Elogio della menzogna - Per una storia naturale dell'inganno 88-339-1134-9

«Là dove impera la legge del divorare e dell'essere divorati, le irrinunciabili massime di vita si chiamano camuffa

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Italian Pages 297 Year 1999

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Table of contents :
1. « Menzogna e inganno son del mondo aratro e carro »: invito ad assolvere un vizio

2. Quando la bugia è necessaria: fini e mezzi sulla bilancia dell'etica

Platone: l'ignoranza è menzogna
Sant'Agostino: mente chi vuole ingannare
Lutero: « alle volte, una buona, robusta bugia »
Machiavelli: il Principe non tema di mentire
Jhering: non si vive per amor di verità

3. La corsa agli armamenti, tra predoni e prede: alcune considerazioni di rito sull:inganno interspecifico

L'inganno come questione di stile
L'eterno triangolo del mimetismo

4. Quand'è che le bugie hanno le gambe lunghe? Qualcosa di nuovo sull'inganno intraspecifico

In principio era la Verità: o no?
Il bene della specie: un errore
I confini del bluff
Informazione come manipolazione

5. Darsela a bere, tra scimmie: l'inganno tattico nei primati

Duecentocinquantatré aneddoti
Occultare Distrarre Allettare
L'impiego di utensili sociali
Ingannare l'ingannatore

6. Gli animali leggono nel pensiero? I livelli della rappresentazione mentale

Mentalismo contro comportamentismo
La ricerca di spiegazioni semplici
Io penso che tu pensi che lui pensa
Lo specchio della conoscenza di se stessi

7. Logica dell'autoinganno: mentire senza arrossire

La pelle la sa più lunga del cervello
La repressione dei sentimenti
La vita come teatro della sopravvivenza
La fede può smuovere le montagne
La fiammella della menzogna vitale

8. Errori e confusioni nel commercio amoroso: inganno e autoinganno nell'ambito sessuale

Metafisica dell'amore sessuale
Seni, fianchi e ovulazione nascosta

9. Il linguaggio traveste le idee: della lusinga cortese e della gioiosa affabulazione

Il « bon ton» della falsità
Utilità delle fiabe

10. Psicologia della morale: la verità sulla menzogna è triste ma vera

Sociobiologia: dovere ed essere
I cani mordono sempre il primo

Note

Bibliografia

Indice dei nomi

Indice analitico
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Elogio della menzogna - Per una storia naturale dell'inganno
 88-339-1134-9

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«Là dove impera la legge del divorare e dell'essere divorati, le irri­ nunciabili massime di vita si chiamano camuffamento, inganno, men­ zogna, ragiro. Nella gara tra predatori e prede, ad avere le game .lunghe sono le bugie, non la veridicità che ama esser creduta: men­ tire e ingannare fanno parte della lotta interspecifica per la soprav­ vivenza. Questa però è solo una parte della verità. Poiché la pia apparenza, secondo cui gli individui della stessa specie costituireb­ bero un mondo in cui i maschi e le femmine cinguettano, ammiccano o traspirano odorosi sentori per indicarsi reciprocamente il cammino, e in cui i padri e le madri mettono in guardia i loro piccoli dai peri­ coli della vita, è dawero ingannevole». Attraverso un serrato confronto tra una vasta letteratura filosofica, sociologica e antropologica e i più recenti risultati della ricerca bio­ logica ed etologica, Sommer fa qui piazza pulita della convinzione generalmente diffusa che menare per il naso i propri conspecifici sia una peculiarità dell'uomo, oppure una manifestazione collaterale della cultura. Nella prospettiva della moderna biologia evoluzioni­ stica, la menzogna attraversa l'intero mondo animale e vi svolge una precisa funzione, che non coincide affatto con il principio della con­ servazione della specie. Triste verità di cui - awerte Sommer occorre prendere atto senza illusioni, non già per ricadere in nuove forme di darwinismo sociale o biologismo normativa, ma per -e alla nostra immagine della natura e dell'essere umano e ai nosri stessi ideali etici una base più realistico e consapevole.

Volker Sommer, nato nell954, ha compiuto studi di biologia, chimica e teologia all'Università di Gottinga ed è atualmente professore di antropologia evoluzionistica aii'Universiy College di Londra. a svolto originali ricerche sul comportamento sociale e sessuale dei ri­ mati, in articolare delle scimmie antropomorfe, nelle regioni deti­ che del subcontinente indiano.

Saggi scientifici

Volker Sommer

Elogio della menzogna Per una storia naturale dell'inganno

Bollati Boringhieri

Prima edizione gennaio 1999 © 1999 Bollati Boringhieri editore s.r.L, Torino, corso Vittorio Emanuele Il 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Stampa tre di Torino ISBN 88-3 39-1134-9

Titolo originale Lob der Luge. Tiuschung und Selbstbetrug bei Tier und Mensch © 1992 C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung (Oscar Beck) , Minchen

Traduzione di Piero Budinich Stampato su carta palatina delle Cartiere Miliani Fabriano

Indice

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r.

« Menzogna e inganno son del mondo aratro e carro » : invito ad assolvere u n vizio

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2.

Quando la bugia è necessaria : fini e mezzi sulla bilancia dell'etica Platone: l'ignoranza è menzogna, I7 Sant'Agostino: mente chi vuole ingannare, I9 Lutero: « alle volte, una buona, robusta bu­ gia», 26 Machiavelli: il Principe non tema di mentire, 28 Jhe­ ring: non si vive per amor di verità, 3 I

34

3. La corsa agli armamenti, tra predoni e prede: alcune

considerazioni di rito sull:inganno interspecifico L'inganno come questione di stile, 34 metismo, 45

57

L'eternòtriangolo del mi­

4· Quand'è che le bugie hanno le gambe lunghe? Qualcosa

di nuovo sul'inganno intraspecifico In pincipio era a Verità: o n?, 57 il bene della secie: un errore, 63 I confini del bluff, 66 Informazione come maiolazione, 74

84

5. Darsela a bere, tra scimmie: l'inganno tattico nei primati Duecentocinquantatré aneddoti, 84 Occultare Distrarre Allet­ tare, 90 L'impiego di utensili sociali, 108 Ingannare l'ingan­ natore, II3

rr7

6 . Gli animali leggono nel pensiero? I livelli della rappresentazione mentale Mentalismo contro comportamentismo, II7 La ricerca di spie­ gazioni semplici, I23 Io penso che tu pensi che lui pensa, I29 Lo specchio della conoscenza di se stessi, 135

6

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INDICE

7· Logica dell'autoinganno : mentire senza arrossire La pelle la sa più lunga del cervello, I5I La repressione dei sen­ timenti, I58 La vita come teatro della sopravvivenza, I66 La fede può smuovere le montagne, I70 La fiammella della menzo­ gna vitale, I8o

r87

8 . Errori e confusioni nel commercio amoroso : inganno e autoinganno nell'ambito sessuale Metafisica dell'amore sessuale, I87 nascosta, I94

205

Seni, fianchi e ovulazione

9· Il linguaggio traveste le idee : della lusinga cortese e della

gioiosa affabulazione Il« bon ton» della falsità, 205

2r6

Utilità delle fiabe, 2IO

r o . Psicologia della morale: la verità sulla menzogna è triste ma vera Sociobiologia: dovere ed essere, 2I6 primo, 224

235 253 27 9 285

Note Bibliografia Indice dei nomi Indice analiico

I cani mordono sempre l

Elogio dela menzogna

Capitolo

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« Menzogna e inganno son del mondo aratro e carro » Invito ad assolvere un vizio

Ci aggrappiamo alla menzogna della forza della ve­ rità, rifiutandoci di ammettere la verità del potere della menzogna. Henryk Broder 1

« Nei miei viaggi giovanili, e soprattutto nei trentatré anni spesi al servizio della legge, ho visto e udito truffe e imbrogli di ogni specie, e giacché sì frequenti e pietose sentivo levarsi per ciò le la­ gnanze, mi è sovvenuto che non senza merito sarebbe, presso i miei fratelli in Cristo, svelare alcuni fatti » . Così il giurista e scrit­ tore Georg Paul Honn ( 1 66 2 - 1 747) nella prefazione, datata 20 di­ cembre 17 20, alla prima edizione del suo Beugs-Lexicon [Lessico degli inganni], un catalogo sistematico « delle più diffuse truffaldi­ nerie di ogni classe sociale, e di buona parte de' mezzi che posso­ no essere usati di contro ad esse » . 2 Fine dichiarato dell'autore è «levare il coperchio al calderone degli imbrogli e, dicendo pane al pane, mettere alla berlina l'azione disonesta che si cela dietro le melliflue apparenze ». Perché, commenta, « nessuno, a mia cono­ scenza, v'ha mai accostato la mano per tema di scottarsi ». Ben cinque edizioni e innumerevoli ristampe testimoniano. dell'eco vastissima di quell'opera . Honn concentra la sua attenzione su falsificazioni di merci e traffici illegali di categorie e gruppi sociali della sua epoca. Nella maggior parte dei casi si tratta di tentativi di barare sulla quantità o sulla qualità di un determinato prodotto . I fornai, ad esempio, «comprano per vil pecunia grano vecchio, ammuffito e mezzo mangiato dai vermi, sicché non solo la farina è nera, ma il pane che se ne ricava ha un gusto orrendo, e tuttavia quel pane essi lo vendono a caro prezzo, come fosse di quello buono ». E non è tut­ to, perché « essi vendono i pani in misura non pari a quella stabili­ ta, ma di molto più piccola e misera » . 3 I calzolai, dal canto loro,

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CAPITOLO PRIMO

gabellano scarpe usate per nuove, previa riverniciatura delle suole e accurata ripulitura, mentre i conciatori, che non sono da meno, rifilano al cliente « pelli di pecora e capra anziché di montone » . 4 Del resto, ricorda Honn, già il popolare predicatore Abraham a Sancta Clara invitava, nel suo ]uas der Ezschelm ( r 686-95), a non farsi la minima illusione sulla morale dei commerci: « Se si do­ vesse piegare un albero per ogni bugia dei venditori, in breve un bosco intero sarebbe tutto curvo » . 5 Nel Capitale Karl Marx dà la parola al chimico francese Jean-Baptiste-Alphonse Chevallier, che a quel tempo conosceva ben IO metodi di adulterazione del burro , 1 9 del latte, 20 del pane, 23 dell'acquavite, 24 della farina, 2 8 del cioccolato, 30 del vino e 32 del caffè .6 Indubbiamente, è nello spi­ rito del capitalismo (o forse, nella natura umana?) l'esplorare sem­ pre nuove vie per incrementare il « valore aggiunto » di un bene . Questa tendenza perdura in Europa alle soglie del terzo millennio, fornendo ai quotidiani continui spunti per titoli a caratteri cubita­ li: zucchero nei vini della Mosella, Bardolino al glicole e, dall' Ar­ gentina, carne di canguro al posto del filetto . E via di questo pas­ so. Acquistano così un carattere di evidenza due probabili ascen­ denze etimologiche della parola tedesca Luge (menzogna) : quella che fa capo alla voce paleoslava lovu, che significa « bottino », e quella che procede dal latino lucrum, « guadagno » . 7 Del resto, mentire sulla quantità e l a qualità d i ciò d i cui effetti­ vamente si dispone è cosa che fa già lo scimpanzé, quando rizza l pelo per sembrare più grande . Il mondo della cultura e quello naturale sono per molti versi simili, perché (ed è proprio questo l'oggetto della presente trattazione) essi sono riconducibili a una lontana origine comune . Nessun dubbio, per il summenzionato Honn, che fin dai primordi dell'umanità il ricorso a sotterfugi fa­ cesse parte dell'arte d'arrangiarsi, ben prima dunque che la coppia dei progenitori imparasse a servirsi, dopo la cacciata, del telaio e dell'aratro : « Menzogna e inganno son del mondo aratro e carro ! Antica quanto il mondo è l'arte di mentire, e l'una all'altro si con­ fanno . Il principe del mondo, e creator d'inganni, compì con Eva, la madre di noi tutti, il suo capolavoro, con Eva che ingannò sì atrocemente che lei e noi, la sua progenie, pianger ne potremo senza fine » . 8 Per contro , la moderna etologia ritiene che un giardi­ no dell' Eden, regno di innocenza, non sia mai esistito . La menzo-

«MENZOGNA E INGANNO SON DEL MONDO ARATRO E CARRO»

II

gna non è una macchia delle creature solo da quando il genere umano cadde vittima delle arti del diavolo . Orsi e capretti, lupi e agnelli non son mai stati fianco a fianco in pace . Né i leoni hanno mai brucato l'erba . Anzi, nel giorno che prepara l'ingresso dell'uo­ mo sulla scena del mondo, le buone creature di Dio erano già tutte intente a tessere una grande tela di reciproci inganni. La menzogna onnipresente tuttavia non provocò l'istupidimen­ to . Quel briciolo di intelligenza che, nella nostra arroganza, con­ cediamo alle pecore, esse lo hanno sviluppato solo perché hanno dovuto costantemente guardarsi da lupi travestiti da agnelli . L'a­ mericano Robert Trivers, voce autorevole della moderna biologia evoluzionistica, sospetta addirittura che gran parte delle strutture fondamentali della psiche - invidia, senso di colpa, gratitudine, simpatia, diffidenza, amnesia - si sia formata nel nostro cervello per selezione naturale affinché noi si possa smascherare prima e meglio le altrui trame, evitando al tempo stesso di dare nell' occhio con le nostre finte manovre . Vi è una qualche probabilità che nel corso dell' ominazione, il processo evolutivo che ha condotto al­ l'Homo sapiens, il nostro cervello sia aumentato di volume e abbia sviluppato le sue spiccate abilità logico-matematiche proprio per la necessità di far fronte a sempre più sottili forme d'inganno e di su­ perare i sistemi di sicurezza sempre più perfezionati presenti nel cervello dei nostri simili. 9 Un'altra merce, sempre più esplosiva, è dunque da tempo og­ getto di manipolazione : l'informazione . Di nuovo Honn agita la frusta. Professori e accademici, ammonisce, « spacciano moneta falsa allorquando ne' loro collegi, anziché esporre i fatti, indulgo­ no in facezie e lepidezze per attirare a sé un più largo pubblico ». 10 È probabile che anche questo libro venga giudicato poco serio da quanti, nel mondo accademico, reputano insensato parlare di menzogna al di fuori dell' ambito culturale umano . Meglio dunque essere chiari fin dall'inizio : l'infelice idea di tener separato l' « uo­ mo » dalla « bestia » è un moscerino di cui occorre infine liberare l'occhio dell'indagine scientifica . Di certo l'uomo, per i suoi tratti peculiari, si distingue dagli altri viventi, ma è innegabile che ogni specie ha caratteristiche irripetibili che la rendono unica: finiamo­ la, una buona volta, di considerare l'apparato cognitivo umano co­ me la misura d'ogni cosa. E se poi volessimo proprio entrare in

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CAPITOLO PMO

competiZIOne, scopriremmo che le altre creature sono capaci di molte prestazioni che all'uomo sono precluse. Un'ape domestica riconosce la radiazione ultravioletta senza bisogno di appositi oc­ chiali ed è miracolosa la capacità di una volgarissima zecca di co­ gliere le più infime tracce di acido butirrico . Oltre a queste differenze tra le specie, la biologia evoluzionisti­ ca studia innanzitutto quel che esse hanno in comune, i rami anti­ chi della loro storia, precedenti l'inizio delle singole evoluzioni . Il paragone con i nostri parenti più prossimi - i primati, e in partico­ lare le scimmie antropomorfe - può insegnarci in effetti molte co­ se sulle nostre origini e, chissà, aiutarci a vedere meglio nel nostro futuro. Un tale esame mostra che un filo rosso, evidentissimo , at­ traversa da un capo all'altro la trama dello spirito : per l' appunto la menzogna. Ogni tentativo di ricostruire un'evoluzione complessa può con­ cludersi in un fallimento . Honn lo sapeva bene . E lo stesso ambito editoriale è tutt' altro che immune da frodi e inganni. Puntualmen­ te, il nostro mette in guardia i lettori dagli autori disonesti, i quali « truffano: quando ai loro libri danno titoli grandiosi e magnifici, e in essi promettono più di quel che vi si trovi; quando fanno mol­ te e dettagliate digressioni e mischian cose che con l'argomento nulla hanno a che vedere, solo perché col maggior numero di pagi­ ne aumenti il compenso dell'editore; quando disprezzano i libri degli antichi, epperò attingono proprio da quelli, senza poi neppu­ re menzionarli, e così da molti libri compilano uno scritto che pubblicano come frutto della loro invenzione; quando riportano passi della Bibbia, dei venerandi padri della Chiesa, del Copus Ju­ is e di altri buoni scritti, ma il meglio tralasciano e soprattutto omettono, a guisa di Satana, quel che è contro alle tesi loro; quan­ do nelle prefazioni ricordano che dotte ed eccellentissime persone li incoraggiarono a pubblicare il loro scritto a beneficio degli stu­ diosi o del pubblico, laddove soli li mossero l'ambizione e il loro particulare ». 11 Honn mette infine in guardia dagli editori che « ai loro cattivi li­ bri mettono innanzi prefazioni di nobili signori e di tali raccoman­ dazioni si servono come di specchio per le allodole » . E osserva che altri, più discretamente, « fanno recensire i libri con molti elogi dai signori giornalisti nei loro mensili, affinché tanto più lesti e deside-

«MENZOGNA E INGANNO SON DEL MONDO ARATRO E CARRO»

rosi accorrano i compratori » Y Un doppio vantaggio per l'autore, cui restano - punto da non sottovalutare - le mani pulite . Il titolo di questo saggio (e il lettore potrà dire alla fine se le « menzogne » denunciate da Honn sono contenute anche in esso) riecheggia, non a caso, l celebre e tuttora molto letto Elogio dela Pazzia (il cui titolo originale è YEyxw,wv ,weiaç, seu aus stultitiae) di Erasmo da Rotterdam, scritto nel giro di pochi giorni, nell' esta­ te del r508 . Il titolo costituisce in realtà un gioco di parole sul no­ me del suo amico e anfitrione Sir Thomas More, dato che in greco antico la voce moros significa appunto « pazzo » . L' Elogio dela Pazzia è uno scritto animat. da una lieve spensieratezza, nel quale l grande umanista annuncia un duplice messaggio : la pazzia è sag­ gezza, la presunta saggezza non è che pazzia . Nel suo incessante additare errori e debolezze propri e altrui, l'intelligenza critica uc­ cide la gioia di vivere , mentre la stultitia infonde nell'uomo vita­ lità e ottimismo e, spezzando le sue catene, gli dà modo d'innal­ zarsi alla vera libertà . Erasmo lascia che la Pazzia stessa parli a propria autodifesa: « A questo punto voglio esprimere tutta la mia delusione sul conto degli uomini per la loro ingratitudine, dirò, o piuttosto per la loro indifferenza . Senza dubbio essi mi prodigano i segni del più vivo ossequio e volentieri assaporano i miei benefi­ ci, ma non c'è mai stato un cane in tanti secoli che mi abbia mo­ stra to la sua riconoscenza celebrando le mie lodi » . 13 Ciò che viene comunemente deplorato, afferma Erasmo, è vice­ versa una molla fondamentale dell'energia vitale . Non altrimenti è fosca la fama che circonda la menzogna, mentre la verità, sua vir­ tuosa sorella, viene continuamente portata in processione . Ma è tempo ormai che ad essa si renda giustizia, poiché un esame non superficiale mostrerà che tutti ne siamo, eccome, zelanti servitori e che, lungi dal recare solo fastidio, essa assolve a molte utili fun­ zioni. E del resto, ove la Pazzia di Erasmo si pavoneggia : « lo non sono una fintona che altro mostra in fronte e altro nasconde nel cuore » , 14 più simile di lei a saggezza appare la discreta, ben dosata bugia . Un motivo in più per rivolgere un cordiale benvenuto alla menzogna ; e mettiamoci anche i suoi parenti spirituali, quelli che ritroviamo nel dizionario dei sinonimi, sotto le colorite espressio­ ni di cui la nostra lingua è generosa: falsità, bugia, artifizio , ingan­ no , invenzione, simulazione, contraffazione, sofisticazione, e poi

CAPITOLO PMO

mendacio, balla, frottola, fandonia, fanfaluca, favola, panzana, ciancia, bomba, bufala, bubbola, buggera, fallacia, impostura, mil­ lanteria, carota; e, per chi le spaccia, cantafavole, contapalle, bal­ lista, pifferaio, faccia di bronzo, faccia tosta (o di talla), gesuita, doppiogiochista, voltagabbana; e infine, per l'atto di raccontarle, far l'indiano, rigirare la frittata, cambiare le carte in tavola, ab­ bindolare, buggerare, infinocchiare, darla a bere, prendere per il naso, per i fondelli, vendere fumo . . . E chi più ne ha più ne metta. I simpatizzanti del partito dei bugiardi, si capisce, sono rari, ma per fortuna vi è chi non ha perso il gusto di andare controcorrente e lancia talvolta il sasso nello stagno . Come Henryk Eroder, il quale mostra di apprezzare i vantaggi del « pensiero obliquo ». Im­ maginate quel che accadrebbe, si chiede l'articolista della « Sid­ deutsche Zeitung », se gli uomini a un tratto decidessero di pren­ dere alla lettera il precetto che impone di dire, sempre e comun­ que, la verità; se la piantassero di fingere e si dicessero in faccia quello che realmente pensano gli uni degli altri: « Sarebbe la fine di ogni relazione, privata, pubblica e professionale; minata alla ba­ se nelle sue strutture portanti, la società crollerebbe su se stes­ sa ».15 A riprova del fatto che non sempre le bugie hanno le gambe corte, Eroder ricorda maliziosamente le lunghe e fortunate carrie­ re, costruite sulla credulità altrui, di taluni grandi commedianti: da Werner Nachmann, l'amministratore fiduciario della Comu­ nità ebraica in Germania, che si è appropriato di 30 milioni di marchi, al fiorente Rock Hudson, che per tutta una vita si è atteg­ giato a idolo delle donne, salvo poi preferire egli stesso gli uomini. Senza contare, ricorda Eroder, che i casi clamorosi che periodica­ mente vengono alla ribalta sono appena la punta dell'iceberg: la massa sterminata degli altri resta sconosciuta.16 Proprio questo rende difficile far luce sulla menzogna: giacché per sua natura essa è finzione, dobbiamo attenderci che una maschera perfetta non sia riconoscibile come tale. E, come si vedrà, la più perfetta delle maschere è quella che non sappiamo neppure di portare: le nostre illusioni. Attento osservatore dell'umana commedia degli inganni, di questo ballo mascherato che è la nostra vita sociale, Agostino di Tagaste, vescovo di Ippona, dedicò al problema ben due scritti spe­ cifici: il De menacio e il Contra menacium. Non certo accomo-

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dante col peccato di menzogna, dinanzi ad esso egli si pose tuttavia con animo di studioso, senza dogmatiche chiusure . Limpido e acu­ to l suo giudizio . E allora , quale migliore viatico, in procinto d 'i­ niziare la nostra ricerca, che riascoltare la sua parola ammonitrice: « Un arduo problema è quello che concerne la menzogna, e spesso, nel nostro agire quotidiano, esso è fonte di inquietudine . Da un lato dobbiamo guardarci dal bollare anzitempo come tale ciò che menzogna non è; dall'altro chiederci se, in taluni casi, d'una ono­ revole, doverosa, pietosa bugia non Ci si possa servire [ . . . ] La que­ stione lascia aperte molte scappatoie e non di rado irride agli sfor­ zi di chi s 'addentri, tanto è contorta e lacunosa [ . . . ] Nessun erro­ re, a mio parere, è così pericoloso come quello cui conduce l'ecces­ sivo amore per la verità e l'esagerata ripulsa del falso [ . . . ] Ad ogni modo, caro lettore, esercita la critica, dopo aver letto il tutto [ . . . ] Ma non ti aspettare qui un linguaggio fiorito, ché troppo ci urgeva il contenuto ! » 17

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Quando la bugia è necessaria : fini e mezzi sulla bilancia dell'etica

La menzogna è negazione intenzionale e cosciente della verità; è l vizio per cui si parla e ci si atteggia altrimenti da come si pensa e si intende: una disar­ monia tra parola e moti del cuore. Gottfried Bichner1

Le strategie di inganno, ha scritto Hugh Trevor-Roper, lo stori­ co di Oxford, costituiscono il filo rosso che percorre tutte le tra­ me della storia universale . Questa, a suo avviso, « non è solo quel­ lo che è accaduto; è quello che è accaduto sullo sfondo di ciò che avrebbe potuto accadere » . Un susseguirsi di mosse e contromosse, il cui motivo conduttore è l'inganno . Più e più volte gli eventi bel­ lici presero un determinato corso perché qualche stratega abboccò all'amo lanciato dal nemico . Fronde arboree facevano da schermo agli uomini di Macduff allorché essi strinsero il castello di Mac­ beth nell'attacco decisivo, e il tiranno credette che il bosco intero di Birnam marciasse alla sua volta e si avverasse la tremenda pro­ fezia . Dalle brume scozzesi alle armate fantasma della seconda guerra mondiale . Nell'operazione WEDLOCK gli americani camuffa­ rono la flotta del Pacifico con un abito « polare » per stornare l'at­ tenzione dei nipponici a nord, verso le strategicamente irrilevanti isole Aleutine, e gli inglesi costruirono una « invicibile Armada » di aerei di cartapesta affinché Hitler non pensasse a una invasione del continente via mare . « 3 [ I 987], p. 55).

re coscienzioso qual era Byrne si rese conto che bisognava essere cauti, nel valutare l'accaduto . L'episodio, di per sé, poteva benissi­ mo essere casuale, e forse l'aggressione dela madre non aveva nula a che fare con gli strilli del piccolo . Paul poteva essere stato effetti­ vamente minacciato dalla femmina, e lo scienziato non essersene ac­ corto perché distratto . Ma quando Byrne, ritornato al campo base, riferì la vicenda al suo collega Andy Whiten, questi gli raccontò di avere pizzicato quel babbuino mentre eseguiva un'analoga messa in scena, con un'altra vittima .5 In capo ad alcuni giorni i due primato­ logi furono colti dal medesimo forte sospetto : Paul seguiva una pre-

