Taccuini 1922-1943 [1984 ed.] 8815005668


210 11 42MB

Italian Pages [497] Year 1984

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
‎Prefazione, di Egidio Ortona p. 7
Notizie sul testo 29
Taccuini
Anno 1922 35
Anno 1923 41
Anno 1924 61
Anno 1925 67
Anno 1926 73
Anno 1927 81
Anno 1928 87
Anno 1929 89
Anno 1931 95
Anno 1932 101
Anno 1933 111
Anno 1934 119
Anno 1935 123
Anno 1936 151
Anno 1937 191
Anno 1938 199
Anno 1939 215
Anno 1940 249
Anno 1941 287
Anno 1942 323
Anno 1943 385
Appendice: Vittorio Emanuele III 483
Indice dei nomi 491
Recommend Papers

Taccuini 1922-1943 [1984 ed.]
 8815005668

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Alberto Pirelli TACCUINI 1922/1943

PIRELLI, Alberto. Taccuini 1922/1943. A cura di Donato Barbone. Prefazione di Egi­ dio Ortona. Bologna, Il Mulino, 1984. 500 p. 21 cm. (Storia/memoria). ISBN 88-15-00566-8 1. Pirelli, Alberto - Memorie - 1922-1943 2. Politica internazio­ nale - 1922-1943 - Storia - Fonti I. Barbone, Donato IL Ortona, Egidio. 327.409’04 Copyright © 1984 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la ripro­ duzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, se non autorizzata.

Prefazione

Prefazione

Incontrai per la prima volta Alberto Pirelli a Londra in occa­ sione della Conferenza economica mondiale nel 1933. Egli faceva parte della Delegazione italiana che era capeggiata da Guido Jung, ed io ero il fanalino di coda della segreteria della Delega­ zione, appena ventiduenne agli esordi della mia carriera. Seguivo i lavori della Conferenza con l’attenzione del neofita. Pirelli mi apparve subito, nella mezza dozzina dei delegati, quello che re­ cava in sé la maggiore dovizia di qualità. Si imponeva nelle di­ scussioni per la sua conoscenza dei problemi economico-finanziari, per il suo eloquio vivace e quasi mordente in lingua inglese, per le sue opinioni maturate da una lunga milizia in conferenze ed organizzazioni internazionali, e per la sua impareggiabile ur­ banità e cortesia. Ho un vivido ricordo di un suo intervento in una delle commissioni della Conferenza, quella incaricata dei problemi commerciali. Egli improvvisò una lunga e persuasiva di­ chiarazione sulla libertà dei commerci internazionali e invocò ad appoggio delle sue tesi la sua particolare posizione di industriale che traeva i suoi insegnamenti, nel campo degli scambi interna­ zionali, dal dover amministrare l’attività di fabbriche situate in otto diversi Paesi del mondo. Eravamo nel 1933. Quando egli si congedò dall’azienda dopo sessant’anni di lavoro al vertice del Gruppo lasciò dietro di sé 88 stabilimenti sparsi in Italia, Spa­ gna, Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Grecia, Turchia, Ar­ gentina, Brasile, Messico, Canada, con 80.000 tra dirigenti, tec­ nici, ricercatori, impiegati, operai. Ebbi comunque da quel di­ scorso di Alberto Pirelli una premonizione di quello che, allora agli albori, sarebbe divenuto il fenomeno più pregnante dei no­ stri tempi di interdipendenza economica tra i Paesi del mondo: quello delle società multinazionali. Su quella Conferenza e sul suo fallimento il lettore potrà trovare, nelle pagine dei Taccuini

8

Prefazione

relative all’anno in cui la Conferenza ebbe luogo, una serie di considerazioni che testimoniano l’acume delle percezioni, la ric­ chezza di nozioni, la profonda conoscenza dei problemi interna­ zionali di cui Alberto Pirelli si era andato arricchendo nel corso di oltre cinquant’anni di vita spesi in una variegata attività in cui la dedizione civile del patriota, la passione modernizzatrice e l’e­ sperienza dell’imprenditore si erano congiunte nell’ideale della più ampia, e insieme equilibrata, libertà di scambi tra i popoli. Alberto Pirelli era allora «nel mezzo del cammino» della sua vita intellettiva. Mai avrei pensato conoscendolo allora, nel 1933, che avrei avuto il privilegio, cinquant’anni dopo, di scri­ vere la prefazione ai suoi Taccuini di memorie, ridondanti di an­ notazioni d’inestimabile valore storico, di pulsante dinamismo operativo, di ineguagliabile saggezza e carica umana. Dopo l’epi­ sodio di quell’incontro cui ho sopra accennato, ebbi contatti, sia pur saltuari, con lui in molte occasioni successive, o durante il mio lungo mandato presso ΓAmbasciata a Washington o quando ricoprivo la carica di direttore generale al Ministero degli Esteri o, da ultimo, nei tempi più procellosi per il nostro Paese quando, come capo della segreteria al Ministero degli Esteri, mi trovai ad assistere allo sfaldamento del regime e al triste epilogo di una guerra che Alberto Pirelli aveva deprecato e che il popolo italiano non avrebbe voluto combattere. Ho cosi avuto modo, attraverso vari incontri, e ora attra­ verso un’attenta lettura degli appassionanti Taccuini, di coltivare e approfondire la conoscenza di un uomo che non esito a definire di fibra mentale eccezionale. Ed è di questa esperienza che mi avvarrò nel cercare di tracciare un quadro di presentazione dei suoi scritti, sapendo che potrò solo inadeguatamente riflettere l’abbondanza, l’acutezza, la passione di quanto in essi contenuto.

Alberto Pirelli nasceva a Milano il 28 aprile 1882 da una fa­ miglia originariamente di Varenna sul lago di Como, che nel suo libro La Pirelli. Vita di un’azienda industriale pubblicato nel 1946 egli descriveva come «non povera, ma modesta». Suo padre, Gio­ vanni Battista, nato nel dicembre 1848, era stato a 17 anni vo­ lontario garibaldino e aveva partecipato alla campagna nel Tren­ tino nel 1866 e ai combattimenti a Mentana nell’anno succes­ sivo. Nello slesso libro Alberto Pirelli lo descrive come uomo «di mente quadrata e incline alle discipline severe e precise della scienza e della tecnica», «grande di ingegno e di cuore». Egli era

Prefazione

9

.iato il fondatore e l’instancabile animatore di un’azienda che si inscriva nel quadro di un’industria nazionale appena agli albori e per di più in un ramo di attività fino allora inesistente in Italia. A sessantanni, quando l’industria da lui avviata trentasette anni prima, nel 1872, aveva compiuto enormi progressi, Giovanni Batlista Pirelli era stato nominato senatore del Regno. Di suo padre, nella pubblicazione che ho sopra citato, Alberto Pirelli scriveva: Sia consentito anche ad un figlio di indugiare nell’elogio del proprio padre. Lo faccio con la commozione di chi al Padre è debitore dell’escinpio e del consiglio quotidiano, di chi ha avuto, e con me mio fra­ tello Piero, quale maggiore ambizione nella vita quella di rendersi de­ gno della fiducia che a noi egli aveva largito quando eravamo ancora giovanissimi. Nessun premio al mondo mai mi fu più caro dello sguardo di approvazione e qualche volta di compiacimento di mio Padre.

Questi sentimenti dovevano costantemente emergere quando, costretto dai suoi impegni in conferenze internazionali ad assen­ tarsi per lunghi lassi di tempo, egli scriveva al padre o al fratello dettagliate lettere in cui riferiva sul suo lavoro nella diplomazia economica. Una lettera del 2 marzo 1919, dalla Conferenza della Pace di Parigi, cosi iniziava: Sono in uno stato d’animo veramente turbato tra il desiderio di ve­ nire a sollevarvi un po’ dal vostro lavoro che so intenso e in parte in­ grato (e insieme il desiderio di stare un po’ di più con i miei) e d’altra parte il sentimento che qui si stanno facendo cose d’importanza vitale per il nostro Paese.

D’altro canto è una constatazione facile a farsi che gli impe­ gni diplomatici a cui ci riferiamo, cosi come l’attività in genere documentata dai Taccuini, mediamente non assorbirono che una piccola parte della vita di Alberto Pirelli, l’impresa industriale avendo sempre rappresentato per lui l’occupazione primaria, quella di gran lunga prevalente e alla quale egli era indissolubil­ mente legato. Nell’introduzione al libro sopra citato egli tra l’al­ tro scriveva: Nessuno vorrà stupirsi di questo mio attaccamento [all’Azienda]: sono nato tra le mura della prima vecchia fabbrica del Sevesetto. Mia Madre nel 1882 si salvò da un incendio dello stabilimento poche setti­ mane prima della mia nascita portando al collo mio fratello Piero che

10

Prefazione

aveva appena un anno. Mio fratello ed io sentivamo da bambini pul­ sare le macchine al di là della parete della nostra camera da letto. Già a 10-12 anni, poiché si abitava ancora in fabbrica, facevamo frequenti giri nelle officine accompagnati da nostro Padre... Siamo dunque nati e cresciuti in mezzo agli operai, alle macchine e agli sviluppi dell’im­ presa, e abbiamo imparato ben presto ad amare il lavoro, i lavoratori e questa Azienda che non è mai stata «nostra» per alcun privilegio eredi­ tario od alcuna prevalenza azionaria, ma a cui è legato il meglio della nostra vita.

Mi è sembrato utile e doveroso prima di intraprendere l’enu­ merazione di tante realizzazioni, e anche di tante incarnazioni, di Alberto Pirelli soffermarmi su questa fondamentale dovizia di af­ fetti e su tanta dedizione ai valori fondamentali della famiglia e del lavoro da lui cosi profondamente sentiti. In fondo quanto ho cercato di far emergere finora è che Alberto Pirelli era, nella migliore delle accezioni, un prodotto di quella sana civiltà bor­ ghese che ha trovato il suo humus migliore nell’Italia post-risorgi­ mentale e che ha dato spinte determinanti all’inserimento dell’I­ talia unita nel sistema delle più importanti nazioni industriali. Per Pirelli vi era però anche un credo ideologico, che doveva ispi­ rare non soltanto le mozioni dei suoi intimi affetti, ma pure la concezione dei rapporti tra uomini e nazioni. E a tale riguardo vorrei citare due tra le carte che ho consultato per redigere questi miei commenti: - la parte di un articolo di Emilio Cecchi del 25 agosto 1955 che Alberto Pirelli evidentemente molto meditò e segnò per me­ moria, articolo riguardante un libro su Thomas Mann. Trascrivo qui di seguito una citazione da Mann riportata nell’articolo, sulla quale Pirelli soprattutto indugiò per assorbirne la linfa e condivi­ derne l’esortazione: Io sono nato molto più per la conciliazione che per la tragedia. Ogni mia attività non è forse conciliazione e compenso, mio compito non è accettare, mettere in luce e rendere fecondo l’uno quanto l’altro: non è forse equilibrio e armonia? Solo tutte le forze riunite compon­ gono il mondo, e ciascuna di esse è importante, ciascuna meritevole di sviluppo... Individualità e società, coscienza e ingenuità: bisogna sem­ pre accogliere e inserire le due cose, con pari completezza: sempre es­ sere un tutto, mortificando i partigiani di ciascun principio col portare quello a perfezione e poi anche l’altro... Umanesimo quale ubiquità universale.

Prefazione

11

- È quasi parafrasando tali concetti che Alberto Pirelli, par­ lando alla Camera di commercio di Derby il 28 febbraio 1939 (erano passati pochi mesi dalla conclusione degli accordi italo-inglesi, alla cui elaborazione io attivamente partecipai nell’Ambasciata allora diretta da Dino Grandi), disse: Questa sera più che soffermarmi sulle differenze che naturalmente esistono nelle situazioni e nelle tendenze dei vari Paesi, vorrei invece mettere in luce alcuni aspetti comuni che mi sembrano interessanti. Lo studio e l’esperienza insegnano agli uomini ad essere cauti nei loro giudizi, tanto tutto è relativo... Di fronte a eventi e tendenze manife­ stamente legati a processi storici di grande lena, l’unico atteggiamento giusto e utile è quello di cercare con scrupolosa coscienza le armonie contingenti e di conformare ad esse la nostra condotta in modo da trarne ogni possibile vantaggio sociale e ridurre al minimo gli svantaggi che inevitabilmente accompagnano ogni sistema.

Forse era stato per I’istintiva consapevolezza di tali valori e dell’importanza della ricerca di conciliazioni che egli, come per vocazione naturale, dopo aver seguito corsi del Politecnico di Mi­ lano e della Bocconi, si era laureato in legge (1904) all’Università di Genova (ricevendo pieni voti e lode) con una tesi su «L’arbi­ trato obbligatorio nelle controversie tra capitale e lavoro». La tesi è tutta volta alla necessità di conciliare con giustizia le oppo­ ste posizioni e sanare le lacerazioni dei conflitti di lavoro. Nella trattazione (ripeto, del 1904) egli lumeggiava l’opportunità di dare riconoscimento legale ai sindacati operai, di promuovere con ogni sforzo e facilitare con un adeguato riordinamento delle leggi il ricorso alle forme della conciliazione e dell’arbitrato, di affron­ tare la questione del riconoscimento giuridico delle associazioni operaie avendo speciale riguardo alla creazione di fondi sociali e ai problemi della rappresentanza e della tutela della minoranza.

Nell’avviarmi ora ad esaminare le fasi salienti dell’attività di Alberto Pirelli nella diplomazia economica (che è pur sempre di­ plomazia, non meno importante di quella strettamente politica), nella funzione di consigliere e consulente a livello dei massimi vertici direttivi su tanti temi della vita del nostro paese, vorrei per un momento indugiarmi a esporre alcune prime osservazioni sul carattere dell’uomo quali mi sono emerse man mano che ne ho approfondito la conoscenza. Direi che la carica di carisma che Alberto Pirelli indubbiamente possedeva era da attribuirsi so-

12

Prefazione

prattutto alla «trasparenza» del suo carattere — il che non signi­ fica certo ingenuità, ma chiarezza nel fondamento etico delle proprie azioni e assoluta coerenza nel proprio comportamento, ispirato a saggezza ed equilibrio. Un’altra componente fonda­ mentale di tanto carisma era la «completezza» di capacità nel trattare le questioni affidate alla sua cura, e cioè la versatilità delle sue conoscenze in campo economico, politico, sociale e fi­ nanziario. A tutto ciò si aggiunga un accorto senso dei limiti en­ tro i quali operare, sia pure sotto la spinta di legittime ambizioni, evitando sempre di travalicare i confini del «possibile». Carattere trasparente, mente completa, ma aggiungerei senza nodi o com­ plessità foriere di esitazioni o di ricerca di compromessi. Quindi uomo nitido e sereno. A questo carattere egli era giunto ancora nel pieno della giovi­ nezza, per una congiunzione di circostanze che erano state per lui altamente educative. Innanzitutto, una notevole parte delle re­ sponsabilità di gerenza dell’azienda che già gli venivano affidate dal padre nel 1904 e cioè all’età di ventidue anni. A ciò aggiun­ gaci viaggi frequenti, a cominciare da quelli compiuti intorno alla stessa età nell’America del Nord e in Brasile, dov’era stato incari­ cato di studiare il mercato della gomma greggia per l’approvvigio­ namento dell’azienda che stava in quel torno di tempo moltipli­ cando le proprie esportazioni. Da allora fino al 1916 era stata ap­ punto l’azienda ad assorbire totalmente la sua attività. Nel 1917 fu incaricato di esporre a Londra il punto di vista del Comitato nazionale per le Tariffe e i Trattati di commercio, di cui faceva parte, dinanzi al Committee on Commercial and In­ dustriai Policy della Camera dei Lords. Ma già dall’anno prece­ dente, dapprima di propria iniziativa e con mezzi propri, poi in­ sieme ad altri cinque membri (uno dei quali era Giuseppe Volpi) dell’Associazione tra le società per azioni, aveva organizzato e di­ retto un Ufficio per lo studio dei problemi del dopoguerra. Fu in tale qualità che egli prese a frequentare uomini di governo, a co­ minciare da Vittorio Emanuele Orlando. Nel 1918 venne poi la nomina a capo degli acquisti all’estero del Ministero Armi e Mu­ nizioni. Conseguenza di tutti questi contatti fu, nel 1919, la sua inclusione nella Delegazione italiana alla Conferenza della Pace a Parigi, come membro del Consiglio Supremo Economico di Ver­ sailles e della Commissione Economica e Finanziaria. Da qui, non fu che un logico sviluppo il ruolo di negoziatore per l’Italia che Alberto Pirelli ricopri in tutte le conferenze del dopoguerra

Prefazione

13

per la sistemazione dei problemi inerenti alle riparazioni tedesche e ai debiti di guerra interalleati, sia a livello internazionale che nei diretti rapporti tra l’Italia e i Paesi creditori. In relazione a tale sua attività è interessante notare come già nel 1916, in un articolo dal titolo Gli Stati alleati e la Conferenza economica di Pa­ rigi, egli esprimesse una suggestiva anticipazione di quella sag­ gezza che sempre ritroveremo alla base dei suoi pensieri di poli­ tica economica. Scriveva fra l’altro: Potrà una Lega commerciale, estesa a tutti gli attuali Alleati, rap­ presentare una specie di allargamento di confini? ... Facciamo una poli­ tica economica che favorisca, anzi assicuri la produzione in paese di quelle derrate agricole e di quei manufatti che sono essenziali per l’in­ dipendenza del paese stesso; diamo anche una ragionevole protezione alle altre produzioni che ... richiedono qualche tutela specialmente nel periodo di avviamento; ma cerchiamo di contribuire a che non esca da questa guerra una situazione internazionale che, col far sorgere intorno a ogni Stato e in ogni campo insormontabili barriere doganali, frustri le nostre meravigliose possibilità di espansione.

La collaborazione prestata alla Delegazione italiana alla Con­ ferenza per la Pace fu per Pirelli un’esperienza preziosa. Da una parte lo educò a dare le giuste interpretazioni ad atti e dichiara­ zioni ufficiali (nelle «Parole introduttive» al suo libro Dopoguerra 1919-1932. Note ed esperienze pubblicato in proprio nel 1961, si evidenzia come «quanto ai comunicati dopo incontri e confe­ renze e quanto al testo degli accordi l’arte diplomatica sembra spesso consistere nel trovare espressioni che ciascuna parte possa col tempo interpretare a modo suo, permettendo alla diplomazia e alla politica di giocare sulla varietà, spesso persino sulla con­ traddizione, del significato che viene attribuito a taluni vocaboli»). D’altronde il soggiorno parigino fu per lui fonte di tristi constatazioni: innanzitutto riguardo al disordine allignante nella nostra Delegazione, i cui capi e membri erano in pieno e co­ stante disaccordo tra loro e comunque non sufficientemente cali­ brati per partecipare con efficacia alle discussioni (una sua lettera al padre, del 30 maggio 1919, riferiva due bon mots circolanti ne­ gli ambienti della Conferenza: «Le riunioni a quattro sono una partita a bridge dove il morto è sempre lo stesso», e: «L’Italia ha due delegati, dei quali l’uno tace in tutte le lingue che sa e l’altro parla in tutte quelle che non sa»). Tuttavia, oltre ad approfondire la conoscenza dei politici italiani, Pirelli in quella tornata pari-

14

Prefazione

gina riuscì abilmente ad intessere rapporti con esponenti di alto livello delle altre delegazioni: basti pensare ai nomi di Keynes e Baruch, ricorrenti nel carteggio del periodo trascorso da Alberto Pirelli a Parigi. Con Baruch in particolare (allora già amico del Presidente Wilson, come fu amico dei Presidenti che gli succe­ dettero), Pirelli trattò problemi di vitale importanza per gli ap­ provvigionamenti del nostro Paese, e sondò anche la possibilità di costituire gruppi bancari e industriali per la concessione di cre­ diti a lunga scadenza ai Paesi bisognosi di materie prime. Tutto questo, nella piena consapevolezza delle difficoltà che stavano montando in Europa («Il cibo e le materie prime — Pirelli scri­ veva al sottosegretario al Tesoro Ettore Conti il 6 aprile 1919 — mancano in quasi tutta l’Europa; le ferrovie dell’Europa centrale e orientale sono disorganizzate; mancano i denari per gli acquisti all’estero e le esportazioni sono difficili a riprendere; molti dei nuovi Stati non sanno come risolvere il problema monetario; in molti Stati alla disciplina militare è subentrata una generale rilas­ satezza»). Ciò che però più angeva Pirelli, nell’ambito della Delegazione italiana, era l’inadeguatezza dell’operato di essa, il che lo indu­ ceva a scrivere al presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Or­ lando, sempre nel marzo 1919: «Occorre un capo e intorno a lui vari uomini di valore che egli possa vedere tutti i giorni per dar loro direttive comuni o singole e riceverne i rapporti... in ogni caso è indispensabile evitare quella mancanza di coordinamento e di direzione per cui il rendimento di alcune sezioni della Delega­ zione è stato e sarà minore della somma delle intelligenze ed energie individuali che ne fanno parte». Anche se il suo senso di responsabilità lo consigliava a non abbandonare un campo infestato da tanta «deficienza di uomini come quantità e qualità», Pirelli a fine marzo 1919 rassegnava le dimissioni da capo della Sezione economica della Delegazione, continuando tuttavia a operare come membro del Consiglio Su­ premo Economico alleato e come delegato per l’Italia nella Com­ missione delle materie prime.

Ma i più grandi servizi nel campo della diplomazia economica Alberto Pirelli avrebbe reso al suo Paese con l’essere parte attiva, come detto sopra, di tutte le conferenze concernenti la sistema­ zione dei debiti di guerra e i problemi connessi alle riparazioni. Tale sua attività egli stesso descrisse accuratamente nel già ci­

Prefazione

15

tato Dopoguerra 1919-1932. E a datare dal 1922 ci vengono ora in aiuto anche le note contenute nei Taccuini che sono oggetto di questa pubblicazione. Su di essi farò ora alcuni commenti, che mi auguro possano essere d’ausilio a individuare nel pensiero e nel­ l’azione di Alberto Pirelli la linea di sviluppo, contraddistinta da quella trasparenza e coerenza che più sopra additavo come tratti innegabili e principali del carattere e dell’opera dell’uomo. Nei Taccuini troviamo, per i primi anni, poche note, peraltro illustrative di un’intensa attività nel campo internazionale che portò Alberto Pirelli a contatto con gli uomini più rappresenta­ tivi dei Paesi alleati. Le osservazioni di Pirelli a questo riguardo sono da leggere nel citato suo libro Dopoguerra... Note ed espe­ rienze, dove la descrizione che egli fa di alcuni di quegli uomini non potrebbe essere più vivida e avvincente: Wilson, nel quale «all’altezza degli ideali e al fermento e proposito umanitario non corrispondeva la capacità, che pur deve avere chi vuol dominare nella storia, di tradurre tali ideali in formule che rispondessero al grado di maturità dei tempi»; Lloyd George, «grande oratore ma­ gnetico, pronto e astuto nella polemica..., pericoloso come ne­ mico ma poco sicuro come amico»; Vittorio Emanuele Orlando, «sincero nei suoi sentimenti di italianità, acuto giurista, fine dia­ lettico, oratore dalle eleganti sfumature, aveva più ingegno che carattere o tempra di forte negoziatore»; Sonnino, «uomo since­ rissimo nelle sue convinzioni, ...ma duro, chiuso, taciturno anche coi colleghi. Ad ogni contrarietà gli si infuocava la faccia»; Briand, che «dava spesso l’impressione di essere un distratto ascoltatore nelle discussioni, ma i suoi interventi dimostravano che cosi non era. Pieno di intuito piu che di cultura, dichiarava egli stesso la sua difficoltà ad impadronirsi dei problemi econo­ mici e finanziari, di cui non vedeva che Ì riflessi politici»; Poin­ caré, «privo di fascino personale e incapace di quelle compren­ sioni emotive che possono essere piu importanti di quelle intellet­ tuali, ...coscienzioso nel lavoro, ragionante a fil di logica e pur sempre ispirato da alto patriottismo». Tornando ai Taccuini dei primi anni, è interessante notare (specialmente per chi, come me, potè trent’anni dopo seguire da vicino la ben diversa politica adottata dai vincitori della seconda guerra mondiale) come Pirelli fin dall’immediato dopoguerra con­ siderasse grave errore «il non aver nonché provveduto neppure tentato di seriamente provvedere a sollevare l’Europa dalle pro­ strazioni e dal disordine finanziario in cui la guerra l’aveva la-

16

Prefazione

sciata, ...di aver creduto di potersi rivalere sul nemico imponen­ dogli condizioni economiche di una assurdità fin d’allora evi­ dente». A proposito delle clausole economiche dei trattati di Ver­ sailles e di Saint-Germain, Pirelli aveva coniato una frase che spesso usò a Parigi: «Non si può tagliare le mani a uno e poi pre­ tendere che lavori per noi». Benché nominato nel 1920 rappresentante dell’industria ita­ liana nell’ufficio internazionale del Lavoro di Ginevra, e due anni dopo membro della Sezione economica della Società delle Nazioni, dal 1922 in poi Pirelli non mancherà d’essere coinvolto nelle Conferenze di Cannes e di Genova dedicate alle riparazioni e ai debiti interalleati: problemi che l’occuperanno di nuovo, an­ che dopo Cannes e Genova, per tutti gli anni 20, fino ai piani Dawes e Young. Non mi addentrerò nell’esame di quegli sviluppi, in quanto descritti in dettaglio da Pirelli stesso nel suo già citato Dopo­ guerra 1919-1932. Mi limiterò ad alcuni cenni essenziali con rife­ rimento soprattutto alle opinioni che Alberto Pirelli venne matu­ rando circa la saggezza di certe impostazioni fondamentali della politica internazionale di quegli anni. Fu un periodo, quello che va dal 1919 alle Conferenze dell’Aja e di Losanna del 1932, du­ rante il quale Pirelli, mentre si batteva e con successo per servire gli interessi nazionali, non nascose le proprie ciescenti perplessità per operazioni e atteggiamenti, in campo internazionale, che gli apparivano antitetici a uno sviluppo della collaborazione tra i po­ poli. Sempre più lucidamente egli venne affermando una critica che già affiorava in un suo memorandum ufficiale del feb­ braio 1920 sugli «aspetti economici della Conferenza della Pace», nel quale aveva manifestato preoccupazione per le conseguenze che si sarebbero avute qualora i Paesi creditori avessero preteso un esoso rimborso delle poste debitorie iscritte nella contabilità di guerra: Mentre la Lega delle Nazioni vuol costituirsi in modo da rispon­ dere alla concorde aspirazione dei popoli a ricomporsi nella pace giu­ sta, vi entrerebbero invece in condizioni di iniqua e irreparabile infe­ riorità economica precisamente le nazioni che, per la comune vittoria onde e stata resa attuabile la Lega, hanno fatto i maggiori sacrifici. ( 'orni· non giusta, cosi non duratura sarà la Lega se non porrà rimeilio alla situazione di profondo squilibrio economico di cui è minac­

Prefazione

17

ciato il mondo... Si avranno protezionismi esasperati o proibizionismi nei rapporti commerciali e in ogni campo economico, un regime artifi­ ciale e chiuso da parte degli Stati più deboli.

In quanto ai debiti propriamente di guerra, attraverso nego­ ziati in cui Pirelli ebbe una parte preponderante (e che egli non volle mai fosse posta pubblicamente in rilievo), si riuscì da parte nostra ad ottenere I’annullamento dei debiti fatti fino al­ l’armistizio e la liquidazione in 62 anni, con un modico inte­ resse, di quelli contratti posteriormente. Quanto alle riparazioni che a termine del Trattato di Ver­ sailles dovevano essere corrisposte dalla Germania sconfitta, il pagamento delle annualità risultò gravido di difficoltà e dette luogo (prima di finire nel nulla) a successivi compromessi attra­ verso i piani Dawes e Young, alla cui elaborazione Alberto Pi­ relli partecipò come uno dei protagonisti, perseguendo finalità di distensione e tuttavia scontrandosi non poche volte col revan­ scismo progressivamente affiorante nell’atteggiamento dei dele­ gati tedeschi, da ultimo capeggiati dal Governatore della Banca di Stato, Hjalmar Schacht, il «mago della finanza» tedesca (al­ tro personaggio di primissimo piano nel mondo internazionale dell’epoca, col quale Pirelli doveva conservare un certo rapporto anche negli anni successivi). In una lettera del 5 gennaio 1932 ad Alberto De Stefani (il quale aveva criticato l’esito dei vari negoziati per aver portato la Germania d’allora ad una politica di dissipazione delle risorse) Pirelli, dopo aver sottolineato l’esi­ genza che si era manifestata di addivenire a tanti compromessi per tener conto delle reazioni nella politica interna dei vari Paesi, scriveva: Comunque, grande o piccola che sia la colpa della Germania, biso­ gna oggi riconoscere le difficoltà in cui si dibatte e arrivare ad una so­ luzione d’insieme su basi molto liberali. Da un punto di vista politico noi italiani dovremmo mettere sulla bilancia se ci possa convenire di più un annullamento completo di tutte le riparazioni... oppure se sol­ levare la Germania da ogni pagamento non rappresenti un altro peri­ colo e cioè una troppo rapida ripresa (o devo dire rivincita?) della Germania.

Ciò che si manifestò in quel Paese l’anno dopo la redazione di questa lettera — e cioè l’avvento al potere del movimento na-

18

Prefazione

zista — fu purtroppo conferma dell’intuizione e della saggezza politica di chi aveva affacciato quei dubbi. Descrivendo la parte avuta da Alberto Pirelli nei negoziati in­ ternazionali relativi alle riparazioni e ai debiti di guerra, ho do­ vuto finora lasciar fuori dal quadro i vari incarichi che nello stesso torno di tempo gli furono affidati, e cioè quello di presi­ dente dell’Associazione fra le Società Italiane per Azioni (dal 1924 al 1945), organizzatore e primo presidente dell’istituto Na­ zionale per l’Esportazione (1926-28), presidente della Camera di Commercio Internazionale (1927-29), commissario straordinario per la Confindustria (gennaio-ottobre 1934) '. E nell’espleta­ mento degli incarichi ora menzionati che Pirelli, reduce da nego­ ziati in campo estero o ancora in essi coinvolto e dagli stimolanti contatti intrattenuti ai massimi livelli, seppe esprimere una filo­ sofia di politica economica che testimonia la sua consapevolezza dei problemi nascenti sia dalla struttura industriale del nostro Paese, sia dai limiti del potenziale dell’economia italiana, e sia in­ fine dall’incipiente interdipendenza economica in campo interna­ zionale, a cominciare da quello europeo. I Taccuini che qui vengono pubblicati iniziano dal 1922, che è lo stesso anno dell’avvento del fascismo. Mentre rinvio a pa­ gine successive l’esame dei rapporti fra Alberto Pirelli e il regime fascista e in particolare Mussolini, vorrei soffermarmi qui su al­ cuni dei pensieri espressi da Pirelli quale guida o partecipe di or­ ganismi economici nazionali, e ciò per estrarre da tale disamina il succo delle sue convinzioni in campo economico e finanziario. Innanzitutto occorre sottolineare la posizione da lui presa nei confronti del problema, che veniva ponendosi, di come agire per far si che l’industria italiana tenesse testa a quella degli al­ tri Paesi. In un discorso pronunciato 1’8 maggio 1927 alla Com­ missione Industria della Conferenza economica internazionale egli rilevava che la salvaguardia dell’attività produttiva stava nella razionalizzazione e che «la razionalizzazione è standardiz­ zazione, specializzazione, produzione di massa, metodi scienti­ fici di organizzazione della mano d’opera, ma anche dell’ammi­ nistrazione e della distribuzione... C’é ancora molto da fare in questa direzione... e c’è un estremo bisogno di formare l’opi1 Nel 1924 egli fu inoltre nominato ministro plenipotenziario onorario e nel 1938 ministro di Stato.

Prefazione

19

nione pubblica, di persuadere gli industriali e gli operai». E in un altro discorso riguardante le dimensioni delle imprese industriali e la potenzialità deH’economia dei Paesi del Vecchio Continente di fronte alla crescente supremazia statunitense (da lui ben avver­ tita nei frequenti suoi viaggi e contatti in America), egli diceva: «Possiamo avere una mentalità nazionale in politica, ma dob­ biamo avere una mentalità internazionale nel commercio», e an­ cora: «dobbiamo adattare l’attività nazionale ai principi interna­ zionali». In un altro discorso, tenuto nel 1927 al congresso di Stoc­ colma della Camera di commercio internazionale, egli cosi esprimeva le sue convinzioni riguardo a un fenomeno che, agli al­ bori allora, oggi è condizionante e ineluttabile: l’interdipendenza economica sul piano globale: L’ideale di una vigorosa espansione individualistica delle singole nazioni, alla stregua delle energie progressive da cui sono animate e del diritto storico di ciascuna di esse, non può significare il disconosci­ mento dell’interdipendenza degli interessi di tutte le nazioni. Oggi, più che mai, l’avvenire economico del mondo è subordinato a una stretta collaborazione di tutte le forze, ed ogni esclusivismo si risolve­ rebbe alla fine a danno di chi lo ha praticato.

E sempre rivolgendosi alla CCI nel 1927 cosi esortava: Raccogliere gli uomini d’affari di tutto il mondo intorno a un comune tavolo di lavoro per studiare i problemi che si connettono allo sviluppo e al perfezionamento delle attività economiche, per eliminare le difficoltà che intralciano questo sviluppo, per prevenire, conciliare o quanto meno contenere i contrasti di interessi fra le varie nazioni, per liberare dalle superstrutture artificiose e antieconomiche il gioco delle forze produttive, per cooperare infine al ristabilimento del benessere tra i popoli.

La concezione fondamentalmente liberista di Alberto Pirelli è affermata, 1’8 luglio 1929, nel discorso al quinto congresso della CCI: Riponiamo tutta la nostra fiducia nell’iniziativa privata, nella giu­ sta ricompensa del merito individuale... All’iniziativa privata si deve se è stato elevato ovunque il livello di vita. In quei Paesi dove domina l’individualismo, la comodità e gli agi di cui una volta si avvantaggiava soltanto una piccola minoranza sono ora patrimonio di larghi strati so­ ciali... Ancora molto però resta da fare: il progresso umano non è

20

Prefazione

cosi rapido come si desidererebbe. E affinché l’individualismo sia de­ gno di guidare il progresso del mondo occorre che il mondo degli affari comprenda che il significato di interesse economico è oggi profonda­ mente mutato. Quello che prima era un’impresa particolare dell’indivi­ duo diventa ora una necessità nazionale.

Con tali tesi liberistiche non poteva non andare di pari passo un sostanziale antiprotezionismo. Ne troviamo un’efficace testi­ monianza in un altro discorso, tenuto alla Associazione tra le so­ cietà per azioni il 29 ottobre 1932, quando ancora non si era ac­ quetata la procellosa crisi mondiale: Se anche non si potrà tutt’in una volta ristabilire la normalità degli scambi, è però necessario cominciare almeno a fare macchina indietro, a smobilitare la nuova bardatura di guerra, fatta di controllo di divise, di divieti e di contingentamenti, di trattamenti differenziali, di dazi proibitivi, provvedimenti tutti qùanti diretti a limitare le importazioni nella speranza o piuttosto nella illusione di ristabilire un certo pareggio nella bilancia commerciale e nella bilancia dei pagamenti, senza pen­ sare che ogni ostacolo posto alle importazioni si traduce, per le inevita­ bili ritorsioni, in un ostacolo alle esportazioni, annullando in tal modo l’effetto utile che se ne era sperato e traducendosi in un danno gene­ rale per tutti i Paesi.

In questo excursus dei pensieri di Alberto Pirelli in politica economica non può mancare un riferimento alle considerazioni, non disgiunte da preoccupazioni, da lui formulate nei riguardi dell’Europa. Della sua vocazione europeistica era già cenno nel citato scritto del 1916, nel quale, auspicando l’avvento di una lega commerciale tra gli Alleati europei, si diceva convinto che essa avrebbe rappresentato «una meravigliosa forza nel mondo». Vari anni dopo, nel 1929, di nuòvo all’assemblea annuale dell’Assonime egli affrontava i problemi economici europei soprat­ tutto formulando una perspicace contrapposizione con le realiz­ zazioni e integrazioni effettuatesi negli Stati Uniti d’America. Egli diceva tra l’altro essere un errore ritenere che quei problemi potessero essere ridotti semplicemente a una questione di rap­ porti doganali. E con parole che oggi ci si dimostrano profetiche e comunque sature delle difficoltà che tuttora si pongono nei rap­ porti tra noi e gli Stati Uniti, rilevava: Si è diffuso nel Vecchio Continente un senso, quasi direi, di invi­ dia e di preoccupazione. Questo riguarda sia la potenza economica e fi­

Prefazione

21

nanziaria della nuova nazione d’oltremare, sia il peggioramento verifi­ catosi a danno dell’Europa nei rapporti commerciali Europa-America, sia l’ingigantire della concorrenza nordamericana nei mercati extraeu­ ropei.

Pirelli dedicava molta parte di quel suo discorso a porre in evidenza, con accenti realistici e riferimenti ancor oggi attuali, le differenze esistenti fra i Paesi del Vecchio Continente e gli Stati Uniti e, mentre tristemente constatava che una unione doganale europea non pareva suscettibile, «per il momento almeno», di passare dal campo delle aspirazioni a quello delle realizzazioni concrete, propugnava l’adozione d’un progetto di «tregua doga­ nale». Il tutto era certamente rivelatore di una forte vocazione europea, d’altronde abbastanza naturale in Alberto Pirelli per le sue frequentazioni nelle conferenze internazionali in seno all’Eu­ ropa e in posizione dialettica costante con gli Stati Uniti. E sempre per marcare la capacità intuitiva dell’uomo occorre aggiungere che già negli anni 20 la sua attenzione si volgeva a due Paesi «all’est dei nostri vecchi continenti» vasti in dimensioni e in ricchezze naturali: l’URSS e la Cina, delle cui economie e poten­ zialità egli faceva descrizioni dettagliate e precise in alcuni dei suoi discorsi da presidente della Camera di commercio internazionale. Nel 1935 Pirelli, che in alcuni decenni, ormai, di milizia nell’ambito delle relazioni internazionali aveva acquisito una profonda sensibilità a quell’ordine di problemi, decideva di dare la sua collaborazione all’istituto per gli studi di politica interna­ zionale (ISPI). Questo era sorto l’anno precedente per iniziativa di un gruppo di studiosi usciti dalle Università di Milano e di Pa­ via, i quali avevano preso a modello ispiratore il Royal Institute of International Affairs di Londra; esso aveva già avuto una be­ nedizione ufficiale con la visita nel 1934 del sottosegretario agli Esteri Suvich, il quale aveva attestato l’interesse e l’apprezza­ mento del Governo per l’iniziativa. Pirelli, ben conscio delle po­ tenzialità dell’istituto, accettò con entusiasmo di assumerne la presidenza — e ne fu poi il sostanziale ispiratore — perché sia come imprenditore sia come «politico» e uomo di cultura riteneva non solo utile, ma necessario e urgente, far uscire dal suo angusto quadro provinciale la conoscenza dei problemi politici ed econo­ mici internazionali che si aveva in Italia, per sollevarla ad una vi­ sione di più ampio respiro, aperta agli apporti provenienti dalla

22

Prefazione

cultura francese ed anglosassone, sintonizzata con le grandi cor­ renti di fondo della vita mondiale. Avrebbe detto nel 1936, inau­ gurando una Sezione distaccata dell’ISPI a Trieste: Voi triestini, che avete cosi antichi e larghi e continui contatti con ambienti esteri ed una tradizione di esperienza negli affari interna­ zionali, voi sapete bene quanto la cultura — ed in particolare la cultura nel campo della politica estera — possa avere riflessi utilissimi sull’atti­ vità pratica, sulla rivelazione di nuove possibilità, sulla valutazione di rischi, sull’anticipazione di avvenimenti o di tendenze. E non è questa la funzione dove emerge veramente il Capo di un’azienda, non è que­ sta la virtù che ne giustifica la posizione e l’autorità?

Cosi, a cominciare dal 1935, per molti anni Pirelli non le­ sinò sforzi nel suo impegno di presidente dell’istituto, permet­ tendo a questo, fra l’altro, grazie alla «copertura» assicurata dal suo prestigio personale, sia di conseguire i necessari finanzia­ menti, sia di ottenere le più qualificate collaborazioni internazio­ nali, e sia (sotto il fascismo) di parare critiche o obiezioni per il fatto che all’istituto facevano capo uomini àeW intelligencija poli­ tica tutt’altro che in armonia col regime. Ciò mi da spunto per accennare alla posizione di Alberto Pi­ relli nei confronti del fascismo e del suo capo. Non fu certo un gesto politico la sua iscrizione al PNF, avvenuta nel 19322. E anzi, prima di addentrarmi nella mia disamina, vorrei porre un interrogativo che può apparire ingenuo, ma la cui risposta può of­ frire un’utile chiave per una completa penetrazione nell’atteggia­ mento del Nostro: fu Alberto Pirelli un (uomo) politico? In senso stretto sarei senz’altro incline a rispondere negativamente. Egli aveva certo, e profonda, la coscienza della polis e la consapevolezza delle sue responsabilità e dei suoi doveri civici. Ma non era uomo da impegnarsi in campagne elettorali e in au­ toelogi o da farsi trascinare in compromessi strumentali. (Ho già 2 Iscrizione così commentata in un suo appunto del 1945: «Avevo rifiu­ tato più volte di prendere la tessera... Poi, nel 1932, mi sono iscritto. Con l’in­ tensificarsi del controllo dello Stato, tutta la vita economica si era venuta a trovare in una condizione di dipendenza dalla struttura politica che lo Stato aveva assunto, ed il non prendere attitudini di marcata indipendenza od oppo­ sizione diventava una necessità per chi aveva la rappresentanza di importanti attività economiche nel Paese e la responsabilità del lavoro e del risparmio di tante migliaia di persone...».

Prefazione

23

scritto del desiderio da lui espresso in varie occasioni che la sua opera e i meriti acquisiti in certi negoziati non fossero posti in particolare evidenza.) Egli apparteneva piuttosto alla schiera eletta di coloro che, normalmente impegnati in attività non poli­ tiche, alla politica guardano soltanto come necessaria cornice del servizio di Stato al quale pure essi si dedicano. E servitore dello Stato egli fu, com’è testimoniato dalla sua multiforme attività al di fuori di quella industriale, svolta non soltanto nelle conferenze internazionali ma anche nei contatti tenuti intensamente e assi­ duamente con gli esponenti della politica e della diplomazia ita­ liana. A questi contatti — che si moltiplicarono man mano che l’Italia muoveva verso un’alleanza e verso eventi che si sarebbero rivelati fatali — Alberto Pirelli era spinto sia dall’ansia di sapere, sia dal desiderio di portare un contributo alla condotta degli af­ fari dello Stato, forte com’era di particolari esperienze quali forse nessun altro poteva vantare nell’Italia degli anni precedenti la se­ conda guerra. I Taccuini documentano l’approfondimento e l’im­ pegno posti da Pirelli nello sviscerare, in conversazioni sia all’e­ stero sia all’interno, i problemi che si addensavano sul nostro Paese nel periodo sopra detto.

Nei Taccuini non mancano certo resoconti dei suoi colloqui con Mussolini — che Pirelli aveva conosciuto nel 1917 in un «ri­ stretto gruppo» di giornalisti incaricato di rianimare il morale dopo Caporetto, e aveva poi rivisto alla Conferenza di Cannes, nei panni di reporter a caccia di notizie, dieci mesi prima della «marcia su Roma». Della politica del Capo del Governo fascista egli vide in chiave positiva alcuni spunti, come: in tema di fi­ nanze statali la politica dei primi anni del regime, in politica estera il Patto di Locamo, l’accordo di Stresa, la chiusura della «questione romana»; e ovviamente non potè non apprezzare la li­ bertà che gli fu lasciata quando come «esperto» italiano si occupò dei problemi delle riparazioni e dei debiti. Nelle grandi decisioni storiche prese dal regime egli assunse invece netta posizione con­ traria e di ciò non fece mistero nei suoi colloqui con Mussolini, entrando anzi con lui in contraddittorio. In campo interno egli non nascose il proprio disaccordo dalla politica di affossamento delle libertà enunciata da Mussolini nel famoso discorso del 3 gennaio 1925, tanto da mettere a disposi­ zione il suo incarico di delegato alla Conferenza sulle riparazioni che si apriva in quei giorni a Parigi: dimissioni che poi ritirò per

24

Prefazione

le pressioni ricevute dal capo della Delegazione e per essere l’u­ nico delegato italiano che conoscesse a fondo l’argomento dal punto di vista tecnico. Ma i momenti più vivi del suo dissenso furono quelli del con­ flitto italo-etiopico e dell’entrata in guerra a fianco della Germa­ nia nel 1940. Quanto al primo, egli obiettò che i miliardi occor­ renti potevano spendersi meglio per rimediare le molte manche­ volezze e miserie nell’interno del Paese (e per altro verso non mancò di far notare che se l’Etiopia avesse costituito un pascolo interessante, altre Potenze colonialiste se ne sarebbero da tempo impossessate). Comunque egli propose che, invece di ricorrere alle armi per fare dell’Etiopia una colonia, si puntasse a costituire una società commerciale per lo sviluppo economico dell’Abissinia sul modello della Compagnia delle Indie. Circa la seconda guerra mondiale, i colloqui registrati dai Taccuini sono ampia ed eloquente testimonianza dei molteplici sforzi fatti da Pirelli per dissuadere Mussolini dall’intervenire in un conflitto per il quale l’Italia non era assolutamente preparata (rilevando tra l’altro che la produzione italiana di 2 milioni di tonnellate d’acciaio andava vista a paragone dei 28 milioni della Germania e dei 45 degli Stati Uniti). L’astensione dell’Italia, per Pirelli, avrebbe dovuto essere «non una neutralità negativa bensì una preparazione costruttiva intesa a salvare la vecchia Europa e la sua civiltà minacciata di sfacelo. Ancor più che le perdite dolorosissime di vite è il collasso morale, politico ed eco­ nomico dei popoli che può essere la più triste conseguenza della guerra...». E a Mussolini che, ancora nell’aprile del 1940, gli chiedeva le sue impressioni dopo un viaggio in diversi Paesi euro­ pei, Pirelli rispondeva che «nessuno dei popoli in guerra l’ha vo­ luta e nessuno sente la guerra; ed il popolo italiano non la sente e non la vuole. Detesta i tedeschi. Non ama gli inglesi. Sa che non siamo pronti (i mobilitati lo hanno constatato nelle caserme, gli operai lo constatano nelle fabbriche). Giudica tuttora incerto l’e­ sito della lotta».

Mussolini, anche se non ne segui il consiglio nell’assumere decisioni di cosi vitale importanza per l’interesse del Paese, va­ lutò sempre appieno le qualità di Pirelli. Già nel 1923, dopo le conferenze di Cannes e di Genova, gli aveva offerto la carica di ministro dell’Economia nazionale. Pirelli l’aveva declinata ferma­ mente, resistendo alle insistenze di Mussolini e adducendo, oltre

Prefazione

25

a ragioni personali e di impegni industriali, la «probabilità» di sue divergenze politiche «qualora si accentuassero le tendenze in­ transigenti e non quelle verso la normalizzazione e il ritorno a un regime liberale». In quell’occasione egli disse a Mussolini: «Può darsi che l’operazione chirurgica fosse necessaria; ma ora basta il medico di casa e bisogna tendere a che il malato metta giù le gambe dal letto e riprenda a camminare da sé». Di nuovo nel luglio 1925 Pirelli declinava l’offerta fattagli da Mussolini del Ministero delle Finanze, con una fine presa di po­ sizione: «Lei è un divoratore di uomini, ma ve ne sono come me che hanno... un grande spirito di conservazione!». Nel 1934, allo scadere del suo breve mandato di commissario alla Confindustria, Pirelli ricevette da Mussolini l’offerta della presidenza di quella Confederazione; di nuovo Pirelli ferma­ mente declinò (una delle ragioni essendo, oltre ai molti impegni, quella di non voler partecipare al Gran Consiglio del Fascismo). Con il volgere della seconda guerra alla sua fine, ben triste per il nostro Paese, si moltiplicarono i passi, contatti, sondaggi di Pirelli negli ambienti politici e diplomatici italiani. Dietro inca­ rico del Ministero degli Esteri, essi si estesero anche al Vaticano e alla Svizzera, allo scopo di esaminare le possibilità di una pace separata: e questo con notevole rischio personale dell’emissario, data l’attenzione con cui i tedeschi scrutavano movimenti del ge­ nere anche al di là delle frontiere. Le lunghe pagine dei Taccuini che riportano le note degli anni di guerra costituiscono una preziosa documentazione, di grande valore per la ricostruzione storica di quel periodo. Attraverso di esse si ha una vivida sensazione del precipitare degli eventi e la desolante visione di un Governo e di una burocrazia in sfacelo, fra il crescente sospetto dei tedeschi e il timore sempre più mar­ cato delle loro minacce e rappresaglie. Chi come me ha vissuto quei tragici momenti seguendoli da un osservatorio ben situato (ero allora capo della segreteria al Ministero) può bene testimo­ niare della scrupolosa veridicità di quanto Pirelli veniva anno­ tando dopo i suoi colloqui romani. Da tali annotazioni si eviden­ ziano anche chiaramente il prestigio e il rispetto di cui Alberto Pirelli godeva tra gli esponenti più qualificati dell’amministra­ zione del nostro Paese in quella stagione di delusioni e di soffe­ renze materiali e morali. Ricordo vividamente il pomeriggio del 26 luglio quando, dopo la fatale seduta notturna del Gran Consi­ glio, parlando con l’allora mio capo Giuseppe Bastianini dell’im-

26

Prefazione

minente mutamento della formazione ministeriale, egli mi disse che per il vertice del Ministero degli Esteri di un’Italia che do­ veva rinnovarsi non vedeva che un candidato ben qualificato: Al­ berto Pirelli. A questi veniva poi detto da altri che in effetti si era pensato a lui per quell’incarico, ma che si era poi preferito di tenerlo in riserva per un secondo tempo. Ciò non si realizzò per­ ché il Paese fu travolto dalle vicende belliche; ed è peraltro da chiedersi se egli avrebbe accettato, avendo sempre rifiutato inca­ richi politici e schivo com’era da ogni «protagonismo». Ma anche nell’Italia rinnovata Alberto Pirelli coltivò contatti e seppe godere della massima considerazione del Governo demo­ cratico, sempre muovendosi e operando col suo senso patriottico, ancora e sempre servitore dello Stato. A testimonianza della fidu­ cia che egli riscuoteva fra i governanti, mi si consenta di ripro­ durre ciò che nel mio libro Anni d‘America (Il Mulino, 1984, p. 246) ho ricordato a proposito di una visita di Pirelli a Washing­ ton a metà maggio del 1948: Proprio in quei giorni era giunto a Washington Alberto Pirelli per contatti con il mondo economico e con l’amministrazione americana al­ l’inizio della nuova interessante esperienza del piano Marshall. Cono­ scevo Pirelli da quando avevo preso parte alla Conferenza economica di Londra del 1933... Era un uomo di ammirevoli qualità intellettuali, imprenditoriali, culturali, sospinto da un prorompente desiderio di co­ noscere e soprattutto di percepire nella giusta misura quanto andava attuandosi neH’ambito del Governo americano. Data la nostra cono­ scenza reciproca di ben quindici anni, e in attesa che l’ambasciatore fa­ cesse ritorno da Roma, Pirelli confidenzialmente mi disse di essere la­ tore di una lettera di Sforza a Tarchiani nella quale il ministro degli Esteri esprimeva l’idea che non ci convenisse premere e tanto meno impetrare per un nostro ingresso nell’Unione dell’Europa Occidentale, ma attendere piuttosto di essere pregati.

In quegli anni del secondo dopoguerra Alberto Pirelli dovette soprattutto badare a rimettere in moto rapidamente ed efficace­ mente la macchina della propria industria, cercando, come egli disse, «un equilibrio tra le impazienti ansietà dello spirito rivolu­ zionario e i principi stabiliti dall’eterna saggezza: instaurando un ordine consensuale che consentisse una politica di libertà e di ar­ dimento sociale» e perseguendo una maggiore produttività «quale massimo rimedio atto a procurare margine, oltrecché per la rimu­ nerazione del lavoro, anche per nuovi investimenti». Egli salutò

Prefazione

27

con entusiasmo l’avvento del Mercato comune, realizzazione d’un disegno da lui caldeggiato da diversi decenni, come anche fu solerte nel considerare le esigenze del Terzo Mondo, riguardo al quale scrisse (1960): Da parte dell’Occidente non dobbiamo nel campo degli aiuti essere né prestatori ipocriti né dominatori con tono di degnazione: degli uo­ mini che si vogliono aiutare non si può comprare l’amicizia, bisogna meritarla attraverso uno sforzo di comprensione.

Ho cercato di portare in evidenza, passo passo, le afferma­ zioni, le realizzazioni, i comportamenti di un uomo che ebbi la ventura di conoscere alquanto in là nel tempo e di cui sempre po­ tei apprezzare le qualità. Anche se il compito non era facile, data l’amplissima gamma della documentazione da utilizzare, spero di essere riuscito a far emergere le sue virtù patriottiche ereditate dalla famiglia, la capacità di penetrazione nelle leggi e strutture dell’economia moderna, la netta propensione liberista, il culto della solidarietà economica internazionale, la vocazione europei­ stica e soprattutto la capacità di risolvere i dilemmi della duplice spinta nazionalista e internazionalista con l’addivenire a una con­ vergenza e sintesi delle due finalità, ispirata a grande saggezza ed equilibrio. Quanto al suo modo di vedere i doveri incombenti a un uomo come lui cosi ampiamente dotato, mi piace riprodurre due suoi pensieri: La civiltà moderna sta sviluppando un tipo nuovo di uomo d’affari: quello che pur dando al suo mestiere la maggior parte del suo tempo e della sua energia, consacra ciò malgrado una parte del suo tempo agli interessi del suo Paese [discorso al congresso di Stoccolma della CCI, 1° luglio 19271. Quando ho avuto l’occasione di insistere sul pericolo che l’assor­ bente interesse della civiltà meccanica e lo stesso benessere materiale troppo distolgano dalla meditazione e dalla contemplazione, ho sog­ giunto: «Badate che troppe luci per le strade non impediscano di ve­ dere le stelle» [relazione introduttiva al Convegno italo-francese dell’ISPI del 1950].

Alberto Pirelli morì il 19 ottobre 1971 dopo aver «vissuto un’epoca — scrissero i suoi figli dandogli l’estremo saluto — di grandi mutamenti nelle aspirazioni e realizzazioni sociali come

28

Prefazione

nelle strutture dell’economia: un’epoca caratterizzata da una ec­ cezionale crescita delle forze produttive e del livello generale di vita e di cultura, della scienza e della tecnologia, ma anche da eventi drammatici e da contrasti. Egli ha saputo essere un prota­ gonista dei suoi tempi, affrontandone i grandi temi non solo con straordinaria intelligenza, responsabilità e sensibilità, ma anche con la capacità di cogliere il senso generale dei mutamenti in atto, di esserne anticipatore ed interprete». Egidio Ortona

Notizie sul testo

Fu abitudine di Alberto Pirelli — finché una paralisi non gli tolse l’uso della mano destra, nel 1959 — di annotare su foglietti volanti, in forma più o meno telegrafica, cose degne di particolare memoria fra quelle ascoltate o da lui stesso dette (o, anche, che si proponeva di dire) in determinate circostanze. Tali appunti, scritti a distanza più o meno breve dalle relative occasioni, venivano da lui o dalle sue segretarie custoditi con cura fino a quando non aves­ sero esaurito la loro funzione di promemoria col dar luogo, se­ condo i casi, a lettere, relazioni, comunicazioni verbali ecc. La maggior parte del materiale qui pubblicato è precisamente composta da una massa di siffatti fogli e foglietti volanti (spesso carta da lettere d’albergo), conservati e anzi accumulatisi negli anni in un medesimo dossier perché evidentemente il loro valore di memoria, anziché esaurirsi, cresceva e la loro materia si rivelava sempre più unitaria. Accanto all’annotazione di casuali «intervi­ ste» e alla perplessa, e poi allarmata, descrizione di retroscena della nuova politica estera mussoliniana, ben presto troviamo deli­ berate «verbalizzazioni» di questo o quell’atteggiamento assunto dall’autore nei confronti del presidente del Consiglio e capo del fa­ scismo (es.: il rifiuto della carica di ministro dell’Economia nazio­ nale nel luglio ’23; oppure la reazione al discorso del 3 gennaio ’25); e la quantità e frequenza degli appunti, dapprima scarsa e sporadica, non fa che aumentare nel corso degli anni fino ad assu­ mere il ritmo e l’estensione d’un diario col precipitare della guerra e della crisi del regime fascista. E ci si spiega cosi perché ai fogli volanti degli appunti si trovino intercalate lettere ricevute, minute o veline di lettere spedite, copie di rapporti al Governo e simili do­ cumenti. «Note politiche (e documenti)» è del resto uno dei titoli con cui Alberto Pirelli si riferisce a queste sue carte. (Il titolo «Taccuini» non è suo.)

30

Notizie sul testo

La serie di note termina col 1943; nell’autunno di quell’anno il dossier che le raccoglieva, insieme ad altre carte dell’archivio privato di AP, fu messo al sicuro — dai bombardamenti e dalla polizia nazifascista — in campagna, purtroppo in un locale non fatto propriamente per quello scopo, dove il manoscritto si dete­ riorò notevolmente per l’umidità, pur senza distruggersi o dive­ nire illeggibile se non in minima parte. All’inizio degli anni 50 — probabilmente nel 1952 — i fogli manoscritti con i «documenti» annessi vennero ordinati (in qual­ che caso datati) e ne fu fatta una duplice copia dattilografica, sulla quale AP fece di suo pugno numerosi interventi di carattere esplicativo: fra l’altro, mise in chiaro quasi tutti i nomi, di cui spesso il ms originale dava solo le iniziali. Alcune di queste rima­ sero tuttavia irrisolte, come si vedrà, sembrerebbe per incertezza di memoria. Che AP si proponesse di utilizzare quelle carte per una pub­ blicazione non dovrebbe esserci dubbio. Qualche indizio fa però ritenere che egli pensasse non tanto di pubblicarle tali e quali, quanto piuttosto di rielaborarle in una forma affine a quella che poi ebbe il suo libro Dopoguerra 1919-1932. Note ed esperienze·. ossia un ritmato montaggio di narrazione storica, riflessioni criti­ co-filosofiche e ritratti a basso e alto rilievo. Di tale rielabora­ zione egli esegui d’altronde un campione nel 1959 col ritratto (rimasto inedito) di Vittorio Emanuele III che perciò qui si pub­ blica in appendice: il lettore noterà facilmente come vi si ritro­ vino, rifuse unitariamente con qualche altro ricordo, tutte le an­ notazioni sul Re sparse nei Taccuini.

Il testo che qui vede la luce è il risultato di una sistematica collazione dei manoscritti originali e della copia dattilografica eseguita negli anni 50: numerose sviste contenute in quest’ul­ tima sono state emendate e si sono recuperati alcuni brani o in­ teri fogli che erano stati omessi per distrazione o difficoltà di let­ tura o deliberato proposito. Alla raccolta di fogli ordinata dal­ l’autore si sono inoltre aggiunte alcune carte di natura analoga e appartenenti allo stesso periodo 1922-43, che erano sparse in al­ tre posizioni dell’archivio privato di AP. La riproduzione è integrale, con la sola omissione (sempre se­ gnalata) di frasi irrilevanti o di circostanza o, come si avverte a suo luogo, di qualche ripetizione. Si sono segnalati gli interventi compiuti da AP sul dattiloscritto.

Notizie sul testo

31

Le date sono state riprodotte nelle forme variabili dell’origi­ nale, al caso integrandole con l’indicazione del luogo. Quando pii! annotazioni, pur se scritte su fogli distinti e in momenti di­ versi, appartengono al medesimo giorno, la data è stata indicata una volta sola, all’inizio della serie. Le sigle e abbreviazioni usate dall’autore in funzione steno­ grafica (Gr. B., US, >, < ecc.) sono state sciolte, ma per il resto ci si è attenuti alla grafia dell’originale (es. Czecoslovacchià) quando non fosse oscillante o palesemente errata. Si sono indi­ la te con le parole o i passi illeggibili e le lacune del foglio, con < > gli spazi lasciati in bianco nell’originale; gli interventi del curatore sono delimitati da parentesi quadre [ ]. Le note a piè di pagina sono del curatore. Per le notizie e in­ dicazioni che a tale riguardo gli sono state gentilmente fornite egli ringrazia il dr. Enrico Cuccia e il dr. Vittorio Rostagno; il prof. Pietro Pastorelli vicepresidente della Commissione per la pubblicazione dei documenti diplomatici, il prof. Giampiero Ca­ rocci, il prof. Enrico Serra e il ministro Fabio Grassi, del Mini­ stero degli Esteri; il direttore dell’Archivio centrale dello Stato dr. Gaetano Contini; il prof. Renzo De Felice e il dr. Luigi Co­ glia, dell’università di Roma, e il prof. Enrico Deeleva dell’Università di Milano; il dr. Jens Petersen dell’istituto Germanico di Roma; il direttore dell’ISPI dr. Giovanni Lovisetti; il dr. Vin­ cenzo Agostinelli e il dr. Diego Cosma della società Pirelli. Donato Barbone

1922

Milano, 25 luglio 1922 Λ Guido Jung1 Manca Fratelli Jung Palermo

Caro Guido, |...] partirò sabato per il Giomein, dove conto restare 18 o 20 giorni con mia moglie e coi miei bambini. Sarà un grande riposo, specialmente perché di una cosa sento bisogno, ed è il silenzio, e lassù non ci sono né ferrovie né trams né automobili né bande né... oratori da comizi. [...] Sono stato a Roma l’altro giorno, e ne sono scappato assai in I retta, perché Paratore voleva trattenermi e farmi parlare con Orlando2. (Paratore dice che a Parigi i soli due che hanno salvato la loro riputazione siamo tu ed io.) Io ho molto caldeggiato la candidatura Conti3, e Orlando aveva infatti telegrafato a Conti di andare a Roma. Conti era 1 Come Pirelli, anche Guido Jung in qualità di esperto aveva fatto parte nel 1919 della delegazione italiana alla Conferenza della pace, e dopo il trat­ tato di Versailles era rimasto consigliere del Governo italiano in materia di ri­ parazioni e debiti di guerra; anch’egli aveva perciò frequenti rapporti con la ( Ammissione delle Riparazioni a Parigi. 2 Dalla metà di luglio il Governo Facta era dimissionario, e V.E. Orlando era stato incaricato di formare un nuovo ministero. La crisi si concluse il 1° agosto con la ricostituzione di un Governo Facta; Fon. Giuseppe Paratore, già piti volte ministro e sottosegretario, ne fu ministro del Tesoro. ’ Il sen. Ettore Conti, industriale, consigliere (e poi presidente) della Banca Commerciale Italiana, presidente dell’Associazione fra le Società Ita­ liane per Azioni (Assonime); già capo della giunta esecutiva del Comitato in-

36

Millenovecentoventidue

molto incerto di farlo, mentre credo che sarebbe stato disposto ad andare al Governo se la crisi fosse avvenuta tra qualche mese. In ogni modo nel frattempo Orlando ha declinato l’incarico. Da Roma sono venuto via ancora una volta angosciato per la mancanza di serietà della nostra vita politica, e per l’incompe­ tenza ed incoscienza dei maggiori uomini nel campo economico finanziario, per i rischi che corriamo anche nel campo dei nego­ ziati doganali, condotti come questi sono da ottimi funzionari, ma slegati, senza direttive comuni, senza insomma un capo. Stiamo vicini almeno per corrispondenza, noi pochi che cer­ chiamo di fare del nostro meglio senza ambizioni personali. Tuo aff.mo A.P.

Parigi, 29 novembre 1922 Intervista con l’ex ministro Louis LoucheurA

Mon cher Ministre, tantót mon cher Président... Non, Pirelli... non è certo questo il momento in cui si può pensare a mutare Governo. La nostra amicizia mi per­ mette di dirvi in confidenza che Poincaré mi ha offerto di fare un rimpasto ministeriale per farmi entrare. Io non ho voluto ac­ cettare. Sarei entrato solo se si fosse fatto un grande Ministero nazionale, ma Poincaré non ha voluto. Ora temo che possa succe­ dere questo: che la conferenza di Bruxelles5 non si tenga perché Pirelli

loucheur

terministeriale per la sistemazione delle industrie di guerra, era poi stato sotto­ segretario al Tesoro. 4 L’originale è in bella copia dattiloscritta. Nel seguito del volume si trove­ ranno frequenti promemoria del genere: Pirelli li redigeva per sé o, più spesso, per inviarli ai membri del Governo o dell’Amministrazione cui potevano inte­ ressare le informazioni ivi contenute. Loucheur, ex ministro delle Regioni Liberate, aveva avuto una parte rile­ vante nei negoziati volti a fissare e regolare le riparazioni dovute dalla Germa­ nia alla Francia e alle altre potenze vincitrici, nonché i debiti di guerra interal­ leati. Contrario alla politica di sanzioni militari adottata dal presidente del Consiglio Poincaré, Loucheur tornò al governo, come ministro delle Finanze, solo nel 1925. 5 Uno dei numerosi convegni tra capi di governo, ministri, funzionari ed esperti che si susseguivano dal 1920 per cercare di giungere a una posizione co­ mune riguardo ai problemi economici e finanziari connessi alle riparazioni.

Millenoveccntoventidue

37

gli alleati non si mettano d’accordo; allora Poincaré occuperà la Ruhr e nessun uomo politico francese, anche se contrario a tale azione, potrà fare a meno di sostenere Poincaré, salvo intervenire dopo qualche tempo quando sarà possibile aprire nuovi negoziati coi tedeschi. i·. E un triste programma che voi tracciate; nel momento in cui il ripresentarsi dell’IsIam in Europa, l’incertezza russa, e la minaccia della débàcle germanica rendono più che mai necessaria un’azione concorde di Francia, Inghilterra e Italia, è doloroso pensare che venga al pettine il più grosso nodo che può dividerci, quello delle riparazioni e dei debiti interalleati. i.. Sono ben d’accordo, ma temo che Poincaré voglia vera­ mente arrivare alla maniera forte. Io gli ho detto più volte che la ( 'icrmania è in condizioni di fallimento, e che anche varcando il Reno non vi è nulla di sostanziale da prendere: purtroppo Poin­ caré mi sembra ben deciso, ed anche i ministri belgi sono partiti disorientati e spaventati. p. In ogni caso, prima di ricorrere alla forza, è indispensabile di fare un grande sforzo per trovare un’altra via d’uscita, ed è necessario di giustificare davanti al mondo una eventuale azione di forza. i Io penso che la Francia dovrebbe fare un proclama al mondo in cui dichiari il suo programma minimo... p. Non la Francia sola, ma tutti noi insieme; allora vera­ mente potremo contare sopra un grande effetto sull’opinione pubblica mondiale, e bisogna avere il coraggio di fare un gran ta­ i’,1 io nella cifra delle riparazioni, e di proclamarlo. i L’attitudine dell’on. Mussolini6 temo abbia ad incorag­ giare molto Poincaré verso l’intransigenza. Credete voi che il ( inverno italiano sia veramente disposto ad un intervento milii are? i· Spero che il quesito non si porrà. In ogni modo il nostro Presidente ha dato un notevole appoggio al vostro Governo con le sue dichiarazioni, appoggio assai utile per quella politica di mi­ naccia che è assolutamente indispensabile se vogliamo ricavare

6 Mussolini, neo-presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, espo­ nendo al Parlamento il 16 novembre i suoi orientamenti in politica estera, aveva posto l’accento sul «rispetto dei trattati» e aveva dichiarato: «Noi vof.li.iino seguire una politica di pace: non però una politica di suicidio».

38

Millenovecentoventìdue

qualche cosa dalla Germania, ma a cui io depreco che seguano atti coercitivi; questi sarebbero gravidi di pericoli per l’avvenire. Insomma, bisogna mostrarci forti e uniti nella minaccia, ma cer­ care di arrivare ad una transazione ragionevole. E ora ditemi: a che cifra credete che si possa ragionevolmente discendere in una transazione generale? l. A 40-45 miliardi, con la premessa del condono dei crediti inglesi verso gli alleati. p. Credete utile la riunione di Bruxelles prima che la Gran Bretagna abbia consolidato il suo debito verso gli Stati Uniti? l. Purtroppo se Bruxelles non si fa subito, sarà troppo tardi. La Germania è all’orlo del fallimento. p. Credete ancora possibile un prestito all’estero da parte della Germania? l. La situazione è assai peggiore che non lo fosse nel giugno, quando ci fu la riunione dei banchieri a Parigi78 . Bisognerà in ogni caso spaziare le emissioni dei singoli lotti del prestito, ed il primo lotto garantito non potrà essere che di 5 o 6 miliardi al più. p. Vorrei sentire il vostro parere su un mio progetto tutt’affatto personale: riduzione dei debiti tedeschi a 40 miliardi, se gli inglesi vogliono ancora incassare le riparazioni, o a 30 miliardi circa se gli inglesi vi rinunciano, o se essi si accontentano del solo Recovery Act* per un certo numero di anni. Pagamento dei 30 miliardi nel seguente modo: 10 miliardi in natura, sulla base di circa 600 milioni all’anno per venti anni, da consegnarsi in poche categorie di articoli (carbone, legname, potassa); 20 miliardi a mezzo dell’emissione di prestiti internazionali, con l’obbligo dei banchieri tedeschi di sottoscrivere un quarto dei primi dieci mi­ liardi. Condono da parte inglese dei crediti, garanzia da parte de­ gli alleati di ritirarsi dalle zone occupate quando siano adempiute condizioni da studiarsi. Garanzie speciali per le consegne in na­ tura. 7 Per concordare l’emissione di un prestito internazionale in favore della Germania. La riunione non approdò a risultati concreti. 8 Propriamente, Reparation Recovery Act. Provvedimento adottato dalla Gran Bretagna per recuperare le mancate rimesse in conto riparazioni da parte tedesca: in forza di esso, su ogni pagamento dovuto da soggetti britannici a controparti tedesche per importazioni dalla Germania, il Governo effettuava un prelievo del 25%.

Millenovecentoventidue

59

!.. Io sarei ben d’accordo, ma temo che Poincaré non lo sa­ rebbe. Trovo giusto che si debbano avere delle garanzie per le consegne in natura. [...] Forse ciò renderà ancor più difficile re­ missione del prestito, ma è cosa da studiarsi. Quello che io temo è che non ci sia tempo per tutto ciò. p. Io penso che si potrebbe proclamare nel convegno di Bru­ xelles e forse anche prima nel convegno dei Primi Ministri che gli alleati sono disposti a marciare nella linea sopraddetta alla condi­ zione che entro due mesi sia ottenuta l’adesione dei banchieri al­ l’emissione del prestito, e l’adesione di un gruppo di banchieri te­ deschi all’assunzione di una parte di detto prestito. In questa condizione forse anche il signor Poincaré aderirebbe ad una mo­ ratoria di due mesi. i.. Forse, ma certo domanderebbe di avere mano libera dopo i due mesi. Intanto, chi fornirà i 500 milioni d’oro di cui la Ger­ mania ha urgente bisogno? [...] Milano, 4 dicembre 1922

A Salvatore Contanni Segretario generale al Ministero degli Esteri Roma Egregio Amico, da più parti mi è stato detto che in un recente Consiglio dei mi­ nistri io sarei stato designato quale rappresentante italiano, e quindi presidente, della Commissione per il risanamento dell’Au­ stria. A ciò si riferiva certamente anche l’accenno fattomi da Lei. Ho visto ieri l’altro e ieri il Presidente9, ed egli non me ne ha tenuto parola. Nonostante ciò credo mio dovere di intervenire subito con la preghiera che sia evitata qualsiasi pubblicità in ar­ gomento, perché, pur essendo veramente grato e lusingato per questa nuova prova di fiducia, sono nella impossibilità di accet­ tare l’incarico, ed è meglio che il terreno rimanga vergine per al­ tre designazioni. Di tutti i paesi d’Europa, l’Austria — sia vecchia che nuova è quello che conosco meno; il tedesco è la lingua che mastico 9 Mussolini, presidente del Consiglio.

40

Millenovecentoventidue

meno bene; in Austria ho pochissime di quelle conoscenze perso­ nali che sono invece un elemento cosi prezioso per svolgere un’opera avveduta ed efficace. Non sono affatto the right man, e mancherei ad un preciso dovere di coscienza accettando. Ella sa che ho risposto spesso all’appello, e mi farò un dovere di rispondere all’eventuale appello dell’attuale Governo; ma prego che — se si giudica necessario di... mobilitarmi — sia in una direzione in cui possa rendere e sia nei limiti di tempo che, almeno per ora, mi sono imposti dalle responsabilità e dai doveri della mia vita industriale. Lascio a Lei, egregio Amico, di fare i passi opportuni affinché l’incarico di cui si è parlato non mi venga dunque offerto, e di presentare questo mio diniego sotto la sua vera luce di un atto da parte mia altrettanto doveroso quanto irrevocabile. Confermandomi a disposizione del Presidente e Sua, mi ras­ segno. A.P.

1923

Milano, 13 gennaio 1923

Al conte Giuseppe Volpi Governatore della Tripolitania Tripoli

Carissimo Amico, |...] sono colpevole di un lungo silenzio, ma vorrai scusarmi. Non è solamente il consueto cumulo di lavoro — tra l’altro mio fra­ tello 1 è assente per un viaggio nel Sud America — ma è anche il fatto che quando penso di scriverti vorrei farlo con molto agio di tempo onde intrattenerti di molti argomenti. Neppure oggi mi riesce di scriverti a lungo, ma non voglio tardare a mandarti un saluto e ad accennare rapidamente a una o due questioni. Ho accompagnato il Presidente del Consiglio a Londra2, an­ che perché, avendo dovuto declinare vari incarichi che voleva darmi, non ho potuto esimermi dal dedicare qualche giorno alle riunioni di Londra che, come sai, non furono però che il pro­ dromo della rottura di Parigi3!...] Il viaggio mi ha permesso di avere frequenti contatti col Pre­ sidente e di poterlo intrattenere anche di alcuni interessanti argo­ menti, tra cui di certi tentativi di rivalutazione di uomini che fa­ rebbero meglio a stare sott’acqua, nonché del problema della Panca d’Italia. 1 Piero, che condivideva con Alberto e col padre ultrasettantenne sen. Giovanni Battista l’alta direzione del gruppo Pirelli. 2 Per il Convegno interalleato sulle riparazioni, del 10-11 dicembre 1922. 3 Si riferisce alla fallita conferenza del 3 gennaio, cui segui la decisione, presa dalla Commissione Riparazioni col voto contrario del delegato inglese, di applicare sanzioni contro la Germania occupando militarmente la Ruhr.

