dei nomi EICHENBERG Johann Wendelin, 359, 372 EILMAR Anna Dorothea, 272, 364 FILMAR Dorothea Susanna, 343 EırMAR Georg Christian, 268, 271-2, 334, 338, 343, 364, 366, 689
EINICKE Georg Friedrich, 20 EISENTRAUT, fam., 163 ErsenTRAUT Martha Elisabetha, 193 EITNER Robert, 453, 698 EKRKEHART
ELEONORE WILHELMINE, principessa di Anhalt-Köthen, 386, 388, 518, 521-2 ELISABETTA, d'Ungheria, 174, 206 ELLER Rudolf, 91, 97 ELLINGER, 533
EMANUEL LEBRECHT, principe di Anhalt-Kóthen, 515, 518
EMMERLING, fam., 163 EMMERLING Cyriak, 533, 698 687, 698 EMsER Hieronymus,
Christoph,
365,
ENRICO DI ANHALT, 514 EPPSTEIN Hans, 635, 637-8, 640 ERASMO DA ROTTERDAM, 445 ERBACH Christian, 145, 148 ERCHAMBERT, 115 . ERDMANN Georg, 226, 230-1, 519, 557, 683 ERDÖDY, conti, 62 ERHARD Laurentius, 164 ERHARDT Johann Sebastian, 256ERLEBACH Philipp Heinrich, 236, 695
Ernestı Johann Heinrich, 546 Ernst, elettore di Sassonia (14411486), 176
Ernst, duca di Sassonia-Gotha, 220, 681-2
I, duca di Sassonia-
Weimar, 20, 177, 207, 3524, 367, 386, 388, 435, 450, 518, 521,
693, 696
.-
EyLENSTEIN
Gregor
Christoph, 368,
450, 696
FABRICIUS Georg Andreas, 259 FABrıcıus Werner, 33, 599 FAREANU A., 278 Fasanı Raniero, 118
FEDERICO I DI Prussia, 519, 532, 697 FEDERICO II DI Prussia, 16, 42, 61-2,
519, 571, 638 107-9
ENGELHARDT Johann, 181
Ernst August
365,
536
FascH Johann Friedrich, 44, 456, 535, 542, 545-6, 596, 600, 610 Fase Johann Martin, 359
Emery Walter, 96 EMIs, 533
Johann
658 Esıopo, 212 EsPAGNE Franz, 77, 664
EsTERHAZY, principi, 62 EvrENBERG Johann Christian,
IV, 116, 677
Er£ereLp Eberhard Joachim, 231
EMMERLING
Ernst Lupwic, duca di SassoniaMeiningen, 331 Ernst Lupwic, langravio d’AssiaDarmstadt, 548 ErseLIus Johann Christoph, 320 EscHENBURG Johann Joachim, 38, 43,
FEDERICO AUGUSTO II DI SASSONIA, 458 FEDERICO Augusto III DI SASSONIA,
435 FEDERICO
GUGLIELMO
I, 519, 532
F£porov Vladimir, 92 FeLpHAUS Martin, 243, 246, 256, 263
FERDINANDO III, principe di Toscana, 458 FÉviN Antoine de, 678 FrcHTEL Johann Martin, 359, 372 Finck
Hermann,
66, 132-3
FiscaBAcHER (editore), 83 FiscHER Christian Gustav, 359 FiscHER Johann, 236, 695
Fischer
Johann
Caspar
Ferdinand,
33, 224, 236, 307, 654, 703 FrscHER Johann Valentin, 521 FiscHER Martin,
279
Fıscuer Michael Fiscuer Theodor, Fischer Wilfried, FiscHHoF Joseph,
Gotthard, 29-30 242 97 42-3, 74, 657
Indice dei nomi FRIEDRICH ERDMANN, duca di Sassonia-Merseburg, 386 FRIEDRICH HziNRICH di BrandeburgoSchwedt, 698 FrIEDRICH WILHELM di Bai Schwedt, 698 FRIEDRICH WILHELM di BrandeburgoSonnenburg, 698
FLEMMING Jakob Heinrich von, 390 Fror Christian, 33, 227-8 FLorımo Francesco, 76 FociLIDE, 232 Fock Gustav, 230
FónrscH Johann Philipp, 333 FoLcer Carl August, 20 ForkeL Johann Nikolaus, 17, 29, 38,
FRIES, conti, 62
42-3, 57-8, 65-6, 71, 80, 224, 250, 283, 295, 446, 459, 609, 624, 629, 666, 676, 680
Friese Heinrich, 538, 539 FnrrzscHE Christian Gottlieb, 20 FROBERGER, fam., 163 FROBERGER Johann Jacob, 195, 223-4,
FonQuERAY Robert, 633 FORSTER, 685
Forster Christoph, 600 FonsrER Georg,
2272 2082829055323
133, 678
Francıscı Johann, 20 Franck Jacob, 692 Franck Melchior, 138, 145, 179, 227
Franck Salomo, 247, 357, 360, 366,
FnÓBER Christoph Gottlieb, 20 FRoHNE Johann Adolf, 271-2, 334 Fuchs Aloys, 42-3 . FUHRMANN Martin Heinrich, 49 Fux Johann Joseph, 600
387103891393, 39557,1399; 405, 415, 418, 422-3, 427-8, 435, 437, 692, 695 FRAUENLOB, 129
GaAST
GAEHLER Caspar Siegfried, 42-3 GAFFURIO
Franchino,
652
GALLIARD Johann Ernst, 235 GarLUs Jacobus, 227
224, 288, 297, 321, 374, 491, 498, 507
GastToLDI Giovanni Giacomo,
FREUDENBERG Siegismund, 20 Freyse Conrad, 88-90, 219, 279 FrevyrAG Emanuel Heinrich Gottlieb,
Gaupon Gzck
127
Louis Charles, 235
Martin,
566, 576
GEIER Gottlieb Benjamin, 21 GEIRINGER Karl, 283
520, 526, 635
524,
GEMINIANI Francesco, 610 GENTILI Giorgio, 454, 456 .
635
FnEvTAG Johann Heinrich, 520, 524,
Georg II, conte di Gleichen, 220 GEORG WILHELM, duca di Braunschweig-Lüneburg, 234 GERBER Ernst Ludwig, 58, 60, 284,
526, 635 FRIEDERICA HENRIETTA, principessa di
Anhalt-Bernburg, 519, 544 FrIeDRICH di Assia-Kassel (poi Fede-
453, 507, 629
rico I, re di Svezia), 376
Frieprich
Maria, 202
GABRIELI Giovannı, 141 GABRIELLI Domenico, 626
FREDERSDORF Michael Gabriel, 638 FREEMAN Robert, 93 FRENKEL Johann Heinrich, 538 FrescoBALDI Girolamo, 49, 141, 195,
FnaEYTAG Johann, 516, 519-20,
Susanna
GABLER Christian Friedrich, 20
GERBER
di Brandeburgo-Sonnen-
Heinrich
Nikolaus,
21, 28,
374, 507, 648, 664-5
burg, 698
GERBER Rudolf, 92, 97, 583
FRIEDRICH DER FREIDIGE, langravio di
GERHARDT Paul, 127-8, 142
Turingia, 206
GERHOH
FRIEDRICH II IL PLACIDO, duca-elettore di Sassonia (1412-1464), 176
VON REICHERSBERG,
116
GERLACH Carl Gotthelf, 21, 28 GERLACH Catharina, 138
768
|
.
