Studi normanni e federiciani 9788882652272, 9788891302571


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Studi normanni e federiciani
 9788882652272, 9788891302571

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Indice

Pag.

G. Andreotti, Premessa

A. Giuliano, Introduzione A. Giuliano, Manda en Constentinnoble et en Alixandre pour homes grex et sarazins..... P. Cellini, Ricordi normanni e federiciani a Roma A. Giuliano, Motivi classici nella scultura e nella glit ica

di età normanna e federiciana..

1. Quartino, Un busto genovese di Federico n A. Giuliano, Il ritratto di Federico n: gli elementi antichi P. Cellini, Presenze federiciane. M. Guarducci, Federico 11 e il monumento del Carroccio in Campidoglio.

M. Guarducci, L'iscrizione sul monumento del Carroccio in Campidoglio e la sua Croce radiata

A. Giuliano, «...principes gentium sunt creati»

A. Giuliano, «. la luce de la gran Costanza» . A. Giuliano, Le fonti alla Marina di Piombino. A. Giuliano, Simone Martini e Federico 1

A. Giuliano, Lineamenti per una cultura formale di Federico n A. Giuliano, Antiqua statua Tygridis fluvii marmorea. A. Giuliano, Roma 1300...

.

ΝΞ

Premessa

Di Dino Santarelli resta una traccia profonda per quello che ha costruito — da ultimo in una modernissima azienda vinicola sulla Pontina — ma ancor più come ricchezza spirituale ed umana. Si avvertiva nel tratto con lui la solidità della sua origine; una grande capacità di ascoltare e, ancor più accentuata, la disponibilità a venire incontro — senza ostentazione e con una rara delicatezza — a chi aveva bisogno di un sostegno ὁ di un aiuto. Con brillanti saggi ha inizio l’attività della Miliarvm diretta da Dario Del Bufalo. Dar vita, per ricordare un personaggio come Dino, ad una fondazione volta ad incoraggiare lo studio della storia dell'arte e per sostenere ricerche e pubblicazioni specialistiche in questo campo, mi sembra abbia un profondo significato. Si sono intuite cioè le strade di un nuovo programma di sviluppo, imperniato sulla messa a valore anche economico di una particolarità italiana finora non abbastanza approfondita e coltivata. Mi

riferisco proprio al patrimonio artistico che — secondo i dati

dell'UNESCO — è sito in Italia per oltre la metà di tutte le dotazioni mondiali. Nella cultura tradizionale sviluppo ha voluto dire crescita economica con modernizzazione dell'agricoltura, ma specialmente con una forte realtà industriale. L'industria — anzi in alcune zone la grande industria — erano il sogno ed il segno specie di regioni meridionali che guardavano al Nord Italia con punte di invidioso rancore. Un mio sommesso invito ai calabresi, trenta anni or sono, a considerare il privilegio delle loro caratteristiche — dalla Sila al bellissimo mare — specie dopo la costruzione dell'Autostrada del Sole, fu accolto molto male. Il mito del Quinto Centro Siderurgico era penetrato in profondità. Più tardi per la proposta di un moderno villaggio turistico fu rimproverato (al ministro Lombardini che era stato latore) che si volesse fare della Calabria una regione di camerieri. Il villaggio fu realizzato in Spagna e sembra che vada benissimo (come tante cose nella penisola iberica che è all'avanguardia di una effettiva modernizzazione). Non si può dare la colpa ai calabresi. A parte la ricordata tradizionale identificazione culturale tra progresso e industria, vi è stata una forte spinta dei sindacati alle concentrazioni operaie; e dal loro punto di vista è comprensibile. Ma c'è di più. Nei programmi di studio la storia dell’arte è meno di una Cenerentola. D'altra parte sono state alzate bandiere a festa perché l'Italia entrava nel club dei maggiori Paesi industriali del mondo. E nessuno nega che sia stata una conquista. Oggi però squillano pericolosi campanelli di allarme. Altre aree geografiche, tra bassi costi di produzione o punte straordinarie nella ricerca tecnologica, rendono molto preoccupante il nostro avvenire industriale. In lontana previsione di questo chiesi un giorno a Federico Zeri di tracciare le linee di una stagione innovativa per porre nell'Italia Turistica (con la t maiuscola) il segreto del nostro avvenire. Nella sua risposta non negava una certa validità, ma gli sembrava che il paesaggio fosse ormai largamente deturpato e che non vi fosse sensibilità adeguata per far leva privilegiante sul patrimonio artistico. Io continuo a credervi. La crisi della Fiat dovrebbe pure insegnarci qualcosa. Certamente occorreranno grandi infrastrutture e programmi coordinati in una Italia nella quale si rischia che la Devoluzione diventi involuzione. Ma non è improponibile condividere programmi ed iniziative ai vari livelli dello Stato con forti investimenti privati. Aggiungo che essere al centro della cristianità costituisce una aggiunta di valore inestimabile.

Tra le massime sbagliate circolate ai tempi della mia giovinezza ve n'è una — mussoliniana — che mi sconcertò. Si sarebbero voluti più trofei di guerre vinte che non tanti capolavori di pittura e scultura. Oggi almeno questa preferenza non esiste più. Di qui l'importanza ed il ruolo di iniziative come la Fondazione Miliarvm. Complimenti ed auguri. Roma, 15 marzo 2003

GIULIO ANDREOTTI

Introduzione

A seguito dell’interesse che si è creato in particolare durante e dopo l'anniversario della nascita di Federico m i contributi relativi alla figura e alla cultura di quell'imperatore si sono moltiplicati oggi la bibliografia federiciana ὃ enormemente aumentata e polverizzata, dispersa tra innumerevoli sedi L'occasione delle mostre tenute a Bari, a Palermo, a Roma ba riproposto, in particolare, alcuni temi dell'arte federiciana. Una Enciclopedia Federiciana promossa dall'Istituto della Enciclopedia Italiana raccoglierà spunti diversi e puntualizzazioni ancora poco definite.

Ma le ricerche più recenti, anche quelle sopra ricordate, non riescono a scalfire il significato dell'opera fondamentale che, più di settanta anni addietro, Ernst Kantorowicz ba dedicato

all'argomento: testo che rimane tra i maggiori della storiografia europea. Ma il Kantorowicz, formidabile giurista e storico, meno si è dedicato ai problemi formali dell'età di Federico n.

Per questo è opportuno offrire in un unico volume contributi di Pico Cellini, di Margherita Guarducci, di Luigina Quartino e di chi scrive, che, se riuniti, possono acquistare un maggiore e più organico valore documentario in funzione della comprensione della cultura formale caratteristica della figura di quel protagonista nella vita culturale europea e in particolare italiana. Una revisione ed una analisi delle tendenze iconografiche e formali, a volte contrastanti, che banno caratterizzato l'opera dell'imperatore e dei suoi collaboratori sono tanto più necessarie in quanto proprio la corte imperiale ba definito canoni che saranno poi di tutto il tardo Medioevo. In tal modo, l'antico problema di Nicola di Puglia si può meglio articolare riesaminando la produzione numismatica, glittica e della scultura imperiale che, a giudizio degli autori dei saggi qui raccolti, ba avuto un peso fondamentale su ogni successiva manifestazione formale (soprattutto, ad oggi, sulla scultura). Sorprendente in particolare notare come la rivoluzione proposta da Federico 1 e dalla sua corte, pur rifacendosi a spunti caratteristici dell'Europa centrale e del mondo normanno dell'Italia meridionale e della Sicilia, travolge tutti i canoni tradizionali in un arco di tempo brevissimo:

sostanzialmente tra il 1230 e il 1250.

10

Le illustrazioni che accompagnano i saggi vogliono essere un commento a testi che sono stati trascritti senza alcuna modificazione (proprio perché la lettura permetta di cogliere in qual modo gli autori banno impostato e modificato nel tempo proprie ipotesi di lavoro). Le immagini, pertanto, si presentano discontinue, non vanno lette secondo una sequenza tipologica o tanto meno iconografica o stilistica. Vogliono solo offrire al lettore una congerie, seppur disordinata, di monumenti cbe arricchiscono il patrimonio sinora considerato federiciano,

patrimonio che, a giudizio degli autori dei saggi, si presenta circoscritto, poco articolato nel tempo, o addirittura estraneo all'argomento (quelle a colori esaltano la policromia di alcuni esemplari 0 propongono nuovo materiale alla attenzione critica). Il volume deve essere inteso quindi come una anticipazione di ipotesi che chi scrive ritiene di

dover recepire mentre si accinge ad esporre lo stesso materiale secondo una più meditata sequenza critica: lavoro al quale vorrebbe dedicare la propria attività futura. Roma, 15 gennaio 2003

2. Castel del Monte. Ingresso, particolare.

Antonio Giuliano

3. Prato. Ingresso del Castello, particolare.

ANTONIO GIULIANO

Manda en Costentinnoble et en Alixandre

pour homes grex et sarazins*

Desiderio, abate (1058-1087, poi Vittore nD, rinnovò l'abbazia di Montecassino. 1 lavori, che dovevano trasformare radicalmente 50, si protrassero per circa venti anni, si dedica: 1° ottobre 1070. Di essi ci informa, in particolare, la Chronica di Leone marsicano.

Labate aveva già commissionato una porta di bronzo, ad imitazione di una veduta ad Amalfi, a fonditori costantinopolitani: ... Videns autem tunc portas aereas episcopii Amalfitani, cum valde placuissent oculis eius, mox mensuram

portarum veteris ecclesiae Constantinopolim misit, ibique illas, ut sunt, fieri fecit. Nam nondum disposuerat ecclesiam renovare, et ob banc causam portae ipsae sic breves effectae sunt, sicut bactenus permanent... nel 1066 iniziava la co-

struzione della nuova basilica: ... Ordinatis igitur qui baec toto nisu et instantia summa perficerent, ipse interea Romam profectus est, et

12. Collezione privata. Base di porfido di un candelabro.

quosque amicissimos alloquens, simulque larga manu pecunias oportune dispensas, columnas, bases,

ac lilia, nec non et diversorum

colorum

marmora abundanter coemit; illaque omnia ab Urbe ad portum, a portu autem Romano per mare usque ad turrem de Gariliano, indeque ad Suium navigiis conductis ingenti fiducia detulit. Abinde vero usque in bunc locum plaustrorum vebiculis non sine labore maximo comportavit. Per il pavimento: ...Zegatos intera Constantinopolim ad locandos artifices destinat, peritos

utique in arte musiaria et quadrataria, ex qui-

bus videlicet alii absidam et arcum atque vesti-

bulum maioris basilicae musivo comerent, alii vero totius ecclesiae pavimentum diversorum lapidum varietate consternerent. Quarum artium tunc ei destinati magistri cuius perfectionis exti-

terint, in eorum est operibus estimari, cum et in

Antonio Giuliano

12

3. La pavimentazione della Basilica di Montecassino secondo Gattolla (1713).

Manda en Constentinnoble et en Alixandre

musivo animatas fere autumet se quisque figuas et quaeque virentia cernere, et in marmoribus omnigenum colorum flores pulchra putet diversitate vernare. Et quoniam artium istarum

ingenium a quingentis et ultra iam annis magistra Latinitas intermiserat, et studio buius inspirante et cooperante Deo, nostro boc tempore

recuperare promeruit, ne sane id ultra Italiae deperiret, studuit vir totius prudentiae plerosque. de monasterii pueris diligenter eisdem artibus. erudiri. Non tamen de bis tantum, sed de omni-

bus artificiis quaecumque ex auro vel argento,

aere, ferro, vitro, ebore, ligno, gipso vel lapide

patrari possunt, studiosissimos prorsus artifices de suis sibi paravit.

