Estasi del pecoreccio. Perché non possiamo non dirci brianzoli 8886232454, 9788886232456


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Tommaso labranca •

ORECCIO

Perché non possiamo non dirci brianzoli •

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BIBLIOTECA COMUNALE DI MILANO



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Titolo originale:

Die Ekstase des Schafgeruchs Warunz konnen wir ims nicht "Brianzoli" nicht nennen

© Labranca Stiftung, Heidel�rg, 1994 Alle Rechte vorbehalten! I edizione italiana: settembre 1995 Traduzione di Uta Karina © CASTEL VECCHI

Editoria & Comunicazione srl Viale del Vignola 75, 00196 Roma tel. 06/3202767 Tutti i diritti riservati Progetto grafico e impaginazione: CASTELVECCHI

Editoria & Comunicazione srl Graphic concept: Claudia Ravello



Impor/ante: i dattiloscritti inviati non si restituiscono

ISBN: 88-86232-45-4

Tommaso Labranca

Estasi del pecoreccio

Perché non possiamo non dirci brianzoli

CASTELVECCHI

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La canzone del sola

D: «Ho sentito alcuni dire che i saggi revisionisti vorrebbero emulare quelli di Barthes, però sono più' deliranti». R: «Be' è un ottimo risultato! Non è da tutti riusci­ re a essere più deliranti di Bart!». D: «Bart chi?». R: «Bart Simpson! Perché, di chi si stava parlan­ do?».

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PARTE PRIMA BAROCCO BRIANZOLO

Brianzanet

C'erano già prove sicure sull'esistenza del barocco romano, di quello napoletano, di.quello veneziano e di quello leccese. Meno noto, ma altrettanto interes­ sante, è il òarocco genovese. Pochi sono invece a co­ noscenza di un altro barocco che si differenzia dagli altri perché non è vincolato né al tempo, né allo spa­ zio. I suoi frutti non sono limitati al periodo compre­ so tra il XVII e il XVIII secolo, né i suoi fenomeni ri­ guardano una sola città o regione. È il misconosciu­ to Barocco brianzolo. Purtroppo, la Brianza di cui si parlerà qui non cor­ risponde solo a quella sottoregione lombarda che si estende sotto un cielo di trucioli e diossina tra la pe­ riferia nord di Sesto San Giovanni e il confine con il Canton Ticino. Dico purtroppo perché mi sarei esal­ tato all'idea di emulare, in scala ridotta, Salman Ru­ shdie. Lui perseguitato da nugoli di offesi integralisti musulmani, sostenitori dell'Islam, io inseguito dai seguaci di ·Brianza Alkolika, sostenitori del Monza Calcio. Questa Brianza è un luogo dello spirito, un Nirva­ na cui si perviene stando in Salento e in Ciociaria, ma anche in Tasmania e nella Terra del Fuoco. Que­ sta Brianza è in tutto il mondo e ovunque ha diffuso 9



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il proprio stile estetico. È inutile dare una descrizione diretta ed esaustiva di che cos'è il Barocco brianzolo. È forse più utile indicare i rapporti che esso ha con il trash. Mentre il trash è un'emulazione fallita di un personaggio o di un.prodotto culturale, il Barocco brianzolo è l'applicazione esasperata ai massimi li­ velli di un'idea o di uno stile. Il Barocco brianzolo non conosce fallimenti, è uno stile vincente, lo stile dei trionfatori. Potremmo dire che il Barocco brianzolo è il grado superlativo dell'estetica. Non è un caso che il Gruppo Lombardoni, che gestisce una catena di supermerca­ ti, ha compiuto una approfondita ricerca sui prefissi esaltativi, dimostrandosi scontento dei già esistenti super-, iper-, mega-, extra-, over- e scegliendo invece un'espressione vero simbolo del Barocco brianzolo, che sa unire l'immagine di sconfinati spazi di vendita al sapore tradizionale del dialetto locale. Ecco dun­ que che quei supermercati sono stati genialmente battezzati GrossMarket. Potremmo definire il Barocco brianzolo elefantia­ co. Non a caso il logo dell'ipermercato di Mirabella è un elefantino. Potremmo dire che il Barocco brianzolo è faraoni­ co. Non per nulla nel logo dell'ipermercato Cantù 2000 la A è stata sostituita graficamente da una pira­ mide. E la piramide sorge anche davanti al Louvre. E tra la piramide del Louvre e quella di Cantù non c'è al­ cuna differenza, anche se le riviste di architettura e design hanno ignorato •quella canturina e hanno in­ dicato come simbolo di grandeur la seconda. Ma che cos'è la grandeur se non la traduzione francese dell'e­ spressione Barocco brianzolo? Questi tre esempi sono stati tutti localizzati nella vera Brianza, percorrendo la ss n. 35 dei Giovi. Ma il Barocco brianzolo è davvero un'espressione globale. • 10

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C'è un artista americano, tal Jeff Koons, vero pala­ dino del Barocco brianzolo, che ha tra l'altro museiz­ zato alcune statuine argentate, simili a quelle che si vedono sul catalogo Euronova. I critici lo hanno defi­ nito «fustigatore del gusto kitsch statunitense». La colpa di simili espressioni è tutta da imputare alla meccanicizzazione della monda del riso e al ri­ corso sempre più massiccio all'indotto senegalese per la raccolta dei pomodori. Ex mondine ed ex rac­ coglitori, di fronte allo spettro della disoccupazione, non hannÒ esitato a buttarsi nel campo della critica d'arte. Ho già parlato dell'uso scorretto dell'espressione kitsch che non vuole assolutamente dire cattivo gu­ sto. Tutto ciò che i critici chiamai;i.o kitsch ricade sot­ to il Barocco brianzolo e anche in questo caso chi può mai definire cattivo un gusto? Tanti invece con­ tinuano a farlo, solo per esaltare la propria presunta raffinatezza e ridicolizzare le proprie vittime. Questi signori tengano presente la sempre valida massima latina: de gustibus non sputtanandum est. Chi segue, studia e riproduce il Barocco brianzolo è sicuramente un ammiratore dei suoi fenomeni. So­ no più che certo che Koons ama alla follia le statuine argentate che rappresenta. E che a casa sua possiede e usa quel gioiello di incongruenza tecnologico-tem­ porale eh� è il telefono in stile roccocò venduto dall'Euronova. Chi ci garantisce che Koons voglia prendere in giro il gusto statunitense, ossia il suo stesso gusto? Qualcuno di quei critici è stato a casa sua e vi ha trovato solo pezzi Lalique 1930? E perché mai Koons da una parte vuole diventare il paladino di una crociata contro le ciofeche made in USA e dall'altra compie un'azione sublimemente Barocco brianzola come sposare Cicciolina, dopo essersi fatto immortalàre con lei sotto l'abile regia di Riccardo Schicchi?

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Koons è statunitense, Schicchi è italiano, Ilona Staller è ungherese. Ma il Barocco brianzolo riesce a fare ciò che l'ONU non è mai stata in grado di fare: ar­ monizzare popoli, etnie e culture diverse. E questa missione di pace, in risposta ai tentativi di guerra to­ tale tra persone di buon gusto e persone di cattivo gusto fomentati dai critici di scuola Riso Amaro (os­ sia quelli cacciati dalle risaie), costituisce la vera grandezza del Barocco brianzolo, fenomeno che or­ mai non interessa più solo il nostro pianeta, ma ha addirittura superato la stratosfera. L'immagine delle Geschwister Hofmann che can­ tano il loro pop-jodel durante la Achim's Hitparade sulla MDR viene lanci�ta alla velocità della luce nello spazio, cozza contro Astra lA, lB, lC, lD e lE e si ri­ diffonde a pioggia sull'Europa. E noi che le guardia­ mo vestite da contadinelle dell'Assia non pensiamo alla tecnologia satellitare né all'ingente costo di affit­ to di un trasponder, ma soltanto a come la Brianza sia davvero ovunque e non ci vergogniamo più del nostro Cantaitalia, anzi lo esibiamo con lo stesso or­ goglio con cui si fa sventolare una bandiera lacera su una barricata.





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Titolari del nulla

Negli anni Settanta un prodotto poteva dirsi di successo solo se aveva una masc0tte. Il procedimen­ to era standard: il personaggio, disegnato patetica­ mente come un cartoon statalizzato cecoslovacco, aveva il corpo che ripeteva rigorosamente la stessa forma del prodotto, cui si aggiungevano due zampe, un paio di occhi e l'inevitabile nome che nasceva dal vezzeggiativo di quello del prodotto stesso. I marchi più ricchi facevano dei Caroselli a disegni animati con protagonista la mascotte, magari ne regalavano col prodotto la riproduzione in plastica o fondavano un club cui ci si iscriveva per ricevere tre adesivi. La serie B de} commercio, nel desiderio di emulare la serie A, si accontentava di riprodurre il proprio sim­ patico personaggio nelle inserzioni pubblicitarie a mezza pagina in bianco e nero su Il Monello. Negli anni Ottanta la mascotte è stata mandata al confino tra l'indifferenza generale, sostituita da una miriade di card, ancora più inutili della mascotte, che comunque inutile non era poiché non si propo­ neva alcu:qa utilità. Tutti hanno messo a punto la propria X-card, dove x = marca, prodotto o nome del commerciante. Alla simpatia della mascotte che parlava al fan­ ciullino che tutti abbiamo dentro e che possedeva

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uno spirito ecumeni�o (il club!) si sostituì così l'anti­ patia della card che parlava allo stronzo che tutti ab­ biamo dentro e che possedeva uno spirito élitario. Con una fregatura di fondo: il rettangolino di plasti­ ca, stampato per poche lire e inviato a tutti, era pro­ posto invece come strumento per privilegiati. Ma la differenza è anche un'altra. Se nel caso della mascot­ te l'effetto trash-emulativo era del tipo a corto circui­ to tra marca grandi! e marca piccola all'interno di uno stesso settore commerciale, nella card l'effetto trash è stato del tipo a cascata e ha colpito similmen­ te tutte le marche per le quali il modello di riferimen­ to era esterno e uno solo: l'American Express. Poiché la tensione emulativa verso la carta di cre­ dito mira a un life-style lussuoso, il fenomeno card rientra pienamente 11el Barocco brianzolo. Non a ca­ so a cadere nella trappola sono stati soprattutto i me­ gamobilifici. Nella sua pubblicità l'Amex puntava sulla parola

titolare. Ed ecco che anche Alberto Volpin, presen­

tando la Semeraro Card, sottolinea quanto questa sia «personale e non cedibile», proprio come i biglietti del tram. Il contrasto tra il livello popolare del sud­ detto mobilificio e la presunta esclusività dell'ogget­ to card è straordinariamente trash-incongruo. Sempre nella pubblicità Amex il titolare smarriva la carta. Allora una gentilissima operatrice telefonica con cuffia e microfonino come quelli di Ambra ri­ spondeva con voce flautata: «Domani stesso riceverà la sua carta sostituiva». SLURP! hanno detto da Grappeggia e, dopo aver creato dal nulla la propria card, hanno realizzato uno spot in cui un'operatrice con cuffia e microfoni­ no diceva con spiccato accento brianzolo: «Dumani le mandaremo la zua card». 14

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E Aiazzone? Il motore primo dell'universo mobi­ liero è andato con coraggio dove gli altri non osano e, oltre a proporre l'ormai irrinunciabile card, ha rie­ sumato la mascotte. Si tratta di Lallo, un ipercastoro steroidizzato e dal pauroso rigor mortis, responsabi­ le di numerosi teletraumi infantili contro i quali però Popper non si è mai scagliato. Essendo costruito in un solo blocco di legno di noce, Lallo (vera antitesi del malleabile Gabibbo e discendente diretto delle Vergini di Norimberga) per muovere la testa di lato deve girarsi tutto di 90 ° tra impressionanti cigolii. Ma nelle sue manone fossilizzate nel gesto thumb-up non mane.a di luccicare una preziosa Lallo Card che, chissà, forse serve a qualcosa.

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• La classe non è acqua



La dissoluzione di Alberto Sordi è un fenomeno davvero preoccupante, almeno quanto la presunta scomparsa delle classi sociali che l'ha causata, e che resta l'ideale per cui lottano gli adepti del Barocco brianzolo. I pagamenti con bollettini postali senza anticipo e senza interessi prima rata fra tre mesi non rendono più impossibile il desiderio di entrare nel mondo dei ricchi che invece animava Vacanze d'in­ verno. La discesa alla quotidianità televisiva e scan­ dalistica delle nobildonne ha cancellato quello Stre­ ben verso il milieu aristocratico che si respirava nel Conte Max. Persino n•lontano geografico non è più bramabile: non si può più fantasticare sul Kansas City, perché il Kansas City è anche qui. Bastano però quattro fasi per dimostrare che le classi sociali non sono scomparse.

Prima fase: Luna nuova. Nell'oscurità totale ci si può convincere che l'i�ona di Alberto Sordi, che con­ tinua a vivere nel tempo zero delle videocassette su cui conservo i suoi vecchi film, male si adatti a questi giorni in cui ci dicono che siamo squallidamente tut­ ti uguali. Serve dunque una nuova icona sostituiva, che è stata prontamente creata. Ci hanno pensato 16

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due geni contemporanei, Max Pezzali e Mauro Re­ petto, la cui creatura (che per comodità chiamerò icona-883, pal nome che i due demiurghi pop si sono dati) pare essere, nel buio di una notte senza luna, il vero anti-Sordi, il simbolo di quest'epoca transclassi­ sta, il campione dell'eguaglianza raggiunta al grido di «Tutti in top class». Seconda fase: primo quarto. Basta un po' più di lu­ ce per rendersi conto di come le differenze siano po­ che e superficiali. L'icona-Sordi era in bianco e nero, l'icona-883"è colorata con tinte da Supereroi Marvell. L'icona-Sordi era semi-inesistente, poiché cinemato­ grafica, ma ancora incarnata in un uomo che, pur assumendo nomi e ruoli diversi, era sempre ricondu­ cibile a un personaggio animato dall'ansia dell'aspi­ razione. L'icona-883 è completamente inesistente, digitalizzata nelle track dei CD. Non ha nemmeno un nome, ma un numero. È una sorta di Terminator del Pavese che ,çompie il suo unico morphing Nella notte dei Weekend. C'è una sola differenza comportamentale di un certo rilievo. Come vuole il falso egualitarismo dei nostri tempi, l'icona-883 non ha aspirazioni di ric­ chezza o nobiltà, non per disinteresse, ma poiché crede che non esista più nulla da conquistare. L'uni­ ca sua terra di conquista è una temporanea compa­ gna di effimeri piaceri carnali. E anche in questo ca­ so, al di là èiei due di picche che colleziona, l'icona883 parte da una base non-aspirativa: qualsiasi figu­ ra femminile va bene e, se se la tirano o gliela mena­ no, arrivederci. L'icona-Sordi, invece, accresceva la sua smania di conquista quanto più irraggiungibili erano le donne cui aspirava: la signorina Margherita vessata in Mamma mia, che impressione!, la bramata Bianca Maria di Buonanotte... avvocato, l'insosteni­ bile Franca-Valeri de Il vedovo, l'idolatrata Sylva Ko­ scina ne Il vigile.

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Terza fase: Luna piena. Lo splendore del pleninlu-

nio fa scomparire le stelle del cielo, ma rende ben vi­ sibili le stelle sulle targhe degli alberghi; fa brillare gli 1 e i 2 sulle fiancate dei vagoni ferroviari: possia­ mo percorrere su e giù tutto il treno e affondare bre­ vemente in un sedile di prima, ma in tasca abbiamo un ineluttabile biglietto di seconda e prima poi il controllore passa. La prova più schiacbante di quanto vago e ingan­ nevole sia l'egualitarismo è offerta inconsapevolmen­ te proprio dall'icona-883 e si trova nella canzone Sei un mito, di cui consiglio l'ascolto durante la lettura di questo scritto, possibilmente nell'irraggiungibile Stefano Secchi remix. 1. Tappetini nuovi, arbre magique, deodorante appena pr�o che fa molto chic

Un décor automobilistico e igienico che mira a colpi­ re la partner. Un sottile messaggio subliminale di an­ ticlassismo che non dice «Io sono più profumato di te», ma afferma «Io sono profumato come te». Intan­ to, in quanto a pericolosità l'atmosfera all'interno dell'auto è a livelli da Chernobil due ore dopo l'esplo­ sione. I tappetini nuovi puzzano di gomma, l'arbre magique è alla bananà e il deodorante appena preso è uno pseudodenim da hard discount che stendereb­ be un rinoceronte. Questo dato olfattivo è importan­ te ai fini di quanto avverrà qualche strofa più avanti. 2. Appuntamento alle nove e mezzo, ma io per non far tardi forse ho cannato da Dio, alle nove sono già sotto casa tua

• È la solita tensione del povero che nega di essere ta­ le, la paura di perdere l'occasione o il treno verso l'uguaglianza. Grace Jones arriva agli appuntamenti con tre ore di ritardo e tutti restano comunque ad 18

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aspettarla. Quando Fantozzi va al casino di Monte­ carlo con il duca conte Semenzana arriva in stazione alle 16.12 benché il treno parta alle 23.37. 3. Sei un mito, sei un mito per me sono anni che ti vedo così irraggiungibile Sei un mito, sei un 111.ito perché tu per tutti noi sei la più bella ma impossibile

Non ci si lasci traviare da questi versi: non si tratta di aspirazione da icona-Sordi. Lei, per l'icona-883, è ir­ raggiungibile, bella e impossibile come qualunque altra raga:tza. I tempi antiaspirativi in cui viviamo rendono similmente conquistabile o intangibile qua­ lunque figura femminile, dalla cassiera della Coop a Claudia Koll (ma c'è poi differenza?). 4. Quasi esplodo quando mi dici «Dai, vieni su da me che tanto non ci son.o i miei» -1

In realtà a.quasi-esplodere era lei, ridotta ai limiti della sopportazione dalla miscela di gomma-banana­ pseudodenim di cui al punto 1. 4 bis. Quasi esplodo quando 111.i dici «Dai, vieni su da me che tanto non ci son.o i miei»

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Ecco il segnale della differenza di classe che, pur ve­ nendo costantemente negata, continua a vivere sot­ totraccia. Mentre i genitori dei proletari (di noi pro­ letari, concedetemi) non escono mai o, se lo fanno, si spostano su raggi brevissimi, il supermercato, il bar, l'appartamento dei vicini, e passano le loro serate dormendo o guardando la tv, i genitori di lei, a que­ sto punto inconfutabilmente ricchi, hanno una vita mondana più intensa. Dove saranno andati la sera degli eventi qui narrati? A teatro, forse. A cena con colleghi dirigenti. Oppure (molto probabilmente sia-

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mo durante un fine settimana) nella loro villa di Fin Murnasc (in italiano Fino Mornasco - co) o in Liguria. 5. Io mi fenno a prendere una bottiglia perché voglio fè­ steggiare questa figata con te

La bottiglia è un altro segnale primario di come la differenza di classe, nonostante le apparenze e l'inge­ nua credenza dell'883, continui a prosperare. Era ne­ cessaria la bottiglia? No. Se lui non fosse appartenu­ to a una classe social� inferiore a quella di lei avreb­ be saputo che nel bar di casa lo aspettavano brandy vecchissima riserva, champagne d'annata e raffina­ tissime chartreuses. Ma l'icona-883, memore del pro­ prio sguarnito armadietto dei liquori che comprende due sole bottiglie (una smezzata di nocino e una in­ tatta di Amaretto di Carenno'), crede di far evitare a lei la figura che avrebbe fatto senza dubbio lui in un caso del genere. Acquit5ta dunque di volata in un bar notturno, a un prezzo da furto, una bottiglia di spu­ mantino con tappo in plastica. La bottiglia verrà aperta ma non consumata. Persino i Filippini, il mat­ tino dopo, si asterranno dal toccarla. 6. È incredibile abbracciati noi due Un ragazzo e una ragazza senza paranoie, senza dirci io ti amo, io ti sposerei...



