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Italian Pages 171 Year 1981
TEORIA Rivista semestrale diretta da Vittorio Sainati e Renzo Raggiunti III/1983 i/ERMENEUTICA FILOSOFICA
saggi Nicola Badaloni Riflessioni su 'Marxismo e teoria economica oggi', p. 5
Remo Bodei Risorse, macchine, emancipazione in Marx (1857-1867), p. 13
Domenico Corradini Hegel e Marx: politica e dialettica, p. 33
Antonio Ponsetto Marx e il marxismo nella critica di Max Weber, p. 63
Alfonso M. Iacono Storia, natura e sistema. Sulla concezione antropologica di Marx,
p. 89 Claudia Mancina R'ottura e continuità nella formazione di Marx (una questione di storiografia filosofica), p. 115
Mauro Di Lisa La storia e le macchine: Marx, la cinematica e la critica del modello classico, p. 133
rassegne e discussioni
Tiziano Raffaelli Marxismo e istituzionalismn, µ. 14:",
schede, p. 157
Ha coordinato questo numero Alfonso M. la cono
PERCHÉ
Le ricorrenze centenarie - e, in generale, le date anniversarie - sono notoriamente pericolose: eccitano alle celebrazioni retoriche o agli accomodanti "bilanci storici". Perciò TEORIA è stata fortemente tentata di astenersi da ogni partecipazione attiva al formale ricordo del centenario marxiano. Una rivista, che per principio diffida di ogni reificazione dell'intelligenza critica in formule metafisicamente perentorie ed ermeneuticamente intrattabili, non può incoraggiare le rituali riduzioni del dibattito scientifico a un'accademica costruzione di medaglioni o a una patriottica esibizione di bandiere. Nel fatto, tuttavia, la tentazione astensionista è stata irifine superata. E il merito ne va tutto a coloro che, consultati e poi pregati di collaborare, hanno provato al vivo la possibilità di un disegno di discorso critico che sia, nel ripensamento storico, urgenza di discussione e di ristrutturazione teorica. Lasciamo al lettore il giudizio sull'iniziativa. Ma TEORIA vuol vedere nelle proposte interpretative qui raccolte un segno del nostro tempo culturale: che vuol essere tempo di concetti, e non di giaculatorie; e che - se ammette, ed anzi esige, una fede - non è più disposto a oggettivarla e consumarla nell'elevazione di oziosi monumenti o nell'istituzìone di santi uffizi e sacre inquisizzonz.
La Direzione
Nicola Badaloni// RIFLESSIONI SU 'MARXISMO E TEORIA ECONOMICA OGGI'
I. I saggi di P. Garegnani su Marx e gli economisti classici 1 nonché il suo recente scritto divulgativo, ma rigoroso, redatto in collaborazione con F. Petri 2, danno un quadro assai preciso di un rapporto che del resto ha interessato molti studiosi. Alla base dello sviluppo storico di ciò che viene chiamata la teoria del sovrappiù o prodotto netto sono posti da Garegnani e Petri i fisiocratici. La formulazione di questi ultimi resta incompleta per la nota riduzione all'agricoltura dell'attività produttiva vera e propria. Tuttavia dal celebre Tableau è già ricavabile la formula che il prodotto sociale (al netto della reintegrazione dei mezzi di produzione e diminuito del consumo necessaro dei lavoratori) è uguale al sovrappiù. A. Smith ereditò dai fisiocratici tale idea e vi aggiunse la consapevolezza che la ragione che spingeva gli operai ad accettare il livello di sussistenza era la maggior forza contrattuale dei padroni. Nel caso di Smith il limite del suo pensiero era la sua oscillazione tra lavoro contenuto e lavoro comandato (consistente, cioè, nel lavoro che una merce può acquistare). La grande innovazione di Ricardo consiste nell'aver eliminato questa complicazione smithiana e nell'aver conseguentemente teorizzato che il valore è lavoro incorporato e che ciò che egli chiama profitto fa parte, insieme a quello che egli chiama salario, di un aggregato unico (lavoro prodotto ex-novo), in cui salario e profitto stanno fra loro in un rapporto inverso. È da ciò che Marx ricaverà l'idea di fondo che gli interessi del capitale e quelli del lavoro sono diametralmente opposti. Il pensiero di Ricardo può perciò essere riassunto nella formula per cui il saggio di profitto è uguale al prodotto sociale netto diminuito del consumo necessario dei lavoratori e diviso per questo medesimo consumo necessario. Proprio a questo punto sorgono però le note difficoltà connesse alle procedure di trasformazione. È merito della scuola di Sraffa sia di avere affrontato questi problemi, sia di avere tenuto fermo il nocciolo o nucleo della teoria dei classici (il sovrappiù). La soluzione proposta è che il nucleo o teoria delle variaI. P. Garegnani, .\1arx e gli economisti classici. Teorie del sovrappiù, Torino 1981. 2. P. Garegnani, F. Petri, .\1arxismo e teoria economica oggi, in Storia del .'vfarxismo, IV, Torino 1982, 745-822.
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bili indipendenti (prodott_o sociale, condizioni tecniche di yrod~zione salario reale) vada integrato con una teoria de, prezzi relativi O ;alori di scambio e che, per determinare tali valori relativi, sia sufficiente partire direttamente da coefficienti espressi in unità fisiche anziché in lavoro contenuto. Giustamente Garegnani e Petri ci ricordano che l'idea guida di Marx, nel suo tentativo di affrontare il salto tra i prezzi di produzione, risultanti dal saggio medio del profitto, e le deviazioni rispetto alle quantità di lavoro incorporate, "abbia il ruolo di operare una redistribuzione del plusvalore sociale S tra le diverse industrie aventi capitali di diversa 'composizione organica"' (rapporto tra capitale costante e capitale variabile) 3 • In questa ottica dovrebbe essere vista, a mio parere, anche la celebre divisione tra lavoro concreto e lavoro astratto. Come i capitali sono da Marx visti, in forza della concorrenza, in continua attività redistributiva del plusvalore sociale (non solo formalmente nel saggio medio, ma anche materialmente nel trasferimento da una ad altra branca produttiva), così il lavoro, per non risultare 'storpiato' dalla mobilità cui è sottoposto nelle tensioni tra i vari insiemi che costituiscono le branche produttive, ha bisogno di perdere le sue differenze più rigide. Le pagine che Marx dedica all'lntrodu:::.ione del '57 dei Grundrisse sono estremamente indicative. A questo punto però sorge un'alternativa che, a mio parere, è solo implicita nei termini proposti da Sraffa e da Garegnani. È infatti possibile che la 'mobilità', come tratto caratteristico del lavoro astratto, avvenga sia perché la costrizione sociale obbliga ad una forte disponibilità alle esigenze del capitale, sia perché individui umani, formatisi socialmente in una ricca e varia esperienza, scelgono consapevolmente di mutare i propri ruol!,, sviluppando corrispondenti molteplici facoltà operative. La differenza non è di poco conto, anche se può sembrare economicamente irrilevante. Di fatto però, nel caso prospettato per secondo, la teoria dei prezzi relativi che integra il 'nucleo originario' del pensiero di Marx e dei classici potrebbe divenire, per quanto riguarda il mercato del lavoro, un mero strumento di calcolo atto a regolare scelte compiute anche sulla base di valori non economici. Ciò presuppone una previsione di alternative di modi di vita che abbiano a loro base il rifiuto del 'localismo', e dell" idiotismo' da esso derivante, ed è possibile supporre che da parte del lavoratore la ricerca della massima utilità, in termini di beni di consumo, non sia che una versione 'localistica' di una mentalità ancora del tutto sottomessa alle leggi storiche dell'attuale modo di produzione. È 3. I vi, 782.
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pensabile, per esempio, che, per un determinato periodo di tempo, sia scelto da un gruppo di lavoratori un salario minore (in termini di valori di bene espresso in valori relativi), per ottenere una più larga appropriazione di beni in termini di distribuzione dello stock di sapere accumulato. Un'estensione ulteriore in questo senso della parte integrativa del nucleo potrebbe arrivare a mettere in discussione alcuni aspetti del nucleo stesso, in particolare il carattere di separazione delle sue componenti interne ( mezzi di produzione e lavoro vivo), rendendo superflua la necessità di una classe particolare di percettori del profitto anche se mantenendo quella del suo calcolo. 2. Garegnani e Petri ( come altri autori) polemizzano coll'idea che la teoria del valore contenga implicazioni etiche del tipo: al lavoratore spetta il frutto integrale della sua attività produttiva. La polemica sembra giusta e centrata, tipicamente sulla linea di Marx. Ma, riconosciuta la validità di tutto ciò, resta da determinare se il concetto di plusvalore possa essere ancora utile, ad esempio, per la teoria dell'accumulazione. Intanto sottolineo la correttezza del suo uso contro le apologie della proprietà di tipo lockiano. Se infatti il capitale non nasce dal niente e ha bisogno di un'anticipazione iniziale che preceda il processo di riproduzione, il titolo di proprietà di questo fattore produttivo iniziale (ammesso che sia fondato sul lavoro e non su tipi di sfruttamento diversi da quello capitalistico) cade immediatamente, ove il processo di valorizzazione sia visto come un continuo che fa gradualmente svanire il primum e con questo ogni pretesa al possesso originario. Inoltre, nell'ambito di una teoria dell'accumulazione, che tenga conto dei valori relativi dei prezzi di produzione, l'aspetto genetico del pluslavoro (fatte uguali a zero le condizioni più complesse) non è in contraddizione colla visione d'insieme che deriva dal profitto. Marx era consapevole di ciò, come risulta dal terzo volume delle Teorie sul plusvalore. Ove se ne volesse una prova in più, ecco questo passo che fa parte dei Manoscritti inediti del 1861-1863: "II profitto esprime ... la crescita reale del capitale complessivo" e "il reale guadagno che il capitalista fa non è perciò espresso dal plusvalore, ma dal profitto". Questo esprime "la somma di valore delle condizioni di produzione sotto le quali solamente l'altra parte del capitale può essere scambiata con lavoro vivente e questo può essere sfruttato" 4 . E in un altro passo dello stesso testo, dopo aver ribadito che il profitto è un'espressione numericamente diversa dalla sua configurazione origina4. K. Marx, Zur Kritik der politischen Okonomie (Manuskript /861-1863). Text, Teil 5, Berlin 1980, 1620.
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ria, aggiunge: "La differenza non è solo numerica, ma concettuale, essenziale. Non si tratta solo di una diversa stima, misurazione o calcolo; al contrario, questa diversità del calcolo, valutazione, misurazione, è una necessità per il capitale, esprime una nuova relazione caratteristica di esso, l'emergere di una nuova forma che è altrettanto essenziale della differenza tra la forma di valore di scambio e di denaro" 5 . E ancora, nell'ottièa della lotta di classe, "il plusvalore assume necessariamente la forma del prqfitto nella testa del borghese e anche questo non è solo un mero modo di rappresentazione, ma il rapporto del plusvalore come rapporto di prqfitto domina la produzione borghese, determina la distribuzione dei capitali nelle varie branche produttive, è ... " determinato dal "movimento rea~ le dei capitali in cui solamente sono realizzate le leggi del capitale" 6 . Se ciò è esatto, e se ( colle integrazioni di Sraffa) si sviluppa nel profitto una visione dell'insieme nel suo punto più alto, non si vede perché le classi lavoratrici dovrebbero rinunziarvi per restare ferme a un quadro concettuale meno potente (quello del plusvalore). Il punto vero del 'cambiamento' diverrebbe allora quello di una interpretazione del profitto-sovrappiù che prescinda dal suo carattere di reddito 'potenziale' di una elasse che ne sia proprietaria. Se il 'calcolo' del profitto potesse divenire la premessa di decisioni sociali dei lavoratori circa la distribuzione del sovrappiù, e con ciò il completamento politico e culturale della democrazia, esso perderebbe il suo minaccioso incombere come 'padronanza' fattuale. Il calcolo del pluslavoro e del plusvalore resterebbe tuttavia una premessa importante per valutare quanto ancora l'accumulazione debba costare in termini di lavoro in surplus.
3. Petri e 'Garegnani tengono fermo il concetto della storicità del modo di produzione borghese. La questione è centrale. Nell'ultimo volume dei Manoscritti 1861-1863 di Marx, mi sono imbattuto nel passo che segue, che taglia corto con una polemica che ha interessato economisti ( M. Lippi) e filosofi (S. Veca) intorno alle leggi di natura della produzione. Scrive Marx in un modo così chiaro che, credo, non si trovi in altro testo: "Si tratta qui assolutamente delle leggi di natura della produzione borghese, delle leggi entro le quali si produce a un determinato livello e sotto determinate condizioni storiche di produzione. Se non ci fosse alcuna legge di tal genere, allora il sistema della produzione borghese sarebbe inafferrabile. Si tratta qui assolutamente di rappresentare la natura di questo determinato 5. Ivi, 1601. 6. Ivi, 1603.
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modo di produzione, dunque di rappresentare le sue leggi di natura. In quanto però esse stesse sono storiche, lo sono parimenti la loro natura e le leggi di questa natura. Le leggi di natura del modo di produzione o asiatico o antico o feudale erano essenzialmente altre. D'altro lato è del tutto sicuro che la produzione umana in tutte le forme ha certe leggi o rapporti che restano costanti. Questo identico è assolutamente semplice e può essere raccolto in pochissimi luoghi comuni" 7 • Poiché questa chiara affermazione di Marx rompe in modo netto ogni possibile legame con interpretazioni di tipo naturalistico, non procedo più oltre nel discorso. Sollevo piuttosto una domanda con cui intendo concludere queste riflessioni. Scrivono Garegnani e Petri: "La non validità della 'legge della caduta tendenziale del saggio di profitto' significa [ ... ] che il progresso tecnico apre sempre nuovi margini per l'aumento dei salari reali". Il suo "utilizzo a favore dei salari piuttosto che dei profitti, dipenderà dall'andamento dei rapporti di forza tra le classi entro il capitalismo" 8 • Osservo che il campo di visibilità del divenire storico resta così entro i confini del capitalismo. Per mia parte, sono convinto che questo limite sia superabile. Non è per dimostrare tale tesi che mi permetto di ricordare il modo come Marx aveva impostato il problema negli anni 1863. Citando Quesnay, Marx usa il termine 'ricchezze di sfruttamento' per indicare il peso crescente del lavoro passato. Quanto più grandi le 'ricchezze di sfruttamento', "tanto più il lavoro vivente può ricominciare il processo lavorativo in condizioni oggettive [ ... ]. Ma queste ricchezze di sfruttamento non lo sono soltanto nel senso di Quesnay, cioè come ricchezze che servono come mezzi di sfruttamento nell'agricoltura ecc. Vi sono contemporaneamente ricchezze dello sfruttamento del lavoro vivente [ ... ]. Il lavoro passato si sviluppa subito entro il modo capitalistico di produzione" 9 • Le ricchezze di sfruttamento sono dunque ciò che impedisce ai lavoratori di dominare e umanizzare il processo di sviluppo. Definita come falsa la legge ricardiana della produttività decrescente della terra, Marx usa il seguente argomento per confutarla: "Il rapporto dei lavoratori occupati nell'agricoltura è diminuito dal!' \,1 ° secolo da i90 a ?o e diminuisce giornalmente" 10 . Già nel commento a Quesnay e, più precisamente, nel passo che segue, Marx segnala un'analogia per quanto riguarda l'agricoltura su larga scala e il macchinismo. La prima "agisce fin dall'inizio come il macchinario [... ] sia per la trasformazione della terra in pascolo, sia per l'impiego di 7. I vi, Teil 6, Berlin I 982, 2269. 8. Garegnani, Petri, Marxismo e teoria economica oggi, 821. 9. Marx, Zur Kritik, Teil 6, 2233.
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strumenti migliori e di cavalli (... ] "; "il macchinario, il lavoro passato si presentano a loro volta come mezzi per sostituire o diminuire il lavoro vivente" 11 . È impressionante questa analogia tra la produttività cre.scente della terra, che fa scomparire gli 'uomini', e il macchinario, che noi possiamo ritenere in grado di controbilanciare, col suo minor costo, la caduta del profitto, ma che fa oggi più marcatamente intravedere il secondo lato della questione, quello appunto degli uomini, cioè della loro espulsione dal lavoro nella sua forma tradizionale. Supponiamo per un istante che questa sia la linea di sviluppG delle società post-industriali. Marx aveva esattamente rilevato, dall'analisi dello sviluppo storico, che il modo di produzione capitalistico avrebbe, alla lunga, ridotto la quantità dei contadini nella loro figura abituale: se ipotizziamo che una riduzione simile avvenga, pur in un lasso di tempo assai lungo e da considerare come una fase storica, anche per la classe operaia, in questo caso dobbiamo decidere se ciò debba significare perpetuazione della sottomissione al capitalismo oppure maturazione di un nuovo modo di produrre e di una nuova formazione sociale. Le macchine produrrebbero macchine in un modo diverso dall'attuale e facendo intervenire tecnologie di produzione e di controllo pressoché indipendenti dall'uomo. Scomparirebbe con ciò il lavoro vivo? Certamente no, poiché esso si trasferirebbe nei luoghi d'invenzione, di progettazione e di autogoverno della società, e inoltre a salvaguardia di quei punti d'incrocio e di combinazione tra natura artificiale e ambiente primario senza di che la vita non sarebbe possibile né per gli uomini né per il sistema ecologico di cui sono parte. Infine una simile società del futuro non sarebbe possibile senza dedicare larghissimo tempo al,lo sviluppo culturale non solo delle comunità scientifiche, ma anche delle masse umane. In tale quadro il 'divenire storico' non potrebbe più essere segnato solo dal rapporto antagonistico tra salario e profitto, ma dal superamento di questo rapporto, senza tralasciare tuttavia, come abbiamo rilevato sopra, che la nuova formazione sociale dovrebbe calcolare la quantità di beni da destinare alla riproduzione e al reddito e saper decidere democraticamente su di ciò. Per quel che mi riguarda, credo valida questa prospettiva per cui la tecnologia da figura del dominio capitalistico può trasformarsi ed essere sussunta dagli individui associati. Una visione del futuro qui abbozzato non può non richiedere però, anche al presente, una determinazione più complessa del movimento e delle rotture storici. In breve, il salto non può implicare solo un maggior utilizzo di margini per l'aumento dei salari reali, ma an11. Ivi, 2055.
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che una partecipazione più diretta all'amministrazione di ciò che, nel quadro della vecchia società, è stato chiamato profitto. Questo va infatti inteso, in prospettiva, come calcolo del rapporto tra ricchezza prodotta ex-novo e soddisfazione di bisogni da mettere in corrispondenza con una nuova concezione dell'individuo, delle sue relazioni sociali e dell'ambiente naturale in cui vive.
Remo Bodei // RISORSE, MACCHINE, EMANCIPAZIONE IN MARX (1857-1867)
1. Sarebbe assurdo attribuire direttamente a Marx preoccupazioni ecologiche o il timore per la distruzione massiccia delle risorse, anche se non sono mancati in tempi recenti studi che hanno focalizzato tale problema 1 . In Marx sembra prevalere piuttosto un atteggiamento "prometeico" nei confronti della natura ed un residuo hegeliano di disprezzo per il romanticismo filo-naturalistico. Uno dei maggiori meriti del capitalismo è stato quello di aver largamente addomesticato le energie naturali, trasformandole in utilità per l'uomo. Tale crudo dominio appare a Marx una tappa necessaria per lo sviluppo delle forze produttive e la premessa per una "sintesi nuova e superiore" tra società e natura, una taglia da- pagare al progresso e alla missione civilizzatrice del capitale. Marx - malgrado tutto - non amava gli atteggiamenti alla Rousseau e non mostrava alcuna "tenerezza per le cose del mondo". Ma si può affermare che sia tramontato, nelle opere della maturità, l'ideale giovanile di una "umanizzazione della natura" e di una "naturalizzazione dell'uomo"? t stato annullato ogni nuovo e pacifico incontro (non metafisico e non utopistico e che neppure si appelli alla nostalgia per gli stadi pre-industriali) tra natura e società umane? Anche senza aver la pretesa di rispondere adeguatamente a tali interrogativi di fondo, si può osservare che Marx considera il capitalismo come una "necessità transitoria" e, nella sua fase critica, come una malattia del "ricambio" fra uomo e natura. Esso rappresenta l'impossibilità di modificare fisiologicamente i vincoli posti dai rapporti di produzione alla crescita delle forze produttive 2 . In questo senso e in questo contesto, Marx avverte il pericolo che la riproduzione delle risorse naturali possa non risultare un fatto spontaneo; che la terra, così come può aumentare la sua fertilità a causa dell'intervento dell'uomo, allo stesso modo possa anche perderla; che la seconda natura dell'uomo, l'insieme delle sue abitudiI. Cfr. H. Parsons, .\.1arx and Engels on Ecology, London 1977 e J. Passmore, Man's Respon• sabiliry for Nature, London 1980 2 , passim; I. Fetscher, Karl .\1arx und das Weltproblem, in Ueberlebensbedingungen der .\4enschheii, ;vliinchen 1980, 110-54. Cfr. anche, per alcune implicazioni, Aa.Vv., Oekologie und Ethik, hrsg. v. D. Birnbachcr, Stuttgart 1980. 2. Cfr., da ultimo, su questo punto, G.A. Cohen, Kart Marx's Theory ef History. A Difence, Oxford 1978.