15

Un'altra fonte, Amato, della stessa Montecassino, precisa: . .Et pour ce qu'il non trova in Ytalie bomes de cert art, manda en Costentinnoble et en Alixandre pour bomes grex et sarazins; pour aorner lo pavement de la eglize de

marmoire entaillié et diverses paintures; laquel-

le nous clamons «opere de mosy«; ovre de pierre

de diverses colors..." Da questa collaborazione tra maestranze romane, costantinopolitane, fatimidi nasceva l'arredo dell’edificio che conosciamo soprattutto da rilevazioni dell'inizio del xvm sec.: quando trionfava in particolare per l'uso di porfido (come è stato notato: di gusto e di influenza romana e costantinopolitana) (fig. 3). Di porfido

Antonio Giuliano

5. Chantilly, Mus. Condé. Disegno (scuola di N. Poussin) del sarcofago di Elena.

era la base del cero pasquale posto avanti il pulpito: . Fecit quoque et pulpitum ligneum ad legendum sive cantandum, longe priori prae-

stantius et eminentius, in ascensu scilicet gra-

duum vi, idque diversis colorum fucis et auri petalis de pulchro pulcherrimum reddidit. Ante quod columnam argenteam ponderis xxv librarum partim deauratam, ad modum magni candelabri vr cubitorum in altitudine babentem supra basem porphireticam statuit; super

quam videlicet cereus magnus qui sabbato pa-

schali benedicendus est, sollemniter debeat exaltari... così come lo vediamo nelle miniature degli -Exultet^ (fig. 4) Di questo - che pesava 25 libbre (circa kg 8, 325), e che era di argento in parte dorato alto 6 cubiti (circa m. 2,664) — nulla sembra rimasto. La proposta che fosse stato riutilizzato un sostegno antico sembra difficilmente accettabile per la forma che quello presenta (troppo alto per l'economia d'insieme e per il modulo). Un suggerimento per la base del cero pasquale può ricavarsi da quella che, rinvenuta casualmente riutilizzata come sostegno di un ombrellone nei pressi del Liri, si trova oggi in una collezione romana (figg. 1-2). Cavata da una buona pietra ha una serie di modanature che terminano con quattro piedi (uno è spezzato). Alta 26,5 cm, con una larghezza di 27 cm in basso e 20,7 cm in alto, presenta un incasso sulla superficie piana (8x8 cm, sopra il foro cilindrico che la attraversa) che poteva sostenere il fusto d’argento. Che si tratti della base del ceτὸ di Montecassino © di uno che apparteneva ad altro edificio dovuto all'instancabile attività di Desiderio può essere discusso. Ma la provenienza dall'abbazia è tutt altro che improbabile poiché sul Liri giungevano le pietre antiche: sia quelle destinate alla costruzione della basilica, sia quelle che da essa erano state sottratte. Evidentemente la colonna di argento che la sormontava è perduta: per riutilizzare il metallo*. L'ipotesi ripropone l'antico problema dell'uso del porfido, a Roma, Costantinopoli, nella stessa Montecassino tra la fine dell'xt secolo e l'inizio del xit secolo. A Roma, dove il porfido si poteva trovare con maggiore facilità, esso era utilizzato da

tempo. Nel 983 una vasca di porfido chiuse la tomba di Ottone n; nel 1077 la stessa (?) vasca

copriva la tomba del prefetto Cinzio. Un sarcofago di porfido custodiva la spoglia di Innocenzo u (1143). Anastasio 1v nel 1154 fu sepolto nel sarcofago di Elena trasferito nella Basilica lateranense (fig. 5). Secondo la tradizione al tempo di Innocenzo n (1130-1143) le reliquie di

6. Istanbul, Topkapı. Vaso frammentario di porfido.

8. Elena, estratte da quel celebre sarcofago, sarebbero state risistemate in un altro esemplare di porfido nell’Ara Coeli (imitazione di quello Corsini, allora avanti il Pantheon) eseguito forse dagli stessi artigiani che, prima del 1145, avevano realizzato le tombe porfiretiche dei re nor-

Manda en Constentinnoble et en Alixandre

manni per Cefalü (poi a Palermo), e deposte in una cassetta di legno intagliato, dipinto, arricchito di pietre”. Ma se queste notizie, ove si escluda il sarcofago dell'Ara Coeli, si riferiscono al riuso di oggetti antichi (peraltro così frequenti nelle chiese romane) diverso è il problema di Costantinopoli Vasi di porfido sono ricordati ai S.S. Apostoli, nel Boukoleon, nell'atrio dei Nea, nel Palazzo imperiale, in quello di Costantino Porfirogenito”. L'attività dei marmorari di porfido doveva esercitarsi ancora tra il 912-959, quando Costantino Porfirogenito fece costruire il Chrysotriklinos e Alessio Comneno (1081-1118), che edificò la camera di porfido nel palazzo, descritta da Anna. Non bisogna inoltre dimenticare i grandi sarcofagi scoperti attorno al 1750: uno dei quali sembra anticipare motivi che saranno poi degli esemplari siciliani La lavorazione di una pietra ancora più ostica del porfido, il serpentino, è assicurata sem-

7. Amalfi, Cattedrale. Vaso di porfido.

9. Pisa, Cattedrale. Vaso di porfido.

Antonio Giuliano pre a Costantinopoli con Nikephoros πὶ Boto-

ui

niate (1078-1081) in un tondo con la Vergine ora a Londra. A Costantinopoli esistono almeno due crateri (uno dei quali frammentario) databili forse in quest'epoca (fig. 6). Questi vasi permettono di comprendere alcuni esemplari che si trovano in Italia. Si tratta di tre pezzi superstiti, che si conservano a Pisa, ad Amalfi, ad Assisi. Se il vaso di Pisa (fig. 9) è più complesso, quelli di Amalfi (fig. 7) e di Assisi (fig. 8) offrono più dati sicuri. Le baccellature, le modanature dei piedi, la forma delle anse hanno identità con gli esemplari di Costantinopoli (così come con la base, probabilmente cassinese), e affinità con le croci di bronzo delle porte di Amalfi e di Montecassino. I rapporti tra Amalfi e Costantinopoli sono più che documentati; il vaso di Assisi è stato trasferito nella città da altra località. I porfidi dunque, almeno quelli di Amalfi e di Assisi, so10-12, Nicotera, Cattedrale. Particolari di un baldac-

chino frammentario di porfido.

Manda en Constentinnoble et en Alixandre

no stati scolpiti a Costantinopoli, o in Italia su modello costantinopolitano da maestranze di Costantinopoli. Il fenomeno assume precisa connotazione: anche in Italia il porfido egemonizza alcuni

preziosi arredi di Desiderio.

liturgici, forse proprio per merito

E a Montecassino esistevano vasi

di porfido. Uno di essi, testimoniato da un disegno di Giuliano da Sangallo, è perduto, così come un secondo (che sembrerebbe anch'esso di porfido) rappresentato in un disegno di Francesco di Giorgio Martini con la porta di Federico n a Capua". La attività dei tagliatori chiamati da Desiderio dové essere fortunata se essi saranno utilizzati poi dai normanni: realizzando il baldacchino per la tomba di Ruggero, conte di Calabria, morto nel 1101, sepolto a Mileto in un edificio che riecheggia la basilica di Montecassino (un frammento si conserva nella cattedrale di Nicotera)" (figg. 10-12). Da queste esperienze si giungerà alla creazione di opere come il vaso a St. Denis (antico 2), trasformato in aquila e descritto da Suger (1081-1151), e ai sarcofagi dell'Ara Coeli (e Caylus) e di Cefalù eseguiti poco prima del 1145 per volontà di Ruggero n. Il problema potrebbe ridursi al rapporto tra Costantinopoli, Roma, Montecassino, la Calabria e la Sicilia", se non si tenesse presente la notizia di Amato sull’arruolamento di maestranze egiziane per il pavimento di Montecassino, che trova conforto nel rinvenimento della cassetta, di stile arabo-normanno, entro il sarcofa go con le reliquie di S. Elena sull’Ara Coeli

(figg. 13-16). Non & escluso che, almeno sul piano tecnologico, fossero proprio le maestran-

ze fatimidi, addestrate a tagliare materiali durissimi e che si erano esercitate sul cristallo di rocca, ad essere incaricate prima a Costantinopoli poi in Italia, di lavorare pietre ostiche come il porfido e il serpentino su modelli bizantini e occidentali (vista la esperienza che avevano di-

mostrato). E spoglie di porfido erano numerose in Egitto.

Quando si esamina il disegno del pavimento della basilica di Montecassino, giustamente confrontato (soprattutto per le rotae) con quello di 8. Sofia a Nicaea, si notano in esso, e in quelli che ad esso si rifanno, stilemi fatimidi. Così come più liberamente islamica è la tettoni-

17

ca del vaso di Pisa e di quello disegnato da Francesco di Giorgio nella stessa Montecassino.

II confronto che può stabilirsi tra alcuni frammenti di marmo intagliato, provenienti dal palazzo fatimide del Cairo (figg. 17-19), e determinati rilievi serve a definire la natura dell'arte campana che da tempo assimilava motivi islamici, non solo attraverso le stoffe, ma ad opera di maestranze arabe che, attive durante xr secolo, egemonizzano con i propri stilemi la produzio-

ne in quei territori. Ad ulteriore confronto si ri-

corda una stele funeraria, datata dopo il 26 febbraio 1081, da Pozzuoli

(figg.

21-22),

probabil-

mente scolpita in quella città: gli elementi vegetali tanto somigliano a quelli di alcuni rilievi, ad esempio uno da Capua? (fig. 20). Almeno per quanto concerne la scultura, la mediazione tra l'Egitto (che recepiva esperienze mesopotamiche) e la Campania si materializza

quanto ad esecuzione e si circoscrive nel tempo. Non si tratta di una mediazione generica

quale potrebbe essere dimostrata dalle analogie con le iconografie delle stoffe orientali importate in occidente, ma della attività di maestranze egiziane che, insieme a quelle costantinopolitane, interpretano i canoni della cultura formale nell'età di Desiderio: destinati ad egemonizzare Italia meridionale e la Sicilia" (fig. 23). Norm:

* Edito in Le parolee i marmi, Studi in onore di Raniero Gnoli nel suo 70° compleanno. Serie orientale; Roma xcu, 2, Roma. 2001, pp. 939-962 * Su Leone:J. vo Scuossen, Quellenbuch, nuova ed. a cura di J. Végh, Firenze 1992, p. 192 ss, 478 ss. (Libro ur, 18, 26, 27, 32: ora, ed. H. Hoffmann, Hannover 1980). Su Amato: Storia dei Normanni, a cura di V. De Bartholomacis, Roma 1935, p. 175. Su. tutt i problemi rimane fondamentale: E. GATTOLA, Historia Abbaae Cassinensis, n, Venezia 1733; H. BLOCH, Monte Cassino in the Middle Ages, και, Roma 1986; Gulle porte di bronzo: ID, Ori gin and Fate of the Bronze Doors of Abbot Desiderius of Monte Cassino, in Dumbarton Oaks Papers, 41, 1987, p. 89 ss; Le porte bronzee di Montecassino e l'influsso della porta di Oderiso 1 sulle porte di S. Clemente a Casauria e del Duomo di Benevento in Le ‘porte di bronzo dall'antichità al secolo xi, Roma 1990, p. 307 ss) La bibl. completa si può trarre da singole voci in Enc. Arte Medioevale In generale: HLEJ. CONDREY, The Age of Abbot Desiderius, Oxford 1983 (tad. it: Milano 1986). 7 Sulle rappresentazioni degli Exultet: Die Bxulterolle. Codex Barberini Latinus 592, Einführung von G. Cavatıo, Wissenschaftliches Resümee von L Speciale, Zurich 1988, Fol. m (5), cr lum vespeninum, p. 33; e G. Cavauıo, Rotoli liturgici del medioevo meridionale, Roma 1994: 1. SPECIALE, p. 235 55. e 259 ss e

Antonio Giuliano

18

13-14. Roma,

Santa Maria in Aracoeli. Particolari di una cassetta reliquiario.

20

17-18. Il Cairo, Museo islamico. Rilievo dal palazzo fatimide.

Antonio Giuliano

Manda en Constentinmoble et en Alixandre

20. Capua, Museo Campano. Lastra da San Giovanni in Corte.

21

Antonio Giuliano

22

Sens |

MANI

fo APT ΤΗΝ

21. Napoli, Museo Nazionale. Stele funeraria da Pozzuoli. F. Macismatz, p. 423 ss (per gli esemplari di Londra, Brit. Mus. Add. 30337 e Troia 5). * L'ipotesi è di: EL. Robexrs, The Pascal Candelabrum in tbe Cappella Palatina at Palermo..., New York 1984, p. 163-164, ri presa poi da: P.C. CLaussen, Magistri Doctisimi Roman, Stuart 1987, pp. 30, 170. La migliore llustrazione del piedeè in B. D'ONORIO-O. Seiveuu, L'Abbazia di Montecassino, Roma 1982, fig. 36. Sul pavimenti «cosmateschi« D.F. Grass, Studies on Cosmatesque Pavements, in BAR International Series, 82, 1980; ora: 1) and EC. Baar, Tbe Red Stone Speak: Porpbyry Discs in the Pave. menis of Roman Churches, in Qui miscuit utile dulci, in Festschrift Essays for Paul Lachlan Machendrich, Wauconda Il. 1998, p. 1s * sull'uso del porfido a Montecassino: A. PANTONI, Una descri zione inedita di Montecassino del tardo Cinquecento, in Asprenas, 214, 1964, p. 355 * Sui problemi del riuso romano: P. Franchi De’ Cavaumm, Jl sarcofago di 5. Elena prima dei restauri del secolo xvin, in Nuovo Bullctino di Archeologia Cristiana, xor, 1921, p. 15 ss. = Seri agiograficin, Cità del Vaticano 1962, p. 311 ss; ignora un dise

