Filosofia della conoscenza
 8800853013, 9788800853019

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Llano/Filosofia della conoscenza

FONDAZIONE RUI / Filosofia e realtà Edizione italiana dei « Libros de iniciaci6n filosofica » della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Navarra, a cura del Centro Accademico Romano della Santa Croce . L'uomo sta perdendo il senso della realtà . Alle schematizza­ zioni operate da una razionalità tutta formale che , mentre costrin­ ge il reale entro i modelli del calcolo e dell'informatica, lo riduce a scheletro, fa riscontro il tumultuoso affastellarsi delle impres­ sioni visive moltiplicate dalla civiltà dell'immagine, che ne fa sva­ nire la struttura profonda . La filosofia , riflessione critica per natura , in questo momento storico si pone come recupero della realtà , che l 'uomo sente sot­ trarsi alla propria coscienza, attraverso un pensiero rigoroso e li­ bero dagli idola del tempo . La determin azione della verità dell'essere ,e del valore della persona umana appare come traguardo insostituibile di tale recu­ pero, da attingere in un rinnovamento della grande tradizione me­ tafisica occidentale . Ma la vera filosofia non può scadere a sem­ plice memoria di se stess a : sicché quel rinnovamento deve com­ portare l'abbandono di impostazioni meramente storiografiche or­ mai sfatte e comprendere l'inesauribile densità del reale, al di là delle sbiadite immagini della miopia materialistica . La vera filo­ sofia ha sempre il vigore di un'essenziale contemporaneità . In quest'ottica si inserisce la collana , che intende presentare in modo chiaro e ordinato le conquiste più rilevanti di un pensiero capace di scorgere le risposte agli enigmi essenziali sull 'uomo nelle sue relazioni con il mondo e con l 'Assoluto . - volumi pubblicati :

Filosofia della conoscenza, Alejandro Llano Logica filosofica, Juan José Sanguineti Metafisica, Tomas Alvira, Luis Clavell e Tomas Melendo - volumi in preparazione:

Filosofia della natura, Mariano Artigas e Juan }osé Sanguineti Etica, Angel Rodriguez Lufio Filosofia di Dio, Angel L. Gonzales

Alejandro LLANO

FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA prefazione di Vittorio Mathieu

FillDSOJFIA E RJEAI:1CA\

LEMONNIER

Titolo originale : Pamplona 1 984

Gnoseologia, Ediciones Universidad de Navarra , S .A.,

ISBN 88-00-85301-3

PROPRI ETÀ LETTERARIA RI SERVATA

C .M. 853 .01 O

Gennaio 1 987

15096-2 - Stabilimenti Tipolitografici « E. Ariani » e « L'Arte della Stampa»

della S.p .A . Armando Paoletti - Firenze

PREFAZIONE

Nonostante la radice greca del termine, la gnoseologia - o fi­ losofia della conoscenza - è sempre stata una disciplina tipica­ mente anglosassone. Llano ricorda le sue « origini occamistiche » e, modernamente, la persuasione che il problema del conoscere sia il problema filosofico centrale deriva dalla straordinaria (e in parte immeritata) fortuna del Saggio sull'intelletto umano del Locke. Il trapianto in terra tedesca avvenne perché Kant, con tutt'altre intenzioni, riprese il programma di Locke; ma non si trascuri che la sua « filosofia trascendentale » mirava a ri­ portare « la metafisica sulla strada sicura della scienza », an­ che a costo di chiamare « metafisica » una sorta di fisica a priori, che aveva ben poco da spartire con la metafisica classica. Dopo di allora - e, in fondo, per un equivoco - la gnoseologia porta, sul Continente, il marchio dell'idealismo tedesco, da cui eredita il linguaggio; ma in Gran Bretagna conserva in forma autoc­ tona la sua preminenza, sia nella corrente idealistica (Bradley), sia nella più diffusa corrente empiristica, dove assume il nome di « epistemologia ». Ancor oggi è tipica degli anglosassoni la ten­ denza a far consistere la filosofia nel problema: « Come e che cosa posso conoscere » , che Hegel, pur idealista, paragonava alla pretesa di chi voglia saper nuotare prima di buttarsi in acqua. Il presente volumetto riporta la teoria della conoscenza nel solco tradizionale di una « metafisica della verità », in cui la gnoseologia perde la sua caratteristica di branca autonoma, anzi, condizionan­ te tutto il resto quale « propedeutica ». In compenso mette in ri­ lievo un tratto essenziale della stessa metafisica dell'essere: il rive­ larsi dell'essere essenzialmente come verità ( « Io sono la via, la verità, la vita »). L'impianto è aristotelico-tomistico, quindi la ve­ rità viene definita come « adeguazione dell'intelletto e della cosa » (non, si badi, solo dell'in telletto alla cosa); ma l'adeguazione, semv

PREFAZIONE

pre imperfetta, che ha luogo in noi, quando conosciamo verità particolari, presuppone una adeguatezza originaria, perfetta, nel­ l'« essere come tale » (ipsum esse) , a cui la verità non si aggiunge dall'esterno, come un'acquisizione accidentale. Anche gli « esseri per partecipazione », di conseguenza, sono tutti « veri » , così come sono « unitari » e « buoni », secondo la dottrina scolastica dei « trascendentali » (di cui Kant conservò il nome, ma cercò una fondazione gnoseologica anziché ontologica). Per questo « la sog­ gettività ch e si attualizza come appprensione dell'ente », è « un es­ sere che si apre a tutto l'essere ». Verte su ciò il capitolo conclusivo, che racchiude in breve l'es­ senziale: i precedenti sono rivolti piuttosto a render conto dello status quaestionis. L'esposizione, per quanto tecnica, è accessibile a tutti, a patto che si riporti il significato dei termini alla tra­ dizione da cui derivano (come avverrà certamente nell'insegnamen­ to, a cui questo volumetto, in ultima analisi, è destinato). Per una visione più completa della gnoseologia metafisica classica sarebbe stato augurabile guardare il rapporto originario tra essere e intel­ letto anche nella prospettiva plotiniana che, pur su uno sfondo tut­ to platonico, integra e in certo senso modernizza l'aristotelica, in­ fluendo non poco, anche se mediatamente, su Tommaso d'A quino. Per Platino, infatti, Intelletto e Essere sono eminentemente sino­ nimi. Ciò avrebbe richiesto, peraltro, una seconda fondazione sto­ rico-teoretica del problema, che avrebbe portato il libro fuori del suo àmbito proprio. Si può auspicare, semmai, che essa formi og­ getto di un volume successivo. VITTORIO MATHIEU

VI

PRESENTAZIONE

Questo libro è rivolto a chi intende iniziare lo studio della teoria metafisica della conoscenza. Si tratta di un ambito filosofico la cui difficoltà è nota tanto quanto la sua importanza. La capacità di conoscere è stupefacente e ha una rilevanza enorme : non per nulla fin dall 'antichità essa ha sollecitato le riflessioni dei filosofi . Il problema della portata e della validità della conoscenza umana ha però suscitato, soprattutto nell 'epoca moderna, animate e pro­ fonde discussioni . La finalità propedeutica del presente volume mi impedisce di addentrarmi , come ho cercato di fare altrove , nelle complesse argomentazioni della disciplina ; tuttavia non mi dispensa dal pre­ sentarne i temi di fondo con il rigore e la chiarezza che merita il lettore deciso ad avvicinarsi a questioni così apparentemente lonta­ ne dalle preoccupazioni quotidiane . Nello stendere queste pagine mi sono proposto innanzi tutto la chiarezza dell'esposizione; ma non ho mirato ad una fittizia sem­ plificazione dei problemi a scapito del rigore nella loro presenta­ zione . Ho sempre pensato che un buon modo per raggiungere simultaneamente questi obiettivi è quello di mettere il lettore , anche quando stia muovendo i primi passi nelle discipline filosofi­ che, dinanzi ai testi dei grandi pensatori . Non c'è migliore introdu­ zione : questi testi possiedono la semplice profondità del pensiero vivo e originario, senza il peso delle elucubrazioni spesso gratuite degli interpreti e dei commentatori . L'analisi diretta degli scritti di Aristotele e Tommaso d 'Aquino, di Kant ed Hegel, è forse ciò che caratterizza questo mio saggio rispetto ai manuali classici sulla materia, ai quali tuttavia ho fatto riferimento per quanto concerne l'ordine didattico dei vari proble­ mi . Non è stato possibile delineare il completo panorama dello st ato attuale di tali questioni , quantunque siano indicati riferimenti VI I

PRESENTAZ IONE

bibliografici che facilitano l 'approfondimento personale delle più recenti ricerche gnoseologiche . La distribuzione degli argomenti segue una struttura semplice . È imprescindibile partire da una presentazione del problema centrale di questa disciplina - il problema critico - e delle posizioni fon­ damentali su cui la gnoseologia si appoggia per cercare di risolver­ lo. Il secondo e il terzo capitolo , che trattano rispettivamente della verità e della certezza , costi tuiscono indubbiamente il nucleo di questo breve lavoro , in quanto vi si studi�ano i temi speciHci della teoria della conoscenza. Il successivo esame dello scetticismo e dell ' idealismo ha, invece , un carattere prevalentemente polemico , pur mirando a delineare il senso delle tesi sistematiche che vengo­ no proposte . I nfine , lo studio dell 'essere nella conoscenza è volto ad approfondire alcune dottrine antologiche e psicologiche cui la gnoseologia deve fare continuamente riferimento . Faccio presente che la linea teoretica di fondo alla quale mi attengo , è il realismo metafisica . La coerenza con questa posizione è in armonia con le tnigl iori espressioni della filosofia olassica e delle recenti dottrine che ristabiliscono il primato dell 'essere sul pensare , rappresentate soprattutto dalla fenomenologia realista e dalla più recente filosofia anali tica . Ma le ragioni decisive sulle quali si fonda il realismo non si trovano nei libri dei filosofi antichi e contemporanei, bensì si leggono nelle cose stesse , le quali costituiscono l 'oggetto della nostra conoscenza e il tema del linguaggio . La riabilitazione del­ l 'atteggiamento realista è, inoltre , condizione di possibilità perché la filosofia torni a svolgere la propria funzione orientatrice dell 'e­ sistenza umana e della prassi sociale . L 'AUTORE

VI I I

Capitolo Primo IL PROBLEMA CRITICO E LA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA

t. Il valore della critica

Nell'uso comune del linguaggio, la parola « critica » è attual­ mente contrassegnata da un indiscusso prestigio. Criticare, .infatti , appare sempre più un compito positivo e n ecessario. D 'altra parte , l 'assenza di critica sembra, nel migliore dei casi, sintomo di immaturità e conformismo ; e nel peggiore , manifestazione del più riprovevole modo di pensare : il dogmatismo. L'atteggiamento critico ad oltranza pretende di non accettare nulla come fermamente stabilito : l 'uomo adulto deve vagliare tutto con un esame implacabile, fondandosi esclusivamente sul proprio giudizio. Tale posizione sembra, a prima vista, indiscutibile ; ma in realtà le sue implicazioni ed i suoi punti di partenza sono molto complessi . Va subito sottolineato che tale atteggiamento spesso nasconde un'evidente incoerenza, che si manifesta ogni qual volta il preteso criticismo accetta con disinvoltura slogans ideologici, non sotto­ messi previamente a quella critica proposta come metodo universa­ le . A rigore, infatti , non è per nulla possibile criticare tutto . L'atteggiamento critico coerente e radicale non potrebbe mai venire sospeso, e così non si arriverebbe mai a una conoscenza certa, né a norme o stabili orientamenti dell 'azione. In tale ipotesi non sareb­ be possibile la stessa critica, che , per quanto radicale possa essere , non può che muovere dall'accettazione di alcuni presupposti . 1 .1. Le radici del criticismo

Pochi si rendono conto che l 'atteggiamento critico, così diffuso ai nostri giorni affonda le proprie radici in un tipo di pensiero l

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

filosofico che ha voluto eliminare ogni presupposto, per affermare la suprema autonomia dell 'uomo emancipato 1• Il tentativo di libe­ rarsi da ogni pregiudizio inizia proprio col sottomettere tutte le nostre conoscenze al dubbio universale . La storia della filosofia moderna è in buona parte lo sforzo di raggiungere la totale assenza di presupposti ( Voraussetzungslosigkeit) . Si tratta però di un im­ pegno frustrato . Quando sopraggiunge la sconfitta nella battaglia per ottenere un sapere assoluto (libero, indipendente) rimane solo l 'atteggiamento « sospettoso » verso ogni presunta certezza; e, por­ tato alle sue ultime conseguenze, il sospetto non può avere altro sbocco che il nichilismo . La critica sistematica non conduce a

nulla. La filosofia del XX secolo parte dal fallimento storico della critica come sistema . Le linee di pensiero più caratteristiche di questo secolo - la fenomenologia, l 'analisi del linguaggio, l 'erme­ neutica e la metafisica dell 'essere - hanno abbandonato l 'ingenuità del criticismo a oltranza , sebbene non sempre riescano a liberarsi del tutto dalle radici che l 'hanno alimentato . Per quanto riguarda l'ermeneutica, ad esempio, Gadamer ha sostenuto che « anche l 'Illuminismo, infatti , ha un suo pregiudizio fondamentale e costi­ tutivo : questo pregiudizio che sta alla base dell 'Illuminismo è il pregiudizio contro i pregiudizi in generale e quindi lo spodesta­ mento della tradizione » 2 ; mentre, aggiunge , ogni comprensione teoretica ha necessarian1ente dei presupposti che bisogna riconosce­ re e prendere in esame.

1 .2 . R idimensionamento delfatteggiamento critico

Vi sono quindi le condizioni storiche ideali per attribuire alla

critica il suo autentico valore, che concorda, per di più, con l'accezione originaria : « In senso etimologico, criticare significa scegliere e quindi giudicare , giudicare il valore di una cosa in

1 Cfr. R. Alvira, Notas sobre la relaci6n entre algunos conceptos funda­ mentales del pensamiento moderno, in Etica y Teologia ante la crisis con­ temporanea, EUNSA, Pamplona 1 980. 2 H. G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Tubingen 1960, p. 2 5 5 . Trad. it. di G. Vattimo, Verità e Metodo, Bompiani 1 985 (2°) , p. 3 1 7 .

2

IL PROB LEMA CRITICO E LA F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

funzione di una regola o di un ideale . In questo senso si parla di critica letteraria, di critica musi,cale, ecc . » 3 • Essa ha allora un significato simile a « criterio », « discernimen­ to », « analisi ». Pertanto, possiede una positiva capacità critica chi non si assoggetta ai luoghi comuni dominanti, chi ha il coraggio di pensare con la propria testa, misurando la propria conoscenza sulla realtà, in una continua ricerca della verità delle cose . Atteggiamen­ to critico corretto significa, quindi, buon criterio. Non è invece fecondo, anzi è deleterio, l'atteggiamento critico che mira a mettere in crisi tutte le nostre conoscenze intorno alla realtà, sulla base di pretese esigenze del pensiero, considerato come i nizio assoluto. Certamente non è segno di rigore né di radicalità l'impegno - fra l 'altro mai pienamente attuabile - di dubitare del valore di ogni conoscenza e di sottoporla ad un esame sempre nuovo, ad una riflessione più attenta, per verificare se effettivamente abbiamo motivi chiari e certi per ritenerla vera, o, almeno, per vedere a che condizioni e fino a che punto essa sia vera .

La critica autentica tende a purificare la conoscenza affinché si adegui meglio all'essere. La critica eccessiva, al contrario, ha la pretesa di giudicare l'essere a partire dal pensiero. Conviene esa­ minare, sia pure a grandi linee, come si sia giunti a tale eccesso .

2 . Costituzione e sviluppo storico del problema critico

2 l Le sue origini occamiste .

.

Ci si trova, come abbiamo visto, nel tratto finale di un processo storico nel quale la critica della conoscenza viene considerata come l 'inizio e il fondamento della filosofia . Ebbene, l 'inizio di tale percorso va fatto risalire al secolo XIV. È allora che l'armonia della sintesi tomista, in cui confluiscono le più valide manifesta­ zioni della tradizione classica e medioevale, e che innanzi tutto costituisce un vigoroso impegno di rispetto della realtà, si sgretola nella profonda crisi del nominalismo occamista, per il quale ragio­ ne e fede si contrappongono, e non è data possibilità alla ragione di conoscere l'essenza delle cose . Come base metafisica Ockham

3 R. Verneaux, Epistemologia generale. Critica della conoscenza, Paideia, Brescia 1 967, p. 1 8 .

3

F I LOS OFIA DELLA CONO S CENZA

(1280 c .- 1 3 49 ) propone il contingentismo assoluto, per cui gli enti finiti perdono la loro stabilità e la consistenza antologica propria, dipendendo così esclusivamente dall 'onnipotenza divina, concepita come volontà arbitraria che potrebbe farci conoscere anche ciò che non esiste o farci prendere per vero ciò che in realtà è falso . Questa è per Guglielmo d'Ockham la precaria situazione del­ l 'uomo nel n1ondo . La filosofia e l'intera conoscenza umana, persa la loro armonia con la fede, ridiventano problematiche. Sorge così quello che più tardi verrà chiamato « problema critico », il pres­ sante interrogativo circa l 'affidabilità della nostra conoscenza, af­ finché non cadiamo nell 'illusione di ritenere vero ciò che è erroneo o senz 'altro inconoscibile . Questo interrogativo passa in primo piano, sino al punto da venire considerato decisivo allorché il filosofo si pone nell 'ottica dell 'immanentismo antropocentrico che afferma il primato del pensare sull'essere e nega la portata tra­ scendente della conoscenza umana. Conseguentemente, l 'uomo in­ tende avere il dominio completo del proprio agire , anche se per attenerlo deve diminuirne drasticamente la portata. Ockham postulava che propriamente si conosce solo ciò che viene colto intuitivamente (nihil cognoscitur nisi cognoscatur intui­ tive) . Sta qui la cosiddetta via moderna : ha valore soltanto la conoscenza diretta di cose individuali . L 'astrazione, invece, è fonte di inganni; induce a presumere l 'esistenza di entità nascoste (es­ senze , forme sostan ziali, potenze) , che, se non altro, sono inneces­ sarie e quindi da abbandonare al famoso rasoio di Ockham (non su n t multiplicanda entia si ne necessitate) . Saranno così ammessi soltanto gli oggetti direttamente conoscibili o grazie all'intuizione sensib ile , come pensa l'empirismo, o in forza dell 'intuizione intel­ lettuale, come sostiene il razionalismo, il quale postula una cono­ scenza diretta delle essenze . 2 . 2. Il criticismo cartesiano

All 'interno di questo secondo orientamento, soprattutto per ope­ di Cartesio ( 1 596- 1 650) , troveranno posto quei principi che porteranno all'idealismo moderno . Il senso stesso della metafisica viene rovesciato : l'essere si risolve nella coscienza. A partire da questo presupposto, si sviluppa un esame critico della conoscenza umana . L'indagine parte da un dubbio radicale, da cui emerge la certezza dell 'esistenza del soggetto pensante ; da questa , poi, si ot­ tengono, �attraverso una deduzione geometrica , successive certezze. ra

4

IL PROBLEMA CRITICO E LA F I LOS OFIA DELLA CONO S CENZA

Il soggetto si eleva fino a pensare Dio, senza mai superare realmen­ te, però, il contesto delle rappresentazioni mentali. Muovendosi in questa direzione , il pensiero moderno si presenterà essenzialmente come una filosofia della coscienza rappresentativa. Come vedremo più avanti, già i filosofi dell 'antichità si erano oc­ cupati di questioni gnoseologiche ed avevano anticipato tesi di tipo « idealista » . Queste tendenze raggiungono però in epoca moderna una fondazione più radicale e più coerente : il principio di imma­ nenza. In base a tale principio, pur espresso in modi diversi , la mente umana non attinge altro oggetto se non le proprie idee o rappresentazioni . Non ha senso, pertanto, l 'impegno di cogliere la realtà in se stessa, e così la conoscenza diviene radicalmente pro­ blematica . L'unica cosa certa è che si pensa - assumendo il termine « pen­ sare » nella sua accezione più ampia : concettualizzare, sentire , vo­ lere , ecc . - ma è difficile precisare che cosa sia ciò che si cono­ sce e se , ancora più in generale , si conosca realmente qualcosa .

2 .3 . La filosofia critica di Kant E. Kant ( 1 724-1 804) l'autore che formula nel modo più sistema­ tico e profondo le conseguenze di questa impostazione . Egli si impegna, infatti , nella costruzione di una filosofia critica che trasformi e sostituisca l 'antica filosofia dogmatica. Il filosofo tede­ sco intende rivolgere « un invito alla ragione di assumersi nuova­ mente il più grave dei suoi uffici , cioè la conoscenza di sé, e di erigere un tribunale , che la garantisca nelle sue pretese legittime , ma condanni quelle che non hanno fondamento, non arbitraria .. mente, ma secondo le sue eterne ed immutabili leggi ; e questo tribunale non può essere se non la critica della ragion pura stessa » 4• Per il realismo, l 'essere è il fondamento del pensiero . Orbene, adesso si realizza, mediante un capovolgimento di situazione, un'au­ tentica rivoluzione filosofica . Lo stesso Kant la chiama « rivolu­ zione copernicana » : così come Copernico ritenne che non era il sole a girare intorno alla terra bensì la terra intorno al sole, in modo simile si asserisce che non è il pensiero umano a ruotare intorno alle cose, bensì sono gli oggetti - le cose in se stesse sono 4 I. Kant, Critica della Ragion pura. Prefazione alla 1 a ediz., trad. Gentile­ L. Radice, Laterza, Bari 1 983 (2a), p. 7 .

5

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

giudicate inconoscibili - a ruotare, avendo come loro asse il soggetto conoscente. La filosofia kantiana è essenzialmente una critica della conoscenza : una gnoseologia che pretende di occupare il posto della metafisica, e di presentarsi come una nuova filosofia prima . Anche il metodo filosofico sarà critico in un senso peculia­ re, denominato da Kant « trascendentale », e consistente nel riflet­ tere sulle condizioni soggettive della conoscenza degli oggetti, le quali costituiscono anche i principi che strutturano gli oggetti stessi . Se Cartesio aveva posto in primo piano il problema del metodo, Kant giunge ad identificare la filosofia critica col suo metodo. Il filosofo tedesco ritiene, così , che la Critica sia u n trattato sul metodo 5 , che deve penetrare profondamente nella natura della ragione , in quanto questa ha per oggetto semplicemen­ te pensieri puri 6• N on si cerca di pensare la realtà, ma si pensa il pensiero : la soluzione dei problemi filosofici si trova nella ragione che si autoconosce .

2 .4 . La radicalizzazione della critica La filosofia contemporanea adotta abbondantemente il metodo critico proposto da Kant . L'atteggiamento critico, tuttavia, non può mai trovare sosta : le condizioni di conoscenza a cui si può giungere sono sempre suscettibili di una critica ulteriore che pretenderà di essere più radicale . Ad esempio, il marxismo sostiene che le nostre convinzioni intellettuali dipendono dalle condizioni della struttura economico-produttiva e dalla coscienza di classe . Gli storicisti stabiliscono una connessione essenziale tra le diverse visioni del mondo e le congiunture storiche in cui sono sorte e a cui sono relative . Nel Vitalismo e nell'esistenzialismo si afferma l 'effica­ ce presenza nell 'uomo di un fondo irrazionale , più radicale di ogni conoscenza . Il neopositivismo e alcune correnti della filosofia ana­ litica asseriscono , infine , che il linguaggio fonda il pensiero e che, pertanto, « tutta la filosofia è critica del linguaggio » 7• Assi­ stiamo ad un processo di radicalizzazione della critica che, iniziato

5 Cfr. l. Kant, 6 Cfr. l. Kant,

op. cit. Prefazione alla 2a ediz ., trad. cit., p. 20. Prolegomeni ad ogni futura metafisica, trad. Caraballese,

Laterza, Bari 1 982, p. 1 5 . 7 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 4.03 1. Trad. it. d i A. G. Conte, Einaudi, Torino 1 964, p. 2 1.

6

IL PROB LEMA CRITICO E LA F I LOS OFIA DELLA CONO S CENZA

come gnoseologico, finisce per diventare sociologico, storico, psico­ logico o linguistico . Di volta in volta diminuiscono le dimensioni e la solidità della base di appoggio : la prospettiva finale è quella di un uomo vuoto in un mondo vuoto . È significativo che , dopo la « morte di Dio » , annunciata lucidamente da Dostoevskij e predi­ cata tragicamente da Nietzsche ( 1 844- 1 900) , sia stato possibile che alcuni strutturalisti attuali - Lévi-Strauss, Foucault , Althusser proclamassero retoricamente la « morte dell 'uomo » , quale conclu­ sione antiumanista di un umanesimo deformato . Se la filosofia è solo critica, la « fine della filosofia », riconosciuta tanto da Marx ( 1 8 1 8- 1 883) come da Heidegger ( 1 889- 1 976) e Wittgenstein ( 1889- 1 95 1 ), sembra una conseguenza inevitabile . La critica divora i suoi figli . Le esperienze storiche , a cui ha condotto il pensiero una volta consumato il divorzio dalla realtà, sono state molto negative : ne abbiamo ancora sotto gli occhi le conseguenze etiche (relativismo, permissivismo, immoralismo) e sociologiche (totalitarismi di vario tipo) , e religiose (perdita della fede , naturalismo , soggettivismo teologico) . Mentre le ripercussioni di questi modi di pensare difet­ tosi si vanno estendendo ampiamente , si constata , da varie parti , una profonda revisione del criticismo, i cui primi risultati annun­ ciano una certa riabilitazione del realismo metafisica .

2 .5. La riajjermazione della metafisica dell'essere In questo secolo si è verificato un ritorno alla metafisica dell 'es­ sere, grazie soprattutto ad un rinnovato interesse per la filosofia di san Tommaso d'Aquino . Tuttavia, anche nel contesto della cosiddet­ ta « neoscolastica », non sono mancati i tentativi di conciliare la metafisica realista con il criticismo . Da uno sforzo tanto fortemen­ te determinato quanto malamente orientato, è venuta alla luce la mostruosità chiamata « realismo critico », la quale tenta di recupe­ rare l 'essere a partire dal pensiero, accettando inizialmente alcune tesi immanentiste per cercare di superarle in un secondo tempo. La metafisica dell'essere ha evidenziato il ·carattere inconoludente oltre che contraddittorio di tale « realismo critico » : quando si assume rigorosamente l'impostazione critica, la realtà di cui si effettua il recupero non è altro che una realtà pensata, misurata dalla nostra conoscenza . La metafisica realista deve prendere le mosse dall'ente reale, previo e anteriore al conoscere, primo conosciuto e ciò in cui ogni conoscenza si risolve . Solo fondandosi sulla percezione del

7

F I LOS OFIA DELLA CONO S CENZA

reale, l 'uomo è in grado di conoscere l 'atto col quale conosce le cose : può cioè riflettere . La realtà è la fonte della conoscenza e la

misura della sua verità.

Abbiamo pertanto validi motivi per sostenere che la teoria della conoscenza non debba incamminarsi esclusivamente lungo il sentie­ ro della critica. Ciò non significa, come affermano con insistenza gli idealisti , che la gnoseologia di ispirazione realista sia semplici­ s tica e confusa ( « acritica » ) . Essa, infatti, deve essere « riflessiva » e « critica » nell 'accezione originaria di questi termini e non se­ condo il senso loro attribuito dall 'idealismo. Anzi , alla gnoseologia realista spetta il compito di fare la « critica » della critica fondan­ dosi sulla conoscenza della realtà. Atteggiamento, questo, in sinto­ nia con le più valide preoccupazioni dell 'attuale momento filosofi­ co, come avremo modo di rilevare .

3. Il ruolo della filosofia della conoscenza

3 . l . Primato e discredito della gnoseologia Gli idealismi contemporanei , in particolare quelli d 'ispirazione kantiana, hanno considerato la gnoseologia come la disciplina prima e radicale . La stessa metafisica dovrebbe previamente sotto­ mettersi ai dettami della dottrina della conoscenza, che ne sanzio­ nerebbe le possibilità o meno di realizzazione (propendendo più frequentemente, come ci si poteva aspettare, verso la seconda ipotesi) . Ma la critica radicale, priva di appoggio, delle nostre facoltà di conoscere è soggetta ad una petizione di principio . Richi amandosi alla metafora kantiana, possiamo dire che la ragio­ ne si siede davanti ad un tribunale nel quale essa stessa è giudicata . Quindi, se l 'oggetto del proces so è la capacità della ragione di conoscere la verità, come può essa stessa risolvere la controversia? Questo circolo vizioso e le conseguenze, sopra men­ zionate, che ne derivano, hanno spesso provocato negli ultimi decenni la perdita d'autorevolezza della gnoseologia . Si è arrivati persino a ritenere la teoria della conoscenza una « disciplina morta » 8• Su questo punto è stata decisiva l'influenza della critica

8 Cfr. G. Prauss, Einfuhrung in die Erkenntnistheorie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1 980, p. l.

8

IL PROBLEMA CRI T I CO E LA F I LOS OFIA DELLA CONOS CENZA

effettuata da Heidegger alla filosofia della coscienza, accusata di sostituire la verità con la certezza 9 e di consacrare , per la conse­ guente interdipendenza di realtà e rappresentazione 10, il definitivo

oblio dell'essere. Le giuste critiche di Frege11 ed Husserl12 allo psicologismo hanno contribuito al superamento di un'impostazione empirista della teoria della conoscenza avente come destino il relativismo . Tuttavia, lo syiluppo estremistico dell 'antipsicologismo, che ha riguardato principalmente il positivismo logico , ha condotto ad una specie di p1atonismo logicista nel quale si prescinde da ogni considerazione gnoseologica. Nondimeno, l'evoluzione della fe­ nomenologia e della filosofia analitica hanno consentito un positivo sviluppo delle originarie posizioni realiste di Husserl e di Frege 13• L'attuale situazione intellettuale è aperta alla riela­ borazione di una teoria della conoscenza, non più appesantita dall'idealismo e dall'empirismo e pronta a riprendere il posto che le compete nel contesto del sapere filosofico .

3 .2 . Funzione della gnoseologia Indubbiamente la gnoseologia ci è di aiuto nel saggiare le nostre conoscenze e nel correggerne i possibili errori . È certo necessaria un '« autocritica » della conoscenza, non nel senso di critica totale, quanto nel senso originario di « critica » come discernimento. In effetti : « la facoltà intellettiva ha la prerogativa di farsi carico della � c onoscenza �sensoriale e, soprattutto, ( . . . ) » è capace di riflet­ tere sui suoi atti e sulle proprie deficienze fattuali ; perciò si impiegano frequentemente espressioni quali « riconsiderare », « ri­ tornare sulle p roprie opinioni », « rivedere i propri giudizi », ecc . Tutto ciò suppone, quindi , che la nostra conoscenza sia essen-

9 M. Heidegger, Nietzsche II, Neske, Pfullingen 1961, p. 42 . to Ib ide m , p . 436. 11 G. Frege, I Fondamenti dell'Aritmetica, in A ritmetica e logica, trad. L.

Geymonat, Einaudi, Torino 1948, pp. 20-28. 1 2 E. Husserl, Ricerche logiche, a cura di G . Piana, I l Saggiatore, Milano 1968 . Si veda specialmente : « Prolegomeni a una logica pura » (tomo 1). 13 Cfr. M. Dummett, Frege. Philosophy of Language, Duckworth, London 1973; J. Seifert, Erkenntnis objektiver Wahrheit, A. Pustet, Salzburg 1976, 2a edizione.

9

F I LO S OFIA DELLA CONOS CENZA

zialmente idonea al suo fine, sebbene di fatto e accidentalmentr, possa incorrere in errori e deviazioni . Non avrebbe senso, altri· menti, voler rimediare ai suoi equivoci , poiché una intelligenza incapace di cogliere la verità non riuscirebbe a svincolarsi dall'er� rore per quanto si possa sforzare . Tutti i metodi e le cautele della scienza implicano, in ultima analisi, la fondamentale certezza che la verità è in qualche modo accessibile . Affrontare l'autocritica della conoscenza con l 'interrogativo se essa sia o meno capace di qualche verità o certezza, costituisce un 'ingenuità colossale anche se mascherata da un formidabile apparato critico . Se veramente si dubita della validità della nostra facoltà conoscitiva, è privo d1 senso l 'utilizzarla per giudicarne il valore . I raffinati ragionament! dei filosofi critici s 'infrangono contro questo scoglio inevitabile; in altri termini : come si può accertare la « ' validità' della nostra facoltà conoscitiva , quando continuamente dobbiamo 'avvalercene' per effettuare tale accerta mento? » 14•

3 .3 . Denominazione di questa disciplina Per evitare fin dal principio l 'accennata aporia, è preferibile non attribuire a questa disciplina il nome di Critica, pur frequente sino a poco tempo fa anche in opere lontane da un'impostazione criticista . Altri preferiscono chiamarla Epistemologia, termine che però attualmente significa soprattutto Filosofia della Scienza o Teoria della Scienza. Il nome Criteriologia è, poi, troppo ristretto e si presta, per giunta , ad alcuni equivoci . Insomma, Gnoseologia e l 'equivalente Filosofia della conoscenza sono i termini migliori per abbracciare l 'insieme delle questioni che riguardano la possibilità di cogliere l'essere attraverso la conoscenza, ossia, alla metafisica

della verità . 3 .4 . Il posto della gnoseologia Nell 'impostazione realista, la gnoseologia non ha il primato che le attribuiscono invece gli idealisti . Non si inizia con una imper.. corribile e radicale problematizzazione del valore della conoscenza,

14 A. Millan Puelles, Fundamentos de Filosofia, Rialp, Madrid 1 976, sa ediz., p. 45 7. 10

IL PROB LEMA CRITICO E LA F I LOSOFIA DELLA CONO S CENZA

ma si accetta questo fin dall'inizio per poi impegnarsi nella ricerca della verità delle cose . Oggi questo modo di procedere può appari­ re strano, ma esso risponde certamente alla dinamica naturale della conoscenza umana. Del resto, il primato della prospettiva antologi­ ca su quella gnoseologica torna ad essere riconosciuto e giustifica­ to, con rigorose argomentazioni , dal pensiero contemporaneo 15• In primo luogo e fondamentalmente conosciamo delle realtà ; su que­ sta base avvertiamo la nostra capacità cognitiva . Se la mente non viene attualizzata dalla conoscenza della realtà, non può conoscere l'atto di conoscenza . È questo il punto di vista della filosofia classica, nella quale la ricerca gnoseologica non costituisce uno studio rigidamente circo­ scritto. Così come nel sapere filosofico, l 'analisi e la confutazione degli errori non fanno parte a sé, nemmeno la teoria della cono­ scenza costituisce una trattazione del tutto indipendente . Le sue conclusioni si ricollegano alla logica e alla psicologia, ma soprattut­ to devono armonizzarsi con la metafisica .

3 .5 . La difesa della verità nella gnoseologia classica La ricerca della verità è stata sempre accompagnata dallo sforzo di confutare l 'errore . L 'intelligenza umana è naturalmente orientata verso la verità, ma essendo in un certo senso limitata, e a volte per la cattiva di sposizione morale del soggetto, l'errore può giungere a condizionare i principi prima della conoscenza . Già agli albori della ricerca filosofica , c'è chi nega l 'assioma più evidente : « Vi sono alcuni - dice Aristotele - i quali pretendono che una s tessa cosa sia e non sia » 16 • Negazione del principio di non-contraddi­ zione che giunge fino ai nostri giorni, dato che il « superamento della contraddizione » costituisce un elemento fondamentale della dialettica marxista . Si constata pertanto, che nel corso della storia sono s tati negati o deformati i principi primi e le verità più evidenti (la realtà della causalità, l 'esistenza del mondo extramen­ tale, la validità delle norme morali . . . ) . La metafisica, approfon-

15 Cfr. ad esempi o S. Kripke, Naming and Necessity, Harvard Univ. Press., Cambridge (Mass.) 1 980. 16 Aristotele, Metafisica, IV, 4 , lOOSb 35-1006a l, trad . it. A. Russo, Laterza, Bari 1 982, p. 95 .

11

F I LOSOFIA DELLA CONO S CENZA

dendo le feconde certezze originarie, ha il compito di confutare tali deviazioni. Aristotele è il primo filosofo che fa un bilancio serio e completo delle idee filosofiche sviluppate dai suoi predecessori e contempo­ ranei . In tale studio, lo Stagirita si scontra con errori che non riguardano una verità determinata, bensì la totalità della conoscen­ za umana. Era questo il caso di alcuni sofisti che, considerando l 'uomo « misura di tutte le cose » , cadevano nel relativismo, origi­ ne a sua volta dello scetticismo e della paradossale tesi secondo cui l 'uomo non può conoscere la verità . Aristotele, in una serie di discussioni di straordinaria acutezza, mette in risalto sia le difficol­ tà interne a questa teoria, conducenti in un vicolo cieco, sia le deleterie conseguenze pratiche alle quali esse portano . Tale difesa del valore della conoscenza umana non viene meno per tutto il lungo processo di sviluppo e di arricchimento della filosofia classica e medioevale . Conviene segnalare le pregnanti argomentazioni di S. Agostino contro gli scettici , alla cui pretesa di dubbio universale egli contrappone, fra le altre certezze, quella dell 'esistenza del soggetto dubitante : si enim fallar, sum 11 (formu­ la che , naturalmente , ha un significato ben diverso dal cogito cartesiano) . San Tommaso difende la capacità, propria di ciascun uomo, di conoscere la verità delle cose, in particolare contro gli errori diffusi nella sua epoca : logicismo, nominalismo , averroismo, ecc . L 'Aquinate ribadisce l 'unicità della verità, la distinzione e l'armo­ nia fra ragione e Fede ; assegna alla conoscenza umana il posto che le corrisponde, evitando tanto il razionalismo esasperato , quanto il fideismo negatore del valore dell 'intelligenza naturale . La gnoseo­ logia di Tommaso d'Aquino ha, quali tratti più caratteristici, il realismo metafisica, per il quale l 'essere misura la conoscenza, e il realismo antropologico, secondo il quale l 'intelletto umano coglie la verità delle cose reali . Questa tradizione realista passa storicamente in secondo piano con l 'irrompere della filosofia della coscienza; ma la sua solidarietà interna ha superato la prova di secoli difficili per le profonde trasformazioni culturali , sino a presentare ai nostri giorni un profondo rinnovamento .

17 Sant'Agostino , De civitate Dei, l. XI , cap. XXVI . Cfr. anche 1. Il, cap. I; De Libero arbitrio, 1 . I l, cap. I I I .

12

Soliloquia,

I L PROB LEMA CRITI CO E LA F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

3 .6 . L'ambito della gnoseologia Ci troviamo, pertanto, in un ambito di indagine interessante e nel contempo ricco di spunti polemici . Si tratta dello « s tudio della conoscenza » , secondo l 'etimologia del termine « gnoseologia ». Occorre però ancora precisare quale sia la prospettiva secondo la quale consideriamo qui il conoscere : tale aspetto sarà proprio quello della verità. L'intera filosofia è in stretta relazione con la verità, poiché la sua essenziale aspirazione è quella di ottenere delle conoscenze vere intorno alla realtà . L'unico fondamento della filosofia è la verità, e di conseguenza la realtà : la verità è infatti adeguazione dell'intelligenza umana con l 'essere delle cose.

3 .7 . Gnoseologia, psicologia e logica Conoscenza e verita possono essere considerate secondo prospet­ tive diverse . Una di esse compete alla psicologia , intesa soprattutto come studio delle differenze specifiche della vita umana. In psico­ logia si considera proprio la conoscenza come praxis, cioè come operazione vitale dell'uomo . Mentre svolge l 'indagine sul conoscere umano, essa però non trascura una certa riflessione sulla verità, dato che valuta come l 'intelligenza faccia trasparire l'essenza delle cose . Anche la logica si occupa della verità ; in quanto scienza, infatti , essa analizza le relazioni di ragione che nella nostra mente collegano le conoscenze vere tratte dalla realtà; e in quanto arte , essa ci offre i canoni per procedere, nell'atto della ragione, in modo facile, ordinato e senza errori .

3 .8. La gnoseologia come metafisica della conoscenza Ciò nonostante, lo studio più ampio e approfondito della verità, della conoscenza vera , spetta alla metafisica, poiché questa è un sapere trascendentale . La riflessione sull 'essere nella conoscenza ha un carattere strettamente trascendentale, poiché per definizione fa riferimento a tutte le realtà in quanto suscettibili di venire cono­ sciute dall 'ente che « è in una certa misura tutte le cose » 18• La gnoseologia studia l 'ente in quanto si manifesta alla mente umana 18

Aristotele, De Anima, I I I , 8, 43th 2 1; cfr. ibid., 5, 430a 14 sgg .

13

F I LOS OFIA DELLA CONO S CENZA

per mezzo della conoscenza, vale a dire, in quanto vero . Non costituisce perciò uno studio specialistico sulla conoscenza, ma è piuttosto un 'indagine rigorosamente metafisica . Pertanto la gnoseo­ logia va ritenuta, insieme alla antologia ed alla teodicea, una delle parti principali della metafisica : la teoria metafisica della cono­ scenza . Il compito della gnoseologia si svolge all 'interno della metafisi­ ca, poiché alla filosofia prima compete l 'approfondimento delle conoscenze di base che si utilizzano nelle scienze e nella pratica individuale e sociale, nonché la difesa di queste conoscenze origi­ narie contro coloro che le negano senza ragione . In effetti , « la metafisica è sapienza, cioè scienza suprema nell 'ordine naturale ; e non può pertanto delegare a nessuna altra scienza la difesa o giustificazione dei principi che le sono propri . I principi su cui la metafisica poggia sono i primi del conoscere umano, colti nella loro massima universalità e purezza. Nessun 'al­ tra scienza, eccetto la metafisica, può assumersi il compito di difendere tali principi ; anzi , è la metafisica che deve offrire a ciascuna scienza i principi universali su cui poggiare . Giustificare i propri principi (manifestandone l 'evidenza e confutando i ragio­ namenti contrari) e mettere a disposizione delle altre scienze gli assiomi di base, è un compito che spetta a pieno diritto alla metafisica nella sua qualità di scienza suprema » 19 • La gnoseologia è la metafisica della verità . I l suo studio attento ha una grande importanza teorica e vitale , anche e forse soprattut­ to oggi , poiché ci mette in guardia contro equivoci di fondo assai frequenti . In n1olti ambienti si tende ad inquadrare ogni tipo di sapere , specialmente quando tratti dell 'uomo - come l 'etica -, da un punto di vista che prescinde dalla realtà deHe cose e guarda in­ vece ai convenzionalismi dominanti, alle reazioni soggettive o al­ la pura efficacia pragmatica . Sembra che il valore della verità in sé stessa lasci il posto ad una concezione in cui ha senso soltanto - se mai può averne alcuno - la « verità per me ». Di fronte a tale atteggiamento non sarà inutile richiamare il ricordo di un poeta contemporaneo :

1 9 J. Garda L6pez, « Metafisica», Gran Enciclopedia Rialp (G.E.R.) , Rialp, Madrid 1 9 7 1 - 1 976, t. XV, p. 634.

14

IL PROBLEMA CRITI CO E LA F I LO S OFIA DELLA CONOS CENZA «

�Tu verdad? N o, la verdad,

y ven conmigo a buscarla.

La tuya, guardatela

»

20•

Riscoprire il valore della verità equivale a rivendicare all'essere il suo valore metafisica primario e originale . Il che costituisce senza dubbio un compito intellettuale di gran portata destinato ad avere profonde ripercussioni pratiche .

20 A. Machado, Proverbios y Cantares, LXXXV (La tua verità? No, la verità, l vieni con me a cercarla. l La tua, mettila da parte 1) .

15

Capitolo Secondo LA VERITÀ E LA CONOSCENZA

t. La nozione di verità

Che cos'è la verità? È questa la domanda che, secondo formulazioni diverse, si sono posti i filosofi d'ogni epoca, e che , nonostante l'apparente semplicità , nasconde non pochi enigmi . Le risposte d ate , ai nostri giorni e in passato 1, a questo interrogativo hanno diverso valore e sono apparentemente molto differenti , anche se in quasi tutte è presente un elemento comune che si identifica proprio con quello scoperto dalla metafisica classica . 1 . 1 . La verità come adeguazione Nel primo articolo della questione che apre il De Veritate, san Tommaso si pone proprio tale interrogativo : Quid sit veritas, e dà la seguente risposta : la verità è l'adeguazione della cosa e l'in­ telletto. Tale risposta possiede due caratteristiche che la fanno preferire a qualsiasi altra : l ) esprime la ragione formale della verità : la conformità o adeguazione tra cosa e intelletto esprime infatti l'essenza della verità ; 2) comprende tutti i significati che il termine verità può assumere, e ad essi si estende . Tuttavia, soltan­ to comprendendo adeguatamente tale definizione se ne possono cogliere tutte le virtualità ; se essa invece viene intesa in forma

1 Sul modo contemporaneo di impostare il problema della verità. Cfr.

M.

Dummett, Truth and other Enigmas, Durckworth, London 1978; L. B. Puntel, Wahrheitstheorien in der neueren Philosophie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1978; G. Skirbekk, Wahrheitstheorien, Suhr­ kamp, Frankfurt 1 9 7 7 .

17

F I LO S OF I A DELLA CONOS CENZA

semplicistica, può cadere sotto quelle critiche che così frequente­ mente l 'hanno bersagliata. 1 . 2 . Il concetto di verità e il concetto di ente San Tommaso arriva a questa definizione in un modo rigoroso e in perfetta armonia con le tesi della propria metafisica realista . Egli parte dal concetto di ente inteso come la nozione che l 'intel­ letto concepisce per prima, dato che è l 'idea più evidente e nella quale tutte le altre nozioni debbono risolversi . Ora, il concetto di verità è tanto ampio quanto quello di ente e si converte in quest'ul­ timo : ens et verum convertuntur. L'ente equivale al vero, poiché tutta la realtà è, in quanto determinata, conoscibile : ogni ente può divenire oggetto dell 'intelletto . Tuttavia, il significato dei termini « vero » ed « ente » non coincide perfettamente : affermando che l 'ente è vero non si pronuncia una tautologia, non si fa una ripetizione inutile . Come avviene anche per i rimanenti concetti trascendentali , « vero » ed « ente » significano la stessa cosa reale (res significata) , ma la significano in modo diverso (modus signifi­ candi) . Per usare la terminologia di Frege, si può dire che essi hanno lo stesso significato (Bedeutung) , ma diverso senso (Sinn) 2 • La nozione di verità, infatti, aggiunge qualcosa a quella di ente, ma non come una caratteristica ad esso estranea, dato che all'ente non può essere aggiunto nulla come natura estranea: ogni natura, infatti , è essenzialmente ente . La verità aggiunge qualcosa all 'ente , in quanto esprime una formalità, un aspetto, che non viene manifestato dalla semplice parola « ente »: si tratta della sua profonda intelligibilità. I l concetto di verità nasce dalla relazione fra l'ente e u n ben preciso termine, cioè l'intelletto. Ma è lecito chiedersi : come è possibile che l 'ente trascendentale possa riferirsi all 'intelletto, che è una realtà determinata ? Si deve rispondere che ciò è possibile in quanto anche l'intelligenza è, a suo modo, trascendentale. Questa considerazione costituisce un punto fondamentale e immensamente fecondo dell 'antropologia aristotelica che accompagnerà l 'intero pensiero occidentale nel suo sviluppo. L 'enunciato chiave compare nel I I I libro del De Anima : « l'anima è in un certo modo tutte le cose » ; è questo ciò che il « vero » aggiunge all'« ente », l 'adegua2 Cfr. G. Frege, Ueber Sinn und Bedeutung, in

«

lgnacio Angelelli, George Olms, Hildesheim 1967.