Ecco il momento dell'inganno: lui è sicuro di aver trovato la tipa cui piace divertirsi e che volentieri si presta a ricevere l'estremo oltraggio senza avanzare richieste matrimoniali. Ma l'icona-883, limitato com'è nell'analisi dei casi della vita e abituato a sci­ volare, peraltro felicemente, sullo specchio delle ap­ parenze, non si pone la domanda cruciale: perché non mi chiede di sposarla? Il perché è semplice: lei è ricca, bella e raffinata. Promessa da tempo al figlio 20

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di un industriale (spesso in viaggio col padre per la­ voro) inganna il tempo con rapide cavalcate sul diva­ no di casa, preferendo come partner ex compagni di classe (scolastica) sempre inferiori come classe (so­ ciale). Figuriamoci se questa va a implorare «Sposa­ mi» all'icona-883 che deve ancora pagare le rate dell'auto e che lavora come apprendista per un'im­ presa di impianti telefonici. Vagamente ninfomane, mentre quel povero inge­ nuo dell'883, appagato nei sensi, va via pensando «Me la sono finalmente fatta...», lei già sfoglia l'agen­ da e decide la sua vittima per la settimana seguente. Quarta fase: ultinw quarto. Le ultime ore della not­ te, illuminate dalla Luna calante, sono le più adatte per una riflessione finale. È stato dimostrato come le classi sociali, benché apparentemente avvicinatesi, non si sono compenetrate a fondo, né tantomeno so­ no scomparse. Non è bastata la diffusione del lusso a ogni livello, operata dal trashion che ha trovato ferti­ le terreno nel Barocco brianzolo. Nei quarant'anni che dividono l'icona-Sordi dall'icona-883 sono cam­ biate solo due cose: 1) la motivazione dell'ingenuità. Sia Sordi, sia 1'883 sono per naiura due ingenui e cascano regolarmente nelle trappole tese da donne di classe più elevata del­ la loro. Però, mentre Sordi era un ingenuo perché tentava di colmare le differenze di casta, 1'883 è un ingenuo perché finge che quelle differenze non esi­ stano. 2) Il cappellino. Nando Meliconi/Santi Bailor in Un americano a Ro1na portava il cappellino con la visie­ ra davanti. L'883 e i suoi seguaci lo portano con la vi­ siera all'indietro. Non vale la pena awiare una restaurazione per co­ sì poco.

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Note I cosmologi danno per altamente probabile l'esistenza nell'universo dell'Amaretto di Caronno o comunque la sua comparsa a breve scadenza. A conforto della loro teoria, gli studiosi recano la :QC>tenza della.doppia approssimazio­ ne, nominale e geografica: Caronno Pertusella è un comu­ ne lombardo che si trova a soli 5 chilometri dal più celebre Saronno. Tale potenza approssimativa non può essere trat­ tenuta troppo a lungo nell'universo dell'inespresso e dovrà necessariamente esplodere in qualche supermercato. 1









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Noi due in Brianza e nell'anima

Al Barocco brianzolo molti inutili studiosi appar­ tenenti alla setta degli integralisti estetici criticano la «mancanza di un progetto» e la «casualità con cui vengono ammassati gli elementi, sfruttando tenui pretesti». Per rispondere a queste sbrigative prese di posizio­ ne, bastanÒ tre regole d'oro: Uno È sempre 1neglio non avere un progetto, che sfruttare progetti standard. Due È se1npre 111.eglio edificare aggiungendo alla propria co­ struzione tutti gli elen1.enti che si ha voglia di aggiunge­ re, piuttosto che erigere un prefabbricato. Tre È sempre meglio studiare il Barocco brianzolo che altre discipline inconsistenti per il nutrimento delle nostre anime.

In realtà, il Barocco brianzolo pur nella totale follia asequenziale e accumulativa che lo caratterizza, pos­ siede in fondo al proprio disordine una tale integrità estetica che risulta facilissimo sovrapporre due qual-

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siasi suoi prodotti presi a caso, per quanto questi ap­ partengano a discipline diverse e, agli occhi degli in­ tegralisti, appaiano non solo ributtanti, ma anche in­ congrui in loro e tra loro. Il risultato di questa im­ probabile sovrappi>sizione sarà un'immagine armo­ nica, risultato finale di un gioco sempre sorprenden­ te e mai monotono. Per dimostrare la coerenza del Barocco brianzolo esaminiamo le possibilità di sovrapposizione tra mu­ sica e architettura. La stessa armonia matematica che regola l'archi­ tettura sta alla base della musica. Ecco perché le due discipline si legano strettamente tra di loro. Ed ecco perché il contrasto diventa ancora più stridente quando, chiusi tra ascisse e ordinate, l'algoritmo ar­ chitettonico e quello musicale creano linee che si scontrano e si allontanano sempre nei punti in cui



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Architettura Musica

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non dovrehbero'. Negli esempi che seguono si vedrà come i casi più stridenti siano quelli in cui gli inte­ gralisti identificavano invece un progetto coerente.

Esempio 1: Apocalypse Now o dell'incon­ gruenza ingiustificabile C'è una famosa scena del film Apocalypse Now in cui l'arrivo degli elicotteri è accompagnato dalla Ca­ valcata delle Valchirie. Non si tratta di una semplice colonna sonora: la partitura wagneriana è diffusa da alcuni altoparlanti montati sugli stessi elicotteri. Il comandante della pattuglia dice a proposito della musica: «i miei ragazzi l'adorano1>, anche perché «fa cagare sotto» i poveri Vietnamiti. Si tratta di una scelta registica dawero trash, di derivazione massi­ malista: il regista trova facile modificare il concetto­ a-catena seconda guerra mondiale-nazisti-Wagner in Viet Nam-US Force-Wagner:

Se con una linea orizzontale dividiamo l'immagine sullo schermo in due parti, avremo due scenari diffe­ renti, con effetti diversi anche sul relativo grafico. Nella parte superiore ci sono gli elicotteri e Wagner: nel grafico-si avranno due curve che procedono pa­ rallele in uno spettacolo di piattezza desolante che non prendiamo nemmeno in considerazione. Ancora più ingiustificabile, ma degno di rappresentazione, è invece il grafico che deriva dalla parte inferiore dello schermo: capanne vietnamite e Wagner (fig. 1). Le due rette nascono da un punto comune i (intenzio­ ne). Un µ più in là da quel punto, quando ci si accor­ ge che le n9te wagneriane simbolo di marzialità ed Heldentum non risuoneranno su un palcoscenico di Bayreuth, ma sulle capanne nei dintorni di Ho Chi Minh, ecco che le rette della musica e dell'architettu­ ra si separano per non incontrarsi mai.

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Siamo ancora nel campo del trash massimalista. È assurdo credere che i Vietnamiti, abituati a conce­ zioni musicali e a scale toniche completamente di­ verse dalle nostre, finiscano per comportarsi come gli sprovveduti lettctri occidentali della collana di fu­ metti bellici Supereroica che, secondo i dettami dello stereotipo stereofonico, riducono la Cavalcata delle Valchirie a uno squallido Tongemalde i cui elementi sono l'attesa apocalittica, la paura, la visione del ca­ valiere che giunge per seminare terrore e distruzio­ ne. Insomma, è probabile che gli incontenibili scom­ pensi gastroenterici dei Vietnamiti fossero causati più dal napalm che '1a Wagner e che i poveri orienta­ li sarebbero schizzati via anche se gli elicotteri aves­ sero diffuso il Minuetto di Boccherini. Ammettiamo, però, che ciò sia veramente succes­ so in Viet Nam. Oppure ammettiamo che Francis Ford Coppola, in un raffinatissimo momento di ge­ nio, abbia compreso l'assurdità del legame capanne + Wagner, ma che l'abbia comunque scelto perché si addiceva perfettam&ite ai metodi massimalisti di un qualsiasi comandante dell'esercito statunitense. Pec­ cato però che tutta questa raffinatezza sia stata data in pasto a un pubblico che ragiona esattamente co­ me il comandante pattern di Patton. Peccato che tut­ ta questa raffinatezza si sia persa lungo la strada co­ moda, ma a senso unico, dello stereotipo stereofoni­ co. La stessa strada percorsa dai realizzatori di video matrimoniali che �ottolineano la cerimonia con un'Ave Maria schubertiana in taglia unica. Lo stesso cammino scelto da quei giornalisti culturali del TG 1 che si sentono quasi obbligati a sonorizzare i loro servizi su qualche mostra d'arte del Novecento con una Gymnopédie di Satie2 • Può anche darsi che Francis Ford Coppola non ab­ bia seguito questo complesso processo di ricostru•

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zione delfa tendenza massimalista e che per lui non ci sia nulla di strano nell'abbinare le capanne vietna­ mite a Wagner. Siamo quindi nel campo del trash, ma un trash inaccettabile poiché spacciato per pro­ dotto colto. Non si sbaglia dunque chi preferisce le produzioni dirette trash alle produzioni colte. Niente distingue a questo punto Apocalypse Now dal lingui­ sticamente ibrido Apocalypse Dom.ani, girato nel 1980 dal geniale regista Anthony M. Dawson, alias Antonio Margheriti, facendo correre nelle risaie del Pavese i Cinesi clandestini che abitano nelle cantine di via Canonica a Milano.

Esempio 2: L'ingorda, o del1'incongruenza giustificabile

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Ancora un esempio di incongruenza tra musica e architettura, ma questa volta, almeno, non ci sono alti budget, grandi star o pretenziosità di scrivere pa­ gine della storia del cinema. La pregevole pellicola L'ingorda, con l'indimenticata Karin Schubert, qui al culmine della sua avventura cellulitica, e con un Ga­ briel Pontello che fa rimpiangere Supersex, contiene poco dopo l'inizio una vera perla. Quasi cinque mi­ nuti di riprese dall'auto in movimento, con un risul­ tato che sta a metà tra Jim Jarmusch sotto l'effetto di funghi allucinogeni himalaiani e i reportage di Chi l'ha visto? Davvero momenti di grande cinema per qualunque revisionista estetico: l'operatore, seduto a fianco dell'autista (non a caso nel cosiddetto «posto della morte»), mantiene a fatica una camera trabal­ lante (tecnica copiata anni dopo persino da Woody Allen) e nDn manca di riprendere soprattutto il tergi­ cristallo, la ricevuta della tassa di circolazione e l'adesivo Socio Aci. Al di là di questo interessante e affollato parabrez­ za scorre il quartiere romano dell'EUR. Quale colonna 27

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Figura 2



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/ Architettura Musica X

sonora è stata scelta dal regista per accompagnare le inconfondibili architetture fasciste, simbolo di un'ir­ realizzata esposizione universale? La scelta, sconvol­ gente, è caduta su Forever and ever di Demis Roussos e non nella versione originale, ma in quella strumen­ tale suonata al sax da fausto Papetti. Osserviamo la figura 2. Vediamo: le linee partono insieme dal punto i. Immediatamente, le calde melo­ die del sax e le fredde costruzioni del meriggio del 12 gennaio 1992 (certe date restano impresse a fuoco nelle nostre memorie) e stavo percorrendo le vie cittadine con Norma Jeane quando, già annunciata da ampi striscioni stradali, mi apparve davanti... non riesco quasi a dirlo... Mi apparve davanti una mostra di quadri di Tony Dalla­ ra. La mostra era patrocinata dal Comune di Milano che, evidentemente, aveva messo a disposizione soldi e adeguata sede. Era, ripeto, il 12 gennaio 1992, mancavano solo 35 giorni all'arresto di Mario Chie­ sa. Forse in Comune già si percepiva nell'aria il sen­ tore di tempi difficili e si meditava la ritirata. Quan­ do un esercito sconfitto è messo in fuga, i soldati cer­ cano di lasciare dietro di sé il nulla: distruggono ponti, mettono i villaggi a ferro e fuoco, stuprano le donne e organizzano mostre di Tony Dallara. Fu detto. che in futuro saremmo stati tutti famosi per quindici minuti. Una profezia azzeccata solo in parte. Non fu altrettanto previsto che, trascorsi i pro­ pri quindici minuti di celebrità, nessuno avrebbe vo­ luto tornare nell'anonimato e, pur di restare a galla, avrebbe fatto di tutto: scrivere libri sulla propria esperienza di premorte, pubblicizzare i talismani di Famoso Ines, tenere rubriche di cucina, scendere in difesa delle foche oppure dipingere. Mi chiedo: perché Dallara per perpetuare la sua ef-

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fimera fama canora ha deciso di dipingere? Perché non ha scelto di far parlare di sé i giornali sgozzando qualche missionariq, in terra d'Africa o sabotando uno scuolabus? Avrebbe compiuto un delitto molto meno nefando. Forse ha scelto la pittura poiché que­ st'arte si addice alle indoli più nobili e sensibili. Co­ me dimenticare che in gioventù Adolf Hitler fu un valente acquerellista? Salivo le scale del Museo di Milano tra due ali di poster su cui campe�iava la faccia di Dallara; erano gli stessi manifesti usati per pubblicizzare i suoi spettacoli ai Festival de l'Unità ma sui quali, con un pennarello nero, era stato cancellato il marchio della casa discografica. Sembrerebbe un dettaglio insigni­ ficante e invece è un elemento concettualmente più potente delle cancellature di Isgrò: è un preciso av­ vertimento che Dallara dà al visitatore. Come a dire: «Musica e pittura sopo due mondi ben separati nel mio universo artistico». Infatti, a un visitatore sprov­ veduto, quale ero anch'io, poteva capitare di perdersi in questo sillogismo: a) Tony Dallara era un cantante urlatore b) L'Urlo è un quadro di Munch., considerato punto di partenza dell'Espressionism.0 2 c) Tony Dallara è un pittore espressionista.



Magari fosse così facile. D'altronde, nemmeno la sua controparte femminile, l'urlatrice Betty Curtis, pur cantando Wini wini wini wini, bana bana bana bana Tahiti Tamurè I wini wini wini wini bana bana bana ballando sognerai le notti delle Hawaii ha mai dimostrato tendenze pittoriche à la Gauguin. Dallara tiene molto a separare la sua musica dalla sua pittura, ma contro la sua volontà c'è un fil rouge 40

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sotterraneo che lega i due campi. Come cantante il Tony non rimedia che poche ospitate televisive su Telerione; come pittore si dichiara emulo di Lucio Fontana. Dunque le sue espressioni alla tele e sulle tele hanno una cosa in comune: i buchi (nell'acqua). Come hQ avuto modo di vedere in quella indimen­ ticabile visita, e in seguito anche in svariate aste tele­ visive, Dallara segna un passo avanti nella pittura ba­ rocca-brianzola, funestata da tramonti, scugnizzi e versioni artritiche delle ballerine di Degas. Egli crea superfici dai toni metallici, costellate di fori, squarci, tagli e tanto simili a quelle sculture in ceramica rea­ lizzate da Fontana in forma ovoidale e da lui, appun­ to, chiamate ava. Poiché quelle di' Dallara sono simi­ li, ma piatte, dovremmo chiamarle frittate?

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Note

Non mi si fraintenda. Se gli assessori alla cultura socia­ listi erano barocco-brianzoli, quello leghista è brianzolo e basta. 2 Det skriek, titolo originale del quadro dipinto da Edvard Munch nel 1898, in lingua norvegese significa sia Il grido, sia L'urlo. 1









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Trashion!