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ni storiche di intervento sulle risorse, possa distruggere la natura prima e parte del mondo esterno; che i meccanismi di dominio sulle forze naturali, che organizzano secondo scopi umani forze di per sé cieche, possano essere a loro volta contagiati da quella medesima naturalità. L'insufficiente energia progettuale e di previsione del capitalismo, la sua 'cecità', si manifesta anche nel sacrificare interessi sostanziali e duraturi in vista di benefici immediati ma passeggeri. Pur con tutta la sua razionalità economica, il capitalismo sembra non aver ancora perduto la caratteristica più arcaica di essere anche una economia di rapina e di dilapidamento delle risorse (non esiste solo l'accumulazione pura o il lusso, ma anche l'accumulare a costo di distruzioni non indispensabili). È stato per Marx un "immortale" contributo alla scienza da parte di Justus von Liebig quello di dimostrare gli effetti devastanti dell'agricoltura moderna: "Ogni progresso nell'agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell'arte di rapinare l'operaio, ma anche nell'arte di rapinare il suolo; ogni progresso nell'accrescimento della sua fertilità per un dato periodo di tempo costituisce insieme un progresso nella rovina delle fonti durevoli di questa fertilità" 3 • Engels è ancora più esplicito, e presenta un esempio assai efficace nella Dialettica della natura: "Cosa importava ai piantatori spagnoli a Cuba di bruciare foreste sui declivi delle montagne ed ottenere dalle ceneri concime sufficiente per fertilizzare una generazione di piante da caffè altamente redditizie e cosa gliene importava se dopo le abbondanti piogge tropicali portavano via lo strato superiore del suolo, ora senza protezione, e lasciavano soltanto la nuda roccia?" 4 • 2. Il capi(f'lismo può, in alcuni casi, accrescere con l'applicazione della chimica organica (con l'opera del "Liebig inglese" James Johnstone) e dell'agronomia la naturale fertilità del suolo, ma non è in grado di garantire un trattamento consapevole e razionale della terra, intesa quale "eterna proprietà comune, condizione inalienabile di esistenza e di riproduzione della catena delle generazioni umane che si avvicendano" 5 . Così, mentre la grande industria dilapida e rovina prevalentemente la forza-lavoro, ossia l'energia naturale dell'uomo, l'agricoltura capitalistica distrugge più direttamente la forza naturale della terra. È bensì vero che, per Marx, esistono ancora enormi estensioni di terreno fertile da mettere a coltura - steppe, praterie, pampas, llanos - , che non hanno bi3. K. Marx, Das Kapital, in K. Marx, F. Engels, Werke, hrsg. v. IML beìm ZK der SED (~ MEW), Bcrlin 1953 s .• Bd. XXIII, 529 [t. i. Il capitale. Roma 1953-1956 (I, 2), 219]. 4. F. Engels, Dialektik der Natur, in MEW, Bd. XX, 455.
5. Macx, Das Kapital, in MEW, Bd. XXV, 820 (t. i. (III, 3), 223].
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sogno, nei primi anni, di essere concimate e talvolta neppure di essere dissodate. Marx prevede che l'effetto "sconvolgente" della loro prossima coltivazione si farà nel futuro avvertire anche sull'agricoltura europea 6 . Ed in effetti è oggi vero, per noi, che i terreni di più recente sfruttamento agricolo (come la "cintura del grano" statunitense e le colture canadesi, argentine ed australiane) svolgono un ruolo di primo piano sui mercati economici mondiali. Ma le risorse e le energie naturali, per quanto abbondanti, non sono illimitate. E soprattutto non sempre possono facilmente rigenerarsi e riprodursi. Quando la loro rigenerazione è localmente impedita, quando il ciclo naturale è spezzato, allora sorgono enormi costi sociali sia per la ricerca di risorse in altre zone e per la messa a coltura di terre meno fertili, sia per ripristinare artificialmente la fertilità e la purezza delle risorse o per eliminare gli effetti dannosi del loro inquinamento sugli uomini. Marx e Engels, nel descrivere le condizioni della classe operaia inglese e la degradazione igienica delle metropoli (i 'ventri' di Londra o di Parigi), conoscevano certamente bene l'incidenza negativa dei fumi o delle polveri· sulla salute degli operai e degli artigiani, così come conoscevano la natura delle malattie professionali e i risultati disastrosi della polluzione delle acque. Malattie endemiche, malattie professionali, malesseri sono il prezzo pagato all'industrializzazione e alla concentrazione di centinaia di migliaia di uomini nelle grandi città. Il nesso fra sviluppo industriale e urbanizzazione produce effetti perversi e di controfinalità. La grande industria attira mano d'opera dalle campagne verso i poli di sviluppo e in tal modo le spopola, turbando un equilibrio naturale e provocando danni alla salute fisica e psichica di quanti sono coinvolti in questo processo, rispettivamente, di accentramento e di isolamento: "Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana, che la produzione capitalistica accumula in grandi centri, essa accumula da un lato la forza motrice storica della società, dall'altro turba il ricambio organico fra l'uomo e la terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall'uomo sotto forma di mezzi alimentari e di vestiario, turba dunque l'eterna condizione naturale di una durevole fertilità del suolo. Così distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell'operaio rurale" 6 • Ma Marx non si scandalizza né s'indigna. Egli sa che sono all'opera, tenacemente, processi oggettivi che non si lasciano smuovere dai lamenti e dalle proteste. Se si vuole uscire da tale dolorosa dissipazione e da tale pervertimento delle forze naturali interne e esterne agli uomini occorre comprendere la realtà effet6. Cfr. ivi, 683 e la n. di Engels ad loc. (t. i., 70).
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tuale e modificarla secondo i suoi propri princìpi di movimento, risolvere consapevolmente quei problemi che uno sviluppo complessivamente naturalistico ha generato. In questa prospettiva, a partire dalle situazioni date e dalla loro durezza e resistenza inerziale ai mutamenti, è possibile capovolgere in positivo alcune condizioni di partenza svantaggiose. Così, la stessa preponderanza crescente della popolazione urbana "costringe, mediante la distruzione delle circostanze di quel ricambio organico, sorte per necessità naturale, a produrre tale ricambio per via sistematica, come legge regolatrice della produzione sociale, in forma adeguata al pieno sviluppo dell'uomo'' 7. 3. Quel che Marx ha di mira è dunque una sorta di metabolismo artificiale, uno Stojfwechsel frutto di un progetto, che ristabilisca a livello più alto un equilibrio alterato. Tale scelta ha implicazioni complesse e modifica profondamente i punti di vista tradizionali e gli approcci filosofici più rappresentativi. Per rendercene conto appieno saremo costretti a un lungo giro, a un Umweg che ci condurrà in un primo tempo lontani dall'argomento, ma che in seguito ci consentirà di comprenderlo meglio. Inserirò così dapprima la posizione di Marx in una prospettiva di lunga durata, consapevole dei rischi che ne potranno risultare, ma anche dei vantaggi nel cogliere differenze macroscopiche che altrimenti non potrebbero risultare visibili a distanza ravvicinata. Considererò cioè, brevemente, due punti di riferimento classici, ben noti a Marx anche se assai lontani nel tempo, per inquadrareJìlosqficamente la questione: Aristotele e Hegel. Non ho affatto di mira una ricostruzione storica degli antecedenti della posizione marxiana, ma vorrei piuttosto servirmi, per così d~re, di Aristotele e di Hegel quali reagenti per colorare di senso le idee di Marx e per segnarne la peculiarità. Nel mondo antico proprio la macchina è stata spesso concepita come un'alterazione "contro natura' dell'equilibrio uomo/natura. Del resto il termine mechané non significa altro, in origine, se non "astuzia", "inganno", "artificio". Solo più tardi viene a indicare la "macchina" in genere (il latino machina deriva dal dorico della Magna Grecia machané) e, in particolare, la macchina semplice: leva, carrucola, piano inclinato, vite. La meccanica, scienza o meglio tecnica di costruzione delle macchine, non perde tuttavia il suo tratto distintivo di essere astuzia, trappola tesa dall'uomo alla natura. Nelle Quaestiones mechanicae di Aristotele (un testo che ha avuto una influenza enorme sino alle soglie dell'età moderna) la macchina è vista come un trucco sofistico mediante il quale l'uomo, che è il più 7.
cr,·.
iù, Bd. XXIII, 528 [t. i.(!, 2), 218].
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debole, prende in giro la natura, che è più forte, cogliendola di sorpresa. Infatti - afferma Aristotele - quando la natura è contraria alla realizzazione del nostro utile, si oppone ai nostri scopi, noi con l'artificio riusciamo a dominarla laddove essa sembra più forte 8 • L'esempio è quello della leva, per mezzo della quale, con un piccolo sforzo, riusciamo a sollevare grandi pesi. La meccanica è quindi considerata da Aristotele e da una parte della tradizione come un sapere e una tecnica contro natura (para physin), perché viola le leggi naturali, a differenza della medicina, ad esempio, che è secondo natura (katà physin), in quanto le promuove. L'uomo, astuto al pari di Odissea, inganna la natura, forte ma ottusa al pari di Polifemo. Le macchine, i prodotti dell'uomo, sono mirabili quanto i mostri che la natura produce. Sono mostri artificiali, thaumasia creati dalla mètis 9. Tuttavia, la natura beffata, colta di sorpresa da quei sofisti che sono gli uomini, può vendicarsi e punire chi ha osato sfidarla, chi ha tentato di infrangere le sue leggi eterne. Ma questa concezione della meccanica esprime sostanzialmente la sua situazione di relativo stallo, un imbarazzò che è anche teorico, oltre che pratico. Nel mondo antico le macchine (ad eccezione del mulino ad acqua romano, mai molto diffuso) o moltiplicano direttamente l'energia umana e animale, e allora sono socialmente utilizzabili, oppure si servono di energie non umane o animali (come nel caso delle macchine pneumatiche alessandrine o bizantine, o di quelle mosse da sistemi di contrappesi) e allora restano semplici giocattoli, mirabilia. Il limite storico dell'utilizzazione dell'energia è dunque che si possono ifruttare solo quelle fonti di energia in grado di obbedire agli ordini e, in qualche misura di capirli, ossia uomini (in particolare schiavi) o animali domestici. Le altre forze mute e sorde restano produttivamente inoperanti e la "natura" non si sostituisce generalmente all'uomo e all'animale nell'erogazione di energia. Di qui, fra l'altro, il pathos aristotelico per lo schiavo come "strumento vivente" 10 , "parte del corpo- viva ma separata" del padrone 11. Lo schiavo inanimato, ossia lo strumento vero e proprio, e lo strumento vivente e parlante (lo instrumentum vocale), ossia lo schiavo, presuppongono una guida esterna 8. Arist., Quaest mech., 847 a-b. Sullo sviluppo della meccanica antica cfr. soprattutto F. Krafft, Dynamisclu und slatische Betrachtungsweise in der antiken Mechanik, Wiesbaden 1970; Beitriige zur Methodik der Wissenschaflsgeschichte,"hrsg. v. W. Baron, Wiesbaden 1967, 12~33; B. Gille, Les mécanicìens grecs. La naissance de la technologie, Paris 1980. Per l'analisi delle fonti, cfr. A.G. Drachmann, The Mechanical Technology ef Greek and Roman Antiquiry. A Study ef Literary Sources, Copenhagen I963. Per l'aspetto sofistico, cfr. J. P. Vernant, Mythe et pensée. chu, les Grecs. Éiudes de psychologie historique, Paris 1965 (t. i., Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, Torino 1970, 206~8). 9. Su questo aspetto della Mètis, cfr. M. Detienne, J P Vernan\. {.e.> ru.1·r,., rie i'intelli/;ence. La nùiìs des G'recs, Paris 1974 (t. i., Le astuzie dell'intelligenza nell'antirn (;recia, Bari 1978). IO. Arist., Eth. Nic., VIII 11, 1161 b 1~5. 11. Id., Poi.. I 6, 1255 a 11-12.
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per la loro utilizzazione, un logos separato che li diriga. L'universo aristotelico è - sotto quest'ottica - un mondo di strumenti, di articolazioni del movimento, governato da un sapere distinto da essi. Gli strumenti animati e inanimati sarebbero da sé soli inutili, non raggiungerebbero lo scopo; è necessario che si sottomettano alla guida di un padrone, desp6tes, che dà loro intelligenza e senso. Da un lato, perciò, vi è energia cieca e bruta, incapace di regolarsi autonomamente, dall'altra vi è intelligenza, conoscenza dello scopo. La loro unione è conveniente a entrambe le parti, è soterfa 12 • Teniamo presente soprattutto questo elemento di separazione fra cecità senza scopo e intelligenza indirizzata allo scopo, ma impotente a realizzare i suoi fini senza l'energia somministrata dall'esterno. 4. Tale modello aristotelico della meccanica come astuzia contro natura - ancora operante nel Cinquecento - è stato ovviamente distrutto dagli sviluppi della scienza moderna, quando la meccanica razionale ha dimostrato che l'azione della leva, ad esempio, non viola la legalità naturale, ma obbedisce a precise leggi, per cui il piccolo sforzo nel sollevare grandi pesi si paga, poniamo, con un aumento del tempo necessario ad eseguire l'operazione, dimodoché il prodotto VAF (velocità, altezza, forza) resta costante, pur modificandosi nella misura delle singole componenti. L'astuzia, baconianamente, non consiste più nell'infrangere la legalità naturale, ma nel comandare alla natura obbedendole o, secondo Galileo, nel vantaggio economico di sostituire la caduta di un fiume, la sua corrente, "che poco o nulla costa", o il lavoro di un cavallo, al sostentamento, assai più caro, di uomini impiegati nelle medesime funzioni 13 • In conclusione: a/ le macchine non solo non ingannano la natura,, ma sono costruite secondo leggi naturali; b/ tuttavia non perdonO il loro carattere di "astuzia", che si trasferisce all'utilizzazione economica delle energie naturali: le macchine sono più convenienti del lavoro libero e di quello servile. Millar in Sulla distinzione dei ceti e Adam Smith ne La ricchezza delle nazioni ne daranno la dimostrazione più appropriata. Passiamo al secondo reagente, a Hegel. Egli inserisce il concetto di lavoro e di macchina in un contesto articolato, che raccoglie sia i risultati della grande disputa sull'opposizione fra meccanicismo e finalismo, sia le riflessioni sulla fine, in alcune zone, dell'equilibrio fra uomo e natura. Sin dall'inizio, dal Reisetagebuch durch 12. Cfr. ivi, I 2, 1252 a 30. Sul problema sempre notevole il saggio di V. Goldschmidt, La théorie aristotelicie,me de l'esclavage et sa métlwde, "Zetesis": Fcstschrift fùr E. De Stijcker, Antwer~ pcn-Utrccht 1973, 158 s. (t. i., La teoria aristotelica della schiavitù e il suo metodo, in Aa.Vv., Schiavitù antica e moderna, a c. di L. Sichirollo, Napoli 1979, 183-203). 13. Cfr. G. Galilei, Le meccaniche, in Opere, Firenze 1964, II, 155 s.
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die Berner Oberalpen del I 796 14, è chiaro per Hegel che la natura non è ordinata finalisticamente, non ha di mira il benessere dell'uomo. Per parafrasare un'espressione famosa, Dio non ha creato il naso e le orecchie per appoggiarci gli occhiali, né il sughero per farci i tappi di bottiglia. Il vento soffia, il vapore si innalza, la corrente del fiume avanza, le piante e gli animali crescono senza che ciò abbia un rapporto con gli uomini. Tutto obbedisce a leggi meccaniche, chimiche e fisiologiche proprie. Ma è il lavoro umano, con le sue macchine e i suoi strumenti, a costituire la soluzione del mistero di Kant, proposto nella Critica del giudizio, del rapporto fra meccanicismo e finalismo. Il lavoro infatti, senza modificare le leggi naturali, anzi obbedendo loro, assecondandole, introduce dall'interno la teleologia. Così la corrente del fiume aziona le macine del mulino, il vento fa gonfiare le vele di una nave, i prodotti vegetali e animali vengono trasfor·mati in vestiti, ecc. Ciò che non ha scopo, che agisce secondo le leggi interne al suo essere, viene piegato a uno scopo. Ossia, come dice Hegel negli jenaer Systementwiirfe: " [ ... ] l'attività propria della natura - elasticità della molla, acqua,- vento viene impiegata per fare della sua esistenza sensibile qualcosa di interamente altro da ciò che vorrebbe fare [sicché], il suo cieco fare vien trasformato in un fare conforme ad un fine, nel contrario di se stessa: condotta razionale della natura, leggi, nella loro esistenza esteriore. Alla natura stessa non accade niente; singoli scopi dell'essere naturale ), in Scritti dijilo.Hf/ia del diriflo ( !II02-!R03), a e
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E nella Fenomenologia dello spirito: "Il vero è l'intiero" 2 • La verità si esprime solo come sistema. Il sistema è la "vera figura nella quale la verità esiste" 3 • La filosofia amore del sapere: la filosofia è amore di un sapere sistematico, o integrale. E al sapere integrale, al sapere che guarda alla vita nel suo complesso e nella complessità dei suoi aspetti sociali e individuali, Marx rivolge costantemente la sua attenzione. Nella categoria della totalità, di una totalità materiale e non esclusivamente concettuale, si iscrive la stessa coscienza individuale. Rispetto ai singoli individui, la coscienza non è che "la loro coscìenza " 4 • È sulla terra che la coscienza dimora. La mitica vittoria di Gea su Urano si traduce filosoficamente nella necessità di prendere sempre le mosse dalla terra. La salita al cielo è un posterius logico e cronologico. Il cielo dei concetti viene dopo la terra dei bisogni e dei desideri. Se in principio era il logos, il logos non era in principio senza la materia. La coscienza è irrimediabilmente impura, perché almeno delle parole deve servirsi per la sua epifania. La coscienza "non esiste, fin dall'inizio, coµ-ie 'pura' coscienza. Fin dall'inizio lo 'spirito' porta in sé la maledizione di essere 'infetto' della materia, che si presenta qui sotto forma di strati d'aria agitati, di suoni, e insomma di linguaggio" 5 . Sulla linea dell'orizzonte, dove cielo e terra si uniscono, non si celebra più uno sposalizio divino. La terra tiene il cielo prigioniero. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell'uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di cosçienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell'au'tonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali di A. Negri, Laterza, Bari 1962, 111. Il volume comprende anche un saggio del l802, lasciato inedito da Hegel: Sistema dell'eticità, 127-256. Questo saggio fu pubblicato parzialmente nel 1893, a cura di G. Mollat. Poi, per intero, nel voi. VII dei Sdmmtliche Werke, a c. di G. Lasson. Le integrazioni tra parentesi angolari sono di Lasson. Quelle tra parentesi quadre, del traduttore. 2. Fenomenologia dello spirito, t. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1973 (rist. della II ed.), I, 15 (§ [IIJ della pref. [20]). La Fenomenologia, che Hcgel cominciò a preparare per la pubblicazione fin dal 1804, vide la luce nel 1807. Nell'estate del 1806, in occasione di una sua lezione, Hegel distribuì agli studenti alcuni fogli dell'opera già in corso di stampa. 3. lvi, 4 (§ [I] della pref. [5]). 4. L'ideologia tedesca, t. di F. Codino (voL I:/. Feuerbach. Antitesi fra concezione materialistica e concezione idealistica (I], a), in K. Marx, F. Engels, Opere, V, a c. di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1972, 22. Nella Nota dell'editore (ivi, VIII), si avverte che la traduzione di Codino, già pubblicata presso gli Editori Riuniti nel 1958, "esce [... J in edizione riveduta e controllata sull'ultima edizione tedesca". Marx ed Engels scrissero l'Ideologia tedesca tra il 1845 e il 1846. Per la prima volta alla luce nel 1932: a cura dell'Istituto Marx~Engels~Lenin, di Mosca. 5. lvi, 29 ([2]).
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trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il "loro pensiero e i prodotti del loro pensiero 6 •
I fenomeni culturali o sovrastrutturali nascono dentro la praxis, e con la praxis simultaneamente si manifestano. Scopo della concezione materialistica della storia è "rappresentare la cosa nella sua totalità" 7 . E la "cosa" è appunto la storia. Lo Stato e il diritto si connettono strettamente all'economia, però non sono una semplice proiezione dell'economia. E la crisi del capitalismo non si riduce a una crisi dell'economia capitalistica. Un intero edificio crolla. Dalla base e insieme dalla cima: perché non è sufficiente un tremito del sottosuolo. Scriverà Lenin: per la rivoluzione non basta che le masse sfruttate e oppresse siano coscienti dell'impossibilità di continuare a vivere come per il passato ed esigano dei cambiamenti; pt;:r la rivoluzione è necessario che gli sfruttatori non possano più vivere e governare come per il passato. Soltanto quando gli "strati iriferiori" non vogliono più il passato e gli "strati superiori" non possono più vivere come in passato, la rivoluzione può vincere. In ~ltri termini questa verità significa che la rivoluzione non è possibile senza una crisi di tutta la nazione (che coinvolga cioè sfruttati e sfruttatori). Per la rivoluzione è quindi anzitutto necessario che la maggioranza degli operai (o, quanto meno, la maggioranza degli operai coscienti, pensanti, politicamente attivi) comprenda pienamente la necessità del rivolgimento e sia pronta ad affrontare la morte per esso, e, inoltre, che le classi dirigenti attraversino una crisi di governo che trascini nella politica anche le masse più arretrate[ ... ], indebolisca il governo e consenta ai rivoluzionari di abbatterlo al più presto 8 .
La rivoluzione non è mossa esclusivamente dagli antagonismi economici. E la classe impegnata nella rivoluzione, se vuole conquistare il potere e mantenerlo, deve prospettare il proprio interesse nella forma dell'universalità, quale interesse razionale e razionalmente accettabile dalle rimanenti classi. "La classe rivoluzionaria si presenta senz'altro, per il solo fatto che si contrappone a una classe, non come classe ma come rappresentante dell'intera società, appare come l'intera massa della società di contro all'unica classe dominante" 9 • La dominanza imprime il sigillo allo spirito di un'epoca. E nella dominanza, produzione materiale e produzione intel6. lvi, 22 ([!], a). 7. lvi, 39 ([2]). 8. L '"estremismo" malattia infantile del comunismo ( c. IX, Il comunismo "di sinistra" in· Inghilterra), in Opere complete, XXXI, t. di I. Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1967, H-5. Il sam,rio fu scritto da Lenin tra l'aprile e il maggio del 1920. Fu pubblicato in opuscolo nel giugno dello stesso anno, a Pietrogrado. 9. L'ideologia tedesca (voi. I: I, Feuerbach. Antitesi fra concezione materialistica e concezione ideali;tiw [3]), 46.