18

Kleine Schriften », ed.

LA VERITÀ E LA CONO S C ENZA

zione della cosa con l'intelletto . Il concetto di verità presuppone quello di ente, in esso si fonda ed è implicitamente contenuto . Ciò che nel primo viene esplicitato del secondo è proprio questa conformità, ovvero ciò in cui la verità consiste formalmente .

1 .3 . Cosa bisogna intendere per adeguazione veritativa Tale adeguazione o conformità non va certo intesa in senso materiale o fisico . L'intelletto, come ben si capisce, non può avere fisicamente la stessa forma della cosa conosciuta. Quando conosco un albero, ad esempio, la forma dell'albero non inerisce a me nel­ lo stesso modo in cui l 'anima informa il mio corpo, né come la for­ ma del mio volto configura quell'immagine che i miei amici sanno riconoscere . Quando conosco qualcosa, io ne posseggo la forma, « mi conformo » , mi adeguo ad esso, ma in un modo immateriale , in­ tenzionale. La conformità veritativa è un'adeguazione conoscitiva . È proprio questo ciò che i critici della teoria gnoseologica classica 3 sembra non comprendano : non bisogna cioè pensare che nella mente vi sia una « copia » o « immagine » della cosa conosciuta . Se così fosse, se cioè si ritenesse che la verità consiste nell 'adeguazione di una cosa esterna con un 'altra « cosa » interna, avremmo bisogno di un terzo termine nel quale riconoscere l 'adeguazione fra i due prece­ denti , e si avrebbe con ciò un processo all 'infinito. Ma non è questo quanto la teoria classica sostiene. Per comprendere meglio il problema, conviene approfondire il concetto di verità come adeguazione . « La conformazione (con­ formazione) dell'intelligenza con la cosa conosciuta non è una sem­ plice ' somiglianza' più o meno fedele . Si tratta di qualcosa di più profondo . Con questo termine si vuole affermare che l 'intellet­ to , quando il suo atto gode della proprietà di essere vero, acquista la stessa forma che la cosa conosciuta ha in se stessa . Si tratta , dunque, di un'identificazione, in virtù della quale ciò che è cono­ sciuto e l'intelletto conoscente diventano 'intenzionalmente' - co­ me insegna la Psicologia - una cosa sola; e ciò presuppone che l 'intelletto non si esaurisca in un unico modo di essere, ma possa diventare, mediante le relative intellezioni, ciò che i differenti oggetti intelligibili sono . Cosicché, le diverse forme o modi di 3 Cfr. M. Dummett, Frege. Philosophy of Language, cit ., pp. 442 sgg.

19

F I LO S OF IA DELLA CONOS CENZA

essere non solo informano le realtà extramentali , ma possono anche rendersi presenti nell'intelletto che le conosce , possono cioè informarlo . A tal fine è necessaria una particolare capacità entita­ tiva che permetta all'intelletto di 'uscire' da sé e di farsi incontro ad ogni altro essere » 4 • Esplicitiamo quanto fin qui abbiamo esposto : pur avendo fatto necessariamente ricorso a nozioni metafisiche, quanto detto con­ corda perfettamente con l 'esperienza comune e, pertanto, con l 'uso ordinario delle parole « vero » e « falso » . Se dico che « sta piovendo » , dirò il vero se effettivamente adesso piove ; se invece dico che « gli animali parlano », sono nel falso perché di fatto i bruti non conversano tra di loro . Citando Aristotele, al cui inse­ gnamento - a partire da Tarski 5 - si cerca di rendere nuova­ mente giustizia, « dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso; mentre dire di ciò che è che è o di ciò che non è che non è, è vero » 6 • L'adeguazione veritativa è una relazione intenzionale tra intelletto ed essere, nella quale è l 'essere a reggere l 'intelletto e non viceversa . È dunque l'intelletto a conformarsi alla realtà delle cose, le quali non sono come sono perché noi così le pensiamo . « Si adegua alla verità chi pensa come separato ciò che è effettivamente separato e come unito ciò che è effettivamente unito, sbaglia invece colui il cui pensiero si pone in contraddizione con le cose . Quand'è allora che esiste o non esiste ciò che chiamiamo vero o falso ? Bisogna esaminare ciò che intendiamo con questo . Tu non sei bianco , infatti , perché noi pensiamo che tu veramente lo sia, ma piuttosto poiché tu sei bianco, noi che lo affermiamo siamo nel vero » 7•

1 . 4 . I diversi significati della verità Da quanto abbiamo appena rilevato, si deduce che la realtà, l 'ente, cos tituisce il fondamento della verità : « l 'entità della cosa

4 A. Milh1n Puelles,

Fundamentos de Filosofia, cit., p . 459. Cfr. J. Garda L6pez, Doctrina de Santo Tomas sobre la verdad, EUNSA , Pamplona 1 96 7 , p. 26. 5 A . Tarski , The Semantic Conception of Truth ( 1 944) , in L. Linsky, Semantic and Philosophy of Language, Univ. I llinois Press, Urbana 1 952, pp. 1 4-15. 6 A ristotele, Metafisica, I V, 7, 1 0 1 1 b 26-27, trad. cit., p. 1 1 5 con variazioni. 7 Ibid., I X, 1 0, 1 05 1b 3-9, trad. cit., p. 257 con variazioni.

20

LA VERITÀ E LA CONO SCENZA

precede la ragione di verità » 8 • Chiamiamo la conoscenza « vera » perché essa manifesta e chiarifica l 'essere delle cose (verum est manifestativum et declarativum esse) ; e così facendo ci riferiamo all'effetto di tale rapporto di fondazione . Se invece consideriamo il fondamento stesso, possiamo chiamare « veri » anche gli enti, in tal senso diciamo che vero è ciò che è (verum est id quod est) : gli enti si dicono veri in quanto causano la verità . Questi due significati della verità si aggiungono, pertanto , a quello di adeguazione di intelletto e cosa. La verità, allora si dice in tre sensi fondamentali : l ) come conformità dell'intelletto con la cosa; 2) come conoscenza vera ; 3 ) come verità delle cose. La nozione di adeguazione è presente in tutti e tre i significati : nel primo è considerata in se stessa; nel secondo si considera ciò che viene causato dall'adeguazione (una conoscenza che non fosse effetto della verità non sarebbe conoscenza, giacché conoscere qualcosa in modo falso significa non conoscerlo affatto) ; finalmen­ te, nel terzo ci si riferisce alla causa dell 'adeguazione . Le cose, pertanto, si dicono vere solo in relazione all 'intelletto . Per questo S . Tommaso non esita a concludere che la verità si

trova principalmente nell'intelletto piuttosto che nelle cose 9 •

Tale tesi, però, può apparirci strana dopo aver insistito tanto sul valore del realismo, per il quale nella conoscenza vera è l 'essere a misurare la mente, e non viceversa. Si potrebbe infatti obiettare che , se la verità sta principalmente nell'intelletto, il giudizio vero seguirebbe a ciò che si pensa in ogni singolo caso, e con ciò si cadrebbe nell 'errore dei relativisti ·e degli scettiçi : tutto ·ciò che si pensa sarebbe vero , fino al punto che due proposizioni contraddit­ torie potrebbero essere vere . La tesi da noi sostenuta, invece, non giustifica affatto tale obiezione, né contrasta il realismo metafisica . L'affermazione che l 'essere costituisce il fondamento della verità è perfettamente com­ patibile con l 'altra, secondo la quale la verità si trova principal­

mente nell'intelletto piuttosto che nelle cose. Per comprendere quanto si sta dicendo occorre ricordare che il concetto di verità è analogo, secondo l 'analogia di attribuzione ; quell 'analogia, cioè, per la quale un termine viene attribuito a diversi oggetti secondo un ordine di priorità e posteriorità . Orbene ,

8

9

Tommaso D 'Aquino, De Veritate, q. 1 , a. l .

Jbid.,

q.

l,

a.

2.

21

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

in questo tipo di predicazione analogica non è necessario che il soggetto cui il termine comune è attribuito prioritariamente sia la causa degli altri : è sufficiente, afferma S. Tommaso 10, ch'esso sia il primo nel quale quella ragione comune si trova . Ad esempio, il termine « sano » si dice con priorità, cioè principalmente, dell'a­ nimale, dato che soltanto in esso si può riconoscere la ragione perfetta di salute : in senso proprio è l 'animale ad essere sano. La medicina, invece, è causa della salute : il termine « sano » si predica di essa successivamente all 'animale, poiché il rimedio terapeutico si può dire « sano » solo per attribuzione . Lo stesso avviene nel caso della verità : gli enti sono causa della verità, ma la ragione formale della verità è propria dell 'intelletto . Ricordiamo che il « movimento » della facoltà conoscitiva ter­ mina nella mente . Quando si conosce, infatti, il conosciuto in quanto tale si trova nel conoscente . Il vero, sebbene abbia causa e fondamento negli enti, dice relazione all 'intelletto . In quanto cau­ sata e fondata , quindi , la verità si trova nelle cose, ma formalmen­ te, cioè in se stessa, essa sta nella mente , poiché una cosa non si dice « vera » se non per la sua adeguazione coll 'intelletto , cosicché il vero si trova innanzitutto nell 'intelletto e secondariamente nelle cose .

1 . 5 . La verità considerata secondo i diversi tipi di intelligenza

Possiamo chiarire ed esplicitare tale teoria considerando la verità in relazione ai diversi tipi di intelligenza che possiamo classificare nel modo seguente : ; · · ··Pratica (a) : :···u mana � � · · · · · · - - -

Intelligenza 1

� Divina (c)

l

Speculativa (b)

· ·

a) L 'intelligenza umana pratica dell'artefice è l a causa del prodursi (fieri) delle cose artificiali e la misura della loro verità (ma solo in quanto artificiali e non in quanto enti) . Effettivamente l 'artefice realizza la sua opera in accordo con l 'idea esemplare che ha nella propria mente ; pertanto la verità dell 'artefatto dipende dall'adeguazione con tale modello ideale . 10

Ibid.

22

LA VERI TÀ E LA CONO S CENZA

b) L'intelligenza speculativa dell'uomo riceve dalle cose la co­ noscenza che possiede, è misurata e in certo modo causata da esse . Nella conoscenza speculativa umana, l 'intelligenza accoglie le cose come sono e, pertanto, queste sono la misura e la regola della verità dell'intelligenza teorica . c) L 'intelligenza divina misura le cose fin nel loro intimo, dato ch'essa è l 'origine di tutta la realtà. Tutte le cose create si trovano in essa come nella loro causa, in modo simile a come gli artefatti sono presenti nella mente dell 'artefice . Questo terzo tipo di intelli­ genza è simile allora all 'intelligenza pratica dell'uomo, anche se l 'artefice divino è causa di tutto l'essere delle cose, mentre l 'artefi­ ce um,ano è causa del solo fieri o prodursi : egli agisoe sempre su una materia, non è l'origine dell 'essere dell 'opera , ma solo del processo per il quale una certa materia acquista una nuova forma. L'intelligenza divina (e la sua verità) , pertanto, è misura ma non è misurata (mensurans non mensurata) ; la cosa (e la sua verità) è misurata dall'intelletto divino e, a sua volta, misura l 'intelletto umano (mensurata et mensurans) ; la nostra intelligenza è misurata (mensurata) dalle cose naturali che conosce speculativamente ; è misura (mensura) soltanto della produzione delle cose artificiali 1 1 • Alcune ideologie moderne e contemporanee intendono la veri­ tà soprattutto nel senso dell'intelligenza pratica e per di più tendono a ridurla ad un'immagine tecnica. Il composito pano­ rama dei tipi di verità , come ce lo offre la concezione classica, perde il suo carattere analogico e si restringe in una concezione molto più rigida. Già Cartesio contrapponeva all'antica sapien­ za una filosofia che avrebbe dovuto trasformare l'uomo in « signore e dominatore della natura » . Mentre il pensiero classi­ co ha sempre ritenuto che nella conoscenza intellettuale umana vi è un elemento di pura contemplazione recettiva 12 - « un ascolto attento all'essere delle cose » , secondo l'espressione del vecchio Eraclito -, l'atteggiamento caratteristico della moderni­ tà è senz'altro operativo e trasformatore 13 • Kant giunge ad

11 Ibid. 12 "t questo un aspetto che è stato sottolineato da Josef Pieper in molte

delle sue opere. Questa posizione, per ciò che ha di affermativo, è chiaramente positiva: da essa deriva in buona parte il progresso tecnico di cui ci serviamo. Essa è però difettosa in quanto tende a farsi esclusiva, cioè a dimenticare che la ragione tecnica si fonda sull'intelligenza speculativa. 13

23

FI LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

affermare che la conoscenza intellettuale è un semplice fare (ein blosses Thun) ; e Marx sostiene che il problema della verità, se slegato dalla prassi, è triviale : teoria e prassi vanno identificate, dato che la verità è ciò che l 'uomo fa in quanto inserito nel processo storico totale . Un pragmatismo meno ambizioso, ma senz'altro non meno radicale, ha dominato buona parte del pensiero occidentale : la verità è rendimento, efficacia, successo .

Certo non sempre la filosofia ha concesso alla verità pratica l 'attenzione ch'essa merita ; tuttavia, la sua riabilitazione è plausibi­ quando le - e già la si sta opportunamente promuovendo 14 non si assolutizzi la prassi dell 'uomo con il conseguente dissolvi­ mento del valore della verità 15 • La « perdita dell 'essere », che si constata in gran parte del pensiero moderno e contemporaneo , conduce alla perdita del senso della verità . Il sen so autentico della verità è dato dalla condizione delle cose create , le quali hanno relazione con Dio, che le crea, e con l 'uomo, che le conosce . « Per questo, scrive S . Tommaso, la cosa naturale , collocata fra due intelligenze , si dice vera in virtù del­ l'adeguazione al l'una e all 'altra . I nfatti, per l'adeguazione con l'in­ telligenza divina si dice vera in quanto realizza ciò cui l 'intelletto di Dio l 'ha destinata ( . . . ) . Per l 'adegu azione con l 'intelligenza umana, si dice vera in quanto ordinata per natura ad essere conosciuta secondo verità » 16 : cioè, in quanto può essere conosciu­ ta secondo verità, essa si mostra come è e, di per sé e intrinseca­ mente, non dà luogo ad errore . -

1 4 Cfr . M . Riedel (a c u ra di) , Rehabilitierung der praktischen Philosophie, Rombach, Freiburg 1 97 2 . 1 5 « Una tale possibilità sembra imminente s e la svolta antropo-sociologica della filosofia è accompagnata dalla perdita del senso della verità e dell'interesse che l'uomo deve avere per questa. Allora l'unica cosa impor­ tante è costituita dagli interessi e dai conflitti di interessi, la cui soluzione viene affidata ad interventi di tipo politico. Se si continua a parlare di verità e di teoria, si riducono a descrizioni di tali conflitti o alla scoperta di interessi alla base di supposte verità e consuetudini morali. In poche parole, se in tali circostanze la filosofia pretende di essere qualcosa di più che critica dell'ideologia, diviene ideologia essa stessa. Se si attribuisce poi al termine 'ideologia' un significato positivo, l'ideologia scientifica che ne deriva si pone totalmente al servizio della prassi. Come è noto, è questa la situazione della filosofia nei paesi dell'Europa orientale » . F. I nciarte, El reto del positivism o logico, Rialp, Madrid 1 974, pp. 1 59- 1 60. 16 De Veritate, q . l , a. 2 .

24

LA VERITÀ E LA CONOS CENZA

1 .6. La verità e l'intelletto umano Secondo tale prospettiva metafisica, la verità sta nell'intelletto divino in modo proprio e primario (proprie et primo) ; mentre nell'intelletto umano in modo proprio ma secondario (proprie et secundario) ; e, infine, nelle cose si trova in modo improprio e secondario (improprie et secundario) , dato che è in esse soltanto in relazione alle altre due verità 17 • Più esplicitamente : sappiamo che la verità si trova propriamente nell 'intelletto, come la salute nell 'a­ nimale ; ma ciò è vero principalmente per l'intelligenza divina, alla quale originariamente si adeguano le cose da essa create ; in modo derivato, ma conservando un senso proprio, la verità appartiene all 'intelletto umano, giacché questo possiede la ragione formale dell 'adeguazione che definisce la stessa verità . Al contrario, la verità si trova nelle cose create solo in quanto queste hanno rapporto con i due tipi di intelletto e, di conseguenza, si può predicare di esse solo secondo analogia di attribuzione. La verità predicata delle cose in riferimento all'intelletto umano è in un certo modo ad esse accidentale, non le costituisce in ciò che sono 1 8 • L 'essere delle cose non dipende dalla conoscenza che ne può avere l 'uomo . L'affermazione contraria è un 'illusione, è segno dell 'alienazione dell 'uomo che non accetta la propria con­ dizione creaturale e si colloca al centro del mondo e di tutta la realtà . Un soggettivi sta coerente potrebbe sottoscrivere i seguenti versi di J uan Ramo n J iménez : Sé bien que, cuando el hacha de la muerte me tale , se vendra abajo el firmamento 19•

Più prosaica è, invece, l 'esperienza comune , secondo la quale la volta celeste non è legata con alcun filo alla vita di nessun uomo :

l , a. 4 . Nella prospettiva dei diversi sensi dell 'essere, ci troviamo qui dinanzi all'essere veritativo distinto dall 'essere proprio - il quale, visto a partire dalle cose non è che un essere per accidens. Cfr. A. Llano, Filosofia trascendental y filosofia analitica (Transformaci6n de la metafisica), in « Anuario Filosofico » , X I , l e 2, Pamplona 1 9 78. Ved . anche Id., Me­ tafisica y Lenguaje, EUNSA, Pamplona 1 984 , pp. 1 2 1 - 1 9 1 . 1 9 Citato da L. E. Palacios, nella sua introduzione a El realismo met6dico di E. Gilson, Rialp, Madrid 1 952, p. 1 4 . (So bene che, quando l'ascia l della morte mi reciderà, l crollerà il firmamento 1) .

17 18

Ibid. , q.

-

25

F I LOSOFIA DELLA CONOS CENZA

tutti possiamo morire almeno con la serenità di non provocare un simile cataclisma . La « faccia invisibile della luna » era reale e vera anche prima che gli astronauti la osservassero . È davvero poco ciò che l 'uomo conosce, e la realtà non aspetta i nostri giudizi per esistere in forme tanto diverse e, a volte, sorprendenti . Anche nell'ipotesi più radicale che l 'intelletto umano non esistesse e non potesse esistere , le cose continuerebbero a permanere nella loro essenza .

1 . 7 . La verità e l'intelletto divino

La verità che si dice delle cose in rapporto all 'intelletto divino, invece , appartiene ad esse in modo inseparabile , dato ch'esse non potrebbero sussistere senza l 'intelligenza divina che le produce e le costituisce in ciò che sono . L 'uomo stesso non sfugge a questa condizione comune a ogni creatura , anche se a volte si considera del tutto autonomo e autosufficiente . La tesi per cui la verità si trova principalmente nell 'intelletto va intesa come riferita in primo luogo all 'intelletto divino . Infatti, la verità « si dà nelle cose innanzi tutto in riferimento all 'intelletto divino e solo dopo a quello umano , perché l 'intelletto divino ne è la causa, mentre l 'umano ne è in certo modo l 'effetto, in quanto l 'intelligenza dell 'uomo riceve il sapere dalle cose . Dunque, ogni cosa si dice vera in rapporto principalmente alla verità dell 'intellet­ to divino » 20 • La verità delle cose , che è « una proprietà dell 'essere di ogni ente » 2 1 , e delle intelligenze create , è una partecipazione della Verità piena infinita , del Deus veritas , come amava dire S. Agosti­ no : « N o i conosciamo le cose perché sono , ma esse sono perché Tu le conosci » . Tutta la verità si riconduce, come al suo princi­ pio , alla Verità per essenza, a Dio che è intelletto puro e verità intelligibile suprema, essendo l'lpsum esse subsistens 22 • L'essere suss istente di Dio è assolutamente intensivo e riassume in sé tutte le perfezioni trascendentali pure : Egli è il Bene , l 'Unità, la Bellez­ za , la Verità nella loro perfetta pienezza. Dio è spirito , conoscenza

20

21 22

De Veritate, q. l , a. 4. Contra Genti/es, I , cap. 60. Lectura in Euangelium ]ohannis, cap. 1 8, lect. 6,

26

n.

11.

LA VERITÀ E LA CONO S CENZA

compiuta di se stesso, totale autotrasparenza . Nell'intelligenza di­ vina il conosciuto si identifica con l 'intelletto : vi è perfetta ade­ guazione (ragione formale di verità) , e pertanto è la prima e somma Verità 23• Dio è l 'origine di ogni verità, poiché è il principio dell'essere di tutte le cose 24• Tutte le cose sono vere in virtù dell'unica Verità divina . Si può tuttavia affermare che vi sono molte verità, in quanto vi sono molti enti veri e molteplici intelli­ genze che li conoscono. Il nostro compito consiste nell'acquisire sempre nuove verità, al fine di avvicinarsi alla Verità dell'Uno per essenza , nel quale la ricerca si acquieta .

2. La verità e l'ente

Le considerazioni svolte nel paragrafo precedente vorrebbero contribuire ad evitare possibili equivoci suscitati da un fraintendi­ mento della tesi secondo la quale le cose si dicono vere per la loro relazione all 'intelligenza, e la verità sta nell 'umano intelletto in modo proprio e prioritario rispetto alle cose. Tale tesi si riferisce alla ragione formale di verità, ma non riguarda l 'ordine di fonda­ zione, secondo il quale la verità è causata dalle cose.

2 . 1 . Verità, conoscenza e realtà La verità si riferisce al momento in cui le cose « muovono » l 'intelligenza e la informano . La prassi conoscitiva termina nell 'a­ nima, essendo necessario che il conosciuto stia nel conoscente secondo il modo di essere di quest 'ultimo (con ciò non si sostiene alcun soggettivismo di tipo kantiano, secondo il quale la forma degli oggetti conosciuti verrebbe imposta dall 'azione spontanea dell'intelletto ; si sostiene, invece, che il conosciuto sta nel cono­ scente in modo immateriale, non fisico) . Mentre la conoscenza va dalle cose alla mente , il movimento della facoltà appetitiva tende alle cose stesse, poiché ciò che si appetisce è costituito dalle cose non in quanto conosciute , ma in quanto reali . Per questo Aristate-

23 Contra Genti/es, 24 Ibid. , cap. 1 .

l, cap. 62.

27

F I LO SOFIA DELLA CONO S CENZA

le 25, riferendosi agli atti dell 'anima, pensa ad un « circolo » : la cosa esistente fuori dell'anima muove l 'intelletto, e la cosa cono­ sciuta muove l'appetito, il quale si dirige verso la cosa, da cui appunto il movimento era partito 26• Bisogna dunque ritenere che la verità viene causata nell'anima dalla realtà e non dipende dal giudizio dell'intelletto, ma dall 'esi­ stenza delle cose, dato che a seconda che la cosa è o non è , si dice che il nostro conoscere è vero o falso 27 • Conoscere non significa apprendere una cosa così come essa si trova nell'intelletto ; ma apprendere nell 'intelletto la cosa così come essa è 28 •

2 . 2 . Cose e oggetti Il senso realista della definizione classica è ben reso dai termini di adeguazione dell 'intelletto con la cosa (res) e non con l'oggetto . La terminologia , in questo caso, ha un 'importanza notevole . « Og­ getto » , infatti , significa ciò che è presente dinanzi a colui che conosce , ciò che il soggetto ha di fronte a sé (obiectum) . L'essere oggetto di una potenza conosci ti va non è una proprietà reale delle cose , né significa direttamente la realtà del conosciuto : riguarda, invece , la conoscibilità di ciò che ·si cogl ie 29 • Si può elaborare una

2 5 Aristotele , De A n ima . I I I , 9 , 433b 26. De Veritate, q . l, a. 2 . La capacità esplicativa di tale modello aristotelico si è manifestata con maggior chiarezza nel nostro secolo, allorché la Psicologia e l'E tologia hanno sviluppato l'idea del circolo funzionale delle attività vitali (Funktionkreis) , a partire dalle concezioni di J . Von Uexkull

26

(Streifzii.ge durch die umwelten von Tieren und Menschen. Bedeutungslehre.

Nuova edizione: Fischer, Stuttgard 1 972) . Si propone un circuito di retroal imentazione (feed-back) come modello del circolo funzionale della vita degli organismi : l'azione incide sull'oggetto, le cui caratteristiche sono state colte dall'organismo, modificando così il significato vitale dello stimolo nel tentativo di raggiungere un equilibrio del sistema. La possibilità di trasferire questo modello ad un sistema cibernetico è evidente; e le prospettive di una connessione tra l'impostazione aristotelica e quella informa tica sono mol to interessanti . Cfr. A. Llano, Para una Antropologia de la objetividad, in « Estudios de Metafisica » , 3, 1 97 1 - 1 972, pp. 66-69 . 27 De Veritate, q. l , a. 2 . 28 E . G ilson , Le réalisme méthodique, P . Téqui, Paris 1936, p . 90. 29 « L'area di ciò che viene oggettivato emerge intenzionalmente dal suo fondamento reale, che trascende l'atto e il risultato dell'aggettivazione. L'oggettività è lo stato gnoseologico assunto dalle cose conosciute in quanto sono conosciute (o possono esserlo) secondo la loro propria realtà. Non si

28

LA VERITÀ E LA CONO S C ENZA

gnoseologia basata sulla relazione soggetto-oggetto senza uscire propriamente da un ambito immanente 30 • L'immanentismo , infatti , non si identifica con il soggettivismo. Gli idealismi più radicali sono stati idealismi « oggettivi » (ci riferiamo a Fichte, Schelling, Hegel e, in un certo senso, all'idealismo critico di Kant) . Gli idealisti possono benissimo ammettere che si conoscono oggetti, ma non ammettono che si possano conoscere delle cose, cioè realtà che in se stesse trascendono la relazione immanente soggetto-oggetto. È molto significativo, a riguardo, il caso di Kant 3 1 , che riprende la definizione tradizionale della verità nei seguenti termini : « La verità, si dice , consiste nell 'adeguazione della conoscenza con l 'oggetto » 32 • La sostituzione del termine « co­ sa » con « oggetto » sembra innocua perché Kant non dà ancora a quest'ultima espressione il significato critico , ma la utilizza in modo aproblematico . Tuttavi a, le difficoltà che il filosofo tede­ sco incontra nella definizione tradizionale , mostrano che quel mutamento terminologico non era poi così innocente. Una delle aporie può essere espressa con queste parole : « Kant ritiene che detta definizione conduce ad un circolo vizioso senza vie d'uscita . In effetti, se si considera la verità come adeguazione della conoscenza con l'oggetto, la conoscenza sarà vera se coincide con l 'oggetto . Ma il confronto fra conoscenza e oggetto è possibile soltanto se quest'ultimo ci è noto . Si può quindi concludere che possiamo giudicare soltanto se la nostra cono­ scenza dell 'oggetto coincide con la nostra conoscenza dell'ogget­ to » 33. ·

Più avanti vedremo come questo tipo di critica implichi una petizione di principio . Per adesso ci basta sottolineare che , secondo

trat ta, pertanto, di una dimensione reale; ma di una dimensione intenziona­ le, che si riferisce essenzialmente alla realtà propria delle cose. Nella realtà, l'oggetto si identifica con la cosa conosciuta, ma intenzionalmente si distingue da questa, poiché è la presenza (sempre parziale e limitata) al soggetto conoscente , di tale cosa reale » A. Llano , Para una An tropologia de la objetividad, cit . , p. 9 5 . 30 � questa, in gran parte, la posizione d i N . Hartmann , Grundzilge einer !vletaphysik der Erkenntnis, Walter de Gruyter, Berlin 1 949, IV ediz . 3 1 Ho qui presente l 'eccellente libro di J . M. Palacios , El idealismo trascendental: Teoria de la verdad, G redos, Madrid 1 979, pp. 27 sgg. 32 l. Kan t, Logik, Ak., IX, 50. Cfr. Kritik der reinen Vernunft, A 58, B 82 . 33 J. M. Palacios , El idealismo trascendental, cit., p. 29.

29

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

la prospettiva metafisica realista, la cosa non può essere ridotta ad oggetto : se mai è vero il contrario. L 'oggetto della conoscenza , infatti , è l a cosa conosciuta nella sua realtà extra-mentale, cioè in quanto sussiste in se stessa; anche se di tale cosa non v'è cono­ scenza finché essa non sta nel conoscente, così come il colore della pietra può essere conosciuto soltanto attraverso la sua specie o forma presente nell 'occhio . Come rileva Gilson, « dire che ogni conoscenza è il coglimento della cosa così come essa è, non significa affatto che l'intelletto colga la cosa come essa è, ma che solamente quando così avviene vi è conoscenza . Ciò ancor meno significa che l'intelletto esaurisca con un solo atto il contenuto del proprio oggetto : ciò che la conoscenza coglie nell'oggetto è reale , ma i l reale è inesauribile e , anche quando se ne apprendessero tutti i particolari , rimarrebbe ancora da svelare il mistero della sua stessa esistenza » 34•

2 .3 . Ente e cosa La definizione classica, quindi , parla con piena consapevolezza di adeguazione con la « cosa ». Ma che significa il termine « co­ sa » ? « Non c'è nulla che si possa dire affermativamente e in modo assoluto di ciascun ente se non la sua essenza, grazie alla quale si dice cosa esso sia ; e così abbiamo il termine cosa, che, secondo Avicenna, differi sce dal termine en te, in quanto quest'ultimo si prende dall 'atto di essere , mentre la prima esprime la quiddità o essenza dell'ente 35 • Si dice « cosa » ciò che ha un essere compiuto e stabile nella natura 36• Tuttavia, poiché il termine « cosa » d esigna l 'ente in quanto ha un 'essenza reale, fa anche riferimento all 'atto di essere .

2 . 4 . L'essere come fondamento della verità L 'ente è internamente costituito da essenza e atto di essere, coprincipi trascendentali della realtà concreta. Sulla b ase di que­ sta dottrina metafisica , S . Tommaso afferma decisamente : « La

34 E . G ilson, Le réalisme méthodique, cit . , p . 9 7 . 35 D e Veritate, q. 1 , a . 1 . 36 In II Sent. , d . 3 7, q. 1 , a . 1 .

30

LA VERITÀ E LA CONO S C ENZA

verità si fonda sull'essere della cosa, più che sulla quiddità, co­ sì come il termine ens si impone a partire dall'esse » 37 • Attraverso questa tesi estremamente importante, S . Tommaso ci rivela il nucleo originale della p ropria gnoseologia, che porta con sé il superamento tanto di ogni immanentismo, quanto di ogni formalismo o logicismo . L'essere come atto (actus essendi) è il fondamento della verità. Il formalismo viene trasceso, poiché qual­ sivoglia forma, reale o conosciuta, trova il proprio ultimo fonda­ mento nell'atto di essere, il quale non è un contenuto formale, ma il puro atto attuante la totalità delle determinazioni. L'actus essen­ di non è posto dal soggetto, come pretende la tesi kantiana, che considera il pensare come fondamento dell'essere . Nemmeno si riduce alla effettività esistenziale, al semplice fatto, corrispondente , come caso particolare, a una struttura logico-formale, secondo la teoria della verità sostenuta dai neopositivisti . L'atto di essere costituisce il principio interno di autoposizione reale dell 'ente concreto, la radice della verità delle cose, la causa e l 'ultimo termine di riferimento della verità della conoscenza, poiché la verità si presenta nell 'operazione con la quale l 'intelligenza coglie l 'essere delle cose (esse rei) così com'è. In effetti , ogni conoscenza ha il suo termine nell'esistenza, nella realtà che partecipa dell 'essere . L 'esse rei è quindi la causa del giudizio vero che la mente formula sulla cosa 38 • Si potrebbe obiettare che di verità si parla anche nella logica e in altre discipline formali, nelle quali il riferimento alle cose reali non sembra presente . Tuttavia, le relazioni logiche (secun­ dae intentiones) sono enti di ragione cum fundamento in re : hanno cioè un fondamento nelle cose, anche se non immediato . Solo se, come avviene nelle correnti positiviste della filosofia contemporanea, si realizza una « logica senza metafisica » o un'analisi del linguaggio autosufficiente, la teoria della verità viene sospinta da inevitabili difficoltà in un vicolo cieco.

« Veritas fundatur in esse rei magis quam in quidditate sicut et nomen entis ab esse imponitur » . In l Sent., d. 1 9 , q. 5, a. l . Cfr. In l Sent., d. 33, q. l , a. l , ad l. 38 In Il Met, n. 298 ; In De Divinis Nominibus, c. 5 , n. 62 5 ; In Epistolam ad Colossenses, lect . 4.

37

31

F I LO SOFIA DELLA CONOS CENZA

2 .5 . La verità e I'ente La verità si fonda dunque sull 'ente (veritas supra ens funda­ tur ) 39• Il vero è una disposizione dell'ente, al quale però non

aggiunge nulla e del quale non esprime una modalità specifica (verum è un concetto trascendentale, non categoriale) ; esso invece manifesta qualcosa di comune a tutta la realtà e che non è espresso dal termine « ente » , cioè la relazione di convenienza con l 'intelletto . In quanto qualcosa ha entità, può essere conosciuto dall 'intelletto : la ragione di vero segue alla ragione di ente . Anche se l 'ente e il vero non differiscono realmente (nel loro significa­ to) , vanno distinti concettualmente ( nel loro senso) , dato che vi è qualcosa nella ragione di vero che non è compresa nella ragione di ente, pur non essendoci nulla nella ragione di ente che non si trovi anche nella ragione di vero . Il concetto di vero, quindi , non ha un 'estensione maggiore del concetto di ente : tutto ciò che è vero, è, in certo modo, ente ; e ciò anche quando il vero sia un ente di ragione, poiché anche questo è, sia pure solo con un essere intenzionale, un ente 40• « Ciò che immediatamente e con la massima evidenza sappi amo delle cose è che esse sono . Quella di ente è la prima nozione che il nos tro intelletto coglie : se ne esplicita la verità nel primo giudizio radicale e origi nario: questo è. Senza questa prima conoscenza , non conosceremmo nulla; e in essa si risolve, come in ciò che è più evidente , ogni altra conoscenza posteriore . Non vi sono nozioni più semplici e fondamentali : per questo è difficile spiegarne il significato ; e per questo anche non vi è nulla di più facile da capire » 41 • S . Tommaso sottolinea spesso il primato gnoseologico della nozione di ente : « L 'ente è la prima nozione che l 'intelletto concepisce , come ciò che è soprattutto intelligibile e nel quale ogni altra nozione si risolve » 42 • L'entità, di conseguenza , è più radicale della verità : l 'ente è conoscibile in quanto è ente , e non è ente perché è conoscibile 43 •

De Veritate, q. 1 0, a. 1 2 , ad 3 . Cfr. D e Veritate, q . 1 , a . 1 , ad 4, ad 5 , ad 6 , ad 7 . 41 C. Cardona, Metafisica d e la opci6n intelectual, Rialp, Madrid 1 973, I I

39

40

ediz. , p . 28. 42 De Veritate, q . 1 , a. 1 .

43 In De Generatione et Corruptione, I , lect. 8.

32

LA VERITÀ E LA CONO SCENZA

Una cosa è conoscibile in quanto è in atto; e come per l 'eccessiva luminosità non possiamo guardare in faccia il sole, così ciò che è maggiormente ricco di intelligibilità non può darsi pienamente a conoscere ad un intelletto lhnitato 44 • L'esempio della luce va qui ben oltre la metafora : « L'attualità di una cosa, dice S. Tommaso, è come una luce in essa » 45• L'attualità di un ente è il suo principio di realtà, ciò che lo fa emergere dal nulla e, quindi , manifestarsi . Per questo, quanto più una realtà è in atto, tanto più sarà luminosa e conoscibile . La verità, come adeguazione dell'intel­ letto con la cosa, propriamente non ammette gradazioni : o c'è o non c 'è. « Tuttavia, se si considera l 'essere della cosa, che è la ragione della veri tà, allora la disposizione delle cose nell'essere e nella verità è la stessa : pertanto ciò che è più ente, è più verità » 46• 2 .6 . L'origine della verità

La sorgente prima della verità è l 'essere . Le cose finite parteci­ pano dell'essere e, nella stessa misura, partecipano della verità. Non sono l 'essere, ma lo hanno in parte : nemmeno sono la verità , ma ne partecipano . Ogni ente creato è composto di potenza e atto , ed è tanto meno vero quanto più è potenziale. Soltanto l 'Atto Puro , l 'Essere sussistente, è la Verità piena e illimitata, causa ultima di tutte le verità . La ricerca della verità trova riposo solo nell'Essere per essenza . La verità è luce dell 'intelletto, e lo stesso Dio è la regola di ogni verità 47 • Per questo il linguaggio umano è illuminante a condizione che i concetti espressi abbiano in qualche modo relazione con la Verità prima . Infatti, nella nostra mente, due differenti principi stanno alla base dei concetti : Dio, che è la Verità prima, in quanto origine della verità di tutte le cose da lui create; e ] a volon tà di colui che conosce, dalla quale non deriva l'ordine della realtà . Il linguaggio, come manifestazione della struttura del reale, è insieme locuzione e illuminazione; se invece manifesta soltanto le

Cfr. Summa Theologiae, I , q. 1 2, a. l . De Causis, lect. 6, n . .1 68. 46 De Caritate, q. l , a. 9 , a d l. 47 Summa Theologiae, I , q . 1 07, a. 2 . 44

45 In

33

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

mie preferenze e i miei desideri , è unicamente locuzione. Quando, ad esempio, una persona afferma che « l'uomo è razionale » , dice il vero perché manifesta una realtà che si fonda , in ultimo termine , sulla Verità suprema , in quanto riferentesi alla struttura dell 'essere . Ma il linguaggio umano può a volte dipendere anche dalla volontà dell 'uomo, come nella frase « voglio fare questo o quello » 48 • In questo caso, la locuzione non fa di per sé riferimento alla Verità prima, dalla quale dipende che le cose siano come sono, ma alla volontà umana , dalla quale invece non dipende che le cose siano come sono, e che pertanto non è direttamente illuminatrice della realtà . Per questo motivo, le opinioni degli uomini non sono una fonte chiara di verità . « La ragione di tale diversità sta nel fatto che la volontà non è luce dell 'intelletto, né la regola di verità, ma partecipa della luce ; e pertanto il manifestare le cose che dipendo­ no dalla volontà creata, in quanto da questa dipendono, non è illuminare » 49• Per progredire nella conoscenza della verità, dob­ biamo sforzarci di cogliere meglio la realtà delle cose, e non semplicemente di informarci meglio intorno alle opinioni degli uni e degli altri : la semplice erudizione, la collezione di informa­ zioni, è ben lontana dall 'autentica sapienza . Quando si dimentica tale importante verità , occorre domandarsi : Where is the wisdon1 we have lost in knowledge ? Where is the knowledge we have lost in infonnation ?

50 •

S . Tommaso esprilne lo stesso concetto in una frase che merita un 'attenta riflessione : « Lo studio della filosofia non è ordinato alla conoscenza delle opinioni degli uomini, ma ad apprendere la verità delle cose » 5 1 •

48

Utilizzando i termini della filosofia analitica contemporanea, si può dire che la dimensione pragmatica sopraffà la dimensione semantica. 49 Summa Theologiae, I, q. 1 07 , a. 2. 50 T . S . Elio t, Choruses from « The Rock » (Dov'è l a sapienza l che abbiamo perso per seguire la conoscenza? l Dov'è la conoscenza l che abbiamo perso per seguire l'erudizione? 1). s t /n De Coelo et Mundo, I , lect. 22.

34

LA V ERITÀ E LA CONO SCENZA

3. La verità nella conoscenza

3 l .

.

Verità logica e verità antologica

Già sappiamo che la verità, formalmente considerata, consiste nell'adeguazione del soggetto conoscente con la cosa conosciuta . Si tratta ora di scoprire in quale operazione o momento conoscitivo essa si dà compiutamente .

Occorre premettere che la verità non è un 'adeguazione qualsiasi, ma è essenzialmente un 'adeguazione conosciuta . Ad esempio, tra la mia persona e la sua immagine riflessa in uno specchio non vi è conformità veritativa, poiché tale adeguazione è posseduta dallo specchio, ma non da esso conosciuta . In modo simile, io posso avere un 'immagine o un concetto adeguati a una cosa, ma si avrà verità propriamente detta soltanto se conosco l'adeguazione in quanto tale . Questa verità si definisce , in senso stretto , verità logica o formale. Con questo non si vuole dire ch'essa abbia luogo soltanto o preferentemente nell'ambito della « logica » ; ma piutto­ sto che è una verità corrispondente al logos , relativa, cioè, proprio alla conoscenza (e, più in concreto, alla conoscenza umana) . Dalla verità logica si distingue la verità antologica o materiale, la quale corrisponde a ciò che fino ad ora abbiamo chiamato verità delle cose o verità degli enti. Così , la « verità antologica è una proprietà dell 'ente , cioè qualcosa che ogni ente possiede in quanto , per il suo carattere entitativo, è intelligibile . La verità logica , quella propria della conoscenza, corrisponde invece ad una sola classe di enti tà, ovvero le intellezioni reali aventi per oggetto ciò che le cose sono » 52 • Nel paragrafo precedente abbiamo parlato soprattu tto della veri� tà antologica; mentre il problema sollevato adesso riguarda ]a ve­

rità logica.

3 . 2 . La verità logica non si dà nella conoscenza sensibile

La verità propriamente e formalmente considerata, cioè la « ve­ rità logica » , non si trova nella conoscenza sensibile. Ciò non significa che i nostri sensi ci ingannino, o che la sensazione non corrisponda alla cosa sensibilmente percepita , ma che l 'adeguazio52 A. Mi11an Puelles,

Fundamentos

de

Filosofia, ci t . ,

p. 458 .

35

F I LOSOFIA DELLA CONO S C ENZA

ne presente nei sensi non ha carattere veritativo, proprio perché non è conoscitivamente posseduta come tale . Possedere la verità equivale a conoscere l 'adeguazione; ebbene, i sensi non hanno modo di conoscerla, poiché, ad esempio, sebbene la vista abbia in sé una somiglianza di ciò che è visto, non conosce il rapporto esistente fra la cosa vista e ciò ch'essa percepisce 53 • In ogni sensazione vi è coscienza di sentire , ma, non essendo la potenza sensibile riflessiva , ciò non equivale a conoscere l 'adeguazione fra la cosa e ciò che di essa viene colto .

3 . 3 . La verità logica non si dà nella semplice apprensione

L'intelletto, invece , può conoscere la propria conformità con la cosa conosciuta . Tuttavia, tale adeguazione non viene colta al

livello della prima operazione della mente o « semplice apprensio­ ne » , con cui si conosce l 'essenza o quiddità della cosa, formando il concetto corrispondente . Già Aristotele, con la concisione che lo caratterizza, faceva notare : « Il vero e il falso non stanno nelle cose , ma nella mente ; tuttavia se si guarda all'apprensione del semplice o alla definizione , bisogna riconoscere che non stanno nemtneno nella mente » 54• La ragione che sostiene una tale affermazione è simile a q uella addotta nel caso delle sensazioni : l'adeguazione fra il concetto e ciò ch 'esso rappresenta non è conosciuta, in modo formale ed esplicito , dalla semplice operazione mentale che porta alla forma­ zi one e alla conoscenza del concetto . Se, ad esempio , penso al si gnificato del termine « rosso » , non v'è dubbio che nella mia mente esiste una conformazione attuale con l'oggetto di tale con­ cetto e , innanzi tutto , con la realtà da cui è stato astratto: nel nostro caso , la rosa che mi sta adesso davanti agli occhi . Avere il concetto di rosso, comunque, non equivale a conoscerne formal­ tn ente l 'adeguazione con una realtà quale può essere la rosa del nost1·o esempio 55 • Il con cetto è una specie rappresentativa semplice , non comples­ sa . Qua n do si comprende o si dice qualcosa di incomplesso , questo

53 Summa Theologiae, I, q. 1 6, a . 3 . 54 Aristotele, Metafisica, V, 4, 1 027b 25-28 , trad . cit ., p . 1 82 con variazioni. 55 A. Millan Puelles, Fundamentos de Filosofia, cit., p . 460.

36

LA VER I TÀ E LA CONOS C ENZA

di per sé non è né adeguato né inadeguato alla cosa, poiché l 'uguaglianza e la d ifferenza si dicono sempre fondandosi su una somiglianza, mentre l 'incomplesso o semplice non ha in sé alcuna similitudine o relazione con la cosa. Per questo, non si può dire che un concetto sia vero o falso; mentre tali proprietà sono attribuibili a ciò che è complesso, a ciò in cui viene designata la relazione del semplice alla cosa, grazie alla rappresentazione della composizione o della divisione 56• Ebbene , l 'intellezione semplice, nel conoscere ciò che una cosa è (quod quid est) , apprende l 'essenza della cosa confrontandola con la cosa stessa, dato che la coglie come quiddità di tale cosa determinata , e non di altre . Per questo, occorre precisare che , anche se il concetto non è di per sé vero o falso, l 'intelletto che apprende ciò che una cosa è, è di per sé sempre vero , pur potendo essere falso accidentalmente (infatti , per quanto un concetto possa essere in sé semplice, racchiude sempre una certa complessità di caratteristiche che pos­ sono non concordare fra loro) . In con clusione , nella conoscenza sensibile e nella semplice appren­ sione vi è adeguazione fra la potenza conoscitiva e la cosa. L'intelligenza conosce tale adeguazione in modo implicito nella semplice apprensione , e in modo esplicito nel giudizio . Passiamo ora allo studio di quest'ultimo .

3 .4 . La verità logica si dà nel giudizio Come la verità, formalmente considerata, si trova principalmente nell'in teJligenza e non nelle cose, così 'la si rinviene inn anzitutto nell'intelletto che giudica , allorché forma una proposizione, e non nell 'atto per cui l 'intelletto, elaborando concetti, conosce le essenze delle cose . In senso proprio , l 'intelletto può essere vero o falso solo quando giudica di una cosa conosciuta . Perciò, la verità si trova

primariamente nella composizione e divisione dell'intelletto, ovvero nel giudizio ; mentre secondariamente e con posteriorità si dice vero l'intelletto in quanto elabora i concetti 57 • La verità è la conformità del conoscente in atto con il conosciu­ to in atto . Nello stadio della semplice apprensione, quindi , l'intel-

56

57

Cfr. Contra Gentiles, lib . I, De Veritate, q. l, a. 3.

cap. 59.