E il nostro buon gusto nel vestire? (Raffaella Carrà, da un'intervista a Sorrisi e Canzoni TV in cui la subret tracciava interessanti paragoni tra i lifestyles italiani e statunitensi) Voglio vestiti di tutti i stilisti (Jovanotti, Voglio di +)

Quandò il desiderio di emulare non sostenuto dal­ le capacità, ossia il trash, incontTa la moda, ossia il fashion, non può che nascere il trashion. Virus dalla rapidissima diffusione, il trashion ha fatto la sua prima comparsa verso l'inizio degli anni Ottanta. Alcuni sierologi fanno risalire l'inizio della sua propagazione al momento in cui si ruppe la pro­ vetta che conservava il brodo di coltura della moda. In precedenza, protetti da quel tubo di vetro, i germi del fashion vivevano nel silenzio degli atelier, igno­ rando l'esistenza di un universo dei mercati rionali. Non era certo una condizione auspicabile, almeno dal punto di vista della trashofilia, poiché l'asetticità impedisce sempre la contaminazione e la contami­ nazione, per un Giovane Salmone, è come la naftali­ na per Eta Beta: vitale. Era possibile intravedere qualcosa del contenuto di quella provetta, ma tutto era sempre distorto della superficie curva del vetro. La stessa superficie arro­ tondata dello schermo di un antico televisore Atlan­ tis attraverso il quale, confinata nell'ultimo servizio del telegiornale pomeridiano sul Nazionale, ci appa­ riva qualcosa che, forse, era la Moda. Erano immagi­ ni in bianco e nero, girate rigorosamente a Firenze e scandite dalla voce di Bianca Maria Piccinina.

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Bianca Maria Piccinino era una sorta di guardiana della provetta, sempre vigile a che nessuno ne levasse i] tappo di sughero. Probabilmente, un colpo di son­ no... Quando si risvegliò, Bianca Maria Piccinina s'ac­ corse di quello che era successo, comprese immedia­ tamente che non c'era più nulla da fare, che nessun antidoto poteva riportare le condizioni al loro stato precedente e decise ioraggiosamente di autoesiliarsi. Non l'abbiamo più vista. In compenso ne abbiamo viste di tutti i colori, di tutte le forme e di tutti gli sti­ li in un awicendarsi di contaminazioni talmente ra­ pido che gli intervalli tra due tendenze si riducevano allo spazio di un mese. Tutti erano pronti a rinnega­ re ciò che erano stati solo trenta giorni prima, persi nel delirio di una vera e propria fiera del Volta & • Gabbana. Oggi, guardandoci indietro, ci chiediamo come sia stato possibile soprawivere ad anni in cui tutti pare­ vano redattori di Vague, in cui anche in presenza di suore Clarisse ci si vantava delle proprie mutande Calvin Klein. L'overdose di griffe nel campo dell'ab­ bigliamento si era talmente diffusa al punto di creare fenomeni inquietanti, Per esempio, il trashion aveva generato la nascita di stupende pseudofirme vendute alla Standa e all'uPIM, un tempo templi del vestire re­ golare e a buon mercato e improwisamente mutati in un Pantheon di deità copiative del fashion system. Il popolo aveva scoperto la Moda. Il popolo non po­ teva permettersela. Al popolo andava quindi dato un surrogato con effetti sedativi e seduttivi. Uno dei più radiosi esempi di massimalismo trashion fu quello della pseudofirma Antlrea Marè, vista all'uPIM, e che tanto nel logo quanto nelle assonanze rimandava a Gianfranco Ferrè. Siamo sicuri che dietro il logo Andrea Marè non c'era che una fabbrichètta tessile di Vedano al Lam-

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bro. Ma abbiamo assistito anche a casi in cui dietro lo pseudostilista trashion c'era dawero un individuo, e convinto per di più della sua propensione alla mo­ da. Questo è stato il caso di un pellicciaio di oscure origini, Franco Squicciarini, partito all'inizio degli anni Ottanta (ossia in concomitanza con l'esplosione del trashion) con un negozietto di pellami a Sesto San Giovanni e giunto oggi a possedere la Settepiù, la più grande pellicceria d'Italia a Curno (BG). Squiccia­ rini è uno dei massimi casi di emulazione fallita plu­ rima (e aggravata) venata di bakismo, visto che nel pieno di anni di crisi lui è tuttora ammaliato dalla mistificazione modaiola che ha funestato il decennio precedente. In quel tempo gli stilisti italiani andava­ no moltiplicandosi, creando nella mente del povero ex cliente medio dell'Onestà un'enorme confusione di nomi, griffe e marchi. Squicciarini ha approfittato di questa confusione e non ha esitato a definirsi stili­ sta con lo stesso orgoglio di coloro che, approfittan­ do della confusione seguita al 25 aprile, hanno preso a definirsi ·partigiani e a raccontare in giro storie di montagna pur avendo passato mesi e mesi nascosti in cantine e solai. Al di là delle sue produzioni vestitive, quello che rende Squicciarini trashion è soprattutto la sua pro­ duzione extravestitiva, di trasmissioni televisive e li­ bri. La trasmissione televisiva, diffusa su emittenti del calibro di Teletutto, Gazzetta News, Telelodi, Screen TV � Quella TV, si chiama Settepiù all'italiana C·ay! questo richiamo al made in Italy la dice lun­ ga...) ed è un vero cimitero degli elefanti: è condotta da Fabrizia Carminati e vanta tra gli ospiti Rocky Roberts, Daiano ed Enzo Ghinazzi in arte Pupo, ol­ tre a due creature dello stesso Squicciarini, i resident artists, Nadine e Diego. I libri toccano gli argomenti più disparati: dai miracoli di Medjugorie alla lotta contro l'AIDS, anche se il top resta il pregiato volume 45

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Tutti alle pelliccerie Settepiù, che raccoglie le foto scattate in pellicceria.ad artisti d'ogni livello venuti a rendere omaggio allo Stilista. I testi del libro sono stati scritti dallo stesso Squicciarini e, nel sottolinea­ re continuamente il suo ruolo di stilista, sono dawe­ ro il trionfo del trashion. Perché dei tre grandi pellicciai italiani con impli­ cazioni televisive, Squicciarini, perso nel sogno ir­ realizzato di fare lo stilista da grande, è il più tra­ shion; Rocco della Roxs resta il più trash, o almeno lo era in passato, prima della presa di coscienza della propria rocchitudine; Annabella, con il suo lussuoso negozio pieno di broccati, mori reggilampada e mi­ nacciosi lampadari in pesantissimo cristallo sfonda­ pavimento, permane paladina del Barocco brianzo­ lo: non a caso i suoi spot sono stati girati dal più ba­ rocco-brianzolo dei registi mondiali, Franco Zeffirel­ li.



E proprio come il Barocco brianzolo, con il quale condivide la spinta al'esagerazione, anche il trashion è globale. Per esempio, nella redazione del newsmagazine statunitense Tinie pare ci sia una giornalista di mo­ da che si chiama Ginia Bellafante. Bene, nemmeno se me la portano qui in persona io crederò che Ginia Bellafante esiste daw�ro. Sono infatti sicuro che persino in quella che è una delle riviste più note e seguite del mondo hanno se­ guito il metodo creativo trash massimalista: se la moda ha un suo epicentro in Italia, chi se ne occupa deve avere una parvenza di italianità. Ecco quindi creato il personaggio di Ginia Bellafante, inesistente almeno quanto Luther Blissett. Peccato che il nome Ginia (evidentemente creato su modello di Gina, me­ diato dalla Lollobrigid�) suoni italiano solo alle orec­ chie degli Statunitensi, mentre noi non riusciamo a ricordare di aver mai conosciuto una sola Ginia, 46

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nemmeno in Emilia dove i nomi di battesimo inu­ suali sono la regola. E che dire del cognome, Bella­ fante: è fin troppo chiaro che, al momento dell'inven­ zione, i redattori di Time stavano ascoltando Banana Boat e si sono ispirati quindi a Harry Belafonte, il cui cognome latino è stato lievemente modificato. Dunque non sono solo i maranzi a diventare tra­ shion victims, ma un po' in tutto il mondo, da Ando­ ra alla Trans Dnistria, si segue la stessa corrente! Sapere che a Dorchenaus aus dem Glattschenbach (paesino della Baviera che conta 30 abitanti, pratica­ mente uno per lettera) esiste un negozio che si chia­ ma Bella Moda di Italia e che però vende esclusiva­ mente Knickerbocker e Dirndlkleid dà un brivido. Grazie al frashion non siamo più·terzo mondo!

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Il profumo del successo



Quando stava girando Il lavoro, episodio di Boc­ Luchino Visconti pretese che la protago­ nista, oltre a vestire abiti di Chanel, avesse nella pro­ pria stanza da bagno anche flaconi di sali e damigia­ ne di profumo della stessa maison. I produttori, spa­ ventati dall'idea di spendere per quelle essenze quan­ to bastava per acquistare due locali in periferia, dice­ vano: «Ma Maestro... che importanza ha il profumo? Al cinema non si sente!». Visconti cercò dapprima di tranquillizzare i produttori, dicendo che, siccome tra lui e Coco c'era stata un'antica passione, avrebbe avuto i profumi necessari con un forte sconto, com­ pensato citando Chanel nei titoli di testa. Da Parigi risposero però che i profumi dovevano pagarli ai normali prezzi di mercato e che dei titoli di testa se ne fregavano. Alla fine le preziose essenze furono ac­ quistate, perché Visconti, ultimo grande verista, con­ trastò ogni protesta della produzione con la frase «Se una donna veste Chanel, usa anche i suoi profumi»'. Questa frase esprime una cosa verissima negli an­ ni Sessanta, ma tras�urabile oggi. Grazie all'esplosio­ ne del trashion, infatti, ormai si può affermare «Non c'è bisogno di vestire Chanel, se basta usare i suoi profumi (o qualcosa che vi assomigli)». Il profumo non è solo un'essenza: è la quint'essencaccio '70,

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za del trashion. Senza bisogno di spendere milioni in haute couture chiunque di noi, con in mano la boc­ cetta mignon di un qualsiasi profumo firmato regala­ to dalla più infima delle riviste femminili (e non solo femminili! Persino una testata come AutoCapital ha regalato un flaconcino di eau de 111.erde in un suo nu­ mero del 1995), può sentirsi parte integrata dell'ine­ briante fescion sistem. Non serve nemmeno acquistare profumi veri: i fratelli senegalesi vendono a ogni ango­ lo di strada profumi che rifanno il verso a essenze no­ te, modificandone il nome e il prestigio con sciarade, anagrammi, cambi di consonante, antipodi palindro­ mi e altri sotterfugi enigmistici. Certo, la forza di una scatola decorata da due C in­ catenate e con sotto la scritta CH'ENAL è davvero un irresistibile esempio di pidgin griffe ... eppure questo non è sufficientemente trashion. Non basta un nome modificato a creare l'emulazione trashion. I profumi taroccati, infatti, non emulano, ma mistificano il modello originale. Inoltre, aprendo la confezione si scoprirà eh� la boccetta contiene un liquido che as­ somiglia molto da vicino all'essenza di riferimento. Il vero profumo trashion è altrove, è in quelle boc­ cette che non vogliono imitare direttamente un'altra essenza, ma l'idea stessa di profumo firmato da un nome famoso. È il caso di Patrizia Rossetti, la regi­ netta del salotto di Retequattro, la paladina della Fe­ dercasalinghe, la vera Donna del ,nistero 1, 2, 3 e 4 (1: chi è?; 2: come ha fatto ad arrivare in televisione?; 3: ma a chi piace?; 4: quando la smetterà?). Pur di inserirsi nel favoloso fescion sistem, la Ros­ setti (il cui cognome già faceva presagire una carrie­ ra nel reparto cosmetici della UPIM) decide a un certo punto della sua travagliata esistenza di firmare un profumo. Lo hanno fatto anche altre grandi dive, perché non avrebbe dovuto farlo lei? L'essenza è sta­ ta pubbliciz.zata sulle reti Fininvest. Personalmente 49

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ho visto tre volte lo spot durante gli incontri del Mi­ lan e mi chiedo tuttora con angoscia quanti tifosi rossoneri il giorno dopo si sono precipitati ad acqui­ stare la preziosa boccetta contenente il raffinato li­ quido ambrato. Di fronte al profumo della Rossetti non viene però da pensare a Capello, bensì a Liz Taylor, anch'essa firmataria di un'essenza. Quella della Taylor, però, si chiamava Passion, quella della Rossetti, più mode­ stamente, com'è nel Federcasalinghe style, si chiama Sentimenti. Il profumo di Liz va indossato prima di un notte di passioni nel proprio penthouse a New York. Quello di Patrizia si mette in previsione di un pomeriggio con sentiJ1I1ento e serve più che altro a se­ dare l'acre odor dei fritti. L'interprete di Cleopatra mostra una pettinatura selvaggia e gioielli incande­ scenti, la conduttrice di Buona Giornata si acconten­ ta di un capello liscio da meeting di CL e una collani­ na presa ai mercatini dei Polacchi. La Taylor era la partner di Richard Burton. La Rossetti siede al fian­ co di Cesare Cadeo.



A fianco del profumo trashion esiste però anche il profumo barocco-brianzolo. Lo firmava qualche an­ no fa la pellicceria Annabella. Oggi, dopo una triste operazione di autopulizia, la pellicceria pavese firma un altro profumo il cui piatto nome (Annabella) è già sintomo di completa integrazione. In passato non era così e il primo profumo dei Ravizza aveva la stes­ sa origine osservata nel caso Taylor contra Rossetti. Tutte le grandi maisons di Parigi firmano un profu­ mo: non sarà certo il fatto di trovarci sulle rive del Ticino invece che della Senna a impedirci di fare al­ trettanto. Nacque così il profumo (attenzione al no­ me perché è davvero micidiale) Vison Sauvage. C'è tutto quello che serve: il richiamo alla pelliccia (vi­ son) e il richiamo alla solita ferinità a sfondo sessua­ le che la perfetta esponente del Barocco brianzolo



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deve posseclere, ferinità presto volta in pecoreccio. Mentre il profumo della Rossetti riproduce in sca­ la minore il favoloso mondo delle dive e della moda ed è quindi espressione del trash/trashion, il profu­ mo di Annabella esagerava gli elementi di ricchezza ed esclusività legati al mondo delle pelliccerie e degli atelier, risultava pertanto barocco-brianzolo. Non a caso l'unica volta che ho avuto un incontro rawicinato con Vison Sauvage è stato in un ambiente tipically brianteo. Mi trovavo in una villa di Montù Beccaria, nell'Oltrepò pavese, una di quelle tipiche ville lombarde che sembrano la scena per il finale dell'Aida: divise esattamente a metà tra piano sotter­ raneo e piano superiore, due mondi opposti, sotto la morte e sopra la vita, sotto il buio e sopra la luce. I proprietari della villa abitano costantemente in quel­ la che potremo chiamare basilica inferiore, circonda­ ti da mobili e suppellettili modeste. La parte che chiameremo invece basilica superiore contiene lo stesso numero di stanze di quella inferiore, ma arre­ date in maniera superlativa, veri e propri templi del Barocco brianzolo cui però non si accede mai. Quel­ la villa dell'Oltrepò presentava la stessa rigida suddi­ visione. Chiesi dove fosse il bagno e, naturalmente, essendo ospite, fui accompagnato in basilica supe­ riore. Il bagno, tra marmi e specchi, sembrava Ver­ sailles e lì, sul bordo di un lavandino rosa a forma di conchiglia, c'era una boccetta ancora integra di Vi­ son Sauvage. Dovevo farlo e lo feci. La aprii e aspirai a fondo. Ancora oggi mi chiedo come mai il nostro Stato proibizionista non abbia incluso quel profumo di Annabella tra le droghe pesanti.

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Note

Se ai tempi di Boccaccio '70 Visconti non era riuscito a incontrare Chanel, in Gruppo di famiglia in un interno gli riuscì però di incontrare un'altra musa del Novecento, Iva Zanicchi! Nel film Visconti sottolinea un amplesso dei pro­ tagonisti non con la solita romanza d'opera che ci ha pro­ pinato in tutte le sue pellicole, bensì con Testarda io, canta­ ta dall'ineguagliabile Aquila di Ligonchio. Questo favoloso guizzo trash-incongruo ci ripaga di tutti gli ammosciamen­ ti decadenti di Morte a Venezia. Ringrazio calorosamente per questa segnalazio�e il dottor Marco Imarisio. 1





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Come perdere la fede (senza rinunciare all'eleganza)

Spaventosamente, il trashion non risparmia nean­ che quei santi uomini dei sacerdoti. Il tema moda ec­ clesiastica è stato già scandagliato sia da Federico Fellini nella famosa sfilata di prelati in Roma, sia da­ gli Squallor in un brano di cui non ricordo il titolo, ma che si concludeva presentando un «gippone pa­ pale in plastica per preti megalomani». In entrambi quei casi si trattava di esplorazioni nelle regioni dell'arte, della supposizione creativa, dell'ironia. Il mio, invece, è stato un trip allucinante nelle terre della realtà compiuto sfogliando un cata­ logo di oggetti sacri venduti per corrispondenza. Una sorta di Apostol Market dedicato a curati di campa­ gna che non vogliono scendere nel caos cittadino per fare le necessarie spese parrocchiali, ma preferisco­ no scegliere pissidi e turiboli nella comodità della propria pieve. Dio c'è? C'è e sta dalla parte del trash, dei deboli, e non certo dalla parte del trashion, ossia degli arro­ ganti. Quindi Dio non sta dalla parte di questo cata­ logo. Né questo catalogo pare stare dalla parte di Dio. Il principale compito di questa pubblicazione deve essere la diffusione dell'ateismo. La religione è misterica. Come può continuare a esserlo se già in

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copertina il catalogo ci mostra cinque immagini di stabilimenti che producono gli strumenti celebrativi di quei misteri? Rimpiangendo una spiritualità preindustriale, in cui si adoravano direttamente i fenomeni naturali, passiamo all'esame dell'eccezionale catalogo. Superiamo indice e listino e andiamo a pagina 3 dove spicca un titolo impressionante: Articoli di con­ sumo. Come risulterà sempre più chiaro man mano che ci addentreremo nell'analisi, tutto questo catalo­ go è trash poiché è pervaso da una continua tensione del sacro a emulare il secolare. Peggio: tutto questo catalogo è trashion poiché il secolo cui aspira è quel­ lo del genere vanitas. Tra gli articoli di consumo si trovano già delle per­ le. Aquasana, per esempio, è un concentrato igieniz­ zante per acquasantiere. Ci si segna forse più volen­ tieri sapendo che l'acquasantiera in cui intingiamo le dita è più sicura di un pavimento lisoformizzato ed è talmente asettica da 9cordare il lavandino del Vim di molti anni fa, quello in cui «ci si poteva mangiare dentro». Chissà, forse anche San Giovanni, prima di battezzare Cristo, ha sterilizzato l'acqua del Giorda­ no. Sempre nella stessa pagina, con prezzi che vanno dalle 4.400 alle 15.000 lire, si vendono meravigliose confezioni di Olibano di Gedda. Il nome è vagamente biblico e mediorientél'1.e, affine a Cesarea di Filippo, Perge di Panfilia e ad altri residui di semidisertate le­ zioni di religione alle medie. Voilà, manco fosse un sale da bagno Guerlain, l'Olibano di Gedda, che è un aroma per incenso, viene venduto in eleganti scatole cilindriche di plastica trasparente chiuse da nastrini in oro e tanto belle che è un peccato chiuderle in sa­ crestia. L'Olibano è offerto nelle raffinate profuma-



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zioni mirra (e fin qui siamo canonici), sandalo (e può andare), rosa e patchouli (non ho parole). Chissà in quale di queste raffinate profumazioni era l'incen­ so recato in dono al Bambino dai Magi. Voltiamo pagina. Sappiamo che i sacerdoti sono tenuti a celebrare la messa ogni giorno, anche quan­ do sono lontani dalla propria parrocchia. Serve, dun­ que, avere.con sé tutto il necessario. Credete basti una borsa di tela? Una bisaccia tipo pellegrino? Oh no, questo catalogo ci offre molto di più. Cominciamo dall'articolo 905 C7-L, valigetta 48 ore in pelle. La descrizione dell'articolo comincia co­ sì: «Oggetto di lusso, con serratura a combinazione, metalli particolarmente curati». Costo: 620.000 lire. Non ci si meravigli di simili somme: esse non costi­ tuiscono più un problema da quando l'aritmetica re­ ligiosa ha òrillantemente sostituito l'incomprensibile settanta volte sette con il più pitagorico e redditizio

otto per mille.