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lettuale convergono. I mezzi per produrre beni e quelli per produrre idee vengono impiegati "in pari tempo" 10 •
2. Storicità e volontà
In uno scritto databile al 1798, analizzando la situazione del Wiirttemberg, suo paese d'origine, nella mente l'eco delle imprese napoleoniche, Hegel si schiera contro i conservatori. Sta dalla parte del rovescio e non del diritto, è per la violazione e il capovolgimento dell'antico ordine. Il ragionamento è più politico che filosofico. Ma filosofici ne sono i presupposti. E si tratta di una filosofia che concepisce la storicità come rottura, come segnata dalla contraddizione e dal conflitto. Alla ricerca di vantaggi personali, i conservatori si occupano di tristi e trite faccende. Sarebbe invece opportuno che "aprissero le loro anime alla cura dell'universale" 11 • Presto, diventeranno minoranza: Nelle anime degli uomini è entrata con vivacità l'immagine di epoche migliori e più giuste; una brama, un anelito verso condizioni più pure e più libere ha scosso tutti gli animi, e li ha posti in discordia con la realtà. L'impulso a sfondare le barriere meschine ha collocato le sue speranze in ogni avvenimento, in ogni barlume, persino nelle scelleratezze 12 •
È vano tentare di mantenere in vita norme giuridiche anacronistiche. Le leggi devono accordarsi con i costumi e i bisogni della società. Quando ciò non si verifica, dalle leggi è fuggito lo "spirito" e le leggi non possono "costituire ancora il vincolo che tiene insieme un popolo" 13 • Ne deriva la crisi dello Stato, crisi istituzionale e morale insieme: "Universale e profondo è il sentimento che l'edificio dellcf stato [ ... ] non può più reggersi - e universale è l'ansia che esso precipiti, e danneggi tutti nella sua caduta" 14 • Niente 10. lvi, 44 ([3]). l l. Sulle più recenti vicende interne del Wiirttemberg e in particolare sui vizi dell'ordinamento munici~ pale, in Scritti politici (1798-1831), a c. di C. Cesa, Einaudi, Torino 1972, 321. Dello scritto rimangono alcuni frammenti. Di essi, nel !844, dette notizia K. Rosenkranz. Nel 1857, R. Haym ne foce invece un riassunto e ne riportò un lungo brano. Il lavoro recava originariamente il seguente titolo, poi cancellato: Cile i Consigli municipali siano eletti dai cittadini; e ancor prima: Cile i Consigli municipali siano eletti dal popolo. Il titolo definitivo non è di Hegel. Il volume curato da Cesa contiene inoltre: Primo abboao di una introduzione alla "Costituzione della Gennania" (1799, circa), 5-8; Libertà e destino (1799-1800, circa; t. di C. Luporini), 9-132; Valutazione degli Atti a stampa dell'Assemblea dei deputati del Regno del Wiirttemberg negli anni 1815 e 1816 (1817), 133-270; Il progetto inglese di riforma eleUorale ( 1831 ), 271-315; Dalle "Lettere corifìden,?,iali" ( 1798), 331-8; e Frammenti di argomento politico (datazione incerta), 339-52. 12. !b. 13. I vi, 322. 14. !b.
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meccanicismo o provvidenzialismo, però. Elementi oggettivi e soggettivi si intrecciano. Le circostanze storiche sono la cornice entro .cui si attuano le scelte dell'individuo. Il ruolo della volontà è decisivo. L'attesa è punita. "È contro sia la più elem~ntare prudenza che l'onore aspettare, incuranti e ciechi malgrado si abbia il sentimento di un movimento tellurico, che crolli l'edificio vecchio, di-. roccato, dalle fondamenta già minate, e farsi sfracellare dai travi che precipitano" 15 . E poi, la Fenomenologia dello spirito. Tormentato è il percorso che lo spirito segue fino ad attingere la più alta consapevolezza di sé. In questo percorso, la storicità indugia per un attimo nelle varie figure del suo concretizzarsi e subito le trapassa. La conflittualità tra tesi e antitesi è destinata a sfociare in sintesi precarie. Il cuore della dialettica è la negazione. È !"'immane potenza del negativo" 16. Lo spirito è forte "sol perché sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui" 17• E la forza dello spirito è "magica", una forza che "volge il negativo nell'essere" 18 • L'ente diventa niente, ciò che è si tramuta in ciò che non-è. Ma dal niente, l'evento. Un nuovo è dal non-è. Nella categoria della Zerstiirung è la spiegaz10ne: non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione; anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello spirito. Esso guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell'assoluta devastazione 19 •
Ed è ancora la categoria della Zerstiirung che sta al centro della dialettica tra signoria e servitù. La "paura" che il servo ha nei confronti del signore è "l'inizio della sapienza" 20 • Il servo comincia a conoscersi in quanto "verità della pura negatività" 21 • Attraverso il lavoro, che è attività formativa, il servo costruisce oggetti che hanno una duplice caratteristica: di permanere e di non appartenergli. La permanenza dell'oggetto gioca a favore del servo: è un punto di riferimento, dà il senso della stabilità. La .non appartenenza dell'oggetto al servo gioca invece a suo sfavore: è la conferma della supremazia del signore, è· una fonte ulteriore di paura. L'oggetto prodotto è dunque, per il servo, un negativo oggettivo, un limite. La liberazione del servo passa per la negazione del negativo oggettivo: 15. Ivi, 322-3. 16. Fenomenologia dello spirito, I, 26 (§ [II] della pref. [321). 17. lb. !8. lb. 19. lb. 20. Ivi, 162 ([B, Autocoscienza], c. IV, § A, Indipendenza e dipendenza dell'autocoscienza; signo-. ria e servitù [30]). 2!. Ivi, 161 ([29]).
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tale negativo oggettivo è [... ] l'essenza estranea, dinanzi alla quale la coscienza servile ha tremato. Ora peraltro essa distrugge questo negativo che le è estraneo; pone sé, come un tale negativo, nell'elemento del permanere e diviene così per se stessa un qualcosa che è per sé. Alla coscienza servile l'esser-per-sé che sta nel signore è un esser-per-sé diverso, ossia è solo per lei; nella paura l'esser-per-sé è in lei stessa; nel formare l'esser-persé diviene il suo proprio per lei, ed essa giunge alla consapevolezza di essere essa stessa in sé e per sé. Per il fatto di venire esteriorizzata, la forma alla coscienza servile non si fa un Altro da lei; ché proprio la forma è il suo puro esser-per-sé che quivi alla coscienza servile si fa verità. Così, proprio nel lavoro, dove sembrava ch'essa fosse un senso estraneo, la coscienza, mediante questo ritrovamento di se stessa attraverso se stessa, diviene senso proprio 22 .
A Hegel non rimane tuttavia sconosciuto un secondo intendimento della storicità, più romantico, più legato al tradizionalismo che fu tipico della cultura nella prima metà del diciannovesimo secolo. L'esperienza che lentamente cresce e si espande, il progresso che consiste in una serie di tappe in cui il momento che viene sorgendo è contenuto nell'antico e al contempo racchiude il futuro: ecco la continuità, la logica dei contrari non contraddittori, la competizione. La dialettica toglie, abolisce. Ma non è senza il tolto e l'abolito: li mantiene appunto nella loro caratteristica di tolto e abolito. La negazione conserva il negato. Del negato rimane la Spur, 1a Schattierung. "Nello spirito che sta più su di un altro, la concreta esistenza inferiore è decaduta a momento impalpabile; ciò che prima era la cosa stessa, non è che una traccia; la sua figura è velata e divenuta una semplice ombreggiatura" 23 • La crisi dello Stato e del diritto implica pertanto un'alba prolungata: alla luce non s·i passa con un fiat. La rivoluzione non è l'unica strada del mutamento. Accanto alla rivoluzione, l'evoluzione. Accanto alle antitesi inconciliabili, il gioco fluido delle perdite e delle conquiste. Accanto all'urto violento del nuovo, le riforme. Se l'intero edificio crolla, è segno che già molte crepe c'erano. Il Leviatano muore dopo molte ferite, e perché le ferite non si sono rimarginate. La gestazione e il parto simboleggiano, nella Fenomenologia dello spirito, il ritmo della processualità: a quel modo che nella creatura, dopo lungo placido nutrimento, il primo respiro, - in un salto qualitativo, - interrompe quel lento processo di solo accrescimento quantitativo, e il bambino è nato; così lo spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova figura e dissolve brano a brano l'edificio del suo mondo precedente; lo sgretolamento che sta comin22. lvi, 163 ([31]). 23. lvi, 22 (§ [II] della p,ef. [281).
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dando è avvertibile solo per sintomi sporadici: la fatuità e la noia che invadono ciò che ancor sussiste, l'indeterminato presentimento di un ignoto, sono segni forieri di un qualche cosa di diverso che è in marcia. Questo lento sbocconcellarsi che non alterava il profilo dell'intiero, viene interrotto dall'apparizione che, come un lampo, d'un colpo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo 24 .
Nei Lineamenti di filosofia del diritto, pubblicati nel 1821, in un'epoca di restaurazione e di restrizione della libertà di stampa, lo storicismo come rottura è un motivo non dominante. Hegel non teme di usare toni alti, quando descrive la formazione della "plebe" simultaneamente alla "facilità di concentrare in poche mani ricchezze sproporzionate" 25 . Ma la società civile, il "sistema dei bisogni", si apre su uno scenario liberista. Smith, Say e Ricardo presiedono all'armonia che scaturisce dalla libera concorrenza, dalla conéiliazione delle esigenze particolari, che è conciliazione razionale e quindi veicolo di "universalità" 26 . Fuori dalla società civile, sul terreno dello Stato, la logica della continuità è poi l'unica logica. L'unica logica e l'unica ontologia. Il contrattualismo, di cui Rousseau è l'esponente di maggior rilievo, diventa il bersaglio principale. Al contrattualismo vanno riconosciuti alcuni meriti: l'aver escluso che la forza o l'onnipotenza di dio stiano a fondamento dello Stato e l'aver richiamato l'attenzione sul principio dell'accordo originario tra i cittadini, un principio ideale "che non soltanto per la sua forma [ ... ], ma, pel contenuto, è pensiero, cioè il pensùro stesso, ossia la volontà" 27 . Non più di questo, però. Il contrattualismo non riesce infatti a mediare gli interessi individuali nella sintesi etica dello Stato: "l'associazione dei singoli nello Stato diviene un contratto, che, quindi, ha per base il loro arbitrio, la loro opinione e il loro qualsivoglia consenso espresso; e seguono le ulteriori conseguenze, prettamente intellettualistiche, che distruggono il divino in sé e per sé e l'assoluta autorità e maestà di esso" 28 • Infine, insistendo sul consenso, il contrattualismo è malato di caducità. Quando il consenso cessa, c'è il pericolo di un capovolgimento re24. lvi, 9 (§[!]della pcef. [l lj). 25. Lineamenti difilosqfia del diritto, t. di F. Messineo, Laterza, Bari 19714, 204 (§ 244). La traduzione di Messi neo risale a! 1913. A partire dalla II ed. ( 1954), sono state aggiunte le Note autografe di Hegel alla Filosofia del diritto, t. di A. Plebe (nella IV ed., 413~540). Nel frontespizio di p. V, il nome di Hegel è così stampato: Georg F. W. Hegel. Solo a p. I, dopo la Prefazione del traduttore alla pn·ma edizione e l'Avvert.en.;:a per la seconda edizione (ivi, VII~XXVIII), compare il titolo completo dell'opera: Lineamenti difilosqfia del diritto[,] ossia diritto naturale e scienza dello Stato. Ho reso in corsivo le parole che nel testo hegeliano e nella traduzione di Mcssineo sono spaziate. 26. lvi, 172 (§ 189). 27. Ivi, 214 (§ 258, ann.). 28. !h.
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pentino del sistema politico. Nella sua polemica contro le "astrazioni" contrattualistiche, He&el ricorda la Rivoluzione francese. E la condanna proprio in quanto rivoluzione: cresciute sino a diventar forza, queste astrazioni hanno di certo prodotto, da un lato, il primo - dacché abbiamo notizia del genere umano - prodigioso spettacolo di iniziare interamente daccapo e dal pensiero la costituzione di un grande Stato effettivo, col sovvertimento di tutto ciò che esiste e che è dato e di voler dare per base ad esso, semplicemente hr pretesa razionalità; dall'altro lato, poiché sono soltanto astrazioni prive di idee, esse hanno fatto, di questo tentativo, un avvenimento assai terribile e crudo 29 .
Nella sintesi dell'eticità, le leggi acquistano universalità. Hegel le considera "spiriti non scissi e chiari a se stessi, immacolate figure celestiali che, pur nelle loro differenze, conservano l'intatta innocenza e l'armonia della loro essenza" 30 . E richiamando l'Antigone di Sofocle, afferma che "valgono (... ] come diritto degli dèi, non scritto e infallibile" 31 • La volontà non è senza la libertà. La volontà è il cominciamento della spiritualità. Lo spirito comincia dalla libertà di volere. E la libertà di volere è garantita dal diritto: "il sistema del diritto è il regno della libertà realizzata" 32 • Non ancora approdato alla concezione materialistica della storia, Marx ripete la tesi hegeliana. Nel supplemento della Ga,;,;etta renana del 12 maggio 1842, n° 132, scrive: le leggi favoriscono la libertà, al pari della legge di gravitazione che favorisce il moto e stritola chi la in29. lb. 30, Fenomenologia dello spirito, I, ·359 ([C (AA), Ragione], c. V, § C, e, La ragione esaminatrice ddle frggi (207]).
31. Ivi, 360 ([207]). Dall'Antigone, a proposito dell"'ungeschriebenes und untrii15liches Rech~ t", Hege~·cita i seguenti versi:" nicht etwa jetzt und gestern, sondern immerdar / lebt es, und
keiner weiss, von wannen es erschien" [Phii.nomenologie des Geistes, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1972 (rist. da 1!mila a l5mila), 322 (vol. III dei Werke, a cura di E. Mo!denhauer e K. Markus Miche!)]. De Negri traduce dal tedesco: "Non oggi né ieri ma sempre/ Esso vive, e nessuno sa quando sia apparso". Nel testo di Sofocle, in effetti, non si parla di "diritto non scritto", ma di "leggi non scritte" (&grapta n6mima). Per la traduzione del brano, che nell'Antigone è parte del Il episodio, rinvio a quella di G. Lombardo Radice, in Sofocle, Le tragedie, Einaudi, Torino 1976 (rist. della VI ed.), 208 (vv. 566-8): "Non son d'ieri né d\iggi, ma da sempre/ vivono: e quando diedero di sé/ rivelazione, è ignoto. [... ] ". La Lombardo Radice si è presa la libertà di accorpare le varie parti della tragedia, a eccezione del prologo ( 189-93, vv. 1-129), e di titolarle: Canto dell'alba vitton·osa e delle memorie cruente (parodo e I episodio, 194-203, vv. 130-420); Canto dell'uomo (I stasimo e II episodio, 204-14, vv. 421-720); Canto dell'eterna discesa di dolore (II stasimo e III episodio, 215-23, vv. 721-970); Canto di Eros (III stasimo e IV episodio, 224-30, vv. 971-1172); Canto delle carceri cieche (IV stasimo e V episodio, 231-8, vv. 1173-93); Canto e danza dell'invocazione dionisiaca (V stasimo ed esodo, 239-48, vv. 1194-662). La mancata titolazione del prologo, una dimenticanza? Un'altra traduzione, migliore della precedente perché non arcaicizzante, è quella di E. Cetrangolo, in// teatro greco. Tutte le tragedie, a c. di C. Diano, Sansoni, Firenze 19803, 185: "quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuno sa quando comparvero". In questa edizione, il prologo, gli episodi e l'esodo sono resi in prosa; il parodo e gli stasimi, in versi. E righe e versi non sono numerati. 32. Lineamenti difilosqfia del diritto, 28 (intr., § 4).
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frange pretendendo di "danzare nel!' aria" 33 • Leggi sono perciò "le norme positive, chiare e universali, nelle quali la libertà ha acquistato un'esistenza impersonale, teoretica, indipendente dall'arbitrio del singolo" 34 • Un codice di leggi è "la Bibbia della libertà d'un popolo" 35 • Pochi anni dopo, nell'Ideologia tedesca, il concetto di popolo cede il passo al concetto di classe e di lotta tra le classi, la libertà del popolo è considerata una formula vuota e la legge uno strumento della classe dominante. L'arma della critica è insufficiente: "non la critica, ma la rivoluzione è la forma motrice della storia" 36 • I Giovani hegeliani si illudono. Sono conservatori non meno degli avversari. Si limitano a confutarne le opinioni, frase su frase. E quindi ·"non combattono il mondo realmente esistente quando combattono soltanto le frasi di questo mondo" 37 . La dialettica non è dialogo. In mano al proletariato, travolge le strutture politiche della borghesia. Dialettica conflittuale e non concorrenziale, infatti. "La concorrenza isola gli individui, non solo i borghesi, ma ancor più i proletari, ponendoli gli uni di fronte agli altri, benché li raccolga insieme" 38 . Non cedere alla logica della concorrenza, spostarsi dal terreno della concorrenza a quello del conflitto: ecco l'inizio del processo rivoluzionario. Che poi si tratti di un inizio lento, è inevitabile: passa molto tempo prima che questi individui possano unirsi, senza tener conto che i mezzi necessari per questa unione, - se non deve essere pu~ ramente locale, - le grandi città industriali e le comunicazioni rapide e a bass? prezzo, devono essere prima prodotti dalla grande industria; e per~ ciò non è possibile vincere, se non dopo una lunga lotta, tutte le forze organizzate contro questi individui che vivono isolati e in condizioni che riproducono quotidianamente l'isolamento. Esigere il contrario vorrebbe dire esigere che la concorrenza non debba esistere in quest'epoca storica 33. T. di L. Firpo, riv. da N. Merker, in K. Marx, F. Engels, Opere, I, a c. di M. Cingoli e N. Merker, Editori Riuniti, Roma 1980, 161. L'articolo da cui cito, insieme ad altri cinque pubblicati tra il 5 e il 19 maggio 1842 nei supplementi alla Gazzetta renana, compare in una sezione che ha per titolo: Le discussioni alla sesta dieta renana. Secondo un renano. Il capitolo iniziale di questa sezione, a sua volta, si intitola:" Primo articolo". Dibattiti sulla libertà di stampa e sulla pubblicazione delle discussioni della dieta. L'espressione Primo articolo, che ho virgolettato perché nel testo è in corsivo e che occorreva distinguere da ciò che ad essa segue in tondo, allude al fatto che Marx cominciò la sua collaborazione alla Gazzetta renana proprio nel supplemento del 5 maggio 1842, n° 125. Marx incluse il "primo articolo" (originariamente non firmato) nella raccolta di scritti preparata da H. Becker. Ma di questo "primo articolo" fu stampato solo l'inizio nell'unico fascicolo edito a Colonia nel 1851. Altri fascicoli non videro la luce per l'intervento censorio delle autorità. 34. /b. 35. lb. 36. L'ideologia tedesca (vol. I: I. Feuerbach. Antitesi fra conce;:ione materialistica e concezione idealistica [2]), 39. 37. lvi, 16 ([l], a). 38. lvi, 61 ([4]).
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determinata, o che gli individui debbano cavarsi dalla testa situazioni sulle quali essi, come individui isolati, non hanno alcun controllo 39 .