37

F I LO S OFIA DE LLA CONO S C ENZA

letto non si trova ancora in atto rispetto alla compiuta conoscenza dell 'essere della cosa. Tale completa attualizzazione avviene soltan­ to nel giudizio . Come ha insegnato Hoenen, la differenza fra queste due operazioni della mente consiste, in tale prospettiva, in ciò : « durante l 'apprensione lo spirito non sa ancora che il conte­ nuto della propria rappresentazione è conforme (o meno) alla realtà, alla res; quando giudica lo sa » 58• L 'intelletto, a differenza dei sensi, può conoscere la propria conformità con la cosa intellegibile ; ma non nel momento in cui coglie l 'essenza, bensì quando giudica che la cosa corrisponde realmente alla forma da esso appresa . Solo allora l 'intelletto cono­ sce e dice il vero , cioè compone e divide : nelle proposizioni , infatti , si attribuisce o si separa da una cosa, espressa dal soggetto, la forma espressa dal predicato 59• Nel giudizio appare qualcosa di nuovo e di decisivo : il riferi­ mento all'essere reale della cosa . (Riferimento che si dà anche , sia pure i n modo ind iretto o remoto, nei giudizi su entità fittizie) . La proposizione esprime un confronto fra ciò che è stato appreso e la cosa ; infatti si afferma (o si nega) che la cosa abbia realmente (nell 'ordine dell 'essere) quella forma che viene attribuita nel predi­ cato . Nel giudizio si ritorna sulla semplice apprensione, su ciò che era stato colto come qualcosa di unitario (per modum unius) in un 'apprensione sintetica , e se ne analizzano e distinguono gli aspe tti diversi con distinti concetti , che si cerca poi di sintetizzare in accordo con la composizione di soggetto e forma, presente nella cosa stessa . Il giud izio comporta la costituzione di una proposizione , il riconoscimento della convenienza dei termini in re, e l 'assenso. La forza assertiva ] ega il contenuto della proposizione alla realtà , conferendole rilievo veritativo . Il giudizio implica un « impegno antologico », una dichiarazione circa la realtà delle cose ; per principio , quindi , deve essere o vero o falso. Nella semplice apprensione, la mente umana possiede una somi­ glianza della cosa conosciuta, ma ancora non ne è consapevole ; mentre nel giudizio « non soltanto ha la similitudine della cosa, ma per di più riflette sulla similitudine stessa , conoscendola e formu-

58 A. Hoenen, La théorie du jugement d'après Analecta Gregoriana, Roma 1 953, 2a ediz., p. 9. 59 Summa Theologiae, I , q. 1 6 , a. 2.

38

St.

Thomas d'Aquin ,

LA VERITÀ E LA CONO S C ENZA

lando dei giudizi intorno ad essa » 60 • In tale giudizio che si riferisce ad una semplice apprensione, il conoscente ha acquistato una conoscenza completa del contenuto reale dell'apprensione ; ora sa che, in quel concetto, possedeva una similitudine della cosa : riconosce l 'adeguazione fra cosa e concetto, ed è consapevole di conoscere la cosa reale . Questa maggiore intensità di conoscenza è stata acquisita per mezzo di una riflessione sull 'atto nel quale si conosce un contenuto reale 61 •

3 . 5 . La dimensione riflessiva della verità

Pertanto, la teoria realista della verità non fa assegnamento soltanto sul modello di adeguazione, ma comprende anche una imprescindibile dimensione riflessiva implicita, essenziale per la verità formale e presente in ogni giudizio . Per cogliere la verità, non è pertanto necessario un ulteriore giudizio esplicitamente riflessivo (una specie di riflessione rappresentativa) sulla prima riflessione. Ad esempio , quando affermo che « questo foglio è bianco » , so di dire la verità, ed è superfluo costruire una specie di metaproposizione del tipo « è vero che il foglio è bianco » oppure « so che il foglio è bianco ». Se la verità di un giudizio si cogliesse soltanto in un altro giudizio riflessivo, si avrebbe un processo all'infinito, nel quale si perderebbe la verità e naturalmente la realtà delle cose . In molte versioni della filosofia trascendentale o critica avviene qualcosa di simile : si svolge un procedimento riflessivo reiterato che alla fine non porta a nulla. Gli antidoti positivisti di tale « girare a vuoto » della riflessione partono an­ ch'essi dall 'ignoranza di tale riflessività originaria 62• Queste due dimensioni essenziali della verità formale (o logica) , cioè adeguazione e riflessione , vengono perfettamente coniugate in uno splendido passaggio del De Veritate, la cui attenta lettura mostra la superficialità delle accuse di « realismo ingenuo » , che

60 «

In hac sola secunda operatione intellectus est veritas et falsitas, secundum quam non solum intellectus habet similitudinem rei intellectae, sed etiam super ipsam similitudinem reflectitur, cognoscendo et diiudicando ipsam » . In VI Met., lect. 4, n. 1 236. 6 1 Cfr. A . Hoenen, op. cit., p . 5. 62 A. Milh1n Puelles, La estructura de la subjetividad, Rialp, Madrid 1 967, pp . 346-363.

39

F I LO S OFIA DELLA CONO S C ENZA

molti lanciano su una teoria della quale ignorano la ricchezza. Il testo è il seguente : « La verità segue all 'operazione dell'intelletto, in quanto il giudizio di questo si riferisce alla cosa così come essa è: ma la verità è conosciuta dall'intelletto soltanto quando que­ st 'ultimo riflette sul proprio atto; e non unicamente in quanto l 'in­ telletto conosce il proprio atto, ma in quanto conosce l'adeguazione fra sé e la cosa; l 'adeguazione a sua volta non può essere conosciu­ ta se non si conosce la natura del proprio atto . D 'altra parte, quest'ultima non può essere conosciuta se non si conosce la natura del principio attivo , cioè il proprio intelletto, cui spetta per essenza di conformarsi alle cose . Quindi, l 'intelletto conosce la verità in quanto riflette su se stesso » 63 • Di con seguenza , la conoscenza vera , che si consegue compiuta­ mente nel giudizio, comporta che l 'intelletto ritorni su se stesso : implica cioè una reditio . Il fondamento metafisica di questa dottrina è addotto sempre da Tommaso d'Aquino : « La ragione di ciò sta nel fatto che le sostanze più perfette, come le intellettuali, ritornano sul­ la loro essenza con un ritorno completo (reditione completa) ; infat­ ti, per il fatto che conoscono qualcosa a loro esterno, escono in un certo modo da se stesse ; ma, in quanto sono consapevoli di conoscere , iniziano a ritornare su se stesse, poiché l 'atto di cono­ scenza è intermedio fra il conoscente e il conosciuto ; e tale ritorno viene realizzato in quanto conoscono la loro propria essenza » 64 • La verità si conosce attraverso questa riflessione presente in ogni giudi zio . L 'intelligenza ritorna su se stessa e, in tale reditio, riflette sul suo atto, non soltanto nel senso che ha coscienza di esso , ma anche nel senso che conosce la relazione fra l'atto conoscitivo e la cosa : il che impl ica la conoscenza della natura dell'intelletto e dello stesso conoscere , la quale consiste nel conformarsi alle cose . Questa teoria della verità è perfettamente in armonia con una concezione antropologica nella quale si sostiene che, parlando con proprietà, non sono l'intelletto e il senso a conoscere, ma l'uomo attraverso di essi 65 • In effetti, la conoscenza della corri­ spondenza delle nostre idee alla cosa, rinvenibile nel giudizio, è possibile soltanto se si ha una certa conoscenza intellettuale

63

64 65

De Veritate, Ibid.

q. 1 , a. 9 .

« Non enim, proprie loquendo, sensus aut intellectus cognoscit, sed homo per utrumque ». De Veritate, q. 2, a. 6, ad 3.

40

LA VERITÀ E LA CONO S CENZA

delle cose singolari e, quindi, se vi è continuità (continuatio) fra conoscenza intellettuale e conoscenza sensibile . Ciò non vuoi dire che il giudizio debba necessariamente venire verificato (o « falsificato ») sensibilmente, nel senso mo­ derno di verifica sperimentale. (Come si vedrà più avanti, il modello verificazionista esclude l 'ammissione della verità come valore gnoseologico primario) . L'esperienza sensibile, nel senso delle moderne scienze « positive » , non è la percezione completa (sensibile-intellettuale) della cosa singolare, ma l 'accumulazione di dati che corrispondono a sensazioni isolate, in un certo modo astratte. Tramite il ragionamento si ottengono molti giudizi singolari non sperimentabili . In tali casi non possiamo avere una sensazione della realtà cui si arriva, a motivo sia della poca potenza dei sensi umani, sia perché si può avere a che fare con realtà spirituali, come avviene nella dimostrazione dell'esistenza di Dio. È possibile , in ogni caso, giungere alla conoscenza di realtà incorporee, anche se non se ne ha esperienza; infatti, possiamo ricorrere all 'esperienza delle realtà corporee, dalle quali abbiamo preso le mosse per conoscerle.

3 .6 . Adeguazione e riflessione nelle teorie contemporanee sulla verità Facciamo notare , infine, che la filosofia contemporanea - nella quale si assiste a un rinnovato interesse per il tema della verità non sempre è riuscita ad armonizzare la d imensione dell'adegua­ zione con quella di riflessione . Anzi, spesso uno dei due aspetti essenziali della verità è stato dimenticato, con la conseguente assolutizzazione dell 'altro . Ma, una singola dimensione non può sussistere separata dall'altra , in quanto è dalla loro sintesi che sorge la nozione di verità . Come abbiamo appena visto, nella gnoseologia classica il model­ lo di riflessione si fonda sul modello di adeguazione : l 'adeguazio­ ne, infatti , avviene formalmente in quell'atto di conoscenza - il giudizio - in cui l 'intelletto si confronta riflessivamente con la realtà conosciuta. La filosofia logico-linguistica e l'ermeneutica esistenziale o dia­ lettica, invece, non sono quasi mai riuscite a coniugare il modello di riflessione con quello di adeguazione 66• Ad esempio, il positi66 Cfr. F. Inciarte, El problema de la verdad en la filosofia actual y en « Veritas et Sapientia », EUNSA, Pamplona 1 975, pp. 4 1 -60 .

Santo Tomas, in

41

F I LOS OFIA DELLA CONO S CENZA

vismo logico ha estrapolato il modello di corrispondenza escluden­ do gli aspetti riflessivi . Per reazione, l 'analisi del linguaggio ordi­ nario e l 'ermeneutica hanno sottolineato la dimensione riflessiva e pragmatica, con il rischio di dissolvere la verità come adeguazione . (La petizione di principio che ne risulta appare anche nelle pro­ poste di concepire la verità come coerenza) . Questa oscillazione tra il positivismo scientista e il soggettivismo antropocentrico è una delle più evidenti caratteristiche dell'attuale momento culturale . Ciò che viene perso di vista da entrambe le prospettive è la capacità che ha l 'uomo di conoscere la verità oggettiva in tutta la sua ampiezza 67 • Con una metafisica inesistente o insufficiente , è impossibile cogliere il rapporto armonico fra conoscenza ed essere . Spesso alla base di alcune concezioni gnoseo­ logiche che dissolvono la stessa conoscenza, sta una visione ridut­ tiva dell 'essere . Il recupero del valore di certe nozioni ontologiche e gnoseologiche - soprattutto da parte di alcuni settori della fenomenologia e dell 'analisi del linguaggio -, annuncia un nuovo e promettente approfondimento del vecchio problema della verità , nel quale vengano accolte tutte le sue dimensioni essenziali.

67 Questa capacità è stata rivendicata di recente da J. Seifert in

objektiver Wahrheit, cit. 42

Erkenntn is

Capitolo Terzo CERTEZZA ED EVIDENZA

Esaminiamo adesso i diversi stati della mente rispetto alla verità , cioè l'aspetto soggettivo dell 'apprensione conoscitiva dell 'essere .

Forza assertiva e contenuto proposizionale Nel capitolo precedente , abbi amo visto che la verità si presenta in senso proprio e compiuto nel giudizio. Ora, una delle dimensioni essenziali del giudizio è l'assenso : allorché si formula un giudizio, la mente aderisce alla proposizione nella quale il giudizio si esprime . Uno stesso contenuto proposizionale può avere una diffe­ rente forza assertiva, come avviene nelle seguenti frasi : « hai superato l 'esame ! »; « hai superato l 'esame ? » ; « credo che tu abbia superato l'esame » ; « magari tu avessi superato l'esame ! » ; ecc } . Come ricorda San Tommaso, « bisogna considerare due atti della ragione : uno , per il quale si apprende la veri tà intorno a qualcosa ( . . . ) ; e l 'altro è l'atto per il quale la ragione assente a quanto ha appreso » 2 • L 'assenso rientra nella dimensione riflessiva della verità . Esso a volte è inevitabile : così avviene quando la proposizione è evidente , come nel caso dei primi principi . Ma vi sono altri casi in cui la

1 La distinzione fra fo rza asser tiva e con tenuto proposizionale come parti costi tu tive del significato è stata esaminata dettagliatamente da alcuni filosofi analitici contemporanei . Era già stata proposta da G. Frege nel suo primo lavoro : cfr. Begriffsschrift, Halle a.S., 1 879 ( rie d i to Darmstadt 1 964) . Si può considerare questa distinzione analitica come la versione linguistica della distinzione classica, la quale è però più ampia. 2 Summa Theologiae, 1-11, q. 17, a. 6.

43

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

proposizione non è in sé evidente, poiché la relazione fra soggetto e predicato non appare in modo chiaro : in tale caso l'assenso può essere dato, rifiutato o almeno sospeso 3• Da questi diversi modi in cui l 'assenso può porsi di fronte al contenuto proposizionale , derivano direttamente i diversi stati della mente in rapporto alla verità: la certezza, il dubbio, l'opinione, e la fede. Si ha invece l 'errore quando si assente ad una proposizione non conforme alla realtà.

t

.

La certezza

La certezza è lo stato della mente che aderisce fermamente e senza alcuna esitazione ad una verità. I nnanzi tutto, la certezza è un fenomeno soggettivo , una disposizione dell 'intelligenza nella quale si formula un giudizio in modo perentorio, dopo aver escluso il dubbio che l 'affermazione contraria a quella accolta sia vera . In secon do luogo, per analogia di attribuzione , può dirsi « certezza » anche l 'evidenza obiettiva che fonda la certezza come stato psico­ logico . È per questo che , quando un fatto è evidente, lo diciamo « certo » ; mentre un'affermazione il cui contenuto generalmente non si re alizza, viene definita « incerta » .

1 . 1 . Certezza ed evidenza

L 'evidenza è la presenza di una realtà che si dà in modo chiaro e inequivocabile : il fatto per cui il conosciuto è di fronte al conoscente nella propria realtà, cioè che si fa presente la realtà stessa. In tal modo, la certezza è, per dirla con Husserl, « l'espe­ rienza vissuta dell 'evidenza » (Evidenzerlebnis) 4 • L'evidenza costi­ tuisce l 'unico fondamento sufficiente della certezza (eccettuato, co­ me si vedrà, il caso della fede) . Come la verità si basa sull 'essere del­ la cos a, così la coscienza di possedere la verità si basa sulla manife­ stazione obiettiva della realtà . Il voler porre un p resunto fonda­ mento soggettivo della certezza, conduce in un circolo vizioso,

3 Cfr. J. De Tonquedec, La critique de la connaissance, Lethielleux, Paris 1 96 1 , 3a ediz., p. 196. 4 Cfr. A . Millan Puelles, La estructura de la subjetividad, cit., p . 29.

44

CERTEZZA ED EVIDENZA

come avviene, ad esempio, per il criterio cartesiano della chiarezza e distinzione delle idee.

1 .2 . Certezza e verità

Da quanto si è detto si deduce che la certezza non si identifica con la verità, anche se si tratta di due nozioni strettamente connesse. Mentre la verità è la conformità dell'intelletto con la cosa, la certezza è uno s tato dello spirito che, in condizioni normali , deriva dal trovarsi nella verità, cioè dal sapere. La certezza è una condizione del soggetto, una sicurezza , e, pertanto, in essa possono intervenire diversi fattori : ad esempio, la volontà libera può comandare l 'assenso o il dissenso nei confronti di verità che non sono di per sé evidenti . Ciò spiega come, a volte, possiamo essere soggettivamente convinti di cose false . Tuttavia, sarebbe improprio denominare questo tipo di persuasione « certez­ za », poiché l 'essere certi, in senso proprio, ha un fondamento obiettivo, nel quale manca l'adesione, per quanto decisa , al falso, cioè all'errore : si tratterebbe, semmai, di una certezza del tutto

soggettiva. Pertanto , diciamo che vi è propriamente certezza quando l 'intel­ letto aderisce ad una proposizione vera . I n alcuni casi l 'intelletto è mosso all 'assenso in modo immediato dall 'oggetto intelligibile . Ciò avviene, come si sa, nel caso dell 'intellezione di primi principi, i quali richiedono all'intelletto un'adesione ferma e incondizionata 5• In questi casi, l 'assentire o il dissentire sono talmente spontanei che , almeno inizialmente, sfuggono al nostro controllo 6 • Una tale certezza proviene dall'evidenza obiettiva : sgorga immediatamente e senza il bisogno di discorrere sulla maggiore o minore evidenza delle cose che, per attribuzione, definiamo anche « certe » 7 • Il principio di non-contraddizione - l 'ente non è il non-ente - è la prima verità che sorge dalla nostra conoscenza della realtà : è la conoscenza umana più certa, e causa della certezza delle altre conoscenze, le quali vengono da essa illuminate 8 •

5 De Veritate, q. 14, a. 1 . 6 Cfr. Summa Theologiae, 1-1 1 , q. 1 7 , a . 6. 7 Cfr. In III Sent., d. 23, q. 2, a. 2, sol. 8 In Post. Analyt., Il, lect. 20.

3.

45

F I LOSOF I A DELLA CONO SCENZA

Una simile certezza derivata immediatamente dall'oggetto non si dà soltanto nel caso dei primi principi, ma anche, in altra fonna, allorché constatiamo sperimentalmente un fatto con i sensi , il quale, pertanto, viene conosciuto anche immediatamente dall'intel­ ligenza 9• Inoltre, anche i primi principi non sono innati , bensì derivano per induzione (epagoghé) da queste certezze sensibili . Come dice Aristotele , essi non procedono in modo deduttivo da al tre conoscenze intellettuali più universali e conosciute : derivano so l t an t o dalla sensazione 10 •

1 . 3 . Evidenza quoad se ed evidenza quoad nos

Le certezze che procedono immediatamente dall 'oggetto cono­ sciuto, si hanno nelle proposizioni in cui il predicato è incluso nel soggetto , e in molti giudizi di esperienza : si tratta di proposizioni evidenti di per sé (per se notae) . In effetti , si dice « evidente » ogni enunciato nel quale , non appena si comprende il significato dei termini, si coglie la validità della proposizione. Ad esempio, sapendo ciò che i termini « tutto » e « parte » significano, imme­ diatamente si comprende che il tutto è maggiore di ciascuna delle sue parti . Conviene, però, fare una distinzione fra ciò che è evidente di per sé (per se notum quoad se) e ciò che è evidente per noi (per se notum quoad nos) 1 1 • Una notevole importanza metafisica riveste l 'applicazione di questa distinzione alla proposizione « Dio esi­ ste » : in sé stessa (quoad se) essa è evidente, poiché il predicato si identifica col soggetto, essendo Dio il suo stesso essere; ma rispetto a noi (quoad nos) , che non sappiamo cosa sia Dio , e che non abbiamo una conoscenza chiara della sua essenza, essa non è affat to evidente . L 'esistenza di Dio, pertanto, deve essere dimostra­ ta a partire da realtà a noi più evidenti, anche se per loro natura

Sent., d. 14, q . l , a. 3, sol . S . Aristotele, In Post Analyt., I I , 1 9, 100a 10-1 4. 11 M. D ummett ha recentemente sottolineato l'importanza di questa distin­ zione tomista. Egli la mette in relazione, credo giustamente, alla distinzione fra necessità reale e necessità epistemologica : l'enunciato « Dio esiste » è necessario ontologicamente ma non epistemologicamente. Cfr. Frege, Philo­ sophy of Language, cit ., pp. 1 1 7- 1 20. 9 10

In III

46

CERTEZZA ED EVI DENZA

lo siano meno , a partire cioè dai suoi effetti 12 • Si tratta quindi di un 'evidenza mediata, ottenuta per via dimostrativa . Tale tipo di evidenza, l'immediata, si impone di per sé e forza in un certo modo l 'intelletto all'assenso. Tuttavia, può succedere che l'uomo , in quanto dotato di libertà, non esiti a resistere a tale immediata manifestazione ; può decidere di sospendere il giudizio, può cioè dubitare perfino dei primi principi dell'intelletto e delle evidenze sensibili; l'uomo ha quindi la possibilità di proporsi di dubitare di tutto . È questo il tentativo cartesiano, il cui dubbio metodico aspira a divenire universale e, naturalmente, deve essere frutto di una libera decisione : si vuole dubitare di tutto . Che poi un tale dubbio universale possa mai realizzarsi è tutt'altro problema.

Sottolineamo, poi , che le cose sono tanto più evidenti e cono­ scibili in sé stesse quanto meno potenziali e più attuali siano; vale a dire quanto più intensamente posseggano l'atto di essere, che è come una certa luce delle cose stesse 13 • (Sebbene la luce troppo intensa renda impotente il nostro sguardo, e ci risultino più evidenti cose che di per sé lo sono meno) . Il procedere discorsivo della filosofia consiste proprio in questo progresso della nostra conoscenza la quale , partendo da ciò che è evidente quoad nos, perviene a ciò che è più evidente quoad se.

1 .4 . L'evidenza mediata

Vi sono casi in cui l'assenso della mente è richiesto da un oggetto che non è conosciuto di per se stesso, in modo immediato, ma per mezzo di altro (per aliud notum) . � ciò che avviene con le conclusioni della scienza 14• Accade, allora , che la certezza di cui

12

13

Summa Theologiae, I, q. 2, a. «

l.

lpsa actualitas rei est quoddam lumen ipsius » . In De Causis, prop. 6, n. 1 68. 14 De Veritate, q. 14, a. l ; Summa Theologiae, 1 1-1 1 , q. l, a. 4 . « Naturalmen­ te, la conoscenza delle verità immediate è la causa della conoscenza delle verità per aliud notae, poiché ciò che è per aliud deve avere come principio ciò che è in sé, altrimenti vi sarebbe una catena infinita di conoscenze causate da altre. Il principio della scienza non si trova al termine di una linea infinita, né si dissolve in un circolo di dimostrazioni reciproche (. .. ) , m a s i riporta alla sicura conoscenza dell'ente, delle verità evidenti intorno

47

F I LO S O F I A DE LLA CONO S C ENZA

gode l 'intelligenza derivi dal fatto che la conclusione si risolve, per mezzo del ragionamento, in alcune premesse già conosciute (o perché sono evidenti di per sé stesse, o perché sono state a loro volta dimostrate) . È questo il caso delle conclusioni metafisiche meno immediate, dei teoremi matematici e di molte affermazioni delle scienze della natura e dell 'uomo : l 'evidenza oggettiva, propria 15 della stessa verità che si manifesta • Non si tratta di un'evidenza per se e immediata, ma di un 'evidenza che si fonda su altre conoscenze , per le quali deve venire considerata mediata.

1 . 5 . Gradualità della certezza È chiaro che in quest'ambito di conclusioni la certezza può essere più o meno grande . Già Aristotele ricordava che « non 1 dobbiamo cercare lo stesso grado di certezza in tutte le cose » 6 • Sarebbe assurdo, infatti , pretendere che i discorsi di un politico procedes sero mediante dimostrazioni matematiche, o che il geome­ tra si affidasse all 'arte del persuadere . Il tipo di certezza dipende dalla materia che si studia . Sicché, « in materie contingenti con1e i fatti fisici e le azioni umane è sufficiente la certezza che un evento si realizzi nella maggior parte dei casi , sebbene poche voi te non si dia » 17 • -

all'ente, e dei suoi generi. La certezza delle dimostrazioni non è altro che una certezza partecipata, causata dalla certezza più profonda circa la conoscenza dei principi » . J. J . Sanguineti, La filosofia de la ciencia segun San to Tomas , EUNSA, Pamplona 1 977, pp. 286-287 . . 15 « La conoscenza della verità di un giudizio si può dare soltanto in questo medesimo giudizio e non in un altro. Ciò non vuoi dire che ogni giudizio sia immediatamente conosciuto come vero, anche se ve ne sono alcuni così caratterizzat i , anzi è indispensabile che ve ne siano affinché possa esserci dimostrazione. Tuttavia, il giudizio mediato o dimostrato non è qualcosa la cui verità sia conosciuta nella formulazione di un altro giudizio, ma in esso stesso in quanto dimostrato. È la dimostrazione che lo fa conoscere come vero, ma realizza tale compito proprio 'facendolo formulare', imponendo la sua esecuzione, ed in questa, a titolo di obbligazione - come preteso o i:mposto da essa - dove si conosce la verità del giudizio mediato » . A . Milhin Puelles , La estructura de la subjetividad, cit., p p . 350-35 1 . 16 Aristotele, Etica a Nicomaco, I , 1 09 4b 1 3 . 17 Swnma Theologiae, 1-1 1 , q . 96, a . l , a d 3 .

48

CERTEZZA ED EVIDENZA

È caratteristico dell 'interpretazione razionalista della scienza esigere lo stes�o grado di certezza - completo - per ogni tipo di sapere . Si persegue l'ideale di un sapere onnicomprensivo, basato su di un metodo unico sul quale si fonderebbe ogni certezza. Per i razionalisti, il campo delle conoscenze certe sarebbe del tutto separato dal campo del dubitabile : vengono nettamente delimitati dalla frontiera costituita dall'applicazione del metodo scientifico. La filosofia classica, invece, ammette diversi metodi scientifici , adeguati ai diversi tipi di oggetti studiati. Essa non pretende , quindi, di ottenere lo stesso tipo di certezza nelle diverse scienze . Sottolinea, anzi, che in molti settori non regna la « chiarezza e distinzione » di un'evidenza puramente form.ale , è bensì necessario muoversi in un « chiaro­ scuro intellettuale », che si tenta di illuminare progressivamen­ te ; comunque, riconoscendo i limiti dell'intelligenza umana e senza far coincidere arbitrariamente questi limiti con quelli della scienza, concepita in senso unilaterale e univoco .

Nei fenomeni fisici, la contingenza cui sopra abbiamo accennato proviene dalla materia, che è principio di individuazione numerica e fa sì che non vi possano essere eventi fisici esattamente uguali . Inoltre , in ogni fenomeno naturale intervengono molte cause varia­ bili e non ben conosciute . Per questo spesso le scienze del mondo fisico hanno, accanto ad affermazioni sicure , ipotesi, tesi probabili o semplici opinioni . L'incertezza deriva dalla trasformabilità della materia sensibile 1 8 • Non tutto in natura avviene necessariamente 19 • Contro il deter­ minismo fisico, occorre riconoscere nel mondo naturale ampi mar­ gini di accidentalità e di indeterminazione , che impediscono di prevedere la totalità degli eventi futuri 20• Tuttavia, nelle conoscen­ ze fisiche vi è anche vera certezza, poiché non esiste alcuna realtà, per quanto contingente, che non abbia in sé una qualche necessi­ tà 2 1 , di contro a quanto sostiene il contingentismo assoluto dei nominali sti e di alcune recenti teorie indeterministe . È importante non identificare le nozioni di analitico , a priori e necessario, come invece è stato fatto fino a non molto tempo fa nella filosofia

18

In Post. Analyt., l, c. 41. 19 Cfr. Aristotele, Metafisica, V I , 3 . 20 A questo riguardo è interessante i l lavoro di R. Sorabji, Necessity, Cau­ se and Blame. Perspectives on Aristotle's Theory, Duckworth, London 1980. 21 Summa Theologiae, l, q. 86. 49

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

postkantiana. Tenendo tali nozioni distinte , infatti, non si preclude il riconoscimento di una necessità a posteriori, che è proprio quella posseduta, in modo diverso, dalle essenze delle cose naturali 22• Nelle scienze umane si è soliti parlare di « certezza morale » , poiché entra i n gioco l a libertà , che non è semplice contingenza. I n effetti , i fenomeni tipicamente umani non sono sottomessi alla necessità fisica, ma nemmeno costituiscono un campo dove regna l 'irrazionalità o il puro arbitrio . La libertà umana non è una semplice velleità, ma possiede una logica interna studiata dall'etica . Ai nostri giorni, assistiamo ad un promettente movimento di riabilitazione della filosofia pratica 23 , nel quale vengono utilizzati dei metodi adeguati per ottenere certezze anche nei molteplici amb iti della prassi umana.

2. Il dubbio

Il dubbio è quello stato psicologico in cui l'intelletto oscilla fra l 'affermazione e la negazione di una proposizione determinata, senza propendere verso l'uno o l'altro lato dell'alternativa . Si suole distinguere il dubbio positivo da quello negativo . In quest'ultimo, la mente non ammette alcuna delle due tesi contrapposte , per mancanza di motivi sufficienti : non vi sono ragioni concludenti a sostegno dell 'una o dell 'altra . Nel dubbio positivo, invece , le ragioni a favore di un estremo dell 'alternativa o a favore dell 'altro sembrano avere uguale peso. Il dubbio presuppone un sia pur debole barlume di verità . « Quando dubitiamo non prendiamo come vero ciò che è falso, né siamo del tutto privi di ogni notizia sulla verità . Questa è presente al nostro intelletto ; ma non come verità , dato che in tal caso non dubiteremmo, ma come una delle parti di u n'operazione contrad­ dittoria , rispetto alla quale, però , non sappiamo se prestarvi credi­ to » 24. Nel dubbio si dà una sospensione del giudizio, che è convenien-

2 2 C fr. S. Kripke , Naming and Necessity, H arvard University Press, Cam­ bridge (Mass .) 1 980, pp . 34-38. 23 M . Riedel (Edit.) , Rehabilitierung der praktischen Philosophie, cit. 24 A . M il hi n Puelles, Fundamentos de Filosofia, cit., p . 462 .

50

CERT EZZA ED EVIDENZA

te mantenere se non v'è l'evidenza che il problema in questione richiede . Diverso è l'atteggiamento di colui che domanda, poiché questi manifesta piuttosto di non sapere 25• Lievemente differente dal dubbio è la congettura 26 , la quale non è ancora un giudizio, ma la tendenza a dare un giudizio, motivata da qualche segno, e tuttavia troppo debole per determinare l'atto dell 'intelletto 27 •

2 . 1 . Valore gnoseologico del dubbio

Gli scettici e i criticisti di tutti i tempi , ma soprattutto i moderni , hanno presentato il dubbio come lo stato dello spirito proprio del saggio : il dubbio sarebbe la via per as sicurare le poche certezze che l 'uomo può raggiungere . Ora, di per sé il dubbio è uno stato potenziale e, pertanto, imperfetto; è una situazione di inquietudine, dalla quale la mente tende naturalmente ad uscire , per trovare l a quiete nella verità . Il criticista , invece, indugia nel dubbio perché ritiene di non poter accertare alcuna certezza che non sia stata stabilmente costituita da lui stesso, a partire da uno stato di non-certezza .

2 .2 . Impossibilità del dubbio universale

Concretamente, il criticismo cartesiano pretende di pervenire ad un elenco sicuro e sistema tico di certezze , a partire dal dubbio universale , stabilito metodicamente e in seguito a un atto di

25

La domanda occupa un posto rilevante nella metodologia filosofica classica, di radicale ispirazione socratica. Una posizione diversa acquista nell 'ermeneutica esistenziale di M. Heidegger, la quale inizia proprio con lo studio della domanda che si interroga sull'essere (Essere e Tempo, Introdu­ zione) . alcune correnti dell'attuale filosofia della scienza , il concetto di 26 In congettura ha una speciale importanza : « The way in which knowledge progresses, and especially our scientific knowledge, is by unjustified (and unjustifiable) anticipations, by guesses , by tentative solutions to our pro­ blems, by conjectures. These conjectures are controlled by criticism; that is, by attempted refutations, which include severely criticai tests » . K. R. Popper, Conjectures and Refutations. The Growth of Scientific Knowledge, London 1 965, 2a ediz ., p. VI I . Cfr. M. Artigas, Karl Popper: Busqueda sin término, Madrid 198 1 . 27 Summa Theologiae, 1 1-1 1 , q . 2 , a . l .

51

F I LO S OF I A DELLA CONO S C ENZA

volontà del soggetto pensante . Ma il dubbio universale è semplice­ mente impossibile, poiché vi sono delle conoscenze indubitabili dalle quali non si può prescindere, nemmeno quando ci si impegni a dubitare di tutto. In effetti, « chi afferma che bisogna dubitare di tutto formula già un giudizio, che rappresenta la sua stessa tesi ed è già un'eccezione a ciò che con essa si pensa, dato che se si dubitasse di tutto non si potrebbe affermare nulla : nemmeno la tesi secondo la quale tutto deve essere oggetto di dubbio . Non è possibile, poi, pretendere di sostenere tale tesi presentandola come semplicemente probabile, poiché anche la probabilità deve avere un fondamento certo . Neppure ha senso affermare come dubbio che tutto sia dubbio, dal momento che questa affermazione e tutte le altre che in modo indefinito le si aggiungessero per aumentare il dubbio, sarebbero delle eccezioni alla universalità di questo . Chi dice di avere un dubbio sa già qualcosa : sa di dubitare, poiché, se non lo sapesse, nemmeno potrebbe affermarlo . La stessa coscienza del dubbio è già una conoscenza certa » 28 • La coscienza di dubitare - come anche quella di agire libera­ mente è coscienza pura : è un fatto immediato di coscienza nel quale, come sottolineava Sant 'Agostino , non è possibile errare . I n s e stessa, l a cogitatio è infallibile, poiché l'esperienza vissuta della soggettività è immanente, non implica il passaggio a qualcosa di distinto dalla coscienza dove , date le prevenzioni del criticista, vi potrebbe essere il rischio dell 'errore . Se si negasse tale infallibilità , si negherebbe la possibilità di qualsiasi conoscenza. Rispetto ai facta interni , di pura coscienza, non vi è possibilità di errore (in quanto sono soltanto fatti di coscienza) . Alla luce di queste elementari considerazioni, ci si rende conto che il dubbio universale è strutturalmente impraticabile, dato che implica la propria negazione . Da una prospettiva più ampia, si potrebbe anche addurre l 'incontrovertibile evidenza dei primi prin­ cipi e dell 'esperienza sensibile . I nsomma, quello del dubbio univer­ sale è un cammino impercorribile 29 • -

28 A.

IV1illa n Puelles, Fundamentos de Filosofia, cit ., p. 464 ; c fr. dello stesso A u tore , Econom ia y libertad, Fondo para la I nvestigaci6n Economi­ ca y Social , Madrid 1 974, pp. 1 62- 1 63 .

29 « Dovremo adottare i l programma cartesiano d i tentare d i raggiungere

uno stato di incertezza, di sospensione del giudizio, che riguarderebbe ogni tipo di problema - o, almeno, tutti i campi nei quali sappiamo per esperienza di esserci già sbagliati - fino a che, alla fine, arriveremo a delle proposizioni delle quali non possiamo dubitare? Di fatto, per un pensatore

52

CERTEZZA ED EVIDENZA

3. L'opinione A volte l 'intelletto propende per una fra due tesi contraddittorie piuttosto che per un'altra. Tuttavia, le ragioni addotte non sono sufficientemente forti per determinare una decisa presa di posizio­ ne in loro favore . In un simile contesto, la mente assente a una delle tesi, ma con il sospetto che possa essere vera quella opposta . È questa la situazione di chi opina : l'assenso alla verità di una

parte della contraddizione, con il timore che la verità stia nella parte opposta 30 • Nel caso dell'opinione, l'intelletto non dà il pieno

assenso che caratterizza la certezza , poiché l 'oggetto conosciuto non si impone ineluttabilmente . Ciò che porta l 'intelletto a pro­ nunciarsi in un senso piuttosto che in un altro è una scelta della volontà che orienta ad una delle parti 31 • Pertanto, è proprio dell 'opinione un assenso non fermo , contra­ riamente a quanto avviene per l 'assenso scientifico . È quindi impossibile la concomitanza di scienza e opinione sullo s tesso argomento valutato da un medesimo punto di vista . La scienza, per sua natura, giudica impossibile che ciò ch'essa conosce stia in modo diverso da come essa vede, mentre l 'opinione ammette la possibilità che il p roprio giudizio sia falso 32•

è impossibile seguire un tale programma ; un attento lettore delle Medita­ zioni può trovare molti luoghi nei quali Cartesio assume senza vacillare tesi di cui avrebbe fatto bene a dubitare : meglio che dubitare di cose di cui di fatto egli dubitò. Cartesio era ossessionato da una metafora architettonica : la casa della conoscenza, nella quale viviamo, è cadente e instabile, per cui dobbiamo abbatterla - vivendo nel frattempo una specie di morale « provvisoria » e scavare fino a trovare una base rocciosa su cui costruire con sicurezza. Ma il filosofo austriaco Otto Neurath ha trovato una migliore metafora della situazione umana : siamo come marinai su una barca che fa acqua, e dobbiamo sostituire le assi marce con altre in buono stato mentre la navigazione continua; non possiamo portare l 'imbarcazione sulla terra ferma e ricostruirla totalmente » . P. Geach, Reason and A rgu­ ment, Univ. Calif. Press, Berkeley-Los Angeles 1 97 6 , pp . 1 2- 1 3 . 30 D e Veritate, q. 14, a. 1 . 3 1 Summa Theologiae, 1 1-11, q. 1 , a. 4 . 32 Summa Theologiae, 1 1-11, q. 1 , a. 5 , ad 4 . -

53

F I LO S O F I A DE LLA CONOS CENZA

3 . l . Opinione e certezza

Nella pratica è importante distinguere tra opinione e certezza : è ingiustificabile sia il ritenere certo ciò che è opinabile, sia, vicever­ sa, opinabile ciò che è certo. Si può prendere il certo per opinabile se, per una verifica insufficiente, non si conoscono in modo adeguato le ragioni sulle ,quali si fonda tale certezza. Tuttavia, un 'opinione può essere sostenuta con tanta forza da trasformarsi ingiustamente in certezza : si avrà allora una certezza meramente soggettiva fondata sulla ferma decisione di una volontà poco ragionevole. Avere criterio significa, soprattutto, sapere distinguere le diverse situazioni nelle quali la mente si trova in ogni momento rispetto alla verità delle cose . Non bisogna dimenticare che la volontà interviene a favore di un 'opinione poiché la giudica vero­ simile o come un bene ; se questo avviene senza fondamento, confondiamo i nos tri desi deri con la realtà alla quale bisogna attenersi .

3 .2 . O p in ione e contingenza

Di per sé l'opinione è un giudizio relativo al contingente, czoe ciò che può essere e non essere. Poiché non tutto è contingente, non tutto è opinab ile. Non si può sviluppare una scienza del contingente in quanto tale , poiché la sua instabilità impedisce di ottenere la ferma certezza che il sapere scientifico richiede. Tutta­ via, non è ammissibile opinare su ciò che , non potendo essere diversamente da come è, è necess ario, nonostante i limiti conosciti· vi dell 'opinante 3 3 • L'opinione è uno stato intellettuale tipico dell 'uomo, come già avevano notato i primi pensatori greci , i quali contrapponevano la d6xa, sapere imperfetto e instabile, alla epistéme, conoscenza certa e stabile che culmina nella sophia, la pienezza della conoscenza, di cui l'uomo partecipa e alla quale amorosamente tende, senza giungere mai a possederla in modo perfetto. L 'uomo è destinato ad avere delle opinioni poiché, per la limitatezza delle proprie capacità conoscitive, spesso non può raggiungere la certezza . Ciò non significa, ovviamente, che tutte le opinioni siano ugualmente plausibili, come invece sostengono i

33 In

54

Post. Analyt., I,

c.

44.

CERTEZZA ED EVIDENZA

relativisti i quali , considerando tutto opinabile, attribuiscono il medesimo valore a qualunque opinione, proprio perché in realtà non danno valore a nessuna. Invero , non è facile in certi ambiti scoprire la verità, soprattutto dove intervengono le libere azioni umane o è presente una molteplicità di fattori difficilmente cono­ scibili nella loro reciproca connessione . In tali problemi è naturale e positivo che nascano , negli uomini che li studiano, diverse opinioni; tuttavia, il pluralismo non è altrettanto lecito in altri campi ; e comunque mai esso deve fondarsi sul relativismo o in questo terminare . L'uomo si avvicina alla conoscenza della verità grazie all 'osser­ vazione attenta della realtà, allo studio, alla riflessione e al dialo­ go. Se si esaminano i problemi con maggior rigore e profondità, si raggiungono delle opinioni più fondate e , spesso, si arriva a conoscere la verità con certezza. Nel corso di questa indagine sulla verità, vengono confermate o rettificate precedenti opinioni : nel secondo caso si constata la defettibilità gnoseologica del conoscen­ te. Nel vasto territorio dell 'opinabile, la recta ratio è, in buona misura, correcta ratio . La disponibilità a ritrattare le proprie opinioni garantisce il progredire della conoscenza : lo riconosce anche la sapienza popolare nel detto « rettificare è da saggi » . L'espressione classica ars longa vita brevis ricorda, inoltre , che il traguardo della verità non si raggiunge in questa vita , dove è sempre possibile una conoscenza ulteriore e più perfetta .

4. La fede

La differenza fra fede e opinione dipende dal fatto che , nel caso della fede - umana e soprannaturale , la volontà muove -

l'intelletto ad asserire con certezza, senza il timore che sia vera l'opinione contraria, fondandosi sulla testimonianza e l'autorità di un altro 34 • Non bisogna confondere la fede con la credenza la quale, nel linguaggio ordinario, viene assimilata all'opinione. Si dice, ad esempio : « Credo che M aria sia usci t a, ma non ne sono sicuro » ; dove i l termine « credo » equivale a « opino » o « mi pare » .

34

Summa Theologiae, 1 1-1 1 ,

q. l, a. 4;

De Veritate,

q . 1 4, a. l .

55

F I LO S OFIA DELLA CONO SCENZA

4 . l . Certezza di fede ed evidenza Nella fede non vi è, a differenza che nell 'opinione , il timore di sbagliarsi. Pertanto, dal punto di vista della sua fermezza , la fede è un tipo di certezza . La certezza, infatti, si può distinguere in certezza di evidenza, fondata sulla manifestazione obiettiva della verità, o certezza di fede, basata sull'autorità di un testimone, manifestata dall 'evidenza della sua credibilità . D al punto di vista dell 'essenza del conoscere , la prima è sempre più perfetta della seconda ; tuttavi a , la certezza di fede, nonostante l'oscurità della conoscenza , può essere più perfetta quanto alla fermezza dell 'ade­ sione .

4 .2 . La libertà della fede La certezza di fede è libera perché dipende dalla volontà ; mentre la certezza di evidenza è libera soltanto indirettamente, in quanto cioè vi è la libertà di prendere in considerazione o meno ciò che è evidente . La caratteristica di libertà della certezza di fede si manifesta nel modo seguente : conosciuta l'autorità del testimone per l 'evidenza della sua credibilità, e conosciuta la sua testimo­ nianza intorno ad una verità, la mente non si sente ancora trascinare all 'assenso . Solo la volontà si dispone a muovere l'intel­ letto all 'assenso, poiché in quelle circostanze , il credere si presenta come un bene per l 'uomo . Siccome però tal e bene non è assoluto , ma particola re , la volontà non ne viene necessariamente attratta : essa può portare l 'attenzione dell'intelletto altrove e impedire così l 'assenso . Chi crede ha dei motivi sufficienti che lo inducono a credere : non crede senza fondamento. Tuttavia, non è l 'oggetto che causa l'adesione dell 'intelligenza ; per questo vi è sempre la libertà di assentire o meno. E ciò vale anche nel caso della testimonianza di un testimone senz 'altro credibile : ad esempio , le verità rivelate da Dio e non evidenti, di per se stesse non possono muovere l'intellet­ to ali ' assenso. 4 .3 . La credibilità In definitiva, si crede qualcosa perché si vede che la scienza e la veracità del testimone ne garantiscono la verità (evidenza di credi-

56

CERTEZZA ED EV IDENZA

bilità) . Credere a qualcosa è sempre anche credere a qualcuno. Si noti che noi accogliamo un gran numero di verità naturali sulla base di testimonianze altrui : la maggior parte delle notizie, delle descrizioni geografiche, delle vicende storiche, delle conclusioni scientifiche che non sono alla portata di una personal e sperimenta­ zione . ecc . I noltre, molte verità che ora ci appaiono evidenti , le abbiamo accolte in precedenza prestando fede a persone dotate di maggiore esperienza e di più elevata sapienza . Diffidare sistemati­ camente di tutto ciò che ci viene proposto di credere, significa limitare drasticamente il nostro bagaglio di cognizioni e rendere impossibile la nostra vita nella società. Il sospetto assunto come metodo non porta a nulla. A volte, quando si conoscono bene le qualità del testimone e concordano fra loro testimonianze diverse, l 'influenza della volontà è di scarso rilievo ; tuttavia, la decisione è sempre necessaria. Certamente l'atto di fede è formalmente intellettivo, non volitivo o emotivo; e non è meno ovvio che, affinché uno possa credere, è necessario che un altro sappia. Tuttavia, nel soggetto che crede , la fede in ultimo termine si basa sul suo volere e non sul suo sapere 35 • Come diceva Newman , « crediamo perché amiamo » . 4.4 . L a Fede soprannaturale

Nella Fede soprannaturale si credono le verità divine predicate da uomini che offrono certe garanzie di essere stati inviati da Dio per comunicare tali verità. Ma, in realtà, è Dio stesso che parla al credente attraverso lo strumento umano . L'accoglimento della parola di Dio porta con sé un decisivo impegno esistenziale : perciò esso presuppone la retta disposizione della volontà verso il bene 36• I noltre, in quanto si tratta di verità e beni soprannaturali , che quindi trascendono la capacità umana, l 'intelligenza necessita dell'azione illuminante del lumen fidei e la volontà della mozione della grazia soprannaturale . « Il credere, dice San Tommaso, è

l'atto dell'intelletto che assente alla verità divina, imperato dalla volontà mossa da Dio mediante la grazia » 37 •

35 In III Sent. , d. 23, q. 2 , a. 3 , sol . 2 . 36 Summa Theologiae, 1 1-1 1 , q . 5, a . 2 . 37

Ipsum autem credere est actus intellectus assentientis veritati divinae ex imperio voluntatis a Deo motae per gratiam. Ibid., q. 2, a. 9.