42

Millenovecentoventitre

Ho anche espresso molto francamente al Presidente la mia impressione che le cure della politica estera, per le quali egli ha preso una passione, d’altronde spiegabilissima, gli impediscano di dedicare il tempo necessario a certi problemi di politica interna che invece egli è il solo a potere risolvere e che sono d’una estrema gravità. Gli stessi argomenti furono poi toccati col Presidente del Consiglio quando tutto il Comitato centrale industriale andò da lui4, ma naturalmente quando si è in commissione non si può parlare cosi chiaro come a quattr’occhi. Nella questione «riparazioni» mi pare che il Governo italiano abbia nel complesso tenuta una linea giusta, sebbene non con­ cordi interamente in alcuni dettagli e in alcune direttive. Mussolini, che era partito in questo argomento con criteri molto vicini a quelli inglesi, è passato assai rapidamente al fianco della Francia. Credo che ciò avvenga a tutti quelli che approfon­ discono attualmente il problema, nel senso che se una volta le idee francesi erano pazze, oggi sono i tedeschi che esagerano nel non voler pagare nulla e gli inglesi nell’appoggiarli. Gli inglesi, d’altra parte, per far prevalere una loro politica liberale verso la Germania, avrebbero dovuto fare il gesto del completo condono dei debiti interalleati e non hanno saputo farlo, anzi nei riguardi dell’Italia sono stati particolarmente ingiusti. Avevo purtroppo ragione quando, subito dopo la caduta di Lloyd George, io dicevo che ai francesi questo cambiamento, an­ ziché fonte di soddisfazioni, sarebbe stato, nella pratica, causa di guai. Tutto ciò non toglie che la marcia nella Ruhr5 sia un grosso guaio. Forse era un male necessario, sia per premere sui tedeschi sia per portare la crisi a quello stato acuto che è poi il prodromo di una soluzione; ma di riparazioni se ne riceverà anche meno di prima in questo periodo di occupazione. La soluzione che io intravvedo è l’andata al potere di Loucheur fra qualche tempo, dopo intese sottomano con l’Inghil­ terra: questa ha sacrificato Lloyd George all’amicizia franco-in4 II 21 dicembre una commissione di industriali, in rappresentanza della Confindustria e deH’Assonime, era stata ricevuta da Mussolini. Della commis­ sione faceva parte anche Pirelli. 5 Da parte delle truppe francesi e belghe, che Γ11 gennaio avevano varcato la frontiera con la Germania.

Millenovecentoventitre

43

glese, la Francia può sacrificare Poincaré sul medesimo altare e l’Inghilterra potrebbe allora dare a Loucheur quello che non ha voluto dare a Poincaré. Naturalmente rientrerebbe in tutte le combinazioni un accordo franco-tedesco per le riparazioni nego­ ziato sulle basi del ritiro dalla Ruhr. Tutto ciò avrebbe per substrato accordi industriali franco-tedeschi. Anche su questo capitolo bisognerebbe che l’Italia te­ nesse gli occhi aperti. E per oggi basta. Assai cordialmente tuo A.P. P.S. Saprai della caduta in disgrazia di Giannini6 e dell’an­ data a Washington con Caetani7 di Guido Jung.

Regia Ambasciata d’Italia Washington, 3 aprile 1923 Caro Pirelli, [...] gli ultimi avvenimenti in Italia e in special modo l’ammirabile per­ sonalità di Mussolini hanno attirato l’attenzione e hanno acceso la cu­ riosità degli americani verso l’Italia: dirò anzi che si sono formate molte correnti favorevoli al nostro paese, che tendono a distruggere l’antico preconcetto che esso sia una nazione di secondo ordine da mettersi alla stregua delle repubbliche del Centro d’America. Io mi adopero continuamente ad attivare tali correnti che ancora non si sono consolidate e che qualche atto inconsulto da parte del no­ stro paese potrebbe facilmente arrestare o anche invertire. Gli ultimi avvenimenti hanno risvegliato in Italia lo spirito nazionalista, una sicu­ rezza di noi stessi, direi quasi una baldanza. Già sembra quasi che i

6 Francesco Giannini, capo della Delegazione commerciale italiana a Lon­ dra. Aveva apportato ai negoziati sulle riparazioni un intenso contributo tec­ nico, molto apprezzato da Pirelli; durante il convegno londinese del dicembre ’22 fu messo in disparte da Mussolini, che ne annullò poi la prevista nomina a ministro plenipotenziario. 7 II principe Gelasio Caetani di Sermoneta, deputato nazionalista, nomi­ nato ambasciatore a Washington nel novembre ’22. Al suo seguito era andato Guido Jung, col segreto incarico di esplorare le prospettive di un consolida­ mento dei debiti di guerra dell’Italia verso gli Stati Uniti.

44

Millenovecentoventitre

confini dell’Italia siano troppo ristretti per l’esplicazione delle esube­ ranti energie nazionali. Si parla di concedere il voto politico ai nostri emigranti, di frenare la naturalizzazione dei nostri emigrati, per tenere alto lo spirito d’italianità; si costituiscono negli Stati Uniti i fasci di combattimento e si parla d’inviare propagandisti e organizzatori. Tutto ciò è pericolosissimo ai nostri interessi. Gli americani sono sciovinisti per eccellenza, morbosamente gelosi della propria nazionalità e suscet­ tibili oltre ogni dire. Sono profondamente preoccupati di non poter completamente assorbire il continuo afflusso di immigrati e di vedere la loro compagine sociale gradatamente degenerare. Perciò tutte le nostre attività nazionalistiche sopraccennate ven­ gono interpretate dagli americani come una interferenza politica mi­ rante a frustrare l’americanizzazione degli elementi forestieri che sta loro tanto a cuore. Bisogna trattare gli Stati Uniti con grandissimo tatto e muoversi con la cautela necessaria di uno che giri in un negozio di cristalleria. Con un nonnulla si può distruggere la buona posizione da noi cosi la­ boriosamente conquistata. In Italia debbono ricordarsi che abbiamo molto da chiedere agli Stati Uniti in questioni di debiti, di finanziamenti e di emigrazione; che le rimesse dei nostri emigrati sono uno dei fattori principali della economia nazionale. Una mancanza di tatto da parte del nostro paese potrebbe in brevissimo tempo crearci un’opinione pubblica ostile e re­ carci gravissimi danni. Tanto ti ho voluto dire perché conto che al momento opportuno tu possa aiutarmi con l’influenza della tua persona. Spero che tra non molto mi sarà permesso di tornare in Italia; ciò credo sarebbe utile per me stesso e per il nostro Governo. Ed allora avrò il piacere di rivederti e di spiegarti meglio a voce quanto ti ho ora scritto. Tuo aff.mo Caetani

Millenovecentoventitre

45

Milano, 21 maggio 1923

ΛI principe Gelasio Caetani Ambasciatore di S.M. il Re d’Italia Washington Caro Caetani, [...] avrai letto il discorso di De Stefani alla Scala8. [...] Mentre ha dato luogo a delle critiche abbastanza aspre in molti giornali, è stato bene accolto negli ambienti bancari e industriali. Due questioni non sembrano essere state affrontate con sufficiente energia risparmiatrice: quella dei Lavori Pubblici e quella delle Ferrovie dello Stato; ma nel consenso dato a De Stefani è entrato per larga parte il desiderio di rafforzare la sua posizione politica insidiata da molti elementi, e non dei migliori, del fascismo. De Stefani, Oviglio e Giuriati9 formano, tra i fascisti più vi­ cini al Capo, una terna che va sostenuta e valorizzata, tanto più di fronte all’incertezza dell’avvenire. Il Capo si trova alle prese con notevoli difficoltà: le beghe in­ terne del fascismo, le rivalità personali, la necessità grandissima di epurazione costituiscono un primo gruppo di difficoltà; la se­ parazione dal gruppo popolare 10 è parsa anche a molti, che pur non avevano simpatia per quel gruppo, un pericoloso indizio del prevalere di una tendenza all’isolamento da parte del fascismo e quindi all’intensificarsi e prolungarsi di un Governo per ora dit­ tatoriale, forse domani pretoriano; ma i rapporti sia pur pieni di riserve stabiliti recentemente nel partito liberale 11 fanno sperare

8 Domenica 13 maggio, a Milano, il ministro delle Finanze Alberto De Stefani in un discorso al teatro alla Scala aveva esposto il programma del Go­ verno per il risanamento economico e finanziario dello Stato, annunciando dra­ stici tagli nella spesa pubblica. 9 Aldo Oviglio, ministro della Giustizia. — Giovanni Giuriati, stretto col­ laboratore di Mussolini; già ministro delle Terre Liberate, quando a fine feb­ braio ’23 quel ministero era stato soppresso aveva svolto per incarico di Mus­ solini un’inchiesta sulla vendita dei residuati di guerra, mettendo in luce gravi irregolarità nelle quali erano coinvolti anche esponenti del partito fascista. 10 In aprile il partito di don Sturzo, riunito a congresso a Torino, aveva deliberato un «appoggio critico» al Governo presieduto da Mussolini; questi aveva allora provocato le dimissioni della delegazione ministeriale del PPL 11 Ai primi di maggio la Commissione esecutiva del partito liberale aveva promesso a Mussolini una «collaborazione effettiva e duratura» purché venis-

46

Millenovecentoventitre

che il Capo intenda invece la necessità di allargare la sua base, e di assicurarsi la collaborazione di competenze. Se questo non si concretasse potremmo vedere giorni assai tristi. Io non condivido le impazienze e il pessimismo di alcuni amici pur autorevolissimi ed onestissimi, i quali ansiosi di un ra­ pido e completo ritorno alla costituzionalità temono che le re­ centi riesaltazioni della forza e perfino della violenza (come il fa­ moso articolo su «Gerarchia»12 che ha tanto scandalizzato gli in­ glesi) e talune contraddizioni stridenti nelle parole e negli atti non siano che i sintomi assai pericolosi di quanto ci riserva l’av­ venire. Io credo che in parte è naturale che Mussolini si preoc­ cupi del fatto che la cosiddetta collaborazione oggi concessagli da Donsturziani, Giolittiani e Nittiani sia poco sincera e che le ma­ novre di corridoio e le insidie subacquee riprenderebbero vita se egli abbandonasse il suo programma di forza prima di essersi suf­ ficientemente consolidato; nei riguardi d’altra parte del suo par­ tito è probabile che egli senta la necessità di andare per gradi nel­ l’epurazione e nella compenetrazione del partito stesso nella Na­ zione. Cosi io voglio sperare che se, come è molto probabile, dalle prossime elezioni uscirà una maggioranza parlamentare forte o sufficientemente omogenea per Mussolini, egli possa co­ stituire un Governo fascista che gli consenta la soppressione del Gran Consiglio; cosi pure spero che maturi in un tempo non lontano la possibilità per lui di sopprimere l’altro dualismo peri­ coloso, quello della Milizia. Ma non ti nascondo che ti dico tutte queste cose più come una mia speranza che come una certezza. L’uomo è difficilissimo da penetrare; l’ambiente che lo circonda in parte è ottimo, ma in molta parte è gramo. Insomma resto fermo nell’opinione che un grandissimo bene potrà venire alla Nazione dal fascismo (rivalu­ tazione dello spirito nazionale, senso di disciplina e di laborio­ sità, sottrazione della gioventù al feticcio socialista, possibilità avvenire di dare ai partiti costituzionali un seguito di masse gio­ vanili, ecc. ecc.); ma tremano le vene ai polsi al pensiero di un di­ verso sbocco di questo episodio rivoluzionario. Intanto mi sem-

sero eliminate alcune persistenti manifestazioni di ostilità verso i liberali da parte delle organizzazioni fasciste periferiche. 12 L’articolo Forza e consenso, dello stesso Mussolini, in «Gerarchia», 1923 (fase. 3°), pp. 801-803.

Millenovecentoventitre

47

bra uno stretto dovere per ciascuno di noi di collaborare ciascuno nel proprio campo alla miglior tutela degli interessi del Paese, ed è quello che anch’io cerco di fare nelle missioni che mi vengono affidate. Il Re ha avuto qui a Milano accoglienza straordinaria alcune settimane or sono 13, e Mussolini ebbe il buon gusto di tenersi marcatamente in seconda fila. Ma alcuni dei progetti di riforma elettorale potrebbero portare a una grande svalutazione della funzione del Sovrano. Quegli stessi progetti comportano anche il pericolo di facilitare in un secondo tempo (in un primo tempo fa­ vorirebbero certo una grossa maggioranza fascista) l’entrata in Parlamento di una maggioranza socialista. Queste sono le ragioni dell’opposizione di Albertini. — Il Capo ha preso in mala parte alcune critiche del «Corriere»; io ho parlato più volte della situa­ zione coi due Albertini ed ho cercato di esercitare un’azione mo­ deratrice. Albertini è un uomo passionale, ma profondamente onesto. A me sembra che il Capo abbia torto di non apprezzare il fatto che, nonostante i profondi dissidi che dividono Albertini da lui su molti punti, il «Corriere» abbia appoggiato sia la politica estera, sia la politica finanziaria, sia molti altri lati della politica di Mus­ solini. Vi sono invece alcuni punti fondamentali, quali la riforma costituzionale, sui quali credo che Albertini non decamperà da una opposizione tanto più energica quanto più si concretassero i progetti. E un vero peccato che il Capo non abbia ritenuto finora di poter prendere su molti problemi una direttiva tranquillante non dico solamente per Albertini e il «Corriere», ma per molti li­ berali e in generale per molti patrioti assillati dalle ansie a cui ac­ cennavo più sopra. Se ciò fosse’avvenuto, o avvenisse prossima­ mente, gran bene ne verrebbe al Paese, al quale nessun liberale sarebbe mai stato in condizioni di fare tutto il bene che può far­ gli Mussolini. Io, come sai, non mi occupo affatto di politica, ma, ripeto, ho creduto mio dovere di esercitare opera per quanto potevo mode­ ratrice sopra Albertini e vorrei che qualcuno avesse sufficiente autorità per esercitarla sopra Mussolini.

” Vittorio Emanuele III era stato a Milano dal 12 al 15 aprile.

48

Millenovecentoventitre

Mi accorgo di averti scritto una lunga lettera, anzi un lungo sfogo e di carattere estremamente confidenziale. Come tale lo raccomando alla tua più assoluta riservatezza e cordialmente ti saluto. A.P.

Milano, 5 luglio 1923 A Salvatore Contanni Segretario generale al Ministero degli Esteri Roma Caro Contarmi, scrivo a te come alla persona con cui sono più in confidenza tra quelle vicine al Presidente e ti scrivo a proposito della voce che circola, e che è riportata da vari giornali, secondo la quale il Pre­ sidente intenderebbe chiamarmi a capo del nuovo Ministero dell’Economia Nazionale14. A me non risulta neppure ufficiosamente che il Presidente abbia questa intenzione e inopportuno sarebbe quindi un mio passo presso di lui; ma tu troverai forse il modo di far sapere al Presidente che, se per avventura egli ha veramente avuto la be­ nevolenza di ritenermi degno di quel posto, io, innanzitutto, tale non mi reputo, e che invece ritengo fermamente di poter essere più utile al Paese ed a lui continuando a dare la mia collabora­ zione, in quella miglior forma che egli riterrà del caso, per i pro­ blemi specifici ai quali sono più particolarmente preparato. Tra questi sono i problemi di politica finanziaria estera dei quali sto ora occupandomi. Escludo d’altra parte, per chi assumesse un in­ carico cosi poderoso e cosi vasto quale è la direzione del nuovo Ministero, la possibilità di occuparsi adeguatamente an­ che degli altri problemi a cui mi riferivo più sopra, problemi che, come tu ben sai, sono di per sé assorbenti e potranno richiedere assenze all’estero di qualche durata.

14 Con un decreto in data 5.7.1923 il dicastero dell’Agricoltura e quello dell’industria e Commercio vennero fusi in un unico ministero dell’Economia Nazionale.

Millenovecentoventitre

49

Vorrei si considerassero anche le responsabilità che ho as­ sunto verso le Società che amministro sia in Italia che all’estero. Si tratta di aziende cosi vaste e complesse che non mi è oggi possibile abbandonare la parte che prendo alla loro direzione senza danno per esse e quindi senza venir meno a dei precisi do­ veri. Non vorrei essere frainteso. Si tratta di doveri e non di in­ teressi, e certo tu, e spero anche il Presidente, non avrete dubbi in argomento. Ma un’altra e decisiva considerazione desidero aggiungere: la Società Pirelli ha cosi continui e importanti rapporti con quasi tutte le Amministrazioni pubbliche, che la mia assunzione ad un Dicastero che ha diretta ingerenza nei problemi industriali mi sembra incompatibile. Le dimissioni temporanee dalle cariche in­ dustriali per assumere posizioni politiche possono ben giustifi­ carsi nei casi in cui i rapporti con le pubbliche Amministrazioni sono indiretti o la persona di cui trattasi non sia fra gli esponenti principali di tali rapporti, non quando, come è tuttora il mio caso, si siano avute fino alla vigilia funzioni esecutive e responsa­ bilità preminenti. Io vorrei proprio poter sperare di non esser messo nella situa­ zione penosa di fare un gesto di rifiuto che forse sarebbe male in­ terpretato dal Presidente. Vorrei che il Presidente fosse ben per­ suaso che sono e sarò a sua disposizione per dargli la più fervida collaborazione nei campi dove abbia coscienza di poter essere utile e nei limiti consentitimi dalle mie responsabilità attuali e dall’incompatibilità cui accennavo più sopra. Se tutto ciò che ti scrivo è superfluo perché il Presidente non ha pensato a me, scusa l’inutile disturbo che ti do con questa lunga lettera; in caso diverso intervieni, ti prego, ché cosi fa­ cendo farai opera non solamente a me assai gradita ma giusta. Tuo aff.mo A.P.

Roma, 23 luglio 1923

Mussolini mi invita ad andare da lui e mi offre ufficialmente la carica di Ministro dell’Economia Nazionale. Ero preparato al­ l’offerta date le pubblicazioni dei giornali che avevano fatto il mio nome. Rispondo ringraziando e declinando fermamente. Al-

50

Millenovecentoventitre

lego ragioni personali, di impegni e responsabilità verso la mia in­ dustria, di maggior utilità che in un campo più generale io conti­ nui come tecnico ad occuparmi dei problemi finanziari ed econo­ mici per i quali ho una preparazione specifica e la cui trattazione già mi è stata affidata dal Governo (riparazioni di guerra e debiti interalleati). Mussolini insiste. Accenno allora a possibili e forse probabili mie divergenze politiche qualora si accentuassero le tendenze intransigenti e non quelle verso la normalizzazione ed il ritorno ad un regime liberale. Dico: «Può darsi che l’operazione chirurgica fosse necessaria; ma ora basta il medico di casa e biso­ gna tendere a che il malato metta giù le gambe dal letto e ri­ prenda a camminare da sé». Mussolini annuisce, ma chi sa capire quest’uomo? Soggiungo che Luigi Albertini, a seguito delle voci corse, è venuto a trovarmi a Milano e mi ha esortato ad accettare l’eventuale offerta di entrare nel Ministero, se ciò avesse potuto rappresentare una garanzia di indirizzo verso la normalizzazione. Mussolini commenta: «Albertini è un uomo capace ed onesto. So che siete molto amici. Ella non ignorerà dunque che gli avevo of­ ferto ΓAmbasciata di Washington. Ho poi dovuto smentirlo, ma l’offerta è vera». Poi improvvisamente, come se avesse visto un panno rosso, Mussolini soggiunge: «Però se Albertini non cambia tono gli faccio fare la fine di don Sturzo» 15. Mussolini torna ad insistere con me. E disposto a darmi tre sottosegretari (accenna ad Alfredo Rocco, a Caradonna16; non ri­ cordo il terzo nome). Io insisto nella negativa. Allora Mussolini trae dal cassetto un foglio dove, dopo il mio nome, ve ne sono due o tre altri, che egli aveva avuto in pectore. Parliamo cosi di Luigi Luzzatti17 (Mussolini dice: «una buona etichetta ma una bottiglia ormai vuota»), del conte Volpi e Mussolini dice: «Ho pensato anche a lui ma è molto discusso». Io faccio il nome del sen. Conti. Mussolini mi chiede notizie sull’uomo e chiede se sia

15 II 10 luglio don Sturzo era stato costretto, dalle congiunte minacce fa­ sciste e pressioni vaticane, ad abbandonare la carica di segretario politico del PPL· 16 Alfredo Rocco, ex nazionalista, fino a poco prima sottosegretario al Te­ soro, poi presidente della Camera, dal 1925 ministro della Giustizia. — Giu­ seppe Caradonna, del Comitato centrale fascista, sottosegretario alle Poste. 17 Luigi Luzzatti (presidente del Consiglio nel 1910 e più volte ministro; fondatore dell’Associazione Industriale Italiana; professore di economia e di diritto) aveva allora 82 anni.

Millenovecentoventitre

51

sufficientemente conosciuto all’estero, mostrando molta preoccu­ pazione di scegliere persona quotata negli ambienti internazio­ nali. Gli rispondo esaurientemente e Mussolini finisce con l’incaricarmi di sentire dal sen. Conti se fosse disposto ad accettare. 24 luglio

Arrivato a Milano trovo un invito a soprassedere a qualsiasi passo presso il sen. Conti (telefonata di Barone Russo 18).

[fine agosto - settembre 1923] Crisi di Corfu

Roma

Mentre sono con Contarini arriva il telegramma che annuncia l’eccidio della missione Teliini a Janina19. Restiamo costernati. Ci prospettiamo la reazione del Presidente. La stampa ha avuto comunicazione soltanto oggi20 dell’ecci­ dio. Mussolini è furibondo. Ha deciso di fare uno sbarco di truppe a Corfù. Contarini lo persuade a stento a fare prima un ultimatum. Contarini, che è venuto a Roma per la visita di Benes inter­ rompendo la cura intrapresa a Casamicciola, riparte per la sua cura. E in disaccordo circa l’ultimatum ed il programma di Corfù? Lo credo. La ragione ufficiale è che riprende la cura; quella che si fa circolare è che, poiché si dice negli ambienti fasci18 Giacomo Barone Russo (poi Paulucci di Calboli Barone), capo di gabi­ netto di Mussolini al ministero degli Esteri. 19 II 27 agosto 1923, presso Giannina, una banda armata assali il nucleo italiano della Commissione internazionale incaricata della delimitazione della frontiera greco-albanese dalla Conferenza degli Ambasciatori, organismo inte­ ralleato addetto all’esecuzione dei trattati di pace. Rimasero uccisi il capo della missione, generale Enrico Teliini, e altri quattro uomini che viaggiavano con lui nell’auto attaccata. 20 La notizia pervenne ai giornali il 28 agosto a tarda ora, e fu pubblicata il 29.

52

Millenovecentoventitre

sti che Contarini fa il padrone21, egli vuole lasciare mano libera al Presidente; la ragione vera deve essere il suo disaccordo. L’ultimatum scritto affrettatamente, credo da Barone Russo e da Arietta22, è eccessivo (a meno che si sia decisa la guerra, il che non mi sembra possibile nelle condizioni internazionali at­ tuali) ed alcune richieste sono male ispirate (pena «capitale» anzi­ ché «esemplare»; i 50 milioni, che sono troppi per le famiglie23). In seguito alla viva reazione della stampa estera, si manda a chiamare (alle 2 di notte) D’Amelio24 che si trova a Roma e lo si invita a collaborare nella ricerca dei «precedenti» che possano giustificare il passo già fatto. (Il passo era stato precipitato, ma ancora una volta si era rivelata la mancanza di ordine e di docu­ mentazione negli uffici del Ministero. Quale differenza col Quai d’Orsay!) Lo sbarco a Corfu. Contarini condanna «le inutili e stupidis­ sime cannonate (quali complicazioni se si fosse ucciso qualcuno degli inglesi che dirigevano la colonia di profughi anatolici!). La colpa è della mentalità degli ammiragli». Contarini mi dice che non si può punire Solari (l’ammiraglio) per ovvie ragioni di pre­ stigio internazionale, ma che a suo tempo si dovrà ricordarsene. La radio non ha funzionato per molte ore e Roma è rimasta in ansiosa attesa di notizie circa lo sbarco. E mancata ancora una volta qualsiasi preparazione della pub­ blica opinione estera. Le stesse nostre Ambasciate sono senza commenti dettagliati con cui agire sulla stampa.

Conflitto con la Società delle Nazioni. Il conflitto doveva es­ sere preveduto. Hanno tutti dimenticato l’art. 15 25 a Roma? 21 Come si è già visto, Salvatore Contarini era (dal 1919) segretario gene­ rale del ministero degli Esteri. Lasciò poi la carica nel marzo 1926, dopo la no­ mina di Dino Grandi a sottosegretario agli Esteri. 22 Mario Adotta, direttore generale degli Affari politici commerciali e pri­ vati d’Europa e Levante al ministero degli Esteri. 2} Tra le riparazioni chieste nell’ultimatum al Governo greco c’erano la «punizione capitale di tutti i colpevoli» e una indennità di 50 milioni di lire. 24 Mariano D’Amelio, fin allora vice capo della delegazione italiana presso la Commissione Riparazioni a Parigi (poi, da settembre, primo presidente della Corte di Cassazione). 25 L’art. 15 del Patto della Società delle Nazioni stabiliva: «Se dovesse sor-

Millencwecentoventitre

53

Ginevra

Trovo ambiente eccitatissimo contro l’Italia. Attolico26 parla della necessità di uscire dalla Lega. Io prospetto ad Attolico ed anche a Giuriati la possibilità che l’Italia accetti di deferire la questione alla Lega purché si sia assicurata preventivamente e ri­ servatamente l’adesione dell’Inghilterra e della Francia ad un verdetto pienamente favorevole alla tesi italiana. Giuriati parte per Roma per prendere istruzioni da Musso­ lini. Salandra27, con cui parlo molto brevemente, mi sembra molto preoccupato di dover sostenere una tesi che non sente. Assisto parzialmente alla prima seduta. Politis28 parla un francese perfetto ed è riguardosissimo per l’Italia («la grande et noble Nation italienne»). Salandra parla un pessimo francese, ma si mostra energico e non compromette nulla in attesa di istru­ zioni (è arrivato un lungo telegramma cifrato da Roma, ma con una cifra che la Delegazione non possiede!!). Roma

Attolico mi dice che Salandra è stato abile: Mussolini voleva che si sostenesse a fondo l’incompetenza della Lega; Salandra ha mandato a dire che venisse un altro a sostenerla, e Mussolini ha accettato che si sostenesse la competenza preliminare della Con­ ferenza degli Ambasciatori. Salandra ha svolto la tesi con argo­ mentazioni proprie efficaci. Resta ugualmente molto amaro nel­ l’ambiente di Ginevra e specialmente tra gli inglesi e tra le pic­ cole nazioni. gere fra i membri della Società un dissidio suscettibile di dar luogo a una rot­ tura... i membri della Società convengono di sottoporlo al Consiglio. ...I mem­ bri della Società si impegnano a non ricorrere alla guerra». All’ultimatum ita­ liano il Governo greco aveva replicato facendo delle controproposte: essendo queste state ritenute insufficienti, la Grecia sottopose allora la vertenza alla SdN mentre da parte italiana la squadra navale comandata dall’ammiraglio So­ lari bombardava e occupava Corfù. 26 Bernardo Attolico, allora a Ginevra come vice segretario generale della SdN. 27 Antonio Salandra era il rappresentante dell’Italia nel Consiglio della SdN. 28 Nikolaos Politis, delegato della Grecia alla SdN.

54

Millenovecentoventitre

I francesi ci hanno appoggiato a fondo: oltreché per non averci contrari nell’attuale crisi della Ruhr, è evidente che hanno voluto evitare di stabilire il precedente della competenza della Lega, ché esso potrebbe comprometterli a portare alla Lega la questione della Ruhr.

Conferenza degli Ambasciatori. Il deliberato firmato da Ro­ mano Avezzana a Parigi il < 29 > è un po’ diverso dalle istru­ zioni avute da Roma. I precedenti sono questi: Contarmi era rientrato a Roma da qualche giorno ed era corso ai ripari. A Romano si era telegrafato di essere intransigente per dargli forza nella discussione, ma poi gli si era suggerita la formula relativa ai 50 milioni, da esser dati all’Italia se non si provasse la diligenza della Grecia nella ricerca degli assassini. La formula ac­ cettata da Romano parla invece di provare la negligenza della Gre­ cia. Da ciò telegrammi violentissimi di Mussolini a Romano e ri­ sposte di questi fiduciose anzi sicure che basterebbe la non unani­ mità a favore della Grecia nella commissione per far versare i 50 milioni. A Palazzo Chigi c’è gran nervosismo. Se i 50 milioni non ci fossero assegnati sgombreremo noi Corfù egualmente? Io so­ stengo che si, ma sacrificando Romano che ha firmato una for­ mula diversa da quella dettagli da Roma, ed inoltre riservandosi libertà d’azione verso la Grecia se non persegua nell’inchiesta. Intanto vengo a sapere che l’Inghilterra ha fatto un passo molto grave verso il nostro Governo (si parla di ritiro dell’amba­ sciatore se non sgombriamo Corfù?). Attorno al Presidente c’è chi è lieto delle complicazioni per­ ché pensa che potremo cosi restare a Corfù. Sono gli stessi che hanno fatto una campagna contro Contarmi, accusandolo di di­ sfattismo perché il comunicato circa l’occupazione di Corfù parla di occupazione «temporanea»; ma Mussolini ha appoggiato Con­ tarmi e ha detto a Polverelli30 che il «temporanea» era suo. 29 La vertenza italo-greca era stata presa in esame dalla Conferenza degli Ambasciatori, che il 7 settembre emise al riguardo una deliberazione, sotto­ scritta anche dall’ambasciatore d’Italia a Parigi, Camillo Romano Avezzana. 30 Gaetano Polverelli era allora capo dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio (oltre che capo della redazione romana del «Popolo d’Italia» e se­ gretario del Fascio di Roma).

Millenovecentoventitre

55

Roma

Alle 14 arriva il telegramma di Romano. Anche Londra ha aderito al versamento dei 50 milioni. Contarmi, Barone Russo ed io siamo commossi di soddisfa­ zione per le complicazioni evitate e perché si chiude bene questo grave disgraziato incidente.

Parigi, 26 ottobre 1923

Intervista con Romano Avezzana

Mi dice che durante gli ultimi quindici giorni (mio viaggio in Ispagna) Roma ha fatto un nuovo colpo di barra verso Londra e ciò malgrado Corfù e le dichiarazioni di Mussolini31. Sembra a Romano che queste oscillazioni siano pericolose. Cosi per Tangeri32 si sostiene e si fa credere, in Italia, che l’opposizione venga dalla Francia, ma egli ha visto la lettera di Curzon33 che voleva esclusa qualsiasi potenza che non fosse l’Inghilterra, la Francia e la Spagna. Egli ha presentato ieri una lunga nota per sostenere il nostro diritto ad intervenire, ma la nostra posizione è molto debole e vai la pena di irritare gli alleati per queste questioni che non sono poi essenziali? Vedere note Alberti34. 31 II 6 settembre in una dichiarazione al «Petit Parisien» Mussolini aveva espresso la propria gratitudine ai francesi per l’appoggio dato nella vertenza con la Grecia, mentre in una intervista del giorno 9 al «Daily Mail» si era detto «profondamente deluso nel vedere una gran parte dell’opinione pubblica inglese trovarsi nel più forte antagonismo di fronte alle giuste richieste dell’Ita­ lia». 32 II Governo italiano rivendicava il diritto di partecipare all’elaborazione dello statuto di Tangeri. (Alla relativa conferenza, svoltasi nel ’24, partecipa­ rono Spagna, Francia e Inghilterra.) 33 Lord George N. Curzon, in quel periodo ministro degli Esteri di Gran Bretagna. 34 All’appunto ms è allegata copia dattiloscritta di un verbale redatto da Mario Alberti, nel quale si riassumono le conversazioni avute il 26 ottobre 1923 da Pirelli e dallo stesso Alberti con i rappresentanti italiani a Parigi, presso l’Ambasciata e la Commissione Riparazioni, riguardo all’occupazione della Ruhr e alle riparazioni tedesche: «Pirelli imposta la questione nei seguenti termini: fino a quando le opera-

56

Millenovecentoventitre

[Roma,] 7 novembre 1923 Contarmi mi dice che nonostante le polemiche italo-inglesi per l’incidente di Corfù (Società delle Nazioni), nonostante l’op­ posizione di Londra a che noi si tenga il Dodecanneso35 ed al no­ stro intervento nella conferenza per Tangeri, egli ritiene che l’in­ teresse italiano e la pressione della pubblica opinione fondamen­ talmente antifrancese richiedano che si faccia un tentativo di riavvicinamento completo con Londra. Già si è fatta un’opera di chiarificazione (me lo conferma Della Torretta36 che è pure a Roma). Contarmi spererebbe di poter trovare un compromesso per il Dodecanneso che è la questione più spinosa in sospeso. A Lausanne infatti la pace con i turchi37 ha sanzionato la rinuncia di questi al Dodecanneso, ma esiste una precisa e credo scritta ri­ serva inglese a favore della Grecia. zioni francesi serviranno a premere sul debitore, identità d’interessi; se esse in­ vece mirano a frazionare il Reich, trascurando le riparazioni, quale deve essere il nostro atteggiamento? «Romano Avezzana si preoccupa del troppo fluttueggiare della nostra poli­ tica. Bisognerebbe essere più continuativi. D’accordo con le osservazioni pre­ cedenti: ma non saremo noi a impedire la seconda ipotesi. E non ci si può fi­ dare, a meno che essa non si impegni formalmente, dell’atteggiamento dell’In­ ghilterra, che poi sul più bello ci pianta in asso e si accorda con la Francia. Gli sembra più conveniente di affiancare lealmente la Francia, intendendoci pre­ ventivamente con essa per assicurare i nostri diritti. «A questo proposito Alberti ricorda le ultime fasi e segnala che in sostanza la linea seguita da Mussolini è, forse meno accentuata, quella del manteni­ mento di buoni rapporti con la Francia, non urtando però neppure l’Inghil­ terra. Avezzana crede che questa linea non possa durare eternamente e che bi­ sognerà prima o poi decidersi nettamente per gli uni o per gli altri. Ricordia­ moci allora che la causa principale del crollo tedesco è stato Lord D’Abernon [l’ambasciatore inglese a Berlino]. «A tale punto, discutendosi della situazione generale, Avezzana non ritiene che se i tedeschi dichiarassero rotto il trattato ad opera della Francia ed essi svincolati dagli impegni che loro ne derivano, la Francia occuperebbe militar­ mente Berlino. Provvederebbe con molta riflessione alle necessità. «Il discorso essendosi soffermato sulla Spagna, Pirelli riferisce la seguente battuta di re Alfonso: “Noi siamo in fase di nettoyage. Non so quanti milioni la Francia abbia speso per corrompere i ministri passati per la conclusione del trattato di commercio. So quanti milioni esso costa alla Spagna”». [...] 35 L’arcipelago egeo era un dominio ottomano, che l’Italia aveva occupato nel 1912 durante la guerra italo-turca per la conquista della Libia. 36 Pietro Tornasi della Torretta, ambasciatore a Londra. 37 II 24 luglio 1923, col trattato di Losanna, il Governo nazionalista turco aveva concluso la pace con le potenze alleate.

Millenovecentoventitre

57

Io faccio a Contarmi le consuete riserve: Londra ci valuta poco e si fida poco della continuità della nostra politica; Londra può quando vuole disinteressarsi del Continente e fare una poli­ tica di isolamento combinata con lo sviluppo delle relazioni in­ terne con i Dominions, od anche può avvicinarsi agli Stati Uniti. Noi siamo legati alle vicende del Continente; le ritorsioni fran­ cesi possono essere più facili contro di noi e lo spirito pubblico italiano nei riguardi della Francia è cosi prevenuto e cosi fa­ cile ai risentimenti che ne potrebbero nascere complicazioni peri­ colose; per la questione immediata del ricevere carbone dipen­ diamo dalla buona volontà della Francia38. Però riconosco che se la Francia vuole lo smembramento della Germania e continua nella sua politica intransigente, matura un momento in cui l’Ita­ lia non potrà più seguirla e se ci fosse un aperto e definitivo di­ stacco tra Inghilterra e Francia noi saremmo necessariamente con la prima, a meno che (ciò che io giudicherei preferibile) le circo­ stanze ci permettessero di continuare, almeno per qualche tempo, una politica autonoma. Contarini mostra di dar peso alle mie osservazioni e riassume la situazione dicendo: «Per i problemi economici noi dovremmo stare con la Francia, ma politicamente dobbiamo finire a stare con Londra». Io insisto, nonostante il piacere personale che potrei avere a vedersi concretare accordi a cui ho preso viva parte39, che l’Italia non può prendere utilmente posizione contro né Francia né In­ ghilterra. Occorre una politica di aspettativa ed intanto mano­ vrare per la tutela dei nostri interessi a mano a mano che nascono le varie questioni. Ogni sforzo deve essere fatto per mantenere l’Intesa come elemento dominante della politica. Ciò naturalmente se all’Italia venga fatto un posto onorevole. Il disfacimento dell’Intesa vuol dire isolamento dell’Inghilterra nel suo Impero e predominio gra­ duale degli Stati Uniti o forse degli anglosassoni riuniti. Riparlo a Contarini di un avvicinamento italo-belga che serva poi di cemento per tutta l’Intesa; ma tocca al Belgio riprendere il 38 Le consegne di carbone da parte tedesca (in conto riparazioni) erano state interrotte con l’occupazione franco-belga della Ruhr. 39 Accenno alle trattative riservate intercorse fra l’Italia e la Gran Breta­ gna nella primavera-estate 1923 e alle quali Pirelli contribuì con tre missioni segrete a Londra per conto del Governo italiano, rispettivamente dal 25 marzo al 7 aprile, dal 25 aprile all’8 maggio e dal 10 al 18 luglio.

58

Niillenovecentoventitre

progetto di un incontro che esso ha lasciato cadere al momento di Corfù (prima il Belgio vedeva in noi un elemento vicino all’In­ ghilterra ma non ostico alla Francia, cosi come il Belgio era vi­ cino a Parigi ma amico di Londra: ma dopo Corfù...). L’Inghilterra ha fatto il < 40 > un passo presso gli Stati Uniti per sapere se questi avrebbero accettato di partecipare ad una riunione di Governi per esaminare la situazione tedesca, oppure ad una inchiesta sulla capacità di pagamento della Germania, da affidarsi ad un comitato di esperti41 (chiedeva Londra se gli Stati Uniti avrebbero aderito anche nel caso che non tutti gli alleati europei aderissero). Gli Stati Uniti hanno risposto aderendo alla seconda proposta (comitato di esperti nominato dalla Commis­ sione Riparazioni) purché l’invito venga loro fatto da tutti gli al­ leati. La Francia si è dichiarata d’accordo per fare l’invito, ma ha messo due limitazioni comunicate a tutti i Governi alleati: non si deve esaminare che la capacità attuale (fino al 1930), non si de­ vono discutere le misure prese nella Ruhr, neppure quelle di ca­ rattere economico. La Francia discute con Washington la portata dell’inchiesta e mostra di insistere sulle limitazioni. In queste condizioni Londra fa oggi [7 novembre] a Washington, Roma e Bruxelles [un passo]42 gravissimo: propone di rivolgere un invito collettivo e formale alla Francia mediante una nota firmata dai quattro am­ basciatori a Parigi e diretta a Poincaré; propone il testo della nota43. Il Governo italiano telegrafa subito ai Governi degli Stati Uniti e del Belgio chiedendo la loro attitudine. Risponde il primo che essendo l’invitando non vede come potrebbe partecipare al passo. Risponde il secondo che non si sente di fare questa intima­ zione collettiva. Nonostante questo il Governo italiano ritiene di poter dire a Londra di essere disposto, salvo esaminare meglio il testo propo­ sto, a fare il passo anche se delimitato a una démarche a due, ma 40 26 ottobre. 41 E il preannuncio di quella che sarà l’inchiesta Dawes (gennaio-aprile 1924), alla quale Pirelli parteciperà come capo della delegazione italiana e membro del I Comitato Esperti. 42 Lacuna nel foglio ms. 43 Una copia dattiloscritta di tale testo, in italiano, è allegata al ms.

Millenovecentoventitre

59

«purché possa contare sull’appoggio ufficiale dell’Inghilterra nell’affrontare le difficoltà che potessero sorgere con la Francia» (te­ sto del telegramma di Mussolini a Londra e dichiarazioni analo­ ghe a Graham44). L’Inghilterra, pur dimostrando di apprezzare il nostro atteg­ giamento, decide di non dar seguito alla cosa. Ciò prova che il Governo inglese esita a rompere con la Francia, prova ancora una volta che dà scarso peso al nostro appoggio. Forse sarebbe lieto di servirsi di noi — come della Grecia verso la Turchia — per ca­ var le castagne dal fuoco facendoci rompere con la Francia; ma come già nel corso delle mie trattative della primavera scorsa45, a questa nuova avance precisa dell’Italia che si dichiara disposta a marciare a fianco dell’Inghilterra purché questa prenda sul serio la leading part nel fermare la Francia e purché la situazione ita­ liana sia tutelata, Londra nicchia e non osa. Ciò giustifica viep­ più le mie esitazioni sull’opportunità di accordi con Londra se (λ) questi non siano accompagnati dal vantaggio di vedere risolte al­ cune questioni pendenti: Dodecanneso e Jubaland, forse Tangeri; e (£) l’Italia non ottenga mediante precisi accordi scritti l’appog­ gio fermo e completo inglese contro le rappresaglie della Francia che comincerebbero coll’ostruzionismo nelle consegne di carbone della Ruhr ma potrebbero portare a molto peggio. Roma, 15 novembre 1923

Vedo lettera Bosdari46 diretta personalmente a Mussolini po­ chi giorni or sono: vi sono svolti con chiarezza e coraggio i se­ guenti argomenti in risposta ad un telegramma di Mussolini con cui si invitava Bosdari a insistere presso Stresemann47 perché fa­ cilitasse accordi diretti, per la fornitura di carbone, se non più tra Governo e Governo, almeno fra industriali tedeschi e Go­ verno italiano senza dover affidare le trattative alla MICUM48. Dice Bosdari che ha fatto presente a Stresemann come il promet­ tere la «neutralità» in rapporto ai detti contratti sia ben poco, e 44 45 46 47 48

Sir Ronald Graham, ambasciatore di Gran Bretagna a Roma. Vedi sopra, nota 39. Alessandro de Bosdari, ambasciatore d’Italia a Berlino. Gustav Stresemann, cancelliere e ministro degli Esteri della Germania. Mission Interalliée Control Usines Mines.

60

Millenovecentoventitre

di aver fatto rilevare che tale neutralità è stata usata anche nei ri­ guardi di Francia e Belgio, la cui attitudine verso la Germania è stata ed è ben diversa da quella dell’Italia; ma mentre il Governo Cuno-Rosenberg49 sembrava apprezzare efficacia attitudine be­ nevola Governo italiano, Stresemann sembra non valutarla in quanto essa non ha servito ad impedire la crisi attuale né a fre­ nare la Francia. Stresemann sembra più incline ad un accordo di­ retto con la Francia che, oltreché sistemare questioni economi­ che, porti ad una détente politica, piuttosto che ad aspettarsi aiuto efficace dall’Inghilterra e tanto meno dall’Italia. Inoltre non si dà gran peso all’astensione dell’Italia dall’invio di truppe nella Ruhr; i francesi sembra abbiano fatto correre la voce che la Francia ed il Belgio non ci tenevano ad avere con sé l’Italia e non Γinvitarono neppure ad unirsi (!). Dunque, dice Bosdari, «né per amore né per timore è il Go­ verno tedesco portato a valorizzare la nostra benevolenza od a trattarci diversamente degli altri». Roma, 16 novembre 1923 Discorso odierno di Mussolini al Senato sembra, nonostante la lettera Bosdari, ispirato al programma di ménager la Germania. Io credo poco a questo metodo con i tedeschi.

49 II Governo del cancelliere Wilhelm Cuno, con Frederic Hans von Ro­ senberg agli Esteri, caduto nell’agosto 1923 e sostituito dal Governo Strese­ mann.

1924

[CONFERENZA DI LONDRA PER L’APPROVAZIONE DEL PIANO DAWES]

Londra, 29 luglio 1924 A Salvatore Contarmi Segretario generale al Ministero degli Esteri Roma Caro Contarmi, ieri l’altro mi sono trovato un po’ in disaccordo con De Stefani1 perché non aveva chiesto l’intervento italiano nella Commissione dei Giuristi. Ieri mi sono trovato in maggior disaccordo con lui per la nostra entrata nel comitato che dovrà esaminare la que­ stione dell’evacuazione militare della Ruhr, comitato nel quale non entra ΓInghilterra. In seguito al mio intervento è stato preci­ sato che la nostra situazione sarà quella di osservatori. Ma anche cosi la cosa non mi piace. Non dico questo per svalutare l’opera di De Stefani. Più lo conosco e più ne apprezzo l’intelligenza e la dirittura, ma egli si trova solo nel Consiglio dei Big Five2 a dover prendere atteggia­ menti e decisioni improvvise su questioni importanti ed io sono testimone del suo coscienzioso travaglio. Nel complesso la Delegazione non mi pare abbia fatto male.

1 Alberto De Stefani, ministro delle Finanze, capo della delegazione ita­ liana alla Conferenza. A questa, che si svolse dal 16 luglio al 16 agosto, parte­ cipò anche Pirelli, che era stato fra gli autori del Piano Dawes. 2 Cioè i rappresentanti di Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti.

62

Millenovecentoventiquattro

E le altre Delegazioni, salvo quella belga, sono cosi impreparate e discordi da non far certo sfigurare la nostra. Gli inglesi hanno dato, nella seduta di Conferenza di ieri, spettacolo di dissidio prolungato fra Snowden e Thomas3. I francesi, sempre smarriti, hanno per es. lasciato che, nella stessa seduta di ieri, si approvasse il rapporto del II Comitato — che è l’impegno all’evacuazione economica della Ruhr — senza che siano state regolate le altre questioni, anzi sono loro che hanno chiesto una approvazione formale, mentre MacDonald4 aveva proposto soltanto che il rapporto fosse déposé. L’ambasciatore americano a Berlino mi ha detto testé che sa­ rebbe bene i tedeschi sapessero che, sebbene gli inglesi — e spe­ cialmente Snowden e Norman5 — sembrino fare i loro avvocati difensori ad oltranza nei rapporti con i francesi, i tedeschi fareb­ bero meglio a diffidare perché a Londra non si vuole l’applica­ zione del Piano Dawes (stabilizzazione su base oro del marco, sviluppo industriale tedesco, ecc.). Come vedi siamo in un bell’ambiente di... armonia e fiducia reciproca! Un bello spettacolo questi governi socialisti6 che do­ vrebbero ridare la pace all’umanità e che invece fanno trascinare la Conferenza senza il coraggio di concludere né quello di rom­ pere. Si brancola in cerca di formule. Ma la pubblica opinione è or­ mai messa in sospetto e non si accontenterà di accordi formali che, per di più, arrischiano di non vivere ventiquattr’ore senza interpretazioni discordanti a Londra e a Parigi. Il rapporto Dawes non porterà i suoi frutti se si diffonderà l’impressione che gli alleati, pur attraverso formule di apparente accordo, si avviano alla sua applicazione con sospetti reciproci e riserve. La stessa Germania ne inizierà l’esecuzione con una menta­ lità piena di riserve e di speranze di evasione. Conta, assai più che il testo dell’accordo, l’atmosfera che esso riuscirà a creare. Ora tale atmosfera non si avrà se non si raggiungerà: 3 Philip Snowden, cancelliere dello Scacchiere. — James Henry Thomas, ministro delle Colonie. 4 Ramsay MacDonald, primo ministro britannico. 5 Sir Samuel Montagu Norman, governatore della Banca d’Inghilterra. 6 La delegazione britannica alla Conferenza era capeggiata dal laburista MacDonald; quella francese dal radical-socialista Edouard Herriot (da metà giugno presidente del Consiglio e ministro degli Esteri).

Millenovecentoventiquattro

63

— un’intesa sostanziale fra gli alleati — l’accettazione spontanea della Germania — un’adesione degli Stati Uniti, in quella forma più palese e completa che sarà possibile. Anche dal punto di vista delle riparazioni, soltanto se si crea una nuova atmosfera di pace e di buona fede si potrà ottenere, oltre l’attuale prestito di 800 milioni, anche il successivo piazza­ mento, sia pure in un tempo abbastanza diluito, di obbligazioni ferroviarie, industriali, ecc. Un accordo sostanziale è d’altra parte reso difficile dal fatto che si domandano ai francesi dei sacrifici veramente gravi: — l’abbandono del controllo economico della Ruhr — l’evacuazione militare della Ruhr — la menomazione dei poteri della Commissione Riparazioni — la rinuncia ad una azione separata entro i termini del trat­ tato. Qualsiasi soluzione che non porti ad un’esplicita accettazione di queste condizioni non sarà una vera soluzione ma uno sterile compromesso. Si può d’altra parte domandare alla Francia cosi grandi sa­ crifici, senza che le nazioni più interessate e segnatamente l’In­ ghilterra contribuiscano per parte loro alla sistemazione generale? Si può specialmente domandare tali sacrifici all’attuale Governo francese, nelle difficili condizioni di politica interna in cui si trova? Anche se oggi accettasse non sarà domani rovesciato? [...] Naturalmente il nostro paese è nella posizione fortunata di non avere in gioco dei gravi interessi diretti, e se, come... cit­ tadino del mondo e come un uomo a cui è rimasto ancora qualche ideale, sono molto scoraggiato delle miserie che vedo qui, come italiano che guardi unicamente all’interesse del suo paese nel prossimo avvenire riconosco che siamo una delle nazioni che hanno meno da temere da un fiasco della Conferenza. Purché, come dicevamo già fin da un anno e mezzo fa, non si arrivi ad un ristabilimento dell’egemonia tedesca, attraverso ad una umiliazione francese, od al contrario ad una débàcle della Germania, al caos nel centro dell’Europa, attraverso al rafforza­ mento dell’imperialismo francese. Colla consueta cordialità, A.P.

64

Millenovecentoventiquattro

agosto 1924 La Conferenza7 ha corso rischio di fallire ma poi è andata in porto. Il suo successo per il prossimo avvenire è assicurato. Accettazione libera da parte tedesca (ma artt. 2, 3, 4?)8 (Come quando il Delfino di Francia giurava...) Non trionfi e non capitolazioni. Questo l’interesse generale ed italiano. Si poteva far meglio? Nella storia la controprova non è mai possibile, ed è inutile preoccuparsi del passato. E la politica non è la storia. Gli uomini di governo non sono chiamati a dare dei giudizi storici. [...] Richelieu considerava buona diplomazia quella che cer­ cava di fare tutti i giorni qualche cosa per migliorare le relazioni con tutte le nazioni.

Con o senza l’intervento della Lega delle Nazioni, la «coope­ razione» {without entanglement) degli americani alla ricostruzione europea e la loro funzione di mediatori con la Germania è assicu­ rata. [...]

Occupazione militare della Ruhr. Avrebbe dovuto cessare: contraddizione flagrante [...]. Unica giustificazione è pressione per assicurare esecuzione Piano Dawes. Ma è mancato cosi l’ef­ fetto pieno di atmosfera nuova, liberata, la creazione di quello spirito di buona fede e buona volontà in Germania a cui il Rap­ porto Dawes fa più volte cenno; si son giustificate le riserve dei nazionalisti che altrimenti avrebbero avuto scarso appiglio. [...]

Avvenire. Pericolo nazionalista tedesco. Discorsi e scritti in­ cendiari e vergognosi. Questo spirito è il suicidio della Germa­ nia. Oggi il mondo si aspetta: esecuzione.

7 Al termine della Conferenza, Pirelli scrisse, e probabilmente inviò a qual­ che amico o membro del Governo, una relazione intitolata Appunti intorno alla Conferenza di Londra. Alle 15 pagine dattiloscritte di cui essa consta, egli si proponeva di aggiungere vari altri «capitoli»: il testo che qui si pubblica è un abbozzo, non sempre decifrabile, di alcuni di essi. 8 Si riferisce a tre articoli dell’Accordo finale tra Governi alleati e Germa­ nia, che fissavano precise scadenze per l’attuazione dei deliberati della Confe­ renza.

Millenovecentoventiquattro

65

Ma progetto Dawes è complesso e delicato. Non può operare come un orologio. Ci saranno intoppi e difficoltà anche se buona fede da tutte le parti. Il Piano Dawes dipende dalle fortune d’Europa. Ma almeno abbiamo armistizio, e sperabilmente lungo. [...] Milano, 15 settembre 1924

Quando si sta all’estero a lavorare per il Paese, lo si fa con fede e con entusiasmo perché la Patria la si ricorda con un volto unico e pieno di luce; ma quando poi si ritorna, ahimè, quante miserie, quante risse, quanto fango! Sono molto scoraggiato.

[Parigi,] 13 dicembre 1924 ROMANO AVEZZANA

Necessità che le nazioni dell’Europa occidentale stringano rapporti di solidarietà. Bisognerebbe ammettere la Germania nel gruppo dandole qualche soddisfazione ad oriente (Danzica). Ciò servirebbe anche a staccare la Germania dalla Russia. Le nazioni dell’Europa occidentale devono pensare quanti interessi hanno in comune: sviluppare le colonie africane ed asiatiche e sfruttarle come mercati; difendersi dal bolscevismo; tenere aperti gli occhi sullo sviluppo dell’America. Pericolo per noi di una rivincita tedesca: unione dell’Austria alla Germania e spinta verso Trieste, unico possibile sbocco del germanesimo sul Mediterraneo.

[Roma,] 17 dicembre 1924 CONTARINI

Cauti accenni di Austen Chamberlain9 — in occasione sua venuta a Roma per Lega Nazioni — alla necessità di un fronte unico antibolscevico. 9 Da novembre ministro degli Esteri, nel gabinetto conservatore di Bald­ win succeduto a quello laburista di MacDonald.

66

Millenovecentoventiquattro

Impressione che Chamberlain ritenga indispensabile marciare d’accordo con la Francia, ma valuti molto necessità avere anche l’Italia nel gruppo, anzi di arrivare talvolta a Parigi attraverso l’I­ talia. Nessun accenno ai debiti interalleati («Why should you bark if you have a dog», cioè Churchill)1011 . Chamberlain ammette che per Tangeri l’Inghilterra ha sba­ gliato a non ammettere l’Italia. Discorsi di Contarmi con Briand 11. Questi si offre di portare al Governo francese eventuali osservazioni di Contarmi, e Con­ tarmi gli parla d) di Tunisi b) di Tangeri c) degli accordi metallurgici. Briand fa grandi dichiarazioni di amicizia e sembra trovare giusta la tesi italiana di rinviare la questione di Tunisi di cinque anni, di dare all’Italia qualche soddisfazione per Tangeri, e di non escludere l’Italia dagli accordi metallurgici.

Circa Tunisi, Contarini dice essere questione non italo-francese ma internazionale. «Sarebbe in un certo senso più facile avere la Corsica o la Savoia perché ciò dipende solamente dalla Francia e da noi, ma avere noi Biserta vuol dire diventare i pa­ droni del Mediterraneo. Per questo ci andarono i francesi». Circa l’Albania, l’Italia assume un’attitudine di grande lealtà, ma è probabile che la politica jugoslava porti alla necessità di un intervento. Io esprimo dubbi sull’importanza dell’Albania come zona di popolamento intenso con italiani e di sfruttamento. Oc­ corre certo spendervi dei miliardi.

10 La questione dei debiti rientrava nelle competenze soprattutto del can­ celliere dello Scacchiere, che da novembre era Winston Churchill. 11 Aristide Briand, che in quel momento non aveva incarichi ministeriali.

1925

Parigi, 6 gennaio 1925 Ho letto in treno tra Milano e qui il discorso di Mussolini del 3 gennaio. Vado incontro a De Stefani che arriva da Roma come capo della Delegazione italiana alla Conferenza per Γ applicazione del Piano Dawes e durante il tragitto in automobile tra la Gare de Lyon e l’albergo, presente l’ambasciatore barone Romano Avezzana, dichiaro a De Stefani il mio completo disaccordo poli­ tico circa il discorso 3 gennaio e soggiungo che io sono tuttora di­ sposto a partecipare alla Conferenza, dato che sono il solo ita­ liano che conosca a fondo l’argomento, ma in pura veste di tec­ nico. Se in queste condizioni si preferisce che io mi ritiri, sono pronto a farlo. De Stefani e Avezzana insistono perché io resti. Riferisco poi a De Stefani le conversazioni preliminari avute con inglesi e francesi.

Scrivo a Ettore Conti commentando il discorso 3 gennaio, di­ cendogli del mio disagio, prospettando una mia eventuale dimis­ sione da presidente dell’Associazione1 e pregandolo di parlare con gli ambienti industriali sulla situazione.

1 L’Assonime, alla cui presidenza Pirelli era stato eletto nel maggio 1924, succedendo a Ettore Conti.

68

Millenovecentoventicinque

Milano, 8 gennaio 1925 Caro Alberto, ti ringrazio per la tua di ieri l’altro. Ho visto Benni23 , che non ritiene conveniente convocare il Comi­ tato centrale5, e forse nelle incertezze dell’ora il quieta non movere può sembrare una forma di saggezza. Di fatto fino all’approvazione della riforma elettorale dovremmo li­ mitarci a vivere ed a fare in modo che la legge attuale venga modifi­ cata, perché un appello al Paese in un momento cosi agitato, e con lo stupido sistema maggioritario attuale, ci potrebbe portare dei risultati ben dannosi, qualunque sia il governo che faccia le elezioni. Dopo ap­ provata la legge vedremo. Con Benni ho intanto insistito sulla necessità di accentuare il carat­ tere apolitico delle nostre Associazioni; vedrai dunque che dissidi a questo riguardo non nasceranno, e che quindi non avrai bisogno di proporti il problema di tue eventuali dimissioni, problema che per molte ragioni va evitato. A parte altre considerazioni, la scelta di un successore sarebbe tutt’altro che facile, né si può pensare a richiamare l’antico presidente4, che la pensa esattamente come te. Come sai, fra qualche giorno vado in Egitto, perché non ritengo di rimandare questa gita, che purtroppo limiterò nella sua durata. Ci vedremo quindi qui dopo i rispettivi ritorni, e cioè dopo che tu avrai reso un’altra volta un insigne servizio al Paese mentre io mi sarò limitato a prendere un po’ di riposo. Ho voluto scrivere e non dettare per mostrarti che la mia grafia non è migliore della tua. Addio, caro Alberto, cheer up e arrivederci. Tuo aff. Ettore Conti

Bruxelles, 19 marzo 1925 HYMANS 5

Lieto concordanza sue vedute con quelle di Scialoja6 a Gine­ vra (protocollo sicurezza ecc.).

2 Antonio Stefano Benni, presidente della Confederazione Generale del­ l’industria. 3 Cfr. nota 4/1923. 4 Cioè lo stesso Conti. 5 Paul Hymans, ministro degli Esteri belga. 6 Vittorio Scialoja, delegato alla Società delle Nazioni.

Millenovecentoventicinque

69

Favorevole tesi inglese inclusione Germania nel patto7, e d’altronde Gran Bretagna non metterà firma senza firma Germa­ nia. Francia dovrebbe ricordare che altre volte la Gran Bretagna ha ritirato offerte che la Francia oggi si pente di non aver accet­ tato. Circa Austria riconosce che è problema generale per il «système» e non italiano. Non sembra ritenere che problema diven­ terà acuto se si aiuta l’Austria economicamente, che politicamente Vienna non ha nessun desiderio di unirsi a Berlino. Circa Polonia esclude che si possa fare rettifiche di frontiera subito (il che certo avrebbe potuto persuadere la Germania a dare garanzia assoluta di rispettare anche le frontiere or.). Crede che il problema di Danzica s’imporrà gradatamente cosi da avere un giorno una soluzione di generale consentimento. Oggi bisogna trovare una formula che la Germania possa accettare e che la impegni in parte anche per le frontiere orientali. A Parigi «on s’affole toujours trop vite»: ieri era il comuni­ Smo a Parigi, oggi sono i bolscevichi che stanno per invadere la Polonia. Le sue notizie invece non sono allarmistiche su questo pericolo. Nostro ambasciatore... bonhomme. theunis

8

Accenna a tendenza austriaca ad unione economica con Ger­ mania. Insiste nel dire che Francia doveva negoziare rapidamente questione sicurezza come alternativa all’abbandono del proto­ collo di Ginevra. Ora che la Gran Bretagna ha fatto il penoso ge­ sto di ripudiare il protocollo si sente meno obbligata a dare un compenso. Accordi commerciali con Germania. Sembra che la Gran Bre­ tagna abbia consigliato a stringere con la Germania mentre que­ sta era piena di buone disposizioni in rapporto ai lavori di Gine­ vra. Quindi il Belgio ha mandato missione a Berlino a conclu­ dere. Però la Germania si è subito ripresa. 7 II patto di non aggressione contenuto nel trattato di Locamo, negoziato per tutto il 1925 e firmato il 1° dicembre a Londra. 8 Georges Theunis, presidente del Consiglio belga.

70

Mìllenovecentoventicinque

Viaggio Theunis in Italia. Impara l’italiano.

Debito Belgio verso Stati Uniti sarà regolato pagando ripara­ zioni tedesche 0.3/4%, ma con formula molto studiata. A proposito prezzi forniture inglesi durante la guerra, egli come capo missione a Londra verificò in molti casi la possibilità di comperare a prezzi più bassi di quelli fatturati dal Governo in­ glese agli alleati. Condizioni finanziarie Germania: sua impressione edifìcio potrebbe ancora crollare. Governo francese sta studiando accordi con gruppo banche francesi per garanzia rinnovo buoni in scadenza (circa 10 miliardi a luglio!), ma dovrà pagare commissioni enormi. Clémentel9 rappresenta però una salvaguardia.

Elezioni belghe: poco ]lottement. Roma, 9 luglio 1925

Mussolini mi ha chiamato. Mai è stato cosi pieno di ri­ guardi con me come nella conversazione odierna. Lui, che è so­ lito scegliere e liquidare i suoi collaboratori senza consultarli o consultarsi, mi chiede il parere sulla eventuale nomina di Volpi a ministro delle Finanze e di Belluzzo a ministro dell’Economia 10. Gli traccio con senso di responsabilità un ritratto dei due uo­ mini quali li giudico io: qualità e difetti. Mussolini gira e rigira il discorso come chi, non volendo farmi un’offerta diretta per non avere un secondo rifiuto, vorrebbe che io spontaneamente mi met­ tessi a sua disposizione. Schermaglia. Faccio finta di non capire. Ma ad un certo momento mi viene bene di dirgli: «Lei, Presidente, è un divoratore di uomini e ve ne sono, come me, che hanno un grande spirito di conservazione». Mussolini ride e... capisce. Poi si parla d’altro: problemi industriali ed internazionali. 9 Etienne Clémentel, ministro delle Finanze francese. 10 II sen. Giuseppe Volpi e l’on. Giuseppe Belluzzo, effettivamente poi no­ minati ai due dicasteri, in sostituzione di De Stefani e di Cesare Nava.

Millenovecentoventicinque

71

Mussolini è venuto a sedere di fronte a me al di qui del suo ta­ volo di lavoro. Ora si alza e mi accompagna attraverso la gran sala della Vittoria fino alla porta che apre lui. L’usciere Navarra dice: «Dunque ha accettato?» Faccio il tonto. ottobre 1925 in navigazione verso gli Stati Uniti

Appunto per i colloqui italo-americani per la sistemazione del debito di guerra dell’Italia verso gli Stati Uniti11 [...] Da quattro anni l’Italia presenta un progresso sicuro: tutti gli indici economici sono concordi nell’attestarlo. Ma essa non ha raggiunto ancora una posizione di equilibrio stabile. Una tra le memorie che presento lo mette in luce in modo purtroppo indubbio. Solo imponendo a varie classi sociali gravi sacrifizi essa può, con un reddito sostanzialmente non superiore al pre-bellico, mantenere una popolazione che supera del 14% quella del 1913. A sostenere questo sacrifizio non sono solo i detentori e cre­ ditori di moneta, che hanno visto ridotta dal 50 al 90% la loro ricchezza. Sono anche quotidianamente i proprietari di fabbricati e di terreni, che ricevono dalle loro proprietà un reddito che si aggira sui 2/3 del pre-bellico, e tutte le categorie degli alti e medi impiegati la cui retribuzione è aumentata in misura molto minore del livello dei prezzi. E solo mediante questi sacrifizi che l’Italia riesce a mantenere basso il costo della vita e quindi i salari e quindi, fino a un certo punto, il costo di produzione. Ma questo, lungi dall’essere indice di una situazione favore­ vole, rappresenta per noi una condizione di sfavore per la quale dobbiamo produrre in confronto delle altre nazioni una maggiore quantità di merci per realizzare sul mercato internazionale la

11 Nell’ottobre-novembre 1925 una missione presieduta dal ministro delle Finanze Volpi, e di cui faceva parte Pirelli, negoziò e concluse il settlement del debito di guerra dell’Italia verso gli Stati Uniti. Per la trattativa furono elabo­ rate e presentate a Washington 23 memorie sulla situazione italiana; ad esse accenna Pirelli nelle prime righe di questo appunto complessivo sulle condi­ zioni del paese e delle sue classi sociali, appunto dettato sull’incrociatore D«zlio alla vigilia del primo incontro con i negoziatori americani.

72

Millenovecentoventicinque

stessa quantità di mezzi di pagamento. D’altra parte è una condi­ zione che ci è imposta dalla necessità di saldare la nostra bilancia dei pagamenti, perché con prezzi interni più alti noi esporte­ remmo meno, importeremmo di più, mentre diminuirebbe l’at­ trattiva dei forestieri di venire tra noi e diminuirebbe altresì lo stimolo dei nostri lavoratori di prestare la loro opera all’estero. La verità è che la nazione italiana oggi suda, in una situa­ zione che per molte classi è di sotto-retribuzione, per poter man­ tenere il proprio equilibrio economico. Si tratta — tutto lo fa sperare — di una condizione transito­ ria che lascerà luogo ad una situazione via via più favorevole e più stabile. Col divenire naturale della retribuzione di tutte le classi della popolazione, col conseguente elevarsi dei prezzi al li­ vello internazionale, noi potremo con le stesse quantità di pro­ dotto realizzare nel futuro maggiori mezzi di pagamento e far luogo ad una certa capacità di trasferimento. Nelle condizioni at­ tuali invece ogni trasferimento, anche se possibile, non farebbe che accentuare la difficoltà già grave di saldare la bilancia dei pa­ gamenti, obbligandoci, per esportare maggiormente, a retribuire ancor meno certi fattori della produzione al fine di abbassare di più i costi di produzione, imponendo sacrifizi a classi ancor più vaste della nostra popolazione, con danno nostro ma non con vantaggio, oserei dire, neppure delle nazioni che si trovano a concorrere con noi nello smercio sui mercati stranieri.

1926

Parigi, 28 gennaio 1926 [Dopo la missione Volpi a Londra (15-27 gennaio} per la sistema­ zione del debito di guerra dell’Italia verso I’lnghilterra] 1 Se si pensa alla strada che si è fatta dal giorno in cui si pen­ sava che la ricostruzione delle zone devastate dovesse avere la precedenza sopra qualsiasi rimborso di debiti di guerra, e sola­ mente l’eventuale eccedenza delle riparazioni su tali spese di ri­ costruzione dovesse destinarsi al pagamento dei debiti interal­ leati, sino ad oggi che il massimo delle nostre speranze è diven­ tato che le riparazioni arrivino a coprire gli impegni per i debiti di guerra, si deve dedurne che la Francia, l’Italia e, in parte, il Belgio non escono vittoriosi da questo duello diplomatico e fi­ nanziario del dopoguerra.

1 Sistemato il debito con gli Stati Uniti, su sollecitazione britannica inter­ venne il negoziato conclusivo con Londra, condotto anch’esso da una missione capeggiata dal ministro Volpi. Pirelli, pur partecipando da comprimario al ne­ goziato, non aveva giudicato opportuno in quel momento un settlement con l’Inghilterra né poi concordò sulle condizioni pattuite, come appare chiaro da questa nota di consuntivo, dettata il giorno dopo la firma dell’accordo. (E il 24, in un biglietto indirizzato al segretario generale del ministero degli Esteri, aveva scritto: «Caro Contarini, il tuo amico è molto turbato. Mai il compiere un dovere gli è costato cosi caro. Ma poiché questo dovere include anche il silenzio, tieni queste righe per te solo. Il tuo aff. A.P.». — Nel ’61, rievocando queste vicende nel libro Dopoguerra 1919-1932. Note ed esperienze, Pirelli ebbe ad aggiungere, p. 128: «Volpi aveva un’ottima ragione per desiderare di arri­ vare ad una conclusione positiva, ed era quella di dar corso al piano di sistema­ zione della lira, che i due Accordi di Washington e di Londra avrebbero resa possibile».)

74

Millenovecentoventisei

Ma di quanto precede la vera grande colpevole è la Francia... Era questo modificabile attraverso una azione più intima fra le nazioni debitrici e segnatamente fra Italia e Francia? Io l’ho sempre ritenuto e sostenuto, ma riconosco che il problema dei debiti interalleati come anche quello delle riparazioni non era che uno dei molti problemi che l’Italia doveva affrontare nei suoi rapporti internazionali e che quindi se per questi due problemi le cose sono andate peggiorando, altri compensi possono esservi stati (ed è mio avviso che ci siano stati) in altre direzioni.

Venendo al lato tattico delle trattative e più particolarmente a quest’ultimo periodo relativo al negoziato inglese, era sembrato a me inopportuno di accettare l’invito della Gran Bretagna di an­ dare, immediatamente dopo il negoziato di Washington, in mis­ sione ufficiale a Londra. Credo che la nostra posizione dopo l’accordo di Washington — ed avendo d’altra parte l’Italia già sistemato coll’Inghilterra le principali questioni politiche pendenti (Giarabub, Giubaland, Abissinia ecc.) — potesse darci il verso di attendere un poco e nel frattempo di rispondere alle pressioni inglesi con qualche passo diplomatico e confidenziale che preparasse il negoziato. Una volta andata la missione a Londra, riconosco che era dif­ ficile venir via senza concludere. Però, nonostante tutto quanto precede, io credo ancora che si sarebbero potute ottenere delle condizioni piu favorevoli, con un’attitudine più energica. Ma riconosco che la libertà di parola e di attitudine che può avere un uomo o anche un negoziatore in­ dipendente ha dei limiti quando chi parla è un ministro, con re­ sponsabilità politiche. Il risultato del negoziato dovrebbe essere considerato in com­ plesso soddisfacente da chi vede liquidato un debito al 14%... Chi conosce i precedenti della questione e soprattutto l’ac­ cordo Pirelli-Niemeyer del 19232, deve invece ritrarne un’im­ 2 Nel 1923, al termine d’una serie di incontri (cfr. nota 39/1923) tra Pirelli e il capo della Tesoreria britannica Sir Otto Niemeyer, era stato siglato uno schema di accordo in cui si conveniva che il debito di guerra italiano verso l’Inghilterra sarebbe stato saldato mediante la cessione a Londra dei «buoni» che la Germania avrebbe rilasciato all’Italia a scomputo del proprio debito per riparazioni.

NLillenovecentoventisei

75

pressione dolorosa ed anche indipendentemente da ogni prece­ dente il confronto col settlement americano è, nella realtà delle cose, sfavorevole per il settlement coll’Inghilterra perché come per noi a Washington la maggiore preoccupazione fu di concen­ trare i massimi pagamenti negli anni più lontani, fidando in un qualche avvenimento che portasse alla loro cancellazione, cosi gli inglesi mossi dalla stessa persuasione dell’improbabilità di pa­ gamenti tanto lontani hanno insistito e ottenuto dei pagamenti iniziali notevoli. Resta certamente la speranza di una revisione avvenire di tutte queste obbligazioni internazionali, ed è anche legittimo di attendersi che come per le riparazioni tedesche si sono fatti tanti gradini in giù nella scala della riduzione, altrettanti gradini siano fatti nella scala della cancellazione di questi debiti di guerra.

Parigi, 8 maggio 1926 Intervista col signor T. Lamont della banca J.P. Morgan3*5

Il signor Lamont mi aveva telegrafato in data 3 maggio espri­ mendomi il desiderio di vedermi, se possibile, a Parigi il giorno 8 per sottopormi un suo importante progetto, ed aveva di ciò dato notizia a S.E. il conte Volpi. Nella lunga intervista che ha avuto luogo alla banca Hartjes Morgan a Parigi il signor Lamont mi ha anzitutto parlato della si­ tuazione sul mercato degli Stati Uniti del prestito di Stato ita­ liano. Poi è passato ad esporre il punto di vista dei banchieri ameri­ cani ed inglesi relativamente al tentativo di stabilizzazione del franco belga ed alla successiva crisi. Ma di questo riferirò a parte. Finalmente venendo alla ragione principale della nostra inter­ vista, il signor Lamont mi ha fatto le seguenti comunicazioni in 3 Attraverso la banca Morgan era stato lanciato sul mercato degli Stati Uniti — subito dopo l’accordo di Washington per la sistemazione del debito di guerra — un prestito di Stato italiano di 100 milioni di dollari. Pirelli aveva preso parte attiva alla conclusione del relativo negoziato, avviato da Alberto Beneduce con Giovanni Fummi. Questa nota (dattiloscritta nell’originale) fu inviata a Volpi, Mussolini, Stringher e forse ad altri. Dell’altra nota sulle vicende del franco belga, cui si accenna nel terzo capoverso, non s’è trovata copia nell’archivio Pirelli.