Ormai non succede più, ma negli anni Sessanta, ai tempi di Balenciaga, le mannequines (oggi si chia­ mano top model) sfilavano nei défilés (oggi si chia­ mano fashion show) mentre una signora leggeva de­ scrizione e. nome del modello presentato: Primavera in fiore, Amore tra le spighe, Una notte a Capri.

L'estensore del catalogo di oggetti religiosi, pur es­ sendo colpito da una irrefrenabile tensione trashion verso altri cataloghi dedicati a oggetti più glam delle portateche o dei viatici da taschino, vive necessaria­ mente uno sfasamento di tipo bakista. Resta quindi fermo a Balenciaga e decide di dare dei nomi ai suoi Completi p�r celebrazione.

Ecco quindi sfilare a pagina 6 l'incredibile valiget­ ta Ultima Cena, venduta nelle versioni mini (270.000 lire) e midi (480.000 lire). Cosa resta di tutto quello

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che ci hanno insegnato sull'Ultima Cena, del prende­ te-e-mangiatene-tutti, della transustanziazione, del tradimento di Giuda, dell'incombente monte degli Ulivi, di Leonardo, persino ... Resta un grande vuoto e due valigette che, però, sono definite eleganti e pre­ stigiose. In quale v�setto dei Vangeli si parla di ele­ ganza e di prestigio? Non vorrei sbagliarmi, ma deve essere nel discorso della montagna. Cortina, I mean. Andiamo avanti poiché il peggio deve ancora veni­ re. Per esempio, ci si para davanti un'inattesa emula­ zione Bauhaus. Tutto il funzionale razionalismo per­ seguito dai designer e dagli architetti della scuola di Weimar è racchiuso in una valigetta termica (210.000 lire) che in soli 20 x �6 cm contiene altare, crocefisso, 2 bottiglie, scatola dorata (uso non specificato), vaset­ to Oli Santi, asperges, fermaparticole, 2 candele, 3 pezzi tovaglie e stoletta bicolore. Dawero razionale, veramente il trionfo del precetto weimariano di For­ ma e funzione (religiosa). Quale poteva essere il nome di un simile articolo se non Pratica? Ma siccome il ra­ zionalismo è nato in Germania ecco che l'estensore del catalogo ha pensato bene di germanizzare il no­ me della valigetta chiamandola Pratika. È noto che se per parlare francese basta mettere l'accento sull'ultima vocale, per parlare tedesco basta cambia­ re le C in K. Kristina, Karina, Karola ed è subito film nazi-porno... A proposito di cinema... Dove è contenuto il neces­ sario per la celebrazione? In una valigetta nera. E a chi si pensa quando �i vede una valigetta nera? Agli agenti segreti! Ed eccola qui la valigetta dedicata a quei preti che si sentono dei geimsbond e che alla missione in Zambia preferirebbero la missione Gold­ finger. Il nome non poteva essere più osceno: valiget­ ta Skorpio. Proprio come il nome della rivista di fu­ metti d'azione, stretta parente di Lanciostory. •

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Quant'altro ci sarebbe da dire su questo catalogo: c'è il borsello floscio che contiene i soliti altari, cali­ ci, asperges eccetera e che, si dice, «estraendo il completo, rimane un comodo borsello milleusi». Ideale dunque per preti dalla doppia vita. Ci sono de­ gli scandalosi portaelemosine con prezzi oscillanti dalle 30.000 alle 48.000 lire. Neanche poi così cari: se si è in una parrocchia situata in una zona appena ap­ pena bene abitata basta una funzione per ammortiz­ zare la spe§a. Ma prima di perdere totalmente la fede, penso si debba aggiungere qualcosa sui materiali. La Chiesa cattolica pare avere paura della natura; evita qualun­ que forma di panteismo; sopporta a mala pena gli in­ segnamenti di San Francesco; vieta l'ingresso ai cani nei templi. Ha talmente in odio la fauna che volentie­ ri la massacra per farne borselli, valigette e portabre­ viari. Sul catalogo sono infatti presenti, tra gli altri, borsellini in pelle di vitello, un portateca in camoscio e persino un astuccio per altarino in pelle di foca! A questo punto, visto che non interviene il papa, intervenga almeno la Bardot.

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Naomi e Noemi



Il trionfo del trashion più becero è senza dubbio il film Via Montenapoleone, capolavoro irrinunciabile firmato da Carlo Vanzina, la cui visione, per un Gio­ vane Salmone, è p!ragonabile a una visita alla Mec­ ca per un musulmano: va fatta almeno una volta nel­ la vita. L'inizio del film ci mostra una ragazza che cammi­ na con una cèrta allure per la suddetta strada di Mi­ lano. A un certo punto, verso la fine dei titoli di testa, la ragazza si ferma davanti a un portone al cui in­ gresso campeggia una targa, più falsa di un biglietto pubblicitario da centomila lire con la faccia del Ma­ go di Budrio al posto del Caravaggio, che reca scritto Fashion Model Agency. La scena successiva ci fa ve­ dere la ragazza già all'interno di questa agency, dove l'atmosfera è frenetica, le pareti sono tappezzate di composit e la gente addetta alla selezione è meneghi­ namente rapida, fredda e spietata. Tanto che il re­ sponsabile liquida in • due parole la ragazza, la quale non trova di meglio che rispondere «Io diventerò la numero uno». Chi ha avuto lo stomaco di reggere fi­ no al termine della pellicola si sarà reso conto che è davvero così: la ragazza viene incoronata Model of the Year in una trasmissione televisiva realizzata re58

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gisticamente da Vanzina con la stessa freschezza e naturalità che può avere una banana di plastica. Ma torniamo all'inizio del film che, al di là del li­ vello recitativo indegno persino della filodrammatica oratoriale di Boffalora d'Adda, già nei primi tre mi­ nuti si rivela un folgorante concentrato di trashion. Intanto la ragazza non cammina per Milano, ma lungo l'idea platonica di via Montenapoleone. Delle due l'una: o il regista è stato fortunato e ha girato la scena nell'unico momento dell'anno in cui in Monte­ napo non ci sono né cacche-di-cane, né giapponesi dai portafogli gonfi, né zingare pronte a sfilare ai nipponici i suddetti portafogli oppure, ed è l'ipotesi più plausibile, poiché il trashion non ammette né cacche né zingare, la strada è stata ricostruita in stu­ dio e tutto, dal marciapiede alle comparse, è fatto di polistirolo. I titoli di testa non sono ancora finiti che già il Vanzy cade nella seconda trappola trashion. Infatti, i più smaliziati sapranno che a Milano le agenzie di modelle sono per la maggior parte in via Monti e din­ torni. Ce n'è una anche dietro il ponte verde di Porta Genova, in una zona molto popolare. Persino Naomi Campbell a pagina 193 del suo romanzo Cigno, che ho letto con le lacrime agli occhi, parla di Porta Ge­ nova e del piccolo ponte liberty in metallo verde che scavalca i binari della stazione. Ma non si può pre­ tendere di far pagare 10.000 lire allo spettatore di Le­ vada di Piombino Dese, campione europeo di massi­ malismo, per poi fargli vedere la realtà, ossia model­ le americane che si ritrovano in una vecchia latteria di Porta Genova. Per quello spettatore-tipo se le mo­ delle lavorano per l'alta moda e se a Milano le bouti­ que di alta moda sono in via Montenapoleone, neces­ sariamente le agenzie di modelle a Milano devono trovarsi in via Montenapoleone. Almeno così recita il sillogismo trash massimalista.

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La modella non fa in tempo a varcare la soglia del portone che scoppia la terza bomba al trashion. Sin dal momento di stendere il copione (e quindi già molto tempo prima di stendere i suoi spettatori) Vanzina possedeva di Milano un'immagine falsa, ap­ prossimativa e financo delinquenziale, ottenuta a colpi di epurazioni kitsch. Uno dei più gravi è quello di far passare la ragazza direttamente dall'ambiente di una strada chic a quello di un agenzia fashion. Chi è mai andato dawero in una qualunque delle tanto celebrate e mistificate agenzie milanesi sa che il percorso non era mai così diretto, ma passava ne­ cessariamente per il gabbiotto della portinaia. Anche tra la strada più elegante e l'agenzia più esclusiva c'era sempre questo filtro, quest'ultima isola di realtà prima dell'oceano di lampade pseudo-Paff, mobili finto-Memphis e segretarie quasi-Basinger che carat­ terizzava gli ambienti professional-glam milanesi de­ gli anni Ottanta e che, con il dovuto carico di alogene fulminate, scolorimenti della formica e formazioni cellulitiche, è passatÒ quale scomoda eredità anche alla crisi dei Novanta. Ma la portinaia è rimasta, immune dal tempo e dalle crisi. Protetta dietro il vetro del suo gabbiotto, quasi a difendersi da possibili contagi con il virus della Edulcoratio kitschis, ella è circondata dagli im­ mancabili simboli del suo mondo: la televisione su Retequattro, il calendario di Frate Indovino, la gi­ gantografia del nipotino. E con questi brandelli di realtà combatte la finzione trashion che le sfila da­ vanti. Osserva ieratica il flusso costante di pony ex­ press, fashion copy, art director, account assistant, public relation women e top model senza capire una parola di quanto le passa davanti, ma pronta a smi­ stare questo serraglio nelle esatte gabbie di destinazione. •

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Vanzina, dunque, nella sua smania di o glam.our o 1norte punta direttamente alla Naomi 1 epurando la

Noemi2 . Egli non conosce mezze misure e odia la fi­ gura della portinaia tanto da eliminarla del tutto. La uccide subito, la bypassa. Non cerca di nobilitarla, magari elevandola di stato, pariginizzandola come con.cierge, alla stregua di quei negozi di vestiti che se la tirano autodefinendosi boutiques e ignorando che quella paròla in francese altro non significa se non bottega. Eppure, pochi metri di pellicola più in là nel film appare una cameriera, benché kitschamente spacciata come governante con crestina e lunga di­ pendenza al servizio del padrone che «ha visto nasce­ re». Incoerenza? No, Vanzina conosce il valore dei simboli. Sa che se si dice «Ho la governante» si desta un sentimento di invidia, mentre se si dice «Ho la portinaia».si rischia di sentirsi rispondere «Noi no. Noi abbiamo il videocitofono».

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Note Naomi Campbell, modella statunitense di particolare successo all'inizio degli anni Novanta. 2 Tipico nome di portinaia milanese. Tra gli altri si ricor­ dano Wanda, Wilma, Iolanda, Nives, Ines, Gioconda. 1







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Il pecoreccio e l'estasi

Il Cantaitalia, sostituito a volte dalla più rara glos­ sa Ballaitalia, sempre con tricolorizzazione del logo, è una trasmissione televisiva, vero trionfo del Baroc­ co brianzolo, di cui, pare, non si hanno notizie sotto la linea gotica. Registrato a Padova dalla Liscioma­ nia, questo show presenta video di gruppi melody o pseudoliscio, un'agenda dei raduni di vene varicose per il pomeriggio e la serata nelle principali megali­ scioteche, la pubblicità di CD, nastri e video dei più importanti gruppi Cantaitalia-style. Inoltre, poiché un tocco q.i incongruenza non guasta mai, vi sono anche dei consigli per il trucco impartiti da un tipo che, pur assomigliando disperatamente ad Alberoni, cerca di emulare Gil Cagné. E pensare che Alberoni vuole emulare Erich Fromm, ma poi scrive come Gil Cagné. La trasmissione viene diffusa su varie emittenti in orari improbabili e ai limiti della pazzia. Quella che preferisco è la replica delle 6.25 (a.m. of course). Pre­ ferisco farmi di liscio appena sveglio piuttosto che andare alla finestra e affrontare il buongiorno ante­ lucano di quello stesso cielo nero e di quegli stessi fa­ ri di capannoni industriali che mi avevano dato la buonanotte poche ore prima 1• In una di queste oscure albe lombarde ho assistito, 63

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durante il Cantaitalia, a un video che non esito a de­ finire un esempio di Barocco brianzolo da storicizza­ re, anche per i suoi tanti e preoccupanti punti di con­ tatto con il trashi�n. Quando avevo acceso, il video era già iniziato e lo schermo era occupato da una cantante con caschetto che nelle intenzioni puntava a Valentina, ma che in realtà deviava verso Dominga2 • La cantante, che per comodità chiamerò Sa­ mantha, aveva top, minigonna, calze e giubbotto di pelle all'insegna del nero totale per tenere fede a una delle più squallid� equazioni di base del trashion: sexy + trasgressivo + peccaminoso = nero. Il ritornello della canzone diceva: «Tu mi hai fatto innamorare, tu mi hai fatto innamorare, è un tambu­ ro questo cuore, batte solo per te». Fin qui niente che meritasse più attenzione. I sensi mi si sono però acuiti alla frase successiva: «Scoppi come un motore e mi accendi di te ...». Se nelle scuole americane di giornalismo si inse�na la regola delle cinque W, i se­ guaci del trashion restano fedeli alla regola delle tre M che recita: «Per essere dawero top, un evento deve unire Moda, Musica e Motori». Le immagini di Samantha erano intervallate in maniera quasi subliminare da primi piani solarizzati di una pantera, altro animale ricorrente non solo in araldica, dove simboleggia la sottigliezza astuta (si­ gnificato evidentemente del tutto perso in questo vi­ deo), ma anche nel trashion, dove sintetizza i concet­ ti già espressi dall'abbigliamento nero, uniti a una confusa idea di sexy-ferino che il regista del video ha mediato forse da un'antica visione de Il bacio della pantera. Il regista del video non è Schrader e nemme­ no Samantha è Nastassia Kinski, così il risultato più che essere ferino è pecoreccio. Ma proprio per 'luesto motivo il video l'ho visto tutto, mentre Cat people no3 • 64

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Altro film di riferimento che non può mancare in ogni videoproduzione trashion che si rispetti è 9 set­ timane e mezza. Infatti, non manca neppure qui: Sa­ mantha canta ancheggiando dietro una grata. Come non sostituire analogicamente Samantha e la grata con K.im Basinger e la veneziana? Ma dopo pochi se­ condi Samantha si sposta, la camera allarga e ci si accorge che quella grata non è altro che un fascio di quelle griglie che vengono inserite nei muri in co­ struzione. Siamo infatti in un cantiere e adesso nel campo visuale entra il protagonista maschile, chia­ miamolo Christian, accosciato e impegnato a prepa­ rare la malta in questa villa in costruzione somewhe­ re aver the Bassa Padana. (Dettaglio tecnico: lui non è assolutamente in gra­ do di fare la malta, anche perché di lavoro fa il com­ messo al consorzio agricolo. Però di sabato, al Ma­ gika, credeva di suscitare attacchi di ninfomania in tutte le ragazze. Questo è bastato per convincerlo a fare il modello. Ha letto tra le Opportunità per giova­ ni del Corriere della Sera l'annuncio «Cerchiamo atto­ ri, cantanti, modelli», si è presentato, è stato scelto ed è finitp nella trappola di fashion agency fasulle che sfruttano l'ingenuità dei trashion victims. Co­ munque eccolo qui, nel suo primo lavoro importan­ te). Christian si alza, si toglie il berretto e libera a sor­ presa un codone cotonato. Il regista lo riprende dal basso per ottenere chissà quale effetto. Senz'altro non mirava a quanto poi è venuto fuori, ossia dilata­ zione della mascella e ampliamento inverosimile del­ le froge. Samantha, per vivacizzare il video che stava diven­ tando un po' statico, si abbassa, ma prima di farlo mette una mano davanti al pube con la quale tiene ferma la minigonna. Evidentemente in un preceden65