Il tragitto dal c;:tpitalismo al comunismo non si compie se non matura la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione. Non sempre, però, questa contraddizione matura in maniera antagonista. Talvolta, matura sul filo della continuità. Le leggi che presiedono allo sviluppo della società sono flessibili, non hanno la durezza delle leggi naturali. Sul continuum storico può radicarsi anche la dialettica dei contrari contraddittori. È l'inverso che non vale. La dialettica dei contrari non contraddittori, la dialettica della competizione è impensabile che si radichi sull'intermissum storico, sullo storicismo come rottura. Marx così ammonisce: "Dobbiamo dichiarare ai governi: sappiamo che siete il potere armato contro i proletari; contro di voi procederemo pacificamente laddove ciò è possibile, ma qualora dovesse rendersi necessario prenderemo le arrni" 40 • Sulla scelta influiscono circostanze di tempo e di luogo: il Capitale non contiene "una teoria storico-filosofica della marcia generale fatalmente imposta a tutti i popoli, in qualunque situazione storica essi si trovino" 41 • Negli Stati in cui esistono assemblee 39. !b. 40. Sull'adone politica della classe operaia. Resoconto contenuto negli Atti della seduta della Confe~ renza di Londra dell'Associazione lnternaz;ùmale dei Lavoratori del 21 settembre 1871, in K. Marx, F. Engels, Critica dell'anarchismo, a c. di G. Backhaus, Einaudi, Torino 19742 , 287 (parte II). Il volume comprende inoltre i seguenti scritti di Marx: Comunicazione confidenziale (mar. 1870), 5-19; Le cosiddette scissioni dell'Internazionale. Circolare privata del Consiglio Generale della Assoqazione lnternazùmale dei Lavoratori (gen.-mar. 1872; in collaborazione con Engels), 28-77; Discorso sul Congresso dell'Aia (8 sete 1872), 98-100; L'Alleanza della democrazia socialista e l'Associazione Internazionale dei Lavoratori. Rapporti e documenti del Congresso (prima di un'Appendice sull'Alleanza in Russia, f"l9-33, e di alcuni Documenti giustificativi, 233-52, è apposta la data: Londra, 21 lug. 1873, e 'la dicitura La Commissione: E. Dupont, F. Engels, Leo Franke!, C. Le Mousse, Karl Marx, Aug. Serraillier; la redazione fu in effetti opera di Engeis e di Paul Lafargue, genero di Marx per averne sposato la figlia Laura, mentre a Marx ed Engels si dovette la Conclusione, 217-9), 101-252; Sul diritto di successione. Resoconto contenuto negli Atti della seduta del Consiglio Generale del 20 luglio 1869, 277-80; Relazione del Consiglio Generale sul diritto di successione (2-3 ag. 1869), 281-3; Sull'azione politica della classe operaia. Resoconto contenuto negli Atii della Conferenza di Londra dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori del 20 settembre 1871, 284-5; Sulle società segrete. Resoconto contenuto negli Atti della seduta della Conferenza di Londra dell'Associazione lntem~ionale dei Lavoratori del 22 settembre 1871, 292; L'fodifjèrenza in materia politica (in chiusura, la data; Londra, gen. 1873), 300-6; &tratti e commenti critici a "Stato e anarchia'' di Bakunin (parte di un più ampio manoscritto intitolato: Russica Il, 1875; il libro di Bukarin apparve a Ginevra nel 1873), 31267; Lettere (a Paul e Laura Lafargue, a Parigi: da Londra, 19 apr. 1870; a Edward Spencer Beesly, a Londra: [da Londra,] 19 ott. 1870; a Friedrich Balte, a New York: [da Londra,] 23 nov. 1871), 399AI0. 4l. Cito da una lettera che intorno alta fine del 1877 Marx indirizzò alla redazione dell'OteCestvennye Zapiski, in polemica con lo scrittore populista Nikolaj KonstantinoviC Michajlovskij, il quale lo aveva rozzamento difeso dalle violente accuse mossegli da Yu. G. Zukovskij sul liberale Vesinik !,'vropi, a tal proposito scrivendo un articolo intitolato Karl Marx davanti al tribunale del sig. Zukovskij: in K. Marx, F. Engels, India, Cina, Russia, a c. di B. Maffi, Il Saggiatore, Milano 1976 2 , 302. Di Marx, oltre ad alcune lettere e ad alcuni brani tratti da opere significative {nella parte V, 271-392, e nelle Appendici, 393~420), il volume contiene gli articoli
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rappresentative e il gioco parlamentare consente un ricambio tra maggioranza e minoranza, all'affermazione del comunismo è aperta la via dell'uso alternativo delle istituzioni e non è escluso che il proletariato si imponga mediante elezioni. Essenziale è un chiarimento di Engels, in polemica con un progetto elaborato da Bebel e poi modificato da Kautsky in vista del Congresso del Partito socialdemocratico tedesco tenutosi a Erfurt nell'ottobre del 1891: Si può immaginare che la vecchia società possa svilupparsi nella nuova per via pacifica, in paesi nei quali la rappresentanza popolare ha conservato in sé tutto il potere, dove la Costituzione consente di fare ciò che si
vuole quando si abbia dietro di sé la maggioranza del popolo, in repubbliche democratiche come la Francia e l'America, in monarchie come l'Inghilterra, dove sulla stampa si parla quotidianamente dell'imminente liquidazione della dinastia, e dove questa dinastia è impotente contro la volontà popolare. Ma proclamare queste cose in Germania, dove il governo è quasi onnipotente e il Reichstag e gli altri organi rappresentativi sono privi di reale potere, e per di più proclamarlo senza necessità, significa togliere all'assolutismo la foglia di fico e servirsene per coprire· le proprie nudità 4 2 .
La contraddizione non sorge comunque da sé. A farla sorgere sono gli uomini. Non c'è momento della praxis che non si saldi a una qualche forma di coscienza, e non c'è forma di coscienza che non rinvii a un qualche momento della praxis: "Pensare e essere sono [ ... ] certamente distinti, ma ad un tempo in unità l'un con l'altro" 43 • Il dualismo tra res cogitans e res ex tensa è superato. Ed è supubblicati dal New York Daily Tribune, tra il 1853 e il 1860, nonché un articolo apparso nel n. l l della Neue Rheinisdte Zeitung. Politisch-òlonomische Revue, il 2 mar. 1850 (ivi, 37-8). Sulla copertina, ma non sul frontespizio, il volume reca un sottotitolo: Le premesse per tre rivoluzioni. Alla New York Daily Tribune, su invito del direttore Charles Dana, Marx collaborò dall'agosto 1851 al marzo 1862, quando nella redazione del giornale entrarono uomini indulgenti nei confronti degli Stati schiavisti e quindi propensi a una soluzione compromissoria della guerra civile americana. Con la firma di Marx, tra il 25 ottobre 1851 e il 23 ottobre 1852, la New York Daily Tribune stampò una serie di articoli sotto il titolo Rivoluzione e controrivoluzione in Germania. Soltanto nel 1913, con l'edizione del carteggio tra Marx ed Engels, si venne a sapere che questi articoli li aveva scritti Engels su preghiera di Marx. La stima di Marx ed Engels per il giornale, dove largo spazio era spesso dedicato alle foto di Taylor Phineas Barnum, l'illusionista, non era molta. Da una lettera dì Engels spedita a Marx, che sì trovava a Londra, e datata Manchester, 6 gen. 1852: "Con questo giornale non c'è davvero bisogno di sforzarsi troppo. Nelle sue colonne Barnum vi fa bella mostra di sé in grandezza naturale, e l'inglese è orribile; però ha anche alcune buone qualità, che del resto non riguardano la nostra Une.[ ... } La settimana prossima mi metterò poi agli articoli sulla Germania e saranno presto finiti" (t. dì M.A. Manacorda, riv. sulla base dei MEW, XXVIII, Dietz, Berlin 1963, in K. Marx, F. Enge!s, Opere, XXXIX, a c. dì M. Montinari, Editori Riuniti, Roma 1972, 5; in questo voi., la lettera reca i! n° I). 42. Per la critica del progetto di programma del Partito socialdemocratìco (parte II, Rivendica;:;iorii politiche), t. di E. Ragionieri, in K. Marx, F. Engels, Opere scelte, a c. di L. Gruppi, Editori Riuniti, Roma 1966, 1174. Engels scrisse le sue osservazioni tra il giugno e il luglio del 189L 43. [Manoscritti economico-filosofici del 1844], t. di G. della Volpe, riv. da N. Merker, in K.
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perato pure il cronologismo. Non c'è un prima e un dopo, perché res cogitans e res extensa si danno simultaneamente. Da Labriola: non c'è fatto della storia che non ripeta la sua origine dalle condizioni della sottostante struttura economica; ma non c'è fatto della storia che non sia preceduto, accompagnato e seguito da determinate forme di co,. scienza; sia questa superstiziosa o sperimentata, ingenua o riflessa, matura o incongrua, impulsiva o ammaestrata, fantastica o ragionante 44 .
La contraddizione capitalistica è simultaneamente essere e pensiero. Ontologia e logica tornano a coincidere. Capitale e lavoro salariato sono entità, però non entità pure o puri fatti .materiali. Dentro al capitale e al lavoro salariato stanno gli individui e le classi, con i loro problemi e le loro speranze. Niente volontarismo e niente toni messianici. Il rapporto tra la volontà e la realtà è circolare: "le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze" 45 • L'appello di Marx al proletariato non è una profezia. È un invito a prendere consapevolezza della propria forza, a realizzare la propria essenza. Nei Princìpi della filosofia dell'avvenire, Feuerbach aveva sostenuto che l'essere si identifica con l'essenza: "tutti gli enti - salvo casi innaturali - stanno volentieri dove sono, e sono volentieri ciò che sono" 46 • Marx vede in questa affermazione un esempio di conservatorismo. Qualcosa, dice, "F~uerbach ha pur sempre in comune con i nostri avversari" 47 • E aggmnge: egli spiega come l'essere di una cosa o di un uomo sia anche la loro essenza, come le condizioni determinate di esistenza, il modo di vita e l'attività Q-i un individuo animale o umano siano quelle in cui la sua "essenMarx, F, Engels, Opere, III, a c. di N, Merker, Editori Riuniti, Roma 1976, 326. La citazione è tratta dal III ms., § [Proprietà privata e comunismo]. I Manoscritti, senza l'indicazione di un titolo complessivo, furono redatti a Parigi tra l'aprile e l'agosto 1844, e pubblicati per la prima volta nel 1932, con un sottotitolo: Per la critica dell'economia politica con l'aggiunta di un capitolo finale sulla filosefia di Hegel. 44. Del materialismo storico. Dilucida;:,ione preliminare ( § III), in Scritti filosofici e politici, a c. di F. Sbarberi, Einaudi, Torino 1973, II, 544-5 (parte I). Anche in Saggi sul materialismo storico, a c. di V. Gerratana e A. Guerra, Editori Riuniti, Roma 1977 (III ed. rìv. e agg.), 84 (con una variante: "seguìto", anziché "seguito"). La prima edizione del saggio di Labriola risale al 1896. La seconda, che è quella in circolazione ed è stampata in queste come in altre antologie, è del 1902. 45. L'ideologia tedesca (vol. I:/, Feuerbach. Antitesi fra concezione materialistica e concezione idealùtfra [2]), 39. 46. InLafilosofia dell'avvenire, a c. di C. Cesa, Laterza, Bari 19754, 137. La prima edizione dei Prindpi dellafilosefia dell'avvenire è del 1843. L'edizione definitiva, su cui si basa la traduzione di Cesa, fu preparata da Feuerbach per il II volume dei Siimmtlicl1e Werke, editi tra il 1846 e il 1866. La citazione è tratta dal § 27, L'antologia curata da Cesa comprende anche Per la critica dellafilosefia hegeliana (1839), 35-89. 47. L'ideologia tedesca (voL I: I. Feuerbach. Antitesi tra concezione materialistica e concezione idealistica [2]), 43.
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za" si sente soddisfatta. Qui ogni eccezione viene espressamente considerata come un caso disgraziato, come una anormalità che rion può essere modificata. Se dunque milioni di proletari non si sentono per niente soddisfatti delle loro condizioni di esistenza, se il loro "essere" non corrisponde neppur lontanamente alla loro "essenza", ( ... ] questa sarebbe una disgrazia inevitabile, che si dovrebbe sopportare con tranquillità. Questi milioni di proletari o comunisti la pensano invece in modo affatto diverso e lo dimostreranno a suo tempo) quando metteranno in armonia praticamente, con una rivoluzione, il loro "essere" con la loro "essenza" 48 •
3. Stato e antagonismi in Hegel Fu tipica di Rousseau la tendenza a scorgere nello Stato il terreno in cui il conflitto degli interessi si placa. La "volontà generale" non è la "volontà di tutti". La prima ha di mira !"'interesse comune" e la seconda I'" interesse privato" 49 . La prima è virtualmente contenuta nella seconda. Si ottiene togliendo dalla seconda il superfluo, "il più e il meno che si annullano" 50 . Fondandosi sulla "volontà generale", lo Stato implica un sistema di lealtà che non ammette divergenze tra governanti e governati: il corpo sovrano, essendo formato soltanto dai singoli che lo costituiscono, non ha né può avere interessi contrari ai loro; di conseguenza, il potere sovrano non ha alcun bisogno di dare garanzie ai sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri; e [ ... ] non può nuocere neanche ad alcuno di essi in particolare. Il corpo sovrano, per il solo fatto di essere, è sempre tutto ciò che dev'essere 51 •
Nelle repubbliche, aveva scritto Machiavelli, le divisioni a volte nuocciono e a volte giovano: "Quelle nuocono che sono dalle sètte e da partigiani accompagnate, quelle giovano che sanza sètte e sanza partigiani si mantengono" 52 • Rousseau citò questa afferma48. lb. 49. Il contratto sociale (1. II, c. III, Può errare la volontà generale?), t. di J Bertolazzi, in Scritti
politici, a c. di P. Alatri, Utet, Torino 1970, 742 (parte VII). Rousseau cominciò a scrivere Il contratto sociale (per completare il titolo va aggiunto: o principi di diritto politico) nell'inverno 17 58 e lo pubblicò nel 1762, quasi contemporaneamente all'Emilio. Il 19 giugno dello stesso anno, il Piccolo Consiglio di Ginevra ordinò che Rousseau venisse arrestato e processato se si fosse recato nel territorio della repubblica, e condannò le due opere ad essere bruciate: perché "temerarie, scandalose, empie, tendenti a distruggere la religione cristiana e tutti i governi" (Nota biografica [non firmata, ma di Alatri], ivi, 80). 50. lb. 51. Ivi, 734 (L I, c. VII, Il corpo sovrano). 52. !storie.fiorentine (I. VII, c. I), in Opere, a c. di M. Bonfantini, Ricciardi, Milano-Napoli 1954, 875 (parte IV). Il volume è il XXIX della collana La letteratura italiana. Storia e testi, diretta da R. Mattioli, P. Pancrazi, e A. Schiaffini. Le !storie fiorentine, in otto libri, furono completate nel 1525 e in quell'anno presentate da Machiavelli a Giulio de' Medici, nel frat~ tempo divenuto Papa col nome di Clemente VII.
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zione di Machiavelli 53 • La citò a sostegno della sua tesi: "Per avere la vera espressione della volontà generale è [ ... ] necessario che non ci siano nello Stato società parziali, e che ogni cittadino ragioni soltanto con la propria testa. [ ... ] Se poi vi sono società parziali, bisogna moltiplicarne il numero e prevenirne l'ineguaglianza" 54 . A un unico patto lo Stato può ammettere l'esistenza di "società parziali": a patto che ce ne siano tante e ciascuna goda delle prerogative che spettano alle altre, in ossequio al principio del pluralismo e della competizione. Lo Stato rimane al di sopra delle "società parziali". Nell'esercizio del potere, non tiene assolutamente conto dell'eventuale stratificazione della società in "società parziali", in gruppi o classi: ogni atto di sovranità, vale a dire ogni autentico atto della volontà generale) obbliga o favorisce ugualmente tutti i cittadini; in modo che il corpo sovrano conosce solo l'insieme della nazione, e non distingue nessuno di quelli che la compongono. Che cos'è dunque propriamente un atto di sovranità? Non è una convenzione tra il superiore e l'inferiore, ma una convenzione tra il corpo e ciascuno dei suoi membri 55 .
Critico del contrattualismo e di Rousseau, Hegel incorre nell'incidente in cui spesso i critici incorrono: restare contagiati dalla dottrina che viene sottoposta a critica. Da Rousseau, Hegel desume l'idea che nell'ambito dello Stato non c'è conflittualità. Lo Stato è, sul piano mondano, la meta finale dello spirito. È sintesi, "sostanza etica consapevole di sé" 56 . La società civile è dominata dalla ricerca del tornaconto. Lo Stato instaura invece l'idem sentire de republica, fonda la pienezza del vivere. L'individuo ha oggettività, verità ed eticità, soltanto in quanto è componente dello Stato. L'unione, come tale, è essa stessa il vero contenuto e il vero fine, e la destinazione degli individui è di condurre una vita universale; l'ulteriore loro particolare appagamento, attività e comportamento ha per suo
53. Il contratto sociale, 743, n. a (1. II, c. III, Può errare la volontà generale?). In questa edizione, il brano di Machiavelli è così riportato: "quelle nuocono che sono dalle sette e da partigiani accompagnate: quelle giovano che senza sette, senza partigiani si mantengono". Errato è poi il rinvio: "Hist[.J Fiorent., l. L, c. VII". 54. !b. 55. Ivi, 746 (I. II, c. IV, I limiti del potere sovrano). 56. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, t. di B. Croce, Laterza, Bari 1963 4 , 473 (§ 535). Ho reso in corsivo le parole che nel testo hegeliano e nella traduzione di Croce sono spaziate. Sul frontespizio di questa edizione (ivi, III), i nomi di Hegel sono stati italianizzati e siglati: G.G.F. Ma anche nella pagina precedente il frontespizio, dove si dà il titolo originale dell'opera, Enryclopadie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, compare la medesima sigla, anziché quella di G. W.F.
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punto di partenza e per risultato questa sostanzialità e validità universales1.
E come per l'individuo, per il popolo. Un popolo che non abbia uno Stato, che non sia Stato, è destinato a rimanere massa rozza e ferina. E prima o poi, a disperdersi: L'aggregato dei privati suole spesso essere chiamato il popolo, ma, preso siffatto aggregato come tale, si ha vulgus, non populus; e, per questo rispetto, l'unico scopo dello Stato è, che un popolo non venga all'esistenza, al potere e all'azione, in quanto è aggregato. Siffatta condizione di un popolo è la condizione dell'ingiustizia, dell'immoralità, dell'irrazionalità in genere: il popolo sarebbe in sé stesso soltanto come un potere informe, selvaggio, cieco) quale è quello del mare eccitato ed elementare, il quale tuttavia non distrugge sé stesso, come il popolo - che è elemento spirituale -
farebbe 5 8 • Lo Stato è lo Stato delle corporazioni, delle classi diventate corporazioni. Nello Stato, il singolo "non deve mai apparire e operare in guisa informe e inorganica, cioè movendo dal principio della pluralità e della moltitudine" 59 . La corporazione trasforma gli interessi particolari in fini universali. L'universalità si innalza sulla particolarità, però non può prescinderne. La particolarità può esistere senza l'universalità, però a condizione di indugiare nel prosaico, prigioniera di un labirinto in cui dominano la sopraffazione e l'inganno. Nella corporazione, come nei rapporti tra le corporazioni, gestire i propri affari significa gestire gli affari del mondo: "L'interesse particolare deve, veramente, non esser messo da part~, o essere affatto soppresso, ma deve esser posto in armonia con l'universale, per cui conseguirà se medesimo e l'universale" 60 . La dialettica vive così nella coesistenza degli arbitri, nella concordia discorde. Ed è una dialettica in cui ancora soffia lo spirito del liberalismo. In quanto corporazioni, le classi assolvono a un compito di mediazione. Mediano tra il governo e il popolo. E la mediazione, la Vermittlung, non è il togliere o il superare conservando, l'Auf57. Lineamenti difilosefia del diritto, 213 (§ 258, ann.). Ho usato ancora il corsivo al posto della spaziatura. 58. Enciclopedia delle scien;:.e filosefiche in compendio, 483 (§ 544, ann.). Ancora corsivo al posto della spaziatura. Ho corretto la traduzione di Croce, adeguandomi però alla sua abitudine di accentare "sé stesso", nel seguente punto: "il popolo sarebbe in sé stesso soltanto come un potere informe". Il testo originale è: "das Volk wiire in demselben nur als eine unformiliche [... ] Gewalt" [Enzyklopiidie der philosophischen Wisscnschaflen im Grundrisse, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1970, III, 341 (voi. X dei Werke, a c. di E. Moldenhauer e K. Markus Miche!)]. La traduzione di Croce non rende appropriatamente l'espressione "in demselben": "il popolo sarebbe in esso soltanto come un potere informe". 59. Ivi, 484 (§ 544, ann.). 60. Lineamenti di filosofia del diritto, 220 (261, ann.).
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hebung. È il conservare non togliendo e non superando. Mediazione nel senso etimologico del termine. Mediazione come mezzo. E mezzo per strappare un momento dello spirito alla determinatezza di estremo, di negatività o di antitesi, e per renderlo organico alla stabilità dello Stato. Nello Hegel dei Lineamenti di filosefia del" diritto (e dell'Enciclopedia), la forza del negativo si riduce a un "pregiudizio" non appena si parla dello Stato: rientra nel pregiudizio, frequente ma sommamente pericoloso, di concepire le classi principalmente dal punto di vista dell'antitesi verso il governo, come se questa fosse la loro posizione essenziale. Assorbito organicamente, cioè nella totalità, l'elemento delle classi si dimostra soltanto, mercé la funzione della mediazione. Quindi, l'antitesi stessa è degradata ad apparenza. Se essa, in quanto ha la sua manifestazione, non toccasse semplicemente la superficie, ma divenisse realmente un'antitesi sostanziale, lo Stato andrebbe incontro alla sua rovina 6 1 .
La conflittualità riemerge per un attimo nei rapporti tra gli Stati, nei casi in cui si rende necessario il ricorso alla guerra. C'è un "diritto statale interno": è il diritto che fonda l'unità dello Stato e la sua sovranità 62 . Ma c'è pure un "diritto statale esterno": è il diritto internazionale, dove il principio che i trattati vanno rispettati si presenta nella forma del dover essere e pertanto non si realizza immancabilmente, non si traduce immancabilmente nella forma dell"essere 63 • "Lo stato di pace tra uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura (status naturalis). Questo è piuttosto uno stato di guerra, nel senso che, se anche non vi sono sempre ostilità dichiarate, è però continua la minaccia che esse abbiano a prodursi. Dunque lo stato di pace dev'essere istituito". Così Kant in un saggio del 1795, Per la pace perpetua 64 • Il titolo del saggio, aveva avvertito Kant, era desunto da un'iscrizione satirica posta da un olandese sull'insegna della sua osteria, a commento di un dipinto raffigurante un cimitero 65 . E Kant voleva dire: la pace perpetua, è in vita che bisogna cercarla, attuarla e difenderla. Hegel è di avviso diverso. Rovescia il pensiero di Kant: sulla terra, la pace perpetua non è possibile, perché equivarrebbe alla morte in vita. Quello di Kant è un sogno mal sognato. Presuppone che ci sia un arbitro al di sopra dei singoli Stati 66 • E presuppone altresì 61. Ivi, 263-4 (§ 302, ann.). Ancora corsivo al posto della spaziatura. 62. lvi, 218 s. (§ 260 s.). 63. lvi, 282 s. (§ 330 s.). 64. T. di G. Solari, in Scritti politici e dì filosofia della storia e del diritto, a c. di N. Bobbio, L. Firpo, e V. Mathieu, Utet, Torino 1971 (rist. della II ed. agg.), 291 (parte II, /I). La citazione è tratta dalla s. II, Contenente gli articoli definitivi per la pace perpetua tra gli Stati. 65. lvi, 283 (da un breve proemio senza titolo, scritto in corsivo). 66. Lineamenti di.filosofia del diritto, 284 (§ 333, ann.).