gno francese attornoa Poussin: P. RosENnERG, LA. Paar, V. Dasian Nicolas Poussin. La collection du Musée Condé à Chantilly Paris 1994, p. 116, n. 48, indispensabile per G. RopENWALDI, Zum Sarkophag der Helena, in Scritti in onore di B. Negara, Cità del Vaticano 1937, p. 389 ss. (Si veda anche: R. Valeri Zuccuerm, Codice topografico della città di Roma, Ii, Roma 1946,p. 46 ss, 118, 315 e FORCELLA, Iscrizioni, x, Roma 1878,n. 7-8); ora, anche: S. DE Biaauw, Papst und Purpur. Porphyr in fralben Kirchenausstattungen in Rom, in Tessere, Festschrift für Josepb Engemann (Jabrb. F. Antike und Christentum, Erg. heft 18. 1991) Münster 1991, p. 36 ss. Sull'Ara Coeli, P. Cru, Ricordi normanni e federiciani a Roma, in Paragone, vu, 1956, 81, p. 3 55. - Tra Roma e Umbria. Studi e ricerche di storia dell'arte, Roma 1996, p. 3 ss; pp. 25-36. Sul sarcofago reliquiario dell'Ara Cocli A. Aunaocı, Vasche di età romana in marmi bianchi e colorati, Roma 1995, p. 65 ss, A-1.2. (8 ss, A. L 6: Caylus) Sulla cassetta reliquiario: P. Crit, in Normanni, popolo d'Europa. 1030-1200, ἃ cura di M. D'Onoftio, Roma 1994, p. 517, n. 326 Οἱ confronti con: G. Musouo, in Federico e la Silla, a cura di M. Andalo: το, Arti figurativo e arti suntuarie Palermo 1995, p. 195, 42. * 1 vasi a Costantinopoli sono ricordati da R. DelmauECK, Anπὰρ Porpbyrwerke, Berin-Leipzig 1932, p. 191 5. si veda: H. Tezcan, Tophapi Sarayi ve gevresinin Dizans devri arkeolofizi, stan bul st, p. 338, nn. 547-548 (anche: R. Gou, Marmora Romana, Roma 1971, fig. 43). Trovano ispirazione in alcuni di età classica come quello a S. Ftienne: V. PArAccio, Marmi ercolanesi in Francia. Storia di alcune distrazioni del Principe E M. d'Elboeuf, Napoli 1995, p. 79, fig. 46. ? C. Manco, Three Imperial Byzantine Sarcopbagi discovered in 1750, in Dumbarton Oaks Papers, xxi, 1962, p. 397 ss. ora Studieson Constantinople, Great Yarmouth 1993, n. vi * Sul disco di serpentino di Nikephoros m Botoneiates da u mo: KG. Ousrennour, in The Glory of Byzantion. Art and Culture of tbe Middle Byzantine Era. A.D. 843-1261, ed. HLC. Evans, W.D. Wixom, New York 1997, p. 176, n. 130 con bibl. prec Guo, cit,ig. 120. ? 1 vasi di Pisa, Amalfi, Assisi sono, rispettivamente, in DelRUEcK, cit, p. 205 s, 208, tav. 99; su quello di Pisa anche: G. Tepesch-Guisann, Il Duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, Pisa 1995, p. 537 s. 1 pisani donano ai forentini due colonne di por fido, forse del bottino di Maiorca del 1115: Dante, Inf. xv, 67; Liber Matolichinus de Gestis Pisanorum illustribus, a cora di C. Calisse, Roma 1904, p. 131; Annales Pisani di Bernardo Maragone, a cura di ML. Gentile, Bologna 1936, Gesta Triumpbalia per Pisanos facta, p. 94; Cronache di Pisa di Ranieri Sardo, a cura di O. Benti, Roma 1963, p, 241 (1116). Una illustrazione del vaso di Amalfi: Enc. Arte Ant, u SuppL, sv. Marmo. Sul va50 di porfido disegnato da G. da Sangallo: Deunnusck, p. 206s. fig. 110; su quello disegnato da F. di Giorgio (a Mo(m)ie Cbasin): P. Tossca, L'architettura della Porta di Capua, in M6langes Bertaux, Paris 1924, p. 292 ss. Forse sono la fonte di ispirazione per i vasi di marmo a Messina: 1135 (G. AcneLLO, Sculture bizantino normanne di Messina, in Rend. Pont. Acc, xoocvi, 1965-66,p. 215) e da Santa Maria del Pati: 1137 (L. CaSTELNUOVO-TEDEScO, in Gesta, xo, 1985, p. 63, n. 2). A questi si ricollega, per quanto concerne la tipolo il vaso a Lentini, Santa Maria della Fontana (C. Venta, in Federico 1re la Sicilia, cit, p. 313,n. 84). Esportazionedi porfido nel Medioevo (Ottone Ὁ a Magdeburg, Duomo: DELIRUECK, cit, p. xim, p. 173 ss. fg. 75; a St. Denis: Drusnunck, cit, p. 203 s, fig. 107, E. PAnorsky, Abbot Suger on tbe Abbey Church of St-Denis and its Art Treasures, Princeton (N.Y.) 1979, pp. 78 ss, 222 ss, fig. 31

Manda en Constentinmoble et en Alixandre

22. Napoli, Museo Nazionale. Stele funeraria da Pozzuoli: particolare. cfr anche: A. Esci, Reimpiego dell'antico nel Medioevo: la prospettva dell'archeologo, la prospettiva dello storico, in Ideologie e pratiche del reimpiego nell'alto medioevo: Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, xavi, Spoleto 1999, p. 73 ss; con indicazioni bibl) " L Faro, La sepoltura di Ruggero, Conte di Calabria, in Aparchai, Nuove ricerche e studi sulla Magna Grecia a la Sicilia ‘antica in onoredi Paolo Enrico Arias, Pisa 1982, p. 691 ss " Rimane fondamentale: J. Def, The Dynastie Porphyry Tombs of tbe Norman period in Sicily, Cambridge Mass. 1959; c anche il mio: Moti classici nella scultura e nella gltica di età normanna e federiciana, in Federico i e l'arte del duecento itaHano, 1, Galatina 1980, p. 19 ss;pp. 37-48. Vedi pure G. Vian, Catalogue of tbe Sculpture im the Dumbarton Oaks Collection Washington 1995, p. 87 ss, n. 35, 36, 42. Sul primo riuso in età normanna, ora: L. De LacheNAL, I Normanni el'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana, in Boll d'Arte, 9697, 1996, p. 1 ss. 7 Sul problema: H. Βειτινο, Byzantine Art among Greoks and Latins in Soutbern Italy; in Dumbarton Oaks Papers, 28, 1974, p. 3 55; meglio se si parte da osservazioni più elementari, come ad

esi A. Messina, Uomini e mestiri della Sicilia normanna, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bi bliotheken, 73, 1993, p. 19 ss. "^ Sulla sele di Pozzuoli da ultimi: U. Scennato, Arte islamica a Napoli, Napoli 1967, p. 148, n. 316; F. Gamsueu, Gli Arabi in μαῖα, Milano 1979, fig. 382. Sul problema W.F. Vounacn, Oriental Influences in the Animal Sculpture of Campania, in Art Bulletim, xxv, 1942, p. 172 ss cronologia: CD: Suteruap, A Cbronology of Romanesque Sculpture in Campania, ibid, 1950, p. 319 ss. Per le illustrazioni vedi anche: GABRIELI-SCERRATO, cit; G. CAVAL10, V. VON FALKENHAUSEN, R. FARIOLI CAMPANATI, M. GIGANTE, V. Pace, F. Panvina Rosarı, 1 Bizantiniin Ialia, Milano 1982. Per il rilievo con leoni araldici a Capua (da San Giovanni in Conte) A. Gre, Scultura campana del secolo xr. rilievi del Duomo di Aversa, in Napoli Nobilissima, v, 1965, p. 157 ss fig. 7. Legni del palazzo fatimidia vedi: Catalogue Général du Musée Arabe du Cai re E. Paurv, Les bois sculpiés jusqu'a l'oque ayyoubide, Le Cai re 1931 (cfi. A. Parnıcoto, U. MONNERET DE Viano, La chiesa di Santa Barbara al Vecchio Cairo, Firenze 1922; e ora: M. Jens, An Eleventb-Century Woodcaruing from a Cairo Nunnory in Islamic Art in tbe Metropolitan Museum, ed. by R. Etin-

Antonio Giuliano

24 ghausen, New York 1972, p. 227 ss; Musée du Louvre, E. ANGtADE, Catalogue des boiseres de la Section islamique, Paris 1968) Rapport tra mondo musulmano e bizantino: M. Carano, Byzance et les musulmans du Proché Orient, London 1973; in partcola re xiv Le cérémonial fatimide et le cérémontal byzantin: eat de comparation, in Byzantion, x, 1951, p. 355 ss. O. Grana, δίας: mic Art and Byzantium, in Dumbarton Oals Papers, 18, 1964, p. 69 ss = Studies in Medieval Islamic Arı London 1976, iv speci co: A. Guru, Les échanges de dons entre Byzance et Islam (nc x siecl), in Journal des Savants, 1996, p. 51 ss. Rimane fonda mentale: U. Moxxener DE Villar, Le transenne di δ. Asprenoe le stoffe alessandrine, in Aegyprus, v, 1923, p. 64 ss; La tessitura palermitana sotto i Normanni, in Miscellanea G. Mercati, n, Città del Vaticano 1946, p. 464 ss Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina in Palermo, Roma 1959; Tessuti e ricami meSopotamici ai tempi degli ‘Abbasidi e dei Selgugidi, in Mem. Acc Lincei, vin, vu, 4, 1955, p. 183 ss. Anche CJ. Lan, Cotton in medioeval Teiles of tbe Near East Paris 1937; Carpet Fragments Undervalla 1985 (con bibl. dello stesso); AnGG-STFrUNG Ricci suenc, K. Oravskv, MUHAMMAD ADDS, MUHAMMAD SAUM, AMfitlakerlcbe Textilen, 1, Agypten, Persten und Mesopotamien, Spamien und Nordafrika, Bonn 1995; da ultima: A. Murutsius, By zantine Silk Weauing, Vienna 1997; The Role of Byzantine Silk in the Ottonian Empire, in Byzanz und das Abenland im 10. und 11. Jabrbundert, Köln 1997. Frontespizi coranici in M. Lines, QY.H. Sarupt, The Qur'an, London 1976, p. 26 nn. 16, 18; M. Jens, Islamic Art in tbe Kuuait Museum, London 1985 (τορι: spizio); E. An, Islamic Art and Patronage, Treasures from Kuwait, New York 1990, p. 59 ss. Si confrontino con quello a Damasco (911 d.C): K. Tovxum, Da Ebla a Damasco, Roma 1985, p. 341, n. 246; anche: R. Ernionasti-O. Grata, The Art and Architecture of Islam, Yale 1987, p. 119ss cfr. fg. 100 per la pavimentazione della navata centrale dell'Ara Coeli. Udli le fonti sul tesoro fatimida: P. Kate, Die Schätze der Fatimiden, in Zeitschrift der deutschen Morgenlandischen Gesellschaft, n.s., 14,

1935, p. 329 ss. Una lastra di porfidoè riutilizzata nel cortile della moschea di Hasan al Cairo. Sui rilievi fatimidi del Museo de Il Cairo, ora: Trösors fatimides du Caire, Cat. mostra: Institut du monde arabe, Paris 1998,p. 93, n. 12 Gnv. 2160: gli altri due rllicvi, da me fotografati nel 1991, misurano rispettivamente 290105x12 e 202x68x12 cm). Il catalogo raccoglie molta bibl. prec. (alla quale si aggiunge: V. Meinecke-Benc, Materialen zu fattmidischen Holzdekorationen in Kairo, 1, t : Holzdeken aus dem fatimidischen Westpalast in Kairo, Die Holzpaneele der Moschee des Abmad Bay Kubya, in Mitt. Deutsch Arch. Inst, Abtei lung Kairo, 47, 1991, p. 227 ss). "Sul mondo dell'Italia centro-meridionale e della Sicilia: 1. ons, Lre normanni e i califi fatimidt. Nuove prospettive su vecchi materiali, in Giornata di studio: Del nuovo sulla Sicilia musulmana, Roma 1995, p. 9 ss; G.M. D'ERME, Contesto arcbiteto nico e aspetti culturali ei dipinti del sofito della Cappella Pala tina di Palermo, in Boll. D'Arte, 92, 1995, p. 1 ss; W. Tronzo, The Cultures of His Kingdom. Roger ir and the Cappella Palatina, Princeton N. J. 1997. Sullaspetto della cultura artistica cfr. nota precedente e; A. Grut, Raflets de l'art islamique sur ls peintu res et les rliefs medievaux en Ialie meridionale (^*^ si clos) in Studies in Memory of Gaston Wier, Jerusalem 1977, p. 161 55. = L'art du moyen äge en Occident, London 1980, x (cfr: La bari byzantine dans l'art du Moyen Age en Ialie méridionale, in IL passaggio del dominio bizantino all stato normanno nella meridionale; Att del secondo Convegno internazionaledi Studi, Taranto-Mottola 1973, Taranto 1977, p. 231 ss. = L'art du moyen. ge, cit, V). Anche: O. GrapaR, The Mediation of Ornament, Princeton N.Y 1992; ricco di suggestioni: Europa und der Orient 800-1900, her. V.G. SteveRNIcitH. Bopp, Berlin 1999. Si veda anche: W. Tronzo, Byzantine Court Culture from 1be Point of View of Norman Sicily. The Case of tbe Cappella Palatina in Palermo e O. GranAR, Tbe Shared Culture of Objects in Byzantine Court Culture from 82910 1204, ed. by H. Magnire, Washington 1997, pp. 102 s, 115 ss.