76

Millenovecentoventisei

via strettamente confidenziale. Riferirò esattamente il dialogo in­ tervenuto, pur riassumendo in forma un po’ cruda le espressioni sempre caute e cortesi di quel banchiere-diplomatico che è il si­ gnor Lamont. Da parte mia ho naturalmente assunto nei riguardi del progetto Lamont un’attitudine riservata e piuttosto negativa, ma alcuni degli argomenti che ho svolti per ragioni tattiche non mi convincono interamente e trovo che il progetto Lamont è de­ gno di considerazione e negoziazione. lamont «Da quanto vi ho detto avrete rilevato le nostre grosse ansietà per la situazione del franco belga. Preoccupa, natu­ ralmente, anche la situazione del franco francese. Il Governo francese ha ancora intatta non solo tutta la sua poderosa riserva aurea ma anche il prestito di novanta milioni di dollari fatto colla Casa Morgan e credo che quando il Governo si decidesse a inter­ venire energicamente, potrebbe non solo arrestare il ribasso del franco francese, ma rivalutarlo alquanto. Però voi conoscete le difficoltà della situazione politica francese e conoscete la sfiducia del pubblico nei riguardi dei titoli di Stato francesi ed anche la fuga di capitali francesi all’estero. «Ora, guardando alla situazione dell’Italia, io non sono af­ fatto allarmato, ma sono un poco preoccupato (I am not alarmed, but somewhat concerned}. Mi domando se sarà possibile per il vo­ stro Governo di difendere la lira sulla base attuale e mi domando se sarà conveniente che lo faccia. Certo la vostra situazione, se non è forse buona quanto quella francese e quella belga dal punto di vista delle condizioni basiche dell’economia dei tre Paesi (pro­ duzione agraria, disponibilità di materie prime, attrezzamento in­ dustriale, colonie, impiego di capitali all’estero, ecc. ecc.), è in­ comparabilmente migliore da molti altri punti di vista. D’al­ tronde solamente il vostro Governo, che conosce esattamente l’andamento della battaglia sostenuta negli ultimi tempi per la di­ fesa del suo cambio, e la situazione delle sue riserve di divisa, può valutare la possibilità e il costo della difesa della vostra va­ luta sulle basi attuali, e se io mi sono posto il quesito è solamente perché ogni Paese risente necessariamente delle vicende finanzia­ rie degli altri Paesi e la difesa della lira può essere resa più diffi­ cile dalle déjaillances del franco francese e del franco belga. Ma, indipendentemente dalla possibilità e dalla convenienza finanzia­ ria di questa difesa, mi sono domandato se voi avreste avuto la convenienza economica di stabilizzare la vostra lira sulle basi at­ tuali qualora la Francia ed il Belgio non potessero riprendere i

Millenovecentoventisei

77

corsi di qualche mese fa e dovessero fermarsi su livelli alquanto peggiori dei vostri. «Certo voi avete condotto le cose molto bene fino ad oggi. Avete tentato una stabilizzazione di fatto che certamente sa­ rebbe riuscita se il franco belga e quello francese non avessero avuto queste déjalliances, e che d’altronde può forse ancora es­ sere coronata da successo. Non avete commesso l’errore del Bel­ gio che ha voluto fare una stabilizzazione definitiva senza averla predisposta opportunamente, per di più ad un livello (la sterlina a 106) che era finanziariamente ed economicamente sbagliato. «Ma insomma, guardando al problema del cambio francese, di quello belga e di quello italiano, nel suo complesso, il signor Morgan ed io ci siamo domandati se sia possibile pensare ad una via d’uscita dalle difficoltà attuali e dai pericoli avvenire. E ci è parsa che la sola soluzione sicura e definitiva sarebbe un ritorno dei tre Paesi alla base aurea: 1. contemporaneamente 2. sulla identica base 3. con formidabili appoggi che garantiscano nel modo più as­ soluto il successo della stabilizzazione. «Il signor Morgan, pur rendendosi conto della delicatezza della questione nonché delle difficoltà che vi sarebbero da supe­ rare, ha pensato che solamente una specie di “Locamo finanzia­ ria” per il franco francese, per il franco belga e per la lira italiana potrebbe condurre ad una situazione economico-finanziaria nei tre Paesi ed a uno stato psicologico internazionale nei riguardi delle divise di tali Paesi che permettessero di considerare come scomparso per sempre l’incubo di ulteriori peggioramenti e l’in­ centivo alla speculazione. Messe a posto queste tre divise, si può dire che la situazione monetaria dell’intera Europa ne risulte­ rebbe sistemata. «Di questo vasto progetto mi sono intrattenuto ora solamente col ministro delle Finanze francese signor Peret e col signor Briand. Non potendo andare a Roma ho desiderato di avere con voi questa intervista perché abbiate la cortesia di parlarne con S.E. Mussolini e con S.E. Volpi. Io per parte mia mi riservo di parlarne col governatore Strong della Banca Federale degli Stati Uniti che si trova attualmente a Londra e col signor Montagu Norman, governatore della Banca d’Inghilterra. «Non ho parlato finora con nessuno dei belgi. Ma d’altronde desidero aggiungere subito che, mentre in un primo tempo i due

78

Millenovecentoventisei

ministri francesi erano parsi molto ragionevoli, cosicché io avevo creduto opportuno di affrettare l’intervista con voi, la mia impres­ sione attuale è che il Governo francese non darà seguito al pro­ getto». Pirelli «Voglio chiarire anzitutto se il progetto del signor Mor­ gan consisterebbe nel riportare il livello del franco francese e di quello belga al livello attuale della lira». l. «No; ho l’impressione che perché la stabilizzazione sia defi­ nitiva bisognerebbe incontrarsi per strada. Ritengo che un punto giusto potrebbe essere di stabilizzare le tre divise sulla base di uno a cinque e mezzo». p. «Un peggioramento dunque di circa il 10% della nostra va­ luta rispetto al suo valore presente. Voi comprendete come almeno nelle condizioni attuali sarebbe l’Italia chiamata a fare le spese della combinazione». l. «La questione è certo delicata per l’Italia, ma non si tratta qui di fare le spese a vantaggio di nessuno; si tratta piuttosto — a mio avviso — di esaminare se l’Italia abbia la possibilità e soprat­ tutto la convenienza di stabilizzare su una base che distacchi la lira dal franco. «L’esperienza insegna che la miglior forma di una stabilizza­ zione definitiva è quella che viene fatta con un certo margine di de­ prezzamento. Solo cosi si attenua la crisi della stabilizzazione. Ma io non voglio dare consigli. Ho voluto solo prospettarvi un’idea», p. «C’è molto di vero in quello che voi dite, ma resta il fatto che l’Italia farebbe un notevole piacere alla Francia ed al Belgio se ade­ risse al vostro progetto e sarebbe giusto che l’Italia vedesse ciò rico­ nosciuto in qualche modo». l. «Eccoci a quello che temevano Briand e Peret. Avendo io ac­ cennato loro l’intenzione di intrattenermi con voi intorno al pro­ getto del signor Morgan, essi hanno subito detto: “L’Italia, nella si­ tuazione attuale, si crederà in diritto di domandare dei compensi e vorrà forse portare il discorso sul terreno politico o coloniale e noi non possiamo ammettere che si colleghino le due cose”. Devo ag­ giungere», continua il signor Lamont, «che il Governo francese era estremamente preoccupato all’idea che io parlassi con voi di questa questione per il dubbio che il Governo italiano ne ricevesse l’im­ pressione che si trattasse in qualche modo di una iniziativa fran­ cese, il che assolutamente non è». p. «E perché escludete voi che il piano abbia seguito anche su basi di stabilizzazione diverse per le tre divise?»

Millenovecentoventisei

79

«Pur non escludendo che si possa riesaminare la cosa, a me sembra impossibile che si ottenga il necessario effetto psicologico se non si arriva ad una soluzione semplice ed uniforme». p. «A me sembra che vi siano varie questioni separate da considerare: l’una se convenga singolarmente a ciascuno dei tre Paesi di cui si tratta di ritornare presto ad una base aurea; la se­ conda se sia opportuno che ciò avvenga contemporaneamente e sulla stessa base e su quale base; la terza se non sia giustificata da parte dell’Italia la richiesta che si tenga conto della diversa con­ dizione nella quale si trovano i tre Paesi tanto nei riguardi della situazione di bilancio, quanto della situazione monetaria e del cambio. I vantaggi che riceverebbero Francia e Belgio da questa operazione o in ogni modo i pericoli da cui si salverebbero sono assai più grandi che non per l’Italia. «Ora io posso anche essere tra quelli che pensano che i peri­ coli di un’ulteriore svalutazione sono per lo meno uguali alle pro­ babilità di future rivalutazioni, ma in Italia, oltreché alcuni pazzi che farneticano di una rapida e completa rivalutazione della lira senza vederne l’impossibilità e le catastrofiche conseguenze, esi­ ste una diffusa e più seria speranza di una graduale se pur lentis­ sima rivalutazione e non vi nascondo che vedo anche qualche dif­ ficoltà politica all’esecuzione di un programma che porterebbe ad un volontario ulteriore deprezzamento della lira fosse pure lieve e fosse pure per arrivare ad una definitiva stabilizzazione». l. «Anche il Governo francese mi ha parlato della difficoltà di affrontare il problema di una definitiva stabilizzazione su base aurea del franco togliendo l’illusione di possibili rivalutazioni e mi è parso che lo stesso Governo avesse anche qualche esitazione d’altronde naturale ad affrontare presto la crisi economica ine­ rente ad una stabilizzazione definitiva; ma voi in Italia avete un Governo ben altrimenti forte ed oculato, fareste inoltre la stabi­ lizzazione con quel margine a cui accennavo piu sopra e che vi at­ tenuerebbe la crisi economica. E finalmente ho l’impressione che la fisionomia internazionale della riforma che si applicherebbe contemporaneamente ai tre Paesi darebbe alla riforma stessa un carattere cosi importante e definitivo da giustificare piena­ mente presso la vostra pubblica opinione l’adesione dell’Italia». p. «La nostra amicizia mi permette di parlarvi molto franca­ mente: io temo che la combinazione proposta possa apparire come una mainmìse della finanza anglosassone sopra tutta la vita economica e finanziaria dei tre Paesi latini. E quindi da escludere l.

80

Mìllenovecentoventisei

a priori ogni e qualsiasi forma di piano o di controllo. Guai se si avesse l’impressione che si tratta di applicare una specie di Piano Dawes!». l. «Lo escludo nel modo più assoluto». p. «Permettetemi ancora due osservazioni: la prima è che se l’Italia deve affrontare una crisi economica per la stabilizzazione definitiva della lira sulla base aurea, ciò renderà ancor più grave il problema del suo eccesso di popolazione. La seconda è che una ulteriore — seppur piccola — svalutazione della lira accrescerà l’importanza relativa dei debiti esteri nel bilancio italiano, in­ tendo dire dei pagamenti stabiliti dagli accordi recenti di Wa­ shington e di Londra. Conosco le obbiezioni tecniche che potete farmi in argomento, ma l’impressione in Italia sarebbe ugual­ mente quella che vi ho esposta». l. «Caro Pirelli, desidero che sia ben chiarito che non solo non faccio la benché minima pressione, che sarebbe fuori di luogo ed inutile, ma che non sono mosso a parlare di questo pro­ getto altro che dal desiderio di vedere se si possa trovare una so­ luzione definitiva alla crisi che attraversano la Francia e il Belgio e che potrebbe presto minacciare anche voi. Comprendo la giu­ stezza e la portata delle osservazioni che mi avete fatto e poiché credo che lo stesso Governo francese abbia gravi esitazioni ad inoltrarsi per la via suggerita, tanto più comprendo come tali esi­ tazioni possiate avere voi italiani. In ogni modo non appena sa­ prò se da parte del Governo francese si ritiene di poter dare se­ guito alla cosa, vi telegraferò pregandovi di parlarne subito a S.E. Mussolini ed al conte Volpi. Se invece il Governo francese non crede di marciare, informatene pure egualmente, se credete, il vostro Governo, e forse ciò che oggi non è possibile per molte e rispettabili ragioni, diventerà opportuno nell’avvenire». Milano, 10 maggio Ho ricevuto oggi il seguente telegramma dal signor Lamont: «In regard to plan discussed no action will be taken for present heartiest thanks best regards». Credo ugualmente interessante di trasmettere il riassunto di cui sopra della recente conversazione di Parigi, conversazione che mi riservo di commentare a voce.

1927

Stoccolma, 1° luglio 1927

[Conclusione del discorso al IV congresso mondiale della Camera di Commercio Intemazionale]1

Laissez-moi, en dernier lieu, vous dire combien j’apprécie et combien je tacherai de développer la collaboration qui, sans porter la moindre atteinte à l’indépendance de notre Chambre, libre porte-parole des hommes d’affaires, s’est établie avec les grands organismes internationaux, notamment avec la Section économique et financière de la Société des Nations. A Genève, lors de la dernière Conférence économique, à laquelle j’assistais, j’étais frappé de l’autorité de notre délégation et du respect dont elle était entourée. Je me suis demandò: à quoi tient la sagesse qui a toujours in­ spirò les résolutions de la Chambre? Nous venons ici de tous les points du globe; nos langues sont diverses; nos mécanismes intellectuels sont ceux de professionnels qui n’ont peut-ètre aucun contact entre eux dans la vie quotidienne. Les traits essentiels du caractère spécial des hommes qui composent notre Chambre expliquent, me semble-t-il, ce phénomène. Ce sont des hommes spécialisés, cela va sans dire, dans une branche particulière de la production ou des échanges, mais cette 1 La Camera di Commercio Internazionale (libera associazione di impren­ ditori e relative organizzazioni, fondata nel 1919, con sede centrale a Parigi e sezioni nazionali — allora — in 45 paesi) nel suo congresso di Stoccolma del 1927 elesse a proprio presidente per il successivo biennio Alberto Pirelli. Il te­ sto qui pubblicato, il cui originale ms è di pugno di Pirelli, fu letto come chiusa del suo discorso di accettazione della carica.

82

Millenovecentoventisette

specialisation ne borne pas leur horizon. Ces hommes ont une large vision des problèmes généraux qui se posent pour plusieurs branches à la fois. Si, au premier plan de leurs occupations, figurent les problè­ mes particuliers de leurs pays respectifs, ces hommes n’ignorent pas l’existence pour d’autres pays de problèmes et de difficultés particulières. Ce sont enfin des hommes auxquels une culture générale et la fréquence de contacts internationaux ont donne le sentiment de la complexité des problèmes; ils savent done la nécéssité de ne précipiter ni le jugement ni faction, mais leurs habitudes professionnelles les ont d’autre part accoutumés à prendre, le moment venu, la responsabilité des décisions réalisatrices. D’ailleurs, la civilisation moderne est en train de développer un type nouveau d’homme d’affaires: celui qui, tout en donnant à son métier la majeure partie de son temps et de son energie, consacre néanmoins une partie de son temps à faccomplissement des devoirs qu’il a vis-à-vis de son pays, de ses collègues, de ses collaborateurs de tous les rangs, et des consommateurs. Les difficultés auxquelles se heurte le monde dans le do­ maine économique et financier ne trouveront pas, nous le savons, leur solution dans l’application des doctrines collectivistes, qui découragent l’initiative individuelle et ralentissent la production générale, pour le grand dommage de la communauté. Ceux qui sauront trouver les meilleurs remèdes à ces difficultés et à ces cri­ ses seront les hommes d’un type nouveau que nous voyons se dé­ velopper sous nos yeux en mème temps qu’évolue notre système social actuel. Ce dernier, tout en conservant pour base le prin­ cipe de la propriété et de l’individualisme, s’inspire de plus en plus de cette vérité essentielle: Γoeuvre de l’individu doit ètre semblable à la partie d’un édifice d’autant plus solide qu’elle s’encadre plus fortement dans l’armature de l’intéret général; chacun de nous est le serviteur de son pays et de la communauté. Une telle conception de la structure économique du monde favorise l’initiative individuelle; elle sert la collectivité et, en permettant une sélection rapide, elle assure l’ascension et la récompense des plus aptes et des plus dignes. D’autre part, chez ceux qui, dans le domaine économique, détiennent l’autorité, elle développe le sentiment de leurs responsabilités: il ne s’agit pas d’une éthique strictement individualiste, mais d’une éthique so­ ciale qui ne nous diete pas seulement nos devoirs envers nous-

Millenovecentoventisette

83

mémes, mais envers notre pays et l’humanité dont nous sommes les fideicommis. Milano, 27 dicembre 1927

Interviste con Mussolini, Volpi, Stringher, Beneduce2 sulla stabiliz­ zazione della lira Risulta che, nelle trattative di Londra, Strong3 e Norman hanno tenuto un atteggiamento estremamente simpatico. Il se­ condo ha marcato sempre più il desiderio di trattare con la Banca d’Italia e non col Governo, non per ostilità particolare verso que­ st’ultimo, ma per la tendenza a dare alle Banche di emissione carattere completamente indipendente dai Governi. Strong è stato più minuzioso di Norman nelle domande di ca­ rattere tecnico. Ambedue sono rimasti molto bene impressionati dalla situazione della Banca d’Italia e un po’ preoccupati per le prospettive del bilancio statale. Stringher ha dovuto dare assicu­ razioni personali anche per queste ultime. Nel corso delle trattative il valore attuale dei due settlements dei debiti di guerra era stato messo da Strong e Norman in un conto debitorio dell’Italia insieme con il debito Morgan, ma Stringher e Beneduce riuscirono a far togliere tale annotazione spiegando il carattere politico del debito ed il funzionamento della Cassa di compensazione colle riparazioni. Quanto all’oro depositato a Londra4, fu convenuto che esso non figurasse tra le riserve auree della. Banca d’Italia, ma come un credito in oro della Banca d’Italia verso il Tesoro italiano per oro depositato a Londra. Strong avrebbe desiderato la stabilizzazione ragguagliata alla sterlina a 100 o almeno a 95, ma si arrese alle insistenze dei no­ stri negoziatori. Il segreto circa la quota di stabilizzazione fu mantenuto in modo perfetto fino all’ultimo momento, anche perché Schacht, 2 Bonaldo Stringher, direttore generale, poi governatore, della Banca d’I­ talia. — Alberto Beneduce, in veste di consigliere finanziario del Governo. 3 Benjamin Strong, governatore della Federal Reserve Bank statunitense. Norman è il già citato governatore della Banca d’Inghilterra. 4 Si trattava di circa 22.200 sterline, consegnate all’inizio della guerra dal­ l’Italia all’Inghilterra come garanzia dei primi prestiti contratti.

84

Niillenovecentoventisette

Moreau ed anche Morgan5 ed i banchieri privati accettarono di partecipare all’apertura di credito senza conoscere la quota di sta­ bilizzazione ed affidandosi a quella che avrebbero accettato Strong e Norman, il che è un complimento per questi ultimi ma anche per l’Italia. Sembra che quando Norman telegrafò a Moreau annuncian­ dogli che l’operazione di stabilizzazione della lira era sul punto di essere definita e chiedendogli se volesse partecipare all’apertura di credito, Moreau ne abbia subito data comunicazione a Poin­ caré, cosi da permettergli di fare una dichiarazione di principio in favore della stabilizzazione del franco prima che uscisse la no­ tizia della stabilizzazione italiana. Appena conchiuso l’accordo, Norman riunì i banchieri in­ glesi e fece loro dichiarazioni estremamente simpatiche per l’Ita­ lia e per la Banca d’Italia. Strong pure si espresse nel modo più cordiale, ed ha scritto a Mussolini una lettera molto simpatica per Stringher. Quest’ultimo, dopo il ritorno a Roma, è stato ricevuto dal Capo del Governo insieme con Beneduce, e Mussolini gli ha espresso la sua riconoscenza in modo commovente. Risulta che a Londra Strong e Norman hanno in certo qual modo chiesto a Stringher un impegno morale di rimanere alla te­ sta della Banca d’Italia per parecchio tempo ancora. E da tener conto che il Governo sembra desideri che si parli non di «stabilizzazione», ma di «ritorno all’oro». D’altra parte non vi sarà la vera convertibilità della divisa in oro, ma continue­ ranno a rimanere in vigore le attuali disposizioni per cui per avere divise estere occorre presentare la documentazione del rela­ tivo fabbisogno. Appena entrato da Mussolini, questi mi dice: «L’ho fatta cer­ care per mare e per terra per pregarla di fare un comunicato per l’estero». Abbiamo poi parlato della stabilizzazione intervenuta, ed io gli dissi: «Mancherei di franchezza se non le dicessi che, so­ prattutto nei riguardi del bilancio dello Stato, avrei preferito una stabilizzazione a 95 o a 100, ma comprendo come per ragioni po-

5 Hjalmar Schacht e Emile Moreau, governatori rispettivamente della Reichsbank e della Banca di Francia. — J. Pierpont Morgan, il presidente del­ l’omonima banca americana.

Millenovecentoventisette

85

litiche fosse difficile di andare tanto oltre». Al che Mussolini ri­ spose: «Mi sono anch’io preoccupato di non creare un nuovo tur­ bamento nei prezzi». Abbiamo allora parlato anche della neces­ sità di adeguare ulteriormente i salari e gli stipendi e di intro­ durre economie nel bilancio statale, e inoltre ho accennato a Mussolini, come anche a Volpi ed a Stringher, all’opportunità di una riduzione nel costo del denaro. Mussolini mi pareva molto soddisfatto dell’intervenuta operazione e delle sue prime riper­ cussioni di carattere politico e morale, ma evidentemente è anche preoccupato di creare un ambiente di generale soddisfazione, e ciò probabilmente non solo per ragioni politiche, ma anche come elemento di successo pratico della stabilizzazione stessa. Anche Volpi era molto soddisfatto. Abbiamo parlato del prossimo avvenire e delle difficoltà tuttora permanenti per l’asse­ stamento economico. Egli mi ha detto che considera irrimedia­ bile la situazione dei proprietari agricoli che hanno pagato caro il terreno, e delle piccole banche di provincia che hanno finanziato tali acquisti e che devono cadere. Quanto alle industrie, crede che bisognerà rinunciare a dare dell’ossigeno a molte piccole industrie destinate a cadere, appog­ giando invece le poche forti. Sulla questione dei dividendi per i bilanci del ’27, rimaniamo d’accordo di rimandare ogni discorso fino alla fine di gennaio. Volpi mi parlò del suo grande programma di bonifica e della speranza di poter cosi collocare un paio di milioni di italiani in Sardegna, e 500.000 nel Ferrarese. Quest’opera comporterà an­ che del lavoro per la nostra industria delle costruzioni. Stringher mi accenna a qualche preoccupazione circa le pres­ sioni di cui era fatto oggetto per allargare la borsa del credito e per salvataggi.

a

1928

Parigi, 25 settembre 1928 [Appunto per relazione al Consiglio della Camera di Commercio In­ temazionali

Développement croissant de l’activité de la Chambre... Imaginons qu’au début de ce siede, il n’y a pas 30 ans, on ait lancé l’idée d’une Chambre de commerce Internationale pourvue d’un secrétariat permanent, groupant les diverses catégories d’intérèts économiques de tons les pays: les hommes pratiques n’y auraient vu qu’une fantaisie d’illuminé et auraient sans doute souri. Il est vrai qu’à ce meme moment, l’idée de rencontres col­ lectives et périodiques des hommes d’Etat aurait également paru une utopie. Aujourd’hui, les entretiens des ministres des affaires étrangères et des experts économiques ou financiers à Genève sont devenus un fait habituel et, dans la plupart des pays, on admet cette nouvelle règie d’action de chercher à adapter l’activité nationale à des principes internationaux sur lesquels on est tombé d’accord au préalable à Genève. C’est un fait nouveau dont nous ne pouvons pas encore mesurer toutes les conséquences, mais dans tous les cas il est indi­ spensable que symétriquement aux réunions d’hommes d’Etat et de fonctionnaires de Genève, les hommes d’affaires aient, eux aussi, l’occasion de se rencontrer à la Chambre de Commerce In­ ternationale et de s’y concerter pour arréter leur politique vis-àvis des projets de la Société des Nations.

1929

Parigi, 29 aprile 1929 [Il presidente della Reichsbank, Hjalmar Schacht, durante i lavori del Comitato Young^ 1 Il signor Schacht è uomo di notevole cultura, di ingegno vi­ vace, abile e dialettico, ma nel negoziare dà ben presto l’impres­ sione di un uomo che voglia essere molto furbo e sulla cui parola non si possa contare. Ciò è probabilmente attribuibile a due sue caratteristiche: in primo luogo la mancanza di un saldo equilibrio mentale, onde una notevole irregolarità di attitudine; in secondo luogo un notevolissimo sviluppo del suo ego. Se egli dovesse di­ ventare Cancelliere o Presidente del Reich, credo anzi potrebbe fare una politica pericolosa. Sarebbe una specie di Guglielmo II con più intelligenza, ma con altrettanto egotismo e altrettanta mancanza di à propos. Pure egli ha dato prove evidenti, anche nel presente negoziato, di voler mescolare la politica alle questioni economiche e finanziarie. Non si è potuto capire se in ciò egli seguisse delle istruzioni del suo Governo od invece avesse mire personali. Certo si è che fin dal primissimo incontro privato che ho avuto con lui la dome-

1 Su richiesta della Germania, dichiaratasi inabile a mantenere gli impegni ad essa imposti dal Piano Dawes, all’inizio del 1929 fu costituito un nuovo Co­ mitato di esperti, incaricato di proporre un «regolamento completo e definitivo del problema delle riparazioni». Sotto la presidenza dell’americano Owen D. Young, ne fecero parte esperti dei paesi creditori, fra cui Pirelli, e due delegati tedeschi, uno dei quali fu il governatore della Banca di Stato germanica, Scha­ cht. I lavori del Comitato Young si svolsero da febbraio a giugno del 1929 a Parigi, con frequenti sopralluoghi a Berlino.

90

Millenovecentoventinove

nica 10 febbraio, cioè alla vigilia dell’apertura ufficiale della no­ stra Conferenza, egli mi ha parlato apertamente della necessità per la Germania di vedere abolito il corridoio di Danzica e di ot­ tenere delle colonie. Egli mi ha inoltre in quella stessa occasione parlato della comunanza di problemi e di interessi tra la Germa­ nia e l’Italia, per poi da una parte farmi un accenno al fatto che egli si rendeva conto delle particolari difficoltà che il negoziato avrebbe presentato per l’Italia e della necessità di trovare una qualche formula soddisfacente per noi; dall’altra mi ha subito fatto un accenno alla situazione dell’Alto Adige come all’unico punto di dissidio tra Italia e Germania. Alla fine di febbraio, ve­ nendomi a trovare al Ritz, egli ha ripetuto la stessa cosa lascian­ dosi scappare a un certo momento questa frase: «Io parlo davanti ai colleghi della Conferenza intorno alle difficoltà dell’agricol­ tura, ma ho in mente il corridoio di Danzica; io parlo della neces­ sità per la Germania di avere delle materie prime, ma quello che ho in mente sono le colonie, e io parlo della necessità per la Ger­ mania di aumentare le sue esportazioni, ma quello che ho in mente è la politica tariffaria degli altri paesi». Egli mi ha, nella stessa occasione, rifatto delle avances allo scopo di trattare sepa­ ratamente con me la situazione italiana nel problema delle ripara­ zioni, invito che era poi evidentemente una trappola. Analoghi accenni politici ed analoghi tentativi per disunire gli Alleati egli ha fatto con le delegazioni di altri paesi. A Sir Josiah Stamp2 egli ha pure parlato di colonie e del corridoio polacco. Il signor Francqui3 mi ha detto che già prima della Conferenza il signor Schacht aveva offerto al Belgio di pagargli 300 milioni di marchi oro a soddisfazione della richiesta belga sulla questione dei marchi4, purché il Belgio consentisse che si facesse un plebi­ scito nelle zone di Eupen e Malmédy circa l’eventuale ritorno di tali zone alla Germania. Può darsi che quando nella prima settimana del negoziato il dr. Schacht ha offerto la somma irrisoria di 800 milioni di mar­ chi oro per 37 anni egli abbia pensato che per l’interesse del pro­ prio paese un uomo debba anche avere l’audacia di fare delle pro­

2 L’esperto britannico. 5 Emile Francqui, capo della delegazione belga. 4 II Belgio chiedeva un indennizzo per i marchi emessi nel paese durante l’occupazione tedesca.

Millenovecentoventinove

91

poste evidentemente non serie pur di partire da una prima piatta­ forma molto bassa e cosi fare la figura di arrivare poi a cifre doppie e anche più che doppie di quelle offerte in origine. Ma quando, dopo due mesi e mezzo di negoziato, il dr. Schacht è uscito col suo ultimatum e offriva una somma bensì doppia della primitiva, ma tutta quanta subordinata a diritto di morato­ ria e d’altronde ancora oltre 500 milioni al di sotto delle richieste dei paesi creditori, egli ha giocato una carta nettamente sba­ gliata. E vero che egli accompagnava tale offerta con un’altra proposta contenente anche una quota di pagamenti incondizio­ nati, ma egli subordinava questa seconda proposta all’otteni­ mento di concessioni di carattere evidentemente politico. Da ciò nacque la grossa crisi che la Conferenza ha attraversato tra il 15 e il 25 aprile. Le delegazioni dei paesi creditori, ed anche quella americana, che figura alla Conferenza un po’ come arbitra perché invitata tanto dai creditori quanto dalla Germania, hanno consi­ derato poco meno che un insulto l’offerta del dr. Schacht. Essa non conteneva più nemmeno l’offerta fatta la prima settimana di pagare incondizionatamente 800 milioni e con ciò contraddiceva anche al lungo studio fatto con la delegazione tedesca stessa per la commercializzazione di una parte del debito tedesco, essendo evidente che non si possono offrire al pubblico delle obbligazioni subordinate a moratoria. Essa conteneva clausole politiche ed era tale, anche come ammontare, da rendere inevitabile il naufragio della Conferenza. Mentre nei discorsi privati scambiati col presidente Young, Schacht aveva dato a questi più di una volta l’impressione netta di essere disposto ad arrivare a cifre assai vicine a quelle chieste dagli Alleati, Schacht aveva voluto poi essere arbitro, ma gli era mancata intanto la visione delle conseguenze di una rottura sopra la situazione del cambio germanico. La notizia della probabile rottura dei negoziati e del modo come tale rottura avveniva provocava un’immediata vendita di marchi da parte dell’estero e probabilmente da parte germanica. Il venerdì 19 aprile mattina si delineava già un primo movi­ mento in tal senso. Moreau5 diramava un’istruzione alle banche francesi di non favorire la fuga del marco perché contraria anche agli interessi dei creditori della Germania, ma probabilmente 5 II già citato governatore della Banca di Francia.

92

Millenovecentoventinove

questa demarche di Moreau era fatta per parare l’accusa che fosse stata la Francia a fare una manovra per demolire il marco. Nei giorni successivi la violenta campagna di stampa intensificava l’allarme; le banche francesi cominciavano a rifiutare lo sconto di carta germanica, le banche americane riducevano i loro conti presso le banche tedesche e si prospettava una situazione assai grave. Schacht se ne mostra molto impressionato, si sfoga con Young un po’ contro tutti dando al suo interlocutore l’impres­ sione di un «isterico»; rialza il tasso dello sconto al 7.5 senza po­ ter evitare l’accusa che la misura è tardiva, che la diminuzione di quasi un miliardo nelle riserve della Reichsbank è un fenomeno che si va gradualmente svolgendo dal principio dell’anno senza che Schacht si decidesse ad alzare il tasso di sconto cosi da far perfino sospettare che non gli dispiacesse questa debolezza della Reichsbank agli effetti del negoziato in corso e, finalmente, che l’attuale rialzo del tasso di sconto, anziché rimediare alla situa­ zione, rappresentava una nuova ragione di allarme. Il 27 aprile a Parigi delle Case tedesche e dei privati tedeschi pagavano già un premio per avere chèques in dollari ed anche per avere della carta moneta non tedesca. Intanto il dr. Schacht faceva, attraverso Harris Porres, una molto inopportuna dichiarazione destinata agli investitori ameri­ cani, nel senso di dire che, se egli aveva offerto un ammontare molto piccolo per riparazioni, era stato allo scopo di proteggere gli investitori tedeschi ed americani che avevano prestato denari alla Germania. Nella ripresa di contatti con Young dopo la corsa a Berlino, Schacht si mostra disposto a fare delle offerte migliori, ma conti­ nua nella sua attitudine incerta ed irregolare. Young cerca di av­ vicinare Schacht e Moreau, dopo aver preparato il terreno attra­ verso a delle interviste tra Schacht e Quesnay6; ma poiché le prime parole che dice Schacht a Moreau sono: «Io, come econo­ mista, vi confermo che la Germania non può fare un’offerta mi­ gliore», Moreau scatta e si lascia andare a dichiarazioni di una estrema gravità, che mi sono state riferite dallo stesso Moreau e confermate da Quesnay: «Signor Schacht, mi avevano detto che

6 Pierre Quesnay, capo dell’ufficio studi della Banca di Francia, segretario della delegazione francese (poi primo direttore generale della Banca dei Regola­ menti Internazionali, costituita su proposta del Comitato Young).

Millenovecentoventinove

93

voi non eravate un uomo leale. Ho tuttavia iniziato il negoziato con la speranza che si trattasse di calunnie. Ho dovuto convin­ cermi che il giudizio che mi era stato dato era esatto. Ho perso ogni stima per voi. Se anche ci metteremo d’accordo, il Governa­ tore della Banca di Francia non avrà più fiducia nel Presidente della Reichsbank». Su queste parole il signor Moreau si è ritirato. Amsterdam, 8 luglio 1929 [Saluto al V congresso della Camera di Commercio lntemazionalé\

[...] Il nostro desiderio è la Pace. Certi interessi possono av­ vantaggiarsi della guerra; ma nel loro complesso gli affari prospe­ rano soltanto con la pace. Ma occorre eliminare le cause di attrito prima che esse diventino cause di guerra. Riponiamo tutta la nostra fiducia nell’iniziativa privata, nella giusta ricompensa del merito individuale. La nostra fiducia è de­ terminata non tanto dal fatto che noi personalmente abbiamo raggiunto o siamo vicini a raggiungere la vetta, ma perché, se­ condo noi, è questo il miglior modo per realizzare la prosperità generale. All’iniziativa privata si deve se è stato ovunque elevato il livello della vita. In quei paesi dove domina l’individualismo, le comodità e gli agi di cui una volta s’avvantaggiava soltanto una piccola mino­ ranza sono ora patrimonio di larghi strati sociali. L’industria ha rivoluzionato, o quasi, la quantità e qualità dei beni prodotti, ed il corno dell’abbondanza ora non sparge più soltanto i frutti della terra. Ancora molto però resta da fare: il progresso umano non è cosi rapido come si desidererebbe: e affinché l’individualismo sia degno di guidare il progresso del mondo occorre che il mondo degli affari comprenda che il significato di interesse economico è oggi profondamente mutato. Quello che prima era un’impresa particolare dell’individuo diventa ora una necessità nazionale. E vanto della nostra epoca che nel mondo degli affari si sia giunti alla persuasione che sono destinate a prosperare soltanto quelle imprese che tornano a vantaggio della collettività. Alludo con ciò al concetto che si vuole esprimere con la parola inglese service·, alludo ancora al crescente senso di responsabilità da cui sono animati i datori di lavoro verso i loro impiegati, i produttori

94

Millenovecentoventinove

verso i consumatori e verso il loro paese. Oso aggiungere anche verso il mondo. Estendere al campo internazionale il concetto di service e quello di «responsabilità» è senza dubbio la base di una futura collaborazione tra le nazioni. E questo uno dei principali scopi della Camera di Commercio Internazionale. Permettetemi di terminare affermando ancora una volta que­ sta mia convinzione profonda. Fu questa la nota che toccai fin dal mio primo discorso a Stoccolma7 e sulla quale ho insistito in altri miei discorsi successivi. Ripongo in essa la mia fede. Una voce isolata è debole; ma se il mondo degli affari organizzato si aggiunge a me, il messaggio di questo congresso sarà udito dal mondo intero. Sarà un messaggio di buona volenterosità e di coo­ perazione internazionale tra gli uomini d’affari, che non man­ cherà di farci progredire sulla via della prosperità comune.

7 Si veda sopra, 1° luglio 1927.

1931

Milano, 18 settembre 1931 Λ Dino Grandi Ministro degli Esteri Roma1

Ieri a Basilea ho avuto una lunga conversazione con Quesnay, il direttore generale della BIR2 che so molto amico di Lavai3. Quesnay è uno dei pochi francesi che abbia una mentalità schiettamente internazionale, però la sua tendenza è soprattutto verso un accordo franco-tedesco. Mi ha detto che era presente alla... prova generale che Lavai faceva del discorso che intendeva fare a Bruning4 quando que­ st’ultimo si recò a Parigi, e lo ha riassunto cosi: «Nonostante la comune nostra buona volontà di intenderci, la situazione attuale è tale che l’opinione pubblica tedesca non vi permette di farmi delle concessioni nel campo politico; quella francese mi impedisce di fare delle concessioni finanziarie non legate con patti politici; in queste condizioni, il campo su cui dobbiamo concentrare i no­ stri sforzi di collaborazione è quello economico». Da ciò sono nati gli studi tuttora in corso per alcune combi­ nazioni nel campo industriale e dei trasporti. Quesnay parla di intese industriali con facilitazioni reciproche nel campo doganale e mi ha accennato, tra l’altro, a un progetto di Compagnia trans1 «Lettera non spedita — forse portata a mano» (annotazione del segreta­ rio in margine alla velina). 2 Banca dei Regolamenti Internazionali: cfr. sopra, nota 6/1929. 3 Pierre Lavai, allora presidente del Consiglio. 4 Heinrich Briining, cancelliere tedesco.

96

Millenovecentotrentuno

atlantica franco-germanica con navi per il Nord America che batterebbero la doppia bandiera (!). Poncet5, che per i suoi precedenti sente molto il problema economico, si insedia a Berlino col proposito di sviluppare il pro­ gramma di cui sopra e fors’anche «di estenderlo nel senso che contro rinunce nel campo delle riparazioni la Francia abbia dei benefici nel campo della sua espansione economica in certe zone tedesche» (?). A proposito di Poncet, Quesnay mi ha detto di aver sentito con dispiacere che vi era stato un equivoco con l’Italia nell’inter­ pretazione di certe avances che Poncet avrebbe fatto a Ginevra tempo addietro, e che la cosa era dispiaciuta molto. (Ricordo che tu mi accennasti a tali avances.) Risposi che non ne sapevo niente ma che a mia volta sarei stato molto dolente se l’equivoco avesse riconfermata l’impressione italiana che la Francia non ha mai vo­ luto sul serio un accordo con noi. Quesnay ha obiettato che mai ci è stato un Presidente del Consiglio cosi desideroso di una chiarificazione con l’Italia come Lavai ed aggiunge aver Lavai detto più di una volta a lui personalmente che avrebbe desiderato di poter andare a Roma a vedere Mussolini prima che non a Ber­ lino. Ho preso da ciò occasione per tenere a Quesnay un ragiona­ mento a cui la mia vecchia ed intima relazione con lui ha per­ messo di dare una forma molto schietta. Gli ho detto: «La Francia vive fuori della realtà. Come si può pensare che alla Francia di Doumer6 possa riuscire quello che non è riuscito alla Francia di Napoleone I ed è riuscito solo per poco alla Fran­ cia di Luigi XIV? Non è straordinaria la contraddizione esistente tra la vostra egemonia e la vostra paura della Germania? Non do­ vrà la Francia scegliere tra l’egemonia senza sicurezza e la sicu­ rezza senza l’egemonia? «La sicurezza se la sarebbe potuta procurare se avesse intensi­ ficato la sua intimità coll’Inghilterra e coll’Italia perché l’aggruppamento sarebbe stato cosi forte da permettere una politica di simpatia e di graduali concessioni alla Germania, concessioni che

5 André Fran^ois-Poncet, appena nominato ambasciatore di Francia a Ber­ lino; era stato più volte sottosegretario in ministeri economici e aveva rappre­ sentato la Francia alla Conferenza mondiale sui cereali. 6 Paul Doumer, presidente della Repubblica.

Millenovecentotrentuno

97

sono indispensabili ma che fatte nelle attuali condizioni è natu­ rale che preoccupino una Francia isolata. «Non so affatto se e contro quali compensi l’Italia sarebbe di­ sposta ad abbandonare altre direttive o, non fosse altro, il privi­ legio di starsene alla finestra, ma credo che i compensi dovreb­ bero essere notevoli e qui vedo la difficoltà della cosa. Però io parlo proprio come “uomo della strada”, perché da tempo non ho fatto che l’industriale privato e non ho tenuto contatto col Go­ verno». Quesnay ha commentato in modo simpatico il mio amiche­ vole sfogo, però ha detto che un qualunque accordo a cui non partecipasse subito la Germania, sembra, a lui personalmente, che verrebbe interpretato come fatto contro la Germania. Egli è favorevole a che la Francia da una parte cerchi di stringere ac­ cordi, sia pur modesti, colla Germania, dall’altra partecipi ad una vasta azione di cooperazione internazionale. A questo proposito disse di aver consigliato a Lavai di fare prima dell’inverno un ge­ sto alla Hoover7 mobilizzando una parte delle enormi risorse fi­ nanziarie della Francia per destinarle ad opere pubbliche da farsi nei vari paesi. Quesnay chiacchiera molto e con una certa leggerezza ed ha persino parlato dell’eventualità di accordi fra i Capi dei principali governi europei per concertare tra di loro e poi sottoporre a Hoo­ ver l’ordine del giorno per una specie di «seconda Conferenza della Pace» (altro che non revisionismo!), Conferenza a cui l’A­ merica dovrebbe partecipare ufficialmente. Tutto ciò sarebbe suggerito dal concetto, d’altronde giustissimo, che gli affari poli­ tici, finanziari, economici, demografici, coloniali, ecc. sono cosi interdipendenti che non si può sperare di risolvere gli uni la­ sciando da parte gli altri, come non si può sperare di mettere a posto un singolo paese non tenendo conto dei bisogni degli altri. Gli ho obiettato sembrarmi la Francia l’ultimo paese pronto a marciare in questa direzione, non solo perché sarebbe il paese chiamato ai maggiori sacrifici, ma anche perché è quello che fi­ nora ha sentito meno la crisi e meno quindi la necessità di rimedi radicali. Il mio contraddittore sostiene invece che Lavai sente la gravità della situazione e la necessità di una politica di collabora­ zione. Quesnay avrebbe assistito ad una discussione tra Lavai e 7 Herbert Hoover, il presidente degli Stati Uniti.

98

Millenovecentotrentuno

Tardieu8 in cui questi avrebbe detto «che all’Aja è stato giocato: vi si è firmato un patto che i tedeschi giurarono di accettare vo­ lonterosamente e di voler rispettare, e poco dopo tutto era man­ dato all’aria col consenso generale. Come si può aver fiducia ne­ gli altri patti internazionali? Meglio armarsi e contare su sé soli». A proposito della crisi, ho trovato a Basilea ed a Zurigo un grande pessimismo, sia per la precarietà della moratoria Hoover9 e della sistemazione dei debiti privati tedeschi verso l’estero, sia, soprattutto, per la situazione inglese: pronunciamento dei mari­ nai inglesi, probabile trionfo dei socialisti se le elezioni si fanno nell’atmosfera attuale ed in tal caso pericolo grande per la ster­ lina; già attualmente una fuga di 3 a 4 milioni di sterline al giorno, sicché il primo credito è esaurito e di questo passo gran parte del secondo lo sarà fra una quindicina di giorni circa! [...] Scusa la lunga chiacchierata. Per quanto riguarda in par­ ticolare la conversazione con Quesnay, non voglio affatto soprav­ valutare l’uomo e le sue influenze. Egli ha molti contatti ed è sempre pieno di informazioni (vede anche Bruning sovente e mi dice che Curtius 10 probabilmente ridiventerà ministro dell’Economia). Milano, 28 novembre 1931

Appunto per Mussolini Informazioni ed impressioni intomo ai lavori del Comitato Consul­ tivo per le Riparazioni11 I. La politica degli Hitleriani lega le mani a Briining in mate­ ria di riparazioni. Tutto il pubblico tedesco si è d’altronde fatto 8 André Tardieu, presidente del Consiglio quando, nel gennaio 1930, aveva guidato la delegazione francese alla seconda conferenza dell’Aja sulle ri­ parazioni. 9 II 30 giugno 1931 il presidente Hoover aveva proposto la moratoria di un anno per tutti i pagamenti a titolo sia di riparazioni sia di debiti di guerra inter­ alleati; quest’ultima parte della proposta era stata però bloccata dal Congresso americano. 10 Julius Curtius era già stato ministro dell’Economia nel 1928, quando Pi­ relli lo conobbe a Berlino ad un’assemblea del Gruppo tedesco della Camera di Commercio Internazionale; aveva inoltre fatto parte della delegazione tedesca ad entrambe le conferenze dell’Aja. 11 Era l’organo di consultazione e controllo previsto dal Piano Young in luogo dell’antica Commissione delle Riparazioni; ne facevano parte anche rap­ presentanti della Germania, oltre che delle controparti creditrici.

Millenovecentotrentuno

99

la mentalità che ormai la Germania non pagherà più un cente­ simo. Le dichiarazioni del Governo tedesco a quello francese in argomento sono state esplicite ed intransigenti. II. Lavai da parte sua ha le mani legate dalla situazione poli­ tica interna francese. La sua attitudine rappresenta però anche una reazione all’intransigenza tedesca e sembra essere stata ispi­ rata negli ultimissimi giorni dalla preoccupazione di non arrivare ad una transazione, seppur fosse possibile, col Governo di Bru­ ning per poi vedere gli Hitleriani fare di tale transazione la piat­ taforma di una opposizione a Bruning per le elezioni prussiane nella prossima primavera e, se vittoriosi, rinnegare la transazione stessa, chiedendo dell’altro. Ho avuto occasione di prendere visione confidenziale delle istruzioni date al delegato francese presso il Comitato, Rist, ed esse sono quanto mai intransigenti, riaffermano il concetto che la Germania è causa del proprio male, che il mondo soffre di man­ canza di fiducia e nulla scuote la fiducia quanto la volontà tede­ sca di non rispettare gli impegni solennemente presi; insistono sull’abbinamento dei debiti con la parte condizionata dei paga­ menti tedeschi e si invita il delegato francese a fare ogni sforzo per rendere sempre più diretta questa connessione, suggerendo anche che l’America accetti pagamenti in natura dalla Germania(!), se vuole ancora essere pagata; si accenna d’altra parte che la Francia è pronta ad accettare una sospensione dei pagamenti te­ deschi, ma temporanea, ed a studiare una intensificazione delle consegne in natura.

III. I francesi affermano che gli americani non insisterebbero più sul binomio debiti-disarmo. IV. Il problema è naturalmente complicato anche dalla que­ stione dei debiti di carattere privato della Germania, ed i tede­ schi sfruttano questo aspetto della questione per avere favorevoli inglesi, olandesi, svizzeri e gli ambienti bancari americani. Nonostante quanto precede, ho trovato negli ambienti ban­ cari svizzeri l’impressione che la situazione finanziaria della Ger­ mania sia oggi migliore che non fosse alcuni mesi or sono e che molti privati tedeschi abbiano in questi ultimi mesi accumulato riserve e fatto investimenti all’estero (interessante e significativa la notizia di industrie tedesche che, essendo le proprie obbliga-

100 Millenovecentotrentuno

zioni in dollari quotate oggi sul mercato di New York con sconti del 60-70%, hanno fatto delle esportazioni a prezzi perdenti per esempio il 20%, per procurarsi la divisa con cui comperare le dette obbligazioni con lo sconto sopra accennato del 60-70%, e ciò contrariamente alle leggi tedesche per le esportazioni di di­ vise, ma col tacito consenso della Reichsbank). Si teme molto la capacità di concorrenza tedesca sui mercati mondiali, se la Germania venisse interamente sollevata dal paga­ mento di riparazioni.

V. I lavori del Comitato Consultivo si iniziano dunque in condizioni particolarmente difficili. La Francia si trova d’al­ tronde anche nella posizione, da un punto di vista giuridico, di poter limitare di molto la competenza del Comitato. Per parte mia confermo ancora una volta la più viva preoccu­ pazione che la procedura che si è voluta seguire possa sboccare in una nuova determinazione della capacità di pagamento della Ger­ mania su basi ridotte, senza un contemporaneo negoziato con l’America per la riduzione dei debiti12. Questo corrisponde bene alla tendenza americana a discutere con le singole nazioni euro­ pee una eventuale revisione della loro capacità di pagamento, ma ci farebbe riaprire il negoziato sia con l’America che con l’Inghil­ terra dopo aver pregiudicato il nostro credito verso la Germania. Temo anche la tendenza Hoover a fare con i debitori dell’Ame­ rica transazioni temporanee, perché questo era il suo atteggia­ mento anche all’epoca del negoziato per il consolidamento del nostro debito, quando insisteva sulla impossibilità di determinare la capacità di pagamento di un paese a lunga scadenza e voleva fare una sistemazione per un solo quinquennio. Può darsi che an­ che nei riguardi delle riparazioni germaniche le difficoltà politi­ che sia internazionali che interne di ciascun paese (elezioni in Germania, elezioni in Francia, elezioni in America) possano por­ tare a soluzioni transitorie, come sarebbe il rinnovo puro e sem­ plice della moratoria Hoover per uno o due anni, oppure il paga­ mento di somme ridotte per un periodo per esempio di un quin­ quennio. Ma ciò è ben lungi dal rappresentare la liquidazione del problema.

12 Cioè dei debiti di guerra interalleati.

1932

Appunti per colloquio con Mussolini il 22 gennaio 19321

I. Sono d’accordo necessità annullamento debiti e riparazioni con atto chirurgico, poiché cura clinica insufficiente. Vantaggi generali supereranno tutti interessi accessori. Politicamente attitudine Mussolini efficacissima. Ripercussione mondiale. Ottimo colpo alla Francia. Però se la proposta è più che una mossa tattica, e cioè è vera­ mente ispirata alla necessità di una ripresa generale, occorre cer­ care di ottenere generale consenso. II. Occorre far presto: rinvio è un male. Ma se Francia continua ad opporsi ad una sistemazione im­ mediata? Allora meglio un breve rinvio per preparare soluzione inte­ grale dopo elezioni francesi e tedesche. Infatti: a) Perché raggiunga scopo (ripresa economica, difesa della lira ecc.) sistemazione deve creare buon umore, non malumore.

1 In vista dell’ennesima conferenza sulle riparazioni, questa volta indetta a Losanna, il 12 gennaio 1932 con un articolo sul «Popolo d’Italia» (Decidersi!) Mussolini aveva preso nettamente posizione per il «colpo di spugna», cioè per la più sollecita chiusura della «tragica contabilità della guerra» mediante «la cancellazione del dare e dell’avere». E ritornando sull’argomento due giorni dopo con l’articolo Discorso all’America, aveva scritto: «Non v’è che un modo per uscire da questa situazione di staticità, che tante rovine accumula nel mondo: cominciare con l’abbuono, fra gli Stati europei, delle loro reciproche posizioni debitorie e creditorie. Compiuto questo primo passo, presentare il fronte unico dei debitori europei all’America...».

102 Millenovecentotrentadue

Durante sospensiva occorre fare grande sforzo per soluzione che raccolga consenso unanime. b) Se anche non si possa avere il consenso preventivo ameri­ cano, occorre cercare di creare almeno il fronte unico europeo, come auspicato [dal] «Popolo d’Italia», onde carenza «debiti»2 sia presentata all’America non come un mancamento d’una singola potenza ma come un capitolo necessario della ricostruzione euro­ pea (ricordare che opinione pubblica americana molto ferma nel­ l’idea del rispetto delle obbligazioni salvo revisione consensuale. Azione unilaterale del debitore tuttavia possìbile ma solamente come gesto collettivo). c) Un condono alla Germania non deve farci mancare la soli­ darietà della Germania stessa nei riguardi dell’America. Senza voler riaffermare la tesi che tocca alla Germania di ottenere dal­ l’America condono debiti per essere a sua volta sollevata, tutta­ via non è possibile pensare che Germania, liberata, se ne infischi poi dei debiti di guerra e contempli sorridendo le nostre beghe con l’America. E ci occorre la pressione dei tedeschi-americani (Chicago), i cui voti sono importanti nelle prossime elezioni. (Si potrebbe fare condono riparazioni ma non ratificare finché Ame­ rica non abbia accettato piano europeo.) d) Temo soluzioni parziali — temo che America dica all’Ita­ lia che le ha già fatto un settlement generoso — temo soprattutto che, se trattiamo singolarmente, ci chieda effettiva riduzione ar­ mamenti3. A tutto ciò si può rispondere in molti modi, ma tutte queste discussioni frustrano scopo pacificazione animi e crea­ zione buon umore. Forse nel periodo di mora America si persuaderà che è suo in­ teresse di far buon viso all’annullamento dei debiti (tesi Musso­ lini) ed ottenerne almeno il vantaggio psicologico ed economico, anziché subire comunque l’inevitabile. Ma se l’America non piega è bene che l’Europa si presenti con un piano unico se possi­ bile.

2 Cioè la mancata corresponsione delle rate di debito di guerra dai paesi europei agli Stati Uniti. 3 Era in corso a Ginevra la Conferenza generale per il disarmo, la princi­ pale tra le numerose assist di quegli anni sul medesimo problema; nei negoziati che vi si svolgevano, l’Italia era per un accordo collettivo basato sul principio della parità.

Millcnovecentotrentadue

103

III. Se impossibile ottenere consenso Francia a sistemazione immediata (elezioni ecc.) e Francia insistesse per moratoria tipo Hoover con relativa consegna buoni decennali ecc., potrebbe Mussolini proporre invece una sospensione completa a tutti gli ef­ fetti, con l’impegno di ritrovarci tutti, subito dopo le elezioni francesi e tedesche (oppure dopo le elezioni americane?), col pre­ ciso scopo di concordare una soluzione integrale di tutto il pro­ blema. Nel frattempo potremmo noi fare accordi con la Germania. |...4 Non posso nascondere la mia preoccupazione circa la situa­ zione di forza in cui, se non subito, tuttavia ben presto potrà ve­ nire a trovarsi la Germania e le ripercussioni di tale situazione sia nel campo politico che in quello della concorrenza economica (sua meravigliosa attrezzatura produttiva e commerciale).]

IV. Possibilità di intese con la Germania che valorizzino l’at­ titudine presa dal Capo. Ho purtroppo avuto spesso l’impres­ sione, in discorsi privati, che la Germania svaluti il nostro appog­ gio considerando la nostra linea di condotta in molte questioni quasi come impostaci da una supposta nostra politica antifran­ cese. Per es. : ottenere preventivamente impegno prolungamento at­ tuale trattato commerciale per alcuni anni, trattato che, per quanto tutt’altro che ideale per l’Italia, è risultato nel complesso discreto. Altre intese possibili: ... V. Colpo di spugna è necessario: ma sarà sufficiente? Sembra opportuno — anche a salvaguardia successo tesi Mus­ solini — inquadrarlo in un programma generale ricostruttivo nel campo economico e finanziario e monetario, evitando però di dare con ciò una scusa ai francesi per un rinvio di tutto. Esempio: clausola nazione più favorita da darsi dalla Germa­ nia contro reciproca... Conferenza monetaria? 4 Di questi Appunti per colloquio con Mussolini esistono due stesure, sostanzialmente uguali, una manoscritta e l’altra dattilografata. Se ne pubblica la redazione più esplicita e dettagliata (quella ms), integrandola a questo punto con la frase qui delimitata dalle parentesi quadre, che si trova solo nell’altra stesura.

104 Millenovecentotrentadue

VI. Valorizzazione anche verso altri dell’attitudine italiana. Far sentire che non è vero che l’Italia non sacrifichi nulla. Anzi: d) Italia avrebbe dovuto ricevere ancora circa 2.5 miliardi di lire oltre a copertura debiti. b) Italia si aspettava da questi incassi avvenire qualche com­ penso alla ingiusta ripartizione passata e col colpo di spugna ri­ nuncia a riaprire la questione. c) Italia sarebbe ora avvantaggiata dalla svalutazione della sterlina nei riguardi dei suoi pagamenti all’Inghilterra, ed il saldo attivo riparazioni/debiti aumenterebbe di circa cento milioni di lire all’anno. d) Italia è la sola grande potenza che fosse coperta in pieno in caso di moratoria Young (anzi saldo attivo). Quindi fa un sa­ crificio maggiore. è) Italia non ha grossi crediti privati verso Germania. Quindi non è avvantaggiata come Inghilterra o Stati Uniti da annulla­ mento debiti politici. VII. Conclusioni. Mossa politica di Mussolini perfetta. Perché abbia tutta efficacia occorre unanimità. Per ottenere unanimità occorrerà forse breve periodo transi­ torio. Opporsi proposta francese prolungamento Hoover. Pro­ porre vacanza completa [di] qualche mese. Approfittare del periodo transitorio d} per studiare misure monetarie, finanziarie ed economiche che aiutino uscire dalla crisi b) cercare noi di ottenere qualche compenso da parte della Germania. Attenti che non si crei un parallelismo di attitudine tra Fran­ cia ed America nei riguardi del rispetto degli impegni internazio­ nali, nel senso di non ammettere la dichiarazione unilaterale di inadempienza. Ricordare che Belgio, Jugoslavia ed altre potenze balcaniche solidali con Francia nel problema riparazioni.

Millenovecentotrentadue

105

Milano, 28 luglio 1932

Note intomo alla Conferenza di Losanna (16 giugno - 9 luglio 1932)

La Conferenza di Losanna ha sepolto le Riparazioni, ma ne ha imbalsamato il cadavere con le fasce del Piano Young5, per poterlo rimettere ritto in piedi con l’apparenza di un vivente du­ rante i negoziati con l’America per i Debiti di guerra. Dal negoziato esce trionfante la Germania, sebbene nessun partito politico tedesco voglia riconoscerlo in questo momento di lotte elettorali. Essa ha sfruttato a proprio vantaggio il bisogno di tutto il mondo di uscire dalla crisi, la scarsa combattività del Governo di Herriot6 e il timore della City di Londra e di altri centri finanziari di vedere compromessi i propri crediti privati in Germania. La Delegazione tedesca non nascondeva a noi italiani la propria truculenta soddisfazione. La Francia venne a Losanna rassegnata all’idea che non avrebbe incassato mai più nulla in conto Riparazioni e che non per questo avrebbe rioccupato la riva sinistra del Reno. Era sotto l’impressione dell’isolamento politico. Mirava soprattutto ad ot­ tenere una solidarietà europea per la questione dei debiti verso gli Stati Uniti sentendosi più minacciata in argomento che non gli altri debitori europei. Era preoccupata di ristabilire una atmo­ sfera di entente con la Gran Bretagna. Quest’ultimo preciso obiettivo di Herriot ebbe influenza su tutto il negoziato. Inoltre l’accordo intervenuto tra Herriot e Blum proprio ai primi giorni della Conferenza assicurava al ministero Herriot una maggio­ ranza ma lo spingeva ad una politica più remissiva verso la Ger­ mania. La Gran Bretagna aveva un interesse notevole al «colpo di spugna» ed al successo della Conferenza: salvare i propri crediti 5 L’Accordo con cui si concluse la Conferenza di Losanna ridusse a soli 5 miliardi di marchi (in «buoni») ogni residua obbligazione della Germania, su­ bordinandone inoltre il pagamento a tutta una serie di improbabili condizioni. Ciò equivaleva all’annullamento di fatto del debito tedesco per riparazioni; ma data la difficoltà di arrivare a tale conclusione con i tedeschi prima di aver combinato con l’America un’analoga cancellazione dei debiti di guerra interal­ leati, si stabili che la ratifica dell’Accordo di Losanna da parte della Francia, della Gran Bretagna, dell’Italia e del Belgio sarebbe stata rimandata a dopo i negoziati con l’America. Una mancata ratifica — stabiliva sempre l’Accordo di Losanna — avrebbe riportato in vigore il previgente Piano Young. 6 All’intransigente Tardieu era succeduto Herriot, appoggiato dal partito socialista di Leon Blum.

106 Millenovecentotrentadue

privati in Germania, favorire il risveglio dei suoi traffici commer­ ciali e bancari attraverso una ripresa del mercato tedesco in parti­ colare e degli altri mercati in generale; accrescere il proprio pre­ stigio politico tendendo a riprendere la funzione di arbitro in Eu­ ropa; forse anche diminuire la potenza finanziaria e politica fran­ cese pur favorendo il ristabilirsi di una atmosfera di maggior cor­ dialità tra Londra e Parigi. Finalmente MacDonald voleva il suo trionfo personale nei riguardi di Henderson7. L’Italia, nel quadro della sua politica europea e nell’interesse proprio e generale di promuovere il superamento della crisi, aveva già prima della Conferenza preso apertamente posizione in favore del «colpo di spugna». Ciò non toglie che, qualora senza offuscare l’effetto politico e psicologico del «colpo di spugna» in materia di riparazioni fosse stato possibile di risolvere contempo­ raneamente anche la questione dei debiti verso l’Inghilterra eventualmente attraverso la partecipazione italiana a qualche pa­ gamento a stralcio fatto dalla Germania, l’Italia lo avrebbe visto con piacere e questo desiderio era vivissimo nella Delegazione italiana. Orbene, se — come era da supporsi fino a poche setti­ mane prima della Conferenza quando Tardieu governava ancora — la Francia, seguita dal Belgio, dalla Jugoslavia e da altri Stati minori avesse opposto una fiera resistenza alla teoria del «colpo di spugna», la Delegazione italiana avrebbe potuto esercitare nella Conferenza un’importante azione sia diplomatica che tec­ nica ed ottenere per sé qualche vantaggio anche notevole pur mi­ rando come finalità al «colpo di spugna». Invece ci si trovò di fronte ad una completa arrendevolezza francese per le ragioni sovraesposte. Dicevano i delegati francesi nelle conversazioni pri­ vate che essi insistevano bensì perché la Germania si ricono­ scesse ancora debitrice di qualche miliardo, ma che ciò facevano non per alcuna illusione di incassare ulteriori pagamenti ma per ragioni di presentazione politica e perché avevano avuto un in­ vito ufficioso ma preciso dagli Stati Uniti a non annullare com­ pletamente le riparazioni perché il popolo americano avrebbe preso in mala parte questo gesto, interpretandolo come un facile modo di scaricare sul contribuente americano gli oneri derivanti dalla guerra (su questo punto gli inglesi confermavano l’impres­ sione francese, sebbene lo dicessero in forma più cauta). 7 Arthur Henderson, ministro degli Esteri nel precedente gabinetto laburi­ sta (1929-1931), non incluso nel nuovo gabinetto «di unione nazionale» ugual­ mente capeggiato da MacDonald.

Millenovecentotrentadue

107

Francesi e tedeschi d’altronde erano guidati gli uni e gli altri assai più da preoccupazioni politiche che finanziarie: i tedeschi disposti a pagare qualche cosa di effettivo purché la cifra appa­ risse piccola (!); i francesi disposti a prendersi della carta senza valore purché la cifra apparisse grossa (!). Quando nel Comitato dei Sei8 i francesi insistevano per 6 miliardi di buoni9, sia pur senza valore, e gli inglesi volevano ridurli a 4, io cercai da una parte di ridurre al minimo la cifra di queste inutili obbligazioni per avvicinarci al «colpo di spugna» e dall’altra di salvare per noi almeno l’incasso dei buoni Hoover (globalmente un milione e mezzo di marchi-oro pagabili nei prossimi 10 anni), sostenendo che cosi si sarebbe applicato il «colpo di spugna» dalla Confe­ renza di Losanna in avanti, e che i buoni Hoover erano già stati accettati dalla Germania come pure da noi nei riguardi dell’Ame­ rica e finalmente che essi rappresentavano un debito assunto non dal Governo di Von Papen 10, ma dal suo predecessore. I francesi risposero che tenevano a poter annunciare qualche miliardo di nuovi impegni tedeschi, anche di ipotetica realizzazione, non ad assicurarsi qualche modesto pagamento e che, per provare ciò, erano disposti, se la Germania avesse pagato i buoni Hoover, a rinunciare alla propria quota netta, a favore di una «Caisse com­ mune» per i paesi danubiani. La situazione divenne cosi as­ surda che devo richiamarmi, per confermare quanto sopra e quanto sto per dire, ai verbali delle riunioni dei Sei. I francesi avevano finito con Faccettare che si chiedessero alla Germania 4 miliardi di quei buoni che tra di noi si usava chiamare «mannaie de singe». La Germania a questa richiesta rispose: «No, non vo­ glio darvi 4 miliardi. Riconosco che sono obbligazioni che non si emetteranno forse mai, ma è una cifra che la nostra opinione pubblica troverebbe troppo alta. Vi offro 2 soli miliardi ma effet­ tivi, incondizionati, da pagarsi in 10 annualità comprensive di in8 In seno alla Conferenza era stato costituito un Bureau di 6 delegati, pre­ sieduto da MacDonald e di cui facevano parte i ministri delle Finanze britan­ nico, francese e tedesco e, per l’Italia, Alberto Pirelli (oltre ai delegati belga e giapponese). 9 I «buoni» dovevano essere emessi dalla Banca dei Regolamenti dopo una moratoria di 3 anni e nella misura in cui risultasse possibile collocarli nel pub­ blico a un prezzo di almeno il 90% di quello nominale; i buoni non piazzati entro i 5 anni successivi alla moratoria sarebbero stati annullati. 10 II nuovo cancelliere Franz von Papen, succeduto a Briining dimessosi il 30 maggio 1932.

108 Millenovecentotrentadue

teressi da 250 milioni l’una». La Francia rifiuta, pur prendendosi la piccola soddisfazione di rinfacciare alla Germania che la sua offerta dimostrava la sua capacità di pagare qualche cosa; ma è soprattutto l’Inghilterra che, per proteggere i suoi crediti privati, insorge contro l’offerta tedesca per bocca di MacDonald e di Ne­ ville Chamberlain11 : «Ma no, la Germania si sbaglia; essa non può pagare 250 milioni all’anno per 10 anni; il suo credito ne sof­ frirebbe (!)». Io intervengo a questo punto con questa precisa di­ chiarazione che sta a verbale: «Non ero d’accordo sugli argomenti e le conclusioni che Mac­ Donald aveva comunicato ai delegati tedeschi. Come i colleghi sapevano, il mio Governo era favorevole alla politica del colpo di spugna. Ci si trovava ora di fronte ad un’offerta tedesca con­ creta, che non pensavo si dovesse rifiutare. La Germania che do­ veva trovare 1 e 3/4 miliardi di RM all’anno per il servizio dei debiti privati, ora offriva 250 milioni di RM all’anno per le ripa­ razioni. Come trovar giusto che a coloro che non avevano inte­ ressi in materia di crediti privati si domandasse di respingere questa offerta? «Inoltre il mio paese, essendo anche debitore, e dato lo stretto legame fra Riparazioni e Debiti di guerra, non intendeva prendersi la responsabilità di rifiutare l’offerta tedesca. Il mio paese poi non sarebbe stato disposto a dare il suo consenso ad un settlement se la questione della relazione tra Riparazioni e Debiti di guerra non fosse stata risolta con nostra soddisfazione. «Per questo speravo che MacDonald avrebbe ritenuto oppor­ tuno di sentire la Delegazione italiana prima di raggiungere una decisione o prima di far nuove pressioni sui delegati tedeschi per­ ché ritirassero le loro proposte di due miliardi incondizionati». [...] Lo stesso giorno Von Neurath 12, prendendo il caffè con S.E. Grandi13 e con me, ci diceva: «Abbiamo fatto l’offerta dei 2 mi­ liardi incondizionata ben sapendo che gli inglesi l’avrebbero silu­

11 Neville Chamberlain era cancelliere dello Scacchiere nel gabinetto na­ zionale di MacDonald. 12 Constantin von Neurath, ministro degli Esteri tedesco. 13 Dino Grandi, ministro degli Esteri; partecipò solo parzialmente alla Conferenza di Losanna essendo contemporaneamente impegnato a Ginevra per quella sul disarmo. La delegazione italiana a Losanna era presieduta da Anto­ nio Mosconi, ministro delle Finanze.

Millenovecentotrentadue

109

rata; ma si sbagliano gli inglesi se credono con ciò di ottenere dalla Germania una più favorevole sistemazione dei debiti pri­ vati; e intanto ora terremo duro ed offriremo 2 miliardi della loro mannaie de ùnge». (E però da ritenere che la Germania avesse in serbo qualche scappatoia — per es. in clausole politiche — per il caso che l’offerta dei 2 miliardi effettivi fosse stata accettata.) Comunque i 2 miliardi di pagamenti ipotetici finirono per di­ ventare 3 nei negoziati degli ultimi giorni tra le Delegazioni in­ glese, tedesca e francese. Durante tale ultimo negoziato i francesi accettarono la formula inglese per i debiti di guerra verso la Gran Bretagna, dimenticandosi che proprio il giorno prima erano ve­ nuti essi a cercare di stabilire un contatto con noi onde Italia e Francia avessero a mostrare una certa solidarietà nei riguardi del debito verso l’Inghilterra. I tedeschi, a loro volta, sicuri ormai del successo, non mostrarono molti riguardi per noi soprattutto nell’ultima fase del negoziato. D’altronde il negoziato si orientava verso un accordo che in pratica rappresentava quel colpo di spugna cosi energicamente reclamato dal Capo del Governo italiano e che fu uno dei capi­ saldi anche del memorandum presentato ed illustrato da S.E. Grandi a MacDonald il 25 giugno. E da notare che la parola «riparazione» è stata scrupolosa­ mente evitata nel definire la nuova obbligazione dei 3 miliardi. D’altra parte le frasi iniziali dell’accordo di Losanna con la Ger­ mania [...] definiscono come causali del nuovo accordo «le diffi­ coltà economiche provocate dalla crisi attuale». [...] All’inizio della Conferenza furono i francesi che dissero che se la Germania doveva essere liberata dalle Riparazioni, biso­ gnava ottenere da essa qualche soddisfazione nel campo politico. A mano a mano che la Conferenza procedeva e i tedeschi si sen­ tivano sicuri del fatto loro, la situazione si capovolse e furono i tedeschi a chiedere l’abrogazione dell’art. 23114 sulla responsabi­ lità della guerra e una dichiarazione di eguaglianza di diritti. [...]

14 L’articolo 231 del trattato di Versailles; la richiesta non venne accolta, ma nell’Accordo di Losanna non fu neppure incluso alcun richiamo a clausole politiche.

1933

Londra [luglio 1933]1 Intervista con Lamont2

Roosevelt: simpaticone, ottimista, energico. Poco cervello. Treasury in mano di due amateurs malati3. Egli non può sapere quale sia il programma anche perché non lo sanno neppure loro. Funzionari cambiati e non presi quelli di Wilson. Inoltre non i più democratici, che non appoggiano clique Roosevelt. Ci sono uomini tra gli elementi responsabili a Washington che fanno sforzi per opporsi alla ulteriore svalutazione e soprat­ tutto a che si vada oltre la parità con la sterlina. Non crede ster­ lina andrà al 50%. Non c’è stata inflazione di circolazione monetaria. Certo un po’, ma non molto, di open market operations e certo allarga­ mento di credito {cheques}. Non ha l’impressione che ci sia stata una fuga veramente im­ portante dal dollaro. Però vede pericolo per monete europee se stabilizzazione non manovrata bene. C’è stato acquisto di titoli

1 Intorno alla metà di luglio Pirelli partecipò per qualche tempo — più come osservatore che come membro effettivo, qual era stato nominato, della delegazione italiana — alle ultime fasi della Conferenza economica e mone­ taria che da giugno era in corso a Londra. 2 II già citato Thomas W. Lamont della banca americana J.P. Morgan & Co. 3 Segretario al Tesoro americano era stato nominato il sessantaquattrenne William Woodin, repubblicano, che aveva al proprio attivo svariati incarichi manageriali, fra cui alcuni bancari; cagionevole di salute e perciò spesso assente dal ministero, mori il 3 maggio del ’34.

112

Millenovecentotrentatre

industriali americani da parte di Londra. A Parigi ha trovato preoccupazioni notevoli per il franco due settimane fa. Non è pessimista circa risultato attuale esperimento econo­ mico US perché c’era già una tendenza al miglioramento, e sol­ lievo al debito agricolo, alle banche congelate ecc. ha aiutato molto, e parte della ripresa è genuina. Invece imposizione nuovo Industrial Act* sembragli creare condizioni artificiali gravi. Oc­ correrà molta... L’Inghilterra non stabilizzerà forse per 2-3 anni! Londra, 14 luglio 1933 Colazione con Leith Ross4 5

Questioni monetarie. Politica US sempre oscura. Dovevano mobilitare loro oro e fanno il contrario. Però chi sa tirare una li­ nea tra inflazione e reflazione? L’Inghilterra segue politica intermedia tra US e continente europeo. Nei riguardi del dollaro sta a vedere. Certo non intende stabilizzare per ora e molti ritengono assurda una stabilizzazione alla vecchia parità col dollaro. D’altronde ci sarà un drenaggio sulle divise europee. Oltre un miliardo di dollari convertiti in sterline. Nessuna divisa continentale potrà resistere. In particolare critica politica deflazionistica dei tedeschi che accresce disoccupazione, e dice non potranno continuare. [·.·] Problemi economici. Difende la politica di Ottawa6. Dice che essa è in parte dovuta alla riduzione delle importazioni agricole da Australia e Canada da parte Francia, Italia ecc. Anche l’Ar-

4 II National Industriai Recovery Act, la legge per la ripresa industriale ap­ provata il 16 giugno 1933. 5 Frederick W. Leith Ross, già alto funzionario della Tesoreria britannica, ora primo consigliere economico del Governo. 6 A Ottawa, dal 21 luglio al 20 agosto 1932, si era tenuta una Conferenza economica dei paesi del Commonwealth: abbandonando i principi del libero scambio, essa aveva sancito una serie di accordi commerciali basati sulla «pre­ ferenza imperiale» tra la Gran Bretagna e i Dominions e tra gli stessi Domi­ nions.

Millenovecentotrentatre

113

gentina gravita verso l’Inghilterra che importa 94% delle carni argentine (British area). Difende politica Runciman7 circa preferenza per acciaio, car­ bone ecc. inglese da parte Olanda, Danimarca ecc. asserendo che Polonia strappò quei mercati durante sciopero carbone con sus­ sidi. Inoltre dice trattarsi di casi isolati... Rispondo segnalando situazione paesi senza colonie ecc. Am­ mette problema e, forse, necessità allargamento mercati.

Milano, 19 luglio 1933

Note dopo la Conferenza economica e monetaria di Londra Leggerezza di MacDonald: fa visita a Hoover e convoca Lo­ sanna facendo abbandonare Riparazioni senza aver ottenuto al­ cun affidamento per annullamento Debiti; ora fa visita a Roose­ velt e convoca Londra senza essersi assicurato stabilizzazione del dollaro. Quando un anno fa si cominciò a parlare della conferenza di Londra, essa avrebbe dovuto regolare il problema dei debiti di guerra e consacrare la stabilizzazione della sterlina. Caduta la possibilità di trattare la questione dei debiti8, restava il secondo problema. Ma ecco il dollaro abbandonare la parità, e allora si pensa che il successo della conferenza debba posare sopra la sta­ bilizzazione del dollaro e della sterlina. Ma gli americani, arrivati a Londra a conferenza già aperta, dichiarano di non voler stabi­ lizzare9. Si spera allora che l’Inghilterra si unisca alle nazioni continentali e che si stabilizzi almeno la sterlina. E questo sa­ rebbe già un successo. Ma l’Inghilterra rifiuta e il gran discorrere 7 Walter Runciman, allora presidente del Board of Trade nel Governo di unione nazionale di MacDonald. 8 Le reazioni americane al mancato pagamento dei debiti in scadenza a di­ cembre e a giugno dimostrarono, secondo Roosevelt, che non esistevano le condizioni per proporre al popolo americano il loro definitivo annullamento. 9 Roosevelt, in un suo messaggio alla Conferenza, definì la stabilizza­ zione delle monete mediante il ritorno al sistema aureo «uno dei vecchi feticci dei cosiddetti banchieri internazionali» e dichiarò che gli Stati Uniti non inten­ devano d’altronde sottoscrivere alcun accordo monetario che potesse ostaco­ lare l’attuazione del programma di riforme interne avviato dalla nuova Ammi­ nistrazione.

114 Millenovecentotrentatre

che si fa intorno alle varie monete mette in pericolo anche quelle continentali, cosi che si può dire che il massimo successo che si è ottenuto dalla conferenza è che non faccia abbandonare la base aurea alle altre monete. Sulle questioni economiche nessuno si dimostra pronto ad ab­ bandonare le proprie posizioni. Solamente una stabilizzazione delle maggiori divise e la costituzione di un qualche organismo, ed un fondo per aiutare in determinate condizioni la stabilizza­ zione delle divise dei minori paesi, avrebbero potuto facilitare un primo smobilizzo delle bardature contrastanti il traffico interna­ zionale. Il secondo passo avrebbe poi potuto essere un abban­ dono dei divieti, dei contingenti e dei sussidi per arrivare gra­ dualmente a un ripristino di funzionamento della clausola della nazione più favorita e forse a qualche riduzione tariffaria. Nel fallimento generale delle varie sezioni della conferenza la gente di buona volontà si è aggrappata al problema del rialzo dei prezzi di taluni prodotti di base, ma anche qui le intese sono dif­ ficili e per alcuni prodotti (rame) gli interessati preferiscono eventualmente di discuterne tra di loro all’infuori dei Governi.