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l"' accordo unanime" tra gli Stati, l' Einstimmung: che è cosa dipenden-· te da ragioni contingenti, dunque "affetta da accidentalità" 67 • La guerra non è tuttavia la condizione fisiologica del diritto internazionale. E una "condizione di non~giuridicità ", un che di "transitorio" 68 • Nella guerra è contenuta la possibilità della pace. E attraverso la guerra e la pace, ogni singolo Stato diviene strumento di una storia che si avvale degli antagonismi per consentire all'idea di splendere nella sua pienezza: I princìpi degli spiriti nazionali, a causa della loro particolarità, nella quale essi, in quanto individui esistenti, hanno la loro realtà oggettiva e la loro autocoscienza; sono, in generale, limitati, e i loro destini e i loro fatti, nel loro rapporto degli uni verso gli altri, sono la dialettica fenomenica della finità di questi spiriti, sulla base della quale, si produce appunto lo spirito universale, Io spirito del mondo, come illimitato, parimenti in quanto è esso che esercita il suo diritto, - e il suo diritto è il più alto di tutti, - su di essi, nella storia universale, in quanto giudizio universale 6 9 .
Hegel ha in mente Schiller: "Con pari amore io amo i miei bambini!" esclamò invisibile un genio. "Due fiori", gridò, "o umani bambini, due fiori, ascoltate, fioriscono per chi saggiamente li trova, e si chiamano speranza e piacere. "Chi di questi fiori ne spezzò uno, l'altro non lo desideri. Goda chi non può credere. Eterna come il mondo è questa teoria. Chi può credere, rinunci. È la storia del mondo il giudizio universale" 70 • 67. !b. Ho usato ancora il corsivo al posto della spaziatura. Nella traduzione di Messineo c'è una deplorevole svista: la parola "Einstimmung" è resa come "umanità". E senza l'originale sott'occhio non è facile accorg'ersi che di "u~nimità" Hegel parlava. Per il testo tedesco, rinvio all'edizione critica curata da K.-H. Ilting: Die "Rechtsphilosophie" von !820 mit Hegels Vorlesungsnotizen !821-1825, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1974 (vol. II delle Vorlesungen Uber Reditsphilosophie 1818-1831). Il § 333, con la relativa annotazione, è a p. 800 [339]. In questo volume, i frontespizi con i titoli originali dell'opera di Hegel, si trovano a p. 54: Naturrecht und Staatswissensdwfl im Grundrisse, e a p. 55: Grundlinien der Philosophie des Rechts. 68. lvi, 286 (§ 338). 69. Ivi, 287-8 (§ 340). Ho reso in corsivo le parole che nel testo di Hegel sono spaziate. E sulla base di Ilting, II, 804 [343], ho corretto la traduzione di Messineo: "s'pirito universale", anziché "spirito universale"; e "spirito del mondo", anziché "spirito del mondo". 70. Resignation (1784), in Werke, a c. di L. Bellermann, Bibliographisches Institut, Leipzig s.d., I, 74-5. Ho reso in corsivo le parole che nel testo sono spaziate. In questo volume, la poesia reca H n. 30. I versi citati sono 76-85. Il verso 85 è: "Die Weltgeschichte ìst das Weltgericht". Avrei potuto tradurre: "La storia del mondo è il giudizio universale". Ma credo che così non sarei riuscito a rendere la funzione di predicato che ha "Weltgeschichte", e quella di soggetto che ha "Weltgericht". Le parole del "genio invisibile" continuano ancora
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E di Schiller ha in mente il tentativo di fondare, in polemica con Kant, l'unità tra natura e spirito, tra l'uomo fisico, dominato dai bisogni, e l'uomo morale, spinto dalla libertà ad affermarsi. Die Lehre ist ewig wie die Welt: Hegel è d'accordo. Solo che l'eterna unità del mondo, e dell'io nel mondo, non va cercata nella poesia, dove Schiller l'aveva cercata. Hegel pensa allo Stato. E sostiene che nella storia universale, nella Welfgeschichte che è al contempo Weltgericht, l'antitesi in sé è svanita in una figura senza traccia; il presente ha sfrondato la sua barbarie e il suo arbitrio ingiusto, e la verità il suo al di là e il suo potere accidentale: sì che è avvenuta oggettivamente la vera conciliazione, che dispiega lo Stato a immagine e a realtà della ragione 71 •
Anche nella politica tra gli Stati la dialettica è dialettica di contrari non contraddittori. A differenza della società civile, lo Stato non tollera mai la dialettica della contraddizione. 4. Stato e antagonismi in Marx
Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, scritta presumibilmente a Kreuznach nell'agosto del '43, Marx ferma l'attenzione sullo spirito oggettivo. Sua convinzione è che la tesi e l'antitesi non sono momenti astratti o allegorie che acquistano concretezza unicamente nella sintesi, nel!' eticità: la divisione dello Stato in famiglia e società civile è ideale, cioè necessaria, appartiene all'essenza dello Stato; famiglia e società civile sono parti reali dello &.tato, reali esistenze spirituali della volontà, modi di esistenza dello Stato; famiglia e società civile si fanno esse stesse Stato. Esse sono l'agente. Secondo Hegel esse sono, al contrario, agite dall'idea reale: non è la loro propria vita che le unisce allo Stato, ma è al contrario la vita dell'idea ad averle prodotte da sé; e invero esse sono [la] finità di questa idea; esse debbono la loro esistenza ad uno spirito altro dal loro; esse sono determinazioni poste da un terzo, non sono affatto autodeterminazioni; perciò sono anche determinate, in quanto "finità ", come lafinità propria dell' "idea reale" 72 . per-.pltri cinque versi. Ho perciò provveduto ad apporre virgolette di chiusura nel momento in cui ho interrotto la citazione. 71. Lineamenti difilosefia del diritto, 298 (§ 360). Ancora corsivi al posto delle spaziature. Sulla base di I!ting, II, 815 e 816 [354], ho corretto la traduzione di Messineo: "Gestalt" significa "figura", non "apparenza"; e "die Gegenwart" è "il presente", non "l'attualità". 72. [Dalla critica della.filosefia hegeliana del diritto. Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico(§§ 261-313)], t. di G. della Volpe, riv. da N. Merker, in Marx, Engels, Opere, III, 9. Il manoscritto si compone di trentanove fogli, numerati da II a XL Manca del primo foglio, e al foglio XL si interrompe. Fu pubblicato nel 1927.
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Per Marx, lo Stato sorge dalla società civile, dall'economia. La società civile, l'economia, è la condizione, il determinante, il producente, e lo Stato è il condizionato, il determinato, il prodotto. In Hegel, i termini del rapporto sono invece capovolti: la condizione viene posta come il condizionato, il determinante come determinato, il producente come prodotto del suo prodotto; l'idea reale si umilia nella "finità" della famiglia e della società civile soltanto per produrre e godere - dal superamento di essa finità - la sua infinità 73.
Pure in questioni filologiche Marx trova motivi filosofici per prendere le distanze da Hegel, e dalla sua teoria politica in specie. Da Londra, in una lettera a Engels datata 25 marzo 1868, Marx cita un passo contenuto nella Germania di Tacito: "arva per annos mutant, et superest ager" 74 . E traduce e postilla: "essi scambiano i campi (arva) (mediante sorteggio, dal che più tardi sortes in tutte le leges barbarorum) e rimane la terra comune (ager in contrapposizione ad arva come ager publicus) " 75 . Si lamenta poi ·della traduzione di J acob Grimm e di altri, così riassumendola con un po' d'ironia: "ogni anno coltivano campi nuovi, e rimane sempre ancora della terra (non coltivata)!" 76 . E si lamenta che Grimm e altri abbiano sostenuto che "i tedeschi si sono sempre stabiliti come associazioni di stirpi e non come singoli", sulla base di un brano del De bello gallico: "gentibus congnationibusque hominum, quique una coierunt" 77 . Queste cattive traduzioni risentono, per Marx, dell'influenza conservatrice di Justus Moser, pubblicista, storico 73. /b. 74. K. Marx, F. Engels, Opere, XLIII, a c. di M. Montinari, Editori Riuniti, Roma 1975, 58. Nella Nota dell'editore (ivi, VIII), si avverte che la traduzione della prima parte del volume, concernente il cai:teggio tra Marx ed Engels, "è quella di Sergio Romagnoli e Emma Cantimori Mezzomonti pubblicata nel 1951 dalle Edizioni Rinascita [... J, riveduta e corretta secondo il [... ] testo dei MEW, voi. 32". In questo epistolario, la lettera citata reca il n° 29. Il brano di Tacito è così riportato da Marx: "arva per annos mutant, et superest ager ". E i corsivi sono di Marx. Ho presente la Germania (cap. XXVI, 20), in Opera minora, a c. di H. Furneaux, E Typographeo Clarendoniano, Oxonii 1962 (rist. dell'ed. riv. daJG.C. Anderson nel 1939, senza numerazione delle pagine). Per una traduzione della Germania, rinvio a quella di C. Giussani, in Opere, Einaudi, Torino 1977 (rist. della II ed.), 825-54. Ii brano è a p. 840: "Mutano zona ogni anno, e pur sempre sovrabbonda la terra coltivabile". Le traduzioni di Giussani contenute in questo volume, che comprende anche gli Annali, Le storie, la Vita di Giulio Agricola, e il Dialogo degli oratori, erano già apparse presso Mondadori. 75. /b. 76. /b. 77. lb. Marx cita così da Cesare: "gentibus cognationibusque, qui uno coierant". Per l'originale (I. VI, c. XXII), ho presente La guerra gallica, t. di G. Lipparini, con testo a fronte, Zanichelli, Bologna 1971, 250. Lipparini traduce (p. 251): "alle famiglie e alle parentele e a
quanti si uniscono in società". Una variante, per la mancanza della virgola, reca La guerra gallica edita nelle Opere, a c. di R. Ciaffi e L. Griffa, t. dì L. Griffa, con testo a fronte, Utet, Torino 1973 (II ed. riv.), 298: "gentibus cognationibusgue hominum quique una coierunt". A p. 299, la traduzione: "a complessi d'uomini d'una stessa stirpe e ad altri che siano uniti in società".
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dell'illuminismo e uomo di Stato. E Marx ricorda l'entusiasmo con cui Moser affermava che "presso i tedeschi non è mai esistita la 'libertà', bensì il fatto che 'l'aria rende padroni'" 78 . La conclusione è che lo stesso lessico filosofico è da rivedere filologicamente. Innanzitutto, il lessico hegeliano: che cosa direbbe il vecchio Hegel se sapesse nell'aldilà che l'Universale in tedesco e in nordico non significa altro che la terra comune, e il Sundre particolare, null'altro che la proprietà particolare separata dalla terra comune? Ecco che davvero, maledizione, le categorie logiche provengono dal '' nostro commercio,' 7 9.
L'eredità di Hegel, consapevole e inconsapevole eredità, però resta. Nel descrivere lo Stato, Marx è hegeliano. Lo considera un blocco .monolitico. E lo Stato è questo blocco monolitico perché la classe dominante trova la sua unione nell'opporsi alla classe dominata e nel soggiogarla con una nuova catena, con la catena dell'egemonia politica. Lo Stato "è la forma in cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro interessi comuni" 80 . Solo per un momento lo Stato rappresenta tutta la società: quando il proletariato lo conquista e in nome di tutta la società fa compiere allo Stato l'ultimo suo atto in quanto Stato, la soppressione dei mezzi privati di produzione. Successivamente, si ha l'estinzione dello Stato. Chiarisce Engels, nell'Anti-Duhring: L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo [... ] in ogni campo e poi viene meno da se stesso. Al posto del governo sulle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene "abolito": esso si estingue 81 .
,·
5. Dallo Stato allo spirito assoluto: eternità del "cominciamento"
Secondo Hegel, la scomparsa dello Stato implica il trionfo dell'arbitrio, il ritorno alla società naturale: 78. /b.
79. lvi, 58-9. "Sundre" è parola del tedesco antico e significa "particolare". 80. L'ideologia tedesca (voi. I: I. Feuerbach. Antitesifra concei!,Ìone materialistica e concezione idealistica [4], § Rapporto dello Stato e del dirillo con la proprietà), 76.
81. K. Marx, F. Engels, Opere, XXV, a c. di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1974, 270. L'Anti-Diihring apparve sul Vorwiirts, organo centrale del Partito socialdemocratico tedesco, tra il 3 gennaio 1877 e il 7 luglio 1878. Sempre nel 1878, gli articoli furono poi raccolti in volume. Nella Nota dell'editore (p. VII), si avverte che la traduzione di G. De Caria, Edizioni Rinascita, Roma 1950 (più volte ristampata dagli Editori Riuniti), "è stata interamente riveduta", e si sono riportate in nota le varianti e le aggiunte introdotte da Engels nei tre capitoli da lui pubblicati autonomamente, nel 1880, come opuscolo: L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza. La citazione è tratta dal c. II della s. III. Il c. X della s. II, 217-44, fu scritto da Marx, e concerne la storia critica dell'economia politica.
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Nell'esistenza di un popolo lo scopo sostanziale è di essere uno Stato e di mantenersi come tale:. un popolo senza formazione st_atale (una nazione come tale) non ha propriamente storia; senza storia esistevano i popoli prima della formazione del loro Stato, e altri anche ora esistono, come nazioni selvagge s 2 •
Ma la scomparsa dello Stato non è il suo trascendimento. La scomparsa dello Stato è l'extremus, il catastrofico, dove l'ente si ribalta nel niente e dal niente un nuovo ente non sorge. Il trascendimento dello Stato è l'exterior. Un superlativo l'extremus, un comparativo l'exterior. L'arte, la religione e la filosofia rappresentano un comparativo di maggioranza rispetto allo Stato: sono un più in cui il meno è contenuto e trasvalutato. L'eticità avverte infatti il bisogno di innalzarsi "al di sopra della propria realtà" 83 . E nel soddisfacimento di questo bisogno, il sapere diventa sapere di sapere, autocoscienza. "Il perfezionamento dell'eticità a libera autocoscienza e il destino del mondo etico sono [... ] l'individualità andata in se stessa, l'assoluta leggerezza dello spirito etico che ha risolto in sé tutte le solide distinzioni del suo sussistere e le masse della sua articolazione organica, e, di sé completamente sicuro, è giunto alla gioiosità illimitata e al più libero godimento di se stesso" 84. La storicità non si è dissolta nello Stato, si è momentaneamente arrestata. Lo Stato è "certezza", non chiusura, è un fine, non una fine. E la "certezza" dello Stato è per giunta la "certezza dell'ambiguo", come un asse che è stabile in quanto asse e invece non è più stabile quando poggia in altalena su un altro asse: Questa certezza semplice dello spirito in se stesso è l'ambiguo: cioè quieto sussistere e solida verità, e nello stesso tempo assoluta inquietudine e il morire dell'eticità. Ma essa si muta in quest'ultimo; perché la verità dello spirito etico è ancora soltanto quella sostanziale essenza e fiducia in cui il Sé non si sa come singolarità libera, e che perciò va a fondo in questa ,interiorità o nel liberarsi del Sé. Essendo dunque spezzata la fiducia e in sé rotta la sostanza del popolo, lo spirito che era il medio di estremi privi di consistenza è ormai venuto fuori nell'estremo dell'autocoscienza che si coglie come essenza. Questa autocoscienza è lo spirito in sé certo che 82. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, 490 (§ 549, ann.). Ho usato il corsivo per le parole spaziate. Ho poi corretto la traduzione di Croce: "formazione statale" (Staatsbildung), anziché "formazione politica"; "i popoli prima della formazione del loro Stato" (die Vò'lker vor ihrer Staatsbildung), anziché "i popoli prima della formazione dello Stato" [Enzyklopiidie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, III, 350). 83. Fenomenologia dello spirito, II, 218 ([CC, La religione], c. VII, § B: La religione artistica [30]). Ma ho corretto la traduzione di De Negri: "al di sopra della propria effettualità". L'originale è: "iiber seine Wirklichkeit" (Phiinomenologie des Geìstes, 513). 84. lb.
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rimpiange la perdita del suo mondo e che ora produce la sua essenza, -
elevata al di sopra della realtà, - soltanto dalla purezza del Sé 85 . Nel dominio dello spirito assoluto, la filosofia riscatta l'immediatezza dell'intuizione artistica e trapassa l'universalità della religione. È l'approdo a cui è pervenuta l'idea nella sua storia romanzata, in quel lungo e tortuoso cammino che l'ha impegnata nella riappropriazione del suo essere e del suo esserci, dopo che si è estraniata nella natura ed è riemersa nel primo baluginare.del discernimento e del giudizio. Con la filosofia, l'avventura dell'idea pare concludersi, il luogo di partenza e il luogo di arrivo paiono congiungersi in un circolo: "La scienza è, per tal guisa, tornata al suo cominciamento" 86 • Ma la conclusione si rivela fittizia, ilfactum cede alfieri. Il sapere filosofico è l'ultima figura o incarnazione dell'idea, non una strada senza uscita. "La coscienza soggettiva dello spirito assoluto è essenzialmente in sé processo" 87 • Al di là della filosofia, l'idea non trova altri possibili modi per manifestarsi. Tutti i possibili modi, li ha percorsi. E ogni volta deve ripercorrerli, perché da cose inerti spuntino epifanie. L'idea non riposa nell'alienazione completa di se medesima, non si ferma al contingente e al molteplice, ma neppure si esaurisce nel solitario ritrarsi all'interno dell'autocoscienza, nell'annullamento delle differenziazioni. L'idea si distende tra i due poli dell'essere jùori di sé e dell'essere in sé e per sé. Vive nella continua tensione tra il bisogno di calarsi nel finito e il bisogno di risorgerne. E l'idea è questa vita in quanto supera le antitesi esistenti e ne pone di nuove, grazie alla dialettica. L'unità dell'idea si costruisce sulle antitesi e sul superamento delle antitesi. Ed è un'unità che sembra indugiare nella quiete, mentre la quiete simboleggia solo che l'idea non si è frantumata a tal punto da non potersi, più ricomporre, simboleggia che l'idea si frantuma pur rimanendo idea. Né l'Io ha da irrigidirsi nellaforma dell'autocoscienza in contrasto alla forma della sostanzialità e dell'oggettività, quasi che abbia paura della sua alienazione; - ché anzi la forza dello spirito consiste nel restare eguale a se stesso nella sua alienaziorte e, come è in sé e per sé essente, nel porre .l'esser-per-sé nonché Pesser-in-sé altrettanto come momento; - né l'Io è un 85. Ivi, 218-9 ([30]). Ho così corretto la traduzione di De Negri: "Questa certezza semplice dello spirito in se stesso è l'ambiguo" (Diese eùifaclu Gewissheit des Geistes in sich ist das Zweideutige), anziché "Questa certezza dello spirito in se stesso è ambigua"; "la sostanza del popolo" (die Substanz des Volks), anziché "la sostanza della nazione"; "al di sopra della realtà" (iiber die W}rklichkeit), anziché" al di sopra dell'effettualità"; e ho scritto in tondo "Sé", in tondo essendo scritto "Selbst" [Phiinomenologie des Geistes, 513 e 5!4). 86. Enciclopedia delle scienzefilosefìche in compendio, 528 (§ 547). 87. lvi, 504 (§ 555).
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terzo che respinge le differenze nell'abisso dell'assoluto per proclamare in questo la loro eguaglianza; anzi il sapere consiste piuttosto in questa apparente inerzia la quale soltanto contempla come il distinto si muove in lui stesso e ritorna nella sua unitàss.
La dialettica comporta un nascere e un morire) però non nasce e non muore. È una costante del mondo umano. Dalle ceneri della sua dissoluzione, è sempre pronta a rimettersi in gioco. La storia non è perciò storia sacra. È aperta all'imprevedibile: "la storia [ ... ] è il farsi che si attua nel sapere e media se stesso, - è lo spirito alienato nel tempo; ma questa alienazione è altrettanto l'alienazione di se stessa; il negativo è il negativo di se stesso" 89 . Con la filosofia, l'idea "ha [ ... ] chiuso il movimento del suo figurarsi" 90 • Dopo la filosofia, la storicità riprende. La filosofia è l'ultima figura in cui l'idea può manifestarsi, non l'ultima figura in cui si manifesta. Il divenire presenta così un torpido movimento e una successione di spiriti, una galleria d 'immagini ciascuna delle quali, proweduta della completa ricchezza·dello spirito, si muove con tanto to.rpore proprio perché il Sé ha da penetrare e da assimilare tutta questa ricchezza della sua sostanza 9 1 .
Eine Galerie von Bildern: come un museo che raccoglie i monumenti della sofferenza e della gioia, i geroglifici dove sono segnate le umiliazioni e le rivincite dell'idea. Ciò che muta sono i contenuti, gli elementi strutturati. Ciò che resta fermo sono gli elementi strutturanti, le tappe che conducono dalla logica alla filosofia attraverso il processo dell'estraniazione e del superamento dell'estraniazione. Nell'unità di varianza e invarianza, l'idea è perenne storicità e dialettica. Il pensiero, il Denken, è storico ed è dialettico perché si accompagna al ripensare, al ricordo, alla memoria, all'Erinnerung, all'Andenken: Nel suo insearsi lo spirito è calato nella notte della sua autocoscienza; ma ivi è conservato il suo dileguato esserci; e questo tolto esserci, - quello di prima, ma rinato or ora dal sapere, - è il nuovo esserci, un mondo nuovo e una nuova figura spirituale. In essa e con la sua immediatezza, lo spirito ha da ricominciare da principio, in modo altrettanto fresco, e da 88. Fenomenologia dello spirito, II, 302 ({DD, Il sapere assoluto], c. VII, § [La scienza come autocoscienza del Sé] [17]). La traduzione di De Negri reca: "in sé e per sé essente". Ho restituito all'espressione la grafia in tondo, sulla base della Phdrwmenologie des Geùtes, 588. 89. Ivi (§ [Lo spirito concepito, nel suo ritorno all'immediatezza nell'elemmto dell'esserci] [21]), 304.