57

F I LO S OF I A DELLA CONO S C ENZA

Per la Fede si crede alla stessa Verità prima, la quale è infallibile e, pertanto è più stabile della luce dell'intelletto umano . Ne segue che la Fede gode di una certezza maggiore - in quanto a fermezza di adesione - della scienza o dei primi principi, pur avendo un 'evidenza minore 38 • La forza con cui il credente assente alle verità di fede è persino superiore a quella con cui riconosce i principi primi della ragione 39 • Tanta intima sicurezza dell'uomo di Fede nell 'aderire a verità razionalmente non evidenti, è il parados­ so di un'oscura chiarezza, che può essere a malapena percepito da chi non è disposto a ricevere il dono di una certezza che lo elevi al di sopra di se stesso.

5 . L'errore 5 . 1 . Nescienza, ignoranza ed errore

Innanzi tutto è necessario distinguere fra nescienza , ignoranza ed errore . La nescienza è la semplice assenza del sapere . L'igno­ ranza aggiunge un 'ulteriore caratteri stica alla pura mancanza di conoscenza : essa è infatti la privazione di un sapere per il quale si possiede un'attitudine naturale . Infine, l'errore consiste nell'affer­ mare conte vero il falso . Pertanto, paragonato all 'ignoranza, l'erro­ re aggiunge un nuovo atto ; si può infatti essere ignorante senza affermare qualcosa intorno a ciò che si ignora , e in tal caso non si sbaglia ; invece l'errore consiste nel formulare un giudizio falso i ntorno a ciò che si ignora 40•

5 .2 . La falsità È chiaro che il falso si contrappone al vero . Sappiamo già che dire che non è ciò che è, o che è ciò che non è, è falso ; e dire che è ciò che è, e che non è ciò che non è , è vero »4 1 • Se la verità è «

38 39

40

41

In III Sent. , d. 2 3 , q. 2, a. 2 , sol . 3 . In Sent. Pro!. , q . l , a . 3 , sol . 3 . De Malo, q . 3 , a . 7 . Aristotele, Metafisica, IV, 7, lO l l b 26-27 , trad. cit .,

58

p. 1 1 5 con variazioni.

CERTEZZA ED EVI DENZA

adeguazione dell 'intelletto con la re altà , ]a falsità è proprio la loro inadeguazione . I l bene dell'intelletto è la conoscenza della verità . Di conse­ guenza, gli abiti che perfezionano l'intelletto in qu anto conosce si chiamano anche « virtù » (dianoetiche), poiché facilitano alla mente la realizzazione di atti buoni . La falsità , invece, non è soltanto carenza di verità , ma ne è anche la corruzione . I nfatti , è diversa la disposizione di colui che è del tutto privo della conoscenza della verità, da quella di chi ha una opinione falsa, J a cui valutazione dei fatti è contaminata dall 'errore . Come la verità è il bene dell'intelletto, la falsità è il suo male. San Tommaso arriva a dire che la falsità negli esseri conoscenti è paragona bile sul piano fisico al mostruoso : qualcosa che non appartiene alla fine dell 'intelligenza , la quale è di per sé ordinata alla verità 42•

5 .3 . La falsità si dà soltanto nella men te Come la verità anche la falsità è presente principalmente nella mente . Ma, mentre riconosci amo nelle cose una verità antologica , non è possibile parlare di « falsità antologica » . A rigore di termi­ ni , le cose non possono essere false, perché omne ens est verunt . Nonostante che alcuni propugnino la « filosofia del sospetto » , sta di fatto che le cose sono sempre identiche a se stesse , non hanno alcuna spaccatura interna che ne renderebbe impossibile una coe­ rente percezione. Ciò nonostante , la realtà non appare all 'uomo in tutta la sua pienezz a : nel fenomeno ci si dà l 'essere, ma questi non si esaurisce nel suo mostrarsi , ha in sé un plus di realtà, che va al di là del fenomeno 43 • Ciò rende possibile che alcune cose appaiano ad un soggetto determinato come in realtà non sono, dando luogo , pertanto , all 'errore : vengono dette , allora , « false » . Si parla , ad esempio, di una « moneta falsa » perché, sebbene essa sia un autentico disco di metallo coniato, è priva di corso legale .

Può essere formalmente falso soltanto il giudizio della mente . Secondo Tommaso d'Aquino, la falsità dipende dal procedere difettoso del pensiero , così come un parto mostruoso dipende da un difetto della natura . Nell 'ambito conoscitivo, il male è l'errore , il

42 De Veritate,

q . 18, a. 6.

43 Cfr. A. Llano,

«

Fénomeno

»,

in G. E.R. , tomo X, pp. 3-5 .

59

F I LO S O F I A DELLA CONO S C ENZA

quale sta nell'intelletto e non nella realtà . Da questo segue che ogni valutazione erronea deriva dal difetto di qualche principio conoscitivo . Nell 'uomo, l'errore segue spesso a un ragionamento scorretto, nel quale la conclusione falsa non è un'attualizzazione adeguata di ciò che è potenzialmente contenuto in premesse vere. I nvece, ciò che è sempre in atto sfugge all 'errore . Non vi può essere errore nell'astrazione delle essenze , ottenuta grazie alla luce intenzionale - sempre in atto - dell 'intelletto agente : « quelli che astrag­ gono non mentono » ; in modo naturale, l 'intelletto agente penetra con sicurezza la natura delle cose, anche se non ne può pienamen­ te comprendere la loro realtà più intima . È possibile invece l'errore dove vi sia passaggio dalla potenza all'atto; infatti, ciò che è in potenza è suscettibile di perfezione o di privazione 44 • Come ogni male, anche la falsità non si dà di per sé, poiché l 'intelligenza tende naturalmente a raggiungere il proprio fine, cioè la conoscenza della verità . Solo per accidens può sbagliarsi, analogamente a quanto avviene negli esseri non spirituali , i quali di solito realizzano il proprio fine e soltanto talvolta vi vengono meno .

5 .4 . L 'errore come privazione

Da quanto de tto si deduce che non esiste positivamente l'errore : nessuno conosce propriamente il falso ; piuttosto , non conosce il vero . L 'errore, ripetiamo, è una privazione. La conoscenza falsa è un 'anomalia della conoscenza , un male naturale, che viene meno al­ la propria regola di adeguazione con la realtà , così come un atto umano che non rispetti i principi etici è moralmente cattivo 45• L'errore consiste in una mancanza di conoscenza : non deriva da dati ben conosciuti , sorge perché questi mancano e non ci si rende conto della loro assenza 46• Nel giudizio erroneo si prende la parte (ciò che si conosce) per il tutto, cioè per la conoscenza completa o almeno per quella sufficiente a dare un giudizio vero . Si ha allora un'apparenza, nella quale ciò che è sbagliato sembra vero . ! ovvio q. 1 6, a. 6. Cfr. J . Gredt, Elementa Philosophiae A ristotelico-thomisticae, Herder, Barcellona 1 96 1 , t 3a ediz., tomo I l , p. 56. 46 Contra Gentiles, Iib . I l , c ap. 76. 44

45

De Malo,

60

CERT EZZA ED EVIDENZA

che non si debba confondere la nozione di apparenza con quella di fenomeno : mentre quest'ultimo, infatti, si riferisce ad una parziale manifestazione dell'essere, quella si riferisce invece al suo parziale occultamento. L 'errore consiste, dunque, nell a b b a ndo n arsi alle ap­ parenze : non nasce in seguito a una qualche evidenza, ma perché '

non si prende in considerazione ciò che è necessario alla formula­ zione di un giudizio. Come facevamo già notare, l 'errore si può presentare a conclusioni di un ragionamento non corretto ; altre volte dipende dall 'accettazione di una testimonianza falsa. Oltre all'errore teoretico esiste anche l'errore pratico . La ragione realizza, infatti , i principali tipi di atto : quello essenzia­ le, intorno al suo proprio oggetto ; e l'altro, in quanto dirige le altre potenze. L'errore pratico si produce in questa seconda specie di atti, quando cioè gli orientamenti della volontà e delle facoltà inferiori non si adeguano alla regola morale proposta dalla ragione e, quindi , alla realtà 47 •

L'intelligenza per se stessa non può sbagliare . Come qualsiasi ente ha l'essere relativo alla propria forma, così anche la facoltà conoscitiva ha l 'atto di conoscere relativo alla similitudine della cosa conosciuta . Orbene, un ente di natura non può ma11care dell'essere che gli spetta secondo la propria forma, tuttavia può essere privo di alcune cose accidentali o complementari : un uomo può non avere i due occhi , ma non può cessare di essere uomo . In modo simile, la potenza conoscitiva non può sbagliare nell 'atto di conoscere quanto alla similitudine della cosa da cui è informata , anche se può errare rispetto a ciò che è accidentale o da essa derivato . La vista, ad esempio, non si sbaglia riguardo al sensibile proprio, anche se a volte può cadere in errore rispetto ai sensibili comuni e a quelli per accidens. Nel caso dell 'intelligenza avviene quanto segue : come il sensibile proprio informa direttamente il senso, così anche l 'intelletto viene informato dalla similitudine dell 'essenza della cosa . Pertanto, l 'intelletto non si sbaglia intorno a ciò che è; ma può cadere in errore nell 'atto di comporre e dividere, cioè di giudicare , poiché può attribuire alla cosa, di cui conosce l 'essenza, qualcosa di improprio o ad essa opposto .

47 Cfr.

Summa Theologiae, I-I I ,

q. 74, a.

5. 61

F I LO S O F I A DELLA CONO S C ENZA

S . S . Il riconoscimento della falsità

L 'intelligenza , inoltre , può conoscere la falsità 48• Allo stesso modo che, per una certa riflessione , ci rendiamo conto della verità di un giudizio , sempre per riflessione possiamo mettere in evidenza la falsità , e così , riconosciutala , possiamo uscire dall 'errore . « Ciò che si manifesta in modo evidente e obiettivo nel fatto di correg­ gersi è l 'evi dente nella sua stessa evi denza e l 'apparente secondo la propria apparenza » 49 • C 'è dell'inavvertenza nell 'errore, manca cioè una riflessione che invece dovrebbe esserci . Tale assenza di attenzione è dovuta alle sollecitazioni , a volte molto forti , dei sensi, all'eccessiva fretta , alle dimenticanze, alla stanchezza , ecc . In fin dei conti , la possibilità dell 'errore rivela i limiti della condizione umana : si tratta di un evento specificamente umano al qu ale i bruti non arrivano e nel qual e gli angel i non cadono . Inoltre, la nostra stessa costituz ione psicosomatica fa sì che non siamo pienamen­ te consapevol i dei limiti della nostra conoscenza, e quindi è possibile che a volte giudichiamo in torno a un problema senza renderei conto che non lo con osci amo sufficientemente .

5 .6 . La causa dell'errore

La fal sità , essendo una privazione , non ha una causa efficien­ te , ma difettiva . L'errore, invece , in quanto è un giudizio , esige

una causa efficiente. Poiché il giudizio falso non è dovuto all'evidenza, la sua causa si trova spesso nella facoltà intellettuale che muove l 'intelletto , cioè la volontà. Questa non vuole l 'errore per sé stesso, poiché ciò comporterebbe l 'averlo già riconosciuto come errore , ma soltanto in quanto il giudizio corrispondente appare come un bene , poiché si presenta come l a meta della ricerca della verità . Voler giudicare senza evidenza è una forma, per quanto piccola, di presunzione 50 • Una tale decisione può essere più o

48 Summa Theologiae, I , q. 1 7 , a. 3 . 49 A . Millan Puelles, La estructura de la subjetividad, cit., p. 46. so De Malo, q. 3, a . 7.

62

CERT EZZA ED EVIDENZA

meno deliberata, e secondo i casi può essere diversa la fermezza dell 'adesione all'errore, nella quale sono compresi, soggettiva­ mente, i diversi stati della mente , da noi già esaminati (certezza, opinione, ecc .) . La volontà, per indurre all'assenso l 'intelletto, lo porta a concentrarsi su alcuni aspetti della cosa, reali ma incompleti 51 , o su alcune apparenze . Quando la volontà si o­ rienta al male, è perché lo ritiene un bene e, pertanto, presup­ pone un errore nell'intelligenza 52 ; ma tale errore, a sua volta, è causato dalla volontà , la quale fa giudicare buono ciò ch 'essa vuole in quel momento , a motivo di una passione o di un abito cattivo 53 • I n u n certo senso, l o stesso dubbio può essere già un errore . Il dubbio non è una meta desiderabile e, a volte , non e nemmeno legittimo come situazione iniziale, scientifica o pre­ scientifica, perché la retta disposizione del soggetto dovrebbe portare all'accettazione delle certezze che inizialmente gli sono date, anche se deve sempre sforzarsi di pass are dall 'oscurità alla luce . Quando si ignora tutto intorno a un determinato argomen­ to, la posizione iniziale è quella dell 'ignoranza, ben diversa da quella del dubbio : in quella infatti la mente riconosce di non sapere, in questa sembra propendere già verso la negazione 54 • Da quel che abbiamo appena detto, segue che , almeno in questioni di rilevanza esis tenziale , le disposizioni morali del soggetto hanno una grande importanza per raggiungere la verità ed evitare l 'errore . Se dobbiamo ricercare soltanto i nostri interessi personali , come sembrano ritenere alcune teorie gno­ seologiche contemporanee, ci faremo dominare facilmente dalle apparenze che consideriamo convenienti ai nostri propositi . Se, invece, ricerchiamo il bene in se stesso, rimarrà aperta, anche se sempre stretta , la via verso l a verità, la quale , come il bene , trova il proprio fondamento nell 'essere reale .

5t 52 53

In Il Sent., d. 39, q. l , a. 2, c. e ad 5 ; De Veritate, q. 24, a. 8. Contra Gentiles, lib . l , cap . 95. In Il Sent., d. 43 , q. l , a. l, ad 3. 54 « Dubitans propinquus est neganti » , Expositio super lob, cap . XV. 63

Capitolo Quarto ESAME DELLO SCETTICISMO

l . Teorie scettiche e loro argomenti

Finora ci siamo occupati della verità, tema cardine di tutta la gnoseologia. È stata una considerazione positiva, ostensiva, ba­ sata sulle nozioni acquisite in metafisica e in psicologia filosofi­ ca . Solo di passaggio abbiamo toccato impostazioni filosofiche che negano all'uomo la capacità di attingere la verità o hanno di tale capacità un'idea erronea . Conviene ora occuparsi siste­ maticamente di tali obiezioni ; analisi, questa , che contribuirà a chia­ rire la teoria metafisica della conoscenza e della verità . A questi problemi dedicheremo il presente capitolo e il seguente, per tornare finalmente all 'approfondimento di alcuni aspetti delle teorie metafisiche e psicologiche sulle quali ci basiamo .

1 . 1 . Lo scetticismo

L'attacco più netto e radicale, almeno prima di certi soggetti­ vismi moderni, alla capacità dell'uomo di conquistare la verità è costituito dallo scetticismo . Tale parola viene dal verbo greco sképtomai, che significa « esaminare », « osservare attentamen­ te », « indagare ». In senso filosofico e in linea generale lo scetticismo è l'atteggiamento di colui che, dopo aver realizzato l'indagine cui si allude nell 'etimologia, conclude che non si può

affermare nulla con certezza, e che pertanto non rimane che rifugiarsi dell'« epoché » o sospensione del giudizio.

65

F I LOSOFIA DELLA CONO S CENZA

1 .2 . Forme di scetticismo

Lo scetticismo può rivestire forme diverse. Una prima distinzio­ ne può essere fatta considerando l'ampiezza . « Secondo i giudizi ai quali si estendono le riserve scettiche , si possono distinguere due classi di scetticismo : l'universale e il parziale . Lo scetticismo universale si rivolge contro la conoscibilità di ogni giudizio in generale ; il parziale contesta soltanto la legittimità di alcuni giudizi . Entrambe le classi possono essere ancora suddivise in una forma assoluta e in un'altra relativa . Lo scetticismo assoluto afferma che la verità di un giudizio è totalmente inconoscibile , cioè in ogni tempo e per chiunque . Lo scetticismo relativo, invece, si riferisce soltanto allo stato attuale dello scettico » 1 • ! possibile anche distinguere l'aspetto teorico da quello pratico. Dal punto di vista teorico, Io scetticismo è la teoria gnoseologica che mette in dubbio la certezza della nostra conoscenza; nella sua dimensione pratica, lo scetticismo pretende di salvare l 'uomo dall'agitazione delle opinioni mutevoli, per mezzo della ricerca di una serenità interiore aliena da ogni « dogmatismo » .

1 . 3 . Lo scetticismo greco

Gli argomenti scettici, pur implicando in sé un paradosso di non scarso rilievo� sono fiorenti ai nostri giorni 2• Già nell'antichità si erano presentati in forme diverse, sulle quali sono ritornati gli scettici posteriori 3 • Possiamo distinguere quattro varianti principa­ li dello scetticismo greco : l . Pirronisn1o. Così viene denominata la forma estrema di questo atteggiamento gnoseologico, prendendo il nome da Pirrone di Elide (360-270 a .C . , circa) , che propugnò una completa sospensio­ ne del giudizio, al fine di ottenere l 'atarassia o perfetta indifferen­ za di fronte a ogni cosa. La stortura etica dello scetticismo è qui chiara . L 'ideale del saggio consiste nell'entrare in se stesso, per

1 M . Hossenfelder, Escepticismo, in « Conceptos fundamentales de filoso­ fia » , Herder, Barcellona 1976, tomo I, p. 640. 2 Cfr. N. Rescher, Scepticism. A criticai reappraisal, Basil Blackwell, Oxford 1 980. 3 Cfr. Verneaux, Epistemologia generale, cit., pp. 3 1-34.

66

ESAME DELLO S CETTICI S MO

rimanere nel proprio silenzio imperturbabile e felice . Aristotele notò ironicamente che ciò equivarrebbe a vivere come una pianta . 2 . Il probabilismo . È la posizione sostenuta da Arcesilao e da Carneade, membri della Nuova Accademia . Si oppongono all'asso­ lutismo dei seguaci di Pirrone, ammettendo che è possibile uscire dal dubbio pronunciandosi a favore di un 'opinione che si ammette soltanto come probabile . Non si può possedere la verità, ma soltanto congetturare ciò che è plausibile o verosimile : è sufficien­ te questo per uscire dallo stato di « vegetale » in cui rimanevano i pirroniani, e per vivere con un minimo di disinvoltura . 3 . Il fenomenismo. Il suo principale rappresentante è considera­ to Enesidemo di Cnosso, anche se questo autore si limitò a compendiare , nel secolo I a .C . , i principali argomenti scettici nei suoi famosi tropi. Secondo i fenomenisti, si conoscono le cose soltanto come appaiono, ossia in quanto semplici apparenze , ma non possiamo sapere ciò ch'esse sono veramente . I fenomenisti antichi si limitano, dunque, a constatare le diverse apparenze , ma senza affermare né negare che ad esse corrisponda qualcosa di reale. 4. L'empirismo. Dal fenomenismo, come conseguenza logica, deriva la concezione per cui , ammessi i fenomeni nel loro aspetto fattico, è possibile ricercare le leggi secondo le quali essi entrano in reciproca relazione, ma senza superare il dato dell 'esperienza . Già Sesto Empirico presenta un argomento contro la nozione di causa, questa, essendo relazione, può esistere soltanto soggettiva­ mente .

1 .4 . Gli argomenti degli scettici « Gli scettici , fa presente Verneaux, non mancano di argomenti, ne hanno anzi, un gran numero , che sviluppano con un'ingegnosità e una sottigliezza incomparabili » 4 • Si tratta di argomentazioni formulate e discusse già dai pensatori greci, e ripetute, in una forma o nell 'altra , dagli scettici di ogni tempo . Si potrebbero così schematizzare :

l . La diversità di opinioni fra gli uomini e le contraddizioni dei filosofi. È un'osservazione comprensibile a tutti e che continua ad

4

Ibid.,

p p . 34-35.

67

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

essere occasione di « scandalo » per molti . I ntorno ad ogni pro­ blema, gli uomini difendono le opinioni più diverse, e ciascuno crede di avere la ragione dalla propria parte. Chi possiede la verità ? Non lo si può sapere con certezza. I n ogni caso, il nostro giudizio non sarebbe altro che un'opinione accanto ad altre . Se poi si passa dalla vita quotidiana alla tesi dei filosofi, il panorama si fa ancora più confuso . Poiché sembra che non vi sia dottrina per quanto s trana che non abbia trovato u n difensore in qualche filosofo , ne ségue che nessuna può venire accolta con certezza come vera . 2 . L 'errore e l'illusione. È un fatto che ci sbagliamo con frequenza, anzi troppo spesso. I sensi ci ingannano, facendoci pass are per realtà delle semplici apparenze ; spesso ci fanno trasci­ nare da allucinazioni e illusioni . Da parte sua l 'intelligenza com­ mette errori di giudizio e di ragionamento. Nel sonno, le vicende sognate ci paiono reali tanto che viene da chiedersi se non stiamo sempre sognando . L'immaginazione porta uomini che soffrono di manie o ossessioni mentali a dar vita ai fantasmi creati dalla loro mente . Dov'è possibile allora tracciare la frontiera fra illusione e verità, fra sogno e veglia, fra demenza e sanità mentale? Non possiamo saperlo, poiché forse anche noi sbagliamo , forse è sogno la nostra stessa vita o pazzia il nostro impegno. 3 . La relatività della conoscenza. I seguenti versi esprimono tale atteggiamento con intelligenza e malizia : « nada es verdad ni mentira l pues depende del color l del cristal con que se mira » (non vi è né verità né menzogna, tutto dipende dal colore del vetro attraverso il quale si guarda) . Ogni cosa viene conosciuta e valuta­ ta da un soggetto determinato, pieno di pregiudizi e di intenzioni presupposte , tanto da arrivare a confondere i suoi desideri con la realtà : conoscenza e interessi si identificano . Inoltre, si conosce sempre a partire da una situazione concreta e limitata : ciò che è vero oggi potrebbe non esserlo più domani ; ciò che non è certo per me può esserlo per te . Non vi sono conoscenze utopiche o in temporali : sono sempre figlie di una cultura e di un'epoca storica , in funzione delle quali bisogna interpretarle . Inoltre, le cose stesse non esistono isolate, ma inserite in un complesso tessuto di relazioni reciproche che sarebbe necessario, anche se impossibile, conoscere al fine di rendere conto in modo esauriente degli oggetti . 4 . Il circolo vizioso . Non si deve ammettere come certo nulla che non sia s tato dimostrato . Ma ogni dimostrazione deve fondarsi sulla verità dei principi da cui parte, e questi principi devono 68

ESAME DELLO S CETTICI S MO

essere dimostrati partendo da altre premesse . Infine, tutto si di­ mostra a partire da tutto; il che equivale a dire che non si può dimostrare nulla dato che si parte dal nulla : infatti , non vi è alcun criterio stabile cui appoggiarsi . Se si cerca di svolgere delle dimo­ strazioni, si cade in un diallele o circulus vitiosus in pro bandi. Si potrebbe anche passare di principio in principio, in una successio­ ne non circolare, ma lineare; ma anche qui non si dimostra nulla, dato che si prolunga all'infinito la sempre insoddisfatta ricerca di un terreno sicuro su cui costruire l 'edificio della scienza . Come si può notare , gli argomenti non mancano di un 'apparente forza di convinzione; tuttavia, se ne manifesta subito l 'interna inconsistenza, come vedremo più avanti . Per ora, notiamo che l'atteggiamento scettico, a parte le sue motivazioni etiche, si ap­ poggia sull'ignoranza e sull'ostinazione . Come dice Tommaso d 'A­ quino, alcuni accettano queste argomentazioni sofistiche perché non sanno come contraddirle , mancando delle necessarie conoscen­ ze ; non potendo risolvere le difficoltà addotte dagli scettici , ne accettano le conclusioni ; ma tale ignoranza si vince con facilità. Altri , però, difendono tali posizioni non per ignoranza, ma per mascherare i propri interessi, con la scusa che non vi sono ragioni per ammettere i principi , dato che sono indimostrabili 5•

2. La difesa metafisica dei primi principi della conoscenza 2 l .

.

La metafisica, scienza dei primi principi

La metafisica deve trattare di ciò che riguarda tutti gli enti, e non soltanto un determinato genere di realtà . Ora, se un principio vale per tutte le scienze, esso si applica a ogni tipo di enti. E questo è proprio il caso dei primi principi che, pertanto, devono essere considerati dalla filosofia prima . Naturalmente, in ogni scienza questi principi si usano soltanto con 1 'estensione propria degli oggetti corrispondenti. Solo la meta­ fisica li utilizza in tutta la loro ampiezza e li esamina in quanto principi .

5 In IV Metaphysicorum, lect.

10,

nn.

663-664.

69

F I LO S OFIA DELLA CONOS C ENZA

Come scrisse Aristotele, « Poiché è evidente che i prtmt principi si applicano a tutte le cose in quanto enti (difatti l 'essere enti è comune a tutte le cose) , allora solamente a chi si occupa di studiare l 'ente-in-quanto-ente è riservata anche l 'inda­ gine su di essi . Per questo motivo , nessuno che si occupi di indagini scientifiche parziali, ad esempio nessun geometra o nessun aritmetico, osa enunciare qualche sua teoria sui primi principi, dicendo che essi siano veri o falsi ( ... ). � chiaro , pertanto, che è riservato esclusivamente al filosofo, cioè a colui che considera tutta quanta la realtà in quanto ente, anche il compito di studiare i principi del procedimento sillogistico; e spetta a colui che possiede la più profonda conoscenza di ciascun genere di cose essere capace di trattare dei principi più saldi dell'oggetto preso in esame; e di conseguenza, colui che conosce le proprietà dell 'ente-in-quanto-ente deve saper ricono­ scere i principi più saldi di tutte le cose . E questi è appunto il filosofo ! » 6 •

Tali principi o proposizioni evidenti di per sé (per se notae) , sono quelli che si comprendono non appena se ne conoscano i tennini ; per farli capire è sufficiente chiarire i significati del soggetto e del predicato , gi acché il predicato è compreso nella definizione del soggetto 7 •

2 .2 . Il principio di non-contraddizione

Qual è il primo fra questi principi ? « Il principio più saldo di tutti è quello a proposito del quale è impossibile cadere in errore , giacché esso è necessariamente quello che è più noto (tutti , infatti , cadono in errore su quelle cose che non conoscono) e che non è fondato su ipotesi . Difatti, un principio che deve essere necessa­ riamente posseduto perché si possa comprendere qualsivoglia de1 le cose esistenti , non può essere affatto un 'ipotesi ; e ciò che si deve conoscere qualora si intenda conoscere qualsiasi altra cosa, non può non essere posseduto prima di ogni altra conoscenza . � chiaro , dunque, che solo un siffatto principio è il più saldo di tutti ; ma , ciò premesso, accingiamoci a dire quale esso sia. Esso è il seguen­ te : è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, 6 Aristotele, Metafisica, IV, 3, 1 005a 28 - l OOSb 1 1 , trad. cit., pp. 92-93 c on variazioni. 7 In IV Metaphysicorum, lect. 5, n. 595 .

70

ESAME DELLO S CETTI C I S MO

appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e nella medesi­ ma relazione ( . . . ). Questo è il più saldo di tutti i principi ( ... ) . � impossibile, infatti , supporre che la medesima cosa sia e non-sia, come certuni credono che, i nvece, sostenga Eraclito . Può anche capitare, infatti , che uno non sia pienamente convinto di tutto ciò che dice ; e se non è possibile che attributi contrari appartengano simultaneamente a una medesima cosa ( . . . ) , e se l'opinione che è i n contraddizione con un'altra opinione è contraria a quest'ultima, risulta allora evidentemente impossibile che la medesima persona, nel medesimo tempo, ritenga che la medesima cosa sia e non-sia, giacché, in tal caso, colui che cadesse in questo errore avrebbe simul­ taneamente due opinioni contrarie . Ecco perché chiunque intende fornire una dimostrazione la fonda, in ultima istanza, su questa convizione; poiché questa è, per sua natura, anche la base su cui poggiano tutti gli altri principi » 8 • Si tratta del principio di non-contraddizione, il quale ha avuto diverse formulazioni . La prima e più semplice è la seguente : t'ente non è il non-ente . Da questa ne derivano altre più simili alla formulazione aristotelica : è impossibile che due contrari si riferi­ scano contemporaneamente allo stesso soggetto ; oppure, non si

possono attribuire predicati contraddittori ad una stessa cosa.

Il principio di non-contraddizione è il principio più saldo e sicuro, esso esclude da sé ogni errore . San Tommaso ha fornito tre ragioni a sostegno di tale primato gnoseologico : è il più certo e saldo di tutti i principi perché 1 ) intorno ad esso non ci si può sbagliare; 2) non presuppone altri principi ; 3) alla sua conoscenza si perviene naturalmente 9 •

Questo principio conserva un carattere eminentemente analo­ gico, poiché, mantenendo la sua struttura essenziale, il suo significato varia al variare degli oggetti ai quali si applica. Già si è detto che le scienze particolari ricorrono ad esso non in tutta la sua ampiezza ma per quello di cui abbisognano i loro fini. La posizione scettica, dal momento che nel proprio fonda­ mento attenta allo stesso principio di non-contraddizione, provo­ ca errori sostanziali nelle diverse scienze. Investe soprattutto la logica, che pure si occupa del vero e del falso : lo studioso di logica, se rifiuta questo principio, è portato ad ammettere che

8 Aristotele, Metafisica, IV , 3, 1005b 1 1 -34, trad . cit. , pp. 93-94 con lievi variazioni. 9 In IV Metaphysicorum, lect. 6, n. 599.

71

F I LO S OFIA DE LLA CONO S CENZA

intorno a uno stesso oggetto si danno contemporaneamente verità e falsità. La fisica, d'altra parte, ha a che fare con l'essere e il non-essere, poiché ciò che si muove , in quanto tale , non è ancora ; per studiare il movimento è necessario distingue­ re realmente l'atto dalla potenza: la potenza non è l'atto . Se si nega o mal si comprende il principio di non-contraddizione, si può arrivare a concludere o che il movimento è impossibile oppure che si identifica con l 'essenza stessa della realtà. Ed è quel che è avvenuto nella storia del pensiero.

2 .3 . La difesa del primo principio per riduzione all'assurdo Alla metafisica spetta la difesa radicale del primo principio : essa mostra che la sua negazione si risolve in un rifiuto della conoscenza dell 'ente - che è il primum cognitum e, pertanto, di ogni conoscenza intellettiva. Reciso tale errore alla radice, ne viene meno l 'influsso sui diversi settori scientifici. La difesa dei primi principi svolta da Aristotele nella sua Metafisica, speci almente nel libro IV, ha un carattere paradigmati­ co e continua ad essere valida rispetto agli errori sorti posterior­ mente 10• Ari stotele , innanzi tutto, ritiene che la difesa dei primi principi della conoscenza non si può portare per mezzo di una dimostra­ zione diretta , ma per riduzione all'assurdo. In concreto, riguardo a coloro che negano il principio di non-contraddizione, afferma : « Certuni , tuttavia, pretendono che si dia dimostrazione anche di questo, ma tale loro pretesa è effetto della loro ignoranza, dato che è segno di impreparazione il non saper riconoscere di quali cose si debba cercare dimos trazione e di quali no ; difatti è senz'altro impossibile che si dia dimostrazione di tutte quante le cose (in tal caso, infatti, si andrebbe all'infinito e, quindi , neppure così si produrrebbe dimostrazione) ; e siccome di certe cose non si deve cercare dimostrazione, essi possono forse dirci quale principio ne ha meno bisogno di questo? Tuttavia, anche per quanto concerne tale principio, l'impossibilità di dimostrare che una cosa sia e non-sia può essere provata mediante confutazione, purché il nostro interlocutore intenda dare alle sue parole un certo significato ; ma se egli parla senza costrutto, è ridicolo mettersi a cercare un'argo-

10

Un'an alisi attuale dell'argomento si trova in R. M. Dancy, Sence and

contradiction. A Study in Aristotle, Reidel, Dordrecht 1 975.

72

E S AME DELLO S CETTICI S MO

mentazione contro di lui che non ha niente da argomentare , almeno finché non ha niente da argomentare : difatti, un tale uomo, in quanto si trova in tale stato, somiglia ormai ad una pianta » 11 • Effettivamente, colui che afferma qualcosa, deve esclu­ dere la negazione di ciò che afferma; quindi riconoscere la con­ traddizione fra essere e non-essere . A chi nega questo principio si può dimostrare che una tale negazione annulla se stessa.

I ragionamenti di questo tipo sono semplicemente argomentativi e non propriamente dimostrativi. I nfatti , chi tenta di dimostrare il primo principio cade proprio in una petizione di principio, dato che un tale ragionamento dovrebbe presupporre ciò che pretende dimostrare, cioè che l'essere non è il non-essere . L'unica via d'uscita da questo circolo vizioso sarebbe il processo all'infinito, ma ciò equivarrebbe a rinunciare alla dimostrazione, poiché ogni conclusione diviene certa grazie alla sua riduzione al primo princi­ pio della dimostrazione, il quale verrebbe a mancare se si fosse costretti a spingersi oltre . Solo fondandosi su un primo principio indimostrabile è possibile avviare una dimostrazione . In tal modo si risponde al quarto argomento scettico p rima presentato, e si mostra l'inconsistenza della sua tesi fondamentale, cioè che non si debba ammettere con certezza nulla che non sia stato previamente dimostrato. È evidente che non tutto ciò che è certo è anche dimostrabile : pretendere il contrario non manifesta né rigore né acutezza d'in­ gegno, ma semplicemente ignoranza. Il tentativo vano di trovare dimostrazioni dei primi principi è segno che si è privi delle nozioni elementari della logica rivolte allo studio della dimostrazione, la quale, per natura, poggia sui primi principi 12 • L'impegno dimostrativo ad oltranza , per quanto sottile possa sembrare, non è altro che stupidità 13 • Non ha senso, ad esempio, cercare un principio o un criterio per discernere cose che sono in realtà evidenti : se adesso dormo o sono sveglio ; se la penna con cui scrivo esiste realmente o è un'illusione dei miei sensi ; ecc. Inoltre, coloro che così procedono non cercano un principio qual-

1 1 Aristotele, Metafisica, IV, 4, 1 006a 5- 1 5 , trad. cit., pp. 95-96 con lievi variazioni. 12 In IV Metaphysicorum, lect. 5 , n . 594, cfr. lect. 6, nn. 607 e 609 . 1 3 « Sed istae dubitationes stultae sunt » , In IV Metaph. , lect. 1 5 , n. 709 ; cfr. n. 7 10.

73

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

s1as1, ma un principio ottenuto per dimostrazione. « Essi cercano una spiegazione razionale di ciò che non può averla, giacché il principio di una dimostrazione non va soggetto esso stesso a dimostrazione » 14• Tale ricerca dell'impossibile è come una malat­ tia intellettuale : una specie di paranoia gnoseologica. Lo scetticismo ci rivela così il suo vero volto . Specialmente nelle sue versioni moderne, esso non è, come potrebbe sembrare, un atteggiamento di modestia intellettuale, ma piuttosto la conseguenza della pretesa di dominare il sapere fin dalla sua ra� dice, di costruire da noi stessi l 'intero universo delle conoscenze certe . È questo l 'ideale illuminista presentato dalla scienza come processo di emancipazione dell 'uomo . Non si accetta alcuna dipendenza gnoseologica (metafisica, alla fin fine) : ogni cono­ scenza, piccola o grande, deve essere perfettamente posseduta dall 'uomo . E, comunque sia, meglio non avere conoscenza alcu­ na piuttosto che sottomettersi ai dettami della realtà . Lo scetti­ cismo è l 'altra faccia del razionalismo ; entrambi traggono la loro linfa vitale dal criticismo , nel quale si trova l'accettazione acritica di un 'autoesaltazione senza fondamento. 2 .4 . La dialettica È significativo che , al termine della parabola del razionalismo moderno, si trovi il rifiuto della portata ontologica del principio di non-contraddizione . Tanto nella dialettica hegeliana come nelle sue derivazioni - marxista , sartriana , ecc . - tale assioma viene riconosciuto come valido nell'ambito della logica formale e del s apere immediato e superficiale intorno alle cose, ma la sostanza della realtà stessa è proprio la contraddizione. Hegel arriva ad affermare : « ( . . . ) bisognerebbe prendere la contraddizione come la (determinazione) più profonda e più essenziale . Poiché di fronte ad essa l 'identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere ; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità ; p oiché solo contenendo una contraddizio­ ne in sé, una cosa si muove, ha un istinto e un'attività » 15 • Per la dialettica, la contraddizione è la realtà più profonda. Tutta­ via, per dare realtà alla contraddizione è necessario ammettere

14 Aristotele, Metafisica, IV, 6, t O l t a 1 3- 1 4, trad. cit., p. 1 1 3 . 1 5 Hegel , Scienza della logica, trad. Mani, Laterza, Bari 1 98 1 , tomo I I , pp. 490-49 1 .

74

ESAME DELLO S CETTICI S MO

l 'esistenza di un terzo termine fra l 'essere e il nulla, il che è ne­ gato dal principio del terzo escluso (tra due .contraddittori non v'è termine medio) , la cui difesa, basata sul principio di non-con­ traddizione, ci previene dagli errori della dialettica . Un argomento tipico della dialettica hegeliana , divulgato dal materialismo dialettico , si basa sul tentativo di mostrare che il movimento impugna il principo di non-contraddizione : « Qual­ cosa si muove non in quanto in questo Ora è qui , e in un altro Ora è là, ma solo in quanto in un unico e medesimo Ora è qui e non è qui, in quanto in pari tempo è e non è in questo Qui » 16 • Già Aristotele aveva preso in considerazione l'opinione di coloro che basavano il loro scetticismo sul primo principio nel fatto che « le contraddizioni e i contrari si danno simulta­ neamente » 17• In genere queste concezioni presuppongono che i cambiamenti nella realtà sensibile sono un ostacolo allo scopri­ mento della verità e sostengono che tutto si muove, anche ciò che sembra stabile . Tuttavia, tale pretesa assoluta mobilità non è reale, poiché anche nel momento del divenire vi è una verità : questo ente determinato che cambia, nel quale vi è qualcosa del termine a quo e del termine ad quem . Pertanto , anche il mo­ vimento può essere oggetto di scienza - la fisica - ed è una realtà intelligibile , della quale si possono ricercare i principi antologici e le leggi fenomeniche.

Alcuni, dal divenire incessante che si osserva in natura , hanno dedotto la presenza di elementi contraddittori nel seno delle cose, il che permetterebbe la trasformazione di tutto in tutto (dalle antiche concezioni delle ·cose com'e composte di pieno essere - e vuoto nulla - fino al�le spiegazioni panevoluzioniste e dialettiche della natura) . La soluzione metafisica di questa difficoltà sta nel riconoscimento della composizione di potenza e atto nell'ente che diviene : « A quelli che fondano le loro concezioni su questi argomenti , noi diremo che in un senso essi fanno un ragionamento corretto, ma che in un altro senso essi versano nell 'ignoranza : difatti il termine 'ente' può essere usato in due accezioni, di modo che in un senso è possibile che un qualcosa sia generato dal non-ente, in un altro senso no, ed è possibile quindi, che nello stesso tempo la medesima cosa sia ente e non-ente, ma non secondo la medesima -

-

16 Op. cit. ,

p.

17 Aristotele, variazione.

491 . Metafisica, IV, 5, 1 009a 23-24, t rad cit . , .

p

106 con lieve

75

F I LO S OFIA DELLA CONOS CENZA

accezione, giacché è possibile che la medesima cosa si identifichi simultaneamente con tutti e due i contrari, ma solo in potenza non già in atto. E, oltre a ciò, noi chiederemo a costoro di considerare che, tra le cose esistenti, c 'è anche una qualche sostanza la quale non presuppone affatto né movimento né corruzione né generazio­ ne » 18. Aristotele faceva notare, inoltre, che se si afferma che tutto è in movimento, si ammette di fatto una verità. D 'altra parte, si neghe­ rebbe l 'esistenza della contraddizione, poiché, ammessa la realtà della contraddizione, tutto è identico a tutto e non è necessario che nulla si muova . Non vi sarebbe divenire, né passaggio dall'uno all'altro, bensì quiete . Un paradosso simile si può scorgere nelle concezioni dialettiche contemporanee, nelle quali il dinamismo più convulso porta, alla fine, alla più completa monotonia. Già Schel­ ling aveva acutamente sottolineato che « le aspre opposizoni » hegeliane si risolvevano in un noioso divenire ideale : l 'eterno ritorno, la ruota che gira senza fine 19 •

3 . L ' oggett i v i tà della conoscenza sensibile

3 . l . I l relativismo sensista Come abbiamo già fatto notare, uno degli argomenti preferiti dagli scettici si fonda sulla convinzione che i sensi non ci offrono delle conoscenze certe e sicure . Tali conoscenze sarebbero relative al soggetto che le possiede, infatti, riguardo ad esse, si osserva una disparità di giudizi, motivata dalle diverse valutazioni dei singoli soggetti intorno ad uno stesso oggetto, o di un medesimo soggetto in momenti diversi . Aristotele presentava nel modo seguente le posizioni sopra esposte : « Allo stesso modo anche la teoria secondo cui la verità risiede nelle apparenze è giunta a questi pensatori dall'os­ servazione delle cose sensibili . I nfatti , a parer loro, la verità non è quella che viene giudicata secondo il numero grande o piccolo di quelli che la professano, ma la medesima cosa, quando viene

18

Op. cit. , IV, 5, 1009a 29-39, trad. cit., p . 106. Philosophie der Offenbarung, Darmstadt 1 966,

19 Schelling,

76

p . 106.

E SAME DELLO SC ETTICI S MO

gustata, ad alcuni sembra esser dolce e ad altri amara, e di conseguenza, se tutti fossero malati e tutti fossero pazzi e soltanto due o tre persone fossero sane e conservassero l 'uso della ragione, sembrerebbe che proprio queste ultime fossero malate e pazze, e gli altri no. Inoltre quei filosofi dicono che parecchi animali ricevono delle medesime cose impressioni con­ trarie a quelle che riceviamo noi, e che persino allo stesso individuo le proprie impressioni sensibili non appaiono sempre le medesime. E pertanto non risulta con chiarezza quali di queste impressioni siano vere e quali siano false, giacché non c 'è alcun motivo per ritenere alcune più vere di altre, ma sono tutte vere allo stesso modo. Ecco perché Democrito afferma che o nulla è vero o, almeno, la verità non ci appare con chiarezza. Insomma costoro, proprio perché identificano il pensiero con la sensazione e considerano quest'ultima come alterazione, sosten­ gono che le impressioni ricevute mediante la sensazione siano necessariamente vere » 20•

Dalla precisazione aristotelica si deduce che tali filosofi, che oggi chiameremmo sensisti o materialisti, ritengono che tutto il sen­ sibile si può considerare vero, ma non nel senso di un 'adeguazio­ ne con la realtà : per logica conseguenza, tutto è incerto . Non si rendono conto che alla radice della conoscenza c'è l'immaterialità, senza la quale non si può cogliere la realtà, ma soltanto delle semplici mutazioni corporee . I nfatti, sebbene la conoscenza sensibi­ le presupponga una modificazione corporea, in quanto coinvolge delle potenze organiche, tale mutazione non è ancora vera e propria conoscenza . Quest'ultima, infatti , non essendo un movi­ mento ma un'operazione immanente, non può ridursi alla rozza e inadeguata immagine della influenza fisica del corpo sensibile sul corpo del conoscente. Le dottrine materialiste ed empiriste, giacché non fanno distin­ zione fra conoscenza intellettuale ,e sensibile, e non comprendono la vera natura di quest'ultima, riducono il vero ad una modifi­ cazione materiale spazio-temporalmente situata e, pertanto, unica e i rripetibile, dell'organo sensitivo. Ogni conoscenza sarebbe una sensazione, e ogni sensazione sarebbe essenzialmente contingente, relativa e, di conseguenza, i ncerta. Una volta ridotto tutto a materia, compare l 'indeterminatezza che la materia comporta. Cio­ nonostante, uno sguardo metafisica al mondo corporeo consente di scoprire che la materia è sempre determinata da una forma e che 20

Aristotele, Metafisica, IV, 5 1 009b 1 - 1 5 , trad . cit., p. 107 . 77

F I LO SOFIA DELLA CONO S CENZA

conosciamo le ·cose più per la forma che per �la materia : un oggetto del tutto materiale sarebbe inconoscibile; ed un soggetto comple­ tamente materiale non potrebbe aprirsi conoscitivamente alla real­ tà . (Con il sensismo va spesso congiunta l'idea che il sensibile si muove sempre e in tutte le direzioni, così che non ci sarebbe nulla di definitivamente vero .) Tale commistione di corporalismo sensista e dinamicismo senza finalità è una figura filosofica che ricompare periodicamente nel pensiero occidentale . Nell 'ultimo decennio è ricomparsa special­ mente fra gli strutturalisti, che si ispirano a pensatori come Spino­ za , Freud e Nietzsche , il cui pensiero serve da base a queste concezioni che , peraltro , sono perfettamente in armonia con una diffusa mentalità edonista e relativista .

3 .2 . La realtà delle qualità sensibili

Con l 'avvento della cosiddetta « nuova scienza » , le qualità sono state considerate soggettive sia in ambienti scientifici sia in quelli filosofici dominati da posizioni critiche . In ambito fisico si pensò che le qualità secondarie (i sensibili propri degli aristotelici) fosse­ ro soggettive ; e, con la psicologia idealista , si ritenne che fossero tali anche le qualità primarie (estensione, movimento, ecc .) , giun­ gendo, così, ad abbandonare del tutto il realismo metafisica . Kant, infatti , affermerà : « Ma che cosa possano essere gli oggetti in se stessi , per illuminata che sia la conoscenza dei loro fenomeni, che soltanto ce n 'è data, non ci sarebbe mai noto » 21 dato che « i fenomeni non possono esistere in sé, ma soltanto in noi » 22• Se, ad esempio, ci interrogassimo sulla realtà di alcune gocce di pioggia , potremmo sostenere non solo che esse sono meri fenomeni, ma anche che la loro forma rotondeggiante e perfino la superficie su cui cadono non sono dati in sé, ma semplici modificazioni della nostra intuizione sensibile 23 • Già Galileo , prima d i Cartesio, Locke e Kant , aveva affermato che il calore, il sapore, i colori , ecc. erano semplici modificazioni del soggetto senziente : soltanto il movimento era per lui reale, un

2 1 Kant,

22

23

Critica della Ragion pura, A 43, .B 60, trad. cit . , Op. cit., A 42, B 59, trad. cit., p. 83 . Op. cit. , A 46, B 63 .

78

p.

84 .