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te accosciamento, ripresa andata ahimè al rogo man­ co fosse stata il Salò pasoliniano, la mini si era solle­ vata con bak-effetto Sharon Stone mostrando la par­ te più proibita di UJ).a mutandina nascondipancia Playtex. Con la mano libera dall'attività cela-puden­ de, Samantha prende in mano della malta e la sbri­ ciola. Probabili significati: a) godiamo questi attimi di giovinezza, bellezza ed eleganza che il trashion ci dona poiché la sabbia del tempo scorre via come questa malta; b) io, Samantha, sono una vera pantera del sesso e gli uomini li consumo e li sbriciolo come questo pu­ gno di malta; c) sia il regista sia Samantha erano a corto di idee. Unica soluzione possibile: c. Ripresa in strobo dal basso verso l'alto di Chri­ stian, vero torello padano. Si inizia dalle ginocchia, con gli immancabili.strappi sui jeans. Pacco zero, panza sette. Cambio di scena: alberi ripresi in strobo. È nell'uso a pioggia di strobo e solarizzazioni che si vede la mano del regista. Nuova dissolvenza dalla pantera ruggente a Samantha. Samantha appare ora riflessa in una miriade di specchi. Primo piano dei suoi piedi in decolletées ne­ re mentre scendono le scale. Forte tensione fetish che riporta alla ment� annunci specializzati: adora­ tore estremità femminili cerca... Raffinata dissolven­ za piedi/zampe di pantera. Soggettiva dall'interno di un bar, visione di portici e piazza, folla di vecchietti curiosi attratti dalla telecamera e dal brulichio di truccatrici, parrucchieri, specializzati e altro sotto­ bosco pagato con due lire, ma che fa tanto star sy­ stem. Passando, non si sa come, sotto i portici, arriva e frena un'auto d'epota, di quelle che si noleggiano

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per i matrimoni presso i ristoranti sulla Paullese. An­ cora una volta viene applicata la regola delle Tre M. Immagine in strobo e bianco e nero che prelude a sintomi di follia del regista: per terra, accanto all'au­ to, una valigia di cartone da film neorealista con dentro la canotta e i jeans che prima Christian indos­ sava in cantiere. Ruggito solarizzato di pantera. Entriamo nel bar. Christian ha fatto strada, ora fa il barista, ma ha ancora la coda cotonata. Lei scende un'ampia scala ovale. Attenzione: questa scala è una diretta emanazione di quella da cui scende, scivolan­ do, la strafica dell'Aperol. Samantha, alquanto forte di fianco e di culo, ci risparmia la scivolata. Anche l'architetto è trash, avendo creato una scala che è l'emulazione fallita di certe scale di Gaudì. Vera si­ gnora, Samantha arriva al bancone si toglie il giub­ betto di pelle e lo butta per terra. Christian le of&-e un beverone scuro che lei sdegnosamente rifiuta. Ennesima pantera e quindi effetto notte (più truffa che truffò). Gran finale all'insegna della Tre M: arri­ va una Rolls Royce d'oro con scritto sulla targa Rolls Royce. L'autista scende ad aprire la porta. Lei è se­ duta a sinistra, lui, poco signorilmente, apre la porta a destra, perché a sinistra c'è la camera. Strisciando sul sedile, Samantha raggiunge a fatica l'uscita. La discesa è strobizzata. Lei indossa lo stesso vestito di tutto il video, ma arricchito da uno scialle in rete con frange (il giubbotto di pelle, ricordo, è rimasto al bar). Riappare Christian, senza coda, ma con capello fluente alla nazzarena, smoking in poliestere preso da Uba Uba e sigaretta Alfa, fumata però come se fosse una Capri. Lei si awia verso l'ingresso di una villa, mentre l'autista resta immobile con la portiera aperta. Lui riappare tra due colonne, ma presto scompare dietro una non meglio precisata cascata di gocce d'acqua. O non è forse la pioggia di fuoco pre-

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detta da Giovanni? Il video termina con l'ultimo pri­ mo piano della pantera mentre i due, immagino, so­ no attesi in una megadiscoliscioteca dove per tutta la notte balleranno e si sedurranno tra pecoreccio ed exstasy.









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Note 'Spero che a questo punto nessuno mi chiederà più per­ ché mi occupo.di trash. Credo che tutto sia dipeso da ciò che ho sempre visto dalle mie finestre. Forse, se avessi avu­ to una vista sulle colline toscane o su una cupola borromi­ niana sarei diventato un esteta o uno storico dell'arte. Be', meglio così. 2 Dominga (vero nome Domenica Torno, nata a Turbigo, in provincia di Milano, nel 1951) era una straordinaria scoperta di Pippo Baudo a Settevoci, dove vinse cabalisti­ camente per ben sette volte. Personaggio di frontiera, se­ gnava davero il passaggio dai late Sixties ai più trasgressivi Seventies. Purtroppo è stata prematuramente affossata dal peso della celebrità. Di lei ho avuto nel 1988 ciò che i para­ psicologi chiamerebbero un apporto: un· manifesto trovato davanti a una sala da ballo di Porta Ticinese a Milano e sul quale Dominga, con boa di struzzo e collana di perle char­ leston, si publicizzava con il suo gruppo la Scatola Magica. Dopo, di nuovo il nulla. 3 La pantera affascina gli artisti barocco-brianzoli. Oltre che in questo video, il sinuoso felino nel 1995 è apparso contemporaneamente, con la stessa simbologia sexo-peco­ reccia, anche su due manifesti: quello dell'abbigliamento Roman's, sul quale appariva accanto alla cantante della fa­ volosa band dance-commerciai Corona e su quello della di­ scoteca Florida di Ghedi (Brescia). Last, but not beast, la pantera appare anche nello stemma di Pantigliate, sede della prestigiosa omonima école.

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PARTE SECONDA BARICCO BRIANZOLO

O me o (quei deficienti lì) (Max Pezzali)

C' est pire qu' en Algérie

C'è l'universo. Nell'universo esiste la cultura. La cultura si esprime in varie forme. La forma più diffu­ sa resta il libro. Esistono libri tecnici, di medicina, di economia politica, di idrogeologia, di biogenetica e di altro ancora. Lasciamo da parte questi volumi. Re­ sta una gran quantità di libri che contengono roman­ zi, racconti, poesie, saggi autodivoranti sulla lettera­ tura, sulla critica della letteratura, sulla letteratura della critica della letteratura e così via. Da tutti que­ sti libri eliminiamo quelli che si vendono nelle edico­ le; i libri gialli, quelli rosa e quelli neri; gli instant book; i libri umoristici; i manuali di cucina. Avremo isolato dunque un buon numero di volumi inequivo­ cabilmente seri, scritti da autori sofferenti, dedicati ad alti temi dell'anima o a profonde istanze culturali. Prendiamo tutti questi libri e diamo loro fuoco. Poi passeremo a bruciare direttamente i loro autori. Mentre i miei colleghi saggisti da piccoli perdeva­ no il proprio tempo leggendo Deleuze o McLuhan, io, che a Derrida ho sempre prefrito Dalida, ho com­ piuto la mia Bildung su testi come Tiramolla, Le, ricet­ te di Petronilla e La settimana enigmistica. E proprio tra le SpigÒlature della Settimana Enigmistica ho let­ to che Borges diceva:· « ... ho saputo, prima di aver 73

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scritto una sola riga, che il mio destino sarebbe stato letterario». O alment> spero sia stato Borges a dirlo: avevo letto la citazione anni fa e non mi sono mai preoccupato di ritenerla nella sua interezza. Ma que­ sto non conta. L'importante è che questa frase si adatta benissimo a tutti quegli esponenti di un'inesi­ stente scuola che, per contrapposizione alla nostra altrettanto inesistente scuola dei Revisionisti Esteti­ ci, potremmo definire degli Integralisti Estetici. Ma lì dove Borges dice «sapevo di essere uno scrit­ tore», gli integralisti estetici dicono «mi spacciavo per scrittore prima di aver scritto una sola riga e oggi continuo a farlo e mi faccio fotografare col fluo e lo sguardo basso o sognante verso il lontano benché non abbia scritto ancora una riga decente». Il principale difetto di questi integralisti sta nel non voler affrontare la realtà. Nessuno di loro, per esempio, ammette di iavorare. Al massimo dirà di es­ sere insegnante di italiano in qualche liceo. Carica condotta, naturalmente, tra mille frustrazioni river­ sate sugli studenti. Per sapere che Filippo La Porta fa l'impiegato comunale si è dovuto ricorrere al pette­ golezzo. Se si ha un atteggiamento positivo verso la vita non si troverà nulla di male nel lavorare in Co­ mune. Ma se si assume l'icona prefabbricata dell'in­ tellettuale lontano da.lla quotidianità, quell'impiego diventa un marchio infamante. Ottiero Ottieri e !'Oli­ vetti. Paolo Volponi, !'Olivetti e la FIAT. Massimo Lolli e la Nokia. Nessuno se ne è mai vergognato. Ma l'integralista estetico deve vivere in un altro mondo e scendere tra noi raramente, come ha fatto Sandra Petrignani apparsaci per un attimo nei suoi frementi vestitucci preraffaeliti per dirci solo di sentirsi «offe­ sa dalle stupidate». L� stupidate sono le teorie revi­ sioniste, del tutto estranee a una grande scrittrice co­ me lei, ormai in odore di santità tanto che già la chiamano San Petrignani. Lei si chiude nella sua ca74

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mera per affrontare la pagina bianca e fare della let­ teratura uno strumento di libertà dell'anima. Enrico Brizzi auspica le bombe sulle ville di Bella­ gio in cui si ritirano a soffrire, meditare e scrivere gli scrittori d'àlto livello. Mi dichiaro pronto a pilotare uno di questi bombardieri. Facile fare la scrittrice aulica che passa le giornate ad affrontare le pagine bianche quando si ricevono mensilmente appannaggi da newsmagazine e quoti­ diani per alcune stitiche paginette sulla libertà dell'anima. Compagno Mao, tu che mandavi gli studenti a la­ vorare nei campi, ritorna! e convoglia gli scrittori nelle miniere dello Xizang Zizhiqu.

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Bufale



• In questa prima metà degli anni Novanta chiun­ que volesse fare una figura appena decente in società doveva parlare dei nuovi scrittori. Non si doveva par­ lare di ognuno di loro. Se ne doveva discutere in ma­ niera spersonalizzante, certi dell'esistenza di un gruppo ben preciso, riunito sotto il generico, ma en­ tusiasmante titolo di nuova letteratura italiana. A conforto di quest� chiacchiere da salotto intel­ lettuale venivano i servizi dedicati a quel fantomati­ co gruppo dai nostri newsmagazine. Per esempio, in un numero della primavera 1995 L'Espresso sacrifi­ cava un buon numero delle sue preziose pagine pati­ nate, rubandole ai commenti di Bocca o alla pubbli­ cità di qualche golf club, per presentare una lunga galleria di giovani promesse della letteratura italia• na. L'Espresso sottolineava la presenza di gruppi e di sottogruppi, parlava di fenomeno. Ma c'era da credergli? Sapete bene come funziona­ no le cose a L'Espresso: se la sera prima i vicini di ca­ sa del caporedattore hanno litigato perché lui non voleva uscire, ma stare a casa a vedere il Milan e lei, esasperata, ha urlato «Basta, torno da mia madre!», il giorno dopo il capor�dattore parla con il direttore e insieme decidono di mettere in copertina una don-

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na nuda seduta su una valigia e sotto lo strillo «Ita­ lia: coppie in crisi». Probabilmente chi ha redatto quell'articolo ha fiu­ tato che qualcosa non andava, che il gruppo non c'era. Un po' come Laura Mei e la Zarina, due perso­ naggi della Guen-a degli Anta' di Silvia Ballestra che a pagina 63, in assenza dei loro amici, vanno in esplo­ razione per stanze e cassetti e restano tremendamen­ te deluse poiché non trovano quello che l'oleografia giovanile vorrebbe che si trovasse: disordine, tra­ sgressione, proibito. Allora la Zarina sbotta «Gesù, ma 'sti qua so' tre frati!». Ecco, la Zarina può farlo, può dare sfogo al suo di­ sappunto. I giornalisti de L'Espresso no. Non posso­ no dire: «Signori, questi giovani scrittori non hanno nulla in comune tra loro e, soprattutto, non hanno molte di quelle cose che potreste aspettarvi». Anzi, in realtà credo che, a differenza della Zarina, i giornalisti, dotati ormai di una sorta di callo sul cervello, non abbiano provato nemmeno disappunto. E allora via con i soliti luoghi comuni, via con le divi­ sioni più becere, lacere e strinite. Via con i necessari raggrupamènti. Ecco dunque che la stessa Silvia Bal­ lestra finisce nel gruppo delle penne rock. Proprio Silvia Ballestra, la cui prosa ha il ritmo del saltarello abruzzese, a tratti accelerato a 150 bpm, è detta Pen­ na Rock. Necessariamente, per massimalismo, perché da qualche parte c'è scritto che i giovani vanno ai con­ certi rock (anche quando vanno a sentire Zucchero). Esistono il rap e l'acid jazz, il reggae e la new wa­ ve, la house e il grunge, la disco e il melodico all'ita­ liana, il progressive e quant'altro ancora. Per i gior­ nalisti de L'Espresso, pure avezzi alle suddivisioni in

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correnti e cespugli di mille formazioni politiche, nell'universo giovanile c'è solo questa non meglio identificata massa chiamata rock .











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Lasciati baciare col letkiss

Consiglio chiunque sia stato definito nuovo autore di adire le vie legali. Con il termine nuovo bisogna andarci molto cauti perché non è mai piacevole essere bollati così. Signi­ fica che fra poco si diventerà vecchi, passati, obsole­ ti, out. Peggio ancora quando all'espressione nuovo si vuo­ le dare il senso di sostituzione delle cose esistenti. In questo caso il ridicolo è dawero una bomba che scop­ pia pochi istanti, giorni o mesi dopo il momento in cui quel nuovo è stato annunciato. Permettetemi un esempio illuminante, un esempio che se colpirà i vostri cuoricini vi farà rifiutare que­ sta definizione. Torniamo per un attimo agli anni Sessanta, perio­ do dawero d'oro per i neofili a ogni costo, periodo in cui le parole d'ordine erano nuovo e giovane. La can­ tante urlatrice Betty Curtis nella sua hit Il Tamurè a proposito dell'omonimo nuovo ballo sentenziava: «Nei ritrovi più alla moda lo si balla già, son finiti, strafiniti tango e cha cha cha». Profezie così scombinate e imediatamente smenti­ te dai fattf non le fa neanche il mago Otelma. Oggi il tango e il cha cha cha, così premutaramente affossa-

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ti dalla bionda urlatrice, godono di ottima salute, mentre il tamurè si è dimostrato biodegradabile al 100%. Dunque, se non volete fare la fine del tamurè, ma neanche quella del-J.etkiss o del casacioc, evitate di farvi chiamare scrittori nuovi .







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Osteosintesi con schegge autologhe

Nelle sue opere, il Revisionista Estetico fa spesso uso del citazionismo. Però non basta citare per di­ ventare automaticamente Revisionista. La vera cita­ zione revisionista è molto difficile da applicare ed è altrettanto difficile per il lettore compiere il percorso inverso e individuare la fonte originale. La citazione revisionista è dissimulata, infida, inattesa, allusiva e stravolta. In fondo è una parente stretta del détourne­ ment, ma a differenza di questo perde presto il suo carattere decontestualizzante e si salda nel contesto come fa una scheggia autologa inserita in un deficit osseo della cavità cotiloidea, al punto che, a consoli­ damento avvenuto, non è più possibile distinguere tra osso originale e inserto. La citazione integralista, invece, mostra sempre la linea di separazione, l'incongruenza, tra osso origi­ nario e scheggia inserita. Esistono vari tipi di citazio­ nismo integralista. LA CITAZIONE INTEGRALISTA INTEGRATA - L'ingrata ci­ tazione integralista integrata non è altro che un vir­ golettato tratto da un detto altrui e spinto a forza in un proprio contesto come si fa con troppi abiti nelle valigie troppo piccole. L'integralista che sceglie la ci­ tazione integrata si pone sempre uno scopo nobili81

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tante, sta attento a non mescolare elementi diversi tra loro e cerca semple la citazione allusiva che alzi di uno o più gradi l'esposizione. Ciò significa che il testo di base valeva ben poco, se l'autore ha avuto bi­ sogno di questo escargot. [Evidentemente Labranca voleva dire escanwtage, n.d.r.J Invece di un'elevazio­ ne ne consegue un appiattimento, poiché certe cita­ zioni allusive si cristallizzano, anzi si diamantizzano, visto che è impossibile poi riuscire a distruggerle. Comunque, la citazione integralista integrata è utilis­ sima perché aiuta ad allungare i testi, grazie alla massiccia dose di note e rimandi che essa comporta. LA CITAZIONE COME AUTOGOAL - Un esempio ormai classico, usato ormai anche nelle scuole d'ogni ordi­ ne e degrado, è quello di Lucio Amelio. Il celebre gal­ lerista all'ombra del Vesuvio su un vecchio numero di 7 presentava alcune.sculture in pietra di Paladino esposte in quella lontana Biennale di Venezia. Ora, Amelio sarà un grande esperto di arte, un raffinato conoscitore di avanguardie che noi non riusciamo ancora nemmeno a sospettare, ma zoppica parec­ chio in campo operistico. Così è aITivato a paragona­ re quelle opere di Paladino «a presenze mute, come il Convitato di Pietra del Don Giovanni mozartiano». Tratto in inganno dalla condivisione della pietra scultorea, Amelio il g!llerista che ammalia ignora dunque che la Statua del Commendatore nel finale del Don Giovanni è una presenza tutt'altro che muta, anzi è partecipe di uno spartito fin troppo roboante. Ma tant'è. Forse Amelio dopo aver visto Amadeus non vedeva l'ora di applicare una citazione mozartiana e, di fronte a un'occasione così ghiotta, ha avuto un tipico attacco di incontinenZif:l, citazionistica. Stufo di in­ dossare il suo Serenity Lines, Amelio si è spannolina­ to, liberandosi sulle sculture di Paladino e sognando di poter presto accoppiare in citazioni autogoal al-

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trettanto angoscianti la mostra Arte iugoslava degli anni Sessanta e la Clemenza di Tito oppure Mickey Mouse nei graffiti di Keith Haring e il Ratto dal serra­ glio. Caro Amelio, se devi parlare ancora di presenze mute e incÒmbenti lascia stare Mozart e traccia una paragone con Maggie Simpson. La piccola faccia­ gialla non solo è muta, ma è anche una vera minac­ cia incombente. L'hai mai vista impugnare il martel­ lo e colpire sulla testa papà Homer?