90. lvi, 302 ([18]). 91. lvi, 304 ([2 I}). Rispetto alla .traduzione di De Negri, ho reso in tondo" Sé" perché in tondo è "Selbst", e ho preferito nel contesto del brano il verbo "assimilare" al posto di "digerire" come corrispondente di "verdauen ": Ph&nomenologie des Geistes, 590.
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farsi grande partendo da essa, come se tutto ciò che precede fosse per lui perduto, ed esso non avesse imparato nulla dall'esperienza degli spiriti antecedenti. Ma la memoria li ha conservati ed è l'interno e la forma, in effetto più elevata, della sostanza. Se dunque questo spirito ricomincia da principio la sua cultura sembrando prender le mosse soltanto da sé, tuttavia esso comincia in pari tempo da un grado più alto. Il regno degli spiriti che in questo modo si è foggiato nell'esserci, costituisce una successione in cui uno spirito ha sostituito l'altro e ciascuno ha preso in consegna dal precedente il regno del mondo 92 •
Hegel si serve di un gioco di parole: "die Er-Innerung [... ] ist das Innere [... ] der Substanz" 93 • La memoria è un raggiungere l'interno l'lnnere, è un andare al fondo. Il prefisso er, nel suo valore semantico del "conseguire uno scopo", per questo viene messo in evidenza. È il problema del cominciamento: al/es ist in seinen Anfang zuriickgegangen. Hegel lo risolve insistendo sullo storicismo, che non è attimismo, fluire di momenti irripetibili. Nella permanenza delle figurazioni dell'idea, dentro la galleria di immagini, la vita si rinnova mescolando continuità e rottura. La filosofia che contempla la sua odissea: è là il morire, è là il nascere. L'uccello di Minerva inizia il suo volo al crepuscolo 94 • Ma vola fino al chiarore dell'alba. L'alba è il tempo della possibilità, della speranza, della creazione, quando le cose non sono diventate ancora abitudini. Un tempo, questo, che nella letteratura di lingua tedesca troverà in Hofmannsthal un cantore d'eccezione: Sul pallido orlo del cielo si posa e trema, Iri sé involuto, il temporale. P.ensa il malato: "È giorno! Ora potrò dormire"
E serra le calde palpebre. Nella stalla La vitella protende le forti narici Al fresco odore del mattino. Mentre nel bosco muto S'alza il sudicio vagabondo
Dal morbido letto di foglie dell'altr'anno: Raccatta e getta a caso con mano spavalda una pietra Verso una colomba, che svolazza ebbra di sonno,
Ed ha orrore di sé quando la pietra cade Sorda e pesante a terra. L'acqua scorre, Al seguito della notte, che è scivolata via, sembra voglia Nell'oscurità gettarsi: impartecipe, selvaggia,
Via in un gelido soffio. [... ] 92. Ivi, 304-5 ([21]). 93. Phiinomenologie des Geistes, 59 l. 94. Lineamenti difilosofia del diritto, 17 (pref.).
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[... l Ma ecco s'apre la porta della stalla -
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ed ora è anche giorno 9 5 •
Land è la terra. Streichen è l'andare. Nun im stummen Wald hebt der Landstreicher ungewaschen sich auj weichem Bett vo,jiihrigen Laubes auf. Il Landstreicher è il vagabondo, nel senso di colui che va di terra in terra. Il luogo del vagabondare è così la strada. Sulla strada, il vagabondare è senza fine. Al pari dello scorrere dell'acqua. Nun rennt das Wasser, als wollte es der Nacth, der fortgeschlichnen, nach ins Dunkel stiirzen, unteilnehmend, wild u~d kalten Hauches in. La storicità ne esce rafforzata. La storicità con·quistata dalla filosofia idealistica contro l'illuminismo. Conquistata in specie da Hegel: "Ogni filo d'erba, ogni albero ha [... ] la sua storia, un cambiamento, una successione e una totalità conchiusa di condizioni differenti. Questo ancor più avviene nell'ambito dello spirito, che può essere manifestato in maniera esauriente come spirito reale, apparente, solo se ci viene rappresentato come un simile processo" 96 •
6. Comunismo e storicità Perché l'economia volgare, l'economia che rimugina cose già dette, è da respingere? Marx risponde: perché dei rapporti borghesi coglie unicamente il "nesso apparente" 97 • Perché l'economia classica, l'economia che ha inizio con gli studi di William Petty, merita attenzione? Marx risponde: perché dei rapporti borghesi coglie il "nesso interno" 98 • La scheinbare Zusammenhang non conta. Conta l'innere Zusammenhang, chç corrisponde poi all'hegeliano lnnere der Substanz. Ma quali i limiti dell'economia classica? Ancora Marx: l'uso di un metodo astorico, con la conseguente eternizzazione del mondo capitalistico concepito come il migliore dei mondi possibili. Ricardo, per primo. Marx lo elogia e lo critica. L'elogio: "Ricardo seziona l'economia borghese, che nelle sue profondità ha un aspetto del tutto diverso da quello che presenta alla superficie, con tanto acume teorico che Lord Brougham poteva dire di lui: 'Mr. Ricardo see95. Prima di giorno (vv. 1-15, 38), in Canto di vita e altre poesie, t. di E. Croce, con testo a fronte, Einaudi, Torino 1975 (rist. della II ed.), 23, 25. In questa edizione, i versi non sono numerati. 96. Estetica, t. di N. Merker e N. Vaccaro, a c. di N. Merker, Feltrinelli, Milano 1963, 1271 (parte III, s. III, c. III,§ 2). Su licenza della Feltrinelli, la medesima traduzione dell'Estetica è stata pubblicata in due tomi da Einaudi, Torino 1976. Per la citazione, II, 1075. La prima edizione einaudiana risale al 1967, e la seconda al 1972. 97. Il Capitale, I. I, t. di D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 19645, 113, n. 32 (s. I, c. I, § 4). Il primo libro del Capitale fu pubblicato nel 1867. 98. lb.
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med as if he had dropped from an other planet "' 99 • La critica: "Ricardo considera la forma borghese del lavoro come la forma naturale eterna del lavoro sociale" 100. È la storicizzazione delle categorie economiche che bisogna compiere. Marx vi provvede attraverso l' "anatomia della società civile" 101. Anzi, con l'occhio rivolto a una determinata società civile: alla società inglese del suo tempo. Al fisico l'esame dei fenomeni fisici "allo stato puro" 102 • All'economista l'esame dei fenomeni economici nel loro contesto storico, impuro per essenza. Il che non esclude comunque il riconoscimento di costanti nella storia dell'economia, a cominciare dal lavoro in quanto produttore di valore, dal processo lavorativo che è processo di valorizzazione. Il sapore del grano non ci dice chi l'ha coltivato: se un selvaggio abituato a uccidere gli animali con un sasso, o un qualsiasi Cincinnato, o uno schiavo impaurito dalla sferza del sorvegliante 103 . Però il grano è sempre frutto del lavoro, e il lavoro è sempre dispendio di energie che si applicano alla natura per ricavarne beni. «Il processo lavorativo [ ... ] è attività finalistica per la produzione di valori d'uso, appropriazione degli elementi naturali pei bisogni umani, condizione generale del ricambio organico fra uomo e natura, condizione naturale eterna della vita umana; quindi è indipendente da ogni forma di tale vita e, anzi, è comune egualmente a tutte le forme di società della vita umana" 104 . L'Arbeitspro,:,ess come ewige N aturbedingung des menschlichen Lebens, come unabhiingig von jeder Form dieses Lebens, come gleich gemeinsam allen Gesellschaftsformen. La specificità del capitalismo sta in questo: che il lavoro diventa lavoro salariato, e il bene si stravolge nella merce. L'intreccio di varianza e invarianza: è la lezione di Hegel. E da Hegel, Marx desume anche l'idea che non esiste un arresto della dialettica. Il comunismo non è la conclusione della storia, la scomparsa dello Stato non comporta l'instaurazione dell'eterno presente. Il comunismo è la posizione come negazione della negazione, e perciò il momento reale - e necessario per il prossimo sviluppo storico - dell'umana emancipazione e restaurazione. Il comunismo è la forma necessaria e l'energico principio del prossimo avvenire; ma esso non è come tale il termine dell'evoluzione umana la forma dell'umana società 105 . 99. Per la critica dell'economia politica, t. di E. Cantimori Mezzomonti, Editori Riuniti, Roma 1974 (rist. della III ed.), 42 (c. I, § A, Notizie storiche sull'analisi della merce). L'opera fu pubblicata nel 1859. 100. Ib. IOL lvi, 4 (pref.). 102. Il Capitale, I. I, 32 (pref. alla I ed.). 103. Ivi, 218 (s. Ili, c. V,§ l). 104. !b. Nella traduzione di Cantimori, "processo lavorativo" è scritto in corsivo. Ho corretto sulla base di Das Kapital, Buch I, Dietz, Berlin 1969 14, 198, Questa edizione, curata dall' "Institut fur Marxismus-Leninismus ", è identica al voL XXIII dei MEW. 105. Manoscritti economico-filosofici del 1844, 334 (III ms., § [Proprietà privata e comunismo]).
HEGEL E MARX'. POLITICA E DIALETTICA
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Certo, con la vittoria del movimento operaio, la dialettica tra capitale e lavoro salariato viene meno. E viene meno lo Stato in quanto strumento politico della classe economicamente dominante. Ma la dialettica tra capitale e lavoro salariato è una categoria del divenire storico, la categoria per eccellenza, unicamente all'interno della storia borghese. E Io Stato non è il potere, è solo l'incarnazione borghese del potere. Ciò che non rimane è la dialettica tra capitale e lavoro salariato, come non rimane Io Stato. Ciò che rimane è la dialettica, come rimane il potere. Di classi, e di dialettica tra le classi, si può parlare anche al di fuori dell'economia capitalistica, anche utilizzando concetti politici e non economici, Il primo paragrafo del Manifesto del partito comunista si intitola: Borghesi e proletari. Però comincia: La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta i~interrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta 106.
E nel Capitale, Marx afferma che, "oltre a quello capitalistico", vi sono altri sistemi "che si fondano sull'antagonismo di classe " 107 • Il Klassengegensatz non si esaurisce nel conflitto tra Kapital e Lohnarbeit. Né la divisione della società in classi dipende dalla natura del reddito e dalla fonte del reddito: Che cosa fa sì che gli operai salariati, i capitalisti ed i proprietari fondiari formino le tre grandi classi sociali? A prima vista può sembrare che ciò sia dovuto all'identità dei loro
redditi e delle loro fonti di reddito. Sono tre grandi gruppi sociali, i cui componenti, gli individui che li formano, vivono rispettivamente di salario, di profitto e di rendita fondiaria, della valorizzazione della loro forzalavoro, del loro capitale e della loro proprietà fondiaria 108 .
La divisione della società in classi dipende da un fenomeno pm comprensivo: il fatto che all'operaio spetti il salario, al capitalista il 106. T. di P. Togliatti, in K. Marx, F. Engels, Opere, VI, a c. di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1973, 486. Scritto tra il dicembre 1847 e il gennaio 1848, il Manifesto del partito comunista fu pubblicato nel 1848, a Londra, in lingua tedesca. Dal 3 marzo al 28 luglio dello stes.::o anno comparve sulla Deutsche Londoner Zeitung, organo di stampa di emigrati tedeschi in lotta per l'affermazione dei valori democratici. 107. Il Capitale, I. III, t. di M.L. Boggeri, Editori Riuniti, Roma !9654 (ma il "finito di stampare" reca la data: gen. 1966), 456 (s. V, c. XXIII). Il terzo libro del Capitale fu pubbli~ cato postumo, da Engels, nel 1894. 108. lvi, 1004 (s. VII, c. LII).
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profitto e al proprietario fondiario la rendita, trova la sua spiegazione nella gerarchia tra ruoli di comando e ruoli subalterni. Se così non fosse, nel capitalismo le classi risulterebbero più numerose. E sarebbe legittimo parlare di classi quando, nel medesimo ramo produttivo, si riuscisse a isolare ceti ricchi e ceti meno ricchi, oppure si desse alla divisione del lavoro un significato che non ha. Hier bricht das Ms. ab. Il manoscritto del Capitale si interrompe dopo la seguente esemplificazione: anche i medici [... ] e gli impiegati verrebbero a formare due classi, perché essi appartengono a due d~stinti gruppi sociali, e i redditi dei membri di ognuno di questi gruppi affluiscono da una stessa fonte. Lo stesso varrebbe per l'infinito frazionamento di interessi e di posizioni, creato dalla divisione del lavoro fra gli operai, i capitalisti e i proprietari fondiari. Questi ultimi (... ] divisi in possessori di vigneti, possessori di terreni arativi, di foreste, di miniere, di riserve di pesca 109 .
Borghesia e proletariato sono le uniche classi del capitalismo solo in quanto occupano l'una i ruoli di comando e l'altra i ruoli subalterni, solo in quanto nel capitalismo la dominanza economica coincide con quella politica, e perciò la dominanza politica diventa un mezzo per mantenere in equilibrio una situazione in sé squilibrata. "Io sono": è la frase più semplice, l'unione del sintagma nominale per eccellenza col sintagma verbale per eccellenza, è la frase dell'autoriconoscimento. Nell'autoriconoscersi, il capitalismo aggiunge a questa frase un predicato: "Io sono Stato". Al di là del capitalismo e dello Stato, lnella prospettiva marxiana, la distinzione tra governanti e governati permane. Distinzione, non separazione. Ma di.stinzione sulla quale la dialettica costruisce la sua vita, la vita degli uomini. L'unità nasce sul fondamento della molteplicità. La sintesi ha alle sue spalle la tesi e la negazione della tesi. A sua volta, è negazione della negazione. Gramsci ricorrerà a una bella metafora: "Un'orchestra che fa le prove, ogni strumento per conto suo, dà l'impressione della più orribile cacofonia; eppure queste prove sono la condizione perché l'orchestra viva come un solo 'strumento"' 110 • Il comunismo non è un approdo escatologico. E 109. lh. L'ultimo capitolo (interrotto) del Capitale è intitolato: Le classi. In tutto, una pagina e mezza a stampa. 110. Quaderni del carcere, a c. di V. Gerratana, ~inaudi, Torino 1975, III, 1771. La cita• zione è tratta dal Quaderno 15 (II), 1933: (Miscellanea),§ (13): Problemi di cultura. Feticismo [11 bis]. Nelle Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno,Einaudi, Torino 1966 6 , 158, il brano citato era inserito sotto la sezione Note sparse e sotto un paragrafo intitolato "Contratl· dizioni" dello storicismo ed espresSìoni letterarie di esse (ironia, sarcasmo). Inoltre, era attribuito al Qµaderno XII (22). Le Note sul Machiavelli, sulla• politica e sullo Stato moderno furono presentate come vol. IV dei Quatlerni del carcere.
HEGEL E MARX: POLITICA E DIALETTICA
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Marx non è un teologo. Pure il comunismo ha un proprio tempo. E in questo tempo, una propria dialettica.
Postilla. Ringrazio Vittorio Sainati per avermi offerto l'occasione di tornare su un argomento a me particolarmente caro, sul quale mi sono cimentato molte volte negli anni passati ma sempre in modo piuttosto frammentario. Non solo nei miei scritti. Anche oralmente. Ricordo la polemica avuta con Lucio Colletti all'Incontro internazionale tenutosi a Firenze dal 4 al 5 aprile 1979 sul tema Il pensiero politico contemporaneo: varianti attuali ai modelli classici. L'Incontro era stato organizzato dal Centro analisi relazioni internazionali, dal Centro culturale americano, e dal1' Istituto storico-politico della Facoltà di scienze politiche "Cesare Alfieri", di Firenze. In risposta alla relazione di Colletti, che mi pareva intendesse sancire il definitivo addio alla dialettica dei contrari contraddittori e dare sepoltura a Marx utilizzando Kelsen e nient'altro che Kelsen, intervenni sostenendo l'impossibilità di spiegare I\,1:arx ( e di respingerlo) senza spiegare Hegel (e senza respingerlo). Col titolo Kelsen e la critica xl.et marxismo, la relazione di Colletti fu pubblicata su Mondoperaio, n° 4, apr. 1979, 57-63. Il mio intervento giace ancora nel cassetto: 35 foglietti manoscritti sul recto, a cui metterò mano prima o poi per un saggio "postero", non "postumo", con i superlativi avendo poca confidenza. Il lavoro che qui pubblico è parte di un libro dal titolo (provvisorio) Il pensiero dello Stato. Da Hobbes a Croce, in corso di elaborazione. Ringrazio Luigi Alfieri, Graziano Giovannini e Gianluigi Palombella, che mi hanpo aiutato a rendere più chiare alcune mie idee. La dedica: a mio figlio Enrico, nato il 12 settembre 1982, di notte io insonne per un compagno in die Sonne.
PHILOSOPHIA Philosophical Quarterly of lsrael Editor: Asa Kasher Voi. 12, No. 1-2
Joel I. Friedman Ausonio Marras Tuno Ahaksinen David Annis 1homas Vinci
DavidAnnis George S. Pappas
I.L. Humberstone
Plato's Euthyphro and Leibniz' Law lntentionality Revisited Contextua!ism, A New Theory of Epistemic Justification The Socia! and Cultura! Component of Epistemic Justification - A Reply Gettier Examples, Probability and Inference to the Best Explanation Knowledge and Inference to the Best Explanation - A Reply Non-Inferential Knowledge Scope and Subjunctivity;
Criticai Studies by E.D. Klemke; John F. Post; Aryeh Leo Motzkin, Lynne
M. Broughton; Philip L. Peterson;and Aharon Kantorovich. Subscription rates per year: lndividuals: $15.00, lnstitutions $19.00 Editoria! and Business Adress:
Philosophia 1 Oepartment of Philosophy, Barwllan University, Ramat Gan, Israel
Antonio Ponsetto Il MARX E IL MARXISMO NELLA CRITICA DI MAX WEBER
l. Max Weber, il Marx della borghesia
Nella Akademische Aiztrittsrede del 1895, presentandosi al corpo docente e agli studenti dell'università di Friburgo, Max Weber definì se stesso "membro della classe borghese" e dichiarò di condividere "le prospettive e gli ideali" di questa classe 1 . Alcuni anni più tardi, in una lettera del 6 Novembre 1907 a Robert Michels, ribadì la sua appartenenza al mondo borghese, proclamando di sentirsi un klassenbewussten Bourgeois 2 • L'adesione di Weber agli ideali di vita della borghesia era la risultante a cui l'avevano condotto le analisi da lui compiute sulle tendenze di sviluppo nel mondo occidentale, nel cui contesto il capitalismo rappresentava l'espressione più coerente del processo di razionalizzazione in atto nell'epoca moderna. Esso andava perciò, da un lato, difeso contro le forze tendenti ad abbatterlo e, dall'altro, liberato dai residui d'irrazionalità che ne impedivano l'esplicarsi in direzione emancipativa per l'umanità. Per aver assunto la razionalità capitalistica a modello di sviluppo della razionalità occidentale, Weber è stato definito da Albert Salomon "il Marx borghese" 3 • Nella sua lapidarietà, la definizione di Salomon potrebbe facilmente indurre a pensare che, come Marx è l'apologeta del socialismo, il quale è destinato a sconfiggere e a seppellire definitivamente il mondo borghese, così Weber celebri l'apoteosi del capitalismo, da lui considerato come l'unico antidoto efficace ai mali prodotti dal socialismo. In realtà, l'atteggiamento di Weber nei confronti del marxismo è assai complesso e articolato. Dall'analisi attenta delle sue opere emergono infatti, insieme a nette contrapposizioni con la dottrina marxiana, anche parallelismi e influssi tutt'altro che marginali di essa sul suo pensiero. Come riferisce Eduard Baumgarten nel suo I. M. \Neber, Gesammelte politisclw Schriften (= PS.), TUbingen 1980, 20. 2. W. ~ommsen, Max Weber und die deutsche Politik /890-1920, Tiibingen 1974, l 16. 3. A. Salomon, :\1ax Weber. Die Gesellschaft, "Internationale Revue ftir Sozialismus und Po!itik", III, n° 2, 144.