DARSELA A BERE, TRA SCIMMIE

eisa tattica per appropriarsi di un pezzo di cibo che non era ancora in grado di procurarsi da sé. Era chiaro che non aveva davvero pau­ ra, ma sapeva far credere alla madre che lo stavano minacciando . 6 Anche il babbuino Melton, un vero teppista a suo modo, aveva elaborato un particolare tipo di bluff: quando maltrattava troppo rudemente un piccolo, e veniva di conseguenza attaccato dai mem­ bri del clan di quest'ultimo, non fuggiva, ma si alzava sulle zampe posteriori e volgeva lo sguardo all'intorno . Questo è appunto il comportamento dei babbuini quando hanno scoperto la presenza di un nemico predatore . Gli inseguitori allora si bloccavano e si mettevano a scrutare a loro volta l'orizzonte, dimenticandosi com­ pletamente della bella lezione che avrebbero voluto impartire a Melton fino a un attimo prima (fig . 1 2) . 7 Byrne e Whiten lavorano al Dipartimento di psicologia dell'Uni­ versità di Saint Andrews, una gloriosa e rinomata istituzione scoz­ zese. Raccogliendo i risultati di queste osservazioni, nel giro di po­ chi anni i due primatologi riuscirono a inaugurare e a sviluppare un filone di ricerche oltremodo appassionante, che nel corso del tem­ po si è guadagnato la stima e il rispetto degli specialisti: quello che si occupa del cosiddetto inganno tattico nei primati. Le osservazio­ ni dei due studiosi sul comportamento dei babbuini dei Monti dei Draghi li indussero a setacciare la letteratura specializzata in cerca di precedenti analoghi. I risultati di queste ricerche furono quanto mai scarsi: meno di una mezza dozzina di articoli trattavano del­ l'argomento, e comunque in relazione a degli scimpanzé . In elo­ quente contrasto con questo dato stavano le informazioni che i pri­ matologi ottenevano dai colleghi che andavano interrogando : « Sì, sì, qualcosa del genere l'ho osservato anch'io; non è affatto raro e per giunta è possibile che qualche volta mi sia anche accaduto sotto gli occhi senza che ne prendessi nota » . Solo in rarissimi casi i ricer­ catori avevano pubblicato le proprie osservazioni. 8 Nel r 985 Byrne e Whiten raccolsero gli indirizzi di r r 5 prima­ tologi, soprattutto i membri della Società internazionale di prima­ tologia e della Società primatologica britannica . A questi scienzia­ ti i due ricercatori inviarono un questionario, nel quale li pregava­ no di informarli se nel corso dei loro studi avessero mai osservato un comportamento riconducibile alla definizione di inganno tatti­ co elaborata da Byrne e Whiten, vale a dire « azioni del normale repertorio comportamentale dell' agente, ma eseguite in maniera

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CAPITOLO QUINTO

Figura 1 2 L'inganno tattico è presente quando un animale utilizza u n comportamento > per fuorviare dei conspecifici. Qui il babbuino delle savane dà a vedere di aver avvistato un predatore, e in tal modo pone fine a un attacco a suo danno. Fonte: Sommer 1 989c, p. 1 5 1 (disegni di Manuel Fontegne / Geo-Grafik, sulla scorta di materiali di David Bygott, in « New Scientist >> 3 [1 987], p. 55).

tale che un altro individuo probabilmente ne fraintenda il signifi­ cato e all'agente ne risultino cosi determinati benefici » . 9 Per dirla in termini più schietti: l'inganno tattico è presente quando gli ani­ mali mettono in atto un comportamento « onesto » in un altro con­ testo e riescono a fuorviare, a proprio vantaggio, dei conspecifici di cui si sono cosi conquistati la fiducia. 10 Dei primatologi interpellati, 3 2 rinviarono il questionario com­ pilato : una quota considerevole, dato che in questo caso risponde­ re significava mettere i propri dati a disposizione senza ricavarne per il momento alcun vantaggio . Byrne e Whiten completarono le

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osservazioni cosl pervenute con i riferimenti sparsi qua e là nella letteratura specializzata e nel 1 986 pubblicarono questa banca da­ ti con il titolo The St Andrews Caalogue o/ Tactical Deception in Pimates, che nel complesso raccoglieva 1 04 episodi. Nel frattem­ po gli studi dei due ricercatori scozzesi avevano destato un note­ vole interesse, tanto che molti primatologi misero a disposizione altri dati, ricavati sia dalle osservazioni sul campo, sia da esperien­ ze di laboratorio . Il risultato fu integrato con le risposte ottenute mediante un secondo questionario , e fu pubblicato in un supple­ mento speciale della rivista « Primate Report », edita dal Centro tedesco di primatologia di Gottinga, col titolo Tactical Deception in Pimates: The I990 Database: lo studio raccoglie ben 253 episo­ di. A questo punto il progetto dei due scozzesi è ormai talmente famoso che a Saint Andrews pervengono, a intervalli abbastanza regolari, nuove informazioni, grazie a cui si potrà ottenere un qua­ dro sempre più completo dell'argoment o . U Il catalogo riporta alcuni momenti significativi delle pazienti osservazioni raccolte in anni e anni di ricerche, e in certo qual mo­ do rappresenta una rassegna di highlights della primatologia. Per poter meglio ordinare questi affascinanti schemi comportamenta­ li, è anzitutto opportuno chiarire i possibili ruoli dei diversi parte­ cipanti a una strategia di inganno : l'agente (ingl. agent) è l'animale il cui comportamento può rappresentare un inganno tattico . Il besaglio (ingl. target) procura un problema che l'agente cerca di eliminare mediante l'inganno . Il bersaglio è perlopiù vittima del­ l'inganno, in quanto patisce un danno dall'azione dell'agente. È altresl possibile che a fare le spese dell'inganno sia un terzo indivi­ duo , il classico pollo (ingl. dupe) . L'agente può manipolare il ber­ saglio indirettamente, per mezzo di un utensie sociale (ingl. social too) che agisce direttamente sull 'individuo bersaglio . Infine , un tezo estraneo (ingl. /all-guy) può risultare condizionato dall'agente pur senza fungere a propria volta da utensile sociale. Va da sé che tutti i soggetti coinvolti in questa interazione possono essere di sesso sia maschile sia femminile. Nel catalogo furono raccolti tutti gli episodi riportati, al fine di delucidare il fenomeno prendendo le mosse da un repertorio il più ampio possibile di casi . Naturalmente Byrne e Whiten tenevano particolarmente a rimarcare che ciascuno degli episodi riportati non

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era che un possibile esempio di inganno tattico, una possibile regi­ strazione (ingl. candiate record) , per esprimersi nei termini dei due ricercatori. I primatologi possono interpretare il comportamen­ to dei loro oggetti di studio in maniera affatto diversa . Alcuni so­ no capaci di leggere, con notevole buona volontà, un'intenzione in un determinato schema comportamentale; altri negano sempli­ cemente ai primati non umani la capacità di effettuare delle pre­ stazioni intellettive . I maggiori grattacapi per gli studiosi sono da­ ti perciò dalla questione se gli animali sappiano veramente quello che fanno, oppure se si possano trovare altre e più semplici spiega­ zioni del loro comportamento; un interrogativo che tornerà in di­ scussione quando passeremo in rassegna alcuni degli esempi cano­ nici di inganno tattico tra i primati.

Occultare Distrare Allettare Byrne e Whiten hanno definito alcune categorie in base alle quali si possono classificare gli episodi di possibili inganni tattici tra scimmie e primati antropoidi (tab. 2 ) Y Le categorie fanno ri­ ferimento allo scopo che evidentemente viene perseguito nell' ese­ cuzione dell'inganno, anche se talora questo scopo non viene rag­ giunto . La ripartizione, invero piuttosto astratta, verrà illustrata, per maggiore vivacità, mediante alcuni casi esemplari . L 'ineludibi­ le interrogativo riguardo al fatto se gli episodi rispecchino una ge­ nuina attività mentale, rimarrà per il momento, come si è detto, una questione aperta . Prima di tutto esaminiamo la vasta gamma delle possibili variazioni, al fine di evidenziare l'ampiezza del re­ pertorio di comportamenti. La definizione della prima categoria, l'occulamento, è relativamen­ te semplice: «L'agente occulta qualcosa a un altro ». Questo qualco­ sa può essere un oggetto inanimato, il proprio corpo, una parte del corpo, ma anche uno stato d'umore oppure un'intenzione. L'occul­ tamento può essere messo in pratica nascondendo l'oggetto dietro uno schermo oppure (qualora si tratti di sensazioni o di percezioni) mediante un ostentato ignorare il comportamento degli altri. L'occultamento può anche essere ottenuto mediante l'immobi­ lità e il silenzio, come viene riportato dai ricercatori che hanno sog-

DARSELA A BERE, TRA SCIMMIE Tabella 2 Categorie dell'inganno tattico tra scimmie e primati antropoidi I . Occultamento (ingl. concealment) I . I - mediante silenzio I . 2 - ponendo fuori di vista / nascondendo I . 3 - fingendo disinteresse 1 . 4 - ignorando

2 . Distrazione (ingl. distraction) 2 . I - mediante emissioni sonore 2 . 2 - rivolgendo altrove lo sguardo 2 . 3 - mediante minacce 2 ·4 fuorviando 2 . 5 - mediante coinvolgimento in un'interazione -

3 . Allettamento (ingl. attraction) 3 . I mediante emissioni sonore 3 . 2 - guidando all'obiettivo 3 · 3 - mediante coinvolgimento in un' interazione -

4· Produzione di un'impressione errata (ingl. creating an image) 4· I - mediante comportamento neutrale 4 . 2 - mediante comportamento amichevole 4·3 - mediante minacce 5 · Indirizzare l'azione su un terzo estraneo (ingl. deflection) 5. I - mediante reindirizzamento di una minaccia 5. 2 - mediante linguaggio mimico (nei primati istruiti) 6. Strumentalizzazione sociale (ingl. using as a social too) 6 . I - mediante inganno dell'individuo utensile 6 . 2 - mediante inganno del bersaglio

7 . Ritorsione di un inganno (ingl. counterdeception) 7. I - impedendo il successo di un inganno 7 . 2 - ingannando l' ingannatore Fonte: Byrne & Whiten I 990, pp . 6-9 (adattata) .

giornata nelle foreste di montagna che circondano le vette dei vul­ cani Virunga, nell'Africa orientale, patria degli ultimi gorilla delle montagne . In questi antropoidi avviene che un certo numero di femmine adulte e i loro piccoli vengano guidati da un solo maschio adulto . Il capo di uno di questi harem era nel 1 989 Beetsme, un go­ rilla di circa 25 anni, dal dorso inargentato . Nel gruppo viveva an­ che l'ambizioso Titus, un maschio ancora giovane, cui il pelame ne­ rastro del · dorso aveva appena cominciato a inargentarsi. Pure, ogniqualvolta si accendeva una lotta per le femmine, era chiaro che il suo avversario dal dorso inargentato cominciava a essere troppo vecchio per tenere le posizioni. Anche quel mattino, quando la gio­ vane femmina J enny si era dimostrata disponibile all' accoppiamen­ to, Beetsme, che tentava di avvicinarla, fu respinto per ben due

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volte da Titus . Beetsme però non si arrese, ma col suo corpo pos­ sente sospinse cautamente Jenny, a piccoli colpettini, sempre nella stessa direzione, finché i due si trovarono a oltre 30 metri di di­ stanza da Titus , e fuori della sua visuale. Solo allora Beetsme si ac­ coppiò con Jenny. La copula durò, come di consueto tra i gorilla, un paio di minuti. Naturalmente stavolta Beetsme non emise i tipi­ ci grugniti che di solito accompagnano l'atto . Evidentemente fece in modo di reprimere queste emissioni sonore che solo un anno pri­ ma, quando occupava ancora un ruolo dominante rispetto a Titus, erano state registrate dagli osservatori sul campo nel corso di 1 6 ac­ coppiamenti di Beetsme, tutti accompagnati da sonori grugniti. 13 Quando è necessario, anche gli scimpanzé sanno distinguersi per le loro notevoli capacità di mantenere il silenzio . A differenza dei gorilla, che vivono in gruppi relativamente ristretti di 5-9 ele­ menti, le società degli scimpanzé contengono fino a un centinaio di animali di entrambi i sessi. Le bande che si formano nel corso delle scorrerie di gruppo nell'area familiare, comprendono invece non più di un pugno di scimmie antropomorfe . Il territorio deve essere difeso dai gruppi confinanti . Nelle zone adiacenti infatti sono spesso in perlustrazione altre pattuglie, che si danno fre­ quentemente il cambio e che hanno tutti i motivi per muoversi in silenzio e con cautela . Infatti, pur di entrare in possesso di abbe­ veratoi, alberi da frutto e femmine di un gruppo vicino, gli scim­ panzé non esitano a intraprendere vere e proprie battaglie all'ul­ timo sangue contro altri gruppi più deboli. I resoconti più esau­ rienti su queste stragi di conspecifici sono stati forniti da J ane Goodall, sulla base delle sue ricerche nel territorio del parco na­ zionale di Gombe. I gruppi di pattuglia possono mantenere il si­ lenzio completo per oltre tre ore, cosa piuttosto insolita e affatto in contrasto con l'indole peraltro assai chiassosa degli scimpanzé. Se un maschio vuole intimorire altri membri di una pattuglia, scuote i rami, rizza il pelo e fa rotolare macigni sul terreno circo­ stante . Tuttavia, pur facendo tutto questo, si astiene dall'emette­ re gli ululati, udibili a grande distanza, da cui sono accompagnate di solito simili esibizioni d'imposizione . Le femmine, che di nor­ ma durante l'accoppiamento vocalizzano ad alta voce, reprimono anche loro tali suoni quando sono di pattuglia . I giovani immaturi vengono spesso richiamati all'ordine dai più anziani. Un giovane,

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di nome Goblin, che si era messo a vocalizzare durante una perlu­ strazione in pattuglia, la prima volta si prese un colpo, mentre un'altra volta venne abbracciato, perché si rassicurasse . Un neo­ nato , improvvisamente colto dal singhiozzo, fu a tal punto amore­ volmente blandito e coccolato dalla madre, che alla fine il suo sin­ gulto rivelatore si quietò . E per finire anche ai primatologi autori di queste osservazioni poteva capitare, se si muovevano in manie­ ra troppo rumorosa e goffa, di essere minacciati dagli scimpanzé . 14 Nei primi anni dei suoi studi sul campo Jane Goodall provò a conquistarsi la fiducia degli scimpanzé selvatici, offrendo loro delle banane . Tuttavia, ogniqualvolta un gruppo emergeva dalla macchia nei pressi della base d'osservazione, quelli che riuscivano ad acca­ parrarsi la maggior parte dei prelibati bocconi erano sempre i più forti e più grossi. Un giorno lo scimpanzé che chiamavano Figan, un maschio di nove anni, attese che tutti gli altri fossero scomparsi e poi iniziò a sbucciare un paio di banane tutte per lui. Ma nell'at­ timo in cui ebbe i frutti tra le mani, non poté trattenersi dal lancia­ re dei robusti vocalizzi di entusiasmo . All'udirli, tutto l gruppo tornò di corsa all'accampamento, e Figan fu privato di tutto l suo tesoro . Il giorno dopo attese nuovamente con pazienza che gi altri avessero ricevuto la loro razione, per poi impossessarsi di alcune banane. Stavolta riuscì a soffocare l suo entusiasmo. Dalla gola gli uscirono solamente dei gemiti sommessi, e poi si mise a mangiare le banane da solo . In seguito Figan, trovandosi nella stessa situazio­ ne, non emise mai più un sonoro richiamo per l cibo . 15 Sherman e Austin sono i nomi di due scimpanzé la cui evoluzio­ ne comportamentale è stata studiata nel Centro di primatologia di Yerkes, ad Atlanta (Georgia) . Nel corso degli anni i due primati sono riusciti a evadere più volte dalle loro gabbie, senza mai esse­ re colti in flagrante durante l'effrazione . I due, ad esempio, aveva­ no scoperto che era possibile forzare e rompere la dura parete di materiale plastico delle loro gabbie martellandola a lungo con un dado di plastica. A volte infatti poteva capitare di sentire dall'e­ sterno della stanza questo rumore di martello . Quando si andava a controllare, i due avevano già assunto un aspetto completamente ignaro . Evidentemente volevano evitare che qualcuno li cogliesse sul fatto nel corso dei loro tentativi di evasione . 16 Le scimmie e in particolare i primati antropoidi conseguono

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spesso un determinato obiettivo anche nascondendosi. Ho potuto assistere personalmente a episodi del genere nel corso dei lunghi anni che ho dedicato, assieme a un altro primatologo tedesco e a uno indiano, alle osservazioni sull'ecologia comportamentale degli entelli grigi (Presbytis entellus) , un colobino asiatico . Il nostro grup­ po di lavoro, che faceva capo all'Istituto di antropologia dell'Uni­ versità di Gottinga e al Dipartimento di zoologia dell'Università di Jodhpur, aveva focalizzato la sua attenzione su una popolazione di I 2 00- 1 300 entelli, che vivono all'interno e nei dintorni della città di Jodhpur nel Rajasthan. Gli entelli in India sono considera­ ti sacri dalla popolazione indù, motivo per cui in molti luoghi ven­ gono nutriti con frutta, verdura e focacce. Anche le scimmie che vivono nei pressi di Jodhpur ottengono in questo modo un consi­ derevole supplemento alla loro dieta . Molte volte per il possesso dei bocconi più ambiti si scatenano delle dispute piuttosto accese . Spesso un entello si allontana dagli altri, non appena è riuscito a impossessarsi di una banana , di una patata o di una carota. Dà le spalle al resto del gruppo e consuma cosl il suo bottino : una misura opportuna per ridurre al minimo l'invidia alimentare degli altri, se­ condo l motto « lontano dagli occhi, lontano dal cuore » Y L'organizzazione sociale degli entelli di Jodhpur è imperniata su un sistema nuziale di gruppi-harem, che mediamente compren­ dono I 4 femmine (fig. 1 3 ) . I maschi esclusi dalla riproduzione scorrazzano per il territorio formando delle bande di scapoli . Il ti­ tolare dell'harem vigila con circospezione sull'integrità delle sue femmine, e impedisce che alcun maschio possa avvicinarle . È soli­ to dare delle dimostrazioni mattutine della sua forza fisica e della ferma determinazione che anima il suo istinto di difesa, esibendo­ si in sonori richiami (hup) emessi con l' ausilio dei sacchi laringei, e in alti balzi ben visibili fin da lontano . Tra il 1 986 e il 1 987 ho se­ guito per alcuni mesi nei loro vagabondaggi svariati gruppi di ma­ schi, per conoscere meglio le loro abitudini comportamentali. Spesso i maschi si trattenevano in valli isolate, e in questo modo evitavano di provocare i titolari di harem dei gruppi vicini. Per due volte fui testimone di come , durante una pausa di riposo in qualche recesso del territorio, improvvisamente un titolare di ha­ rem facesse una scorreria tra gli scapoli . Questi ultimi (al pari di me) rimanevano del tutto sbalorditi dall'aggressione . Prima che

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Figura r 3 Gli entelli indiani si riproducono in gruppi nei quali più femmine e i loro piccoli vivono insieme a un maschio adulto (a sinistra, in secondo piano) . Il titolare dell'harem sferra a volte delle incursioni preventive contro i maschi esclusi dall'attività riproduttiva, dopo essersi furtivamente avvicinato a queste bande di scapoli. Fonte: foto Volker Sommer.

quelli trovassero il modo di schizzar via in tutte le direzioni possi­ bili, il titolare di harem era già riuscito ad azzannarne alcuni. Lo spazio vitale degli entelli è costituito da un paesaggio collinoso e roccioso, con pochi ripari, perlopiù cespugli e alberi. Spesso si de­ vono attraversare ampie superfici aperte. Al fine di portare a ef­ fetto con successo i loro colpi preventivi contro i rivali, i titolari di harem devono comunque aver attraversato di soppiatto svariate centinaia di metri, cosa che su un terreno aperto è oltremodo dif­ ficile . Per ingannare i loro avversari, essi ricorrono spesso a una tattica che combina la capacità di nascondersi alla silenziosità . Nel caso degli entelli grigi, i titolari di harem riescono a mante­ nersi al potere mediamente per due anni e tre mesi, prima che le loro energie siano dilapidate (perlopiù in conseguenza dei continui tentativi di invasione dei gruppi di maschi) . Poi gli entelli scapoli lottano l'uno contro l'altro, per stabilire chi diventerà il nuovo ti­ tolare dell'harem. Questo processo può durare solo pochi giorni, ma a volte anche dei mesi. Nell'ottobre 1 982 due maschi adulti

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cercarono di imporsi come titolari di harem tra le femmine appar­ tenenti al gruppo del lago Kailana . L'area familiare del gruppo fu tuttavia circondata da 35 altri maschi, facenti parte di diverse ban­ de di scapoli. I maschi si controllavano severamente, e cercavano di impedirsi vicendevolmente qualsiasi contatto sessuale con le femmine. I due residenti provvisori attaccavano gli scapoli ogni­ qualvolta le femmine si muovevano verso di loro . Un mattino un visitatore del tempio attirò le scimmie a una certa distanza, per di­ stribuire tra loro delle patate . I due maschi e quasi tutte le undici femmine si affrettarono a seguirlo . Solo una rimase indietro . Non appena gli altri furono fuori di vista, fece un vistoso scotimento del capo, un tipico invito all'accoppiamento per degli entelli. De­ stinatario di questo messaggio era un maschio, lui pure rimasto in­ dietro, che faceva parte di un gruppo di scapoli. I due si accoppia­ rono . In situazioni del genere gli entelli non devono neppure repri­ mere alcun suono, dato che durante la copula non vocalizzano in maniera distintamente percepibile . Durante i periodi di stabilità sociale, quando sono legate a un titolare di harem fisso, le femmi­ ne disposte ad accoppiarsi spesso cercano di allettare il maschio, con un discreto crollar del capo, a seguirle in un cespuglio oppure dietro una roccia . Infatti anche le femmine si importunano vicen­ devolmente in quattro accoppiamenti su cinque . È per questo che il titolare dell'harem esita spesso così a lungo fintanto che la fem­ mina ha organizzato un'opportunità per i due di dedicarsi pacifica­ mente all'attività riproduttiva in un angolino riparato (fig. 1 4) . 1 8 Un gruppo di ricercatori, capeggiato dall'etologo svizzero Hans Kummer, ha studiato negli anni sessanta le amadriadi (Papio ha­ madyas) che vivono in Etiopia. Queste scimmie del Vecchio Mon­ do hanno anch'esse un sistema nuziale basato sui gruppi di harem; e ancora una volta, a vigilare acciocché le femmine non abbiano alcun contatto con altri maschi è il titolare dell'harem; se ciò av­ viene, le femmine vengono punite con morsi alla nuca. Una delle femmine impiegò una volta 2 0 minuti per allontanarsi insensibil­ mente di due metri. A quel punto il titolare dell'harem poteva an­ cora vedere la parte superiore del corpo della femmina, ma non più le mani, che erano coperte da uno spuntone di roccia . Quello di cui il pascià non si accorse è che la femmina stava spidocchian­ do la pelliccia di un maschio nascosto dietro la roccia . 19

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Figura 1 4 Una femmina di entello ha allettato u n maschio dietro un cespuglio per potersi accoppiare con lui in quel nascondiglio, senza farsi vedere dagli altri conspecifici. L'accoppiamento segreto viene però scoperto e disturbato, come del resto accade nell'8o per cento dei casi. Fonte: foto Volker Sommer.

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Il primatologo olandese Frans de Waal ha studiato per molti anni la colonia di scimpanzé dello zoo di Arnheim, la più grande del mondo nel suo genere. Il ricercatore aveva osservato come l ma­ schio adulto Luit stesse facendo delle avance a una femmina. La co­ sa sembrava non andare a genio al maschio di rango più elevato del gruppo, Nikie, che perciò si avvicinò ala coppia, stringendo in pu­ gno una pietra. Luit si era accorto che Nkkie si stava avvicinando, ma continuò a dare le spale al disturbatore . Ciò che quest'ultimo non poteva vedere era l pene eretto di Luit, l cui colore rosa spicca vistosamente sulla peliccia bruno-nera. Luit volgeva alternativa­ mente lo sguardo al proprio pene eretto e al rivale che si avvicina­ va. Solo quando l pene si fu afflosciato, si accostò ciondolando in direzione di Nikie, annusò la pietra simulando meraviglia e infine lasciò l maschio di rango superiore solo con la femmina. 20 Anche l fingere disinteresse consente in determinate circostan­ ze di giocare degli scherzetti ai compagni di gruppo . La primatolo­ ga americana Dian Fossey ha studiato per quasi due decenni l comportamento e l'ecologia del gorilla delle montagne dell'Africa orientale (finché, nel 1 985 , è stata assassinata) . Un giorno la ricer­ catrice aveva visto cinque gorlla passeggiare lungo un sentiero, guidati da una femmina. La femina cessò di procedere, dopo aver scorto un succulento ramoscello di vischio nascosto in alto tra le fronde degli alberi. Senza guardare in faccia nessuno dei compagni che la seguivano, la femmina si fermò sul lato del sentiero e comin­ ciò a esaminarsi la pelliccia. Quando tutti gli altri l'ebbero supera­ ta, sali rapidamente sul' albero e spiccò l gustoso ramoscello. Lo divorò velocemente, poi corse per raggiungere gli altri. 2 1 Nel rifugio degli scimpanzé di Arnheim a volte i guardiani na­ scondevano dei pompelmi nella sabbia, lasciando scoperta solo una piccola porzione della buccia gialla. Gli scimpanzé, quando vedeva­ no i guardiani percorrere il sentiero con i loro cesti carichi, e fare ritorno con i recipienti vuoti, si mettevano a cercare la frutta come impazziti, non appena venivano messi in libertà dai loro ripari not­ turni. Una di queste volte, due scimpanzé erano sfrecciati molto vi­ cino ai pompelmi nascosti, senza però accorgersi di nulla: questo perlomeno è ciò che avevano creduto gli osservatori . Uno dei ma­ schi, Dandy, faceva parte di quegli scimpanzé che, senza alcuna ap­ parente variazione nella rapidità dei movimenti e senza palesare al-

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cun interesse riconoscibile, era passato di corsa accanto al nascon­ diglio. Il pomeriggio tuttavia, allorché tutti gli altri erano distesi a sonnecchiare al sole, Dandy improvvisamente si alzò, e andò dritto verso il nascondiglio . Senza esitare, scavò e recuperò i frutti, che divorò con gusto . Se non si fosse tenuto per sé il luogo del nascon­ diglio, probabilmente gli altri si sarebbero portati via i frutti. 22 Ignorare ostentatamente quello che un altro sta facendo può servire a occultare le proprie sensazioni, motivazioni o intenzioni . Ad Arnheim, de Waal si era accorto che un maschio di scimpanzé sembrava non degnare di alcuna attenzione le esibizioni d'imposi­ zione estremamente rumorose di un rivale, anche quando esse ve­ nivano eseguite a pochi metri di distanza; la sua indifferenza giun­ geva a tal punto che si sarebbe potuto giurare che l'animale fosse sordo e cieco . Che non lo fosse, fu chiaro non appena il chiassoso rivale gli volse per un istante le spalle . Allora il suo interesse fu tradito da un breve sguardo lanciato di sottecchi sul rivale, giusto sopra il pelo del dorso . De Waal ritiene che gli scimpanzé rappre­ sentino un'autentica sfida per la concezione comunemente accet­ tata secondo cui solo l'uomo sarebbe in grado di diagnosticare le sottili differenze tra comportamento e intenzione recondita. 23 Le madri dei primati spesso ignorano, nel corso dello svezzamento dei piccoli, le suppliche lamentose di questi ultimi che, piagnuco­ lando, si stringono loro addosso per riuscire a prendere in bocca in qualche maniera i capezzoli. Le madri si limitano a guardare in un'altra direzione, tanto da destare l'impressione che siano sorde : un comportamento, questo, che si osserva in molte specie, tra le quali anche gli entelli e i babbuini. 2 4 La seconda categoria maggiore delle strategie d'inganno intro­ duce la tattica della disrazione (o diversione) . « L'attenzione del­ l'individuo che funge da bersaglio viene deviata da un luogo inte­ ressante per l'agente verso un altro luogo » . Questa strategia d'inganno viene spesso posta i n atto mediante emissioni sonore, soprattutto richiami di avvertimento e di allar­ me . Gli entelli grigi reagiscono a possibili nemici al suolo (serpen­ ti, leopardi, tigri o mute di cani rinselvatichiti) con latrati udibili anche a grande distanza, a cui il resto del gruppo cerca di mettersi al sicuro sull'albero o nell'edificio più vicini. Spesso più scimmie lanciano l'allarme simultaneamente, con visibile eccitazione . Que-