La Gran Bretagna ha svalutato la sterlina quasi due anni or sono con un preciso programma di tener bassi i prezzi. Gli Stati Uniti svalutano il dollaro con un preciso programma di rialzare i prezzi ed è la stessa Gran Bretagna che insiste perché gli Stati Uniti seguano questa politica, minacciando ulteriori svalutazioni della sterlina se i prezzi in America non salgono in proporzione della svalutazione del dollaro. La Gran Bretagna ha potuto seguire la sua politica dei prezzi bassi perché è riuscita a far svalutare le monete dei paesi suoi principali fornitori per alimenti e materie prime; perché nei ri­ guardi di altri paesi (per es. il Nord della Francia) il prezzo del mercato compratore si è imposto in tempo di crisi al venditore estero e, d’altronde, la tendenza generale dei prezzi nel mondo è stata al ribasso. Tuttavia è da ammirare l’abilità con cui l’Inghil­ terra ha manovrato questa politica dei prezzi cosi come ha do­ minato il ribasso della sterlina, pur lasciando libero il mercato dell’oro, contrariamente a quanto hanno fatto gli Stati Uniti. Anche la Tesoreria inglese era favorevole ai prezzi bassi per­ ché pure in tempi di svalutazione della sterlina aveva in pro­ gramma di fare, come fece con pieno successo, un’enorme con­ versione di debiti statali dal 5% al 3.5%. Fatta ormai tale con­

Millenovecentotrentatre

115

versione, si nota qualche tendenza nell’ambiente della Tesoreria a favorire il rialzo dei prezzi, mentre permane la tesi opposta del Board of Trade, sollecito soprattutto di favorire le esportazioni inglesi. Negli Stati Uniti il deprezzamento del dollaro è stato evidente­ mente fatto quasi esclusivamente per ragioni interne e senza molto riguardo né alla situazione di concorrenza sui mercati esteri, né alla posizione finanziariamente creditrice all’estero degli Stati Uniti. Ragioni principali sono state: il desiderio di alleviare i debi­ tori soprattutto agricoli; di scongelare molte piccole banche e le compagnie di assicurazione (impegolate esse pure in titoli); di aiu­ tare il bilancio statale e soprattutto di aumentare i prezzi all’in­ terno favorendo cosi l’agricoltore e possibilmente creando una situazione di ottimismo e di fiducia che favorisca la ripresa gene­ rale degli affari. Tale ripresa, anche se originata in modo artifi­ cioso (il pollice sul bulbo del termometro), attraverso la distribu­ zione di maggiori salari con conseguente maggior potere di acqui­ sto, e la spinta generale agli acquisti dovuta al timore di successivi rialzi nei prezzi, e la riduzione dei costi che, specialmente in Ame­ rica, si accompagna agli aumenti di produzione, dovrebbe nella speranza americana creare una situazione permanentemente mi­ gliore. Su questo movimento si è innestata una triplice specula­ zione: sulle divise mediante acquisto di monete estere, in Borsa (aumento del 110% del valore degli stocks mentre il dollaro ca­ deva del 30%) e sulle merci, soprattutto su quelle quotate nella Borsa merci. E da pensare che quando gli Stati Uniti stabilizze­ ranno ci sarà un formidabile riafflusso di oro in quel paese. Tutta­ via sembra tecnicamente non impossibile mantenere fermo quel qualsiasi livello a cui sarà stata fatta la stabilizzazione. Quanto alla Borsa, la reazione potrà avere effetti psicologici, ma molti ritengono che la Borsa era prima di questo rialzo ingiu­ stificabilmente bassa. Più grave potrebbe essere la reazione nel campo dei prezzi delle materie prime. Circa il successo dell’esperimento americano 10, alla ubriaca­ tura ottimista di quasi tutti gli americani con cui ho parlato, fa riscontro un pessimismo catastrofico da parte di alcuni eminenti uomini nostri e di altri paesi europei. Io mi accosto personal­ mente alla tesi inglese di incertezza sembrandomi che molto 10 II New Deal rooseveltiano.

116 Millenovecentotrentatre

debba dipendere dal modo in cui verrà condotto l’esperimento, essendo anche difficile stabilire quando si passi da una reflazione a una vera inflazione. Inoltre si nota una sia pure lieve ripresa ge­ nerale nel mondo e quindi l’esperimento potrebbe arrivare al mo­ mento giusto. D’altra parte il modo come gli americani hanno manovrato fin qui dà assai poco affidamento della loro saggezza. A Londra esistono preoccupazioni per la ripercussione che potrà avere sia sulla sterlina sia sulle divise continentali il riflusso negli Stati Uniti — al momento della stabilizzazione del dollaro — delle somme che ne sono emigrate in questo periodo. Alla Te­ soreria inglese si esprimono giudizi catastrofici sulle divise conti­ nentali europee in rapporto a tale fenomeno, come pure si espri­ mono critiche alla politica deflazionistica della Germania che au­ menta la disoccupazione. La Tesoreria inglese favorirebbe proba­ bilmente un generale slittamento delle divise continentali nono­ stante l’aumentata capacità di concorrenza che ne deriverebbe; il motivo dichiarato è la necessità di ridare ai debitori la possibilità di assolvere ai propri obblighi attraverso un aumento dei prezzi delle merci, degli affitti ecc.; il motivo non dichiarato potrebbe essere il desiderio che dopo una generale svalutazione la sterlina fosse la prima a stabilizzare e riprendesse la sua posizione di guida delle divise mondiali. Quanto alla politica doganale inglese, si tende a giustificare Ottawa accusando gli altri paesi di ultraprotezionismo e di aver incrementato le proprie produzioni agricole riducendo a nulla le importazioni dall’Australia e dal Canada ecc. La forza politica dell’Inghilterra ha fatto si che nessuno ha osato protestare se­ riamente contro Ottawa e tutti sembrano ormai aver accettato anche la più grave delle misure e cioè lo sviluppo della preferenza imperiale in India, che pure non è un dominio autonomo ed ha carattere di colonia abitata da un’altra razza. Subito dopo Ottawa l’Inghilterra ha rivolto la propria atten­ zione agli altri paesi che erano entrati nella sterling area ed ha fatto i noti accordi con l’Olanda, la Danimarca ecc., introdu­ cendo anche clausole di preferenza per la fornitura di determinati quantitativi di carbone, acciaio ecc. Poi si è rivolta all’Argentina da cui importa tre volte quanto esporta e, fra l’altro, il 94% delle esportazioni di carni argentine. Nonostante Ottawa l’Inghilterra ritiene di poter cosi allettare ΓArgentina ad entrare nella British economie area.

Millenovecentotrentatre

117

Di fronte alla politica monetaria ed economica inglese di cui sopra è fatto cenno, di fronte alla potenza di espansione degli Stati Uniti se i prezzi non salissero in proporzione della svaluta­ zione del dollaro o se una ripresa notevole di lavoro portasse a una riduzione di costi; di fronte alla ben nota concorrenza giap­ ponese sui pochi mercati dove si può ancora esportare; di fronte finalmente alla chiusura graduale dei mercati sia per la tendenza generale all’autarchia economica, sia per il timore particolar­ mente della concorrenza giapponese, è da domandarsi come si possa tutelare l’esportazione italiana tenendo presente che molte delle attuali difficoltà potranno essere transitorie, ma che si stanno creando anche delle situazioni permanenti per sviluppi di produzioni locali e per accordi preferenziali che finiranno con l’essere ammessi in modo permanente. Può meritare in queste condizioni di essere studiata la possibilità che le nazioni conti­ nentali europee integrino i loro accordi monetari con qualche ac­ cordo economico, non fosse che con un patto reciproco di accor­ darsi la clausola della nazione più favorita, eventualmente stu­ diando anche qualche accordo preferenziale. Questo aggruppa­ mento potrebbe trattare amichevolmente con la Gran Bretagna estendendo a questo paese la clausola, ma possibilmente contro qualche concessione nel campo delle relazioni con l’impero in­ glese e soprattutto con l’india.

1934

[Roma,] gennaio 1934 MUSSOLINI

Confindustria x. Gli parlo a favore di Olivetti12. Gli dico che non ha voluto nessun indennizzo dalla Confindustria. Ma molti oggi si accaniscono contro di lui. Mussolini mi dichiara che sta bene che Olivetti stia a Ginevra al BIT. Confermo prime impressioni circa tendenze contrarie a Confindustria e dichiaro che mio programma è di salvare una delle poche organizzazioni economiche del paese che funzionano bene. E nel campo sindacale lo spezzettamento sarebbe il caos con danno degli industriali migliori, ma soprattutto — tanto più in tempo di crisi — degli operai. 1 L’attuazione delle Corporazioni, stabilita dalla legge 5.2.1934 n. 163, comportò il previo «sbloccamento», come fu chiamato, delle esistenti confede­ razioni sindacali, ossia la modifica dei vincoli associativi confederali in maniera da lasciare piena autonomia alle singole federazioni nazionali componenti e alle relative unioni provinciali. Per provvedere a ciò, sul finire del 1933 il ministro delle Corporazioni sciolse gli organi statutari delle varie confederazioni (sia dei lavoratori sia degli imprenditori) affidandone la gestione a commissari plenipo­ tenziari, incaricati di procedere alla revisione degli ordinamenti e statuti confe­ derali. Commissario per la Confederazione dell’industria fu nominato Alberto Pi­ relli, in quell’epoca ancora presidente dell’Assonime. L’incarico commissariale durò circa dieci mesi e in merito ad esso si legge in una nota scritta da Pirelli nel 1946: «Dovetti rassegnarmi alla perdita dell’avv. Olivetti, che era stato prezioso collaboratore dell’on. Benni. Riuscii però nell’intento di salvare la Confederazione nella sua struttura ed i suoi uomini principali». 2 Gino Olivetti. Deputato in origine liberale, dal 1919 era stato ininterrot­ tamente segretario generale della Confindustria; di questa organizzazione era inoltre rappresentante al Bureau International du Travail.

120 Millenovecentotrentaquattro

Abissina. Gli chiedo se sia vero che egli pensi ad una spedi­ zione in Abissinia perché in tal caso occorrerebbe preparare prima uno studio accurato delle risorse economiche del paese e preordinare molte questioni (proprietà terriera — concessioni date a terzi; dogane e clausola n.p.f., ecc. ecc.). Soggiungo che personalmente depreco l’impresa; il premio, anche se tutto va bene, non vale l’enorme sforzo che implicherebbe la spedizione. Mussolini risponde che non ci pensa affatto. Sarà vero? [Roma,] ottobre 1934-XII MUSSOLINI

Corporazioni. Gli sottopongo vari nomi per le varie Corpora­ zioni3. Mi lamento perché si vuol silurare qualche ottimo nome. Gli descrivo la discussione da Biagi4, presenti Serena (per il par­ tito) e tutti i commissari: la distribuzione dei deputati alle varie liste confederali senza nessun riguardo alla competenza. Cito come sintomatico di certe tendenze del partito il fatto che, in questa distribuzione dei deputati, quando capitava il nome di un ex segretario federale, Biagi o Serena dicevano subito: «Questo è per la tua lista, Cianetti5». Soggiungo che questo travaso di de­ putati incompetenti nelle Corporazioni che avrebbero dovuto es­ sere l’espressione delle competenze di categoria (autodirezione degli interessati ecc. ecc.?!) se mi scandalizza un po’, mi fa però piacere in quanto rappresenta il trionfo della tesi che tende a fare delle Corporazioni un organo politico, organo cioè cui potrà ap­ plicarsi gradualmente una vera e propria forma elettiva. Musso­ lini sorride e dice: «Comunque andremo molto adagio, vedrà». Insisto — quasi come il testamento del mio commissariato — sul pericolo che le singole corporazioni vogliano diventare un or3 La legge assegnava ai capi delle confederazioni il compito di designare gli esponenti tecnici ed economici di categoria, tra i quali il Gran Consiglio del Fascismo avrebbe poi scelto i membri della Camera corporativa. 4 Bruno Biagi, sottosegretario alle Corporazioni. — Adelchi Serena, allora vice segretario del PNF. — I «commissari» sono i gestori transitori delle va­ rie confederazioni. 5 Tullio Cianetti era in quel momento commissario della Confederazione dei Lavoratori dell’industria; pochi giorni dopo ne sarebbe divenuto presi­ dente.

Millenovecentotrentaquattro

121

gano dell’Amministrazione dello Stato, intralciando l’opera dei Dicasteri esistenti, creando doppioni ed anche confusione perché in una stessa corporazione si dibatteranno problemi che riguar­ dano economia, finanze, trasporti, esteri ecc. «L’importante», dico, «è che il presidente delle singole corporazioni non abbia... una stanza per sé. La stanza è l’inizio d’una segreteria privata, poi di un ufficio, ecc. ecc...». Mussolini si dichiara d’accordo sulla necessità di evitare duplicazioni ed esautoramento delle at­ tuali amministrazioni. Abissinia. Dopo aver parlato delle Corporazioni, accenno alΓintensificarsi delle voci su una nostra azione in Abissinia e rias­ sumo i miei dubbi ricordando una frase di un ministro inglese: «Se valesse qualche cosa l’avremmo già presa noi...». Mussolini risponde che nulla è deciso, ma che lo sforzo militare e quindi fi­ nanziario risulta molto minore di quanto io sembro pensare per­ ché oggi con pochi carri armati ed aeroplani si sgominano truppe che non hanno mai visto questi mezzi di offesa. Esco con la persuasione che l’impresa è decisa nella sua mente. Nel corso della conversazione chiedo se non sia possibile, ne­ goziando un vero e proprio accordo generale e forse una alleanza con la Francia, ottenere Tunisi per noi eventualmente cedendo i nostri diritti sull’Abissinia e forse anche Eritrea e Somalia. Mus­ solini risponde che mai la Francia farebbe questo ed io com­ mento: «Ella ha ragione quanto ad oggi, ma c’è stato un mo­ mento dopo l’avvento di Hitler... e forse l’occasione potrebbe ri­ presentarsi...».

Confindustria. Mussolini insiste perché — collo scadere dalla carica di Commissario alla Confindustria — io ne diventi il Presi­ dente. Declino con fermezza. Dico che — anche per la pressione dei colleghi industriali — ho accettato la carica temporanea di Commissario in un periodo in cui c’era da fare un importante la­ voro organizzativo, ma che non desidero continuare nell’ufficio. Non dico che una delle ragioni è di non voler partecipare al Gran Consiglio6. Forse Mussolini lo capisce. Certo mostra qualche irri-

6 II presidente della Confederazione diveniva di diritto, «in rapporto alla funzione», membro del Gran Consiglio del Fascismo.

122 Millenovecentotrentaquattro

tazione. Però mi propone la nomina di mio fratello Piero. Ri­ spondo che di ben poco ci vantiamo in famiglia, ma di avere una certa linea di vita si, e che non è immaginabile che io vada da­ vanti all’Assemblea degli industriali a proporre la nomina di mio fratello. Faccio i nomi di Bocciardo, di Falck e di Cini7. Musso­ lini dice: «Ma allora tra Cini e Volpi perché non Volpi?». Mussolini mi dice poi: «E lei in quale corporazione è en­ trato?» Io: «In nessuna. Ella non lo ha rilevato quando le ho pre­ sentato le liste ed io ne sono stato ben lieto. Ella sa, Presidente, che io sono favorevole al sistema corporativo se voglia essere un avviamento ad una vera partecipazione delle varie classi al go­ verno del Paese, ma mi sembra che le cose siano avviate male, non fosse che per il modo come sono stati scelti i membri delle singole corporazioni». Mussolini risponde: «Ella è troppo pessimista e le ho già detto che è un esperimento nel quale bisogna procedere per gradi».

7 Gli industriali Arturo Bocciardo, Giorgio Falck e Vittorio Cini. La presi­ denza fu poi assunta dal conte Giuseppe Volpi di Misurata.

1935

Marzo 1935-XIII MUSSOLINI

Gli riferisco le impressioni di Londra l’opposizione ai nostri progetti abissini è intensa. Grandi12*dice che gli inglesi seguono la loro solita politica: cercare prima di persuadere, poi di intimidire e finalmente trattare e transigere. Ora siamo nella prima fase, ma egli è già pronto a resistere alla seconda. Dico che il Peace ballot0 con i suoi 13 milioni di voti in fa­ vore della Società delle Nazioni ha fatto grande effetto e che ho sentito dire che il partito conservatore, che ha perduto molte by­ elections, dovrà forse far sua questa piattaforma elettorale. Molti poi, in buona fede o non, insistono sulle difficoltà di una impresa militare in Abissinia. Citano precedenti anche non nostri. Citano le difficoltà inglesi nell’Afghanistan. Mostrano preoccupazioni per nostro indebolimento in Europa e per nostra situazione finanziaria (dopo ultimi decreti finanziari e data situa­ zione nostro bilancio). Mussolini mi ripete che impresa militarmente sarà sicuris­ sima. Che un solo tank a Ual-Ual4 ha fatto fuggire tutti gli abis1 Pirelli era reduce da un viaggio d’affari a Londra. 2 Dino Grandi, dal luglio 1932 ambasciatore a Londra. y Tra la fine del ’34 e i primi mesi del ’35 in Inghilterra l’Unione per la Società delle Nazioni effettuò casa per casa un referendum avente per oggetto il disarmo internazionale e la sicurezza collettiva. Impropriamente chiamata «referendum per la pace», la consultazione si risolse in una plebiscitaria mani­ festazione di appoggio alla politica della sicurezza collettiva e, quindi, alla SdN. 4 II 5-6 dicembre 1934 intorno ai pozzi di Ual-Ual, situati sull’incerto con-

124 Millenovecentotrentacinque

sini. Che questi sono divisi e selvaggi al punto che i fuggiaschi da Ual-Ual furono depredati da altre tribù. Alle mie esitazioni sull’opportunità deH’impresa e sulle sue difficoltà risponde: «Le occasioni nella Storia capitano una volta sola e bisogna saperle cogliere». Egli si dilunga a parlare del mo­ mento politico: «L’Italia deve essere liberata da questa impresa per il 1936-1937 perché fino ad allora non succederà nulla di se­ rio in Europa. Ma dopo...». «E poi, quando avremo in mani no­ stre Abissinia e Libia, potremo un giorno creare un Impero che si stenda dal Mediterraneo all’Oceano Indiano» (cioè conquistando il Sudan). Rispondo: «Ella sa la mia vecchia tesi: che l’impero in­ glese è lungi dall’essere in sfacelo».

Stresa, aprile 1935 Presiedo all’Albergo delle Isole Borromee una colazione of­ ferta ad una missione di industriali francesi. Siamo in pieno pe­ riodo di riavvicinamento italo-francese. Discorsi di Mercier, Dautry5 e mio. Siede la Conferenza ufficiale italo-franco-inglese all’isola Bella6. Dopo colazione saluto MacDonald brevemente e parlo con Flandin, che mi presenta a Lavai. Tutti sembrano sodfine tra la Somalia italiana e l’Etiopia, c’era stato uno scontro a fuoco tra il presidio italo-somalo e forze armate etiopiche. L’incidente fu sfruttato dalla propaganda fascista per preparare l’opinione pubblica all’invasione dell’Abissinia. 5 Ernest Mercier, industriale del settore elettrico, presidente onorario della Camera di Commercio Internazionale. — Raoul Dautry, ingegnere, orga­ nizzatore di reti ferroviarie. 6 E il convegno che, dall’11 al 14 aprile, riunì a Stresa i capi di governo e i ministri degli Esteri di Francia (Flandin e Lavai), Gran Bretagna (MacDonald e Simon) e Italia (Mussolini, nella doppia veste di capo del governo e ministro degli Esteri). Il convegno era stato provocato dall’annuncio dato da Hitler il 16 marzo che la Germania non si sarebbe più attenuta alle limitazioni imposte dal trattato di Versailles alla forza militare tedesca. A conclusione dei lavori i leaders del «Fronte di Stresa», come fu chiamato, concordarono una dichiarazione in cui, affermato che obiettivo della loro poli­ tica era «il mantenimento collettivo della pace nel contesto della Società delle Nazioni», si dicevano «completamente d’accordo nell’opporsi con ogni mezzo a qualsiasi ripudio unilaterale dei trattati che possa mettere in pencolo la pace...»; a questo punto del testo sembra che Mussolini chiedesse di aggiungere le pa­ role «in Europa», e che la sua richiesta fosse accolta senza obiezioni. Cfr. anche nota 29.

Millenovecentotrentacinque

125

disfatti del come si svolge la Conferenza. Molti riguardi per l’Ita­ lia (fino a quando?). In una riunione all’isola dei Pescatori tra funzionari del no­ stro governo (Guarnaschelli)7 e funzionari inglesi (Maffey) si è parlato del nostro programma in Etiopia. Si discute con davanti una carta della regione. I funzionari inglesi fanno riserve. Però né MacDonald né Simon hanno finora sollevato la questione. Pure sono certo stati avvertiti della conversazione dell’isola dei Pescatori e d’altronde il passaggio delle nostre truppe da Suez8 è noto a tutti. E un tacito accordo parallelo a quello francese?9 Ne dubito. Penso piuttosto che vogliano ottenere intanto l’adesione italiana all’accordo politico generale, e poter andare a Ginevra con un fronte unico nei riguardi del problema Germania. Poi... [Casciago,] 3 agosto 1935 Caro Guariglia 10, mi son chiesto se sia stata già studiata, come una delle molte pos­ sibili soluzioni alternative, e come espediente transitorio e transat­ tivo, per quella parte dell’Etiopia che non passasse in dominio di7 Giovanni Battista Guarnaschelli, vice direttore della divisione Affari Eu­ ropa e Mediterraneo al ministero degli Esteri. — Sir John Maffey, sottosegre­ tario permanente al ministero delle Colonie britannico. E lo stesso che due mesi dopo, come presidente di un comitato interministeriale incaricato di «stu­ diare gli interessi britannici in Etiopia», affermerà nel rapporto finale che «non esistono vitali interessi britannici nell’Etiopia o nelle sue vicinanze, tali da im­ porre al Governo di Sua Maestà la resistenza ad una conquista dell’Etiopia da parte italiana». Il Rapporto Maffey, di carattere segreto, nel febbraio del ’36 fu divulgato dalla stampa italiana. Vedi testo su cui nota 28/1936. 8 Poco dopo l’incidente di Ual-Ual erano cominciati gli invii dall’Italia di reparti militari e materiali bellici in Eritrea e Somalia. 9 II 7 gennaio 1935 la firma a Roma di una serie di accordi tra Lavai e Mussolini aveva dato praticamente mano libera all’Italia in Etiopia, con la sola preoccupazione da parte francese di salvaguardare i propri interessi economici relativi a Gibuti. 10 Da aprile Raffaele Guariglia coordinava al ministero degli Esteri l’atti­ vità dei vari uffici che si occupavano dell’Etiopia. — A questa lettera Pirelli fece poi seguire, in data 19 settembre, un promemoria di 4 pagine dattilo­ scritte riguardante un progetto di «concessione da parte del Governo abissino di uno statuto con vasti privilegi a una costituenda “Compagnia (italiana) del­ l’Etiopia”, il tutto senza pregiudizio di quelle forme di “assistenza” militare e finanziaria al Governo abissino che potranno venir stabilite».

126 Millenovecentotrentacinque

retto, la formazione di una compagnia del tipo della Compagnia delle Indie, a cui fossero riconosciuti diritti di colonizzazione agricola, per opere pubbliche ecc. e... qualche diritto di polizia in rapporto a tali sue attività. Le faccio questo accenno con molte esitazioni e riserve per­ ché so quanto sia facile essere stonato o intempestivo quando le informazioni che si hanno su situazioni e direttive non sono com­ plete ed aggiornate. Ma ricordo tra l’altro l’opera di Warren Ha­ stings e di Wellesley nella graduale sostituzione del potere gover­ nativo inglese a quello della Compagnia delle Indie. Non mi na­ scondo gli svantaggi di una soluzione che lascerebbe aperta la ne­ cessità di successive affermazioni e relative difficoltà locali ed in­ ternazionali (ma tali svantaggi si ritrovano in grado maggiore o minore in qualsiasi soluzione che non sia totalitaria), ed ho pre­ senti le complicazioni, nei riguardi dei vecchi diritti inglesi e francesi, di una soluzione apparentemente solo economica. Ma ho voluto comunque accennar Le a questa idea, d’altronde non peregrina, e che naturalmente considero subordinata non sola­ mente ad un ingrandimento del dominio diretto, ma anche a quelle affermazioni di ordine militare che è politicamente e stori­ camente necessario di compiere e che certo potremo assicurarci anche se per avventura intervenisse un accordo preventivo con Londra e Parigi, ché il Negus non potrà piegarsi se non dopo una sconfitta. Non stia a rispondermi ché ci vedremo presto a Roma. Cordialità. Suo A.P.

Firenze, 30 settembre 1935-XIII Guerra etiopica. Beneduce dice Mussolini sempre sereno nel­ l’aspetto, ma evidentemente preoccupato dello stato d’animo che va creandosi nel Paese. Sembragli opportuna una manifestazione industriale di solidarietà. Sembra che il Re sia in disaccordo con Mussolini e che Balbo 11 abbia influito a determinare questa situazione. 11 Italo Balbo, in quel periodo governatore della Libia.

Millenovecentotrentacinque

127

Il Principe di Piemonte, non solo astenendosi dal partecipare alle grandi manovre, ma anche in altre forme non protocollari avrebbe dimostrato il suo dissenso. Si accenna alla tendenza a separare le responsabilità da parte di Federzoni1213 e di altri. Anche Revel1}, da buon piemontese, si sente imbarazzato. Beneduce ritiene necessaria avanzata verso Adua al più pre­ sto essendo impossibile far ritornare truppe senza colpo ferire. Teme però che poi inglesi e Società delle Nazioni ci offrano an­ cor meno dei Cinque 14 perché c’è già una campagna giornalistica che sostiene che i Cinque ci avevano... offerto troppo. Dice che Mussolini è un dittatore con sentimenti umani e si preoccupa dell’esercito d’occupazione in caso di blocco e conse­ guenti difficoltà di rifornimento.

[Londra,]15 9 ottobre 1935, sera GRANDI

Lord Lloyd 16 — che è uno dei più amici nostri — dice che [per la] prima volta dopo decenni, la pubblica opinione inglese « versed to the idea» che c’è un pericolo per la grande [strada] imperiale del Mediterraneo e del Mar Rosso. La proposta di Mussolini a Hoare 17 di una smobilitazione nel 12 Luigi Federzoni, allora presidente del Senato (poi, dal ’38, presidente dell’Accademia d’Italia). 13 Paolo Thaon di Revel, ministro delle Finanze. 14 II «Comitato dei Cinque», incaricato dal Consiglio della SdN di cercare una soluzione di compromesso alla controversia e che aveva presentato le sue proposte all’Italia il 18 settembre. 15 L’occasione di queste note fu uno dei periodici viaggi di lavoro all’e­ stero. — Si ricorda che dal 2 ottobre tra l’Italia e l’Etiopia era ormai in atto lo stato di guerra. L’originale manoscritto di questo appunto è in parte illeggibile e manca di alcuni frammenti. È probabile che il testo sia stato scritto in due tempi, la sera del 9 e poi 1’11 (cfr. l’accenno al mancato radiodiscorso di Aloisi, che avrebbe dovuto essere trasmesso il 10). 16 George Ambrose primo lord Lloyd, alto commissario per l’Egitto. 17 Samuel Hoare, ministro degli Esteri di Gran Bretagna fino al 18 dicem­ bre. Quanto segue si riferisce al rafforzamento, rispettivamente, della guarni­ gione italiana in Libia e di quelle inglesi a Malta, in Egitto e a Aden, nonché all’invio della Home Fleet nel Mediterraneo: tutte operazioni avvenute nel corso di settembre, quando sembrava profilarsi uno scontro diretto italo-inglese.

128 Millenovecentotrentacinque

Mediterraneo contemporanea fa seguito ad una proposta Grandi che l’Italia ritirasse le due divisioni mandate in Libia e l’Inghilterra rinuncerebbe a mandare la divisione che sta preparando. La prima reazione fu: «D’accordo, ma voi dovete ritirare la flotta dal Mediterraneo». Grandi dice che Hoare è abbastanza ben disposto personal­ mente anche perché vuole prevalere. Eden 18 è d’accordo con Vansittart. Baldwin non si interessa che poco alla politica estera e vede nel successo di Eden a Ginevra, dove affluiscono al ministro conservatore le adesioni dei laburisti, dei liberali, dei vescovi, ecc., una ottima preparazione elettorale. Grandi è fiducioso che si arriverà a un compromesso ragione­ vole che ci darà parecchio, ma la cosa non è matura. Sostiene che fino a giugno la Gran Bretagna non era irriduci­ bile, ma fu poi irritata e messa in sospetto dalle nostre misure na­ vali e soprattutto dai discorsi circa le mire italiane, la decadenza inglese ecc. (Bottai ecc. ecc.). C’è stato invio documenti di propaganda attraverso ChiozzaMoney!19 documenti fatti da Missiroli ma con pseudonimo: Prof. B... Divieto del P.O. inglese alla radio di S.U. intervista di Aloisi!20 prima... siano specificate! Il giorno dopo si dice: Non è vero; è la radio che non funzionava! Intanto non è arrivata la voce italiana .

vitretti]21

Nostre illusioni su Egitto. Invece nazionalisti egiziani inven­ tando esagerati nostri inviti e nostri soldi fanno ricatto a Go­ 18 Anthony Eden da giugno era ministro per i rapporti con la SdN, nel nuovo Governo diretto dal conservatore Stanley Baldwin; dal 18 dicembre avrebbe preso il posto di Hoare agli Esteri. — Robert Vansittart era sottose­ gretario permanente al Foreign Office. 19 Sir Leo Chiozza-Money, economista laburista. — Mario Missiroli, il giornalista. 20 L’ambasciatore Pompeo Aloisi era capo di gabinetto al ministero degli Esteri e primo delegato italiano alla SdN. La mattina del 10 aveva pronunciato all’Assemblea ginevrina un importante discorso sulla posizione italiana, che la sera avrebbe poi dovuto ripetere al microfono d’una radio americana; ma le au­ torità britanniche impedirono che fosse trasmesso via Londra. 21 Leonardo Vitetti era allora consigliere presso l’Ambasciata d’Italia a Londra.

Millenovecentotrentacinque

129

verno inglese. Essi chiedono di poter avere esercito per difendere Egitto, e Inghilterra risponde mandando flotta.

Rapporto verbale al Capo del Governo il 16 ottobre 1935-XIII, circa le impressioni raccolte a Parigi e Londra sulla questione etiopica

Premetto di aver evitato di visitare uomini del Governo, an­ che se amici, per non dare comunque l’impressione di aver avuto una missione. Le impressioni raccolte mi hanno portato a ritenere che l’atti­ tudine inglese nei riguardi del problema etiopico sia dovuta a svariatissimi fattori, tra cui i principali sono: 1) Pattore elettorale. Mancava a tutti i partiti una buona piat­ taforma elettorale: è cessata la lotta sulla costituzione per l’india; la situazione della disoccupazione è migliorata; le condizioni eco­ nomiche sono pure migliorate. Dopo il Peace ballot chiusosi all’i­ nizio di quest’anno con oltre 11 milioni di voti a favore di una politica pacifica e societaria da parte dell’Inghilterra, Baldwin ha strappato questo motivo elettorale (sostenere la Lega delle Na­ zioni come tutelatrice della pace) dalle mani dei laburisti, e l’inci­ dente italo-abissino, dopo il fiasco sul problema del disarmo22, si è prestato molto bene a una rivalorizzazione della Lega. La massa popolare, che ha una nozione molto vaga di cosa sia e di come funzioni la Lega, è oggi allettata dalla possibilità che essa sembra offrire di impedire future guerre, e l’opinione pubblica è stata opportunamente lavorata sul motivo che «l’Inghilterra tiene fede ai patti sottoscritti ed è impegnata sul suo onore a farli rispet­ tare». Perciò il ministro Eden è oggi popolarissimo ed il Governo conservatore sfrutta questa popolarità e la incrementa. Può darsi che, dopo le elezioni23, alcuni membri del Gabinetto, e soprat­ tutto Hoare, pensino a svalutare un poco l’eroe del giorno che posa a fare il Pitt contro Napoleone. Mi sembra comunque pro-

22 La Conferenza generale ginevrina sulla riduzione degli armamenti, para­ lizzata dai contrasti nascenti soprattutto dal problema del riarmo tedesco, po­ sto sul tappeto dalla clamorosa iniziativa di Hitler del marzo ’35 (v. sopra, nota 6). 23 Indette per il 14 novembre.

130 Millenovecentotrentacinque

habile che debbano passare le elezioni prima che il Governo in­ glese voglia assumere un’attitudine conciliante; necessario ma non sufficiente perché vi sono altre ragioni importanti che ispi­ rano la sua azione. Se non ritengo che possa schiarirsi l’orizzonte con l’Inghil­ terra fin dopo le elezioni (a meno di un’attitudine veramente energica della Francia nei riguardi inglesi), non ritengo neppure che avremo nel frattempo atti di guerra, perché il laburismo ne approfitterebbe subito a scopi di propaganda interna. Soggiungo d’altra parte che, nel caso attuale, entrano ben poco in gioco la caratteristica mentalità inglese non orientata affatto verso il mili­ tarismo (niente coscrizione ecc. ecc.), né l’opposizione che certo incontrerebbe nelle classi laburiste ogni tentativo di far vestire la divisa e di portare in trincea le masse operaie, poiché l’inglese medio pensa che qui toccherebbe solamente alla flotta ed al­ l’arma aerea ad agire, e lontano dall’Inghilterra. 2) Problema imperiale. Le imprudenti affermazioni imperiali­ stiche ai danni della Gran Bretagna fatte in molti articoli della nostra stampa e nei discorsi di varie persone, di cui mi sono an­ che stati fatti i nomi, nonché l’impressione diffusa che, essendo la nostra stampa controllata, le sue espressioni siano sempre ispi­ rate od almeno tollerate, hanno creato negli ambienti degli alti funzionari del Colonial Office, ma soprattutto del Foreign Office — con in testa Vansittart — nonché negli uomini di Governo, l’impressione di un vero programma imperiale anti-inglese dell’I­ talia, programma di cui l’impresa etiopica non sarebbe che il primo passo. Mi si è accennato a frasi circa Malta, l’Egitto e il Sudan, e si riassumono queste impressioni nell’attribuire all’Italia fascista il pensiero che «l’impero britannico è in sfacelo e il solo erede possibile è l’Italia di Mussolini». Queste preoccupazioni negli ambienti governativi e burocra­ tici sono state, sembra, alimentate anche dai rapporti dell’amba­ sciatore Drummond24, il quale ha evidentemente sopravalutato la portata pratica e la portata effettiva di tali manifestazioni. Sem­ bra intanto che il Governo inglese stia compilando una pubblica­ zione per far risaltare quella che egli ritiene essere stata da parte italiana una vera provocazione. Intanto le polemiche giornalisti24 Sir Eric Drummond (Lord Perth), ambasciatore britannico a Roma.

Millenovecentotrentacinque

131

che facevano dilagare dai ristretti circoli politici fin nei più larghi strati della popolazione la preoccupazione di una minaccia all’av­ venire dell’impero inglese, facendo vibrare una corda che da molti decenni era completamente muta ma che, se fatta vibrare, trova una profonda e storica rispondenza nel pubblico inglese: la sicurezza della via delle Indie. E interessante notare come a questo risveglio si sia accompa­ gnata quasi come una rivelazione la constatazione della forza in­ ternazionale politica e militare dell’Italia odierna, forza non so­ spettata dall’uomo della strada in Inghilterra, che nella grande maggioranza viveva ancora con la concezione di un’Italia potenza molto di secondo ordine e nota e simpatica agli inglesi per altre caratteristiche.

3) Il riarmo. La Gran Bretagna e la Società delle Nazioni. Per il Governo la minaccia di una crisi internazionale, ed in particolare la supposta minaccia alla solidità dell’impero inglese, serve anche a creare l’ambiente favorevole a maggiori apprestamenti militari. D’altronde una certa preoccupazione per le crescenti difficoltà di tener unita la compagine dell’impero e per mantenerne la supre­ mazia nella gerarchia delle nazioni, ha fatto cogliere volentieri l’occasione per una affermazione di forza, ed ha d’altra parte ispirato la nuova politica del Governo inglese di ancorare la di­ fesa imperiale alla Società delle Nazioni. E difficile dire se questa tendenza internazionalista sia strategica o tattica e se essa segni la fine della self-sufficiency imperiale; certo essa non trova favore­ voli tutti gli ambienti politici e segnatamente vi si oppongono al­ cuni dei più noti colonialisti. Quest’ultima constatazione, in­ sieme col fatto che questi elementi colonialisti (Lord Lloyd, Amery, Bledisloe, Arnold Wilson ecc.), capaci di guardar lontano e di giudicare gli eventi in base alla loro esperienza personale in colonia, sentono certamente l’assurdo di armare il nero contro il bianco, fanno pensare che potremmo trovare in essi una solida­ rietà che va coltivata.

4) L'antifascismo. Una tendenza antifascista è ovvio che esi­ sta negli ambienti socialisti e del Labour Party. Essa si era asso­ pita, ma è naturale che si sia risvegliata in quest’occasione. Quanto all’ambiente conservatore, esso ha sempre fluttuato tra un’ammirazione per l’Uomo che ha messo «thè house in order» e che ha finora rappresentato un elemento di pace in Europa (ac-

132 Millenovecentotrentacinque

cordi di Locamo, Patto a Quattro e Patto di Stresa), per l’Uomo della ricostruzione archeologica e delle bonifiche pontine, e, d’al­ tra parte, un tradizionale e logico attaccamento all’istituzione parlamentare quale si manifesta in Inghilterra. Inoltre molti ri­ versano sull’Italia e su Mussolini l’ostilità che è maturata in loro verso il nazismo e Hitler (tra l’altro è da tener conto che l’in­ fluenza israelita a Londra è assai forte e che molti profughi ger­ manici sono passati in Inghilterra). Qualcuno sembra temere l’estensione del sistema dittatoriale alla Francia. Mosley25 non è preso sul serio. Non manca nell’anti­ fascismo del clero anglicano una nota di anticattolicismo.

Cause dunque diversissime, che vanno dall’opportunismo elettorale alle grandi ragioni storiche imperiali, dall’antifascismo socialista ad un supposto dovere dei circoli responsabili di stron­ care le ambizioni italiane e di approfittare del momento per un’affermazione di prestigio e per riarmare il Paese, fanno con­ vergere i vari ambienti inglesi in una quasi unanime disapprova­ zione dell’impresa etiopica e della nostra attitudine a Ginevra. Tutto ciò si manifesta da una parte in un’ingenua montatura de­ gli ambienti popolari che con strano candore e con un’incosciente ipocrisia dimenticano tutta la storia dell’imperialismo inglese ed accettano spiegazioni infantili, come quelle con cui si tenta di giustificare il non intervento inglese nei riguardi del Giappone, del Chaco26 ecc., e si manifesta d’altra parte, negli ambienti re­ sponsabili, in una perfidia di mezzi ed un’ipocrisia di forme, che, se pur sono la manifestazione di una consumata arte politica e di­ plomatica, non sono per questo meno esecrabili da parte nostra. Dato quanto precede e pur con quelle riserve che si impon­ gono a chi non conosce tutti gli elementi della situazione mili­ tare, diplomatica, finanziaria ecc., credo che convenga: — svolgere un’intensa azione di propaganda all’estero, ma fatta con argomenti e non con ingiurie. A Ginevra bisognava par­ lare prima e ben forte anche davanti all’Assemblea e presentare assai prima la nostra documentazione; 25 Oswald Mosley, capo del movimento fascista inglese. 26 Si riferisce all’aggressione giapponese alla Cina del 1931 e al conflitto insorto tra Paraguay e Bolivia per il possesso della regione del Chaco (1932-1935).

Millenovecentotrentacinque

133

— far passare le prossime settimane prima delle elezioni in­ glesi senza provocazioni e far si che la nostra stampa, pur dando l’impressione di fiducia, di unità del Paese e di resistenza, non faccia il gioco degli inglesi — con inutili escandescenze che obbligano l’Inghilterra ad irrigidirsi sempre più; — non illudersi che l’IsIam o l’Egitto si muovano in nostro favore. Essi pensano che nella lotta tra l’Inghilterra e l’Italia la­ sciata sola è ben difficile che vinca l’Italia e non vogliono arri­ schiare ribellioni. I nazionalisti egiziani poi sfruttano la situa­ zione per ricattare l’Inghilterra; — cercare che il Governo inglese non pubblichi il Libro di­ plomatico sulle supposte nostre mire di scardinare la potenza in­ glese nel Mediterraneo e nel Mar Rosso e che esso Governo nel corso dell’attuale campagna elettorale non prenda — intorno al­ l’Etiopia a Ginevra ecc. — impegni tali di fronte agli elettori da rendere difficili successive transazioni con l’Italia; — rinnovare intanto le offerte di trattare per risolvere sia la crisi italo-inglese sia il problema etiopico e dare a tutto il mondo la sensazione di queste nostre disposizioni per controbilanciare il tentativo inglese di farci passare come provocatori ed intransi­ genti; — evitare, se appena possibile, l’uso dei gas asfissianti27 in Eritrea, ma minacciare tale uso in determinate circostanze; — continuare a tollerare i giochi d’equilibrio di Lavai, facen­ dogli sentire le gravi conseguenze ed i pericoli della politica in­ glese, la perdita di prestigio della Francia che non sembra saper fare una politica propria ecc. Tener contatti, ma molto cauti, con la Germania (non ac­ cenno neppure a tutte le altre ovvie attività di carattere diploma­ tico, ma tra queste rilevo l’importanza di insistere perché i paesi dubbiosi circa l’applicazione delle sanzioni abbiano, ove ciò sia possibile, a valersi delle loro norme costituzionali per ritardare la ratifica delle deliberazioni di Ginevra); — approvvigionarsi molto rapidamente delle materie prime essenziali, anche se ciò voglia dire un’ulteriore falcidia della ri­ serva aurea. Possiamo ancora comprare a buoni prezzi, da molte fonti e senza rischio di trasporti. Sarà cosi anche domani? — finalmente, non appena possibile, trattare. Le nostre ri27 Cfr., sullo stesso argomento, l’appunto diaristico del 16 ottobre.

134 Millenovccentotrcntacinque

serve auree vanno esaurendosi e, se è naturalmente da deprecare che la Gran Bretagna voglia arrivare ad un conflitto armato, può essere alla lunga anche più pericolosa per noi la lenta, continua e crescente pressione economica e finanziaria delle sanzioni, che considererei non affatto temibili se avessimo oro in abbondanza, ma che togliendoci buona parte dei frutti delle esportazioni, ed obbligandoci a pagare a contanti ed a prezzi rincarati le importa­ zioni, accelereranno l’emorragia di oro. Se, come non è da dubitarsi, la situazione militare in Etiopia continuerà ad essere ottima; se le elezioni inglesi daranno al Go­ verno una maggioranza tale da permettergli di agire liberamente; se Lavai sarà ancora al potere, se nel frattempo non saranno in­ tervenuti incidenti, è probabile che si possa ancora fare una siste­ mazione pienamente soddisfacente per noi (e cioè sulle basi che sta attualmente tracciando il Ministero degli Esteri) pur ammet­ tendo la necessità che tale sistemazione debba tener conto che è in gioco il prestigio inglese e che si è voluto mettere in gioco quello della Società delle Nazioni. Tuttavia è da esaminare anche l’eventualità, se a Ginevra le cose si mettessero male, di impostarvi ufficialmente la questione dell’applicazione degli articoli 19 e 2228. Roma, 16 ottobre 1935

Vedo Mussolini. Gli riassumo le impressioni di Londra e Pa­ rigi come da [testo sopra riprodotto]. Mi dice: «Il quadro è esatto, la difficoltà è di pesare fino a qual punto vuole arrivare l’intransigenza inglese. Da parte nostra non ci saranno provoca­ zioni di sorta. Ho promesso che non bombarderemo Addis 28 L’art. 19 del Patto della SdN prevedeva che «ΓAssemblea può, periodi­ camente, invitare i paesi membri della Società a procedere a un nuovo esame dei trattati divenuti inapplicabili, come delle situazioni internazionali il cui mantenimento potrebbe mettere in pericolo la pace del mondo». L’art. 22 ri­ guardava «le colonie e i territori che hanno cessato di essere soggetti alla sovra­ nità degli Stati che li governavano precedentemente e che sono abitati da po­ poli non ancora capaci di dirigersi da sé nelle condizioni particolarmente diffi­ cili del mondo moderno», e affermava che «il sistema migliore per attuare il be­ nessere e lo sviluppo di questi popoli è di affidarne la tutela alle nazioni evolute... meglio adatte ad assumere questa responsabilità», nazioni che «eser­ citeranno questa tutela in qualità di mandatari e in nome della Società».

Millenovecentotrentacinque

135

Abeba né Dire-Daua se non si approfitta ai nostri danni di que­ sta astensione, e neppure la ferrovia di Gibuti se non vi si tra­ sportano armi. Dal lato militare sono tranquillissimo. Per ora non ci sono state vere azioni militari. Adua ci è costata tre morti! Nella piana di Macallè troviamo moltissimo bestiame». Io accenno opportunità non adoperare gas asfissianti che la reazione a Ginevra sarebbe enorme e l’Inghilterra ne approfitte­ rebbe subito. Nessuna giustificazione militare gioverebbe. Mus­ solini si dichiara d’accordo. Dice che non se ne è fatto uso af­ fatto finora e che le istruzioni sono in tal senso. Egli pensa co­ munque che la necessità di usarli non dovrebbe maturare che se ci fosse un attacco in forze contro la linea che occuperemo nei prossimi giorni, e sulla quale ci assesteremo sulla difensiva (Tacazzé e monti a nord di Macallè). Dico a Mussolini che non credo si possa fare troppo affida­ mento sulla minaccia di una conflagrazione europea conseguente ad un eventuale conflitto italo-inglese. Io penso che l’Inghilterra avrà dato alla Germania il consiglio molto fermo di star tran­ quilla nella contingenza, ed avrà ottenuto affidamento. Mussolini risponde che un Putsch in Austria sarebbe a suo av­ viso sicuramente promosso dal nazismo con ostentata astensione di elementi tedeschi e creando per ora solamente un regime nazi­ sta anche in Austria. Io obbietto: «Ma basterebbe questo a far muovere la Francia, senza l’appoggio inglese?». Sulla situazione generale come si è andata sviluppando Mus­ solini dice che aveva «mano libera, assolutamente libera», dalla Francia (episodio dell’ordine del giorno di Stresa nel quale Mus­ solini aggiunge alle parole «... pour assurer la paix» le parole «en Europe»29 e Flandin commenta: «C’est pour exclure l’Àfrique» e Mussolini: «Naturellement») ed accordo Francia legittimava pen­ siero che Società delle Nazioni, dove Francia era sempre stata la nazione più ortodossa, non avrebbe fatto serie difficoltà. Mussolini mi chiede opinione circa effetto sanzioni: rispondo che il solo punto veramente preoccupante è la mancanza di va­ lute. La roba si trova salvo pagarla più cara. Occorre dunque una soluzione rapida. E da vedersi se l’Inghilterra è disposta ad una onorevole transazione o se cercherà di farsi provocare per es.

29 Cfr. sopra, nota 6. La citazione della frase è evidentemente fatta a me­ moria.

136 Millenovecentotrentacinquc

mandando ostentatamente navi con armi destinate all’Etiopia o si farà incaricare da Ginevra della polizia e del blocco cosi da farci poi apparire, gli aggressori, oppure se invece essa conta di piegarci attraverso la lenta azione delle sanzioni economiche e fi­ nanziarie mentre si esauriscono le nostre risorse valutarie. Mussolini mi parla di una possibile soluzione sulla base del nostro possesso del Tigrai e di una zona fino al 13° parallelo, di un mandato C all’Italia su tutta la zona non amarica e di un man­ dato collettivo sulla zona amarica, includendo in questa Addis Abeba. Un corridoio di 50 km di larghezza a occidente della zona amarica dovrebbe congiungere l’Eritrea con la Somalia (as­ surdo militare ed economico; consigliabile di barattare con la zona fino alle coste nord del lago Tana), disarmo dell’Abissinia, non porto, qualche formula per Axum.

GUARIGLIA

Mussolini ha firmato oggi lettera per Lavai che richiama se­ riamente al pericolo della situazione. Contemporaneamente si è preparata una possibile soluzione (di cui mi ha parlato anche Mussolini). Vedo le carte geografiche in preparazione. Eden sta comportandosi proprio da nemico. Pare abbia la­ sciato intravedere alla Jugoslavia delle possibilità in Albania ed alla Grecia nel Dodecanneso. Si dice anche che abbia preso con­ tatto con Modigliani30, capo dei fuorusciti antifascisti. Gli austriaci si sono comportati in modo perfetto ed è stato di loro iniziativa che hanno deciso in Consiglio dei ministri di negare la partecipazione alle sanzioni (telefonate dirette di Waldenegg31 a Suvich). I turchi ondeggiano: hanno sperato di ottenere dall’Inghil­ terra il diritto di armare gli Stretti; temono che una guerra nel Mediterraneo dia il Dodecanneso alla Grecia... Drummond non è stato né amico né prudente: ha per es. tra­ smesso senza commenti a Londra un rapporto del Console inglese

50 Giuseppe Emanuele Modigliani, già capo della Concentrazione antifa­ scista. 31 Egon Berger-Waldenegg, ministro degli Esteri austriaco. — Fulvio Su­ vich, il nostro sottosegretario agli Esteri.

Millenovecentotrentacinque

137

di Palermo in cui si diceva che il Re è in disaccordo con Musso­ lini e pronto a dare il Governo a Badoglio. Litvinov52 si è fermato a Berlino sulla via di Ginevra ed ha detto ad Attolico che la sua rigidezza in favore delle sanzioni verso l’Italia è ispirata solamente dalla necessità di fare la prova generale per una futura azione contro la Germania! [Roma,] 18 ottobre 1935

Volpi ha visto a Parigi Morgenthau, Secretary oj the Treasury degli Stati Uniti. Dice che gli Stati Uniti manterranno neutralità, ma non si dovrà chiedere loro di spedirci più roba di quanto sia consueto. (Forse questo è un compromesso politico, ma Morgen­ thau lo spiega con la necessità per gli Stati Uniti di ridurre le loro esportazioni essendo troppo pieni di oro. Ciò anche a causa del trasferimento di oro e divise dall’Europa a cagione delle preoccu­ pazioni politiche.)

[Bruxelles,] 21 ottobre 1935 theunis 55

Governo attuale formato da uomini senza forza od autorità personale (Vandervelde ha certo una posizione, ma è vecchio). Ma non si vede chi possa prenderne il seguito. Opinione pubblica molto divisa circa questione etiopica. So­ cialisti sono antifascisti. Ambienti universitari e giuridici sono scandalizzati per quella che chiamano una violazione del Patto senza attenuanti. Altre larghe correnti trovano invece bestiale che si sia messo il mondo a rumore per un popolo nero e indegno di protezione. Gli uomini più responsabili giudicano che il Go­ verno inglese sta giocando una commedia che si può chiamare

32 Maksim Litvinov, rappresentante dell’URSS alla SdN e commissario agli Affari Esteri. — Bernardo Attolico era allora ambasciatore a Berlino. 33 In Belgio, al Governo del liberale Theunis era succeduto quello diretto dal cristiano-sociale Paul van Zeeland, di cui faceva parte anche il vecchio lea­ der del Partito del Lavoro, Emile Vandervelde.

138 Millenovecentotrentacinque

abile o perfida secondo i punti di vista. Theunis giudica che la questione del riarmo in Inghilterra ha avuto molta parte. Crede molto a cambiamento dopo elezioni. Il Belgio è sempre più necessariamente legato all’Inghilterra. Infatti si è sviluppato un grande sentimento antifrancese; i fiam­ minghi identificano tale antipatia con la questione linguistica; gli operai sono disgustati perché 80.000 dei loro traversavano gior­ nalmente la frontiera ed andavano a lavorare in Francia ed ora la Francia ostacola la cosa; il mondo della produzione è irritato per le dogane ed i contingenti francesi; i bourgeois sono diffidenti per il temuto prevalere in Francia del blocco delle sinistre. Theunis quando era primo ministro ha messo in guardia La­ vai. Molti francesi che visitano il Belgio ne sono impressionati. La Commissione Affari Esteri ha approvato l’attitudine del Governo belga a Ginevra, ma ha fatto riserve ed avvertimenti di prudenza. Il Governo ha chiamato a consiglio quattro persone di fidu­ cia, tra cui Theunis, circa il modo di applicare all’interno le deci­ sioni di Ginevra34. Il consiglio unanime è stato di aspettare fino all’ultimo minuto, di fare un decreto che riproduca esattamente il testo di Ginevra in modo da essere in regola e... non fare comun­ que di più. Nel paese c’è certamente stata una reazione contro Valler jusqu’au bout di Van Zeeland a Ginevra. Theunis dice: «Il primo ministro è giovane a queste cose e si è lasciato trascinare dall’am­ biente ginevrino mentre Lavai... Certo ora è messo sull’avviso e le riserve che il Delegato belga ha cominciato a fare a Ginevra sono un sintomo».

Giudica Francqui, Jaspar35 e Hymans finiti. Mi mostra simpatica lettera a lui di Gutt36 (se si volesse an­ dare jusquau bout mi iscriverei aviatore nell’esercito italiano!). 34 II 7 ottobre la SdN aveva deciso di applicare all’Italia sanzioni economi­ che, a partire dal 18 novembre. 35 Henri Jaspar, belga, in passato primo ministro. 36 Camille Gutt, già rappresentante del Belgio nella Commissione Ripara­ zioni, poi ministro delle Finanze, presidente della Société Générale des Mine­ rals, co-gerente del Banque Lambert.

Mìllenovecentotrentacinque

139

JASPAR

Ammette con me che l’Inghilterra ha speciali moventi di poli­ tica interna che guidano la sua attuale azione a Ginevra. Anche Lloyd George ha sempre avuto molte riserve nei riguardi della Lega e qualche volta «il s’en moquait en disant, pour enterrer une question: “Passons 9a à la Société des Nations”». Definisco l’affare etiopico «un Corfou en grand». orban 37

Un ufficiale belga reduce dall’Abissinia dice che il Negus avrebbe capitolato senza resistenza (se opportunamente trattato) se l’Inghilterra non lo avesse rafforzato. Gli charbonniers belgi sono furibondi perché hanno avuto notizia di una vendita fatta ieri dall’Inghilterra all’Italia di 200.000 tonn. di carbone con la clausola consegna diretta oppure via Reno. Charbonniers e metallurgici sempre antagonisti domani uniti nel rendersi da Van Zeeland a reclamare contro sanzioni.

[Roma,] novembre 1935 MUSSOLINI

Esaurite le questioni che riguardano l’ISPI38, si parla del con­ flitto etiopico. Mussolini dice: «Ho detto e ripeto che non voglio la guerra con l’Inghilterra. Sono 2000 anni, è dal tempo di Giulio Cesare che un soldato italiano ed uno inglese non si trovano di fronte, e di quali altri paesi si può dire altrettanto?». Soggiunge di aver scritto a Cerruti39 una lettera da mostrare a Lavai in cui mette in guardia la Francia contro l’azione tedesca in caso di guerra italoinglese. «La Germania annetterà l’Austria, la Czecoslovacchia si 37 Ivan Orban, industriale. 38 L’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, di Milano, di cui Pi­ relli era da aprile divenuto presidente. 39 Vittorio Cerruti, da luglio ambasciatore a Parigi.

140 Millenovecentotrentacinque

sfascerà, la Germania marcerà verso Costantinopoli. L’Italia schiererà un po’ di truppe al Brennero per salvare la faccia verso l’Austria, ma non può fare di più ed il suo gesto non potrebbe avere l’effetto di quello del ’34»40. Mussolini dice anche che La­ vai si è portato molto bene: «Non poteva fare un diverso discorso a Ginevra». «Siamo preparati a sentir Ginevra decidere le “san­ zioni” contro l’Italia e purché siano blande resteremo nella Lega per non rendere impossibile la posizione di Lavai». Parlando della situazione in Abissinia e del fatto che il Negus per ora non ha accettato battaglia dice: «Non possiamo accettare dei compromessi finché non abbiamo avuto una vittoria militare. L’italiano è il solo bianco che l’abissino non teme». Mi racconta che Ras Cassa è d’accordo con noi. Il Negus sospettandolo gli ha telegrafato di andare da lui (noi abbiamo captato la radiocomu­ nicazione) e Ras Cassa ha risposto che... non si fidava a lasciare le sue truppe esposte ad un attacco italiano.

[Roma,] 29 novembre 1935 [ministero]

esteri

Vedo telegramma Cerruti appena giunto: Lavai gli ha parlato possibilità sospensione ostilità contro sospensione sanzioni, il che gli darebbe modo iniziare seri tentativi di sistemazione. Cerruti insiste su buone disposizioni di Lavai e su intransigenza Lega. Lavai accenna alla voce corsa che Italia cercherebbe fare accordo diretto con Inghilterra soggiungendo che non per alcuna ambi­ zione personale di possibile paciere, ma come Capo del Governo francese ed in rapporto a tutta l’attività conciliatrice spiegata fin qui confidava che la notizia non fosse vera. Cerruti risponde non risultargli nulla che giustifichi questa voce. Lavai accenna all’e­ mozione provocata dalla notizia di nuove misure militari italiane in rapporto alle minacce di embargo sul petrolio41. 40 Nel luglio ’34, ad un tentativo di colpo di stato nazionalsocialista a Vienna, Mussolini aveva reagito schierando truppe alla frontiera con l’Austria. 41 II petrolio non era compreso nella lista dei prodotti soggetti alle san­ zioni.

Millenovecentotrentacinque

141

Vedo telespresso Grandi intonato a molto pessimismo circa rigidità Governo inglese anche dopo elezioni. Vedo raccolta telegrammi Rosso42 ottobre-novembre. Ne ri­ sulta ostilità Governo americano verso di noi tanto che Rosso parla di coltivare le opposizioni. Governo americano sollecitato da noi risponde che non vuole intavolare trattative commerciali neppure ufficiose in questo momento. Rosso ricorda che, se pur vi sono 5 milioni di italiani negli Stati Uniti, è prevalente di gran lunga l’elemento anglosassone. Però da telegrammi di Rosso risulta aver egli avuto l’impres­ sione netta che il Governo americano non avrebbe mutato nulla negli embargo se non attraverso un voto del Congresso. Invece arriva oggi notizia decisione Governo americano limitare certe esportazioni, compresa benzina, ai quantitativi normali.

Da un telegramma, intercettato, risulta che il Governo di Londra ha dato istruzioni a Barton43 ad Addis Abeba di sondare il Negus circa le condizioni di pace facendo presente insistenza di Lavai. Il Negus risponde che è disposto a rettifiche al sud ma che Tigrai deve essere evacuato, dopo di che egli esaminerà con defe­ renza proposte... Ciò dimostrerebbe qualche disposizione inglese a favorire trattative. Drummond, d’altra parte, ha detto a Mussolini, che me lo conferma direttamente, essere auspicabile grossa vittoria militare italiana per poter influire sul Negus! Mussolini ha affermato nell’ultimo Gran Consiglio che già tre anni or sono la Francia aveva dato mano libera all’Italia in Abissinia, però nello stesso giorno avvertiva il Negus che l’Italia nu­ triva intenzioni aggressive. Nello stesso Gran Consiglio Mussolini ha elogiato Grandi (c’è chi afferma a seguito visita Grandi a Edda Ciano con ac­ cenni ad aver seguito le direttive avute). Questioni militari

E diffusa l’impressione (Federzoni, Buti, Cavallero) che sia 42 Augusto Rosso, ambasciatore a Washington. 43 Ministro britannico ad Addis Abeba.

142

Millenovecentotrentacinque

stato un errore non dare maggiori forze a Graziani44. L’unica di­ visione bianca, la Pelontana, è a Mogadiscio e Graziani opera con poche unità di colore. Intanto gli abissini si sono concentrati e rafforzati a Harrar, Giggiga ecc., mentre se si fosse fatto pre­ sto... (qualcuno accenna a poca simpatia dello Stato Maggiore per Graziani). Segretissimo·, uno dei nostri radiotelegrafisti conosce Tamarico ed ha intercettato comunicazione tra Ras Desta ed il Negus circa avanzata Ras Destà da nord-ovest e Graziani ha potuto sorpren­ dere e disperdere le colonne di testa. Il piano di guerra non fu fatto dallo Stato Maggiore, ma da De Bono con Gabba45, che è buono ma vecchio e senza fantasia.

Cavallero46 è stato incaricato dal Capo in settembre di stu­ diare eventuale avanzata in Egitto in caso guerra con Inghilterra ed ha fatto rapporto che dimostrava difficoltà impresa. Si è par­ lato di rifornimenti da aeroplani, ma questo è difficile; invece si potrebbe pensare a sottomarini, ma di questi meno di un terzo sono in servizio per rotazione. Balbo ha fatto allora altro piano di invasione Egitto, ed anche un progetto di attacco dalla Libia su Uadi Halifa. Ora Balbo ha ottenuto da Mussolini l’invio in Libia della Di­ visione motorizzata (mia impressione comunicata a Mussolini che riprendere provocazioni a Inghilterra, per quanto meritate, sia fare il gioco di chi non domanda di meglio che di attribuire a noi la causa di un ritardo nelle trattative di pace).

Mia missione U.S.? Mussolini vuole che vada in America. E Lantini47 che lo ha suggerito. Si tratterebbe di vedere: a) se sia possibile discorrere confidenzialmente con Washing­ ton circa trattato di commercio per superare difficoltà interpreta-

44 II generale Rodolfo Graziani era al comando del fronte somalo. 45 II generale Emilio De Bono, quadrumviro della marcia su Roma, era stato alto commissario per l’Africa Orientale e aveva diretto le operazioni sul fronte eritreo dall’inizio fino al 18 novembre, quando fu sostituito dal mare­ sciallo Badoglio. Il generale Melchiade Gabba era stato suo capo di S.M. 46 II generale Ugo Cavallero, allora presso lo Stato Maggiore Generale. 47 Ferruccio Lantini, già presidente della Confcommercio, allora sottose­ gretario alle Corporazioni.

Millenovecentotrentacinque

143

zione clausola n.p.f. in rapporto ai contingenti, e per regolare, se possibile, rapporti commerciali italo-americani tenendo conto an­ che nostra necessità stabilire premi esportazione cui Washington risponderebbe con anti-dumping; b~) se si possa influire su persone dell’ambiente industriale e finanziario in rapporto rifornimenti attuali all’Italia; c) in generale influire su ambienti americani a favore Italia nelle attuali controversie. Agli Esteri sono propensi a credere che missione serva poco. Leggo tutti telegrammi Rosso e mi convinco inutilità attuale della missione; e anche Buti e Guarneri48 sono di questa opinione. Facciamo riunione Lantini, Suvich ed io. Lantini insiste. Si de­ cide proporre a Mussolini di telegrafare a Rosso per avere suo av­ viso, ma dopo mia intervista con Mussolini (vedere oltre) viene sospeso telegramma a Rosso e telegrafato a Grandi. Appunti per discorso da fare a Mussolini La crisi abissina mi sembra molto grave per sé, ma anche, da un punto di vista più largo, in quanto minaccia la rottura defini­ tiva del fronte di Stresa che — data anche l’attuale attitudine della Germania verso di noi — si conferma rappresentare la linea continuativa migliore della nostra politica estera. Bisogna oggi, anziché provocare l’Inghilterra con articoli vio­ lenti di stampa (vedi Bottai), cercare di lavorare nel nostro inte­ resse con gli stessi metodi che adopera l’Inghilterra. Si può e si deve portare il problema sul piano dell’assurdità politica ed eco­ nomica di continuare nella situazione attuale che ci trascina ad una guerra europea in cui l’Italia si troverà fatalmente a fianco di una Germania pronta a sfruttare le complicazioni dell’ora. Già il Governo inglese si propone una politica di riarmo. Una transa­ zione ragionevole e dignitosa ci darebbe forse meno di quello che potremmo conquistare con le armi, ma potrebbe essere negoziata con l’Inghilterra e la Francia contro altri vantaggi. D’altronde: — l’Italia ha dimostrato di saper organizzare una spedizione

48 Gino Buti, direttore generale della divisione Affari Europa e Mediterra­ neo al ministero degli Esteri. — Felice Guarneri, allora sovrintendente agli Scambi e Valute.

144

Millenovecentotrentacinque

coloniale in grande stile ed è riuscita a dare l’impressione di una notevole efficienza militare; — il Paese ha dato una prova meravigliosa di patriottismo e di solidarietà; — possiamo affermare che le popolazioni locali ci hanno ac­ colto bene e vari Ras sono passati a noi; — è ormai assicurata una ipoteca politica su buona parte dell’Abissinia e forse una ipoteca economica su tutto quanto quel Paese. Si potrebbe per es. studiare la formazione di una «compagnia dell’Etiopia» sul tipo della Compagnia delle Indie inglese e di quella olandese, a cui affidare l’amministrazione del Paese. Que­ sta forma sarebbe forse più digeribile alla Società delle Nazioni e praticamente l’Italia dominerebbe lo stesso. Per una compagnia di questo tipo si potrebbe poi facilmente ottenere dei finanzia­ menti da parte inglese e soprattutto americana. Un tentativo di ragionevole compromesso e di sistemazione — sia pur duramente ma abilmente negoziato — ci ridarrebbe, in caso di fallimento, la possibilità di riprendere l’azione militare con molto maggior giustificazione e riversandone la responsabi­ lità sugli altri. 29 novembre, sera MUSSOLINI

Vorrebbe che andassi in America per influire su quegli am­ bienti contro estensione embargo sul petrolio ed in generale rela­ tivamente alle tesi italiane nel conflitto italo-abissino. Rispondo che mi sembra tardi. Attitudine del Governo di Roosevelt ormai delineata. E poi la questione etiopica oggi si ri­ solve a Londra: vai più accorciare di un mese la guerra che otte­ nere petrolio o rame per un mese di più. Mussolini dice che telegraferà a Grandi per sentire se sia d’accordo su convenienza mia andata a Londra. Mussolini mi accenna agli studi di Peterson e St. Quentin49 a Parigi. Dopo aver accennato a darci le zone al nord dell’8° paral49 Due esperti, l’inglese Maurice Peterson e il francese René Saint-Quen-

Millenovecentotrentacinque 145

lelo e ad est del 40° meridiano sono arrivati al 38° e poi al 37°, ma non basta. Fanno difficoltà anche per il Tigrai (ho l’impres­ sione che noi per il Tigrai accetteremmo forse anche uno Statocuscinetto). Espongo a Mussolini mie considerazioni varie (vedere note precedenti). Egli non si pronuncia ma non si rabbuia e riconosce che dalla Germania non c’è da aspettarsi appoggio alcuno. Considera gravemente scosso il fronte di Stresa. Gli riparlo delle chartered, ma evidentemente egli le sente poco. Insisto sulla possibilità per una chartered di avere prestiti per valorizzare la colonia. Insisto che se noi usciamo troppo esausti finanziariamente (Thaon mi ha dato confidenzialmente ci­ fre impressionanti) non potremo mostrare al mondo di saper fare opera di riorganizzazione e sfruttamento economico e di popola­ mento per cui...

Raccolgo nei vari ambienti militari, politici ed economici di Roma impressioni molto pessimiste. Mi si assicura che anche Mussolini ha passato giornate nere e non ha nascosto ai suoi più intimi le sue preoccupazioni. Con taluno si sarebbe mostrato ad­ dirittura depresso. [Roma,] 9 dicembre 1935 MUSSOLINI

Dopo intervista relativa a questioni fiscali mi accenna alle voci ancora non confermate che proposte anglo-francesi per Etio­ pia si basino, in seguito ai colloqui di Parigi Hoare-Laval, sui se­ guenti punti: a} concessione all’Italia in proprietà del Tigrai (quanta parte?), della Dancalia e dell’Ogaden (confini imprecisati); b) Axum città indipendente con corridoio di collegamento con Abissinia; c) porto sul Mar Rosso all’Abissinia collegato con corridoio (Assab, Zeila o Gibuti);

tin, che per incarico dei governi di Londra e di Parigi avevano abbozzato un piano tecnico per risolvere l’aspetto territoriale del conflitto italo-etiopico.

146 Millenovecentotrentacinque

d) costituzione di una chartered company cui sarebbero affi­ date le zone non cedute in dominio diretto e comprese tra 1’8° parallelo al nord ed il 36° meridiano ad ovest. Resto poco tempo e Mussolini non ha modo di commentare, salvo per dire che aspetta conferma più dettagliata e che ha l’im­ pressione che ora gli inglesi cerchino di dévancer i francesi nelle concessioni per creare attrito tra Francia e noi. Accenna pure alla assurdità della richiesta relativa ad Axum. Dico a Mussolini che — nonostante telegramma affermativo di Grandi — ritengo oggi inutile mia andata a Londra visto che siamo alle strette di un negoziato diplomatico. Egli assente. [ministero] esteri

Cerruti ha telefonato di aver visto Vansittart e sembra che non verrà comunque messo l’aut-aut all’Italia, ma si chiederà se considera le proposte come una base di negoziato od almeno se è pronta a fare delle controproposte. Si rimanderebbe intanto (od «in tal caso»?) la riunione dei Diciotto50 del 12 e quindi l’em­ bargo sul petrolio. Riunione con Suvich, Aloisi, Guariglia, Buti, Guarnaschelli e Cerulli51. Si discute la mia proposta di studiare una chartered company.

Raccolgo diffusa impressione che sarebbe bene di essere con­ cilianti. Quali saranno le nostre risórse finanziarie e quale l’a­ nimo del Paese fra qualche mese? Benni52 mi dice che il Re ha — in occasione della firma reale di stamane — elogiato Mussolini per il suo discorso all’apertura della Camera.

50 Comitato della SdN incaricato di formulare proposte circa l’estensione delle sanzioni. 51 Enrico Cerulli, funzionario del ministero delle Colonie. 52 A.S. Benni era ministro delle Comunicazioni.

Millenovecentotrentacinque

147

[Roma,] 10 dicembre 1935 Cerruti telegrafa che in una conversazione con Vansittart questi ha detto che è difficile dire chi sia stato più matto in tutta la faccenda.

Lavoro alcune ore con Guariglia, Buti, Cerulli e Guarnaschelli a preparare memo desiderato dal Capo circa la chartered co. prendendo per base le tre formate per il Benadir, il Kenya ed il Tanganika su concessione del Sultano di Zanzibar. Vedo Volpi55 molto pessimista. Ha veduto De Bono che gli ha riferito di aver detto a Mussolini che non possiamo illuderci di ottenere prima delle piogge primaverili una grossa vittoria. Gli abissini si ritireranno ancora e noi non potremo avanzare in fretta. Volpi considera che viviamo giornate tragiche: Mussolini, se continua la guerra rifiutando le proposte Hoare-Laval, ha da­ vanti a sé un avvenire oscuro; se accetta, deve affrontare i pro­ blemi della smobilitazione militare ed industriale con la cassa vuota. Parla di pazzia.

[Roma,] 19 dicembre 1935 - XIV lersera Gran Consiglio. Non ho dettagli discussione ma so che Costanzo Ciano a un certo momento ha suggerito che si ri­ spondesse alla proposta Hoare-Laval dicendo che poiché non si tratta di una proposta ne varietur e quindi è da ritenersi suscetti­ bile di modifiche, l’Italia è disposta a considerarla come una base di discussione. Mussolini ha risposto che pensava che una rispo­ sta data prima della discussione odierna ai Comuni avrebbe co­ munque reso più difficile la posizione di Baldwin (nel frattempo era giunta la notizia delle dimissioni di Hoare). Volpi si era pure dichiarato favorevole a una risposta di accettazione di massima. Mussolini aveva pronti tre ordini del giorno che erano di ac­ cettazione di massima, ed il meno duro dei tre era proprio il suo in confronto ai due progetti preparati agli Esteri. Come si conci-53

53 Allora presidente della Confindustria.

148 Millenovecentotrentacinque

lia questo col discorso di ieri stesso a Pontinia? Tale discorso, specialmente per le parole «l’Italia non subisce né jugulazioni (sanzioni) né mistificazioni» (col che si è ritenuto che mirasse alle proposte Hoare-Laval), ha creato qualche malumore negli am­ bienti francesi e inglesi. Se ne è lagnato Chambrun54 con Suvich, e Grandi ha telefonato che tutto il tono del discorso e quello della stampa italiana di crescente critica del progetto avevano contribuito a irritare il Governo inglese, accusato invece dalla stampa inglese e da larghe sfere parlamentari di aver offerto troppo; si era data cosi una buona arma a Baldwin per abban­ donare la difesa di un progetto che il Negus non accetta, la So­ cietà delle Nazioni accoglie male ed anche l’Italia, pur senza aver risposto ufficialmente, sembra disprezzare. Agli Esteri si sarebbe voluta una accettazione sollecita del piano da parte di Mussolini. Si ritiene che, se l’Italia avesse fatto questo gesto, la Francia lo avrebbe considerato come un atto di solidarietà e avrebbe avuto una buona ragione per disinteressarsi gradualmente delle sanzioni e, certo, per non votarne di nuove.

[Milano,] 27 dicembre 1935 Attolico, andando da Berlino a Roma, si ferma qualche ora a Milano per vedermi. Concorda con me in molte cose, ma avrebbe voluto l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni. Pensa co­ munque che ora — dopo il fallimento del tentativo Hoare-Laval — si dovrebbe lasciare Ginevra. Otterremo di più come com­ penso per rientrare di quello che ci daranno perché si resti. Avrebbe voluto da Lavai una politica molto più forte a nostro favore quando l’Inghilterra mandò la Home Fleet nel Mediterra­ neo senza invito della SdN e senza preavvisare la Francia, che pure è potenza mediterranea.

Dice che Cerruti dovette lasciare Berlino55 perché per la terza volta il Governo tedesco ne chiese il ritiro. Quando parti non fu ricevuto né da Hitler né da Goering. Attolico afferma di

54 Charles Pineton de Chambrun, ambasciatore di Francia a Roma. 55 Vittorio Cerruti era stato alI’Ambasciata di Berlino dall’agosto 1932 al luglio 1935, quando fu sostituito da Attolico.

Millenovecentotrentacinque 149

aver scongelato l’atmosfera cominciando col discorso di presenta­ zione fatto di propria iniziativa e senza preventiva autorizza­ zione di Roma. Afferma che Hitler — nonostante l’attitudine dell’Italia dopo l’intesa con la Francia e gli attacchi personali — non è maldispo­ sto e ne dà a riprova la neutralità assoluta della Germania assicu­ rando che anche se gli Stati Uniti decidessero di limitare le esportazioni verso l’Italia la Germania non seguirà. Dice Attolico che nelle recenti interviste dell’ambasciatore Phipps56 con Hitler e Neurath a proposito del patto aereo, non solo gli inglesi hanno parlato di un patto limitato a Gran Breta­ gna, Francia e Germania, cioè trascurando l’Italia, ma hanno svolto il seguente ragionamento: «In base a tale patto la Gran Bretagna dovrebbe, in caso d’attacco da parte francese alla Ger­ mania, intervenire contro la Francia e ciò le riuscirebbe facile data la sua posizione geografica rispetto alla Francia. Nel caso in­ verso la Gran Bretagna non potrebbe compiere tutto il suo do­ vere a fianco della Francia se non avendo delle basi aeree in Belgio e Francia». Questo progetto che, messo in questi termini, Hitler respinse nettamente, prova quale intimità d’accordo esista tra In­ ghilterra e Francia (tesi Balfour: frontiera al Reno) e come l’Italia non debba illudersi che Londra possa preferire Roma a Parigi.