Indice dei nomi GERLACH Theodor Christian, 21 GERRMANN Johann Christian, 359, 342
GERSON Jean, 123 GERSTENBERG Walter, 92, 98 GERSTENBÜTTEL Joachim, 333, 539, 541 Gzsrus Bartholomäus, 138 GESNER Johann Matthias, 54-5, 370
GEYERSBACH Johann Heinrich, 251-2, 255 GINACINI,
527
i;
GisELA AGNES (I) von RATH, principessa di Anhalt-Kóthen, 515-8, 537, 635
GRAUPNER Johann Christoph, 44, 317, 398, 418, 421, 456, 547-52, 565-6, 610
Grave Johann Jacob (Jan Jacob de Graaf), 452-3 GREGORI Giovanni Lorenzo, 454 GnEGORIO Macno, 114
GREITER Matthäus, 136 GRIEPENKERL Friedrich Konrad,
GrIGNY Nicolas de, 311, 374, 496, 644 Grosse Johann Michael, 21 GROSSER Johann Emanuel, 73, 80 GROSSGEBAUER Philipp, 343 Grüss
Giseta AGNES (II), principessa Anhalt-Kóthen, 544
di
Hans, 97
GunHr Carl Wilhelm Ferdinand, 29, 490, 500
GrusepPE I, imperatore, 253, 338 GLEICHAUF Franz Xaver, 319
GUMPELZHAIMER Adam, 164 GUTKNECHT Jobst, 125
GLEITSMANN Paul, 248 GMELIN Samuel, 21 GòseL Johann Bernhard,
Haase Johann Gottlieb, 21 HAENDEL Georg Friedrich,
521, 524,
526
GÖBEL Johann Jeremias, 517, 523 GoErrHE Johann Wolfgang von, 42, 2
2817398207535?
2354 £362 0507
Görtz Johann Christoph, 546 GOFFREDO,
116
GoLDBERG
Johann Gottlieb, 21, 28,
702 GOLDE,
459
GorkE Manfred, 624 : GOTTSCHALCK Emanuel Lebrecht, 518 GOTTSCHALK Paul, 35
GorrscHED Johann Christoph, 49, 51
68,
70, 295, 459, 490, 500
44, 49,
Eh St, RE 1082017302341 252, 352, 376, 416, 579, 586
HássrLER Johann Wilhelm, 29-30 HAGEDORN Gottfried, 272, 364 HAGEN,
533
HAHN Christian, 527 HAHN Johann Christian, 527, 536 Harrs Johann Heinrich, 202, 218-9 HAMMERSCHMIDT Andreas, 50, 148, 227, 229, 428
HANCKE Gottfried Benjamin, 49 HANDSCHIN Jacques, 92 Hawrr Johann Nicolaus,
145, 333
GoupiMmEL Claude, 137-8 GouNoD Charles, 661 GnABE Christian, 687
HANRACH,
conti, 62
HANTZscH
Georg, 259
GRABLER Maria Magdalena, 187, 189 GRÄBNER Christian Heinrich, 21 GRÄFFENHAYN Gottfried Christoph, 238 GRAESER Wolfgang, 79, 87, 91 Gnarr Johann Jacob, 372 È GrasniIck Friedrich August, 42-3 GrAUN Carl Heinrich, 44, 52-3
HansBonpr
Wilhelm
GnAUN Johann Gottlieb, 44, 701-2
Hasse Johann Adolf, 44, 53, 600
HaNTZsCH Andreas, 259 Andreas,
516,
519, 521, 524 HARRER Gottlob, 29, 59, 588, 699
Hartung, fam., 163 Hartwıc Karl, 21 Hase Oskar von, 75 HASLINGER,
casa, 67
Hasse, fam., 163
Indice dei nomi Hasse Peter, 145 Hasster Hans Leo, 127, 139-40, 145, 148, 227, 427, 470 HAUPTMANN Moritz, 74-6 Hauser Franz, 38, 43, 67, 74, 80,
HERMANN HERMANN
573 (F. H. Archiv) Hausmann Nicolaus, 107-8 Hausmann Valentin Bartolomaeus,
HERTHUM, fam., 163 HERTHUM Catharina Dorothea, 365
376
Haussmann
Elias Gottlieb, 86
HausswArp
Günter, 97
pastore, 230
Hecker Christian, 549 HEERMANN Johann, 298, 421, 428 Hecer Georg Wilhelm Friedrich, 445 HEINDORFF Ernst Dietrich, 249, 684, 686
HEINDoRFF Johann Friedrich, 686 HEINDORFF Johann Martin, 684-6 Heineccıus (Heinecke) Johann Michael, 378, 380-1, 384, 398-9, 433
HEINICHEn Johann David, 310, 456, 518, 636, 659
Hemincer
Johann
Christoph,
359,
26098272
HEININGER Juliana Maria Philippina, 366
HEINRICH, COMPA
margravio
206
HznrEL, fam., 163
HerteL Jakob Christian, 376
HERTHUM Christoph, 242-3, 249, 252, 680, 684, 685, 686
HerTHUM Maria Elisabetha, 686 Hertzoc Johann Georg, 538 Hesse Ernst Christian, 633, 636 Hesse Johann, 128
Haypn Franz Joseph, 65 HECHT,
(vescovo), 116 I, langravio di Turingia,
di Brandebur-
HemmricH Johann Georg, 21 HziNRICH XI Russ, conte di Schleiz, 541
Hesse Julius, 684
HesseLBARTH Rudolf Christian, 211 HETZEHEN Johann Gottfried, 268, 688 HeuceL Johann, 134 HEYDENREICH Johann, 686 HeyDorn P.[eter ?], 33 Hreyse Juliana Magdalena (Sophia) von, 522
HILDEBRANDT Anna Christina, 535 HircENFELDT Carl Ludwig, 74, 80 Hr Richard S., 92 Hırıer Johann Adam, 58-9 HirrEN Johann, 206 HiMMEL Michael, 181 Hòrzer Johann August, 547, 551 HOorrMANN, fam., 163, 238-9 HOorrMANN Anna Sophie, 687 HorrMAnn Barbara, 238-9, 680, 687 HOFFMANN Christoph, 238 HorrMANN David, 238-9
HziNTZE Samuel, 240, 360, 364, 367
HorrMANN
Herrmann Johann Joachim, 538-40 HeLFENBEIN Wiegand, 684 HzrLER Karl, 96-7
HorrMANN Johann Christian, 630 HorrMANN Johann Christoph, 239,
HerLinck Lupus, 133, 678
HorrMmAnn
HELLMESBERGER Joseph, 609
HzrrwicG Carl Friedrich, 67 HeLmBoLp HzrMs
Ludwig, 128, 139, 259
Marianne,
93-5
HznBsT Johann Andreas, 164 Herpa
Elias, 222, 226, 230, 683
Eva,
188, 239, 680, 687
364, 680
Johann
Georg (I), 359,
372
HorrMANN Johann Georg (II), 53 HoreMann Melchior, 376, 381 HOFFMANN-ERBRECHT Lothar, 360 HOFFMEISTER & KùHNEL (et Comp.), 17, 65-6, 649
HERDER Johann Gottfried, 352, 693
HOFHAIMER Paul, 129, 132-3
Hering
HoHMANN Peter, 552 HOoHNER-VERLAG, 98
