Esercizi di esodo. Linguaggio e azione politica


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Italian Pages 218 Year 2002

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Esercizi di esodo. Linguaggio e azione politica

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ombre corte / cartografie ·

Paolo Virna

Esercizi di esodo Linguaggio e azioQe politica

Indice

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, 11 • 19

, 29 57

93 • 103 111 119 128 133 138 141 144 146 148 150 153 155

Avvertenza Prologo I rompicapo del materialista La tradizione del pensiero critico Il postmoderno a contropelo Ambivalenza del disincanto Un dedalo di parole. Per una analisi linguistica della metropoli Linguaggio e buona vita La chiacchiera e la curiosità Il linguaggio sul palcoscenico Infanzia e pensiero critico Afasia e libertà di parola La città dei luoghi comuni Orrore familiare Vite in corsivo, vite tra virgolette Esprit d' éscalier Il nome dell'amata La volgarità dell'Oracolo Lo Spirito e il gadget Elogio del numismatico Parole da tacere Felicità in vetrina

Sull'arte di dire di no. Generai lntellect e lavoro vivo

161 167 173 J 179 , 185 188 , 192 /197 4 202 205

Citazioni di fronte al pericolo Parassitismo del lavoro salariato Il futuro alle spalle. Note sul 1977 Dell'Esodo Diritto di resistenza Fanone la metropoli Apparenze postfordiste Ali' epoca del flipper Piccoli sovversivi vanno al cinema Tesi sul nuovo fascismo europeo Pro domo nostra

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La sconfitta e l'errore Dietro l'Eden del diritto

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Bibliografia Fonti

Awertenza

Il libro raccoglie saggi e articoli scritti per la gran parte tra il 1988 e il 1993, nella stagione breve e felice di "Luogo comune". Durata appena quattro numeri, quella rivista fu tuttavia meno effimera di certe pubblicazioni che si trascinano per decenni. I testi analizzano la produzione sociale e le forme di vita metropolitane giovandosi a piene mani di concetti tratti dalla filosofia del linguaggio: la distinzione aristotelica tra i "luoghi comuni" e i "luoghi speciali" del discorso, le diverse forme di afasia censite da Jakobson, la portata etica del futuro anteriore, e così via. Non si tratta di caldeggiare qualche insipido compromesso interdisciplinare, ma soltanto di afferrare con il pensiero ciò che contraddistingue il tempo nostro: la sopravvenuta simbiosi tra facoltà di linguaggio e lavoro, l'inerenza della "vita della mente" (compresi gli affetti e le tonalità emotive) ai rapporti di produzione, il fatto che la prassi umana si applica nel modo più diretto all'insieme di requisiti che rendono umana la prassi. In una situazione siffatta non dovrebbe meravigliare più di tanto se nozioni logiche o semantiche si convertono in categorie etico-politiche. I saggi raccolti in questo volume si limitano a indicare la necessità di tale conversione. Mostrano un sentiero, ma solo di rado vi si inoltrano. Meritano dunque di venir giudicati con severità per la titubanza che li affligge, non certo perché si siano spinti troppo innanzi.

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Le aspre questioni filosofiche, che affiorano qui e là in forma ellittica, sono state affrontate distesamente in altri miei lavori: Convenzione e materialismo (Theoria, Roma 1986), Mondanità (manifestolibri, Roma 1994), Parole con parole. Potere e limiti del linguaggio (Donzelli, Roma 1995), Il ricordo del presente. Saggio sul tempo storico (Bollati Boringhieri, Torino 1999). A loro volta, gli accenni di teoria politica hanno trovato un proprio sviluppo sistematico nel saggio Virtuosismo e rivoluzione (che di Mondanità costituisce l'appendice). L'eventuale pregio dei testi che seguono fa tutt'uno con le innegabili loro tare: assenza di cautele, carattere spurio o anfibio, tono perentorio. Come ogni cantiere a cielo aperto, anche questo può venir scambiato per un cumulo di rovine. Rischio trascurabile, però, rispetto allo sgomento che incutono certe leziose casette progressiste o postmoderne, con i sette nani di legno che ammiccano dal giardino. Senza l'insistenza di Gianfranco Morosato, la cui gentilezza ha qualcosa di spietato, questa raccolta non sarebbe mai venuta alla luce.