Attolico afferma che la Germania non è pronta a marciare con l’Italia se si venisse ora ad una guerra europea. Gli apprestamenti militari non sono finiti. Soprattutto non c’è ancora quell’amal­ gama tra partito e paese che solo permette di affrontare una guerra. Però la posizione di Hitler è forte. Egli si rivela veramente il più forte. Anche di salute va meglio. Attolico dice che l’Italia ha fatto approcci col Giappone per offrirgli un’alleanza... dopo averlo trattato malissimo ed accusato di fornicare col Negus ecc. Risposta negativa.

Attolico dice di aver avuto conferma a Berlino che l’Inghil­ terra ha fatto pressioni a suo tempo sulla Cina perché non invo56 Sir Eric Clare Edmund Phipps, ambasciatore di Gran Bretagna a Ber­ lino. Von Neurath è il già citato ministro degli Esteri tedesco.

150 Millenovecentotrentacinque

casse a Ginevra l’applicazione dell’art. 16 57 e di averlo accennato all’ambasciatore inglese a Berlino. Dice che Eden — antico segretario e scolaro di Austen Chamberlain — è un uomo duro, perfino crudele. Lo crede por­ tato ad una politica continentale. Lo ha visto molto frequente­ mente quando fu a Mosca perché Chamberlain lo aveva invitato a farlo ricordando la collaborazione durante la guerra.

57 Quando nel 1931 fu aggredita dal Giappone, la Cina non invocò l’appli­ cazione dell’art. 16 del Patto della SdN, che stabiliva: «Se uno Stato membro della Società ricorre alla guerra contro un altro Stato membro... esso sarà ipso facto considerato come avente commesso un atto di guerra contro tutti gli altri membri della Società. Questi si impegnano a rompere immediatamente con esso ogni relazione commerciale o finanziaria...», ecc.

1936

Roma, 10 gennaio 1936 Vedo Mussolini, Suvich, Guarìglia, Cerruti, Contarmi, Pilotti (da Ginevra), Theodoli MUSSOLINI

Io accenno ad invito di Alfieri1 perché faccia radiocomunica­ zione al Sud America e di Cerruti perché parli a Parigi. Se è utile che abbia ancora qualche contatto personale riservato con am­ bienti esteri è meglio che non entri nella categoria di quelli che «tirano schiaffi» ed io penso che all’estero si deve parlare con un tono che — se lo adoperassi — mi farebbe crocifiggere dai nostri energumeni interni. Mussolini dice che io resti in riserva sebbene, la conferenza a Parigi sembrandogli interessante, si riservi di parlarne con Cer­ ruti che deve vedere. Passo allora ad esporgli le mie impressioni sulla situazione di­ cendo che sarò giudicato da lui pessimista, ma che cercherò di es­ sere anche costruttivo:

Perìcoli della situazione 1. L’Inghilterra è un nemico paziente. Mussolini commenta: «Anche noi siamo pazienti», io riprendo: «Non credo sia oggi an­ siosa di applicare l’embargo sul petrolio: tre o sei mesi di più o di 1 Dino Alfieri, allora sottosegretario alla Stampa e Propaganda.

152 M illenovecentotrentasei

meno per arrivare ad esaurirci le importano poco e sa che se cre­ scono i nostri acquisti di benzina ecc. svaniscono le riserve auree. Questa della scadenza sicura delle nostre possibilità di acquisti all’estero è naturalmente la più grave delle difficoltà». Mussolini risponde: «Avevamo ancora al 31 dicembre u.s. tre miliardi e diciassette milioni di oro da cui vanno dedotti i 300 milioni della BRI»2 (le cifre sono esatte e mi fa piacere che mi dica la verità). Io commento: «Abbiamo però contropartite debitorie per somme assai maggiori», e Mussolini risponde: «Non è colpa no­ stra, ma dei paesi sanzionisti se non potremo pagare».

2. Il discorso di Roosevelt3 ci è pericolosamente ostile per­ ché è proprio una ripresa di quel motivo wilsoniano della neces­ sità per le democrazie pacifiste di colpire gli imperialismi, motivo che ha già portato gli Stati Uniti fino alla guerra nel 1917 e che comunque ha larga risonanza nella pubblica opinione di molti paesi. Mussolini dice: «Ella ha ragione. E proprio come ai tempi di Wilson. E pensare che chi parla cosi è il maggior autocrate che segga oggi al potere! e proprio nei giorni in cui la Corte Suprema dichiara incostituzionali i suoi atti!». 3. All’attitudine avversa di Roosevelt si aggiunge l’incidente con la Svezia (Croce Rossa)4 e l’uso dei gas da parte nostra. Mus­ solini mi interrompe per dire che ha dato severe istruzioni in pro­ posito. Io riprendo: altri incidenti saranno inevitabili; cosi è la guerra. Inoltre i danni economici che risentono i paesi sanzionisti ed il danno indiretto creato dalla perturbazione politica (sette mi­ liardi di minusvalenza dei titoli sulla Borsa di Parigi) convertono 2 Banca dei Regolamenti Internazionali. 3 II messaggio al Congresso degli Stati Uniti del 3 gennaio. 4 II 30 dicembre 1935, in Somalia, durante un bombardamento compiuto dall’aviazione italiana come rappresaglia per l’uccisione di un ufficiale cattu­ rato dagli etiopi, era stato colpito un ospedale da campo della Croce Rossa sve­ dese: tra il personale medico svedese c’erano stati un morto e un ferito. Il Go­ verno di Stoccolma aveva presentato una formale protesta a quello italiano e ne era seguito uno scambio di dure note. In precedenza il ministro d’Etiopia a Ginevra e lo stesso Hailé Selassié avevano più volte denunciato casi di violazione dell’emblema della Croce Rossa e uso di gas tossici da parte italiana.

Millenovecentotrentasei

153

a poco a poco il sentimento antisanzionista di molti ambienti in un risentimento verso noi, causa, si dice, di tutto ciò. 4. Far guerra all’Inghilterra? Le caveremo un occhio ed essa ce ne caverà due. Mussolini commenta: «E esatto». Poi ha uno scatto: «Però a luglio avremo più di 80 sottomarini e stiamo co­ struendo aeroplani». Io: ma oggi sarebbe la guerra contro tutti. Il discorso di Lavai5 si riassume in questo ammonimento.

5. Possiamo gettarci nelle braccia della Germania? A me ri­ pugna l’idea: a un anno dagli accordi franco-italiani!6 Ma certo potrebbe diventare un dovere di pensare a questa soluzione se la Germania fosse pronta e disposta e tanto più se il Giappone po­ tesse entrare terzo nella compagnia. Ma il Giappone fa da sé e la Germania non è pronta, e poi essa non ci stima e non si fida di noi. Mussolini alle parole «non è pronta» fa un cenno come per dire «è quasi pronta», poi soggiunge: «Non si fida, è vero, ma oggi ci stima». Io insisto (anche perché so che Galeazzo Ciano sa­ rebbe favorevole a che si andasse verso la Germania): se la Ger­ mania ci può dare subito un aiuto concreto allora la situazione è da esaminare seriamente. Ma altrimenti Γavvicinarsi ad essa non ci serve o quasi come arma tattica e ci aliena ancor più il resto del mondo. Per parte mia giocherei la carta francese piuttosto che quella tedesca. Mussolini dice: «Sono d’accordo» (è sincero?). 6. Possiamo sperare in un successo militare determinante? Possiamo sperare in uno sfacelo interno abissino? Qui Mussolini è esplicito: «Non c’è oggi che questa strada; abbiamo davanti a noi quattro o cinque mesi prima delle piogge. Sto mandando altre divisioni. Avremo un grosso successo mili­ tare. Allora il Negus cambierà mentalità e se anche non ci sarà la trattativa diretta con noi, egli farà capire a Ginevra che è dispo­ sto alle concessioni».

5 Allude probabilmente al discorso pronunciato da Lavai alla Camera fran­ cese durante il dibattito del 27-28 dicembre ’35 sulla politica francese nei con­ fronti dell’Italia, della Gran Bretagna e della SdN. 6 Gli accordi Laval-Mussolini del 7 gennaio 1935.

154 Millenovecentotrentasei

Rispondo: sono lieto di quanto Ella mi dice, ma ciò non to­ glie la mia impressione che bisogna che noi trattiamo fin d’ora con Ginevra, naturalmente con la tattica opportuna. Come già per il Chaco7 c’è stato alternativamente l’intervento conciliativo della Lega e quello dei paesi limitrofi, cosi per l’Etiopia; ora è purtroppo fallito il tentativo dei limitrofi (Francia e Inghilterra) e bisogna fare il tentativo con la SdN qualunque cosa esso costi al nostro amor proprio. Mussolini ha uno scatto: «L’ho scritto e sottolineato a Lavai che le proposte Hoare-Laval non sono cadute per colpa mia. Le proposte devono essere serie e attendibili e presentate non attra­ verso indiscrezioni giornalistiche, per poter essere prese in consi­ derazione. Non avrei mai fatto il concordato con la Chiesa se la discussione si fosse svolta tra le polemiche di milioni di cattolici da una parte e di milioni di non cattolici dall’altra!». Mussolini continua dicendo che Vannutelli8 è stato da lui e gli ha parlato delle buone disposizioni del Belgio di essere inter­ mediario per un nuovo tentativo di conciliazione. Egli ha espresso la sua simpatia, ma ritiene il Belgio troppo legato a Lon­ dra. D’altronde Londra e Parigi si palleggiano la responsabilità delle indiscrezioni fatte da Pertinax9 e da < > per silurare il passo Hoare-Laval. Io riprendo e riassumo il mio pensiero allo stadio attuale delle cose come segue: a) Occorre tentare di ottenere un rivolgimento della pubblica opinione all’estero e comunque occorre che l’Italia faccia a Gine­ vra — possibilmente davanti all’Assemblea, convocabile forse per le ragioni che dirò più innanzi — un grande discorso storico che: richiami i precedenti; riporti la questione nelle sue propor­ zioni; protesti per il mancato processo all’Abissinia e per la con­ danna senza processo all’Italia; insista sugli argomenti che fanno presa come la necessità di espansione, l’azione pacifica svolta dal­ l’Italia in Europa ecc. ecc. Non basta il discorso, tardivo d’al­ tronde, di Aloisi10. «E poi, Presidente, questo discorso a Ginevra

7 Cfr. nota 26/1935. 8 Luigi Vannutelli Rey, ambasciatore a Bruxelles. 9 Pseudonimo del giornalista francese Henri Gérand, dell’«Echo de Paris». 10 II già citato discorso all’Assemblea del 10 ottobre 1935.

Millenovecentotrentasei

155

dovrebbe andare Lei a farlo; senza preannunciare la sua parteci­ pazione personale come capo della delegazione italiana e senza ri­ manere dopo per le discussioni». Mussolini sorride e dice solamente: «Ma l’Assemblea non è alle viste...» b) Occorre tendere a far nominare a Ginevra una ristrettis­ sima commissione che tratti (o se si vuole: «studi») una solu­ zione del conflitto in modo continuativo e segreto e cioè evitando giornalisti e ultimatum. So che taluni che furono tra i più accesi fautori dell’impresa abissina oggi vorrebbero una pace qualsiasi prima del 20 corr. Anch’io temo che il tempo possa lavorare con­ tro di noi, ma per uscirne bene bisogna oggi non lasciarsi pren­ dere dal panico e riprendere pazientemente le fila di un nego­ ziato. Mussolini m’interrompe: «Si, sono d’accordo, perché è im­ possibile che noi ci sediamo al tavolo del negoziato senza aver già stabilito prima segretamente quasi tutto. Da quel tavolo non si può alzarsi senza concludere...» c) Occorre intanto cercare di distrarre la pubblica opinione mondiale dal conflitto italo-etiopico e possibilmente annegare quest’ultimo in un qualche più vasto problema a Ginevra stessa. So la difficoltà di suggerire un tema od una procedura precisi. Certo se si potesse far discutere da una conferenza i bisogni d’e­ spansione di certi popoli ed arrivare ad una ridistribuzione dei mandati... Ricordo che 11 parlava di cedere Tanganika e la Francia cedesse il Camerun alla Germania. Mussolini commenta: «Ah! se ci dessero il Tanganika! Ma non credo e la Francia non vuol dare niente alla Germania. Quanto a mandati nel Mediterraneo, non mi interessano». Poi Mussolini passa lui al problema dell’embargo sul petrolio. «Non lo temo per i rifornimenti. Abbiamo scorte: 400.000 tonn. di benzina, 1.000.000 di nafta; abbastanza per una guerra nel Mediterraneo di dieci mesi e piu; e in Colonia ne abbiamo per 4 a 6 mesi. E potremo rifornirci anche negli Stati Uniti fino al 1° marzo e dopo forse ancora nel Venezuela... Quello a cui devo pensare è la questione morale e politica. Come restare a Ginevra se mettono l’embargo? non lo posso!» Io: «Grave è il problema. Evidentemente si è portati verso la decisione di ritirarci, ma cresceranno le ostilità per es. in Francia, 11 II ms è deteriorato.

156 Millenovecentotrentasei

dove tutti tengono alla Lega, e poi... Potremo, negoziando succes­ sivamente il ritorno nella Lega, ottenere di più che restando? Io penso che prima di porci definitivamente il problema si possa an­ cora agire per evitare l’embargo sul petrolio facendo sentire, con l’opportuna discrezione e senza debolezze, che siamo disposti a trattare con Ginevra (e non continuando a insolentire l’istituzione e gli uomini, non, per es., indisponendo Avenol12 con ripetuti at­ tacchi personali sui giornali), e contemporaneamente minacciando di bombardare Addis Abeba, Dire Daua e la ferrovia di Gibuti, dopo preavviso per l’evacuazione dei forestieri, se le sanzioni ven­ gono aumentate. Tale stretta di vite ci obbliga infatti a cercare di accorciare la guerra, ma la nostra reazione non la facciamo contro le navi inglesi nel Mediterraneo, ma in Etiopia». Mussolini mi risponde: «Ma sa lei che oggz i francesi approfit­ tando della situazione ci dicono che un solo soldato italiano nell’Harrar vuol dire la guerra con la Francia? e cioè la Francia con­ sidera quella zona come anche politicamente sotto la sua in­ fluenza? Pure Lavai mi aveva dato mano libera! e le sue riserve erano limitate agli interessi economici della ferrovia di Gibuti!13 La storia mi darà ragione!». (Risulta dunque, e Suvich me lo ha confermato, che la Fran­ cia, dopo essersi abilmente servita della situazione Italia-Inghilterra-Ginevra per ottenere assicurazioni e patti militari di colla­ borazione da parte di Londra, ora approfitta delle nostre diffi­ coltà per ristabilire suoi diritti non solamente economici, ma po­ litici sulle zone riservate dagli accordi 1906)14 < ... > Impressione generale·, ambiente piuttosto demoralizzato, di­ scorsi pieni di critiche e di pessimismo. Theodoli15 racconta che Lavai, a chi gli ha parlato di possibile guerra dell’Italia se si met­ tesse l’embargo sul petrolio, ha risposto: «Contre qui? avec qui?». Suvich racconta che Lavai parlando di Mussolini ha detto: «Et encore qu’il ne fait qu’une gaffe à la fois...». Critiche diffuse 12 Joseph Avenol, segretario generale della SdN. 13 Cfr. nota 9/1935. 14 L’accordo italo-franco-britannico del 13 dicembre 1906 per la tutela dei rispettivi interessi in Africa Orientale. 15 II senatore Alberto Theodoli, già sottosegretario alle Colonie, presidente della Commissione Mandati alla SdN.

Millenovecentotrentasei

157

a Galeazzo Ciano. Varie persone parlano della vita e del morale delle truppe sotto le tende durante la stagione delle piogge: azione lentamente deprimente. Terra bagnata. Bisognerebbe pre­ parare delle baracche di legno; tempo e spesa.

Vedo cerruti. Dice aver fatto tutto il possibile per far si che Mussolini si pronunciasse subito a favore delle offerte Hoare-Laval. Lavai insisteva in tal senso. Pétain ha detto a Cerruti che l’Italia, in base a detta offerta, metteva definitivamente l’i­ poteca sull’Abissinia ed usciva diplomaticamente trionfante. Cer­ ruti dice che Lavai ed il Quai d’Orsay non si aspettavano che il passaggio di Hoare da Parigi diretto in Isvizzera comportasse un serio tentativo di pace 16. Furono sorpresi della venuta preventiva e del progetto di lungo soggiorno di Vansittart. Si trattava dun­ que di un vero revìrement inglese e di una decisione di trattare. Ora sembra che l’Argentina voglia farsi iniziatrice di un nuovo tentativo di conciliazione. Aloisi ha poi presentato al Capo un progetto per andare al Consiglio di Ginevra del 18 prendendo posizione contro la Rus­ sia a favore dell’Uruguay e ciò per favorire gli Stati sud-ameri­ cani tutti contrari all’URSS. guariglia. Grandi ha visto Eden che si è mostrato cortese assicurando di aver desideri conciliativi. Se l’Abissinia presenterà a Ginevra domanda di inviare com­ missione di inchiesta circa bombardamento italiano di Croci Rosse ecc., l’Italia dovrà subito associarsi domandando esten­ sione inchiesta. Sembra che a Londra ci siano disposizioni a esaminare nuove vie di uscita. Forse digerirebbero comunicazioni tra Eritrea e So­ malia a est di Addis Àbeba, ma è la Francia che non vuole. suvich. Telegramma di Bova Scoppa 17 da Ginevra: il Sul­ tano gli ha riparlato della necessità di studiare una revisione dei mandati (Tanganika, Camerun). Quanto al progetto dei Cin-

16 Quando il 7 dicembre ’35 Hoare andò a Parigi per mettere a punto con Lavai il piano che da essi prese nome, ufficialmente fu detto che il ministro de­ gli Esteri britannico era diretto in Svizzera per un periodo di vacanza. 17 Renato Bova Scoppa, delegato permanente italiano alla SdN.

158 Millenovecentotrentasei

que 18, l’URSS e la Turchia non lo considererebbero più come una base accettabile dicendo che vi avevano aderito quando l’Ita­ lia non era ancora aggressore. pilotti 19. Conferma che già molti mesi or sono il Sottosegre­ tario generale inglese gli aveva accennato alla possibilità di una revisione dei mandati (illusioni dell’ambiente SdN o portavoce dell ’ Inghilterra?).

Roma, 19 febbraio 1936 MUSSOLINI

E molto contento dell’andamento militare in Etiopia. Bado­ glio sta già accerchiando le truppe di Ras Sejum nel Tembien. Ci sarà un nuovo colpo di Graziani. Il Negus dovrà capire che siamo cosi fortificati sulle posizioni conquistate che neppure un eser­ cito europeo ci sloggerebbe. L’Endertà è anche una regione fer­ tile. Egli ha detto ai francesi: «Fate capire al Negus che gli con­ viene chiedere la pace se vuol salvare la parte centrale non amarica». Naturalmente se anche il Negus sarà pronto a trattare, resta la difficoltà di Ginevra e di superare le due frasi fatte: «dans le cadre du Pacte» e «pas de prime à l’agresseur». Accenna alle preoccupazioni inglesi per dover tenere la flotta nel Mediterraneo, ma non a Malta. Accenna di aver ripetuto an­ che a Lord Lloyd che l’Inghilterra non ha nulla da temere dall’a­ zione italiana e che anzi un’Italia forte in Abissinia sarà una pro­ tezione per tutte le colonie inglesi dell’Africa. [ministero]

esteri

Da Gibuti telegrafano (riservatissimo) che Ras Nassibù avrebbe fatto pervenire delle avances per trattare sottomano con noi. La cosa sarebbe importantissima.

18 Cfr. nota 14/1935. 19 Massimo Pilotti, segretario generale aggiunto della SdN.

Millenovecentotrentasei

159

Si ha l’impressione che il nuovo re d’Inghilterra non ami Eden. Neppure lo amano i vecchi del partito conservatore. In ge­ nerale sembra proprio che l’Inghilterra cominci a pensare che ha sbagliato strada. La Russia non intende fare sul serio verso il Giappone. Non è pronta. La Germania dice che non può trattare questioni di disarmo fin dopo la risoluzione del conflitto abissino. Lo fa solo per gua­ dagnar tempo. A Londra la Francia si è opposta a che si chiamasse la Ger­ mania alle discussioni navali. Ora si è arrivati ad un accordo tec­ nico qualitativo che all’Inghilterra importa di veder sanzionato perché sta per sviluppare il suo nuovo programma di riarmo. Francia e Inghilterra sarebbero d’accordo di parafare attendendo però a darvi corso fino a che sia risoluta la questione generale del riarmo tedesco (parte V del Trattato)2G. Ma l’Italia ha dichiarato che non può trasformare le discussioni tecniche in accordi politici finché durano le sanzioni. Il Capo ritiene che Ginevra estenderà le sanzioni al petrolio sperando con ciò di gettare la responsabilità sull’America e di in­ durla ad applicare la nota formula. Ma forse l’America reagirà in senso opposto, seccata di questo tentativo e di questa pressione. volpi dice che tanto Ciano Costanzo20 21 quanto Denti di Pi­ raino (Capo della Flotta) sono seriamente preoccupati perché da comunicazioni intercettate risulta che l’Inghilterra manda anche la corazzata Nelson ad Alessandria e vi si reca il Capo della Ma­ rina inglese. Che cosa vuole l’Inghilterra? Voci che giungono af­ fermano che gli inglesi sperano ancora di far cadere Mussolini. Situazione di Tesoreria grave (2.5 miliardi di scoperto) e di bilancio pure grave (deficit gennaio 200 milioni, e spese per la guerra un miliardo nel solo mese di gennaio).

ΤΗΛΟΝ però mi dice che per un anno non ci saranno sorprese.

20 Trattato di Versailles (1919). 21 Costanzo Ciano era allora presidente della Camera dei Deputati. — Sal­ vatore Denti di Pirajno aveva avuto da pochi giorni l’alto comando.

160 Millenovecentotrentasei

Questione abissina: note polemiche22 I. Sottovalutazione dello sforzo bellico italiano, dei sacrifici fatti, del contributo alla vittoria (mancata propaganda). IL Pace di Versailles — Ingiusta verso l’Italia — Mancata assegnazione colonie mentre Inghilterra e Francia... (cifre). Quasi nessun compenso nelle riparazioni perché assorbite quasi intera­ mente dai debiti di guerra. III. La Società delle Nazioni e l’Italia — Accompagnarono la nascita della SdN alte speranze di una maggiore fratellanza tra i popoli, e in particolare l’Italia poteva sperare di vedere favorito il movimento di merci, di uomini, di denaro da Paese a Paese. Il bilancio di questi 15 anni è stato la chiusura delle frontiere all’e­ migrazione, le sempre più alte barriere doganali, l’anemizzarsi del credito internazionale. Insuccesso della SdN nel campo del disarmo e sua incapacità a far accettare un riarmo, ma limitato, della Germania. Incapa­ cità di intervento efficace (λ) in altri casi di revisione pacifica, (£) nei conflitti del Manciukuo 2\ del Chaco ecc. Come stupirsi della delusione e della diffidenza italiane? (Io a Ginevra, ma poi...) IV. Il problema dell’espansione italiana: dati demografici, mancanza di risorse naturali ecc. C’è qualcuno che crede sul serio che la SdN avrebbe mai pro­ curato all’Italia un solo metro quadrato di territorio attraverso una revisione dei mandati o la cessione di qualche colonia da parte di uno dei suoi membri? Nella storia non ci sono prece­ denti di generosità del genere! Colonie risolvono problema demografico? Forse no. Tuttavia... V. I precedenti coloniali di altri Paesi (v. articolo ). La guerra boera. Riconoscimenti francesi: è giusto che gli italiani facciano come noi nel Marocco. VI. La capacità colonizzatrice italiana. 22 Pur essendo stato contrarissimo (vedere documenti archivio, posizione Etiopia) alla guerra all’Abissinia, alla condotta diplomatica verso la SdN ecc., ho creduto mio dovere di preparare alcune note polemiche per discorsi nei con­ tatti esteri. [Nota di A.P. degli anni 50]. 2J Lo Stato fantoccio creato nel 1932 dai giapponesi in Manciuria e tenuto in piedi nonostante la solenne censura pronunciata dalla SdN. — Per il Chaco vedi nota 26/1935.

Millcnovecentotrentasei

161

VII. I patti relativi all’Abissinia (compenso per mainmise in­ glese nel Sudan e nel Kenya). Vili. Giustificazione azione italiana verso Abissinia: — ammesso diritto espansione italiana — ammesso l’esempio dell’azione coloniale di altri Paesi (eterno contrasto tra il principio di indipendenza e quello di civilizzazione) — ammessa capacità colonizzatrice italiana — ammessi patti relativi a diritti speciali dell’Italia nello sfrut­ tamento economico dell’Abissinia. Tutta l’opposizione all’azione italiana si impernia sopra l’appar­ tenenza dell’Abissinia alla SdN e gli impegni assunti dall’Italia come membro della Lega. Ma: d} inadempienze verso la Lega: riserve sotto cui l’Abissinia fu ammessa a Ginevra e sua non ottemperanza; dice la G.B.: io ho votato < ... > si risponde: ha barato b} mancanze verso l’Italia: i raid, le provocazioni, la mancata esecuzione dei patti l’Italia tentò più di ogni altro Paese una politica di amicizia c) l’Italia non poteva aver fiducia nella Lega; ed era giustificata dai precedenti a ritenere che anche una sua azione isolata non avrebbe incontrato seri ostacoli da parte della Lega: Precedenti Giappone e Cina «Times» del gennaio 1933 Si dice (Hoare)...! Si dice Cina non invocò... ma... G.B. manda missione Guerra del Chaco Riarmo tedesco - azione unilaterale d) G.B., pur essendosi assicurata posizione di privilegio nei voti, sempre riluttante a impegnarsi a Ginevra ed a far fun­ zionare sul serio Ginevra (Balfour, Cecil, Austen Chamberlain) Vedere precedenti sopraccennati (Patto Kellog) Lettera Amery al «Times» circa precedente 1925 per Proto­ collo Proposta Gov. Kenya 1926 dopo che Abissinia SdN Eden e mandato su Liberia. Dunque è questione non di moralità internazionale, di rispetto

162 Millenovecentotrentasei

alla parola data, ma di expediency di caso per caso. E allora: — non è l’Abissinia indegna? e non sarà un beneficio...? — non è l’Italia bisognosa? — non è meglio questo che provocare un grosso vespaio chie­ dendo Tunisi alla Francia e non so quale colonia alla G.B. o al Belgio o all’Olanda o al Portogallo? — o si doveva chiedere una redistribuzione dei mandati? e chi si sarebbe prestato? Precedente del 1856... Protocollo...! e) Accordo con la Francia ed illazioni Se l’Italia è... un ladro c’è per lo meno un po’ d’ironia nel ve­ dere chi aveva promesso di... tenere il sacco partecipare oggi alla condanna dell’Italia come giudice e come esecutore! IX. La procedura seguita dall’Italia: — è vero che l’Italia tardò a parlare a Ginevra — è vero anche che l’Italia ha irriso alla Lega. Ma tutto quanto è stato detto sopra ben può spiegare i senti­ menti e l’attitudine italiani, e d’altronde sono sempre da valutarsi cum grano salts i discorsi ed articoli... per uso interno. E poi... anch’io detesto certe reclame che fa la mia Società e le trovo di cattivo gusto, ma il mio ufficio pubblicità mi dice che per ottenere l’effetto bisogna ricorrere a colori sgargianti. D’altra parte: d} questione poteva rientrare nell’accordo tripartito... (infatti Ginevra) b) invio truppe non certo di nascosto, e soprattutto: c) questione fu portata a Ginevra d) memoriale. La procedura seguita dalla Lega verso l’Italia: — non si prende in serio studio il memoriale dell’Italia — il Comitato dei 5 riconosce... ma...! Si poteva riprendere il precedente di Ual-Ual. X. La questione italo-inglese: — ingiustizia attitudine inglese sta anche nella contraddizione con tutti i precedenti della sua politica generale — la «conversione» doveva proprio farsi ai danni di un Paese che si colma ancor oggi di assicurazioni di amicizia e simpa­ tia? — ingiustizia particolare di ostacolare azione italiana in Abissinia: già si è accennato accordi italo-inglesi dopo che

Millenoveccntotrentasei

163

Abissinia e SdN... (economici si ma...) proposta Governo Kenya per mandato proposta Eden per Liberia. Motivi dell’attitudine inglese: — elezioni — questione riarmo, prestigio imperiale, via marittima e ae­ rea delle Indie, e via aerea e terrestre transafricana — reazione contro supposte mire anti-inglesi dell’Italia — antifascismo Per quanto da parte inglese si voglia ingrossare e svisare pa­ role e attitudini italiane nei riguardi inglesi cosi da far credere che l’Italia, e anche l’Italia ufficiale, avesse mire anti-imperiali (vedere precedenti commenti sulla stampa italiana; ma, e gli arti­ coli inglesi? e il «Times»?), nulla può giustificare i due errori di fondo che sta facendo la G.B.: d) in Europa... b) da un punto di vista coloniale, sostenendo ed armando il nero contro il bianco. XI. Ci si dice (Russia, Titulesco)24 che a Ginevra si vuol fare la prova generale (per la Germania). Grazie! Sanzioni Funzioneranno le sanzioni? NO per bloccare l’Italia, perché essa comprerà tutto quello che vuole o dai Paesi neutrali o dissenzienti o dagli stessi aderenti che già avanzano offerte indirette (carbone inglese a mezzo della via del Reno: 200.000 tonn. ecc.). D’altronde l’Italia risponderà, ad ogni Paese che imporrà il divieto d’importazione di merci ita­ liane, col divieto di importare merci di quel Paese; e l’Italia im­ porta più che non esporti. NO per esaurire l’Italia, appunto perché dai Paesi a cui non si esporterà non si importerà, e le cose essenziali si importeranno dai Paesi neutrali o dissenzienti (o attraverso di essi) intensifi­ cando le controcorrenti di esportazione od anche — ma a ciò si era già rassegnati in Italia — attingendo alla riserva aurea. (Que­ sta è decresciuta alquanto negli ultimi tempi perché si sono accu­ mulati i pagamenti delle importazioni fatte a credito in passato, 24 Nicolae Titulescu, ministro degli Esteri di Romania. — Per l’allusione alla Russia ( = Litvinov) si veda l’ultimo capoverso dell’appunto 16 ottobre ’35 relativo a Guariglia (p. 137).

164 Millenovecentotrentasei

con i pagamenti per contanti delle importazioni attuali, e natural­ mente vi si sono aggiunti gli importanti fabbisogni bellici.) Il mondo incominciava a riprendersi. Perché gettarlo in nuove preoccupazioni politiche? Le sanzioni sono un boomerang·, almeno in questo caso, fanno più male a chi le applica che a chi ne è l’oggetto. E stiano attente certe nazioni: le sanzioni fanno intensificare le relazioni econo­ miche tra l’Italia e la Germania, già cosi intime prima del 1914, e la Germania avrà, oltreché gli ordini, anche la gratitu­ dine italiana. Si vuol fare la prova generale per eventuali applicazioni alla Germania? Mal scelta l’occasione: non c’è dietro l’azione di Gi­ nevra né il sentimento dei popoli, né tanto meno la disposizione ad un’azione militare che tutti troverebbero assurda ed immo­ rale, e quindi si otterrà l’effetto opposto di dare la prova o al­ meno l’impressione che le sanzioni economiche e finanziarie non sono applicabili. C’è qualcuno che vuole arrivare — attraverso tale constata­ zione — fino alle sanzioni militari? Si stia attenti. Ciò vuol dire una terribile conflagrazione per una causa ridicola.

[Londra,] 28 febbraio 1936 A Parigi 26-27 febbraio CERRUTI

Ha visto Flandin, Sarraut e Léger25 perché da Grandi è stato telegrafato a Roma che il Foreign Office lasciava intendere essere Parigi che vuole ora l’intensificazione delle sanzioni. Per smen­ tire la cosa Flandin ha fatto leggere suo telegramma a Londra. Parlando delle sanzioni Cerruti ha detto a Flandin che qual­ siasi aggravamento delle sanzioni avrebbe anzitutto come conse­ guenza l’uscita dell’Italia dalla Lega. Richiesto di che cosa vo­ lesse dire «anzitutto» ha risposto: Il resto sarà compito della di25 Dalla seconda metà di gennaio, al Governo Lavai era succeduto quello presieduto da Albert Sarraut, con Flandin agli Esteri. Alexis Léger era il segre­ tario generale del Quai d’Orsay.

Millenovecentotrentasei

165

plomazia, ma comunque abbiate presente che, all’infuori di ogni volontà italiana, il giorno che l’Italia lascia Ginevra si sarà for­ mato automaticamente un gruppo di nazioni dentro e un gruppo fuori (Germania, Italia, forse Giappone). Il discorso si è cosi portato sulle forze dei due gruppi eventuali e Cerruti ha svalu­ tato l’apporto della Piccola Intesa quando manchi la colleganza territoriale Francia-Jugoslavia.

Léger ha creduto di poter interpretare qualche frase di Cer­ ruti a Flandin, riferitagli da questi, come una buona disposizione italiana ad accogliere Xouverture Eden circa una ripresa delle pro­ poste del Comitato dei Cinque. Cerruti ha precisato che egli aveva solo chiesto l’opinione di Flandin ed esposto il parere che dopo le vittorie in Abissinia l’Italia aveva comunque diritto a di più. Pétain26 ha detto a Cerruti che se egli fosse Badoglio avrebbe già fatto saltare il ponte della ferrovia Gibuti-Addis Abeba senza domandare il permesso al suo Governo, cosi come al Marocco era entrato in territorio spagnolo per far prigioniero Abd elKrim con l’accordo bensì di Primo de Rivera, ma non di Parigi. Soggiunge che, se l’Italia interrompesse la ferrovia, egli si impe­ gna di andare personalmente al Quai d’Orsay a dire che aveva fatto bene perché trasportava munizioni.

Pare che i francesi stiano cercando di farsi dare delle conces­ sioni economiche indirette in Abissinia. Il patto con Lavai parla del rispetto delle concessioni precedenti alla data del patto. Il Governo francese ha notificato che si aspetta che il bom­ bardamento italiano rispetti la caserma di Dire-Daua oltre l’ospe­ dale e . Da ciò si dovrebbe dedurre il diritto di fare azioni militari sul resto, mentre i francesi hanno assunto l’attitudine che sarebbe un atto inimichevole se i soldati italiani penetrassero nell’Harrar.

26 II maresciallo di Francia Philippe Pétain, allora fuori del Governo dopo essere stato nel ’34 ministro della Guerra. Nel 1925-1926, in base a un ac­ cordo tra il Governo francese e quello spagnolo di Primo de Rivera, aveva di­ retto la campagna militare di repressione della rivolta dei nazionalisti maroc­ chini nel Rif, catturandone il leader Mohammed Abd el-Krim.

166 Millenovecentotrentasei

Colazione all''American Club

(Vedere mio discorso)27. Siede alla mia sinistra il signor A.E. Southard, Console gene­ rale americano a Parigi, che fu ministro per vari anni ad Addis Abeba dopo esservi stato in missione due volte precedenti. Ha viaggiato l’Abissinia, che considera fertile da un punto di vista agricolo. E più scettico circa la parte mineraria. Conosce molto bene il Negus. Gli disse circa tre anni or sono che, se continuava la sua politica anti-italiana, ci sarebbero stati dei guai. Risposta: «Sono nella Lega e conto su quella». Maffey28 (lo stesso del rapporto giugno 1935) disse a lui a Londra nel 1931 che se l’Italia avesse lasciato all’Inghilterra oc­ cupare il Beni Shangul (dove pare ci sia oro) «they could have the rest». E interamente simpatizzante per l’Italia, che «fa bene ad andare in Abissinia». Conosce bene barbarismo del paese. Crede abbiamo sbagliato completamente la nostra propaganda. Crede poi che avremmo potuto avere per noi Ras Sejum che a lui parlò più volte del Negus con odio. Ras Gugsà conta poco e l’averlo valorizzato ci ha reso più ostile Ras Sejum (attacchi aerei mentre stava per cedere?). Alla mia domanda se del capitale americano sarebbe disposto ad andare in Abissinia risponde: «Se il dominio politico resta in mano agli abissini no certo, ma se passasse a voi credo sicura­ mente di si». (Naturalmente è una impressione personale.)

Londra, 28 febbraio 1936 GRANDI

Il nuovo Re29 è favorevolissimo all’Italia ed a Mussolini (pare che non sia sfavorevole neppure a Hitler). 27 II giorno prima della stesura di questo appunto, 27, Pirelli aveva tenuto un discorso all’American Club di Parigi in veste di presidente dell’ISPI. Il di­ scorso in buona parte ricalcava lo schema delle «note polemiche» sopra ripor­ tate; fu stampato, col titolo Considerazioni sul conflitto italo-etiopico, nella «Rassegna di politica internazionale» dell’ISPI, a.Ili, n. 3, marzo 1936; nc fu­ rono fatti degli estratti, in italiano e in versione francese e inglese. 28 Si veda nota 7/1935. 29 Edoardo Vili, re d’Inghilterra dal 20 gennaio al 10 dicembre 1936.

Millenovecentotrentasei

167

Eden parte per Ginevra ben disposto a lasciarsi trascinare a non mettere nuove sanzioni. Grandi ha l’impressione che questo giovane ministro ha visto a suo tempo che poteva farsi una grande popolarità sfruttando prima elettoralmente e poi parla­ mentarmente la collective security, la Lega ecc. Ha visto aperta la strada a diventare ministro degli Esteri a 38 anni e forse un giorno primo ministro. Però ora ha la responsabilità del ministero degli Esteri e la sente. Qui il Foreign Office ha veramente avuto, o almeno dato a Grandi, l’impressione che fosse la Francia desiderosa ora di in­ tensificare le sanzioni (doppio gioco qui o a Parigi?).

[Londra,] February 29. [1936]

Dear Signor Pirelli30, You will probably have seen my letter in the «Times» this morning. It was that to which I was referring as we parted last night. The letter was of course written several days ago; I did not know last night whether it would be printed or not; in any case it was out of my hands. In saying this I do not mean that my views are now different, but of course I should not wish you to think that I had written this letter immediately after our talk. I wrote this letter, as a continuation of those I had written earlier, feeling it my duty in loyalty to the League and what it stands for. Knowing that it might be appearing just after your dinner, I of course

50 II mittente di questa lettera, Sir Arthur J. Salter, era stato per molti anni direttore della Commissione Economica e Finanziaria della SdN e come tale aveva collaborato da vicino con Pirelli che di quella Commissione aveva fatto parte dal 1922 al ’29. — Nella crisi provocata dal conflitto italo-etiopico, Salter (ora consigliere economico del Governo britannico) insieme ad al­ tri autorevoli personaggi veniva conducendo in Inghilterra una dura campagna di stampa perché l’opposizione all’impresa mussoliniana, una volta dichiarata, non si risolvesse in un bluff ma fosse portata con intransigenza fino in fondo. Pirelli, reduce dalle due giornate di conversazioni parigine, appena arrivato a Londra il 28 aveva voluto suoi ospiti a pranzo Salter, Walter Layton e Josiah Stamp, iniziando da essi una serie di incontri miranti a chiarire agli amici stra­ nieri le ragioni della condotta italiana e, per un altro verso, le responsabilità e gli errori degli altri paesi. I tre ospiti non furono convinti, e l’indomani una lettera sull’argomento, che Salter aveva già inviato al «Times», vide regolar­ mente la luce.

168 Millenovecentotrentasei

felt some embarassment in accepting your invitation, as I know of course what must be your own point of view. But I did not think you would wish me to decline for that reason, and I greatly wanted the op­ portunity both of hearing your views and of being able to explain ours. You must of course differ strongly, but I trust you will acquit me of any personal apart from the difference of view I have during these recente months felt bound to express. I would ask you to believe that many of us do really feel the same kind of loyalty to what the League stands for as we must feel for our country. It often means an uncomfortable «dualism», but I would ask you to remember that people like Walter Layton31 and myself have pressed the League view quite as strongly when it conflicted with what most people regard as British interests. I fully realize the force of what you said yesterday, and the truth of your argument about the fluctuations of British policy. I shall not forget what you said, and though I am unable to say that my general view will change, I shall certainly have it always in mind in anything I say or think of future. I was very grateful for the chance of seeing you, and but for the unhappy situation to which I have referred it would have been not only a great, but an pleasure to see you again after this long time. I cannot hope that difference of views at so grave a time can be without any effect on personal relations, and the feelings you entertain towards those who have cooperated so closely with you in the past. I can only hope that it may be as little as possible, and perhaps not per­ manent. With great regard I am yours sincerely,

Arthur Salter

[Londra,] February 29th, 1936 Dear Sir Arthur, Just as I was glad you had accepted my invitation, so do I cor­ dially appreciate the sentiment which has now prompted you to write to me. Disagreement, between men like we are, cannot certainly lead to disrespect of each others’ opinions. My invitation was in itself a proof of this feeling, your point of view having been al-

51 Direttore delI’«Economist».

Millenovecentotrentasei

169

ready stated publicly. It was also a proof of my earnest desire to try and understand how it has become possible that a man of great experience and of great intellect as you are should be so uncompromisingly hostile to the policy followed by Italy. I re­ spect your «League mystique» and would be only too glad to see the League become what it cannot be in its present form: viz. a true Tribunal capable of dealing with political realities and there­ fore of preventing war. But summum jus summa iniuria and that mystique becomes summa iniuria if its laws be applied suddenly against all important precedents and without sense of proportion {les dieux ont soif52), and disregarding the true merits of the case; without consideration for the encouragements received and the discouragements not received by Italy, and moreover without looking ahead to the really important issues for the peace of Eu­ rope. But please excuse me for starting again with my arguments. May I venture to hope that some of them have at least thrown a seed of doubt in your mind and of sympathy in your heart? If so, never would I have spent better what was moreover a very pleasant hour. Yours very sincerely A.P.

[Londra,] 1° marzo 1936

Colazione da Grandi con Raineri Biscia32 33 e Craigie del Foreign Of­ fice (lo specialista delle questioni navali) Questione navale. L’Italia ha dichiarato che non può firmare un accordo mentre la situazione generale politica è quella che è. (Difficoltà di procedura, dice il comunicato. Leggi: finché durano le sanzioni.) Non volendo accentuare questo lato politico si ac-

32 Allusione al titolo del romanzo di Anatole France ambientato negli anni della Rivoluzione francese e ispirato dall’avversione per il fanatismo. 33 L’ammiraglio Giuseppe Raineri Biscia, capo di gabinetto al ministero Marina, rappresentante dell’Italia nei negoziati navali durante gli anni 30.

170 Millenovecentotrentasei

centuano le difficoltà tecniche sul tonnellaggio delle corazzate, ed allora Craigie teme che la Francia ne approfitti per non accet­ tare le 35.000 tonn. come massimo e neppure una cifra interme­ dia tra 27.000 e 35.000 se gli Stati Uniti si decidessero a scen­ dere sotto 35.000. Grandi assume un’attitudine dilatoria resistendo alle pres­ sioni di Craigie per trovare una formula di impegno condizionato dell’Italia od anche solo di affidamento non scritto. Craigie accenna a divergenze vivaci tra gli ammiragli inglesi e francesi. Circa questione abissina dice cautamente che sanzioni estese a petrolio ecc. è un 50/50 case. Insiste sul danno fatto dall’attitu­ dine di molta stampa italiana e su cattiva presentazione a Gine­ vra della nostra causa. [Londra,] 3 marzo 1936 WINSTON CHURCHILL

Lunch a casa sua senza altri invitati54. E sempre stato contrario alle sanzioni. Però è stato a un certo momento favorevole ad un’azione più forte verso di noi di fronte alle minacce a Malta ed all’Egitto. (Layton dice che Churchill era favorevole alla chiusura di Suez ed al blocco.) Dice che il Governo attuale34 35 è caotico, debole, incapace di leadership. Però che il movimento pro Lega è travolgente. Egli, senza poesie e senza ipocrisie, vede nella Lega un istrumento per assicurare all’Inghilterra la pace contro qualsiasi possibile aggres­ sore o la guerra in comune per es. contro una Germania prepo­ tente. Comunque, dice, «ancor oggi l’Inghilterra ha la flotta più forte e la Francia l’esercito più forte, e la Francia si è comportata bene con noi ed ha fatto gli accordi che erano necessari». Ha ammirato molto Mussolini, ma in questa impresa gli sem­ bra che abbia sbagliato metodo. Crede che Mussolini deve ora

34 «Senza altri invitati» è stato aggiunto negli anni 50. 35 II Governo di unione nazionale di Baldwin.

Millenovecentotrentasei 171

guadagnar tempo per avere una vittoria più completa, ma poi fare la pace nel quadro del Patto e quindi restare nella Lega an­ che se questa estendesse le sanzioni (gli rispondo essere questo impossibile). Egli insiste che Mussolini è stato veramente di sta­ tura quando ha visto l’importanza di localizzare la guerra rima­ nendo nella Lega. layton

(e salter) 36

Pranzo all’Automobil Club. Dice che nessuno o quasi sarebbe disposto in Inghilterra a ce­ dere alla Germania od a noi delle colonie o dei mandati (in parti­ colare la tesi razzista di Hitler rende odiosa alla pubblica opi­ nione inglese l’idea di mettere i neri in mano ai tedeschi), ma che c’è un certo movimento in favore di una attribuzione di tutte le colonie non self-governing alla Lega, che le dovrebbe ammini­ strare. Alle evidenti obbiezioni risponde (λ) che mentre la propo­ sta Hoare circa le materie prime37 era una presa in giro delle ri­ correnti tesi italiane in materia, qui si assicurerebbe la porta aperta ed una equal chance per tutti, e (£) ciò non escluderebbe che le correnti migratorie (a cui crede poco) e commerciali si con­ centrassero da parte di certe nazioni verso determinate regioni ottenendovi col tempo una influenza locale e le scuole per mante­ nere la lingua...

Disoccupazione tedesca. Ne è al corrente. L’attribuisce al­ la cessazione delle capital expenditures in caserme, aerodromi, strade, officine, macchine ecc. I proiettili possono poi essere fab­ bricati al momento. D’altronde la guerra futura non sarà di trin­ cea e non richiederà le stesse enormi quantità di proiettili. Egli non sapeva più dove accumularli alla fine della grande guerra, tanto grande era diventata la produzione delle fabbriche' inglesi.

36 «e Salter» aggiunta degli anni 50. 37 In un discorso a Ginevra Γ 11.9.35 il ministro degli Esteri inglese Hoare aveva toccato la questione dell’assicurare a tutti i paesi un accesso alle materie prime senza esclusivismi o discriminazioni (il discorso era stato citato da Pirelli nella sua conferenza di pochi giorni prima all’American Club di Parigi).

172 Millenovecentotrentasei

Schacht gli ha detto, dietro sua domanda se Hitler capiva i problemi economici e finanziari: «Egli capisce una sola cosa, ma importante: bisogna lasciar fare a Schacht».

Stabilizzazione delle monete. C’è in Inghilterra una corrente quasi unanime contro. La prosperità è tornata senza stabilizza­ zione e poi è stato detto che i guai erano stati dovuti alla maldistribuzione dell’oro, ma anche ora l’oro è concentrato in due na­ zioni. Simon38 è stato un debole, vanitoso, che al momento del Manciukuo non ha saputo né voluto far niente a Ginevra. GEOFFREY DAWSON 39

Gli dico del risentimento italiano per l’attitudine del «Ti­ mes». Egli spiega con i soliti argomenti: provocazione della stampa italiana; sfida dell’Italia a Ginevra e all’Inghilterra ecc. ecc. Nega che Eden sia un leggero e dice che la sua odierna propo­ sta a Ginevra di estendere l’embargo al petrolio ha ottenuto l’ap­ provazione esplicita di tutti i membri del Gabinetto, invitati ad esprimere la loro opinione ad uno ad uno. Ripete le solite cose circa l’evoluzione della pubblica opinione inglese, laburista come conservatrice, a favore della Lega.

Milano, 5 marzo 1936-XIV A Fulvio Suvich Sottosegretario di Stato agli Esteri Roma

Caro Suvich, ritorno oggi da Parigi e Londra e lunedi venendo a Roma por­ terò qualche notizia e le impressioni raccolte nei molti contatti 58 John Simon, il ministro che aveva preceduto Hoare al Foreign Office dal 1931 al ’35. 39 Direttore del «Times».

Millenovecentotrentasei

173

avuti con francesi, americani e inglesi (tra questi ultimi Chur­ chill, Amery40, Salter, Layton, Dawson direttore del «Times», ecc.). Consentimi tuttavia che, sebbene non abbia veste né ti­ tolo per intervenire, io tragga, dalle impressioni raccolte, ragione per far precedere queste note. I magnifici successi militari hanno avuto notevole ripercus­ sione anche all’estero, ma ho potuto rendermi conto in questa oc­ casione a qual punto, in Inghilterra, tutti i partiti (salvo una pic­ cola minoranza di die hards41), tutte le classi, e tanto gli ingenui quanto i cinici, vedono oggi nella Lega il fulcro della politica estera inglese per il prossimo avvenire. Insistettero con me su questo punto anche i nostri migliori amici, che aggiungevano che molte piccole Potenze non solo seguono, ma spingono l’Inghil­ terra in senso societario (vedi la recentissima influenza su Eden a Ginevra). E d’altra parte mi ha stupito la frequenza ed ansietà con cui mi veniva chiesto se ormai fosse fatale il nostro passaggio dalla parte tedesca. Evidentemente il giorno in cui maturasse negli am­ bienti inglesi e francesi questa persuasione maturerebbe anche l’interesse a voltarci definitivamente le spalle ed a cercare di stroncarci. Per queste ragioni penso che, qualunque debba essere in av­ venire la nostra politica nei riguardi di Ginevra, ci convenga oggi vincere Ginevra con le sue stesse armi e smontare nello stesso tempo certe prevenzioni della pubblica opinione inglese che pur­ troppo legano le mani a quel Governo come ben si è visto. Qual­ che concessione nella forma (mettendo in evidenza i titoli di me­ rito passati e presenti del Governo fascista verso la Lega e le sue buone disposizioni nei riguardi di una politica basata sulla sicu­ rezza collettiva) ci farà guadagnare molto nella sostanza. L’essen­ ziale è, intanto, mi pare, di guadagnare tempo accettando generi­ camente di trattare, purché non ci chiedano di sospendere le ope­ razioni, cosicché le recenti magnifiche vittorie possano essere sfruttate e, speriamo, avere un seguito.

40 Leopold Stennet Amery (già citato da Pirelli fra altri «elementi colonia­ listi» nel «rapporto verbale» a Mussolini del 16 ottobre 1935) era stato mini­ stro per le Colonie e per i Dominions dal 1924 al ’29 nel Governo conserva­ tore di Baldwin. 41 Cioè di ultratradizionalisti.

174 Millenovecentotrentasei

Lunedi alle ore 16 devo vedere il Capo. Spero che tu potrai fissarmi un appuntamento tra le 11 e le 13. Assai cordialmente, tuo A.P.

[Roma,] 10 marzo 1936 MUSSOLINI

Racconto mie impressioni Parigi e Londra: prosperità econo­ mica inglese cui si sovrapporranno ora ordinazioni militari con eccesso di boom-, notizie ripresa economica Stati Uniti; riarmo te­ desco basato più su formidabile attrezzatura di beni strumentali, capaci di produzioni colossali e rapide e di tipi sempre aggiornati, piuttosto che su accumulazione di stocks; mancanza di ostilità popolare degli inglesi verso gli italiani come confermato anche da miei impiegati negli stabilimenti inglesi42; intensità e diffusione del sentimento pro Lega, ingenuità o calcolo, puritanismo o cini­ smo; conservazione Impero non più possibile su base splendid iso­ lation e neppure sicuro il concorso dei Dominions ormai indipen­ denti; quindi la Lega diventa ottimo strumento di conservazione possibilmente pacifica, o di lotta collettiva in base a principi ca­ paci di trascinare (a) il popolo inglese, (b) i Dominions, (c) altre nazioni, convertendo ogni eventuale guerra in una crociata; ne­ cessità di tener conto di quanto precede per la soluzione del con­ flitto italo-abissino nel senso di sacrificare qualche cosa alla forma (nei riguardi di Londra e di Ginevra) pur di salvare la so­ stanza e la possibilità di ulteriori sviluppi della nostra supremazia in Etiopia; impressione che vittorie militari abbiano però fatto molto effetto e faciliteranno soluzione favorevole; inglesi nostri amici consigliavano di fare quello che fu effettivamente fatto, e cioè accettazione generica della offerta Flandin43 di trattare per 42 Gli stabilimenti inglesi del gruppo Pirelli, nel 1936, erano a Southamp­ ton, Eastleigh e Burton-on-Trent. Vi lavoravano, in missione, alcuni tecnici dell’azienda milanese. 43 La proposta Flandin per un nuovo tentativo di conciliazione, avanzata alla SdN il 2 marzo; fu fatta propria dal Comitato dei Tredici, che il 3 marzo rivolse perciò un appello all’Italia e all’Etiopia; questa rispose il 5 entrando su­ bito nel merito, mentre l’Italia attese fino all’8 per esprimere un assenso di massima. Si veda anche nota 47.

Millenovecentotrentasei

175

una soluzione e intanto guadagnar tempo per sviluppare le vitto­ rie. Però trattare effettivamente e uscirne. Aggiungo che confermo mia vecchia impressione essere un er­ rore sottovalutare potenza inglese o credere a prossimo sfacelo Impero inglese. Anche gli avvenimenti di questi giorni (denuncia di Locamo, armamenti renani ecc.44) mostrano Londra arbitro tra Berlino e Parigi. Racconto interviste varie, specie quella con Churchill. Mussolini parla delle vittorie e della sicurezza che saremo ad Harrar ben presto. Come condizioni di pace dichiara che non ar­ retrerà di un metro (io commento che spero che avanzeremo nelle prossime settimane in modo da poter anche aver del mar­ gine da cedere contro dei vantaggi in zone più fertili o ricche di miniere); che si cercherà di tirare una linea diritta tra i due corni Neghelli-Harrar; che è disposto a dare Assab al Negus, che vuole una forma di mandato sulle zone non amariche ed un consiglie­ re-residente presso il Negus per la parte amarica. Rispondo suggerendo di studiare anche la forma del condomi­ nio nelle zone non amariche sul tipo del Sudan attuale (cioè senza truppe egiziane). Mussolini si interessa e mi è risultato poi che ne ha parlato con Suvich. Mussolini mi dice che Long, l’ambasciatore degli Stati Uniti, ha detto a Suvich di aver scritto a Roosevelt per essere autoriz­ zato, e di essere stato autorizzato, ad accennare alla possibilità di futuri prestiti americani, dopo fatta la pace, per bisogni ricostru­ zione e sfruttamento Abissinia. C’è stato accenno a collegare la cosa con una sistemazione della questione dei debiti45 che — te­ nuto conto che oggi potrebbe il prestito farsi a condizioni favore­ voli — rappresenterebbe solo un aggravio dell’interesse. Io accenno ad aver studiato anni fa una identica soluzione da farsi però attraverso una Compagnia privata perché se Londra re­ clamasse il pan passu46 fosse possibile rispondere chiedendo an­ che un prestito parallelo. (Occorre studiare la legge Johnson.) 44 II 7 marzo Hitler aveva comunicato ai governi firmatari del patto di Lo­ camo la propria denuncia di quell’accordo e la decisione di rimilitarizzare la Renania. 45 Sono sempre i debiti interalleati della guerra Ί4-Ί8. 46 «Pari passu» nel regolamento di entrambi i debiti, quello verso gli Stati Uniti e quello verso l’Inghilterra. — Il Johnson Act, del 1933, vietava al Go­ verno degli Stati Uniti di concedere prestiti a un paese che fosse venuto meno ai suoi obblighi nel pagamento di precedenti debiti verso gli S.U.

176 Millenovecentotrentasei

Altre interviste (Suvich, Buti, ecc.)

Grandi ha visto Eden e risulta che l’Inghilterra non considera casus belli la rimilitarizzazione della Renania e la denuncia di Lo­ camo. Cerruti ha avuto istruzioni di tenere attitudine riservata. Egli ha creduto, sia pure a titolo personale, di far presente a Flandin che interpretava tali istruzioni nel senso che l’Italia, finché è san­ zionata, non può prendere posizione alcuna nel conflitto franco­ tedesco. Flandin è sembrato turbato. Risulta (contrariamente all’opinione diffusa) che Mussolini non era al corrente del passo di Hitler e tanto meno aveva nego­ ziato niente prima. Qualche approccio italiano indiretto non ha trovato seguito. Mussolini è stato incerto tutta la scorsa settimana circa la ri­ sposta da dare all’invito di Ginevra a trattare una sistemazione, e solamente dopo la comunicazione di Von Hassel sabato mattina alle 9 circa la denunzia di Locamo ecc. ha deciso l’accettazione generica (che è stata la formula migliore)47. Hassel ha lasciato intendere che la proposta Hitler di rien­ trare nella SdN sarebbe stata aggiunta per suggerimento inglese (invece Eden ha detto oggi ai Comuni che ignorava tutto).

A Parigi stamane seduta burrascosa tra francesi e inglesi. Noi facciamo intendere che per uscire dal riserbo occorrerebbe che cessassero le sanzioni. Intanto noi abbiamo fatto sapere che per studio settlement abissino vogliamo: non trattare a Ginevra, non fare armistizio finché le condizioni di pace non sono stabilite, trattare col Negus sia pure alla presenza di un rappresentante della SdN. Non cede­ remo neppure un palmo di zone occupate.

47 Cfr. nota 43. L’appello della SdN, suggerito dai francesi, a cercare una nuova base di conciliazione fu accettato da Mussolini, 1’8 marzo, dopo che l’ambasciatore a Roma Ulrich von Hassel l’ebbe informato delle preoccupanti iniziative di Hitler.

Millenovecentotrentasei

177

Roma, 1° maggio 1936 MUSSOLINI

Mi prega andare a Londra per corrispondere all’invito dell’Iipperial Foreign Policy Group dei Comuni e dei Lords a che un italiano andasse a spiegare il punto di vista italiano. Seguirà un dibattito. La riunione è fissata per il 5 maggio. Mussolini dice che probabilmente nel frattempo Badoglio sarà entrato in Addis Abeba. Si hanno notizie che il Negus, del quale nulla si sapeva dopo la sconfitta del Lago Ashanghi, era ieri ad Addis Abeba. Mussolini dichiara che appena Badoglio sarà nella capitale etiopica farà un proclama che è già redatto e che di­ chiarerà finite le operazioni militari ed inviterà il Negus a presen­ tarsi o mandare plenipotenziari entro 5 giorni per trattare la pace. Se l’invito sarà accettato è disposto a riconoscere al Negus uno staterello ridotto sotto il protettorato italiano. In caso di­ verso, il Re d’Italia assumerà tutti i poteri già tenuti dal Negus. A Londra Mussolini mi autorizza a dire nel modo più espli­ cito che egli domanda di sapere quali assicurazioni vogliono gli inglesi per essere convinti che l’Italia non ha mire né nel Medi­ terraneo né in Africa a loro danno. E disposto a fare un preciso accordo mediterraneo con l’Inghilterra purché non vi partecipino Ì piccoli Stati mediterranei (Turchia e Grecia). Io: «Ma la Fran­ cia si» e Mussolini: «Si, la Francia si». Mi dice anche di insistere sul fatto che il popolo italiano è pronto a tender la mano agli inglesi. Lo ha fatto verso chi era stato in vera guerra con lui dal ’15 al ’18. Parliamo delle probabili questioni che mi saranno proposte: uso dei gas, armamento di... un milione di abissini ecc. Mussolini mi racconta l’intervista che sta per uscire sul «Daily Mail» (Ward Price)48. Ha visto il genero di Churchill, Sandys, e lo ha... caricato di elogi verso il suocero come scrittore strategico (la fuga delle divisioni di Ni velie49 ecc.). 48 Nell’intervista rilasciata al giornalista Ward Price e apparsa il 7 maggio sul giornale britannico «Daily Mail», Mussolini parlava, fra l’altro, di tutte le questioni accennate nei due capoversi precedenti. 49 Del generale francese Robert-Georges Nivelle, comandante supremo delle forze franco-inglesi nel 1917, Churchill aveva scritto nella sua opera su La crisi mondiale (1911-1918), pubblicata nel 1923-1929 e tradotta dalla Poli­ grafica Italiana nel 1928-1931.

178 Millenovecentotrentasei

Mi autorizza a ripetere a Londra le battute di Stresa per l’ag­ giunta delle parole «en Europe»50. CERRUTI51

Mi conferma di aver avuto dal Capo notizia dei suoi propositi in Etiopia: proclamazione della fine della guerra; offerta al Negus di trattare; cinque giorni di tempo; altrimenti proclamazione del Re d’Italia ad Imperatore. Nel frattempo la fuga del Negus rende facile una soluzione totalitaria. Cerruti è stato incaricato di dire al Governo francese che l’I­ talia si sente forte nel Mediterraneo, indicando il numero dei nuovi sottomarini ecc. ecc., degli aeroplani ecc., e forte in Etio­ pia dove ha un esercito ormai disponibile e ricco di munizioni. L’Italia non teme la guerra con l’Inghilterra, se questa guerra le sarà imposta. Spera che ciò non avverrà. Spera che la Francia sa­ prà prendere una linea decisa per l’abolizione delle sanzioni, e Mussolini è disposto a studiare anche una stretta alleanza militare. Cerruti ha parlato in questo senso, ma il Governo francese è debole e incerto e non osa comunque mettersi contro l’Inghil­ terra. E poi stanno per esserci le elezioni. Il generale Weygand52 ha scritto a Cerruti una simpatica let­ tera di rallegramento per il nostro trionfo. BUTI

Crede che la crisi etiopica si risolverebbe se noi aderissimo al progetto inglese e francese della sicurezza collettiva basato su ac­ cordi regionali di mutua assistenza. Ma ciò potrebbe alienarci la Germania. Mussolini è alla Rocca delle Caminate dove ha chiamato Su-

50 Cfr. note 6 e 29 del 1935. 51 Cerruti, ambasciatore a Parigi, si trovava a Roma dal 29 aprile. La datazione di questo appunto e dei due successivi non è certa. In tutti e tre gli originali mss un probabile 4 originario è stato corretto in 1 ° con altra penna; ma nell’appunto su Buti alla correzione 1°, decisa dopo palesi ripensa­ menti, è aggiunto un punto interrogativo. 52 Maxime Weygand, dal 1930 fino a poco tempo prima capo di Stato Maggiore dell’Esercito francese.

Millenovecentotrentasei

179

vich perché domani vede Schuschnigg53. Sembra vi sia un certo ravvicinamento dell’Austria alla Francia ed all’Inghilterra. La Piccola Intesa è divisa: la Jugoslavia fa controassicura­ zioni a Berlino, la Czecoslovacchia teme la Germania e si ab­ branca a Parigi e forse tollererebbe gli Absburgo; in Romania il re è germanofilo e Titulesco è francofilo. Per gli «Stretti» il problema del riarmo è inevitabile, ma il grosso problema è quello del passaggio di navi da guerra, pro­ blema sul quale potrà esserci un contrasto tra Inghilterra e Rus­ sia. Risulta che il Governo inglese nel corso del conflitto etiopico ha trovato modo di chiedere allo Stato Maggiore germanico la sua opinione sull’andamento della guerra e che ne ha avuto rispo­ sta nel senso che la guerra sarebbe stata lunghissima e difficile. GALEAZZO CIANO 54

Molto impressionato per sfacelo politico-economico francese. Molto favorevole ad una intesa con la Germania (Edda Ciano Mussolini è in questi giorni a Berlino e gli ha telefonato che c’è là un ambiente molto favorevole). Riconosce però che non po­ tremo essere che un «brillante secondo» a fianco dei tedeschi e che questi sono alleati prepotenti e pericolosi. Io insisto che at­ tualmente la cosa importante è di far cessare le sanzioni e che per questo bisogna fare qualche concessione a Ginevra mostrandoci disposti a sostenere la nuova Lega basata su patti regionali di mu­ tua assistenza, ma che bisogna riuscire a farlo senza prendere im­ pegni troppo precisi né disgustare la Germania, che è contraria a questi patti, perché la nostra finalità deve essere di riacquistare possibilmente la più completa libertà di manovra: bene armati e liberi da alleanze almeno per un po’ di tempo. Non mi spaventa il metterci sulla strada degli · impegni ginevrini perché l’Inghil­ terra non andrà troppo oltre per quella strada. Insisto che biso­ gna far sentire all’Inghilterra che — se la Francia socialistoide si indebolisce oppure viene dominata dal comuniSmo (il quale, se riesce a prendere le leve del comando, sa sfruttarle) e se la Ger­ mania minaccia la pace europea — risorge più che mai la neces5J Kurt von Schuschnigg, cancelliere federale austriaco. 54 A questa data Ciano era ancora ministro per la Stampa e Propaganda.

180 Millenovecentotrentasei

sita di una politica parallela dell’Inghilterra e dell’Italia, che hanno interessi comuni a mantenere la pace in Europa e a non impegnarsi troppo né con Parigi né con Berlino. Ciano assente. Avendogli io detto che credo che l’Inghilterra non ci farà la guerra, egli commenta che, se possiamo farci questa convinzione, ci converrà continuare in una politica forte e minac­ ciosa. Io rispondo: «Forte si, minacciosa no». Ciano accenna al pericolo che, «pur abolendosi le sanzioni, noi si venga espulsi dalla Lega. Meglio ritirarsi prima». Dice: «Suvich è troppo antitedesco e per il dogma dell’indi­ pendenza austriaca». Io insisto sul pericolo dei tedeschi a Trieste. Ciano crede possibile modus viverteli.

Milano, 7 maggio 1936-XIV A Fulvio Suvich Sottosegretario di Stato agli Esteri Roma

Caro Suvich, ti mando alcune affrettate note sulle impressioni che riporto dai tre giorni trascorsi a Parigi ed a Londra, impressioni che mi ri­ servo di sviluppare venendo a Roma posdomani e di riferire al Duce. 1. In Inghilterra permane un notevole residuo di oltranzisti, ma ritengo che il Governo devierà la questione sul problema della riforma della Lega. Churchill dice: «Parlerò decisamente contro il mantenimento delle sanzioni ma, se mi è permesso dare un consiglio, sarebbe che il Duce volesse indorare un po’ la pillola che l’Inghilterra sta trangugiando».

2. L’annessione pura e semplice sarà certo difficile da dige­ rire a Londra ed a Ginevra. Non credo affatto alla possibilità di nuove sanzioni, ma al pericolo che, per non sapere come uscire daWimpasse, si trascinino le sanzioni attuali con qualche ripercus­ sione sulla nostra libertà di azione diplomatica nel concerto euro­ peo e con la prospettiva che la Gran Bretagna e la Francia ne ap­

Millenovecentotrentasei

181

profittino per valersene come arma di negoziazione, se non pure per farsi dare ancora una volta da Ginevra l’incarico di trattare una sistemazione con l’Italia, loro due, come Paesi cointeressati al problema e come già fatto nell’agosto scorso. La tendenza del Foreign Office, come d’altronde quella del Quai d’Orsay, sembra essere quella di far ora valere l’accordo tri­ partito, mentre l’elemento politico inglese si sente più legato dai recenti precedenti ad una azione collettiva ginevrina. Io non ho elementi per valutare le probabilità che il fronte sanzionista si sgretoli senz’altro anche se noi dichiariamo l’annessione. Ma se Γintenzione è di giungere a questa soluzione, mi permetto di consi­ gliare di adottarla subito mentre dura la confusione e prima che il Governo inglese abbia preso posizione. 3. Vorrei però prospettare alternativamente, anche in seguito ai discorsi scambiati tanto con Grandi e con Cerruti quanto con alcuni amici inglesi, la possibilità di adottare una soluzione del tipo «Impero indiano», venendo la nomina del Re d’Italia a Im­ peratore fatta da un improvvisato consesso di ras e di sacerdoti locali. Tale soluzione può presentare i vantaggi seguenti: tf) mentre vale quanto una annessione per la ripercussione politica sulla pubblica opinione italiana e mondiale, e mentre ri­ sulta assolutamente la stessa cosa nella pratica (quando ci si rife­ risca al tipo di ordinamento indiano in vigore prima delle recenti riforme con tutto il potere in mano del Viceré e dell’Amministra­ zione e con una parvenza di Consiglio locale nelle zone ammini­ strate direttamente e forse di Consiglio di ras per le zone ammi­ nistrate indirettamente), un ordinamento sul tipo dell’india si prospetta come una soluzione costituzionalmente e internazional­ mente corretta dopo l’evasione e la decadenza del Negus, l’inter­ ruzione stabilita dall’interregno anarchico e l’invito alle nostre truppe di affrettare l’entrata a Addis Abeba da parte di Lega­ zioni estere; e la parvenza di indipendenza rimasta all’Etiopia non permetterebbe alla Gran Bretagna ed alla Francia di invo­ care l’applicazione estensiva dell’accordo tripartito: l’Etiopia manterrebbe infatti un ordinamento che le permetterebbe nien­ temeno di continuare... ad avere un rappresentante a Ginevra, come lo ha sempre avuto l’india; A) l’ordinamento in questione consentirebbe anche all’Etio­ pia — almeno è da sperarsi — una sufficiente autonomia doga­ nale cosi da poter dare subito o successivamente una preferenza

182

Millenovecentotrentasei

alle merci italiane o concordare addirittura con l’Italia una unione doganale, girando la grave difficoltà della «porta aperta» anche nei riguardi degli Stati Uniti, della Germania, ecc.; c) mentre questa soluzione non toglie affatto che l’Etiopia diventi tutta quanta italiana, come l’india è britannica, facilite­ rebbe la soluzione del tipo di «cittadinanza» degli indigeni. 4. Il tenere in vita come finzione parziale e temporanea alcuni staterelli vassalli è consigliato vivamente da Sir Arnold Wilson55, da Rodd e da altri amici inglesi, perché ci eviterebbe la responsa­ bilità diretta di una immediata riorganizzazione di tutta quanta l’Etiopia. Altri inglesi mi hanno accennato al pericolo che abbiano ad intensificarsi i raid al di là della frontiera del Kenya o del Sudan britannico da parte delle bande che sono state ieri armate dal Negus, ed al gravame che ne deriverà al Governo inglese di do­ ver aumentare la forza di polizia lungo le frontiere specialmente del Kenya. Il mantenere dei ras locali toglierebbe all’Italia la responsabi­ lità diretta su queste zone di frontiera per il caso di complica­ zioni ed all’Inghilterra l’occasione forse un giorno non ingrata di suscitare un incidente e cercare di avere almeno qualche piccola rivincita di prestigio. Un ordinamento per il quale alcune zone sarebbero fin d’ora amministrate direttamente ed altre attraverso ras locali, permetterebbe di poi gradualmente estendere l’ammi­ nistrazione diretta a seconda dell’esperienza che verrà fatta e del comportamento dei singoli capi locali. Con molti cordiali saluti. A.P.

Roma, 9 maggio 1936, ore 18.30 MUSSOLINI

Riferisco circa discussioni a Londra alla Camera dei Comuni. Mussolini si interessa molto e mi ringrazia. 55 Sir Arnold Wilson, deputato conservatore, già membro dell’Indian Civil Service e poi capo della Civil Administration in Persia. — James Rennel Rodd (poi lord of Rodd), all’inizio del secolo negoziatore con l’Italia di vari trattati di delimitazione di territori africani, ambasciatore a Roma nel 1908-1919, fino al 1923 delegato alla SdN.

Millenovecentotrentasei

183

Siamo a poche ore dalla grande adunata in Piazza Venezia. Mussolini conferma che annuncerà che l’Etiopia passa sotto la sovranità dell’Italia e che il Re assume il titolo di Imperatore di Etiopia. Mi dice delle istruzioni date ad Aloisi che parte per Ginevra (la questione più difficile è se venisse ancora chiamato a parteci­ pare al Consiglio il rappresentante del Negus). Poi mi dice che egli deve ora occuparsi del problema militare e politico in Etiopia e non ancora del problema economico, ma chiede il mio parere su quest’ultimo punto. Rispondo: a} che dalle notizie che si hanno si può sperare di ottenere cotone, caffè, lana, pelli e semi oleosi; b) che occorrerà cercare di fare delle comunità agricole com­ patte per ragioni di sicurezza e per facilitare i servizi pubblici, nonché per evitare, per quanto possibile, il formarsi di una casta di meticci; c) che quest’ultimo pericolo è veramente grave sia per l’af­ fluire eventuale di meticci nell’Italia del Sud, sia perché fra 50 anni i meticci costituirebbero la casta locale prevalente; d) che per tutte le attività inerenti alle ricerche minerarie o idroelettriche o ai lavori pubblici ecc. è altrettanto importante evitare che la burocrazia creda di dover tenere per sé un campo che richiede caratteristicamente un lavoro da pionieri, quanto di tener lontani gli avventurieri e sparvieri che cercheranno di strappare concessioni. Credo necessaria la formazione di aggrup­ pamenti delle aziende più serie d’Italia per ciascun gruppo di at­ tività, cosi da non concedere ingiusti privilegi ma da sfruttare le competenze e lo spirito di iniziativa. Mussolini si dichiara ben d’accordo. Accenno all’opportunità di tenere al loro posto un certo nu­ mero di ras e di governare almeno temporaneamente e parzial­ mente attraverso di loro: è infatti difficile prendersi subito la re­ sponsabilità della amministrazione diretta di tutta l’Etiopia, data la mancanza di funzionari coloniali (vedere libro di Lord Lugard56), ed è anche da temersi che si abbiano nel prossimo av-

56 Frederick John Dealtry lord Lugard, ex governatore di Hong Kong, prima alto commissario e poi governatore della Nigeria, rappresentante britan­ nico nella Commissione dei Mandati; il suo libro The Oual Mandate in British

184 Millenovecentotrentasei

venire raid di bande armate al di là delle frontiere del Kenya ecc. con pericolo di incidenti con la Gran Bretagna che potremo me­ glio evitare se ci sono dei ras locali da punire o destituire. Mussolini mi risponde che lascerà certamente il Sultano di Aussa e forse qualche altro, ma che in generale pensa a dei ras più come dei piccoli podestà locali che altro. Roma, 20 maggio 1936 Badoglio non vuole restare in Etiopia e neppure vuole ripren­ dere il posto di Capo di S.M., posto che toccherebbe... a Gra­ ziani. L’accusa all’Inghilterra circa forniture di palle dum dum^1 è una... gaffe dei militari. Parte un lungo telegramma per Grandi per cercare di spiegare le cose.

Tutti si chiedono che cosa avverrà a Ginevra il 16 giugno58. Si teme che Eden ottenga di rinviare ogni decisione a settembre prolungando le sanzioni di tre mesi. Questo porrebbe il problema della permanenza dell’Italia nella SdN. Del riconoscimento ufficiale della nostra sovranità in Etiopia potremmo anche fare a meno se non ci fosse la questione che nel frattempo l’Abissinia non viene cancellata da membro della SdN e l’Italia non può ritrovarsi di fronte al signor Uolde Mariam59.