S., 29, 593
Herman Nikolaus, 127, 424
Indice dei nomi HorsrEN Horwem
Franz von, 75 E., 141
JOHANN
Honwrrrus
Gottfried August, 22, 28,
JOHANN FRIEDRICH II IL MEDIATORE, duca di Sassonia (1529-1595), 176 JOHANN GEORG, duca di SassoniaWeissenfels, 238, 397
FRIEDRICH I, IL MAGNANIMO,
elettore di Sassonia (1503-1554), 176
307, 491, 493
HoPppEnHAUPT Johann Michael, 517 Horn Johann Caspar, 151, 599 HOTTETERRE Jacques, 639 HuDpEMANN Ludwig Friedrich, 53-5 Hupson Frederick, 94 HUÙLSEMANN Martin Georg, 231 HumsoLpr Wilhelm von, 676 Hunorp Christian Friedrich, 558,
JOHANN GEORG, principe di zz Köthen, 515 JOHANN GEORG I, duca di Sansa Marksuhl, 177, 195, 197-9, 204, 206
JOHANN GEORG II, duca di SassoniaMarksuhl, 177, 195, 204 JOHANN PHILIPP, arcivescovo di Ma-
560-4, 699
HusMANN Heinrich, 630 HuTTER Leonhard, 232
gonza,
192
JoHANN WILHELM, duca di Sassonia-
Coburgo (1530-1573), 176-7
IBAcH Josias, 529 INGENHEIM von, contessa, 631 Isaac Heinrich, 66, 132-3, 678 ISOCRATE, 212
JoHANN WILHELM, duca di SassoniaMarksuhl, 177, 369 JOHANNE CHARLOTTE, principessa di
JACHINI Giuseppe Maria, 627
Jones Richard Douglas, 96 JosQuiN v. Despr&s Josquin JuncHans Wilhelm, 80
Sassonia- Weimar, 367, 450 JOHANNES DE Munis, 123
JAGER Christoph, 684-5 JagN Otto, 74-5, 82
JANEQUIN Clément, 137-8 Janovka Tomás Baltazar, 693 JAUERNIG Reinhold, 361, 415, 451, 693
KAHLERT August, 74 KarLm-FnANK Lilian, 35, 334 Karces Wilhelm, 145
JEppesen Knud, 92 JoAcHIM Joseph, 83, 90, 609 Jos Johann, 551 JócHER Zacharias, 551 JoHANN, duca di Sassonia-Weimar,
KARL
DI BRANDEBURGO-SCHWEDT, 698 Kasr Paul, 98, 441, 697
KAUFFMANN
KEIMANN Christian, 428 Keıser Reinhard, 44, 179, 234, 398,
JoHANN Aucusr, principe di AnhaltZerbst, 542 JOHANN ERNST, principe di Sassonia,
440, 562, 636 KeLLER Hermann, 71, 300, 327, 496, 499, 509 KELLNER, fam., 163
22, 164
JoHANN Ernst I, duca di SassoniaFisenach, 206-7, 358 JoHANN Ernst I, duca di SassoniaWeimar,
JoHANN
Georg Friedrich, 547-9,
55d
681
KELLNER Johann Peter, 22, 28, 30, 32, 319-20, 457, 491, 497, 503, 507, 608, 627, 638, 670, 703
353
Ernst II, duca di Sassonia-
Kerıı Johann Kaspar Me
Weimar, 238, 240, 353-4, 361, 367, 448, 692, 696
KEUCHENTHAL Joseph, 134 Kzur Barbara Margaretha, 218, 246,
JoHANN Ernst (III), principe di Sassonia-Weimar, 450-2, 453-6
367-8,
415,
195,
223-4
449,
681
771
Indice dei nomi Keur Caspar, 681
KeyMANN Christian, 301 KiEsEWETTER Johann Christoph, 220, 2259870 Kırıan Dietrich, 93, 96, 414
Kırst Nicolaus, 358 Kıster Johann, 256 KisrNER (& Siegel), 68, 609 KrrteL, fam., 163 Kırter Johann Christian, 22, 28, 30, KLEINKNECHT, fam., 163 KLEMM Johann, 145
(Comenius) v.
COMENIUS
KoRrTKAMP Jacob, 227 Kosr Johann Gotthilf, 378 Korowskv,
533, 698
Korrowskv
Georg Wilhelm, 698
Johann, 519, 521, 524
KnAHr Johann Christoph, 520, 524 KnaürrR
Philipp
David,
22, 442,
449-50 Kress, fam., 163
Kress Johann Andreas, 535 KnzBs Johann Carl, 22 Kress Johann Ludwig, 23, 28, 32, 287, 306-8, 491, 496, 691 235:28;550952310;.49
12050024508
Kress Johann Tobias II (1716-1782),
KıemM Johann Friedrich, 238 KrencEL Julius, sen., 75
23
Kıessen Johann, 371 Kıinckerruss Martha, 611 Hans, 96, 294, 690
Kruc Joseph, 126, 128, 130, 134 Knaur Christian, 378 Knaur Heinrich Matthias, 517 KNELLER Andreas, 233, 539 KNiLLER Anton, 227
KNorr Christoph, 127 Sebastian, 599
KosnzLIUs Johann Augustin, 238
KreceL Johann Ernst (I), 551 KreceL Johann Ernst (II), 551 KreIsinc Johann Georg, 23 KRETSCHMAR Johann Andreas, 367 KRETZSCHMAR
Hermann,
79, 83
KREUCHAUFF Johann Friedrich, 551 KREUTZIGER (Cruciger) Elisabeth, 127 Krey Johannes, 578, 580 Krevser Johann Christian, 517, 520 Krieger Adam, 229 KRIEGER Johann Philipp, 44, 179, 279, 376, 695
Krıesstein Melchior, 134 98
Knorr
KocH Johann Georg, 207-8 Koch Johann Sebastian, 22, 264 KocH Johann Wilhelm, 22 KocH
Chri-
Kress Johann Tobias I (1690-1762),
SBh, Adel Silk, 69/1
Kocu, 376 KocH Hermann,
Friedrich
Knarr Günther, 98, 184, 186
63-4
32542, 56-75%61, 287,1 31740483, 539571: 865725702
Knuprer
August
stoph, 56-8, 64, 67,71
KräÄuser
KrrnsercER Johann Philipp, 22, 28,
Krorz
KOLLMANN
KomMENSKY Jan Amos
KINDERMANN Johann Erasmus, 145 Kinc Alexander Hyatt, 92 Kınsky, principi, 62 KircHER Athanasius, 166, 453 i KircHHOFF Gottfried, 318, 376, 381, 384, 398-9 KIRKENDALE Warren,
Koórscnuau J., 29-30 KonrHasE Thomas, 97
Louis, 35
Könter Karl-Heinz, 620 Körping Johann Christian,
Franz, 77
Krone Gottfried Heinrich, 207 Krücer Eduard, 74 KruMMACHER Friedhelm, 149 KucH Johann Baptist, 542
22, 28,
KÜCHENTHAL H., 33, KüurrAU Samuel, 533, 571, 698 KünNEL August, 633
KÖRNER, fam., 163 KónNrn Gotthilf Wilhelm, 68, 70, 636