Prologo

I rompicapo del materialista

1. A indagare la relazione tra vita e filosofia può rinunciare chiunque tranne il materialista, per il quale è un punto di onore dimostrare la genesi non teorica della teoria. Il

materialismo, tutto sommato, non è altro che la filosofia dell'unità di vita e filosofia. Senonché, per una sorta di maleficio, esso resta sempre al di sotto del compito suo. Sembra destinato a oscillare tra due ruoli ugualmente marginali: l' en/ant terrible che spernacchia gli adulti e lo scemo del paese cui talvolta è consentito enunciare verità sconvenienti. Ribaldo o ingenuo, comunque in stato di minorità. Tanto meno. convincente, quanto più è nel giusto. Perché questa durevole impasse? Due sono le principali "maschere di carattere" con cui il materialista si presenta sulla scena: la prima, parodica eco del marxismo, ne fa un sociologo della conoscenza; la seconda, più arcaica, gli assegna la parte del sensista. Entrambe le maschere tradiscono una certa gracilità del personaggio.· Nel caso in cui prevale la sociologia della conoscenza, massimo è lo sforzo per mettere in luce i condizionamenti storico-sociali del pensiero astratto e smentirne così la pretesa purezza. Intenzione irreprensibile, che però diventa contraddittoria allorché sono proprio i rapporti storico-sociali a provocare la drastica scissione tra sapere ed esperienza empirica. Nella modernità capitalistica, la separazio-

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ne tra "teoria" e "vita" cessa di essere l'illusione vanitosa del teorico, costituendo invece il risultato materiale di condizioni materiali. Sicché, negare l'effettiva autonomia del pensiero significa dar prova di smaccato idealismo. Non vi è nulla di più astorico, anzi di più iperuranico, che cercare gli odori del tinello di casa nelle categorie teoriche. Così facendo, si subisce supinamente la micidiale potenza pratica di queste ultime; tanto più inermi, quanto più si è convinti di saperla lunga. Il sociologo della conoscenza corre in tondo, prigioniero di un ironico paradosso: ha torto nella precisa misura in cui ha ragione. Nella teoria non vi sono tracce dell'immediata prassi vitale proprio perché questa prassi, organizzata nel modo capitalistico di produzione, ha reso la teoria una forza indipendente. Anziché soffermarsi sulle cause assai terragne di tale indipendenza, il materialista-sociologo la esorcizza con uno sberleffo. C'è di peggio: costui non solo manca la presa sullo statuto del sapere, ma si lascia sfuggire anche la "società" in nome della quale crede di parlare; non si avvede dei nessi astratti ("astrazioni reali", diceva Marx) che la pervadono e la fanno coesa. Di essi dà conto con maggiore realismo, seppure indirettamente, proprio quel pensiero "puro" che il sociologo si proponeva di smascherare. Il Soggetto trascendentale kantiano, mai riducibile ai singoli soggetti empirici, coglie la verità impersonale dei rapporti di scambio meglio di qualsiasi indagine sul campo. C'è più storia e più "vita" nelle categorie apriori della Critica della ragion pura che non in Voltaire e La Mettrie. Nella figura di un imperturbabile intelletto autonomo, l'epoca della merce e dei suoi "capricci teologici" risuona con un nitore sconosciuto a chi si illude di afferrarla con mano svelta. 2. Benché desueta, risulta ancora oggi più radicale e promettente l'inclinazione sensista del materialismo. Suo tema dominante è l'ombra che il corpo getta sul pensiero, il ruolo che il sensibile gioca nell'astrazione che vorrebbe cancellarlo.

