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Italian Pages 123 [124] Year 1993
Un grandissimo poeta che passa come uno sconosciuto, o meglio come un innominato, nella società letteraria del suo tempo, che è il tempo di Ce sare e di Cicerone. Un autore che risulta aver frequentato i grandi letterati dell'età sua, e del quale in vece manca ogni notizia, anche la più ovvia. Questo è 11 paradosso di Lucrezio. Ci sono molte strade per addentrarsi in questo enigma: dalla congettura biografica (come fecero gli antichi) al virtuosismo combinatorio (come usano i moderni). In questo libro se ne è seguita una diversa: guardare a fondo nell'opera di Cicerone, il quale, tra i contem poranei di Lucrezio, fu il più impor tante divulgatore di filosofia. È risultato così che il De rerum na tura, il poema fisico lucreziano, è il libro con cui Cicerone si è venuto cimentando polemicamente per de cenni. Quel poema è per lui l'anta gonista necessario, la bussola nega tiva. Ma perché non lo chiama mai in cau sa? Qual è il freno che gli impedisce di dichiarare apertamente il suo ber saglio? Questo libro adombra una risposta, che è forse di immediata evidenza.
Luciano Canfora (1942) è autore di una Storia della letteratura greca (Laterza 19892) e dirige la rivista « Quaderni di storia». Con questa casa editrice ha pubblicato: La demo
crazia come violenza (1982), Storie di oligarchi (1983), Il comunista sen za partito (1984), La sentenza (1985), La biblioteca scomparsa ( 1986); diri ge la collana
«
La città antica».
L. C.
In copertina: Epigrafe dedicatoria di Pollius Partheno peus per Atticilla (CIL VI, 24403). Museo Civico «Castello Ursino », Catania (inv. 414).
CL 17-0995-X
Prezzo Lire 20.000
Prisma
Luciano C anfora
Vita di Lucrezio
Sellerio editore
1993
© Sellerio editore via Siracusa 50 Palermo
Vita di Lucrezio
/
Luciano Canfora. - Palermo : Sellerio, 1993
123 p. ; 21 cm. - (Prisma r. CANFORA, Luciano l. LucREZIO CARO, Tito cnn 871.01
;
(a cura di 5. & T. - Torino)
154)
Indice
Vita di Lucrezio I.
L'anno di nascita
13
II.
Una lettera di Cicerone
17
III.
Un'altra lettera?
21
IV.
Il racconto di Girolamo
23
V.
Elucubrazioni ulteriori
31
VI.
La testimonianza di Cornelio Nepote
37
VII.
Calido o Calvo?
39
VIII.
Una scena di lettura
41
IX.
Memmio
44
X.
L'inno a Venere
49
XI.
Memmio in esilio
52
XII.
Lucrezio a Capua?
56
XIII.
Nigidio
62
XIV.
> . IO Torneremo s u questo termine . 11 D e l resto, il S all u s ti o autore degli Empedoclea , di cui si parla subito dopo - sia che si tratti di C neo S allustio sia che si t r at ti del fu t u ro storico -, è certamente vivo e vegeto nel febbraio del 54. Non si vede proprio perché quei rapidi c en n i ciceroniani debbano pre
supporre autori defunti.
20
III
Un' altra lettera?
S u l finale della lettera d i Marco a Quinto , A . E . Housman sollevò un dubbio radicale . 1 O sservò che i passi ciceroniani addotti da Vahlen (Opuscula , I, p. 5 4 ) in cui ricorre ugualmente il nesso vir-homo non han no valore probante in quanto riguardano casi in cui C icerone afferma che qualcuno , oltre ad essere homo, è anche vir (per esempio Fam. V , 17 , 3 : « ut e t hominem t e et virum e s s e meminisses ») . N e l nostro caso invece - notava Housman - si afferma qualcosa di assurdo : che cioè « la stessa persona e nelle medesime condizioni » debba essere vir ma non homo , mentre , com ' è noto, agli esseri che siano al di sopra o al di sotto degli umani (dei o bestie) non si addice in alcun modo l'epiteto vir. Ol tre tutto , soggiungeva Housman, per dare un senso alla frase ciceronia na (« virum te putabo si S allusti Empedoclea legeris, hominem non pu tabo ») Vahlen è costretto a postulare un significato di « homo » nel sen so di « persona che possiede pulchri sensum et decori » non attestato al trove . Housman concludeva perciò postulando un guasto di non lievi dimensioni : ipotizzava la caduta di un' intera frase («virum te putabo (si . . . ) , si Sallusti Empedoclea legeris hominem non putabo ») . La frase caduta potrebbe riguardare Lucrezio . (E si riproporrebbe forse anche l' eventualità di riprendere in considerazione l ' interpunzione tradizio nale , e collegare « sed curo veneris » con ciò che segue) . L ' analisi di Housman parve convincente a W . S . Watt, editore delle lettere a Quinto nella « Biblioteca Oxoniensis » ( 1 9 5 8 , 19652 ) , ma su scitò una impegnativa confutazione da parte di Shackleton-Bailey . Pre messo che una « debolezza » di Housman consisteva nel « portare la logi ca in ambiti dove non le spetta » (where it has no business) , egli osservò che , « in una lettera privata », C icerone « ha adoperato quella espressio ne non perché non ne vedesse l ' assurdità logica, ma perché la considera va piuttosto divertente ».2 1
2
an Martial, «Classica! Quarterly>>, 13 , 1 9 19, pp. 72-73 . Op. cit. p. 1 91 (cfr. già >, 1966, pp. 74-77) proprio a proposito della biografia lucreziana.
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osservato opportunamente Martin Ferguson Smith 6 a proposito dei tre celebri versi virgiliani. E certo quel makarismòs, quella proclamazione di « felicità » mal si converrebbe al disperato e obnubilato suicida. Chi avviò il problema ad una plausibile soluzione fu S amuel Brandt , il quale mise in luce, in un saggio del 1 89 1 , un altro singolare silenzio . Egli notò che Lattanzio (circa 2 5 0-320 d . C . ) , buon conoscitore di Lu crezio e scolaro di un « lucreziano » come Arnobio , pur tra tante denun ce della « follia » filosofica e religiosa di Lucrezio, non fa mai cenno né alla « follia » patologica né al suicidio del poeta.7 Che Lattanzio ignoras se la tradizione sul suicidio lucreziano può risultare anche dal capitolo III, 1 8 delle Divinae Institutiones, dedicato appunto alla condanna del suicidio, « qua nihil sceleratius fieri potest ». Ll La t t anzio critica dap prima quei pensa tori che « intuendo l' immortalità dell' anima » avevano scelto di suicidarsi « tamquam in caelum migraturi essent » (da Cleante , a Catone Uticense , stoici) , quindi passa ai suicidi di altre scuole filosofi che, ed il nome che fa è proprio quello di Democrito ; ne ricorda il suici dio con le parole di Lucrezio , il quale di quel suicidio parla alla fine del terzo libro (III, 1 04 1 ) : ma non dice una parola su di un suicidio di Lu crezio , nome che ovviamente ci si aspetterebbe di trovare anche in que sto caso accanto a quello di Democrito, come accade tante altre volte quando Lattanzio stigmatizza i loro comuni « deliramenta » dottrinali . Teuffel nella sua storia letteraria aveva senz ' altro parlato delle noti zie di Girolamo su Lucrezio come di tarde invenzioni di origine cristia na. Brandt non si spingeva a tanto, ma del silenzio di Lattanzio dava una spiegazione, invero alquanto discutibile : che cioè il De poetis di Sve tonio (fonte , cosl egli riteneva, di Girolamo anche per le notizie su Lu crezio) non avrebbe circolato in Africa dove nel III secolo avevano ope rato Arnobio e Lattanzio (p . 251) . Ma è stato facile obiettare che in realtà Lattanzio aveva trascorso parte della vita anche in Oriente (do ve, dal 290, Diocleziano lo nominò professore di grammatica a Nicome dia) ed in Gallia (dove , negli ultimi anni, divenne precettore del figlio di Costantino) : sicché si dovrebbe immaginare che l ' opera di Svetonio sui poeti, per essere ignorata da Lattanzio nonostante il suo mestiere di insegnante, fosse rimasta sconosciuta nella gran parte del mondo ro mano . 8 Sulla scia di Brandt , e con singolare puntiglio , Martin Schanz , nel suo grande manuale di letteratura latina, si spingeva a sostenere che « a Lattanzio l' opera di Svetonio De viris illustri bus non era nota, o se lo 6 Prefazione alla nuova ed. di Lucrezio nella « Loeb Library>>, London, 1975, p . XXI. Contro questo tipo di argomento si era espresso, ma con parole praticamente incomprensibi li, G. Giri, op. cit., Palermo 1 895, p. 1 1 . 7 S . Brandt, Lactantius und Lucretius, «Jahrbb. f . kl. Philol . >> 37, 1 8 9 1 , pp. 225-259. 8 R. Pichon, Les travaux récents sur la biographie de Lucrèce, , N . S . VIII, n r . 2 1 , février 1910, p . 72 .