KünMsrEDT Friedrich, 70 KÜHNHAUSEN Johann Georg, 235
425
Indice dei nomi
KósrNER Gottfried Wilhelm, 551 Küstner Johann Philipp, 552 KUGELMANN Hans, 134 KunNavu Johann, 23, 33, 49, 179, 322, 324, 376, 381, 384, 407, 528, 545, 548-9, 599 Kunnau Johann Andreas, 23, 28, 565 KunrH Ernst, 91, 625
Kusser Johann Sigismund, 234, 236, 695
LEHMANN Gottfried Conrad, 551 LeHMs Georg Christian (pseud. Pali-
dor), 393-4, 398, 405, 418, 421
Le JeunE Claude, 137-8 Ls MarsrnE Matthäus, 134 LEMBKE
Georg, 546
Leo Leonardo, 352 Leon Johann, 127 LEONHARD
Hans, 206
Lzororp, principe di Anhalt-Köthen, 386, 389, 516-9, 521-2, 532-3, 537,
LAMMERHIRT, LÄMMERHIRT LÄMMERHIRT ‘LAMMERHIRT LÄMMERHIRT LÄMMERHIRT
fam., 163 Andreas, 542 Anna Christina, 542-4 Caspar, 207 Eva Barbara, 197 Hedwig, 192, 197, 366,
680
LÄMMERHIRT
Maria
Elisabetha,
197,
200, 203, 208, 217, 366-7, 542, 687
LÄMMERHIRT Martha
Catharina, 364,
Martha Dorothea,
197,
366-7
LÄMMERHIRT
Tobias, 262, 343, 364,
542-4, 687
1
LÄMMERHIRT Valentin (I), 197, 367 LÄMMERHIRT Valentin (II), 197, 367
LA Face P.[ierre] de, 678 LAGE Conrad von der, 355 LAGE Georg Wilhelm von
I, imperatore, 253
Le Roux Gaspard, 644 LE Roy & Barranp, 137-8 LICHNOWSKY, principi, 62
Lichnowsky Carl, conte, 29 LipARTI Cristoforo Giuseppe, 701 LieBE Andreas, 534 LieBe Johann Siegmund, 535-6 LIEBEROTH
Lorenz, 531
LieBicH Gottfried Siegmund, 542 LIECHTENSTEIN, principi, 62° LiMPRECHT D., 693 LINDEMANN Cyriacus,
127
LINDEMANN Johann, 127 Linpner Johann Christian, 23, 28 LINIGKE, 526
der,
Linicxe Christian Bernhard, 519-20, 524, 526, 532, 626-7, 632
371
. Laırırz Johann Georg, 371, 473 LawpcRar Conrad, 372 Lang Paul Henry, 92 Lance Gottfried, 547-8, 550 LAPICIDA Erasmus, 678
La RuE Pierre de, 678 Lasso Orlando di, 134, 227, 229 LAuRENS Joseph Bonaventure, 691
LaurscH Johann Andreas, 523 LAVENUE,
699 LeoPoLDO
LreBE Margarethe Elisabeth, 534-5
542, 687
LÄMMERHIRT
543-4, 549, 552, 558, 560-3, 632,
64
Le BÈGUE M MAUS 33 Le Cine Michel-Charles, 456 LECHNER Leonhard, 139 LzcnENZI
Giovanni,
LEHMANN
Casparus, 682
497
Lipprus Johannes, 164 Lipse J., 451
Liszt Franz, 74, 90, 352, 459 LOBKOWITZ, principi, 62 LocaTELLI Pietro Antonio, 533 Locke John, 163, 653 LOFFLER Hans, 28
Loewe Johann Jacob, 228, 232 Lorwe Karl, 73 LoHENSTEIN Daniel Caspar von, 50-1 LoHET
Simon,
145
LoncoLius Dorothea Maria, 535 Loncotrius Hans Heinrich, 684-5 LorBer Johann Christoph, 358 Lossius
Lucas,
111
Indice dei nomi
MARIA D'UNGHERIA, 128 MARIA TERESA D'AUSTRIA, 61
LouLie Etienne, 654
Luciani Sebastiano Arturo, 464 Lupewig Bernhard Dieterich, 23 Lupovico
II, 114
Lupwic, principe di Anhalt-Kóthen, 515,517
Lupwic il Saltatore, 174 Lupwic III, langravio di Turingia, 206
Lupwic IV, langravio di Turingia e d'Assia, 174, 206 Lupwic C. H., 80
ManiNI Biagio, 613 Manorp Veit Dietrich, 142 Manor Clément, 129, 135-6, 679
ManPunG
Friedrich
138,
Wilhelm,
29,
45-6, 55-6, 61, 266, 390, 687
MARSHALL Robert Lewis, 99 MARTIENSSEN Carl Adolf, 86 MAarTINI Johann Petrus, 359 Marx Adolph Bernhard, 67-8, 74
LupwiG GÜNTHER, conte di Schwarzburg-Arnstadt, 188, 191, 193, 248
Mascov
Lùseck 494
Marteıs Nicola, il Giovane, 610 MarrHEsIUS Johann Adolf, 378 MATTHESON Johann, 44, 49, 52, 234,
Vincent
(I), 145, 294, 297,
Lùsetk Vincent (II), 538 Lüpers Hans Heinrich, 538 LuEDTKE Hans, 87-8, 301 Lurrv Jean-Baptiste, 33, 236, 448-9, 598
LUTHER
Martin
(Lutero
Martino),
106-14, 12156, 7128-30, 13255, 144, 157, 165, 173-4, 204-5, 210, 258, 291, 295, 342, 362, 421, 514, 676, 678
Lurnuer Wilhelm Martin, 91 Lurras Johann, 539 Lyncker Wilhelm Ferdinand
von,
364, 366
MAXIMILIAN
Manu
Stephan, 133, 678
MarNARDI
LEOPOLD,
principe
MecKBacH
Conrad,
364, 366, 687 MEcKBACH Paul 364
260, 268, 274,
Friedemann,
Fr., 684
MzISSNER Georg Christian, 535-6 MELANCHTHON Philipp (Melantone), 111
Johann
Nikolaus,
23, 28
v. HUNOLD
MENDEL Arthur, 93, 95 MENDELSSOHN-BARTHOLDY Abraham,
Marin, 33, 627, 633
42-3
MENDELSSOHN-BARTHOLDY
464
Felix, 42,
68, 73-4, 597, 697, 700
MarceLLO Benedetto, 71, 352, 455-6,
MENSER Carl Friedrich, 551
464 MARCHAND
MERULA Tarquinio, 229 Mzvzn Ulrich, 288
Louis, 33, 389-90, 580
Friedrich,
274,
MENCKE Johann Burckhard, 531
Enrico, 701
Martin
di
MEIER Bernhard, 517 Meissner Christian Gottlob, 23,28, 697 MzISSNER Christoph Friedrich, 535
MarcetLo Alessandro, 454, 456,
Marcus
636,
Mzcx Joseph, 454, 456, 696
MENANTES
MANDYCZEWSKI Eusebius, 85-7 Manzıa (Mancia) Luigi, 454 Maraıs
Jacob,
Anhalt-Dessau, 544 Mayr Rupert Ignaz, 236, 695
MrmpeLL
690
Johann
252, 418, 452-3, 500, 540, 654, 659, 675, 696, 699
MEISSNER
MAGDEBURG Joachim, 127-8 Macen Johann Wilhelm, 242 MAHRENHOLZ Christhard, 83, 92,
(Masskow)
551
519-21,