Con Suvich e col sen. Giannini60 insisto per la questione della non porta aperta se non dopo negoziati che ci assicurino

Tropical Africa (1922) era un classico sui problemi di politica amministrativa accennati da Pirelli. 57 In diverse note inviate dal Governo italiano alla SdN per denunciare l’uso di proiettili dum dum da parte etiopica, si affermava che essi venivano forniti da fabbricanti inglesi. 58 All’indomani della proclamazione dell’impero d’Etiopia da parte di Mussolini, 1’11-12 maggio il Consiglio della SdN si riunì avendo all’ordine del giorno anche la questione etiopica: ma in merito ad essa si decise di rin­ viare ogni deliberazione al 16 giugno. 59 II rappresentante dell’Etiopia alla Società delle Nazioni. 60 Amedeo Giannini, professore di Storia dei trattati all’Università di Roma e, dal 1937, direttore generale degli Affari economici al ministero degli Esteri.

Millenovecentotrentasei

185

contropartite. Ne è stato parlato al Capo ed uscirà un decreto che mantiene il regime doganale attuale in Etiopia, ma in cui c’è la riserva di studiare il trattamento tra Etiopia e Madrepatria. guarneri61. Possiamo resistere — quanto ad oro — ancora un anno, ma occorrerebbe una soluzione prima, perché la ripresa dei traffici sarà lenta e vincolata. Ci sono congelati per 1.200.000.000 tra finanziari e commer­ ciali. La ripresa degli scambi sarà in parte subordinata ad una si­ stemazione del passato. Certo lo sarà la concessione dei crediti anche commerciali da parte dell’estero.

Roma, 5 giugno 1936 Grandi telegrafa in data 3 e 4 corr. che Vansittart in un lun­ ghissimo discorso, in campagna, gli ha detto che da qualche giorno la maggioranza del Gabinetto inglese è diventata favore­ vole all’abolizione delle sanzioni, che l’intervista del Duce sul «Daily Telegraph»62 ha avuto una grande e benefica ripercus­ sione ed il Governo inglese ha favorito la distensione degli animi. Però il Governo è in una posizione difficile e delicata rispetto sia al Parlamento che alla opinione pubblica. Il Duce, vittorioso su tutta la linea, dovrebbe contribuire ad una soluzione facendo un gesto anche verso Ginevra. Infatti la politica inglese resta intera­ mente basata su Ginevra. Cosi vuole tutta l’opinione pubblica, compresa quella degli anti-sanzionisti. L’Inghilterra non può prendere iniziative a Ginevra per far togliere le sanzioni, ma sarebbe lieta se un gesto di Mussolini creasse un ambiente che permettesse a questa tesi di affermarsi. Eden conferma le dichiarazioni di Vansittart. Dice di aver ri­ ferito al Gabinetto le dichiarazioni fattegli da Grandi a nome del Duce e riaffermanti l’intervista sul «Daily Telegraph» e che ne era stato preso nota con compiacimento. Insiste sull’opportunità di un gesto verso la Lega. Afferma essere falso che l’Inghilterra abbia incoraggiato l’Argentina a fare la nota proposta di convocazione dell’Assemblea 61 Felice Guarneri, ora sottosegretario agli Scambi e Valute. 62 Era stata pubblicata il 28 maggio; Mussolini vi insisteva molto sul suo desiderio di stabilire le più amichevoli relazioni con la Gran Bretagna.

186 Millenovecentotrentasei

della Lega, ed anzi afferma che è imbarazzante ma, dato che la proposta è fatta, non si può non darle seguito e tale è Fopinione già espressa dalla Francia e dal Segretariato della Lega.

Cerruti riferisce di una intervista con de Kerchove, ambascia­ tore del Belgio a Parigi, che di ritorno da una visita a Londra si mostra catastrofico sulle intenzioni inglesi. Dice che Londra non digerirà mai la sconfitta diplomatica e vuole la rivincita e che cer­ cherà di far scoppiare la guerra dando mano libera alla Germania per l’Austria e la Czecoslovacchia. Quindi Putsch in Austria — intervento italiano — guerra italo-tedesca per terra e guerra itaio-inglese per mare — la Francia resta neutrale (!!). Discuto la situazione con Buti. Espongo tesi già esposta a Ciano. Sembra che Mussolini intenda fare una grande riunione di gerarchi a cui invitare il Corpo Diplomatico ed in tale occasione fare dichiarazioni abbastanza concilianti verso Ginevra. Ciò ri­ sponderebbe al suggerimento inglese. Ma il pericolo è che Eden stia cercando di tenderci una trappola nel senso che egli miri poi a far negoziare da Ginevra la sistemazione etiopica pur tenendo conto della definitiva vittoria italiana ma ottenendo certi impe­ gni come la non organizzazione di una armata nera, la porta aperta ecc. C’è poi la difficoltà degli impegni regionali e di mutua assi­ stenza... La sola nazione che ha disapprovato apertamente la proposta argentina per la convocazione dell’Assemblea è la Russia. Sinto­ matico! Con la Germania non ci sono accordi speciali. Il solo contatto di rilievo è stato una intervista di Von Hassel col Duce dopo l’in­ tervista del «Daily Mail»63. Alla domanda sulla portata delle di­ chiarazioni di Mussolini che l’Italia si considera una Potenza conservatrice, il Duce ha risposto che egli si era riferito all’Africa e non all’Europa, e Von Hassel si è affrettato a farlo sapere allo jugoslavo e quindi lo saprà tutta Ginevra. 63 Cfr. sopra, nota 48. Nell’intervista Mussolini aveva dichiarato che l’Ita­ lia si considerava nel «gruppo delle potenze soddisfatte».

Millenovecentotrentasei

187

Udienza da Sua Maestà Si interessa alle pubblicazioni dell’ISPI. Parlando del riconoscimento dell’annessione dell’Etiopia ri­ corda come il Regno d’Italia sia stato riconosciuto con ritardo e che il Nicaragua dove dominavano i gesuiti non lo fece che nel 1902 quando andarono al potere... i rossi. Accenna alla ignoranza dei più in fatto di politica estera: «Ministri francesi mandarono le truppe in Alta Slesia equipag­ giate da montagna. Molti uomini politici (egli cita soprattutto Prinetti, ma anche Tittoni64) pensavano che la politica estera fosse cosa da sbrigare in pochi minuti al giorno e facilissima per dei par loro! E invece! la gravità delle decisioni in politica estera dipende dal fatto che, mentre nel campo delle leggi interne un governo corregge gli errori o tien conto di mutate situazioni cam­ biando le leggi, invece in fatto di politica estera si è vincolati verso terzi». S.M. dice di aver avuto notizie gravi sulla situazione interna francese dopo la vittoria dei socialisti e comunisti. Pare che sol­ dati e poliziotti siano sfilati con i comunisti davanti al famoso muro del Pére Lachaise facendo il saluto col pugno chiuso. E fa­ cile che la Germania sia tentata di approfittarne. S.M. reputa che non ci amano né i francesi, né i tedeschi, ma se mai più que­ sti di quelli. Fu un errore non andare con le nostre truppe fino in Baviera nel novembre 1918, non solamente perché questo ci avrebbe dato prestigio nel mondo, ma perché ai tedeschi è mancata la sensazione di una invasione militare. D’altra parte fu errore grande il Trattato di Versailles che volle incatenare la Germa­ nia... Incidentalmente il discorso cade sul Re del Belgio e S.M. dice che Re Alberto si è espresso piu di una volta con lui con poca fi­ ducia sull’avvenire del Belgio schiacciato tra Germania e Francia e per es. si stupì che il Duca d’Aosta avesse comperato un’im­ portante tenuta nel Belgio. S.M. soggiunge che il Belgio avrebbe dovuto, a suo avviso, restare neutro. Il discorso cade sul problema delle truppe nere e S.M. dice che egli fu contrario a che si portassero libici ed eritrei sul nostro 64 Giulio Prinetti, ministro degli Esteri nel 1901-1903; Tommaso Tittoni, idem nel 1903-1905, 1906-1909, e 1919.

188 Millenovecentotrentasei

fronte durante la grande guerra. Essi sono poco resistenti al grosso bombardamento. (I somali sono buoni combattenti. A Sassabaneh65 un battaglione aveva perso il 40% degli uomini e sei ufficiali su dieci, oltre un ufficiale ferito. Ebbene il giorno dopo tornò all’attacco battendosi splendidamente.) Durante la guerra etiopica66, Badoglio «che è un buon psicologo» fece ad un certo momento un grosso uso di truppe bianche tenendo indietro i neri che dicevano di essere sempre i più sacrificati ed allora non solo ci fu l’effetto benefico del far vedere che il bianco si batte bene, ma i neri fremevano di battersi anche perché... temevano di non trovar più bottino.

Parlando della Storia della politica estera da farsi sui «docu­ menti»67, S.M. accenna alla difficoltà di essere documentati se­ riamente da che tanta parte della politica estera è fatta con visite personali di ministri e con telefonate. Anche il rapporto telegra­ fico manca di quella continuità ed ampiezza che caratterizzava i «rapporti» degli ambasciatori del passato. S.M. tiene da decenni una raccolta della «Tribuna» e quando la riguarda e vede quante volte si sono predette catastrofi che poi non si sono avverate... si consola.

Roma, 30 giugno 1936 suvich 68

Equivoco diffuso sul concetto di Impero che «giuridica­ mente» dovrebbe esistere essenzialmente sotto veste di erede del­ 65 Località dell’Ogaden, in Etiopia. 66 Nel ras le parole «Durante la guerra etiopica» sono state aggiunte più tardi, probabilmente negli anni 50. 67 Nel 1935 VISPI aveva progettato e promosso una Storia della politica estera dal 1870 al 1914, affidandone la realizzazione a Walter Maturi, Federico Chabod, Carlo Morandi e Augusto Torre. Ne vide la luce, nel 1951, solo il primo volume della parte assegnata a Chabod. 68 L’11 giugno Mussolini aveva ceduto a Galeazzo Ciano il ministero degli Esteri. Suvich cessò allora d’essere sottosegretario, sostituito da Giuseppe Bastianini, e andò poi ambasciatore negli Stati Uniti. Anche Pompeo Aloisi lasciò la carica di capo di gabinetto.

Millenovecentotrentasei

189

l’impero romano (imperatori tedeschi, Absburgo), oppure astrat­ tamente essere l’espressione di un gruppo potente (esempio: l’im­ pero inglese). Però ci fu anche l’impero russo. D’altronde il nostro Re non ci teneva che... a restare Re d’Ita­ lia (lo disse Mussolini a Suvich). Le sanzioni sono state assai vicine ad essere efficaci. Roo­ sevelt ed il Governo americano avrebbero partecipato e l’oppo­ sizione del Senato trionfò per poco e per ragioni generali di attaccamento alla neutralità.

Sua partenza interpretata come un cambiamento di politica italiana nei riguardi dell’Austria. Ma tale politica era di Mus­ solini, non di Suvich, e Mussolini gli ha dichiarato che non cambierà. Mussolini gli ha scritto una magnifica lettera («... in quotidiana comunione di spirito e di lavoro...»). Suo argomento con Berlino circa Austria è stato sempre che «Austria non sarà mai contro la Germania. Perché dunque incorporarla mentre l’indipendenza austriaca è per l’Italia la prova dell’amicizia germanica?». In Italia il «partito» è pro Germania per ovvie ragioni. [ministero]

esteri

Attitudine inglese è sempre molto ostile, od almeno soste­ nuta. Parlano di accordi Gran Bretagna, Francia e Germania senza mai nominare noi. Sembrano mettersi d’accordo con i russi anche per i Dardanelli, con una punta contro di noi. Tengono in vita — anche dopo le sanzioni — gli accordi na­ vali per il Mediterraneo con Francia, Grecia e Turchia ecc. ecc. Richiesta perentoria inglese per ritiro Console da Malta (im­ plicato nel processo per spionaggio). Essi su nostra richiesta hanno ritirato il loro di Palermo.

Hitler ha fatto chiedere se desideravamo riconoscimento immediato dell’annessione dell’Etiopia. Gli è stato risposto, dopo intervista Ciano con Mussolini, che apprezzavamo ma

190

Millenovecentotrentasei

non c’era urgenza. Ciò è sintomatico del fatto che non si vuol dare l’impressione di un legame troppo intimo con la Germania. Attualmente i nostri diplomatici vengono accreditati dal Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia, mentre i diplomatici esteri ven­ gono accreditati presso il «Re d’Italia».

Nostri rapporti con Jugoslavia sempre tesi. Noi teniamo viva questione croata. Se ci fosse una guerra è da dubitare se riuscirebbero a fare la mobilitazione, tanto fragile è l’unità politica del Paese.

1937

Roma, 16 settembre 1937 GALEAZZO CIANO

Dò notizia della mia visita a Belgrado L Accenno tra l’altro ad aver trovato un senso di diffidenza verso la Germania, contra­ stante con l’impressione diffusa di un notevole ravvicinamento, e Ciano mi dice che Stojadinovic12 al momento della firma del co­ municato sanzionante il ravvicinamento italo-jugoslavo aveva esclamato: «Questo ravvicinamento sarà interpretato come un atto non simpatico verso la Francia (e cosi fu interpretato) ed invece risulterà fatalmente un accordo antigermanico», riferen­ dosi evidentemente ad un fatale legame italo-jugoslavo il giorno che l’Austria diventasse una provincia tedesca gravitante verso l’Adriatico. Accenno anche ad aver trovato a Belgrado ma anche, recente­ mente, altrove, una rinata simpatia reyerenziale per l’Inghilterra, dovuta evidentemente al riarmo degli inglesi ed alla ripresa loro attitudine di elemento di equilibrio e arbitrale (affare spagnolo ecc.). Ciò ci porta a parlare del recente accordo di Nyon (in rap­ porto alla guerra civile in Spagna) \ Esprimo l’opinione che la si1 Incaricato di rappresentare il Governo italiano alla Fiera di Belgrado dell’ 11-21 settembre, Pirelli aveva presenziato alla inaugurazione tenendovi un discorso. 2 Milan Stojadinovic, presidente del Consiglio jugoslavo. 5 Le parole tra parentesi sono un’aggiunta degli anni 50. La conferenza di Nyon sulla sicurezza del Mediterraneo, provocata dai sempre più frequenti af­ fondamenti di navi dirette in Spagna, si era aperta il 10 con la partecipazione di Inghilterra, Francia, Bulgaria, Egitto, Grecia, Jugoslavia, Romania, Turchia

192 Millenovecentotrentasette

tuazione creatasi sia altrettanto antipatica quanto pericolosa: ra­ pidità e concretezza delle decisioni prese; si tratta praticamente di un accordo navale franco-inglese in piena regola che ha tutto il carattere di un voluto avvertimento all’Italia e per il quale le due flotte disporrebbero dei porti del Mediterraneo di tutte le na­ zioni minori. La cosa mi sembra tanto più pericolosa perché, di­ versamente da quando fu mandata la Home Fleet nel Mediterra­ neo nel settembre 1935, qui si tratta di una manovra diplomatica che dà all’intervento regolatore del traffico nel Mediterraneo un carattere collettivo e soi-disant antipiratesco. Ciano mi conferma che la situazione è molto seria. Un inci­ dente potrebbe creare l’irreparabile. Mussolini è adiratissimo contro l’Inghilterra per non aver dato seguito alla radiazione dell’Abissinia dalla SdN e per Nyon e (confidenzialissimo) ha dato disposizione per la partenza di una divisione per la Libia e di al­ tri 30.000 uomini per la Spagna («Cosa succederà se veramente andassero?» dice Ciano) e per la consegna di altri quattro sotto­ marini a Franco (questi non possono essere armati da spagnoli che in parte e quindi se catturati... d’altronde anche i sottoma­ rini in sé sono riconoscibili come italiani). (Alla sera dello stesso giorno vengo informato che l’ordine re­ lativo ai 30.000 uomini è stato contromandato.) Ciano mi assicura di aver fatto e di voler fare il possibile per evitare che le cose si inaspriscano; consente con me che la Ger­ mania non vuole una guerra con l’Inghilterra cosicché egli dice: «Mentre tutti parlano di una guerra generale, io penso e temo che resteremo soli avversari noi e l’Inghilterra. La Francia cer­ cherebbe di restare neutrale per non provocare l’intervento della Germania». Dico che non temo — in un duello anglo-italiano — una sconfitta militare, ma temo il blocco inglese, pericolo più grave e URSS: l’Italia e la Germania non avevano voluto aderire. Il 14 la conferenza aveva raggiunto un primo accordo riguardo ai sommergibili che attaccassero o fossero sospettati d’aver attaccato navi neutrali: i paesi partecipanti s’impegna­ vano a distruggere tali sottomarini-pirata scoperti entro le rispettive acque ter­ ritoriali, mentre veniva affidato alle flotte inglese e francese il compito di sor­ vegliare il Mediterraneo occidentale (eccetto il Tirreno), il canale di Malta e il Mediterraneo orientale. Accordi analoghi a quelli per i sommergibili furono raggiunti più tardi per le navi di superficie e gli aerei. La conferenza si con­ cluse il 17, sempre senza l’Italia che però, intorno al 20, riuscì a modificare la sua posizione e a inserirsi negli accordi.

Millenovecentotrentasette

193

oggi che nel 1935 perché le nostre scorte di materie prime sono esaurite (insisto su questo punto e Ciano mi dice che ne riferirà al Capo); accenno al fatto che l’opinione pubblica mondiale ci è contraria e che Roosevelt in particolare darebbe ogni appoggio morale e finanziario alla Gran Bretagna. Insisto sulla necessità di fare ogni sforzo perché l’Inghilterra non prenda posizione nell’affare spagnolo, cosa che essa ha evi­ tato finora; se lo facesse, non potrebbe subire una seconda umi­ liazione nel Mediterraneo dopo quella inflittale da Mussolini nel ’35. Ciano concorda e mi assicura che si farà ogni sforzo per ri­ schiarare l’orizzonte anche affinché la visita di Mussolini a Hitler4 non assuma, come necessariamente assumerebbe se continuasse la tensione attuale tra l’Italia e Francia + Inghilterra, il carattere di una decisa separazione dei due blocchi. Ciò anche perché la Ger­ mania ci seguirebbe solo fino a un certo punto. Ciano è sicuro della rapida vittoria giapponese sui cinesi5. Quindi i russi non possono pensare che il Giappone, essendo im­ pegnato in Cina, non è un elemento pericoloso. Ma il Giappone ha oggi interesse a muoversi contro la Russia? Non credo. [Roma,] 11 novembre 1937 MUSSOLINI

Guerra civile in Spagna. Accordi internazionali per control­ lare l’invio in Spagna di materiale bellico (chi li osserverà?). Mi dice: «La Gran Bretagna deve venire a un accordo ed io lo desidero. Oramai essa si deve prospettare l’alternativa: o la guerra o l’accordo, e la risposta è ovvia. Essa è assillata da gravi problemi inerenti alla stessa compagine del suo Impero, ed il mo­ vimento arabo non può non preoccuparla. Una politica comune sull’argomento sarebbe di grande utilità per essa». (Alla mia osservazione che a lunga scadenza il problema del

4 Dal 24 al 30 settembre, a Berlino. 5 Da luglio c’era stato di guerra tra Cina e Giappone e le truppe giapponesi avevano già occupato Pechino e Tientsin.

194 Millenovecentotrentasette

risveglio arabo potrà essere serio anche per noi risponde: «Spero di avere un giorno in Libia più italiani che indigeni; ma certo tra gli indigeni sta maturando una classe più evoluta, di laureati ecc., ed un sentimento dei propri diritti. In Libia durante il mio viag­ gio un mutilato al braccio e ad un occhio si alzò a dirmi: “Sono uno dei mutilati per la grande Italia, ma finora non abbiamo avu­ to né onori né denari”».) Mussolini continua: «L’Inghilterra (Eden) si è alienata i tre tradizionali amici: l’Italia, il Giappone e il Portogallo. Quest’ul­ timo non può prendere attitudini antibritanniche perché teme per le sue colonie, ma la Stimmung è in tal senso. Ho mandato due corpi d’armata in Libia dopo l’offesa di Nyon e subito hanno cambiato tono dandoci una zona marittima veramente impor­ tante per la sorveglianza del contrabbando verso la Spagna rossa (e alla Grecia che faceva delle difficoltà ho fatto dire di non aver bisogno dei suoi porti, ma che mi stupivo che essa li avesse messi a disposizione degli inglesi). Gli inglesi e i francesi sono molto sensibili alla minaccia dalla Libia, i soldati inglesi resistono male nel deserto. «Se non ci metteremo d’accordo con Londra manderò subito altri due corpi d’armata in Libia. Ma sono disposto invece a trat­ tare anche per una limitazione delle truppe africane e sulla que­ stione araba e circa l’Egitto. «Però bisogna trattare. Ho pazientato e sono rimasto nella Lega a Ginevra. Ma potrei uscirne. E allora verrebbero subito a patti, e ci sono due anni prima che si esca ufficialmente6. Cham­ berlain è un vero gentleman inglese. Ho molta simpatia per lui. Con suo fratello ci siamo sempre intesi (Albania ecc.)». A mie osservazioni varie risponde: «E vero che la Germania non è ancora pronta militarmente, ma questi sono gli anni in cui la Francia ha i ranghi vuoti». «Se venisse una guerra noi occupiamo subito le Baleari. C’è un’intesa con Franco in argomento». 14. prunas

15

Protesta di Léger per stampa italiana (Campinchi16). Poncet molto cordiale. VASSEUR

I francesi sono pronti a fare dei sacrifici coloniali alla Germa­

nia. La Russia non è un ostacolo perché il comuniSmo francese non ama Stalin, ama Trotsky. Non è vero che Mosca comandi Parigi ed a Roma lo si sa. Van Zeeland continua nella preparazione del suo rapporto17. Il Re dei belgi gli conserva fiducia. Van Zeeland avendo avuto l’incarico da Londra e Parigi ed avendo consultato Washington, pensava dover far perno su questi tre Stati. Vasseur lo ha dis-

14 II ms è deteriorato. 15 Renato Prunas, consigliere e poi incaricato d’affari presso l’Ambasciata d’Italia a Parigi. 16 César Campinchi, ministro della Marina francese. 17 Paul van Zeeland, l’uomo politico belga, già vice governatore della Banca nazionale, era stato incaricato dai governi britannico e francese di svol­ gere un’indagine e formulare proposte «sulla riduzione degli ostacoli al com­ mercio internazionale». Il rapporto fu pubblicato nel gennaio 1938.

198

Mìllenovecentotrentasette

suaso: occorrono anche Germania e Italia; occorre star lontano da Ginevra; non basta esame problema economico; occorre anche problema finanziario e del credito e problema disarmo e colonie e patto decennale di pace.

1938

Roma, 1° febbraio 1938 MUSSOLINI

Dopo aver parlato del secondo Convegno di politica estera, e di un Convegno italo-tedesco, e dei corsi di aggiornamento per professori di scuole medie ’, il discorso passa a temi di politica estera. Mussolini sta per ricevere per la seconda volta Lady Chamberlain, vedova di Austen, che è in corrispondenza con Ne­ ville Ch.12; intende confermarle la sua volontà di fare un accordo con Londra purché sia completo, cioè rifletta il riconoscimento dell’impero (il che, a parte ragioni di prestigio, stroncherebbe le accentuatesi illusioni di resistenza e rivolta in certi nuclei della vecchia Abissinia), un accordo africano ed un accordo mediterra­ neo. Io accenno al fatto che Chamberlain deve desiderare un ac­ cordo con l’Italia e la Germania sia come successo personale nei riguardi di Eden, sia come successo del partito conservatore nei riguardi del laburismo. Chamberlain teme una nuova crisi econo­ mica come ripercussione di quella iniziatasi negli Stati Uniti, e ha tanto più bisogno di un successo nel campo politico prima delle prossime elezioni. Mussolini apprezza queste considerazioni. Però intende dire a Lady Chamberlain che, se vanno al potere i laburisti, egli si sente sicuro di far subito un accordo che essi sfrutterebbero per ridurre

1 Si tratta di tre iniziative dell’ISPI. 2 Cfr. nota 6/1937. Per divergenze in politica estera col premier Neville Chamberlain, il 20 febbraio Eden avrebbe lasciato il Foreign Office.

200 Millenovecentotrentotto

gli armamenti e di cui menerebbero gran vanto. Egli cita i prece­ denti con MacDonald e Henderson circa la scissione della que­ stione del Dodecanneso da quella dei compensi coloniali (Trat­ tato di Londra), il regolamento del Giubaland, ecc.3 Dice: «Quello che rende difficile l’accordo con gli inglesi è che non si sa che cosa vogliano», ed io: «Non se l’abbia a male se dico che queste precise parole so essere state pronunciate da Eden nei ri­ guardi del Governo italiano»4. Si parla della depressione economica riapparsa in America ed io accenno alle critiche di Londra per il fatto che tutta l’econo­ mia del mondo sia tanto dipendente da quella americana e questa dalla volontà e dai capricci di un solo uomo, Roosevelt (è il ne­ mico η. 1, commenta Mussolini). Soggiungo che a Londra si insi­ ste nel mettere in rilievo che l’economia regolata di Roosevelt è fallita al suo scopo di evitare una nuova depressione e soggiungo: «La verità è che ogni sistema ha il suo buono e il suo gramo», e Mussolini: «Evidentemente. Bisogna fare dell’empirismo intelli­ gente». Chiedo se ritenga necessario aspettare la fine della guerra ci­ vile in Ispagna per negoziare l’accordo con Londra, ed egli: «No certo. Prima sembrava che fossero gli inglesi a pensare cosi. Ora sembra di no. Piuttosto è Franco che non la finisce mai. Gli ho fatto dire molto nettamente che gli italiani sono pieni di sim­ patia per la sua causa e lo hanno dimostrato con i sacrifici fatti, ma non sono disposti a cronicizzate i sacrifici. Basta con questo adattamento ad una situazione perpetua di mezza guerra. E c’è voluto il gen. < 5> che ha manovrato centinaia di cannoni come se fossero mitragliatrici per salvare la situazione a Teruel. Da un pezzo non parte più un uomo per la Spagna; non ne abbiamo che 38.000. Anche coi rifornimenti: adagio». Dice di non credere ad una restaurazione monarchica in Ispa­ gna: né Alfonso né il terzogenito. Franco ha fatto assai bene a costituire un Governo regolare.

3 Gli accordi italo-britannici che permisero la definitiva assegnazione all’I­ talia del Dodecanneso e l’annessione dell’Oltregiuba alla Somalia italiana fu­ rono tutti conclusi nell’estate del 1924 durante il Governo laburista di cui R. MacDonald era premier e ministro degli Esteri. 4 Cfr. il testo sopra la nota 7/1937. 5 Dovrebbe trattarsi del gen. Mario Frusci, comandante sul posto.

Millenovecentotrentotto

201

Accenno alla esattezza delle previsioni di Poncet (ambascia­ tore a Berlino, discorsi del luglio scorso) circa la manovra di Chautemps6 per eliminare i comunisti dalla sua maggioranza ed i socialisti dal suo Governo. Mussolini considera che l’attuale Go­ verno Chautemps è ancora molto legato a Mosca. Io accenno al timore di Parigi di essere tagliato fuori da un accordo tra Londra e Berlino o Londra e Roma ed ai tentativi fatti anche con me di attribuire a Berlino discorsi pacifici quasi fosse l’Italia a chiedere a Berlino di non demordere da una linea ostile a Parigi. Chiedo se, come spero, siamo sempre nell’ordine di idee del patto a quattro più la Polonia7. Mussolini risponde esplicitamente di si insistendo sulla necessità ed utilità di aggre­ gare anche la Polonia, paese che fra poco avrà 40 milioni di abi­ tanti. Egli prosegue insistendo che fra tutte queste nazioni non vi sono ragioni fatali di discordia: l’antinomia storicamente più radicata è quella tra Germania e Francia, ma le dichiarazioni fatte personalmente da Hitler a lui hanno confermato le dichiara­ zioni ufficiali con argomenti di quelli a cui si può credere: essere gli alsaziani e i lorenesi dei cattivi tedeschi quando sono sotto la Germania e dei cattivi francesi quando sono sotto la Francia: «Non vale certo la pena», ha detto Hitler, «di far morire un mi­ lione di giovani tedeschi per riconquistare una zona che oggi ha l’aria di rivolerci e domani cospirerebbe a favore della Francia». Parlando poi del viaggio di Stojadinovic a Berlino, Mussolini mi dice che è tornato più italofilo che mai perché persuaso che la nuova potenza della Germania la porterà inevitabilmente ad as­ sorbire l’Austria («il cappone è infatti quasi maturo» dice Musso­ lini) ed allora Jugoslavia e Italia si troveranno fatalmente in­ sieme. Questo discorso porta a quello delle minoranze e Mussolini accenna alla difficoltà del problema ed al convincimento matu­ rato in lui che l’elemento geografico debba prevalere su quello et­ nico; cita anche il trasferimento dei greci dell’Asia Minore8 come un esempio di operazione riuscita che ha sistemato per sempre una difficile questione. «Però», dico io, «è una triste prova del 6 Camille Chautemps, radicale, capo del Governo francese succeduto nel­ l’estate del ’37 a quello di Leon Blum. 7 La prima edizione del «patto a quattro», del 7 giugno ’33, era stata sotto­ scritta da Italia, Francia, Germania e Inghilterra. 8 Nel 1923.

202 Millenovecentotrentotto

regresso del mondo questa incompatibilità di convivenza», e Mussolini: «Cosa vuole, siamo nel periodo dei nazionalismi. Però la questione delle minoranze è veramente delicata. Non che mi preoccupi per ΓItalia. Già quando venne a Venezia Hitler mi disse che passando il Brennero aveva avuto la sensazione precisa che il catenaccio dell’Italia era là». (Mi mostra anche una pubbli­ cazione di decreti commerciali di Maria Teresa del 1744 a Bol­ zano, che è bilingue, con ciò dimostrando l’importanza dell’ele­ mento italiano nell’Alto Adige anche in quell’epoca.) Circa il Rapporto Van Zeeland9, Mussolini dice che non crede ad un seguito pratico della cosa, ma che se le altre nazioni lo accettano come base di trattative l’Italia non potrà rifiutarsi di partecipare. D’altronde c’è stato un tentativo di obbiettività (è quello che mi ha detto anche Guarneri). Non è vero che egli si sia rifiutato di ricevere Van Zeeland. Se avesse fatto la richiesta ufficiale lo avrebbe ricevuto... (?)

[senza data né luogo] R.10

Cina. Chang Kai-shek fatto prigioniero; Chang Hsu Liang pa­ gato dai russi libera il Capo contro impegno mantenere generali pro russi nelle province del Nord. Ciò è la prima causa dell’a­ zione giapponese11. Giappone può o creare tre Stati separati (Manciukuo, Mon­ golia interna, Rep. Nord Cinese), oppure riunirli sotto una sola monarchia di origine mongola (attenti alla Mongolia esterna). Quando Russia ottenne riconoscimento da Stati Uniti12*, 9 Si veda nota 17/1937. 10 L’iniziale potrebbe riferirsi ad Augusto Rosso, che dal giugno ’36 era ambasciatore a Mosca, dopo essere stato a Washington nei quattro anni prece­ denti. Gli ultimi tre capoversi, nettamente staccati dal resto nel ms, potreb­ bero riferirsi ad altra fonte. 11 Catturato il 12 dicembre ’36 dal generale Chang Hsu Liang, Chang Kai-shek ne fu liberato il 25 dopo un intervento di Chou En-lai. Contro l’al­ leanza in tal modo rinsaldata tra nazionalisti e comunisti, si scatenò nel luglio ’37 l’attacco in forze dell’invasore giapponese. 12 Gli Stati Uniti riconobbero l’Unione Sovietica il 17 novembre 1933; primo ambasciatore americano a Mosca fu William C. Bullitt.

Millenovecentotrentotto

203

ruppe trattative con Giappone per la ferrovia del Manciukuo, ma Stati Uniti fecero sapere a mezzo Bullitt (?) che la Cina non do­ veva contare su intervento US in conflitto e la Cina riprese le trattative e cedette. Le forze russe nella Siberia orientale saranno il pretesto di una nota giapponese fra qualche anno: «... vogliamo essere amici e perciò non è bene ci sia questa vostra minaccia armata cosi vi­ cino a noi...». Se la Russia cede (e nessuno l’aiuterà) la Germania obietterà a sua volta che non vuole quelle truppe sul suo fronte e sarà il pre­ testo per la guerra 13. Le dichiarazioni di Roosevelt pro Cina sono for home con­ sumption, ma non seguirà nessun atto perché Roosevelt sa che il popolo americano non vuole essere immischiato. Forniture d’armi alla Cina vengono fatte a credito almeno in parte. Russia. Stalin: despota orientale ma uscito dalle file dei rivo­ luzionari. Di fronte al diffuso senso negli ambienti responsabili e soprattutto nei capi dell’esercito che il regime aveva tolto ogni fede e quindi ogni nerbo al popolo — rassegnato ma inerte —, ha cercato di galvanizzare gli animi col riammettere il principio di famiglia ecc. ma non la proprietà e non la religione 14. Cosi ha scontentato da una parte i vecchi leninisti e dall’altra i capi dell’esercito ed ha voluto eliminare gli uni e gli altri. R. dice che verso l’Italia esiste diffusa ostilità e quasi mag­ giore che verso bolscevismo perché si considera che questo è in decadenza mentre il fascismo è in piena efficienza.

Parigi (il Governo) non domanda di meglio che di essere for­ zato da Londra ad una politica di sacrificio di Valenza15 e per­ sino antirussa, e Londra non lo capisce.

15 In margine alla seconda metà della frase, negli anni 50 A.P. ha segnato un punto interrogativo. 14 Allusione alla nuova Costituzione sovietica, promulgata il 5 dicem­ bre 1936. 15 Cioè del Governo repubblicano spagnolo. Francia e Inghilterra riconob­ bero il regime franchista nel febbraio ’39.

204 Millenovecentotrentotto

Discorso di Blum sui generali russi... che non ci sono più. Al Quai d’Orsay dicono che sostituendo Tuchacevskij16 fu sosti­ tuito un competente con un incompetente («Meglio la fedeltà che la competenza, diceva quel sultano che creò gran visir il suo lu­ strascarpe») e per di più una sicura spia tedesca (del tempo di Ke­ rensky) a uno sospettato. [Roma,] 10 febbraio 1938 CIANO

Recenti avvenimenti17 di Berlino che rafforzano nazismo e soprattutto la nomina di Ribbentrop a ministro degli Esteri hanno fatto impressione a Londra e sono uno degli elementi che spingono Londra a tentare riavvicinamento con l’Italia. Ma noi dobbiamo essere leali con Berlino come pure verso Tokyo 18, che è d’altronde pronto a tutto. Un accordo con la sola Londra potrebbe essere solo transito­ rio. Occorrerebbe accordo più generale (anche con Giappone?).

Stojadinovic fortissimo, e riconoscente per utili informazioni ed appoggio in momento critico. Roma, 9 marzo 1938-XVI MUSSOLINI

Politica estera. Accordi con Inghilterra riusciranno. C’è vo­ lontà da ambe le parti. Chamberlain gioca non solo la sua fortuna 16 Nel giugno ’37 il maresciallo Michail Nikolaevic Tuchacevskij fu giudi­ cato colpevole di tradimento e fucilato. Gli subentrò nella carica di vice com­ missario alla Difesa il maresciallo Aleksandr Egorov (anche lui fucilato l’anno seguente). 17 Un rimpasto del Governo tedesco aveva accresciuto il numero dei mini­ stri nazionalsocialisti e sostituito agli Esteri Neurath con Joachim von Ribben­ trop. Subito a Londra si erano avviate conversazioni preliminari a eventuali ac­ cordi italo-britannici. 18 All’«Asse» Roma-Berlino dell’ottobre ’36, dal novembre ’37 si era ag­ giunta l’adesione al Patto Anticomintern già concluso fra Germania e Giap­ pone.

Millenovecentotrentotto

205

personale, ma quella del partito conservatore. Certe by-electìons e lo sbandamento nei recenti voti di quasi cento deputati (?) sono significativi. Ma in questi ultimi giorni Chamberlain è passato al contrattacco ed ha osato parlar chiaro sulla SdN ecc. conqui­ stando approvazioni. «Le assemblee sono come le donne e biso­ gna, come diceva Nietzsche, avvicinarle con una rosa in una mano ma con la frusta nell’altra» (!). L’Inghilterra ha bisogno dell’accordo mediterraneo. La sua sola vera forza ivi è Malta, ma più di 300 aerei non ci stanno a Malta e navi portaerei non osa mandarne nel Mediterraneo. D’al­ tronde se riesce un certo tipo di sottomarino d’assalto lo potremo fare in serie e nel Mediterraneo domineremo. Però è certo che non siamo ancora abbastanza forti per fare contemporaneamente una politica di forza tanto nel Mediterra­ neo che al Nord, «quella che io chiamo la politica della Valle del Po». Perciò per il problema austriaco è questione di vedere se esso si presenterà in forma acuta prima del nostro accordo medi­ terraneo con Londra (è anche questione di fortuna e non sola­ mente di tempismo). Non so però se arriveremo a tempo a sal­ vare l’indipendenza dell’Austria. Gli uomini sopra i 40 anni sono per l’indipendenza, ma molti giovani e le donne sono infiammati di nazismo. «A Gratz si sono viste scene di fanatismo: ho delle fotografie di gruppi di donne inginocchiate davanti ad una ve­ trina col ritratto di Hitler». «Schuschnigg non vuole aiuti: lo accuserebbero di essere al servizio dello straniero, proprio lui che proclama l’indipendenza dell’Austria. Gli ho però dato tre consigli: — assicurarsi la capitale; — fare qualche cosa per gli operai, i quali sono poco nazisti; — coltivare i preti. «Certo appena è apparsa la possibilità di un’intesa anglo-ita­ liana c’è stato un rafforzamento del partito dell’indipendenza»19. «Altra reazione interessante c’è stata in Giappone, dove di­ cono che un accordo anglo-tedesco non li disturba ma un accordo mediterraneo dell’Inghilterra...» «In ogni modo le trattative con Londra si limitano ai rapporti anglo-italiani. Non c’è bisogno che intervengano altre Potenze europee» (Francia). 19 II 12 marzo l’Austria fu invasa dall’esercito tedesco e il giorno dopo fu proclamata la sua annessione al Reich.

206

Millenovecentotrentotto

VITETTI 20

Trattative anglo-italiane. Il gran punto interrogativo non è rap­ presentato dalle questioni in discussione, ma dalla situazione po­ litica interna dell’Inghilterra. Durerà il partito conservatore? e Chamberlain? se mancasse lui manca un successore. Perciò l’ac­ cordo sarà una tregua o una collaborazione lunga a seconda di quanto sopra. Certo l’Inghilterra ha avuto molte scosse interne (la crisi di Edoardo Vili, quella di Eden) ed esterne (Mediterraneo ed Estremo Oriente). Ha bisogno dell’accordo con noi21. Stalin è furibondo contro Chamberlain, «il traditore». Egli aveva seguito una politica isolazionista fino al 1932. Poi venne il nazismo ed egli prese paura e ricercò le alleanze occidentali. La cosa gli andò bene fino a Stresa, ma poi venne l’asse Roma-Berlino ed ora è venuta la nuova politica di Chamberlain. Da ciò una tendenza recente...

[Roma,] 27 aprile 1938 S.M. Vittorio Emanuele mi parla della Fiera di Milano e delle accoglienze popolari22. «Non conta più niente perché tutto è organizzato...» Parlando degli apprestamenti romani per la venuta di Hitler23 (cartapesta e luminarie) dice con molta finezza: «Anche a San­ t’Anna di Valdieri preparano queste cose quando vogliono far fe­ sta». Nel corso della conversazione accenno preciso al pericolo del­ l’egemonia tedesca (egli avrà ospite Hitler a giorni!), alla neces­ 20 Dal 1936 Vitetti era al ministero degli Esteri, come direttore generale agli Affari generali. 21 L’accordo fu firmato il 16 aprile: l’Inghilterra riconosceva la sovranità italiana sull’Etiopia, l’Italta s’impegnava a ritirare i suoi «volontari» dalla Spa­ gna a guerra civile finita, i due paesi non avrebbero fatto nulla per modificare la situazione esistente nel Vicino Oriente. 22 II 22 aprile il re aveva visitato la Fiera; al Palazzo Reale era stato salu­ tato da una folla immensa convenuta in Piazza Duomo. 23 Hitler visitò l’Italia dal 3 al 9 maggio; durante la permanenza a Roma fu ospitato al Quirinale.

Millenovecentotrentotto

207

sita di porvi un limite. Parla con molto favore dell’accordo con l’Inghilterra e dell’utilità del riarmo inglese (verso la Germania). La Gran Bretagna non è più e non sarà più quella che è stata quando si parlava della Marina inglese, della Regina Vittoria, della sterlina e del «Times» come di miti: però è sempre forte. Anche la Francia ha risorse e potrà riprendersi. Parlando delle relazioni commerciali tra i popoli ricorda che i greggi francesi venivano a pascolare in Piemonte e quelli piemon­ tesi andavano in Savoia indisturbati anche durante le guerre (transpascolo). medici 24

Dice che Mussolini parlava di aumentare l’esercito di 10 divi­ sioni perfettamente attrezzate il giorno stesso in cui dava il suo assenso all’Anschluss. Mussolini gli ha detto: «Bisogna saper in­ cassare e faire bonne mine...».

ATTOLICO

Dice che l’esercito tedesco che compì la rioccupazione mili­ tare della Renania (primavera 1936) aveva ordine di fermarsi se ci fosse stata un’azione militare della Francia. La Germania non vuole una guerra almeno per qualche anno ancora non essendo pronta.

Roma, 28 settembre 1938-XVI Mattino Ambiente nero e disorientato, impressionato per il discorso di iersera di Chamberlain e per l’intransigenza di Hitler che sem­ bra volere la guerra a tutti i costi. I commenti nei ministeri e negli ambienti di affari si riassu­ mono:

24 Giacomo Medici del Vascello, sottosegretario alla Presidenza del Consi­ glio·

208

Millenovecentotrentotto

«Hitler ha ingannato anche Mussolini perché a Roma gli aveva detto che si sarebbe accontentato del cantonnement della Czecoslovacchia (tipo Svizzera) ed ora che ha ottenuto invece il trasferimento alla Germania dei Sudeti e anche la garanzia del­ l’Inghilterra per tale trasferimento non si accontenta e vuole fare l’atto di forza contro la Czecoslovacchia. Mussolini (e anche l’ar­ ticolo del “Times”)25 hanno contribuito ad allargare le sue pre­ tese; ma perché, ora che ha ottenuto piena vittoria materiale e morale, abusa dell’impegno dato pubblicamente da Mussolini di essere a fianco della Germania in guerra e ci vuole trascinare in un conflitto che il popolo italiano non sente affatto? «Mussolini non ha creduto alla guerra ed in questa sicura fi­ ducia ha impegnato l’Italia. Ora la guerra sembra inevitabile. Bi­ sognerà far sorgere qualche incidente con la Francia o comunque dare al popolo italiano uno scopo di guerra che lo infiammi e che non sia solamente l’aiutare i tedeschi». Non siamo preparati a una guerra: Guarneri26 non ha divise, Benni non ha nafta ed ha carbone per tre mesi (e tanto Guarneri che Benni mi dicono che per la sola via terra è difficile rifornirsi di tutto il carbone necessario). Il gen. Bergia, sottocapo di S.M., dice che siamo arretratissimi con la preparazione antiaerea. Cottica27 lo sente telefonare a Pariani e dirgli che è impossibile pen­ sare a sfollare le città senza avere predisposto lo sfollamento (ali­ mentazione, perìcolo di malattie ecc.). 28 A Palazzo Chigi sono seccati perché si è affrettato a dichiarare che resterà neutrale ancor prima che sia scoppiata la guerra. La Polonia si dichiarerà neutrale, ma fino a quando? In Jugoslavia Stojadinovic è per noi e il Principe reggente per l’In­ ghilterra. Però Hitler < ... > sicuro di schiacciare la Czecoslovac­ chia in 5 giorni (tra l’altro la attaccherebbe con 1500 aeroplani). Io esprimo a tutti la speranza che Mussolini abbia a interve­ nire per assicurare la pace e farsi cosi un’aureola di popolarità 25 Probabile allusione a un articolo del 7 settembre in cui si sosteneva l’au­ todeterminazione per i tedeschi dei Sudeti. 26 Dal novembre ’37 il sottosegretariato agli Scambi e Valute, cui era pre­ posto Guarneri, era stato elevato a ministero. — Benni era ministro delle Co­ municazioni. 27 Giuseppe Andrea Cottica, ex generale, allora direttore della filiale di Roma della Soc. Pirelli. — Alberto Pariani, capo di Stato Maggiore dell’Eser­ cito e sottosegretario alla Guerra. 28 Questa parte del ms è lacunosa.

Millenovecentotrentotto 209

internazionale. Insisto con Guarneri e Benni e Bastianini29 perché agiscano in tal senso. D’altra parte se entriamo in guerra è proba­ bile che la Germania sia cosi forte da schiacciare la Czecoslovacchia prima che la Russia possa intervenire, ed allora i Balcani stanno tutti quieti per paura, la Polonia resta neutrale o, se attac­ cata dalla Russia, si unisce a noi, e tutte le forze tedesche ed ita­ liane possono rivolgersi contro la Francia. Però temo che noi do­ vremmo chiedere molto materiale alla Germania e questa preten­ derà di imporci la condotta della guerra.

ore 11,30

A Palazzo Chigi ha creato emozione una visita di Perth30, ma né Bastianini né gli uffici sanno nulla di preciso.

ore 15

Sono con Benni e viene Velani31 emozionato a dire che c’è l’ordine di preparare il treno per Mussolini per le 18. Va a Mo­ naco! La notizia si sparge tardi nel pomeriggio e si completa: c’è riunione anche con Chamberlain e Daladier. E la pace! E difficile immaginare la trasformazione di tutti i volti! Per­ ché si ritiene che il convegno non può non riuscire ad evitare la guerra. Ho visto molti occhi umidi.

ore 19 Apprendo dettagli. Perth è stato da Ciano alle 10. Poi da Mussolini. Questi ha incaricato Attolico di un passo e poi sembra abbia telefonato lui stesso a Hitler e correttamente e abilmente ha confermato che sarebbe al fianco di Hitler se guerra ci fosse stata, ma ha consigliato di accettare la richiesta di Chamberlain per una intervista. (Guarneri mi aveva detto al mattino che Mus29 Sottosegretario agli Esteri. }0 L’ambasciatore britannico a Roma, Eric Drummond lord Perth. 31 L’ing. Bruno Velani, direttore dell’Aia Littoria in AOI.

210 Millenovecentotrentotto

solini aveva commentato essere certamente sintomatico della mi­ nor forza inglese che il Capo dell’impero si fosse recato due volte in Germania a perorare per la pace32, ma che Chamberlain è una brava persona e che sarebbe possibile e desiderabile, se la crisi czecoslovacca venisse superata, di riprendere i negoziati con Lon­ dra.) Quando Perth ritorna a Palazzo Chigi e gli dicono che Hitler ha accettato, egli piange — di gioia. Certo il consiglio di Mussolini è stato decisivo. La Francia uscirà molto diminuita di prestigio da queste vi­ cende. L’Inghilterra un po’ diminuita come potenza, ma molto ri­ spettata. (Certo essa ha voluto non ripetere l’assenteismo del 1914 onde fu detto che la guerra non ci sarebbe stata se l’Inghil­ terra avesse avvertito la Germania che l’avrebbe trovata a fianco della Francia. Ora essa ha dato l’avvertimento e pubblicamente. Ma Hitler non si è fermato per questo, e l’Inghilterra ha ritenuto di dover egualmente fare un altro sforzo per la pace dando anche alla Francia la sensazione di uno spirito non bellicoso.) Hitler ha trionfato ancora una volta. Però nei ristretti am­ bienti diplomatici e militari si potrà dire che egli voleva la guerra e che la mossa di Mussolini lo ha fermato all’ultimo momento. Mussolini è stato oggi abilissimo. Egli è stato fedele all’Asse, ma appena ne ha avuto la possibilità ha salvato la pace. Della sua abilità tattica è prova il fatto che era stata carpita una telefonata di Parigi a Blondel33 con cui si incaricava il chargé d’affaires di fare a Palazzo Chigi una démarche eguale a quella di Perth. Mus­ solini appena saputolo ha telefonato a Ciano di evitare che il fatto avvenisse e ciò fu fatto attraverso Perth. Infatti Mussolini non poteva, senza scapitare e forse fallire, fare un passo presso Hitler in cui figurasse l’esponente oltreché di Chamberlain, che era il paladino della pace, anche di Parigi. Sarebbe parso un ri­ sorgere del fronte di Stresa ecc... In mezzo al giubilo generale si sentono i commenti: ed ora i tedeschi diventano quasi 60 milioni! e incombono sulle Alpi, e

32 Chamberlain era andato a trovare Hitler il 15 settembre a Berchtesga­ den e il 22 a Godesberg. 33 Da circa due anni, per ritiro dell’ambasciatore, l’Ambasciata di Francia a Roma era retta dal consigliere Jules-Fran^ois Blondel.

Millenovecentotrentotto

211

sono formidabilmente armati e Hitler si è già smentito molte volte... Vedremo. Intanto arriva la notizia della seduta ai Comuni e del successo di Chamberlain e degli applausi a Mussolini da parte di quasi tutta l’assemblea!

Parigi-Londra, novembre 1938 FLANDIN 34

Accenna a tendenze francesi verso forme autoritarie. Dice che l’Italia ha interesse che non sbocchino in senso comunista. Non crede che la Francia sia disposta a concessioni coloniali, ma piuttosto ad intese compensative di carattere economico e finan­ ziario per lo sfruttamento del campo coloniale. Il partito radicale francese teme le elezioni col sistema eletto­ rale attuale. Un accordo tra socialisti e comunisti trionferebbe dei radicali. Quanto alla situazione in Spagna dice che Franco non è all’al­ tezza del compito e che i soldati delle due parti fraternizzano. FOUGÈRE 35

Mostra stupore per le polemiche italiane contro la Francia pur dopo nomina ambasciatore a Roma. Polemizzo con lui. Dice Paul-Boncour36 «.coulé».

PRUNAS

Dice che nei giorni della crisi ante-Monaco Bonnet37 era a terra. Voleva la pace a qualsiasi costo. Conferma che Pietri e

34 35 cana, 36 37

Non più membro del Governo. Etienne Fougère, industriale francese, deputato della sinistra repubbli­ vice presidente della Conférence de Production Fran^aise. Joseph Paul-Boncour, già ministro degli Esteri. Georges Bonnet, ministro degli Esteri in carica.

212 Millenovecentotrentotto

Frossard38 suggerirono il passo presso Mussolini attraverso Lon­ dra. Telefonate a Londra alle due di notte. Daladier era flut­ tuante. Credeva alla guerra. Già era stato disposto per mandare i gendarmi a proteggere le Ambasciate partenti e per preparare i treni. Al ritorno di Daladier da Monaco in aereo una gran folla lo aspettava all’aerodromo. Egli commenta: «Chissà se mi riceve­ ranno con applausi o con sassate!» Ci furono gli applausi, come per Chamberlain a Londra. I popoli vogliono la pace. Senza gli accordi di Monaco ci sarebbe veramente stata una guerra europea? Oppure, occupata rapidamente la Czecoslovacchia, Hitler avrebbe offerto la pace? E l’Italia quale partecipa­ zione avrebbe preso?

LAMMERS 39

Dice che i successi esteriori di Hitler non gli hanno aumen­ tata la popolarità perché la maggioranza teme che la politica nazi­ sta finisca col portare ad una guerra europea.

RIVERDALE 40

Dice che la posizione di Chamberlain è assai forte, ma che egli la perderà se entro sei mesi non introduce una forma di na­ tional service e non darà sviluppo all’aviazione militare. Il Paese è stato scosso dai recenti avvenimenti e chiede che la Gran Breta­ gna non debba subire altre umiliazioni a cagione della sua impre­ parazione militare. Churchill non è preso sul serio sebbene tutti i deputati affol­ lino i Comuni se egli s’alza a parlare.

38 Francis Pietri e Ludovic-Oscar Frossard, più volte ministri nei vari go­ verni di quel periodo. 39 Clemens Lammers, industriale tedesco, già collega di Pirelli nel Comi­ tato Economico Consultivo della SdN. 40 Sir Arthur Balfour, poi lord Riverdale of Sheffield, magnate dell’ac­ ciaio.

Millenovecentotrentotto

213

Duff Cooper41 è finito. A Eden si attribuiscono molti errori, ma lo si stima come uomo intelligente e politicamente scaltro.

KINDERSLEY 4243

Mi dice — da vecchio esponente della City — che si è avuto torto di affidare il ministero della Guerra a un ebreo (Hore-Belisha)45 e che «molta gente non vuole la guerra, oltreché per molte altre ragioni, anche perché... se essa venisse ci toccherebbe finir con l’avere Churchill come primo ministro!» «E l’unico che abbia driving power».

41 Alfred Duff Cooper, dimessosi dall’incarico di primo lord dell’Ammiragliato all’indomani dell’accordo di Monaco. 42 Robert M. Kindersley, finanziere inglese, già collega di Pirelli nei comi­ tati Dawes e Young. 43 Leslie Hore-Belisha, ministro della Guerra fino a gennaio 1940.

1939

Derby, 28 febbraio 1939

[Preambolo del discorso al banchetto annuale della Derby and Derbyshire Chamber oj Commerce]1 It is indeed a great privilege and a pleasure for me to be your guest to-night. I have many friends here and am proud of their friendship. And, last but not least, there are three Pirelli facto­ ries in England, one at Southampton, one at Eastleigh and one in your district at Burton-on-Trent. As for this last mentioned contact, I am glad to consider myself, with your permission, as one of yours, and I wish to ex­ press my appreciation of the very pleasant atmosphere which sur­ rounds us at Burton. I trust that we in turn have given proof of our desire and ability of accomplishing our full share of mu­ nicipal and social obligations and duties, that is towards the Lo­ cal Authorities and towards our employees. We hope also that we contribute substantially to the degree of remunerative em­ ployment in the district. And allow me also, on this occasion, to express the most heartfelt hope that the friendly relations which have been so

1 Intervenendo alla riunione di Derby come presidente onorario della Ca­ mera di Commercio Internazionale, Pirelli vi lesse un discorso critico su alcune tendenze prevalenti nell’economia mondiale e nella maggioranza dei paesi o raggruppamenti di Stati (autarchia e protezionismo; sviluppo dell’intervento statale nella vita economica; crescita della spesa pubblica e squilibrio dei bi­ lanci statali; problemi monetari; industria degli armamenti e disoccupazione, ecc.). Al testo del discorso, scritto da tempo, egli aggiunse sul momento le pa­ role introduttive che qui si riproducono.

216

Millenovecentotrentanove

happily re-established between Great Britain and Italy may con­ tinue and become ever more intimate in the spirit which has prompted the Anglo-Italian Agreement2 and guided Mr. Cham­ berlain and Signor Mussolini during the eventful days which led up to the Munich Agreement. Love of peace, a sincere effort to meet difficulties in a realistic spirit of comprehension and at the same time with a broad vision of the interests of Europe as a whole, have characterised the Munich Agreement. Let that spirit not falter. If we look back to the more distant past we are struck by the fact that the history of Great Britain and Italy offers a perhaps unique example of two European countries which have not crossed swords for over 2.000 years, indeed since the time of Julius Caesar3, and if we look at the last decades, we notice that England and Italy, placed as they are in geographically equiv­ alent positions on the Northern and Southern margins of Eu­ rope, have worked intimately together to ensure in the post-war period political and economic appeasement on the Continent. One might add that the political disorder of Europe dates from the day in which our two countries went partly and temporarily asunder. The new Agreement represents not only the re-es­ tablishment of an old friendship, the traditional heritage of the two peoples, but also a recognition of the new situation on which that understanding and friendship is based, and this fact is very much appreciated by my fellow-countrymen and finds — I can assure you — a hearty response amongst them. [Roma,] 4 maggio 1939-XVII MUSSOLINI

Alla fine dell’udienza si parla di politica estera. Mussolini mi dice che Ciano dirà chiaramente a Ribbentrop nella intervista di posdomani a Milano che l’Italia considera necessario un lungo periodo di pace: «Abbiamo speso miliardi per la conquista dell’E­ tiopia, e la valorizzazione e pacificazione (?) dell’impero ci costa

2 Si riferisce all’accordo del 16 aprile 1938 (v. nota 21/1938). 3 Cfr. inizio dell’appunto sul colloquio con Mussolini del novembre 1935 (p. 139).

Millenovecentotrentanove

217

ancora molto. Abbiamo speso miliardi in Spagna e consumato ae­ roplani ecc.; abbiamo impegnato somme fortissime per l’Albania ed anche per problemi di colonizzazione interna; abbiamo in vi­ sta l’Esposizione E42 che deve fornirci molta valuta; abbiamo pochi cannoni e ci vuol tempo per farli...». Mussolini crede che l’attesa sia nell’interesse anche della Ger­ mania. Io gli dico: «Nell’interesse della Germania, l’attesa, salvo che Berlino non arrivi ad un accordo con Mosca dietro le spalle di inglesi e francesi; mi sbaglierò, ma fiuto un tale accordo nell’aria». Mussolini: «E interessante che mi diciate questo! Proprio po­ chi giorni fa Goering ha fatto un accenno in tal senso: ha detto in francese: “Ce serait un petit jeu intéressant”. Io gli ho risposto che sarebbe una cosa enorme fare un accordo con i sovietici al­ l’indomani della guerra di Spagna. I nostri popoli non capireb­ bero più nulla». Mussolini mi chiede se io valuto molto l’apporto russo. Ri­ spondo che non so nulla dell’apporto militare (i russi, nella sto­ ria, hanno sempre difeso bene il loro paese ed hanno fatto poco fuori dei confini); quanto all’apporto economico, penso che la Germania saprebbe organizzare magnificamente le possibilità produttive russe ma le occorrerebbe del tempo e non so se in caso di blocco franco-inglese abbia scorte sufficienti per atten­ dere tale aiuto russo. Soggiungo che comunque temo, come il maggior pericolo per l’avvenire dell’Europa, un accordo tedesco-russo. Mussolini non si pronuncia ma sembra consenziente.

[Roma,] 12 maggio 1939

Patto di Acciaio Buti mi conferma quanto Attolico mi ha detto il 9 corr. a Mi­ lano. Il memorandum scritto preparato per l’intervista CianoRibbentrop4 contiene le argomentazioni e le conclusioni prean­ nunciatemi da Mussolini il 4 corr. Niente guerra prossima. Ciano era partito da Roma senza alcuna istruzione relativa ad una eventuale alleanza militare (!). Fu una telefonata di Musso­ lini a dare improvvisamente istruzioni di fare la proposta. (Sem4 Del 6-7 maggio a Milano.

218

Millenovecentotrentanove

bra che la spinta occasionale sia stata una telefonata del Prefetto di Milano che l’accoglienza a Ribbentrop (organizzata) era stata calorosa (!). Nessuna preparazione o negoziazione diplomatica, nessuna discussione o esame a livello tecnico. La decisione fu im­ provvisata da Mussolini mentre telefonava... E quale contraddi­ zione con le recenti dichiarazioni...!) L’impressione prima di Ribbentrop, a cui Buti portò il testo, fu di esitazione e piuttosto di contrarietà. I funzionari tedeschi furono subito favorevoli. Dopo una telefonata con Hitler, i tede­ schi si dichiararono non solo d’accordo, ma calorosamente tali. Proposero un’alleanza perpetua (!!). Mussolini fece rispondere che aveva troppe volte criticato gli accordi cosiddetti perpetui e pro­ pose 5 o 10 anni. I tedeschi scelsero 10. Buti pensa che le possibilità di trattare utilmente con la Fran­ cia siano per noi ben scarse. Considera difficile la situazione interna della Jugoslavia e possibile una separazione croata (sotto un protettorato italiano?). Il Giappone si imporrà alla Cina. D’altronde la guerra il Giappone la vince non tanto contro la Cina quanto contro le Grandi Potenze europee e gli Stati Uniti.

[Copenhagen, 28 giugno 1939] [Dal discorso al IX congresso mondiale della Camera di Com­ mercio Intemazionale]5

[...] Parlando ad un’assemblea di uomini cui sono peculiari, non solamente le doti di ingegno e di carattere che li hanno por­ tati al successo, ma anche una conoscenza ed uno spirito di com­ prensione delle situazioni e dei problemi internazionali quale forse non è dato riscontrare in nessun’altra accolta di persone, sento di poter prospettare un punto che ho già toccato mesi or sono parlando nel mio paese6. 5 Su quanto detto nel brano che segue Pirelli tornò molte volte, negli scritti e discorsi del dopoguerra; e in varie occasioni fece circolare copie di questo testo. Una riduzione dell’intero discorso ad articolo fu d’altronde pub­ blicata in «Storia e politica internazionale», n. 2, 30 giugno 1939, col titolo Gli attuali indirizzi economici nazionali e i rapporti intemazionali. 6 Nel discorso all’assemblea generale dell’Assonime del 19 aprile 1939 (v. «Rivista di politica economica», XXIX-4, aprile 1939).

Millenovecentotrentanove 219

Si è molto discusso recentemente dei rapporti tra gli have e gli have not·, ma io noto con stupore una straordinaria diversità, anzi una vera e propria contraddizione, tra il modo in cui questo problema è impostato se si tratta dei rapporti fra individui e indi­ vidui o tra classi e classi, o anche tra regioni e regioni di una stessa nazione, o se si tratta, invece, di rapporti tra nazioni e na­ zioni. Nel primo caso la diffusa preoccupazione per conseguire una maggiore giustizia sociale è diventata un fattore decisivo della politica economica dei singoli paesi. Tutti noi qui presenti che apparteniamo alla classe degli uomini di affari sappiamo che, se è ben giusto nell’interesse generale che vi sia un compenso indivi­ duale per ogni merito individuale, è anche giusto e necessario che chi più possiede o più guadagna più contribuisca alle spese neces­ sarie per il benessere generale, e che questo comporta una conti­ nua ridistribuzione di ricchezze ed un accorciamento delle di­ stanze economiche: è un principio ovvio di giustizia sociale, ma è anche una necessità per la pace sociale. I possessori di beni e di redditi più alti pagano tasse proporzionalmente maggiori, gli in­ dustriali contribuiscono alle assicurazioni e ad altre opere sociali; tutta una nazione si quota a profitto di zone bisognose, ed altri esempi si potrebbero citare. Chi lo fa con spirito civico, chi con disciplinata rassegnazione; molti discuteranno o la misura o il si­ stema del contributo; ma tutti riconoscono il principio. Viceversa nel campo internazionale prevale la tendenza al più assoluto irrigidimento nella difesa delle posizioni acquistate. Quegli stessi che danno i maggiori contributi all’interno, si op­ pongono a che il loro paese contribuisca anche in piccola misura a dare legittima soddisfazione alle richieste di paesi meno fortu­ nati. Quegli stessi estremisti di sinistra che nelle questioni in­ terne vorrebbero l’eguaglianza assoluta e lo spogliamento dei ric­ chi, sono tra i più violenti oppositori ad ogni politica di giustizia distributiva se si tratta dei rapporti tra il loro ed un altro paese. Non è certo mia intenzione di sollevare qui questioni controverse nei riguardi di singole nazioni. Solo oso sperare di farvi sostare un momento a riflettere come all’infuori di ogni valutazione sulla giustizia o non giustizia di singole richieste o sulla misura di tali richieste, sia comunque ingiusta la condanna morale che da taluni sembra farsi al solo fatto che un paese richieda qualche cosa. Insisto nel dire che in questa sede guardo la questione dal punto di vista dell’etica economica, non dal punto di vista poli-

220 Millenovecentotrentanove

tico; e gli uomini che sono qui raccolti i quali sanno che, se mai, c’è all’interno di taluni paesi una aprioristica simpatia per quelli che domandano e una accentuata diffidenza per quelli che difen­ dono posizioni pur acquistate col proprio lavoro, debbono am­ mettere essere bene strano che, nei rapporti tra paese e paese, si consideri invece da molti come ispirato a più alti principi morali l’atteggiamento di chi vuol conservare ad ogni costo che non quello di chi chiede una maggior partecipazione alla comune pro­ sperità. [...]

[Roma,] 13 luglio 1939-XVII MUSSOLINI

Gli riferisco impressioni raccolte all’estero (Congresso CCI a Copenhagen7: Theunis, Watson, Riverdale, Duchemin, Linde­ mann, Vasseur, ecc.; inoltre a Bruxelles e Berlino): psicosi di guerra; odio per Hitler e completa sfiducia nelle sue parole dopo la mainmìse sulla Czecoslovacchia. Dico, per fare presa su Mussolini: «Hanno fiducia ancora in voi, Presidente, perché avete mantenuto la parola di ritirare i vo­ lontari dalla Spagna, ma anche perché molti vi considerano uno degli uomini politici che sente il problema Europa e la necessità di salvare la vecchia civiltà europea dall’ulteriore decadimento che sarebbe l’inevitabile conseguenza di una nuova guerra. A me sembra questa una magnifica missione per l’Italia di farsi tutelatrice della pace, soprattutto se si possa, come credo si possa, “vendere caro” il nostro salvataggio, cioè farci riconoscere dalla Francia alcune delle nostre rivendicazioni. Però tale è la sfiducia in Hitler che Inghilterra e Francia — nonché concludere un ac­ cordo — neppure siederebbero ad un tavolo di discussione gene-

7 Tutte le persone citate di seguito facevano o avevano fatto parte degli or­ gani direttivi della Camera di Commercio Internazionale: Theunis, l’ex primo ministro belga e presidente della Inter-Brabant di Bruxelles, ne era stato presi­ dente come Thomas J. Watson, della IBM di New York; Lord Riverdale e l’in­ dustriale manifatturiero francese René Duchemin erano stati vice presidenti e capi della Commissione Bilancio; Karl Lindemann presiedeva a Berlino la se­ zione tedesca del CCI; Pierre Vasseur era il già citato segretario generale.

Millenovecentotrentanove 221

rale se non ci fosse, non solo una contropartita nel campo del di­ sarmo, ma qualche forma solenne di impegno tale da tranquilliz­ zare le opinioni pubbliche dei due paesi. Mi sembra che noi ab­ biamo tutto l’interesse a che cessi quello stato d’allarme che pur­ troppo si è creato in Inghilterra e Francia e che ha portato in Francia all’unione di tutti i partiti ed in Inghilterra alla coscri­ zione. Occorre, dopo aver ottenuto qualche soddisfazione, morfi­ nizzare le tendenze bellicose attraverso una politica di pace». Mussolini mi risponde: «Il programma è troppo bello, ma so­ prattutto che cosa faranno i tedeschi? Essi hanno ragione per Danzica che è città tedesca. D’altra parte la sistemazione di Danzica è un affare che dovrebbe andare a posto attraverso una trat­ tativa a cui noi siamo per ora estranei». Io commento: «Temo che abbia ragione Attolico quando dice che Ribbentrop e per sua influenza Hitler credono ancora che l’Inghilterra non si muoverà per Danzica e quindi possono es­ sere indotti a tentare il colpo, mentre è certo che l’Inghilterra non tollererà la cosa». Accenno a Mussolini di aver sentito gente di statura dichia­ rare la loro incertezza se sarebbe più forte il blocco franco-inglese o quello tedesco-italiano e Mussolini risponde: «Nessuna persona sena può avere questi dubbi-, ma d’altronde una guerra non deve scoppiare ora: noi non abbiamo abbastanza cannoni e la Germa­ nia non ha navi; questo la Germania lo sa e riconosce e Ciano lo ha detto a Ribbentrop ben chiaro a Milano». Dico di aver sentito da più parti all’estero esprimere stupore circa l’influenza che un uomo giudicato non di grande levatura come Ribbentrop esercita su Hitler. Racconto a Mussolini di aver sentito da gente molto addentro nelle cose inglesi che l’aspirazione di Chamberlain era di realiz­ zare le due cose che non erano riuscite a suo padre8 (e quindi di­ ventare lui «il grande Chamberlain») e cioè: la preferenza impe­ riale, che egli effettivamente concretò ad Ottawa come Cancel­ liere dello Scacchiere, e l’accordo con la Germania che egli tentò a Monaco (quando in una riunione del partito conservatore si vuol far piacere a Neville gli si ricorda, o meglio ricordava, ap­ punto il suo successo di Monaco...). «Ora», soggiungo, «si sa che

8 Joseph Chamberlain. — Per la preferenza imperiale e la conferenza di Ottawa si veda la nota 6/1933.

222

Millenovecentotrentanove

gli uomini politici nei loro discorsi dicono delle bugie e che al­ trettanto fanno i diplomatici, ma che Hitler abbia ingannato Chamberlain parlandogli da uomo a uomo (“Io non voglio assor­ bire neppure un czecoslovacco!”) e ciò quando il Premier gli aveva usato il riguardo di andare due volte da lui in volo, questo Chamberlain non lo può dimenticare e questo hanno sentito i mi­ nistri inglesi e tutto il popolo. E stato questo che ha fatto traboc­ care il vaso e perciò gli amici inglesi mi dicono: “Danzica è una piccola questione e i tedeschi hanno ragione di volere Danzica, ma ormai noi ci batteremo per la più piccola violazione dei patti”...» Incidentalmente Mussolini ricorda che parlando con lui nella prima visita fattagli a Venezia, Hitler gli disse di non volere l’Alsazia e Lorena perché «quei cittadini sono dei cattivi francesi quando sono con la Francia, ma dei cattivi tedeschi quando sono con la Germania»9. Mussolini mi conferma che l’Alto Adige verrà sgomberato dai tedeschi. Egli mostra apprezzamento per questo gesto di Hitler. Informo Mussolini che un rapporto riservato della Camera di Commercio tedesca di Shanghai dà come incerto l’esito della guerra tra Giappone e Cina. Mussolini commenta: «I tedeschi sono sempre stati simpatizzanti per la Cina od almeno non si son sbilanciati. Questa guerra in Cina ha carattere molto speciale; è un paese cosi vasto che le varie armate giapponesi sono distan­ ziate come se ci fosse un’armata in Polonia, una in Italia, una in Inghilterra. E devono stare lungo la ferrovia per assicurarsi i ri­ fornimenti...» Dico a Mussolini di aver sentito in Inghilterra che, in caso di conflitto europeo, verrebbe abbandonata ogni idea di contrastare il Giappone: «Solo dopo tre o quattro anni, finita la guerra in Europa, penseremo a sistemare le cose col Giappone». Queste note sono state scritte senza avere sotto mano gli appunti allegati [riprodotti qui di seguito], dettati dopo il viaggio a Copenha­ gen ecc., appunti che mi sono serviti per il discorso con Mussolini.

9 Cfr. appunto del 1° febbraio 1938, p. 201.

Millenovecentotrentanove 223

Viaggio in Belgio, Danimarca, Germania-, Congresso di Copenhagen della CCI (giugno-luglio 1939-XVII)

1. Grandiosità e rischi dello sviluppo economico tedesco. Produzioni accresciute, importazioni poco o nulla rallentate. Mancanza carbone e cocke. Importanza dei rapporti con l’Eu­ ropa sud-orientale (circa 46% della totale esportazione di detti paesi). Riflessi sui nostri rapporti con tali paesi. Politica econo­ mica della Germania nei nostri riguardi. Diffuso senso che hanno sbagliato in passato quelli che predicevano lo sfacelo economico e finanziario della Germania a breve scadenza, ma anche che il li­ mite delle possibilità di espansione sia raggiunto o vicino ad es­ sere raggiunto; potenziale di lavoro e di impianti tutto sfruttato, anzi troppo sfruttato; problema valutario sempre difficile; situa­ zione finanziaria viziata dall’eccesso della percentuale di produ­ zione antieconomica, soprattutto per scopi bellici; 22 miliardi di marchi di imposte. Però produzione 80 miliardi di marchi. In­ fluenza della situazione economica sulle direttive politiche. C’è l’uomo capace di valutare quando si è raggiunto il limite? 2. Congresso di Copenhagen. Mio discorso e polemiche rela­ tive. 3. Impressioni estere sulla situazione politica internazionale: Cina: — Rapporto della Camera di Commercio tedesca di Shan­ ghai. — Argento cinese e Stati Uniti. — Informazione da fonte inglese che in caso di guerra il proble­ ma Estremo Oriente passerebbe temporaneamente in se­ conda linea, salvo in caso di intervento degli Stati Uniti. Incertezza circa l’intervento degli Stati Uniti in una guerra europea (gomma, cotone, ecc.). Alternarsi del giudizio dei neutri sulla forza relativa dell’Asse e delle democrazie. Impressione diffusa: «Voi dell’Asse otterrete molte vittorie, ma non la vittoria che vi permetta di finire rapi­ damente la guerra». Si parla senza riservatezza di possibili intese tra Berlino e Mosca e di spartizione della Polonia. Sulla Russia giudizi contraddittori, però riassumibili come se­ gue: sono stati fatti errori colossali ma, nel complesso, dei pro­ gressi, e le possibilità, sia pur lontane, sono cosi grandi da spie­ gare l’ansia inglese per un accordo.

224 Millenovecentotrentanove

Psicosi di guerra presso inglesi, francesi ed americani ed an­ che presso i neutri: tutti dicono e ridicono: «Una guerra per Danzica sarebbe ridicola, ma...». Il Foreign Office avrebbe fatto qualche proposta a Berlino che sarebbe stata lasciata cadere (Chamberlain e suo padre). In generale tutti dicono: «Un accordo dovrebbe ancora essere possibile ed anzi facile e l’Inghilterrra ne è certo desiderosa, ma come trovare una forma che assicuri per un avvenire anche non lungo?». Risentimento contro Hitler. Molto maggiore fiducia in Mus­ solini dopo mantenimento dell’impegno relativo ai volontari in Spagna. Si dice: «Mussolini ha mostrato più volte di sentire pro­ fondamente il problema europeo nel suo insieme». Si è vista bene da taluni l’alleanza con la Germania perché Mussolini è l’unico uomo che può ancora influire su Hitler. Discorso con Theunis, Riverdale, Booth 1011 : alternativa tra un programma dell’Asse di espansione a danno della Francia e del­ l’Inghilterra, ma con decadimento dell’Europa a vantaggio degli Stati Uniti, della Russia, del Giappone e del mondo arabo-musul­ mano, o invece ritorno sia pur lento e per opera di Mussolini ad una intesa europea con una maggior valorizzazione di Germania e Italia. (Possibilità di tenere aperte le due soluzioni.) In definitiva: come uscire, e bene, dall’attuale tensione poli­ tica ed economica? Una guerra sollecita? Un accordo negoziato caro (neutralizzazione della Corsica) con manifestazioni pacifiche (parziale disarmo), seguito da una politica di vera pacificazione... 17.7.1939-XVII

Milano, 18 agosto XVII

Eccellenza H, in data 13 agosto ho ricevuto da Salisburgo 12 notizie dettagliate sugli sviluppi della situazione generale. Queste notizie possono cosi riassu­ mersi: 10 Willis H. Booth, banchiere americano, ex presidente della CCI. 11 II mittente di questa lettera e della seguente è Pierfranco Gaslini, diret­ tore dell’ISPI, in costante contatto col ministero degli Esteri. 12 Dove Ciano aveva avuto colloqui, dall’11 al 13, con Ribbentrop e Hi­ tler.