27
era egli non l'aveva letta, e se anche l'aveva letta se n ' era dimenticato il contenuto » .9 Nel rifacimento a cura di C ari Hosius, la serie di alter native viene semplificata e viene saltato il passaggio intermedio, quello dove Lattanzio conosce il De viris illustribus ma non lo legge . 1° Contor sioni inutili, se si considera che la notizia biografica di Svetonio su Lu crezio sarà stata ampiamente adoperata in commentarii e avrà influen zato la tradizione sull' argomento: il che rende vano il problema se Lat tanzio abbia letto o meno direttamente Svetonio . Fu Adolf Brieger, alcuni anni più t ardi ( 1 896) ,11 a trarre in modo consequenziale le conclusioni che erano già implicite nelle ricerche di Brandt, sul carattere tardivo delle notizie sulla « follia » del poeta . Ma nel frattempo la scoperta da parte di John Masso n della cosiddetta « Vita borgiana » di Lucrezio ( 1 894) e la discussione che infuriò negli anni suc cessivi intorno alle fonti di quella biografia umanistica monopolizzò l ' at tenzione degli studiosi, sì che solo dopo molti anni tornò a farsi strada la veduta dell'origine tardiva e di ambito cristiano del racconto biogra fico su Lucrezio noto a Girolamo (Konrat Ziegler , Der Tod des Lucre tius, « Hermes », 1 9 36) . La spinta poté venire proprio dalla martellante taccia di « follia » ri volta a Lucrezio da parte cristiana, ed in particolare da Lattanzio . « De lirare » e « deliramentum » sono i termini con cui consuetamente Lat t anzio parla del pensiero epicureo e di Lucrezio suo divulgatore . Dia mo qui solo alcuni esempi: « Non possum hoc loco teneri quominus Epi curi stultitiam rursus coarguam : illius sunt enim omnia quae delirat Lu cretius » (De opificio dei, 6, l ) ; « adiecit [Epicuro] aliud deliramentum superiori congruens » (6 , 7) ; « sed libet ineptire quoniam cum inepto agi mus » (6, 9) . Nel capitolo 1 0 del De ira dei l' attacco si fa, se possibile, ancor più serrato : « caecus et excors fuit [Leucippo] » (10 , 3); « implevit [Lucrezio] numerum perfectae insaniae » ( 10, 1 0) ; « quis hunc [Lucre zio] putet habuisse cerebrum?>> ( 1 0 , 1 7 ) . E ancora: « philosophorum qui Epicurum sequuntur amentiam soleo mirati » (opi/ dei 2 , 1 0) ; in parti colare Lucrezio è poeta « insanissimus » (Divinae Institutiones III, 1 7 , 29) , il quale, proprio per l a consequenziale applicazione dei principi epi curei, pervenne, coi suoi ragionamenti, « ad deliramenta » (ibid. 1 7 , 2 3 ) . E così via . La ragione di tanto accanimento è evidente . Non si tratta semplice mente del seguace di una scuola filosofica greca: queste anzi possono 9
10 11
Geschichte der rdmischen Literatur, I, 2, Miinchen 1909, p. 40. Geschichte der rdmischen Literatur, !2, Miinchen 1927, p. 273 . Bericht iiber die Lukrez-Litteratur (1890-1895), in: « Bursian's Jahresberichte>>, 89,
1 896, [1897], p. 196.
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avere talvolta da Lattanzio un buon trattamento , se ad esempio Socrate e Platone sono definiti « reges philosophorum » (Div. Inst. III , 1 7 , 29) . S i tratta della corrente di pensiero che fa capo a Democrito , Leucippo , Epicuro , i quali tutti vengono in vario grado coinvolti nel giudizio d i « follia » : cioè di quella filosofia materialistica che , date l e s u e premesse, perviene alla « follia », dal punto di vista cristiano estrema, di negare l' im mortalità dell' anima. Negazione che in Lucrezio è particolarmente vee mente ed efficace , e perciò t anto più da combattere e screditare . Tra l' altro con l' argomento classico secondo cui abrogare l ' al di là significa distruggere tutti i freni morali, incitare al crimine e alla vita scellerata e corrotta « come un qualunque bandito che esortasse i suoi al saccheg gio » (Div. Inst. III , 1 7 , 4 1 ) . Lucrezio è « p azzo », nell ' apologetica di Lat tanzio , perché porta nel suo libro argomenti su argomenti contro la cre denza nell ' immortalità dell' anima, perché dissipa il timore degli inferi , perché sostiene con straordinaria efficacia che i famosi castighi inferna li non sono che la proiezione di angosce terrene . Neanche l' ateo Diago ra « qui nullum esse deum dixit » (de ira dei 9, 7) subisce un attacco così frontale : è lo scandalo della conclamata mortalità dell' anima, con il con seguente crollo di tutto il sistema di premi e castighi ultra terreni, il ber saglio polemico , il motivo scatenante di una confutazione incessante e ingiuriosa incentrata sul tema della « amentia » e del « deliramentum » . L' aspetto qua e là disorganico della trattazione contenuta i n alcune parti del poema sembrava conciliarsi con l' ipotesi di una composizione « per intervalla », e dunque « per intervalla insaniae »; l' incompiutezza (la probabile mancanza di un' 2
Da ultimo propende per l'ipotesi di Cichorius (ma tace di Munzer) N . Horsfall, Cor A selection , Oxford 1 9 8 9 , p. 8 6 . > Come proprio Munzer ha brillantemente dimostrato (Ein romischer Epikureer, >, 69, 1 9 1 4 pp. 625-629) . In ogni caso, anche se si intende riferito a C alvo il giudizio di Cornelio, il quadro tracciato nel capitolo precedente non muterebbe : Licinio C alvo era intimo amico di C atullo (i due sono spesso associati nella successiva tradizione : da Orazio a Properzio a Ovidio) ed era ben noto a Cicerone , il quale gli rende omaggio sia nel Brutus (2 8 3 -284) che in una lettera a Trebonio dell ' anno 47 (Fam. XV, 2 1 , 4) .