Micuzr, 29
MretgE Michael, 532
524, 526, 532, 592, 617
774
Indice dei nomi
Mizier
Lorenz
Christoph,
23, 49,
52,.58; 223, 283;0390).675
Mosznc Carl Allan, 92 MÖLLER, fam., 163 MòLLER Gabriel, 357 MózrrzR Johann Gottfried, 33 MöscHEL Johann Sebastian, 378 MOHRHEIM Friedrich Christian,
NAGELI Hans 618, 658
24,
227-8, 230 di Sassonia (1521-
MorrA Tommaso, 615 Mouru Pierre, 129 MovToN Jean, 678
s
Mozart Leopold, 63 Marianna,
Wolfgang
NAUE Johann Friedrich, 276,278-9,281 NAUMANN Ernst, 78-9, 84-5, 664, 696 NAUMANN Gottlieb Daniel, 24 NEBEL Hans, 242
NeeFe Christian Gottlob, 64 NEICKE Johann Gottfried, 24 NEIDHARDT Johann Georg, 654 NEUMANN Werner, 89, 91-5, 98, 565 NEUMARK Georg, 259
NEUMEISTER Erdmann, 393-4, 397-8, 399, 405, 421, 538-9 NEWTON Isaac, 72
72 74
Moser Andreas, 609 Moser Hans-Joachim, 88, 338 MosewIus Johann Theodor, 73-4, 80
MozarT
64, 66-8, 596,
NaczL Sebastian, 207-8 NANINO Giovanni Maria, 227
MoreLLI Andreas, 248 MoRrHARDT Friedrich Christoph, 230,
Mozart
Georg,
NaczL Maximilian, 24
28 MonjJou Jean-Frangois, 570, 699 MonteverDI Claudio, 227, 229, 577
232 MORHARDT Peter, Moritz, elettore 1553), 176 MORTIMER Peter, MOoscHELES Ignaz,
NACkE Johann Georg, 30
NIKOLAUS
63
Amadeus,
60,
62-4, 74, 82
\
NICHELMANN Christoph, 24, 28, 56 Nicor Andreas, 359, 372 NicoLar1 Christian August (I), 535 Nicorar Christian August (II), 535 NicoLar Christoph Friedrich, 58 NicoLAi David, 24 Nicorar Philipp, 421 NriEDT Nicolaus, 151 VON
AMSDORF,
206
NoaH Georg Heinrich, 24, 28 NÖRMIGER
August, 144
MitLLER (I), 685 Mutter (II), 38, 657 Müırer Adolph Heinrich, 29 MüÜııer August Eberhardt, 29
NORELL-SwAHN Ingeborg Magdalena,
Mütter Catharina Elisabeth, 519, 536
NuTzeR Johann Gottfried, 24
Mütter Johann Jakob, 516-9, 523 MÜLLER Justus, 517 Mutter Karl, 247 MiLLeR-HarTUNG Carl, 90 Münzer Thomas, 258, 263 Müruzr Johann Gottfried, 24, 28, 611 Mürzer Johann, 207
202
NostITz Gottlob von, 522 NOTTEBOHM
Martin Gustav, 82
OBRECHT Jakob, 66 OBRIST Aloys, 90 OBRIST
Hermann,
90
Ochs Siegfried, 83 OCKEGHEM Johannes, 58, 66, 129 Ockeıı Andreas, 378
MumsacH Johann Leonhard, 473
ÓnrrzL Theodor, 552 OrzanIUs Johann Gottfried, 254, 686 Orzv Johann Christoph, 24, 28, 657 Orazio Quinto Flacco, 232
Murr Christoph Gottlieb von, 57 Muscurus Wolfgang, 144
OSIANDER
Lucas,
OsswALD
Andreas, 188
Murrar Georg, 236, 314, 448, 456, 505, 598, 612, 695 MuceLLINI Bruno, 703
138-9
Indice dei nomi PacH Johann, 235 PACHELBEL, fam., 163 PAcHELBEL Johann, 33, 49, 146, 179, 195-6, 201, 214, 218, 222-4, 284, 287, 295-9, 302, 305-6, 308-9, 312, 323, 342, 367, 406, 412, 484-5, 496, 501, 654, 660, 681-2
PaAcuzLBEL Wilhelm Hieronymus, 146 PAGLIARA
Rocco,
76
ParsiBLe James (Jacques), 586 PALESTRINA Giovanni Pierluigi
da,
106, 132, 137, 148, 352
PaLipor v. LEHMS Georg Christian Paraceıso,
167
PascH Johann, 599 PATTON George Smith, 679 Parzic Johann August, 30, 573 PAULLINUS Christianus Franciscus, 207 PAUMANN Conrad, 214, 648 PAUMGARTNER Bernhard, 92, 298, 306
PenzeL
Christian
Friedrich,
30, 38,
43, 59-60, 343, 572-3, 576, 584, 600, 604, 631, 658
578,
Giovanni
551 PreveL Ignaz, 66 PLUTARCO, 212 PòLcHAU Georg, 42-3, 67, 421, 657, 680
PòLcHAU Hermann Daniel, 42, 276 Pozurz Karl Heinrich Ludwig, 287 PocLietTI Alessandro, 195 Porramoro Carlo Francesco, 33 PraeTORIUS, fam., 163, 233 PRAETORIUS Friedrich Emanuel, 228230 PraETORIUS 233
Hieronymus,
148,
229,
PrArToRIUS
Jacob (il giovane), 145,
227
PRAFTORIUS Jacob (il vecchio), 233 PraETORIUs Johannes, 233 PraeTtoRIus
Michael,
139-41,
145,
163, 179, 215-6, 227, 321, 632, 678 PREDIERT Luca Antonio, 464
PepuscH Gottfried, 586 PepuscH Johann Christoph, 586 PERANDA Marco Giuseppe, 441 PerGOLESI
PLANKENMÜLLER Jörg, 134 PrArEN Emil, 95 PrArH Wolfgang, 96 Prarz Abraham Christoph, 547, 549,
PrELLErR Johann Gottlieb, 25, 28, 32, 306, 321, 503, 507-8, 671
Prese Emanuel, 526 PRESTON, ditta, 67
Battista, 352
PzsrEL Gottfried Ernst, 33 PETERS, casa, 67-8, 70, 457, 459-60, 490, 571, 597, 637, 639 Prrrı Egon, 703
Perrı Maria Salome, 207 Pez Johann Christoph, 33, 441, 695 PezeL Johann Christoph, 213, 599
PRETZEL
J., 190
PnEuss Georg, 539
PniNNER Johann Jacob, 164 PrINTZz Wolfgang Caspar, 164 Prosst
H. A., 67, 627
PnoMNITZ
Erdmann von, 397
PrEmrFER August, 703
Priipp WILHELM, margravio di Brandeburgo, 626
Quantz Johann Joachim, 44, 456 QuiNTILIANO Marco Fabio, 54
PIETRO IL GRANDE, 202 PINCHERLE Marc, 696
RABANO
Pırro André, 83, 343 PISCHNER
Hans, 83
PisenpeL
Johann
Georg,
44, 456,
Carl
Philipp
Heinrich,
236
Rarson André, 500 —
458, 609-10, 613, 617, 629
Prsron
Mauro,
RapecKkER Rudolph, 686 RapzN Gottlob Ludwig, 25 Ragazzi Angelo, 610
38,
RAMBACH Johann Andreas, 255, 686