I

22. Tunisi, Biblioteca Nazionale. Frontespizio di un Corano (Rutbi 198).

PICO CELLINI

Ricordi normanni e federiciani

Già prima che Arnolfo venisse a Roma, chiamatovi

a dar mano

ai tanti lavori che si erano

intrapresi e che si aveva in animo di fare, era

da tempo in atto quella grandiosa revisione del patrimonio edilizio della Chiesa, alla quale la volontà di Innocenzo nt aveva dato un singola1e vigoroso impulso; onde proprio in quegli anni si vede trasformato l'aspetto della città, quasi si perseguisse un piano regolatore a lunga scadenza che sembrö apprestarla alle venture folle dei pellegrini. Lotario Conti, avanti di essere il gran pontefice Innocenzo m, s'era già distinto per la sua abilità ed operosità nella curia, al tempo di Celestino u, contemporaneamente a Cencio Savelli, finanziere generale e compilatore tra l’altro del Liber Censuum. Vanno riferite al complesso dei lavori fatti a quei tempi due porte di bronzo al Laterano: una nel chiostro, datata nel 1196, e l'altra nell’oratorio di San Giovanni Evangelista annesso al Battistero,

dell'anno prima, entrambe fuse dai fratelli Pietro e Uberto da Piacenza per ordine di Cencio camerario. Quest'ultima porta, che reca una decorazione a graffito sugli specchi delle valve bronzee e anche una figurina a rilievo, unico residuo delle parti in aggetto che pure la decorarono, ben-

ché citata e nota, non è stata fin qui messa in luce in tutta la sua importanza!. Quei graffiti, che rappresentano la facciata laterale di San Giovanni stretta tra due torri campanarie e il prospetto della porta Asinaria, affrontati nei ri quadri superiori, e in quelli inferiori due porzioni di un medesimo edificio con due ordini di archi, stanno Ii, innanzi tutto, a significare che questi furono i lavori salienti fatti al tempo di Celestino m, quando Lotario Conti era nella cu-

a Roma*

ria al suo fianco e Cencio Savelli camerario (fig.

1). Ed è pure chiaro che per la porta Asinaria,

essendo opera preesistente, si trattasse solo di un ripristino; ma per l'edificio ad archi, che è, come vedremo, un ampliamento del Palazzo Lateranense, e per la facciata laterale di San Giovanni, comparendo in entrambi un’ampia

centina di arco acuto, si trattava invece di nuove fabbriche. Ed è di questi edifici che interessa intendere, da quel che resta, il pristino aspetto e soprattutto puntualizzare il divenire in Roma delle nuove forme architettoniche, È noto come nelle basiliche romane il transetto sia stato una delle parti più soggette a continue trasformazioni, volendosi funzionalmente adattare quell'ambiente alle nuove necessità del culto. E tenendo presente che ogni volta che si parla di rifacimenti o restauri nello stile elogiastico della Chiesa, al «reparavit o al restauravit: è quasi sempre aggiunto un «a fundamentis- che non poco confonde le idee, non meraviglia come per la maggior parte dei casi

non sia facile stabilire il tempo dell'apparire di questo elemento, che sembra costantemente immesso di nuovo nell'edificio e poi sviluppato in epoca successiva.

In San Giovanni si può

fissare la data del pontificato di Celestino m per l'ultima amplificazione di questa porzione della basilica, ragionevolmente considerando che la facciata delineata sulla porta di bronzo è appunto quella terminale del transetto stesso: soluzione di facciata secondaria sul transetto che si trova in forma del tutto simile in chiese coeve di Francia e d'Inghilterra. Nel prospetto,

che si vede sulla porta genericamente profilato nel gusto lombardo-normanno, la caratteristica

saliente è di presentare oltre le due torri e l'alta

cuspide, un arco acuto iscritto in essa, com'era

Pico Cellini

26

nella facciata di Santa Maria di Fossanova e come meglio vediamo nel San Rufino di Assisi e nel Duomo di Spoleto, ripristinato appunto sotto Innocenzo m. Il quale, come è noto, riaffer-

mava in quegli anni il dominio della Chiesa

nella Marca di Ancona, nel Ducato di Spoleto e nella Contea di Assisi. In San Giovanni l'arco acuto incluso nella cu-

spide riposava su due colonne dai capitelli a foglie uncinate, con un alto slancio che ci richiama l'arco d'ingresso del campanile di Gaeta (fig. 2) dove si conserva la firma del maestro marmorario romano Nicola d'Angelo, che qui in San Giovanni appose il suo nome al portico demolito della facciata principale e alla cattedra

dell'abside.

Questi dati di fatto, di cui è sin qui sfuggita

la semplice correlazione, permettono di rilevare con più aderente comprensione proprio nel

transetto di San Giovanni altri elementi, ancora

efficienti, di quel gusto arabo-siculo che informa il campanile di Gaeta. All'esterno, nel coronamento delle due pareti lunghe, dove poggia

il tetto, in una Complicata cornice a doppio or-

dine di archetti sovrapposti, i superiori intrec-

ciati in cotto poggianti su mensoline di marmo e gli inferiori trilobati in grigio peperino,

anch'essi su mensoline di marmo bianco, è riaffermato il gusto delle frastagliate cornici di Nicola d'Angelo, ove è ricercato un effetto di colore e di movimento (fig. 3). Nelle gesta di Innocenzo ut si riporta come questo pontefice, dopo aver fatto riedificare gran parte del palazzo presso San Pietro, con soggiorni, servizi e cappelle, lo circondasse di mura munendone di torri difensive le porte d'accesso. Similmente al Laterano inseriva nuove fabbriche nel complesso del Palazzo Pontificio, rafforzandone per ogni dove le parti cadenti, ponendo: «undique circa palatium affirmatum coxas altas et amplas quas vulgariter scontros appellant?. Di questi speroni rimaneva traccia ancora sino al 1886, ai lati dell'abside costantiniana e lungo il transetto, come può vedersi in fotografie del tempo (fig. 4). Innocenzo m fece ancora lavori nell'aula concistoriale «consistorium fecit pavimentari et gradus marmoreos ad eiusdem ascensum», do-

che le fabbriche in essa ricordate dovessero essere proseguite sotto il pontificato del successivo pontefice Innocenzo un, rivelando a pieno quei caratteri siculo-normanni che informano quanto fu sotto di lui edificato; come può vedersi nella parte innocenziana dei Palazzi Vaticani ultimamente

rimessa

in vista dai restauri

del De Campos?, dove le mura perimetrali sono elevate con file regolari di tufelli: sistema costruttivo che ritroviamo nelle due torri fiancheggianti la facciata minore di San Giovanni. Que-

sto genere di architettura, che dové rispondere al gusto austero del committente, ha evidente e peculiare il carattere difensivo dell’architettura «normanna», che in Roma ebbe il suo culmine nell'eccelsa Torre dei Conti, elevata da Riccardo Conti, fratello di Innocenzo ui, per tenere a rispetto il popolo e l'arroganza dei baroni. Tralasciando altre opere, un rapporto con il meridione può essere ancora lumeggiato dalla fontana, di cui tornerò a parlare diffusamente in fine, che fu costruita in quei tempi o in quel-

li immediatamente successivi da Onorio πὶ, dinanzi alla facciata di Santa Maria Maggiore; fontana in cui fu messa in opera una vasca di por-

fido che si può ritenere di fattura medioevale o meglio arabo-sicula, come lo sono le arche porfiretiche dei re normanni e quella di Federico τι e come credo lo siano i due identici cantari di porfido, uno sulla tomba del Cerchi in Assisi, l’altro ad Amalfi, e varie cose ancora di minor conto‘. E gioverà pure richiamare alla

memoria il lungo soggiornare del pontefice a Terracina,

e come

i Normanni

fossero vassalli

della Chiesa, e Federico u pupillo di Innocenzo

πὶ e discepolo di Cencio, poi Onorio i1. Infine

da un curioso elenco (Nicolai zu et Onori1v introitus et exitus) del maggio 1285, già pubblica-

to dal Lauer, si sa che allora si riparò di nuovo in più luoghi il Palazzo Lateranense, destinando una certa somma «pro faciendo aptari duo ostia ad palatium novum et ad aulam camera-

riis, per cui si viene ad avere conferma di quel

ve tenne il famoso Concilio per la riunione del-

Palatium Novum del tempo di Celestino m e di Innocenzo m, che abbiamo visto sommaria mente delineato ad archi acuti sulla porta di bronzo. Circa la facciata laterale di San Giovanni, essa fu in seguito modificata al tempo di Bonifacio vm, quando Arnolfo architettò la

sia del tempo di Celestino un, si può ritenere

te all'aula concistoriale: allora la facciata fu co-

la Chiesa d'Oriente. Benché la portà bronzea

Loggia delle Benedizioni sul prospetto adiacen-

Ricordi normanni e federiciani

1. Roma, Battistero di San Giovanni in Laterano.

Porta bronz

Pico Cellini

ronata di una cornice a vela, rivestita di mosaico, simile a quella del’Aracoeli e delle altre chiese che allora si riabbellirono*. Alla visione che si ἃ cercato di restituire della

facciata minore di San Giovanni, quale era al tempo di Innocenzo mi, resta da aggiungere la considerazione dell'abside ancora costantiniana, che, circondata dall'ambulacro di Leone 1, sporgeva a due diverse quote dal transetto. La decorazione interna di quest'abside, che fu demolita e ricomposta nelle sue parti essenziali sotto il pontificato di Leone xm, è legata al nome di Nicola v, che venendo in Roma dalle

natie Marche, vi portava un sentimento educato alla cultura veneto-adriatica ed una tenera e commossa pietà francescana. Sua prima cura fu quella appunto di riparare il mosaico di San Giovanni, ove volle reveren-

temente rispettata miracolosa con il superficie musiva, borata dal Torriti,

e ricollocata in situ la parte busto del Salvatore. Tutta la come è noto, fu allora rielache ebbe a collaboratore fra’

Iacopo da Camerino. Il Torriti, come a Santa

Maria Maggiore, altro lavoro a lui commesso da

3. Roma, San Giovanni in Laterano. Nicola d'Angelo: doppia cornice del transetto.

4. Roma, San Giovanni in Laterano. Abside e ambulacro in una vecchia fotografia.

29

Ricordi normanni e federiciani

Nicola 1v, firmò nel catino, in una specie di piccola epigrafe, nell'estremo limite di destra. È in-

teressante notare come più in basso, nella fascia tra le finestre sempre nel lato destro, sia rappresentata la figura di un vecchio frate, mentre in ginocchio punta il compasso su di una tavola bianca, poggiata sul terreno, nell'atto di tracciare un semicerchio. Questa figura che non è certamente il ritratto del Torriti, e che è posta nel luogo più degno, in rispondenza a quella del mosaicista fra’ Iacopo da Camerino, è da ritenere un ricordo in effigie dell’architetto anonimo, che aveva riattato l'abside rincocciandone di nuova cortina l'esterno, riducendola a quella caratteristica forma poligonale, con paraste cilindriche angolari ed archi iscritti in esse, che fu ripetuta nell'abside di Santa Maria Maggiore, quale possiamo ancora vedere in un'inci-

sione del 1621 (fig. 5), riprodotta nell'opera del De Angelis; in cui lo sviluppo dell'alzato e delle paraste angolari si gode in tutto il suo slancio, di pretto timbro cistercense. Nella stampa, sul lato destro dell'abside, svetta un'esile torretta scalare, oggi occultata dal rivestimento in travertino del Rainaldi, che c'indica il luogo dell’antico accesso all'ambulacro superiore, che girava dietro al vecchio catino, che fu demolito al tempo di Nicola ıv. Nessun documento infatti si trova a giustificare l'opinione corrente che con la composizione del nuovo tino musivo, al di là dello spazio del vieto am-

bulacro semicircolare, si realizzasse allora anche

uno spostamento in avanti del muro perimetrale

esterno, che a mio avviso restò al suo posto con

le sue cinque aperture originarie che poterono assumere quell’intelaiatura architettonica esterna

5. Abside di Santa Maria Maggiore a Roma: da una incisione di Paolo de Angelis, 1621

30

6. Roma, Palazzo Venezia. Affresco con fontana e putti

7. Roma, Santa Maria Maggiore. Fonte battesimale.

Pico Cellini

assai prima degli abbellimenti musivi. Né mai trovo sia stato considerato che nel braccio destro di quello stretto ambiente detto impropriamente transetto di Nicola IV, ma che già esisteva avanti il suo pontificato, si accedesse ab antiquo alla veneratissima riproduzione del Presepe, oggetto di particolare pietà per Innocenzo Il e per Onorio i, che poi dal Fontana fu trasferita integra nel 1586, con grande artificio di macchine, al centro della cappella Sistina” Rimane l'interrogativo sull'identità personale dell’architetto del paramento esterno delle due absidi, del quale sappiamo solo per certo che appartenne alla famiglia francescana; ed anche si può credere che Nicola iv, primo dei francescani asceso al soglio pontificio, volesse in San Giovanni glorificare, insieme con i recenti Santi Francesco e Antonio, anche gli artisti che illustravano l'ordine, e che qui avevano lavorato Circa lo stile, considerando la nitida scansione delle superfici dai rivestimenti ben connessi, si

8. Colonna e fontana poste avanti Santa Maria Maggio re a Roma: da una incisione di Paolo de Angelis, 1621.

Ricordi normanni e federiciani

comprende che l'anonimo architetto doveva essersi formato nell’ambito dei costruttori di Fos-

sanova, e aveva pure accolto nella sua opera

certo gusto orientale per le superfici polimenta-

te, che ritroviamo nella porta innocenziana di San Tommaso in Formis, di Jacopo di Cosma, e nella facciatina di Sant'Antonio, di poco poste-

riore; per cui si è indotti a pensare che questi sia realmente stato più prossimo ai tempi di Innocenzo πὶ che non a quelli di Nicola rv, vigen-

do in lui quella felice commistione di cistercense e di orientale che in Castel del Monte, a Capua ed altrove viene definita federiciana. Un nome di architetto di tal fatta potrebbe essere quello di frate Elia, rispondendo al tempo, ai luoghi e alle preferenze artistiche che egli dovette avere, nonostante sia il suo nome

divenuto quasi leggenda, per l'accanita faziosità dei suoi nemici e per la sistematica cancellazione di ogni traccia e memoria che a lui poteva riferirsi.