nelius Nepos,
,
40
VIII
Una scena di lettura
Una scena di lettura di versi di fronte ad una cerchia, probabilmen te nella sua cerchia, la fa balenare Cicerone in una veloce battuta, in un' altra lettera al fratello : una lettera che , nella raccolta giunta a noi , si trova subito prima di quella riguardante i « Lucreti poemata », ma che non è databile in modo certo (Tyrrell-Purser : aprile o maggio del 5 5 ; Constans : giugno 5 6 ; Watt: « Scr . , ut videtur, an . 55 »; Shackleton-Bailey: maggio 5 6 « ut videtur ») . �1 Cicerone protesta, in tono scherzoso, contro l'esitazione del fratello a scrivergli . « lo voglio che tu mi interpelli e mi interrompa - gli dice - che chiacchieri e discuta. Cosa c ' è di più piacevole per me? Per Er cole, nessun jlOL>cro7tcl'ta K'toç (ovvero jlOL>cr07tci'tayoç) legge più volen tieri i suoi versi appena scritti di quanto io ascolti te parlare su qualun que argomento, pubblico, privato ecc . » (Q. fr. II, 8, 1 : « non me hercule quisquam jlOL>cr07ta'taK'toç libentius sua recentia poemata legit quam ego te audio quacumque de re etc . ») . La parola greca è tramandata in due forme diverse : la forma I.LOL>cro7t6.'tayoc; è attestata dalla editio prin ceps (Roma 1 4 70) , da quella curata dal Cratander (B asilea 1 528) e dalla A scensiana del 1 5 2 2 ; ha dunque dalla sua testimonii con valore indi pendente, t anto quanto l' altra . Un gruppo di manoscritti, infine , ed an che una delle mani correttrici dell' importante mediceo recano , sul mar gine , le parole « Musarum pulsator », spiegazione che sembra presuppor re j.!OL>cro7ta'tayoc;, dal momento che jlOL>cro7ta'taK'toç sembra invece significare « Musarum virga tactus » (cosl Dindorf nel Thesaurus Graecae Linguae, e gli altri interpreti sulla sua scia) . Cicerone conia un neologismo : non ci si è chiesti perché, e si è incerti sul valore del termine e sulla pointe, sul bersaglio che un neologismo di ne cessità comporta . E tanto più colpisce l' invenzione di una parola nuova, pur in presenza di una ricca messe di termini greci già disponibili per espri mere, con determinate accentuazioni, il concetto di « ispirato, pervaso dalle Muse, dedito al loro servizio »: jlOL>croK6ì..a l;, j.!OL>cr6Ì..T\ 1t'toç, jlOL>crOjlaviJç, jlOL>cr67tVEL>cr'toç, j.!OL>cro7t6ì.. o c;, jlOL>cr6�9a p'toç, jloL>cro�tì..� c; . 41
Qui c ' è , invece , la nozione di « percosso », ovvero di « pulsator » se si preferisce J.!OOoona oncimyoç) , pro prio a tale autorappresentazione lucreziana stravolgendola in un comico « percotitor di Muse »: il che costituirebbe anche una ulteriore spia di letture lucreziane delle quali Cicerone ha avuto diretta e memorabile espe rienza. C ome si è detto a suo tempo (cap . II) , anche le celebri parole , della successiva lettera, relative ai « Lucreti poemata », ai « versi di Lu crezio » ( Q. /r. II, 9, 3 ) , non sono , con molta probabilità, che il com mento che i due fratelli si sono scambiato a proposito di una lettura lu crezlana. La connessione tra la lettera sul J.!OOaon> dal senatore Q. Lucre tius vanno segnalati: T. S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, Cleveland 1952, II , pp. 2 7 0-2 7 1 (il quale non include Att. VII, 24-25 tra i testi riguardanti Quinto Lucrezio) e F. Miltner nella voce Lucretius nr. 36 della >. Sbrigativamente Kroll, nella voce Nigidius Figulus della « Realenc . >>, col . 20 1 , dovendo ricordare la missione di Nigi· dio da C orfino a C apua e non s apendo come identificare Lucrezio , se la cava cosl : « All'inizio di febbraio del 49 C icerone apprende da una lettera che Nigidio è giunto a Capua >> .
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Che, uscito di scena Memmio , Lucrezio si fosse legato a C assio, è ben possibile . E una conferma di ciò potrebbe essere rappresentata dal la circostanza che , circa nel torno di tempo in cui C icerone definisce Lucrezio « familiaris C assii », C assio si è convertito all ' epicureismo , o, come si esprime Cicerone , « ha preso le distanze dalla virtù [dallo stoici smo] attratto dalle lusinghe del piacere » . Glielo dice in una lettera dei primi di gennaio del 45 nella quale precisa che tale apostasìa era avve nuta ormai >, Suppl. « Lettres d ' Humanité » XII, nr . 4, dic . 1953, pp. 53-57, ha valo
rizzato, in quanto tracce autobiografiche, i noti passi lucreziani sulle mura di Atene, ma ha trascurato del tutto quello su Skapté Hyle. Su nonne vides in Lucrezio , Schiesaro « MD >> ,
13, 1 984, 1 43 .
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in una lettera nomina con molta considerazione un Karos, che connota con l' epiteto di thaumasios a significarne il rango intellettuale, tra i par tecipi della cerchia epicurea di Rodi (fr . 5 1 Chilton 1 2 9 C asanova) . Diogene, nella lettera all' amico Menneas, rievoca, ormai vecchissimo, quell' incontro . Al principio il testo è seriamente danneggiato, poi si in tende meglio : « Sono stato raccomandato a lei [evidentemente una figu ra femminile di grande prestigio nella cerchia epicurea di Rodi] da te, carissimo Menneas , [ ] e dallo straordinario C aro e dal nostro Dioni sio, al tempo in cui facevamo a Rodi le nostre discussioni presso di lei » . La cerchia epicurea di Rodi ci è nota anche da Filodemo, che n e parla più volte.2 L' identificazione di questo C aro con Lucrezio , subito pro spettata quando il frammento diogeniano fu scoperto ( 1 89 7 ) , suscitò dif ficoltà, essenzialmente perché vigeva la datazione di Diogene nel « refu gium peccatorum » del II/III secolo d. C . , ipotizzata da U sener quando ancora il fr. 5 1 non era stato scoperto . U sener si basava, per una tale d a tazione , su presunti « errori » filosofici di Diogene, rivelatisi invece, via via che lo studio del nuovo testo progrediva, inesistenti; nonché su considerazioni paleografiche, suggerite con cautela, che però non han no retto alle verifiche . La soluzione che si impone è di fondare proprio sulla menzione dello « straordinario Caro » una diversa datazione di Dio gene, appunto nella seconda metà del I a . C . } Tutto fa pensare, allo sta to delle nostre conoscenze , che questa di Diogene sia una testimonianza contemporanea su Lucrezio : su Lucrezio a Rodi, presso gli amici attivi in quell' isola così rilevante per i Romani colti . Il soggiorno a Rodi può essere messo in relazione con il viaggio in Grecia che ha portato Lucrezio in Atene , sulla costa tracia, a Samotra cia. Un viaggio che può essere stato anche un « itinerario epicureo ». Lamp saco, Mitilene , Samo , Atene . =
. . .