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sto assordante concerto di latrati può continuare facilmente per ol­ tre un quarto d'ora, e quand'è così soprattutto i cani scelgono ben presto una ritirata strategica . In due occasioni però mi è accaduto di sentire questi suoni d'allarme in un contesto completamente dif­ ferente . Tutt'e due le volte si trattava di un cambiamento dei rap­ porti gerarchici all'interno di un gruppo di maschi, nel quale il più alto di rango, il cosiddetto maschio alfa, perdeva la sua posizione di predominio . Nel primo caso il maschio fino allora dominante ac­ cusò improvvisamente degli episodi di paresi agli arti inferiori, nel secondo caso invece la causa non era affatto evidente . In ambedue le occasioni i cadetti delle bande di scapoli si accorsero molto rapi­ damente delle mutate circostanze, e cominciarono a saggiare la si­ tuazione mediante ben calcolate provocazioni del maschio alfa fino allora in carica. I provocatori si avvicinavano al maschio digrignan­ do i denti e mordendo l'aria (evidenti segnali di minaccia) per far si che rinunciasse al suo ruolo . Non appena quest 'ultimo avesse cedu­ to, il vincitore avrebbe soppiantato il rivale, appropriandosi del ruolo che questi aveva occupato sino ad allora . È proprio in questo modo che gli entelli risolvono rapporti di dominanza e di sottomis­ sione . Se poi l'oggetto del contrasto è qualcosa di concreto, ad esempio un posto a sedere particolarmente vantaggioso nei pressi di un albero da frutto, oppure una zona d'ombra da occupare du­ rante la siesta pomeridiana, gli individui di rango inferiore cedono il loro posto al solo avvicinarsi di un superiore, senza che vi sia bi­ sogno neppure di un segnale di minaccia. Anche in queste circo­ stanze i provocatori assillavano il maschio alfa, il cui trono già va­ cillava, con un'insistenza evidentemente snervante e spossante . Tutt'e due le volte i maschi cercarono apertamente di liberarsi dei loro torturatori per mezzo di un trucchetto : emisero improvvisa­ mente dei laceranti latrati, pur senza che fosse visibile in alcun luo­ go un nemico al suolo, e riuscirono cosi a ricacciare sugli alberi i provocatori, almeno per un breve intervallo .25 Scene analoghe si svolgono nella foresta equatoriale peruviana, dove gli areali di distribuzione dei tamarini mustacchio, della fa­ miglia degli uistitì (Calitichidae) , si sovrappongono parzialmente con quelli dei tamarini dal dorso bruno . Ma ogniqualvolta si ac­ cende una disputa per il cibo, i tamarini dal dorso bruno hanno re­ golarmente la meglio . Il primatologo di Gottinga Eckhard Hey-

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mann ha osservato un maschio di tamarino mustacchio intento a mangiare al suolo un baccello . D 'un tratto un tamarino dal dorso bruno emise un richiamo di eccitazione, azione che di solito segue a un fruscio di origine imprecisata proveniente dalle fronde degli alberi. Quella volta però non c'era stato alcun rumore allarmante di quel genere . Ad ogni modo, quando il tamarino mustacchio si arrampicò di volata sul tronco di un albero, il tamarino dal dorso bruno si affrettò a scendere al suolo insieme a un compagno della sua stessa specie, avventandosi sul baccello .26 Le strategie di distrazione possono basarsi anche sul distogliere lo sguardo, come testimonia un episodio già menzionato: quello di Melton il gradasso che, attaccato da altri babbuini, fissò lo sguar­ do in un punto imprecisato dell'orizzonte, come se avesse scorto una possibile minaccia ovvero qualcosa di interessante, e in tal modo riuscì a liberarsi dei suoi assalitori. 27 Si tratta di un trucco che funziona perfino con i primati antropoidi e con gli uomini. Nel parco nazionale di Gombe la femmina di scimpanzé Pom sta­ va accarezzando la testa al ricercatore Frans Plooij . Questi conti­ nuò a mantenersi immobile (una regola d'oro per evitare che gli scimpanzé vengano incoraggiati nel loro comportamento) . Pom tuttavia non voleva saperne di smettere . Solo quando Plooij si mi­ se a fissare intensamente un punto lontano, fingendo di aver sco­ perto qualcosa di interessante, Pom sembrò sconcertata . Incurio­ sita, si mosse verso la presunta attrazione e dopo un po ' , evidente­ mente delusa, ritornò e affibbiò un colpo sul capo a Plooij . Questo poteva significare che Pom aveva capito la natura subdola di quel gesto . Sta di fatto che per il resto della giornata non lo degnò più d'uno sguardo . 28 Una combinazione del distogliere lo sguardo e di manifestazioni sonore viene riferita dal Centro tedesco di primatologia di Gottin­ ga, dove è stato studiato il comportamento di aggressione dei ta­ marini dal dorso bruno . Alcuni individui, collocati nel territorio di una coppia fissa, erano stati fatti oggetto di violenti attacchi. Gli intrusi erano riusciti più volte a sventare gli attacchi, mostran­ do un comportamento strano, il cosiddetto trucco del « Guarda, c'è un mostro in quell'angolo » . Fissavano intensamente un angolo vuoto della sala dei test, ed emettevano una serie di vocalizzazioni d'allarme, che in libertà avrebbero segnalato l'individuazione di

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un predatore nemico, serpenti ad esempio, oppure uccelli rapaci. In tale frangente, gli altri membri del gruppo interrompono la loro attività, e il presunto nemico viene fatto oggetto di un abbaiamen­ to generale. Anche nella situazione del test, la coppietta finiva per­ lopiù con l'unirsi all'intruso, allo scopo di costringere nell' angolo, mediante la vocalizzazione collettiva, l mostro immaginario. Que­ sta strategia diversiva fu eseguita, nel corso di centinaia di test di aggressione compiuti con una cinquantina di tamarini diversi, da quattro o cinque animali, soltanto alcune volte e assolutamente non in tutte le condizioni. La relativa rarità si spiega col fatto che, se una manovra di distrazione venisse impiegata troppo frequente­ mente, dopo un po' gli ingannati potrebbero non reagire più.29 Anche alcune altre specie di primati mostrano questo comporta­ mento, sia pur in forma leggermente modificata, e combinata alla minaccia : cosl le scimmie cappuccine, i macachi reso, i macachi or­ sini, i macachi di Giava. Se un membro del gruppo viene minac­ ciato o attaccato da un altro, allora egli stesso rivolge delle minac­ ce, senza chiaro motivo, verso un oggetto inanimato oppure sem­ plicemente in una determinata direzione, e in tal modo riesce spesso a distogliere i suoi avversari dal loro proposito. 3 0 Elaborazioni mentali decisamente più complesse possono stare in­ vece alla base della distrazione che viene attuata con l metodo del fuorviamento . Se degli scimpanzé, nel corso del loro vagabondaggio quotidiano, stanno facendo una sosta e uno dei membri del gruppo senza alcuna esitazione e anzi con risolutezza si rimette in cammino, gli altri con ogni probabilità lo seguiranno . Questo fenomeno è stato spesso osservato nel parco di Gambe. Una simile partenza improvvi­ sa non deve necessariamente provenire da un individuo che ha un rango elevato nel gruppo: anche le femmine o i giovani possono prendere l'iniziativa con successo. Un giorno un gruppo composto da numerosi scimpanzé fece visita al campo, per ricevere la solita ra­ zione di banane. Il giovane Figan, purtroppo , era riuscito ad acca­ parrarsene ben poche. Improvvisamente si alzò e fece per andarsene via. Gli altri lo seguirono . Dieci minuti dopo fece ritorno al campo, ma stavolta era solo. Naturalmente ottenne una porzione di banane tutta per lui. Dapprima i ricercatori credettero che si fosse trattato di un caso. Pure, la manovra si ripeté con regolarità: Figan induceva l gruppo alla partenza, salvo tornare da solo dopo qualche tempo . 31

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La primatologa americana Shirley Strum ha documentato nei babbuini del Kenya una strategia diversiva in cui la tattica median­ te la quale l'individuo agente manipolava l'individuo bersaglio era evidentemente quella di coinvolgere in un'interazione . I babbuini delle savane vivono in gruppi promiscui di molte dozzine di esem­ plari. Una femmina aveva sviluppato una particolare predilezione per gli alimenti a base di carne, benché di solito ad andare a caccia siano perlopiù i maschi, che fanno preda di gazzelle o lepri. Un ma­ schio che non amava condividere riuscì a predare un'antilope . La femmina gli curò il manto così a lungo che quello, come caduto in estasi, si stese supino: al che la femmina s'impossessò della preda e scappò via .32 Una sorte analoga era capitata a un maschio immaturo che faceva parte del gruppo di entelli grigi dimoranti sul lago di Kailana, presso Jodhpur . Il maschio stava mangiando una delle ba­ nane che un nutritore aveva distribuito alle scimmie. In quella gli si avvicinò una femmina adulta, con cui in precedenza non aveva avuto alcun contatto sociale, dato che il maschio si aggirava nel ter­ ritorio delle femmine solo da poco tempo, in seguito alla sostituzio­ ne del precedente titolare dell'harem. Il maschio continuò a masti­ care la sua leccornia . Allora la femmina cominciò a curargli il pelo, e in conseguenza di ciò egli assunse una posizione rilassata. La fem­ mina allora gli strappò velocemente la banana e scomparve con la sua refurtiva in una nube di polvere .33 Un terzo ampio complesso di inganni tattici si presta a essere catalogato nella categoria dell'alletamento . « Il comportamento dell' agente fa sì che il bersaglio si rechi in un particolare luogo, e grazie a questo l'agente consegue un determinato scopo ». Anche stavolta il mezzo principe per il perseguimento di questo fine sono le emissioni sonore . L'isola del Madagascar è la patria dei lemuri, appartenenti al sottordine delle proscimmie che, a dif­ ferenza dei primati antropoidi, perlopiù si accoppiano solamente durante alcuni mesi dell'anno . Quando il sifaka (o propiteco coro­ nato) , una specie di lemure caratterizzato dalla pelliccia bianca e dalla mascherina nera, perde contatto con il resto del gruppo nel corso dei suoi vagabondaggi diurni, emette un suono caratteristi­ co, alto e penetrante, che risulta udibile per varie centinaia di me­ tri nei dintorni, sebbene sia di difficile localizzazione . A sua volta il gruppo risponde con dei trilli facilmente localizzabili, essi pure

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udibili a grandi distanze . Nel corso delle oltre 2 ooo ore durante le quali la primatologa americana Alison Richard ha osservato le pro­ scimmie malgasce al di fuori della stagione degli amori, i sifaka trillavano solamente dopo aver udito un segnale di disorientamen­ to . Viceversa, durante la stagione degli amori, quando i maschi scorrazzavano per la foresta da soli o in piccoli gruppi, emetteva­ no con particolare frequenza dei segnali di disorientamento. Ali­ san Richard aveva tuttavia l'impressione che le vocalizzazioni ser­ vissero a reperire femmine disponibili all'accoppiamento . Queste rispondevano regolarmente con dei trilli di localizzazione . Se dun­ que i maschi smarriti trovavano qualcuno disposto a rispondergli, e se eventualmente trovavano un gruppo di maschi già presente, cercavano di cacciarli.34 Tra le specie di primati in cui le femmine sviluppano una visto­ sa tumescenza delle labbra vaginali e della regione anale durante i giorni fertili, vi sono i babbuini delle savane . Gli accoppiamenti avvengono soprattutto nel periodo in cui queste tumescenze ano­ genitali raggiungono il massimo dell'evidenza, periodo che poi coincide con quello della massima probabilità che avvenga la fe­ condazione . Le femmine dei babbuini delle savane vocalizzano durante l'accoppiamento . I maschi adulti dedicano la massima at­ tenzione a localizzare queste emissioni sonore, e cercano di impe­ dire la copula dei maschi rivali . Il caratteristico grugnito, di parti­ colare sonorità, viene evidentemente suscitato da una stimolazio­ ne della regione anogenitale, perché occasionalmente viene emes­ so anche da femmine giunte al massimo della tumescenza mentre stanno defecando (fatto che evidentemente provoca la stessa sti­ molazione) . Viceversa le femmine che si accoppiano con maschi giovani vocalizzano solo di rado . Shirley Strum, cui dobbiamo que­ ste osservazioni, formula l'ipotesi che in tali circostanze la regione anogenitale non venga stimolata a sufficienza, o perché i maschi immaturi spesso si comportano in maniera goffa, o perché l loro pene è relativamente piccolo . I maschi adulti sembrano non pren­ dere troppo sul serio gli accoppiamenti delle femmine con i maschi immaturi, dato che intervengono solo di rado . Un mattino Strum osservò la ben tumida e dunque disponibile Danielle che cercava, peraltro senza successo, di richiamare l'attenzione dei maschi adul­ ti. Solo alcuni maschi immaturi si accoppiarono con Danielle .

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Quando finalmente essa si offrì, al riparo di un cespuglio, agli slanci dei giovani babbuini, rimanendo in tal modo invisibile al resto del gruppo, emise improvvisamente alcuni sonori grugniti tipici del­ l'accoppiamento : questo fatto, secondo S trum, potrebbe aver ri­ specchiato la sua intenzione di ingelosire dei maschi adulti, per al­ lettarli sul luogo dell'azione . 35 La distrazione può essere ottenuta, su un piano più complesso, guidando all'obiettivo il bersaglio . Nel Centro di primatologia di Yerkes , che opera in stretta collaborazione con l'Università Emory, i primati antropoidi vengono istruiti a premere i tasti dei simboli di un computer per comunicare in questo modo con i loro istruttori . Tra gli allievi modello vi sono gli scimpanzé Sherman e Austin, e il bonobo Kanzi. I bonobo (Pan paniscus) , impropria­ mente chiamati anche scimpanzé nani, sono strettamente impa­ rentati con gli scimpanzé, ma vengono considerati una specie a sé stante . In certi momenti, agli scimpanzé e ai bonobo non è con­ sentito di sostare in determinate aree del Centro, per non distur­ bare le sedute d'insegnamento delle altre scimmie antropomorfe . Perciò il desiderio di Kanzi, comunicato mediante segnali, di an­ dare in questo o quel luogo, viene spesso frustrato . Ben presto però Kanzi impara a soddisfare i suoi desideri mediante dei truc­ chi . Più e più volte fa sapere ai suoi insegnanti che avrebbe piace­ re di far visita a Sherman e Austin. Se la sua richiesta non viene accolta, il bonobo chiede allora di poter andare a prendere un pez­ zo di melone . Vari tipi di frutta vengono conservati in luoghi se­ parati e distanti del comprensorio , e i primati antropoidi impara­ no presto dove trovare ciò che desiderano . Il sentiero per andare a prendere i meloni passa casualmente accanto al laboratorio in cui si trovano Sherman e Austin. Non appena Kanzi ha raggiunto que­ sto edificio, si svincola e corre dai due scimpanzé, per poter gioca­ re con loro . Quando viene ripreso, segue controvoglia il suo ac­ compagnatore e, giunto ai meloni, non dimostra alcuna voglia di assaggiare quelle squisitezze . 36 Coinvolgere in un'interazione può essere un mezzo per distrar­ re un individuo bersaglio . Uno degli argomenti chiave della ricer­ ca scientifica svolta presso lo zoo di Arnheim era quale potesse es­ sere il modo in cui gli scimpanzé si riconciliano dopo i conflitti. I primati antropoidi si abbracciano e si baciano regolarmente , una

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volta che sia trascorso un certo tempo dall'incontro aggressivo . Talora la riconciliazione però ha uno sbocco inaspettato . In questi casi uno degli avversari segnala sempre la sua disponibilità alla ri­ conciliazione mediante la protrusione delle labbra, assumendo un'espressione d'invito al gioco oppure pettinando dolcemente il pelo dell'altro animale, o ancora compiendo un gesto d'invito con le braccia e tenendo le palme delle mani rivolte all'insù. Questi se­ gnali tuttavia possono preludere a un capovolgimento in rabbiosa aggressività non appena l'avversario si è avvicinato a portata di mano . In tutti i casi osservati, l'assalitore in precedenza aveva già inutilmente tentato di attaccare quella che sarebbe stata la sua vit­ tima . Il trucco presumibilmente funziona proprio perché viene impiegato così di rado . Tra le migliaia di episodi di riconciliazione documentati dagli etologi, sono riportati solo sei casi di tale dop­ piezza .37 Simile alla distrazione è la categoria della produzione di un 'im­ pressione erata . « Il comportamento dell'agente fa sì che l'indivi­ duo bersaglio fraintenda il significato del comportamento stesso » . Questo può essere ottenuto anzitutto mediante u n comporta­ mento neutrale . Nel rifugio degli scimpanzé dello zoo di Arnheim il maschio Nikkie aveva ferito alla mano il suo rivale Yeroen. Non si trattava comunque di una ferita grave . Gli scimpanzé si muovo­ no perlopiù mediante deambulazione sulle nocche, vale a dire che si appoggiano sulle falangi delle mani. Ogni volta che incontrava Nikkie, Yeroen claudicava vistosamente; questo comportamento si protrasse per quasi una settimana intera . Ma non appena il suo avversario era fuori vista, Yeroen riprendeva a muoversi in manie­ ra perfettamente normale .38 Anche un comportamento che segnala disposizione amichevole può trarre in inganno un individuo bersa­ glio . Una volta osservai il titolare di un harem del gruppo di entel­ li del lago Kailana presso Jodhpur: era riuscito a impossessarsi di un mucchio di focacce di farina bianca, distribuite da uno dei loro nutritori, e si era seduto davanti al suo bottino . Una femmina adulta si avvicinò di soppiatto alle sue spalle e gli sgraffignò una focaccia. Il maschio si rivolse verso la femmina, scoprendo minac­ ciosamente le gengive . Una seconda femmina si avvicinò al ma­ schio, con l'evidente intenzione di impossessarsi di una focaccia . Stava già allungando la mano attorno alla sua schiena, quando im-

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provvisamente il maschio si voltò. Subito la femmina, con quella stessa mano che già aveva protesa per rubare, cominciò ad acca­ rezzare la schiena del maschio P9 Per circa un terzo della giornata i piccoli di entello non vengono accuditi dalle rispettive madri, ma sono oggetto delle cure di altri membri del gruppo , perlopiù femmine giovani. Le bambinaie por­ tano con sé a spasso i piccoli e curano loro il pelo, mentre le ma­ dri, godendo del loro tempo libero, si dedicano principalmente al­ la ricerca del cibo . Nella maggior parte dei casi le madri affidano i neonati alle aspiranti bambinaie, che si offrono spontaneamente, senza troppe cerimonie . A volte tuttavia si rifiutano di cederli . In questo tipo di situazione mi è accaduto di osservare una femmina, che aveva partorito proprio quel giorno, picchiare una compagna di branco più giovane che insisteva per prendersi cura del piccolo . Subito dopo la femmina giovane prese a curare per qualche secon­ do l pelame della puerpera e questa, in risposta alle sue blandizie, le cedette l piccolo senza opporre resistenza . Poco meno di un se­ condo dopo la femmina giovane si avvicinò da capo alla madre, che nel frattempo teneva nuovamente fra le braccia il suo bebè . A quel punto la femmina si rimise a curare premurosamente il pela­ me della madre, prima di potersi prender carico senza ulteriori op­ posizioni del piccolo . Simili tattiche di blandizie e di acquieta­ mento vengono impiegate anche da altri primati come i macachi reso, i cercopitechi verdi e i babbuini delle savane . 40 Un'impressione errata può essere suscitata del pari mediante le minacce . Un'alterazione transitoria del comportamento molto dif­ fusa consiste nell' erezione del pelo, che fa sembrare la >èimmia o l'antropoide più grande di quanto sia realmente . Anche le vocaliz­ zazioni possono essere impiegate a scopo di intimidazione . Le ca­ nopie arboree sommitali delle foreste equatoriali thai sono la pa­ tria di varie specie di gibboni, che hanno un'organizzazione socia­ le basata sulla monogamia . Ciascuna coppia difende il proprio ter­ ritorio , impegnandosi fra l'altro in duetti canori mattutini, desti­ nati a render noto ai vicini quanto segue : « Questo tratto di fore­ sta ci appartiene . Se vi avvicinate, dovrete vedervela con noi » . Nel duetto il maschio e la femmina assumono parti diverse, com­ prensive anche di alcuni assoli. Un ascoltatore ben esercitato è in grado di distinguere il sesso degli individui sentendone il canto . Il

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biologo americano Warren Brockelman, che vive da anni in Thai­ landia, si è occupato approfonditamente della struttura di questi duetti . Brockelman riferisce di una femmina di ilobate dalle mani bianche che viveva da sola in un territorio . Evidentemente la fem­ mina era rimasta vedova ; forse dei bracconieri avevano ucciso il maschio (evento, questo, tutt' altro che raro) . Questa femmina so­ litaria intonava degli assoli decisamente simili, al sentirli, alle par­ ti di norma cantate da un maschio . Viene spontaneo pensare che la femmina volesse suscitare l'impressione della presenza di due esemplari adulti nel territorio in cui dimorava. 41

L 'impiego di utensili sociali Gli episodi di possibile inganno tra i primati che sono stati rife­ riti finora si sviluppavano tutti con il solo coinvolgimento dell'in­ dividuo agente (l'ingannatore) e dell'individuo bersaglio (l'ingan­ nato) . La categoria del'indiizzare l'azione su un tezo estraneo im­ plica una situazione diversa : « l 'agente devia la minaccia dell'indi­ viduo bersaglio verso una terza parte innocente » . I l reindirizzamento di una minaccia compare abbastanza spesso nel catalogo dei comportamenti . Esso si differenzia dagli episodi di distrazione mediante minaccia precedentemente descritti solo in quanto ad essere prescelti come destinatari della minaccia sono stavolta non dei nemici immaginari ovvero dei membri del grup­ po, bensì dei soggetti effettivamente presenti. Se ad esempio un macaco orsino, un macaco del Giappone, una bertuccia o un bab­ buino delle savane vengono minacciati, improvvisamente l' aggre­ dito si rivolta inopinatamente contro un terzo, perlopiù un'altra scimmia di rango inferiore al suo . La confusione che ne scaturisce di solito è sufficiente a distogliere l'originario aggressore da ulte­ riori attacchi. 42 Anche gli entelli grigi trasferiscono spesso « verso il basso » l'aggressione che subiscono da conspecifici di rango su­ periore . Io stesso ho fatto più volte esperienza di ciò, ritrovando­ mi collocato evidentemente piuttosto in basso nella scala gerarchi­ ca . Per influenzare il meno possibile il comportamento delle scim­ mie, infatti, ero solito ritirarmi sempre quando vedevo una scim­ mia che si incamminava nella mia direzione; in tal modo però at-

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tuavo quella rinuncia al proprio posto che è tipica degli elementi più remissivi del gruppo. Pertanto era perfettamente logico che, in caso d'aggressione da parte di un elemento di rango superiore portato ai danni di una scimmia di rango inferiore, quest'ultima mi attaccasse, a volte anche in modo violento, al punto da lace­ rarmi i leggeri calzoncini di cotone che indossavo durante l'osser­ vazione . Uno scimpanzé femmina cercò una volta di scaricare la propria colpevolezza su un terzo innocente . Si trattava di Lucy, a cui negli Stati Uniti era stato insegnato , con un lavoro che aveva coinvolto numerosi istruttori, il linguaggio dei segni originariamente conce­ pito per esseri umani non udenti . Il dialogo riportato qui di segui­ to si svolse tra il suo tutore, Roger Fouts, e Lucy, dopo che era stato scoperto un mucchio di escrementi nel soggiorno . Roger: « Che cos'è questo? » . Lucy : « Lucy non sapere » . Roger: « Tu sape­ re. Cosa questo? » . Lucy: « Sporco sporco » . Roger: « Di chi, sporco sporco? » . Lucy: « Di Sue » (Sue era un'altra istruttriCe) . Roger: « Questo non di Sue . Di chi è questo? » . Lucy: « Di Roger » . Roger : « No ! Questo non di Roger . Di chi è questo? » . Lucy: « Lucy sporco sporco . Lucy dispiace » . 43 Quando in un'azione sono coinvolte solamente due parti (ad esempio l'agente e un individuo bersaglio) , questa viene considera­ ta un'interazione diadica. Se le (già descritte) forme della distrazio­ ne fanno riferimento anche a un'altra parte precedentemente non interessata, allora sono in gioco le cosiddette interazioni triadiche, con stumentalizzazione sociae. « L' agente influenza un individuo, !'"utensile" , in modo tale che questo a sua volta manipoli l'indivi­ duo bersaglio a vantaggio dell'agente » . Questo tipo di strumenta­ lizzazione si differenzia dall'ordinario uso di strumenti tecnici nel­ la misura in cui a essere impiegate per il conseguimento di un fine (ad esempio schiacciare una noce) non sono le proprietà di un og­ getto inanimato (ad esempio la superficie dura di una pietra) , bensi le proprietà (come la forza muscolare) di un conspecifico . Uno dei casi possibili (l'inganno dell'utensile) è stato riferito già all'inizio di questo capitolo : la storia del giovane babbuino Paul che si metteva a strillare come un ossesso e in tal modo induceva la madre ad accorrere in suo aiuto e a cacciare un'altra femmina che evidentemente lei riteneva responsabile del misfatto . In tal

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modo Paul poteva godersi quel buon bocconcino che la femmina aveva dissotterrato per sé.44 Anche le femmine di amadriade che fanno parte di un harem risolvono spesse volte a questo modo le aggressioni reciproche. Esse cercano di collocarsi tra il titolare dell'harem e un'avversaria. A questa vengono rivolte aspre minac­ ce, e contemporaneamente al maschio titolare dell'harem vengono presentate le terga (un gesto d'invito alla rappacificazione) . L'av­ versaria si trova in una posizione difficilmente difendibile . Se rea­ gisce alla minaccia, deve automaticamente scagliarsi anche contro il titolare dell'harem, che per questo la punirebbe (fig. 1 5 ) Y Wolf­ gang Wickler ha rilevato l'analogia della cosiddetta minaccia in condizioni di sicurezza con il comandamento mosaico : « Non pro­ nunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo » . Infatti la femmina che minaccia, con l suo atteggiamento sottomesso, costrin­ ge il superiore di rango a montare in collera contro un terzo che, di per sé, non fornirebbe alcun pretesto in tal senso. Anche le scimmie dunque sarebbero capaci di « far punire un innocente dal­ l'autorità, allo stesso modo di un testimone mendace ».46 L'inganno del bersaglio può anch'esso avvenire nell' ambito di una strumentalizzazione sociale. Le femmine di un harem di en­ telli, ad esempio, non si lasciano fare di tutto dal titolare dell'ha­ rem. Tra tutte le femmine del gruppo del lago Kailana, quella in­ dicata col numero 8 era la più inflessibile nei confronti dei maschi adulti. Sebbene nel comportamento del titolare dell'harem non

Figura 1 5 Nell'amadriade l a presentazione delle terga h a l a funzione d i u n invito all' accoppiamen­ to e alla riconciliazione. Questa inibizione dell'aggressione viene impiegata tatticamente nella tecnica della cosiddetta minaccia in condizioni di sicurezza. L 'animale al centro minaccia quello di sinistra e nello stesso tempo presenta le terga al titolare dell'harem. L'avversario non è in grado di difendersi, dato che una sua replica di tenore minaccioso sarebbe automaticamente rivolta anche al maschio. Fonte: Wickler 1 968/ 1 9 7 3 , p. 2 3 2 (disegno di H. Kacher sulla scorta di materiali di Hans Kummer) .