43
RAMEAU Jean-Philippe, 422, 569, 654 RAMPIN Giacomo, 464
776 -
Indice dei nomi RaseLIus Andreas, 138 RATH Gisela Agnes von v. GISELA AGNES VON RATH, principessa di Anhalt-Köthen RATPERTO,
116
Raucer Felix, 92 RecHENBERG Carl Otto, 529-31 RE&EGER Max, 502
REICHARDT Johann Friedrich, 56 RercHE Johann Gottfried, 213 REICHHELM Friedrich Arnold, 378 Reımann Johann Balthasar, 25 Remeccıus (Reineck) Georg Theodor, 359-60, 364, 392
REINECKE
33, 145, 224, 233, 254, 320, 415, 493, 539-41, 671-2, 700
Reiss Adolf Ernst von, 260, 269 Rerrz Robert, 86 ReLLsTtAB Johann Carl Friedrich, 57 RzPNIN Anikita Ivanovit, 683 Resımarıus Balthasar, 133 F. W., 700
Reusner Adam,
127
ReuTER Fritz, 90 REvrHER Andreas, 220
RHau (Rhaw) Georg, 124, 133-4 RicHAFORT Jean, 678 RicHTER Bernhard Friedrich, 28, 84, 306
RicHuTer Christian L, 362 RicHTEr Johann [Christian o Christoph?], 643-4, 702 RuEDr, ditta, 67 RIEMANN
Riemer
Hugo, 279, 600, 659
Johann
Salomon,
49, 545,
Percy, 416
Rocnurz Johann Friedrich, 60, 72 Rope Christian, 682 RÖNTGEN Julius, 87 Rocer Estienne, 456, 458, 460, 462, 507, 666 Roter Jeanne, 456, 462-4
RorrzscH Ferdinand August, 68, 70-1, 306, 597
Rorrs
Christian
Ernst,
453,
518,
520-2
Rotte Christian Friedrich, 381, 384, Romanus Carl Friedrich, 552 Ross Johann Ludwig, 519-20, 524, 52059532
ROosENMÜLLER Johann, 148, 599 ROTHSCHIER Tobias, 268 Rousseau Jean-Jacques, 163 RUBEANUS Crotus, 123 Rupote II, imperatore,
182
Ruporee Adolf, 35 RÜHLMANN Wilhelm, 694 RUNGENHAGEN Karl Friedrich, 74 RurscH (Rupff) Konrad, 110 Rust Friedrich Wilhelm, 30, 37 Rust Johann Ludwig Anton, 25, 28 Rust Wilhelm, 76-8, 415, 608 Ryom Peter, 455, 464 Sachs, Kantor, 347 SAcHs Curt, 87 SaAcHs Hans, 128 SALA Giuseppe, 464, 507 SAMMARTINI Giuseppe, 464
SANZIO Raffaello, 72 SARAN
A., 85
SARTORIUS Christian, 151
548
RIEMSCHNEIDER Johann Gottfried, 526 Rierz Julius, 74-6, 701 Rinck Johann Christian Heinrich, 691
Rınck Johannes, 30, 491 RuüNGwALDT Bartholomäus, Rusr Johann, 142, 415 RurrgR Christian, 33
Rosınson
528, 546-7
Carl, 75
REINHABEN Georg Wilhelm von, 371 REINKEN (Reincken) Johann Adam,
ResseL
RıTTer Johann Christoph, 25
334
Sasse Christoph, 30 SAUERBREY,
fam., 163, 685
ScANDELLO
Antonio,
134
ScHADAEUS Abraham, 140, 148, 229 SCHANERT Johann Andreas, 365 ScHAUBER Georg, 681 ScHAUER J. K., 80 ScHeDE C. H., 74
Indice dei nomi
SCHEIBE Johann, 528-9 ScHEIBE Johann Adolph, 25, 49-52, 390, 528, 675
ScHEipdE William H., 331 SCHEIDEMANN David, 233 ScHEIDEMANN Heinrich, 145,
SCHMIDT Susanne, 194 SCHMIED Hermann, 686
SCHMIEDECKE Adolf, 435 SCHMIEDER Wolfgang, 36, 91-2, 294, 227,
233
ScHEIDT Gottfried, 145 SCHEIDT Samuel, 49, 142, 144-5, 148, 179, 227, 229, 283-4, 291-2, 296, 298, 306, 483 ScHEIN Hermann, 49, 141-2, 148, 157972229
ScHELBLE Johann Nepomuk,
ScuMipT Johann Philipp Samuel, 68
71, 73,
313, 317, 319,324, 690-1, 695
500; 502.672;
SCHMIERER Johann Abraham, 236, 695 ScuMirZz Arnold, 92 SCHMITZ
Hans-Peter,
97, 638
ScuNEEGASS Cyriacus, 164 SCHNEIDER Friedrich, 67 SCHNEIDER Johann, 26, 600 SCHNEIDER Max, 85-6, 88-9,
91-2,
95, 276, 279, 460, 689-90
319
ScHELLE Johann, 548, 599 SCHEMELLI Christian Friedrich, 25 SCHEMELLI Georg Christian, 45, 142 ScHENCK Johannes, 627, 633 SCHERING Arnold, 88-9, 91, 612 ScHicHt Johann Gottfried, 30, 66-7 SCHIEFFERDECKER Johann Christian, 686
SCHNELLINGER Valentin, 134 SCHNIEBES Gottlieb Friedrich, 39 SCHNITGER Arp, 698 ScHoesser Theophilus, 181 SCHNORR Heinrich, 387 Scuorz Leonhard, 30 ScHoP Johann, 142 ScHOTT Georg Balthasar, 546-50
Scairprt Melchior, 145, 227 ScHILLER Friedrich, 173, 352, 354
SCHRECK
ScHILLING Gustav, 453 SCHIMERT Peter, 25 ScHITTLER Ludwig, 460 ScHLeGEL Johann Adolf, 676 SCHLESINGER, casa, 67 SCHMALFUSS Hermann, 343
SCHRÖDER
SCHMALZRIEDT
SCHUBART Christoph, 536
Siegfried,
317, 320,
Otto, 87-8
SCHRÖDER Rolph, 612 ScHRON Valentin, 196 SCHRÖTER Johann Georg, 385-6 SCHUBART Christian Friedrich Daniel, 72
SCHUBART
503
ScHMID Andreas Gottlieb, 255, 686 ScuMip Balthasar, 45, 52 SCHMID Johann, 555 SCHMIDT, fam., 163 SCHMIDT, 685 ScHMIDT Andreas,
Gustav, 84, 639
SCHREIBER Johann Ludwig, 520, 526
Johann
Martin,
26, 264,
361, 370
ScHucHArD Theodor, 181, 194 ScHÜBLER Johann Georg, 26, 45 Scuürz Heinrich, 49, 88, 139, 148, 164, 173, 179, 229
181, 194, 198
SCHMIDT Anna Margaretha, 194 ScHmipr Christoffel, 194, 198, 680 SCHMIDT Henry, 597 SCHMIDT Johann, 25
SCHMIDT Johann Christian Jacob, 25 SCHMIDT Johann Christoph (I), 26 ScHMIDT Johann Christoph (II), 441 SCHMIDT Johann Michael, 26
SCHURKE Hans-Joachim, 271 ScHuLTEs Martin Volckmar, 243 ScHuLTzE Johann Kaspar, 518, 523, 527
ScHULTZE Sophia Dorothea, 527 ScHutz Johann Abraham Peter, 702 ScHuLz