9. Ravello. Fontana.

31 Eppure questi, già Podestà d'Ancona*, era sta-

τὸ tra i primi e più celebri compagni del Serafico, che lo pose nel 1217 a capo della missione. francescana in Siria; e a lui si dovette l'organizzazione delle successive missioni africane ed asiatiche. Dopo aver accompagnato San France-

sco nella visita dei luoghi santi, tornò con lui in Italia nella primavera del 1221, ed essendo venuto a mancare Pietro Caetani, fu designato in suo luogo vicario e tale rimase fino al 1227. Alla morte del Santo, si dedicò con tutta la sua energia ed attività ad erigere la duplice chiesa d’Assisi, che condusse avanti sin verso il 1239, quando come ribelle fu scomunicato. Egli, che in precedenza era stato inviato da Gregorio Ix presso Federico m per cercare un

accomodamento, essendone divenuto amico, in quell'ora di turbamento si rifugiò da lui; finché, ritiratosi a Cortona,

eresse ancora

una chiesa a

San Francesco e l'annesso piccolo convento,

ove morì nel 1253, pacificato con la Chiesa. La

Pico Cellini

32

10-11. Roma, Giardino della Villa Borghese. Leone per fontana.

Ricordi normanni e

Pico Cellini

34

sua attività religiosa, politica, letteraria ed alchimistica è stata oggetto delle più varie c curiose indagini: non così l’attività artistica, della quale pure il biografo fra’ Mariano da Firenze aveva raccolto e chiaramente tramandato l'importanza: «Helias de Cortona, frater Minor, in ipsa arte (architecturae) famosus, mirabilem ecclesiam cum

conventu

S. Francisci

de

Assisio

et

de

Corthone extruxit, ac arces plurimas et fortilia

(fig. 6) sono rappresentate alcune fontane, che furono suggerite al pittore dalle poche e rare esistenti al suo tempo a Roma. Una di queste mostra per l'appunto la grande tazza di porfido

poggiata su colonnine, con le basi immerse in

una più ampia vasca quadrangolare di lastre marmoree, in cui guazzano e scherzano alcuni

amorini. Al contrario, sulla piazza di Santa Ma-

ria Maggiore sussiste proprio al posto indicato

Con la «damnatio memoriae» di Elia andava perduto il Crocifisso che egli aveva fatto dipin-

dal Rucellai, su una larga pedana quadrata, una più modesta fontana dalla vasca oblunga, così disegnata dal Maderno per far posto all'alta colonna con la statua della Vergine. Il vecchio, ma molto ben conservato e prezioso monolite di porfido, venne allora incamerato nei Palazzi apostolici; ma non fu dimenticato dai

sua effigie supplichevole; anche per il mosaico

fecero che dopo circa due secoli lo riebbero

per regnum Sicilie ab rogatu Frederici impera-

oris, postquam ei adhesit, cui familiaritate nimia, tam ex hac arte, quam ex sapientia sua, et familiaritate quam habuerat cum beato Francisco, erat coniunctus?

gere a Giunta Pisano nel 1236 con ai piedi la di San Giovanni in Laterano c'è ricordo di una

manomissione attribuita con spirito di parte a Bonifacio vu. Il Waddingo riferisce come, appena eletto, Bonifacio mandasse muratori a sgranare le tessere dei santi francescani dal catino lateranense; e non è azzardato pensare che proprio in quell'occasione venisse abrasa la scritta che accompagnava la figura del frate architetto Elia, che la nota mitezza d'animo di Nicola rv, di famiglia ghibellina e benevolo persino con Cecco d’Ascoli, aveva permesso che li si ponesse. Uscendo ora dalle congetture, dalle leggende e dagli atti di fede, in cui tuttavia può persistere il profumo della verità, vediamo come si possa far rivivere l'immagine originaria della fontana di Santa Maria Maggiore attraverso alcune sparse memorie. Fuggito da Firenze per la peste del 1450, Giovanni Rucellai se la spassò un mondo per-

correndo Roma a cavallo, a visitame i monumenti e a fruire ad un tempo nelle basiliche delle indulgenze del Giubileo. Amante di marmi rari, ne prese nota in un suo taccuino di

viaggio, dove, dopo la descrizione di quelli che si vedono nell'interno dalla basilica di Santa Maria Maggiore, aggiunge di aver veduto: «Item, fuori nella piazza dirimpetto alla porta di mezzo, uno vaso di porfido di un pezzo ritratto a modo di tazza in su colonnette, che il diametro può essere braccia 4 in 5-". In una delle sale di Paolo m in Palazzo Venezia, nel noto fregio ad affresco della fine del xv secolo

canonici di Santa Maria Maggiore, i quali tanto TURE CURIONATUS

ADTRIBUTO,

come

è scritto a

lettere di bronzo dorato nel coperchio che il Valadier vi fece sopra, quando il grande bacino fu riutilizzato come fonte battesimale della basilica (fig. 7). Che questo bacino di porfido sia proprio quello visto dal Rucellai non vi è dubbio perché le misure da lui date tornano, e la modanatura è esattamente quella della fontana finta in porfido su colonnine di marmo bianco nell’affresco di Palazzo Venezia. In una stampa riprodotta nella già citata opera del De Angelis, si vede l'insieme della colonna con al piede la fontana del Maderno completa dei suoi ornamenti (fig. 8): al calice centrale di tipica forma tardo-bizantina, che ancora rimane al posto e che a mio vedere è l'unica parte riutilizzata della vecchia fontana, erano stati messi a lato due draghi borghesiani che gettavano l'acqua, i quali nella loro funzione sostituirono, per ragione araldica, due leoni che io vado sostenendo da anni essere quelli da me ritrovati nel Giardino Borghese (figg. 10-15). E le seguenti ragioni mi sembrano probative: questi leoni furono evidentemente creati per gettar acqua, come si vede dalla conformazione della bocca e dal foro praticato sin dall'origine in essa; e a Roma, all'infuori che in questo complesso

can-

taro, da me idealmente ricostruito al centro del demolito quadriportico di Santa Maria Maggio-

re, non si rinviene per essi altra possibile collocazione. Siccome è poi provato che il vaso porfiretico fu spogliato proprio da Paolo v, quale

Ricordi normanni e fodericiani

14-15. Roma, Giardino della Villa Borghese. Leoni per fontana.

altra provenienza se non dalla fontana distrutta potrebbero avere i due leoni nel giardino del Cardinal nipote? Questi, avido incettatore di

marmi, non disdegnó insieme ai pezzi classici e

barocchi anche i paleocristiani, i medioevali e quelli della rinascenza, come appare a chi voglia distinguere nell'ancor confuso calderone della raccolta borghesiana. Ultimamente il Prof. Kaschnitz!!, a proposito di un supposto ritratto di Federico n, si è giovato di una delle fotografie dei leoni per stabilire un'identità di fattura tra i corposi bioccoli che

costituiscono la capigliatura della testa ora ritro-

vata a Lanuvio e la criniera ferina, non ram-

mentando o non condividendo la mia idea circa la possibile provenienza; egli afferma tout court che furono portati dal Laterano, senza indicare per altro da dove cavi la notizia. Credo di comprendere che l'abbia dedotta dal noto disegno di Marten van Heemskerck, dove ai lati

della porta della facciata minore di San Giovanni, di cui ho già ampiamente parlato, si scorgono due leoni fuori opera, che io invece, per trovarsi essi proprio ai lati degli stipiti della porta, sarei indotto a ritenere stilofori, di un protiro dismesso. D'altra parte la mia vecchia opinione che questi leoni provengano proprio dalla fontana di Santa Maria Maggiore s'è con-

solidata sempre più col tempo. Considerando e mettendo insieme i vari pezzi rinvenuti, ne è venuta fuori la ricostruzione di un monumento organico per stile e funzionalità, secondo uno schema compositivo diffuso nel meridione d'I-

talia. Rammento le due trascurate fontane di Ravello (fig. 9) e di Minori, importantissime per la collocazione degli animali che gettano acqua, posti in entrambi i casi nel bacino più ampio su basi isolate, ai lati dello stelo con il gioco d’acqua centrale, che in Ravello sgorga da una tazza simile a quella rimessa in opera a

36

Santa Maria Maggiore. In più, attraverso la descrizione del Rucellai e la coeva rappresentazione dell'afiresco, il motivo del bacino mediano, sostenuto da colonnine poggianti in una specie d'impluvio recintato viene a chiarire assai bene il mistero dell'archetipo della fonte perugina; perché è assolutamente certo che fra

Bevignate, quando architettò per la sua città la fonte di piazza, guardò a Roma come a Roma guardava quando, nel dare inizio alla fabbrica di Santa Maria d’Orvieto, assumeva l'impegno

che questa sarebbe riuscita AD INSTAR SANCTAE MARIAE MAJORIS DE URBE. ΑἹ momento di realizzare la fontana, per carenza di materiali di spoglio e difficoltà di trasporto, le grandi vasche della fonte perugina furono di necessità risolte poligonali, utilizzandosi le lastre antiche che la generosità di Carlo d'An-

giò aveva lasciato asportare dal Foro Romano.

Ma di questo e di altre cose dirò quando verrò a palesare in pieno quanto in molti anni di ricerche ho rinvenuto su fra” Bevignate; e allora spero di far ricredere del tutto l'illustre ufficiale relatrice delle arbitrarie recenti manomissioni della fonte perugina” NOTE * Edito in «Paragone., vi, 1956, 81, pp. 3-12; Tra Roma e Umbri. Studie ricerche di tora dell'arte, Roma 1996, p. 8. " Vedi: P. Tosca, Storia del’Are Italiana. II Medioevo, Tori no, 1927, 1,9. 1106. Circa la decorazione a rilievo, ritengo che la figurina superstite rappresenti la Chiesa, in rispondenza a una della cità di Roma già nel vano della pora Asinaria. Anche negli archi degli specchi inferiori campeggiavano figure erette pure a iievo, come si comprende dai fori dei perni che le sostenevano. ? Gesta Innocenti Tert, in A. Mai, Specilegium Romanum, νι, n. 6, par. 49. * D. REDIG DE CAMPOS, Relazione 1, La torre dugentesca, Rendiconti della Pontificia Accademia Romana d’Archeologia, xounSoc, nel triennio 1945-48, pp. 32-34 ‘5. Borrant, La tomba di Federico 1, Commentati, t, 1951, > 4, bp. 162-68. Per il vaso porfiretico sulla tomba del Cerchi prossima all'ingresso della basilica inferiore, τα le vare leggende sulla provenienza, penserei credibile quella che lo indica come il vaso posto nellatrio da frate Elia per raccogliere le offerte, e che fu rovesciato da fra’ Leone. * P. Cuna DI fra' Guglielmo e di Arnolfo (in questo volume pp. 2946.