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fosse riconoscibile, con tutta la più buona volontà, alcun' intenzio­ ne aggressiva, essa difendeva con veementi attacchi il suo ultimo piccolo . I maschi adulti sono di gran lunga più pesanti, più forti e meglio dotati in fatto di canini affilati; eppure quando si tratta di difendersi dall'attacco di una femmina, si dimostrano pusillanimi. Dato che il periodo loro concesso per la riproduzione è comunque limitato al tempo relativamente breve durante il quale sono in ca­ rica, non possono permettersi di ferire delle femmine, perché in tal modo si priverebbero di una potenziale partner per la procrea­ zione della prole . Il figlio della femmina 8, a un anno e mezzo di età, aveva imparato evidentemente in fretta a tener conto della reazione di sua madre, e sembrava veramente propenso a mettere in scena il gioco di « far cacciare il maschio alfa » . A partire dalla metà del luglio 1 98 2 , cominciò a mugolare , senza alcun motivo ap­ parente, alla volta del titolare dell'harem, cosa che i piccoli di en­ tello normalmente fanno solo quando si sentono poco bene oppure quando temono di essere in pericolo . Subito la madre accorreva sul posto e attaccava il titolare dell'harem con urla violente. Evi­ dentemente il mugolio del maschio immaturo finl con l'operare , nei confronti del titolare dell'harem, un condizionamento classi­ co, vale a dire un effetto di apprendimento in virtù di un' espe­ rienza negativa ripetuta. Il 3 agosto 1 982 la femmina 8 gli si acco­ stò, mentre stava osservando i dintorni . Quando si avvicinò mu­ golando anche il giovane maschio , il titolare dell'harem si allon­ tanò in maniera decisamente frettolosa, e senza dubbio a titolo preventivo Y Non sembra che il figlio della femmina numero 8 po­ tesse trarre un vantaggio immediato da questo gioco grazie a cui riusciva a mettere regolarmente nei guai il titolare dell'harem. Posso tuttavia supporre che in tal modo riuscisse ad assicurarsi un migliore trattamento da sua madre, poiché il figlio aveva già rag­ giunto l'età in cui la maggior parte delle madri rifiutano di offrire il seno per l'allattamento . Quella madre infatti concedeva ancora al figlio il contatto di lattazione (come si usa definirlo tecnicamen­ te) in una fase della vita in cui i suoi compagni di genere abbando­ nano di solito il gruppo in cui sono nati e cresciuti e si uniscono a un gruppo di maschi. Tra madre e figlio, negli entelli e in molti altri primati, durante il periodo dello svezzamento sorge e si sviluppa un potente con-

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flitto . Se la madre vieta ai piccoli l'accesso alle mammelle, spesso i figli frustrati si gettano a terra, battono la testa contro le pietre, cominciano a mordersi e si mettono a gridare come ossessi. Il mes­ saggio inviato alla madre si potrebbe tradurre in questi termini: « Se non ti occupi immediatamente di me, mi distruggerò da solo e tutta la pena che ti è costata finora la generazione e l'allevamento della prole, sarà stata vana » . In effetti queste scenate, perlomeno qualche volta, raggiungono il loro scopo e le madri riprendono i piccoli al seno . Nella letteratura specializzata il rapporto viene de­ signato solitamente con il termine medico inglese temper tantrum, « accesso di collera ». Simili accessi possono essere interpretati co­ me strategie di inganno riconducibili alla categoria della produzio­ ne di un'impressione errata, poiché è difficilmente immaginabile che il piccolo, da un secondo all'altro, si senta così male . Il com­ portamento si verifica occasionalmente nel modo or ora descritto in concomitanza di una strumentalizzazione sociale, come ha rife­ rito il primatologo inglese Robin Dunbar , sulla base delle osserva­ zioni effettuate in Etiopia sui gelada, che hanno anch'essi un'or­ ganizzazione sociale ad harem. Un piccolo di un anno, colto da un vero e proprio accesso di collera in seguito al rifiuto del seno da parte della madre, aveva disturbato il titolare dell'harem, che si stava dedicando alla cura del pelame assieme a un'altra femmina . I due dapprima ignorarono l piccolo, che allora colpì sul dorso l maschio, cominciando a tirargli la criniera . Il maschio continuò a ignorare il piccolo . Allora questo riprese a tirare la criniera all'a­ dulto, che a quella si rivoltò e gli assestò una buona botta . Il pic­ colo allora corse dalla madre, che aveva seguito la scena . Questa gli permise subito di attaccarsi al seno , e lo portò via con sé:48 una scena, questa, che si replica quotidianamente, sia pur con lievi va­ riazioni, in molte famiglie umane . Vittima della strumentalizzazione sociale era anche, come si è visto, quel babbuino delle savane che, blandito con le cure del pe­ lame da una femmina, si rilassava a tal punto da lasciarsi soffiare la preda di caccia . Qualche giorno dopo quello stesso maschio riu­ scì a catturare nuovamente una gazzella di Thompson. La stessa femmina si riavvicinò e cercò di mendicare un brandello di carne . Prima rivolse lo sguardo verso il maschio, poi alla sua preda, e, vi­ sto che non otteneva alcun risultato, prese ad accarezzargli il pelo .

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Il maschio stavolta stette a godersi il trattamento, continuando però a tenere una mano sulla carcassa della gazzella; e quando sen­ tiva che le cure della femmina si diradavano, rinforzava la stretta sulla preda . Dopo qualche tempo la femmina desistette dai suoi sforzi, per rivoltarsi, senza motivo apparente, contro la femmina che era considerata la favorita del cacciatore . Il maschio esitò, guardando ora la gazzella ora la sua amica, e infine si decise a cor­ rere in soccorso della compagna . Subito l' autrice dell'aggressione tornò indietro di corsa, riuscendo a impadronirsi della gazzella . Al momento dell'aggressione, la favorita del maschio si trovava a un centinaio di metri di distanza. Inoltre, di tutti i babbuini del grup­ po, quella non era certo la più vicina né quella d'infimo rango . Sembra dunque probabile che l'autrice dell'aggressione non inten­ desse solamente dare sfogo alla propria frustrazione, ma che aves­ se scelto un individuo strettamente legato con il maschio per ma­ nipolare il suo comportamento a proprio vantaggio . 49

Ingannare l'ingannatore Vi sono indizi evidenti che le scimmie e in particolare i primati antropoidi capiscono le strategie di inganno di altri individui e sanno come smascherarle; tali indizi si possono ricavare dagli epi­ sodi che rientrano nella categoria della ritosione di un inganno, va­ le a dire dai casi in cui « l comportamento di un individuo vanifica l'inganno tattico di un altro individuo » . Questo comportamento complesso ha due varianti: una più semplice e una più elaborata . La più semplice consiste nel'impedi­ re il successo di un inganno . Così ad esempio lo scimpanzé ma­ schio Dandy sorprese un giorno la femmina Spin mentre questa si era appartata con un altro maschio in un angolino tranquillo della riserva. Dandy corse, tra alti latrati, dal maschio di massimo ran­ go del gruppo, che si trovava in un luogo piuttosto distante e non si era accorto di nulla, e lo condusse al nascondiglio dei due, che erano appunto nel bel mezzo dell'accoppiamento .5 0 La variante più elaborata consiste nell'ingannare un ingannatore . Presso la popolazione di scimpanzé del parco di Gambe, in Tanza­ nia, si verificò un giorno il seguente episodio : un maschio stava

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mangiando delle banane, del cui nascondiglio nessun altro, a parte lui, era a conoscenza, quand'ecco che apparve un altro scimpanzé. Il maschio posò immediatamente le sue ghiottonerie, corse via per un tratto e cominciò a fissare nel vuoto dinanzi a sé. Il nuovo arrivato prosegui per la sua strada, ma di l a poco, appena fu certo di non es­ sere visto, si nascose dietro un albero, per poter osservare indistur­ bato l primo maschio . Quando quest'ultimo fece per riprendere la sua merenda, l'altro saltò fuori prontamente, cacciò l primo e co­ minciò a mangiarsi le sue banane (fig. 1 6) . 5 1

Figura r 6 Nel regno animale, gli scimpanzé sono i principi dei bugiardi. Le loro capacità intelletti­ ve a volte li mettono in condizione di intuire le intenzioni truffaldine degli altri e di por­ vi rimedio, come illustra questa serie di vignette, che si ispira a un episodio realmente accaduto in Tanzania. Fonte: Sommer r 989c, pp. 1 5 2 -5 3 (disegno di Manuel Fontegne / Geo-Grafik, sulla scorta di materiali di David Bygott, in « New Scientist>> 3 [r 987], p. 57).

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Nel Centro di primatologia di Yerkes, il ricercatore Emil Men­ zel ha eseguito un'affascinante serie di esperimenti, nel corso dei quali un gruppo di sei giovani scimpanzé venivano liberati in una riserva, dopo che a uno di essi era stato mostrato del cibo accura­ tamente nascosto . In un primo momento la « guida » (perlopiù la femmina Belle) conduceva con notevole sicurezza i cinque compa­ gni e compagne al nascondiglio . E da principio gli scimpanzé si spartivano più o meno equamente il bottino . Dopo qualche tempo però Belle cominciò a mostrarsi esitante nelle sue azioni, ogniqual­ volta il gruppo veniva messo in libertà . La causa di ciò consisteva soprattutto nel fatto che Rock, l maschio dominante del gruppo, aveva cominciato a sferrare calci e a mordere Belle, non appena questa svelava l nascondiglio . In questo modo Rock reclamava tutto il cibo per sé. Tra lui e Belle si sviluppò così, nel corso di un periodo di nove mesi, un gioco sempre più raffinato di inganni e controinganni . Inizialmente Belle non voleva rivelare il nascondi­ glio finché Rock si trovava nelle vicinanze . Perlopiù si metteva di­ rettamente a sedere sul posto in questione, dopo averlo individua­ to nella riserva . Rock però intuì ben presto la sua tattica e quando vedeva che Belle si sedeva in un punto per più di qualche secondo , le si avvicinava, l' allontanava a spintoni e s'impossessava della frutta e della verdura, accaparrandosele tutte per sé . Belle reagì a questa tattica rifiutandosi di percorrere tutto il sentiero fino al na­ scondiglio, e mettendosi a sedere sul sentiero che conduceva al po­ sto designato . Rock naturalmente riuscì a vanificare i suoi sforzi, esplorando aree circolari sempre più ampie che potevano avere per centro il punto in cui Belle si era messa a sedere. Finalmente Belle cominciò a sedersi a distanza sempre maggiore dal nascondiglio . Aspettava finché Rock era rivolto a guardare da un'altra parte, e approfittava di quel momento per recarsi nel luogo dove era na­ scosto l cibo . Rock, per contromisura, rivolgeva lo sguardo in un'altra direzione fintantoché Belle non si muoveva . A volte fini­ va addirittura per trotterellarsene via, salvo a compiere un brusco dietrofront proprio quando Belle si accingeva a recuperare un frutto . In questo modo Rock riusciva a scoprire molto spesso il ci­ bo nascosto quando si trovava a più di dieci metri di distanza da Belle . Più volte si orientò sulla posizione in cui si trovava Belle, per cominciare la sua ricerca proprio dal punto verso cui Belle sta-

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CAPITOLO QUINTO

va guardando . Perlopiù, quando Rock si avvicinava al nascondi­ glio, Belle accelerava l'andatura, rivelando cosi a Rock, con que­ sto movimento nervoso, che le sue supposizioni erano giuste . In alcune circostanze però la guida condusse il gruppo in una direzio­ ne diametralmente opposta a quella in cui si trovava l nascondi­ glio, per poi scattare, non appena vedeva Rock tutto assorto nella ricerca, verso il vero nascondiglio , raggiungendolo a tutta velocità e assicurandosi cosi la sua razione . A volte gli etologi nascondeva­ no singoli pezzetti di eibo a circa tre metri di distanza dal deposi­ to principale . Belle allora guidava Rock a uno dei pezzetti e, men­ tre lui vi si avventava sopra , correva al nascondiglio maggiore . Rock tuttavia imparò a sventare anche questo trucco, ignorando il pezzetto isolato e tenendo sempre d'occhio i movimenti di Belle, la quale reagl con dei furibondi accessi di collera, come fanno i bambini piccoli cui la madre nega la mammella. 52 La competizione tra Belle e Rock, che è sicuramente uno degli esempi più affascinanti di inganno e controinganno, illustra dun­ que nel modo migliore un passo dell'opera di Johann Geiler von Kaisersberg Der Seelen Paradies [Il paradiso delle anime] ( I 5 IO) , in cui il predicatore afferma : « Quando si è pronunciata una menzo­ gna, ne occorrono altre quaranta per dar forma alla prima » . 53

C apitolo 6 Gli animali leggono nel pensiero? I livelli della rappresentazione mentale

Quando si è mentito, occorre aver buona memoria . Pierre Corneile 1

Mentalismo contro comportamentismo La questione se gli animali dispongano o meno d'una coscienza accendeva gli animi degli psicologi e degli studiosi del comporta­ mento già un secolo fa. Ancora oggi questo problema è tutt'altro che superato . Esso è anzi strettamente connesso a quello della possibilità per gli animali di mentire . Agostino definiva la menzo­ gna un inganno deliberato . Tuttavia è difficile concepire una vo­ lontà senza coscienza. Lo stesso etimo della parola mentire sembra alludere al lavorio mentale necessario : in latino infatti mentii e i suoi derivati menx (« menzognero ») e menacium (« menzogna ») traggono origine da mens, « mente », « intelletto » . Il bugiardo si pone dunque coscientemente in una prospettiva antitetica nei con­ fronti della realtà. Uno degli antesignani tra le file della psicologia del comporta­ mento a riconoscere una coscienza agli animali fu lo psicologo in­ glese George John Romanes . In due suoi libri (Anima! Intelligence del r 883 e Menta! Evolution in Animals, pubblicato l'anno seguen­ te) descrisse la vita interiore degli animali, certo non senza uma­ nizzarla fortemente . Suo antagonista di maggior rilievo nel dibat­ tito che ne scaturì fu Lloyd Morgan, che respinse tali concezioni in opere quali An Introduction to Comparative Psychology ( r 884) e Anima! Behaviour ( r 9oo) .2 Romanes, che era un seguace di Dar­ win, suddivideva l'evoluzione dell'intelletto in tre fasi: riflesso, istinto e intelligenza (o ragione, in inglese reason) . Tali meccani­ smi di controllo aiutano gli organismi a sussistere nell'ambiente e

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CAPITOLO SESTO

sono il prodotto della selezione naturale . Secondo Romanes, i ri­ flessi hanno un decorso quasi meccanico, là dove nel comporta­ mento istintivo o intelligente entrano sempre in gioco processi mentali, ovvero intellettivi. I riflessi sono innati e hanno uno svol­ gimento stereotipato, in quanto reazione a stimoli. Nemmeno gli istinti sono acquisiti a partire dall'esperienza. Pure, vengono im­ piegati con maggiore flessibilità (non ogni stimolo ha per conse­ guenza un'azione istintiva) benché l'organismo sia completamente ignaro della concatenazione tra mezzo e fine . Certo , nel caso del comportamento intelligente, entra in gioco il sapere cosciente , la coscienza (in inglese conscious knowledge, vale a dire « conoscenza consapevole ») . Romanes attribuiva agli animali la coscienza in tutti i casi in cui il loro comportamento poteva risultare pianifica­ to . Egli considerava questa attribuzione non soggettiva o oggetti­ va, bensl « eiettiva », termine con cui intendeva affermare che gli stati mentali in altri organismi possono essere ricavati solamente sulla base di confronti con la propria persona .3 L'umanizzazione sistematica portò Romanes a formulare descri­ zioni del comportamento animale che oggi hanno un non so che di bizzarro . Lo psicologo inglese descrisse cosl un'esperienza vissuta con il proprio cane: « Uno dei divertimenti preferiti del terrier con­ sisteva nell' acchiappare le mosche posate sulle finestre . Quando però si sentiva canzonare per un agguato andato a vuoto, questo sembrava infastidirlo molto . Un giorno, per vedere che cosa avreb­ be fatto, mi misi a ridere senza ritegno ad ogni fallimento dei suoi tentativi . La cosa si ripeté più volte di seguito, in parte credo pro­ prio in reazione alle mie risate, e da ultimo egli era cosl abbattuto che cominciò in certo qual modo a far inta di acchiappare le mo­ sche . Eseguiva con le labbra e con la bocca tutti i movimenti che avrebbe fatto dopo averne catturata una, e successivamente strofi­ nava il collo sul pavimento, come se volesse uccidere la preda. Poi si volgeva a guardarmi, con un trionfante sguardo di successo . L'intero processo era cosl ben simulato che ci sarei cascato, se non avessi notato la mosca ancora posata sulla finestra . Di conseguenza richiamai l'attenzione del cane su questa circostanza, e anche sul fatto che sul pavimento non si vedeva nulla . Allora, accorgendosi che la sua pantomima era stata scoperta, si rimpiattò sotto un mo­ bile, chiaramente sopraffatto dalla vergogna ».4

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Lloyd Morgan reagì a un antropomorfismo così spinto con que­ ste parole : « Non possiamo mai interpretare un'azione come risul­ tato dell'esercizio di una facoltà psichica superiore, se è possibile interpretarla come risultato dell'esercizio di un livello psicologico inferiore ».5 Morgan metteva in guardia dal prestare affidamento esclusivamente agli aneddoti, qualora si tratti di formulare ipotesi sulle prestazioni intellettive degli animali. Infatti, se non sappiamo come si evolve un comportamento, potrebbe sfuggirei che esso ha tratto origine da un processo d'apprendimento per tentativo ed er­ rore, e non è il risultato di un comportamento intelligente o di un lampo d'ingegno . Dietro l'acquisizione di un'abilità che appare in­ telligente si nasconde perlopiù « l'influenza direttrice del piacere e del dolore » . Morgan distingueva inoltre dalle azioni intelligenti, che sono il risultato di un rinforzo positivo o negativo determinato dal piacere o dal dolore, le azioni « razionali », che si basano su un « pensiero riflessivo » e su una « pianifiCazione volontaria ». 6 Morgan spiegava le osservazioni di Romanes in termini più semplici: un inganno intenzionale affonda le sue radici nell'idea che l'azione potrà essere interpretata come qualcosa di diverso da ciò per cui essa era stata concepita . Solo pochi però attribuirebbe­ ro agli animali simili strategie basate su una piena consapevolezza . « Al pari delle bugie dei bambini più piccoli, gli inganni degli ani­ mali sono presumibilmente solo dei moduli comportamentali col­ legati all'esperienza di un esito gradevole » . 7 Morgan non nega che altre creature , al di fuori dell'uomo, pos­ sano disporre di una coscienza. Semplicemente è convinto che una simile coscienza sia meno complessa di quanto potessero far pen­ sare le descrizioni umanizzanti . Fu il fondatore del comportamen­ tismo, John Broadus Watson ( r 878- r 958), ad avanzare la conce­ zione estrema secondo cui il comportamento degli animali poteva essere descritto adeguatamente senza appellarsi a stati di coscien­ za. « Il comportamentista non trova alcun indizio di stati o proces­ si mentali di alcun genere » . 8 Questa professione di fede fu eletta a vero e proprio dogma dai discepoli di Watson (soprattutto Burrhus Frederic Skinner, I 904- I 99 r ) , ed estesa allo stesso essere umano : anche il nostro agire non si fonda sulla comprensione intelligente o sulla lungimirante pianificazione, ma è il risultato di complessi processi di apprendimento, che si basano sul rinforzo positivo e negativo e programmano il nostro modo di procedere .

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Una via intermedia fu quella intrapresa da Margaret Washburn ( r 87 r - r 939), che provò a considerare come si potessero ottenere prove attendibili di processi mentali negli animali senza ricalcare le impronte dell'antropomorfismo di Romanes, adottando però l suo metodo eiettivo . La sua convinzione, in base alla quale anche gli animali dispongono di una coscienza, si fondava su una combi­ nazione di raffronti animale-uomo sotto l profilo della struttura corporea, della fisiologia e del comportamento. Da tutto ciò Wash­ burn ricavava che « quando un essere vivente, le cui strutture asso­ migliano alle nostre, riceve uno stimolo e si comporta e si muove proprio come facciamo noi in reazione allo stesso stimolo, allora esso ha esperienze interiori che equivalgono alle nostre ». Perciò noi possiamo e anzi dobbiamo « interpretare umanizzandolo l'in­ telletto (mi) animale » . Nel far ciò, ovviamente (e qui Washburn tiene conto dell'ammonimento di Morgan) « si dovrebbe sempre scegliere l'interpretazione meno complessa ». 9 Indipendentemente da questi ammiccamenti di complicità con il mentalismo, verso la metà di questo secolo venne sviluppan­ dosi l' armamentario terminologico dell'etologia comparata. Oskar Heinroth ( r 87 r - r 945) , Erich von Holst ( r 9o8- r 962), Nikolaas Tinbergen e Konrad Lorenz cercarono di ricostruire l'evoluzione genealogica di diverse specie. Mentre andavano elaborando l mo­ dello istintuale, dotandolo della necessaria precisione concettuale, essi si resero conto che molti moduli comportamentali erano con­ trollati da programmi rigidi e immutabili. Per esemplificare la contrapposizione antagonistica, appassionata e veemente, che ve­ niva così alimentata nei confronti della scuola comportamentista, si può rammentare che Lorenz, primo fra tutti, da un lato tendeva a evidenziare le componenti innate e quindi preprogrammate del comportamento animale e umano, e dall'altro non aveva alcuna ri­ serva a descrivere gli animali come esseri che agiscono cosciente­ mente . Con la sua magistrale arte narrativa, che non rifuggiva da­ gli antropomorfismi, riusciva ad affascinare anche il pubblico dei profani: « Anche le oche, in fondo, non sono che esseri umani », che si innamorano, fanno lo gnorri, e ci tengono a fare bella figu­ ra . . . Certo Lorenz non era poi così ingenuo da prendere alla lette­ ra le proprie parole. Era convinto che i processi mentali sfuggisse­ ro all'osservazione, ma non disdegnava di impiegare termini quali

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« timore », « credere », « riconoscere », a mo ' di comodi stenogram­ mi che riassumevano complessi schemi comportamentali. 1 0 Nel 1 986 gli psicologi Robert Mitchell e Nicholas Thompson, curatori di un volume collettivo sul dibattito riguardante l'inganno nell'uomo e nell'animale, tirarono le conclusioni dell'opera in un epilogo nel quale rimarcavano che gli scienziati avrebbero conti­ nuato a impiegare un linguaggio tanto più « cognitivo » e tanto più decisamente imperniato sul concetto di coscienza quanto più com­ plessi fossero stati i sistemi dell'inganno da essi indagati. A questo riguardo c'era però, tra gli psicologi e gli zoologi, un'importante differenza. Questi ultimi erano abituati a corredare di virgolette i concetti psicologici, e a mitigarne comunque la pregnanza. Lo zoo­ logo John Krebs scriveva ad esempio : « Si noti che le parole " deci­ sione" e " scelta" non asseriscono alcunché riguardo a un pensiero cosciente, ma sono una semplice abbreviazione di un enunciato del tipo "un animale è fatto per seguire determinate regole" » . 1 1 Nel suo libro The Sefish Gene Richard Dawkins fa riferimento a una conferenza di Beatrice e Allan Gardner su una famosa femmina di scimpanzé «parlante », che impiegava il linguaggio gestuale ameri­ cano dei sordomuti. Tra il pubblico della conferenza c'erano alcuni filosofi, che durante il dibattito domandarono se Washoe fosse ca­ pace di mentire . Dawkins ritiene che questa domanda non fosse particolarmente interessante : « L'idea che un animale possa mentire può dare luogo a malintesi. [ . . . ] Io infatti parlerei semplicemente di un effetto che dal punto di vista funzionale corrisponde all'ingan­ no » Y Mitchell e Thompson si dimostrano molto critici nei con­ fronti di un tale riserbo : « Pensiamo sia tempo di mettere da parte le nostre virgolette e le nostre riserve, e guardare in faccia le impli­ cazioni del fatto che alcuni concetti cognitivi forniscono una descri­ zione pratica di un'organizzazione naturale complessa »Y Uno dei più fervidi sostenitori della necessità di riconoscere agli animali una coscienza, il biologo americano Donald R. Griffin, ha definito le virgolette le « coperte di Linus » degli intellettuali, sorta di rassicu­ ranti orsetti di pezza capaci di riparare dai gelidi refoli che spirano dai quartieri del « comportamentismo senza intelletto ». 14 A questo punto neanche Richard Byrne e Andy Whiten (fig. 1 7) potevano fare più a meno di cercarsi un cantuccio tranquillo in questa infilata di salotti intellettuali : un angolino dove riordina-

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Figura 1 7 I due psicologi e primatologi Andy Whiten (a sinistra) e Richard Byrne hanno portato una ventata d'aria fresca nell'acceso dibattito sulla capacità degli animali di porre in atto stra­ tegie coscienti d'inganno. Il loro contributo si è tradotto, fra l'altro, nella pubblicazione di un volume collettivo intitolato Machiavellian Intelligence, qui celebrata in solenne forma accademica dai due curatori, sullo sfondo del campus dell'Università di St Andrews. Ma­ chiavelli descrive l modo in cui la capacità di possa essere impiega­ ta per fini truffaldini. Da queste osservazioni i due ricercatori scozzesi hanno tirato le loro personali conclusioni: entrambi avrebbero voluto veder citato per primo l loro cognome nell'elenco dei curatori sul frontespizio del volume. Per decidere chi sarebbe stato l pri­ mo, hanno preferito lasciare l'ultima parola l caso, tirando a testa o croce. Fonte: foto Jennifer M. Byrne, St Andrews, Scozia.

re e interpretare tutti gli episodi di inganno tattico nei primati che essi avevano collezionato (e di cui abbiamo passato in rasse­ gna solo alcuni esempi nel capitolo precedente) . Pure, di fronte a tante disorientanti tappezzerie, adorne di complessi motivi come il « mentalismo », l « comportamentismo », la « comunicazione », il « condizionamento », la scelta non doveva essere agevole. Uno dei volumi editi dai due ricercatori scozzesi sintetizzava lo stato della discussione con l titolo Machiaveian Inteligence_ Certo, era stato proprio il maestro del pensiero politico rinascimentale a formulare la massima a cui sembrano attenersi ancor oggi i politici, e non so­ lo loro . Eppure gli stessi babbuini si comportano in maniera cosl complessa da far sembrare quanto meno giustificato l'interrogati­ vo se le istruzioni del Fiorentino non siano state forse messe in

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pratica già da tempo proprio da questi membri del consorzio scim­ miesco: « È necessario [ . . . ] essere gran simulatore e dissimulatore : e sono tanto semplici gli uomini, e tanto obbediscano alle neces­ sità presenti, che colui che inganna, troverrà sempre chi si lascerà ingannare » . 15