E SAME DELLO S CETTICI S MO

movimento che, a motivo della propria multiformità e della varietà dei soggetti su cui agisce, provoca l'illusione di qualità differenti ; in realtà, però, l'organo di senso non percepisce altra cosa all'in­ fuori di sé . Tali affermazioni non sono scientifiche, ma filosofiche e, per di più, infondate. La meccanica classica poteva , per semplificare la ricerca, limitare la propria indagine al movimento; ma essa non poteva ridurre il reale a questo aspetto, come lo stesso sviluppo successivo della fisica ha mostrato, privando il meccanismo ridu­ zionista del suo presunto fondamento scientifico . L'antropologia biologica contemporanea, da parte sua, ha mostrato con minuziose descrizioni il valore oggettivo della conoscenza sensibile 24• Uno dei suoi principali rappresentanti, Arnold Gehlen, nonostante le deficienze della sua antropologia, ritiene che gli oggetti non si presentino soltanto come causa e origine delle impressioni sensibili, ma prima di tutto come cose oggettive, unità autonome ed effettivamente esistenti , alle quali si riferisce la percezione. L'oggetto ha un carattere indipendente e, in certo senso, « assoluto » . Ad esempio, è certo che i colori vengono conosciuti attraverso il dato luminoso che impressiona l'organo visivo ; tuttavia nella percezione primaria, tale relazione non appare affatto . Ciò che si coglie non è il mezzo per il quale mi si dà l 'oggetto, ma l 'oggetto stesso come qualcosa che sta di fronte al soggetto senziente ed è altro da lui e dalla sua sensazione 25 .

San Tommaso, commentando Aristotele, sostiene, di contro alle posizioni soggettiviste, che « il movimento secondo la quantità è diverso da quello che avviene secondo la qualità e la fonna . E anche se si concede che il movimento secondo la quantità è continuo nelle cose, e che tutte si muovono sempre insensibilmente con questo movimento, tuttavia, secondo la qualità e la forma non tutto si muove sempre . Per questo si può avere una conoscenza determinata delle cose; infatti , queste si conoscono più per la loro specie o fonna che per la quantità » 26• I n realtà, gli enti hanno qualità, che ineriscono loro come accidenti e che noi percepiamo

24 Cfr. A. Llano, Para una A ntropologia de la objetividad, cit. 25 A . Gehlen , Der J.1ensch. Seine Natur und seine Stellung in der W el t Frankfurt Athenaum 1966, ga ediz., pp . 137 e 1 64. 26 In IV Metaphysicorum, lect. 1 3 , n. 668 .

,

79

F I LO S O F I A DELLA CONO SCENZA

in modo immateriale , in accordo con l'oggetto formale e la portata di ogni potenza sensitiva, ma non arbitrariamente ; e sempre se­ condo una ragione obiettiva . Percepiamo le qualità delle cose, anche se non tutte, immediatamente, poiché esse sono ciò che primariamente e propriamente muove l 'organo dei sensi ; e, per mezzo di esse , cogliamo le quantità in modo concomitante e immediato , anche se indiretto . La negazione della portata extrasoggettiva della conoscenza delle qualità sensibili compromette del tutto il realismo gnoseologico, poiché la conoscenza intellettuale prende le mosse, in ultimo termine, dal coglimento dei sensibili propri . Nella conoscenza sensibile vi è stabilità e non contraddizione ; ad esempio, un ali­ tnento non si presenta mai al gusto dolce e amaro insieme ; e, di per sé, la dolcezza è sempre tale . Ciò che invece può succedere, senza compromettere l 'intera conoscenza sensibile , è che , per una deficiente disposizione organica, non si percepisca bene un oggetto in un momento determinato .

I sensi esterni colgono immediatamente i propri oggetti come qualcosa di extrasoggettivo : questa è un'evidenza indiscutibile . I n modo immediato e senza alcuna esitazione, noi c i rendiamo conto che l'oggetto conosciuto è qualcosa di reale e non si identifica con la nostra conoscenza . La conoscenza dei sensi esterni è l'intuizione di un oggetto fisicamente presente, senza la mediazione di alcuna specie espressa . Come tutte le facoltà conoscitive, anche i sensi esterni sono attivi, ma non producono i loro oggetti : da questo punto di vista sono recettivi , poiché non producono l'oggetto né secondo la sua materia, né secondo la sua forma, né secondo la sua presenza (come pretendono invece i diversi idealismi) , ma lo conoscono nella sua realtà oggettiva . Essi producono soltanto un 'at­ tività conoscitiva , una praxis peculiare per la quale attingono il proprio oggetto. Tale completa transoggettività degli oggetti sensi­ bil i non è apparente , ma vera 27 • 3 .3 . Gli errori dei sensi

Non è però incontestabile che i sensi cadono in errore? Rispon­ diamo con Gilson che « non bisogna farsi impressionare dai famosi f . Gredt, Unsere A ussen welt. Eine Untersuchung uber den ge­ genstiindliche Wert der Sinneserkenntnis, Tyrolia, Innsbruck 192 1 , pp . 165- 184.

27 Cfr.

80

E S AME DE LLO S CETT I C I S MO

'errori dei sensi' né meravigliarsi dell 'enorme uso che ne fanno gli idealisti . Costoro sono gente per cui il normale non può che essere un caso particolare del patologico (. .. ) . Di conseguenza, bisogna considerare come errori dello stesso tipo gli argomenti che gli idealisti prendono in prestito dagli scettici sui sogni, le illusioni dei sensi e la pazzia . Di fatto vi sono errori visivi; ma questo prova, innanzitutto, che non tutte le nostre percezioni visive sono illuso­ rie . Quando uno sogna non si sente diverso da quando è sveglio, ma quando è sveglio sa di trovarsi in una situazione totalmente diversa da quando sogna ; egli sa, anche , che non si possono avere le cosiddette allucinazioni senza avere avuto prima delle sensazio­ ni , come sa che non potrebbe sognare nulla senza essere stato prima sveglio ( . . . ) . Il motivo per cui queste illusioni sono tanto inquietanti per gli idealisti è che essi non sanno come provare che si tratti di illusioni ; ma ciò non deve inquietare il realista, per il quale soltanto esse sono veramente illusioni » 28 • I n una persona normale è l a percezione adeguata a d essere abituale, mentre l 'errore sensoriale è l 'eccezione : i sensi, di per sé, sono sempre veridici ; possono cadere in errore soltanto per acci­ dens nei sensibili comuni , e solo per indisposizione nei sensibili propri . San Tommaso offre , al riguardo, la seguente spiegazione : « Circa determinati oggetti , il giudizio dei sensi sorge spontanea­ mente, come avviene per i sensibili propri ; circa altri, invece, il giudizio segue una certa comparazione che si realizza nell'uomo grazie alla facoltà cogitativa , una potenza sensibile corrispondente all 'estimativa naturale degli animali ; questo è il modo in cui i sensi giudicano intorno ai sensibili comuni e ai sensibili indiretti . L'operazione naturale di un ente è sempre uniforme, a meno che sia direttamente ostacolato da un difetto intrinseco o da un impe­ dimento estrinseco. Perciò, il giudizio del senso è sempre vero a riguardo dei sensibili propri , a meno che vi siano impedimenti n eli 'organo corporeo o nelle condizioni esterne ; mentre, quanto ai sensibili comuni e indiretti, il giudizio dei sensi è a volte falso » 29• Gli errori e le illusioni percettive, i difetti dei sensi , le allucina­ zioni o le confusioni del sogno con la veglia, ecc. sono una conferma indiretta del realismo : manifestano, infatti , la distinzione fra verità ed errore, e la possibilità che il soggetto, per malattia o

28 E.

29

Gilson , Le réalisme méthodique, cit., De Veritate, q. l , a. 1 1 .

p. 96 .

81

F I LO S OFIA DELLA CONOS CENZA

per altre cause, non si adegui alla realtà. Ne è prova il fatto che l'uomo si rende conto di tali imperfezioni : nella rettifica dell'erro­

re, il reale si manifesta in quanto tale, quindi come esplicitamente diverso dall 'apparente. Facciamo notare che la nozione classica di sensibile proprio è simile a quella moderna di qualità seconda­ ria : mentre il 'Concetto di qualità primaria è assimilabile a quel­ lo di sensibile comune. Ebbene , la tradizione su questo punto difende una tesi opposta rispetto a quella sostenuta dal pensiero moderno : essa ritiene, infatti , che si diano più e rrori nei sensibili comuni che nei sensibili propri 30 • Quando si obietta che anche nel coglimento dei sensibili propri si danno errori , occorre rispondere che tali equivoci non sono opera dei sensi - salvo nel caso di lesioni organiche - ma della fantasia o immaginazione la quale, non rettamente disposta, può associare e comporre fra loro in modo incongruo le impressioni acquisite attraverso i sensi esterni . Questo accade , sembra, a quei dementi che hanno l 'organo cere­ brale della fantasia lesionato. A volte si può dubitare se un a sensazione corrisponda o meno ad un oggetto fisicamen te presente , poiché la fantasia creatrice può immaginare una sensazione (sensazione immaginaria) . Tut­ tavia, chi si trovi in stato di veglia e abbia il pieno possesso della propria attività razionale riconosce le sensazioni dei sensi esterni come niente affatto immaginarie, anche se in qualche caso eccezionale possa nutrire dei dubbi . I noltre, queste illusioni del la fantasia non conducono di per sé a dei giudizi falsi , ma soltanto quando ci si lasci vincere dalle apparenze . La forza della posizione realista non viene incrinata nemmeno dal fatto che , nella percezione degli oggetti sensibili, non sempre si distingue chiaramente ciò che appartiene alla sensazione attuale da ciò che viene aggiunto dall'immaginazione fondata su espe­ rienze precedenti . Si può certamente parlare, come fa Gehlen , di « struttura simbolica della percezione »: abitualmente noi per­ cepiamo una parte degli oggetti e aggiungiamo immaginativa­ mente il resto, secondo un modello stabile che acquista un certo carattere simbolico : ad esempio, scorgiamo lo spigolo di un tavolo e immediatamente ne integriamo la figura grazie allo schema percettivo corrispondente . Ovviamente, le integra­ zioni apportate dalla fantasia sono vere se procedono realmente dalle esperienze previe adeguate al caso in esame; altrimenti , possono essere false per accidens o dubitabili, come avviene al

30

In IV Metaphysicorum, lect. 14,

82

n.

702 ; cfr.

n.

693 .

ESAME DE LLO S CETT I C I S MO

mutilato che accusa dolori interessanti il tronco attribuendoli ad una gamba inesistente, ma rappresentata dalla fantasia 31 •

In conclusione, in certe situazioni può essere difficile sapere se una percezione concreta è reale o apparente, ma si tratta sempre di casi limite (similmente può essere difficile , in taluni casi , stabilire se un vivente è animale o vegetale) . Ad ogni modo , vi sono dei criteri naturali di discernimento : ogni senso giudica meglio dei suoi sensibili propri che non dei sensibili comuni o di quelli propri di altri sensi ; le sensazioni corrispondono a realtà nei soggetti sa­ ni ; da svegli si distingue chiaramente il sogno dal1 a realtà, ecc .

4. Analisi del relativismo

Fra gli argomenti scettici, quello della relatività della conoscen­ za , da noi sistemato al terzo posto nell'elenco sopra esposto, è forse il più profondo . Anche se la sua diffusione popolare è avvenuta in questo secolo - si pensi al risaputo « tutto è relati­ vo » -, esso era già stato formulato dai primi scettici e sofisti . Il relativismo è soprattutto un antropocentrismo, che potrebbe essere ben sintetizzato dalla famosa affermazione di Protagora : « l'uomo è la misura di tutte le cose » . Già abbiamo mostrato l'infondatezza di simile pretesa.

4. 1 . La critica di Husserl Il relativismo ha ottenuto un eccessivo credito fra i nostri contemporanei, ma è stato anche bersagliato da critiche implacabi­ li . Husserl afferma che il relativismo individuale, il quale afferma che per ciascuno è vero ciò che a lui sembra vero, è una teoria che viene confutata nel momento stesso in cui la si formula : è un autentico controsenso, perché il senso delle sue affermazioni nega ciò che è implicato dal senso di ogni affermazione 32, cioè, che ciò che si afferma è in se stesso vero. Ma anche il relativismo specifico, e in particolare l'antropocen-

3 1 Cfr. Gredt, 32 E. Husserl,

Unsere Aussenwelt, cit., pp. 237 sgg . Ricerche logiche, trad. cit., vol . l, pp. 1 3(}.1 3 1 . 83

F I LO S OF I A DE LLA CONO S C ENZA

trismo, è una teoria gravata delle peggiori assurdità concepibili in una teoria . Si fa, infatti, portatrice di un ulteriore controsenso, quello per cui una stessa proposizione può essere vera per un soggetto della specie uomo e falsa per un soggetto di una specie diversa. Ma una stessa proposizione non può essere vera e falsa : basta riflettere sul semplice significato delle parole « vero » e « falso », e si capisce che è un controsenso parlare di una verità per questo o quell'individuo, o per questa o quella specie. « Ciò che è vero è assolutamente vero, è vero (in sé) ; la verità è unica e identica , sia che la colgano nel giudizio uomini o mostri , angeli o dei » 33 •

4 .2 . La critica di Frege Gottlob Frege, anticipatore della critica di Husserl allo psicolo­ gismo antropocentrico, si scontrò vigorosamente con il sensismo materialista sotteso al relativismo. Vale la pena riportare alcune delle sue affermazioni contenute nell 'In troduzione a I Fondamenti dell'aritmetica ( 1 884) : « Occorre evidentemente ricordarsi bene di ciò : che una proposizione non cessa di essere vera, allorché io non la penso più, come il sole non cessa di esistere allorché io chiudo gli occhi . Altrimenti si giunge a concludere che, nella dimostrazione del teorema di P i tagora , è necessario misurare la quantità di fosforo di cui abbisogna il cervello per compiere questa dimostrazione; o si giunge ad aver timore, in studi come l 'astro­ nomia, di estendere le proprie osservazioni a tempi troppo lontani , per paura che qualcuno opponga " tu calcoli 2 X 2 = 4 ; ma non sai che questa rappresentazione numerica si è trasformata col trascorrere dei secoli, che possiede tutta una storia? Si può invece dubitare che essa abbia raggiunto già da molto il grado di sviluppo che ora ha. Chi ti assicura, dunque, che essa fosse vera, fin da quei lontani tempi ai quali ti riferisci ? Non potrebbe darsi, invece, che gli esseri allora viventi avessero in mente 2 X 2 = 5, e da questa loro rappresentazione sia poi sorta, solo lentamente, attra­ verso una faticosa selezione naturale nella lotta per l 'esistenza, l 'affermazione attuale 2 X 2 = 4, che a sua volta potrebbe essere destinata a trasformarsi nell 'altra 2 X 2 = 3 ? " . (. .. ) Se nel flusso ininterrotto di tutte le cose non esistesse proprio nulla di immobile,

33 Op. cit., 84

p. 1 32.

E SAME DELLO S CETTICI S MO

di eterno, allora cesserebbe la conoscibilità del mondo, e tutto precipiterebbe in una grande confusione . Qualcuno pensa - a quanto pare - che i concetti germoglino, nell'anima, come le foglie sulle piante, e pensa che debba essere possibile cogliere la loro essenza , cercando proprio di seguire questo modo di formarsi e cercando di spiegarlo psicologicamente per mezzo della natura dell'anima umana. Ma una tale concezione trascina tutto nel soggettivo, e finisce, se sviluppata nelle sue ultime conseguenze , col sopprimere la verità » 34• 4.3 . Relativistno e sensismo Esaminiamo ora con maggior attenzione il rapporto fra relati­ vismo gnoseologico e sensismo materialista . Se la conoscenza viene ridotta ad una mutazione corporea, allora tutto ciò che appare può essere considerato senza distinzione come vero o come falso . Infatti , se si confrontano le percezioni di soggetti diversi, si vede che lo stesso soggetto è differente per ciascuno di essi, per cui bisogna concludere che tale oggetto è e non è simultanea1nente lo stesso (ciò che è così per me, è non-così per te) . In tal modo , l 'affermazione che « tutto ciò che appare è vero » ha portato i relativisti , data la diversità delle opinioni umane, a sostenere la realtà della contraddizione . Discutendo la posizione di Protagora, Aristotele dice che « se, però, non tutto è relativo, ma vi sono anche alcune cose che esistono di per sé, allora ogni apparenza non dovrebbe essere vera, giacché l'apparenza è solo ciò che appare a qualcuno ; sicché colui il quale sostiene che tutte le apparenze sono vere, considera tutte le cose esistenti come relative » 35 • In effetti , se non si stabilisce che tutto è relativo non si può dire che tutto ciò che appare è vero . Qualora ci fossero realtà assolute , che prescindono dalla correlazione con il senso e l 'opinione, in esse l 'essere non s 'identifica con l'apparire, in quanto quest'ul timo dice relazione al senso e all'opinione, poiché deve farsi presente sempre a qualcuno 36• 4

34 G. Frege, trad. ci t., pp . 23-24. 35 Aristotele, Metafisica, IV, 6, 1 0 1 1 a 1 7-20, t r ad 36 I n I V Metaphysicorum, lect. 1 5, n . 7 1 2 .

.

cit., p. 1 1 3 .

85

F I LO S O F I A DELLA CONO S C ENZA

Contro questo tipo di sofisti , Aristotele argomenta ad hominem, facendo notare che , in ogni caso, il relativismo dovrebbe venire formulato in modo più ristretto : « devono ben guardarsi dall'asse­ rire l 'esistenza dell 'apparenza, ma devono precisare che ciò che appare esiste soltanto per la persona alla quale appare, nel tempo in cui appare e nel modo in cui appare . Se sottostanno alla discussione , ma non fino a questo segno, accadrà ad essi di fare ben presto asserzioni che sono in contrasto tra loro . � possibile , infatti , che per la medesima persona un oggetto appaia come miele alla vista ma non al gusto e che , siccome gli occhi sono due, le cose non appaiono identiche a ciascuno di questi due organi, qualora questi abb iano una diversa capacità visiva » 37 • Portata alle ultime conseguenze , la posizione relativista è insostenibile . t però possibile confutare i relativisti non soltanto ad hominem, ma an che secundu1n veritatem , cioè mostrando la fal sità della tesi da cui essi partono . Perché , come è già stato detto, se tutto l 'apparen­ te è vero, risulta necessario rendere ogni cosa relativa al senso e all 'opinione. Da ciò ne segue che non vi sarebbe nulla se nessuno lo percepisse o lo pensasse . Il che è manifestamente falso, poiché molte cose esistono realmente senza che nessuno le percepisca o abbia delle opinioni intorno ad esse , come tante cose che stanno in fondo al mare o nelle viscere della terra . In conclusione, non tutto è relativo alla conoscenza 38 • Accettare la tesi relativistica equivarrebbe ad affermare che nessun ente esiste se non è sensibile in atto . Secondo un idealismo vicino a Berkeley ( 1 685- 1 7 53), si potrebbe dire che l 'essere si identifica con l 'essere percepito (esse est percipl) . Esisterebbero soltanto le cose sentite dagli uomini o da altri esseri conoscenti : tutta l a realtà sarebbe, come il sensibile i n atto, u n atto d i colui che sente . I nsomma , il senso sentirebbe se stesso. Ma ciò è impossibile, poiché la vista, ad esempio, non vede se stessa , bensì il colore . Neppure è corretto dire che sensibile e senso sono correlativi , in una specie di coimplicazione di soggetto e oggetto, in modo tale che se mancasse l 'uno verrebbe meno l 'altro. Una cosa simile avviene nella dialettica marxista della coscienza sensibile, secondo la quale la materia si definisce per la sua relazione con il senso e

37 Aristotele,

38

Metafisica, IV, 6, lOl l a 22-28 , trad. cit., In I V Metaphysicorum , lect. 1 5 , n . 7 1 6.

86

p.

1 13.

E SAME DELLO S CETT I C I S MO

il senso per la sua relazione con la materia. In altra direzione, il concetto heideggeriano di « essere nel mondo » propone una strut­ tura unitaria nella quale l 'esistente umano è sempre già nel mondo e il mondo stesso è una dimensione del modo di essere dell'uomo . In realtà, non vi è correlazione, ma relazione unilaterale, poiché il senso si riferisce al sensibile e non viceversa. L'oggetto sensibile non viene costituito nella sensazione, né si trasforma per il fatto di essere sentito . L'oggettività non è ancorata alla soggettività , ma alla realtà. L 'essere del percepito è indipendente dall 'essere percepito : l'essere non si riduce all'essere per l'uomo.

87

Capitolo Quinto IDEALISMO E REALISMO

l . Il principio di immanenza

In questo capitolo considereremo il corso intrapreso dalla gno­ seologia in vasti settori della filosofia moderna e contemporanea, che indicheremo, in un senso molto ampio, con il termine di « idealismo ». La caratteristica principale di tale orientamento teo­ retico è di intendere il pensiero come fondamento dell'essere, ribaltando così la concezione realista, per la quale la conoscenza si fonda sull'essere . Si tratta di una prospettiva essenzialmente criticista, in cui viene radicalmente contestata la capacità umana di cogliere la realtà così come è in se stessa. Già sappiamo che non si può stabilire una equazione fra filosofia antica e realismo : anche lo scetticismo classico ha realizzato una critica acuta alla conoscenza . Nemmeno si può pensare che la filosofia moderna nella sua interezza sia idealista , fra l 'altro perché né il suo contenuto forma un blocco omogeneo, né il suo sviluppo storico presenta un corso necess ario . Comunque, l 'atteggiamento gnoseologico cui ora ci riferiamo è caratteristico dei tempi nuovi . Non si tratta di una posizione semplicemente relativista o scettica : infatti , si vuole elaborare una filosofia e, più in generale, un sapere umano, completamente al riparo da qualsiasi ambiguità o dubbio, grazie allo stretto controllo esercitato dal soggetto umano . Tali autori ritengono che chi con­ sidera la propria mente misurata dalla realtà è un ingenuo e « dogmatico » ; è necessario invertire rotta teoretica, affinché il sog­ getto dia a se stesso le proprie regole. Soltanto tale ideale di autonomia è degno di un'umanità matura . Avviatasi in questa direzione , la ragione non accetta alcun condizionamento esterno e presume di avere in se stessa ciò di cui abbi sogna.

89

F I LO S OFIA DELLA CONOS CENZA

1 . 1 . Trascendenza e immanenza La concezione che abbiamo appena abbozzato rifiuta la trascen­ denza e vuole mantenersi esclusivamente nell'ambito dell' imma nenza. Chi ariamo innanzitutto il significato di questi termini . ­

I l senso immediato e fond amentale della parola « trascendenza » si rifà ad una metafora spaziale . Trascendere (da trans, oltre , e scando, salire) significa passare da un ambito ad un altro varcando la li nea di demarcazione . Dal punto di vista filosofico, il concetto di trascendenza include inoltre l 'idea di superamento o superiorità : trascen dere equivale a « oltrepassare » una dimensione determina­ ta , su perandone il limite o confine . I l concetto di « immanenza » è simmetricamente opposto a quello di « trascendenza » , e indica il « permanere in » se stessi . L'ammissione della trascendenza non comporta l'eliminazione del­ l'immanenza , ma la supera aprendola. La Psicologia filosofica insegna appunto che gli unici esseri capaci di trascendere, cioè i conoscenti , sono quelli dotati di operazioni immanenti . Al contra­ rio, l'« immanentismo » o « idealismo » è la dottrina filosofica in cui non si capisce come le operazioni immanenti possano raggiun­ gere un oggetto trascendente . � opportuno distinguere i due principali versanti in cui si pone il problema della trascendenza : l'antologico e il gnoseologico . La trascendenza gnoseologica riguarda la possibilità di conoscere delle realtà di stinte dalla coscienza e dalle sue rappresentazioni : per trascendente si intende , cioè , l'extrasoggettivo. La trascendenza antologica riguarda invece l 'esistenza di realtà che superano i dati di fatto dell 'esperienza empirica , e soprattutto l 'esistenza di Dio come Essere assolutamente trascendente : trascendente si identifica qui con sopramondano . La storia della filosofia mostra che le due questioni sono strettamente legate fra loro , anche se la reciproca connessione ammette modalità molto differenti . Il rifiuto della trascendenza gnoseologica , pur non sempre in modo diretto e immedi ato, impedisce il riconoscimento di un'autentica trascenden­ za an tologica .

1 .2 . Gli argomenti dell'idealismo I n prima approssimazione , intendiamo per idealismo la nega­ zione della trascendenza gnoseologica, cioè l'immanentismo cono­ sci tivo . 90

IDEALI S MO E REALI S MO

Il problema della trascendenza gnoseologica , nei termini in cui Io pongono gli idealisti , potrebbe essere posto nel modo seguente : Con quale fondamento possiamo affermare che la coscienza esce « fuori » dai propri limiti e riconosce una realtà a sé esterna? Non si può negare che il conosciuto è, in quanto tale, qualcosa di immanente alla conoscenza ; il conoscere , infatti , implica il cogli­ mento e l 'assimilazione del conosciuto da parte del conoscente . Abbiamo allora il diritto di ritenere che l'oggetto conosciuto pos­ siede un altro modo di essere « oltre » quello che ha in quanto conosciuto ? A tali interrogativi le gnoseologie idealiste rispondono negativamente . Esse sostengono che la mente umana non coglie altro oggetto immediato che le proprie rappresentazioni , le uniche « realtà » che si possano conoscere ; infatti , la nostra intelligenza non può avere a che fare che con idee , e la nostra sensibilità con fenomeni o apparenze empiriche. Ed ecco il fondo dell'argomenta­ zione : nonostante ogni sforzo che si faccia per conoscere qualcosa di distinto dalla coscienza, tale suppos ta realtà trascendente rimar­ rebbe, essendo conosciuta , « dentro » la stessa coscienza . Già sappiamo ·che la impostazione stessa del problema non è corretta ; anzi, la questione della trascendenza gnoseologica costi­ tuisce un autentico problema solo per il criticismo, mentre l 'atteg­ giamento naturale, che accetta la realtà extrasoggettiva , si basa su di un 'evidenza immediata . D 'altra parte , il ragionamento degli idea­ listi si fonda su una estrapolazione indebita : infatti si può accettare , poiché è vero , che l 'oggetto dell 'atto di conoscenza è , in quanto og­ getto di quest'atto, qualcosa di immanente alla conoscenza, e negare , tuttavia, che la realtà del conosciuto si esaurisca nell '« essere ogget­ to di conoscenza » . L 'affermazione per cui si può conoscere qualco­ sa come esistente fuori della conoscenza, non comporta alcuna con­ tradictio in terminis. Vi sarebbe contraddizione solo se si pensasse che il conosciuto, in quanto tale , fosse totalmente trascendente il soggetto conoscente . Ma nulla impedisce, anzi l'esige la natura della conoscenza, che « oltre » ad essere conosciuto, l 'oggetto abbia una realtà propria ; che sia di per sé un ente indipendente dalla conoscenza umana. Il �conosciuto « sta » neHa mente ·solo me ntre è conosciuto, ma, se vi è vera conoscenza, esso è anche un ente reale . Illustriamo questa discussione con un esempio contempora­ neo . Un secolo fa, il filosofo statunitense Charles Sanders Peirce ( 1 839- 1 9 1 4) , pragmatista di formazione idealista, espresse nei seguenti termini il principio di immanenza : « Se mi si domanda

91

F I LO S OFIA DELLA CONO SCENZA

se esistono realtà interamente indipendenti dal pensiero, chiede­ rei a mia volta che significa e può mai significare tale espres­ sione . Quale idea si può applicare a ciò di cui non si ha idea? Poiché , se possediamo una qualche idea di tale realtà, stiamo parlando dell 'oggetto di tale idea, che cosi non è indipendente dal pensiero . Evidentemente è del tutto fuori del potere della mente avere un'idea di qualcosa che è completamente indipen­ dente dal pensiero : questa idea dovrebbe tirare se stessa fuori da se stessa . Ora, poiché tale idea non c'è, la predetta espres­ sione non ha significato » 1• Un successore di Peirce all 'Universi­ tà di Harvard , Hilary Putnam, ha così replicato : non è lo stesso essere rappresentato in un concetto ed essere un concetto . Perché qualcosa sia concepibile deve essere, come è ovvio, rap­ presentabile in un concetto , ma non per questo deve essere un concetto . Non vi è alcuna contraddizione nell'ammettere che vi sono cose che non sono concetti e nel parlare di esse . Cosi facendo, non si pretende di concepire l'inconcepibile, ma soltan­ to di concettualizzare il non-mentale 2• (La posizione di Putnam è indicativa dell 'orientamento realista condiviso da buona parte della filosofia attuale) .

Essenzialmente e originariamente, il princzpzo di immanenza consi ste nella negazione della trascendenza dell'essere rispetto alla coscienza (sia questa individuale o sociale, spirituale o sensibile, strutturale o storica) . L'essere si costituisce nell'immanenza del soggetto pens ante . Nella n1etajisica realista, l 'essere è l 'atto radicale dell 'ente, il principio cioè della sua posizione. L'atto di essere è, in ogni ente , il principio interno della sua realtà e dell a sua conoscibilità, il fon damento , quindi , dell 'atto di conoscenza. Con ciò si considera certo la conoscenza come un modo, anzi il modo più elevato , dell 'essere ; ma non si prende l 'essere per un elemento o una dimensione della conoscenza . L'idealismo, invece , considera l 'ente (ciò che si conosce) come un 'attuazione della conoscenza. Secondo tale prospettiva, l 'essere è posto dal pensiero . L 'essere (o ciò che, come tale, può avere significato per l 'uomo) è posto dalla coscienza , è un suo risultato o effetto ; non la può trascendere , quindi , ma le appartiene . Data p oi

1 C h . S. Peirce, The Logic of 1873, in « Collected Papers » , ed. di A. W. Burks , Harvard Univ. Press, Cambridge 1 965- 1 966, vol. Il, p . 2 1 1 . 2 H . Putnam, Mind, Language and Reality, Harvard Univ. Press, Cambridge 1 979, p. 273.

92

IDEALI S MO E REALI S MO

l'impostazione criticista, qualunque fondamento soggettivo venga posto , esso può venire ulteriormente fondato in senso più radicale : la coscienza conoscitiva può risolversi , a sua volta, nella prassi sociale, nella storia, nel linguaggio . . . Questo movimento regressivo della riflessione, nel quale si finisce per smarrire le cose stesse, costituisce una delle linee più caratteristiche dello sviluppo del principio di immanenza .

1 .3 . L 'idealismo e la metafisica Sotto il titolo di « idealismo » o « immanentismo » si raccolgono sistemi o concezioni che, almeno apparentemente, sono fra loro molto diversi . Per di più , nessuno di essi è caratterizzato dal semplice rifiuto della trascendenza gnoseologica, difatti presentano spesso delle analisi complesse e sofisticate . Tuttavia, senza indulge­ re a semplificazioni eccessive a cui sfuggirebbero le differenze , se ne possono ricercare i principi ispiratori comuni e le conn essioni storiche . L 'idealismo non è soltanto una dottrina gnoseologica : esso in­ clude alcune posizioni metafisiche contrarie a quelle della metafisi­ ca dell 'essere . Ciò spiega perché vi siano immanentismi che difen­ dono tesi apparentemente realiste, anche se spesso rimangano su posizioni empiristiche o materialistiche . Le due posizioni si distinguono in base a una diversa fondazio­ ne : la metafisica realista sostiene che l'essere fonda la verità del pensiero, mentre l 'immanentismo idealista ritiene ·che il fondamen­ to dell'essere sia ben radicato nella coscienza . L'immanentismo è sempre , in un modo o nell 'altro, un umane­ simo radicalizzato , un antropocentrismo che sbocca necessariamen­ te in un antiumanesimo pratico e teorico . Se si pone l 'uomo come fondamento originario , la trascendenza - prima quella gnoseologi­ ca e poi quelLa antologica - viene emarginata, debilitata e, infine, eliminata . Tale negazione della trascendenza ha trovato diverse articolazioni e diversi inquadramenti teorici . Come abbiamo visto nel capitolo precedente, già agli albori della filosofia occidentale vi sono degli elementi immanentisti ; essi , tuttavia, non hanno ancora un valore fondante e costruttivo , a differenza di quanto avverrà con la crisi moderna, il cui inizio può essere considerato il nominalismo di Ockham . Il cogito cartesiano e l'« io penso in generale » di Kant saranno le formulazioni più caratteristiche 93

F I LO S O F I A DELLA CONO S C ENZA

dell 'impostazione moderna, alla quale si ispireranno in modi diver­ si tutte le altre . La metafisica dell 'essere parte dall 'ente come prima nozione intellettiva , che esprime le singole realtà in quanto dotate dell'atto di essere . L 'idealismo, invece , priva l 'ente della sua condizione di primum cognitum , e l 'essere della sua proprietà di attuare ogni atto e ogn i perfezione ; muove dali 'immanenza della coscienza in se stessa e cerca di fare di essa la veri tà prima , l 'azione e perfezione somma. Sartre ( 1 905- 1 980) espone tale inizio con grande chiarezza : Il nostro punto di partenza è, in effetti, la soggettività dell'in­ dividuo, e ciò per ragioni strettamente filosofiche ( ...) . In un punto di partenza non vi può essere altra verità che questa : penso, dunque esisto ; sta qui la verità assoluta della coscienza che apprende se stessa. Ogni teoria che considera l'uomo fuori da questo momento nel quale apprende se stesso, è in primo luogo una teoria che sopprime la verità, poiché, al di là del cogito cartesiano, tutti gli oggetti sono soltanto probabili ; e una dottrin a delle probab ilità che non di penda da una verità, affon­ da nel null a. Pertanto , perché vi sia una qualunque verità, è necessaria una verità assoluta ; e tale verità è semplice, facile da apprendere , è alla portata di tutti : consiste nel cogliere se stessi senza intermediari » 3 • «

L'imm anen tismo aspira alla perfetta identità del soggetto con se stesso , mentre la metafisica dell 'essere muove dalla conoscenza dell 'ente e dal principio di non-contraddizione, in coerenza con il carattere finito della realtà cui fa ri ferimento .

1 .4 . La possibilità dell'idealismo e le sue conseguenze L'idealismo è possibile e spiegabile perché « il fatto di essere 'io' colui che conosce, e il fatto che l 'uomo è, per il suo intelletto , secondo l 'espressione classica, quodan1modo omnia (in certo modo tutte le cose) , dato che , nel conoscere le cose, l 'atto del conosciuto in quanto tale e l'atto del conoscente in quanto tale si identificano in un solo e medesimo atto vitale di conoscenza; questo fatto, dicevo, offre un 'altra possibilità : tutto ciò che esiste, esiste in me e per 3 J. P. Sartre, L'existencialisme est un humanisme. Nagel, Paris 1 964 , pp. 63-64; cfr. C. Cardona, Metafisica de la opci6n intelectual, cit., pp. 88-89.

94

IDEALI S MO E REALI S MO

me, e io mi scopro come totalità inclusiva nella quale e per la quale ogni cosa esiste (ovviamente, soltanto in quanto conosciu­ ta) » 4• Tutto ciò che è può cadere sotto lo sguardo intellettuale dell'uomo, sicché, per lui, si dà una certa convertibilità fra ciò che è e ciò che egli conosce. In termini grafici , potremmo dire che si può considerare la sfera della conoscenza tanto ampia quanto quella dell 'essere, e finire per sostituire questa con quella. L'idea­ lismo è possibile perché l 'uomo è intenzionalmente aperto a tutta la realtà . Questo spiega perché l 'idealismo costituisca, con la sua razio­ nalità totalizzante, una specie di « tentazione della ragione » . I n u n primo momento, l'idealismo può anche sembrare u n atteg­ giamento speculativo più scientifico e rigoroso, dato che vuole ottenere una completa trasparenza della conoscenza - e, più in generale, di ogni atto umano - di fronte a se stessa, senza lasciare nulla di oscuro o incompleto nel procedimento discorsi­ vo. Esso costituisce , inoltre , una tentazione di potere, di svinco­ lamento e autonomia assoluta, di liberazione, poiché il soggetto non accetta più nulla di imposto, ma vuole dominare tutto per trasfonnarsi, secondo l'ideale cartesiano , in « signore e padrone della natura » . Si esalta, di conseguenza , il potere della ragione, in quanto all'atto conoscitivo viene attribuito un potere creatore o, al meno, produttore. Con ciò, l 'uomo non accetta il posto che gli corrisponde nella realtà, e rivendica per sé un ruolo che è proprio del solo Dio . L'idealismo non può pertanto essere, né sul piano storico né su quello individuale, un atteggiamento naturale o spontaneo (come il realismo) , ma ricercato e voluto.

L 'atteggiamento intellettuale che mette fra parentesi la realtà degli enti e inizia con una totale riflessione su di sé, ostacola, quando non impedisce, l'incontro con la verità trascendente : una trascendenza vera e non una semplice proiezione dell 'io pensante . Logicamente una tale prospettiva fomenta una implacabile avver­ sione verso tutto ciò che è ricevuto, ciò che mi si impone con la forza della realtà , o ciò che mi viene dato gratuitamente, senza che sia io a inventario o produrlo . Dal punto di vista della metafisica dell 'essere, si comprende perché la suddetta tendenza, quando venga portata alle sue ultime conseguenze , conduce prima all '« o­ blio dell 'essere », poi alla « morte di Dio » e, infine, alla « morte deli 'uomo » : al nichilismo . 4 C. Cardona, op. cit., pp. 90-9 1 .

95

F I LO SOFIA DE LLA CONOSCENZA

Fortunatamente l 'idealismo non è una prigione senza possibilità di fuga . Non sono mancati e non mancano numerosi tentativi di ritorno all 'essere, di « ritorno alle cose stesse ». Il valore di questi tentativi è disuguale. Quando non si abbandona l 'impostazione immanentista, il destino è già segnato : si tratta di sforzi inconclu­ denti , giacché il loro punto di partenza e il metodo seguito sono inadeguati al raggiungimento della trascendenza gnoseologica e anche della trascendenza antologica. Tuttavia, in altre occasioni , la revisione e la critica delle posizioni ideal iste ha portato al recupero della prospettiva realista . La filosofia più recente , sia fenomenolo­ gica sia anal itica , è per buona parte una prova che tale rettifica è possibile; a ciò è dovu ta l 'inattesa crescita d 'interesse per la metafisica realista da parte di esponenti di un pensiero con matrice gnoseologica idealista 5 •

2 . Diverse forme di idealismo

Una descrizione esauriente delle molteplici espressioni dell'idea­ lismo richiederebbe un excursus attraverso quasi tutta la storia del pensiero moderno e contemporaneo, dal momento che buona parte della filosofia post-cartesiana si fonda sul principio di immanen­ za 6• Anche in posizioni tanto apparentemente opposte all'idealismo, come l 'empirismo , il materialismo dialettico o l'esistenzialismo , si può notare che il punto di partenza è sempre l 'immanenza della coscienza umana e che in essi non si raggiunge un'autentica trascendenza . Ma non è nostro compito stendere u n a storia del pensiero , né dobbiamo uscire dall'ambito tematico della gnoseologia . Non an­ dremo, pertanto, al di là della descrizione delle due forme più caratteristiche ed influenti dell 'idealismo moderno : l 'idealismo cri­ tico di Kant e l 'idealismo assoluto di Hegel . Per altro, questi sistemi contengono, in sintesi o in germe, le altre principali varian­ ti che l 'idealismo ha offerto negli ultimi tre secoli .

5 Cfr. A. Llano, Filosofia trascendental y Filosofia analitica (Transformaci6n de la Metafisica) in « Anuario filosofico » , XI I , l e 2, 1 978. Ved. anche Id., Metafisica y Lenguaje, cit. 6 Cfr. C. Fabro, In troduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma 1 969, 2a ediz. ; C. Cardona, Metafisica de la opci6n intelectual, cit.

96

I DEALI S MO E REALI S MO

A. L'IDEALI S MO CRITICO 2 . 1 . Il metodo kantiano Ciò che fa di Immanuel Kant ( 1 724- 1 804) un punto di riferi­ mento decisivo dell'idealismo moderno è la sua scoperta di un metodo completo e autosufficiente - la riflessione trascendenta� le da sostituire al modo di procedere dell'antica metafisica . La critica della conoscenza sostituisce la metafisica come scienza fondamentale, e inoltre pretende di costituirsi a modello di « ogni metafisica che voglia presentarsi come scienza » . Kant quindi procede alla rielaborazione dei principali concetti filosofici , rivisi­ tandoli in chiave gnoseologica e antropocentrica . La sua filosofia critica non è una speculazione neutrale , che pretenderebbe di riflettere la realtà del trascendente, ma un impe­ gno già carico di presupposti e interessato all'attiva conquista teorica e pratica dei fini della ragione: l'autonoma realizzazione dell 'uomo nella conoscenza del mondo e in una prassi morale che non riconosce alcuna istanza normativa extrasoggettiva 7• Per Kant, la riflessione trascendentale - che si identifica con l'« autoconoscersi della ragione » - non può che partire dai dati di esperienza così come appaiono nella nostra coscienza . Tuttavia, sebbene tutta la conoscenza umana abbia inizio con l'esperienza, non si può sostenere che essa proceda totalmente dall 'esperienza 8• L'esperienza sensibile , infatti , è singolare , conting'e nte e non può offrire l 'universalità e la necessità che la scienza esige 9• È impor· tante notare al proposito che Kant parte da un fatto storico-cultu­ rale che considera indiscutibile , cioè il rigore e la fecondità della fisico-matematica newtoniana, dei cui principi intende fornire una spiegazione gnoseologica. -

7 Cfr. A. Llano, Fenomeno y trascendencia en Kant, cit. , p. 27 ; I d . , Kant » , in G E R vol. X I I , pp. 723 sgg. 8 I . Kant, Critica della Ragion pura , B l . 9 I n tal modo, Kant si dissocia fin dall'inizio dall'empirismo, per il quale ci si deve attenere esclusivamente all'intuizione sensibile. Già Locke ( 1 632-1 704) riduceva l'intelligenza a riflessione sulle sensazioni. Berkeley ( 1 685-1 753) sosteneva che tutto è rappresentazione della coscienza sensibile, offrendo un modello tipico dell'idealismo sensista : esse est percipi. E Hume ( 1 7 1 1-1 776) porta tale prospettiva fino alle sue conseguenze estre.m� , affermando che le idee derivano esclusivamente dalle impre.ssioni: i concetti generali si fonderebbero così su di un termine particolare soggettivo. «

.

.

.,

97

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

2 .2 . I giudizi sintetici a priori A tal fine, Kant, nella Introduzione alla Critica della Ragion pura, studia la distinzione fra giudizi analitici e giudizi sintetici . I giudizi analitici si fondano sul principio di non-contraddizione; in essi il predicato si limita ad esplicitare il soggetto , nel quale si trovava già precontenuto ; questi giudizi a priori - che precedono, cioè, ogni esperienza - sono universali e necessari , ma non ampliano la nostra conoscenza , e, pertanto, non generano scienza. Nei giudizi sintetici, invece , il predicato non è contenuto nel soggetto ; essi sono a posteriori, cioè derivano dall'esperienza. Tuttavia, nonostante amplino la nostra conoscenza , essendo parti­ colari e contingenti non sono idonei a costituire gli elementi della conoscenza scientifica . Alcuni giudizi sintetici , però (ad esempio, « tutti i corpi sono pesanti >> ) , esprimono una proprietà universale e necessaria dei fenomeni naturali ; e poiché il semplice dato a posteriori, per quanto lo si ripeta , non può giustificare l 'universali­ tà e la necessità, ne segue che si deve ammettere l'esistenza di giudizi sintetici a priori, che sono proprio quelli che costituiscono la conoscenza scientifica . Un tale genere di giudizi si troverà effettivamente nelle scienze matematiche (geometria e aritmetica) , nelle scienze fisiche e sembra che debbano essere propri anche della metafisica , se questa si vuole presentare come una scienza che fa avanzare rigorosamente la nostra conoscenza . Vengono così poste le seguenti domande fondamental i : come sono possibili i giudizi sintetici a priori nella matematica? E nella fisica? Sono forse possibili in metafisica ? A questi interrogativi rispondono ri spettivamente , le tre parti della Critica della Ragion pura: l'Este­ tica trascendentale, l'A nalitica trascendentale e la Dialettica tra­

scendentale. 2 . 3 . L'Estetica trascendentale

Nell 'Estetica trascendentale, Kant sviluppa una teoria della sen­ sibilità e del fenomeno empi rico concepito come l'oggetto indeter­ minato di una intuizione empirica . La materia del fenomeno è la sensazione, reazione soggettiva della coscienza di fronte allo stimo­ lo sensibile . Questa materia dei fenomeni ci è data a posteriori, poiché proviene dalla realtà esterna, la cui esistenza Kant deve in qualche modo ammettere come ortgtne dei dati empirici ricevuti passivamente dalla sensibilità ; la sua prima caratteristica è la 98

IDEALI S MO E REALI S MO

molteplicità, dato che i dati provengono da stimoli differenti . Le forme del fenomeno - spazio e tempo - sono , invece, le struttu­ re unificanti e ordinatrici delle intuizioni empiriche . Lo spazio e il tempo sono le condizioni di possibilità dei fenomeni empirici . Tali forme a priori o pure vengono imposte ai fenomeni dalla natura della nostra sensibilità : lo spazio è la forma delle intuizioni dei sensi esterni e il tempo è la forma delle intuizioni dei sensi interni . In quanto forme di tutti i fenomeni, spazio e tempo sono universa­ li e necessari ; per questo sono possibili giudizi scientifici - sintetici a priori - nella geometria (costruita sulla pura forma spaziale) e nell 'aritmetica (edificata sulle pure strutture temporali) . H carattere soggettivo dello spazio e del tempo porta con sé l'idealità trascen­ dentale - diversa dalla idealità empirica di Berkeley - del fenomeno. I cosiddetti « oggetti esterni » non sono altro, per Kant, che semplici rappresentazioni della nostra sensibilità . Cosa siano gli oggetti in sé e separati da tale recettività spazio-temporale della nostra sensibilità, « non possiamo saperlo in nessun modo » 10• Ciò però non impedisce, anzi esige, che i fenomeni abbiano una realtà empirica : non sono mere apparenze , bensì oggetti effettivamente dati nell 'esperienza . Il kantismo si configura così come un ideali­ smo trascendentale ed insieme come un realismo empirico : si tratta cioè di un idealismo formale, costruito in funzione della scienza naturale.