Pico Cellini © G.Bustorn, Una descrizione della basilica di δ. Maria Maggione nel sec. x, in Atti del1 Congresso Nazionale di Studi Romani, (Roma 1933), Bologna 1935, n, pp. 5-11: «In absida vero Sancte Mariae est cathedra pontificali in medio sub vitrca, quae quinque sunt in absida. Haec absida nimis pulchra de musivo est effecta. Nam videtur a pluribus pisces ibi in foribus et bestie ‘cum avibus, inter chorum et altare» I} Cecchelli nel recente suo volume (I Mosaici della basilica di S. Maria Maggiore, Torino 1956) riassume le precedenti opinioni, dando a p. 325 (n. 71) la conclusione che la descrizione «è sempre anteriore a Nicola ἵν, perché l'abside di Nicola iv ha soltanto quattro finestre Questerrore deriva dall'avere il Biasioti datato troppo per tempo questa descrizione di Santa Maria Maggiore, che si trova aggiunta in un. libretto polemico sulla supremazia della Chiesa Lateranense, che può datarsi a mio avviso del tempo dInnocenzo un, essendo deScritte in esso le tombe dei papi che furono sepolti in Laterano fi no a Celestino u incluso. È chiaro che il motivo decorativo dei «pisces in floribus et bestie cum avibus- non ha senso in un cati no, ma è tipico per una volta anulare svolgentes nter chorum et altare. Essa poggiava da un lato sul muro perimetrale con le cinque finestre, e all'interno sulle quatro colonne di porfido sostenenti, come giustamente pensò il De Rossi, la calotta del catino, che in antico si raccordava all'arco trionfale di Sisto m. Quando, al tempo di Nicola v, il Torri fece il mosaico nel nuovo catino arretrato, chiuse con la scena della Dormitio Virginis la finestra centrale, ricalcando nella mandorla di luce, dietro la figura di Cristo che raccoglie l'animula, la sagoma della finestra ad arco acuto che allora venne colmata. * Narrazione del modo temuto in trasportare la Cappella Vecchia del Presepe intera, in D. Fontana, Della trasportatione delTobelisco vaticano, Libro 1, 1590, a cura di A. Carugo, Milano 1978, tw, u * P. Guavciaconi, Ancona e I'lalia contro Barbarossa, Ancoma 1927, pp. 33439. ? Fix MARIANO DA FIRENZE, Tractatus Provinciae Tusciae, foglio 68 A, in Biblioteca Blo bibliografica della Terra Santa, del p. Ὁ. GoLumOVIEH, 1.1, p. 116. ? G. Manoortn, II Giubileo dell'anno 1450 secondo una relazione di Giovanni Rucellai, «Archivio della Società Romana di Storia Patras rv, 1881, pp. 563-80. "i G. Kascuixrrz-Weisono, Bildnisse Friedrichs 1 von Hobenstaufen, Rom. Mit, 1953-54, Band 60-61, pp. 79. 1 11 disappunto dimostrato dal Prof. P. Toesca per la rimozione del fastigio dei grifi © leoni dalla fonte perugina (I Trecento, ct, p. 228, n. 29) fi da me condiviso, ribadito e spiegato con molti argomenti tangibili (Della Fontana Maggiore di Perugia, in questo volume pp. 107-12) ai quali la Nicco Fasola oppose solo un -no comment in una nota (La fontana di Arnolfo, Commenta1951, 2, p. 102, n.2). Avrei voluto insistere quando l'autrice incappava nei rigori del De Francovich, che mi tolse ogni iniziati va (G. DE Faancovich, Recensione del libro della Nicco Fasola, La Fontana di Perugia, Roma 1951, Commentar, n, 1952, 3, pp. 22630; G. Nicco Fasota, Ancora della Fontana di Perugia, «Commentar, 1, 1952, 4, pp. 309-12 G. De Fnaxcovic, La Fontana di Perugia, poma della discordia, «Commentari, iv, 1953, 1, pp. 6770.

ANTONIO GIULIANO

Motivi classici nella scultura e nella glittica di etä normanna e federiciana*

La troppo perentoria esaltazione staufica codificata dalla Mostra di Stoccarda del 1977 impone di cercare di stabilire punti fermi, almeno per quanto concerne la cronologia di alcuni monumenti, nel tentativo di affrontare con maggiore determinatezza il problema del classicismo nelle arti figurative in Italia centrale e meridionale nel xir e nella prima metà del xir secolo. Che la cultura normanna e poi quella federiciana siano, per quanto concerne le arti figurative, culture miste (occidentali — da definire ancora in tutte le componenti, bizantine e islamiche) è cosa acquisita da sempre. Il fenomeno,

legato a particolari consuetudini artigiane, non è solo occidentale: basti pensare alle miniature del codice

arabo

di Dioskourides

ad Istanbul

del 1229, certamente di mano bizantina. E gli esempi si potrebbero moltiplicare! Quando si parla di spunti classici è opportuno cercare di definire esattamente quali monumenti antichi sono stati fonte di imitazione e di

ispirazione per alcuni di età normanna e federiciana. Non si tratta infatti di monumenti generi-

ci: gli spunti sono tratti da monumenti molto precisi, che è bene cercare di individuare.

In età normanna fonte di ispirazione sono alcune sculture di Roma, in particolare quelle

1. Roma, San Pietro. Grotte Vaticane: sarcofago di Adriano ıv

Antonio Giuliano

2-5. Washington, Dumbarton Oaks. Teste maschili di porfido.

conservate avanti al Pantheon (leoni egiziani, sarcofago di porfido — poi utilizzato per la sepoltura di Clemente xn Corsini in San Giovanni nel 1740). Non si tratta di monumenti ufficiali, ma di monumenti minori che sono stati puntigliosamente copiati proprio a Roma. Questo

fenomeno ripropone il problema dell'attività di una parte degli scultori di età normanna: la figura stessa di quel Romanus filius Costantinus marmurarius che firma, ed è il solo, un capi tello del Chiostro di Monreale?. Da Roma venivano certamente (o da Ostia)

ufficialità di Roma: Adriano rv, morto ad Anagni nel 1159, è sepolto in un sarcofago di granito egiziano, di dimensioni eccezionali, in San Pietro (fig. 1). Questo documenta una adesio-

ne alla antichità non generica, ma che sa riproporre i modi stessi del mondo antico per le consuetudini funerarie dei più potenti. 1 sarcofagi di porfido della cattedrale di Palermo e di Monreale sono databili tra il 1145 e il 1194. Essi furono scolpiti riutilizzando enormi colonne di porfido quali potevano esistere solamente a Roma. La pietra è stata utilizzata per-

tutti quei sarcofagi romani che, sin da età ancora più antica, erano stati riutilizzati a: Genova,

ché possedeva un simbolismo di potenza preciso. Essi copiano l'esemplare antico che era

San Fruttuoso,

conservato

Pisa, Massa,

Firenze,

Farfa,

Fe-

rentillo, Spoleto, Osimo, Roma, Velletri, Gaeta,

Capua, Amalfi, Cava dei Tirreni, Salerno, Cosenza,

Messina,

Palermo,

Monreale,

Catania,

Cagliari (per ricordare solo i centri più notevoli). Monumenti di artigianato minore che erano

ambitissimi ovunque fiorisse un centro culturale più notevole, legati alla consuetudine funeraria: € anche per questo destinati a divenire spunto di innumerevoli suggestioni?. La consuetudine alla riappropriazione di sarcofagi antichi, nel xit sec., è caratteristica della

avanti al Pantheon.

Certamente

fu-

rono abbozzati, se non terminati, a Roma da maestranze specializzate che dovettero reinventare la tecnica di lavorazione di un materiale particolarmente ostico come il porfido: ad esal-

tazione di chi, con il consenso del Papa, era in grado di realizzare un’opera così impegnativa.

Τὰ loro cronologia occupa un cinquantennio: due di essi, ora 2 Palermo, erano a Cefalù, ordinati da Ruggiero n prima del 1145 e solo più tardi adoperati per Federico 1 e per suo padre

Enrico ἵν; uno, a Monreale, era stato eseguito

Motivi classici... età normanna e federiciana

39

per Guglielmo 1, prima del 1183; l'ultimo, a Pa-

lermo, destinato a Guglielmo u o a Tancredi, prima del 1194, e solo più tardi adoperato per Costanza”.

La eccezionalitä della esecuzione dei sarcofagi di porfido è testimoniata dal fatto che per la sepoltura di Ruggiero nt, dopo il 1154 si usarono solo lastre di porfido, così per quella di Margherita di Navarra, moglie di Guglielmo 1 a

Monreale, dopo il 1183.

I quattro sarcofagi imperiali di Palermo e di

Monreale copiano un preciso monumento anti-

co (il sarcofago che sarà poi di Papa Corsini); il classicismo di età normanna reinventa i modi stessi della tecnica di età classica; la esecuzione avviene probabilmente a Roma: questo basta sia per chiarire i rapporti tra la corte pontificia e quella di Palermo, sia per definire l'origine di alcuni spunti classici della corte palermitana. Ma

esistono a Palermo e a Monreale,

o me-

glio esistevano, monumenti non meno interessanti di quelli, eccezionalissimi, di porfido (figg. 2-5). Trascurando il problema del monumentale sarcofago strigilato con leoni a Monreale, certa mente antico, che qualcuno vuole adoperato come tomba di Guglielmo u e di Tancredi, altri

potrebbero dimostrare che in età normanna si copiavano anche sarcofagi di marmo: per personaggi della corte i quali non avevano raggiunto le massime cariche. Il transetto di Monreale ha subito un terribile incendio nel 1811, i sarcofagi soffrirono danni

notevolissimi, quello di Guglielmo 1 perse in quella occasione il baldacchino (pochi gli avanzi oggi conservati nel chiostro), quello di Guglielmo τ (fatto eseguire nel 1575 da Luigi de Torres, arcivescovo) fu danneggiato, quelli di Margherita di Navarra e di Ruggiero e di Enrico

fratelli di Guglielmo n furono lesionati e copiati abbastanza fedelmente attorno al 1846, per sostituire quelli danneggiati, ora scomparsi. Di questi ultimi due rimangono le copie, e, fortunatamente, una precisa descrizione di G.B. T: rallo, edita nel 1826. Il primo, di Enrico, morto a 13 anni nel 1172,

era strigilato: ai lati due leoni azzannavano due caval ; al centro, entro una mandorla, un busto di un personaggio femminile, un rotolo nella destra, la sinistra in atto di indicare due geni alati, seduti (figg. 6-7). Il secondo, di Ruggiero, morto a 9 anni nel

1161, era strigilato: al centro un'ancora; sui lati

4-5. Washington, Dumbarton Oaks. Teste di leone di porfido.

Antonio Giuliano

40

due gruppi di Amore e Psyche — reinterpretati dal copista ottocentesco (figg. 8-9) Probabilmente i sarcofagi furono sistemati nel transetto assieme a quello di Margherita,

per volere di Guglielmo n che intese onorare la madre ed i fratelli,

dopo il 1183.

Non è escluso che per la sepoltura dei due

principi siano stati usati due sarcofagi antichi, ma non è escluso neppure che, prendendo lo spunto da sarcofagi antichi, marmorari di età normanna abbiano creato due sarcofagi all'antica: tante sono le diversità, pur attraverso le copie ottocentesche, rispetto ad opere di età

romana.

In questo secondo caso, purtroppo non dimostrabile, i marmorari potrebbero aver ricrea-

to, con notevole impegno iconografico e formale, opere che dell'antico ripetevano i canoni più fedeli: operazione che richiedeva una capacità di interpretazione dell'antichità pari a quella già dimostrata nel realizzare i sarcofagi in porfido”. In contrasto con quello di età normanna il classicismo di età federiciana: almeno per quanto concerne la riutilizzazione dei sarcofagi. Lesemplare più notevole è il sarcofago us:

to, nella cattedrale di Palermo, come tomba di Costanza, moglie di Federico, morta a Catania

nel 1222. Esso è certamente antico, ma ha subi-

to sopratutto nelle teste dei protagonisti una rilavorazione molto intensa che ne trasforma completamente il carattere (figg. 10-12). Un gu-

sto puntiglioso di grafica avvicina ormai le teste ad opere di toreutica; rimpicciolite, esse si innestano su corpi ormai troppo grandi. Nella scena sono ricavate figure nuove: come uno struzzo che sembra estratto da un bestiario caro alla curiosità di Federico ir.

Queste osservazioni non avrebbero valore se fossero limitate al sarcofago di Palermo. Ma in un sarcofago di Messina ritorna la figura dello

struzzo e sopratutto la rilavorazione è condotta secondo i canoni di una grafica lineare ed insistente, che è all'opposto della maniera più classicistica e plastica, di età normanna (figg. 14-15). Anche l’età federiciana usa sarcofagi antichi,

ma

6-7. Monreale, Duomo. Sarcofago di Enrico; copia del 1846: particolare.

essa tende a

ritrasformarli secondo

i modi

scelta di precise iconografie venatorie:

non a

di un gusto grafico di superficie (che forse può essere di una sola fabbrica) ΤΙ contatto con l'antico si basa inoltre sulla

Motivi classici... età normanna e federiciana caso Federico vorrà per il figlio Enrico, morto

nel 1242 e sepolto nel duomo di Cosenza, un sarcofago caratterizzato da una scena di caccia: ad esaltazione della virtù del principe (fig. 13" Trarre da queste osservazioni considerazioni di indole generale è forse prematuro, ma quan-

to affermato serve a mettere in guardia contro considerazioni troppo affrettate che vorrebbero riportare alla sola età

federiciana la rinascita dei

modi classici. Già in età normanna

il mondo

classico rina-

sce: nella tecnica che permette di eseguire sarcofagi di porfido, forse anche sarcofagi di marmo. Porfidi e marmi non sono semplicemente

utilizzati, ma ricreati (certamente i primi, con

una assimilazione di modi tecnici e iconografi-

forse anche formali, che ha del prodigioso). E questo processo, per volere della corte di Palermo, avviene in Roma: educando a tal fine precise maestranze?

In età federiciana il processo è diverso. I

porfidi normanni sono riutilizzati ed usurpati. 1 sarcofagi antichi prediletti per la iconografia ci-

8-9. Monreale, Duomo. Sarcofago di Ruggiero; copia del 1846: particolare.