ScHurze
Otto August,
Hans-Joachim,
442, 449, 453
701
89, 91, 98,
Indice dei nomi
SCHULZE Johann Friedrich, 271, 694 SCHUMANN
SCHUMANN
Georg, 88, 279
Robert,
74,
173,
502,
700-1
ScHUMANN Valentin, 130 SCHUSTER Johann Christian, 56 SCHUSTER Johann Gottlob, 38, 43 SCHWARZENBERG,
principi, 62
SCHWANENBERG Georg Heinrich Ludwig, 26 SCHWEDLER Maximilian, 639 SCHWEINITZ Johann Friedrich, 26 SCHWEITZER Albert, 83, 612 SCHWENCKE Christian Friedrich Gottlieb, 30, 42-3, 64, 657
SCHWERTEL Johann, 134 ScoTT, 235 SEIDLHOFER Bruno
G., 88
SEIFFERT Johanna Margaretha, 357 SEIFFERT Max, 71, 85, 88, 279, 282, 306 SELDEN-GOTH Gisella, 37 SELLE Thomas de la, 235
SEMLER Christoph, 378 SenFF Bartholf Wilhelm, 82 SEnFL Ludwig,
123, 133, 678
SerMIsy Claudin de, 128, 678 SHAKESPEARE Wilhelm, 38 Sicur Christoph Ernst, 531, 548 SIEBER Johann Georg, 551 SIEFERT Paul, 145 SIEGELE Ulrich, 634 . SILBERMANN Gottfried, 529 Sımons Walter, 83 Sımrock Nikolaus, 64, 66-8, 609,
560-1
SMEND Julius, 83 Smijers Albert, 92 SoriA Luisa DI MECKLENBURG, SoJKA Matthias, 28
697
SONNENKALB Friedrich Wilhelm, 26 SoncE Georg Andreas, 52, 320 SPENER Philipp Jakob, 167, 271 Lazarus,
610, 617 SpinozA Baruch,
166
Spıro Friedrich, 76 SpitTA Philipp, 80, 82, 343,
347,
376, 398, 415, 435, 442, 468, 561, 569, 598, 616, 634, 672, 684, 689-91 SPoHR Louis, 73-4
STADE Heinrich Bernhard, 684 STADEN Gottlieb, 145 STADEN Johann, 145 STADLMAYR Johann, 229 ' STAPPEN Crispin van, 678 STARZER Josef, 63 STAUBER Johann Lorenz, 263, 346, 363, 687 STEFFANI Agostino, 438 STEGER Adrian, 547, 551 STEGLICH Rudolf, 93 STEIGLEDER Johann Ulrich, 145 Stein Charlotte von, 207 STEINAU Johann, 358 STEINBACH Georg Adam, 687
STEINDORFF Johann Martin, 546 STEINERT Johann Michael, 531 STEPHAN Johann Christoph, 260 STEPHAN Johann Georg, 687
STEPHANI Johann, 33, 144 STERTZING Georg Christoph, 681 StiecLITZ Christian Ludwig, 551 STIPHELIUS
Laurentius,
STOCKMAR
Johann
144
Melchior,
26,
418
StöLzer Gottfried Heinrich, 44, 456,
658, 699
SINZENDORF, principi, 62 SMEND Friedrich, 88, 91-2, 95, 558,
SPENGLER
SPERATUS Paul, 107, 127, 432 Spiess Joseph, 519-20, 524, 526, 592
126, 408
644, 702
Srónr Johann Georg Christian, 213 Stokowskı Leopold, 493 STOLBERG Luise Christine von, 438 STOLTZER Thomas, 133-4, 179 SrRADAL
August, 459-60
STRATTNER
Georg
360, 387
STRAUBE Karl, 83 STRAUBE Rudolf, 26 STRECKER Adolf, 687
Christoph,
358,
,
Indice dei nomi
STRICKER
Augustin
Reinhard,
519,
521-3, 697 STROZZI Gregorio, 324
Strunck Delphin, 227, 235
464
SrRUNGK (Strunck) Nicolaus Adam,
Torı£E
Johann
Christoph,
519-20,
524, 526, 532 TORREFRANCA Fausto, 93
224
STÜLER Sturm SurLTZA SuPPIG
Tıncrorıs Johannes, 123, 693 TriscHer Johann Nikolaus, 26, 600 ToreLLi Giuseppe, 448, 454-6, 458,
Gottfried, 260 Hans Dietrich, 684-5
Traec Johann, 57, 65, 627 TRANSCHEL Christoph, 27
Matthias, 358
TRAUTTMANSDORFF,
Friedrich, 654
SWEELINCK Jan Pieterszoon, 227, 297-8, 308
144-5,
TRAUTWEIN,
TnzBs
SWIETEN Gerard van, 61 SWIETEN Gottfried Bernhard
principi, 62
casa, 67-8
(Tröbs)
Heinrich
Nicolaus,
365-6, 369-70, 490, 693
van,
61-5, 675
TAGLIAVINI Luigi Ferdinando, 427 TacuettI Giulio, 454, 456, TAMME Carl, 80
TreBs Johann Gottfried, 365 TREIBER, fam., 163 TREIBER Johann Friedrich, 248, 691 TREIBER Johann Philipp, 248 TREITLER Leo, 94
TARTINI Giuseppe, 612 TAUBERT Gottfried, 599
Trier Carl Friedrich, 552 Trier Johann, 27 TRIER Johann Wolfgang, 531
TAUBMANN
TROELTSCH
Otto, 85
Tausic Karl, 493, 659 TEISSNER Zacharias, 517 TELEMANN Georg Philipp,
33, 44,
49, 52-3, 162, 179, 196, 317, 365-6, 368-9, 387, 398, 448, 451-2, 454-7, 464-5, 536, 546, 549-51, 580, 590, 610, 636, 639, 675, 701
TeLMANYI Emil, 612 TEOGNIDE,
212
Tessmer Manfred, 96
THELE 599
TuraAuT
UccELLINI
Marco,
229
von, 230
362, 630
THaver
TUNDER Franz, 145, 179, 227, 252, 291-6, 302, 333
UFFENBACH Johann Friedrich Armand
Terenzio Publio Afro, 212, 232 Terry Charles Sanford, 91, 334,
TEYBER
Ernst, 106-7
TROPPANEGER Johann Friedrich, 551 TUCHER Gottlieb von, 74 Turen Andreas Christoph, 547
UrrIcH Bernhard Georg, 372 UNGER Anton, UNTERHOLTZER
520, 524 Rupert, 678
UTHE Justus Christian, 256, 686
Anton, 63
Alexander Wheelock, Johann,
Anton
148,
74
164, 179, 213,
Friedrich
Justus,
72
TurgrE Gottfried Ephraim, 359, 372 THIELE Rosina, 527 THOMAS Werner, 635 THUREAU Hermann, 90
Treck Ludwig, 676 Tırestus Johann Adolf, 343
VALENTINI Giuseppe, 464 VAN DER LINDEN Albert, 464 VARNAI Peter P., 610 VENTURINI Francesco, 533 VENZKY Georg, 390 VERACINI Francesco Maria, 465
VerpeLOT Philipp, 678 VETTER Andreas Nicolaus, 308 VETTER Carl Friedrich, 521 VETTER Daniel, 530 VETTER Walther, 93