2 .4 . L'Analitica trascendentale L'Analitica trascendentale prende in esame la problematica del­ l 'oggettività scientifica, esaminando riflessivamente le condizioni alle quali il fenomeno sensibile diviene, nel nostro intelletto, qualcosa di stabile e unitario, ovvero un oggetto f�sico conosciuto compiutamente . Per Kant, infatti , soltanto al livello intellettuale è possibile raggiungere una stretta oggettività, una validità universale . Volendo fondare l'oggettività scientifica, Kant non accetta alcu­ na soluzione offerta dalla filosofia del passato . Di contro a] razionalismo dogmatico di origine cartesiana, non ammette che la nostra mente sia dotata di idee innate 1 1 • Ma nemmeno concede al1a

1° Kant, Critica della Ragion pura, A 42, B 59, trad. cit., p . 83. 1 1 Nel razionalismo, l'unico modo per ottenere la scienza è l'intuizione

intellettuale, svincolata dalla conoscenza sensibile. Gli oggetti intellegibili

99

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

tradizione aristotelica che la nostra mente sia capace di illuminare delle dimensioni sovraempiriche presenti nei fenomeni sensibili , vale a dire di astrarre da esperienze particolari dei concetti univer­ sali . I nfine, ritiene che l 'empirismo negando il carattere intellettua­ le dei concetti, termini in uno scetticismo dissolutore della scienza . Kant ricerca una via che sarà proprio quella che meglio concorda con una impostazione immanentista . Il suo apporto decisivo consi­ ste nell 'aver potenziato la soggettività umana fino a trasformarla in soggettività trascendentale : una soggettività sopraindividuale, in­ tersoggettiva, epistemologica, normativa , fondante l'oggettività scientifica . Il concetto chiave dell'Analitica è proprio quello di soggetto trascendentale. Per « trascendentale » Kant intende ogni conoscen­ za che si occupi , non tanto degli oggetti , quanto del nostro modo di conoscerli, in quanto questo deve essere possibile a priori 12 • La spontaneità del nostro intelle ù o sintetizza e conferisce oggettività concettuale ai fenomeni empirici , i quali già posseggono una struttura spazio-temporale. Il fondamento della conoscenza scienti­ fica - e degli oggetti di tale conoscenza - deve essere ricercato, pertanto , nei principi formali, a priori dell'intelletto . Questa facol­ tà unifica e determina i fenomeni sensibili , formalizzandoli secon­ do la struttura dei nostri giudizi . La classificazione dei giudizi è proprio il filo conduttore per la deduzione della tavola delle categorie . Le categorie kantiane sono i concetti-radice, i modi fondamentali in cui si verifica la sintesi dei fenomeni : sono le « forme di un'esperienza in generale » . Attraverso l e categorie o concetti puri, si realizza u n a sintesi che unifica i fenomeni intorno ali 'io trascendentale, e che culmina con l'appercezione trascendentale, funzione intellettuale per la quale tutte le percezioni si riferiscono alla coscienza dell'« io penso » . Ma come è possibile che queste fonne a priori del soggetto trascendentale siano valide per la conoscenza degli oggetti? È possibile , deve rispondere Kant, proprio perché queste fonne soggettive sono le condizioni e il fondamento di ogni conoscenza :

devono apparire nell'immediatezza della coscienza come idee innate, la cui autenticità viene garantita dal criterio cartesiano della chiarezza e distinzio­ ne. A partire da tali idee la filosofia procede interamente a priori, secondo un ordine geometrico. Come affermava Spinoza ( 1 632-1 677), « l'ordine e la connessione delle idee è identico all'ordine e alla connessione delle cose » . 12 Cfr. Kant, op. cit., B 25 .

1 00

IDEALI S MO E REALI S MO «

Le condizioni di possibilità dell'esperienza in generale sono a un tempo condizioni della possibilità degli oggetti dell'esperienza, ed hanno perciò valore oggettivo in un giudizio sintetico a priori » 13 • È quindi l'intelletto che impone le sue condizioni al fenomeno sensibile, e non viceversa . In ciò consiste la rivoluzione copernica­ na realizzata da Kant : invece di essere il soggetto a girare intorno agli oggetti, devono essere questi a girare intorno all 'io pensante . Più in generale, il fondamento viene trasferito dall'essere al pensie­ ro : ora è il pensiero a fondare l'essere . È questo in sintesi il ragionamento esposto nella Deduzione trascendentale delle categorie, dove si vuole dimostrare la possibili­ tà e la validità oggettiva di una sintesi a priori di ciò che è a posteriori, grazie alla quale viene giustificata l'esistenza dei giudizi sintetici a priori nella scienza fisica . A parere di Kant, la natura non è altro che un insieme formalizzato di fenomeni, le cui leggi generali non vengono date dalla struttura delle cose, così come sono in se stesse, ma vengono imposte alla natura dall'intelletto . Siamo noi , afferma Kant, ad introdurre l'ordine e la regolarità nei fenomeni naturali, e non potremmo scoprirli se noi stessi non ve li avessimo posti originariamente grazie alla natura del nostro spiri­ to t 4 . La conoscenza scientifica è, allora, una costruzione razionale riferita soltanto all'intuizione empirica. Le categorie non sono state tratte dall'esperienza, ma sono valide soltanto per l'espe­ rienza, così che non è lecito applicarle al di là dei fenomeni sensibili. L'oggettività sorge dall'incontro fra ciò che è posto dall'intelletto e il dato dell'intuizione sensibile : « I pensieri senza contenuto sono vuoti; le intuizioni senza concetti sono cieche » 1 5• Tuttavia, dato il modo in cui Kant aveva posto il problema, tale congiunzione doveva risultare alquanto proble­ matica, tanto che il filosofo tedesco dovrà cercare un terzo elemento (il tempo come schema trascendentale prodotto dal­ l 'immaginazione) che realizzi una artificiosa mediazione fra le categorie e i fenomeni . L'armonizzazione di intelletto e sensibili­ tà è, senza dubbio , uno dei punti deboli della gnoseologia kantiana.

1 3 Op. cit., A 158, B 197, trad. cit., p . 1 76 . 1 4 Cfr. op. cit. , A 1 25-. 1 5 Op. cit. , A 5 1 , B 75 , trad . cit., p . 94.

101

F I LO SOFIA DELLA CONOS CENZA

Come si vede , Kant ammette soltanto la conoscenza di ciò che è immanente al soggetto : non si conoscono le cose, ma il nostro

modo di conoscerle (si potrebbe quasi dire, « il nostro modo di non conoscerle ») . N on possiamo raggi ungere le cose in sé, e soltanto gli oggetti di esperienza ci sono accessibili . Kant traccia una linea di separazione fra il noumeno - le cose in sé, pensabili ma non conoscibili - e i fenomeni - le cose così come ci appaiono . Per non cadere nell'idealismo totale, Kant deve tuttavia ammettere in un certo modo l 'esistenza delle cose in sé, come origine inconoscibile della materia dei fenomeni . Questo residuo trascendente è però in contrasto con una impostazione immanenti­ sta . Per questo Jacobi ( 1 743- 1 8 1 9) ha potuto dire che senza la cosa in sé non si può entrare nel sistema kantiano, ma con essa nemmeno vi si può permanere . Questa aporia è una delle principa­ li cause che faranno sorgere l'idealismo assoluto post-kantiano .

2 . 5 . La Dialettica trascendentale La Dialettica trascendentale vuole proprio scoprire la « illusio­ ne » implicata dal tentativo di conoscere speculativamente la realtà in sé . � naturale e inevitabile che la ragione umana non si accontenti della conoscenza degli oggetti di esperienza . La sua tensione verso la totale unità, la spinge a ricercare alcune realtà ultime , corrispondenti agli oggetti trascendenti della ragione, o idee. Le idee, secondo Kant, sono determinate dalla natura della ragione , per questo vengono dedotte dai diversi modi del ragiona­ mento . Si hanno così tre classi di idee trascendentali, corrisponden­ ti alle tre modalità dell 'unità suprema di tutte le condizioni : anima, mondo e Dio . Usate correttamente , le idee non sono costitutive della realtà né posseggono alcuna validità oggettiva. Sono soltanto dei con­ cetti utili all'indagine scientifica : non indicano delle realtà oggettive, ma semplicemente il modo in cui dobbiamo ricercare i rapporti fra gli oggetti offerti dall'esperienza, affinché si presentino come campi di ricerca ordinati e armonici . Si tratta, quindi, di un uso ipotetico : è conveniente , ad esempio, ragiona­ re come se (als ob) tutti i fenomeni fisici formassero quell'unità che chiamiamo « mondo » ; o tutti i fenomeni psichici rimandas­ sero a quell'altra unità detta « anima » . Ciò non si gnifica che anima, mondo e Dio siano delle realtà trascendenti effettivamen­ te esistenti .

1 02

IDEALI S MO E REALI S MO

La ragione; però, seguendo la sua interna dialettica illusoria, non si accontenta di considerare le idee come ipotesi , ma le trasfonna in ipostasi : conferisce loro una realtà ch'esse non pos­ siedono e s 'illude di ampliare la capacità della conoscenza umana fino a poter attingere delle realtà trascendenti . ! questo un modo di ragionare che parte da premesse prive di contenuto empirico, e pretende di dedurne qualcosa di cui non abbiamo intuizione e che quindi non possiamo conoscere . Le fallacie in cui, a giudizio di Kant, cade la ragione quando svolge una metafisica dell 'anima, sono i Paralogismi. Le Antinomie sono le contraddizioni che sorgono allorché si consideri il mondo come cosa in sé. Infine, Kant tenta di invalidare le diverse argomentazioni speculative per dimostrare l 'esistenza di Dio (ldeale trascendentale) , le quali si riducono, in ultima analisi , all'argomento antologico , che cade nell 'errore di concepire l'essere come un predicato reale, invece di considerarlo come la semplice posizione assoluta di una cosa. Kant, in tal modo, pensa si avere sufficientemente provato il carattere non scientifico della « metafisica dogmatica » , nella quale non sono possibili i giudizi sintetici a priori.

2 .6 . La Ragion pratica Soltanto la Ragion pratica potrà attingere le realtà trascendenti : essa stabilisce, come postulati, l 'esistenza della libertà umana, dell'immortalità dell 'anima e di Dio . Tali postulati sono necessari alla ragione per essere coerente con se stessa, ma non ampliano per nulla la nostra conoscenza della realtà : essi vengono posti perché possa adempiersi la legge morale che la ragione detta a sé stessa . I postulati sono oggetto di fede razionale, non di conoscen­ , za : « Ho dovuto sopprimere il sapere per sostituirvi la fede » 16 affenna Kant . B . L ' IDEALI S MO AS SOLUTO Con l'idealismo assoluto postkantiano - detto anche « idealismo tedesco » o « idealismo romantico » - l 'immanenza del pensiero diventa completamente padrona della realtà . La coscienza si tra16

Op.

cit. , B XXX , trad . cit., p . 28 .

1 03

F I LO S O F I A DELLA CONOS CENZA

sforma in un assoluto che ingloba e supera tutte le determinazioni parziali . La vetta di questo nuovo idealismo è senz'altro raggiunta da Hegel ( 1 770- 1 83 1 ) , il cui sistema mostra chiaramente come l'idea­ lismo vada ben oltre una tesi gnoseologica e diventi una nuova metafisica, nella quale l'essere appartiene totalmente al pensiero .

2 . 7 . La teoria del

«

cominciamento

»

La nuova prospettiva è evidente fin dall 'inizio, allorché Hegel pone la questione del cominciamento del sapere . Egli è perfetta­ mente consapevole della necessità di un'indagine circa l 'inizio delJ a scienza, soprattutto per la filosofia moderna, nella quale « l 'atto del soggetto viene afferrato quale un momento essenziale della verità oggettiva » 1 7 • Poiché poi pensiero ed essere si identificano, l 'inizio del sapere coincide con il principio dell 'essere . Ora, l 'inizio del puro sapere non può essere un oggetto o un soggetto particolare , per quanto privilegiato : non può essere l'io individuale del cogito cartesiano 1 8 , né l 'io assoluto e produttivo di Fichte 1 9 ; meno ancora , la particolarità sensibile degli empiristi . Il

1 7 H egei , Scienza della Logica, ed . Lasson, vol . 1 , p. 5 1 ; trad . ci t., tomo I , p . 5 2 . Si veda A . Llano, Dialéctica del Absoluto , in « Anuario Filos6fico » , X- 1 , 1 977, pp. 1 6 1 - 195. 18 Il cogito cartesiano segna l'inizio di una svolta nella storia del pensiero occidentale. Con esso prende l'avvio un modo di pensare in cui il soggetto pensante, cioè l'io, trova in se stesso il primo fondamento sicuro per raggiungere la completa certezza richiesta dallo stesso pensare. Il criterio della certezza assume una caratteristica immanente : non rimanda cioè all'evidenza della realtà, ma fa ricorso alla chiarezza e distinzione delle proprie rappresentazioni. Al fine di imporre la posizione dell'io pensante come l'inizio del sapere, è necessario sottomettere le supposte evidenze oggettive a un dubbio sistematico e universale, a un dubbio metodico, dal cui seno sorgerà la certezza del cogito. Tuttavia, questo io cartesiano non produce la realtà, ma deve garantire una realtà oggettiva fondandosi sul principio soggettivo. Partendo dal cogito come principio, Cartesio tenterà di recuperare per via dimostrativa l'esistenza del mondo esterno e l'esistenza di Dio. 1 9 Fichte ( 1 762- 1 8 14) pone all'inizio l'autoposizione dell'io : « L'lo che pone se stesso e L'lo esistente sono pienamente identici, sono una sola e medesima cosa ( ...) . L'espressione immediata dell'atto testé sviluppato sarebbe la formula seguente : Io sono assolutamente; cioè: Io sono assolutamente

perché sono ( ... ). L'Io originariamente pone assolutamente il suo proprio 1 04

IDEALI S MO E REALI S MO

primo movimento del conoscere è privo di qualsiasi fatticità : nulla è dato all 'inizio. Pertanto, l 'inizio è del tutto privo di determina· zione . Questo inizio è proprio l 'essere, come l 'immediato indetermina­ to 20• Così inteso, l'essere è l'oggettività pura , l 'idea più astratta e generale di un oggetto : « Questa semplice immediatezza è quindi il puro essere. Come per sapere puro non s 'ha da intender altro che il sapere come tale, così anche per essere puro non s 'ha da intendere altro che l'essere in generale; l 'essere e niente più, senz'altra determinazione o riempimento » 2 1 • L'essere dell 'inizio è ciò che è completamente immanente al sapere , è l 'espressione del­ l'astrazione completa , dell'oggettività isolata che non ha relazione con nulla ed è uguale soltanto a sé . t talmente povero e vuoto l 'essere come oggetto puro che , a rigore, non è nulla . « Questo essere puro è poi l 'astrazione pura, quindi l 'assolutamente negativo che, preso anch'esso nella sua immediatezza, è il nulla » 22• Per cui, in questo primo stadio si può affermare che « il puro essere e il puro nulla sono dunque lo stesso » 23• Il puro essere, a motivo della sua assoluta vuotezza, porta in sé la propria contraddizione, ciò che è del tutto non-iden­ tico a sé, il nulla . Dalla tensione fra queste due contraddizioni - tesi e antitesi - sorge il divenire come prima sintesi : come negazione della negazione, unità di essere e non-essere, identità di identità e non-identità .

2 .8 . La negazione e l'avanzamento del sapere

Il continuo ricorso alla negatività, alla contraddizione costituisce il procedimento per riempire la vuotezza iniziale, per determinare

essere » . J. C. Fichte, Dottrina della Scienza ( 1 794) , trad. it. di A. Tilgher,

Laterza, Bari 1 925, 2a ediz ., pp. 57-58. Hegel criticherà tale cominciamento fichtiano, accusandolo di confondere l'io nella sua essenza astratta - che a noi all'inizio è sconosciuto - con l'io dell'autocoscienza individuale, del quale abbiamo soltanto un'evidenza empirica. 20 Hegel, Scienza della Logica, trad . cit., p. 5 5 .

21

Ibid.

22 Hegel,

Enciclopedia delle scienze filosofiche, trad . it. a cura di V. Verra, Utet, Torino 1 98 1 , 87 p . 262. 23 Hegel, Scienza della Logica, trad. cit., tomo l, p. 7 1 . 1 05

F I LO SOFIA DELLA CONO S CENZA

completamente ciò che è del tutto indeterminato e per guadagnare in concretezza reale a partire dalla semplice astrazione pensata . Ci troviamo, così, di fronte alla versione dialettica della massima spinoziana : omnis determinatio est negatio. Il sapere progredisce in quanto supera l 'indeterminazione del­ l'essere astratto e vuoto, senza però ricorrere a nulla che trascenda quest'ultimo. L'avanzamento della filosofia consiste nello sviluppo di un metodo assoluto che incrementi incessantemente il livello di determinazione, muovendosi dall'astratto al concreto, dall 'indeter­ minato al determinato. Il sapere assoluto è quindi la conoscenza piena e onnicomprensiva che l 'Assoluto ha di se stesso. Non si p resenta con i soli caratteri della conoscenza umana, ma come sapere divino, il quale , al termine del processo dialettico, raggiunge l'Idea assoluta, cioè l 'essere compiutamente determinato : essere pieno, vita , soggettività, libertà, anima 24 •

2 .9 . L 'Assoluto hegeliano Per Hegel, l 'Assoluto si trova alla fine del processo dialettico : si tratta di un Dio che non è alfa e omega, ma soltanto omega . I noltre, non trascende il suddetto processo, bensì è ad esso imma­ nente; è la vita della totalità, che ingloba è supera ciascuno dei suoi momenti . Il mondo e l 'uomo sono soltanto il « riflusso » della forza espansiva e diffusiva dello Spirito assoluto, della forza attiva e vitale di un Dio che esce fuori di sé per poi rientrare in sé . Dio ha bisogno del mondo come premessa, al fine di dare contenuto alla propria essenza : non trascende quindi il mondo, ma è ad esso immanente . Se l 'essenza di Dio non fosse l 'essenza dell'uomo e del mondo, non sarebbe alcunché . I nsomma, Dio è l'essere del mondo e il mondo è l 'essenza di Dio.

L 'immanenza assoluta di questa concezione risulta evidente per la mancanza di una vera e propria distinzione tra il finito e l'infinito. I l finito è un momento essenziale dell 'infinito : Dio si fa finito per potersi determinare . A sua volta, però, il finito non è che un « momento » della vita divina. Dio è questo movimento di ritorno su se stesso attraverso le determinazioni finite che ne completano l 'essenza. Il Dio finito è dinamicamente gravido di finitezza,

24 Op. cit., 1 06

trad. cit., I l , pp. 862-863 .

IDEALI S M O E REALI S MO

percorso dalla storicità. In definitiva Dio » 25•

«

senza il mondo Dio non è

Secondo Hegel, è Dio stesso a pensare nell'uomo allorché l 'uomo pensa a Dio : il pensiero umano è una derivazione del sapere assoluto. Certamente la dialettica hegeliana non vuole risultare un soggettivismo antropocentrico, tuttavia è sempre possibile sospettare, come già fecero i suoi primi seguaci, che un tale « sapere assoluto » non sia altro che la personificazione della ragione umana, una proiezione dell'uomo in una realtà sovraumana 26• Siamo al culmine dello sforzo idealista di assolu­ tizzare la coscienza e di ridurre l'essere all'Idea che, secondo Hegel, è « l'essenza semplice della vita, l'anima del mondo , il sangue universale che, onnipresente, non vien turbato né inter­ rotto da differenza alcuna e che è, anzi , tutte le differenze, non­ ché il loro esser-tolto ; esso pulsa in sé senza muoversi, trema in sé senza essere inquieto » 27 • Affermando che questa libera vita dell'Assoluto si sviluppa soltanto nel divenire mondano e stori­ co, Hegel deve per forza relativizzare l'Assoluto, tanto che lo stesso processo si presenta come esigenza assoluta, di fronte alla quale si dissolve ogni valore permanente.

2 . 1 0 . Conseguenze dell'idealismo hegeliano

Le molteplici conseguenze di tale concezione sono arrivate fino a noi , le sperimentiamo nel nostro vivere quotidiano : « Ogni verità

25 Id., Lezioni sulla filosofia della religione, a cura di E. Oberti e G . Borruso, Zanichelli, Bologna 1 974, vol . l , p. 1 94; cfr. pp. 1 92-1 94. 26 � questa la linea interpretativa riduzionista, caratteristica della « Sinistra hegeliana » , di contro alle ambiziose costruzioni speculative dell'idealismo romantico. All'uomo non interessa la divinizzazione, bensl la completa umanizzazione : l'essere, cioè, semplicemente e autonomamente uomo. Feuerbach ( 1 804- 1872) ritiene che quanto Hegel afferma di Dio come Assoluto non sia altro che l'autoproiezione dell'uomo considerato generica­ mente, cioè come umanità che prende progressivamente coscienza di bastare a se stessa. La coscienza di Dio, sostiene Feuerbach, è l'autocoscienza dell'uomo; la conoscenza di Dio è l'autoconoscenza dell'uomo. L'uomo è Dio per l'uomo. L'essenza divina altro non è che l'essenza umana intesa universalmente e priva della corporeità. L'uomo tende a considerare questa essenza umana come se fosse un'altra, cioè quella divina, anche se in realtà tutto in essa è umano. 27 Hegel , Fenomenologia dello spirito, trad. Negri, La Nuova Italia, Firenze 1963, vol. l, p. 1 35.

1 07

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

particolare scompare nell'edificio della s toria, l'individuo viene assorbito dallo Stato come realizzazione dell'universale che supera l'apparenza negativa del singolare, la fede è superata dalla filoso­ fia, la coscienza umana si libera dei propri limiti per giungere ad unirsi allo stesso Dio come infinitezza : si tratta, però, di un Dio in divenire, il quale si raggiunge superandosi . I l processo logico di riduzione al fondamento è, in Hegel, il processo reale del costituir­ si dell 'autocoscienza assoluta » 28• La filosofia di Hegel è senz 'altro un sistema filosofico grandioso . Tuttavia, il suo sviluppo non viene guidato da tale supposto metodo assoluto bensl da una dialettica che non resiste ad un rigoroso esame logico . I nfatti , non è stata l 'attività dell'Assoluto ad aver costruito un sistema tanto imponente e tuttavia distante dalla realtà delle cose, ma quella del soggetto pensante. I posthegeliani si sforzeranno di estrarre singole componenti di questo edificio per costruire con esse delle abitazioni più modeste, anche se ritenute più sicure ; essi crederanno poi di capire che quell'impegno di portata assoluta e divina era , in ultima analisi , soltanto umano : troppo umano 29•

28 C . C ardona , !v1etafisica de la opczon i n tel ectu al , cit., pp. 202-203 . 29 Il materialismo dialettico inizia allorché Marx ( 1 8 1 8- 1 883) assume il riduzionismo antropologico e materialista di Feuerbach, recuperando e intro­ ducendovi la dialettica di Hegel. Il principio di immanenza si presenta adesso in una nuova veste : la prassi umana acquista il ruolo principale. Per Marx, l'uomo genera se stesso attraverso il lavoro. Non si tratta più, come nell'idealismo tedesco, della produzione del concetto, ma della prassi sociale dell'umanità, della sua azione collettiva trasfonnatrice della materia, e pertanto del primato dell'economico nella sua evoluzione storica. Non si dà più dialettica fra finito e infinito, come per Hegel, ma nel corso della storia umana, il cui principio attivo è il movimento rivoluzionario della coscienza di classe. L'esclusione totale del trascendente viene realizzata in modo attivo, attraverso la produzione della scienza della realtà materiale, che si identifica con l'implacabile critica di ogni realtà non mondana. � necessario realizzare definitivamente la critica di ogni alienazione umana: l'uomo deve considerare se stesso come un'unica realtà concreta e attiva, come colui che trasforma con la tecnica il proprio contesto mondano. Occorre proclamare l'assoluta libertà umana, dato che « l'uomo è per l'uomo l 'essere supremo » . Il nemico radicale di questa libertà è la religione, poiché l'alienazione religiosa è la giustificazione di ogni altra alienazione. Quindi, la condizione di ogni liberazione è la rottura di ogni legame con l'esperien­ za religiosa, dichiarata ingannevole e illusoria. La critica primordiale è la critica all'alienazione religiosa, alla quale dovrà seguire la critica all'aliena­ zione filosofica, politica, sociale ed economica. � quest'ultima ad essere fondamentale - strutturale -, tuttavia, per abbatterla, è necessario prima

1 08

IDEALI S MO E REALI S MO 3 . Il Realismo

A. IL REALI S MO CRI TICO Dopo aver esaminato alcune delle forme più significative dell'i­ dealismo, ci occuperemo di un tipo di « realismo » il cui punto di partenza è, come nell'idealismo, l 'immanenza della coscienza . La seguente discussione rivelerà l'impossibilità di una mediazione tra

idealismo e realismo. Durante questo secolo, in determinati ambienti neoscolastici si sono sostenute alcune tesi gnoseologiche di tipo « critico » . Alcuni autori hanno voluto assumere inizialmente il principio di imma­ nenza, per superarlo dall'interno e concludere con un realismo, che meriterebbe l 'appellativo di critico, mentre l 'antico apparirebbe piuttosto come dogmatico. Come afferma Gilson, che ha discusso con profondità le posi­ zioni del realismo critico, « l'illusione tipica dei tentativi di que­ sto genere, anche quando s 'impegnano con tutte le forze per evitarla, è quella di volere trarre un'antologia da un'epistemologia e, con un metodo qualunque, trovare nel pensiero qualcosa che non sia pensiero » 30• « Di conseguenza , bisogna prima di tutto liberarsi dal pregiudizio che l 'epistemologia debba precedere l'anto­ logia. Il filosofo, in quanto tale, non ha altri doveri che quello di mettersi in accordo con se stesso e con le cose ; ora , non ha alcun motivo per supporre a priori che il suo pensiero sia condizione dell'essere; di conseguenza, non ha alcun obbligo a priori di far dipendere ciò che dice intorno all'essere da ciò che sa riguardo al proprio pensiero » 31 • Si configura la seguente situazione : « O si parte dall'essere , includendo in esso il pensiero : ab esse ad nosse valet consequen­ tia; o si prende come base il pensiero, comprendendovi l 'essere : a

vincere le alienazioni sovrastrutturali. Insomma, l'emancipazione dell'uomo, cioè la liberazione dell'essere oramai maturo da ogni tutela, è la riduzione dell'uomo a se stesso, alla sua realtà effettiva, che per Marx è solo e sempre la materia in divenire dialettico. 30 Gilson, Le réalisme méthodique, cit., p. 10. 31 Op. cit., p . 1 4.

1 09

F I LO S O F I A DELLA CONOS C ENZA

nosse ad esse valet consequentia » 32 • Il primo è metodo realista, il secondo idealista . Il realismo critico ha tentato l 'impresa impossibi­ le di giungere al realismo grazie a un metodo preso in prestito dall'idealismo . . In conclusione , se si comincia col pensiero , non si arriva che ad esseri pensati, a oggetti immanenti al pensare : come è stato commentato con un 'immagine , ad un gancio dipinto su di una parete non si può attaccare che una catena ugualmente dipinta . Il cerchio dell 'immanenza non può venire infranto dall'interno : per conoscere l 'essere reale bisogna abb andonare tale impostazione immanentistica . L'intelletto apprende direttamente le essenze inserite in una realtà diversa da quella dell 'intelletto stesso : si tratta della realtà delle cose materiali, oggetto naturale dell'intelligenza . « Pertanto, la prjma cosa che l 'intelletto umano conosce è un oggetto di tale tipo » 33 • Soltanto secondariamente viene conosciuto in modo espli­ cito l'atto per il quale l 'oggetto viene a sua volta conosciuto . E finalmente, attraverso l 'atto si conosce lo stesso intelletto 34 • Poiché il conoscere ha trovato la realtà fin dall'inizio, può in seguito ritornare su di sé. La gnoseologia si fonda sulla antologia e non viceversa 35 •

32

Op. cit., p. 78. Summa Theologiae, I,

q . 87, a. 3 . 34 Ciò non è d a intendersi in modo semplicistico. Come abbiamo già notato,

33

in ogni giudizio si dà una certa riflessione sull'atto di conoscenza e sulla facoltà conoscitiva : in caso contrario non vi potrebbe essere adeguazione veritativa. Si tratta, però, di una riflessione implicita, che può divenire esplicita nei giudizi particolari. 35 Nell'attuale filosofia analitica è stata rettificata l'impostazione caratteristi­ ca della moderna filosofia della coscienza, che Dummett ha cosi stigmatiz­ zato : « Descartes ha fatto della teoria della conoscenza il fondamento della filosofia, pensando che compito della filosofia fosse di introdurre rigore nella scienza (dove il termine 'scienza' viene preso in un senso molto generale come l'insieme di tutto ciò che crediamo conoscere) . Descartes, come altri razionalisti dopo di lui, ha pensato che ogni conoscenza dovesse raggiungere il modello che Euclide aveva applicato alla geometria: la completa chiarezza e l'assoluta certezza. Se si scoprisse che certe cose che credevamo conosciute non lo erano realmente, ciò mostrerebbe il nostro successo. Per Descartes, allora, la domanda 'cosa conosciamo?' era, non soltanto il punto di partenza dell'indagine filosofica, ma la questione centrale della filosofia. Per gli empiristi, invece, la priorità dell'epistemolo­ gia era dovuta a qualcosa di diverso. Non credevano più che la filosofia

1 10

IDEALI S MO E REALI S MO

Alcuni autori neoscolastici hanno creduto di trovare una specie di dubbio metodico anche in San Tommaso. Adducono soprattutto un testo del Commento alla Metafisica, dove si legge : « A questa scienza , cui spetta lo studio universale della verità, compete anche il dubbio universale intorno alla verità » 36 • Tuttavia, tale testo non ha e non potrebbe avere il senso cartesiano di mettere in dubbio l'esistenza di tutte le verità, ma quello aristotelico di procedere secondo uno studio metodico e, pertanto , completo, senza porre fra parentesi le certezze che di fatto si possiedono . Dubitatio traduce qui il termine greco aporia 37 , che significa difficoltà o problemi; e non epoché, che si riferisce a un dubbio che sospende la certezza . Il termine latino dubitatio significa la posizione del problema , espressa spesso nella filosofia medioevale con la domanda « u­ trum . . . », con la quale si apre lo svolgimento di una « questio­ ne » . Il testo in esame vuole dire , allora, che spetta alla fil osofia trattare del problema della verità in tutta la sua universalità . Altri hanno addotto, sempre in tale contesto, il si fallor sum 38 di Sant'Agostino, ma senza ragione. Infatti, il suo autore utilizzava tale formula come un'arma efficace contro lo scetticismo (costitui­ va un esempio di verità indubitabile) ; ma non rappresentava affatto l'inizio del sapere, né era una giustificazione, o tanto meno una deduzione, del realismo . Agostino non si pone il problema critico in questi term i n i . I l « realismo critico » neoscolastico h a avuto inizio con l 'opera del Cardinale Mercier ( 1 85 1 - 1 926) , per altri aspetti assai positi-

fosse un'indagine 5ulla certezza ; in buona parte perché tale meta non sembrava raggiungibile. Per essi, piuttosto, l'epistemologia precedeva gli altri rami della filosofia, poiché indicava l'unico cammino percorribile per l'analisi delle idee, e innanzi tutto per la loro acquisizione. Solo attraverso l'induzione si considerava possibile acquisire le idee, e quindi solo attraver­ so lo studio dell'induzione le si poteva comprendere. Il problema principale allora cambiò : da 'cosa conosciamo?' a 'come conosciamo?' » . Dununett, Frege. Philosophy of Language, cit., p. 676. 36 « Ista scientia sicut habet universalem considerationem de veritate, ita etiam ad eam pertinent universalis dubitatio de veritate » . In III Metaphysi­ corum, lect. l , n. 343 . 37 Cfr. Aristotele, Metafisica, I I I , 1 , 995b 25. 38 Sant'Agostino, De libero arbitrio, Il, 3, 7 .

111

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

va, che proponeva di partire dal cogito di Cartesio al fine di dimostrare l'esistenza della realtà esterna. Il pensiero viene inteso come il fatto primario; grazie alla riflessione, ci rendia­ mo poi conto che al suo interno vi sono le sensazioni. Abbia­ mo una certa esperienza della passività di queste ultime, cosl, applicando il principio di causalità, possiamo affermare l'esisten­ za del mondo esterno (procedimento , come si vede, poco dissi­ nlile da quello cartesiano) . Noel , allievo del Mercier, rimane sulla stessa linea del maestro, eliminando però l'argomentazione basata sulla causalità : parte dai dati immediati della coscienza, uno dei quali è proprio il reale, che verrebbe colto all 'inizio solo come fenomeno, come ciò che è appreso . In un secondo momento, per una certa riflessione , giungeremmo a sapere che il percepito è extramenta­ le e non un semplice fenomeno, come ad esempio un sogno . Si arriverebbe cioè al mondo esterno attraverso un 'esplicitazione di dati della coscienza . Noel qualifica la sua posizione come « realismo immediato » , poiché ha soppresso l 'argomento logico­ causale di Mercier . Da parte sua Picard propone d i cominciare con i l sum . In ogni stato di coscienza ciò che viene colto primariamente e in modo immediato è la realtà dell 'io. Nella misura in cui abbiamo l 'intuizione dell 'io , abbiamo anche l'intuizione dell'essere e, di conseguenza, quella dei primi principi . Ma, invero, partire dal sum anziché dal cogito non trasforma questa posizione in r�ealista : partire dal pensiero della realtà o dalla realtà del pensiero è sempre partire dalla coscienza . Per altro, il sum presuppone l'ens : non si coglie esplicitamente la propria esi­ stenza se prima non si percepisce l'esistenza delle cose esterne alla mente . Anche Roland-Gosselin propone di far iniziare la filosofia dal cogito, sostenendo un realismo critico del giudizio, che avvicina la sua posizione a quella di Kant. Poiché non si ritiene possibile arrivare all'essere inteso come esistenza, né attraverso l'appren­ sione delle essenze né attraverso i sensi , il mondo esterno può venir afferrato soltanto nei giudizi, i quali analizzano i contenu­ ti della percezione alla luce dei primi principi : si arriverebbe così all 'essere reale per una esigenza del pensiero . Roland-Gosse­ lin deve così ricorrere ad una specie di « senso agente », il quale produrrebbe una specie espressa dotata di una speciale intenzionalità in grado di condurre dall'essere indeterminato a questo essere particolare . Joseph Maréchal, nella sua importante opera Il punto di partenza della Metafisica, vuole arrivare al realismo attraverso un'analisi trascendentale di impronta kantiana. Il valore oggetti­ vo della conoscenza si manifesta formalmente al soggetto grazie all'analisi delle sue esigenze a priori, emergenti di fronte a un 1 12

I DEA LI S MO E REALI S MO

dato attuale 39• L'essere viene fondato in quanto dedotto come oggetto a priori della facoltà intellettuale . La realtà può venire guadagnata partendo dallo studio a priori delle facoltà conosci­ tive, analizzando cioè il loro oggetto formale. Maréchal vuole realizzare una « deduzione trascendentale » delle condizioni a priori degli oggetti del pensiero . L'intelligenza possiede, di fronte a ogni esperienza, un dinamismo interno che la porta necessariamente all'affermazione dell 'essere . Tale dinamismo in­ terno si compie nell 'atto del giudizio, in cui si raggiunge la realtà, e con il quale l'Autore crede di avere fondato una specie di {< realismo trascendentale » . L'oggetto si scopre come essere in quanto esso s'impone come fine , e il termine ultimo a priori di questo dinamismo è l'essere assoluto. Dio viene così raggiun­ to attraverso una deduzione che parte dal pensiero ; anzi , in ogni atto dell'intelligenza si afferma implicitamente Dio . Infine, Maréchal , riprendendo un tentativo fatto da Kant nell'ultima sua epoca, vuole dedurre a priori la sensibilità, come esigenza del puro pensiero che tende all'Assoluto : il procedere discorsivo verso l'Assoluto postula , infatti, l'assimilazione dei dati esterni al soggetto , il che richiede , a sua volta , una sensibilità associata all 'intelligenza. Il suo tentativo problematico di « superare » Kant partendo dallo stesso Kant, per giungere ad una pretesa posizione realista, ha attratto numerosi filosofi neoscolastici e sta al fondamento di non poche prospettive teologiche contem­ poranee, legate soprattutto a Karl Rahner, il quale passa dal realismo trascendentale all'an tropologia trascendentale.

B. RIVALU TAZIONE DEL REALI S MO La più recente e meglio fondata teoria della conoscenza non presenta più tali tentativi di mediazione fra realismo e idealismo : sta giungendo, piuttosto , ad un atteggiamento gnoseologico che « non ha una briciola di simpatia per l 'idealismo » 40• Tale posizio­ ne non dipende da un'opposizione sistematica alle diverse versioni storiche dell 'idealismo, ma piuttosto da una particolareggiata ana­ lisi del rapporto fra pensiero e realtà , da cui risulta che, come dice Putnam , la conoscenza umana è soltanto una parte della realtà,

39 J. Maréchal, Le point de départ de la Métaphysìque, Brouwer, Paris 1 944- 1 949, 2a ediz., vol. V, p. 493 . .w M. Dummett, Frege. Philosophy of Language, cit., p. 684. ·

Desclée

de

1 13

F I LO S OFIA DELLA CONOS CENZA

mentre la realtà non è una parte né la totalità della conoscenza umana 4 1 •

3 . 1 . I significati dell 'essere

Questo nuovo realismo insiste sul primato dell'antologia sulla gnoseologia . Infatti, sono proprio delle argomentazioni antologiche quelle che distinguono i diversi significati dell'essere. Mentre la filosofia della coscienza adottava sempre, anche se in modi diversi, una concezione univ oca della real tà , una buona parte del pen­ siero contemporaneo - soprattutto la fenomenologia e l 'analisi linguistica - hanno riscoperto che « l 'essere si dice in molti modi » 42 • La distinzione da fare a questo punto è quella fra essere reale ed essere veritativo, cioè fra l 'essere come si dà nella natura delle cose e l 'essere che si presenta alla mente quando questa giudica con verità . La filosofia rappresentazionista (quella che riduce il conosciuto ad una sua rappresentazione) si è attenuta quasi esclusivamente all 'essere veritativo. Considerato isolatamente, l 'essere mentale ten­ de ad assolutizzarsi e a prendere il posto dell 'essere reale . Le idee , allora , vengono cosificate e si considera il loro modo di essere come l 'unico possibile. Poiché l 'essere delle rappresentazioni eide­ tiche è un atto di pensiero, il pensiero stesso passa a svolgere la funzione di fondamento, con il conseguente oblio del fondamento reale , cioè l'essere proprio di ogni cosa. Non è strano, allora, che si produca una trasformazione della metafisica 43, nella quale la gnoseologia sostituisce l 'antologia e si autoafferma come filosofia prima .

4 1 Putnam, Mind, Language and Reality, cit ., p. 273 . Non è questo il luogo per esporre l'interessante discussione fra Dummett e Putnam sulla questione del realismo. Basti dire che la posizione del secondo è più chiara e, a mio giudizio, meglio fondata. 42 Aristotele, Metafisica, VI I , l , 1 028a 10. La distinzione fra essere reale ed essere veritativo non implica affatto una scissione gerarchizzata, né la rinuncia a porre delle questioni critiche. Essa rappresenta, invece, l'atteg­ giamento di chi si attiene alle condizioni reali della conoscenza umana di contro alle pretese ingiustificate, e pertanto acritiche, delle filosofie dell'i­ dentità. 43 Cfr. A. Llano, Filosofia trascendental y Filosofia analitica, cit.

1 14

IDEALI S MO E REALI S MO

Si è già sottolineato che tale modo di pensare pecca di riduzio­ nismo, dato che restringe drasticamente gli orizzonti della realtà, volendo riportare tutto all'interno di un'unica sfera , conduce ad aporie irresolubili che ne manifestano l'inconsistenza . Il realismo, invece, non elimina la sfera nella quale l'idealismo si muove : riconosce che l'essere veritativo è uno dei sensi dell'es­ sere, tuttavia non l 'accetta come unico, per la ragione fondamenta­ le che , oltre ad esso , se ne manifestano in modo evidente degli altri . In tal modo, il realismo non è da vedere come l'antitesi dell 'idealismo, ma, come è stato notato da altri autori , esso è più dell'idealismo. L'apertura alla considerazione della molteplicità dei sensi del­ l 'essere permette al realismo di ristabilire le condizioni di fonda­ zione realmente presenti nella conoscenza vera . Precedentemente abbiamo presentato le solide ragioni che mostrano l 'essere veritati­ vo - l 'essere che la verità ha nella mente - fondarsi sull 'essere esteriore e separato 44 , sull 'essere proprio e principale 45 , cioè appunto quello delle cose reali .

3 .2 . I l paradosso della verità Tale riabilitazione del realismo ritiene , con la tradizione, che i nostri giudizi e le nostre proposizioni posseggano un valore obiet­ tivo di verità, indipendente dai nostri diversi modi di conoscerlo : essi sono veri o falsi in rapporto ad una realtà indipendente da noi 46• Tale rivalutazione va unita, in effetti, alla riscoperta del valore della verità, nell a sua distinzione rispetto alla verificazione. La verificazione è qualcosa che il soggetto conoscente opera al fine di stabilire la verità dei suoi giudizi e delle sue proposizioni ; si tratta, cioè, di qualcosa che ha a che fare con l'aspetto soggettivo del la certezza, più che con la realtà oggettiva che fonda la verità_. La verità è, quindi , coinvolta in un particolare paradosso : allorché si dimentica che la conoscenza è vera proprio in virtù di

qualcosa che non appartiene alla conoscenza stessa, il valore della verità si dissolve. L 'essere veritativo possiede, infatti , un carattere

44 Cfr. Aristotele, Metafisica, Xl, 8, 1 065a 2 1 -24 . 45 Cfr. op. cit., V I , 4, 1 027b 3-1 028a 4 . 46 M . Dummett, Truth and other Enigmas, cit., p.

146. 1 15

F I LO S OFIA DELLA CONO S CENZA

di rimando, intenzionale, che indica ciò che costituisce il suo fondamento : l 'essere reale. Se si dimentica che la verità non si fonda su se stessa, ma sulla realtà, non ha neppure senso parlare di « verità » . Questo paradosso è u n aspetto del p aradosso più ampio che riguarda realismo e idealismo, così descritto da un autore contem­ poraneo : « Se il realismo cerca la conoscenza nell'essere e l 'idea­ lismo l 'essere nella conoscenza, non essendoci termine medio nel percorso di andata e ritorno - dall'essere alla conoscenza o dalla conoscenza all'essere -, le due posizioni sono fra loro contraddit­ torie. In effetti, l 'essere è per l 'idealista una « ipostasi » del pensiero. Per il puro idealista, l 'essere è un effetto del pensiero, qualcosa che diviene reale nel momento stesso in cui è pensato. L 'essere dell 'idealista è un « essere di ragione » , che quindi esiste solo nell 'ambito del pensiero e che non esiste se non quando viene pensato . È impossibile pensare che esistano cose fuori del pensiero : è questa la formula del principio idealista di immanenza. Questo « fuori » ha un significato spazio-temporale : non esiste nulla fuori del pensiero, né fuori del tempo in cui è pensato . I nsomma, l'essere è un prodotto del pensiero, suo frutto naturale . I l realista, invece , pensa che il conoscente non sia la misura d�lla realtà. Lungi dal pensare, con Protagora , che l 'uomo è la misura di tutte le cose e che queste si fanno ad immagine e somiglianza dell 'uomo , sostiene, con Aristotele, che l'uomo è, in una certa misura, tutte le cose in quanto le conosce e, allo stesso modo, in quanto diviene a loro immagine e somiglianza . L 'essere, infatti, è ciò che muove l 'intelletto , non soltanto perché questo conosce ad instar entis, ma perché si realizza nell'assimilarsi all'essere . L'essere fa sl che l'in­ telletto sia e divenga intelletto in atto. Tuttavia, proprio perché il pensare presuppone l 'essere e la conoscenza svela la realtà, l 'essere non può trasformarsi in essere pensato . L'essere non viene modificato per il fatto di venire pensato; l 'unico a mutare è il pensante . L'essere non viene modificato nel venire pensato, poiché le strutture ideali delle quali si riveste sono « nulla ». Tali struttu­ re ideali sono semplicemente delle proprietà irreali con le quali la ragione riveste l'essere . La ragione non pone nulla nelle cose , altrimenti le muterebbe e il nostro modo di pensarle sarebbe una falsificazione della realtà che ci porterebbe ad una teoria della non conoscenza dell 'essere in sé, cioè ad un misconoscimento della realtà in sé. Alla luce di questa antinomia il paradosso dell'idea­ lismo e del realismo può essere schematicamente formulato nel seguente modo : l 'idealismo è la teorica filosofica per la quale ciò 1 16

IDEALI S MO E REALI S MO

che la ragione pone nelle cose è qualcosa di reale; il realismo, invece, è la teoria che giudica questo qualcosa ideale . È paradossa­ le che l 'idealista creda di rendere reale l 'oggetto della conoscenza, mentre il realista lo 'idealizza' allorché lo riveste, conoscendolo, di proprietà logiche ideali . L'idealista realizza l 'essere; il realista lo idealizza : è questo il paradosso dell'idealismo e del realismo » 47 • La riproposizione attuale del realismo riafferma che la causa propria della certezza è l 'evidenza oggettiva. La riflessività natura­ le della coscienza vera si risolve nell 'evidenza della realtà. Effet­ tivamente, colui che conosce, sa di conoscere, poiché è consapevole che una determinata realtà gli è manifesta 48• È questo il percorso compiuto dal realismo : dall'essere alla coscienza dell'essere e, pertanto, dall'evidenza alla certezza. Ben diversa è la posizione idealista, nella quale si dà una certezza senza evidenza 49, un assenso alla riduzione dell'essere al pensiero, che non può venire causato se non dalla volontà. Nella metafisica realista, si ammette che i primi principi, le conclusioni legittime della scienza, l 'esperienza sensibile e, in defi­ nitiva , il manifestarsi stesso della realtà, danno la certezza in virtù dell'evidenza . In questo caso non occorre che la volontà forzi l 'intelletto, poiché l'uomo è naturalmente incline a questa apertura alla realtà, a motivo della comune profonda partecipazione all 'esse­ re . Dal suo essere, l 'uomo si apre a tutto l 'essere.

47 J. J . Rodriguez Rosado, La aventura de existir, EUNSA, Pamplona 1 976, pp. 223-225 . 48 Summa Theolog iae , I, q. 1 1 1 , a. 1 , ad 3. 49 Cfr., su questo argomento, C. Cardona, op. cit. , pp. 1 58-1 74.

1 17

Capitolo Sesto L'ESSERE NELLA CONOSCENZA

l . Il primato della conoscenza dell'ente

1 . 1 . L'apertura trascendentale alla realtà e il primo concetto del­ l 'intelletto All'apertura universale del nostro intelletto corrisponde la no­ zione trascendentale di ente . Il concetto di ente si coglie con un atto intenzionalmente trascendente che è proteso alla totalità del reale in quanto tale. « L'atto nel quale la soggettività attualizza la propria capacità di cogliere l 'ente nella sua assoluta universalità consiste, dunque, nell'aprirsi di un essere a tutto l'essere » 1 • L 'apertura intellettuale alla realtà ha il primato rispetto a qua· lunque altra apprensione intellettiva, perciò il suo oggetto, cioè l 'ente, è il primo oggetto colto dall'intelletto 2• Il nostro intelletto è aperto alla realtà, della quale coglie innanzitutto il carattere reale : per evidenza immediata, di fronte alle cose, sappiamo che esse sono, e di conseguenza la prima nozione raggiunta dal nostro intelletto è quella di ente, cjoè di ciò che è. Tale nozione esprime la stessa verità in un primo radicale giudizio : « questo è » . Pertan­ to, a livello intellettuale, l'ente è il primum cognitum, senza il quale non conosceremmo nulla . Esso è la nozione originale e originaria, nella quale si risolve ogni altra intellezione 3 • La nozione di ente è, pertanto, il primum trascendentale, poiché

1

2

3

Mil hi n Puelles, La estructura de la subjetividad, cit., p . 1 59. « Primo in intellectu cadit ens » , In I Metaphysicorum, lect. 2, Summa Theologiae, 1-11 , q. 94, a. 2.

n.