LA CITAZIONE COME MEZZO DI SOSTENTAMENTO - Esi­ ste anche un citazionismo estremo che pur non inse­ rendosi in -nessun contesto non solo riesce a vivere, ma permette di vivere a chi lo pratica. Quando non è impegnato a starnazzare in giro il fatto che durante i mondiali di calcio si chiude in convento, il poeta Ce­ ronetti (mi hanno detto dopo che era un poeta. Sulle prime, con quel nome, avevo pensato fosse un comi­ co del muto) si guadagna la pagnotta fornendo una citazione per la prima pagina de La Stampa. Una so­ la citaziont e basta, senza alcun commento. I prover­ bi del giorno di Frate Indovino hanno almeno un le­ game stagionale, una giustificazione liturgica. Le scelte di Ceronetti no. Pasquale Petrullo è redattore in una rivista enigmistica ed è sempre alla ricerca di massime, detti, aforismi da inserire come soluzione nei suoi giochi, però credo che venga pagato molto meno di Ceronetti. LA CITAZIONE AUTOLESIONISTA - La citazione autole­ sionista è doppiamente utile: sia per chi crea e, in preda a una crisi di idee, si mette comunque in testa un'idea meravigliosa, ossia copiare le idee degli altri, sia per i critici che possono far sfoggio della propria cultura in un gioco di richiami, rimandi, ritorni e re­ cuperi tanto fitti che paiono l'iter di una pratica pen­ sionistica INPS.

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Giuseppina Manin, nella sua n1brica Guida al Pal­ coscenico del Corriere della Sera, nel dì 4 maggio 1995 ci recensiva lo spettacolo teatrale Storie di Anti­ gone messo in scena da Giulio Campari. Alla Manin

bastano 16 righe in giustezza 4,9 centimetri per infi­ lare un'impressionante serie di citazioni autolesioniste: «In una terra desolata di eliotiana memoria [ ... ] in un viaggio céli11esco al termine della notte [ ... ] questa Antigone attinta da Sofocle e Brecht». Ora, perché questo tipo di citazione è detta autole­ sionista? Semplice, perché scopiazzando e sottoli­ neando le proprie scopiazzature il citazionista corre un grave pericolo: quello che la parte più intelligente del pubblico diserti la sua opera-fotocopia per anda­ re alle fonti. Quindi, in un caso simile invece di but­ tare via i soldi per andare a vedere le Storie di Antigo­ ne di Giulio Campa,:.i (che non è un'emulazione tra­ sh, ma una mera kitchizzazione del proprio nulla), è meglio leggere Eliot e Céline, Sofocle e Brecht. E, già che ci siamo, sostituiamo anche Giulio Campari con l'omonimo bitter.

LA CITAZIONE METALINGUISTICA - Questo tipo di cita­ zione, diffusissima, si chiama così perché tenta di in­ ternazionalizzare il-proprio discorso condendolo di espressioni straniere scelte a sproposito e pronuncia­ te peggio. Risulta dunque metà-linguistica e metà­ sbagliata. Un caso, tra i tanti. In un ormai celebre convegno veneziano sulla nuova letteratura, in data 24 giugno 1995, sabato, alle ore 17 circa, la signora Laura Lepri cercò di colpire l'atteggiamento revisionista dicendo che era fatto di vuoti • giochi di parole per épater les

bourgeois.

Concettualmente aveva forse ragione, linguistica­ mente no, poiché la signora Lepri si ostinava a ripe­ tere bourgeois pronunciando la esse finale che, noto­ riamente, in francese è muta. Si tratta del più inno84

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cuo dei citazionismi integralisti, anche perché in fondo fa anche piacere, ogni tanto, ascoltare questo francese approssimativo da profumaia di periferia, di quelle "che dicono laneon, ané-ané, sprussateur... LA CITAZIONE COME CAMPIONAMENTO - Le citazioni revisioniste sono l'opposto di quelle integraliste. Non sono mai semplici virgolettati, ma veri e propri cam­ pionamenti. Il revisionista, quando scrive, si com­ porta esattamente come Afrika Bambaataa e altri hip hoppers quando rubano micropassaggi da Gary Nu­ man o dai Kraftwerk per realizzare nuove creazioni, totalmente slegate dalla fonte di partenza. Il pezzetto rubato dal campionatore pur non essen­ do dichiarato, è perfettamente individuabile: quattro note sono sufficienti per riconoscere Good Times degli Chic o Trans Europe Express. Rapper e revisionista so­ no entrambi rei confessi, ma graziati per buona con­ dotta creativa. La citazione campionata non è mai fi­ ne a se stessa, ma è sempre rinnovata, alterata, adat­ tata alla situazione, mescolata nel contesto, mai po­ sta in primo piano con quel ruolo esponenziale e au­ tocelebrante proprio degli integralisti. Una cosa essenziale è che la fonte della citazione campionamento non sia mai dichiarata apertamente. Altrimenti il gioco non ha più stimolo. Leggere nei credits dei CD single che Erotica di Madonna e You Want This di Janet Jackson contengono entrambi campionamenti da Jungle Boogie di Kool & The Gang (e qui segue una lista di case editrici musicali, autori e altre inutilità imposte dal diritto d'autore) fa passare la voglia di identificare il prestito musicale. Altra cosa importante: il revisionista non è un semplice citazionista frammentario come il Battiato di Goutez et comparez, ossia non limita mai la sua ra­ pina all'universo colto, ma, com'è nel suo carattere, si muove.su e giù per i presunti piani di livello (la cui esistenza resta indimostrata come quella dei proto-

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colli akashici), riproducendo nel proprio testo ciò che ritiene sia adatto a quanto vuole esprimere. Mar­ che commerciali comprese.











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L'avanguardia mutualistica

Attenzione, però. La citazione revisionista non de­ ve diventare il solito tentativo fallite di darsi all'avan­ guardia, spinti dalla paura di scrivere come gli altri. Quando ci si dà all'avanguardia nasce il mostro, il vero blob: ossia Donatella d'Orlando. Se non la cono­ scete non preoccupatevi, era una mia compagna di liceo con velleità scrittoriali, ma assolutamente re­ frattaria alla sana regola che vuole un soggetto segui­ to da un verbo e dalla corte dei complementi. Dona­ tella accettava i tre elementi, ma mai in quest'ordine. Mi fece leggere una volta un suo abbozzo di roman­ zo in cui ogni frase era ripetuta tre volte, ogni volta con le parole in ordine diverso. Un orrore. Io che ero stato a casa sua più volte e avevo visto che libri aveva sugli scaffali., rifeci all'inverso il percorso di accumu­ lazione che evidentemente Donatella aveva compiu­ to, accumulando, senza esserne però veramente pa­ drona, la beat generation, Huysmans, le avanguardie italiane degli anni Sessanta e le canzoni di Jim Mor­ rison. Per quanto riguarda l'uso orrido della frammenta­ zione linguistica l'esempio atomico per eccellenza resta la scrittura di Lorenzo Miglioli. Qui siamo di fronte a una vera artificiosità ricerca-

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ta a scapito della d\gnità. La modernità di Miglioli mi ricorda molto certi atteggiamenti giovanilistici più che giovanili degli anni Sessanta. In particolare mi ricorda un irritante personaggio Disney creato in quegli anni in Italia dall'altrimenti grande disegnato­ re e sceneggiatore Romano Scarpa: Paperetta Yè-Yè. Nella sua prima awentura, Arriva Paperetta Yè-Yè, la giovane pennuta, che Scarpa ha ottenuto mescolan­ do la Vartan alla Pavone, è rappresentata come una ventata di novità ris-lJetto al vecchiume imperante a Paperopoli. Paperetta è una neofila della peggior specie: è una di quelle stolte giovincelle che, solo per motivi generazionali, si sente autorizzata a buttar via tutto il precedente, operando in maniera più che su­ perficiale. In tutta quell'awentura Paperetta si muo­ ve istericamente da una vignetta all'altra strillando nuovo e novità. Continua a dire: «Nuovo... nuovo... nuovo», così come Miglioli continua a scrivere «cy­ ber... cyber... cyber». Ne deduciamo che Lorenzo Miglioli non è, come si potrebbe pensare, l'emulazione fallita di Philip K. Dick, bensì è la Paperetta Yè-Yè della letteratura ita­ liana. Paperetta Yè-Yè è necessariamente scomparsa, schiacciata dalla stessa obsolescenza che lei combat­ teva. Un destino simile aspetta Miglioli? I suoi deliri da fantascienza di sehe Z scompariranno con la stes­ sa dissolvenza che ha trascinato nell'oblio la cintura con cui Sylvie Vartan teneva su i pantalòn? Prendete, per esempio, questa frase: «...mancavano 15-16 se­ condi all'evento finale... mi iniettai microglobuli... nanotecnologie di mutazione-speed e la loro accele­ razione costrinse-stipò la mia circolazione al punto da provocare una sorta di alterazione temporale, perlomeno a percepi1.1la come tale» (Ra-Dio, Elettroli­ bri/Castelvecchi, 1993, pagg. 13-14). Tra qualche an­ no probabilmente rideremo di questa frase. Ma il mio consiglio è questo: perché aspettare?

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Sono tanti, purtroppo, coloro che, presa in mano la penna, cadono nella trappola della ripetizione di una avanguardia, per lo più orecchiata, che si rifà al Gruppo 63. Trattandosi di una vera e propria avan­ guardia della mutua, potremmo dire che se quello era il Gruppo 63, questa è l'ussL 63. All'ussL 63 finiscono in tanti, anche i non scrittori. Anche chi non ha mai sentito parlare di avanguardia si sente in dovere di stravolgere le regole della sintas­ si e della punteggiatura. È il caso di Jovanotti. Il cele­ bre rapper nel novembre 1993 pubblicò un CD single accompagnato da Cherubini, un libro di sue poesie, testi e pensieri sparsi. Naturalmente, ogni scritto è marchiato dalla frammentarietà tipica dell'avanguar­ dia mutualistica. Di seguito ne riporto un esempio, tratto dalla pagina 53 di Cherubini. Notte di luglio a Milano domenica giro solo sono solo nel buio di un incrocio una pennellata di arancione I-N-T-E-R-M-1-T-T-E-N-T-E ...LAVOCElaparolailcan.toilrumorediunam.otounasire­ nailmetallosonorodellarotaiadeltramilPIANTODIUNBIMBOCHENASCESTANOTTE.........................

Volete un altro esempio della poetica jovanottiana? Eccolo: Per favore/ I I I I I Adesso cerca di capire, fratello. Cerca di capire, se

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puoi/ Tutto quel mondo negli occhi/ Terribile 111.a bello! Troppo bello/ E la paura che mi riportava indietro/ La nave, di nuovo e per sempre/ Piccola nave/

Ridicolo, vero? Ma vi dico una cosa: il secondo testo non è di Jovanotti, bensì di Alessandro Baricco, trat­ to da Novecento, Feltrinelli, pagina 57. Non abbiate paur�: ridete, colpite, distruggete. Spesso, i più sdegnosi principi delle lettere non san­ no scrivere nemmeno una cartolina dalle vacanze.







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La letteratura cruciverba

Una volta ho sentito un critico esaltare lo scrittore Marco Lodoli perché in un suo romanzo aveva dimo­ strato una tale sensibilità verso la sacralità della pa­ gina letteraria da preferire un giro di parole alla cita­ zione diretta di una marca. Lodoli, che non scrive­ rebbe la marca AGIP nemmeno sotto to1�tura, preferi­ sce scrivere qualcosa come «l'insegna gialla con il ca­ ne nero a sei zampe». Non credo che Lodoli sia ricorso solo una volta a un simile stratagemma purificante della propria au­ licità. Benché non la condivida, questa scelta lodolia­ na può essere una strada verso lo svecchiamento del­ la letteratura. Pensate, ogni romanzo verrebbe ac­ compagnato da uno schema di caselle bianche e ne­ re. Lo scrittore che aborre le marche aggiungerà do­ po la perifrasi che sostituisce il nome commerciale la giusta indicazione. Per esempio: «Alvise si versò un bicchiere di liquore aperitivo a base di carciofo (3 verticale) ... ».

E, sullo schèma, al 3 verticale il lettore scriverà «Cy­ nar». Davvero: la letteratura cruciverba è il futuro della nostra cultura. 91

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La letteratura è l'estensione della vita. Tra l'esi­ stenza e la pagina non c'è alcuna barriera doganale dalla quale vengono bloccate le marche o le espres­ sioni volgari. Se si vuole essere aulici sulla carta, lo si deve essere anche nel quotidiano .



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Come si diventa Albertino

Se si potesse fare in letteratura ciò che certi DJ fanno con le canzoni d'altri: allungarle, restringerle, mutarle e vivificarle. Mi piacerebbe poter remixare un racconto d'altri o un mio scritto in sette versioni diverse, non come esercizio di stile per dire guarda quanto sono bravo e colto, e neanche come continuo ripensamento, ma solo per distruggere l'idea di uni­ cità dell'opera d'arte: non più il pezzo compiuto, ma l'idea centrale che torna riproposta in più modi. E allora ti saluto lezioni filologiche e manoscritti di Oxford. Addio continue limature pensando di po­ ter raggiungere la perfezione. Saremmo davvero all'esposizione del tentativo. Purtroppo tra la techno e la letteratura continuano a non esserci punti di contatto e se Albertino produce capolavori energetici come Alba volume 1, Alba volume 2 e via numerando, la Bompiani sforna la compilation più moscia e au­ tocelebrativa dell'anno, ossia Panta.

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«Sanremo-Weimar solo andata, grazie»



Sono molti coloro che non vogliono nemmeno prendere in considerazione il trash poiché lo ritengo­ no un sinonimo di sottoprodotto, ben lontano dalle espressioni culturali più serie cui loro si dedicano. L'école de Pantigliat� ammette una distinzione tra elementi trash ed elementi non-trash, ma li pone in due universi contigui e non certo su due piani di cui uno (il non-trash) è superiore all'altro (il trash). In inglese, i prodotti derivati, per esempio, dal pe­ trolio si chiamano by-products e by è una preposizio­ ne che non esprime il significato di 'stare sotto', ma di 'stare accanto'. E il mondo del trash sta accanto, non sotto il mondo �on-trash dei modelli di riferi­ mento dal quale deriva. Chi non fa parte della prestigiosa école de Panti­ gliate non accetta comunque questa concezione e persevera nei suoi due errori: 1) essere convinto che l'estetica comprenda davvero più piani; 2) essere al­ trettanto convinto di occupare i piani alti, quelli più lontani dal trash, ai quali magari ha abitato per un po' di tempo, ma che hà presto abbandonato dopo aver distrutto tutti i vt!cchi certificati di residenza. L'esempio più lampante di questo comportamento resta la cantante Milva, un esempio assolutamente

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da non seguire poiché davvero settario nei confronti dell'estetica e assolutamente mistificante, poiché si basa su un errore di interpretazione tanto clamoro­ so, quanto vergognoso. Milva, infatti, è convinta che l'estetica e la cultura siano dawerò fatte a scale, c'è chi scende e c'è chi sa­ le. E lei sale, anzi scala questi piani: partita da un tango italiano ha raggiunto la vertiginosa vetta dell'Olimpo della Cultura. • Quella benedetta dai sindaci presenti con le con­ sorti alle prime. • Quella che realizza spettacoli, sfilate e consegne di premi tramessi in mondovisione da antiche piazze di città italiane transennate ai cittadini ma aperte a un pubblico di volgarissimi arricchiti tanto che, dan­ do un'occhiata alla platea fiammegiante di gioielli, pare d'essere alla Fiera Cainpionaria del Pappa e della

Baldracca.

• Quella che si scandalizza se in un romanzo trova citate le marèhe, ma che chiude gli occhi volentieri di fronte ai logo degli sponsor sui manifesti e nei ca­ taloghi delle mostre e finge di non aver visto la lava­ trice Candy in bella vista nel foyer della Scala. Qualcuno dovrebbe farsi carico del pietoso compi­ to e, con molto tatto, comunicare alla signora Biolca­ ti che passando dalla Balera a Brecht, ella non ha conservato solo l'iniziale, ma anche la stessa tensio­ ne popolare. Che nei fatti non c'è stato alcun passag­ gio da sottocultura a supercultura. Che Brecht mira­ va a un teatro popolare e non certo alle clamorose trombonate strehleriane all'insegna di un élitarismo assessoriale. Che Kurt Weill scrivendo le musiche dell'Opera da tre soldi non ha fatto ricorso a comples­ si metodi dodecafonici, ma a motivi popolari, tra cui 95

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anche un tango, lontano papà di quel Tango italiano che ci riporta alle origini. Il cerchio dunqut! è concluso, poiché di cerchio si tratta e non di linea retta e ascendente. Chi fugge dal presunto trash finisce poi per impantanarsi nel vero trash. Quindi la vera Milva-trash non è quella spon­ tanea, originale e bistrata al carbon fossile della me­ ravigliosa e protoalmodovariana Flamenco Rock, ma quella attuale che tenta di emulare, fallendo, Lotte Lenya.