La icerca di spiegazioni semplici « Dobbiamo delimitare rispetto alla menzogna [ . . . ] , cioè all'in­ ganno consapevole e finalizzato [ . . . ], quel comportamento che ap­ pare menzognero, ma senza dubbio non è inganno perpetrato in modo cosciente o tenendo conto dei contesti causali e finali, bensì un comportamento sostanzialmente impulsivo, che, in questa for­ ma appunto, riscontriamo anche nel regno animale » . Questa l'i­ stanza che avanzava nel 1 9 2 7 Karl Reininger, in un saggio sulla « menzogna nel bambino e nel giovane come problema psicologico e pedagogico ». 16 L 'interrogativo qui sollevato chiama proprio in causa la fase del­ l' ontogenesi (lo sviluppo individuale) in cui si forma la capacità di mentire . Nel raffronto degli schemi comportamentali di proscim­ mie, scimmie e antropoidi sorge invece l'interrogativo di quale sia stata la fase della filogenesi (lo sviluppo lungo l'asse ereditario) in cui si è evoluta la capacità di mentire . Per Reininger, certo, il se­ condo interrogativo neppure si poneva . Egli riteneva essere un me­ ro dato di fatto , che nel regno animale non fosse possibile riscon­ trare altro « comportamento al di fuori di quello non consapevole e sostanzialmente impulsivo »: una concezione, questa, condivisa da numerosi scienziati ancor oggi, a distanza di settant'anni. Grazie agli sforzi di Byrne e Whiten, sappiamo invece che questa conclu­ sione non è affatto ovvia . Certo, prima che venga dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che esistono , se esistono, « coscienze di varia specie » nella testa di altri primati oltre all'uomo, e che sia accertata la loro natura, occorrerà una considerevole mole di inda­ gini dettagliate . Byrne e Whiten hanno stabilito criteri quanto mai rigorosi per la valutazione degli episodi del loro catalogo di ingan­ ni, e rimarcano espressamente come, in molti casi, si possano tro­ vare delle spiegazioni molto più semplici di quelle che si impernia-

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no sull'inganno consapevole. Così anche Reininger considera con un certo scetticismo l primo caso di menzogna riportato a suo tem­ po nella letteratura specializzata, che riguardava un bambino di un anno : « Bubi, nonostante il divieto dei genitori, amava molto ma­ sticare la carta . In occasione di un episodio di questo tipo , i genito­ ri fecero le seguenti annotazioni: "Oggi la mamma d'un tratto si è voltata e ha sorpreso l bambino a masticare un pezzetto di carta . Bubi, spaventato, ha avuto un sussulto, si è tolto la carta di bocca e, per volgere la cosa in scherzo, ha rivolto alla mamma un riso biri­ chino . Lei però è rimasta seria, ha ribadito l divieto, e gli ha girato le spalle risoluta. Il piccolo, pur continuando a ridacchiare fra sé, e volgendo di quando in quando alla madre uno sguardo di sottecchi, ha fatto per infilarsi nuovamente in bocca l pezzo di carta; a quel punto però la mamma si è girata repentinamente . Spaventato, Bubi ha strabuzzato gli occhi e, con una breve e sforzata risatina d'imba­ razzo, ha cominciato a strofinarsi sul naso, sugli occhi e sulle orec­ chie, con aria di massima innocenza, l pezzo di carta incriminato, come se volesse dar a intendere di aver sempre avuto quell'innocua intenzione, e quasi che esso fosse capitato nei pressi della bocca per un semplice errore" » . Reininger ritiene che già dall'età risulti chiaro come qui non si tratti di una vera menzogna, bensì che « la pulsione al gioco che prende l sopravvento sul bambino [ . . . ] con­ tribuisce a condizionare in modo quanto meno sostanziale il com­ portamento infantile » . 17 Lasciamo al lettore decidere se questo depennamento del caso sia giusto o meno . In ogni modo , di regola è quanto mai indicato preferire la spiegazione più semplice a quella più complicata . Pos­ siamo ricordare, al proposito, un caso analogo, quello di una fem­ mina di entello che, sorpresa nel tentativo di sottrarre, da dietro le spalle del maschio, un pezzo di cibo, si mise a curarne l pelame . Qui la spiegazione complicata parte dal presupposto che nella te­ sta della scimmia si sia dipanato il seguente filo di pensiero : « >) e i macachi orsini percorrono i primi quattro stadi decisamente più in fretta degli antropoidi e degli uomini, ma non arrivano oltre. Gli antropoidi raggiungono il quarto stadio più rapidamen­ te degli uomini, ma solo all'età di tre-sette anni sono in grado di risolvere problemi che i piccoli della specie umana riescono a superare già tra l'anno e mezzo e i due anni. (b) La ri­ petizione di semplici abitudini contraddistingue il terzo stadio e dà gioia sia l piccolo orango che al bebè umano. Fonte: Jolly r 985, p. 384 (a; su dati di Chevalier-Skolnikoff r 983) e p. 3 85 (b; foto di Jeff Berner e Stephen Longstreth, da Chevalier-Skolnikoff r982).

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attivamente una causa o uno strumento invisibili (sesto stadio)? Uno degli scimpanzé mostrava già a 2 2 mesi un comportamento ricondu­ cibile al quarto stadio: nonostante la bardatura applicatagli, si muo­ veva in maniera coordinata con il suo tutore, oppure poneva la ma­ no di quest'ultimo su un giocattolo per ottenere la ripetizione del gioco. A due anni e mezzo i due scimpanzé erano già in grado di produrre, in forme sia pur rudimentali, comportamenti del sesto stadio. Se un aeroplanino di carta li sorvolava, guardavano dietro di sé. Cercavano il vasetto e il bastoncino ad anello per fare le bolle di sapone, oppure un rastrello dal lungo manico per raccogliere un og­ getto lontano . 40 Piaget aveva postulato l'esistenza di questa com­ prensione immediata già negli scimpanzé con cui aveva lavorato lo psicologo tedesco Wolfgang Kohler a Tenerife, prima della prima guerra mondiale. Senza aver mai fatto in precedenza alcuna prova, gli scimpanzé di Kohler utilizzavano dei bastoni per raggiungere delle banane posate fuori della loro portata . 41 Certo, il raffronto del comportamento delle scimmie con quello degli uomini non è privo di insidie . Se un babbuino volge le spalle ai suoi compagni di gruppo, nascondendo così il cibo, questo atte­ sta solo il raggiungimento del quarto stadio (nesso tra mezzo e fine) oppure del sesto (il babbuino sa che in questo modo gli altri non riescono a vedere il cibo di cui si è impossessato)? Perfino quando due azioni appaiono uguali, possono fondarsi su processi mentali del tutto differenti, a seconda di come esse abbiano avuto orgine ontogeneticamente . Una determinata strategia di inganno, ad esem­ pio , può prendere avvio in maniera del tutto casuale, e successiva­ mente, quando ha avuto conseguenze positive, entrare a far parte del repertorio comportamentale per via di apprendimento da rinfor­ zo, il che costituirebbe un meccanismo riconducibile al terzo sta­ dio . L'inganno può anche essere appreso per via di prova ed errore (cioè mediante un meccanismo riconducibile al quinto stadio) op­ pure l'individuo artefice dell'inganno può avere una rappresenta­ zione mentale di ciò che pensa l'individuo bersaglio, il che costitui­ rebbe un meccanismo, basato sulla comprensione intelligente, tipi­ co del sesto stadio . Sebbene la strategia di inganno possa apparire uguale e rivesta un'identica funzione in tutti e tre i casi, i suoi pre­ supposti causali risulterebbero di volta in volta diversi. 42 I sociologi e i filosofi, abituati a considerare l'agire umano come

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estrema conseguenza della saggezza, amano sfruttare simili limita­ zioni per difendere le loro antiquate distinzioni fra uomo e anima­ le. Ad esempio lo psicoanalista Erich Fromm ( r 9o0- r 98o) , annove­ rato tra i cosiddetti neofreudiani per via delle sue posizioni critiche nei confronti di Sigmund Freud, si era espresso in tal senso a pro­ posito di una qualità che assume gradualmente contorni via via più definiti durante lo sviluppo dell'intelligenza senso-motoria : la per­ cezione del « Sé » . Fromm riteneva che solo l'uomo fosse capace di svilupparla : « L'uomo è un capriccio della natura . È l'unico essere vivente ad essere cosciente di se stesso . È l'unico essere capace di vivere all'interno della natura e al tempo stesso di trascenderla . È consapevole di se stesso, del proprio passato e del proprio futuro . Inoltre vive non solo istintivamente, come invece fa l'animale ».43 Che una simile concezione sia per molti motivi superata e non più difendibile è per l'appunto uno dei principali messaggi del pre­ sente libro . Il concetto di Sé fa riferimento al sapere di un indivi­ duo riguardo alla propria esistenza , alla sua identità e alla sua con­ tinuità personale . Gli esperimenti di autoriconoscimento allo specchio hanno assunto un ruolo decisivo nelle ricerche sullo svi­ luppo della nozione di Sé. La psicologa Sigrun-Heide Filipp, ba­ sandosi sui risultati di varie serie di esperimenti e sulle teorie di Piaget, ha proposto due modelli, rispettivamente riferiti allo svi­ luppo individuale (ontogenesi) ed ereditario (filogenesi) .44 Il mo­ dello dell'ontogenesi del Sé distingue nei primi due anni di vita quattro fasi . (a) Prime forme di distinzione fra « io » e « gli altri » (o-4 mesi) : nessuna reazione dinanzi all'immagine riflessa . (b) Consolidamento della distinzione fra « io » e « gli altri » (4-8 mesi) : l'immagine riflessa suscita reazioni . (c) Comparsa delle prime au­ tocategorizzazioni (8- 1 2 mesi) : attività ripetute dinanzi allo spec­ chio . () Consolidamento delle autocategorizzazioni ( 1 2-24 mesi) : movimenti indicatori, ad esempio quando il soggetto nota di avere il naso dipinto di color rosso, l'indice viene puntato sul naso e non verso lo specchio . Il modello include un passo decisivo nello svi­ luppo del Sé umano verso l'inizio del secondo anno di vita, vale a dire il passaggio dal Sé esistenziale (« io so di esistere ») al Sé cate­ goriale (« io so chi sono ») . Il modello della filogenesi della capacità di autoriconoscimento visivo comprende tre fasi . (a) Confronto visivo (invertebrati, ver-

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tebrati al di fuori dei primati) : la propria immagine speculare vie­ ne considerata alla stregua di un conspecifico e suscita corrispon­ denti reazioni sociali; i pesci pappagallo o i pesci combattenti ad esempio aggrediscono il presunto avversario . (b) Differenziazione visiva (molte proscimmie e scimmie) : non c ' è autoriconoscimen­ to, ma distinzione tra la propria immagine speculare e il conspeci­ fico « normale » le cui azioni suscitano un interesse sostanzialmen­ te molto maggiore del proprio doppio speculare . (c) Autoricono­ scimento visivo (primati antropoidi) : lo specchio viene adoperato per rendere visibili parti nascoste del corpo; un punto colorato sul naso o sulla fronte provoca un movimento mirato della mano, diretto verso il naso e non verso lo specchio . 45 Lo psicologo ame­ ricano Gordon Gallup, nel corso di una serie di esperimenti su scimmie e antropoidi, ha narcotizzato i suoi soggetti, per esclude­ re che essi, e soprattutto gli antropoidi, potessero elaborare un nesso tra sé e lo specchio a partire dalla semplice esperienza di es­ sere stati marcati con un punto colorato . Durante la narcosi, alle scimmie venivano dipinte sul volto delle chiazze di colore, oppu­ re venivano rasate delle zone del capo, come ad esempio un so­ pracciglio . Al loro risveglio, non appena venivano posti davanti allo specchio, gli scimpanzé e gli oranghi si toccavano con preci­ sione proprio le aree che erano state marcate . Macachi e cercopi­ techi reagivano invece all'immagine speculare come se si fosse trattato di conspecifici estranei . La capacità di autoriconoscimen­ to visivo dei gorilla non è stata del tutto chiarita ; sta di fatto che gli esperimenti di Gallup hanno dato esito negativo . La femmina di gorilla Koko , cui Francine Patterson, in California, aveva inse­ gnato il linguaggio dei segni, posta dinanzi allo specchio ha pro­ dotto i segni corrispondenti a occhio, denti, labbra e foruncolo. 46 Il filosofo e studioso di estetica Friedrich Theodor Vischer nota­ va nel suo romanzo autobiografico Auch Einer [Ancora uno] ( 1 879) che, con l'invenzione dello specchio, « aveva fatto l suo ingresso nell'animo umano un mutamento fondamentale : l' acuimento della coscienza di sé, ma anche l vano autorispecchiamento, e l vano ri­ specchiamento di sé negli altri » . 47 Proprio questo (la capacità di met­ tersi nei panni di un altro individuo) costituisce un ulteriore presup­ posto elementare delle strategie tattiche d'inganno ben riuscite. I concetti mentali del Sé devono andare di pari passo con una rappre-

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sentazione del Sé dell'altro . Il padre della Chiesa Agostino d' Ippona vedeva nella capacità di mettersi nei panni dell'altro non un presup­ posto della menzogna, bensì una possibile via attraverso cui perse­ guire l'amore del prossimo, che comunque passava per l'amor di sé: « Se ci si comprende in tutto il proprio essere, vale a dire nell'anima e nel corpo, e se si comprende anche il prossimo in tutto il suo esse­ re, vale a dire nell'anima e nel corpo [ . . . ] allora in questi due precetti non viene tralasciato nulla di ciò che deve essere amato » . 48 La capacità di « comprendere il prossimo in tutto il suo essere » veniva considerata, fino a un paio di decenni fa, una qualità com­ portamentale tipica ed esclusiva dell'essere umano . Recenti ricer­ che confortano l'ipotesi che tale capacità sia sviluppata in certo qual grado già nei primati non umani: anche essi evidentemente riescono a valutare in maniera differenziata la situazione psicoso­ ciale degli altri membri del gruppo e a utilizzare previdentemente siffatte conoscenze nel proprio comportamento . Andreas Paul, un primatologo di Gottinga, nel corso delle ricerche svolte nella gran­ de riserva di bertucce (Simia inuus) che sorge a Salem, presso il la­ go di Costanza, ha analizzato uno schema comportamentale parti­ colarmente complicato : i maschi portano con sé per lunghi tratti del giorno dei lattanti . Nel far ciò le bertucce non si adoperano in­ distintamente per un piccolo qualunque, ma perlopiù s viluppano, senza che vi debba essere un vincolo di paternità biologica, uno stretto rapporto bambinaio-bebè. I maschi interagiscono di rado in modo amichevole l'uno con l'altro; è raro, ad esempio, che si curino reciprocamente il pelame . Per contro, i loro rapporti diven­ tano tesi soprattutto quando devono competere per la monta di una femmina . In questo contesto i piccoli vengono usati come utensile sociale, per allentare le tensioni aggressive e per impedire il formarsi di situazioni via via più pericolose. Spesso il maschio bambinaio porge a un altro maschio il bebè; allora i maschi avver­ sari si esibiscono in un'enfatica cerimonia a tre : il piccolo viene sorretto in alto frammezzo ai due, viene salutato con batter di denti e ricoperto di baci schioccanti. A conclusione della cerimo­ nia possono seguire delle sedute di cura del pelame fra maschi . Evidentemente, grazie ai bebè, i maschi riescono ad ammortizzare l'aggressività dei loro conspecifici dello stesso sesso . Simili am­ mortizzatori risultano utili soprattutto ai maschi d'umile rango

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che vogliano placare gli individui dominanti . Notevole è il fatto che ai maschi da blandire vengano consegnati, con una frequenza superiore a quella media, i loro piccoli preferiti per l' attività di bambinai. Da questa osservazione Paul ha ricavato non solo che gli animali si conoscono personalmente, ma anche che essi sono al corrente dei rapporti esistenti tra altri membri del gruppo . Essi impiegano appositamente tali conoscenze « utilizzando individui immaturi che appaiono particolarmente adatti a placare l' aggressi­ vità ovvero a elicitare un comportamento amichevole grazie ai lo­ ro stretti rapporti con il partner dell'interazione » (fig . 20 ) .49 L'operazione mentale che con considerevole probabilità si cela dietro questo comportamento è stata espressa con le belle parole di un linguaggio ancora prescientifico, dal filosofo Johann Georg Hamann nel suo Poetisches Lexicon ( 1 758) : « Per facilitare la cono­ scenza di noi stessi, nel nostro prossimo appare visibile, come in uno specchio, il nostro proprio S é » . 5 0

Figura 20 Tra le bertucce i piccoli vengono utilizzati dai bambinai per ammortizzare le aggressio­ ni. I bambinai scelgono di preferenza quei cuccioli che hanno uno stretto rapporto con l membro del gruppo di cui deve essere placata l'aggressività. Questo significa che anche primati non umani sono in grado di valutare la situazione psicosociale e di utilizzare queste cognizioni per prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Fonte: foto Volker Sommer.

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La pagella delle scimmie e dei pimati antropoidi Le frequenze con cui le specie di primati appaiono nel catalogo degli inganni tattici potrebbero essere utilizzate per attribuire loro dei voti in ragione della loro intelligenza sociale . Consideriamo an­ zitutto gli antropoidi . Di questo sottordine dei primati fanno parte le circa nove specie dei gibboni diffusi nel Sudest asiatico, gli oran­ ghi del Borneo e di Sumatra nonché gorilla, bonobo e scimpanzé africani, presenti in un 'ampia fascia attorno all'equatore . Il titolo di baronetto della menzogna spetta inequivocabilmente agli scim­ panzé, che impiegano i modelli più complessi di strategie di ingan­ no . Poche sono le osservazioni effettuate sui bonobo in libertà, in parte per l'inaccessibilità del loro limitato areale di diffusione nella foresta equatoriale dello Zaire . Le ricerche condotte sui bonobo che vivono sotto la tutela dell'uomo giustificano tuttavia la conclu­ sione che per intelligenza essi siano perlomeno pari, se non supe­ riori, ai soliti scimpanzé . Questo non sorprende, poiché le due spe­ cie sono strettamente imparentate tra loro dal punto di vista filoge­ netico; le loro linee filogenetiche si sono separate solo 2-2,5 milioni di anni fa. I bonobo, al pari degli scimpanzé, vivono in « società di fusione-fissione », vale a dire in grandi comunità, che a volte com­ prendono oltre un centinaio di individui, i cui membri si incontra­ no regolarmente (« fusione ») , per poi sparpagliarsi tra piccoli grup­ pi, di composizione variabile (« fissione ») . 5 1 In un ambiente sociale del genere si formano frequentemente delle situazioni in cui risulta vantaggioso ingannare gli altri, a maggior ragione in quanto sia gli scimpanzé sia i bonobo interagiscono con dozzine di partner diver­ si e gli incontri sono perlopiù di breve durata . Un voto molto peggiore toccherebbe ai gorilla . Sono presenti in misura piuttosto scarsa nel catalogo, sebbene perlomeno i gorilla delle montagne del Ruanda siano da più di vent'anni sottoposti a un'osservazione intensa da parte dei primatologi. I gorilla vivono in piccoli gruppi, composti mediamente da poco più di una mezza dozzina di individui, che si conoscono molto bene a vicenda . I gruppi presentano una forte coesione interna e i loro membri ri­ mangono a stretto contatto nel corso dei vagabondaggi quotidiani . In condizioni sociali così intime può risultare molto più difficile

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effettuare delle strategie di inganno che abbiano successo . È an­ che possibile che l'intelligenza sociale dei gorilla non sia sostan­ zialmente inferiore a quella degli scimpanzé, ma che essi abbiano molte meno occasioni di metterla in mostra . Neanche gli oranghi riportano voti di spicco in questa classifi­ ca, specie in confronto agli scimpanzé . D ' altra parte, se i gorilla e gli scimpanzé passano la maggior parte del tempo a terra, gli oran­ ghi vivono prevalentemente sugli alberi. Va da sé che quando si trovano sui piani alti della giungla e vagano penzoloni tra un albe­ ro e l'altro, essi sono alquanto difficili da studiare . Altrettanto in­ certa è la nostra conoscenza dei loro rapporti sociali, perlomeno rispetto alle interazioni fini che si svolgono in occasione degli in­ ganni tattici. Per giunta gli oranghi hanno una vita prevalente­ mente solitaria, forse perché sono ben pochi i rami che riuscireb­ bero a reggere un certo numero di questi corpulenti animali. Tutti questi presupposti sono tutt'altro che ideali in vista dello sviluppo di particolari capacità nell'ambito dell'intelligenza sociale . In cat­ tività, tuttavia, gli oranghi mostrano sorprendenti doti nel maneg­ giare degli utensili, e questo induce a dubitare che siano effettiva­ mente così bonaccioni come sembrerebbe a un primo sguardo, per via dei loro movimenti al rallentatore . Gallup ritiene addirittura che gli oranghi potrebbero forse scegliere la vita solitaria perché hanno imparato a non fidarsi l'uno dell' altro . 52 Neppure i gibboni, questi impareggiabili acrobati che sono soli­ ti volteggiare tra i rami delle chiome arboree, brillano veramente nel campo dell'intelligenza sociale . Ancora una volta per spiegare questo dato, oltre che alle abitudini di vita, che rendono difficile osservare in dettaglio il loro comportamento, è possibile fare rife­ rimento al loro comportamento sociale : i gibboni hanno un'orga­ nizzazione sociale rigorosamente basata sulla monogamia, e vivo­ no in gruppi di un maschio, una femmina e da due a tre piccoli. In questi gruppi familiari c'è da aspettarsi il massimo della coopera­ zione; questo avviene da un lato tra i due adulti, che fanno affida­ mento l'uno sull'altro per potersi riprodurre con successo, e dal­ l'altro tra i genitori e i figli, così come tra fratelli e sorelle, che in fin dei conti, nella media statistica, hanno ognuno per metà lo stesso patrimonio genetico ereditario . Per questo anche i loro inte­ ressi corrispondono fino al 5o per cento . In una configurazione so-

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ciale di questo tipo , potrebbe essere poco sensato cercare sempre il proprio vantaggio . Chi arreca un danno agli altri membri della famiglia finisce infatti per darsi, per così dire, la zappa sui piedi (almeno in parte) .53 Gli episodi di inganno tattico sono rari anche tra gli uistitì (Cal­ litichiae) sudamericani: quasi tutti quelli noti sono stati riportati nel capitolo precedente. Una possibile spiegazione di questa scar­ sità è riconducibile, ancora una volta, alla struttura sociale : al pari dei gibboni, anche gli uistitì vivono in gruppi familiari stretta­ mente intrecciati sia dal punto di vista dei legami sociali che da quello dei legami genetici;54 in simili circostanze ingannare può convenire, effettivamente, piuttosto di rado . Un confronto tra i due grandi gruppi di scimmie del Vecchio Mondo mette in evidenza alcune fondamentali differenze sotto il profilo dell'ecologia . Le scimmie del Vecchio Mondo sono diffuse, lo dice la denominazione stessa, in Africa e in Asia; prima dell'ul­ tima era glaciale erano presenti anche in Europa . Un primo grup­ po è costituito dalle specie annoverate nella sottofamiglia dei cer­ copitecini (macachi, babbuini, cercocebi, cercopitechi) . Perlopiù sono animali onnivori, che si nutrono di frutta matura e predano (a seconda delle specie) insetti, pesci, uccelli e altri vertebrati di piccola o media taglia . Essi risultano frequentemente attestati in quasi tutte le categorie del'inganno tattico, e si distinguono in ma­ niera eccellente per le loro prestazioni mentali . Il secondo gruppo è costituito dalla sottofamiglia dei colobini, tra i quali si annovera­ no entelli, guereza, rinopitechi e colobi . L'unica specie attestata nel catalogo degli inganni è appunto quella degli entelli grigi (o Hanuman) . La maggior parte degli episodi si presta tuttavia ad es­ sere spiegata in termini più semplici (come descritto) piuttosto che postulando straordinarie capacità intellettive . I primatologi generalmente sono propensi a riconoscere ai cer­ copitecini un'intelligenza superiore rispetto a quella dei colobini, cosa che viene ricondotta alle loro diverse abitudini di vita. L'in­ grediente principale della dieta dei colobini sono le foglie . L' appa­ rato digerente è uguale a quello dei ruminanti, dato che grandi quantità di cibo relativamente povero di sostanze nutritive deve essere digerito grazie all'opera dei batteri. 55 Perciò, per alcune ore al giorno gli entelli si dedicano a generosi sonnellini digestivi . Il

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peso del cervello dei primati foglivori è, in confronto al peso cor­ poreo complessivo, relativamente modesto . Quote di materia ce­ rebrale decisamente superiori sono riscontrabili nelle scimmie del genere delle bertucce, fatto che viene ricondotto da alcuni biologi evoluzionisti alle loro abitudini alimentari onnivore. Le loro risor­ se sono sparpagliate su un ampio territorio e sono di difficile repe­ ribilità (i frutti maturano in periodi ben precisi su determinati al­ beri, le prede devono essere scovate e catturate) . Per sapere dove e quando sia possibile trovare del cibo, occorre disporre di una no­ tevole attenzione, e a tale scopo, sempre secondo la stessa teoria , occorre un cervello di proporzioni considerevoli . Le specie erbivo­ re invece (in particolare quelle che si nutrono di foglie) trovano il cibo bell'e pronto, a portata di bocca . Non hanno bisogno di vaga­ bondare per lunghi tratti: il cibo è disponibile, sotto forma di piante commestibili, praticamente ovunque . Ed è per questo che i colobini sono perlopiù scimmie dal cervello piccolo . Un'argomen­ tazione del genere viene corroborata dalle differenze del compor­ tamento sociale tra i gorilla, che consumano prevalentemente fo­ glie , e quello degli scimpanzé, che sono considerati onnivori. Dato che i sostenitori di questa teoria non attribuiscono un'intelligenza strepitosa ai primati foglivori, essi non sono considerati neppure candidati molto promettenti nella ricerca di strategie di inganno tattico . Certo, la frittata si presta a essere rigirata : i foglivori de­ vono consumare grandi quantità del loro nutrimento relativamen­ te povero per poter coprire il loro elevato dispendio energetico . Questo naturalmente è possibile solo disponendo di un apparato digerente opportunamente ingrandito . In tal modo però il peso corporeo aumenta e la percentuale , relativa , della materia cerebra­ le rispetto al peso corporeo diminuisce in confronto a quella ri­ scontrabile tra gli onnivori ! Quel che è sicuro, è che la disputa non è ancora risolta né in un senso né nell' altro .5 6 La maggior parte dei voti negativi attribuibili sulla base del cata­ logo degli inganni tattici riguardano i lemuri, vale a dire quella fa­ miglia di proscimmie che si trovano esclusivamente in Madagascar e su alcune isole del circondario . Anche per le loro « azioni manca­ te » esiste una spiegazione che ha a che fare con l'ecologia dell'am­ biente in cui vivono . In media, i mammiferi del Nord e Sud Ameri­ ca, nonché quelli che vivono sul blocco continentale di Europa e

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Asia hanno subìto, a partire dall'Eocene (l'era geologica conclusasi circa 3 6 milioni di anni or sono) , un considerevole aumento della massa cerebrale . La causa di ciò andrebbe ricercata nella struttura dei rapporti preda-predatore . Dato che le specie predate, sotto la pressione della selezione, continuavano a sottrarsi alle insidie con sempre maggiore scaltrezza, riuscirono ad affermarsi solamente i predatori e le specie competitrici che da parte loro miglioravano via via le proprie tattiche. Questo meccanismo sortisce i migliori risultati in presenza di una forte pressione di competizione, vale a dire in spazi vitali che sono condivisi da molte specie . Secondo questa teoria, l'intelligenza delle s pecie di mammiferi si è evoluta più rapidamente e in maggiore misura in masse continentali coe­ renti più che non in Australia o in Madagascar . 57 Tali considerazioni invitano alla prudenza, soprattutto relativa­ mente all'interpretazione dei test di intelligenza di scimmie e an­ tropoidi tenuti in cattività . Quello che in tali occasioni viene te­ stato è normalmente la capacità di manipolare gli oggetti secondo le idee degli psicologi: azionare leve o aprire serrature per ricevere dei premi in forma di cibo . Se la capacità di apprendimento ovve­ ro il « comportamento intelligente » , vale a dire i vantaggi di com­ portarsi in modo intelligente in determinate circostanze, debbano essere indagati con esperimenti di questo tipo, è cosa che viene stabilita essenzialmente dagli esseri umani . Sarebbero necessarie, sotto questo profilo, serie di esperimenti impostati in maniera completamente diversa, per ottenere un'immagine meno distorta delle capacità intellettive dei primati non umani . Una scimmia, anche se è stata addestrata a lungo a un determinato apparecchio, avrà comunque bisogno di 20 o r oo tentativi per decidersi corret­ tamente nell'esperimento della scelta . Viceversa, quando essa vie­ ne posta in compagnia di un conspecifico,58 le occorrono solamen­ te pochi secondi o minuti per valutare il proprio rango di domi­ nanza, giacché questa è una situazione che si presenta spesso in maniera molto simile anche in condizioni di vita naturali . Un pioniere della ricerca primatologica sul campo , Sherwood Washburn, ha definito l' apprendimento quel « processo di acquisi­ zione di capacità e atteggiamenti che hanno rilevanza biologica per una specie nell'ambiente a cui essa è adattata » . 59 Già Nietzsche aveva constatato, pur senza rifarsi alla teoria evoluzionistica, che gli animali «percepiscono un mondo del tutto diverso da quello

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degli uomini », ragion per cui « la questione di quale delle due per­ cezioni del mondo sia quella giusta è completamente priva di sen­ so, dato che a tale scopo bisognerebbe prendere le misure con l metro di paragone della percezione giusta, vale a dire con un metro di paragone che non è disponibile».60 A questo punto, una cosa dovrebbe essere chiara : ogniqualvolta intendiamo valutare le prestazioni di una determinata specie di primati in fatto di inganno tattico, dobbiamo chiederci innanzi­ tutto quali siano le strutture e le esigenze del loro specifico conte­ sto sociale (fig . 2 1 ) . A titolo di spassoso parallelismo rispetto a questa impostazione, possiamo ricordare l contributo portato da Franziska Baumgarten, che nel 1 9 2 7 intraprese un esperimento

(b)

(a)

Figura z r Le varie specie di primati sono in grado di fornire prestazioni completamente diverse negli inganni tattici, la cui elaborazione è presumibilmente legata alle diverse esigenze di volta in volta imposte dal contesto sociale. (a) Gli oranghi (nella foto un giovane esem­ plare dell'isola di Sumatra) sono solitari, e perciò incorrono raramente nell'imbarazzan­ te situazione di dover giocare un brutto tiro al proprio prossimo. (b) I colobini (nella fo­ to un entello Hanuman, diffuso nell'India settentrionale) sono foglivori e perciò, secon­ do alcuni, non hanno bisogno di sviluppare una memoria particolarmente efficace, dato che possono reperire comodamente il cibo in molti luoghi. Fonte: foto Volker Sommer.