Millenovecentotrentanove 225

1. Se non intervengono elementi nuovi non è da escludere un urto verso l'ultima decade di agosto e anche un conflitto. 2. L’URSS non interverrà: cosi è stato assicurato da parte tede­ sca. Le trattative economiche russo-tedesche elimineranno l’apporto militare della Russia. 3. La Germania è sicura di liquidare la resistenza polacca in breve. 4. Per il resto si va verso soluzioni imprevedibili e vi è solo da au­ gurare che la guerra sia evitata. (Queste sono testuali parole della nota informativa.) Successivamente altre informazioni hanno precisato che la Germa­ nia vuole una rettifica delle sue frontiere orientali con sicura scomparsa del corridoio. Infine, e questo è il punto più sicuro, mi è stato comuni­ cato che per quanto riguarda «Relazioni Internazionali» 13 a partire da sabato 19 corrente occorre essere preparati agli eventi (anche queste te­ stuali parole della nota informativa). Spero di avere oggi o domattina altre notizie e di potergliele comu­ nicare subito. Mi sono preso tre giorni di vacanza tra il 13 e il 16. Non ne prenderò altri. Mi creda, Eccellenza, coi più deferenti saluti, Suo Gaslini

[Milano,] 22 agosto XVII Eccellenza, 1. Situazione gravissima. 2. Berlino crede ancora, nonostante sia stata avvertita, che Francia e Inghilterra non intervengano. Noi non siamo della stessa opinione. 3. Noi vogliamo evitare una conflagrazione generale ad ogni costo. 4. Punto segretissimo·, l’alleanza aveva come presupposto che per al­ cuni anni non vi sarebbe stata guerra. 5. Ragioni politiche ed ideologiche impongono di salvare l’Asse, jin che è possibile. Devoti ossequi Gaslini

13 II periodico di documentazione politica internazionale pubblicato dall’ISPI.

226 Millenovecentotrentanove

[Roma,] 30 agosto 1939-XVII buti

14

La guerra è molto probabile. Mussolini sta intromettendosi, ma ormai... L’Italia non entrerà. Essa è giustificata pienamente. Fu sulla base delle assicurazioni ripetute della Germania che non ci sa­ rebbe una guerra sollecita che l’Italia ha fatto l’alleanza. Il patto di alleanza contiene una contraddizione tra l’articolo in cui gli al­ leati si impegnano non solo a «consultazioni» ma ad «intese» e quello che parla di intervento automatico... Fino al 28 luglio nulla poteva far sospettare la decisione tedesca di affrontare una guerra per Danzica. Egli sta studiando varie forme di eventuale comunicato che spieghi l’attitudine italiana. Ciano si è battuto in senso non interventista a Salisburgo (il Duce aveva preferito non andare egli stesso) e non ha lasciato dubbi alla Germania sulla nostra attitudine. La Germania è rassegnata alla nostra neutralità e farà bonne mine. Chiedo per il caso di nostra entrata in guerra se sono preci­ sati con la Germania gli scopi di guerra e i limiti di contributo dell’un paese e dell’altro. Buti dice che crede di no (!). Probabilmente esistono accordi russo-tedeschi più vasti di quelli pubblicati15, ma anche l’alleata Italia li ignora. Arrivano essi fino alla spartizione della Polonia? O fino a Costantinopoli? La Russia ha giocato Francia e Inghilterra ed ha preferito la Germania per ragioni di vicinanza, di potenza militare, di bot­ tino comune (Polonia). Oltre la Russia anche il Giappone, anche gli arabi staranno a vedere come va la guerra in Europa per approfittarne a tempo opportuno. NOGARA 16

Il Vaticano ha mandato una nota al Governo italiano perché si studi l’applicazione del Concordato in caso di guerra: sudditi 14 Ora direttore generale degli Affari politici al ministero Esteri. 15 Si riferisce al patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto. 16 Bernardino Nogara, amministratore dei beni della Santa Sede.

Millenovecentotrentanove 227

di paesi nemici dell’Italia che sono diplomatici presso o insegnanti o membri delle Congregazioni, ed Roma... Il Papa attuale 17 ha fatto come Segretario di litica forte verso la Germania per volontà di Pio XI, maniera conciliante, ma...

il Vaticano, abitano in Stato la po­ ora tenta la

GEN. DALLOLIO 18

Mi saluta commosso. Sta per lasciare il posto dopo 70 anni di servizio militare. Ha 87 anni. Mi presenta a Favagrossa. Fa uno sfogo contro i tedeschi. Dice che Pariani era d’accordo sulla ri­ chiesta tedesca di mettere un osservatore al Cogefag! Lui si è ri­ fiutato in iscritto ed ha insistito con Mussolini nella negativa. A Mussolini ha dato ancor pochi giorni or sono le statistiche delle nostre deficienze e dice: «Sono andate in mano all’ambasciatore tedesco a conferma della nostra impossibilità di intervenire». CAVALLERO 19

Stupito decisione tedesca dopo discorsi fatti con lui tendenti a preparazione per guerra lontana. Si parla di una telefonata di Halifax a Ciano con apprezza­ mento per gli sforzi di pace di Mussolini. Nostra impreparazione. Fine agosto 1939

L’Italia e la dichiarazione di guerra tra Germania e franco-inglesi Leggo la documentazione di Attolico (molto importante). Mussolini istruisce Attolico di informare Hitler che approva l’accordo con la Russia e che l’Italia è disposta ad una immediata 17 Pio XII, Eugenio Pacelli. 18 Alfredo Dallolio, dal 1935 capo del Commissariato generale per le fab­ bricazioni di guerra (Cogefag). II suo posto fu preso dal gen. Carlo Favagrossa. 19 Ora consigliere militare agli Esteri e presidente del comitato di coordi­ namento del Patto d’Acciaio.

228

Millenovecentotrentanove

entrata in guerra a fianco della Germania se questa può assicu­ rarle la fornitura di larghi aiuti in armi, munizioni e materire prime. Su richiesta di Hitler vengono specificate le richieste (assai larghe). Attolico nel comunicare a Hitler le istruzioni ricevute ag­ giunge di sua iniziativa che in base ad istruzioni verbali deve in­ tendersi che l’Italia subordina l’entrata in guerra alla preventiva consegna del materiale richiesto. Hitler manda un lungo telegramma a Mussolini con un detta­ gliato esame delle richieste e della possibilità tedesca di fornire (p. es. entro tre mesi) il materiale e soggiunge: avendo l’amba­ sciatore Attolico dichiarato che la consegna anticipata di tale ma­ teriale è una condizione per l’entrata in guerra, comprendo che... ma vi prego di far svolgere un’azione diplomatica e di stampa che provochi la distrazione di una parte delle forze avversarie... Mussolini risponde che la comunicazione di Attolico è dovuta ad un equivoco ma... accetta la conclusione di Hitler. Dopo ciò Hitler manda il noto telegramma di comprensione a Mussolini. Roma, 7 settembre 1939-XVII

Vedo Ciano, Grandi, Guameri, Lantìni, Graziani, Volpi, Giannini, Santoro20, D’Agostino, Masi Impressione generale: un misto di soddisfazione e di mortifi­ cazione per la nostra non entrata in guerra. volpi pessimista sulla situazione nostra opinione pubblica e impreparazione militare. Giudizi severi sulle persone... grandi21 ci tiene a spiegare che il suo discorso a Londra alla presenza dell’ambasciatore tedesco gli fu imposto con tre succes-

20 Ernesto Santoro, direttore dell’industria al ministero delle Corpora­ zioni. — Alberto D’Agostino, alto funzionario dell’amministrazione finanzia­ ria dello Stato. — Manlio Masi, direttore generale agli Scambi e Valute. 21 Dai primi di luglio Dino Grandi aveva lasciato l’Ambasciata di Londra ed era divenuto ministro di Grazia e Giustizia (da novembre sarà poi anche presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni). Il discorso cui si ac­ cenna è quello, di esaltazione del Patto d’Acciaio, che egli aveva tenuto il 25 maggio nella sede dell’Ambasciata per ordine di Mussolini.

Millenovecentotrentanove 229

sive telefonate. Sua umiliazione. Volle subito vedere Wilson22 nella casa amica dove era sempre solito avere abboccamenti se­ greti e Wilson gli disse subito: «Non ditemi niente, il vostro tele­ fono è sorvegliato!». Alla sera banchetto col Re, Chamberlain ecc. Tutti molto gentili: Chamberlain gli dice: «Se dovete fare qualche altro discorso come quello di oggi fatelo, ma restate a Londra» (?!). Crede ad una guerra lunghissima, anche dieci anni, e gli in­ glesi vinceranno. Però malavoglia francese. Ammette una certa corresponsabilità inglese attraverso gli incoraggiamenti dati alla Polonia. Pensa ad un graduale revirement della nostra attitudine cosi che... anche il problema ebraico potrà venir trattato diversamente. Elogia Ciano per la sua recente attitudine non interventista. guarneri. Il Capo ha passato giornate terribili. Il «tradi­ mento tedesco» mette l’Italia in una posizione difficile. Ciano si è battuto bene ed è furioso verso i tedeschi. Mussolini ha preso la decisione giusta, ma «saprà resistere alla tentazione di menar le mani?». Guarneri gli ha sempre prospettato la verità. Avessero fatto altrettanto gli altri. Siamo con scorte bassissime. La Marina è la sola abbastanza preparata. Anche l’Aviazione è un mezzo bluff quanto a numero. Manca carbone. Però sembra che i tedeschi continueranno a darcene. Con gli inglesi si sono avuti i primi contatti per il pro­ blema rifornimenti (data la nostra non belligeranza)23. Io insisto sulla necessità di affrontare subito il problema d.el blocco, dei nostri diritti a rifornimenti ecc. Dico che la nostra posizione è abbastanza forte per controminacciare chi volesse strozzarci. D’altra parte essendo assurdo pensare di entrare in guerra anche noi, è un errore sequestrare per i militari le scarse disponibilità: occorre fare con calma un programma che tenga conto della necessità di esportare molto approfittando della situa­ zione e procurandoci cosi i mezzi per fare un po’ di scorte, il che ci permetterà una molto migliore preparazione militare. Inol-

22 Horace Wilson, funzionario del Foreign Office, consulente personale di Neville Chamberlain. 23 Le parole tra parentesi sono un’aggiunta degli anni 50.

230 Millenovecentotrentanove

tre bisogna non chiedere troppi sacrifici ai civili perché le san­ zioni avevano suscitato una reazione popolare, se fossimo in guerra tutti capirebbero ma nella situazione attuale... A lantini 24 faccio lo stesso discorso che a Guarneri e come Guarneri anche Lantini mi incoraggia a chiedere di vedere il Capo e dargli la sensazione delle necessità del momento: conti­ nuare nell’attesa, lavorare, esportare, prepararci. Accenno a Lan­ tini come a Guarneri e ad altri all’importanza di una intesa con la Svizzera, che dipende ormai dall’Italia per la sua vita economica (Genova), che mancherà come noi di ogni movimento turistico, e che ha bisogno di esportare. Noi possiamo favorirla anche per le esportazioni. Essa dovrebbe aiutarci finanziariamente e valuta­ riamente in questo primo periodo, con la sicurezza di essere ripa­ gata perché l’Italia guadagnerà in questo periodo essendo la più grande nazione industriale europea e la seconda mondiale che sia neutrale. A Giannini faccio lo stesso discorso, ed anche circa la neces­ sità di precisare la nostra posizione giuridica (non belligeranti e non neutrali) agli effetti del fermo delle navi ecc. Lo trovo più tedescofobo che mai. Racconta che perfino la sera stessa del ricevimento a Berlino dopo la firma del trattato d’alleanza, in una sala Ribbentrop lesinava ogni promessa di ri­ fornimenti e negoziava nel modo più antipatico e prepotente. Crede possibili intese ragionevoli con Londra e Parigi per i nostri rifornimenti e sta per avere contatti. In generale ambiente un po’ sconcertato. Impressione che il pubblico troverà enorme contraddizione tra attitudine 30 novem­ bre ’38 (aspirazioni italiane: Corsica, Tunisi ecc.) e 1° settembre ’39. Il Capo sente certo questo. E bisogna pensare che la base del movimento fascista è stato l’interventismo del ’14. «Egli non può essere il Giolitti del ’39». D’altra parte i tedeschi hanno tradito il programma di pace per qualche anno ancora. Noi siamo imprepa­ rati. Ciano è completamente cambiato. Il suo risentimento verso i tedeschi trova espressioni manifeste. 24 Ministro delle Corporazioni (sino a fine ottobre).

Millenovecentotrentanove 231

(Bastianini che lo aveva altre volte criticato dice: «È notevole come nessuna preoccupazione di salvare la propria politica abbia trattenuto Ciano dall’avere una reazione immediata e fierissima a Salisburgo. E non poteva neppure telefonare con Mussolini».) CIANO

Profonda indignazione contro i tedeschi. Tra Salisburgo e Berchtesgaden ha discusso otto ore con Hitler e dieci con Rib­ bentrop nel modo più energico, prospettando le ripercussioni di un accordo con la Russia e l’intempestività di una guerra alla quale l’Italia non è pronta e della quale l’Italia dovrebbe soppor­ tare l’urto più pericoloso. Assicura che abbiamo un dossier sufficiente a giustificare l’a­ stensione dell’Italia dalla guerra ed a documentare che la Germa­ nia è venuta meno alle intese sulle quali fu basata l’alleanza (non guerra per parecchi anni). «L’Italia fece l’alleanza proprio e solo perché era il modo di assicurare alcuni anni di pace: la Germania non avrebbe dovuto attaccare senza accordo con l’Italia (il patto parla non solo di “consultazione” ma di “intesa”) e Francia e In­ ghilterra non avrebbero osato attaccare, esse, una combinazione Germania + Italia». Ignoriamo (!) il contenuto del patto germano-sovietico che dubitiamo esteso alla spartizione della Polonia e ad altri campi. Ribbentrop non è uomo di statura ma ha avuto una formida­ bile malefica influenza su Hitler. (Questi ha nominato Goering e Hess come suoi eventuali successori e non Ribbentrop perché Ribbentrop è entrato nel partito dopo il 1933.) Circa la responsabilità del conflitto dice: «Noi sappiamo che la Germania era decisa». Io accenno a corresponsabilità di Cham­ berlain che non ha accettato proposta Mussolini ed ha fatto l’as­ surda richiesta che Hitler ritirasse le truppe dalle posizioni già conquistate. Ciano risponde che l’Inghilterra avrebbe accettato integralmente la proposta Mussolini, ma che la Polonia esigeva il ritiro delle truppe germaniche e l’Inghilterra per fair play ha do­ vuto far sua la richiesta. La nostra attitudine è «praticamente neutrale». Però il Capo... C’è forse un dieci per cento di probabilità che Hitler faccia, dopo conquistata la Polonia, proposte accettabili e che Inghil-

232 Millenovecentotrentanove

terra e Francia le accettino. Maggiori probabilità sono per una guerra lunghissima e la Gran Bretagna è la più forte e vincerà anche perché c’è molto malcontento nel popolo tedesco, che non credeva alla guerra e non la voleva. Ha avuto scambi simpatici con Halifax in questi giorni. Inglesi e francesi si comportano bene (è naturale!). «Verrà forse un giorno in cui l’Italia dovrà intervenire a salvare dal bolscevi­ smo qualcuno degli Stati oggi in guerra». Pranzo con Graziani e Volpi Il Maresciallo considera fortissima la situazione tedesca e in particolare l’aviazione tedesca. Ci sono già 45 divisioni (da 15 a 16.000 uomini) sulla linea di Sigfrido indipendentemente dalle truppe operanti in Polonia. La Francia ha circa altrettante truppe sulla linea Maginot. Nessuno dei due può sfondare. Volpi dice che francesi e inglesi finiranno per attraversare il Belgio senza opposizione dei belgi (nonostante l’attitudine del Re). Dice anche che la Francia avrebbe già sondato la Svizzera circa un eventuale attraversamento e che la Svizzera ha risposto picche. Graziani considera inviolabile la nostra frontiera alpina che ha ispezionato tutta. In Libia non possiamo attaccare la Tunisia ben difesa da ostacoli naturali e militari, ma siamo però ben pre­ parati. Nostra deficienza generale di cannoni. Sono in gran parte quelli catturati agli austriaci nel 1918. Le ultime manovre furono fatte senza consultare Badoglio. Lo scopo di rapida adunata e avanzata delle forze motorizzate si poteva raggiungere senza dare per contro ai torinesi l’impressione della rapidità con cui un reggimento corazzato poteva giungere fino a Rivoli e gli aeroplani bombardare Torino... Graziani conferma che Keitel25 disse a Pariani nell’incontro di Innsbruck che avevamo vari anni avanti a noi per preparare una guerra. Ciò conferma le dichiarazioni di Valle a me a Ber-

25 Wilhelm von Keitel, capo dello Stato Maggiore Generale tedesco e mi­ nistro della Difesa. L’incontro a Innsbruck col sottosegretario alla Guerra gen. Pariani avvenne dopo la firma del Patto d’Acciaio. — Il gen. Giuseppe Valle era sottosegretario all’Aeronautica e l’amm. Domenico Cavagnari alla Marina.

Millenovecentotrentanove 233

lino, di Cavagnari a me (nell’anticamera di Mussolini) e di Ca­ valiere: tutti i militari tedeschi non si preparavano ad una guerra sollecita e ciò rispondeva alle conversazioni diplomatiche che condussero noi all’alleanza. Quindi giustificazione dell’at­ tuale astensione italiana. Volpi mi dice, dopo, che Graziani gli ha detto di aver tro­ vato Mussolini adiratissimo contro i tedeschi, ma che non esclude un intervento italiano.

[Roma,] 15 settembre 1939 MUSSOLINI

Parliamo del blocco anglo-francese e delle nostre esporta­ zioni ai belligeranti. Mussolini dice che per ora gli anglo-francesi si mostrano molto ben disposti a facilitarci i rifornimenti. In­ tanto noi dobbiamo «vendere a chiunque qualunque cosa»; «me­ glio vendere materiale ferroviario, navi ecc. che abbiamo pronte e rimpiazzarle per noi, che accettare ordini per consegne a sca­ denza. Ai militari ho detto che devono adattarsi a queste neces­ sità del momento. Entro dicembre spero di aver incassato 3 mi­ liardi con queste esportazioni». Questa politica è spiegabile soltanto con un programma di continuata neutralità. Però conoscendo la mancanza di conti­ nuità di linea dell’uomo e l’ipocrisia dei suoi discorsi cerco di in­ fluire perché effettivamente l’Italia non si getti nell’avventura della guerra. Dico: «La nostra astensione può essere non una neutralità negativa, bensì una preparazione costruttiva intesa a salvare la vecchia Europa e la sua civiltà minacciata di sfacelo. Ancora più che le perdite pur dolorosissime di vite, è il collasso morale politico ed economico dei popoli che può essere la più triste delle conseguenze della guerra, la rovina della piccola bor­ ghesia e dei risparmiatori e pensionati per la svalutazione delle monete, il disorientamento dei giovani ridotti a non più sapere a quale ideale politico rivolgere lo sguardo, il caos politico ed eco­ nomico». Mussolini mi interrompe: «E interessante che mi diciate que­ sto; Halifax ha scritto giorni or sono una simpatica lettera a Ciano ed io ho detto a Ciano che nel rispondere dicesse che, se

234 Millenovecentotrentanove

anche sparissero tutti i bolscevichi che ci sono in Europa occi­ dentale, il bacillo è nell’aria e la guerra lo feconda». Io riprendo: «Voi solo avete la possibilità, continuando nella neutralità, di intervenire per far fare la pace, a tempo opportuno promuovendo, insieme con la pace, una ricostruzione su nuove basi dell’Europa, non senza vantaggio per l’Italia». Mussolini dice: «Hitler era deciso a iniziare le ostilità il 25 agosto. Se non avesse avuto cosi fulminei successi, il ritardo in­ tervenuto, pur breve, avrebbe potuto essergli di grave nocu­ mento causa l’iniziarsi delle piogge in Polonia verso la fine di set­ tembre. Non si dovrebbe mai sfidare gli elementi nello stabilire la data di inizio e l’orario di una guerra». Mussolini ha evidente­ mente la sensazione che la Germania ha creduto di poter impu­ nemente arrischiare l’impresa contro la Polonia. Mi dice: «Io avevo detto a Hitler che ero sicuro che l’Inghilterra non avrebbe digerito l’annessione di Danzica, ma egli ha sempre creduto il contrario e tanto più dopo l’accordo con Mosca». Ad una mia domanda sulla corresponsabilità inglese nello sca­ tenare la guerra, Mussolini risponde: «L’Inghilterra era disposta il 31 agosto ad accettare la mia proposta26; quella sera sedeva il Consiglio dei ministri inglese e ne discuteva quando alle 23 si fece annunziare l’ambasciatore di Polonia. Restò cinque minuti. La Polonia chiedeva il rispetto del patto di garanzia e l’inter­ vento inglese salvo che Hitler ritirasse le truppe dalla zona occu­ pata, ed il Governo inglese ritenne di aver impegnato la sua pa­ rola e fece sua la richiesta polacca, che naturalmente non era ac­ cettabile da Hitler. «La Francia aveva già accettato la mia proposta. Però voleva un ritiro simbolico di truppe da parte tedesca. Non so bene che cosa ciò volesse dire, ma non c’è stata poi occasione di approfon­ dire...». Circa la popolarità della guerra, Mussolini dice risultargli che in Germania c’è molta gente delusa ed ostile. Il popolo tedesco non credeva che l’Inghilterra sarebbe entrata in guerra. Fu un grave colpo «perché tra cugini si conoscono e stimano e temono a vicenda». «Anche in Francia il popolo non sente la guerra, che d’al­ tronde anche il governo francese sarebbe stato lieto di evitare». 26 La proposta era di tenere il 5 settembre un convegno per rivedere le clausole del trattato di Versailles che turbavano la vita europea.

Millenovecentotrentanove 235

Parliamo degli accordi russo-tedeschi. Mussolini dice: «Ri­ cordo che voi ne avevate avuto l’intuizione27. Io ne avevo avuto un sentore da un accenno di Goering. Ma noi sappiamo ben poco sul contenuto degli accordi». Ho l’impressione che sia questa una delle accuse che l’Italia fa alla Germania: di averla tenuta e di tenerla all’oscuro. Io ac­ cenno alla situazione incerta della Turchia, legata all’Inghilterra ma timorosa della Russia con cui ha dovuto stringere accordi, e Mussolini dice: «Hitler ha apprezzato la nostra astensione perché essa ha tenuto fuori del conflitto Turchia, Grecia, Romania e si può forse dire tutta l’Intesa Balcanica, compresa la Jugoslavia. Quanto alla Grecia, essa ha avuto paura di noi, ma ora è tran­ quillizzata». Poi Mussolini dice: «Ho ancora consigliato a Hitler di non attaccare a Ovest ed egli mi ha confermato che questa è e sarà la sua politica». Ne deduco che ci sono contatti intimi tra Mussolini e Hitler ed accentuo i miei argomenti in favore di una neutralità italiana. Riassuntivamente·, la salute di Mussolini è buona contraria­ mente alle voci. Il solito pieno controllo di sé e la solita difficoltà di capire che cosa pensi veramente. Però qualche contraddizione. Proposito di farmi sentire che l’Asse non è rotto e che conti­ nuano i suoi contatti intimi con Hitler; cautela nel giudicare le chances delle due parti. Hitler è più responsabile della guerra che non Londra. Apprezzamento per l’attitudine di Londra e Parigi verso di noi. Ha l’aria di ascoltare con interesse i miei ragiona­ menti in favore della neutralità continuata dell’Italia.

[Roma,] 10 ottobre 1939-XVII GUARNERI

Continuano difficoltà valutarie. Ha esitato se far fronte agli impegni del prestito Morgan28 e poi ha pagato. 27 Cfr. l’appunto del 4 maggio 1939. 28 II prestito di 100 milioni di dollari contratto dall’Italia nel 1925 subito dopo la sistemazione del debito di guerra verso gli Stati Uniti.

236 Millenovecentotrentanove

Ha avuto notizie che i tedeschi producono in ragione di 800 aeroplani al mese (e i piloti) e di 20-25 sottomarini al mese. Per­ ciò sperano aver ragione dei nemici. Pensano poter sfondare la linea Maginot e arrivare a Parigi per Natale. (Ciano gli ha detto: «Hitler rispetta gli orari che in­ dica».) [Roma,] ottobre 1939 bastianini 2930 : produzione tedesca di sottomarini oggi 4 al 32 31 mese, fra quattro mesi 18 al mese.

sa[ntoro?]: Ciano è rimasto impressionato della preparazione bellica tedesca. Però il gen. Roatta ha giudicato non ottimo il comportamento dei carri armati tedeschi in Polonia. Mussolini nel discorso ai gerarchi sardi50 (mentre il comuni­ cato dice che non ha parlato di politica estera) ha affermato: à) che verrà forse il giorno in cui l’Italia dimostrerà la sua fe­ deltà all’Asse; b) che i sardi sanno quali mete sono ad essi riservate; c) che gli italiani non devono dimenticare gli jamais della Francia. guarneri dice che la campagna di stampa attuale favorevole al discorso pacifista di Hitler51 è destinata ad attenuarsi e finire.

federzoni dice che una volta evitata la guerra il primo giorno, «son cose che non si ripescano...», si continua sul piano inclinato che ci allontana.

Mussolini non ha ceduto alle insistenze di Hitler perché ci andasse lui ed ha mandato Ciano52.

29 Dalla fine di settembre Bastianini era stato nominato ambasciatore a Londra. 30 A Palazzo Venezia il 7 ottobre. 31 II discorso del 6 ottobre al Reichstag in cui Hitler aveva lanciato una «offensiva di pace» proponendo una conferenza europea. 32 Si riferisce al viaggio a Berlino di Ciano dell’1-2 ottobre.

Millenovecentotrentanove 237

Agli Esteri lo spirito antitedesco non è venuto meno. Federzoni molto impressionato per avanzata russa in Polonia.

Bastianini dice: «La nostra frontiera è ai Carpazi ed i russi ci sono. Stalin ha trionfato su Hitler. La funzione antibolscevica dell’Italia è apprezzata anche dagli Stati Uniti». Quando nell’agosto noi facemmo un elenco di quello di cui avremmo avuto bisogno per entrare in guerra a fianco della Ger­ mania, l’ambasciatore tedesco Von Mackensen ci esortava confi­ denzialmente ad ingrossare l’elenco. Evidentemente voleva im­ pressionare Hitler e trattenerlo dal marciare.

14 novembre 1939 MUSSOLINI

Mi dice: «Il tempo lavora a favore degli inglesi». «La Francia all’inizio della guerra non aveva che 1400 aero­ plani di cui la metà di tipo vecchio. La Germania non ha saputo approfittarne. Ora la Francia ha già fatto passi da gigante, e quanto all’Inghilterra la sua aviazione si è rivelata ottima. Gli Spitfire con 8 (?) mitragliatrici frontali sono formidabili. Resta il problema dei piloti: molti sono i capaci di volare a 500 km in li­ nea retta, ma quando si tratta di voltiger...»

«Non credo che l’iniziativa di pace belga-olandese33 avrà suc­ cesso». «Non credo ormai probabile una offensiva in grande stile fino a primavera. Ci saranno molte azioni aeree. E ciò prova ancora l’importanza dell’aviazione anche come elemento che snerva la popolazione civile».

33 La mediazione per un eventuale negoziato di pace offerta il 7 novembre dai sovrani del Belgio e d’Olanda in un messaggio alle potenze belligeranti.

238 Millenovecentotrentanove

«I tedeschi ci fanno angherie sopra angherie. Anche per l’Alto Adige34 abbiamo avuto difficoltà. Li non si può ancora dire quanti opteranno per andarsene. I preti fanno opera perché restino, gli altri perché se ne vadano. Io preferirei che partissero in molti. Li sostituiremo con gente del Trentino che sono di si­ cura italianità. «I tedeschi pretendono che i beni dell’Alto Adige posseduti da tedeschi sommino a circa dieci miliardi di lire. Esagerano e noi vogliamo fare il giusto ma non di più. Ma costasse anche molti miliardi varrebbe la pena di spenderli pur di liberare la zona da questa situazione».

[Roma,] 23 novembre 1939-XVIII CIANO

Gli dico che sono in partenza per Parigi, Londra e Bruxelles. Dice: «Occorre che Parigi e Londra capiscano che devono non far nulla nei nostri riguardi e non pretender nulla da noi. Ci penserà la Germania a creare le condizioni del nostro distacco da Berlino. Se fossero abili (Inghilterra e Francia) e lavorassero in Alto Adige, probabilmente troverebbero li un terreno dove è fa­ cile che maturi un contrasto italo-tedesco, dove è facile che av­ venga qualche incidente, qualche colpo di rivoltella. «Io dovrò fare tra poco un discorso ed apparirà come assai contrario alle democrazie occidentali. E necessario che faccia cosi perché appaia che l’Italia non è lei a rompere l’Asse. Ci penseranno i tedeschi. «Questa politica è necessaria anche nei riguardi di Palazzo Venezia. D’altronde con Poncet e con Loraine35, che sono ambe34 Tra giugno e ottobre del ’39 le autorità italiane e tedesche avevano sti­ pulato un accordo per risolvere il problema etnico dell’Alto Adige. L’accordo stabiliva il trasferimento in Germania obbligatorio e quasi immediato degli al­ toatesini di cittadinanza germanica, mentre al resto della popolazione di lingua tedesca si chiedeva di scegliere definitivamente tra la cittadinanza italiana e quella tedesca: gli optanti per la cittadinanza tedesca dovevano trasferirsi in Germania entro la fine del ’42. L’accordo comprendeva disposizioni di carat­ tere economico, per gli indennizzi e rimborsi cui avevano diritto gli optanti per il Reich. 35 Sir Percy Loraine, l’ambasciatore inglese a Roma. — Fran^ois-Poncet si era insediato all’Ambasciata di Francia dall’ottobre ’38.

Millenovecentotrentanove 239

due intelligenti, lavoriamo benissimo. Intendiamoci: non arrive­ remo a batterci contro i tedeschi. Ma io penso ad una neutralità continuata. So di essere impopolare in Germania, ma a Hitler ho detto io stesso: voi non potete rimproverarmi di amare più l’Ita­ lia della Germania». Non crede che la Russia possa dare un aiuto importante alla Germania. Conferma che le notizie sullo stato d’animo del po­ polo tedesco sono gravi. Pensa alla possibilità di un attacco tedesco alla Francia attra­ verso l’Olanda fatto nell’inverno perché il gelo impedirebbe gli allagamenti difensivi... GUARNERI

Ha visto a Bolzano le code di altoatesini che si recavano ad optare. Si pensa ad un plebiscito pro germanizzazione. Ma poi se ne andranno? Valutazione dei beni tra 10 e 18 miliardi (?!). Parigi, 26 novembre 1939 SERRUYS

Alto Commissario per l’Economia nazionale, coordina il la­ voro dei ministri del Commercio e dell’Agricoltura tra di loro e con i ministri dell’Armamento, delle Finanze e dei Trasporti. Ora sta occupandosi, tra l’altro, (a) della requisizione dei rot­ tami metallici e della carta e degli stracci ecc., (b) della creazione e sviluppo di industrie: es. catrame e derivati, raion e lanital. Cosi ci si prepara a una guerra lunghissima. Però i Governi inglese e francese hanno notizia di programmi tedeschi per guerra terribili. Se non ne avessero avuta notizia preventiva e non stessero preparandosi a controbatterli, avreb­ bero potuto essere micidiali. La loro terribilità potrà forse avere per conseguenza di accorciare la guerra anche perché il mondo intero dirà «basta». [..J36 36 II brano omesso contiene schematici appunti che ritornano, sviluppati, nel successivo resoconto del 7 dicembre.

240 Millenovecentotrentanove

Mi dice che Daladier37* vorrebbe incontrarmi e che si po­ trebbe combinare in modo che l’incontro rimanesse segreto. Lo ringrazio ma prego scusarmi: non vorrei ci fossero interpretazioni errate sul mio viaggio, che è privato e di affari. Dice che anche De Monzie 58 vorrebbe conoscermi. Mi chiede se ho modo di stabilire comunicazioni riservate con lui per segnalargli errori che si commettano nei riguardi del­ l’Italia. Evito di rispondere.

7 dicembre 1939-XVIII VIAGGIO A PARIGI, LONDRA E BRUXELLES 39

Intervista con Serruys, uomo di fiducia di Daladier e oggi alto commissario per l’Economia, alle dirette dipendenze del presi­ dente del Consiglio. Partecipa alle riunioni di Gabinetto. Mi parla anche lui dei Balcani e dell’Ungheria (vedere rap­ porto successivo). Mi dice che Daladier è pienamente dell’ordine di idee di riconoscere all’Italia una posizione preminente in quelle regioni. Afferma che il presidente del Consiglio francese è ben persuaso che la futura pace dovrà essere ben diversa da quella di Versailles «dominata dallo spirito intransigente di Tardieu». Soggiunge: «Anche in Germania ci sono e più ci saranno elementi capaci di associarsi a una larga politica di collaborazione europea. Forse con tinta antibolscevica. L’Italia dovrà certo es­ sere presente al tavolo della pace anche se non avesse combat­ tuto. Vi dovrà essere anche qualche revisione territoriale. Non la Corsica però. Piuttosto il campo coloniale e poi accordi per una vasta collaborazione economica ed anche per opere pubbliche di carattere internazionale». (Gli ricordo aver io coltivato invano quest’ultimo programma dopo la guerra 1914-1918.) Serruys mi dice che in Francia furono subito conosciuti gli

37 Edouard Daladier era presidente del Consiglio dall’aprile ’38. 58 Anatole de Monzie era ministro dei Lavori pubblici. 39 Quelle che seguono sono cinque relazioni separate, ciascuna con questo titolo di serie. Battute su carta da lettere personale di Alberto Pirelli, furono certamente inviate a esponenti dell’esecutivo.

Millenovecentotrentanove 241

estremi del trattato russo-tedesco del 23 agosto e che quanto è avvenuto in Polonia ha confermato l’esattezza delle informa­ zioni. Ora tali informazioni parlavano anche di un diritto di compensi per la Germania nel caso che la Russia si avvalesse della mano libera lasciatale dalla Germania nei riguardi del Bal­ tico orientale (e anche della Bessarabia?). Si accenna a Parigi alla possibilità che la Germania abbia so­ prattutto di mira la Danimarca — col cui possesso si assicure­ rebbe una posizione dominante tra Mar del Nord e Baltico e da cui trarrebbe i grassi di cui abbisogna — ed eventualmente anche la Svezia per assicurarsi ferro e legname. Serruys accenna (e la stessa cosa mi è stata detta a Londra) alle esitazioni di alcuni ambienti militari francesi e politici inglesi circa l’attitudine da osservare nei riguardi dell’Italia dopo lo scoppio della guerra, essendo sorto il pensiero che la nostra astensione fosse concordata con la Germania per facilitarne i ri­ fornimenti ed anche perché «più vulnerabile che non lo sia la Germania attraverso la linea Maginot [szc]». Serruys afferma che Daladier è stato invece fin dall’inizio animato da sentimenti di riguardo e di amicizia per l’Italia. Richiesto del mio parere circa i rapporti italo-francesi, dico: «Anche se taluni italiani non amano i tedeschi, quegli stessi ricordano e non perdonano le sanzioni. «Voi avete sempre sottovalutato l’Italia. «Mussolini, proponendovi il Patto a Quattro, ha anticipato il programma di collaborazione europea di cui avete parlato. D’al­ tronde a Stresa ha cercato di fare un’intesa duratura con voi e con l’Inghilterra che non fosse contro la Germania. Anche dopo Monaco avete perduto un’occasione di avvicinamento irrigiden­ dovi sull’accordo del gennaio ’35. «Ora non dovete esasperare la pubblica opinione italiana né con attacchi e offese di stampa né con blandizie, che avrebbero oggi un sapore antipatico. Lasciateci tranquilli. Non so che cosa riservi l’avvenire: tutto è possibile e nulla è certo. Ma, se mai, è solo il tempo che può lavorare per voi, non la propaganda. Se uno dei due gruppi belligeranti dicesse a Mussolini: “con noi o contro di noi”, credo che la sua risposta sarebbe indubitabile ed immediata. «Anche nei rapporti economici i vostri acquisti non devono mai avere il sapore di un allettamento inteso ad acquistare simpa­ tie e neutralità, come con molto cattivo gusto è sembrato afflo-

242 Millenovecentotrentanove

rare in certi discorsi. Per contro non esagerate nel tirar di prezzo, come è avvenuto. E mettetevi d’accordo con Londra perché il blocco sia ragionevole e non ci danneggi troppo. Meglio per voi perfino qualche rivolo inevitabile di contrabbando a favore della Germania che irritare tutto un popolo e dare alimento alla propa­ ganda altrui. Pensate d’altra parte che siamo creditori della Ger­ mania40 e che, se fermate il carbone che parte da Rotterdam, danneggiate l’Italia e non la Germania».

L’Italia e la regione danubiana e balcanica Sono certo frutto di una parola d’ordine gli accenni che da ogni parte — talvolta quasi con le stesse parole — mi sono stati fatti a Parigi, Londra e di riflesso anche a Bruxelles sulla fun­ zione che viene riconosciuta (finalmente, ma fino a quando?) al­ l’Italia nelle regioni sopraddette. Si dice: «E provato che le piccole Potenze non possono ormai né vi­ vere bene economicamente in tempo di pace, né difendersi mili­ tarmente se attaccate. «E provato che le garanzie che ad esse possono dare le grandi Potenze geograficamente non contigue non giovano a nulla. «La zona a sud del Danubio diventa dunque il naturale campo d’influenza italiana» (è evidente anche lo scopo di inco­ raggiare la nostra espansione verso l’Oriente per distrarci da ri­ vendicazioni in altre direzioni, e nello stesso tempo di attrarci nel conflitto in senso antitedesco o almeno antirusso attraverso possibili complicazioni balcaniche). Si insiste nel motivo: «Il punto nevralgico è oggi l’Ungheria; solo l’Italia può salvarla dal predominio germanico o slavo». Si accenna a Londra da persone in posizione di responsabilità (tra l’altro da Sir Frederick Leith Ross, direttore generale della Guerra economica) alla possibilità di combinazioni finanziarie che permettano all’Italia di fornire prodotti a certi paesi balcanici contro l’apertura di crediti a Londra in quanto Londra possa a sua volta acquistare taluni prodotti in quei paesi. In particolare mi si è accennato alla possibilità di fornire armi dall’Italia alla Ju­ goslavia (tra l’altro cannoni antiaerei) contro aperture di credito 40 Per le riparazioni della guerra Ί5-Ί8.

Millenovecentotrentanove 243

in sterline compensate da acquisti di rame e di altre materie prime jugoslave da parte inglese. Si cerca di marcare (Massigli, ambasciatore francese ad Ankara, trovato per caso in treno) i pericoli di una politica revisionista nei Balcani «che andasse al di là di una rettifica delle frontiere ungaro-romene». «Qualsiasi ingrandimento della Bulgaria, per esempio in Dobrugia, rafforzerebbe l’unico Stato balcanico che si sente veramente slavo (anche se oggi timida­ mente antibolscevico)». Ho sentito affermare a Londra e a Parigi la più assoluta tranquillità (?) circa la fedeltà della Turchia nei riguardi della Francia e dell’Inghilterra. Però la Turchia è impreparata mili­ tarmente. Gli armeni sono diventati gli emissari di Mosca. Si afferma che il sentimento antiturco degli armeni è attenuato da che non temono più che la Turchia possa essere un veicolo di comuniSmo come quando era amica della Russia. In alcuni ambienti di Parigi ho sentito parlare del progetto, in caso di vittoria franco-inglese, di ricostituire un raggruppa­ mento formato da Austria, Ungheria e Boemia.

Potenziale economico dei belligeranti

A Parigi e a Londra ho riscontrato la più assoluta tranquil­ lità circa l’esito della guerra, ma nessuna illusione sulla rapidità di un collasso tedesco dovuto a deficienze alimentari o di mate­ rie prime. Tuttavia si considera che la Germania è in meno buone condizioni del ’14 quanto alle sue risorse finanziarie sia interne che esterne (meno oro e pochissimi titoli esteri), che le manca il ferro di Loreria di cui disponeva nel ’14, ma che ha una zona marginale neutra assai più vasta che nel ’14 e con cui potrà continuare e intensificare gli scambi. Si riconosce che l’economia tedesca era-già organizzata su di una base che le ha permesso un rapido passaggio al regime di guerra; per contro la Germania aveva già da tempo abusato delle forze di lavoro (tenuto anche conto del ridotto regime alimentare), aveva con­ sumato scorte, declassato prodotti e teso all’estremo il regime finanziario e quello degli scambi con l’estero, basato su costi valutari e non su costi economici. A loro volta l’Inghilterra e la Francia, se dispongono ambe-

244 Millenovecentotrentanove

due di più oro che nel Ί4, posseggono meno titoli esteri, soprattutto meno titoli in dollari, e non possono contare per ora su crediti agli Stati Uniti a causa non solamente del cash and carry ma anche del Johnson Act (non si escludono modesti crediti bancari senza emissione al pubblico, o baratti speciali come quello gomma-cotone che sta avendo esecuzione). Per contro i Dominions sono in condizione di dare un contributo maggiore che nel Ί4 e lo daranno; per es. l’Australia ha emesso tempo addietro sul mercato di Londra un prestito per 600 milioni di lire sterline e può ripagarlo con lana, carni, piombo, ecc. Ciò rientra d’altronde nella politica già in atto, intesa a intensificare i rapporti coi Dominions e le Colonie e con quello che resta della sterling area, politica che si accoppia a quella di intensi rapporti coi paesi neutri europei per tenerseli amici e soprattutto per drenarne le possibilità e ridurre le loro forniture alla Germania. Ne deriverà che, mentre la Gran Bretagna com­ prerà più armi e munizioni negli Stati Uniti, cercherà di evitare altri acquisti in dollari e, per es., comprerà il cotone egiziano invece di quello americano, anche se costi di più; acquisterà tabacco in Turchia, Belgio e Grecia anziché nel Nord America. E da tener presente che dall’ultima guerra la Gran Bretagna usci con le riserve auree intatte ed avendo sacrificato titoli esteri solamente nei limiti in cui i prestiti da essa fatti agli Alleati superavano quelli da essa contratti agli Stati Uniti. L’Inghilterra allo scoppio della guerra, a differenza della Germania, aveva un potenziale di lavoro non utilizzato rappre­ sentato dai disoccupati. Nonostante il larghissimo sforzo per le produzioni belliche e gli arruolamenti, essa aveva alla fine di novembre quasi 200.000 disoccupati di più che all’inizio della guerra e ciò a causa della riduzione delle produzioni e dei con­ sumi normali dovuta alla cessazione dell’industria edilizia civile e dell’industria alberghiera, alla riduzione dell’automobilismo privato, ecc., nonché per il dislocamento temporaneo delle esportazioni.

41 Legge statunitense del giugno-novembre 1939 che, emendando il Neu­ trality Act, consentiva a Francia e Inghilterra, benché belligeranti, di acqui­ stare e portar via dall’America materie prime, manufatti, e successivamente anche armi e munizioni, purché dietro pagamento immediato e usando mezzi di trasporto propri. Per il Johnson Act si veda la nota 46/1936.

Millcnovecentotrcntanove 245

Il governo inglese ha fissato prezzi massimi per alcune mate­ rie prime, prezzi che sono inferiori a quelli del mercato mondiale e che sono validi anche per le forniture destinate alle fabbrica­ zioni per l’esportazione. Cosi il rame costa ai fabbricanti inglesi Lst. 51, mentre ne costa 70 a New York e circa 75 a noi (anche la Francia, prima delle recenti intese per l’unità economica an­ glo-francese nella condotta della guerra, ha comperato molto rame nel Katanga a Lst. 69). Questa politica inglese di prezzi differenziali può rappresen­ tare un pericolo anche per alcune nostre esportazioni (ricordo le polemiche che sollevò l’analoga politica per i prezzi del carbone dopo la guerra del 1914-1918); però alcuni dei Capi responsabili (Lord Stamp e Sir Leith Ross) mi hanno dichiarato che sono con­ trarissimi al proseguimento di questa politica. Quanto al blocco delle esportazioni tedesche, ho fatto il pos­ sibile per contribuire a creare la sensazione delle gravi ed ingiuste ripercussioni per l’Italia nel rendere difficile l’esportazione del carbone tedesco via Rotterdam. Ho avuto l’ultimo giorno assicu­ razioni a Londra e poi a Parigi che si era disposti a dare delle soddisfazioni all’Italia. La preoccupazione di aumentare le esportazioni è diventata ora, e dopo alcuni mesi di disorientamento, una delle principali direttive della politica sia inglese che francese. I due Alleati sen­ tono che, se la Germania sta peggio che nel ’14, essi pure stanno meno bene e devono assolutamente contare su una intensifica­ zione delle esportazioni per finanziare gli acquisti fatti dall’e­ stero. Quanto all’aiuto che la Russia potrà dare alla Germania, si sentono esprimere i dubbi ben noti: vuole essa veramente aiutare la Germania? e, volendolo, è in condizioni di farlo? Il problema degli olii minerali, quello della riorganizzazione dei trasporti in Russia (fornitura di materiali rotabili), quello dei minerali di ferro svedesi (trasporto ordinario via Narvick e difficoltà di sosti­ tuirvi la via del Baltico; tentativi inglesi di accaparramento della produzione del minerale; timore svedese che la Germania possa prenderne pretesto per attaccare la Svezia), il problema dell’intensificato sfruttamento delle possibilità minerarie degli Orali, sono tutte questioni ormai sul tappeto delle discussioni fra i co­ siddetti competenti, ma senza che nessuno tiri le somme in modo da dare una sintesi conclusiva e persuasiva. In generale l’impres­ sione raccolta è stata che l’aiuto russo non potrà essere grande,

246 Mìllenovecentotrentanove

specialmente essendo l’URSS impegnata in azioni belliche e preoccupata di preparare il proprio esercito per ogni evento. Belgio

1. Sentimento generale antitedesco. In molti circoli notevole risentimento contro la Gran Bretagna per il blocco. Simpatia dif­ fusa per la Francia. 2. Timore che, mentre in caso di attacco l’Olanda verrebbe probabilmente rispettata nella zona interna, che risulterà protetta dalle inondazioni, il Belgio venga attaccato a fondo attraverso il Brabante. Tuttavia si ha fiducia in una efficace resistenza sul Ca­ nale Alberto. Si benedice il cattivo tempo che ha provocato inon­ dazioni. 3. Il Belgio ha talmente timore che qualsiasi suo passo possa dare pretesto alla Germania per attraversarlo, che — cosi mi assicurarono membri del Governo — esso ha rifiutato di dare an­ che ufficiosamente alla Gran Bretagna e alla Francia l’assicura­ zione che, se l’Olanda fosse invasa, verrebbe permessa l’entrata delle truppe franco-inglesi in territorio belga. Pressato a dire se, neppure in caso di occupazione delle foci della Schelda, poteva assicurare che avrebbe dato il permesso di cui sopra, si è rifiutato di rispondere. Tuttavia non c’è possibilità di dubbio in argo­ mento. Un ministro influente mi ha detto: «Ci siamo rifiutati a qualunque intesa con lo Stato Maggiore francese, però... questi conosce perfettamente la dislocazione delle nostre truppe e delle nostre difese e un’ora dopo l’invasione.l’accordo militare sarebbe raggiunto». 4. Preoccupazione per la debolezza del Governo, il fraziona­ mento dei partiti e qualche risveglio comunista. Anche per le enormi spese. Diffusa sensazione che il franco belga dovrà svalu­ tare.

Situazione intema in Germania Si sentono a Parigi, a Londra e anche a Bruxelles i soliti ac­ cenni (speranza o persuasione ?) del seguente tono:

Millenovecentotrentanove 247

— malcontento tra il popolo tedesco (cattolici, ebrei; il razio­ namento dei viveri; l’effetto deprimente dell’oscurità; il contra­ sto tra il combattente e l’operaio esonerato; il timore popolare verso l’Inghilterra anche per il ricordo degli effetti del blocco nella guerra 1914-1918; ecc. ecc.); — dissensi tra i nazisti per la contraddizione tra l’attuale po­ litica e i due principi basilari: il razzismo e l’antibolscevismo; — malcontento di quanti, ancor più che per l’accordo con i bolscevichi, sono turbati per l’abbandono delle posizioni secolari tedesche negli Stati baltici e per l’avanzata russa; — divisione tra i Capi (?) circa la condotta della guerra. Tuttavia non ho trovato molte illusioni di una sollecita riper­ cussione di questi stati d’animo sulla condotta e sull’esito della guerra. Si ritiene in generale che l’appello alla necessità di unione e l’identificazione del pericolo di indebolire il nazismo con quello di una sconfitta germanica trovino per ora pieno responso anche tra i dissidenti. Notizie contraddittorie: due funzionari della Croce Rossa americana, tornati da un lungo viaggio in Germania, danno giu­ dizi non pessimisti sulle condizioni che vi hanno riscontrato; i Capi della Casa Morgan di Parigi dicono invece di aver avuto contatti con industriali tedeschi e di averli trovati molto preoccu­ pati. L’ambasciatore Massigli42 mi ha detto che Von Papen si sa­ rebbe lasciato sfuggire ad Ankara una frase nel senso che egli po­ trebbe essere... l’uomo del domani (!)

[Roma,] 15 dicembre 1939-XVIII MUSSOLINI

Riferisco le impressioni raccolte a Parigi, Londra, Bruxelles. Accenno ai pericoli di nostri interventi in favore dell’Ungheria senza essere sicurissimi della Jugoslavia (Mussolini commenta: «Per la Spagna non eravamo contigui ma il mare collega meglio che non un terzo paese»). Parlo della difficile situazione delle pic-

42 René Massigli e Franz von Papen erano entrambi ambasciatori ad An­ kara, rispettivamente della Francia e della Germania.

248 Millenovecentotrentanove

cole potenze (in pace e in guerra). Mussolini dice che tocca alle grandi potenze di aggregarsi le piccole nazioni vicine e parla di organizzarle sul tipo della provincia romana. Obbietto: «Ci ri­ catterebbero, si fomenterebbe Γirredentismo, e poiché è difficile dominarle (specialmente per noi che abbiamo pochi soldi) sareb­ bero infide e costose». Mussolini dice che gli albanesi sono con­ tenti e che se altre nazioni entrassero egualmente nella nostra or­ bita egli sceglierebbe in esse generali e diplomatici. Obbietto che una cosa è l’Albania ed altra la Grecia o la Croazia. Mussolini insiste sull’impossibilità per le piccole nazioni di difendersi contro l’aviazione delle grandi. Le sue direttive sono più che mai per lo sviluppo dell’aviazione. Si mostra irritato per il controllo inglese, pur apprezzando lo sforzo dell’ambasciatore e di Rodd45. Circa i Balcani accenna al pericolo bolscevico in Bulgaria (dove c’è stato un plebiscito di abbonamenti alla «Pravda» ap­ pena il Governo lo ha consentito: «Governo debole» dice Musso­ lini) ed anche in Jugoslavia (dimostrazioni a Belgrado dove la po­ lizia ha dovuto sparare). «La combinazione della propaganda raz­ zista (slava) e bolscevica è pericolosa». Non ha l’impressione che la Germania pensi a intervenire nei Balcani. Ha bisogno che vi regni la pace e di ottenere riforni­ menti. Esprime disprezzo per l’esercito russo. Gli dico che, a mio avviso, gli Stati Uniti cercheranno di star fuori dal conflitto, ma, se maturasse la minaccia che l’Inghilterra soccomba, allora credo che interverrebbero. Nel frattempo da­ ranno pieno appoggio finanziario e di forniture all’Inghilterra e tale appoggio può avere un peso decisivo. Mussolini dice: «Si: il tempo lavora per gli inglesi». (Ma sarà sincero questo pur giusto giudizio? e sarà l’azione coerente con esso?)

45 Francis Rennel Rodd (2° lord Rodd dopo la morte del padre James già cit.: nota 55/1936), consigliere presso l’Ambasciata britannica a Roma; pub­ blico funzionario e banchiere, era stato nel Comitato direttivo della BRI, poi nella direzione della Banca d’Inghilterra (più tardi fu presidente della banca privata Morgan, Grenfell & Co. di Londra).

1940

[Roma,] 30 gennaio 1940-XVIII CIANO

Ritiene sempre sicura la vittoria anglo-francese. Se ci fosse un dubbio, l’America interverrebbe. Crede sempre ad un rapido sfa­ celo interno tedesco. Hitler nonché raccogliere la fiducia è odiato («Se il discorso di Monaco1 fosse durato di più...»). I Capi nazi­ sti sono divisi e in urto l’uno con l’altro. Balcani. Bisogna che l’Ungheria non chieda troppo... Noi non possiamo pensare ad un dislocamento della Jugoslavia ed aggrega­ zione in una od altra forma (unione personale?) della Croazia se non d’accordo con Francia e Inghilterra. Ma il Capo non la pensa cosi. In Albania abbiamo qualche difficoltà politica, ma nulla di preoccupante. Si sta per arrestare una quarantina tra professori e studenti.

Roma, metà febbraio 1940 CINI

Mussolini sta preparando documentazione contro inglesi? Sta maturando mentalità che vincano i tedeschi?

1 Allusione all’attentato subito da Hitler a Monaco 1’8 novembre 1939.

250 Millenovecentoquaranta RODD

Che cosa è avvenuto fra il 2 e 1’8 febbraio?23Pressioni tede­ sche su Mussolini? Vapori con carbone tedesco da Rotterdam sa­ ranno fermati. Ma Inghilterra disposta a dare carbone (8 mi­ lioni). Azione inglese per impedire ai russi di arrivare alle miniere di ferro svedesi è certa. Attacco aereo a Baku: avrebbe valore notevole, ma tempora­ neo. Attacco aereo ai convogli: difficoltà. Siluri e Royal Oak \

BUTI

Mussolini ha avuto ragione di fare il muso duro agli inglesi. Questi mostrano compunzione. Halifax ha fatto dire che per il pagamento del carbone ci si aggiusterà. Esiste lettera recente di Mussolini a Halifax confermante che nulla è cambiato? Buti dice che inevitabilmente piegheremo verso franco-in­ glesi. Buti non sa che si sia sacrificata l’Ungheria. CERRUTI 4

Fu un errore dare illusioni agli inglesi che avremmo fornito armi. Sempre più antitedesco. Il pericolo maggiore è li. Errore Croazia. Condominio a Tunisi?

2 II 2 sembrava prossimo a realizzarsi un accordo commerciale italo-britannico che fra l’altro prevedeva la vendita di armi e munizioni all’Inghilterra; ma 1’8 fu comunicato all’ambasciatore britannico che il Duce rifiutava ogni ces­ sione di materiale bellico. 3 Nave da battaglia inglese affondata da un sottomarino tedesco il 14 otto­ bre 1939. 4 Rientrato nel ’38 al ministero dall’Ambasciata di Parigi.

Millenovecentoquaranta

251

febbraio 1940-XVIII SCHOLZ 5

Viene con una lettera di presentazione di Schacht. E evi­ dentemente mandato da questi, ma dice che Schacht ignora quello che lui viene a dirmi! Si vorrebbe dare a Schacht l’occa­ sione per fare una corsa in Italia e si è pensato ad un invito per una conferenza. Io rispondo molto cauto perché penso che Schacht cerchi una scusa o per uscirsene definitivamente o per venire ad incontrare qui qualcuno proveniente da Parigi o Londra. Dico che, data la personalità, l’invito andrebbe fatto presentendo il Governo ita­ liano e, attraverso questo, il Governo tedesco. Rimaniamo intesi di soprassedere a ogni cosa. Egli pensa tornare in principio di marzo. Durante la conversazione Scholz non nasconde le difficoltà economiche ed alimentari della Germania, ma crede che possa re­ sistere a lungo. Accenna invece a grave malcontento ed affiora, in rapporto alle possibilità politiche di Schacht, una grave affer­ mazione: un attacco militare tedesco che non riuscisse e costasse la vita a molti basterebbe a creare tale un malcontento da per­ mettere a Schacht di prendere posizione, od anche ciò potrebbe avvenire se maturassero delle proposte di pace che Schacht po­ tesse far sue (?!). Accenna al malcontento dei grossi industriali (oltre Thyssen)6 e cita von Siemens, Krupp von Bohlen e Voegele.

5 Wilhelm Johann Scholz, dirigente dell’organizzazione dell’industria del Reich. Hjalmar Schacht non era più governatore del Reichsbank né ministro dell’Economia, ma semplice ministro senza portafoglio. 6 Proprio in quei giorni l’industriale siderurgico Fritz Thyssen e sua moglie venivano privati della cittadinanza tedesca. Inizialmente sostenitore di Hitler, dopo l’invasione della Polonia Thyssen aveva lasciato la Germania.

252 Millenovecentoquaranta

Zurigo, 1° marzo 1940 col.

Behn 7 (New York)

Dice Roosevelt sarà rieletto. Intensificherà appoggio a fran­ co-inglesi. Eventualmente farà entrare Stati Uniti in guerra. Inghilterra decisa andare fino in fondo. Germania fa dire e ridire agli americani che vuole la pace. Sembra disposta ricostituire una piccola Polonia (però dice: Sbrigatevela voi per quanto riguarda la Polonia occupata dai russi) ed una Czecoslovacchia, ma con condizioni e vorrebbe colonie. Sa­ rebbe disposta a collaborare ad un sistema di sicurezza collettiva e di disarmo controllato (?!). Cresce fuori di Germania una corrente in favore della ricosti­ tuzione di un Regno Austro-Ungarico ridotto (più Czecoslovac­ chia) a carattere cattolico. Si teme opposizione dell’Italia mentre, dice Behn... Crede che gli Alleati darebbero la Stiria all’Italia. La funzione dell’Italia nei Balcani. Il perno del gruppo balcanico è a uno dei due poli: Roma o Ankara. In Inghilterra vive il terzogenito del Kaiser, Prinz Friedrich, e su di lui si impernierebbe la politica britannica per la sistema­ zione della Germania dopoguerra. La Russia non ha ceduto alle insistenze tedesche affinché at­ taccasse Mossul e l’Afghanistan. Perciò gli inglesi non hanno di­ chiarato guerra ed attendono. Vogliono essere provocati. Ma la Russia, una volta presa la Finlandia, farà alla Svezia proposte umilianti e davanti ad un rifiuto attaccherà. Allora la Germania occuperà parte della Svezia meridionale e la guerra si estenderà al Nord. (La Germania ha dato mano libera alla Russia per la Fin­ landia, ma non per la Svezia.) La Russia non attaccherà la Bessa­ rabia per ora. Gli aiuti della Russia alla Germania sono scarsissimi per ora e Behn non li vede annientare «substantially» se non a lunghissima scadenza e se... La situazione alimentare in Germania gli sembra gravissima. La Germania attaccherà. Prima tenterà di sfondare la linea Maginot e se non ci riesce tenterà la via dell’olanda. 7 Sosthenes Behn, fondatore e presidente della ITT (International Tele­ phone and Telegraph Corporation).

Millenovecentoquaranta

253

Fiducia all’estero in Mussolini e nelle sue possibilità di inter­ vento utile. Daladier molto ben visto dagli inglesi, ma non molto forte nel Parlamento. Probabilmente dovrà fare un rimaneggiamento. Il gen. Georges8 è la vera testa dell’esercito francese ed è for­ tissimo. Gamelin rispettato, ma considerato troppo conservatore. I tedeschi non hanno mai valutato l’apporto italiano. Ministri tedeschi parlando con lui in passato hanno svalutato l’Italia. An­ che al tempo delle sanzioni uno dei ministri disse a lui: «E incon­ cepibile che l’Inghilterra abbia paura dell’Italia. Basta che osi sparare...». Io lo ricarico opportunamente. [Roma,] 15 marzo 1940-XVIII VOLPI

Dice che Magistrati9 — il quale ha lungamente e più volte vi­ sto Hitler prima di lasciare Berlino — pensa che la Germania po­ trebbe offrirci di venire essa con uomini, cannoni ecc. nella valle padana per attaccare con noi la Francia. A Magistrati Himmler 10 ha detto che le forze naziste stanno sostituendosi ai militari nelle zone polacche confinanti con la Po­ lonia russa per fare da baluardo al contagio bolscevico. Volpi non crede alla continuità dei nuovi e maggiori riforni­ menti di carbone dalla Germania. Se la Germania fa l’offensiva questa richiederà 10 milioni di tonn. di acciaio, e carbone e tra­ sporti verranno destinati ai rimpiazzi. indelli

11

Ha lasciato Belgrado. Va a Tokyo. Dice che i croati non sono mai stati altro che un popolo aggregato a un altro ed eternamente malcontento. Ora, fatto l’accordo con Belgrado, i contadini non 8 Joseph Georges, comandante del fronte nord-est. Maurice-Gustave Game­ lin, capo di S. M. Generale, comandante supremo di tutte le forze d’occidente. 9 Massimo Magistrati, fino a gennaio ’40 ministro consigliere a Berlino. 10 Heinrich Himmler, ministro dell’interno, già capo della polizia nazista. 11 L’ambasciatore Mario Indelli.

254 Millenovecentoquaranta

vogliono pagare imposte; ci si accanisce contro i non molti indu­ striali e questi si trasportano in Serbia, dove le imposte sono mi­ nori. Può darsi che ci siano movimenti centripeti in rapporto al malcontento di cui sopra; alcuni favorirebbero una ricostituzione absburgica; può darsi che altri pensino all’Italia, ma solo per il ti­ more del peggio, cioè della Germania. Sarebbero poi subito con­ tro di noi. Anche lui è favorevole ad una larga politica di intesa con la Jugoslavia nel suo insieme: preferenze doganali, ferrovie e strade verso Durazzo; dare l’impressione che l’Albania è una necessità italiana, ma è rivolta verso l’Adriatico, non verso i Balcani ecc. Il principe Paolo 12 fa una politica misteriosa: mira lui alla Croazia? Stojadinovic è stato un vigliacco e lo paga. La Jugoslavia non ha armi. Noi le abbiamo fatto pagare troppo cari i pochi aeroplani dati allo scoppio della guerra. CIANO

Sumner Welles13. Non ha molto peso e non concluderà nulla. Mussolini gli ha detto chiaramente che l’Italia ha delle rivendica­ zioni e si riserva di farle valere. Ha accennato alla Tunisia, alla Corsica, alla situazione di Gibilterra.

Situazione generale. Lui, Ciano, sempre convinto che franco­ inglesi vinceranno (mano destra). Inoltre per sganciare l’Italia dalla Germania ha sostenuto a Berchtesgaden e sempre dipoi che i tedeschi avevano mancato ai primi due patti14, «consultazione» e «intesa», e quindi l’Italia era libera rispetto al terzo patto, «l’a­ zione comune». Invece Mussolini ha sempre preso, anche nelle lettere scambiate con Hitler, l’attitudine che l’Italia non interve­ niva perché il conflitto è localizzato e la Germania non ha biso­ gno di noi. D’altronde non c’è vera guerra. Nell’intervista con

12 13 velt a 14

Paolo Karageorgevic, principe reggente di Jugoslavia. Sottosegretario al Dipartimento di Stato americano, inviato da Roose­ consultare il Governo italiano. Si riferisce agli impegni convenuti nel Patto d’Acciaio.

Millenovecentoquaranta

255

Ribbentrop non si è impegnato a nulla, ma ha accentuato questa attitudine che, naturalmente, «rischia di comprometterci», dice Ciano. Ed ora Ribbentrop viene ad annunciare che la Germania attaccherà a fondo la linea Maginot, ed il problema, dice Ciano, può forse imporsi sotto vari aspetti: se la Germania veramente sfondasse ed i suoi eserciti dilagas­ sero nel nord della Francia, allora a noi converrebbe attaccare lungo il litorale meridionale ed anche in Tunisia; se la Germania non sfondasse e ci fosse un collasso interno ed il disfacimento tedesco, allora la nostra alleanza, accentuata re­ centemente da Mussolini, ci porrebbe in una situazione di grave debolezza politica nei riguardi dei franco-inglesi, degli americani ecc. Saremmo indirettamente dei vinti. Tale accentuazione riceverà presto una clamorosa conferma (incontro Mussolini-Hitler?). Però Ciano è fermamente convinto che noi non entriamo in guerra salvo nel caso di una débàcle franco-inglese. Naturalmente quest’ultima eventualità stabilirebbe l’egemonia tedesca e noi di­ venteremmo dei satelliti. Ribbentrop è sembrato sicurissimo di uno sfondamento com­ pleto. Sua frase a Mussolini e Ciano (riservatissimo): «Entro po­ chi mesi avremo occupato Parigi e tutto il nord della Francia; non ci sarà più un solo soldato inglese in Francia se non quelli prigionieri». Ciano dice che Mussolini è sempre l’uomo «a cui brucia l’es­ sere assente da questa grande pagina di storia che si sta scri­ vendo. E un dramma umano...». Anche perciò la questione croata è all’ordine del giorno. Io insisto nella mia tesi contraria. Ciano parla della diversità del suo punto di vista rispetto a quello del Capo nella questione fondamentale e delle accresciute sue dif­ ficoltà nonostante la concorde attitudine al suo fianco di molti che avvicinano Mussolini. Ha portato dal Capo il gen. < 15 > che veniva da Berlino e che gli ha detto come in Germania c’è una sola guerra che sa­ rebbe popolare: quella contro l’Italia. Ormai i franco-inglesi tornano a diffidare di noi. Il gen. Georges ha espresso apertamente il pensiero che sarebbe meglio

15 È il generale Efisio Marras, addetto militare a Berlino (cfr. il Diario di Ciano al 4 marzo 1940).

L

256 Millenovecentoquaranta

entrare in guerra con l’Italia prima che essa si appresti, ed un in­ formatore sicuro ha dato notizia che Churchill16 ha telegrafato istruzioni ai porti dell’Estremo Oriente di rifornire le navi ita­ liane di nafta solo nei limiti necessari per arrivare al porto succes­ sivo. Ciano esclude che vi possa essere una entrata di truppe tede­ sche in Italia per attaccare la Francia al nostro fianco. Non crede che il Papa abbia trattato molto male Ribben­ trop 17, ma è stato freddo, tanto più che Ribbentrop si è rifiutato di inginocchiarsi ed ha avuto il cattivo gusto di iniziare una di­ scussione sulla religione. Ribbentrop «ha preso un’attitudine sfottente per la messa in scena vaticana». Anche al Papa ha annunciato l’offensiva. Roma, 28 marzo 1940-XVIII

Dall’ultima visita a Roma Ribbentrop era partito esultante e von Mackensen 18 non nascondeva la sua emozione. Mussolini in­ fatti aveva accentuato la sua fedeltà all’alleanza. Dall’incontro del Brennero 19 è uscito, sembra, un impegno italiano di parteci­ pare alla guerra a fianco della Germania senza però alcuna preci­ sazione di data. Ciano ha «capito solo il 40 per cento dei discorsi scambiati al Brennero perché questi si svolgevano in tedesco». I verbali sono stati fatti da Schmidt20 ed il loro contenuto è segre­ tissimo. Già stanno arrivando cannoni antiaerei tedeschi in Italia (!). E dovevano arrivare con tutto il gruppo di ufficiali e specialisti tedeschi. Fu fermato a Monaco e si limiterà a qualche specialista. A Sumner Welles nella prima intervista è stato detto da Mus­ solini: a) la pace è forse ancor ora possibile perché non si è iniziata la vera guerra militare;

16 In questo periodo Primo lord dell’Ammiragliato. 17 Ribbentrop aveva fatto visita a Pio XII il 10 marzo. 18 Hans Georg von Mackensen, ambasciatore tedesco a Roma. La visita di Ribbentrop cui si fa riferimento è quella del 10-11 marzo. 19 L’incontro Hitler-Mnssolini del 18 marzo. 20 Paul Otto Gustav Schmidt, interprete del ministero degli Esteri tede­ sco, poi funzionario della segreteria generale del ministero.

Millenovecentoquaranta

257

£) < > c) l’Italia si riserva di porre il suo problema mediterraneo.

Teleki21 dice a Ciano: «Giocate a bridge? Lo spero cosi gio­ cheremo insieme a Hanau» (il campo di concentrazione tedesco). Jugoslavia: I tedeschi a Marburg se noi in Croazia.

Ciano: «Sono solo. Già molti hanno cambiato, già comin­ ciano a dare informazioni sbagliate a Mussolini». La — — —

Germania ha imparato dall’altra guerra: che bisogna avere scorte, e le ha fatte; che bisogna combattere su un fronte solo; che la resistenza interna è essenziale.

Il memo italiano parlava di accordi col Papato?

[Roma,] 17 aprile 1940-XVIII MUSSOLINI

Parlo del mio prossimo discorso di Zurigo22. Autorizza spunto antibolscevico e soggiunge che «salvo il fatto che i giornali delle due parti non polemizzano, non c’è nulla di cambiato nei rapporti tra i due paesi». Chiedo se la Pirelli Holding23 debba cercare di vendere le sue attività inglesi. Risponde: «No, si sa lassù che voi siete al corrente dei segreti. Si interpreterebbe come se la nostra guerra fosse im­ minente». Rispondo: «Lo pensavo anch’io e sta bene. Spero che saremo tutelati in caso di guerra, nel senso di stabilire delle contropartite 21 Pai Teleki, presidente del Consiglio ungherese. 22 Si riferisce alla conferenza sul tema «Guerra ed economia» che Pirelli tenne il 3 maggio a Zurigo sotto il patrocinio dell’Associazione svizzera per i rapporti culturali ed economici con l’Italia. Era d’imminente pubblicazione l’o­ monimo studio di Pirelli in 2 volumi, edito dall’ISPI. 23 La società finanziaria di Basilea che controllava le attività industriali non italiane del gruppo Pirelli.

258 Millenovecentoquaranta

italiane a nostro favore», e Mussolini dice: «Non c’è dubbio». Mi chiede le mie impressioni. Rispondo: «Nessuno dei popoli in guerra l’ha voluta e nessuno sente la guerra; ed il popolo ita­ liano non la sente e non la vuole. Detesta i tedeschi. Non ama gli inglesi. Sa che non siamo pronti (i mobilitati lo hanno constatato nelle caserme, gli operai lo constatano nelle fabbriche). Giudica tuttora incerto l’esito della lotta. Non capisce la campagna at­ tuale dei giornali, che sembra annunciare una guerra immediata». Soggiungo: «Come vedete, Presidente, dico anche cose spiace­ voli. Ma io ho interpretato la recente campagna giornalistica come un colpo di barra contro eccessi nell’altra direzione e come uno scrupolo di lealtà verso l’alleato, non come uno squillo di adunata». E Mussolini: «Cosi è. Non si può farsi tacciare una seconda volta da traditori. Ho fatto cercare le carte dello Stato Maggiore del 1915 ed ancora il 12 marzo di quell’anno noi abbiamo man­ dato il gen. < > a trattare col gen. < > e c’è un protocollo che stabilisce il numero di divisioni (?), i mezzi di trasporto ecc.». Dico: «Però la campagna di stampa è troppo parziale e mal­ fatta e controoperante. Essa offende il valore dei marinai e sol­ dati inglesi e noi siamo stati giustamente suscettibili ad analoghe calunnie nei nostri riguardi. Inoltre se intendeste entrare in guerra contro i franco-inglesi fra qualche tempo, non dobbiamo anticiparne le conseguenze negative. Le manifestazioni di questi giorni danno l’impressione di una decisione presa. Nel campo economico è probabile che gli inglesi limitino ulteriormente le li­ cenze d’esportazione verso l’Italia. Inoltre Pallarme che si è creato rende difficili molte nostre esportazioni, perché i clienti non si fidano di ricevere fra qualche mese la merce ordinata né l’esportatore italiano di essere pagato...». Mussolini: «Anche gli inglesi danno una importanza relativa agli attacchi di stampa. D’altra parte io sono ormai convinto che i franco-inglesi non possono battere la Germania». Ed io: «Ma altrettanto può dirsi che i tedeschi non batte­ ranno gli avversari, né il nostro intervento può essere determi­ nante perché i nostri scacchieri di lotta non distrarrebbero forze essenziali dagli altri fronti». Mussolini: «L’Italia non può uscire a mani vuote da questo conflitto. Ma io ho detto a Hitler al Brennero molto chiara­ mente: ognuno dei tre grandi belligeranti spende un miliardo di

Millenovecentoquaranta

259

lire al giorno per la guerra. L’Italia, che ha un reddito nazionale di circa 90 miliardi ed una ricchezza nazionale di 300-350 mi­ liardi, sarebbe ben presto dissanguata. Quindi noi interverremo ma quando saremo sicuri di fare una guerra brevissima. Non dico questo perché mi accomodi di fare una parte poco simpatica; è un dovere verso il mio Paese. Hitler ha capito». Io: «Vedo tre possibilità: — la nostra entrata un giorno a fianco dei tedeschi; — una guerra nostra...» Mussolini mi interrompe: «Questo sarà». Io: «Oppure anche che l’Italia diventi abbastanza forte (e gli altri abbastanza deboli) per essere un elemento determinante della pace anche con suo vantaggio e senza fare la guerra». Mussolini: «D’accordissimo, se questo sarà possibile». Io: «E allora... in che direzione? Temo che uno “spazio vi­ tale” economico che si voglia estendere a tutti i Balcani trovi nella Germania un concorrente prepotente e prevalente. Preva­ lente perché, purtroppo, noi non abbiamo come la Germania una economia complementare di quelle balcaniche; non possiamo as­ sorbire direttamente tutta la loro produzione agricola e allora ecc. ecc. Penso però qualche volta che si potrebbe forse sfruttare a nostro vantaggio l’elemento monarchico: sono poche le monar­ chie superstiti e nel gruppo territorialmente confinante del SudEuropa il nostro Sovrano è di gran lunga prevalente e potrebbe rappresentare un punto di collegamento e sicurezza per i quattro re balcanici»24. Mussolini commenta: «Il nostro è di gran lunga il più autore­ vole per casato e persona; ma il re di Bulgaria ha conosciuto due invasioni ed ha paura di tutto, re Carol di Romania è infido, in Jugoslavia il principe Paolo impaurito della situazione non aspetta che il momento di cedere il posto al giovane re (?), ed il re di Grecia ha detto a me che gli secca che lo abbiano messo a fare quel mestiere». Dico: «Io penso sempre, come ben sapete, che la Jugoslavia sia il paese col quale possiamo stringere accordi completi e dure­ voli. Dico la Jugoslavia nel suo insieme attuale, ché cosi come è può rappresentare un importante fattore antiabsburgico, mentre una Croazia separata sotto il nostro dominio tenderebbe a ridi24 Cfr. Appendice, p. 485.

260 Millenovecentoquaranta

ventare uno degli elementi di un ricostituito impero absburgico ed avremmo i serbi contro... Penso che la Jugoslavia sia di pro­ porzioni che possiamo sostenere con la nostra economia». Mussolini: «Si, è giusto, ma bisogna aggiungere la Grecia». Io: «Paese povero e irrequieto... e gli inglesi...». Mussolini: «C’è del cromo e del nikel e c’è Corfù...». Io: «La verità è, Presidente, che c’è uno squilibrio tra le vo­ stre aspirazioni e le forze effettive del Paese».