2 Philodemi Volumina Rhetorica, ed. Sudhaus , I , Lipsiae 1 892, pp . 89-90; Supplemen tum , Lipsiae 1 8 9 5 , p. 44 . J Su ciò : L. C anfora, Diogene di Enoanda e Lucrezio, >, 25, 1956, p. 7 1 . '
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più in generale , se davvero le edizioni recavano traccia dell'atelier di pro venienza, e cosl via . Strano , anzi, che non sia stata evocata, a questo proposito, la mitica entità dei troppo celebri « esemplari atticiani », di cui alcune fonti parlano a proposito di autori greci - Platone , Demo s tene , Eschine -, e che ostinatamente , ma vanamente, studiosi anche grandi hanno voluto mettere in rapporto con l' attività di copia che si svolgeva in casa di Tito Pomponio Attico . C erto , molto è andato perso : per esempio altre raccolte di lettere ciceroniane (ne è rimasta traccia in numerose citazioni di grammatici) ed a priori si può immaginare che la notizia fornitaci da Girolamo pro venga da una fonte del genere o da altre ancora. Forte è però il sospetto che siamo di fronte ad una elucubrazione costruita su di un dato del quale anche noi disponiamo : cioè sul giudizio espresso da C icerone sui > 7 2 , 195 1 , p. 5 9 , nota 5 . 4 Cosl tutta l a tradizione . L' eliminazione della parola « epicurei >>, proposta d a Davis, appare immotivata. Madvig parlò di « foedum additamentum >>, ma il passo è ben spiegato da P. Boyancé , Lucrèce et l'épicurisme, Paris 1 96 3 , tr. it. Brescia 1 985 2 , p. 1 9 . Trovo inte ressante anche la seconda parte della frase: « Nec Graeci Latine ». Patrone non avrà avuto interesse per un Amafinio . ,
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fronti », a scrivere sulla stessa materia (IV, 7 ) . Anche qui Lucrezio sem bra non esistere : se solo si ricorda che suo è il vanto di essere assoluta mente il primo (V, 3 3 5 - 3 3 7 : « questo sistema scientifico è stato trovato da poco , ed ora sono venuto fuori io [repertus sum] primo in assoluto [primus cum primis] capace di tradurne i principi nella lingua patria ») . C he non parrebbe il topico vanto di primato, come quando Properzio si presenta come il « C allimaco romano » (IV, l, 64) quasi non avesse già C atullo tradotto la Chioma di Berenice: quella di Lucrezio è una ri vendicazione circostanziata e polemica, alla quale si oppone insanabil mente l' affermazione ciceroniana (Tusculane IV, 6) secondo cui « fu Ama finio il primo a farsi avanti » nel generale silenzio dei divulgatori di altri sistemi filosofici . « Per una ragione che rimane da scoprire ha scritto Boyancé - C icerone non si ricorda più di Lucrezio , o non vuol pren derlo in considerazione ». 5 Né solo nelle Tusculane; nello stesso torno di tempo , nel primo libro degli Academica Posteriora, fa dire a V arrone : « Se io volessi esporre la fisica di Epicuro , me la caverei semplicemente , come Amafinio : che ci vuole infatti a discorrere della casuale collisione dei corpuscoli (come lui chiama gli atomi) ? » (I, 5 ) . Cosl s i esprime i l V arrone d i Cicerone . M a neanche il V arrone ' ve ro ' nel De lingua Latina , di cui non è rimasto pochissimo (i libri dal V al X) , cita mai Lucrezio (se non per errore della tradizione manoscrit ta) . 6 Nemmeno quando ci si aspetterebbe di vederlo citato, come ad esempio nella discussione (VII, 3 9) dedicata all'espressione enniana « Luca bos », per dire « elefante »; espressione che in Lucrezio ricorre due volte (V, 1 3 02 e 1 3 3 9) . Né si può dire che Varrone eviti di nominare i con temporanei , giacché proprio a proposito di « Luca bos » cita Cornelio Epi cado , autore di un commento ad Ennio, liberto di Silla e redattore , post mortem del dittatore , delle sue memorie, per quel che sosteneva a pro posito della possibile origine di quella singolare espressione . E anche C assio, nello scambio di lettere con Cicerone , anch'esso del l ' anno 45 , dove discute della pessima (a suo dire) traduzione del termi ne epicureo �iòwÀa adottata da Cazio (« spectra ») , deplora la mancanza di interpreti latini migliori cui fare ricorso per esprimere i concetti di Epicuro, e se la prende con « omnes C atii et Amafinii, mali verborum interprete s » . Anche per lui Lucrezio è come se non esistesse : Lucrezio , il quale ha dedicato l' intero libro IV a questo problema, e traduce �iòw Àov con « simulacrum » e « imago », cioè con gli stessi termini che Cicero-
5 6
Lucrèce et l'épicurisme, tr. cit . , p. 1 6 . D e lingua Latina, V, 1 7 e V I I , 94. In entrambi i casi è generalmente riconosciuto che
si tratta di citazioni da Lucilio . La lezione tramandata (« Lucretius >>, corretto in « Lucilius >> da S caligero) in V , 1 7 è all' origine dei pasticci che gli umanisti (Borgia, Pomponio Leto) han no fatto coi presunti 21 libri di Lucrezio (in realtà Lucilio ! ) .
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ne adopera - negli stessi mesi in cui ne discute con C assio ! - nel De na tura deorum (II , 76 etc . ) . 7 3 . È una situazione imbarazzante , che h a spinto ad ipotesi estre me , se non ' disperate ' , sia che si accolga sia che si revochi in dubbio l ' idea moderna costruita su Girolamo di una « edizione » ciceroniana di Lucrezio . Si capisce che disturba sommamente un Cicerone che da un lato « pubblica » il poema (magari nel 5 4 , se si assume quella data per la morte di Lucrezio) e dall' altro continua ad esprimersi (ancora nel 45) come se Lucrezio non esistesse . Ma le cose non cambiano molto anche se l' edizione la si fa allestire, nello stesso torno di tempo , da altri (Atti co, Quinto etc . ) . Una possibile via d 'uscita (a p arte la eventuale dichia razione di inspiegabilità del fenomeno) 8 è parsa quella suggerita più di quarant ' anni fa da V an Berchem, secondo cui Cicerone sarebbe bensì entrato in possesso del poema nel torno di tempo in cui ne scrive al fra tello , ma, preso da tutt' altri problemi, lo avrebbe per anni e anni tra scurato, tanto che l' edizione sarebbe poi stata curata, morto Cicerone nel dicembre del 43 , dal suo fedele e dotto Tirone (e un' edizione curata da Tullius Tiro poteva ben passare come di C icerone) . Spia ne sarebbe il fatto che nell' ecloga sesta Virgilio , in vena di annunciare « novità let terarie », annuncerebbe , tra l' altro , l ' « uscita » del poema lucreziano . 9 Si prova disagio dinanzi ad un tale cumulo di ipotesi, che si sorreg gono o tentano di puntellarsi a vicenda. Sta di fatto che la principale smentita ad una tale teoria viene dal fatto che Cicerone , mentre tace di Lucrezio o addirittura si esprime come se il suo poema non esistesse , non manca in parecchi rincontri ed in un ampio arco di tempo di dimo strare puntuale conoscenza del poema, e di replicare ad alcuni suoi ar gomenti proprio in quelle opere che ribadiscono essere le sorti dell' epi cureismo romano legate unicamente al nome e all' opera di Amafinio , 7 S_u ciò D. Nardo, Spectra Catiana, in: Dignam Dis, a Giampaolo Vallot , Venezia 1972, p . 1 4 1 . E parsa u n a ulteriore elusione di Lucrezio i l fatto che, scrivendo a Memmio a nome di Attico per indurlo a desistere dall a progettata distruzione della >, Cicero ne non faccia , al destinatario del De rerum natura, mai il nome di Lucrezio . Ettore Bignone (Storia della Letteratura Latina, II, Firenze, 1 945 , pp . 160- 162) si è addirittura spinto, in con seguenza di tale silenzio, a sostenere che il Memmio destinatario del poema fosse un' altra persona. Non ha senso però aspettarsi di veder citato Lucrezio in quella lettera: oltre tutto , come s ' è detto [cap. X], è ipotesi che ha molte chances di essere calzante che la rovina politi ca di Memmio ne abbia determinato la « fuoruscita >> dal poema; dunque non sarebbe stato un grande argomento per scuotere Memmio ricordargli Lucrezio . Semmai il dato interessan te, relativo a quella lettera, è che venga evocato Attico, il quale però non ha , 3, 1946, pp . 26-3 9 .
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di C azio o di Rabirio . Dunque l ' ipotesi del poema dimenticato non sta in piedi.