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per porre in correlazione la frequenza delle menzogne in diverse professioni con le « esigenze di veridicità » imposte da queste ulti­ me. Anzitutto Baumgarten operò una selezione di quelle profes­ sioni il cui compito consiste nell'accertare e nel diffondere la «pu­ ra verità », ad esempio le professioni connesse alla ricerca e all'in­ segnamento . Qui « si respira l'aria pura e tersa delle vette, delle più alte quote del pensiero umano » . In secondo luogo vi sono le professioni nel cui esercizio si presentano spesso situazioni che rendono necessarie delle « nobili menzogne »; l'esempio canonico è la professione del medico . Infine vi sono le professioni permanen­ temente afflitte da « menzogna e raggiro »: commercianti, rivendi­ tori e diplomatici .61 Sotto questo profilo appare particolarmente azzeccato il titolo tedesco di un'opera di Frans de Waal, in cui egli descrive le relazioni sociali nei gruppi di bonobo e scimpanzé: Wide Diplomaten, « Diplomatici allo stato di natura » .62 Già Georg Paul Honn, nel suo Betrugs-Lexicon, aveva posto in correlazione la crescente raffinatezza nell'ambito della menzogna e del raggiro (certo in una prospettiva teologico-speculativa che ri­ sulta esilarante per il lettore odierno) con la sempre maggior com­ plessità della struttura sociale : « Dato che già il mondo del Signore Gesù Cristo e dei suoi apostoli era cosi mal combinato, in quello odierno non c'è che da stare in guardia dalla zuppa di imbrogli d'ogni sorta che vi ribolle. E quanto più esso volge al tramonto, tante più sudicerie d 'ogni genere vi vengono a galla . Quanto più progredite sono le arti liberali, tanto più eccelsi sono i prodigi in cui l'artefice di mille inganni, l fertile inventore di ritrovati ed espedienti ha istruito i suoi compari e sudditi, mettendo a loro di­ sposizione ogni possibile artifizio che s ' aggiunga al suo già ampio repertorio di inganni, astuzie e raggiri. [ . . . ] A costoro il supremo capomastro, il principe di questo mondo fornirà il necessario ar­ mamentario : una maschera dietro a cui nascondere il ceffo [ . ] finché, in questa mascherata e in questi abiti (panni che rimarran­ no sempre in voga) , continueranno a recitare il loro personaggio sul palcoscenico del mondo; e le repliche si ripeteranno fino al giorno in cui la maschera sarà loro strappata e bruscamente lo spettacolo s'interromperà » .63 Va detto che quest'ultimo evento è destinato a compiersi non solo al sopraggiungere del Giudizio uni­ versale, bensi ogniqualvolta le scimmie e gli uomini si adoperano per ottenerlo , in circostanze di per sé quanto mai terrene . .

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Capitolo 7 Logica dell' autoinganno : mentire senza arrossire

L'uomo certamente dimentica che le cose stanno a questo modo . Perciò egli mente nel modo descritto, incoscientemente e per secolare abitudine; cosl, pro­ prio mediante questa incoscienza, proprio attraverso questo oblio, perviene al sentimento della verità . Friedrich Nietzsche 1

La pelle a sa più lunga del cevello Benché il padre della Chiesa Agostino d' Ippona fosse implaca­ bile nel condannare ogni menzogna, ivi compresa quella pronun­ ciata per necessità e per i più nobili motivi, pure gli era ben chiaro che le false testimonianze devono essere pronunciate in maniera deliberata, per risultare moralmente condannabili: « Naturalmente nessuno può essere considerato bugiardo per il semplice fatto di aver detto qualcosa di non vero che egli stesso reputa essere vero ; giacché per quanto sta in lui, egli non mente, bensì si inganna » . 2 Ma che cos'è in effetti questo « reputare qualcosa vero »? Abbia­ mo veramente accesso a tutti gli ambiti del nostro sapere, oppure esistono degli ambiti oscuri in cui sonnecchiano informazioni se­ grete? Il saggio, dice un proverbio orientale, non porta il cuore sulla lingua . Dunque gli viene riconosciuta, per tacita ammissione , una certa libertà di scelta su come disporre dei tesori di sapere ed esperienza accumulati nel corso dell'esistenza . Ma è possibile che un uomo sciorini alla luce del sole tutto quello che, per riprendere la metafora di un magazzino del sapere, si è depositato sul fondo del suo cuore? Ovvero, per considerare la questione da un punto di vista opposto : è possibile che il sapere esista indipendentemen­ te dalla coscienza? Siamo capaci di attestare il falso, con buona co­ scienza e conoscenza, sebbene « in fondo al nostro cuore » giaccia un'informazione opposta . Esiste, oltre all'inganno, anche l'au­ toinganno? Nell'epoca pionieristica della psicologia moderna, la risposta

CAPITOLO SETTIMO

che veniva data a questo interrogativo era : no, non ne siamo capa­ ci. Se conoscenza e coscienza sono necessariamente collegate, lo stesso concetto di autoinganno è una contraddizione in termini . Jean-Paul Sartre ha trattato questo tema nella sua opera L 'etre et le néant ( 1 943): « Colui cui viene propinata una menzogna e colui che mente sono una sola persona . Questo significa che io, in qua­ lità di ingannatore, devo conoscere la verità che, in qualità di in­ gannato, mi rimane celata . E quel che è di più : devo conoscere dettagliatamente la verità per poterla occultare ancor più accura­ tamente, e questo non nel corso di due attimi diversi (cosa che, in caso di ne�essità, ci consentirebbe di destare l'impressione di dop­ piezza) , bensl nella struttura unitaria di un unico progetto . Come fa a continuare ad esistere la menzogna, se viene repressa la dop­ piezza che la determina? »3 Meno difficile è credere all'esistenza di sfere consce e subcon­ sce (ovvero inconsce) del sistema nervoso centrale . È presumibile che una simile suddivisione si sia sviluppata per motivi di econo­ mia, visto che l'attenzione mentale costante è molto dispendiosa dal punto di vista energetico . Gli organismi coscienti assomigliano a case in cui sia sempre accesa una lampadina . I cervelli hanno buoni motivi per installare degli interruttori crepuscolari. Nor­ malmente non abbiamo bisogno di percepire in continuazione il battere del cuore, il respirare dei polmoni, il contrarsi dei muscoli. Quando è il caso (se avvertiamo una fitta nel petto a sinistra, se l'alito ha un odore sospetto, o il polpaccio si irrigidisce in un crampo) accendiamo la luce e ispezioniamo accuratamente le fun­ zioni corporee . Per la maggior parte del tempo ci affidiamo, nel corso del nostro viaggio lungo la vita, al pilota automatico che è in noi. Un simile principio del risparmio energetico potrebbe aver costituito la base dei meccanismi dell' autoinganno . 4 Ammesso che l' autoinganno esista, come potrebbe essere com­ provato? Un'eventuale dimostrazione della sua esistenza dovrebbe soddisfare criteri di tre tipi, e in tal modo dovrebbe rendere inef­ ficaci le obiezioni a suo tempo sollevate da Sartre . In primo luogo, un individuo dovrebbe avere due convinzioni che risultano in contraddizione l'una con l' altra, ad esempio «A esiste » e «A non esiste » . La prima convinzione dovrebbe risultare accessibile alla coscienza, l'altra invece essere immagazzinata nel subconscio . In

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secondo luogo, le convinzioni contraddittorie dovrebbero essere presenti contemporaneamente . In terzo luogo, l'individuo dovreb­ be avere dei motivi per non lasciare affiorare alla coscienza una delle due convinzioni . L'ultimo punto fra l'altro tiene conto della concezione larga­ mente diffusa secondo cui le persone si cullano in un autoinganno non senza motivo o per semplice ignoranza, bensì perché cercano di procurarsi in tal modo qualche vantaggio . La questione dell'au­ toinganno dobbiamo altresì affrontarla su due altri piani : da un la­ to si tratta di riconoscere le cause efficienti (quei meccanismi fi­ siologici e psicologici che rendono possibile per un organismo l'au­ toinganno) ; dall'altro si tratta di indagare le cause finali, di studia­ re cioè la funzione dell'autoinganno . Le cause efficienti possono essere individuate abbastanza bene rispondendo alla domanda « Come? » . Le cause finali, viceversa, sono quelle che possono esse­ re riconosciute cercando di rispondere alla domanda « Perché? » . Per spiegarlo, può essere utile ricorrere a u n esempio : sul limitare del bosco, scorgiamo un rosaio in fiore . All'interrogativo sulla causa efficiente (« Come avviene che la rosa fiorisca? ») è possibile trovare una risposta, ad esempio, nei termini seguenti : la rosa fio­ risce perché è estate, le giornate hanno raggiunto una determinata lunghezza e temperatura, e perciò all'interno della pianta vengono attivati gli ormoni che fanno dispiegare i petali . Un biochimico potrà ritenersi soddisfatto da una risposta del genere . Un biologo evoluzionista vorrà rispondere inoltre all'interrogativo riguardan­ te la causa finale (« Perché fiorisce la rosa?») : la rosa fiorisce per­ ché così facendo attira degli insetti, si assicura l'impollinazione e in tal modo la trasmissione del suo patrimonio genetico ereditario alla generazione successiva diventa più probabile . 5 Gli psicologi americani Ruben Gur e Harald Sackeim hanno in­ titolato uno dei loro lavori di ricerca all' « Autoinganno : un concet­ to in cerca di un fenomeno ». In una geniale serie di esperimenti i due studiosi sono riusciti a far luce sul fenomeno dell'autoinganno non solo sotto il profilo della sua esistenza, ma anche sotto quello dei suoi meccanismi e funzioni . 6 Gur e Sackeim hanno ingaggiato 30 studenti e altrettante studentesse dell'Università della Penn­ sylvania, cui era stato detto soltanto che avrebbero preso parte a una ricerca sul tema « Riconoscimento della voce e personalità » .

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CAPITOLO SETTIMO

Agli studenti sono stati fatti ascoltare dei nastri registrati, conte­ nenti trenta segmenti vocali, tra cui anche alcuni campioni della voce dello studente di volta in volta sotto esperimento, precisa­ mente nel quarto, nel decimo, nel quindicesimo, nel ventiquattre­ simo e nel ventottesimo segmento. Ai soggetti veniva detto che avrebbero potuto non sentire mai la propria voce, o qualche volta, o spesso. Il compito consisteva nel premere un pulsante non appena pensavano di aver riconosciuto la propria voce, e nel premerne un altro quando ritenevano di averne udita un' altra non loro . Furono misurati non solo i tempi di reazione, bensì anche la cosiddetta re­ sistenza cutanea psicogalvanica. A tale scopo, sul lato interno del­ la falange dell'indice e del medio della mano che non era impegna­ ta a rispondere furono applicati degli elettrodi che misuravano la conduttività della pelle . La preparazione dell'esperimento ha somiglianze con quella di una macchina della verità, del tipo di quelle impiegate nelle inda­ gini criminali. Questo apparecchio registra la frequenza respirato­ ria, la pressione sanguigna e l'umidità della cute nel corso di un in­ terrogatorio . Esso misura l'eccitazione che può insorgere quando si tratta di mentire, e che si esprime in un aumento della pressione sanguigna e della frequenza respiratoria, in concomitanza con la diminuzione della resistenza cutanea per effetto della maggiore sudorazione . 7 La ricerca di Gur e Sackeim ha mostrato anzitutto che la resi­ stenza cutanea, all'udire la propria voce, risultava sempre minore che all'udire voci estranee. Questo non fa che confermare una no­ zione ampiamente risaputa : le persone mostrano reazioni psicofi­ siche più intense quando vengono confrontate con se stesse che quando si debbano confrontare con altri, a prescindere che si trat­ ti della visione di un film, di una foto oppure dell'udire una voce . Il tempo di reazione registrato prima della pressione del tasto con cui il soggetto segnalava l riconoscimento della propria voce inol­ tre era maggiore di quello relativo al riconoscimento di una voce estranea. È possibile che le persone avessero maggiori inibizioni a riconoscere erroneamente la propria voce, piuttosto che a compie­ re l'errore inverso . Perciò udendo la propria voce esitavano più a lungo che non quando dovevano escludere una voce estranea . Per quanto riguarda l'attribuzione delle voci esistevano in com-

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plesso quattro possibilità. Si aveva una reazione « positiva giusta » se la propria voce veniva riconosciuta correttamente . In tal caso la resistenza cutanea risultava elevata, secondo le aspettative . Una reazione « negativa giusta » si produceva quando veniva riconosciu­ ta correttamente una voce estranea . In tal caso la resistenza cuta­ nea risultava bassa. Particolarmente interessanti erano però i due possibili errori. Da un lato anche la propria voce poteva essere er­ roneamente attribuita a un estraneo . Durante questa reazione « negativa errata » la resistenza cutanea risultava nuovamente ele­ vata. D ' altro canto una voce estranea poteva essere scambiata per la propria, e allora , durante questa reazione « positiva errata », la resistenza cutanea risultava invece bassa. In entrambi i casi di rea­ zione errata, dunque, la pelle « conosceva » la risposta meglio del cervello ! Queste scoperte soddisfacevano il primo criterio dell'esistenza di un autoinganno , poiché i soggetti dell'esperimento disponeva­ no di due convinzioni in contraddizione tra loro . Anche la simul­ taneità di queste ultime era stata dimostrata, dato che entrambi i valori (la risposta ottenuta mediante la pressione del pulsante e la risposta della resistenza cutanea) erano stati rilevati contempora­ neamente . Il soddisfacimento del terzo criterio , in base al quale vi è un motivo (subconscio) di autoinganno , avrebbe potuto del pari esse­ re dimostrato. Ai partecipanti, all'inizio del'esperimento, erano sta­ ti sottoposti degli esaurienti questionari, la cui valutazione avreb­ be potuto fornire informazioni accessorie riguardo all'autostima dei soggetti . Il metro di paragone , a questo riguardo , era rappre­ sentato dalla « discrepanza cognitiva », vale a dire il grado di con­ flitto tra ciò che un soggetto crede di essere e ciò che vorrebbe es­ sere . Le domande che consentivano di raccogliere informazioni ri­ guardo a tali differenze tra realtà e desiderio, facevano riferimen­ to perlopiù alla soddisfazione che i soggetti provavano nei con­ fronti di se stessi; ad esempio: « Provate spesso preoccupazione per cose che non avreste dovuto fare o non avreste dovuto dire? » . Quei soggetti che nel corso dei test avevano spesso esibito reazio­ ni negative errate (vale a dire gli « autorinnegatori » che spesso non riconoscevano la propria voce) avevano conseguito valori elevati sulla scala della discrepanza cognitiva . Evidentemente queste per-

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sane rifuggivano dal confronto con se stessi. A fronte di costoro, i partecipanti ai test che avevano prodotto molte reazioni positive errate potevano essere definiti « autoespansionisti », dato che essi credevano di riconoscere la propria voce persino quando quella che udivano era dimostrabilmente la voce di un altro . Essi avevano un punteggio basso sulla scala della discrepanza cognitiva . Per loro, desiderio e realtà non si discostavano in maniera considerevole, e di conseguenza essi non avevano bisogno di rifuggire il confronto con se stessi. Nell'autoinganno le persone insoddisfatte di sé erano inclini all' autorinnegamento, mentre le persone sicure erano inclini alla proiezione, a una narcisistica autoespansione. Neppure gli ap­ partenenti a quest'ultimo gruppo, tuttavia, andavano del tutto esenti da problemi di immagine di sé. Spesso infatti persone di questo tipo non si sentono sufficientemente rispettate . Nel corso di un secondo esperimento Gur e Sackeim hanno ana­ lizzato ulteriormente le motivazioni che spingono all' autoingan­ no . I due psicologi hanno preso lo spunto dall'esperienza in base a cui la reazione nel confronto con se stessi è fortemente influenza­ ta dal senso del proprio valore . Anche stavolta 30 studenti e un egual numero di studentesse sono stati convocati in una stanza de­ stinata ai test. È stato loro spiegato che anzitutto sarebbero stati sottoposti a un test di intelligenza. Una metà dei soggetti è stata frustrata in maniera programmata : hanno ricevuto dei compiti particolarmente difficili, che pochissimi partecipanti avrebbero potuto risolvere . Poi è stato loro comunicato che i risultati da loro ottenuti erano stati assai mediocri. L'altra metà è stata motivata positivamente, mediante dei test particolarmente facili da risolve­ re . Com'era da attendersi, nel secondo gruppo il numero dei pro­ blemi risolti è stato ampiamente superiore . Ai membri di questo secondo gruppo è stato detto che la loro prestazione intellettiva era stata particolarmente buona . Al momento di compilare un for­ mulario standard, i soggetti (condizionati) risultati perdenti nel test di intelligenza hanno associato la loro persona a categorie co­ me ansia, depressione, ostilità assai più frequentemente di quanto avessero fatto i soggetti (condizionati) che negli stessi test erano risultati vincenti . Successivamente, a tutti i soggetti dei test è stato fatto eseguire l'esperimento di riconoscimento vocale . All'udire la propria voce,

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i perdenti hanno collezionato un numero di gran lunga maggiore di errori « negativi » , risultando così inconsapevolmente inclini al­ l'autorinnegamento . Viceversa i soggetti del gruppo dei vincitori hanno commesso molto più frequentemente degli errori « positi­ vi », risultando così inconsapevolmente inclini all' autoespansione . Inoltre i soggetti del gruppo dei perdenti erano meno contenti (co­ me risulta da un'inchiesta che ha accompagnato l'esperimento) di sentire la propria voce di quanto lo fossero i vincenti. Sembrereb­ be dunque che il nostro Sé si gonfi quando abbiamo successo, e che si rattrappisca in seguito a una batosta . Ambedue questi pro­ cessi si svolgono in maniera inconsapevole , e quindi soddisfano il criterio dell'autoinganno. 8 Le indagini sperimentali sull'autoinganno nell'uomo sono diffi­ cili. Ma sarebbero ancora più difficili negli animali. In linea di principio nulla osta a che anche altri organismi riescano a suddivi­ dere il loro sistema nervoso centrale in una sfera conscia e in una inconscia, e che quindi siano capaci di autoinganno . Potremmo ad esempio addestrare un uccello a beccare su un dischetto verde quando sente il proprio canto, e a beccare su un dischetto rosso quando sente il canto di un estraneo, e potremmo misurare la resi­ stenza cutanea nei due diversi casi. Successivamente il soggetto potrebbe essere messo in condizioni di subire un insuccesso, ad esempio la sconfitta nel corso di una lotta con un rivale, e per mezzo di un nuovo test di beccata potremmo cercare di scoprire se l'uccello riconosce con minore frequenza la propria voce. 9 A chi ritiene che una simile prospettiva sia troppo peregrina, si potrebbe rammentare un appunto storico-naturalistico con cui Robert Trivers aveva messo in guardia quegli scettici che avrebbe­ ro voluto negare agli animali una coscienza . La situazione che de­ ve essere descritta, a questo proposito , sembra tuttavia adatta a sensibilizzarci ancora una volta sul fatto che esistono presumibil­ mente molte più cose (forse persino l'autoinganno negli animali) di quante ce ne faccia sognare la nostra filosofia . E con questo sia­ mo arrivati al punto . Le ricerche della neurobiologia dimostrano che non solamente gli uomini ma anche alcuni animali muovono, nel corso dei sogni, i bulbi oculari con rapidi guizzi in qua e in là. Il fenomeno , che qualsiasi proprietario di cani può osservare senza alcuna complicata apparecchiatura da laboratorio , viene indicato

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negli articoli specialistici con l'acronimo REM (Rapid Eye Move­ ment) . Alcuni incorreggibili fautori della teoria secondo cui gli animali sono privi di coscienza hanno levato la voce per domanda­ re per quale motiv�retenderemmo di sapere che gli animali, du­ rante il sonno, effettivamente abbiano quelle esperienze visive che corrisponderebbero all'effetto cinema dei nostri sogni. A se­ guito di ciò, uno sperimentatore ha addestrato una scimmia in una stanza semibuia ad abbassare una leva ogniqualvolta venivano proiettate delle immagini su uno schermo . La stessa cosa si è poi ripetuta nel corso delle fasi REM : anche stavolta l'animale abbassa­ va involontariamente la leva nel sonno . . . 10

La rpressione dei sentimenti Il presupposto fondamentale nell'evoluzione passo passo verso l' autoinganno potrebbe essere stato il controllo dei sentimenti . Frans de Waal vede anche questa capacità realizzata negli antro­ poidi . Lo studioso nota con soddisfazione la crescente disponibi­ lità di psicologi ed etologi a interrogarsi sulla coscienza, sui pro­ cessi mentali, sul comportamento intelligente e sull'intenzionalità negli animali, ma constata altresl che esiste un ambito ancora in gran parte tabù, vale a dire appunto l'ambito dei sentimenti. Agli animali vengono ascritte perlopiù capacità intellettive quasi fosse­ ro dei computer, macchine senza speranze e senza timori. In realtà, obietta de Waal, è praticamente impossibile districare le componenti razionali ed emozionali che si fondono nel corso dei processi decisionali. 1 1 Affinché l e strategie d i inganno possano avere successo, un ani­ male deve controllare le sue intenzioni e le sue emozioni. Ciò sa­ rebbe semplice se gli animali fossero effettivamente delle macchi­ ne, capaci di calcolare freddamente . Ma essi non lo sono affatto, e questo è particolarmente chiaro negli scimpanzé, che in molte si­ tuazioni esibiscono in modo teatrale i loro sentimenti . Nelle situa­ zioni di inganno tuttavia essi devono tenere efficacemente sotto controllo le loro emozioni . Le osservazioni effettuate nel ricovero all'aria aperta per scimpanzé di Arnheim hanno dimostrato che es­ si sono perfettamente in grado di valutare gli effetti delle proprie

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emozioni sui compagni e di reprimere l'espressione dei sentimenti mediante mascheramento dei segnali. Un maschio dominante di scimpanzé, chiamato Luit , veniva sfi­ dato da un altro maschio, Nikie . Dapprima essi tentarono di inti­ morirsi a vicenda strappando arbusti, gettandosi al suolo, lancian­ do con buona mira dei sassi ed emettendo sonori ululati. Da ultimo Nikie finì per doversi rifugiare su un albero . Anche da ì però, se­ duto su un ramo, sfidava Luit continuando a ululare. Dinanzi a questa rinnovata provocazione, Luit, che sedeva sotto l'albero vol­ gendo le spalle a Nikie, scoprì i denti (il ghigno di paura che deno­ ta ansietà) , ma immediatamente pose la mano sulla bocca e si pre­ mette le labbra serrandole l'una contro l'altra. « Non credevo ai miei occhi », racconta de Waal, « e volli accertarmi di ciò che vede­ vo con il cannocchiale. Effettivamente il suo viso si contrasse anco­ ra una volta in un ghigno nervoso, e di nuovo ricorse alle dita per chiudere le labbra . La terza volta finalmente riuscì a cancellare il ghigno dal volto , e solo a quel punto si voltò ». Luit assunse un at­ teggiamento d'imposizione di fronte a Nikie, come se nulla fosse accaduto, e, con l'aiuto di Mama, una femmina di alto rango sua al­ leata, mosse contro Nikie, nel frattempo sfacciatamente sceso a terra, riuscendo a ricacciarlo sull'albero . « Nikie dal canto suo at­ tese finché gli avversari si furono allontanati, volse loro improvvi­ samente le spalle, e non appena gli altri non furono più in grado di vederlo, si abbandonò a un ghigno sfrenato . Nello stesso tempo però cominciò a piagnucolare sommessamente fra sé. Trovandomi non lontano di ì, riuscivo a sentire il suo piagnucolio represso, mentre Luit probabilmente non era in grado di sentire che anche il suo avversario non riusciva più a reprimere i suoi veri sentimen­ ti ». 12 In un contesto sociale come quello degli scimpanzé, i nervi degli individui vengono continuamente messi alla prova da sbruf­ fonate e provocazioni, di cui vengono attentamente osservate le conseguenze. Perciò la selezione ha stimolato in maniera partico­ larmente energica la capacità di modulare i primi impulsi mediante un'autocorrezione: in tal modo è possibile guadagnare tempo pre­ zioso per «riflettere » su quale reazione possa essere più vantaggio­ sa, e contemporaneamente confondere gli avversari (fig. 2 2 ) . Tanto Darwin quanto Freud erano convinti che, s e vi sono se­ rie intenzioni di ingannare il prossimo, queste perlopiù si tradisco-

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(b) Figura 2 2 Affinché l'autoinganno possa funzionare, u n presupposto importante è l a repressione dei sentimenti. (a) Sentimenti misti in uno scimpanzé del ricovero all'aperto dello zoo di Arnheim. I peli sono rizzati, per fare sembrare più minacciosa la sagoma del corpo a un ri­ vale. Contemporaneamente risulta visibile un ghigno di paura, perché il rivale ha reagito con un'esibizione di imposizione. In questo còntesto gli scimpanzé a volte cercano di oc­ cultare lo scoprimento dei denti (che denota timore e insicurezza). (b) Gli scimpanzé sono capaci di censura emotiva: possono avvicinarsi a un conspecifico senza dare nell'occhio, e nello stesso tempo avere intenzioni completamente diverse da ciò che sembra.