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EXTRA TRACK

· Come si diventa Fiorello

lettera al dottor Roberto Calasso, presso Adelphi Edizioni, via San Giovanni sul Muro, 3 20135 Milano

Gentile dottor Calasso, Dio le conceda cent'anni di �ita e salute finché pubblicherà i libri di Anna Maria Ortese. E anche quelli di l\i1ilan Kundera, anche se questi io non li leggo mai nelle sue edizioni, bensì in quelle Galli­ mard poiché ormai le versioni francesi dei romanzi di Kundera sono tutte riviste dall'Autore ed equipa­ rate agli originali in lingua ceca. Mi scusi se cerco di tirarmela e magari ci riesco male, ma lei è un'auto­ rità in materia e nessuno può batterla in fatto di au­ toreferenzialità. In primo luogo devo chiederle scusa per una mia piccola situ-azione. Il 27 settembre 1992 ho voluto mettere alla prova lo spirito umoristico di tre case editrici italiane scelte tra quelle in cui ci si danno tal­ mente tante arie da rendere inutili i pinguinidelon­ ghi persino in pieno luglio. Ho dunque creato un personaggio, Angelo Stofano, sessantaseienne pen­ sionato de_lla Innocenti, di qu�lli che, dopo una vita alla catena di montaggio, passano le giornate negli orti abusivi che costeggiano le piste dell'aeroporto di Linate. Forse lei, benché colto, ignora il significato delle espressioni catena di montaggio e orti abusivi, 99

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concetti di cui non ha mai discusso con Ingeborg Ba­ chmann e che io comunque non le illustro per non introdmTe germi pop nel suo universo asetticamente aulico. Angelo Stofano inviava alla sua Casa editrice, co­ me anche a Guanda e a Scheiwiller, sei poesie, speci­ ficando nella lettera d'accompagnamento che esse erano tratte dalla pro:,,ria sterminata produzione di 739 componimenti e che, pubblicandone magari 200, le si poteva illustrare con i quadri di un suo ami­ co, Marino Semoa. Il tutto, lettera e poesie, era bat­ tuto a macchina su una vecchia Olivetti, facendo molta attenzione a disseminare nella giusta quantità errori di dattilografia e di grammatica, a diluire il mondo dello Stofano in stilemi ora danteschi, ora petrarcheschi, a esag�rare il numero di punti escla­ mativi (anche nove in una sola volta!). Non le ripro­ pongo qui le sei poesie'. Mi limito a ricordarle i titoli e gli argomenti: Michelangelo dell'angioli, quasi una sindrome di Stendhal che aveva colpito lo Stofano sotto la volta della Cappella Sistina. Uom.ini e bestie... non solo!!!!!, un'accorata preghiera mistico-ecologi­ sta in cui al tramonto non solo gli augelletti, ma per­ sino i cavoli rispondono a un richiamo dionisiaco (non le viene in mente-nulla? Che so, Il Re del mondo di René Guénon, volume 51 della sua Piccola Biblio­ teca?). La preghiera della trota, in cui, stupito dalla reazione del salmonide allamato, lo Stofano promet­ te a se stesso di non pescare più; Non ti drogar!!!!!, un grido contro le tossicodipendenze che supera quello di Marco Masini; Luce rossa!!!!, scritta dopo aver visto un ex-commilitone entrare vergognoso in un sessi-cinema, si coqclude con l'arcangelo Gabriele che squarcia lo schermo e invita il pubblico al penti­ mento. Il giorno 1 • ottobre 1992, su carta intestata, la sua redazione scrive allo Stefano per dire che la Adelphi non pubblica, se non eccezionalmente, libri di poe100

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sie. Francamente, questo mi sembrava un caso più che eccezionale... Comunque, la ringrazio per aver risposto. Guancia e ScheiwiHer non si sono nemmeno degnati di aprire la busta. Non è finita qui. In quello stesso mese di ottobre mi trovo alla Buchmesse di Francoforte e vedo lo stand della sua Casa. Entro con aria di sufficienza e vi trovo una signora Adelphi-style. Sa, una di quelle «signore di cultura superiore, aperte ai contatti con il pubblico e in possesso di facoltà organizzative» che la Ga:rzanti cerca disperatamente nella rubrica Prestazioni temporanee del Corriere della Sera per mandarle in giro a vendere quei fondi di magazzino che chiamano enciclopedie. Mi avvicino e le dico che su RadioTre ho sentito del'imminente pubblicazione presso Adelphi delle poesie di Angelo Stofano. Continuando a rovistare nella sua borsetta, quindi senza guardarmi, la signo­ ra rispose che no, che mi ero sbagliato, che loro pub­ blicano solo le poesie di Walter Whitman e non di nuovi autori. «Walter Whitman where are you?», si chiede Gino Vannelli. «Nuovi autori!» faccio invece, scandalizzato, io: «Stofano tanto nuovo non è». Era stato amico ed emulo di Dino Campana e per fortuna c'era qualcuno che finalmente l'aveva riscoperto e ri­ tenuto degno di stampa. La signora resta smarrita, allora mi affretto a dire che evidentemente mi ero confuso con qualche altra Casa. Saluto e vado via. Quando racconto questo episodio, magari a qual­ che suo estimatore, di solito mi si risponde con aria di sufficienza, definindola una goliardata. Dapprima me la prendevo, poi quando ho visto il modo in cui anche le azioni situazionaute di Luther Blissett sono state evasivamente liquidate come goliardate dai giornalistucoli ho capito che la strada da seguire era un'altra2. La nuova strada che intendo percorrere non è più 101



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quella dell'attacco diretto, ma quella del cordiale in­ vito a cambiare, prima che sia troppo tardi, ad ab­ bandonare lo Stadio della Spocchia, a mutare questo suo atteggiamento misantropo, a diventare dawero popolare, anzi pop. In poche parole, io vorrei tanto insegnarle come si diventa • Fiorello. Ha presente Fiorello? Credo proprio di no. È un personaggio dello spettacolo, molto conosciuto e po­ . polare. Presenta, canta, intrattiene. Il suo nome com­ pleto è Rosario Fiorello. Un nome forse troppo nor­ male perché lei possa non dico ammirarlo, ma sol­ tanto conoscerlo. Nella sua foga antipopolare, lei ama circondarsi di personaggi dai casati impronun­ ciabili: Ulfeldt, Schwc,b, Szczypiorski, Gtiiraldes, ùdon von Horvath, Ka'us ibn Iskandar e quanti altri autori tratti dal suo catalogo che non sto a riportare poiché il mio modestissimo PC ha una limitata ta­ stiera italiana, orfana di tutte le pipette e dei segni diacritici necessari a snobbare il pop e a riscoprire il più dimenticato autore urdu di versetti gnostici bi­ fronte.



Fiorello ha dimostrato una cosa: per i potenti della cultura (e tra questi annovero anche lei) è importan­ te quello che si fa, non come lo si fa. Cioè, non è im­ portante se sei bravo come Fiorello, che è un gran­ dissimo uomo di spettacolo, è simpatico senza finge­ re affettazione, sa mettere la gente a proprio agio, sa evitare i tempi morti. Se sei un personaggio pop, de­ dito a cose pop sei segnato: sei un cretino. Se invece sei un intellettuale, puof anche essere Emanuele Tre­ vi che tanto va bene lo stesso, sarai celebrato e tenu­ to in grande considerazione. Leggo su L'Espresso del 24 febbraio 1995 che lo psicanalista Aldo Carotenuto dice: «Fiorello è un cre­ tino che piace ai cretini». Allora, chissà quanto piace allo stesso Carotenuto! .102

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Fiorello, poniamo, finisce a una cena dopo una premiazione e a questa cena giunge a un certo pun­ to, regolarmente invitato dalla Pro Loco, un gruppo musicale folcloristico. Fiorello resterà al suo posto, probabilmente, conoscendone il carattere, si unirà ai canti, coinvolgendo il resto degli ospiti. Insomma, non farà come avete fatto voi (con voi intendo dire lei, Fleur Jaeggy e una vostra amica) che in una si­ tuazione simile vi siete alzati disgustati e, in fila in­ diana, siete andati via. Fonte del pettegolezzo: Ros­ sana Campe>. D'accordo, non le chiedo di diventare un animato­ re da Club Méd, ma almeno scenda un po' da quel muro che divide con San Giovanni! Anche perché lei, almeno per ora, non è stato ancorq. canonizzato. Torniamo per un attimo a parlare di poesia. Qual­ che anno fa Fiorello è stato vittima di parecchi cen­ sori perch� aveva messo in musica San Martino di Carducci. Bene, quando Angelo Branduardi aveva messo in musica Esenin nelle Confessioni di un Malandrino nessuno protestò, forse perché del fatto se ne accor­ sero in tre. E nessuno si è scandalizzato nemmeno quando a cantare i poeti è stato De André. Neppure davanti alle pastiches poetico-citazioniste di un certo Battiato dei primi anni Ottanta. Invece su Fiorello crittche a pioggia, perché se vuoi mettere in musica un poeta devi farlo accompagnandoti con la chitan-a e con la voce nasale, con il dolcevita nero e le parole che escono stitiche dalla parte di bocca lasciata libe­ ra dalla Gauloise. Non appena il ritmo si fa dance, non si hanno giustificazioni. Eppure quell'operazione era uno splendido esem­ pio di coerenza. Fiorello sa di avere un pubblico dal­ la cultura limitata agli insegnamenti scolastici. Quin­ di propone loro un testo-base, un caposaldo tra le inutili poetitudini dell'istruzione dell'obbligo. Sapen103

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do che il suo fan medio è la parrucchiera con licenza media cosa vuole cha, faccia? Mettere in musica Wal­ ter Whitman e solo in casi eccezionali? Ma tant'è, i critici devono pur riempire le proprie rubriche e quando gli argomenti scarseggiano tutti addosso a Fiorello. O tutti addosso al più grande poeta italiano contemporaneo, ossia Pasquale Panel­ la. Quante critiche si è dovuto beccare Panella per i testi degli ultimi dischi di Lucio Battisti? Infinite, ma tutte con un punto (infondato) di contatto: quei testi sono incomprensibilf. Bene, allora perché questi cri­ ticucci non hanno mai detto una mala parola sulla regina della incomprensibilità che nasconde vuotez­ za, ossia Fleur Jaeggy? So che la signora Jaeggy è la sua compagna e che siete uniti in un invidiabile sodalizio che richiama al­ la mia mente altre coppie celebri nella vita e nel lavo­ ro. I Krisma. Al Ban'O e Romina. Patrizio Roversi e Siusy Blady. I Vianella. Gilbert and George. Raimon­ do Vianello e Sandra Mondaini. Anche Fiorello e An­ na Falchi, finché dura. Un detto popolare (e mi scusi se ho detto popola­ re) recita: «Non si pigliano, se non si somigliano». Quant'è vero! La sua signora è altrettanto antipop quanto lo è lei. Fleur non si pubbijcizza, e non ne ha bisogno, vi­ sto che l'editore lo ha già in casa. Quando hanno chiesto a tutti gli scrittori italiani di preparare poche righe di presentazione per un libro intitolato L'Auto­ dizionario lei si è sdegnosamente rifiutata di pren­ dervi parte (Anna Falchi non si rifiuta mai a Eva 3000). Forse perché non esiste. Forse perché è una creazione della fervida immaginazione calassiana. E le foto che la ritraggono nei risvolti di copertina dei primi romanzetti, qti.elle in cui appare con capello lungo e liscio, rimmel distribuito non con una mati­ ta, ma con una pennellessa e maxigonna floreale, al104

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tro non sono che elaborazioni computerizzate di im­ magini di Milena Cantù, l'ex Ragazza del Clan di Ce­ lentano. Fleur non concede interviste. Non appare in televi­ sione. Anzi, di sicuro voi in casa la televisione non l'avete ne.romeno. E quando Anna Maria Ortese ne Il cardillo addolorato traccia un bel paragone tra un'im­ magine che scompare in una lente magica e l'imma­ gine che si riduceva a un punto luminoso nei vecchi televisori in bianco e nero, leggendo il manoscritto del romanzo lei, signor Calasse, ha telefonato alla Ortese per saperne di più, per chiedere se era esatto quello che c'è scritto, come funzionava quel dannato arnese... «Come"funziona la lente magica?», avrà azzardato timidamente la signora Ortese. «Ma no, quel coso... il televisore!», avrà concluso, spazientito, lei. E sì che proprio grazie a un televisore lei ha incon­ trato sua moglie. Almeno così raccontano le agiogra­ fie non autorizzate che la riguardano e che già gira­ no sotto forma di bootleg. Eravate a un party in qual­ che salotto milanese. Lei fissava Fleur già da un po' e la signorina Jaeggy ricambiava lo sguardo. Alla fine, nella noia del festino che non decollava, vi siete qua­ si scontrati nei pressi di un televisore spento. Con il bicchiere in mano, Fleur si è accorta del televisore e, spaventata, ha fatto un passo indietro, bisbigliando in dialetto zurighese: «Televisione ... cattiva mae­ stra!» Allora lei, incantato dal fatto di aver incontra­ to finalmente un intellettuale con le tette, con mossa da autentico marpione la ha abbordata. «Cosa fa di bello?», disse Roberto. «Io scrivo», disse Fleur. «Io pubblico», rispose Roberto. Ora, la signora Jaeggy ha scritto cinque libri. I primi 105

Tor-'MASO LABRANCA

tre li ho comperati perché il Battiato prevocedelpa­ drone ne aveva tratto i testi di Hiver e di Le aquile. Ero giovane e inesperto, allora. Il quarto, I beati anni del castigo, l'ho prelevato subdolamente dalla Biblio­ teca Comunale di Peschiera Borromeo. Nessuno se ne è mai accorto, e questo le dimostra quanto ricer­ cate siano le opere dt Fleur in quel borgo industriale della periferia milanese. Il quinto no, dissi, no, non lo voglio no. Mi è bastata una recensione di Tiziano Scarpa su Leggere. Una recensione meravigliosa, fe­ rocemente distruttiva, che diceva ciò che nessuno aveva mai avuto il coraggio di dire prima. Tra le altre cose, svelava i trucchi da lei usati per gonfiare tipo­ graficamente l'avaro manoscritto di Fleur: pagine mozze; pagine bianche; caratteri in corpo esagerato, come quelli della prima riga nelle tabelle usate dagli oculisti; interlinea così largo che, come dicono in Pu­ glia, ci passa un cane con la scopa in bocca. Che futuro ha sua moglie come scrittrice? Faccia­ mo due conti. La Jaeggy ci parla continuamente dei suoi anni passati nel collegio svizzero. Considerando che la sua produzione finora consta di cinque libri, e ponendo un beato anno di castigo in collegio per ogni libro, siamo ormai alla fine delle elementari. Te­ nendo conto dell'ordinamento scolastico elvetico 3 , mancano quindi i quattro anni corrisponenti alle no­ stre medie, i quattro di superiori e almeno cinque di università. Ci aspettano dunque altri 13 libri di Fleur Jaeggy, sempre sperando che non sia finita fuori cor­ so... Considerato che dal punto di vista della poppizza­ zione sua moglie è totalmente refrattaria, torno a concentrarmi su di lei. Mi dia ascolto: lasci Fleur e prenda Fiorello. Cominci magari dalle cose più este­ riori. Le copertine, per esempio. La smetta con quei dettagli tratti da quadri classicheggianti! Vede, vuole fare il raffinato e poi cade nella trappola del peggior



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Barocco brianzolo. Angeli, sindoni, mercuri alati ... bleah. Prima o poi rischierà di scegliere qualche pa­ gliaccio triste o qualche marina di Camogli all'alba. Punti di più su immagini popolari, magari una bion­ dazza senonudo di quelle che sedevano sui cinturati Pirelli negli anni Sessanta. E poi i colori... Come può pensare di votarsi al pop se continua a scegliere simi­ li tinte per le copertine dei suoi libri? Gialli pallidi, grigi evanescenti, azzurri convalescenti... Ha presen­ te le giacche o i cappotti di Fiorello? Quei colori sono adatti a 1_1n impatto pop. Le consiglio alcuni Panta­ ne® per le copertine dei prossimi volumi: fucsia -fluo

806, giallo 116, viola 266, arancio -fluo 165, verde ac­ qua metallizzato 563, Re-flex Blue.