Un' altra teoria ha aspirato a miglior fortuna : Cicerone avrebbe vo luto diffondere il poema lucreziano, che era in sua mano, solo dopo averne preparato l'uscita con una adeguata confutazione preventiva, realizzata appunto attraverso opere come il De natura deorum, il De finibus, le Tu sculane. 10 Questa immagine di un Cicerone che si mette a scrivere di filosofia greca per preparare, con una confutazione preventiva, la pub blicazione del De rerum natura non riesce però convincente. Tra l' altro ci si aspetterebbe una confutazione (preventiva) della fisica epicurea che è l' argomento di Lucrezio -, laddove Cicerone in quei trattati si dedica esclusivamente all' etica e alla teologia (né soltanto epicuree) . Una strada ancora diversa l' aveva battuta Friedrich Miinzer, il grande indagatore della prosopografia romana, in un bel saggio del 1 9 1 4 . Miin zer ridiede vita ad un personaggio dimenticato, nonostante le brevi no tizie che di lui dà C ornelio Nepote ( 1 2 , 3 ) : all' epicureo romano Lucio S aufeio, autore anche lui di un' opera filosofica (come ben vide il Miin zer) , ispirata alla dottrina del maestro . L ' unico frammento conservato riecheggia, come s ' è già detto, un verso di Lucrezio . (Il che costituisce , sia detto tra parentesi, una ulteriore prova della notorietà e della circo lazione del poema: un altro tassello che va ad aggiungersi alle riprese da parte di C icerone) . Saufeio e Lucrezio , suggeriva Miinzer , costitui scono, rispetto al modo in cui Cicerone si atteggiò verso di loro, due casi paralleli: « il suo rapporto con S aufeio , che tramite Attico gli era divenuto amico , potrebbe essere stato simile al suo rapporto con Lucre zio , col quale egli era entrato in contatto personale tramite suo fratello Quinto: non ha citato nessuno dei due; quando però scriveva le Tuscu lane egli non poté più ignorare le opere epicuree scritte in latino, giac ché grande era ormai il loro influsso ». A riprova di ciò Miinzer adduce due dati: per un verso rinvia ai noti passi delle Tusculane (l, 6; IV, 7 ) contro Amafinio , per l' al ù o segnala una indiscutibile ritorsione polemi ca contro il quinto proemio lucreziano (V, 8) in un passo del libro primo delle Tusculane (48) . La singolarità per cui Amafinio viene nominato espli citamente, e svilito , mentre Lucrezio (e - soggiunge Miinzer - presu mibilmente anche Saufeio) viene confutato senza che se ne faccia il no me dipende dall' amicizia che legava Cicerone ai rispettivi sadali, Quin to e Attico . U L ' idea che Miinzer suggerisce, con la necessaria cautela, è dunque la seguente. Il poema di Lucrezio ha circolato presto; Cicerone però non l O J . M . André, Cicéron et Lucrèce: loi du silence et allusions polémiques, in: Mélanges Boyancé, Roma 1 964, p. 22. 11 F. Miinzer, Ein romischer Epikureer, (IV , 3 3 ) . 2 4 I l luogo ciceroniano è stato studiato d a Antonio L a Penna, Cicerone fra Sparta e Ate ne, in « Hommage Kumaniecki >>, Leiden 1975 , pp. 129- 139 ( � Aspetti del pensiero storico la tino , Torino 1978, pp. 1 1 9 - 1 3 1 ) . 85
i natali ad Epicuro (esaltato da Lucrezio come distruttore della religio ! ) . D a questa puntuale rispondenza e d a questa polemica divergenza scatu risce l'ipotesi di una possibile connessione tra i due testi. Ad humanitas corrisponde in Lucrezio solacia dulcia vitae (v . 4 ) ; a fruges , frugiparos fe tus (v . l) ; a iura leges, legesque rogarunt (v . 3 ) ; a distributae corrisponde in Lucrezio dididerunt (v . 2 ) ; 25 ad in omnes terras, mortalibus aegris (v . 1 ) . S i può anche o sservare che quando nomina Atene , al v . 2 , Lucrezio dice « praeclaro nomine Athenae », e che anche Cicerone sviluppa una connotazione analoga : « auctoritate autem t anta est ut iam fractum pro pe ac debilitatum Graeciae nomen huius urbis laude nitatur ». È ovvio che Cicerone abbia in mente anche altri celebri elogi di Atene, ed i luoghi comuni caratteristici di tali elogi, come l ' autoctonia e la con tesa tra Atena e Posidone per il « possesso » di Atene . Resta il fatto che un riscontro soddisfacente è possibile , per noi , soltanto con l'esordio lucreziano . Altri riscontri appaiono meno pertinenti, come ad esempio con l'Euhemerus di Ennio, dove è Iuppiter il quale « hominibus leges mores frumentaque paravit » (fr . XI Vahlen) . Peraltro lo stesso C icerone , in tut t ' altro contesto e avendo in mente altri effetti, assume senz' altro la Sicilia anziché Atene come « patria dei cereali » (Verr . II, 4, 1 06) . E Dio doro sullo stesso argomento se la cava con una formula combinatoria: Demetra donò « agli Ateniesi per primi dopo i Siciliani » il frutto del grano (V, 4 , 3 ) . Perché poi Cicerone collochi proprio qui, nella Pro Fiacco , questa reminiscenza, con in più la pointe polemica di attribuire ad Atene , anzi ché il merito di aver dato i natali ad Epicuro , il merito di aver donato agli uomini la religio, non è agevole stabilire ; e forse è domanda che do vremmo porci avendo prima ben chiaro chi fossero , negli intenti di Ci cerone e più in generale nella prassi letteraria del tempo , i destinatari, i fruitori, della rielaborazione letteraria di discorsi giudiziari . Ad ogni modo non sarà inutile ricordare che il propretore d ' Asia, qui difeso da Cicerone , Lucio Valeria Fiacco, era il marito di una Saufeia,26 figlia con tutta probabilità di quel Lucio S aufeio epicureo e sodale fraterno di At tico, oltre che autore - come s'è detto - di un' opera di dottrina epicurea. 8. Vi è però un punto , tra quelli sviluppati da Lucrezio nelle parti introduttive del poema, su cui Cicerone non si limita ad allusioni più 25 È questa una rara attestazione del perfetto di « dido »: lìtlì6vat, cioè appunto , Vita di Cicerone, 7 , e dunque il suo giudizio non va sottovalutato) . E in questo quadro di relazioni personali, di allusioni e di silenzi un po' sconcertanti che si colloca la figura, biograficamente a noi quasi ignota, di Lucrezio . 1 1 . C oloro i quali fanno morire Lucrezio nel 5 4 , difficilmente po tranno invocare per spiegare la rimozione del nome di Lucrezio nell' o pera filosofica ciceroniana, fiorita in larga parte dieci anni più tardi, sotto JO Cfr . l'ed. « Budé » del IX libro di Vitruvio, a cura di Jean Soubiran , Paris 1969, p. XXXIII e nota.
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l a dittatura di Cesare , l' argomento secondo cui dei poeti viventi per lo più si tace . E poi, a smentire che il silenzio sui recenti fosse d ' obbligo , c ' è C ornelio Nepote, anche lui frequentatore della stessa cerchia.
Non si riesce ad indicare un analogo caso di rimozione (e nel caso in questione si tratta per giunta di una società letteraria che conosciamo
molto bene , e che ha lasciato larga traccia di sé) . E la curiosità si acui sce , se si considera che Cicerone, l 'unica volta che fa cenno ai « Lucreti poemata », ci lascia , con il suo « sed cum veneris », in attesa vana di una ulteriore sua uscita sull' argomento , che invece invano cercheremo nel pur sterminato epistolario : epistolario che su questo punto ci delude , sebbene proprio l' epicureo Attico , scrittore esigente egli stesso, sia il corrispondente che di gran lunga fa la parte del leone nell ' intera raccol ta. Grazie all'epistolario, sappiamo , amico per amico, corrispondente per corrispondente , cosa C icerone pensasse - anche di molto riservato dei molti componenti, a vario titolo, della sua cerchia. Persino di un poeta contemporaneo ma secondario, come Archia, accade che Cicerone ci parli molto . Ma su Lucrezio più nulla [vd . , più oltre, l'Appendice 3] . Che una situazione del genere potesse provocare soluzioni estreme era prevedibile . Per esempio quella prospettata, con molta cautela e fi nezza, ma senza prove risolutive , da Alo"is Gerlo , secondo cui un Lucre zio, nella cerchia di C icerone e di Attico , sarà anche esistito , ma il De rerum natura (quale che fosse il ruolo di codesto Lucrezio nella composi zione : Gerla accenna ad un certo punto al rapporto tra Terenzio ed i suoi potenti amici e forse co-autori di p alliate) potrebbe essere stata, in misu ra difficilmente definibile , l'opera ' inconfess ata ' di Tito Pomponio Atti co . 1 1 Opera non divulgata, ma presente alla mente di Cicerone : e proprio perciò innominata. Gerla ha buon gioco quando invoca quell' oscuro pas so di una lettera ad A t ti co (XV , 4, 2, del 2 4 maggio del 44) , dove Cicero ne promette che non rivelerà all' epicureo Saufeio (autore anche lui di un trattato epicureo) « il segreto » di Attico . Di questa frase si sono tentate svariate interpretazioni, troppo tortuose per apparire accettabili . l2 .l i
A . Gcrlo, Pseudo-Lucretius?, « L' Antiquité Classique », 2 5 , 1 95 6 , pp. 4 1 - 7 2 .