Teoria 1/1983
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ANTONIO PONSETTO
volume Max Weber, Werk und Person, Weber ebbe a dichiarare, negli ultimi anni della sua vita, che "la probità di un odierno studioso, e soprattutto di un filosofo del nostro tempo, la si può misurare dal modo con cui egli si pone nei riguardi di Nietzsche e di Marx. Chi non ammette l'impossibilità di svolgere il proprio lavoro nei suoi aspetti più decisivi ignorando l'opera di questi due, inganna se stesso e gli altri. Il mondo nel quale viviamo è infatti un mondo coniato in larga misura da Marx e da Nietzsche" 4 • Le linee di convergenza tra Weber e Marx sono state poste in evidenza, in forma lucidamente sintetica, da Karl Li:iwith nel saggio, divenuto ormai classico, Max Weber und Karl Marx 5 • Li:iwith osserva come il capitalismo, in quanto sistema economico-sociale, abbia costituito l'ambito comune dell'analisi sia di Marx che di Weber. Le loro ricerche, volte a chiarire il "destino umano" nel mondo contemporaneo, li hanno condotti a cogliere nelle tendenze di sviluppo del capitalismo lo scatenarsi di una forza distruttiva dell"' uomo" e del "significato" della vita. Mentre, infatti, "nell'assoluta organizzazione razionale dei rapporti di esistem,a" promossa dal capitalismo Weber scorge la minaccia assai prossima che essa si capovolga nell"'irrazionale autocrazia dell'organizzazione", Marx denuncia, da parte sua, il pericolo dell'affermarsi, mediante il capitalismo, del dominio delle cose sull'uomo. Se tuttavia una problematica comune affianca Weber a Marx nel diagnosticare i mali del mondo moderno, una logica divergente li contrappone nell'elaborazione delle soluzioni. La creazione di una società di liberi ed eguali comporta, per Marx, il sùperamento del capitalismo e della razionalità formale che lo sostiene, perché essa è, di fatto, un'irrazionalità sostanziale che manipola e distorce le esigenze proprie dell'uomo 6 . Per Weber, invece, il capitalismo costituisce l'espressione culminante di quel generale processo di razionalizzazione che percorre la storia intera dell'Occidente nel suo itinerario di autoemancipazione dalla schiavitù delle forze occulte. Sebbene, dunque, lungo tale processo si affaccino i pericoli denunciati da Marx, tuttavia "è proprio questa razionalità il luogo della libertà" 7 • Compito del politico e dell'operatore sociale non deve essere perciò quello di rovesciare hegelianamente e marxianamente 4. E. Baumgarten, Max Weber, Werk und Person, TGbingen 1964, 554 Anm. l. Per un'esposizione dettagliata dell'influsso di Marx su Weber e soprattutto per quanto riguarda l'incidenza dei processi economici nella determinazione della vita individuale e sociale, cfr. Mommsen, The Age ef Bureaucracy, 103 s., e G. Roth, Das historische Verhiiltnis der Weberschen Soi:,iologie zum .vfarxismus, in "KOlner Zeitschrift ft.ir Soziologie und Sozialpolìtik ", 20, I968, 432 s. 5. K. LOwith, Max Weber und Karl Marx, in Gesammelte Ahhandlungen. Zur Kritik der geschichtlichen Existenz, W. Kohlhammer, 1960 (t. i., Critica dell'esistenza storica, Napoli 1967, 9-110). 6. Ivi, 20. 7. Ivi, 41.
MARX E IL MARXISMO NELLA CRITICA DI MAX WEBER
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la razionalità di cui il capitalismo è portatore, bensì quello di controllarla. L'avvento del socialismo, che negli auspici e nelle prognosi di Marx comporta l'abbattimento del capitalismo, sancirebbe invece la perdita di questo controllo, perché segnerebbe l'affermarsi di una razionalità burocratica che produce la "coagulazione" della creatività nella storia. Pertanto, conclude Lowith, "quanto per Weber possedeva il carattere di un destino 'inevitabile', non rappresentava per Marx che la 'preistoria' dell'umanità, e proprio al punto in cui per Marx doveva avere inizio la vera e propria storia, iniziava per Weber l'etica dell'intenzione responsabile" 8 .
2. Affinità e contrapposizioni tra Weber e Marx I motivi della divergente valutazione data da Weber e da Marx circa la funzione del capitalismo nell'ambito del processo di razionalizzazione vanno ricercati nella concezione che ognuno di essi aveva della storia. Secondo Weber, il materialismo marxiano attribuisce allo sviluppo storico un carattere di necessità e una direzione precostituita sulla base dell'esito scontato dei conflitti di classe. Tale necessità e tale direzione sono iscritte· nella teoria stessa del marxismo, in quanto, secondo essa, il conflitto di classe, che regola il movimento economico e sociale, determina il rapporto fra struttura economica e sovrastruttura: la struttura è l'unico motore dèlla storia e la sovrastruttura non è altro che il riflesso di essa. Convinto di aver individuato nelle leggi proprie della struttura le leggi oggettive dell'intero divenire storico, Marx si è sentito legittimato a dedurre in termini di necessità il nesso fra passato, presente e futuro, da lui rispettivamente identificati con le epoche del feudalesimo, del capitalismo e del socialismo. Una simile concezione della storia è giudicata da Weber uno schema semplificatore che falsa la realtà delle cose, perché non tiene conto dell'intrecciarsi multiforme delle articolazioni degli eventi storici. Proprio perché opera di uomini che entrano in rapporto tra 8. Ivi, 64. Dopo aver affermato che "la tesi del marxismo volgare", secondo cui sulla struttura economica "si erge la sovrastruttura da interpretare in senso meramente ideologico" rappresenta u_na forma rozza e deformata del pensiero marxiano, L6with rileva come Weber fece proprio riferimento a questo t;po di marxismo (ivi, 65 ). Di conseguenza, la polemica weberiana contro il "materialismo storico dogmaticamente economico" non sarebbe stata in grado di toccare direttamente Marx, ma soltanto una deformazione del pensiero di lui. Perciò la riaffermazione fatta da Weber circa l'autonomia delle cosiddette "sovrastrutture" non costituirebbe una confutazione della strumentazione metodologica autentica di Marx. Questa osservazione di LOwith, critica nei confronti di Weber, è stata ripresa da studiosi di orientamento contrapposto, quali, ad esempio, Schumpeter (Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano 1964, IO) e Lukacs (La distruzione della ragione, Torino 1978, 129).
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loro e con la natura sulla base non unicamente di interessi materiali, ma anche di desideri, cli ideali e cli passioni, lo sviluppo storico non ammette alcuna direzione univoca, interpretahile secondo leggi fisse. Il rapporto fra economia e sovrastruttura non può dunque poggiare sul primato della prima, bensì sul reciproco condizionamento dei singoli ambiti di esistenza, i quali vanno pertanto individuati e valutati cli volta in volta con indagini specifiche. Di conseguenza, la connessione causale fra capitalismo e socialismo non può venire considerata secondo un rapporto di necessità: l'avvento del socialismo è soltanto una delle possibilità insieme a molte altre. Questa critica della concezione marxista del rapporto strutturasovrastruttura, che percorre gran parte dell'opera cli Weber, è stata da lui elaborata soprattutto nel saggio Die Objektivitiit soziatwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis ( 1904) e nel!' Etica protestante (1904-1905). Nel saggio Die Objektivitiit Weber mostra come il processo storico, considerato in se stesso, non presenti a un osservatore libero da pregiudizi alcuna direzione prestabilita: esso si rivela un "chaotisches Geschehen ". Che dunque tale processo venga interpretato secondo una prospettiva piuttosto che secondo un'altra, va attribuito al fatto che il soggetto si situa nei riguardi di esso secondo un determinato punto cli vista in base a valori culturali da lui assunti. Di conseguenza, l'interpretazione data dal marxismo del divenire storico non va concepita come una conoscenza oggettiva, bensì soltanto come una "sozialwissenschaftliche Hypothese ", mediante la quale la dinamica di sviluppo della società moderna viene compresa in un suo aspetto importante ma unidimensionale. La teoria cli Marx è pertanto ritenuta da Weber "significativa in sommo grado", se consicl,erata dal punto di vista della tipologia ideale; essa diventa però fuorviante, se le si attribuisce valore ontologico. Perciò, "liberi ormai dalla fiducia antiquata nella possibilità di dedurre la totalità dei fenomeni culturali come prodotto oppure come funzione cli costellazioni di interessi 'materiali', noi riteniamo però d'altra parte che l'analisi dei fenomeni sociali e dei processi della cultura dal punto cli vista del loro condizionamento e della loro portata economica sia stato, e possa ancora rimanere in ogni tempo prevedibile, con un'applicazione oculata e con libertà da ogni restrizione dogmatica, un principio scientifico cli fecondità creativa. La cosiddetta 'concezione materialistica della storia', come 'intuizione del mondo' o come denominatore comune cli spiegazione causale della realtà, deve essere rifiutata nel modo più deciso" 9 . 9. M. Weber, Gesammelie Aufsiit generalizzazioni e differenziazioni)> si rivela pertanto un processo selettivo con una chiara funzione ermeneutica e diviene
166 la condizione della stabilità di un sistema. Un siffatto bagaglio teorico consente a Luhmann di indagare, in una nuova prospettiva, anche particolari sistemi sociali, come ad esempio la politica, il diritto positivo, l'economia, e di cimentarsi con questioni ampiamente dibattute nel corso della storia del pensiero, ad esempio il rapporto tra verità e ideologia e tra teoria e prassi. Un'importanza fondamentale, però, sembr~ .trivestire in questo quadro la sempre vi-\ gile attenzione che Luhmann presta al problema dell'autoriferimento. Il saggio su I meccanismi rijlessivi mette in luce la presenza di un autoriferimento nei contesti giuridici, decisionali, di apprendimento e di potere, ed evidenzia le prestazioni selettive e il duplice configurarsi della struttura circolare. Si ha infatti riflessività quando si produce "un riferimento di un atto ad un altro della stessa natura"; riflessione quando il riferimento è mediato attraverso un sistema (cfr. ivi, l 14). L'autoriferimento, però, non costituisce soltanto un carattere di determinati sistemi sociali, Questa tematica viene infatti estesa, con rigorosa coerenza, anche all'ambito dello stesso pensiero sociologico. Si delinea allora una "sociologia della sociologia" in cui, da un lato, la scienza sociale afferma la propria capacità ad autotrascendersi e quindi a costituire una prospettiva universale d'interpretazione, dall'altro, essa -sembra denunciare i propri limiti, presentandosi e concependosi "come un sistema sociale fra altri" (ivi, 101). Nella meditazione luhmanniana del decennio successivo al primo volume di Soziologische Aujklii.rung, il tema dell'autoriferimento sociologico, sollecitato anche dai risultati conseguiti in campo biologico (cfr. H.R. Marturana, F.J. Varela, Autopoiesis and Cognitìon, 1980) e cibernetico (cfr, le ricerche di R. Glanville e G. Pask), assume un'importanza
ancora maggiore. Basti pensare ad alcuni saggi pubblicati nel secondo e nel terzo volume di Soziologische Aujklii.rung, a certe affermazioni contenute in Gesellschaftssjruktur und Semantik e, da ultimo, alla Risposta data da Luhmann alle obiezioni sollevate da D. Zolo nello scritto che fa da introduzione alla versione italiana di Illuminismo socìologico. Nella Risposta sempre di più "il circolo (... ] si profila come la figura centrale della teoria( ... ] la teoria dei sistemi sociali considera tutti gli oggetti (sociali) dal punto di vista dell'autoriferimento intrinseco all'oggetto" (ivi, XXXVI). Ciò vale anche per quell'oggetto sociale privilegiato che può diventare la sociologia. In una sociologia che attua consapevolmente l'autoriferimento "anche il rapporto con gli oggetti diviene, in definitiva, un momento del suo stesso autoriferimento" (ib.). Una simile tendenza a dar sempre maggiore importanza al tema dell'autoriferimento nell'interpretazione dei fenomeni sociali è manifesta anche nel volumetto Teoria politica nello stato del benessere, un'indagine commissionata dalla C.D,U. in cui vengono analizzate la struttura e le ragioni della crisi del Welfare State. La burocrazia, gli organismi decisionali, la stessa politica sono descritti come sistemi che producono e riproducono da sé gli elementi di cui sono costituitì. La società che in tal modo si viene a creare è una società articolata in sottosistemi, che non dispone di alcun organo centrale. "È un:i società senza vertice e senza centro" (ivi, 54-5). In questo quadro si trova modificato persino il rapporto tra sistema ed ambiente. Da un lato, infatti, il Welfare State, costituendosi autonomamente in se stesso, tende ad inglobare in sé anche l'ambiente; dall'altro, una tale riduzione non può compiersi mai sino in fondo e perciò, per evitare che questo rapporto degeneri in distruzione, è necessaria
167 un'accorta pianificazione e regolamentazione del potenziale sociale garantita sul piano politico. Al di là delle puntuali analisi di un determinato sistema sociale, ciò che ci sembra pàrticolarmente rilevante in questo libro è lo sforzo di Luhmann per offrire una teoria politica che Ò.on si lasci imbrigliare dalle troppo facili con~ trapposizioni ideologiche. L'indagine "ha la pretesa di essere un contributo allo sviluppo scientifico della teoria politica" (ivi, 168). Per questo motivo vien scelto l'approccio sociologico, che induce "alla riflessione sul senso, le possibilità ed i limiti della politica nelle condizioni odierne e future" (ivi, 183). La sociologia assolve la _propria funzione rischiaratrice illuminando una possibile prassi futura. Solo in questa prospettiva diventa possibile comprendere i molteplici livelli in cui si colloca il discorso luhmanniano: "Le seguenti riflessioni [.. ,] cercano una teoria politica per lo stato del benessere. Tuttavia non si tratta solo di una teoria sullo stato del benessere sostenibile con criteri scientifici; piuttosto una tale teoria può anche diventare utile per trasferire quelle prestazioni .riflessive che devono essere fornite al sistema politico. In quanto fornisce tale prestazione, essa diventa teoria politica nello stato del benessere" (ivi, 45). Ancora una volta è all'opera l'autoriferimento: grazie ad esso la sociologia si trasforma da disciplina teorica in teoria politica. Il Adriano Fabris Il
Jobn Rawls Il Una teoria della giustizia, t. di Ugo Santini, rev. di SebaK stiano Maffettone, Feltrinelli, Milano 1982, 497; Robert Nozick Il Anarchia, Stato e Utopia. I fondamenti filosofici dello stato minimo, t. di Elena e Gaspare Bona, Le Monnier, Firenze 1981, Collana 'Strumenti' Fondazione Einaudi Roma, XIX-361 Quando possiamo legittimamente definire giuste le istituzioni fondamentali di una società? Quali sono i presupposti che permettono di argomentare ra:zionalmente il problema etico e filosoficopolitico della giustizia? Sono domande a cui tentano di dare una risposta, partendo da prospettive diverse, Una teoria della giustizia di John Rawls e Anarchia~ Stato e Utopia di Robert Nozick, due opere attorno alle quali da poco più di un decennio si è sviluppato .nel mondo culturale anglosassone - e da qualche tempo anche in Italia - un vasto ed articolato dibattito. L'idea fondamentale di Rawls gravita intorno al concetto di giusti;:,ia come equità: Passetto istituzionale di una società secondo Rawls è giusto se, grazie ad esso, otteniamo una distribuzione di alcuni beni primari .(libertà, opportunità, reddito, ricchezza e le basi della stima di sé) coerente con quanto prescrivono due princìpi di giustizia definiti mediante una procedura equa di accordo fra tutti gli individui. Tale procedura permette infatti di evitare) nell'ambito della riflessione etica, il ricorso o a speciali intuizioni (intuizionismo) o a macchinosi calcoli utilitari (utilitarismo). I princìpi di giustizia sono: principio di eguale libertà, secondo il quale "ogni persona ha un eguale diritto al più ampio sistema totale di eguale libertà fondamentali compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti";principio di differenza, secondo il quale le "ineguaglianze economiche e sociali de-
!68 vono essere: a) per il più grande beneficio dei meno avvantaggiati compatibilmente con il principio di giusto risparmio, e b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti m condizioni di equa eguaglianza delle opportunità" (ivi, 255). Rà.wls stabilisce quindi due regole di prforità lessicografica in grado di risolvere i problemi che sorgono; nella applicazione dei princìpi di giustizia, dai contrasti fra doveri prima facie (Ross). Tali regole riguardano· 1a priorità del principio di eguale libertà sul principio di differenza e la priorità, da un lato, della giustizia sull'efficienza economica e, dall'altro, dell'eguaglianza delle opportunità sul principio di differenza. La definizione dei princìpi di giustizia è possibile una volta stabiliti due concetti chiave della teoria: quello diposù:,ione originaria e quello di razionalità degli individui. A questi due concetti corrispondono gli intenti principali della ricerca di Rawls, ossia la riproposta di una teoria del contratto sociale e la costruzione di uria etica politica razionale. Per posizione originaria Rawls intende una situazione (status quo) in cui ogni accordo stipulato fra le parti contraenti può essere considerato equo ifair). Le caratteristiche principali ditale situazione s·Dno due: in primo luogo, tutti gli individui sono definiti come persone egualmente morali e dotate di senso della giustizia; in secondo luogo, il risultato che deriva dalla riflessione in questo contesto è considerato libero da contingenze arbitrarie o da fattori relativi a condizionamenti sociali (teoria del velo di ignoranza). In connessione al concetto di posizione originaria, vi è poi la formulazione della teoria della razionalità degli individui; essa consente di giustificare la struttura dei princìpi di giustizia per mezzo di una costruzione razionale ed ideale del concetto di persona. I princìpi
di giustizia saranno cosi, da un lato,· il risultato della riflessione etica e della comprensione da parte degli individui delle proprie aspirazioni e delle condìzioni in cui è possibile dare un significato individuale alla vita (piani di vita), dall'altro, costituiranno i vincoli normativi cui sarà sottoposta la definizione e l'organizzazione istituzionale della cooperazione sociale) finalizzata kantianamente alla realizzazione della dignità degli individui. Il progetto di Rawls consiste perciò nella ricerca di alcuni princìpi etico-politici in grado di rendere possibile un accordo fra due concetti - libertà ed eguaglianza - considerati tradizionalmente in conflitto. Si tratta di un compito difficile che Rawls affronta considerando fondamentale il rapporto fra le caratteristiche della procedura di decisione politica (libertà civili e politiche) e la possibilità di giungere ad una distribuzione del reddito e delle opportunità sociali rispondente a criteri di equità. Gli argomenti di Rawls sono stati discussi con piglio polemico ed acutezza da Robert Nozick in Anarchia, Stato ed Utopia. Nozick muove da due concetti fondamentali: innanzitutto egli sostiene che "gli individui hanno dei diritti e ci sono cose che nessuna persona o nessun gruppo di persone può far loro (senza violare i loro diritti)" (ivi, l); in secondo luogo, ritiene che la cooperazione sociale altro non sia che una composizione di molteplici scambi volontari fra gli individui. Nozick contesta la validità dell'idea di una giustizia distributiva modellata, ossia di una distribuzione che varia in funzione di qualche dimensione naturale, dì una somma ponderata di dimensioni naturali) o di una disposizione lessicografica di dimensioni naturali (ivi, 166). Secondo Nozick, anche la teoria della giustizia di Rawls è un esempio di
169 teoria modellata della distribuzione poiché essa, in base a dei princìpi che isolano una sezione del tempo attuale, giudica l'assegnazione dei beni primari secondo un criterio strutturale. Il difetto di tale impostazione consiste nel fatto che i criteri modellati di giustizia distributiva non considerano la posizione degli individui all'interno della distribuzione presa in esame rispetto ai diritti che essi potevano avere precedentemente. Tali criteri, infatti, non tengono conto di come si produce un determinato assetto distributivo e inoltre non riconoscono che le modalità con cui si giunge ad una situazione particolare creano differenti diritti e rapporti preferenziali fra gli individui. Nozick giunge così: alla formulazione di un diverso criterio di giustizia distributiva, che definisce teoria del titolo valido. Tale teoria giudica uno specifico assetto distributivo in base alla procedura con cui si è giunti alla distribuzione stessa. I criteri di validità procedurale secondo Nozick sono l'acquisizione iniziale della proprietà, il trasferimento della proprietà e un principio riguardante le rettificazioni della violazione dei primi due criteri. Il principio completo di giustizia distributiva, secondo il titolo, consiste così semplicemente nel dire che una distribuzione è giusta se ciascuno ha diritto di possedere la proprietà che possiede con quella distribuzione. Le idee fondamentali che muovono la critica di Nozick a Rawls sono due: agli individui sono ascritti dei diritti naturali, fra cui il diritto alla proprietà legittima; qualsiasi redistribuzione che non rispetti quei diritti, relativamente all'applicazione della teoria della rettificazione e del risarcimento, è da considerarsi una violazione dei diritti naturali degli individui ed è quindi ingiusta. Poiché, secondo Nozick, l'unico diritto naturale (o principio distributivo)
consiste nella massima: da ciascuno come sceglie, a ciascuno come viene scelto, tutte _le interferenze nelle scelte deg~i individui sono violazioni dei diritti naturali. Nozick concepisce la cooperazione sociale ed economica nei termini di una molteplicità di scambi volontari i quali, se avvengono secondo le regole di legittimità dei trasferimenti, stabiliscono diverse genealogie dì diritti inalienabili. Contro tutte le giustificazioni etiche ed economiche del moderno Stato del Benessere) Nozick sostiene che la teoria del titolo valido impone di considerare incommensurabili le linee di trasferimento dei diritti, poiché, se vengono rispettate le regole di giustizia procedurale, non è possibile alcuna valutazione del risultato della cooperazione sociale in termini di equità della distribuzione. strutturale del reddito e delle risorse. In base a questa considerazione, egli argomenta contro le teorie della giustizia come quella di Rawls poiché esse, ponendo al di sopra delle legittime linee di trasferimento dei diritti un fine (un modello distributivo), determina teleologicamente la configurazione della cooperazione sociale con conseguenti gravi interferenze nella libertà di scelta e di azione degli individui. Al contrario, i diritti naturali impongono che lo Stato si limiti a garantire la corretta attuazione dei trasferimenti e degli scambi fra gli individui e la loro integrità corporea; è la proposta di uno Stato minimo, il quale, nel suggestivo esperimento mentale di Nozick, sorge spontaneamente dalla cooperazione sociale guidata da una mano invisibile e non da un progetto cosciente degli individui. Le opere di Rawls e di Nozick ripropongono, ancora una volta, il dilemma fra libertà ed eguaglianza. Certamente non tutte le soluzioni proposte convincono; rilevante ci sembra comunque la relazione, posta sia da