45 .

1 19

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

costituisce il principio di ogni conoscenza intellettuale . « � un concetto compreso in ogni altro concetto, dato che non è possibile formare alcuna nozione senza che in essa e con essa si formi quella di ente, che in un certo senso ne costituisce la base e lo sfondo . Sicché, in qualsivoglia conoscenza intellettuale, e non soltanto nella prima , il concetto di ente ha il primato ; analogamen­ te a quello che avviene in ogni percezione visiva , e non soltanto nella prima, dove ciò che si vede innanzitutto è il colore . Segno di tale primato intellettuale è il fatto che , quando analizziamo un oggetto colto dall 'intelletto, al fondo di ogni analisi o risoluzione troviamo l 'ente : ciò non accadrebbe se l 'ente non fosse lì presente come il primo conosciuto » 4 • Non si tratta allora di una preceden­ za temporale , ma di un primato nazionale . La nozione di ente non è semplice, come già mostra la forma participiale del termine che la esprime (participio presente del verbo « essere ») . Non è semplice innanzi tutto perché non è semplice la realtà alla quale si riferisce 5• L 'ente appare già come qualcosa di strutturato e composto, descrivibile come « ciò che è » , ovvero come ciò che sta esercitando l'atto d i esistere . Si tratta, quindi , di qualcosa che (« ciò che ») ha l 'essere (« è ») , e con ciò traspare fin dall 'inizio , anche se in modo ancora impreciso e non formale, una struttura composta di soggetto e atto . Tuttavia, l 'ente non è una nozione gnoseologicamente a priori, come hanno invece sostenuto alcuni neoscolastici . I nfatti , l'origine delle prime nozioni e dei primi principi sta nella esperienza sensibile, la quale è la fonte di tutte le nostre conoscenze : princi­ pium nostrae cogn itionis est a sensu 6• La conoscenza delle cose

4 Garda L6pez, Doctrina de Santo Tomds sobre la verdad, cit ., pp. 22-23. 5 Cfr. K. Buersmeyer , Predication and Participation , « The New Scholasti­ cism » , LV, l , 1 98 1 . 6 Summa Theologiae, I , q. 84, a. 7 . S u questo punto s i nota chiaramente la differenza fra la posizione tomista e quella hegeliana intorno alla dottrina, apparentemente simile, dell'essere situato all'inizio della metafisica. Poiché Hegel non può trovare sostegno nel mondo sensibile, la cui fatticità non ha, per lui , un'autentica consistenza reale e sul quale si può applicare soltanto una riflessione esterna, l 'inizio della metafisica come Logica non può darsi che in se stesso, nell'ambito di un insostenibile a priori, secondo la più rigi­ da tradizione razionalista. Schelling rimprovererà ad Hegel di partire da un vuoto logico, da un pensiero che ha sempre contenuto il solo pensare, e quindi non è reale. Accostandosi al realismo metafisica, Schelling, nell'ulti­ tna fase del proprio pensiero, sostiene che la logica nel pensiero reale ha

1 20

L ' E S S ERE NELLA CONOS CENZA

singolari è precedente, in noi, alla conoscenza degli universali, dato che la conoscenza sensibile precede quella intellettuale 7• Questo primo concetto - quello di ente - appare come la prima illuminazione intellettuale dell'esperienza sensibile più elementare, mostrandosi insieme come principio di realtà e come principio di intelligibilità . Segue poi l 'esperienza, e in essa l'intelletto scopre, insieme alla varietà e alla mutabilità degli enti , le articolazioni metafisiche dell 'ente in quanto tale . Occorre sottolineare che tale iniziale nozione di ente non è caratterizzata da indigenza, indeterminazione e vuotezza, come sostiene il formalismo metafisica culminante nella Logica hegelia­ na, bensì dalla sua pienezza. Tutte le determinazioni reali si trovano in essa precontenute , e non soltanto in modo virtuale, ma in modo attuale, anche se implicito e ancora confuso . Essa non è il risultato di un'astrazione totale, ma il frutto di una riflessione intensiva che fa luce su quanto vi è di attualmente comune nelle cose reali . Anche se questa nozione iniziale non è ancora l 'oggetto formale della metafisica, l'intera filosofia prima troverà nella sua densità antologica il terreno fertile per un progresso conoscitivo che, prendendo le mosse dall 'ente così come appare nell'esperienza sensibile, culmina con lo studio dello stesso Essere sussistente .

1 .2 . Dall'ente all'essere La metafisica, allora, parte dall'ente (ens) e non dall 'essere (esse) . L'esse non ci si manifesta nella sua semplicità , ma come atto dell 'ente e secondo le modalità dell 'ente concreto , soggetto all a nostra esperienza sensibile . In principio, l 'essere delle cose viene conosciuto in modo super­ ficiale e confuso; ma in questo approccio iniziale , esso deve venire colto in qualche modo, altrimenti non si potrebbe mai arrivare a conoscerlo esplicitamente . Seguendo un processo di riduzione al fondamento si giunge alla conoscenza dell'esse ipsum, come atto radicale dell'ente . La riduzione della diversità del reale all'unità (analogica) del­ l 'essere viene realizzata grazie ad un riferimento dinamico al fon-

fin dall'inizio un riferimento all'essere e si appoggia necessariamente a ciò che è empirico. (Cfr. Philosophie der Offenbarung, cit ., vol. I, p. 102) . 7

Summa Theologiae, l, q. 85, a. 3.

121

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

damento , superando l 'unità logica, basata sulla semplice astrazione concettuale . Tale processo non è intuitivo né deduttivo, ma ana­ litico di fondazione : si passa dagli atti più superficiali e variabili a quelli più profondi e permanenti . In tal modo, discorrendo di atto in atto (accidenti, forma sostanziale, atto di essere) , giungia­ mo all 'essere come atto, fondamento ultimo di ogni cosa. Dapprima conosciamo l'essere delle cose esteriori nella percezio­ ne sensibile-intellettuale : si tratta di un 'esperienza guidata dal più perfetto fra i sensi interni, cioè la cogitativa o ragione particolare. In seguito si conosce l'essere della mente (la mia mente : sum) , che viene colto in modo più intimo, in quanto siamo immediatamente presenti a noi stessi , e perciò può servire come anna efficace contro gli scettici e apre, inoltre, la possibilità di giungere alla con oscenza delle realtà immateriali . Tuttavia, la propria esistenza non può essere percepita se previamente non si coglie l'esistenza esterna delle cose . Infatti , conosciamo la mente soltanto attraver­ so i suoi atti : quindi , se non si pone in atto conoscendo delle real tà da essa distinte , non è affatto possibile coglierla. 1 . 3 . Essenza e atto di essere

L'ente è insieme principio reale e intelligibile : non è possibile separare la conoscenza della sua realtà dalla conoscenza della sua intelligibilità. Una tale dissociazione è stata invece realizzata dalla scolastica formalista , la quale ha sostituito la originaria teoria metafisica della composizione reale di essenza ed essere con quella della distinzione di essenza ed esistenza 8• La seconda composizione un isce l 'esistenza attuale , considerata come mera fatticità, e l'essen­ za intesa soltanto come possibile . Essenza ed esistenza non sono altro, allora , che due diversi stati di una medesima realtà di fronte alla mente : n el primo la cosa è intesa come possibile, nel secondo come effettiva . L 'esistenza, così , non fa altro che aggiungere il 8 Heidegger ha sottolineato il ruolo svolto dalla distinzione formalista di essere-tale ed essere-di-fatto nell'« oblio dell'essere » (cfr., ad esempio, Nietzsche, cit., vol. I I , p. 4 1 2) . Tuttavia, come è stato segnalato da diversi Autori, la critica heideggeriana alla metafisica occidentale non raggiunge la dottrina tomista dell'actus essendi, nella quale viene riconosciuto il valore trascendentale dell'esse rispetto alle determinazioni formali, e lo si distingue dall'esistenza fattica (cfr. A. Llano, Actualidad y efectividad, « Estudios de metafisica » , 4, 1973- 1 974) . Ved . anche Id., Metafisica y Lenguaje, cit., pp. 1 2 1-262.

1 22

L ' E S S ERE NELLA CONOS CENZA

carattere concreto e irrazionale del fatto alle determinazioni intelli­ gibili e astratte dell'essenza. Alcuni scolastici parlano perfino di una distinzione fra esse essentiae ed esse actualis existentiae, rispondente ad un problema di tipo logico (risposta alle domande « che cosa è » un ente - quid est - e « se è » - an est -) , ma priva di valore metafisica. La genuina distinzione reale di essenza e atto di essere non si identifica con quelle di essere pensato ed essere di fatto. L'autenti­ ca composizione reale essentia-esse non è il nesso formale di due modi dell'ente, ma l 'articolazione di due coprincipi reali che costituiscono la realtà primaria dell'ente. Tale composizione è reale e costituisce l a struttura trascendenta­ le della realtà, manifestantesi in tutti gli enti finiti in quanto enti . Essenza ed essere sono principi metafisici realmente distinti, che costituiscono l'unum radicale dell'ente . È necessario ammettere questa composizione come reale (e non soltanto cum fundamento in re), poiché le cose finite sono, ma non sono l 'essere, non esauriscono l 'essere né secondo l 'intensità né secondo l'estensione : sono senza essere l 'essere, hanno l 'essere, partecipano dell'essere . I l principio partecipante (la potenza : essenza) non può identificarsi realmente con il partecipato (l'atto : essere) . Se essenza ed esse si identificassero, il principio reale di limitazione (imperfezione) sa­ rebbe lo stesso principio reale di perfezione, il che sarebbe con­ traddittorio. Non si riuscirebbe a rendere ragione dell'esistenza reale degli enti finiti : o se ne dovrebbe negare la realtà o la finitezza.

1 .4 . La conoscenza dell'ente L'apprensione della realtà si risolve immediatamente in quella dell'ente. Non è possibile fondare l'apprensione del reale su di un previo coglimento della causalità, come sostiene il realismo critico , poiché la nozione di causa dipende da quella di ente, e non viceversa . « Iniziare con un sentimento dell 'esperienza interna, indurre poi la realtà esterna del suo soggetto con l 'aiuto del principio di causalità, è introdurre in modo evidente un interme­ diario fra l 'esperienza psicologica e il suo oggetto, cioè la stessa dimostrazione » 9• Il criticismo realista tenta di passare da ciò che 9

Gilson, Le réalisme méthodique, cit ., p. 22.

1 23

F I LO S O F I A DELLA CONOS C ENZA

si è appreso alla realtà , mentre il realismo metafisica parte subito dall 'ente reale . « Poiché, qualunque sia l 'oggetto che io apprendo, la prima cosa che di esso colgo è il suo essere : ens est quod primum cadit in intellectu. Ebbene , questo essere, che è il primo oggetto dell'intelletto ( . . . ) , è ben lungi da essere qualcosa di appreso senza la realtà ; è, invece , il reale stesso, presente in una apprensione, certo, ma non in quanto appreso ( . . . ) . Se l 'insieme offerto dall'esperienza alla nostra analisi deve venire scomposto secondo le sue articolazioni naturali , indubitabilmente ciò che tale esperienza ci offre è una « realtà appresa », e non c 'è metodo alcuno che ci autorizzi a presentarlo come un « appreso reale », a 1 meno di mutarne la struttura 0 • Partendo dalla prima illuminazione intellettuale dell'esperienza, approfondiamo la conoscenza dell 'ente : il panorama reale che i sensi e l 'intelligenza ci offrono non è statico, ma è formato da realtà mobili . Il movimento degli enti, la loro attività, il loro influsso reciproco , manifestano la loro capacità reale di ricevere e di comunicare perfezioni . La considerazione di tale dinamismo naturale ci conduce alla conoscenza della potenza passiva capacità di venire determinate - e della potenza attiva capaci­ tà di determinare - proprie delle cose . -

-

1 . 5 . La conoscenza della sostanza

La sostanza è l 'ente che è di per sé (per se) : essa è l 'ente in senso proprio. La sostanza è ciò che ha l 'essere e sussiste in virtù del proprio atto di essere . Gli accidenti , invece, non sono enti in se stessi , sono enti di un ente (entis entia) o, secondo Aristotele, 11 germogli che accompagnano l 'essere : essi ineriscono alla sostanza e partecipano del suo atto di essere . Nella realtà naturale, la sostanza e gli accidenti formano un'uni­ tà composta : l'ente singolare e concreto . La sostanza non si dà mai senza gli accidenti, poiché sussiste sempre accidentalmente deter­ minata ; e gli accidenti non si danno mai senza la sostanza, poiché di per sé non hanno l'essere .

1 0 Op. cit., p. 46. 1 1 Cfr. Etica a Nicomaco, l, 6, 1096a 22.

1 24

L ' E S S ERE NELLA CONOS CENZA

Le dicotomie cui porta il metodo razionalista tendono ad isolare la sostanza dagli accidenti . Ma è un errore pensare che si potrebbe conoscere la sostanza soltanto se la si potesse separare dagli accidenti : così posto il problema, la sostanza viene dichia­ rata necessariamente inconoscibile , dato che tale separazione non potrà mai avvenire . Le contrapposizioni dei razionalisti portano ad identificare l 'accidente con il sensibile e la sostanza con il pensa bile 1 2 •

La conoscenza della realtà della sostanza non è separabile dall 'esperienza del tutto reale , cioè dell 'ente che viene conosciuto con i sensi e l 'intelletto, e che comprende sia la sostanza sia l'ac­ cidente , poiché è un unum composto da entrambi i principi . La sostanza delle cose materiali non è direttamente conoscibile attra­ verso i sensi , ma viene conosciuta immediatamente dall 'intelligenza attraverso i dati sensibili nei quali la sostanza appare . La sostanza - ciò che è di per sé - non si riduce a quanto viene offerto direttamente dall'esperienza sensibile, tuttavia si può scoprire sol­ tanto in questa.

La conoscenza della sostanza inizia dai suoi accidenti, i quali la fanno conoscere perché partecipano del suo essere. Gli accidenti non celano la sostanza , quasi fossero una specie di crosta opaca che la ricopre, come ritiene una grossolana rappresentazione im­ maginaria di questa teoria, sulla quale si basano non poche critiche ingiustificate. La conoscenza degli accidenti porta con sé, invece , una certa conoscenza della sostanza , dato che ogni accidente non può che essere compreso nella sua intrinseca relazione alla sostan­ za, che l 'intelligenza coglie confusamente e in modo immediato in ogni detenninazione accidentale . Ad esempio, quando conosco il color bianco, ciò che ho dinnanzi non è « un bianco » isolato e 12

Su questa linea si muove la netta distinzione kantiana di fenomeno e noumeno (intorno alla sostanza e agli accidenti Kant svolge una trattazione logico-trascendentale, limitata alla conoscenza del fenomenico) . Nella teoria kantiana dell'oggetto non c'è possibilità alcuna di riconoscere il costitutivo riferimento di ciò che appare a ciò che è. Fra le due dimensioni si dà un'insanabile frattura. � certo, tuttavia, che fenomeno ed essere si trovano in una fondamentale correlazione; vi è un'omogeneità essenziale fra ciò che si manifesta e il suo manifestarsi. L'essere si manifesta per sé nel fenomeno, che non è se non « l'essere per noi » . Il fenomeno è una dimensione dell'essere, attraverso la quale l'essere si manifesta. Infatti il fenomeno non è se non la limitata manifestazione dell'essere ad un soggetto conoscente (cfr. Llano, Fenomeno y trascendencia en Kant, cit ., pp . 274-275).

1 25

F I LO SOFIA DELLA CONO S CENZA

sussistente, ma « questa cosa bianca », sia essa un gessetto, un pezzo di carta, un fascio di luce o qualunque altra realtà . Per questo, come ha mostrato la filosofia analitica, non si può contare numericamente facendo riferimento a termini aggettivi, ma solo a termini sostantivi 13• In un primo momento, la sostanza viene conosciuta come il sostrato degli accidenti, dei cambiamenti e delle proprietà delle cose . Tuttavia, questa considerazione , come ha notato acutamente Aristotele 14 , è insufficiente . In seguito la si coglie come l'essenza della cosa, come ciò che ogni singola realtà è in sé, come un atto dal quale emanano delle proprietà . Infine , si perviene ad afferrare il costitutivo reale della sostanza : il sussistere . Essa è ciò che sussiste come determinato e separato 15 , come ciò che ha l'essere in se stesso , come il soggetto dell'atto di essere .

1 .6 . La conoscenza della causalità L'atto caus ale viene sperimentato nell a percezione sensitivo-intel­ lettuale : si tratta dell 'esperienza di un nesso particolare di causa ed effetto. La causa viene percepita in ogni esperienza di attività o passività nella vita ordinaria, sia nell 'ordine esterno sia, in modo ancora più intimo e diretto, nei nostri propri atti . Abbiamo co­ scienza di essere noi , ciascuno di noi , a dare origine alle attività conoscitive , volitive o pratiche : prima esse non esistevano e poi , in seguito a un nostro atto, esse esistono. Vediamo noi stessi come cause reali di processi reali e viviamo tali relazioni di causalità . Siamo consapevoli di muovere il nostro corpo con le sue membra, e di porre tali azioni esterne contro os tacoli e resistenze . Nessun uomo sensato crede che sia frutto della sua fantasia allontanare da sé un pallone con un calcio o prendersi un raffreddore dopo essersi ben bagnato sotto un acquazzone . Si tratta di processi causali la cui realtà è indiscutibile, anche se non sappiamo sempre come si producano o in che consista l'influenza causale . Già lo scettico Sesto Empirico aveva notato che chi nega la realtà della causalità deve negare ogni altro processo o movimento nel mondo :

13 P. Geach , Reference 1 4 Aristotele, Metafisica, 15 I d . , Metafisica, VI I ,

1 26

and Generality, C . U . P . , I thaca 1 962, V I I , 3, 1029a 9-27 . 3 , 1 029a 28.

pp. 38-40.

L ' E S S ERE NELLA CONO S CENZA

le maree, il fiorire delle piante , il calore del sole , la vita e la morte . Nonostante la causalità sia evidente, numerosi filosofi nell'e· poca moderna ne hanno negato la realtà, presentandola come una semplice disposizione soggettiva. La critica più famosa è, senza alcun dubbio, quella svolta da David Hume, il quale tentò di dimostrare che l'esperienza della causalità è un abito psicologico - credenza, belief - che nasce dall'esperire una successione regolare di avvenimenti, senza che le si possa attribuire un'esistenza extrasoggettiva né alcun carattere antolo­ gico. (È un fatto, però , che cogliamo successioni non causali e causalità non successive) .

Negano l 'esperienza della causalità coloro che riducono la perce­ zione a sensazioni disperse . h certo che la causalità concreta è un'intentio insensata (non è visibile, come la successione) , non coglibile dai sensi esterni : ciò però non significa che non venga percepita da senso alcuno . Di essa , infatti, si fa carico un senso interno, la cogitativa, la cui importante funzione è ben sottolineata dalla filosofia classica , ma è sconosciuta alla maggior parte dei filosofi moderni, i quali sono dovuti ricorrere a complicati espe­ dienti per risolvere il problema della connessione di intelletto e sensibilità . (L'esempio più significativo è l 'artificiosa e insoddisfa­ cente - anche per il suo stesso autore 1 6 teoria kantiana dello schematismo, nella quale lo schema trascendentale viene descritto come una « terza cosa », aggiunta al concetto e all'intuizione e intermedia rispetto ad essi) . Una volta conosciuti per esperienza l 'effetto e la causa, sappia­ mo immediatamente che ogni effetto ha una causa . f: questo il cosiddetto principio di causalità, formulato da Aristotele nei termi­ ni seguenti : « tutto ciò che si muove, necessariamente si muove in virtù di altro » . San Tommaso, approfondendo il valore metafisica del principio, lo esprime con queste parole : « ciò che diviene ha una causa » (quidquid fit, causam habet) . Tale evidente verità universale viene conosciuta in modo astratto dall 'intelligenza , e in modo concreto dalla cogitativa o ratio particularis . -

16 � utile leggere le complicate e faticose chiarificazioni che Kant dovette dare intorno a questo problema a Tiefrunk, in una lettera dell' 1 1 dicembre 1 797 (Brieje, Ak, XI I , 223) .

1 27

F I LO SOFIA DELLA CONOS CENZA

2. La continuità fra conoscenza sensibile e intellettuale

Il pensiero formalista separa la sensibilità dall'intelletto, li i�ola, contrapponendo l'intuizione sensibile all'intuizione intellettuale. Ciascuno di questi modi di conoscenza , privato della correlazione e del contrasto con l'altro, tende ad assolutizzarsi ; così, sorgono dei sistemi filosofici contrapposti (anche se aventi una comune ispira­ zione di fondo) , nei quali si afferma unilateralmente il primato esclusivo della sensazione (empirismo) e dell'ideazione (razionali­ smo) . La metafisica dell'essere, invece , è attenta alle articolazioni reali della nostra conoscenza e rispecchia la stretta continuità esistente fra la conoscenza sensibile e quella inte11ettuale. È questa l'idea fondamentale della gnoseologia realista , secondo la quale la nostra conoscenza viene misurata dalla realtà delle cose e non può costituirsi come l'origine dell'essere 1 7•

2 . 1 . Il passaggio dalla sensazione esterna alla conoscenza intellet­

tuale La conoscenza sensibile guarda alle qualità sensibili esterne, mentre la conoscenza intellettuale penetra in profondità sino a ciò che la cosa è di per sé, sino all'essenza (il che cosa è di ogni realtà) , che gli accidenti fanno trasparire perché ad essa inerisco­ no . L'oggetto dell 'intelligenza è ciò che è (id quod est) , l'essenza attuata dall 'essere 1 8 • Il passaggio dalla sensazione esterna alla conoscenza intellettiva

17 « ( ... ) nei primi passaggi che fa l'intelletto dalla potenza all'atto, non vi può essere alcun motivo determinante all'infuori dei sensi; ( ... ). In verità se non vi fosse alcuna cognitio experimentalis della connessione fra i termini dei primi principi a determinare l'intelletto alla unione o separazione dei loro contenuti, non si saprebbe - osserva il Gaetano - perché l'intelletto, cominciando da certi termini debba formare una determinata composizione (o separazione) di tali termini, e non invece qualsiasi altra. Di più, non è mai possibile unione alcuna fra gli estremi se non per via di qualche interme­ diario, e soltanto la " cognitio experimentalis complexionis terminorum » può fungere da intermediario (psicologico) fra gli estremi che sono l'unità e connessione reale che hanno le cose extra animam e l'unione concettuale operata dall'intelletto nei primi giudizi » . C. Fabro, Percezione e pensiero, Morcelliana, Brescia 1 962, pp. 288-289. 18 D e Veritate, q. 10, a. 6, ad 2 .

1 28

L ' E S S ERE NELLA CONO SCENZA

non è discontinuo e improvviso. Per poter contemplare l 'essenza delle cose - un « vedere » penetrante che i greci chiamavano theo­ rein - l 'intelligenza ha bisogno di un 'esperienza opportunamente predisposta. Aristotele, per primo , ha tracciato le linee fondamen­ tali di questo processo conoscitivo sensibile-intellettuale : « È u n fatto naturale, d 'altronde, che tutti gli animali siano dotati di sensibilità, ma da tale sensibilità in alcuni di essi non nasce la memoria, in altri sì . E appunto perciò questi ultimi sono più intelligenti ed hanno maggiore capacità di imparare rispetto a quelli che sono privi di facoltà mnemoniche ( . . . ) . Nella vita degli altri animali, però , sono presenti soltanto immagini e ricordi, mentre l 'esperienza vi ha solo una limitatissima parte ; nella vita del genere umano , invece , sono presenti attività artistiche e razio­ nali . E negli uomini l 'esperienza trae origine dalla memori a, giac­ ché la molteplicità dei ricordi di un medesimo oggetto offre la possibilità di compiere un 'unica esperienza ( . . . ). L'arte nasce quan­ do da una molteplicità di nozioni empiriche venga prodotto un unico giudizio universale che abbracci tutte le cose simili fra lo­ ro » 19 • Anche Tommaso d 'Aquino ha contribuito alla elaborazione di questa teoria : egli sostiene che le sensazioni molteplici subisco­ no una prima organizzazione sensibile nella percezione del senso comune, il quale integra i dati offerti dai sensi esterni (sensib ili comuni e propri) . Tale percezione integra e organizza grazie al� l'immaginazione e alla memoria : da molte sensazioni si forma l'immagine, da molte immagini il ricordo. Infine , la percezione sensibile più elevata corrisponde alla cogitativa , a cui si deve l'esperienza, l 'atto di apprendere e mettere in relazione le perce­ zioni singolari ricevute nella memoria 20• L'intelligenza, applicata all 'esperienza attraverso l 'astrazione , può separare le idee universali e i primi principi . In virtù dell 'in­ telletto agente , essa coglie l 'ontologico nel fenomenico, il necessario nel contingente, l'intelligibile nel sensibile . Non è però facile riscattare la dottrina classica dell 'astrazione dai malintesi che storicamente l'hanno accompagnata . Infatti, già con la scolastica nominalista essa cominciò a venire intesa come il passaggio dall'individuale al generale , invece che come penetrazione intensiva della realtà . Spesso ci si è dimenticati

19 Aris totele, Metafisica, I, l, 980a 28-98 l a 8, tra d . ci t., pp. 3-4. In III Sent., d. 1 4, q. l , a. 3, sol . 3 ; In I Metaph. , lect. l .

20

1 29

F I LO S O F I A DELLA CONO S CENZA

anche della dottrina della cogitativa, con il conseguente impove­ rimento della spiegazione psicologica del passaggio dal livello sensibile a quello intellettuale. Suarez ( 1548- 1 6 1 7 ) , ad esempio, riduce tutti i sensi interni al senso comune; ma, impoverendo a tal punto il processo completo della percezione, che non si ha più un materiale adeguato dal quale astrarre, poiché si considera l 'oggettività sensibile come un insieme di sensazioni isolate. Dalla riduzione della sensazione a puro atomismo, il razionali­ smo moderno passerà a credere che l'ordine e la connessione delle sensazioni devono essere posti dal pensiero spontaneo, per mezzo di alcuni concetti a priori, attraverso i quali il soggetto costruisce l 'esperienza.

2 .2 . Il ritorno all'esperienza

L'oggetto proprio dell'intelletto umano, che è spirito ma unito a un corpo, è la quiddità o natura esistente in una materia cor­ porea : partendo da qui ci si può elevare fino alla conoscenza di realtà incorporee . Ora, è proprio della natura corporea esistere in un individuo, il quale non può sussistere senza materia corporea. Ad esempio, le nature della pietra e del cavallo non possono che esistere, rispettivamente, in questa pietra concreta o in quel cavallo determinato ; nella realtà non vi sono né pietre né cavalli astratti. Pertanto, la natura delle cose corporee non può essere conosciuta in modo completo e vero se non la si considera come esistente in qualcosa di particolare . Ma il particolare viene appreso dai sensi e non dall'intelletto (non si dà un'intuizione intellettuale che ci permetta la conoscenza diretta delle essenze : in questo concordano aristotelici e kantiani) , dunque, affinché l 'intelletto comprenda in atto il suo proprio oggetto, è necessario che ritorni all'esperienza, in modo tale da vedere la natura universale nell 'ente particolare 21 • Tale ritorno all 'esperienza viene chiamato da Tommaso d' Aqui­ no conversio ad phantasmata, ritorno alle immagini . � tuttavia importante ricordare che il phantasma o immagine sensibile non è ciò che viene direttamente conosciuto, bensì è una similitudine della cosa conosciuta, ed è appunto tale cosa ad essere direttamen­ te conosciuta attraverso la similitudine . Il phantasma, allora, viene considerato nel suo essere intenzionale, nel suo contenuto oggettivo (che è una somiglianza della cosa conosciuta) , e non nel suo essere 21

Summa Theologiae, l,

1 30

q. 84,

a.

7.

L ' E S S ERE NELLA CONOS CENZA

psicologico o « fisico » . Per mezzo della riflessione si conosce l'immagine in quanto immagine, considerando la natura dell'atto conoscente e la specie per mezzo della quale si conosce 22•

2 .3 . L 'unità fra la conoscenza intellettiva e sensibile La verità della nostra conoscenza implica, quindi, la possibilità della conoscenza intellettiva del singolare, cioè la continuità fra la sfera intellettuale e la sfera sensibile : la mente attinge il singolare , in quanto la sua conoscenza continua nei sensi, i quali appunto considerano il particolare . Questa è una tesi fondamentale della teoria gnoseologica, corrispondente all'altrettanto importante dot­ trina antropologica circa l'unione sostanziale di anima e corpo . Quando affermiamo che l'intelletto ha per oggetto l'universale, stiamo sintetizzando una situazione che in realtà è più complessa. I n teoria, l'intelligenza ha per oggetto l'essenza di ogni cosa (la sua operazione è un intus legere) . L'essenza, a sua volta, in quanto astratta, ha la proprietà di essere universale. Il compito di cono­ scere l'individuo sub natura communi, e pertanto di percepire in concreto l'atto e la potenza, le cause, la sostanza e gli accidenti, spetta alla cogitativa, senso interno che è razionale per partecipa­ zione. Essendo una facoltà sensibile (agisce mediante un organo) , essa coglie il particolare, in quanto razionale per partecipazione, può « vedere » l'essenza universale realizzata nel particolare . La stessa persuasione relativa all'esistenza di una cosa determinata è opera della cogitativa . Senza tale facoltà, i concetti dell 'intelletto non avrebbero una esperienza corrispondente alla quale rivolger­ si 23• « L'errore d'impostazione incomincia ( . . . ) quando arbitraria­ mente, facendo violenza ai dati autentici della conoscenza, si stabilisce una incomunicabilità o soluzione di continuità fra l'intelletto e la conoscenza sensibile, che porta ad applicare l'astrazione negativa all'ambito della metafisica, dove, invece, deve essere applicata l 'astrazione positiva o metafisica, la quale separa la natura dalle sue condizioni di esistenza, senza omette­ re o abbandonare semplicemente gli individui e le differenze

22

23

De Veritate, q. 2, a. 6. De Veritate, q. 1 0, a. 5 ; cfr. In Post. Analyt., lib. I l , lect. 30.

131

F I LOSOFIA DE LLA CONO S CENZA

individuali , bensì conoscendo ciò che tralascia e ciò che assume, e quindi conoscendo la distinzione fra una cosa e l 'altra » 24 • Effettivamente , le principali difficoltà sorte nel corso della storia al fine di spiegare la peculiarità della conoscenza umana, nascono dal sostenere una incomunicabilità fra intelletto e sensibilità , la quale a sua volta procede dall 'applicazione di un metodo intuizionista (che propugna una conoscenza diretta delle essenze) e matematizzante come è quello di tipo cartesiano . L'empirismo e il razionalismo urtano contro difficoltà insupera­ bili per fondare il passaggio conoscitivo dal particolare sensibile all'universale, e per trovare la realtà concreta corrispondente ai concetti .

2 .4 . La conoscenza intellettiva del singolare

L'apprensione intellettiva del singolare è indiretta (non intuiti­ va) , poiché presuppone una conversio ad phantasmata, un ritorno riflessivo della mente sul suo atto per scoprirne l'origine nell 'im­ tnagine . È questa la riflessione in a c tu exercito, che accompagna ogni atto intellettivo e gli è concomitante . Non si tratta , quindi , di un nuovo atto, di una ri flessione in actu signato, cioè esplicitata da un'intellezione diversa dalla prima . La cosiddetta via moderna, della quale Ockham è il massimo rappresentante , sostìene , invece , che nulla può essere conosciuto se non intuitivamente . Perciò i nominalisti - e Suarez in altro modo - affermano l'esi stenza di un 'intellezione diretta (intuitiva) del singolare . È certo però che nell 'uomo non si dà alcuna intuizione intellettuale del singolare, dato che ciò comporterebbe un coglimento diretto e non astratto dell 'essenza . Se una tale conoscenza si desse , noi potremmo cono­ scere tutti gli accidenti singolari, e la materia sensibile entrerebbe nella nostra definizione delle cose ; ma non si danno né il primo né il secondo fenomeno . La tesi della intuizione intellettiva del singo­ lare sorge in seguito alla perdita della struttura antologica della realtà (i diversi livelli di composizione atto-potenza) ; più concre­ tamente, essa presuppone la concezione di una materia avente un certo atto in sé , e che pertanto non è principio di limitazione o contrazione dell 'intelligibilità. L'apprensione intellettiva dell 'ente singolare è, quindi , indiretta .

24 Cardona,

1 32

op. cit. ,

p. 40 .

L ' E S SERE NELLA CONO S CENZA

Tuttavia è anche immediata e si dà statim, sine dubitatione et discursu : immediatamente , senza alcun dubbio o argomentazio­ ne 25 • La continuità fra sensi e intelletto si realizza, pertanto, secondo la direzione che parte dai sensi e arriva all'intelletto : ciò avviene in ogni atto d'astrazione, dato che questo implica immediatamente la conversione all'immagine . Si dà anche nel senso inverso , cioè dall 'intelligenza verso i sensi , poiché l'intelletto regge le facoltà conoscitive inferiori e, mediante la ratio particularis o cogitativa , organizza la conoscenza del singolare 26 •

3 . Specie e idee

Per conoscere occorre aver presente la cosa conosciuta . L 'Essere assoluto conosce le cose in se stesse , senza bisogno di alcuna attualizzazione . Negli altri casi, la conoscenza si realizza per informazione : la cosa conosciuta si fa presente per mezzo della specie o idea . Il soggetto conoscente finito si trova in potenza (attiva) a conoscere l 'uno o l'altro degli oggetti compresi dall 'ogget­ to formale delle diverse facoltà. Per conoscere questo determinato oggetto, è necessario eh' esso si determini per mezzo di una specie che attualizzi la facoltà al fine di realizzare il tipo di conoscenza di cui si tratti in ogni singolo caso . Tale attualizzazione è la stessa prassi conoscitiva, nella quale il conoscente in atto si identifica col conosciuto in atto . Tuttavia, noi non conosciamo la specie, come sostengono i rappresentazionisti, ma le cose delle quali le specie sono similitu­ dini . La specie conoscitiva svolge due funzioni : l . soggettiva, informando la facoltà come suo atto accidentale (grazie ad essa la potenza conoscitiva passa all 'atto secondo) ;

2 . oggettiva, in quanto la specie fa conoscere . Essa è il mezzo mediante il quale (quo) si conosce, ma non è ciò che (quod) conosce . La conoscenza che si realizza attraverso le specie è immediata, n on per aliud o mediata (come avviene allorché si co­ nosce un ente per mezzo di un altro, ad esempio nel ragionamen-

25

26

In IV Sent. , d. 49, De Veritate, q . 1 0,

q . 2,

a.

5.

a.

2.

1 33

F I LO S OF IA DELLA CONO S CENZA

to 27 • La cosa viene colta direttamente, mentre il soggetto coglie se stesso in modo riflessivo (in obliquo) : « In tutte le potenze che possono ritornare sui propri atti, occorre che prima l 'atto della potenza tenda verso un altro oggetto e che solo in seguito torni su se stesso » 28• È importante non lasciarsi sviare a questo riguardo dalle rappre­ sentazioni di enti materiali che può aver l'immaginazione : esse infatti non possono manifestare l 'essenza del conoscere, la cui realtà ha sempre una dimensione immateriale . Quando si conosce la realtà per mezzo di idee, non si tratta di « andare al di là dell'idea », come se per conoscere qualcosa di diverso dalla cono­ scenza occorresse « uscire » dalla conoscenza . Sarebbe una pretesa vana, simile a quella di chi volesse saltare sulla propria ombra o uscire dalla propria pelle . Il conoscere è, nella concezione aristote­ lica, una prassi, ovvero una operazione immanente, cioè che perfe­ ziona il soggetto conoscente e non la cosa conosciuta . È una operazione che non si realizza per fasi successive, ma è istantanea : si conosce e immediatamente si possiede intenzionalmente il cono­ sciuto. Non è questa una concezione immanentista della conoscen­ za : infatti, l 'idea stessa si riferisce alla realtà, è cioè intenzionale per natura, così come la natura dell'intelletto è quella di adeguarsi alle cose. Non è quindi necessario, né è possibile, « uscir fuori dalla conoscenza » per conoscere qualcosa di diverso dallo stesso conoscere : allorché si conosce, si coglie sempre qualcosa di diverso dalla conoscenza . (All 'origine dell 'idealismo moderno, si trova proprio la perdi t a del senso « prassico » del conoscere) . Il conosce­ re non è, pertanto, un « processo psichico » che potrebbe venire studiato in analogia con gli altri processi fisici . La filosofia della mente, sviluppata dai filosofici analitici sta riscoprendo in questi anni tale realtà 29•

3 . l . Il carattere rappresentativo del concetto Chiariamo subito che il carattere rappresentativo del concetto nella filosofia classica non coincide con il senso moderno di

De Veritate, q. 8, a. 3, ad 1 8 . Contra Gentiles, lib. I I I, cap 26. 29 Cfr . , ad esempio, H . Putnam, Mind, Language and Reality, cit., 272-273. Ved. anche A. Llano, Metafisica y Lenguaje, cit., pp. 94- 1 19.

27 28

1 34

.

pp.

L ' E S S ERE NELLA CONO S CENZA

representatio o Vorstellung. Il concetto non sostituisce la forma reale, ma rimanda ad essa intenzionalmente. Lo « star per » o « supporre » non equivale, allora, a « sovrapporre » alla realtà effettiva una specie di involucro dotato di realtà oggettiva e dispensante dalla ricerca delle cose e dei fatti reali . Il concetto viene considerato una via verso le cose, via ad res, sulla quale, all'inizio, il pensiero non si sofferma affatto : soltanto in un secondo momento lo prende ad oggetto della propria riflessione . Pertanto, la rappresentazione intellettuale può essere intesa, insie­ me alla tradizione, come un segno formale, il cui essere consiste unicamente nell'essere segno ; la sua realtà si esaurisce nel riman­ dare alla realtà che in ,e sso (in quo) è conosciuta . Il segno formale è ciò che, prima di dare a conoscere se stesso, istantaneamente e immediatamente rappresenta una realtà distinta da sé.

Quando la tradizione afferma che il concetto è via verso le cose, non bisogna intendere tale paragone come se indicasse una via da percorrere successivamente , un processo . In senso stretto , non vi sono processi mentali . La conoscenza intellettiva è praxis, non Kinesis; è attività, non movimento. Aristotele notò che le attività del pensiero, non svolgendosi successivamente, si potevano designare indifferentemente con il presente e con il perfetto del verbo corrispondente, poiché « uno pensa e ha pensato, comprende e ha compreso » 30, il che non avviene nelle azioni che implicano il corpo.

La necessità di ricorrere al concetto, come a ciò in cui la cosa intesa viene conosciuta, non comporta né u n secondo oggetto conosciuto né un secondo atto di conoscenza : il modo di conoscere non diventa quindi mediato . Appare così il senso autentico del rappresentare, m_al compreso dalla filosofia della coscienza . Come afferma Giovanni di San Tommaso, « rappresentare non è altro che rendere l'oggetto conosciuto presente alla potenza conoscitiva e ad essa unito nel suo essere conoscibile » 31 • Il concetto formale è il termine di un'operazione immanente, nel quale l'oggetto si presenta e si propone come conosciuto . Se tale presentazione è una rappresentazione, è perché l'oggetto conosciuto si rende presente nel termine immanente alla potenza , secondo il

30 Cfr. Aristotele, Metafisica, IX, 7, 1 048b 22-24 . Giovanni di San Tommaso, Cursus Philosophicus Thomisticus, I I Pars (Logica), q . XXI I , a . l (Ediz. B. Reiser) . 31

1 35

F I LO SOFIA DELLA CONO SCENZA

suo essere intenzionale e non secondo il suo essere fisico. Ma tale essere intenzionale che l 'oggetto ha nel concetto rimanda all 'ogget­ to stesso, così che il concetto non è la cosa conosciuta, ma soltanto la specie nella quale si dà la presenza della cosa conosciuta .

3 .2 . Immediatismo nominalista e mediatismo idealista

In tal modo ci si può salvare dai rischi tanto del mediatismo rappresentazionista o idealista quanto dell'immediatismo nominali­ sta. L'immediatismo nominalista, guidato dall 'imperativo categorico della conoscenza per presenza� non si rende conto che ciò che si fa presente all'intelletto non è l'oggetto nella sua fatticità individuale , ma l 'oggetto nella sua essenza universale . Poiché, come notò Aristotele, « altro è la grandezza dall 'essenza della grandezza e l 'acqua dall 'essenza dell 'acqua » 32 : nel concetto la mente discerne « l 'essenza della carne e la carne » , cioè astrae. H concettualismo idealista, inveC'e , dimentioa che l'essenza pre­ sente nel concetto è « essenza di » , essenza della cosa e non de] concetto : « essenza della cosa nel concetto » . Ciò è possibile proprio perché il concetto è intenzionale , cioè rappresentazione-di o immagine-di un ente conosciuto 33 • Entrambi gli equivoci nascono da una mancata comprensione del concetto, dal non aver colto la sua peculiare natura . Tommaso d'Aquino notò che il concetto formale può essere considerato in due modi diversi . Nel primo , lo si vede in quanto riferito al conoscente, cioè nel suo essere reale o naturale ; così gli inerisce come l'accidente al soggetto e si può dire che « sta nella mente » . C 'è poi una seconda prospettiva , più specifica e caratteristica in quanto relativa al suo essere rappresentativo o intenzionale : lo si vede , cioè, in rapporto al conosciuto ; così non c 'è inerenza ma relazione . In questo secondo modo non lo si può ritenere una

32 Aristotele,

De A nima, I I I , 4 , 429b 12 sgg. Il concetto come segno formale, come dicevano gli scolastici più recenti, è proprio questa semplice immagine di (non immagine, ma immagine di . ; in ciò consiste la sua intenzionalità) , riflesso di, senza essere nulla di ciò di cui non è altro che somiglianza; con altre parole : senza essere esso stesso nulla di quello di cui non è altro che somiglianza; e proprio perché è me­ ra somiglianza, non è somigliante » . F. I nciarte, Ser veritativo y ser existen­ cial, in « Anuario Filosofico » , XI I I , 2, 1 980, p. 24.

33

«

1 36

..

L ' E S S ERE NE LLA CONO S CENZA « cosa » che « sta nella mente », poiché quanto all 'intenzionalità non ha ragione di accidente . « Pertanto, sulla base di questa considerazione, il concetto formale non sta nell'anima come nel suo soggetto, e secondo tale riferimento, si spinge al di là della mente , in quanto attraverso il concetto formale vengono conosciute cose distinte dalla mente » 34 •

Vi sono sostenitori di una specie di « realismo ad oltranza » i quali, con il falso pretesto di evitare l'idealismo, hanno voluto eliminare la mediazione funzionale rappresentativa , la specie nella quale si conosce , esigendo un « contatto diretto » fra soggetto e cosa conosciuta. È questo un tentativo infecondo e innecessario . Volendo fare alcuni nomi, hanno rifiutato la dottrina delle specie i nominalisti, Ockham, Durando , Hobbes, Gassendi e il neorealismo angloamericano . Ma senza far ricorso alle specie, non è possibile dar ragione della conoscenza, poiché non vi è più modo di spiegare come il conoscente diviene in­ tenzionalnlente il conosciuto. La concezione della conoscenza sostenuta da questi « ultrarealisti » sarà, allora, di indole mate­ riale , come se conoscere volle dire subire un'impressione fisica da parte dell'oggetto . Tale tesi porta certamente al materialismo , dato che nasconde la spiritualità dell 'anima e nega la forma sostanziale delle cose. Secondo questa rozza gnoseologia, si coglierebbe la realtà fisica direttamente, e la presenza intenzio­ nale verrebbe ridotta al semplice contatto fisico , il che equivale a perdere la specificità del fenomeno conoscitivo . (Qualcosa di simile capita a chi pretende di dare una visione « informatica » - nel senso della cibernetica contemporanea - della conoscen­ za ; la mente cibernetica riceve e conserva dati, ma non conosce. Il che non impedisce che nelle teorie cibernetiche si trovino conclusioni interessanti , il cui rapporto con la psicologia aristo­ telico-tomista è oggetto di recenti ricerche) .

La gnoseologia sviluppata dalla metafisica dell 'essere non è soltanto una difesa dall'idealismo (storicamente non è stato così e non vi sono ragioni teoriche perché sia così) . Concretamente, non è vero che il riconoscimento delle idee - come atto accidentale dell 'intelligenza , la quale agisce attraverso di esse, poiché in tanto opera in quanto è - porti all 'idealismo . Conduce all'idealismo il mediatismo, consistente nel considerare le idee come l 'oggetto immediato della conoscenza, e le cose come l'oggetto mediato

Quodlibetum , VI I , q . l , a. 4. Cfr. J. L. Ferm1ndez Rodrlguez, El concepto en Santo Tomas, in « Anuario Filosofico » , V I I , 1 974, p. 1 54. 34

137

F I LO SOFIA DELLA CONO S C ENZA

(impostazione condivisa anche da non pochi seguaci del realismo critico) . Bisogna anche scartare l'obiezione che una stessa forma non può stare simultaneamente in due soggetti : la forma del conosciuto non può « migrare » nel conoscente . Non vi è alcuna trasmigrazione, né il realismo deve farvi ricorso . La presenza della specie nella mente è infatti immateriale : l 'intelletto la riceve, ma non come una materia riceve una forma. I nformato immaterial­ mente da questo atto, l'intelletto è in grado di realizzare l'azione vitale del conoscere . Quando si conosce, si possiede la forma altrui « in quanto altrui ». La forma del discobolo è presente material­ mente, come forma propria, nel marmo della statua; invece, si trova intenzionalmente in colui che la conosce .

4. La riflessione e la conoscenza di se stessi

Un principio fondamentale della metafisica dell'essere, al quale si è già fatto allusione, è la tesi per la quale la perfezione di una cosa dipende dalla sua attualità, dal partecipare dell'atto con maggiore o minore pienezza . Per rimanere nei limiti di quanto adesso ci interessa sottolineare, ricordiamo che l'attualità di qual­ cosa è la fonte della sua intelligibilità . Qualcosa è conoscibile in quanto è in atto (unumquodque cognoscibile est secundum quod est in actu) 35 , cioè, in quanto è. Per questo, Dio, Atto puro, è perfettamente conoscibile in se stesso, è assolutamente chiaro e luminoso.

4 . 1 . L'autoconoscenza umana Consideriamo adesso come l'uomo realizzi la conoscenza di sé. L'uomo si conosce, cioè conosce i propri atti, abiti, potenze e l 'anima, per riflessione, non direttamente : una volta che lo sguar­ do dell 'intelligenza si sia orientato in linea retta (intentio recta) alle cose esterne, può ritornare su se stesso (intentio obliqua) e considerare la propria natura e il suo essere proprio 36 •

35 Summa 36 Cfr. De

1 38

Theologiae, l, q. 87, Veritate, q . 10, a . 9.

a.

1.