3 2 Tyrrell-Purser (vol . V, p . 3 1 5 ) : « The very frigid joke must b e supposed to b e a n al
lusion to the fact that the 1st Tusc . Disp. is mainly Stoic doctrine ; and so opposed to the Epicureans, to which school S aufeius and Atticus belonged » . La frase ciceroniana è la se guente: 2 , 1 9 4 8 , p. 1 6 1 . 3 5 R . Syme, The Roman Revolution, Oxford 1 9 3 9 , tr. it . , Torino 1 962, p . 464. 36 H . Bergson, Ecrits et paroles, I , Paris 1957, pp . 4 1 -42 . 95
to da Augusto . 37 E certo , se si considera la trattazione sferzante che Lucrezio dedica, nel quinto libro , all' origine dell' idea di dio e soprat tutto al carattere grottesco del culto che alle immagini degli dei viene tributato (V, 1 1 6 1 - 1 240) - in particolare quell' uscita sprezzante e sar castica « non è pietas mostrarsi ad ogni istante coperto da un velo, rivolger si ad una pietra [cioè adorare le statue] , avvicinarsi a tutti gli altari » - , non è difficile capire quanto un testo del genere dovesse risultare insop portabile nel nuovo clima . Quando Augusto esibiva la propria pietas di adoratore velato di statue e di altari in celebri bassorilievi che lo raffi gurano con l'intera famiglia addobbata alla stessa maniera. Augusto fu sapiente regista di una politica culturale per la prima volta « in terventist a » , intesa cioè ad orientare anche il lavoro dei poeti gravi tanti intorno alla famiglia del principe ed ai suoi preziosi consiglieri (Me cenate in primis) . È il primo esempio documentato di una politica cul turale che suggerisce ai poeti la materia del loro lavoro : il che significa che il lavoro dei poeti di maggior spicco - ammessi al contatto col po tere e, perciò, resi di maggior spicco - era ormai considerato di inte resse e di rilievo anche politico . Non si trattava, ovviamente , di prevenire esiti ' eversivi ' : difficil mente i frutti dell ' attività letteraria dell' élite avrebbero avuto un tale riscontro nella società; bensl di rendere più omogeneo il sentire dei gruppi dirigenti e, inoltre, di suscitare un' immagine di compattezza, di ordine , di restaurazione appunto, che partisse proprio dall ' alto, da quei ceti elevati che erano stati di cosl ' negativo ' esempio alla società nei decenni delle guerre civili (ciò che lamenta un emergente di bassa estrazione come Ora zio nell' epodo XVI) . Di qui la spinta alla creazione di un' arte ufficiale : dalle arti figurative, dove Augusto fu maestro di dirigismo culturale, al la letteratura, al culto con tutta la sua onnipresente e imponente rituali t à . Di qui l' attenzione , diretta o attraverso grandi mediatori politico culturali, verso i gruppi intellettuali, il loro irretimento , e, se del caso, ! ' « epurazione » . Non soltanto nel campo minato della storiografia, onde Orazio può dire a Pollione - quando ancora parlare di ciò era possibi le ! - che scrivere una storia del primo ( ! ) triumvirato era un'opera « pie na di alea pericolosa » (Odi II, 1 : circa 34 a . C . ) ; ma anche nel campo della poesia alta, esametrica: epico-scientifica (si pensi al finale delle Geor giche) , epico-nazionale (Eneide) , ma anche elegiaca (le disgrazie di Ovidio) . È in questo quadro che il poema di Lucrezio comincia ad essere una presenza imbarazzante, ancorché ineludibile . Una presenza, nel caso di Virgilio , ininterrotta: dagli oscuri riferimenti (forse biografici?) dell' e cloga sesta - dove Sileno prigioniero ottiene la libertà in cambio di un
37 B . Russell, Storia della filosofia occidentale, tr. it . , Milano 1 966, II, 96
p. 3 4 9 .
canto che è né più né meno che il poema lucreziano -/8 alle Georgiche, che costituiscono, come è st ato detto, « fondamentalmente una risposta a Lucrezio » 3 9 fino al brano celebre « dove manca solo che Lucrezio ven ga nominato » (Il, 490-492 ) ; all'Eneide, al sermone di Anchise nell'Ade, il quale parla in un contesto che è di smentita frontale della negazione lucreziana dell' Acheronte,40 e conclude il suo dire con il tristemente fa moso precetto imperialistico « tu regere imperio etc . » (VI, 85 1 ) , che è confutazione voluta dell' opposto insegnamento lucreziano « meglio di pendere da altri, quam regere imperio etc . » (V, 1 1 3 0) . Che cosa riuscisse sgradevole del De rerum natura , Virgilio lo fa intendere nelle meditate e iper-augustee parole finali di Anchise nell'Ade : la mancanza, si po trebbe dire in una parola, di « coscienza imperiale ». Ed è notevole che sia proprio il quinto libro, dove Lucrezio tratteggia le t appe della storia umana sin dalle prime forme di vita per approdare alla dura condanna della politica contemporanea, il testo di riferimento delle allusioni degli augustei . Nella terza satira del primo libr-o, Orazio ne riecheggia alcuni luoghi capitali : 1 02 « pugnabant armis quae post fabricaverat usus », 1 0 3 « donec verba quibus voces sensusque notarent/nominaque invenere » (cfr . Lucrezio V, 1 043 - 1 044) , 1 09 « Venerem incertam rapientes more fera rum » (cfr . V, 962 e 9 3 2 ; « more ferarum » è una clausola cara a Lucre zio) , con l' ironica ripresa, al l l l , della formula lucreziana « fateare ne cessest », che nel De rerum natura ricorre ad ogni passo . 4 1 Coglieva una parte del vero Arnaldo Momigliano quando osservava, nei suoi Epicurei in rivolta 42 che l'epicureismo era stato uno dei tratti comuni di quei gio vani e meno giovani che si erano compromessi nella congiura contro Ce sare e poi nella guerra civile contro i triumviri, e che il loro libro forma tivo doveva essere stato il quinto del De rerum natura . Neanche per l a generazione successiva, giunta alla maturità quando le guerre civili erano ormai un ricordo, il problema Lucrezio sembra ri solto . Properzio, nel libro terzo , delinea un programma, forse velleita rio, di lavoro per la vecchiaia : un poema di tipo lucreziano, che ha tutta l' aria di voler essere un anti-Lucrezio (III, 5 , 2 3 -46) . I caposaldi della 38 Vv. 3 1 sgg . : « Namque canebat uti magnum per inane coacta semina [. .. ] ut his ex omnia primis etc . » . Ed è sintomatico che il nome di Lucrezio non venga fatto, mentre lo è, subito dopo , quello di Gallo . 39 C . G . H ardie, Virgil, in: « Oxford Classica! Dictionarp, 1 9 7 0 2 , p. 1 12 5 . 4 0 Eneide VI , 295 : > (cosl Butler e B arber , nel commento, Oxford 1 9 3 3 , p. 2 7 3 ) è d avvero una strana idea. Contra: P. Fedeli , Properzio, Il Libro Terzo delle Elegie, Bari, 1 9 8 5 , p. 20 1 . 98
XVII
La « follia » di Lucrezio