170 Rawls che da Nozick, fra i princìpi di giustizia modellati e i princìpi di giustizia proèedurali. L'attenzione verso questi problemi dimostra che, se è pur vero che vi deve essere una distribuzione equa delle risorse economiche, è altrettanto "importante considerare che non tutti i mezzi per ottenere tale distribuzione possono essere ritenuti legittimi. Quando -parliamo di giustizia sociale, dovremmo sempre tenere presente l'importanza della connessione fra una determinata distribuzione e la procedura mediante la quale possiamo ottenere il consenso per attuarla. È forse un'occasione, questa, per riconsiderare, fuori da ogni retorica, anche i rapporti fra democrazia e socialismo. // Stefano
Frega// Ludwig von Bertalanffy // Teoria generale dei sistemi, trad. di E. BelM Ione, Mondadori, Milano 1983, 406 Questa rist.ampa si colloca a circa quindici anni dalla prima pubblicazione del volume, e sarebbe certo velleitario voler fornire, all'interno di una scheda, un panorama esaustivo dei temi toccati da Bertalanffy e delle molteplici diramazioni che.·le sue proposte hanno avuto in vari c~mpi dell'indagine scientifica, sociologica, psicologica, storica e filosofica. È interessante rilevare, comunque, che la sterminata diffusione della nozione di sistema non ha coinciso con una generale accettazione della teo-ria di Bertalanffy, dalla quale anzi eccetto alcuni elementi ormai divenuti di senso comune si tende sempre più frequentemente a prender le distanze. Fra i rilievi critici, oltre a quello di aver prodotto u'ù·a "metafisica dell'organico" e un "riduzionismo alla biologia" che avrebbe, rispetto al tradizionale riduzionismo alla fisica, solo lo svantaggio di non essere in grado di fornire
un'adeguata e rigorosa immagine scientifica di sé stesso, ci sembra fondamentale quello rivoltogli da Prigogine. Secondo quest'ultimo, invece di una teoria generale dei sistemi, tesa alla ricerca di ciò che fa l'unità di tutti i sistemi in quanto sistemi, sarebbe preferibile, e molto più interessante, una teoria differenziale e circostanziale delle relazioni e dei sistemi, che faccia emergere le peculiarità delle varie organizzazioni sistemiche. L'itinerario teorico di Bertalanffy ç: questo stesso volume sono piuttosto noti, per cui ci limitiamo a richiamarne brevemente alcuni elementi che ci paiono filosoficamente più interessanti. Due temi si collocano all'origine della Teoria generale dei sistemi (TGS): i) la ricerca di una concezione unitaria del mondo, fondata sull'isomorfismo delle leggi di diversi settori di indagine, e quindi il porre a proprio oggetto di studio la formulazione e la derivazione di quei principi che sono validi per i sistemi in generale (dove un sistema è definito come insieme di elementi che interagiscono fra di loro e con l'ambiente circostante); ii) il rifiuto dell'opposizione fra meccanicismo e vitalismo ( e, in particolare i il rifiuto del primo polo di questa opposizione): "La tendenza meccanicista si riduceva, nella sostanza, alla risoluzione dell'organismo vivente in parti e in processi parziali [ ... ]. I problemi connessi all'organizzazione di queste parti nell'operazione di mantenimento e conservazione dell'organismo venivano scavalcati, oppure, seguendo i dettami di quella teoria che era nota come vitalismo, erano rjtenuti spiegabili unicamente grazie all'azione di fattori simili all'anima: il che altro non era se non una dichiarazione di fallimento scientifico" (p. 15 I). Il punto di incontro fra i) e ii) è dato dal fatto che gli organismi sono oggetti organizzati, per cui vanno studiati cercando di scoprire proprio
171 questo fatto organizzativo. "Il problema che è oggi di importanza fondamentale è quello della complessità organizzata. Concetti come quello di organizzazione, di totalità, di tendenza direzionale, di teleologia e di differenziazione sono estranei alla fisica convenzionale. Essi tuttavia balzano. fuori a ogni piè sospinto nelle scienze biologiche, comportamentiste e sociali, e sono, in reàltà, indispensabili per trattare gli organismi viventi o _i gruppi sociali. La TGS è, in via di principio, capace di fornire definizioni per simili concetti e, in casi opportuni, di inserirli nell'ambito di analisi quantitative" .(pp. 68-9). Fondamentale, a questo proposito, è la distinzione di sistemi chiusi (prevalenti nel mondo inanimato) e sistemi aperti (prevalenti in quello animato). A differenza delle macchine, che sono ordinate in vista di una produzione precisa, e in cui il mutamento delle ipotesi, o dei dati di partenza, non permette più di ottenere l'effetto desiderato, nell'organismo vivente una modificazione delle cause iniziali, un'alterazione nei loro rapporti, non muta necessariamente la produzio-ne finale. Ne segue che per la comprensione dei sisiemi aperti occorre considerare sia le cause iniziali sia il fine verso cui tendono. La loro evoluzione è guidata tanto teleologicamente quanto causalmente. Caratteristica di base dei sistemi aperti ( che sarà particolarmente recepita dalla H sistematica" sociologica di Luhmann) è il loro rapporto con un ambiente (Umwelt), dal quale assorbono ininterrottamente energia, anche in condizioni di inattività. I sistemi aperti sono in grado di assimilare, elaborare e compensare, attraverso processi di differenziazione interna, gli stimoli provenienti da un ambiente esterno insensibile ai bisogni del sistema e dal quale tuttavia il sistema dipende. Con accenti assai vicini alle riflessioni di H. Weyl (se ne veda, ad esempio, Il mondo aperto),
Bertalanffy sottolinea che u contrariamente all'animale, il quale ha un ambiente determinato dalla sua organizzazione, l'uomo crea il proprio mondo, ciò che chiamiamo cultura umana" (p. 375). Si tratta di sistemi di simboli in cui sono fondamentali quei criteri generali della vita che sono costituiti dalla direzionalità verso il fine e dalla teleologia. Ne deriva una concezione del mondo che presenta la realtà come una gerarchia di totalità organizzate, e rifiuta l'esistenza di un sistema del mondo unico ed onnicomprensivo. Tutte le costruzioni scientifiche sono modelli che rappresentano alcuni aspetti o prospettive della realtà. Questo Prospettivismo, in cui si cerca di unire l'intensionalismo di Leibniz (l'armonia prestabilita, le monadi senza porte e finestre ma che dispiegano una legge interna predeterminata) con l'estensionalismo newto-niano (l'anteporre lo studio delle relazioni a quello dell'identità degli individui), presenta ovvi punti di contatto con importanti concezioni novecentesche. Si pensi soprattutto all'olismo di Duhem-Quine, ai progetti di Scienza Unificata (a Neurath, in particolare), al Carnap della Costituzione logica del mondo (in cui, pure, è presente una visione gerarchica dei processi· costitutivi dei vari sistemi, simile all'ordine gerarchico di entità organizzate). Il tratto distintivo della proposta di Bertalanffy e, crediamo, il suo interesse, sta però nel rifiuto di ogni tentativo di unificazione del sapere che sia affidato ad operazioni di carattere puramente linguistico. // En• rico Moriconi //
"Materiali filosofici", 1982, n. 7 Il n. 7 di Materiali filosofici raccoglie sotto il titolo Economia politica e filosofia 5
172 saggi su_ argomenti diversi che possono essere suddivisi in due gruppi. Il primo, nel quale sonò compresi i saggi di Zamagni e Becattini, pone l'accento sui fondamenti metodologici della scienza econoinica e sul suo rapporto con altre discipline sociali e psicologiche. Il secondo, di cui fanno parte i saggi di Benetti-Cartelier, Graziani e Messoti, ha un carattere più spiccatamente economico e riguarda la valenza del concetto di economia monetaria inteso nella sua accezione più sviluppata, che comprende cioè le categorie dell'economia capitalistica. Il saggio di Zamagni espone e critica i princìpi della scuola austriaca, In esso è sottolineata l'importanza assegnata da autori come Wieser, Menger ed il primo von Hayek al carattere intenzionale delle scelte ed alle preferenze soggettive rispetto alla impersonale "logica situazionale" di Popper o del secondo von Hayek. Zamagni coglie una debolezza di questa impostazione psicologistica .nel fatto che essa identifica le preferenze con le scelte, il momento intenzionale con l'azione sviluppata. Ciò produce una contraddizione nel concetto-chiave di costo alternativo poiché tra le scelte possibili non effettuate non è lecito ~tabilire un ordinamento preferenziale, in mancanza di una scelta effettiva, e quindi non si è in grado di indicare a quale delle diverse alternative non realizzate ci si deve riferire per determinare il costo alternativo. Per Zamagni anche il "determinismo situazionale" di Popper e von Hayek è caratterizzato dall'assenza di un reale rapporto dualistico tra preferenza ed azione. In esso infatti le preferenze scompaiono e l'azione diviene una conseguenza logica della situazione, cessando perciò di essere vera azione, cioè atto compiuto in base ad una volontà e ad una decisione, In questo contesto solo l'errore, la deviazione dal
comportamento normale, razionale, si configura come azione. La soluzione che Zamagni propone è quella di ricorrere alla nozione di meta-preferenze, rilevabili al di fuori delle scelte concrete. Esse sono ritenute necessarie per ordinare le stesse preferenze e stabilire un loro reale rapporto con l'azione. L'articolazione delle preferenze serve a superare anche i limiti dell'individualismo metodologico, una posizione nella quale sono accomunate la scuola autstriaca e la "positive economics ", nonostrante le divergenze sostanziali tra di loro circa l'importanza della psicologia per l'economia. Questa posizione metodologica conduce infatti ad una chiusura - seppure, come abbiamo detto, su linee opposte - del rapporto tra preferenze e scelte in quanto rifiuta di considerare determinante il carattere condizionato delle preferenze, la loro dipendenza dal contesto 1st1tuzionale, la loro autonomia dalle intenzioni soggettive. Personalmente concordo con questa conclusione anche se non trovo molto stimolarite l'impiego che nel saggio si fa del concetto di meta-preferenze. Meno felice mi pare la caratterizzazione della "positive economics ", La reale differenza tra essa e lo psicologismo della scuola austriaca consiste nell'aver privato l'economia di una base stabile che giustificava nella sostanza il primato concettuale dell'individuo, Ciò porta autori come Popper e von Hayek a cercare una nuova base sostanziale all'individualismo nella sottolineatura dell'invarianza del contesto istituzionale. Da qui il tradizionalismo di questi autori ed il conservatorismo che caratterizza la loro posizione nei confronti delle istituzioni. Non mi pare invece corretta la suddivisione dell'individualismo in due varianti tracciata da Zamagni con categorie metodologiche: una versione mode-
173 rata (la "positive economics") che pur ammettendo concetti solo individualistici, riconosce l'emergenza esplicativa, cioè l'esistenza di leggi di composizione non riducibili a leggi dell'azione e una versione radicale (la scuola austriaca}, che ammette solo leggi riducibili a leggi di azione individuale. In realtà dove vi sono solo concetti individualistici non possono esservi altro che leggi dell'azione individuale. La differenza consiste nel fatto che nella "positive economics" queste leggi sono mediate in una più complessa logica di interscambio, codificata e pietrificata nelle istituzioni (del resto non assenti nell'altra versione dove pure, date le premesse psicologistiche, le istituzioni reggevano un peso minore nel disegno complessivo). Il saggio di Becattini riguarda il rapporto tra economia e fattori socioculturali e personali. L'autore contesta l'eccessivo isolamento del fattore economico attraverso una critica del concetto di saggio uniforme del profitto. La compenetrazione di elementi economici ed extra-economici è evidenziata per Becattini dai momenti di crisi, nei quali emerge una non-integrazione dei due fattori, al conrario di ciò che avviene quando il meccanismo economico funziona. Le fasi non critiche sono caratterizzate dalla perfetta integrazione dei messaggi che il sistema produttivo si trasmettono vicendevolmente. Questo saggio riprende un problema tradizionale dei dibattiti filosofici e metodologici sull'economia, riemerso vivacemente proprio durante la crisi degli anni settanta. Se la tensione filosofica di questi due saggi è più evidente e dichiarata, anche gli altri tre hanno un rilievo filosofico sostanziale in ordine alla definizione degli strumenti appropriati di indagine di cui deve servirsi l'economista. Berretti e Cartelier esplorano) attraverso gli scritti di Smith, Walras e
Marx, i difetti di tutti i tentativi di ricondurre l'economia capitalistica entro il quadro concettuale dell'economia mercantile. Per gli autori è destinata al fallimento ogni ipotesi di spiegazione del capitalismo in base alle categorie dello scambio proprie delle società mercantili. Lavoro, beni capitali, denaro non si scambiano come merci; la loro contrattazione è la negazione dello scambio, della merce, dell'economia mercantile. Per molti aspetti analoga è la distinzione che fa Graziani tra economia di baratto ed economia monetaria poiché quest'ultima è costruita con una nozione ampia di moneta, che comprende nel concetto le sue funzioni prettamente capitalistiche (pagamento dei salari, potere di decidere cosa produrrei interesse). Il bersaglio di Graziani sono quelle versioni neo-keynesiane che, pur riconoscendo nel ruolo assegnato alla moneta la differenza fondamentale tra Keynes e i classici, limitano questo ruolo alla possibilità di provocare una crisi di domanda globale attraverso una eccessiva preferenza di liquidità. In quest'ottica !)unico ruolo giocato dalla moneta sarebbe quello connesso all'incertezza ed al rischio ed emergerebbe solo durante la crisi. Il titolo del saggio di Graziani, "Moneta senza crisi", vuole sottolineare invece la funzione normale della moneta nel sistema capitalistico, che è quella di assegnare a chi ne dispone per investimenti il potere dì decidere cosa produrre e, di conseguenza, il livello dei salari reali e dei prezzi (è nota l'importanza che la distinzione tra salari nominali e salari reali ha in Keynes e,J:ome questa sia una delle conseguenze principali dell'uso della moneta). Commentando il saggio di Graziani, Messori ne traccia le radici storicoteoriche e le implicazioni pratiche. Sul primo piano i referenti, oltre Keynes,
174 sono Wicksell, Schumpeter, Myrdal e Marx, per i quali "la moneta conta'\ Messeri pone l'accento sulla distinzione tra sistema bancario e sistema delle imprese e Sulle ragioni che determinano la creazione di moneta (sia all'apertura del ciclo economico, con la funzione che ha il credito, sia alla chiusura, nella fase della realizzazione delle merci). Per quanto riguarda: le conseguenze di questa impostazione, essa offre per Messeri - che appare più vicino di Graziani a cèrte tematiche neo-keynesiane - un terreno di conforto e di scontro con il monetarismo, in quanto fornisce gli strumenti per lo studio del rapporto tra produzione di merci e produzione di moneta e rifiuta di considerare quest'ultima una grandezza esoge-
na.// Tiziano Raffaelli // Gianluigi Palombella // Ragione e Immaginazione. H. Marcuse 1928w
1955, De Donato, Bari 1982, 371 È un libro che assume consapevolmente ambizioni e rischi del lavoro monografico. Vuol presentare il pensiero filosofico di Marcuse nell'intero arco della sua formazione, dallo scritto del 1928 su una progettat? fenomenologia del materialismo storico fino a Eros e civiltà. Tema dei primi due capitoli è l'incontro tra fenomenologia e marxismo nella cultura tedesca dei tardi anni '20. La fenomenologia convocata è quella di Heidegger: è l'analitica esistenziale che Sein und Zeit aveva proposto come ontologia fondamentale. Si accenna alle motivazioni teoriche e più diffusamente al significato storico di un incontro che ha segnato l'avvio della riflessione di Marcuse, stabilendone il più generale orientamento problematico. Palombella lo indiVidua correttamente nel tema della Grundstruktur, nella ricerca di una struttura fondamentale dell'essere capace di
valere come critica in atto delle -sue forme fattuali. Il tema della ricerca è heìdeggeriano, ma quanto sotto quel tema si cerca ( un criterio immanente del processo storico, un codice genetico che ne indichi la direzione) è qualcosa che l'analitica esistenziale di Heidegger· non poteva dare, per il suo programmatico istituirsi al di qua del proprio luogo d'origine, per la sua assunzione di questo come trascendente: Heideggeriano è il tema, ma non il modo di porlo. Quest'ultimo richiama piuttosto il motivo più caratteristico dell'idealismo tedesco, il filo conduttore della sua avventura speculativa, i suoi tentativi di comprensione genetica delle forme e, più direttamente, il loro esito più maturo: l'idea del divenire come codice originario dell'essere. Lo 'Heidegger-Marxismus' dei tardi anni '20 era destinato a ritrovare Hegel. E in effetti, a ben guardare, all'istanza critica che la fenomenologia husserliana aveva riproposto con esplicito richiamo a Kant e contro le chiusure formalistiche del neokantismo, l'analitica heideggeriana aveva dato una risposta che riprendeva nella sostanza l'ipotesi di fondo dell'idealismo post-kantiano: l'ipotesi che una comprensione genetica delle forme (il problema metacritica di ogni critica nel senso kantiano del termine) fosse possibile nel quadro di una ontologia fondamentale, a partire da una maniera d'essere irriducibile dell'ente per il quale l'essere assume il valore problematico di una forma. Irriducibile è senza dubbio la maniera d'essere che Heidegger ha fissato nella nozione di Dasein, intendendo questo come da-zu-sein e il da come in der Welt e la Welt (necessariamente, in questo quadro) come apertura originaria di senso. Irriducibile e capace di determi: nare una comprensione genetica delle forme che lo realizzano. Questa si propone, a sua volta, come condizione di quella comprensione del concreto ch'è
175 la grande aspirazione delle più diverse avventure filosofiche del primo novecento. Concreto è il dato compreso attraverso la forma del suo dirsi, concreto diventa là dove se ne ·comprende il poter essere dato, nella misura in cui cessa di essere semplice presenza (Vorhandenheit). Così interpretata, l'analitica esistenziale di Heidegger riporta quell'istanza di concretezza che è la bandiera di ogni irrazionalismo entro un progetto di dominio razionale caratteristico della tradizione filosofica. Ma proprio questa interpretazione evidenzia limiti e difficoltà, sottolinea il bisogno di un tipo di razionalità all'altezza delle proprie ambizioni genetiche, capace di non consegnare quel progetto di dominio all'uno o all'altro sistema di forme, di non renderlo strumento della falsa universalità che governa il presente storico. Centrale diventa il problema dell'apparente eterogeneità di principio tra lo status trascendentale della Grundstruktur (di quel modo d'essere irriducibile che funge da principio di comprensione) e la storicità delle forme che dovrebbe comprendere. Questa apparente eterogeneità suggerisce un ripensamento radicale della nozione stessa di storicità. È il grande tema del saggio del 1932 sull'ontologia di Hegel. Palombella lo svolge nel terzo capitolo del suo lavoro 1 Non gli sfugge il senso generale di questa ripetizione della fondazione hegeliana dell'identità di logica e ontologia: "l'itinerario marcusiano, in realtà parallelo all'heideggerismo sino alla posizione del problema dell'essere come 'differenza (dall'ente), come salto nell'incondizionato, si avvale della Logica hegeliana per acquisire, al di là dell'indeterminatezza ontologica, il suo significato processuale e dialettico. Si tratta (... ) di trasformare l'indole contemplativa del silenzio heideggeriano sulla Seinsfrage in un'attività di scoperta costante delle possibilità negative e costruttive storicamente date nel mo-
do d'essere della totalità esistente. Il fascino estatico dell'essere, il cui culto coincide con il destino definitivo delresserci, è in qualche modo 'smitizzato' dalla Logica hegeliana; in essa acquista un valore di soggettività proprio l'originario essere indetèrminato ( ... ). L'identità ente (soggetto) - essere, -.ossia il principio stesso della metafisica hegeliana, ritorna nel pensiero marcusiano, ma portando con sé l'esperienza heideggeriana della differenza. La màncanza essenziale si trasforma così in una inadeguatezza del soggetto alle sue possibilità ontologiche radicata in una r'ealtà storica determinata" (pp. 125-26). La domanda ontologica apre la strada a uno sforzo di appropriazione di quelle che volta a volta appaiono come le proprie possibilità esseniiali. L'irriducibilità della differenza fa sì che questo sforzo non possa tradursi in un processo lineare: in esso, al livello problematico che gli è proprio, l'affermazione si configura inevitabilmente come negazione, l'appropriazione è essenzialmente liberazione. È il tema di Ragione e rivoluzione, della più matura riscoperta marcusiana della potenza dialettica della ragione. E in questa riscoperta giocano già tutti i motivi più caratteristici dell'ultimo Marcuse, di quella vulgata philosophia che ha trovato la sua espressione più nota in Eros e civiltà. _A questi motivi, ai temi del desiderio e del gioco, alla rilettura di Freud, al confronto con altri, non troppo diversi percorsi del pensiero contemporaneo (Sartre, soprattutto), sono dedicati gli ultimi capitoli del libro di Palombella. Di esso diremo che rappresenta uno sforzo meritevole di attenzione e che in più pagine rivela intelligenza e temperamento {Hosofici. Qualche giudizio frettoloso (non si lascia molto spazio al possibile quando, ad esempio, di marxismo e fenomenologia si dice: "è evidente che i due termini rivestono oggi scarso significato e non si
176 presentano in grado di aprire nuovi orizzonti teorici", p. 15), qualche errore di fondo (non è lecito confondere l'orientamento del pensiero verso l'autocomprensione e il suo orientamento verso la conosceriza del dato che si prospetta tematicamente esterno, istanze e problemi diversi, grammatiche diverse, misurando l'una sugli .obiettivi dell'altra: è un errore di principio che affiora Soprattutto neUe pagine da Palombella dedicate al progetto fenomenologico, e le rende nella sostanza poco pertinenti),
qualche ingenuità (Palombella resta fermo alla contrapposizione di trascendentale e storico - p. 72, p. 332, ecc. - riducendo così involontariamente lo storico alla dimensione di ciò che, pèr la sua stessa contingenza, possiamo solo trovare e ignorando, tra l'altro, che il concetto di storia si rende coerentemente pensabile solo nell'orizzonte proprio di una riflessione trascendentale) si sarebbero potuti evitare ed è probabile che l'esperienza stessa aiuterà ad evitarli. // M. Barale// •