Fonte: (a) De Waal 1 986, p. 234 (foto di Frans de Waal) ; (b) disegno di David Bygott, da > 3 ( 1 987), p. 5 4 ·

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no attraverso il comportamento non verbale. Freud osservava al riguardo : « Chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere potrà convincersi del fatto che nessun mortale può celare un segreto. Chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradi­ sce attraverso tutti i pori » . 13 Già all'inizio di questo secolo Otto Lipmann si era occupato, nel corso delle ricerche effettuate presso l'Istituto di psicologia applicata di Berlino, del problema del controllo dei sentimenti mediante la trasmissione di informazioni errate. Lipmann vede­ va nella menzogna soprattutto un' azione « dettata dalla volontà », nella quale « tra la rappresentazione dello scopo e la sua realizza­ zione si inserisce qualche elemento inibitorio intermedio » . Tra le inibizioni che operano sulla riproduzione linguistica di un « com­ plesso soggettivo di rappresentazioni F[also] », egli annoverava (a) il complesso di rappresentazioni V[ero] , simultaneamente presen­ te nel bugiardo e a suo avviso vero, (b) le conseguenze indeside­ rate, in particolare il timore che la menzogna venga scoperta, e (c) i sentimenti di avversione, ad esempio quelli suscitati da norme morali che esprimano un divieto . Tali inibizioni non rimangono circoscritte alla « vita interiore dell'anima », ma si palesano me­ diante sintomi esteriori più o meno chiaramente riconoscibili. Se­ condo la teoria di Lipmann, è possibile che, anche contro la vo­ lontà del mentitore, « il complesso di rappresentazioni V prenda il sopravvento a tal punto che, spesso all'insaputa del mentitore, si giunga a riproduzioni parziali di V » . Il mentitore si tradisce ai no­ stri occhi soprattutto mediante i noti sintomi della menzogna, quali rossore e balbuzie . Dal punto di vista sperimentale, è possi­ bile attestare l'esistenza del cosiddetto sintomo respiratorio della menzogna : a dei soggetti sperimentali sono stati dati da leggere dei foglietti sul cui contenuto essi dovevano poi formulare delle asserzioni: ad esempio, dire se sul foglio avevano letto delle lette­ re o delle cifre. Sul contenuto di alcuni foglietti, appositamente marcati, i soggetti dovevano però ingannare il pubblico (dire che vedevano una serie di lettere, mentre sul foglio erano state scritte delle cifre, e via dicendo) . In questi casi i soggetti dell'esperimen­ to respiravano in maniera diversa : la loro ispirazione dopo un' as­ serzione falsa risultava un po ' prolungata, l'espirazione legger­ mente accorciata rispetto al normale; tiravano, insomma, « una spe-

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cie di sospiro di sollievo quando avevano dissolto e superato l'ini­ bizione » . 14 Il ritmo respiratorio è solamente un esempio di quali ostacoli si trovino sul cammino di un atto d'inganno coronato da successo. Il mentitore deve fondamentalmente combattere contro i segnali di inganno che da lui stesso promanano (e che mettono inavvertita­ mente in guardia l'individuo bersaglio dalle intenzioni fraudolen­ te di chi mente, senza tuttavia rivelare in alcun modo l'informa­ zione celata) , e sventare il pericolo di tradirsi da sé (opponendosi all'involontario trapelare di informazioni tenute segrete) . La lotta che si svolge è indrizzata dunque contro le proprie emozioni, e viene condotta o reprimendo un sentimento presente (inibizione) o fingendone uno inesistente (simulazione) . Troncare completa­ mente il flusso di informazione sarebbe la misura preventiva più efficace contro il rischio di tradirsi, ma costituirebbe nello stesso tempo un segnale di inganno piuttosto esplicito, che susciterebbe la diffidenza dell'individuo bersaglio . Di gran lunga più intelligen­ te è mantenere intatto il flusso comunicativo e reprimere determi­ nate espressioni dei sentimenti. Si produce cosi l'impressione che non venga tenuta segreta alcuna informazione . Le parti del corpo si distinguono a seconda dell'attenzione che un interlocutore dedica loro durante l' atto comunicativo . Il volto è la parte che viene guardata più spesso e più accuratamente di ogni altra; le mani vengono osservate meno accuratamente, e con minore attenzione ancora le gambe e i piedi. Per questo le diverse parti del corpo tendono a provocare l' autosmascheramento del mentitore in misura diversa l'una rispetto all'altra . Se mentiamo, il nostro interlocutore potrà anche non accorgersi che abbiamo la tremarella alle ginocchia e le mani madide di sudore; tuttavia alla sua attenzione difficilmente sfuggirà che stiamo parlando con vo­ ce rotta e che arrossiamo . Dato che la pressione selettiva più forte viene esercitata sul campo segnaletica più evidente, il volto, è pro­ prio qui che si è sviluppata la capacità di controllo più efficace. Spesso gli scimpanzé e i bonobo giovani atteggiano la faccia a stra­ ne smorfie: un gioco solitario, utile forse per esercitarsi a control­ lare volontariamente la mimica e l' espressività . 15 La pressione se­ lettiva contro l'autosmascheramento non verbale dei piedi e delle gambe è meno pronunciata, mentre quella relativa alle mani si si-

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tua in una posizione intermedia . 16 Anche Ervin Goffman (sulla cui teoria sociologica dell'autoinganno torneremo fra breve) indi­ vidua la chiave di volta della disciplina drammaturgica nel con­ trollo esercitato sull'espressione facciale e sulla voce . Essa è la pie­ tra di paragone delle capacità di un interprete : « La reazione affet­ tiva vera deve essere tenuta nascosta e al suo posto occorre esibire la reazione affettiva adatta alla situazione » Y L a capacità di controllare le espressioni verbali h a una rilevanza straordinaria, e questo può essere esemplificato ottimamente con al­ cuni episodi tratti dai libri profetici e poetici dell'Antico Testamen­ to . In Geremia si deplorano i senza Dio, che « tendono la lingua, ch'è il loro arco, per scoccar menzogne », mentre nei Salmi si affer­ ma, analogamente, che la lingua mendace è « come la freccia acumi­ nata di un eroe » . Il commento rabbiico rileva a questo proposito la superiore pericolosità della parola rispetto alla nuda violenza: « La malalingua è come una freccia. Perché? Se uno sguaina la spada per uccidere il prossimo, e questo implora pietà, l'omicida può ravve­ dersi e rinfoderare la spada . La freccia invece, una volta scoccata, vola e non ritorna più, per quanto lo si possa desiderare » . 1 8 Una serie di esperimenti relativamente semplici getta luce sullo sviluppo ontogenetico della capacità di ingannare i conspecifici, dall'età infantile fino a quella adulta . Ad alcuni allievi della prima elementare, della seconda media e del primo semestre dell'univer­ sità è stato richiesto di atteggiare il volto a un'espressione conten­ ta e positiva mentre stavano bevendo un succo di frutta agro . I ri­ levatori che dovevano effettuare il controllo hanno avuto la massi­ ma facilità nel riconoscere le intenzioni ingannatrici dei soggetti più giovani . 19 Il continuo progresso nella capacità di controllare le emozioni è attestato da un esperimento nel quale agli allievi della prima, della terza e della quinta elementare veniva consegnato un dono assai deludente, benché ne attendessero uno quanto mai am­ bito . Come in molte situazioni della vita quotidiana, anche in que­ sto caso si trattava di mettere in mostra dei sentimenti positivi che non erano presenti. I bambini più piccoli (soprattutto i ma­ schi) erano anche quelli che meno degli altri riuscivano a dissimu­ lare la loro delusione quando ricevettero un noioso giocattolo da bebè, mentre i più grandi (soprattutto le femmine) riuscivano a fingersi assai più contenti. 20

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Un altro esperimento, compiuto su 40 bambini dell'asilo infan­ tile di età compresa tra i 40 e i 70 mesi, è stato effettuato per sco­ prire in quale misura i bambini di varie fasce d'età fossero capaci di impiegare l'inibizione e la simulazione per ingannare un adulto . I bambini potevano nascondere un orsetto di pezza in tre altri gio­ cattoli: una casetta, una torre e un camion, disposti in fila su uno scaffale a una distanza di 50 centimetri . Poi i bambini vennero in­ vitati a mettere nel sacco l'adulto che avesse domandato loro qual era il nascondiglio dell'orsetto . L 'adulto chiedeva per tre volte, guardando negli occhi il bambino : « L'orso è nella casetta (nella torre, nel camion)? » . A seguito di ciascuna domanda , l'adulto for­ mulava un pronostico sul luogo in cui, secondo lui, era nascosto l'orso . Il gioco veniva ripetuto per tre volte con ogni bambino . Nel corso dell'esperimento apparve chiaro che l'età dei bambini era significativamente correlata con l'esito del gioco: quanto più grandi erano, tanto più facilmente l'inganno aveva successo . Al­ l'infuori di un' eccezione, nessuno dei bambini che avevano meno di 48 mesi riusd a mettere nel sacco l'adulto. Infatti i più piccoli non erano in grado di tenere nascosta l'informazione e anzi alcuni erano ben contenti di rivelare il nascondiglio all'adulto . Indipen­ dentemente dalla loro età, il 90 per cento dei bambini scelsero un altro nascondiglio ad ogni nuovo tentativo, il che naturalmente fa­ cilitava il compito dell'adulto di scoprire il nascondiglio al terzo tentativo, deducendolo in base all'esperienza delle due volte pre­ cedenti . La percentuale più elevata di successi (due nascondigli non scoperti per ciascun soggetto) fu conseguita solamente dal 25 per cento dei bambini più grandi (cinque-sei anni) , mentre il 69 per cento riusd nell'intento almeno una volta . Circa la metà di tutti i bambini che avevano più di 48 mesi (il 5 6 per cento) impie­ garono la tecnica dell'inibizione (non guardavano alcuno dei na­ scondigli possibili) , sebbene questa tattica fosse talora inefficace, perché essi avevano una considerevole tendenza a tradirsi da sé (non riuscivano a trattenersi dal lanciare un'occhiatina in direzio­ ne del nascondiglio) . Pochissimi dei bambini più grandi utilizzava­ no la tattica della simulazione (rivolgendo lo sguardo verso un na­ scondiglio sbagliato) , e furono essi del resto a conseguire i maggio­ ri successi. I bambini che hanno meno di quattro anni, dunque, non sono in grado di mettere nel sacco un adulto, nel contesto lu-

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dico qui descritto . In loro non è sufficientemente sviluppata la ca­ pacità di inibire i comportamenti autorivelatori, e il loro controllo muscolare sembra non aver ancora raggiunto la dovuta finezza . 21 La necessità di controllare segnali linguistici ed emozionali in determinate situazioni sociali produce le cosiddette facce da poker . Se poi gli uomini mostrano molto più di rado le loro emo­ zioni, come lamentano spesso le donne, può darsi che questo non rifletta necessariamente una incapacità. Forse questa freddezza esteriore è legata al fatto che i sessi si differenziano in rapporto al­ le situazioni in cui essi si mettono in competizione . A questo ri­ guardo risultano interessanti (e spassose) le deduzioni che il giuri­ sta Rudolf von Jhering ha formulato, al volger del secolo scorso, riguardo alla « evoluzione storica del concetto di verità », che se­ gue « il canone della sua necessità pratica » . Jhering infatti ipotizza che le donne siano meno pedanti degli uomini in fatto di verità, dato che le frottole raccontate durante il lavoro domestico provo­ cano minor danno di quelle dette nel gran mondo degli affari, in cui si muove tradizionalmente l'uomo . Dato che « il riconoscimen­ to della necessità della verità in tutte le circostanze della vita co­ stituisce la scuola pratica della verità, è giocoforza che l'uomo par­ tecipi di questo insegnamento in misura incomparabilmente supe­ riore alla donna, poiché il mondo in cui quest'ultima si muove è delimitato da quattro pareti; mentre la dimora dell'uomo è il gran­ de mondo aperto: il mondo dei viaggi e dei commerci, dei traffici, degli uffici, della scienza » . Qui l'uomo è costretto ad aprire gli oc­ chi sull'infamia della menzogna, ragion per cui il dovere della veri­ dicità, emotivamente fondato, è meglio sviluppato nell'uomo che nella donna .22 Un contemporaneo di Jhering, Gerardus Heymans condannava invece con energia « il diffuso pregiudizio secondo cui la donna è meno sincera e meno amante della verità dell'uomo » . Poiché «l'amore della verità, vale a dire il metro d i paragone con cui viene valutato il movente della verità, è decisamente più forte nelle donne che negli uomini » . L'attivazione di questo maggiore amore della verità sarebbe solo più profondamente inibita nelle donne che negi uomini, prosegue Heymans, « a causa della loro emo­ tività (più intensa, al confronto, di quella degli uomini) la quale è in sé pericolosa per la veridicità ». 23 Dal punto di vista della biolo­ gia evoluzionistica, tuttavia, né la posizione di Jhering né quella di

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Heymans sono difendibili. Infatti, se gli uomini sono esposti a una più intensa competitività nel mondo degli affari, allora non dovremmo attenderci da loro, come fa Jhering, una maggiore sin­ cerità, ma semmai l'impiego di tecniche più perfezionate nel cela­ re le proprie intenzioni fraudolente. La concezione di Heymans, secondo il quale le donne amerebbero di più la verità, subirà un forte ridimensionamento nel capitolo seguente . L'idea di un'in­ tensa emotività che rischia di nuocere alla veridicità rimane pur tuttavia inaccettabile alla luce di quanto detto finora, poiché le emozioni incontrollate semmai possono essere pericolose proprio per la menzogna !

La vita come teatro dela sopravvivenza Bertolt Brecht, negli scritti sul teatro, contrapponeva il teatro epico da lui propugnato all'illusorietà della scena tradizionale. Nel teatro epico gli attori avrebbero dovuto mantenere una distanza politico-critica nei confronti della loro parte, non identificarsi con quello che recitavano e rendere in tal modo impossibile anche per gli spettatori l' abbandono all'obnubilante immedesimazione senti­ mentale (o empatia) con i personaggi.24 Il teatro epico è, nella sua molteplice stratificazione intellettuale, una pura forma d'arte, i cui meccanismi, in quanto tali, non sono trasponibili dalle scene alla vita quotidiana. L'intellettualizzazione estraniante non po­ trebbe certo rappresentare un mezzo comprovato per vendere al prezzo più vantaggioso la propria persona . Questo compito po­ trebbe essere assolto meglio dal teatro tradizionale, nel quale gli attori (perlomeno nell'accezione corrente del termine) si calano nella loro parte e inducono il pubblico a entrare in una prospettiva estranea alla realtà. Erving Goffman, nel suo libro The Presentation o/ Sef in Evey­ day Li/e, pubblicato nel 1 959, analizza per l' appunto il modo in cui agiamo nel quotidiano, recitando e adoperandoci per presenta­ re il nostro Sé sotto la luce più favorevole possibile. L'autore, so­ ciologo e antropologo americano, già docente alle Università di Berkeley e di Filadelfia, pare aver avuto scarsa dimestichezza con i concetti della biologia evoluzionistica, ragion per cui tra le due

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teorie si osservano sorprendenti identità di vedute, ma anche fon­ damentali differenze. Il titolo dell'edizione tedesca del libro è pro­ grammatico : Wir alle spielen Theater [Tutti facciamo teatro] . Goff­ man descrive molteplici espedienti pratici, astuzie e trucchi con cui il singolo cerca di presentarsi in una luce favorevole . Proprio come gli attori si servono di capi di vestiario accuratamente scelti, di gesti e di un lessico appropriato, anche gli esseri umani, secon­ do Goffman, mettono in scena, nella loro quotidianità, delle reci­ te sotto la direzione di un'invisibile regia, ad esempio per convin­ cere partner commerciali o colleghi di lavoro delle proprie capa­ cità, autentiche o (e questo è importante) simulate che siano . Gli attori perfezionano la loro parte nel corso della vita, modifi­ cando la drammaturgia in base alle reazioni i cui hanno avuto espe­ rienza da parte del pubblico . Il loro « Sé è il prodotto di una scena ben congegnata [ . . . ] che viene rappresentata, e non la sua causa. Il Sé, quindi, come personaggio rappresentato non è qualcosa di orga­ nico, che abbia una collocazione specifica, il cui principale destino sia quello di nascere, maturare e morire ». 25 Di conseguenza la sua recitazione non è una forma di mimetismo difensivo innato, bensi il risultato di un processo di apprendimento, un comportamento cioè che soddisfa i requisiti dell'inganno tattico . Il punto decisivo, natu­ ralmente, è se la recitazione risulti o meno credibile . Il pubblico cer­ ca di ottenere informazioni sugli attori. Gli interpreti non vanno af­ fatto esenti da goffaggini che potrebbero smascherarli, e può acca­ dere che perdano momentaneamente il controllo muscolare; posso­ no « inciampare, ruzzolare, cascare; ruttare, sbadigliare, fare una pa­ pera, grattarsi o produrre flatulenze » . 26 Il pubblico è propenso a prestare attenzione a questi segni, a mostrarsi diffidente nei con­ fronti dello spettacolo e a ritenerlo non vero anche per via di difetti minimi. « C 'è la danza del droghiere, del sarto, dello stimatore » scriveva Sartre, interpretando le occupazioni quotidiane, « e ognu­ no si sforza in questo modo di persuadere la propria clientela che non è altro che un droghiere, uno stimatore, un sarto » . 2 7 Gli altri, sapendo che gli attori cercano di presentarsi sotto una luce favorevole, possono prestare attenzione a due aspetti . Il pri­ mo è costituito dalle espressioni verbali, un aspetto questo che se­ condo la concezione di Goffman può essere manipolato a volontà in maniera relativamente semplice . Il secondo aspetto sembra me-

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no facilmente controllabile. Esso deriva principalmente da quel che gli attori «lasciano trasparire », secondo la definizione di Goffman. Questi ritiene che il pubblico possa utilizzare gli aspetti non controllabili del comportamento espressivo di un attore come mezzo per verificare la verità di quanto è trasmesso dagli aspetti controllabili . Con ciò viene dimostrata la fondamentale asimme­ tria del processo della comunicazione, dato che gli attori sono con­ sapevoli di un flusso soltanto della comunicazione, mentre gli os­ servatori ne percepiscono anche un secondo . A questo proposito Goffman descrive il caso di un'ostessa che, avendo proposto a un ospite delle specialità locali, trova poi conferma delle cortesi rassi­ curazioni con cui il cliente esprime il proprio apprezzamento della pietanza nella velocità con cui egli porta alla bocca il cibo con la forchetta o il cucchiaio, così come, dalla soddisfazione che espri­ me nel masticarlo, trae conclusioni sul suo effettivo benessere. Goffman pensa che « l' arte di smascherare un individuo che finge di non fingere » è « meglio sviluppata della nostra capacità di finge­ re », sicché, nella maggior parte dei casi, l'osservatore è nettamen­ te avvantaggiato nei confronti degli attori. 28 A questo proposito l'interpretazione di Goffman si discosta da quella della biologia evoluzionistica . Infatti, ai reiterati tentativi del pubblico per smascherarli, gli attori devono reagire con un continuo miglioramento delle loro prestazioni teatrali, altrimenti non potrebbero resistere sul palcoscenico . Un processo del genere equivale a una spirale evolutiva, in cui le prede si sottraggono in maniera sempre più efficace agli agguati dei predatori, e così que­ sti sviluppano a loro volta tecniche di predazione ancor più raffi­ nate . In un altro passo, Goffman riconosce senz' altro questo aspetto , e descrive il processo di comunicazione come una specie di « gioco delle informazioni: un ciclo potenzialmente infinito di dissimulazioni, scoperte, false rivelazioni e riscoperte » .29 Per il successo o l'insuccesso di una rappresentazione risulta so­ prattutto decisivo il dato di fatto della « fiducia che l'individuo stesso ripone nell'impressione della realtà che egli tenta di solleci­ tare in quanti gli sono d'intorno » . Goffman distingue interpreti « cinici » da quelli « sinceri » che credono all'impressione prodotta dalla loro propria recitazione. « Cinicamente » agisce il medico, quando prescrive un rimedio innocuo ma inutile, ovvero il com-

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messo del negozio di calzature , che vende a una cliente un paio di scarpe che le vanno perfettamente, e le dichiara che sono d'un nu­ mero diverso . A questi interpreti cinici il pubblico non consente di essere sinceri; dal che Goffman deduce che gli attori non sono necessariamente animati da motivi egoistici. 30 Ancora una volta, la biologia del comportamento non sembra consentire un simile proscioglimento degli attori cinici. Semmai il rapporto sia del me­ dico, sia del venditore di scarpe potrebbe essere interpretato, sen­ za alcuna forzatura, come egoistico, poiché in ultima istanza au­ menta la probabilità che la clientela si formi una buona opinione di costoro, passi la voce sulle loro qualità e all'occorrenza torni ad avvalersi dei loro servizi . In fondo, l'interpretazione di un attore sincero convince nella misura in cui essa è animata dall'autoinganno, e l'attore « viene catturato dalla propria recitazione » al punto da considerare che « l' impressione della realtà che lui mette in scena sia la realtà, anzi l'unica realtà possibile : in tal modo egli diviene interprete e spet­ tatore dello stesso spettacolo [ . . . ] Vi sono cose che sa o che ha sa­ puto e che non può ammettere neppure dinanzi a se stesso . Que­ sta complicata strategia dell' autoinganno si compie per tutta l'a­ zione » . 3 1 Naturalmente il pubblico, secondo il punto di vista di Goffman, impara dall'esperienza: « sta tanto più sul chi vive quan­ to maggiore è la somiglianza dell'interpretazione dell'ingannatore con l'interpretazione genuina »,32 e in tal modo la diffidenza del pubblico favorisce prestazioni interpretative sempre migliori. De­ finire questi interpreti, con Goffman, « sinceri », sembra alquanto fuori luogo, poiché il loro successo si alimenta appunto non della consapevolezza « sincera » di recitare, bensì dell'autoinganno di non stare affatto recitando . Goffman si rifiuta di bollare l'insincerità e l'autoinganno come debolezze del carattere . Egli si rifà al sociologo americano Robert Ezra Park ( r 864- 1 944) , il quale ricordava come la voce latina per­ sona significasse, originariamente, « maschera » . Per Park, che nel corso della sua vita si occupò soprattutto di minoranze, la masche­ ra era « il nostro vero "io " : l"'io" che vorremmo essere . Alla fine la concezione del nostro ruolo diventa una seconda natura e parte integrale della nostra personalità. Entriamo nel mondo come indi­ vidui, acquistiamo un carattere e diventiamo persone » Y

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La fede può smuovere le montagne La fede può smuovere le montagne: così insegnano i Vangeli. 34 Può darsi che sia un'esagerazione; eppure anche una falsa fede a volte può essere più vantaggiosa di nessuna fede . È quanto meno più arduo non credere a nulla che appigliarsi a un qualsiasi punto di vista, per assurdo che sia . Forse questo è legato al fatto che la sensa­ zione di restare nell'ignoranza è estremamente sgradevole. Vicever­ sa, la sensazione di sapere qualcosa è comunque tranquillizzante . Se la selezione naturale attribuisce un voto alla fitness riprodut­ tiva degli organismi, questo accade a prescindere da ogni conside­ razione se quella sensazione, di sapere qualcosa, sia basata su un malinteso o su fatti concreti. Se le conclusioni errate che vengono formulate dal gene di un individuo gli garantiscono maggiori pro­ babilità di trasmettersi alla generazione successiva, allora la sele­ zione favorirà corpi e cervelli che soprassiedono all'infondatezza di quelle conclusioni. Certo, talvolta anche il ghiaccio che ritene­ vamo abbastanza solido per sostenerci si spezza; in generale però continuiamo a scivolarci sopra . . . La distorsione della realtà procura una buona sensazione . Sen­ tirsi bene è più sano e le persone più sane vivono più a lungo, ri­ sultano più attraenti per gli altri e si riproducono con maggiore probabilità di quelle non sane. Le ripercussioni di questo tipo che la psiche esercita sulle potenziali prestazioni fisiche sono numero­ se: se crediamo che la nostra vita abbia un senso, lottiamo per non perderlo . Se crediamo di controllare una situazione, la affrontia­ mo con maggiore fiducia. La fede aiuta davvero a spostare le mon­ tagne, poiché consente di mobilitare l'energia necessaria a smuo­ vere un ostacolo, in modo lento ma sicuro . La tenacia è proficua, poiché chi persegue uno scopo ostinatamente lo raggiungerà con molto maggiore probabilità di chi si rassegna presto . Quelli che tengono duro incontrano a loro volta più persone che la pensano come loro, dato che anche le persone consapevoli del proprio valo­ re sono socialmente attraenti. Trovarsi in loro compagnia è van­ taggioso, perché con la loro stessa sopravvivenza quelle persone dimostrano che da loro è possibile imparare qualcosa . Il loro esem­ pio fa scuola, per quanto possa essere appesantito da teorie astru-