l . La taccia di « follia » ricorre piuttosto assiduamente nello scontro tra opposte « sette » filosofiche , tra opposti schieramenti di pensiero . 1 Lo aveva rilevato, molto di sfuggita, Konrat Ziegler, quando scriveva che, nel tacciare vari filosofi greci di « folli a » , Lattanzio « seguiva un ben noto modello ». 2 Contro la triade Democrito Epicuro Lucrezio, la de nuncia di Lattanzio è di gran lunga più martellante e ossessiva che con tro altri orientamenti di pensiero . Ma certo egli non fa che esasperare un modo di polemizzare proprio delle antiche e rissose scuole . La definizione degli avversari come « deliranti » non è peculiare solo di alcune « sette ». Nel De natura deorum è l ' epicureo Velleio che , in ri ferimento alle concezioni stoiche, di cui ha appena p arlato , dice : « expo sui fere non philosophorum iudicia sed delirantium somnia » (l, 42) . In versamente è l' insegnamento di Epicuro - secondo Galeno (De usu par tium I , 2 1 ) - un À:fi poc; �-t a K p6c;, una « grande follia » . L ' accus a ad Epi curo di delirare, usuale poi presso i pensatori cristiani, è ritorta , dagli epicurei, contro i negatori della voluptas. Cleante, in quanto autore del trattato Contro il piacere, è definito, dal Velleio ciceroniano , « quasi de lirans » (Nat. deor. I, 3 7 ) . In particolare l ' accusa di « delirare » tocca ai poeti-filosofi (o teologi) , a cominciare dagli epici, presi di mira da Se nofane . Né va dimenticato che l' attività filosofica come tale è vista come una forma di « follia » dalla rozza veduta del senso comune, espressa per esem pio da Persia nella terza satira, con le p arole del centurione che attacca in blocco i filosofi come « coloro che vanno sempre con la testa bassa e gli occhi ficcati per terra, masticando tra sé e sé, in rabbioso silenzio, continui borbottii » (vv . 80-82 ) ; ovvero dall' Eumolpo petroniano , nella tirata in cui compiange la rozzezza dei moderni i quali considerano le
1 Su ciò, brevemente, G . Luck, Was Lucretius really mad? , >, 16, 1 98 8 ,
p. 2 9 3 . 2 K . Ziegler, Der Tod des Lucretius, « Hermes », 6 1 , 1 9 3 6 , p . 428.
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attività dello spirito roba per Graeculi delirantes (Satyricon, 88) . Ma per sino nella foga argomentativa di Cicerone contro la passione stoica per la divinazione, difesa da suo fratello Quinto, si legge la derisoria formu la: « Non si può immaginare nulla di tanto assurdo che non sia stato già sostenuto da qualche filosofo » (De divinatione, II, 1 1 9) . D ' altra parte - su tutt ' altro versante - vi era una riflessione intorno al rapporto tra « genio » e « melanconia » (e follia) : rapporto di cui ampiamente si discor re , ad esempio, nel XXX dei Problemata attribuiti ad Aristotele (un te sto ben noto sia a C icerone, Tusculane I, 3 3 , che a Seneca, Tranquill. animi, 1 5 ) , dove la conclusione è per l' appunto che « tutti i melanconici sono persone d ' eccezione , non per malattia ma per natura » . 2 . Anche per Lucrezio , la taccia d i « follia » dev ' essere incominciata ben prima di Lattanzio . Georg Luck ha avanzato l' ipotesi che , nella ter za s atira di Persia ( 7 7 -84) , l' aegrotus vetus del verso 83 possa essere Lu crezio, piuttosto che , come di solito si ritiene, Epicuro . C erto , le for mule ricorrenti ai versi 8 3 - 8 4 (« gigni de nihilo nihilum », « in nihilum nil posse reverti ») sono lucreziane ; sono però anche caposaldi della dot trina epicurea: il che rende l' allusione un po ' troppo generica. Certo, l ' E picuro romano è Lucrezio , e dunque un riferimento a Lucrezio resta possibile . Orazio, nell' epistola rivolta ad ledo (l, 12) , modesto possidente con tentazioni o propensioni filosofiche vagamente epicuree , scherza su De mocrito, il cui podere è andato in malora « mentre lo spirito (del filoso fo) , senza impedimenti, vagava lontano » (v. 1 3 : « dum peregre est ani mus sine corpore velox ») . E quando elenca - tenendosi esattamente al la successione tematica lucreziana (V, 5 0 9 - 7 7 0 ) 3 i problemi fisici e astronomici che ledo intende affrontare, non manca di definire , pro prio in quel contesto, « delirio » la dottrina di Empedocle, al p ari di quella dello stoico S tertinio (v . 20) . Ma è nel finale dell' Arte poetica (Ep. II, 3 , 45 3 -476) che Orazio si concentra, con feroce sarcasmo, sulla figura, a suo avviso deleteria, del « poeta pazzo » (vesanus poeta) . Tale caricatura fa perno su di un tratto caratteriale dominante del personaggio : l'ostinata tendenza al suicidio , sul modello di Empedocle . (Empedocle è il solo nome che Orazio faccia in questo contesto) . Empedocle il quale - seguita Orazio - « braman do di essere creduto un dio immortale » (deus inmortalis haberi dum cu pit) , si gettò « frigidus » nell ' E tna incandescente (464-466) . Frigidus può essere uno scherzo sulla teoria empedoclea riguardo al ruolo del caldo e del freddo nell' accrescersi e decrescere della vitalità degli esseri viven ti. Più probabilmente però qui frigidus è detto nel senso di « Stolto », « tar-
era
3 Su ciò cfr. A. Weingaertner, De Horatio Lucretii imitatore, cit . , p. 5. L ' osservazione già di G. Goebel ( 1 85 7 ) .
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do », « c arente d' ingegno » , secondo una concezione che Virgilio fa pro pria (con ironia) quando spiega la propria rinuncia ad avventurarsi in un « poema fisico » (Georgiche, II, 4 8 3 - 4 8 4 : « Se il sangue freddo si frap pone collocandosi intorno ai miei praecordia . . . ») e contrappone _la sua scelta riduttiva di trattare la materia georgica a quella lucreziana di trattare i grandi temi della fisica (490-492) : « felix qui potuit rerum cognoscere causas l atque metus omnis et inexorabile fatum l subiecit pedibus stre pitumque Acheruntis avari »: le riprese da Lucrezio sono , come s ' è già detto , evidenti e generalmente riconosciute) . Secondo lo scoliasta oraziano (pseudo-Acrone) quella del rapporto tra s angue freddo intorno ai praecordia e scarso ingenium era dottrina empe doclea. Tanto più pesante , in tal caso, lo scherzo oraziano : Empedocle stesso si buttò nel vulcano per un eccesso di freddo intorno ai prq_ecordia ! Ma qual è , per Orazio , il segno della follia di E mpedocle? E la pre tesa di affermare e provare la propria natura divina (« deus inmortalis haberi dum cupit ») . Pretesa affermata apertamente da Empedocle al prin cipio delle Purificazioni (v . 4 : « vengo a voi, onorato qual dio , non più come uomo mortale ») . Pretesa - è bene ricordarlo - singolarmente e assai nettamente accolta da Lucrezio nel primo libro del De rerum natu ra (I, 73 1 - 7 3 3 ) , là dove l' ammirazione per i « praeclara reperta » del « di vinum pectus » lo porta a concludere : « Ut vix [Empedocle] humana vi deatur stirpe creatus ! ». Enfatica, o se si vuole sbalorditiva, conces sione che Lucrezio fa - oltre che ad Empedocle - soltanto ad Epicuro, del quale afferma, nel proemio del quinto libro, che fu un dio (v . 8: « deus ille fuit, deus, inclute Memmi ») , suscitando il sarcasmo di C icerone nel libro primo delle Tusculane (sopra, cap . XVI , 4) . S ' intende che il gioco è tra « essere » un dio (iperbole) ed il conseguimento della « assimilazio ne alla divinità » (ÒJ.toiroatç 9&éi>) che è, nell ' insegnamento di Epicuro, obiettivo della rivelazione filosofica, com ' è detto nel finale della Lettera a Meneceo, e come Lucrezio proclama : « nos exaequat victoria caelo » ( I , 7 9) . 3 . Il richiamo ad E mpedocle non è , in Lucrezio, semplice richiamo dottrinale , dovuto al prestigio di cui Empedocle godette presso Epicuro stesso e presso Ermarco , suo immediato scolaro e succ�ssore, il quale al pensiero di Empedocle dedicò un imponente trattato . E molto di più . E mpedocle - è stato osservato - fu per Lucrezio « persona simbo lica » : fu il modello del poeta-vate-mantis, del « maestro di verità » , quasi dotato di poteri divinatorii. 4 Sotto questo rispetto, Empedocle è il mo4
Cfr. G . B . Conte, Introduzione a: Lucrezio , trad . C anali , note di I. Dionigi, Milano, 1 8 . Conte rinvia ai s aggi su Lucrezio ed Empedocle di W. Kranz ( 1 943) e J . Bollack
1 9 9 0 , p.