I ROMPICAPO DEL MATERIALISTA

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L'istanza profonda dei materialisti consiste, secondo Adorno, nel far presente con modi assai ruvidi alla conoscenza ciò che essa è costretta a dimenticare, ossia le impressioni di piacere e di dolore che non mancano mai di contraddistinguere la percezione sensoriale [Adorno 1973: 373-8]. Questa brusca rammemorazione ha valore polemico: contro tutte le scene madri della metafisica, il materialista ricorre a un coup de scène assai triviale, reintroducendo d'improvviso nei luoghi della logica l'immagine del corpo che gode o che soffre. Egli profitta dell'imbarazzo così suscitato per far balenare il punto irrinunciabile: non è concepibile alcun rapporto tra logos ed ethos (ovvero tra filosofia e politica), se non andando alla radice del rapporto tra logos e aisthesis (tra teoria e sensazione). S.olo nella_,,,c.QO.;.,, nessi~lpensiero conjL11ia,çe1.rie,,ç.oni1gQlméJJ~eti.ça ~· 1.~_J?.2.liti1:a.tr.Q.Y.at1-Q_lLU.JQ.lldameut.Q.JJ.QJJ...irri.s.o.tiQ.. Il materialismo perviene alla sua particolare dignità come istanza radicalmente critica, intermittente resa dei conti, provocatoria interrogazione sulla felicità. Invece, non appena pretenda di erigersi a sistema positivo, sembra condannato alla più scoraggiante indigenza teorica. Sono noti i suoi leit-motiv: elogio dell'esperienza immediata, assenso nei confronti dei procedimenti induttivi, una grossolana teoria del "rispecchiamento", conformistico adeguamento al senso comune. Questo armamentario concettuale resta ai margini dei sentieri effettivamente battuti dalla scienza moderna, il cui stile ipotetico-deduttivo contraddice o svaluta la percezione diretta. Ma a che cosa è dovuta l' ingenuità del materialismo sul terreno gnoseologico? In tanta sprovvedutezza non è forse da ravvisare l'obliqua difesa di una istanza radicale? Non si tratta del cameriere di Hegel, che storce il naso, sornione e incredulo, allorché il suo padrone demolisce la "certezza sensibile", negando valore di conoscenza vera al1' asserzione "qui e ora vedo un albero". Il materialista, che non è un cameriere, avanza la sua obiezione non discutendo da principio se il qui-e-ora sia una conoscenza effettiva, ma segnalando l'intollerabile obiezione che lo mina: per

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parlare davvero di sensazione, bisogna dire "qui e ora vedo un albero con piacere o con dispiacere". Ma questa rivendicazione del carattere integrale e non scomponibile della percezione ha poco successo, per un motivo intuibile: perché non ha sviluppo alcuno. Infatti, per andare oltre la sensazione e garantirsi un sapere universale, occorre mettere da parte piacere e dolore, e anzi metterli da parte, con effetto retrospettivo, già nella stessa sensazione. Ed è allora, ma solo perché costrettovi dal fallimento della propria genuina richiesta, che il materialista aderisce a quelle teorie della conoscenza che, più di altre, sembrano lasciargli aperta qualche possibilità di riproporla. L'induzione, il "rispecchiamento", il senso comune non sono opzioni inevitabili, ma punti di appoggio ritenuti opportuni per riprendere - semmai in modi indiretti e mascherati - un discorso non mutilato sul sentire corporeo. L'accettazione della "certezza sensibile" quale solido fondamento della conoscenza è soltanto un ripiego provvisorio, adottato con astuzia, per porre al riparo una istanza di completezza della percezione. In una parola: il minore dei mali, l'errore meno grave. Alla radice dell'ingenuità epistemologica del materialismo sta la speranza, tutt'altro che ingenua, di far valere la coppia piacere/dolore perfino all'interno della teoria più rarefatta. Speranza di grana fine, e degnissima, la cui realizzazione è però sempre rinviata. Anche il materialista-sensista, con i suoi coups de scène e le sue verità imbarazzanti, rimane una figura marginale. 3. Per misurare tutta la difficoltà in cui versa la difesa filosofica della vita sensibile, conviene far cenno a Feuerbach, svillaneggiato protagonista del materialismo moderno. Egli scrive: "La filosofia deve quindi cominciare non con sé, ma con la sua antitesi, con la non filosofia. Questo principio presente in noi, e diverso dal pensiero, è il principio del sensualismo" [Feuerbach 1843: 188]. La vita è il soggetto grammaticale, il pensiero un suo predicato: non viceversa. I sensi sopravanzano i concetti; in questi mai trapassa del tutto l'esperienza di quelli. Ciò che è avvertito nel si-

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lenzio del tatto si mantiene indipendente dalla potenza speculativa del linguaggio. Ma davvero il sensualismo può venir preso come indubitabile punto di avvio? Leggendo Feuerbach, si prova la curiosa impressione che egli abbia ragione e torto a un tempo. Ragione, a insistere senza posa sull'autonomia del sensibile. Torto, perché questa autonomia è veramente tale solo se introdotta e, per così dire, legittimata dal pensiero verbale. Che il corpo, o la "vita", possa guadagnare un luogo proprio e un risalto soltanto a partire da costrutti linguistici, anzi per opera loro, questo è il lato meritoriamente messo in luce dagli avversari del materialismo. Hegel, nelle prime e crucialissime pagine della Fenomenologia dello spirito (dedicate, come ognun sa, a parolette come 'questo', 'ora', 'qui') aveva pur chiarito clie.iLs.eti.sibile.E~ èjfil_çlf!tO-~~s21.~tQ,Jlla..au.cura

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