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se, perché coloro che credono in qualcosa, al solo vederli trovano delle conferme .35 Il Demetio di Friedrich Schiller, l'ultimo suo dramma pubblicato incompiuto e postumo del r 8 r 5 , è incentrato sulla figura storica di Dimitrij , che nel r 6o3 si fece passare per il figlio assassinato di lvan il Terribile e riusd a essere incoronato zar a Mosca. Un passaggio chiave del frammento recita: « La sfron­ tata confidenza della menzogna appassiona, il meraviglioso incon­ tra favore e credito » . L a fede nel meraviglioso si propaga come u n virus tra persone dello stesso temperamento . Goffman ritiene che di norma gli indi­ vidui si sostengano reciprocamente per esercitarsi, nel teatro della quotidianità, in parti collettive . Tra i gruppi così formati egli an­ novera ad esempio i partiti, i sindacati, le associazioni sportive . « Poiché tutti partecipiamo ad équipe, dobbiamo tutti avere in noi qualcosa della dolce colpevolezza dei cospiratori. E poiché ogni équipe è impegnata a mantenere la stabilità di certe definizioni della situazione, nascondendo o sminuendo di proposito certi fat­ ti, c'è da immaginarsi che l' attore viva un po' furtivamente la sua carriera di cospira t ore » . 36 La scienza ha indagato un intero arsenale di meccanismi fisiolo­ gici e psicologici che ci fanno diventare dei cospiratori, che ci im­ pediscono di guardare la realtà dritto negli occhi. T ali meccanismi ci procurano sentimenti di sicurezza e ottimismo e ci donano l'il­ lusione di poter controllare la vita . Tra essi, l'autoinganno occupa una posizione centrale . È un dato di fatto che le informazioni sulla nostra persona in­ fluenzano il nostro benessere in misura di gran lunga maggiore delle notizie relative ad altri . Le informazioni che ci riguardano sono notizie « calde » per il cervello . Dato che evidentemente le persone provano un fondamentale bisogno di preservare e proteg­ gere il senso di autostima, l' acquisizione, l'interpretazione e l'im­ magazzinamento di queste informazioni sono fortemente influen­ zati dai bisogni e dal senso di autostima della persona in questio­ ne . Di questo bisogno fondamentale rendono conto diverse strate­ gie asservite alla consapevolezza del proprio valore . Il termine strategia in questo caso non significa certo un agire assolutamente volontario o cosciente, dato che molti dei programmi comporta­ mentali attivabili si svolgono senza che ne abbiamo consapevolez-

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za. Essi modellano in misura maggiore o minore l'informazione di­ sponibile, per impedire qualsiasi offesa del senso di autostima .37 Le esperienze del successo, ad esempio, non comportano neces­ sariamente un accresciuto senso di autostima, così come gli insuc­ cessi non implicano che esso venga umiliato . Ben più importante è il fatto che l'esito positivo o negativo di un accadimento venga d­ condotto alle proprie capacità o incapacità o a circostanze esterne . Queste ultime, vale a dire l'attribuzione a cause esterne, possono tutelare il senso di autostima in caso di un insuccesso: « Ho avuto davvero sfortuna . L'esaminatore è un cretino . E inoltre non mi può soffrire » . Viceversa, un'attribuzione a cause interne risulte­ rebbe pregiudizievole per il senso di autostima: « Non mi sono adoperato abbastanza. Sono un incapace » . Le motivazioni esterne che fanno riferimento ala fortuna o al caso non sono molto utili per esaltare il senso di autostima . In questi casi è possibile ricorre­ re solamente a delle motivazioni interne: « Ho studiato con impe­ gno . So esprimermi bene . Sono intelligente » . Siamo inclini ad ascrivere i successi a cause interne, e a interpretarli come il frutto del nostro impegno, mentre vediamo gli insuccessi come il risulta­ to di sfortunate circostanze esterne . Questa tendenza viene deno­ minata sef-seving bias, ed è una delle più diffuse strategie di auto­ difesa del senso di autostima .38 Certo, la percezione selettiva delle cause comporta anche dei pericoli. Chi imputa la responsabilità di un evento a cause esterne come la fortuna o il caso, ammette di non avere mantenuto il con-. trollo della situazione. A un'analisi più accurata si scopre inoltre che si ricorre a fattori interni solo nei casi in cui sarebbe comun­ que possibile controllare le cause; ad esempio se .qualcuno, a causa di una malattia passeggera, non è riuscito a superare un esame, ma avrà modo di ripeterlo. Se una tale attribuzione non è possibile (ad esempio se uno sente di aver tentato tutto ciò che era umana­ mente possibile) , allora bisogna far ricorso a dei fattori esterni: « L'esame è stato iniquo » . 39 A volte le informazioni che promuovono il senso di autostima vengono provocate attivamente in un processo che viene definito impression management. Tendiamo a presentarci in scena in modo tale (mediante gli abiti, l'elocuzione, le azioni) da far sì che il no­ stro ambiente reagisca nel modo più lusinghiero e positivo possibi-

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le. Un simile /ishing /or compliments, quando è troppo smaccato, può produrre effetti opposti a queli desiderati, facendoci entrare in conflitto con quella norma sociale che taccia di presunzione e fanfaronaggine ogni autovalutazione troppo positiva . Se da parte del contesto sociale sono prevedibili reazioni del genere, allora può risultare più giovevole al nostro senso di autostima atteggiare il no­ stro comportamento in pubblico a modestia e undestatement. Un' autopresentazione troppo piena di sé può risultare inopportuna anche quando si profila il pericolo di una verifica in pubblico . Un pianista che decanta il proprio virtuosismo alla tastiera, pur essen­ do uno strimpelatore pietoso, rischia di trovarsi seriamente nei guai alla prima festa in cui si imbatterà in un pianoforte a coda . La percezione e l'elaborazione dell'informazione, se distorte, possono avere concrete conseguenze anche in ambito economico . Vi è un settore dela psicologia sociale e dell'economia che si occu­ pa del problema per cui una parte dei dirigenti d' azienda risultano inclini a disfunzioni nell'acquisizione, nella trasmissione o nell'im­ piego di informazioni . Cause di ciò sono considerati fattori come la cecità aziendale (la ripetizione della stessa esperienza nello stes­ so ambiente ottunde la percezione), le deformazioni dovute a una cognizione di sé impermeabile a qualsiasi mutamento (per cui il nuovo viene recepito con tanto maggiore difficoltà quanto più es­ so risulta negativo per il nostro senso di autostima) , una ristretta possibilità di scambio di opinioni con le persone che la pensano al­ lo stesso modo, e infine la restrizione dell'accesso alle informazio­ ni o la loro falsificazione . Caratteristico di questo ambito di pro­ blemi è il fatto che esso venga etichettato sotto la dicitura di pato­ logie dell'informazione . Tuttavia, nella logica dell'autoinganno, fenomeni del genere non sono affatto morbosi, ma rispondono ap­ punto alle previsioni della biologia evoluzionistica. 40 Nella sua Kitik des Hezens [Critica del cuore] ( 1 874) il poeta tedesco Wilhelm Busch ha tratteggiato con vera maestria un sem­ plice meccanismo psicologico mediante cui possiamo stimolare la produzione di reazioni utili al nostro senso di autostima : « L'auto­ critica ha molti pregi . l Poniamo il caso ch'io mi biasimi: l così fa­ cendo, anzitutto ho il vantaggio l di riuscire simpatico e modesto; l in secondo luogo la gente si convince l che son campione d 'one­ stà; l il terzo boccone che mi spetta l è sottrarmi agli altri criticoni

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l e in quarto luogo spero l nella contraddizion che m'è gradita . l In questo modo prima o poi salta fuori l che sono un tipo vera­

mente straordinario ».41 La nostra psiche dispone di svariati trucchetti per mettere a lu­ stro l'Io, in risposta alle nostre esigenze interiori. Propendiamo sempre a ritenerci qualcosa di speciale, un fenomeno eccezionale, perfino quando i fatti sono Il a contraddirci. Come risulta dalle inchieste, la maggior parte delle persone pensano che l rischio di rimanere vittime di una catastrofe naturale o di una malattia sia risibile. Viceversa gli intervistati mediamente sopravvalutano la probabilità di trovare un buon lavoro, di possedere una casa o di vivere più di 8o anni . I soggetti di esperimenti cui era stata sotto­ posta l'aspettativa della durata massima della vita, calcolata da una grande agenzia assicurativa, avevano stimato la probabilità della propria sopravvivenza almeno dieci anni al di sopra della me­ dia. Anche l proprio stato di salute veniva considerato più stabile di quello del vicino, e l rischio di essere coinvolto in incidenti d'auto o di subire un attacco cardiaco veniva ritenuto inferiore.42 Di contro a questa visione delle cose si affollano naturalmente le obiezioni: chi si reputa un tipo speciale, ad esempio, si preoccu­ perà di meno per l'assistenza previdenziale. Ma questo non con­ traddice forse la teoria secondo cui una generosa dose di autoin­ ganno è adattativa? No, ed è interessante che non la contraddica, come mostrano appunto i risultati della medicina comportamentale e della psicosomatica. I ricercatori che si occupano delle cause dello stress e del suo superamento, sono in larga misura d' accordo sul fatto che i fattori di stress esterni influenzano le reazioni fisio­ logiche allo stress e la forma fisica assai meno di quanto possa in­ fluenzarli l modo in cui le persone stressate affrontano le situa­ zioni. La persone che dispongono di strategie poco articolate per l superamento delle avversità sviluppano, con maggiore probabilità, malattie serie, perlopiù croniche. Quello che vale per la fede, vale anche per le strategie di superamento: devono essere non logiche per avere successo. Ce lo insegna l'esempio dei pazienti che evita­ no di pensare a un'operazione imminente, e tuttavia soffrono più di rado di complicazioni postoperatorie rispetto a quei pazienti che rivolgono un'intensa attenzione all'intervento . Proprio quelli che sono più informati sulle cause e gli aspetti tecnici dell'opera-

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zione si trovano a dover affrontare la convalescenza più difficile : scoperta sorprendente, ottenuta dall'équipe dello psicologo Ri­ chard Lazarus dell'Università di California a Berkeley Y Forme importanti di superamento intrapsichico sono rappresentate da espressioni di autoacquietamento come : « Sono convinto che la si­ tuazione non è pericolosa », « Non sarà poi cosl brutta » oppure « Tutto andrà bene » . 44 Un altro studio ha messo a confronto i tassi di sopravvivenza delle donne cinque anni dopo una mastectomia ed è pervenuto a un risultato molto simile: i1 75 per cento di quel­ le donne che si erano ribellate interiormente alla malattia, o ave­ vano addirittura negato di essere ammalate, erano ancora in vita senza che fosse stata formulata alcuna nuova diagnosi di cancro . Delle donne che avevano accettato la malattia in maniera stoica o lasciandosi andare , solo il 35 per cento erano ancora vive e non era stato diagnosticato loro alcun nuovo tumore. 45 Se non siamo in grado di evitare situazioni che rappresentano per noi una minaccia, ci è d'aiuto contestare quella minaccia e ri­ muoverla dalla coscienza. Tali strategie di rinnegamento fungono, osserva Lazarus, da « tranquillanti intrafisici » . Il sistema del barat­ to per cui nel cervello angoscia e contenimento del dolore vengono concessi in cambio di una certa perdita di realtà è stato analizzato con precisione dallo psicologo americano Daniel Goleman nel suo libro Via! Lies, Simple Tuth. Goleman ritiene che in questo modo si formi, nella rappresentazione del mondo circostante, una sorta di macua caeca, che sarebbe il punto di origine dell' autoinganno . Lo psicologo confronta poi i meccanismi psicologici di difesa con le morfine prodotte dal cervello (le cosiddette endorfine, sostanze da­ gli effetti simili a quelli degli oppiacei) , le quali vengono messe in circolo in caso di ferite gravi e bloccano sensazioni di dolore che ri­ sulterebbero insopportabili. In questo modo, il corpo e la coscienza riescono a « ingannarsi » per qualche tempo riguardo al dolore . 46 Tra gli atteggiamenti mentali positivi (sia pur basati su presup­ posti errati! ) e la salute fisica vi è una stretta connessione, e in de­ terminate circostanze le strategie di rimozione aiutano a superare le fasi critiche e pericolose. Come per altri rimedi tranquillanti, anche per questi sedativi psichici esiste il rischio dell'assuefazione nonché quello di ottenere un momentaneo sollievo al prezzo di una perdita di contatto con la realtà. Inoltre la paura e il dolore as-

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solvono a importanti funzioni di allarme, che in determinati fran­ genti di pericolo estremo possono garantire la sopravvivenza, un fatto questo che pone un limite naturale al valore adattativo del­ l'autoinganno . Pure, simili situazioni sono di gran lunga più rare delle relativamente insignificanti esperienze di stress della vita quotidiana, che diminuiscono anch'esse la resistenza fisica e a cui possono essere contrapposti, mediante la rimozione, eventi psichi­ ci piacevoliY Il biologo evoluzionista Lionel Tiger ha tracciato un paralleli­ smo tra la morfina cerebrale e le concezioni religiose, la fede nel progresso, i desideri infantili e le ambizioni quali la sete di denaro o di potere . Secondo Tiger, tutto questo ci aiuterebbe a concen­ trarci, in maniera di solito ingannevole ma comunque decisa, sul futuro e in tal modo a mitigare il dolore del presente . Il ricercato­ re ritiene che un essere vivente (soprattutto se ha coscienza di do­ ver morire) non potrebbe in alcun modo superare le difficoltà e le ansie della vita quotidiana se non disponesse di un sistema di au­ toacquietamento . Nel suo libro Optimism: The Biology of Hope, Tiger espone la sua idea secondo cui la selezione naturale avrebbe prodotto le endorfine nel cervello proprio per questo motivo . 48 In effetti il sistema immunitario degli ottimisti è decisamente più forte di quello dei pessimisti . Persone che si qualificano come otti­ miste, ad esempio , si recano dal medico più di rado e incorrono in un raffreddore con frequenza dimezzata rispetto ai pessimisti .49 L'ottimismo è piacevole, perché comunica il sentimento della prevedibilità degli eventi futuri. Gli ottimisti si sentono più sicu­ ri, o perché presumono che a questo mondo tutti abbiano quello che gli spetta (per misericordiosa benevolenza esterna, vale a dire per disposizione divina) , oppure perché partono dal presupposto che gli uomini potrebbero prender in mano il loro destino . L 'illu­ sione di controllare una situazione fornisce motivazioni a perse­ guire con tenacia i propri obiettivi . Gli ottimisti non gettano la spugna così facilmente come coloro che indulgono al fatalismo . « Aiutati che Dio t'aiuta », recita il proverbio sottolineando ap­ punto la connessione, spesso riscontrabile, tra fede nel proprio po­ tere di pianificare il futuro, e fede nella potenza adiuvante del fa­ vore divino ovvero del fato . Una delle funzioni principali delle convinzioni religiose ha a che fare con l'idea che le potenze supe-

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riori si preoccupino di noi e quindi la nostra vita acquisti un sen­ so. Una convinzione del genere è in forte contraddizione con il messaggio della biologia evoluzionistica, secondo cui questa no­ stra vita non ha altro senso, se non quello che la selezione naturale stimoli in tutti gli organismi la capacità di adattamento a determi­ nate condizioni ambientali. Lo scopo della vita (cioè la sua causa finale) consiste, in questa prospettiva, solamente nel propagare i geni . Lo scopo delle galline è la produzione di uova, e lo scopo del­ le uova è la produzione di galline . Per riprendere un'ormai celebre formulazione di Richard Dawkins : gli individui non sono altro che macchine per la sopravvivenza, programmate da geni per pro­ durre più geni . 5 0 Per tutta la vita, i mandarini dell'esistenzialismo francese come Jean-Paul Sartre e Albert Camus si sono occupati dell' assurdità dell'esistenza, che d 'un tratto (con la nostra venuta al mondo) si dà senza che la si sia richiesta, denudata di ogni senso . Un'analisi cosi spietata non è d'aiuto nel superamento della quotidianità, e ancor meno lo è per la contemplazione del futuro . Anche Konrad Lorenz, cui certo non è cosi facile muovere il rimprovero di essere un materialista riduzionista come a Dawkins , Sartre o Camus, ave­ va constatato che l'uomo « con tutte le sue esigenze, risulta del tutto indifferente all'accadere cosmico » . 5 1 Il fatto che molti si ri­ bellino a una siffatta mancanza di senso che viene iscritta dalla biologia nel loro albero genealogico, rientra nelle previsioni della teoria dell'evoluzione. Poiché, come si domandano retoricamente gli psicologi Dennis Krebs, Kathy Denton e Nancy Higgins, « che cosa attesta un miglior adattamento: la fede che questa vita sia priva di significato e che noi stessi siamo insignificanti, oppure la convinzione di essere una star in un importante spettacolo? »52 La falsa fede è incline a trovare conferme di se stessa . Se credia­ mo agli oroscopi, prenderemo scrupolosamente nota dei pronosti­ ci che c 'azzeccano . Quelli che non c 'azzeccano (potrebbe darsi che siano la maggioranza) li dimenticheremo presto . Inoltre la no­ stra psiche dispone di un meccanismo che aiuta le profezie ad av­ verarsi e che entra in azione, ad esempio, nella formazione dei pregiudizi . Gli etologi umani conoscono il fenomeno della doppia morale quale si manifesta nella distinzione di un in-group e di un out-group. I pregiudizi si sviluppano a partire da concezioni ste-

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reotipate su differenze di sesso o di razza, che spesso vengono ab­ binate a valutazioni e suscitano reazioni emotive . Così i risultati di una ricerca americana hanno dimostrato che gli studenti di un college apprezzavano di più un saggio se veniva loro detto che era stato scritto da un uomo, piuttosto che da una donna . A un fanati­ co razzista che vedesse un uomo bianco ben vestito sedere in pie­ no giorno su una panchina di un parco non verrebbe da pensare nulla di particolare; ma se l'uomo fosse nero e vestito miseramen­ te, l'osservatore razzista probabilmente lo taccerebbe di pigrizia . 53 I pregiudizi presentano le tipiche caratteristiche delle cosiddette sef-fuilling prophecies, le profezie che mettono in moto un circo­ lo vizioso di autoconferma. Esse sono impermeabili ad ogni tra­ sformazione, poiché il contatto con il gruppo estraneo viene evita­ to, e la visione stereotipata spesso si basa su assunzioni irrazionali . La percezione si distorce e l'attenzione si rivolge selettivamente a proprietà che confermano l'opinione precostituita . Un uomo non viene più percepito come singolo, bensì unicamente come membro del gruppo negativo . I pregiudizi sono tenacemente inaccessibili ai dati di fatto . Perciò i demagoghi, giocando con essi, riescono facil­ mente a seminare odio e ostilità nei confronti di un qualunque gruppo di estranei. 54 Nella monografia The Nature o/ Prjudice, pubblicata nel 1 954, l o psicologo americano Gordon Allport h a illustrato questo feno­ meno con un dialogo: «Mr X: Il brutto con gli ebrei è che essi si occupano solo del loro gruppo. Mr Y: Anzi, il rapporto finanziario del comune dimostra che essi, in relazione al loro numero, si ado­ perano di più per le istituzioni benefiche del comune di quanto non facciano i non ebrei . Mr X: Questo non fa che dimostrare che essi tentano sempre di acquistarsi la benevolenza degli altri, e si immischiano nelle faccende dei cristiani. Pensano solo al denaro . Per questo vi sono tanti banchieri ebrei . Mr Y: Eppure una recen­ te indagine dimostra che la percentuale degli ebrei che lavorano nel settore bancario è minima, di gran lunga inferiore a quella dei non ebrei . Mr X: Per l'appunto : un lavoro dignitoso non li interes­ sa affatto . Li troverai impiegati solo nell'industria cinematografi­ ca; oppure hanno dei locali notturni » . 55 Abbiamo dunque appena considerato la formazione dei pregiu­ dizi dal punto di vista della causa efficiente . Tra le loro possibili

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funzioni, vale a dire tra le loro cause finali, potrebbero esservi dei meccanismi che originariamente servivano a garantire la sicurezza . Spesso gli organismi devono prendere, al volo, decisioni da cui di­ pende la loro vita . Per questo la loro esperienza non è sempre suffi­ ciente, in particolare quando sono giovani. Gli stereotipi vengono trasmessi soprattutto dai conspecifici con cui un individuo ha una certa confidenza (e questi sono di norma i suoi parenti) e dei quali quindi si può fidare . In questo senso la formazione di pregiudizi può essere adattativa e risultare favorita dalla selezione . I pregiudizi sono naturalmente all'opera anche nelle discipline scientifiche che hanno una pretesa di oggettività, poiché le aspet­ tative dei ricercatori influenzano, quanto meno certe volte, i risul­ tati che essi ottengono . Lo psicologo americano Robert Rosenthal ha condotto un esperimento con r 2 studenti della sua facoltà, nel quale si trattava apparentemente di valutare l successo nell'ap­ prendimento conseguito da 6o ratti albini. Rosenthal descrisse una metà dei ratti come stupidi. Gli animali avevano bisogno di lungo tempo per trovare nel labirinto un percorso che li conduces­ se alla mangiatoia . L'altra metà dei ratti venne definita intelligen­ te, e presentata come il risultato di un' accurata selezione artificia­ le. In realtà i ratti non erano diversi in nulla . Gli studenti che con­ dussero i test con i ratti « stupidi » valutarono effettivamente i lo­ ro animali in maniera peggiore (e addirittura li trattarono peggio ! ) d i quanto facessero i loro colleghi con i presunti ratti « intelligen­ ti » (fig. 2 3) . 56 L ' « effetto Rosenthal », ovvero il potere condizionante delle profezie, viene dimostrato anche da quei successi clinici che ven­ gono ottenuti mediante i placebo, vale a dire quelle pillole che non contengono alcun principio attivo se non la fede del malato in cer­ ca di aiuto . L'effetto placebo funziona addirittura nella psicotera­ pia: i pazienti che credono alla loro terapia e all' autorità del loro terapeuta ottengono migliori risultati in termini di guarigione .57 In un contesto analogo vale la pena di riflettere due volte sulla va­ lutazione di un metodo terapeutico applicato negli Stati Uniti: qui anche i servizi di coloro che dichiarano di guarire con la preghiera (i malati chiamano un numero di telefono e possono ottenere un'intercessione religiosa) sono a carico della mutua. Gli enti pre­ videnziali si oppongono a questa pratica, ma ancora non è stato

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Ratti I 3 7-38, I 4 I , I 44-45 , I 4 7 , I 94 > I 97-99 Scimpanzé , IO, 85, 87, 92-93, 98-99, I O I -0 2 , I 05 -06, I 09, I I 3 - I 5 , I 2 I , I 2 5 , I 2 7 , 1 3 2-34, I 3 7-39, I 4 I , I 44-45 , I 47 , I 50, I 5 8�o, I 6 2 , I96, I 98, 2oo, 202, 243 bonobo (o scimpanzé nano, Pan paniscus) , I 05 , I 44, I 5 0 , I 6 2 , I 94 , I 9 7 , 203 Homo sapiens, I I , I 3 3 , I 88 , I 99 , 2 0 I antichità, I 6 - 2 8 , 3 2 antropomorfismo, r I 9-2o apprendimento, 85, I I I , I I 9, I 3 I , I39, I 48 , I 67 arrossire, I 6 r -62 astuzia (frode, truffa), 20, 2 2 , 30, 3 2 , 6 I , I 6 7 autocritica, I 7 3 autoespansione, I 56-57

autoinganno, I4, I 5 I -86, I 87 , I 99 , 202, 2 2 6 , 2 3 0 , 2 3 2 - 3 3 , 244-46, 248 autoriconoscimento visivo, I 4 I , 243 autorinnegamento, I 55-57 autostima, I 7 I - 7 2 autotradimento, autosmascheramento, I 5 9 , I 6 I -65 bambinai, I 0 7 , I 42-43 >, ipotesi, 7 I -7 2 behaviorismo, vedi comportamentismo bene, 2 I , 29-3 I , 59-60, 6 3 , 2 2 3 , 2 26, 2 3 2 benefici, vedi costi/benefici, bilancio Bibbia, 1 2 , 20-25 Antico Testamento, 22, I 63 decalogo, 2 4 I diavolo, I O- I 2 , 2 6 , 3 3 , 50, I 5 0 Dio, r r , 2o-2 I , 58-6o, 1 7 6 , 2 2 I , 2 2 7 Esodo, 2o-2 I , 24-25 faraone, 20-2 I , 24-25 Galati, 2 2 3 Genesi, I o, 2 2 , 2 4 - 2 5 , 2 3 7 Geremia, I 6 3 , 245 Giosuè, 2 I Giudici, I 6 , 2 3 6 Giuditta, 2 36 Giudizio universale, I 50 levatrici ebree, 20-2 I Luca, 245 Marco, 245 Matteo, 236, 245 Nuovo Testamento, 22, I 70 paradiso (giardino dell' Eden), I O , 59, 205 peccato originale, 58 Proverbi, 2 3 7 Salmi, I 6 3 , 245 biologia (teoria) evoluzionistica, r r - 1 2 , I 6 , 3 3 > 45-46, 5 8 , 6 2 -63 , 65 , 69-70, 7 3 , 75 > 79, 85 , I 48, I 5 3 , I 65-66, I 68 , I 73 , I 7 7 , r 8 7 , I 9 3 -94, 1 96, 2 I 3 , 2 I 6- 1 7 , 2 2 2 - 2 3 , 2 2 9 , 2 3 I , 2 3 9 , 247 biologismo normativa (determinismo biologi­ co) , 2 I 9 , 2 2 2- 2 3 , 23 I , 250 bluff, 66, 7 I , 7 3 , 87 buddhismo, 246 camuffamento, 36-39, 57; vedi anche mimetismo; livrea difensiva casistica, 85 cattolicesimo, 24-25 causa(e) : attribuzione delle, I 7 2 efficiente, I 5 3 , 1 78, I 88 , 2 2 5 finale, 1 5 3 , I 79 , r 88

288 cervello, I I , 3 2 , I 2 3 - 2 4 , I 3 o , I 3 3 , I 47-48, I 52, I 55, 245 cleptogamia, 75-78 colorazione di contrasto, 4 I commercio (economia) , I o , I 7 , 66, I 5o, 2 2 6 comportamentismo, I I 7· 3 2 comportamento, 78, 8 7 -90, 9 3 -94, 99, 1 06, I I 3 , I I 9·20, I 2 3 , I 2 7-29, I 3 8·39 > I 43 , I 96, 2 2 9 comprensione, I I 8 · I 9 , 1 26, I 3 7 , I 48, I 5 8 comunicazione, 3 4 , 63-64, 7 3 , 7 9 , I 2 2 , I 6 2 , I 68, 206, 2 2 3 , 2 2 6 , 2 3 8 condizionamento, I I I , I 2 2 , 1 26 , I 5 6 consaevolezza / conoscenza d i sé, 5 5 , I I 7-23, I 5 I ·5 8 , I 69, 226, 2 44•45 conservazione della specie, 55, 5 7 -58, 6 2 -64, 70, 247 « contro natura>>, 58 cooperazione, 35, 64-65 , 7 3 , I 45 , 202, 2 I 8, 2 2 2 , 2 24, 2 26·27 copula, vedi accoppiamento cortesia, 207·I O coscienza, I 5 I ·5 3 , 2 26-27, 2 3 0 coscienza d i s é , I 8 2 , 2 2 9 costi/benefici, bilancio, 3 5 , 66-6 7 , 79-8 2 , 88, 2 2 3 , 225, 2 2 8·29, 239 cristianesimo, I o , I9·3o, 33, I 8o cultura, IO·I I , 3 3 , 57-6 2 , 2 2 2 , 2 3 I darwinismo sociale, 2 I 7 , 2 2 o-2 I deambulazione eretta, 202 delusione, I 6 3 diffidenza (cautela), I I , 206, 2 3 2 dimorfismo sessuale uomo/donna, I 65 , I 78, I 8 7·204 disinteresse, vedi altruismo distrazione, 90-9 I , 99, I 0 2 , I 09, I 2 9 dolore, 2 2 6 duello canoro, 7 3 ebraismo, , 3 3 , 58, 1 6 3 , 1 78, 209