Per confortarla, le dirò che ultimamente lei ha da­ to segni di propensione alla poppizzazione, anche se cercava di reprimere questi sani istinti. Per esempio, io ho capito che quel simbolino che sta al piede delle sue copertine (e che Battiato4 ripropose anche sulla copertina de L'arca di Noè) non ha l'origine esoterica che molti insinuano. Molto più banalmente, si tratta di due bagnanti che se la stanno spassando su un pe­ dalò al largo di Cesenatico. Anche se non è vero, le conviene cominciare a spacciare questa informazio­ ne: sarà il primo passo per fare della Adelphi la casa editrice balneare per eccellenza. Vede, io la spingo a diventare Fiorello, ma lei è già molto simile a Claudio Cecchetto. Per anni il celebre DJ-produttore ha afflitto le nostre estati proponen­ doci gruppi inediti che puntualmente spacciava per «gli eredi dei Duran Duran» e dei cui frontmen loda­ va la «straordinaria voce dalle reminiscenze blues». Nomi come Kajagoogoo, Via Verdi, The Cubes, The Twins, Tracy Spencer, Taffy o Sandy Marton suona­ no oggi alle nostre orecchie misteriosi quanto voca­ boli etruschi. Intanto, dopo una breve stagione bal­ neare, simili promesse sparivano. 107

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Negli ultimi anni lei aveva iniziato a seguire le or­ me di Cecchetto. Nell'estate 1993 ci presentò Paolo Maurensig con La Variante di Liineburg. Nell'estate 1994 toccò a Piero Meldini con L'avvocata delle verti­ gini. Bene, il lancio di scrittori balneari, di quelli che magari fanno nascere qualche amore in riva al mare e poi scompaiono, costituisce già un primo passo per l'ottenimento del patentino pop. Ma il suo progetto è ancora troppo intellettualoide e prevedibile. Ho sco­ perto con raccapricdo, per esempio, che il mono­ gramma di Paolo Maurensig è lo stesso di Piero Mel­ dini. PM. Maurensig è nato nel 1943 a Gorizia (Re­ pubblica del Nord). Meldini è del 1941, originario di Rimini (Repubblica del Centro). I titoli dei loro libri si compongono di un articolo, un sostantivo e un ge­ nitivo. La presentazione sull'aletta di copertina di Mau­ rensig si concludeva '1icendo: « ...e insieme ci svela uno scrittore». Su quella di Meldini si diceva: « ... si delinea la fisionomia inconfondibile di uno scritto­ re». Mancava l'effetto sorpresa. Al pubblico bastavano questi dati per ritenere che verso fine maggio del 1995 sarebbe arrivato in libreria un nuovo volume Adelphi intitolato La sambuca della Mariarita, firma­ to da un altro PM, Péfsquale Mazzacurati, nato nel 1939 (altri due anni prima) a Matera (Repubblica del Sud) e la cui presentazione sull'aletta si sarebbe con­ clusa con queste parole: « ...traccia con maestria la sua figura di scrittore». Così però non è stato. Forse deluso per lo scarso successo di Meldini, battuto da Maurensig per 12 (edizioni) a 2, lei ha diciso di smetterla con l'editoria estiva. Nulla di male: anche Fiorello ha abbandonato il karaoke prima che la nave affondasse. Anzi smette­ re ha rappresentato un bene. Personaggi come Piero

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Meldini, di professione bibliotecario, riducono di molto le sue possibilità di diventare pop. Mi spiace dirlo, ma la pubblicazione de L'avvocata delle vertigini è stata davvero la dimostrazione di quanto lei· odi non solo il pop, ma l'intero genere umano. E di come questo odio si diffonda anche su coloro che vengono a contatto con i suoi libri. Quan­ do acquistai il libro, per esempio, chiesi all'arcigna commessa «il romanzo di Maldini». Fosse stata una affiliata alla segretissima società dei Giovani Salmo­ ni, la signora mi avrebbe chiesto, ammiccando, «Ce­ sare o Paolo?». Invece si limitò a correggermi secca­ mente: «Mddini». Il libro, awerte la nota di cope.rtina, è un noir. La copertina stessa però è azzurra e, a leggerla, la storia pare un giallo e in fondo lo è. Ma questa fantasia cro­ matica non basta ancora a fare del libro un'opera pop. Anche perché come giallo il libro delude. L'av­ vocata del titolo non è nemeno lontanamente una collega di Perry Mason. E poi i personaggi sono così pochi che non c'è nemmeno suspence. Se ce l'ho fat­ ta io, chiunque può capire da subito che o' fetiente di turno è il bibliotecario Manara. Altra scelta antipop: chiamare un personaggio Manara e non mettere nemmeno un solo disegno di donnine nude significa perdere una buona parte di lettori. Anche le scelte lessicali operate da Meldini (e da lei accettate) risultano estremamente antipop. Espressio­ ni come sboglientati in olle e lebeti oppure schidionati fanno venire voglia di buttar via il libro a pagina 15. Ma ecco il trionfo della sua misantropia. A pagina 26 si legge: «Dominici era solidale in cuor suo con Manara su una sola cosa: la strenua difesa della bi­ blioteca dall'irruzione degli estranei. Una coerente politica di orari a singhiozzo, regole esoteriche, veti e occhiatacce aveva fatto il vuoto [... ] la Civica Biblio­ teca Giacomo Antonio Passeri non aveva pratica109

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mente lettori». Se lei dawero condivide queste paro­ le, allora lancio l'anatema: CHE I SUOI VOLUMI MARCISCANO INTONSI IN QUELLE STESSE BIBLIOTECHE ALLE QUALI ELLA CI VIETA L'INGRESSO.

E la punizione (orrenda, da girone dantesco) non toccherà solo i suoi libri, ma anche la sua persona. Nei miei sogni più cq1deli la vedo in una festa de L'Unità, a vendere libri su Togliatti e la videocassetta dei funerali di Berlinguer, dietro un banchetto stret­ to tra la friggitrice delle patatine e la pista di ballo li­ scio. Si ricordi, dottor Calasso, che noi possiamo vivere senza di lei, ma lei senza di noi che compriamo i suoi libri sarà costretto a elemosinare cene e refrigerio al­ la tavola (e sotto il ventilatore) di una nota editrice milanese una sera sì e raltra anche. Per aver pubblicato frasi simili dovrebbero arre­ starla per istigazione all'ignoranza e ricostituzione del disciolto partito oscurantista. Dunque ha ragione Edoardo Sanguineti 5 quando dice che lei si rivolge a una ristretta élite intellettua­ le. Ma sa da chi è composta quella élite? Da un tale che se ne sta sdraiato .a leggere un suo libro e, ben­ ché appena raffreddato, finge malori inenarrabili con la moglie tornata a casa zuppa per la pioggia e pronta a somministrargli acido acetilsalicilico6 • Da quel fotografo che, in un'immagine pubblicitaria, immortalò una cameretta per ragazzi, disseminan­ dola di racchette da tennis e audiocassette in un di­ sordine studiato e ponendo su uno scaffale della li­ breria invece dei normali testi scolastici o delle colle­ zioni di manga, l'interl collana Fabula. La sua élite è dunque costituita da fuoriusciti del pop, da esponen­ ti della peggiore pubblicità in stile Barocco brianzolo 110

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che una volta fatta la grana pensano sia giunto il mo­ mento di diventare colti. Ma torniamo a Meldini. A questo punto ci si sarà fatta un'idea talmente antipatica e indisponente del Pessimo che si aspetta solo di incrociarlo a bordo della nostra potentissima Ferrari FSO mentre a notte fonda torna dalla biblioteca in cui lavora. Allora, ap­ profittando del buio e della strada deserta... Ma come ben sanno i tossici che rubano i car ste­ reo, non c'è cristallo d'auto che non abbia un punto debole. Il punto debole di Meldini, quello che scate­ na la rabbia del popolo pop, arriva a pagina 51 quan­ do dice: «Annottava. Lontane, si udivano le ultime grida dei bàmbini che le case andavano inghiottendo e che avrebbero puntualmente risputato l'indomani, più vecchi di un giorno». Questa frase orribile, che sembra tratta da una sceneggiatura rifiutata persino da Dylan Dog, fa crol­ lare tutta l'immagine di colto e raffinato esteta lette­ rario che il signor Meldini ha cercato di costruirsi a furia di paragoni tra il basso continuo e il frinire del­ le cicale, tra il contrappunto e il cinguettio degli uc­ celli. Non ho citato Dylan Dog per caso: tra torture a po­ veri cani randagi, segni cabalistici sule porte delle chiese, tombe spaccate e oscure minacce, Meldini, splatter frustrato, si pone come l'emulazione fallita di Tiziano Sclavi7. Da questo punto in poi il popolo si vendica e ipizia una gara a riconoscere nella scrittu­ ra del povero Pierino (ormai viene spontaneo chia­ marlo così) origini basse. Ecco il ritratto del giudice Bosio che pare tratto da un episodio delle inchieste di Sanantonio, se non addirittura dalle pregiate tavo­ le del fumetto Tangentopolis. Ecco il finale incom­ prensibile, da saga fantasy di serie 5!8. Alla fine, quin­ di, la tensione pop non riesce a essere soffocata e tor111

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na alla luce con la stesia violenza con cui le radici di certi alberi cittadini rompono l'asfalto. So che non si dovrebbero dire queste cose a colui che è direttore editoriale di quella che Giampiero Mughini su Panoran-za, in un eccesso di leccaculi­ smo, ha definito «la più raffinata casa editrice italia­ na». Soprattutto non dovrei dirle io, che sono un fiancheggiatore della «più pecoreccia casa editrice italiana». Ma, vede, io no sempre creduto che la più raffinata casa editrice italiana fosse quella di Franco Maria Ricci. O anche Sellerio. Ecco, non si offenda, semmai lei è l'emulazione fallita della Sellerio. Certo, lo so che Sellerio è nata dopo Adelphi, ma esistono anche casi di emulazione previsionale. Casi in cui un personaggio non emula direttamente un altro perso­ naggio, ma un'idea. Poi, però, arriva qualcun'altro che riesce a incarnare N1.eglio quell'idea. Le faccio un esempio: nel 1980 fu lanciata tale Laura Luca, una cantante che voleva incarnare l'idea di adolescente presa da problemi scolastici, amorazzi e amiche po­ co fedeli. Quando nel 1992 apparve Laura Pausini, la cui aderenza a quell'immagine era senza dubbio più riuscita, la Luca agli occhi dei Giovani Salmoni più esperti divenne automaticamente un caso di emula­ zione fallita previsionale. • Io ritengo che Laura Luca sia come la Adelphi e la Pausini sia come la Sellerio. Lei, come molti altri integralisti estetici, non accet­ terà questa commistione tra alto e basso. Ma l'alchi­ mia insegna che come è l'alto, così è il basso. Se lo faccia spiegare dal suo amico Battiato. E, soprattut­ to, faccia qualche puntatina in basso, ogni tanto. Quindi ora tocca a lei decidere se continuare a scrivere e pubblicare K!lodel indigesti come Le, nozze di Cadnw e Armonia o alleggerirsi e diventare il Fio­ rello della letteratura italiana. A proposito, ha nota­ to? Avrei potuto dire polpettoni indigesti e invece,

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siccome so che lei è un amante della cultura mitte­ leuropea, l'ho gratificata con un bel Knodel! Me ne sia grato, la saluto molto cordialmente

n.d.C.: a Via San Giovanni sul Muro avreste mai conces­ so al proto di far terminare un capitolo a ·pagina nuova con tre righini come concedono ad abundantiam al Viale del Vignola?

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• Note 'La lettera d'accompagnamento, quella di risposta e le sei poesie sono state pubblicate integralmente sul numero 5 di TrashWare, dell'inverno 1992. Chi voglia comunque ri­ cevere le sei poesie può richiederle a Fondazione Labranca - via Dante 12 - 20090 Pantigliate (Milano). 2 Vedi il vergognoso articolo Il club dei goliardi telematici, pubblicato a pagina 13 del Corriere della Sera del 21 gen­ naio 1995 e firmato sem1a pudore da tale Giancarlo Martel­ li, un amante dei vezzeggiativi che dice scherzetto invece di deriva psicogeografica e chiama giornaletto la fanzine. 3 Per le informazioni sull'ordinamento scolastico elvetico ringrazio Il figlio di Ubaldo il falegname, CH-6834 Morbio Inferiore. 4 ln questo testo Franco Battiato viene più volte citato. Non è un caso: l'esoterico musicista, sempre più emulazio­ ne fallita di Philip Glass, è un caro amico di casa Calasso . • 5 Sanguineti lo ha detto in un'intervista di cui lei era il tema, pubblicata il 2 agosto 1995 sul Corriere della Sera. 6 Sarebbe della comune aspirina. Chiedo scusa per que­ sto accenno di letteratura-cruciverba. 7 Ma Dylan Dog incombe anche per un altro motivo sulla cupa casa di via San Giovanni sul Muro. Mi dicono, e io non posso che crederci, che La paura del cielo sia stata sug­ gerita a Fleur da una cugina svizzera appassionata del te­ nebroso investigatore xw-oxeverettiano. 8 ln questo caso la Z non basta, allora ricorro all'ultima lettera dell'alfabeto cirillico, la 5I (pm. 'i-ja'), che viene ad­ dirittura dopo la z.



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Postfazione

Riceviamo e volentieri pubblichiamo Cara nipote, sono in ospedale da due mesi e da due mesi, a parte una cartolina nella quale ti comu­ nicavo di essere ancora viva, non hai mie notizie. Non temere, mia adorata. Non ce l'ho con te per avermi fatto massacrare di botte da due picchiatori solo perché ho raccontato i cazzacci nostri 1 a milioni di lettori. Non ce fho con te: non è colpa tua, non puoi capi­ re, rovinata come sei da tutta questa bruttezza eque­ st'ignoranza che ci rovescia addosso la televisione. È tutta colpa sua se io e te non siamo più riuscite a parlarci, perché, si sa, la televisione ha ucciso la con­ versazione. Povera stellina mia. Già i tempi non sono facili, che sono scomparse le mezze stagioni, c'è il buco nell'ozono -e il sole scotta di più, la carne e le fragole non hanno il sapore di una volta e le discoteche ucci­ dono. Poveri giovani: oltre a tuttequeste disgrazie vi è toccata la iattura della Tv, che vi riempie di schifez­ ze e luoghi comuni che noi, cresciuti quando i treni arrivavano in orario e si andava a dormire con la porta aperta, riuscivamo a evitarci. Insomma, tu non potevi saperlo, ma io ti avevo

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scritto per difenderti, per tenerti lontano da tutta questa bruttezza. Volevo insegnarti quanta poesia c'è in una rosa, in un criceto che muore, nel cucinare le crepes, nel sedersi sotto una quercia. E tu intanto ri­ cevevi dal tuo ragazzo fiori di plastica spruzzati di deodorante Mithikus, hai infilato dei petardi nel se­ dere del gatto, hai mangiato il tonno dell'hard di­ scount e ti sei stesa al sole dopo esserti unta con l'olio della scatoletta. Infine, ti sei litigata con il maiale le ghiande della suddetta quercia. Perciò, questo libro di Tommaso Labranca è per me una sconfitta. Una doppia sconfitta: in primo luo­ go perché è uscito; ed è vergognoso che un oggetto così bello, così nobile, così alto come l'oggetto libro venga insozzato da certa gente e da certi argomenti. In secondo luogo, p;rché questa mia lettera (a dimo­ strazione che l'editore è un cialtrone, ma non bisogna dirglielo perché è così sciocco da vantarsene) questa mia lettera sta qui in fondo, e tu ci arriverai solo dopo aver letto quello che sta prima. (Ti awerto fin d'ora che è inutile che tu mi ti mandi in ospedale altri pic­ chiatori, perché la mia stanza è piantonata a spese di una nota casa editrice milanese). Dicevo: tu avrai gin letto tutto quello che sta prima di queste mie poche righe e avrai ritrovato personag­ gi, film, slogan, profumi e canzoni a te cari. Cosa vuoi che ti dica, io altro non posso che continuare la mia battaglia. Continuerò a scriverti, perché tu, bambina mia, che sei una ragazza intelligente (quan­ do vuoi) prima o poi capirai: tornerò a casa e torne­ rai anche tu, felice con la tua nonna adorata. Rico­ minceremo tutto da_ capo e, vedrai, sarà bellissimo. Niente più Barocco brianzolo, estasi del pecoreccio, 883, Aiazzone, quadri di Tony Dallara, Apocalypse Domani, Franco Squicciarini e pelliccerie Settepiù, Berto Pisano, Demis Roussos, Geschwester Hoff­ mann, Patrizia Rossetti e Cesare Cadeo, Jeff Koons, Carlo Vanzina, Ginia Bellafante, Betty Curtis e Ta-



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ESTASI DéL Pl:'.CURl::.'CC/0

murè, Samantha e Christian, Pooh, Fiorello-Calasso, questa poi: se ci ripenso... il cuore ... il cuore! Aiuto! Infermiera, infermieraaaaaaa! ... TOMMASO PELLIZZARI

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Vedi che anch'io, se voglio, so parlar giovane.

BIBLIOTECA COMUNALE DI MILANO

11111111111 111 * 5 9 O 2 7 O *

INDICE



Estasi del pecoreccio

Perché non possiamo non dirci brianzoli

La canzone del sola •

5

Parte prima. Barocco brianzolo

7

Brianzanet Titolari del nulla La classe non è acqua Noi due in Brianza e nell'anima Concetto spaziale: l'omelette • Trashion! Il profumo del successo Come perdere la fede ... Naomi e Noemi Il pecoreccio e l'estasi

9 13 16 23 38 43 48 53 58 63

Parte seconda. Baricco brianzolo

71

C'est pire qu'en Algéde Bufale Osteosintesi con schegge autologhe L'avanguardia mutualistica La letteratura cruciverba

73 76 81 87 91

Come si diventa Albertino «Sanremo-Weimar solo andata, grazie»

93 94

Extra Track

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Come si diventa Fiorello

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Postfazione di Tommaso Pellizzari

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• Finito di stampare nel mese di settembre 1995 da Graffiti srl Via Diomede Marvasi 12/14, Roma per conto di CA�TELVECCHI

Editoria & Comunicazione srl

Coatti si nasce, brianzoli si diventa: non è necessario essere venuti alla luce sotto il cielo dÌ trucioli e diossina che grava su Meda e Seregno. Questa Brianza, infatti, non corrisponde all'omonima sottoregione lombarda, non è un luogo geografico, ma una dimensione dell'anima, un Nirvana della volgarità e dell'esagerazione che dà vita a un vero e proprio stile estetico (di cui questa raccolta di saggi costituisce la prima sistematica trattazione): il Barocco brianzolo. Tutti ne siamo iQteressati, e quanto più forte si fa la nostra paura del pecoreccio, tanto più profondamente siamo destinati a cadere in questa dolce trappola. Il profumo di Patrizia Rossetti, l'anelito aulico di letterati misantropi, le museizzazioni dei cataloghi Euronova operate da Jeff Koons, i quadri di Tony Dallara, i continui rimandi sessuali del Cantaitalia, l'odio feroce verso il popolare espresso da Roberto Calasso... Sono tutti tentativi di isolarsi in cima a un Olimpo inesistente, miglia lontano da quel pecoreccio che, a chi sa osservarlo e amarlo, regala l'estasi. Tutti tentativi falliti in partenza: poiché, ormai è chiaro, non possiamo non dirci brianzoli. Tommaso Labranca (Milano, 1962) vive a Pantigliate, dove lavora come traduttore di manuali tecnici dal tedesco. Ha già l!)Ubblicato per Castelvecchi Andy Warhol era un coatto. Vivere e capire il trash ( 1994).

ISBN 88-86232-45-4

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