[Roma,] 20 maggio 1940-XVIII MUSSOLINI

Si parla dell’avanzata tedesca. Mussolini dice che la Francia ha ancora 80 divisioni intatte e inoltre artiglieria. Però il colpo è grave e decisivo. E stato fatto prigioniero il gen. Giraud, coman­ dante d’armata e del quale si parlava come di un possibile succes­ sore di Gamelin. «L’ambasciatore Poncet sarà sostituito da Baudouin25, ma a che serve? Poncet in un rapporto ha scritto al suo Governo che è finita l’epoca dell’Italia romantica e seducibile con lusinghe. Oggi l’Italia è una nazione egoista che sa quello che vuole. Il nuovo ambasciatore non potrà che constatare la stessa cosa». «Hitler tratterà bene i francesi. Non vuole l’Alsazia. Quando fu in un ospedale alsaziano durante l’altra guerra imparò ad odiare gli alsaziani che, dice, sono dei cattivi francesi sotto la Francia e dei cattivi tedeschi sotto la Germania26. Hitler quindi ha dato ancor oggi, abilmente, assicurazioni alla Francia. Sono gli inglesi che egli odia. Dice: “È ora di finirla che l’Inghilterra fac­ cia il poliziotto del mondo a proprio vantaggio. Disturbo forse io la Gran Bretagna in India, a Singapore ecc.? Perché deve distur­ bare essa me nelle mie zone?”(?!)». «Noi stiamo mandando altri 80.000 uomini in Libia. Gli egi­ ziani non hanno voglia di battersi; ma gli inglesi sono bene ar­ mati, hanno 450 carri armati, dispongono di truppe coloniali». 25 Paul Baudouin, direttore della Banca d’Indocina; nel febbraio ’39 per incarico di Daladier era venuto a Roma a offrire una base negoziale per risol­ vere le questioni in sospeso tra Italia e Francia. 26 Cfr. nota 9/1939.

Millenovecentoquaranta

261

«I francesi hanno 260.000 uomini al nostro fronte alpino. Ba­ doglio è tranquillo anche circa la conca del Cenisio». «Noi abbiamo già grandemente aiutato i tedeschi immobiliz­ zando oltre 1.000.000 di truppe anglo-francesi sui nostri confini orientali, in Tunisia, Egitto, Kenya ecc.». Goering27 gli ha detto che i generali tedeschi hanno dato al Fuhrer delle cifre inferiori alla realtà in fatto di preparazione e di armamenti. Io commento: «Il contrario di quello che è avvenuto da noi», e Mussolini sorride e soggiunge: «Adesso verifico io» (?!!). Riparlo di Jugoslavia e Mussolini mi dice che si è rinunciato (per ora?) al pensiero di un’azione da quella parte. Insisto nella mia tesi (interesse a trovare una formula che sia più che la sem­ plice unione doganale e meno che il protettorato tipo Boemia; valorizzazione del fattore monarchico nei Balcani ed anche per l’Egitto; creazione di una zona economica vasta...). Mi segue con interesse e sembra approvare. Ha parlato con Ciano dopo l’ul­ tima intervista con me a proposito della Jugoslavia. Dico: «Tutti i Balcani non domandano di meglio che di restar fuori dal con­ flitto e riconoscerebbero nell’Italia il capogruppo dei neutrali. Siamo ancora in tempo?» Mussolini tace. Parliamo anche di Gibilterra e del Marocco spagnolo. Musso­ lini dice: «Ho detto a Phillips28 quando mi ha portato il messag­ gio Roosevelt che l’Italia vuole “una finestra Sull’Atlantico”, ed egli: “Suppongo con un balconcino”...» (Tangeri?).

[Roma,] 28 maggio 1940-XVIII ATTOLICO

Presenta domani le credenziali al Pontefice29. La sua perma­ nenza a Berlino era impossibile perché Ribbentrop gli rimprove­ rava di avere alla fine di agosto 1939 svisato le istruzioni di Mus-

27 Hermann Goering, ministro dell’Aeronautica e capo di S.M. della Luft­ waffe. 28 William Phillips, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma; aveva conse­ gnato a Mussolini un messaggio di Roosevelt il 1° maggio. 29 Sostituito ai primi di maggio da Dino Alfieri all’Ambasciata di Berlino, Attolico era stato nominato ambasciatore presso la S. Sede.

262 Millenovecentoquaranta

solini. Infatti questi aveva istruito Attolico di comunicare al Go­ verno tedesco che l’Italia era disposta ad entrare in guerra a fianco della Germania se questa avesse consegnato subito un certo elenco di armi e munizioni. Attolico disse «preventiva­ mente» e insistette che tali erano le istruzioni ricevute, e quindi la comunicazione di Hitler a Mussolini fu nel senso che avendo l’ambasciatore insistito che la questione della consegna delle armi era da considerarsi «essenziale» e non essendo la Germania in condizioni di fare tale consegna che in prosieguo di tempo, con­ veniva la Germania che l’Italia stesse per il momento fuori del conflitto, ma invitava ad agire in modo da immobilizzare quante più forze franco-inglesi possibili. Ma Ribbentrop, che consultò poi il testo esatto delle telefo­ nate di Mussolini ad Attolico, attribuì a questi di avere svisato le istruzioni ricevute. E quando Mussolini insistette per avere un messaggio da Hitler che approvasse l’astensione dell’Italia, Atto­ lico saltò Ribbentrop ed andò direttamente alle 8 del mattino da Hitler ottenendone il noto telegramma (vedere mie note fine ago­ sto 1939). Ribbentrop aveva già da tempo fatto sentire a Roma che si desiderava un cambiamento dell’ambasciatore, ma Roma aveva lasciato cadere la cosa.

Attolico dice che il maggior torto dell’Inghilterra fu di non accogliere le possibilità di pace che offrivano le proposte Sumner Welles (?), che Hitler avrebbe accettato. Guarneri ed Attolico separatamente mi ricordano le considera­ zioni di Funk, ministro dell’Economia del Reich, in cui questi assegnava all’Italia una funzione esclusivamente agricola (!). Ciò dette luogo ad un fiero rapporto di Guarneri a Mussolini e ad una lettera di questi che metteva le cose a posto. (Ci ritroveremo di fronte a queste teorie in rapporto all’offensiva liberista che forse la Germania scatenerà nel dopoguerra?)

CIANO

Ha visto iersera Poncet che si è dichiarato pronto a parlare di concessioni: «Non la Corsica però». Ciano ha avuto la sensazione precisa che non solo la Francia ci darebbe Gibuti e Tunisi, ma che

Millenovecentoquaranta

263

forse discuterebbe qualche altra cosa. Ciano gli ha risposto: «Troppo tardi». (I due uomini hanno parlato apertamente di en­ trata in guerra dell’Italia: «Potete star tranquillo che non entre­ remo questo mese» (!) ha detto Ciano.) L’Italia non aspira alla Savoia. A Nizza si ed alla Corsica ed a tutta la costa nord dell’Africa mediterranea compreso il Ma­ rocco francese e quindi la finestra Sull’Atlantico. Hitler è d’ac­ cordo che l’Italia prenda la posizione dell’Inghilterra in Egitto. Ciano dice che la Germania non aspira ad un porto mediterra­ neo. Circa la Jugoslavia noto incertezze di programma. Nulla però di immediato. Circa la Grecia «la monarchia deve scomparire. Noi prenderemo Creta e Corfù e dovremo controllare tutta la Grecia». Hitler pensava ad una spartizione del Belgio lasciandone una parte alla Francia, ma ora invece è possibile che pensi che la Ger­ mania si stabilisca su tutta la costa del Mar del Nord fino a Ca­ lais per tenere permanentemente in iscacco la Gran Bretagna. Contrariamente a quanto mi era stato detto da Mussolini, Ciano sostiene che a Hitler «viene la bava alla bocca» quando parla della Francia (attacchi della stampa parigina al padre ed alla madre) e che egli si prenderà l’Alsazia e la Lorena. Vuole l’an­ nientamento anche della Francia. Altrettanto dell’impero in­ glese. Ciano dubita che i Dominions restino attaccati all’Inghil­ terra. Si chiede che cosa succederà dell’india. Crede che Hitler prenderà il Congo ed anche le Indie Olandesi, salvo spartire que­ ste ultime col Giappone. Alle mie espressioni di timore di una strapotenza tedesca nei nostri riguardi dice: «Finché vivranno i due Capi non c’è da te­ mere tanta è la deferenza di Hitler per Mussolini». Insisto sul­ l’interesse italiano a che la Francia esca vinta si, ma non cosi indebolita da non contare più nulla. Accenno alla possibilità che Hitler pensi a proclamare una federazione economica europea, gesto apparentemente generoso, di fatto di interesse germanico e pericoloso per noi se non intervengono certe cautele. 12 giugno 1940

Siamo entrati in guerra! Facciamo una partaccia verso la Francia, ma in fatto di politica estera quale è il paese che non ne

264 Millenovecentoquaranta

ha fatto! Sacro egoismo. Ma vinceremo? Ho detto e ripetuto a Mussolini: a) che l’impero inglese non occupa certo più nella gerarchia delle nazioni quella posizione preminente che aveva al principio del secolo, ma che la sua potenza è appena scalfita e che l’America aiuterà a fondo la sorella anglosassone (Mussolini risponde: «Si, un uomo invecchia in 20 anni, una nazione ce ne mette 200». Però soggiunge: «Ormai Hitler tiene l’Inghilterra alla gola»); b) che l’Italia doveva star neutrale: negoziare la sua neutralità, capeggiare il gruppo balcanico-danubiano neutrale, arricchirsi alle spalle dei belligeranti, arrivare alla fine della guerra abbastanza forte economicamente e militarmente per essere un elemento de­ terminante di pace generale, ma con proprio vantaggio... Ora che la guerra è dichiarata non c’è che da fare il proprio dovere e collaborare per la vittoria. Right or wrong my country, di­ cono gli inglesi, e Por mi patria y por mi madre con razón o sin ra­ zón, dicono gli spagnoli. Mussolini mi ha detto anche: «Voi non volevate neppure la guerra etiopica ed abbiamo vinto e costituito un Impero». Rispondo: «Credo, come dissi allora, che si poteva conqui­ starlo con minor spesa e creando meno odi. In proposito Rochat del Quai d’Orsay, riferendosi al Marocco ed alla Tunisia, mi ha detto: “Mais voyons, Pirelli, il y a des moyens orthodoxes pour conquérir des colonies”!!».

[Colonia,] 2 luglio 1940

Impressioni e notizie raccolte in Belgio. Spirito pessimista e critico... Anche di autodifesa dei «rima­ sti». Esercito belga si è battuto poco. Lo confessano con mortifica­ zione vari belgi. In parte mancarono gli ufficiali, che si preoccupa­ rono di assicurare l’esodo delle famiglie. L’avanzata tedesca è av­ venuta lungo le strade; le campagne sono intatte. Qualche tenta­ tivo di difesa nei villaggi, che hanno molte case distrutte (biblio­ teca di Lovanio; invece chiese rispettate). Anche i francesi scarsa resistenza. Idem gli inglesi, salvo che a Dunkerque. Vedo fotografie impressionanti di Dunkerque e La Panne.

Millenovecentoquaranta

265

Grave intralcio l’esodo della popolazione dovuto: d) all’ordine dato agli uomini dai 18 ai 35 anni, b) al panico di altri, c) al desiderio di molte famiglie di non essere separate dai propri uomini che erano già o si recavano in Francia. Teorie di automobili (che ora si vedono rientrare cariche di valige e persone), di biciclette, folla a piedi hanno ingombrato le strade, mentre le truppe cercavano di ritirarsi incalzate dai tede­ schi. Gli inglesi hanno nell’andata traversato Bruxelles per provo­ care i tedeschi a bombardare la città e creare il risentimento belga e mondiale (?!). Tutti hanno saccheggiato: soldati e civili, soprattutto quelli che scappavano (villa di Kerchove30). Ora i tedeschi favoriscono il ritorno dei belgi. Danno benzina gratis. Molti stanno tornando. Nel 1914 hanno avuto ragione quelli che sono partiti. Nel 1940 quelli che sono rimasti. Ci fu un grande désarroi. Molti hanno bestemmiato al Re anche tra i rimasti (fotografie nei ne­ gozi con «lacked). Poi gli eventi hanno valorizzato: d) quelli che erano rimasti, b) l’azione del Re. Molti si ricredono. Tornano incerti di che faccia fare. Cosi funzionari (si parla del ritorno di Gérard31), cosi uomini d’af­ fari che molti accusano di aver abbandonato il loro posto. I tedeschi in principio hanno avuto qualche attitudine brusca. Poi hanno adottato invece una politica di riguardo verso i belgi, che ha contribuito a molto attenuare l’ostilità della pubblica opi­ nione e perfino... Si parla molto fiammingo. Paulucci32 ha visto il Re due volte (gli ha dovuto dire che cosa dicessero di lui in Francia e Inghilterra ed i suoi stessi mini­ stri. E stato molto dignitoso). Il Primate di Bruxelles ha fatto un discorso favorevole al Re. Un corpo di giudici anche. I militari tedeschi si sono dimostrati organizzatissimi anche per le disposizioni di occupazione: ogni soldato aveva una carta 50 Cari de Kerchove de Denterghen, già ambasciatore del Belgio a Roma. 31 Gustave L. Gérard, già membro del Comitato consultivo dell’Organizzazione economica della SdN, direttore generale del Comité Central Industriel de Belgique. 32 Giacomo Paulucci di Calboli Barone, dal gennaio ’40 ambasciatore d’I­ talia a Bruxelles.

266

Millenovecentoquaranta

geografica con la carta topografica al verso della città di Bruxelles (o di altri centri). Ogni subalterno o quasi, cannocchiale. Molte macchine fotografiche. Cartelli indicatori nelle strade. Truppe che si vedono tutte in autocarro. Enorme consumo di benzina. Costituzione di Warenstellen (vedere note)33. Costituzione di una specie di governo belga di segretari gene­ rali dei vari ministri. Pare che perfino Pierlot34 cerchi il modo di rientrare.

Paulucci e ramo d’olivo Hitler verso Inghilterra? 28 giugno? Nostra offensiva ritardata. Mantenimento ambasciata a Bruxelles in contrasto con par­ tenza Kerchove da Roma. I tedeschi hanno stampato un marco per i paesi occupati e, forse per semplicità di conteggio, forse per evitare che i soldati spendano troppo, hanno valorizzato il franco belga stabilendo 10 franchi per marco anziché 12-13. Però sembra che agli effetti dei rapporti esterni verrà stabi­ lito l’antico scambio per non dare un eccessivo potere di acquisto al franco belga.

E stata ordinata la dichiarazione dei valori esteri. La moratoria si estende ai bons de caisse e questo crea imba­ razzi. La gente paga i premi d’assicurazione vita anche per gli amici. Le industrie sono ferme. Come vive la gente? I trasporti sono difficili. Ancora niente telefoni.

Englebert35 ed i suoi tutti partiti. Solvay rimasto. 33 Sugli accennati depositi costituiti dai tedeschi non c’è alcuna nota nel ms. La frase successiva si riferisce alla legge con cui il giorno stesso dell’attacco tedesco, 10 maggio, il potere esecutivo era stato affidato ai segretari generali dei vari ministeri. 34 Hubert Pierlot, presidente del Consiglio al momento dell’invasione, ri­ fugiato a Londra. 35 Georges Englebert, industriale della gomma. Ernest-John Solvay, della omonima industria chimica.

Millenovecentoquaranta

267

[Berlino,] 3 luglio 1940-XVIII alfieri

56

Conferma Germania ha digerito anche azione russa in Bessa­ rabia 36 37. Si sta cercando di non estendere il conflitto. Si pensa ad incoraggiamento inglese alla Russia.

Hitler appare (discorso riservato) preoccupato delle difficoltà che imporrebbe alla Germania una eccessiva estensione della vit­ toria: responsabilità di alimentare molti popoli, di dar loro la­ voro, di evitare movimenti sociali. Forse anche ha qualche esita­ zione prima di passare alla distruzione dell’Inghilterra. Farà quindi tra pochi giorni un discorso e poi aspetterà qualche giorno la risposta inglese prima di attaccare. «Però non si può perder tempo. Entro settembre tutto deve essere finito, causa stagione, ma anche [perché] Germania non può continuare consumi a ritmo alto». Arrivano, mentre sono presente, telefonate circa episodio di Orano: la flotta inglese ha intimato a quella francese di affon­ dare... (!) Impressione che l’Inghilterra cercherebbe volentieri via d’u­ scita. Se — nonostante il discorso molto duro che egli (Alfieri) ha fatto per incarico di Mussolini al Papa nella visita di congedo — il Papa ha fatto ancora un passo, vuol dire che sapeva che l’In­ ghilterra lo desiderava. Inoltre zsu accenno privato di Alfieri al chargé d’affaires americano che l’Inghilterra faceva male a non considerare che una pace oggi le poteva costare meno cara di do­ mani, quegli si era affrettato a telegrafare a Washington e poi era tornato da Alfieri a chiedere se il suo accenno racchiudeva un hint.

36 Dino Alfieri, da maggio ambasciatore a Berlino dopo esserlo stato presso la S. Sede. 37 II 28 giugno l’URSS aveva occupato la Bessarabia (che la Romania le aveva sottratto nel 1920) e la Bucovina settentrionale. Rivendicazioni su altre regioni romene furono allora avanzate anche dall’Ungheria e dalla Bulgaria.

268 Millenovecentoquaranta

[Berlino,] luglio 1940 SCHACHT

I. Problema sociale europeo: dare alimenti e dare lavoro. II. Problema alimentazione Europa se Inghilterra fa blocco aiutata da Stati Uniti come egli crede. E pessimista. Agenti di Stalin in Francia e Inghilterra. III. Possibilità che Churchill stesso faccia pace (Churchill più di Chamberlain). IV. Occorre un motivo come nel Ί9 la Società delle Na­ zioni. Oggi questo motivo potrebbe essere la pace economica in Europa. V. Possesso effettivo (capitalistico) di miniere, oleodotti ecc. meno importante che influenza politica sulle regioni dove si trovano ricchezze naturali o le imprese. Crede che capitale americano verrà volentieri. Noi do­ vremmo accettarlo per sviluppo nuove regioni. Ma occorre dare la sensazione della pace duratura e del mantenimento della parola. VI. Oro indispensabile quale misura comune. Ciascun paese può variare il rapporto quando crede, ma deve rispettare il rap­ porto che sia stato stabilito nei contratti internazionali. Crede ad una proletarizzazione anche a causa del fatto che per i debiti pubblici ci sarà: o svalutata moneta o ridotto tasso. Problema monetario secondo lui secondario.

Diffidenza circa Russia (S. e T.).

Vorrebbe andare a New York e fare propaganda per l’idea che solo la pace economica... la giustizia ecc. Hitler era d’ac­ cordo: «Ne parlerò con Ribbentrop...». Silenzio. Alternativa: vorrebbe lanciare programma economico da Roma.

Accenna pericolo bolscevismo. Necessità che Germania man­ tenga ordine per qualche tempo. E nella Francia non occupata? Potrà Berlino diventare centro

f mercati internazionali f accettazioni ecc.?

Millenovecentoquaranta

269

Io accenno tesi: nazionalismo = piccoli Stati necessità economica = grandi aggruppamenti

Dice essere al cento per cento bene con Hitler; poco con altri che disapprova. Nessun Consiglio dei ministri dal febbraio 1938. Accenno a Heinemann. TRENDELENBURG 38

La Germania non chiederà riparazioni tipo 1919, ma chie­ derà restituzione di quello che allora le è stato preso, od equiva­ lente. (Vedere tabella!)39 (Difficile situazione Italia.) Ammette difficoltà unione doganale europea (es. Austria e Czecoslovacchia). Probabilità aggruppamenti vasti. Questione grosse industrie e diffidenza dei politici e dei mili­ tari. Crede che si avrà una certa smobilitazione di bardature. Occorrerà programma edilizio. clodius 40

Pensa a zona per il marco nei paesi del Nord, e che in Egitto vigerà la lira italiana (e anche in Jugoslavia ecc.). O svalutare del 40% il marco o continuare controllo clearing e premi esportazione (anche rispetto lira. Io dico: prezzi sal­ gono). Ha l’aria ammettere che tedeschi prendano controllo sui pozzi romeni, ed italiani quelli dell’Irak. Cosi l’Asse .controlla i due... Crede alla continuità di poi. diretta ecc. anche perché accordi con Stati Uniti difficili. 58 Ernst Paul A. Trendelenburg, industriale, più volte ministro prima del ’14, sottosegretario all’Economia dal ’23 all’avvento di Hitler, collaboratore del Piano Dawes, delegato alla SdN finché la Germania non ne uscì nel ’33. 39 Manca nel ms. 40 Karl Clodius, vice direttore del dipartimento di politica economica del ministero degli Esteri tedesco.

270 Millenovecentoquaranta

Russia e Bessarabia. Era difficile impedire che riprendesse quello che la Romania le aveva preso sebbene la Russia l’avesse aiutata contro i tedeschi. (Prima però la Russia l’aveva portata via a sua volta...) Riparazioni. Prendere quello che si vuole, ma (a) non trasci­ nare, (£) nessuna clausola degradante.

Crede che — se anche Germania aggregasse economicamente paesi del Nord — gli scambi dell’Italia con detti paesi non do­ vranno diminuire. Anzi (?). Ammette che potranno esservi diffe­ renze di costi, per es., nei prodotti agricoli. Allora acquisti gover­ nativi e incasso o compenso differenza. AMBASCIATORE RITTER

Incaricato del collegamento tra Hitler al Quartier generale e la Wilhelmstrasse41. Crede che Hitler farà una pace ragionevole. Fra pochissimi giorni Hitler indicherà tale intenzione in un discorso. La Germania prenderà il Congo e l’Africa occidentale fran­ cese. Crede Marocco andrà alla Spagna. Crede India resterà all’Inghilterra. Però opinioni un po’ di­ vise. Incerti e divisi i pareri circa Indie olandesi. Egli preferirebbe che la Germania non se le assumesse (ma le prenderà indiretta­ mente!). La Francia sarà portugalisée (!). Importanza azione comune italo-tedesca nel Sud America dove riconosce importanza situazione italiana. Con Stati Uniti difficile intendersi anche economicamente finché c’è Hull42 (teorico). La Svizzera sarà rispettata. Però i tedeschi detestano gli sviz­ zeri per loro attitudine ostile.

41 Cioè il ministero degli Esteri, a Berlino. 42 Cordell Hull, segretario di Stato americano.

Millcnovecentoquaranta

211

Della Spagna la Germania è malcontenta. La Russia dopo le difficoltà invernali ha fatto onore ai suoi impegni di consegne (grano, benzina, mangime). Russia diffidente ammettere tecnici tedeschi. Stalin molto forte, superiore a tutti i suoi. Giapponesi — Saio43 — poco simpatizzanti per Asse (?). NOTARANGELI 44

Dice che Funk ha parlato di: à) area marco ed area lira b) dare qualche maggiore libertà d’azione, per es. nel campo valutario, ai grandi Conzem. Carbone per l’Italia: funziona bene, ma occorre fare una scorta (1 milione tonn.) per inverno.

Mancanza accordi conclusivi tra Germania ed Italia. renzetti 45

Molto preoccupato egemonia germanica anche nostri ri­ guardi. Considera la Germania in decadenza. Troppo edonismo. Pensa che il popolo tedesco s’aspetta di mangiare meglio ecc. Per questo ha combattuto. Scarso entusiasmo per le vittorie. GEN. MARRAS46

Trionfo germanico aiutato molto da tempo bello e terreno 43 Naotake Saio, allora consigliere al ministero degli Esteri giapponese; per gran parte degli anni 30 aveva svolto una varia attività diplomatica in Europa. 44 Tommaso Notarangeli, addetto all’Ambasciata d’Italia a Berlino. Funk è il già citato ministro dell’Economia del Reich. 45 Giuseppe Renzetti, console generale d’Italia a Berlino. 46 Vedi nota 15, sopra.

272 Millcnovecentoquaranta

secco, e da lunghezza giornate per cui l’aviazione non dava tre­ gua al nemico. Il tempo ha lavorato per i tedeschi, che avevano officine già pronte. Più organizzazione che genialità. Però accerchiamento Fian­ dre... Gli inglesi si sono battuti bene a Dunkerque. I francesi irregolarmente. Sulla costa della Manica si stanno approntando campi d’avia­ zione. Cannoni da 300 su binari.

[Roma,] 12 luglio 1940-XVIII MUSSOLINI

Accordi territoriali italo-tedeschi per sistemazione dopo la vittoria. All’Italia verranno: — Corsica e Nizza (Varo). (Thaon di Revel mi ha detto che anche il Re non chiede che si annetta la Savoia e che i militari non danno importanza (?) a una rettifica se non minima della frontiera alpina.) — Malta. — Nel Nord dell’Africa: Tunisi e forse una parte dell’Alge­ ria orientale con un confine che parta da Costantina e le miniere dell’Ouenza (ferro) e vada al Lago Ciad. Non il resto dell’Alge­ ria; non il Marocco. — Influenza su Egitto, Sudan, Palestina, Siria, Transgiordania, ed anche Irak e la costa orientale e sud della Penisola Ara­ bica, compreso Aden. — Somalia francese ed inglese. Non Kenya. — Influenza su Jugoslavia e Grecia. — Cipro alla Grecia, contro la cessione di Corfù e rettifiche del confine albanese. (Revel dice che avevamo chiesto anche Madagascar, ma sem­ bra che sarà destinato a diventare la «nazione ebraica».) Io confermo mia vecchia opinione circa importanza di con­ durre le cose in modo che la nostra ingerenza risulti agli jugo­ slavi come un amichevole favore e non come una imposizione ostile.

Millenovecentoquaranta

27 3

Mussolini risponde: «Se la Jugoslavia tende ad essere la lunga mano dello slaviSmo e di Mosca con mire ostili verso di noi, dob­ biamo schiantarla; se invece riconosce che per l’eterogeneità della sua popolazione, per la presenza di molti cattolici, per la sua stessa posizione geografica essa ha più interesse a considerarsi come una nazione occidentale, potremo essere amici». Parliamo della «miseria» della Grecia.

Tedeschi e russi. Mussolini conferma irritazione tedesca per l’occupazione russa della Bucovina, oltreché della Bessarabia. Dice: «Ma un uomo di Stato deve saper incassare ed aspettare». Tedeschi in Trancia. Sono contenti che Pétain porti il Go­ verno francese a Versailles, perché il prossimo avvenire sarà duro e difficile e i tedeschi vogliono lasciare al Governo francese la re­ sponsabilità di alimentare il popolo anche nella zona da loro oc­ cupata e di provvedere alla vita economica.

Valore dei vari eserciti. Mussolini dice che «in una delle molte lettere che gli scrive» Hitler ha giudicato che i soldati regolari francesi si sono battuti bene, mentre i mobilitati male, e che gli inglesi si sono mostrati cattivi soldati all’assalto, ottimi nella di­ fesa.

Attacco all’Inghilterra. Mussolini mi dà l’impressione che con­ sideri che la partita può ancora essere dura e la guerra non breve. Dice: «Può darsi che l’attacco all’Inghilterra crei il panico come avvenne in Olanda, e che tutto sia finito in due o tre giorni. In caso diverso la resistenza potrà essere molto lunga: l’Inghilterra avrà fra poco mobilitato quasi tre milioni di uomini». Chiedo se Hitler ha rinunciato a fare il discorso preannuncia­ tomi a Berlino e che doveva contenere una pur velata offerta di pace47. Mussolini risponde che Hitler si è ritirato a Berchtesga­ den per preparare il discorso ma che, dopo i fatti di Orano48, c’è un irrigidimento. Hitler tuttavia resta desideroso di evitare uno sfacelo dell’impero inglese e mostra di voler usare moderazione.

47 Cfr., a p. 270, l’appunto sul colloquio con I’amb. Ritter a Berlino. 48 La distruzione della flotta francese ad opera di quella inglese (cfr. l’ap­ punto a p. 267).

274 Millenovecentoquaranta

Dico: «A noi va bene che la guerra sia breve, ma non tanto da non darci tempo — impegnati come siamo — di cogliere una vittoria in Africa. Abbiamo bisogno di dare un nome alla vitto­ ria». Mussolini: «Avete ragione. Fra poco darò io l’ordine a Gra­ ziani di attaccare come feci prima della marcia su Neghelli. Al­ lora avevo avuto informazioni che l’armata di Ras Destà era meno forte di quanto si credesse. Ora — a parte il fatto che stiamo dando a Graziani i carri armati, gli autocarri e i velivoli che gli sono necessari — sto già avendo notizia che i 100.000 in­ glesi che sono in Egitto stanno soffrendo enormemente per il caldo e la dissenteria e stanno sfaldandosi... Temo che Graziani, il quale disprezza i neri, si accanisca contro di loro. Bisogna mi­ rare agli inglesi. Gli egiziani sono contenti di vederci prendere il posto degli inglesi; dicono che abbiamo più cuore». Riparazioni. Dopoguerra. Gli parlo lungamente di questi pro­ blemi: — i tedeschi parlano di reclamare la restituzione del mal tolto e non di riparazioni-, — area marco ed area lira; — eventuale svalutazione marco del 40% e soppressione controlli valuta, ma Hitler per ora contrario svalutazione. Ecc. ecc. Mussolini parla di chiedere materie prime per 10-12 anni. Io: «Sono già troppi». Crede che il problema della smobilitazione dopo l’attuale guerra non presenterà le stesse difficoltà e proporzioni del 19181919 e ricorda le processioni di disoccupati di Milano... Io insi­ sto per la preparazione alla pace e al dopoguerra citando pro­ blemi ecc. 30 luglio 1940-XVIII CIANO

Hitler non ha ancora proprio deciso l’attacco contro l’Inghil­ terra (piuttosto che il blocco). E assai probabile che lo faccia e se lo decide ci sono 90 probabilità su 100 che andrà benissimo. Lo trattiene qualche scrupolo umano di mettere a ferro e fuoco città

Mìllenovecentoquaranta

275

popolose e — se dovesse fare, invece che la vera e propria inva­ sione, una serie di attacchi aerei distruttivi — c’è da pensare che la Gran Bretagna è ancora capace di venire a radere al suolo qual­ che città tedesca, sia pur una contro due. (Hanno almeno 1400 ottimi bombardieri disponibili.) Sulle capacità poi degli inglesi di resistere ad una invasione esistono pareri disparati.

Circa questioni economiche e finanziarie per la pace e il do­ poguerra, Mussolini ha detto a lui, Ciano, del discorso da me fat­ togli49 ed ha deciso di costituire, sotto la presidenza di Ciano, un comitato di ministri (Ciano ne ha escluso Tassinari50. Perché?) ed a fianco un comitato di funzionari con Pietromarchi per segreta­ rio generale. Conferma che Cipro sarebbe esclusa dalla zona di influenza italiana ed escluso il Kenya.

Ciano mi dice che Ribbentrop e Funk gli hanno chiesto perché io avessi visitato Schacht a Berlino che essi considerano... fuori circolazione. Ciano appare dispiaciuto e dice di aver assicurato che la mia visita a Berlino aveva carattere privato51. Rispondo seccato: (λ) che avevo espressamente scritto all’ambasciatore Al­ fieri chiedendo se fosse il caso che io vedessi Schacht e quale fosse la sua posizione politica attuale (si noti che è ancora mem­ bro del Gabinetto), e [b) che avevo marcato in iscritto ed a voce il carattere privato della mia intervista. Ciano mostra di considerare chiuso l’incidente. [Roma,] 1940 AMMIRAGLIO R.[AINERl] B.[lSCIA]

La Marina italiana avrà fra pochissimo sei magnifiche navi di 49 Cfr. appunto precedente, p. 274. 50 Giuseppe Tassinari, ministro dell’Agricoltura. — Luca Pietromarchi, allora capo dell’ufficio Guerra economica al ministero degli Esteri. 51 Cfr. sopra, p. 268. Il viaggio di Pirelli a Berlino era in relazione con i ri­ fornimenti di gomma per la sua industria, rifornimenti che in quel periodo pro­ venivano dall’Estremo Oriente alla Germania attraverso la Siberia e, in parte, a mezzo di sommergibili.

216

Millenovecentoquaranta

linea che hanno velocità da 28 a 31 miglia, quindi nettamente su­ periori alle inglesi (la Hood per es. fa 22 miglia). La flotta inglese dell’Estremo Oriente sembra proprio in cammino e si dividerà tra Mediterraneo e Inghilterra. Le offese aeree alle grandi navi sono scarse. Le corazze di co­ perta resistono bene ai proiettili, la cui velocità di caduta è ritar­ data dalla resistenza dell’aria e la cui potenza perforante è sacrifi­ cata alla necessità di racchiudere molto esplosivo. Noi per ora 500 kg. Siluri aerei invece pericolosi (tre casi). Difesa nei porti — reti — navi mercantili — allineamenti. Battaglia dell’Jonio52 incontro casuale. Gli aeroplani — Il convoglio — Campioni fece bene a non insistere. Gli inglesi seguono tattica: convoglio scortato da naviglio leg­ gero, a distanza naviglio medio, più indietro navi grosse. Ma se per ogni convoglio si devono disturbare i colossi...! Lo speronamento a mezzo caccia previo accertamento che non ci siano nostri sottomarini. Vita dura nel Mar Rosso. Marina inglese tira bene. Spirito dei nostri marinai ottimo. Azione presso Creta53: sembrava che mare fosse libero e par­ tiamo per azione contro convoglio. Invece... evidentemente le isole greche prestano i propri porti alle navi inglesi.

Oggi Graziani è a Roma a colloquio con Badoglio. Acqua54. rostagno 55.

Intensificazione preparativi sul Mar del Nord.

52 Si riferisce alla battaglia aeronavale svoltasi il pomeriggio del 9 luglio al largo di Punta Stilo tra una squadra italiana comandata dall’ammiraglio Inigo Campioni e una forza navale inglese di scorta a un convoglio. Al calar della notte le navi inglesi si allontanarono e le nostre rientrarono alle loro basi ri­ nunciando a proseguire la battaglia; nei giorni successivi, contro il convoglio e la sua scorta continuarono solo gli attacchi aerei. 55 E lo scontro del 19 luglio, quando due nostri incrociatori s’imbatterono inaspettatamente in 2 incrociatori e 4 cacciatorpedinieri inglesi e il Colleoni fu affondato. 54 II generale Graziani, comandante in Libia, rifiutava di lanciare un’of­ fensiva oltre il confine egiziano fino a quando non si provvedesse all’insuffi­ cienza di rifornimenti idrici. Era venuto perciò a Roma, tra il 5 e 1’8 agosto, a conferire col capo di Stato Maggiore Generale, Badoglio. 55 Vittorio Rostagno, allora direttore generale delle società della Pirelli Holding in Francia e Belgio.

Millenovecentoquaranta

277

giordani 56. Dopoguerra: Jugoslavia sarebbe proprio nella nosira sfera... «anche per eventuale unione doganale». Cipro?... di­ penderà.

[Roma,] 10 settembre 1940-XVIII BUTI

Ritiene collasso del popolo inglese inevitabile. C’è però da te­ mere tentativo inglese di galvanizzare una resistenza altrove, sia dal Canada sia nel Mediterraneo. Si accenna a possibilità di inse­ diamento ad Algeri, di presa delle Canarie e delle Azzorre. In Tunisia ci sono state manifestazioni anti-italiane. Qual­ cuno ha detto che de Gaulle57 fosse a Tunisi, ma la voce non è confermata. Nostro invio di 160-200 velivoli sul fronte belga contro l’Inpliilterra è confermato (ciò dispiace ad alcuni ambienti aeronau­ tici, ma ragioni di prestigio...).

Difficoltà per la nostra flotta di agire nel Mediterraneo (mal» omento di Mussolini). Anche quella inglese non ha osato esporsi I inora, ma ha protetto convogli di merci ed uomini ed è stata re­ centemente molto rafforzata, cosicché occorre stare all’erta con­ tro qualche grosso attacco eventuale (nulla si improvvisa, né navi né equipaggi). Problemi Jugoslavia, Grecia e Svizzera rimandati. Ci fu un e,ionio in cui sembrava che la rottura fosse questione di ore (Jacotnoni’8: «Avete bisogno di un incidente...»). Quanto alla Sviz­ zera, Ciano sembra non entusiasta di spartirla ma Ribbentrop etnbra nettamente favorevole — ed anche per le eventuali deli­ mitazioni (Maloja) bisognerà... fare quello che... Visita del Ministro di Grecia.16 * 16 II prof. Francesco Giordani, allora vice presidente dell’IRI. 11 gen. Charles de Gaulle, all’armistizio tra la Francia e l’Asse, da LonΊι.। aveva rivolto ai suoi connazionali in patria e oltremare un appello a prosel'iiiic la lotta. lM Francesco Jacomoni, luogotenente generale d’Albania.

278

Millenovecentoquaranta

Timore di bolscevismo — ancor più che di panslavismo — nei Balcani. Gli ungheresi felici. Hanno avuto più di quanto si aspettas­ sero59. Ma... tedeschi.

Russia. Rosso è tornato a Mosca con istruzioni di riavvicina­ mento (dopo che la Germania aveva appianato incidente per Fin­ landia) ed ha preso forse troppo sul serio la cosa, cosi che Mo­ lotov gli ha esposto un programma e chiesto di precisare l’attitu­ dine dell’Italia su molti punti (la Russia aspira ad avanzare nell’I­ ran e verso l’Armenia). Sono passati due mesi e l’Italia non ha ri­ sposto ancora. B.futi] favorevole a proporre il disarmo dei Darda­ nelli, cioè il ritorno a prima di Lausanne60, ma Ciano incerto. Intanto (Giannini) si dovrebbe trattare un accordo commer­ ciale, ma le cose trascinano. Arabi. L’Irak ed altri gruppi arabi attraverso il Mufti (si ri­ tiene la cosa seria, ma...) hanno fatto chiedere se il Governo ita­ liano riconoscerebbe la piena ed assoluta indipendenza dei Regni arabi — senza alcun intervento militare — e se sia disposto a dare soldi per promuovere nuove agitazioni in Palestina e Siria61 (valendosi anche della situazione francese?).

Sistemazione futura. Il ministero dell’Africa Italiana vorrebbe soppresso il Bey di Tunisi, incamerato il Sudan e Sinai. Per il Ca­ nale si tratta o di internazionalizzarlo o di fare una Compagnia italo-egiziana. B.futi] ritiene che bisognerà limitarsi al condomi­ nio nel Sudan.

Cipro. Si dovrebbe insistere62 (Cu.).

59 In quei giorni la Romania cedeva all’Ungheria la Transilvania. 60 A prima, cioè, del trattato di pace di Losanna del 1923 fra la Turchia e gli Alleati della I guerra mondiale, quando gli Stretti erano stati neutralizzati sotto controllo internazionale. 61 La Palestina era un mandato britannico e la Siria un protettorato fran­ cese. 62 Come già visto (cfr. appunti 12 e 30 luglio 1940) le intese italo-tedesche circa le future attribuzioni territoriali escludevano Cipro dalla zona d’influenza italiana. «Cu», simbolo del rame, allude alle miniere dell’isola: cfr. anche ap­ punto del 30 luglio 1942.

Millenovecentoquaranta

219

[Roma,] 26 settembre 1940-XVIII MUSSOLINI

Nel corso del colloquio odierno mi accenna alle più intime in­ tese che stanno per essere strette col Giappone. La situazione con la Russia è sempre non chiara e non solo la nostra, ma anche quella Berlino-Mosca. I russi non hanno digerito né l’arbitrato di Vienna63 con la clausola della garanzia alla Romania, né il recente patto tedesco­ finlandese (?) per cui truppe germaniche sono state autorizzate a traversare la Finlandia recandosi al Nord. Ed ora dovranno forse i russi vedere truppe tedesche (e nostre?) occupare i pozzi di pe­ trolio della Romania, evidentemente misura precauzionale contro analoga occupazione russa. Però un maggior nostro accordo con la Russia sarebbe interessante soprattutto per il manganese. Noi stiamo dando alla Germania aeroplani e sottomarini. Oc­ corre che la Germania ci aiuti di più per talune materie prime: rame, gomma, ecc. Abbiamo già detto a Berlino che possiamo produrre 500 aeroplani al mese, ma per 200 di questi ci occor­ rono le materie prime. La Spagna è ormai completamente nell’orbita dell’Asse, ed è da aspettarsi che l’Inghilterra la bloccherà sempre più, onde non c’è da sperare che possa aiutarci per la gomma. Dobbiamo prepararci a passare l’inverno in guerra ed il paese — salvo qualche spostamento di consumi — ha alimenti suffi­ cienti e può star tranquillo. Potrebbe anche darsi che gli inglesi cedessero prima; però si stanno difendendo. Jugoslavia e Grecia rientrano nella zona di influenza italiana (non dunque tutti i Balcani nella zona comune italo-tedesca ed è bene). Però, mi ripete Mussolini, è il grado della vittoria e delle occupazioni effettive che potrà determinare la vastità della no-

63 Sull’«arbitrato di Vienna» — con cui Ribbentrop e Ciano risolsero il 29 agosto 1940 una controversia tra Ungheria e Romania — un appunto di Pirelli conservato tra le carte del 1942 dice: «Ungheria stava per attaccare la Romania e si era assicurata la neutralità della Jugoslavia, mentre la Russia si sarebbe mossa contemporaneamente. Da ciò incertezze per i pozzi di petrolio, unica fonte dell’Asse. Intervento immediato di Hitler. Suicidio di Teleki. Presa di posizione di Antonescu, che fa digerire alla Romania i sacrifici dell’Arbitrato di Vienna, ma assicura la Bessarabia e oltre...».

280 Millenovecentoquaranta

stra espansione. Quando ci si siede al tavolo dei negoziati, il vinto negozia perché sa che non si riprende a far tuonare il can­ none, e l’alleato a un certo punto consiglia di accontentarsi «per ora...», «il resto lo prenderai domani...».

Roma, 25 ottobre 1940-XVIII CIANO

Le interviste di Hitler con Pétain e Lavai e poi con Franco64 sono intese a stabilire, con la Francia, condizioni tali che permet­ tano di farla rientrare nel blocco europeo anti-inglese, mostrando al mondo un’Europa tutta unita contro l’Inghilterra. Ma la deter­ minazione (prima della fine della guerra contro l’Inghilterra) delle condizioni di pace per la Francia, vuol dire chiederle sacri­ fici minori, altrimenti si teme un pronunciamento dei simpatiz­ zanti col generale de Gaulle, che pare siano molti nella metropoli e moltissimi nell’impero. Ciano accenna ad eventuali pronunciamenti contro il Governo di Vichy di governatori del Marocco, dell’Algeria, del Senegai ecc. e che questo potrebbe anche dare agli americani, se intervenissero in guerra, delle basi navali sull’Atlantico. Tutto ciò dà buon gioco a Lavai per cercare di ri­ durre i sacrifici francesi verso Germania, Italia e Spagna. Occorre aver presente anche il problema della Siria in rap­ porto a quanto più sotto. Parliamo della prossima azione in Grecia65, che deploro aper­ tamente. Accenno alle contromisure inglesi (occupazione di Creta e delle Cicladi ecc.). Ciano risponde che voleva fare questa azione in agosto quanto i greci erano meno pronti, che oggi l’a­ zione si impone perché gli inglesi stanno già organizzando basi navali ed aeree in Grecia e dalle basi aeree della Turchia si trove­ rebbero a 500 km dai pozzi di petrolio rumeni. Chiedo se la Ger­ mania terrà a freno la Turchia se questa volesse intervenire con

64 Si riferisce agli incontri che Hitler ebbe il 23-24 ottobre in una località della Francia con il capo del governo e il ministro degli Esteri di Vichy e poi col dittatore spagnolo. 65 Era fissato per il 28 ottobre l’inizio dell’attacco alla Grecia.

Millenovecentoquaranta

281

le sue 24 divisioni. Ciano dice che la Turchia si regolerà secondo quello che farà la Russia, la quale è sempre un po’ un punto in­ terrogativo sebbene ci siano buone ragioni per ritenere che non farà un voltafaccia. (Qualcuno accenna ad un accordo russo-tede­ sco per i Dardanelli. Cosi però li avremmo tutti e due nel Me­ diterraneo!) Purtroppo la perdita dei sei sottomarini nel Mar Rosso (codice trovato) ha reso meno efficace la nostra azione contro i trasporti di truppe e munizioni a Suez, dove sono arrivati importanti con­ vogli. CAVAGNARI 66

Si preoccupa di non arrischiare la flotta dati i rapporti di forza 5 contro 20 (più 20 americani), per cui anche una vittoria potrebbe lasciarci con rapporti peggiorati. Spirito dei nostri mari­ nai ottimo. Gli inglesi sparano bene. Loro equipaggi più anziani molto allenati. L’/l/tfx67 purtroppo non è stato affondato né dan­ neggiato seriamente (13 feriti). Noi qualche maggiore perdita di quanto annunciato. ciano 68

Dopo le interviste di Hitler con Pétain e Lavai si è parlato di pace separata con la Francia. La cosa non avrà seguito. La posi­ zione del generale de Gaulle è forte in varie zone dell’impero francese, ma soprattutto «nel cuore della maggioranza dei fran­ cesi». Una pace che rafforzasse Pétain comporterebbe per l’Italia il sacrificio di molte sue aspirazioni. Una pace come la vuole l’Italia

66 L’ammiraglio Domenico Cavagnari, capo di S.M. e sottosegretario alla Marina. 67 Incrociatore inglese che si riteneva fosse stato affondato nello scontro avvenuto 1’11-12 ottobre nel canale di Sicilia fra nostre siluranti e una squadra britannica; le perdite italiane, secondo l’annuncio ufficiale, erano state di due torpediniere e un caccia. 68 Questo secondo appunto sul colloquio del 25 con Ciano è su foglio a parte, scritto meno frettolosamente.

282

Millenovecentoquaranta

rischia di valorizzare de Gaulle e di far passare dalla sua parte le truppe che sono nel Nord dell’Africa ed in Siria. Lo stesso Weygand, che si trova nel Nord dell’Africa e non sembra voler rientrare, potrebbe capeggiare un movimento di disconoscimen­ to della pace. Tutto ciò è aggravato dal fatto che la Spagna vuole il Marocco e che d’altra parte non si può ancora compen­ sare la Francia con colonie britanniche. Perciò le trattative con Pétain subiranno un rinvio (voluto dall’Italia?). La Germania si è già assicurata l’Alsazia e la Lorena (che la Francia è rassegna­ ta a perdere) ed anche compensi materiali dato quello che ha asportato dopo l’armistizio e dati i 400 milioni di franchi al giorno che la Francia le paga per le armate d’occupazione. La Germania ha probabilmente rinunciato al primo progetto di re­ stare a Calais. Ciano ha ottenuto da Hitler che non farà la pace con la Fran­ cia se non assicurando un certo minimo all’Italia. Risultano importanti arrivi in Egitto di uomini e di materiali. La situazione della Siria preoccupa perché, se la Turchia en­ trasse in guerra contro l’Asse, certo gli inglesi cercherebbero di unirsi ai turchi attraverso la Siria. La situazione è molto compli­ cata. Germania e Russia si sorvegliano per Costantinopoli.

7 novembre 1940-XVIII CAVALLERO

Spedizione di Grecia. Ha avuto inizi non fortunati, in parte a cagione delle burrasche nell’Adriatico che hanno impedito sbar­ chi a Corfu ecc. (ma perché non si fanno ora?), in parte perché si è partiti avendo 8 divisioni in tutto (più 2 se si calcolano alcuni elementi sussidiari) e ci si è trovati di fronte a 17 divisioni gre­ che, abbastanza ben preparate. Si è aggiunto il cattivo tempo e certo la stagione è quanto mai non propizia e diventerà tanto più tale fra poco (neve sulle montagne del Pindo). Ma tanto più, se si voleva e doveva fare la Blitzkrieg di cui hanno parlato i responsa­ bili, si doveva partire con forze prevalenti e non permettere che si valorizzasse — sia pur temporaneamente — l’esercito più scre­ ditato d’Europa.

Millenoveccntoquaranta

283

Ora si mandano altre divisioni per portarle a 25 e Soddu69 è andato a prendere il comando (forse C. ha voluto questo perché Soddu è quello che ha organizzato e dato assicurazioni e spirito all’azione). Risulta che Badoglio voleva che si facesse l’azione con 20 divisioni, ma egli «non prende abbastanza posizione». Il nostro reggimento di alpini che fiancheggiava sulla sinistra l’a­ vanzata sul Kalebas (in cui sono impegnate 5 delle divisioni) si è trovato quasi circondato ed ha ricevuto l’ordine di ripiegare. L’a­ zione verso Florina non è stata possibile per disparità di forze e solo l’aviazione ha potuto contenere i greci. Naturalmente non è da dubitare che la situazione si raddrizzerà, ma la perdita di pre­ stigio verso il nemico, verso i vari popoli balcanici e verso la Ger­ mania è deplorevole. L’opinione pubblica fa il paragone con l’a­ zione germanica in Norvegia.

Graziani si è rifiutato di partire all’attacco contro l’Egitto finché non ha sistemato la questione dell’acqua70 ecc. E arrivato lino ad offrire le dimissioni. Gli è stato risposto che essendo ora diventata prevalente l’impresa greca si poteva tardare quella in Li­ bia (si è voluto con ciò stuzzicarlo ad agire?).

Trovo a Roma ambiente molto pessimista. Quello che è da temere è che i tedeschi lesinino gli aiuti in armi, munizioni e ma­ terie prime per arrivare allo scopo di mandare loro truppe in no­ stro aiuto. Già avevano offerto due divisioni corazzate per la Li­ bia due mesi or sono, che furono rifiutate. Ma intanto non ci danno gli aiuti che ci servirebbero. Roma, 5-6 dicembre 1940-XVIII

Notizie raccolte direttamente o indirettamente (Mussolini, Farinacci, Ricci, Buti, Giordani, Attolico, Pietromarchi, Volpi ecc.) I. Risulta dal verbale (firmato) della riunione in cui fu decisa la spedizione di Grecia che la prima dichiarazione è fatta da Mussolini: «ho deciso... per il giorno 27...». Però, dopo questo, 69 II generale Ubaldo Soddu, già sottosegretario alla Guerra, appena nomi­ nato capo di S.M. delle forze armate d’Albania. 70 Vedi nota 54, sopra.

284 Millenovecentoquaranta

Mussolini chiede a vari dei presenti chiarimenti, affidamenti e conferme delle informazioni su cui egli ha basato la sua deci­ sione. Visconti Prasca71 è esplicito in tali conferme (pare abbia affermato che eravamo in due contro uno!). Jacomoni a sua volta parla del sicuro collasso politico della Grecia, dell’accoglienza fa­ vorevole o rassegnata delle popolazioni ecc. Ciano si limita a po­ che domande di dettaglio. Badoglio non prende posizione contro né da un punto di vista generale né con argomenti tecnici. II. La «crisi Badoglio»72 lascia perplessi molti, anche tra quelli che lo giudicavano infiacchito e minorato se non nell’ingegno, certo nella forza di volontà e di lavoro; si teme che nell’esercito sorga risentimento per essersi voluta rovesciare sui militari la colpa esclusiva di quanto è successo; si ritiene che, se non altro come feticcio, Badoglio doveva rimanere. Ma invece chi sa che Visconti Prasca è uomo di Badoglio; chi è al corrente del verbale di cui sopra e soprattutto chi sa che Badoglio nei giorni scorsi (e pare anche con Keitel a Innsbruck) ha apertamente detto che egli non aveva voluto la guerra di Grecia e gettato la responsabilità su Mussolini; chi sa tutto questo e in più sa della molto minor ef­ ficienza dell’uomo, comprende come fosse diventato necessario di sostituirlo. A questo proposito mi è stato riferito che Farinacci73, dal quale è partito il primo attacco a Badoglio, afferma (!) che, come dopo l’affare Matteotti è stato necessario salvare il Duce da una parte scaricandolo da ogni responsabilità, dall’altra rafforzandone la resistenza, cosi è necessario fare oggi sacrificando Badoglio «che d’altronde se lo merita» ed eventualmente altri (accenna a Cavagnari soggiungendo che per Badoglio la cosa era più difficile perché i generali erano per lui, mentre gli ammiragli non sono per Cavagnari). Per la sostituzione di Badoglio si è oscillato tra Pintor e Cavallero. E prevalso quest’ultimo per influenza di Ciano e di Fari71 II generale Sebastiano Visconti Prasca, comandante delle forze armate in Albania fino al 7 novembre. 72 II 26 novembre Badoglio aveva comunicato a Mussolini la propria deci­ sione di lasciare la carica di capo di S.M.G.; dopo una decina di giorni le sue dimissioni furono accolte e al suo posto venne nominato il generale Cavallero. 7J Roberto Farinacci, deputato, membro del Gran Consiglio, dirigeva «Il Regime fascista», da cui era partito l’attacco a Badoglio.

Millenovecentoquaranta

285

nacci, che me ne ha elogiato l’ingegno e ha soggiunto rivolto a Ricci74 : «E poi è un generale sicuro dal punto di vista politico». Appunto il carattere politico, duttile e qualcuno dice «arrivi­ sta» rende poco gradito il nome di Cavaliere a molti ambienti mi­ litari, specialmente nel momento in cui debbono digerire l’allon­ tanamento di Badoglio. Qualcuno mette in dubbio la «correttez­ za dell’uomo». Tutti però gli riconoscono qualità di ingegno, di cultura e di lavoro. III. In Albania si va male. Al mattino di mercoledì 4 (dopo che già Starace75 aveva fatto dall’Albania rapporti molto gravi) Soddu ha mandato notizie gravissime; ha parlato dell’opportuni­ tà di studiare una «soluzione politica». Grande preoccupazione. Si accenna a far intervenire Hitler. La cosa viene scartata anche perché nel frattempo Cavaliere, che è stato mandato in aereo a fare una visita d’ispezione, ha fatto (mattino del 5) un rapporto meno allarmistico. Cavallero parla però della eventualità di costi­ tuire due teste di ponte a Durazzo e Valona nel caso di un preci­ pitare delle cose. Nel pomeriggio le notizie sono ancora poco buone. Occorre poter arginare il nemico per cinque o sei giorni ancora mentre ar­ rivano rinforzi. I tedeschi stanno dando aerei da trasporto per le truppe. Mussolini mi dice la sua soddisfazione per la posa del cavo te­ lefonico Brindisi-Durazzo che gli permette di avere notizie di­ rette ma anche «di far sentire la sua voce e dare la certezza a quelli che combattono che egli sta pensando a loro tutto il tempo, e che sta provvedendo a mandare uomini e materiali».

IV. La guerra di Grecia fu decisa senza preavvisare Berlino (che naturalmente, però, era per suo conto al corrente dei prepa­ rativi) e ciò perché Berlino non ci aveva preavvisati dell’invio delle truppe tedesche in Romania. Dopo i primi insuccessi ci fu l’intervista di Ciano col Fuhrer a Berchtesgaden76: accoglienza fredda soprattutto per il timore

74 Renato Ricci, alto dirigente dell’organizzazione fascista, allora ministro delle Corporazioni. 75 Achille Starace, allora capo di S.M. della Milizia. 76 II 18-20 novembre.

286

Millenovecentoquaranta

che volessimo fare qualcosa anche contro la Jugoslavia. In seguito a nostre assicurazioni in contrario... distensione. Ciano anzi ac­ cenna ad offrire Salonicco alla Jugoslavia contro una «neutralità benevola». Si decide che la Germania farà il passo. A tutt’oggi Belgrado non ha risposto. Tra l’altro le colonne dei nostri auto­ carri che si sperava potessero raggiungere l’Albania attraverso la Jugoslavia (data la difficoltà dei trasporti via mare) sono ferme. In Jugoslavia una parte dei militari avrebbe voluto attaccare l’Italia dopo l’insuccesso albanese. La Germania, che tempo fa ha dato a Belgrado assicurazioni che avrebbe fermato l’Italia, ora ha fermato Belgrado. Si è cambiato il ministro della Guerra: nessun generale in servizio ha voluto accettare; si è dovuto prendere un vecchio generale della riserva. Il nostro prestigio nei Balcani è molto scosso. Del pari in Germania. Speriamo in Africa. Ma c’è qualche voce pessimista sulla salute di Graziani e sul rapporto di forze con gli inglesi in Egitto. Però l’acqua è giunta a Sidi el-Barrani. I tubi per l’ulteriore acquedotto stanno arrivando.

V. I tedeschi ci lesinano e ritardano i rifornimenti. E da te­ mersi che vogliano convincerci che devono dare non i materiali, ma le loro truppe. E da prevedersi che, se l’Inghilterra non cede durante l’in­ verno sotto gli attacchi aerei ed al suo naviglio, si vedrà in prima­ vera un attacco tedesco attraverso la Spagna (già d’accordo) a Gi­ bilterra e probabilmente al Portogallo, e d’altra parte un attacco attraverso la Turchia alle zone che conducono a Suez dall’Oriente. L’attitudine della Turchia dipenderà in tal caso da quella russa, sulla quale è bene far sempre delle riserve, ma che è in­ fluenzata dalle 135 divisioni tedesche pronte per un’azione ad Oriente.

1941

Roma, 9 gennaio 1941 V. 111

Dice che gli inglesi hanno catturato in Africa settentrionale (Bardia) 1000 bocche da fuoco, 68.000 uomini, 10 generali (non Bergonzoli2, pare). Tobruch, dato quanto sopra, è difficilmente difendibile a lungo. I tedeschi mandano 500 carri armati ex-francesi. Che cosa valgono? quando arriveranno? In Albania vede la possibilità di resistere, non di contrattac­ care per ora. Si spera di salvare Valona, ma occorre prepararsi al­ l’eventualità di dover dare quest’altro colpo al paese. Peggiore però, e non da escludere — secondo V. — sarebbe la perdita dell’AOI, sia pure temporanea. Per contro i tedeschi, che pare abbiano o stiano per avere 600.000 uomini in Romania ed anche nella Dobrugia bulgara, । appresentano una precisa minaccia per Salonicco e ciò dovrebbe .illcviare la pressione greca in Albania. Vede difficile il passaggio attraverso la Turchia data la natura del terreno e la mancanza di strade. Influenza delle basi navali e aeree di Creta per l’azione in­ i',lese in Marmarica.

1 Più che di Vitetti, potrebbe trattarsi di Volpi (ancora presidente della < è scossa in tutto il paese e tra i suoi fedeli. Condivido l’impressione che gli errori sono stati gravissimi.

Roma, 31 gennaio [1941] Ambiente peggio che mai. Critiche che investono aperta­ mente il Capo. Disorientamento. Cini mi dice che Farinacci è partito per il fronte bestemmiando e Ciano dicendo: «Almeno avesse un programma». Grandi va dicendo: «No, non parto vo­ lontario, ma comandato». A me Riccardi7 esterna il suo malu­ more (voli ad alta quota e suo cuore ecc. «Perché non c’è stato un comunicato che valorizzasse il gesto dei ministri come volonta­ rio? Tutti pensano che siamo mandati al fronte a calci nel se­ dere»). Revel, più serio, dice che prima deve subire un’opera­ zione, poi andrà al fronte e, giuntovi, manderà le dimissioni. Si parla di «segretari generali» nei vari ministeri. Santi Ro­ mano8 avrebbe avuto l’incarico di studiare una riforma costitu­ zionale (Cancellierato?). Si parla anche di un Ministero di tec­ nici: A. Pirelli, Cini, D’Agostino... Frè9 mi dice che Suardo avrebbe avuto dal Re l’incarico di sondare le opinioni dei vari ambienti e che avrebbe anche inter­ rogato personalità non fasciste. Cini dice di essere stato avvici­ nato nello stesso senso da un altro emissario.

Si preannuncia la ritirata in AO sull’acrocoro e si spera di re­ sistere fino alle piogge. Gli abissini avrebbero già commesso bru­ talità, tra gli altri, sul residente di Tessenei. 6 II 17 gennaio Mussolini aveva ordinato la mobilitazione e l’andata al fronte, entro il 1° febbraio, di tutti i membri del Governo, del Gran Consiglio e della Camera, e anche d’un gran numero di gerarchi del partito. — Il nome lasciato in bianco, poco oltre, è evidentemente quello di Mussolini. 7 Raffaello Riccardi, ministro per gli Scambi e Valute. 8 Costituzionalista, presidente del Consiglio di Stato. 9 Giancarlo Frè, direttore generale dell’Assonime. — Giacomo Suardo, presidente del Senato.

Millenovecentoquarantuno

291

Si parla della possibile perdita di Massaua. Dico a tutti (ed anche a Polverelli)1011 che bisogna puntare i piedi. Roma, 17 febbraio 1941

Incontro Mussolini-Franco a Bordighera ". Nulla di decisivo. La Spagna non è in condizioni di affrontare una guerra. Però se ma­ nna una situazione che le permetta di entrare in guerra vuole es­ sere lei ad attaccare Gibilterra (avrebbe bisogno di cannoni e ( tede che se le venissero dati riuscirebbe a prendere Gibilterra). I .a Spagna conferma le sue aspirazioni sul Marocco (ma si sa che la Germania vorrebbe stabilirsi a Casablanca). Mussolini ha dato l’impressione di essere in ottima forma fi­ nca ed intellettuale. Ha esposto la situazione della guerra italiana .ilfermando piena tranquillità circa l’Albania, ammettendo le diflicoltà in AOI e dicendo che spera si possa salvare Tripoli. Ha ri­ conosciuto che Wavell12 ci ha presi di sorpresa in Cirenaica e che .oho stati fatti errori. Franco si è dilungato, piuttosto da militare ( he da politico, a citare cifre sull’efficienza scarsa dei mezzi mililari di cui dispone. Ha mostrato fiducia nella vittoria dell’Asse. Serrano Suner 13 è apparso più preparato politicamente. Musso­ lini ha parlato più di vittorie tedesche e di potenza tedesca che non dell’Asse. Franco ha avuto espressioni di timore pdr l’egemo­ nia tedesca anche sulla Spagna. Graziani è a Roma. Si dice che non torna in Libia e che intelinalmente il comando è stato affidato a Gariboldi.

Si conferma che la Germania passerà attraverso la Bulgaria, ormai consenziente. La Turchia non si muoverà. La Russia non si oppone più. Timore che la Grecia si arrenda alla Germania prima di essere sconfitta dall’Italia. Mussolini è in un periodo di irrigidimento contro il Vaticano. ( io appare strano in questi momenti. Tra l’altro si stanno per re10 Dal 12 gennaio Polverelli era sottosegretario alla Cultura Popolare. 11 II 12 febbraio. ’·’ Il generale Archibald Wavell, comandante supremo delle forze britanni< he nel Medio Oriente e Mediterraneo. 1 ’ Ramón Serrano Suner, ministro degli Esteri spagnolo.

292 Millenovecentoquarantuno

quisire le campane ed occorrerebbe la simpatia e comprensione della Chiesa (dice che lo spirito cristiano degli italiani fa si che non odiano abbastanza il nemico: Attolfico]). Il Vaticano a sua volta ha attitudine molto riservata.

Si conferma che Hitler ha mandato a suo tempo un messaggio molto esplicito a proposito del nostro intervento in Grecia (che si conferma essere stato deciso senza informarne i tedeschi che ad azione iniziata). Però nell’ultimo incontro — dopo i dolorosi avvenimenti di Albania e di Libia — Hitler ha detto esplicitamente a Mussolini che lo avrebbe appoggiato fino in fondo e che l’Italia poteva con­ tare sulla Germania. In Francia, Lavai è trattato da traditore da francesi e da tede­ schi. Pétain, che ha rappresentato un preziosissimo fulcro nel momento della disfatta, sta esautorandosi sia pur lentamente ed è troppo vecchio. I due uomini che si impongono sono Darlan 14 e Weygand. Però nel cuore dei francesi sta de Gaulle.

Nomina dei quattro sottosegretari15. E interpretata nel senso che restano in carica i ministri assenti. Sono quattro senatori an­ ziani ed a carattere tecnico. La posizione di C. è molto incerta e discussa. Si parla di ostilità verso di lui del partito. (Si può interpretare la partenza per il fronte dei ministri, di Farinacci, di Starace ecc. come ispirata al desiderio di non scin­ dere combattenti e partito?) [Roma,] 13 maggio 1941-XIX Ho visto Ciano, Grandi, Buti, Pietromarchi, Vitetti, Ghigi, ecc.

Ribbentrop arriva stasera a Roma (viene a chiedere nostre ri­ nunce a favore della Francia?). 14 L’ammiraglio Francois Darlan, ministro della Marina nel Governo Pé­ tain. — Il generale Weygand era delegato di Vichy per l’Africa francese. 15 II 17 febbraio fu annunciata la nomina a sottosegretari di Stato, «per il periodo bellico, data l’assenza dei ministri in servizio al fronte», dei senatori Pietro Lissia (per le Finanze), Pio Galletti (Lavori Pubblici), Emilio Bodrero (Educazione Nazionale) e Salvatore Gatti (Scambi e Valute).

Millenovecentoquarantuno

293

I less 16 è sceso dall’aereo in Scozia. La sua defezione è consi­ derata molto grave per l’impressione che farà, ancor più che in ( Germania, presso inglesi ed americani che sparleranno su dissidi interni e sul malcontento in Germania... In Spagna Franco si appoggia sempre più sui militari e riduce l’influenza della Falange. (Sono i tedeschi che ne vogliono fare un secondo Antonescu?)17

Dalmazia 18. Dalla Dalmazia verrà a noi solo un territorio ri­ dotto: però Cattaro (che farà provincia a sé), Spalato con Traù e Sebenico (altra provincia) e Zara. Croazia. Niente unione doganale con la Croazia. La cosa era lata ottenuta, ma poi Ante Pavelic 19 ha insistito con Mussolini che ciò sarebbe stato considerato un asservimento. 11 «Patto» però parlerà di stretta intimità economica. Il Duca di Spoleto diventerà Re (pare che prima ci sarà una visita di Re Vittorio). La capitale non sarà Zagabria, ma una piccola cittadina («dove... il nuovo Re potrà divertirsi»). La politica estera sarà condotta da noi. L’esercito sarà organizzato da noi. Però i tedeschi stanno già prendendo posizione nel campo economico (discorso di Hitler). C’è molto malcontento per la rapacità germanica nella spartiione della Slovenia. In Grecia il ministro tedesco posa a pa­ drone. Il Giappone senza voler denunciare il Patto Tripartito tende .1 svalutarne la portata. Sembra che gli Stati Uniti manovrino per concludere col Giappone un patto di non aggressione. 16 Rudolf Hess, l’alto gerarca nazista fuggito il 12 maggio oltre Manica. 17 II generale Ion Antonescu, dal 1940 dittatore della Romania, da lui inse­ llili nel Patto Tripartito. IK In aprile la Jugoslavia, di cui era divenuto re Pietro II, fu invasa da liuppc tedesche, italiane, bulgare e ungheresi; costretta rapidamente alla resa (t ni però si sottrassero gruppi sempre più numerosi di partigiani), il suo territon hi in parte variamente assegnato agli Stati aggressori. 19 Ante Pavelic, leader dell’organizzazione nazionalista croata degli usta.1 ni. in quei giorni veniva messo a capo del governo del neocostituito Regno di । ioazia. Un «Patto politico» avrebbe legato all’Italia il nuovo Stato, la cui co­ ti ma sarebbe andata ad Aimone di Savoia-Aosta, duca di Spoleto.

294 Millenovecentoquarantuno

La Russia e la Germania hanno ambedue voglia di menar le mani, ma mentre la Germania non teme la Russia, questa teme la Germania. Non si conferma che la Bulgaria rinunci a Salonicco. Io ac­ cenno a farne una città libera con un controllo di Italia, Grecia, Bulgaria, Serbia e... Germania. Qualcuno pensa che la Germania voglia farne, sia pure indirettamente, il proprio punto d’appoggio mediterraneo.

Io insisto sulla necessità, perché l’avventura croata possa tra­ mutarsi in qualche cosa di serio, di crearci elementi di influenza sulla Croazia, oltreché col legame dinastico, anche col legame re­ ligioso (incoronazione sacra ecc.) e con quello economico (ritor­ nare sulla questione dell’unione doganale od almeno di una prefe­ renza doganale). Sembra che Ante Pavelic sia d’accordo che la Croazia più che un paese industriale debba continuare ad essere un paese minerario ed agricolo (miniere, boschi, bestiame). Vuole aprirvi varie università. Insisto sulla necessità di accordi precisi con i tedeschi per evi­ tare una loro eccessiva ingerenza anche nei Balcani, ma... Insisto sulla necessità di persuadere i tedeschi che il dominio del Mediterraneo e di Suez è oggi l’obiettivo più importante di tutti: si prospetta l’eventualità di una guerra lunga ed in tal caso il Nord Africa ci può dare cotone, il Centro Africa oli vegetali (eventualmente il Sud Africa rame ecc.). Inoltre la neutralità russa e turca sarebbero assicurate defini­ tivamente se dominiamo il Mediterraneo. Ghigi20 va ministro ad Atene.

Si è ottenuto dagli inglesi (pare sia per insistenze di Ciano) che i nostri connazionali che si trovano in AOI rimpatrino21. Si tratta

20 Pellegrino Ghigi, già ministro plenipotenziario a Bucarest. Λ fine aprile i tedeschi erano entrati ad Atene e la Grecia si era arresa. 21 Da aprile nell’Africa Orientale Italiana erano cessati i combattimenti, con la resa delle truppe italiane alle forze inglesi.

Millenovecentoquarantuno

295

• li 108.000 persone circa. Ci sono da risolvere molte difficoltà tecniche: invio navi ecc.

Roma, 13-14 maggio Tirana, 15-17 maggio 1941-XIX Vedo Ciano, Grandi, Attolico, Bastianini, Buti, Vi tetti, Pietromarchi, Salata, Giannini, Ghigi; e Cavallero, Jacomoni, Parini, Starace, ecc. ecc.

Organizzazione militare e comportamento truppe in Albania. Notizie dolorosissime sul primo punto e purtroppo anche sul se­ condo da Grandi, Bastianini, Parini22 ecc. nonché da ufficiali dei piti vari gradi in Albania. Degli alpini parlano tutti bene. Negli lin i corpi si sono avuti episodi magnifici, ma... Bastianini ha vi­ ti» il terreno abbandonato dagli alpini con a terra qualche zaino ma neppure un fucile od una mitragliatrice, ma altre truppe in ri­ tirata avevano buttato via tutte le armi... Le stesse truppe che avevano acclamato il Duce freneticamente il 7 ed 8 marzo rom­ pendo le file e facendo anzi una gazzarra che era stata da taluni trovata non consona alla disciplina militare, il giorno dopo, sotto pii occhi del Duce stesso, non marciarono avanti. "Grandi rac­ conta tra l’altro un triste episodio del battaglione di napoletani latto prigioniero da pochi serbi presso Ocrida ed incontrato dai tedeschi avanzanti. Bastianini racconta di ufficiali che dormivano I bordo della nave trasporto mentre le truppe sbarcavano a < 'orfu, del mancato arrivo di rinforzi oltre Santi Quaranta, delle di lapidazioni in Dalmazia del gen. < > ecc. ecc. Anche Parini è molto pessimista. Più cauti nel parlare Caval­ li ro e Jacomoni. Però perfino Giovanni23 accenna alla difficoltà, quando una volta il soldato sia scappato — sia pure per necessità । (conosciuta — di fargli dimenticare che c’è questa soluzione pos­ ti >i le: anche bravi soldati alpini arrivati in posizioni pericolose si

·’·’ Grandi e Bastianini si trovavano in Albania come mobilitati (v. sopra, nota 6); il secondo sarebbe presto divenuto governatore della Dalmazia. — l'u ro Parini, giornalista e diplomatico, già direttore dell’ufficio Italiani all’E.n ro, era ispettore del PNF in Albania. Giovanni Pirelli, figlio dell’autore, sul fronte albanese dal dicembre 1940 come tenente del 7° Alpini, battaglione Cadore.

296

Millenovecentoquarantuno

scambiano le informazioni sulle possibili vie di ritirata e lo con­ fessano al loro ufficiale... Per contro, sento di episodi magnifici di sacrificio e di valore. Gravissime le deficienze di armamento (lagnanze anche di Cavallero) e quelle logistiche, e manchevolissimo il sostegno mo­ rale delle truppe. Episodi: si sono persi nella ritirata del dicembre ’40 i rudimentali mezzi di segnalazioni da terra agli aeroplani amici ed ancora du­ rante l’attacco del marzo ’41 non erano stati ridati cosicché le nostre truppe furono bombardate da nostri aerei; per settimane non arrivava alle truppe il nostro bollettino se non con qualche giornale otto giorni dopo e non veniva letto; non fu letto alle truppe — almeno del 7° Alpini — il discorso di Mussolini con l’elogio agli alpini! non fu mai detta una messa per i morti al 7° Alpini, né valo­ rizzato, se non incidentalmente in qualche discorso, il loro sacri­ ficio. Non valorizzazione ai soldati degli scopi di guerra (per es. i documenti diplomatici greci trovati in Francia...). Anche gli ufficiali erano tenuti completamente all’oscuro sul­ l’andamento delle cose, sugli scopi dell’avanzata. Isolati in una valle, comandati di avanzare... Dopo mancata offensiva è man­ cata qualsiasi spiegazione... Feriti arrivati agli ospedaletti da campo, non visitati fino al mattino... In generale indolenza durante le lunghe soste in accampa­ menti anche da parte di ufficiali valorosi nell’azione. Terribile di­ fetto di criticare i superiori anche davanti agli inferiori. Grandi attribuisce in parte il poco entusiasmo di molti uffi­ ciali ai discorsi antiborghesi di Mussolini: «Ci battiamo per scopi dichiaratamente ostili alla nostra classe». Gli antifascisti si sono valsi degli avvenimenti per insistere sul fatto che i soldati dicevano: La guerra l’ha voluta Mussolini, il paese non la voleva ecc. ecc. Abbiamo avuto nella sola offen­ siva di marzo 25.000 tra morti e feriti ecc. ecc. Grandi dice che gli alpini sono rimasti immuni perché tutto riassumono nel grido antico «Re e Morbegno» o «Re e Cadore» ecc. ecc. Cavallero dice che andata Mussolini in Albania a marzo è stata un bene per lui che, turbato per situazione in Italia, ha ritrovato l’I­ talia nell’entusiasmo delle truppe ed ha dato coraggio a queste.

Millenovecentoquarantuno

297

Sento da più parti che il Re è stato bene impressionato dagli .ilpini ·’■*. In generale le truppe molto fedeli al Re. Circa Cavallero. Parini dice che ha fatto bene. Ha trovato una il nazione in sfacelo. Ha ricostruito un fronte e organizzato gra­ dualmente le cose con tenace pazienza e senso umano, senza i toppo seguire le istruzioni di far «decimazioni». Se le avesse sel’iuic, dice Parini, intere divisioni avrebbero disertato (?!). Grandi lo giudica buono ma non di grande statura. Gli manca anche il fisico di un Badoglio, di un Caviglia. Sento, e Cavallero lo sa, di grosse cospirazioni contro di lui a Roma (Guzzoni)24 25. Cavallero ha lasciato che Mussolini parlasse liberamente con i singoli generali. Lo stesso il Re. Ora ha il pro­ pello di rientrare a Roma e di chiedere una precisazione ed < .tensione dei poteri del Capo di S.M. Generale. Dice di avere l'appoggio di Ciano, di Farinacci, di Starace (!) ecc. Dice che c’è tutto da rifare dopo la triste prova. I tre punti odo: disciplina, inquadramento, mezzi. Accenna ad un quaranta p< r cento di colpi non scoppiati (è un suo diversivo politico?).

Circa Albanesi. Impressioni contraddittorie. Parini dice: «Come oldati sono scappati tutti», «Se non avessimo avuto 10.000 carabi­ nieri ci sparavano nelle spalle», anche «Come vuoi che ci stimino < piando hanno visto le torme dei nostri fuggiaschi rfialconci di vestiti