( 1959) .
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dello cui Lucrezio , col suo poema, si conforma : proteso a « predicare » - o si potrebbe dire rivelare - « il verbo » ed a promuovere « conversio ni ». Un atteggiamento che non fu estraneo allo stesso Epicuro . 5 MavwouvEUW è l a parola adoperata d a E mpedocle - per indicare la propria « rivelazione » filosofica - nel citato frammento delle Puri/ica zioni ( 1 1 2 DK, v . 1 0) . Il nesso mantis-manìa (« furore », enthousiasmòs del �eggente) è ben noto ed ha radici in un' ampia tradizione .
E questa la «follia » che Orazio deride nel «poeta pazzo » emulo di Em pedocle e come E mpedocle aspirante ad un plateale ed ispirato suicidio
(46 9 : « famosae martis amore m ») . Il tono qui si fa duro : !asciatelo morire , uno fatto così : « nec semel hoc fecit, nec , si retractus eri t, iam fiet homo » . Per Orazio il poeta pazzo è un immaturo, alla ricerca del gesto finale (« nec pone t famosae martis amorem ») . 4 . Donde la scelta di concludere l'Arte poetica con questa aspra pre sa di distanze dal poeta-vate-« maestro di verità » e dunque pazzo? Se dietro questa feroce presa di distanze non vi è soltanto un « tipo » ma anche una persona, questa persona difficilmente potrà essere altri che Lucrezio . Anche nel rilevante luogo virgiliano del secondo libro delle Georgiche Lucrezio ed Empedocle affiorano insieme dalle chiare allu sioni testuali; e figurano insieme nella tanto discussa lettera di C icerone al fratello (dove dal giudizio su Lucrezio si passa agli Empedoclea sallu stiani) ; e lo saranno ancora nella Institutio di Quintiliano , accomunati dalla definizione : « qui praecepta s apientiae versibus tradiderunt » (I, 4 , 4) . E Servio , quando spiega i l luogo epicureo della sesta Bucolica (v . 3 1 ) e dà un panorama delle « opiniones philosophorum », giunto ad Empe docle , ne illustra il pensiero attraverso le parole di Lucrezio (I , 7 1 5 ) . Lucrezio, il maggiore e più imitato (anche da Orazio) poeta della ge nerazione precedente, è irriducibile non solo alla poetica, ma soprattut to alla scelta di vita , di Orazio maturo . Nel passaggio , determinato da circostanze di fatto e da conversione interiore , dall' epicureismo « eroi co » che aveva pervaso la gioventù « repubblic ana » raccoltasi a Filippi (il loro « libro formativo » dovett' essere il quinto del De rerum natura , scrisse Momigliano) all' epicureismo pacificato e innocuo praticato sen za danno e senza traumi nella cerchia di Mecenate, è la radice ed il fon damento ideale e umano della presa di distanze dal poeta « pazzo » : vo lutamente svilito e caricaturizzato (tra l' altro come « recitator acerbus » alla maniera del mousopatagos o mousopataktos ciceroniano) ma non al punto di cancellarne tratti che lasciano intravedere , del poeta preso di mira, una frequentazione non infima (474 : « doctum indoctumque ») . 5 Su ciò, con qualche eccesso di unilateralità, D. Clay, Lucretius and Epicurus, Ithaca London 1 98 3 , p. 49. 102
Rimozione o rifiuto tanto più sono aspri, sprezzanti, gratuitamente offensivi (470 : « nec satis apparet cur versus factitet, utrum minxerit in patrios cineres etc . ») , quanto più si tratta della rimozione e del rifiu to di una parte del proprio passato . Rimozione che si coglie anche nel l'ingiusto declassamento dell'epicureismo a mero, banale, edonismo (Epist. I, 4 , 1 6) . 5 . Lucrezio suicida dunque , se questo tentativo di decifrare il finale dell A rte poetica coglie nel segno : ma non per filtri propinati da una qual che « improba femina », come nella leggenda biografica , bensì piuttosto per una crisi della sua esistenziale e travolgente « malinconia » filosofi ca, i cui nessi con la vicenda privata (o politica) non è agevole intrave dere . Suicidio « empedocleo » del poeta, che poté divenire poi , col tem po, oltre che modello di un particolare « tipo » esistenziale-poetico, spunto per stereotipe, via via più ricche , costruzioni romanzesche . '
6 . Le premesse per il singolare finale dell ' Ars poetica sono poste ai versi 2 9 5 - 3 0 1 , dove ha inizio la trattazione della figura del poeta . Essa si apre con una frecciata s arcastica rivolta verso Democrito : « excludit sanos Helicone poetas Democritus » (v . 2 9 6) . È una formulazione para dossale (solo « i malati di mente » potrebbero essere poeti secondo De mocrito) e singolarmente parziale . Kiessling e Heinze parlano di « frain tendimento » del pensiero democriteo . E infatti , a quanto si ricava dalla tes timonianza di C icerone e dai frammenti superstiti, il pensiero di De mocrito era altro : riguardava la « inflammatio animi », come si esprime C icerone . Non senza ragione perciò Cicerone assimila, su questo punto, il pensiero di Democrito e quello di Platone , in quanto sostenitori en trambi della tesi secondo cui la poesia è frutto dell' enthousiasmòs, o, per adoperare le esatte parole di Democrito , della qn)cnç eea.çouaa (fr . 2 1 Diels-Kranz) . Di parole di Democrito in proposito ne abbiamo poche , ma chiare : due citazioni (fr . 1 8 e 2 1 ) , l ' una in Clemente di Alessandria (II, 5 1 8 , 20 Stahlin) , l ' altra in Dione di Prusa (II, 1 0 9 , 2 1 von Arnim) . Il frammento citato da Clemente dice che « è bello ciò che scrive il poe ta in preda all ' entusiasmo ed al soffio divino (iepoù 7tVEU f.lU'toç) »; l ' al tro è il giudizio su Omero , cui Democrito riconosceva appunto la >, e quindi « profetare ») nasce unicamente dalle parole di commento (non bene intese) con cui Diane, all 'inizio dell' orazione 36 (Su Omero ) , illustra l a frase d i Democrito citata subito in principio: « come s e , privi di una divina e demo nica natura (1ivw 9Eiaç Kai OatJ.loviaç q>uc��:ro ç), non si potessero comporre versi cosl belli ». Ma a rigore in daimonios (« meraviglioso », « emanante dalla divinità ») c'è pur sempre la no zione di