4

Antonio Giuliano

10. Palermo, Duomo. Sarcofago di Costanza, moglie di Federico n

negetica, rilavorati con una grafica insistente che è ben diversa dai modi classici. Forse il classicismo di età normanna sopravvive solo in pochissime opere (figg. 16-19) e renderà possibile la creazione d'immagini dello stesso imperatore, prima fra tutte la statua seduta della porta di Capua? (altri ritratti di lui presentano caratteri completamente diversi).

Quanto e stato affermato trova un riscontro

nella produzione di pietre dure di età normanna e federiciana.

Per quanto concerne l'età normanna, benché le fonti siano scarse, è possibile immaginare una produzione siciliana di vasi di pietra dura (non si dimentichi, d'altra parte, che la lavorazione dei sarcofagi di porfido richiede una spe-

10-12. Palermo, Duomo. Sarcofago di Costanza, moglie di Federico i: particolari.

Motivi classici... età normanna e federiciana

14. Messina, Museo. Sarcofago strigilato. cializzazione che avvicinava gli scultori ai glitti-

ci, piuttosto che a lavoranti il marmo).

Vasi siciliani erano inviati, sotto Ruggiero ri, a

Parigi; il confronto con la decorazione pavimentale di alcuni edifici, come S. Maria dell'Ammiragliato, permette di attribuire a scuola siciliana alcuni esemplari Diverso l'atteggiamento di Federico τι. Sappiamo che l'imperatore pagò a carissimo prez20 alcuni vasi in pietra dura: ma non è possibile stabilire se questi vasi provenivano da più

antichi proprietari in Europa o dal sacco di

Costantinopoli^ 1l problema dei vasi in pietra dura non può essere distinto da quello delle pietre incise e dei cammei.

Il tesoro imperiale, alla morte di Federico n, era ingentissimo, anche dopo le perdite subite dopo le disfatte dell'imperatore in Italia settentrionale: 15. Messina, Museo. Sarcofago strigilato: particolare.

43

44

16-17. Messina, Museo. Sfingi di età normanna.

Antonio Giuliano

Motivi classici... tà normanna e federiciana

Ri Z Lup

18-19. Mentana, già collezione Zeri. Sfingi da Messina

Antonio Giuliano

46

20. Basel, Historisches Museum. Cammeo dal reliquiario di David.

nel 1253 Corrado, figlio di Federico, offre, probabilmente come pegno per un prestito, centinaia di pietre, vasi, oggetti preziosi, ai genovesi"?

Un tesoro non si forma troppo rapidamente, per creare quello degli imperatori romani sono occorsi secoli interi, il processo di lavorazione delle pietre dure è estremamente lento. Federico si è giovato del sacco di Costantinopoli per acquistare, forse, una parte dello stesso tesoro imperiale; ma una parte di esso gli proveniva da eredità normanna.

Probabilmente la glittica aveva dato già in età normanna manifestazioni clamorose. Forse i normanni avevano invogliato qualche incisore, padrone della tecnica araba della incisione, a creare opere di stile classicheggiante. Una maniera come quella glittica non na-

sce improvvisamente, richiede lunga opero-

Per questo è opportuno enucleare dal gruppo delle gemme cosidette federiciane un gruppo: presenta una forma particolare, a mandorla, spesso i cammei hanno un busto di prospetto.

Nulla permette di attribuire queste gemme ad

età federiciana, probabilmente esse sono di età normanna!‘.

Molte delle gemme con figure di animali (fig. 20), ad esempio leoni, od altre, sono senza dubbio di età normanna e riprendono spunti islamici'*: si pensi al confronto con i sostegni del sarcofago di Ruggiero τι nel quale fu sepolto Federico m (che tanto conservano di spunti arabi). Con questo non si vuole, evidentemente, ne-

gare l'esistenza di una glittica federiciana, che deve però trovare i precedenti in quella nor-

Molti esemplari che a

manna. Non a caso uno dei primi ritratti di Federico n, Puer Apuliae, mostra pieno classici-

federiciani richiedono una maggiore meditazione. Non è possibile attribuire ad età federiciana tutti i cammei con aquile e leprotti

no riportare quei cammei che presentano com-

sità e preparazione.

Stoccarda sono stati esposti ed imposti come

che non siano classici, senza cadere nell'ap-

prossimazione!!.

smo e piena frontalità' Probabilmente all'età di Federico ı si debbo-

plesse scene narrative ed allegoriche, bibliche o pagane. Alcuni esemplari, inoltre, che presentano ritratti di pieno profilo: dell'imperatore o di

Motivi classici... età normanna e federiciana

personaggi della famiglia. Alcuni raggiungono un classicismo di maniera, specialmente quelli che copiano precise iconografie antiche; altri mostrano un gusto grafico delle superfici che li avvicina ad opere di toreutica (e che, come nelle sculture in marmo, mostra la reviviscenza di un gusto linearistico che si contrappone a quello plastico dei cammei più ufficiali. La glittica di età federiciana è intesa sopratutto a realizzare, giovandosi delle precedenti esperienze normanne, secondo uno stile classicistico di maniera, spesso sommerso in una grafia tutta di superficie, allegorie della vita di corte (comprensibili solo a chi di quella vita partecipava) ricche di simboli e attributi oggi quasi incomprensibili. Uno studio attento delle fonti federiciane permetterà, forse in futuro, di meglio comprendere le rappresentazioni di alcuni cammei: come quello con l'arca di Noè o quello con la fondazione di una città marinara” Giovandosi dei canoni classici faticosamente

47

tore, prendendo spunto da monumenti classici ancora visibili a Roma (come, ad esempio, l'Ara Pacis), con modi classici esclusivi della propria immagine, farà realizzare capolavori come un cammeo ora a Parigi?*. Opere che saranno spunto di ispirazione, in

interpretati e ripresi in età normanna, l'impera-

un secondo momento, per alcune sculture a tutto tondo (figg. 16-19). Una contrapposizione tra maniera classicistica © gusto grafico di superficie caratterizza l'età federiciana anche per quanto concerne la glittica. La stessa contrapposizione ritorna in alcune grandi sculture. A Capua al nitidissimo classicismo della figura imperiale e della personificazione della città, si contrappone il gusto più tipicamente toreutico dei busti dei dignitari. L'antico è solo della figura imperiale e delle personificazioni; un antico che porta alla estrema rarefazione la maniera classicistica normanna. Senza il classicismo normanno non sarebbe esistito quello federiciano: che porta alle ultime conseguenze le esperienze precedenti, sino alla dissoluzione.

21. Collezione privata. Cammeo di età normanna.

22. Collezione privata. Incisione di età normanna

48 NOTE * Edito in Federico 1 e l'arte del duecento italiano, 1, Galatina 1980, pp. 19-26. * R. Ἐππινοηλύεν, La peinture arabe, Genève 1962, p. 67 ss. Per quanto concerne il mondo occidentale si pensi alla eterogeποιὰ delle font di ispirazione del Vat. Pa, lat. 1071 (W.F. Vornach, Le miniature del cod. Vat. Pal lat. 1071, «De arte venandi cum avibus, in Rend. Pont. Acc, xv, 1939, p. 145 ss) in partico» lare le scene di giardino c quelle con animali (ad es: F. BotoὍν, 1pittori alla corte angioina di Napoli, 1266-1414, Roma 1969, figg. 29-32) che assimilano motivi di miniature istamiche. Purtroppo non è possibile riraserire più indietro alcune osservazioni per la perdita di gran parte dei codici normanni (H. BucnTAL, A School of Miniature Painting in Norman Sicily, in Late Classical and Mediaeval Studies in Honor of Albert Maibias Friend jr, Princeton 1955, p. 312 ss) e soprattuto arabi e persia ni in seguito all invasione mongola ? Sul problema è fondamentale: 1. Ὀκέκ, Tbe Dynastic Porpbyry Tombs of the Norman Period in Sicily, (Dumbarton Oaks Studies, v), Cambridge Mass. 1959. Si veda anche, ma con cautela: H. Wessrzes, Antike Imitationen in der ialientschen Plastib und Maerei des 13 Jabrbundert, in Kunst. Gesll. Berlin, Sitzungsbericht, 1953-54,p. 125. * Sul problema della rutlizzazione dei sarcofagi: 1. RAGUSA, The Reuse and Public Exhibition of Roman Sarcopbagi during the Middle Ages and the Early Renaissance, Diss, New York Univer-. ὧν 1951 * Sul sarcofago di Adriano iv: Sacrarum Vaticanae Basilicae Cryptarum Monumenta . a Philippo Lamentio Dionysio ..ilustata, Editio altera, Romae wpcociom, p. 124, v. xxvi. Sulla sua apertura, del novembre 1606: G. Grumatpi, Descrizione della Basica Antica di 5. Pietro in Vaticano, Cità del Vaticano 1972, p. zs. * Diii, op. cit. Ma si tenga presente anche lo straordinario e ancora troppo poco conosciuto esemplare nella basilica dei SS. Apostoli (C. Busiai-Vici, Un rirovamento eccezionale relativo all'antica basilica del SS. Apostoli in Roma, in Fede e Arte, vin, 1960, p. 70 55). * Memoria sopra i Reali Sepoleri del Duomo di Monreale di D. Guamarrısta Tanto, Palermo wcocioxa. Si veda anche: Deserizione del Real Tempio e Monasterio di Santa Maria Nuova di Morreale ..d Gio: Luigi Lello ..ristampata ...con le osservazioni sopra le fabriche, e Music della Chiesa ..opera del padre Don Michele Del Giudice... Palermo MDCCHI, p. 81 ss, tav. x D.D.B. Gravina, II Duomo di Monreale, Palermo 1859, p. 21. V. Tusa, 7 sarcofagi romani in Sicilia, (At dell Accademia di Scienze, Lett re e Artdi Palermo, Supplementon. 5), Palermo 1957,p. 90,n. 38, taw. uv, p. 9, n. 40, tav. V; p. 96, n. 41, tav. Lv: GI mito di Amore e Psyche ritorna molto frequentemente in sarcofagi antichi riutilizzati nel Medio Evo) ? Sarcofago di Costanza, a Palermo: F. Dane, I regali sapoleri del Duomo di Palermo, Napoli 1784, tav. L. TUSA op. cit, p. 129, n. 59, tav. riv; A. Vaccaro MeLucco, Sarcofagt romani di caccia al leone, (adi Miscellanei, 11), Roma 1966, p. 25, n. 17. Sarcofago di Messina, Tusa, op. it, p. 86, n. 36, tav. LL. Sarcolago di Cosenza: CA. Willesen-D. ODENTuAL, Calabria, Bari 1967,p. 20, tav. 7. * Sui rapport ta la Sicilia e Roma: J. Den, Das Papstum und die siditallenische Normannenstaaten: 1053-1212, Götingen 1969; Papstum und Normannen, Wien 1972; su problemi specifici

Antonio Giuliano.