L ' E S S ERE NE LLA CONO S C ENZA

Prima di procedere oltre, facciamo alcune precisazioni termi­ nologiche. Nel linguaggio ordinario, « riflettere » significa pre­ stare molta attenzione ad un oggetto di studio, ponderare una decisione, arrovellarsi intorno ad un problema. Nel vocabolario filosofico, « riflettere » significa ritornare su di sé, conoscere se stessi o i propri atti . Altro termine importante nel presente contesto è quello di « coscienza », che significa la consapevo­ lezza dei propri atti . San Tommaso l 'utilizza soprattutto in senso etico, per indicare la consapevolezza della moralità delle proprie azioni. Si utilizza anche in tale accezione nel linguaggio ordinario . Tuttavia nella filosofia moderna il campo semantico di questo termine si è ampliato fino a comprendere l 'intero ambito della teoria gnoseologica. Esso indica così, ogni tipo di conoscenza e s i identifica, secondo il principio di immanenza, con la conoscenza di sé . I pensatori moderni, poi, riducono l 'uomo alla coscienza, eliminando la facoltà conoscitiva - uno dei cui atti è quello di autoconoscersi - e il carattere di ente del soggetto conoscente . La coscienza viene sostantivizzata. D 'altra parte, però, essa viene fenomenizzata : il suo essere si riduce a mero fenomeno - nel senso di un « manifestarsi » che inquadra « ciò che si manifesta » - ed esiste soltanto nella misura in cui appare. Il risultato è quello di eliminare la complessità del soggetto conoscente, la sua composizione di atto e potenza (il suppositum e il suo atto di essere, l'anima, le potenze attive, gli atti) , assorbendo tutto nel puro pensiero .

Occupiamoci ora di come l'uomo conosce se stesso . « È evidente che il nostro intelletto , prima di conoscere, è in potenza, e quindi non può ancora sapere di conoscere e non può riconoscersi come intelletto . Allorché conosco una realtà, passo all 'atto di conoscere ; e così , è in funzione della conoscenza di tale realtà che io conosco la mia conoscenza e mi conosco come conoscente » 37• San Tom­ maso ci svela altre implicazioni di tale impostazione : « Il nostro intelletto possibile non conosce se stesso se non in virtù della specie intelligibile, per la quale diviene attuale nell'essere intelligi­ bile (rende se stesso intelligibile in atto) ; per questo Aristotele nel I I I libro De Anima dice che 'è conoscibile come le altre cose', cioè, attaverso certe specie prese dalle immagini o fantasmi , come forme proprie . Al contrario , le sostanze separate, che stanno per natura ne Il 'essere intelligib ile attuale, conoscono se stesse attraverso la

37 Cardona,

Metafisica de la opci6n intelectual, cit. ,

p . 122.

1 39

F I LO S OFIA DELLA CONOS CENZA

propria essenza e non grazie alla conoscenza dell'essenza di altre cose » 38 • Non stiamo sempre conoscendo, ma passiamo in ogni intellezio­ ne dalla potenza attiva all'atto, e siamo intelligibili soltanto quan­ do conosciamo in atto . Leggiamo con attenzione il seguente pro­ fondo testo di San Tommaso : « In tutte le potenze che possono ritornare sui propri atti, è necessario che l'atto della potenza ten­

da previamente verso un altro oggetto e che poi torni su se stes­ so. Per ottenere che l 'intelletto conosca di conoscere , è prima ne­

cessario che conosca qualcosa ; e quindi, o si procede all'infinito o, se si deve arrivare alla prima cosa conosciuta , è necessario che questo non sia lo stesso intendere , ma un ente intelligibile, così come è altrettanto necessario che la prima cosa voluta non sia lo stesso volere » 39 • Anche s e l 'intelletto è sempre presente a se stesso, s i attualizza soltanto quando è informato dalle specie intelligibili degli enti conosciuti , e per questo si può dire che conosce se stesso non attraverso la propria essenza , ma attraverso le specie. (L 'intelletto angelico, invece, fin dall 'inizio conosce se stesso, poiché il suo oggetto proprio è costituito dalla sua stessa essenza. L 'oggetto proprio dell 'intelletto umano è invece l 'ente materiale percepito dai sensi e presente all 'intelligenza attraverso la specie immateriale) . Possiamo conoscere noi stessi per essentiam (nel senso del medium quo - come nel caso della specie - del conoscere) sol tanto in modo ab ituale, in quanto l'anima è sempre presente a se stessa, e non ha bisogno di una specie abituale diversa per essere nelle condizioni abituali di conoscersi . Al contrario, per conoscere altre cose , essa ha bisogno di specie che le diano un sapere abituale . Tuttavia , per passare all 'atto di conoscere, l 'intelligenza ha bisogno delle specie, le quali, informandola, l 'attualizzano rendendola intel­ l igibile in atto . La specie fa passare all 'atto l'intelletto, che in tal modo inizia a conoscere . L'uomo allora percepisce di essere e di vivere - in atto primo - sperimentando le proprie operazioni - atti secondi -, come l'intendere e il volere . L 'anima si conosce attraverso i propri atti (per actos suos) ; cioè , possiamo conoscerci solo se conosciamo, in quanto siamo attualizzati dalle specie per le quali abbiamo presenti delle realtà distinte da noi stessi.

38 Contra Gentiles, lib . I I , cap . 98. 39 Op. cit. , lib . I I I , c a p . 26.

1 40

L ' ES SERE NELLA CONO S CENZA

4 .2 . Le modalità della coscienza e la loro portata conoscitiva Innanzi tutto ricordiamo che le potenze non spirituali - i sensi e gli appetiti - non possono riflettere sui propri atti, essendo determinate dal loro organo corrispondente . Ad esempio, l'udito coglie dei suoni, ma non ode il proprio udire. Il senso comune, o senso rio comune, offre una prima informazione di tutte le sensa­ zioni , infatti una delle sue funzioni è quella di rendere coscienti gli atti sensitivi . Tuttavia, il sensorio comune non è una potenza riflessiva, poiché conosce soltanto gli atti degli altri sensi e non i propri . Soltanto le potenze spirituali sono veramente riflessive , dato che anche i loro atti rientrano nell 'ambito del loro oggetto, che è universale . In tal modo, la volontà, il cui oggetto è il bene, può volere il proprio atto , in quanto esso è buono ; e l'intelletto, il cui oggetto è l 'ente vero , può conoscere il proprio atto in quanto è vero . L'anima può, attraverso la sua operazione , ritornare comple­ tamente su se stessa . Tale reditio co1npleta è possibile soltanto se si tratta di un 'operazione totalmente indipendente dalla materia, poi­ ché nulla di ciò che un soggetto pos siede materialmente può possederlo anche immaterialmente . Perciò il volere e l'intendere sono operazioni spirituali che implicano la sussistenza propria dell 'anima nell 'essere , e non la sussistenza in quanto informa una materia : una volta corrottosi con la morte il composto umano , sussiste l 'anima immortale . Fra tutte le potenze conoscitive , soltanto l 'intelletto è capace, nella riflessione, di conoscere il soggetto, formulando il giudizio « io sono », nel quale con il termine « io » si indica il suppositum che ha l'essere, la sostanza dell 'uomo che si autoconosce . Sulla base dell 'esperienza sensibile, l 'intelletto ha presente ciò che le offre il sensorio comune - gli atti del sentire e dell 'appeti­ re sensibili - e, inoltre , conosce il proprio atto e gli atti di volontà , arrivando così alla sua sostanza che coglie co1ne ente . Si tratta di un 'esperienza interiore : è una percezione interna di un soggetto spirituale e dei suoi atti, che , in una prospet tiva etica , ren­ de possibile che l 'uomo sia responsabile delle sue azioni libere . Egli non percepisce soltanto la semplice esistenza degli atti interni, ma in un certo modo, confusamente, coglie la propri a immateriali­ tà . È una conoscenza positiva di un ente spirituale concreto ; una conoscenza di presenza , indiretta e immediata . In questa percezio­ ne si rileva che non tutto ciò che l 'uomo conosce deve essere soggetto ai sensi , in quanto lo stesso intelletto si autoconosce in un

141

F I LO S OF I A DE LLA CONO S C ENZA

suo atto non sottoposto ai sensi 40• Si tratta, pertanto, di una realtà che i vari materialismi ed empirismi non riusciranno mai a spiega­ re : è l 'uomo stesso, che in quanto conosce l 'essenza delle cose si autoconosce e agisce liberamente, a costituire la loro pietra di scandalo. Per questo motivo essi si sforzano continuamente e invano di ridurre l 'uomo al livello animale negandone la libertà. Analizziamo più attentamente l'atto riflessivo. Quando si cono­ sce qualcosa, si avverte in modo subordinato, concomitante, che si conosce, in quanto il soggetto è consapevole del manifestarsi del conosciuto, anche se non per questo afferra già la natura del pri ncipio del conoscere, cioè del soggetto . Si tratta di una riflessio­ ne in esercizio (in actu exercito) , che accompagna l 'atto intenziona­ le, ma è indiretta e condizionata dalla determinazione dell'oggetto. Può seguire , anche se non sempre è necessaria, la riflessione in actu signato, per la quale il soggetto ritorna sul proprio atto, la quale esige una intentio specifica, diretta precisamente all'autoco­ noscenza come tale . Bisogna, pertanto , distinguere la coscienza spontanea dalla co­ scienza riflessa : l . Coscienza spontanea. Tutte le volte che si conosce , ci si rende conto, contemporaneamente , di conoscere . È una riflessione in actu exercito propria dell 'atto intellettuale , immediata ma indiretta, e che presuppone che il soggetto si sia attualizzato nella conoscenza dell 'oggetto 41 • Senza tale coscienza concomitante, non sarebbe pos­ sibile l 'atto della coscienza riflessa, giacché mancherebbe la nozio­ ne che si esprime nella riflessione completa . 2 . Coscienza riflessa . Tale modo non è necessario che sia sempre presente in ogni atto di conoscenza : non stiamo sempre esaminan­ do noi stessi, dato che ciò richiede un tornare esplicitamente su di sé, mediante una nuova riflessione, questa volta in actu signato . È una riflessione completa , che la coscienza sensibile non può mai raggiungere 42• La percezione interiore non basta per la completa conoscenza di se stessi . È un luogo comune della filosofia occidentale quello di sottolineare le difficoltà che sperimenta ognuno nel conoscere se

40 Cfr. Summa Theologiae, I , q. 87, a. l ; De Veritate, q. 1 0, a. 8; De Malo , q. 6, a. unico, ad 1 8. 41 Summa Theologiae, I, q. 1 1 1 , a. 1 , ad 3um . 4 2 De V eritate, q. l , a. 5, ad Sum.

1 42

L ' E S S ERE NELLA CONOS CENZA

stesso e, in generale, nel rispondere compiutamente alla domanda circa l 'essenza dell 'uomo . Per conoscere la nostra natura in modo scientifico, dobbiamo utilizzare un complesso sistema di concetti, e far uso del ragionamento muovendo sempre dalla conoscenza spon· tanea. La conoscenza di tale natura ha per base l 'analisi dell'essen­ za delle specie nella mente ; e partendo da questa, cogliendone confusamente la spiritualità, si arriva a riconoscere la spiritualità dell 'anima, la sua immortalità, la sua libertà ed altre caratteristiche studiate dalla psicologia filosofica 43 • Oltre a questo tipo di riflessione intorno alla natura dei propri atti e al loro soggetto prossimo o remoto, è possibile anche sviluppare una riflessione che non considera più la realtà psicologica degli atti conoscitivi, bensì il loro aspetto intenziona­ le. Si tratta allora di una riflessione logica, la quale studia le relazioni che i contenuti conosciuti intellettivamente acquistano allorché vengono a far parte di un sistema scientifico . La logica non riflette sulla fatticità dei processi psicologici, come sosten­ gono gli psicologisti, n1a su quelle relazioni di ragione che sono le intentiones secundae.

Per conoscere l'esistenza di Dio come causa prima dell'ente in quanto tale, la conoscenza di sé non gode di alcun privilegio rispetto alla conoscenza delle cose esterne a noi . Con una pura riflessione logica, poi, è impos sibile conoscere Dio, poiché non si può andare al di là di una realtà pensata (l'argomento ontologico è stato quasi sempre quello preferito dai razionalisti e dagli idealisti, mentre la metafisica dell 'essere lo considera inconcludente) . La via che porta alla conoscenza dell'esistenza di D io è l'ente, ovvero le cose dell'esperienza in quanto hanno l 'essere e non una fonna determinata. Ma la conoscenza della nostra anima spirituale ci serve per comprendere analogicamente la natura spirituale di Dio 44•

43

44

De Veritate, q. 10, a. 8. Contra Gentiles, lib. I I I , cap . 47. 1 43

F I LO S O F I A DELLA CONO SCENZA

5. La libertà nella conoscenza e la dimensione etica dell'attività scientifica

Sappiamo che la libertà è una proprietà della facoltà di volere , per la quale l 'uomo è dotato di una capacità radicale, anche se non assoluta, di autodeterminazione . « Nel suo senso più intimo e positivo, la libertà va intesa come l 'origine e il principio unico del proprio atto, e nel caso dell 'uomo come completa autodetermina­ zione : come posizione totale dell 'atto umano nel proprio ordine presupponente sempre l'essere - da parte della persona . Occorre anche dire che la nostra libertà non sussiste in se stessa, ma è una proprietà della nostra facoltà di volere » 45 •

5 . 1 . La volontà e l'intelletto

La volontà presuppone l'intelletto - nihil volitum nisi precogni­ tun1 -, ma in un certo senso gli è superiore , in quanto lo domina avendo per oggetto il fine . E nel dominio sul fine si dà la vera ragi one di libertà e di dominio 46• La volontà , effettivamente, muove l 'intelletto a consi derare ciò ch 'essa vuole : intelligo quia 7 volo 4 • Fra le potenze dell 'anima , la volontà ha la funzione di primo motore , e il suo atto è, in certo qual modo, previo agli atti delle altre facoltà , poiché li dirige e li utilizza in ordine al fine ultimo scelto 48 • Tale primato, però, non riguarda l 'aspetto costitutivo delle facoltà , dove ha la precedenza l 'intelletto, dato che la volontà presuppone una certa conoscenza dell 'ens e del bonum, al quale tende spontaneamente, con appetito naturale (voluntas ut natura) . Deve venire inteso , piuttosto, nel senso dell 'esercizio attuale delle operazioni o atti secondi (voluntas ut ratio) . L'esercizio della facoltà intellettiva dipende dalla volontà, dall 'intensità del suo atto, dalla sua bontà o cattiveria , e soprattutto dal bene ultimo ch'essa - e per suo mezzo l'uomo intero - vuole, poiché « ciò che è voluto prioritariamente costituisce, per i soggetti dotati di volontà , la cau sa del loro volere » 49 •



Cardona , Metafisica de la opci6n intelectual, cit., p. 1 28 . In I I Sent., d . 2 5 , q . l , a. 2 , a d 4um. 47 Cfr. C fr. De Malo, q . 6, a. l ; Summa Theologiae, 1-1 1 , q . 4, a . 4, ad 2um. 48 In III Sent., d. 3 3 , q. 3, a. l , sol. l . 49 Contra Gentile s, Iib. I , cap. 74.

1 44

L 'E S S E RE NE LLA CONO S CENZA

La conoscenza di Dio, sia pure nel suo infimo grado, è decisiva per il destino dell 'uomo , per la sua condotta morale e di conse­ guenza condiziona in modo diretto e proprio l 'esercizio della volontà umana . Perciò , l 'esercizio stesso di tale volontà è determi­ nante per lo sviluppo di questa conoscenza che denominiamo sapienziale, in quanto è sapere delle ultime cause e ordinatrice della vita umana. Per questo vi è un 'inclinazione naturale, sia nell 'intelletto sia nella volontà, a raggiungere senza deviazioni tale conoscenza e a portar! a alla sua massima pienezza possibile 50 • L a volontà muove l'intelletto verso i l fine ch 'essa vuole , e ciò condiziona non soltanto gli atti, ma anche gli abiti dell 'intelletto . Fra questi troviamo la scienza, intesa come conoscenza certa attraverso le cause . La scienza è, infatti, un abito dell 'intelletto , che si acquista mediante atti imperati dalla volontà, e che libera­ mente può essere o non essere utilizzato .

5 .2 . Scienza e responsabilità etica Di conseguenza , soprattutto per le scienze sapienzali come la filosofia e la teologia, la stess·a scienza (o la sua privazione) rientra in un certo senso nell 'ambito della responsabilità etica dell 'uomo, poiché è affidata alle sue libere scelte 5 1 • I nostri tempi hanno visto scemare l'entusiasmo del secolo scorso per una scienza completamente svincolata da ogni norma morale : i risultati di una tale impostazione utopica sono stati davvero tragici (basti pensare alle ricerche di fisica nucleare asser­ vite a scopi bellici) . Tuttavia, risorge di nuovo una tale « mistica della scienza pura », l'ideale di un illuminismo totale come meta che, raggiunta, renderebbe immediatamente l'uomo buono e risol­ verebbe tutti i problemi sociali. Un tale ideale, invece, deve essere dichiarato illusorio, dato che la stessa pratica scientifica è impre­ gnata di moralità - o immoralità -; la conoscenza di per sé non rende l 'uomo buono : a tal fine, infatti , occorre soprattutto la volontà buona , dalla quale procede la conoscenza buona . Conside­ rare la scienza come un sapere salvifico è una nuova versione dello gnosticismo .

50 SI

In II Sent., d. 34 , In Il Sent. , d. 22,

q . 1 , a. 3 , ad 4um . q. 2, a. l , ad 3um .

1 45

F I LO SOFIA DELLA CONOS CENZA

Va tenuto presente che non è soltanto la volontà ad essere il sog­ getto del bene o del male morale, ma anche tutte le potenze che possono venire mosse dalla volontà 52• Per questo, l'errore, in quanto sottomesso alla volontà, può essere moralmente qualificabi­ le 53 . Questi aspetti morali condizionano anche la assimilazione della scienza altrui : studio, insegnamento, apprendimento. L'i­ struzione e la scienza sono orientate a conoscere il vero e il buono . Non è pertanto corretta la posizione di chi, lasciandosi prendere da un'ossessione di « obiettività », crede che le scienze dovrebbero prescindere dai fini e dalle considerazioni morali . Ciò è impossibile, dato che lo stesso prescindere dai fini e dalle valutazioni etiche è già una posizione morale : infatti, non è possibile non porsi dei fini determinati, in accordo con certe norme (a volte inconfessabili) . L'abuso della libertà in chi si allontana dal fine, porta a considerare la realtà prescindendo da ciò che sembra in armonia con il fine presente alla coscienza morale.

La conoscenza sapienziale è immediatamente morale ed è molto importante, dato che orienta tutto il sapere . Perciò, l'influenza morale è particolarmente incisiva nello studio della metafisica, e attraverso di essa giunge alle altre arti e scienze umane .

5 . 3 . La sapienza e le scienze La sapienza sta a capo di tutte le scienze, poiché, considerando i principi di tutte le cose, regola tutte le conoscenze 54 • I nfatti, come i sensi dirigono i movimenti e le operazioni di tutte le membra del corpo, così la sapienza dirige tutte le altre scienze, che prendono da essa i propri principi 55 • La sapienza naturale, nell'ordine scien­ tifico, è la filosofia e, in senso stretto, la metafisica, che è la filosofia in quanto tale . Dalle scienze seconde, fra le quali si trovano le cosiddette scienze positive, non ci si può attendere la sapienza in senso proprio : una visione completa e profonda della realtà non può 52

Summa Theologiae, 1-1 1, q. 74, a. 2 . O p. cit., 1-11, q. 74, a. 5 . 54 I n Boethium D e Trinitate, Proemium, q . 2, a. 2, a d l um. ss In VI Ethicorum, lect. 6.

53

1 46

L ' E S SE RE NELLA CONOS CENZA

essere mai raggiunta se si prescinde dalla sapienza ; infatti, per quanto si prolunghi l 'indagine nell'ambito delle cause seconde, che le scienze parHcolari fanno oggetto di studio dettagliato, non si arriverà mai al punto finale, finché non si passi al piano me­ tafisica .

5 .4. Rettitudine morale e conoscenza Un sapere rettamente orientato richiede delle disposizioni morali che favoriscano l'atto buono della volontà . Si conosce meglio ciò che si ama, poiché l 'amore rende connaturali l'amante e l 'amato . Ora, come il simile viene conosciuto dal simile, in virtù dell 'assi­ milazione conoscitiva di ordine intenzionale, la connaturalità affet­ tiva e di amore rende possibile una conoscenza sempre più pro­ fonda , stabile e progressiva . La sapienza non si limita a percepire, ma formula un giudizio . Il giudizio presuppone una conoscenza - il giudizio esprime la conoscenza - e anche un 'inclinazione : infatti , chi possiede una determinata virtù è naturalmente ben disposto a ben giudicare intorno a tutto ciò che si riferisce a tale virtù, anche se non l 'abbia studiata scientificamente 56 • Concludendo . La nostra conoscenza inizia con l 'ente, mediante i sensi ; attratta dalla bontà reale , che gli enti posseggono in se stessi ma non da se stessi né per se stessi, essa conosce sé, il proprio principio e l 'ordine della realtà al suo fine. Il rischio che corre la nostra conoscenza in ordine al nostro destino è in proporzione alla capacità della nostra libertà . Alla nostra conoscenza sapienziale è utile una libertà bene ordinata ed esercitata; d'altra parte, convie­ ne alla nostra libertà una conoscenza sapienziale vera e conforme alle caratteristiche specifiche e individuali dell 'intelletto umano : soltanto accidentalmente tali due aspetti possono presentarsi a volte dissociati . Per questo, è importante condurre una vita retta al fine di ottenere una conoscenza vera, e viceversa una conoscenza vera serve per vivere in modo virtuoso : il sapere filosofico è strettamente legato alla vita reale di ogni uomo . In ultima analisi, conoscere e amare costituiscono le attività vitali più caratteristiche dell'uomo .

56 Summa Theologiae, I,

q. l , a. 6, ad 3um.

1 47

BI BLI OGRAFIA ESSENZI ALE

Cardona C., Metafisica de la opci6n intelectual, 2 8 ed., Rialp, Madrid 1 973 .

Choza J . , Conciencia y afectividad ( Arist6teles, Nietzsche, Freud) , EUNSA, Pamplona 1 97 8 . De Tonquedec J . , La critique de la connaissance, Lethielleux, 38 ed., Paris 1 96 1 . Fabro C . , Percezione e pensiero, 2a ed., Morcelliana , Brescia 1 962 . Garda L6pez J . Doctrina de Santo Tomds sobre la verdad, EUNSA, Pamplona 1 96 7 . Geach P . , Menta[ Acts, Routledge and Kegan Paul , London 1 97 1 . Gilson E . , Le réalisme méthodique, P . Téqui, Paris 1 936. Hoenen A., La théorie du jugemen t d'après St. Thomas d'A quin, 28 ed., Analecta Gregoriana, Roma 1 953 . In ci arte F., El re to del positi vismo logico , Riai p, Madrid 1 974 . Lakebrink B., Hegels dialektische Ontologie und die thomistische A nalektik, A. Henn, Ratingen 1 968 . Llano A . , Fenomeno y trascendencia en Kant, EUNSA, Pamplona 1 97 3 . Ll ano A . , Metafisica y Lenguaje, EUN SA , Pamplona 1 984 . Milhin Puelles A . , La estructura de la subjetividad, Rialp, Madrid ,

1 967 .

Pieper J . , El descubrimien to de la realidad , Rialp, Madrid 1 974 . Polo L., Curso de teoria del conocimien to, I e I I , EUNSA, Pamplona 1 984 e 1 985 (volumi I I I e IV in preparazione) . Putnam H . , Mind, Language and Reality , Univ. Press, Cambridge 1 9 79.

Rabade S . , Descartes y la gnoseologia moderna, G. del Toro, Madrid 1 97 1 .

Seifert J . , Erkenntnis objektiver Wahrheit, 28 ed. , A . Pustet , Salzburg 1 976.

Vanni Rovighi S., Gnoseologia, Morcelliana, Brescia 1 97 9 . Verneaux R., Epistemologia generale. Critica della conoscenza, Pai­ deia, Brescia 1 96 7 .

1 48

INDICE ANAL ITICO

abito, 54, 1 40 , 1 44- 1 48 accidente, 1 24- 1 26 analisi linguistica, 6, 9, 4 1 , 84-8 5 , 96, 1 1 0, 1 34 analogia, 2 1 -22 , 2 5 , 1 1 4 argomento antologico, 1 43 assenso , 3 8 , 43-45, 4 7 , 50, 5 3 , 56, 66 astrazione, 1 29- 1 33 , 1 3 6 atto, 3 1 , 3 3 , 3 7 , 4 7 , 1 2 1 - 1 23 , 1 3 3 , 1 3 8 , 1 40 ; e potenza, 75-76, 1 3 2 ; primo e secondo, 1 33 , 1 40 autoconoscenza, 1 3 8- 1 43 categorie : aristoteliche , 1 2 4- 1 2 6 ; kantiane, 1 00 1 0 1 causalità, 1 1 1 - 1 1 2 , 1 23 , 1 26- 1 27 certezza, 43-50, 54, 1 1 7 cogitativa, 1 22 , 1 27 , 1 29- 1 3 1 , 1 3 3 cogito , 4-5 , 1 2 , 9 3 , 1 04, 1 1 1 - 1 1 2 compositio-divisio, 1 28 ; ved . giudizio concetto : origine, 1 28- 1 32 ; valore significativo, 3 6-3 7 , 1 3 3- 1 3 8 conoscenza, 7 7 ; dell'ente concreto , 1 32- 1 3 3 ; e connaturalità, 1 47- 1 48 ; sensitiva, 76-83 , 1 28- 1 30; d i noi stessi, ved . autoconoscenza; scien­ tifica, ved. scienza conversio ad phantasmata, 40-4 1 , 1 30- 1 3 3 cosa e oggetto, 28-30 coscienza, 52, 1 00 , 1 3 9 , 1 4 1 - 1 43 ; sensibile, 1 4 1 critica, 1 - 1 7 criticismo, 1 -2 , 74, 89 -

definizione, 36 dialettica trascendentale , 1 02- 1 03 ; hegeliana, 74-7 6 , 1 05- 1 08 ; marxista, 1 1 dimostrazione, 4 7-48 , 72 Dio, 24, 26-2 7 , 33, 46, 57, 1 06- 1 08 , 1 3 8 , 1 43 dogmatismo, 1 domanda, 5 1 dubbio, 50-52, 63 ; universale, 2 , 47, 5 1 -52, 1 1 1

1 49

INDICE ANALITICO

empirismo, 67, 97, 1 28 , 1 32 ente, 3 2 , 1 23 ; conoscenza dell'ente , 1 1 9- 1 27 ; nozione di ente , 1 1 9- 1 24 ; d i ragione, 3 1 ; ved. essere ermeneutica, 2, 4 1 errore , 58-63 ; natura, 58-6 1 ; indizi, 62 ; cause, 60 , 62-63 ; nei sensi, 6 1 ' 68, 80-83

esistenza, 1 22- 1 23 esistenzialismo, 6 esperienza, 9 7 , 1 20 , 1 28- 1 3 1 essenza, 30-3 1 , 1 22- 1 23 , 1 3 6 ; ved . natura essere : come fondamento della verità, 20-2 1 , 2 7 , 30-34, 63 , 86-87, 92, 93, 1 0 1 , 1 1 6 , 1 28 ; veritativo, 2 5 , 1 1 4- 1 1 5 ; conoscenza dell'essere, 1 2 1 - 1 22

evidenza, 43-50 , 1 1 7 facoltà, 2 7 , 6 1 , 77, 1 1 0 , 1 1 3 , 1 3 3-1 34, 1 40 falsità, 58-60 fede , 44, 55-58 fenomenismo, 6 7 fenomeno, 5 9 , 6 1 , 7 8 , 98-99, 1 02 , 1 25 fenomenologia, 9, 83-84, 96 fisica, 99- 1 02 forma, 1 9 , 1 3 8 forza assertiva, 43-44 giudizio, 37-3 9 ; analitico e sintetico, 49-50 , 98; ved. proposizione gnoseologia, v, 8- 1 5 , 28 idea, ved. concetto ; e immagine, 1 34 ; e specie, 1 3 3- 1 3 8 idealis1no, v, 80, 8 1 , 89- 1 08 , 1 1 3 , 1 1 6- 1 1 7 , 1 3 7- 1 3 8 ; assoluto, 1 03- 1 08 ; trascendentale , 5 - 6 , 8 , 39, 97- 1 03 , 1 1 2- 1 1 3 ignoranza, 5 8 , 63 Illuminismo, 2 immagine, 1 29- 1 30, 1 34 immanentismo, 2 9 , 89-96; principio di immanenza, 4-6, 89, 9 1 -93, 1 1 6 , 1 39

immanenza e conoscenza, 2 7 , 90-9 1 , 94-9 5 , 1 09, 1 34 , ved. prassi; e trascendenza, 90 immediatismo, 1 36- 1 3 8 induzione, 46 intelletto , 2 1 -2 7 , 6 1 , 1 1 0 , 1 3 8 , 1 44- 1 45 ; agente, 1 29 ; divino, 23, 25, 26-2 7 , 3 3 , 1 3 8 ; pratico, 2 2 ; oggetto dell'intelletto, 1 30 intelligibilità , 33-3 4, 47, 1 22 , 1 3 8- 1 40 intenzionalità, 28, 94-9 5 , 1 1 6, 1 30, 1 34- 1 38 , 1 42 intuizione, 80, 1 28, 1 30, 1 32 , 137 l ibertà, 46, 47, 50, 54, 95 , 1 42 , 1 44- 1 48 linguaggio, 33-34 ; ved. analisi linguistica

1 50

INDICE ANALITICO

logica, 1 3 , 3 1 , 1 43 marxismo, 6, 7, 1 1 , 23-24, 74-7 5 , 86-8 7 , 1 08 matematica, 98-99 mediatismo, 1 3 6- 1 3 8 metafisica, v, 1 1 , 1 3- 1 5 , 69-70, 93-94, 1 02- 1 03 metodo, 5-6, 49, 1 1 1 moralità e verità, 7, 1 1 , 24, 63, 9 3 , 1 45- 1 48 natura, 1 30- 1 3 1 nescienza, 58 nominalismo, 3-4, 1 36, 1 3 7 oggetto, 1 1 0, 1 3 0, 1 34- 1 35 ; e cosa, 28-30, 1 36 ; e soggetto, 5-6, 28-29, 87, 139

operazione, 1 3 , 1 3 3- 1 3 5 , 1 3 7- 1 3 8, 1 40 ; immanente, ved. prassi opinione, 53-5 5 , 67-68 ; e contingenza, 3-4 , 49, 54-5 5 organo, 7 7 , 79, 80, 82, 1 4 1 passività nella conoscenza, 77, 80, 95, 98-99, 1 1 2 , 1 3 7 potenze conoscitive, ved. facoltà pragmatismo, 23-24 prassi, 1 3 , 27, 7 7 , 80, 1 3 3- 1 3 5, 1 3 7- 1 3 8 primi princìpi, 43 , 45-46, 5 8 , 69-76 , 1 1 7 problema critico, 1 - 1 7 proposizione, 38, 43-44 psicologia, 1 3 , 1 9, 28, 90 psicologismo, 9, 1 43 qualità sensibili, 7 8-80 ragionamento, 47-48, 60 rappresentazione, 5, 3 6 , 9 1 , 1 3 4- 1 38 razionalismo, 49, 74, 99, 1 1 0, 1 28, 1 30, 1 32 realismo, v, VI I I , 7-8 , 1 2 , 25-26, 30, 92, 1 1 3- 1 1 7 ; critico, 7, 1 09- 1 1 3 , 1 23 , 1 25

relativismo, 54-5 5, 68, 76, 83-87 responsabilità, ved. moralità riflessione, 3 7-42 , 62, 1 38- 1 43 sapere assoluto, 2, 95, 1 06- 1 07 sapienza, 34, 1 45- 1 48 scetticismo, 65-8 7 ; storia, 66-67 ; argomenti, 67-68 scienza, 47-48, 98, 1 1 0, 1 45- 1 48 segno, 1 3 5 , 1 3 6 semantica, 34 semplice apprensione, 36 sensibili propri e comuni, 78-83 , 1 29 sensismo, 7 6-7 8, 85-86, 1 4 1 - 1 43

151

INDICE ANA L I T I CO

sogno , 68, 8 1 somiglianza, 3 7 , 39, 1 30, 1 3 3 , 1 36 sostanza, 1 24- 1 26 specie , 3 6 , 80, 1 3 3- 1 3 9 spiritualità , 1 4 1 - 1 43 strutturalismo, 7, 78 teoria, 1 29 trascendenza, 1 8 , 90, 95 unità della conoscenza, 40-4 1 , 1 2 7, 1 28- 1 3 3 universali , 1 3 1 , 1 3 2 , 1 36 verità , v , 1 2- 1 5 , 1 7-42 , 45 , 1 1 5- 1 1 7 ; e falsità , 1 1 - 1 2 , 20; e riflessione , 37-42 ; e adeguazione , 1 7-20 , 2 1 , 2 9 , 3 5 ; tipi di verità, 20-24, 2 5 ; logica e antologica, 3 5 ; pratica, 23-24 via moderna, 3-7 , 1 32 virtù intellettuali, 47-48 , 5 4 , 1 45- 1 48 volontà , 47, 50, 54, 56, 5 7 , 62-6 3 , 1 44- 1 45

1 52

INDICE DEI NOMI

Agostino, Althusser, Alvira, 2 Arcesilao, Ari stotele ,

1 2 , 52, 1 1 1 7

Fabro, 96, 1 28 Fernandez Rodriguez, 1 3 7 Feuerbach, 1 0 7 , 1 08

67

Fichte , 29, 1 04 Foucault, 7 Frege , 9, 1 8 , 43 , 84, 85 Freud, 78

v-vi ,

VI I ,

1 1 - 1 3 , 1 8 , 20, 27-28, 36, 46, 48, 49 , 59, 6 7 ' 70-77 , 79, 8 5 , 86, 1 1 1 , 1 1 41 1 6 , 1 24 , 1 26 , 1 27 , 1 29 , 1 30 , 1 3 5 , 1 36 , 1 39 Artigas, 5 1 Avicenna, 30

Berkeley, 86, 97, 99 Beuersmeyer, 1 20 Bradley, v Cardona, 32, 94-96 , 1 08 , 1 1 7 , 1 32 , 1 39, 1 44

Carneade, 6 7 Cartesio, 4-6 , 2 3 , 47 , 53, 1 00, 104 , 1 1 0, 1 1 1 , 1 32

G adamer, 2 Gaetano, 1 2 8 Galileo, 78 Garcia L6pez, 1 4, 20, 1 20 Gassendi , 1 3 7 Geach, 5 3 , 1 26 Gehlen, 79, 82 Gilson , 25, 28, 29, 80, 8 1 , 1 09, 1 23- 1 24

G iovanni di san Tommaso, 1 3 5 Gredt, 60, 80, 83 Hartmann, 29 Hegel , V, V I I , 29, 74, 7 5 , 96 , 1 031 08 , 1 20 .

Dancy, 72 Democrito, 7 7 Descartes, ved . Cartesio De Tonquedec, 44 Dostoevskij , 7 Dummett, 9 , 1 7 , 1 9 , 46, 1 1 0, 1 1 3 , 1 15

Durando, 1 3 7 Eliot, 34 Enesidemo, 67 Eraclito, 71 Euclide, 1 1 O

Heidegger, 8-9 , 5 1 , 1 22 Hobbes , 1 3 7 Hoenen . 38, 39 Hossenfelder, 66 Hume, 1 27 Husserl , 9, 44, 83 , 84

Inciarte, 24, 4 1 , 1 3 6 Jacobi, 1 02 Jiménez, 25 V I I , 5-6 , 8 , 23-24, 29, 3 1 , 78, 93-94, 96, 97-103, 1 1 3,

Kant, v-vi ,

1 53

INDICE DEI NOM I

1 25 , 1 27 , 1 30

Kripke, 1 1 , 50 Lévi-Strauss, 7 Linsky, 20 Llano, 25, 28, 59, 79, 96, 97, 1 1 4 , 1 22 , 1 2 5 , 1 34 v, 78, 97

Locke,

Machado, 1 5 Maréchal, 1 1 2- 1 1 3 Marx, 24, 1 08 Mercier, 1 1 1 - 1 1 2 Millan Puelles , 1 0, 20, 3 5 , 3 6 , 3 9 , 44, 48 , 50, 5 2 , 62 , 1 1 9

Neurath, 5 3 Newman, 5 7 N ietzsche 7 , 78 Noet 1 1 2 ,

Ockham, V, 3-4, 93 , 1 3 2 , 1 3 7 Palacios J . M ., 29 Palacios L . E., 25 Picard , 1 1 2 Pieper, 23 Pierce, 9 1 -92 Pirrone, 66 Plotino , VI Popper, 5 1 Prauss, 8

1 54

Protagora , 8 3 , 1 1 6 Puntel , 1 7 Putnam, 92, 1 1 3- 1 1 4 ,

t 34

Rahner, 1 1 3 Rescher, 66 Riedel, 24, 50 Rodriguez Rosado, 1 1 7 Roland-Gosselin, 1 1 2 Sanguineti, 48 Sartre , 94 Schelling, 29, 76, 1 20 Seifert, 9 , 42 Sesto Empirico, 6 7 , 1 26 Skirbekk, 1 7 Sorabji , 49 Spinoza, 78, 1 00 Su arez , 1 30, 1 3 2 Tarski, 20 Tiefrunk, 1 27 Tommaso d 'Aquino,

v-vi , v n, 7 , 1 2 , 1 7- 1 8 , 2 1 -40, 43 , 45-49, 5 1 , 53-5 5 , 5 7-63 , 69-7 1 , 7 3 , 7 9 , 8 1 , 82, 8 5 , 86, 1 1 0, 1 1 1 , 1 1 7 , 1 1 91 2 1 , 1 2 7- 1 34, 1 3 7- 1 47

Verneaux, 3 , 66, 67 Von Uexkull, 28 Wittgenstein, 6

INDICE GENERALE

Prefazione

Pag .

. .

Presentazione

v VII

l . I L PROB LEMA CRITICO E LA F I LO SOFIA DELLA CONOS CENZA

l

l . Il valore della critica . . . . . . . . . . . . . . . . .

l

2 . Costituzione e sviluppo storico del problema critico .

3

1 . 1 . Le radici del criticismo , l . - 1 .2 . Ridimensionamento dell'atteggiamento critico, 2 .

2 . 1 . Le sue origini occamiste, 3 . - 2 .2 . I l criticismo car­ tesiano, 4. - 2 .3 . La filosofia critica di Kant, 5 . - 2 .4 . La radicalizzazione della critica, 6. 2 .5 . La riaffermazione della metafisica dell'essere, 7 . -

3 . I l ruolo della filosofia della conoscenza . . . . . . .

8

3 . 1 . Primato e discredito della gnoseologia, 8 . - 3 .2 . Funzione della gnoseologia, 9. - 3 .3 . Denominazione di questa disciplina, 1 0 . - 3 .4 . Il posto della gnoseologia, 1 0 . - 3 .5 . La difesa della verità nella gnoseologia classica , 1 1 . - 3 .6 . L'ambito della gnoseologia, 1 3 . - 3 .7 . Gno­ seologia, psicologia e logica, 1 3 . - 3 .8 . La gnoseologia come metafisica della conoscenza, 1 3 .

I l . LA VERITÀ E LA CONO S C ENZA l . L a nozione di verità . . 1 . 1 . La verità come adeguazione, 1 7 . - 1 .2 . I l concetto di verità e il concetto di ente, 1 8 . - 1 .3 . Cosa bisogna intendere per adeguazione veritativa, 1 9. - 1 .4 . I diver­ si significati della verità, 20. - 1 .5 . La verità conside­ rata secondo i diversi tipi di intelligenza, 22. - 1 .6 . La .

17 17

1 55

INDICE GENERALE

verità e l'intelletto umano , 2 5 . - 1 .7 . La verità e l'intel­ letto divino, 26.

2 . La verità e l 'ente . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

27

2 . 1 . Verità , conoscenza e realtà, 2 7 . - 2 .2 . Cose e oggetti, 28 . - 2 .3 . Ente e cosa, 30. - 2 .4 . L'essere come fon­ damento della verità, 30. - 2 .5 . La verità e l'ente, 32 . 2 .6 . L'origine della verità, 3 3 .

3 . L a verità nella conoscenza . . . . . . . . . . . . . .

35

3 . 1 . Verità logica e verità antologica, 3 5 . - 3 .2 . L a verità logica non si dà nella conoscenza sensibile , 3 5 . 3 .3 . La verità logica non si dà nella semplice apprensione, 36. - 3 .4. La verità logica si dà nel giudizio , 3 7 . 3 .5 . La dimensione riflessiva della verità, 3 9 . - 3 .6 . Ade­

guazione e riflessione nelle teorie contemporanee sulla verità, 4 1 .

I I I . CERTEZZA ED EVI DENZA . . . . . .

o



o



o

o

43

Forza assertiva e contenuto proposizionale . .

43

l . La certezza . . . . . . . . . . . . . . . . .

44

2 . Il dubbio

50

1 . 1 . Certezza ed evidenza, 44 . - 1 .2 . Certezza e verità, 45 . - 1 .3 . Evidenza quoad se ed evidenza quoad nos, 46. 1 .4 . L'evidenza mediata, 47 . - 1 .5 . Gradualità della certezza, 48 .

2 . 1 . Valore gnoseologico del dubbio, 5 1 . - 2 .2 . Impos­ sibilità del dubbio universale , 5 1 .

3. L'opinione

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

53

3 . 1 . Opinione e certezza, 54. - 3 .2 . Opinione e contingenza, 5 4 .

55

4 . La fede 4 . 1 . Certezza di fede ed evidenza, 5 6 . - 4.2. La libertà della fede, 5 6 . - 4 .3 . La credibilità , 5 6 . - 4 .4 . La Fede soprannaturale, 5 7 .

5. L 'errore

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5 . 1 . Nescienza, ignoranza ed errore, 58. - 5 .2 . La falsità, 58. - 5 .3 . La falsità si dà soltanto nella mente, 59. - 5 .4 . L'errore come privazione, 6 0 . - S .S . Il riconoscimento della falsità, 62 . - 5 .6. La causa dell'errore, 62 .

1 56

58

I NDICE GENERALE

IV. E sAME DELLO s cETT I C I S MO



.

.

.

.

.

65

t . Teorie scettiche e loro argomenti

65

2 . La difesa metafisica dei primi principi della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

69

3 . L 'oggettività della conoscenza sensibile . . . . . . .

76

4 . Analisi del relativismo . . . . . . . . . . . . . . . .

83

1 . 1 . Lo scetticismo, 6 5 . - 1 .2 . Forme di scetticismo, 6 6 . 1 .3 . Lo scetticismo greco, 66. - 1 .4 . Gli argomenti degli scettici, 6 7 .

2 . 1 . La metafisica, scienza dei primi principi, 6 9 . - 2 .2 . I l principio di non-contraddizione , 70 . - 2 .3 . L a difesa del primo principio per riduzione all'assurdo, 72 . - 2 .4 . La dialettica, 7 4 .

3 . 1 . I l relativismo sensista, 7 6 . - 3 .2 . La realtà delle qualità sensibili, 7 8 . - 3 .3 . Gli errori dei sensi, 80 .

4. 1 . La critica di Husserl , 83 . - 4 .2 . La critica di Frege, 84 . - 4 .3 . Relativismo e sensismo, 85 .

V. IDEALI SMO E REALI S MO

. . .

89

l . Il principio di immanenza

89

2 . Diverse forme di idealismo

96

A) L'idealismo critico .

97

1 . 1 . Trascendenza e immanenza, 90. - 1 .2 . Gli argo­ menti dell'idealismo, 90 . - 1 .3 . L'idealismo e la metafi­ sica, 9 3 . - 1 .4 . La possibilità dell'idealismo e le sue con­ seguenze, 94 .

.

.

2 . 1 . Il metodo kantiano , 9 7 . - 2 .2 . I giudizi sintetici a priori, 9 8 . - 2 .3 . L'Estetica trascendentale, 9 8 . - 2 .4 . L'A­ nalitica trascendentale, 99. - 2 .5 . La Dialettica trascen­ dentale, 1 02 . - 2 .6 . La Ragion pratica, 1 03 .

B) L'idealismo assoluto

1 03

« cominciamento » , 1 04 . - 2 .8 . La ne­ gazione e l'avanzamento del sapere, 1 05 . - 2 .9 . L'As­ soluto hegeliano, 1 06 . - 2 . 1 0 . Conseguenze dell'ideali­ smo hegeliano, 107 .

2 .7 . La teoria del

1 57

INDICE GENERALE

3 . Il

1 09

Realismo

A) Il realismo critico . . . . .

R ivalutazione del realismo

B)

1 09 1 13

3 . 1 . I significati dell'essere, 1 1 4 . - 3 .2 . Il paradosso del­ la verità, 1 1 5 .

VI . L 'E S S ERE NELLA CONO S C ENZA l . Il primato della conoscenza dell'ente . .

1 19 1 19

1 . 1 . L'apertura trascendentale alla realtà e il primo concetto dell'intelletto , 1 1 9 . - 1 .2 . Dall 'ente all'essere, 1 2 1 . - 1 .3 . Essenza e atto di essere, 1 22 . - 1 .4. La conoscenza dell'ente , 1 23 . 1 .5 . La conoscenza della sostanza , 1 24 . - 1 .6 . L a conoscenza della causalità, 1 26 . -

2 . La continuità fra conoscenza sensibile e intellettuale . 2 l

1 28

Il passaggio dalla sensazione esterna alla cono­ scenza intellettuale, 1 28 . - 2 .2 . Il ritorno all'esperienza, 1 30 . - 2 .3 . L'unità fra la conoscenza intellettiva e sen­ sibile, 1 3 1 . - 2 .4 . La conoscenza intellettiva del singo­ lare, 1 3 2 . .

.

3. Specie e idee

1 33

3 . 1 . Il carattere rappresentativo del concetto, 1 34 . 3 .2 . Immediatismo nominalista e mediatismo idealista, 136.

4. La riflessione e la conoscenza di se stessi . . . . . .

1 38

4 . 1 . L'autoconoscenza umana, 1 3 8 . - 4.2. Le modalità della coscienza e la loro portata conoscitiva, 1 4 1 .

5 . La libertà nella conoscenza e la dimensione etica dell'attività scientifica . . . . . . . . . . . . . . . .

1 44

5 . 1 . La volontà e l 'intelletto, 1 44. - 5 .2 . Scienza e re­ sponsabilità etica, 1 45 . - 5 .3 . La sapienza e le scienze, 1 46. - 5 .4. Rettitudine morale e conoscenza, 14 7 . BIBLIOGRAFIA E S S ENZIALE

1 48

In dice analitico

1 49

Indice dei nomi

1 53

1 58

S TAl\1 PATO A F IRENZE NEGLI S TAB I LI MENTI T I POLI TOGRA F I C I « E. ARIANI » E « L 'ARTE DELLA S TA M PA » DELLA S . P. A. ARMANDO PAOLETT I GENNAI O

1 987