Indice dei nomi VIADANA Lodovico, 140 ViARDOT-GARCIA Pauline, 35 Vione Philippe de la, 234-5 VINCENTIUS Caspar, 229 Vireiio Publio Marone, 212, 232 VinNEISEL. Wilhelm, 93 VITALI Giovanni Battista, 648 VivaLpi Antonio, 416-7, 422, 448, 454-6, 457-60, 462-4, 580, 593, 610, 696
WALTER Johann, jun., 127 WALTHER, fam., 163 WALTHER Johann Gottfried
446, 533,
VOCKERODT Johann, 686 VOCKERODT Sebastian, 269 Vocer Johann Jacob, 545 VOGLER Georg Joseph, 56 VoGLER Johann Caspar, 27, 361 VorcT Johann Georg I, 28 VorcT Johann Georg II, 27, 28 VOLBACH
WALTHER Johann Gottfried (II), 365, 367
WALTHER Johann Jakob, 610, 613, 615 WALTHER Johann Stephan, 367 WeBER Adam Ludwig, 521, 524 WEBER Bernhard Christian, 88, 656 WEBER (MOZART) Costanza, 63 WEBSTER
Fritz, 85
VOLKMANN VorPRECHT
Robert, 658 Christoph, 358
VOLUMIER 610
Jean-Baptiste,
390,
Gottfried,
WECKER Christoph Gottlob, 27 WECKMANN Matthias, 145, 227, 233,
580,
539
WEDEMANN, fam., 163 WEDEMANN Catharina, 239, 243, 256,
VopeLius Gottfried, 142, 301 Voss Christian Friedrich, 56 Voss-BucH Karl Otto Friedrich von
263, 680, 687
I, 38, 43
WEDEMANN
Margarethe, 243, 256
WEDEMANN
Regina, 343, 687
WEDEMANN Susanne Barbare, 687 WEICHARDT Johann Philipp, 372 WeıgeL Christoph, 45
Voss-BucH Karl Otto Friedrich von
II, 38, 43
m
Johann Anton
30
364
Christiane, 362 Melchior, 139,
James, 93
WECHMAR
VonHor Johanna Dorothea, 202, 218,
VuLPIUS Vutpius
(I), 30,
34, 49, 146, 164, 166, 197, 240, 283, 298, 302, 306-7, 359,. 362, 365, 366-8, 369-70, 414, 419, 428, 441-2, 448, 450, 453, 456, 466, 468-9, 484-5, 490-1, 500, 507, 533, 654, 657,:662,.1672.. 681, 602231 696, 700
179,..229,
WEINMANN
Johannes, 133
Weise Johann Anton, 385-6 WrIsHauPT Johann Conrad,
60»
WacH Carl Gottfried Wilhelm, 30 WACKENRODER Wilhelm Heinrich,
363,
370, 682 Weıss Wisso,
98 Wersse Michael, 128
676
WEISSNITZER Wolfgang, 235 WrpiG Adam Immanuel, 359, 363-6,
WÄCHTER Christian, 682 WAGENER Guido Richard, 658 WAGNER Georg Gottfried, 27 WAGNER Gottfried, 547, 551 WAGNER Johann Valentin, 221 WAGNER Richard, 173-4, 459 WALDERSEE Paul Graf, 78-9
536
Weroıg Johann Friedrich Immanuel, 365
WENDER Johann Friedrich, 242, 270-1, 376, 683, 688
WENTZI(N)G, 684-5 W'ERCKMEISTER Andreas, 654 Werker Wilhelm, 91
Wattiser Christoph Thomas, 164 WALTER Johann, 110, 123, 125, 128-34, 678
781
Indice dei nomi WERNER WERNER
Worrr Christian Michael, 30 Worrr Christoph, 89, 96-7, 99, 441
Anton, 30 Arno, 435
WERTHEMANN Helene, 415 WesLev Samuel, 71 WESTHOFF Johann Paul von,
WOLFFHEIM
240,
359-60, 610, 613, 700
WEsTpHAL Johann Christoph, 57 WEsTPHAL Johann Jakob, 30 Westrup Jack Allan, 93 WETTE Gottfried Albin, 370 WETTIN,
casa, 176, 258
WeyraucH Johann Christian, 27 WHEATSTONE Charles, 636 WnuisrLING Karl Friedrich, 68 WIEDEBURG Matthias Christoph, 538 WIEDNER Johann Carl, 600 WiEGAND Johann Andreas, 203 WIELAND Christoph Martin, 352 WiLCKE Anna Katharina, 535-6 Wircks (Wilcken, Wölcken, Wülcken, etc.) Anna Magdalena, 16, 33, 36, 40, 534-7, 544, 565, 608, 624, 627,
629, 649-50, 657, 699, 701
WirckE Erdmuthe Dorothea, 535 WiLckr Johann Caspar (I), 534-6
Wircks Johann Caspar (II), 535 Wiırcke Johanna Christina, 535 WILcKE Stephan, 534 Wirp Friedrich Gottlieb, 27 WILHELM IL VALOROSO, duca di Sassonia- Weimar, 692
WILHELM IV, duca di Sassonia-Wei-
386-8,
393-4,
435,
WILHELM HEINRICH, duca di SassoniaMarksuhl, 177 WiLHELMJ
August, 604
WINCKLER Gottfried, 551 WINTERFELD Carl Georg von, 68, 72-4 Wipo,
120
Wirr
Christian
681 WITZENDORFF
Friedrich,
33, 319,
Franciscus, 227
33, 327
WÜLCKEN v. WILCKE WÜLLNER Franz, 78-9, 83-4
WünpiG Johann Gottlieb, 520, 524, 526 WunscH (Wünsche) Christian Gottlob, 27 WUSTMANN Rudolf, 86, 91, 334 ZacHow
Friedrich
Wilhelm,
33,
376, 57990635
ZANG Johann Heinrich, 27 ZANTHIER
Christoph Jost von,
518,
522
ZARLINO Gioseffo, 652 ZEIDLER Christian, 211 ZELENKA Jan Dismas, 456 ZELLNER L. A., 282 ZELTER Carl Friedrich, 30, 38, 42-3, 72-3, 425
ZerBsT Johann Christoph, 207 ZEUGNER Wolfgang, 181 Zıanı Pietro Andrea, 234 ZIEGLER Christiana Renata, 527 ZIEGLER Christiane Mariane von, 53 ZIEGLER Johann Gotthilf, 27, 442, 527 ZiNCK Heinrich, 538
ZOBERBIER Johann Christoph, 517
11255177: 35875362» 23745691
WILHELM Arthur, 35 WILHELM ERNST, duca di SassoniaWeimar, 240, 353, 354-7, 358, 360-1, 369-70, 450, 521, 696
Werner,
WorrRUM Philipp, 91 WOLTMANN Matthias, 227 WÜLCKEN, fam., 163
ZUGWURST
Georg, 689
ZWEIDLER Anna Margareta, 535 Zweig Stefan, 35
Prima ristampa aprile 1981 presso Industrie Grafiche Rocci - Torino Realizzazione editoriale: 2D s.n.c. - Torino Incisioni eseguite da R. R. Incisoria musicale - Milano
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