P. Cinuna, Ricordi normanni e federiciani a Roma, in Paragone Arte, vi, 1956,n. 81, p. 3 ss; pp. 2536. * E. LanaLorz, Das Porträt Friedrichs 1 vom Brückentor in Capua, in Beiträge für Georg Swarzenski, Berlin 1951, p. 45 ss Si vedano le osservazioni di: BOLOGNA, op. cit, p. 21 ss. Il proble» ma della iconografia di Federico t rimane ancora incerto: certamente la testa ora nell'Istituto Archeologico Germanico, priva di corona, non rappresenta l'imperatore; potrebbe essere confronta. tà con alcune «este di giustizia», come quella detta di Filippo Tedici a Pistoia: Alinari 10225. Per quanto concerne l'interesse per l'antico di Federico n, esso sembra orientarsi verso opere in bronzo: aret di Siracusa, bronzo di Grottaferrata, Rimane ancora misterioso il rilievo murato in Castel del Monte, con più figure e un cavaliere. * Sulla fabbricazione di vasi in pietra dura in Silla, in età normanna: I tesoro di Lorenzo il Magnifico, n, 1 vasi, Firenze 1974, p. 59, 121 (D. Keikamp). Normanne potrebbero essere le teste di leone di cristallo ora al Mus. di Cluny: C.L. 615-6: da ulii mo E. Bırueruun, Eine Patene aus dem französichen Krónungsschatz, in Gymnasium, 79, 1972, p. 395 ss, tav. ouv, 12. ?! Sugli acquisti di vas in pietra dura da parte di Federico n si veda: E. Kavronowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, vu, Berlin 1927-31, passim; cfr, ad es, Hist. Dipl, p. 477 s ? ΒΗ. Βνκνε, Some Modiaeval Gems and relative Values, in Speculum, 10, 1935, p. 177 ss. "^ Sulla glitica di età normanna è fondamentale: J. Dies, Die Basler Löwenkamee und die südtalienische Gemmenschnitt des 12. und 13. Jabrbunderis. Ein Beitrag zur Geschichte der abendiandischen Protorenalssance, in Zeit. f. Sch. Arch. und o diH. Kunstgesch, 14, 1953, p. 129 ss. Divers è l'ateggiamento WesstzeL in numerosissimi studi (particolarmente notevoli: Porirai à l'antique. on Prencb Medieval Gems and Secls in Joum. Warburg Inst, xvi, 1953, p. 342 ss; «Staatskameen. im Mittelalter, in Jabrbuch der Berliner Museen, v, 1962, p. 42 ss) elencati in Beträge zur Kunst des Mittelalters. Festschrift für Hans Wentzel zum 60. Geburstag, Berlin 1975. Sostanzialmente affine: R. Kant SITZ, Kameen, in Die Zeit der Staufer-Katalog, Stungart 1977, 1, p. 674 ss, 1, Bg. 634ss " Caratteristico il cammeo di Baltimora: The Walters Art Gallery - Early Cbristian and ByzantineArt, an Exbibition beld at tbe Baltimore Museum of Art, April 25-June 22, Balimore 1947, p. 113, tav. 78, 5 3; Kanswtrz, cit, p. 677, n. 861, fig. 695. 1 Ad esempio il cammeo di Basilea: Dea, Basler Louenkamee e Porpbyry Tombs. Non si dimentichi che sulla fronte della corona ritrovata nella tomba di Costanza, moglie di Federico n, & una gemma con iscrizione culica: J. Den, Der Kaiserornat Friedrichs i, Bem 1952. CH. Wevrzxi, Die mitelalterichen Gemmen der Staatlichen Münzsammlung zu München, in Münch. Jabrb. d. Bild, Kunst, vin, 1957, p. 57 ss, Kat. n. 5 (cr. Inst. Neg, 7459). 7" Arca di Noè: II tesoro di Lorenzo il Magnifico, t, Le gemme, Firenze 1973, p. 64, n. 37, figg. 33-34 (A. Giuliano); Kansirrz, cit, p. 692, n. 865, fig. 639. Fondazione di una cità marinara: F Eit. Kus, Die Kameen im Kunstbistorischen Museum, Wien 1927, p. 151, n. 327, τὰν. 48; Kauissrrz, cit, p. 695, n. 888, fig. 661 ΒΒ. Wenrzei, Die vier Kameen im Aachener Domschatz und die französische Gemmenschnetdekunst des 13. Jabrbunderts in Zeitschriftf. Kunstuiss, vun, 1954, p. 1 ss, p. 18, fig. 47; Kante sz, ct, p. 680, n. 865,fig. 639.

LUIGINA QUARTINO

Un busto genovese di Federico 11* (con una nota tecnica di Pico Cellini)

Alcuni mesi fa sono stata incaricata di rintracciare nella documentazione genovese conserva-

ta negli archivi pubblici e privati eventuali atti o

notizie che potessero chiarire la presenza a Genova di una scultura che il prof. P. Cellini aveva scoperto e riferita all'arte federiciana. Rinvenuta nel 1940 tra le macerie della zona portuale della vecchia Genova (v. Il Secolo xm, 3 giugno 1978), fu acquistata dall’antiquario Costantino Nigro e identificata per Federico m dal Cellini. Sin qui inedita benché nota e apprezzata dalla Marcenaro e dal Volbach non se ne era tentata circa la provenienza una verifica nel campo documentario. Debbo l'ambito incarico al Prof. Antonio Giuliano già dell'Università di Genova al quale va il mio ringraziamento. La documentazione su Federico r edita fino ad oggi non si è arricchita dopo questa mia breve ricerca, iniziata pur nella consapevolezza delle difficoltà, dal momento che lo stato degli archivi genovesi è alquanto precario, quelli pubblici essendo in gran parte da sistemare (manca ancora un inventario completo), quelli privati essendo quasi sempre inaccessibili. Quello che brevemente qui si può ribadire è che gli Annali Genovesi registrano con molta genericità le vicende di Federico m mentre si dimostrano naturalmente più specifici e precisi allorché il potere imperiale interviene positivamente o negativamente sui commerci, sulla vita economica € politica genovese. Gli Annali riferiscono con puntualità il soggiorno a Genova nel 1212 del giovane re,

ospite del Comune presso la famiglia Doria — in questa occasione i genovesi ottengono grandi privilegi -; segnalano la delusione poi per la mancata visita di Federico nel 1220 (quando l’imperatore avrebbe dovuto riconfer-

mare le concessioni precedenti), durante il rientro dalla Germania e in viaggio verso Roma; riportano alcune lettere del sovrano alla città negli anni intorno al 1230 in cui il sovrano sollecita l'amicizia e l'aiuto dei genovesi ed infine, dopo un lungo periodo di silenzio, si soffermano con grande enfasi sulla partecipazione di 600 balestrieri genovesi alla presa di Vittoria, città fatta costruire dall'imperatore nei pressi di Parma. In questa sede si accenna anche ad una asportazione di materiale prezioso — o almeno ritenuto tale — ad opera di soldati e mercanti. Dopo la scomparsa di Federico τ rapporti tra Genova e la famiglia imperiale sono attestati solo da transazioni finanziarie, sancite da atti notarili, le quali collegano le famiglie nobili di Genova con gli eredi dell'imperatore. Nel 1253 si registra in un atto del notaio Bartolomeo de’ Fornari, conservato all'archivio di Genova, una transazione in base alla quale Corrado rv dava,

come garanzia, parte del tesoro imperiale per un prestito ottenuto”.

Successivamente, sono stata incaricata di interessarmi anche al reperto che andava rivelando spunti assai notevoli per molti aspetti. Nell'analisi del ritratto (figg. 1-9), alla ricerca

di un punto iniziale di lettura, ho potuto notare che il profilo destro presentava caratteristiche tali da aprire precise prospettive di ricerca, soprattutto in direzione di un tipo di ritrattistica ufficiale imperiale che presenta un ricco e continuo filone di tradizione? cui ha contribuito in misura notevole la predilezione per gli oggetti dell’arte cosidetta minore — predilezione testimoniata dall'ininterrotta attività collezionistica di pontefici e sovrani, che da un lato portò alla formazione di tesori e dall'altro alla program-

Luigina Quartino

50

1. Collezione privata. Busto di Federico ir.

matica riutilizzazione celebrativa degli stessi oggeui Evidenti sono le analogie tra questo profilo e i cammei con la rappresentazione di Augusto imperatore visto di profilo (figg. 17-19), rappresentazione divenuta canonica e consueta grazie anche

alla vasta

diffusione

della

stessa

icono-

grafia nelle monete”, attraverso le quali Augusto volle ribadire e propagandare il suo pro-

gramma politico altrimenti e Pacis La particolare pregnanza della rappresentazione di profilo diventa nel tempo così funzionale alla rappresentazione ufficiale da superare, già all'inizio del xir secolo, lo stretto ed esclusivo ambito imperiale e condizionare la produzione di tutta una serie di sigilli* fatti coniare da dignitari ecclesiastici e la

Un busto genovese di Federico it

2. Collezione privata.

Busto di Federico n.

Il profilo, in particolare il profilo laureato, supporto ormai indispensabile della rappresen: tazione

ufficiale,

è l'elemento

caratterizzante

anche della monetazione federiciar e soprat tutto degli augustali (figg. 5-16), in cui l'imperatore — δὲ modello di Augusto — riassume quel programma politico altrimenti riproposto in at i, privilegi e concessioni, dove egli stesso si prolama «augusto» e apportatore di pace?

1 raffronto tra i due profili, quello sull'augu

stale e quello del reperto genovese qui in esa

me, sembra confermare l'ipotesi di un analogo

progetto di immagine ufficiale e un analogo modello ispiratore, appunto l'Augusto così come si è rappresentato nelle monete e nei cam-

mei Al di là delle differenze determinate dal materi le e dalla tecnica di esecuzione, sono evi-

Luigina Quartino

denti alcune corrispondenze tipologiche ed iconografiche, vale a dire la rappresentazione a mezzo busto, il vestimento di impronta -tardo antica» (si vedano ad esempio la monetazione di questo particolare periodo ed anche alcune rappresentazioni ufficiali su mosaici ravennati)?, i tratti fisionomici e l'espressione del volto improntato ad un sentimento di imperturbabile aulicità che lo colloca in una sfera sovraterrena Ovvi i riscontri nella capigliatura ad onde larghe nella parte posteriore e più gonfie e mosse intorno al viso, la quale scende sul collo oltre la corona di lauro, costituita da foglie larghe e piatte Ulteriori paralleli si possono individuare per particolari del volto, che sebbene non sempre esattamente sovrapponibili, si corrispondono nelle proporzioni e nel risalto plastico più o meno accentuato. Un'analoga ricchezza di fonti e di programma ideologico e formale non sembra a prima vista disponibile per la visione di prospetto (fig. 1); nonostante un'iniziale impressione di classicità, attraverso un'analisi più puntuale sembra di poter individuare in questo prospetto uno spirito che proprio organicamente classico non e".

Tuttavia il risultato d'insieme ha una sua verosimile matrice classica che mi sembra di poter individuare in un tipo di ritrattistica di età augustea che ha testimonianze in una serie di ritratti quali, ad es., l’Augusto d'Arles, del Palaz-

zo dei Conservatori a Roma (fig. 22), del Museo

Nazionale di Napoli (da Fondi). Questa tipolo-

gia è un modello che lungamente prevalse nella ritrattistica antica e che si è perpetuato perfino nella ritrattistica di età moderna.

D'altronde la figura di Alessandro, giovane

principe colto e guerriero intrepido, cui più

volte Federico 1 venne paragonato persino in

fonti musulmane", diventa in questo periodo, nella letteratura europea e nelle arti, un preciso modello da imitare.

Di Alessandro si parla spesso nella letteratura tedesca come del progenitore dei Sassoni, come del premonitore delle nuove stirpi, antitipo del cavaliere e del principe, e cosi nell'epica

a. Busto di Federico r.

medioevale, Alessandro riunisce in sé l'ideale del sovrano medioevale colto e umano e del mitico guerriero".

55

Un busto genovese di Federico it

5-15. Napoli, Museo Nazionale. Augustali

16. München, Münzsammlung. Augustale.

Luigina Quartino

54

Ma insieme a questa immagine rievocatrice del principe colto ed umano, il nostro ritratto sembra essere l'incarnazione degli ideali cortesi e cavallereschi, esemplare della vità, giovane dio della poesia.

Ambedue le visioni, profilo e prospetto, sono

qui l'espressione dell'idea imperiale, ma mentre nel profilo tale idea ha connotazioni prevalen-

temente classiche, nel prospetto essa si manifesta storicamente quale epifania del sovrano medioevale, principe colto ma insieme poeta, cavaliere, compiuto modello di pacificatore e dispensatore di giustizia”. Così penso di aver individuato quella che pare essere l'ispirazione che sta alla base di questo particolare tipo di ritratto, ufficiale ed imperiale, che nell'intento di riallacciarsi iconograficamente a tutta una tradizione imperiale

17. Köln, Römisches-Germanisches Museum. Cammeo Malborough.

richiama, come l’imperatore stesso ebbe a dire, «gli antichi Cesari alla memoria, attraverso il modello della nostra persona:!. Federico n così rivendica il diritto alla successione dell'impero, evocando i precedenti imperatori quali suoi lares e come nella letteratura anche nella

ritrattistica, e comunque nella rappresentazione

ufficiale, il motivo genealogico assume un'importanza determinante, quale garanzia di continuitä e legittimità, quasi di consanguineitä, per cui nella vita dei padri è già prefigurata quella dei figli, l'età antica è preparazione alla modern: L'ecletismo classicistico che caratterizza questo ritratto ha quindi una sua ben precisa ragione storica ed è in perfetta sincronia con l'ideologia imperiale medioevale! e quindi con le varie manifestazioni artistico-culturali maggiormente sottoposte all'influenza del potere. Se la produzione di un'opera del genere è verosimile in questo periodo sul piano iconografico e ideologico, resta da vedere se una tale produzione è giustificabile su! piano formale. La trattazione della materia per conseguire

effetti di levigatezza, preziosità, passaggi chiaroscurali tenui e delicati, fa pensare ad un'esperienza artistica maturatasi attraverso la pratica su materiali preziosi, ad es. le pietre dure e in particolare l’avorio, la cui lavorazione a tutto tondo sembra cominciare a godere di una fase 18. Firenze, Museo degli Argenti. Cammeo con Augusto.

di emergenza in questo periodo‘. La tecnica rivela evidenti affinità soprattutto

quando si esaminano la fronte e le arcate so-

19. Aquisgrana, Te;

ticolare della Croce

di Lotario: Οἱ

Luigina Quartino

20-21. Napoli, Museo di San Martino. Incisione (e impronta) con ritratto di Federico r.

praccigliari, che presentano quel particolare turgore (che è simbolo di potenza, terribilità e partecipazione sovrana) dovuto, credo, alla mancanza, nella facies attuale, di quella integrazione pittorica diffusa certamente nella scultura in avorio e che probabilmente doveva essere applicata anche alla scultura in marmo. Tuttavia anche nella plastica monumentale, dati i frequenti rapporti tra questa e le arti minori, si riscontrano realizzazioni analoghe”. Richiamo l’attenzione sul confronto che si può instaurare tra il pezzo di Genova e alcune sculture di Reims, che oltretutto si rivelano as-

sai significative in questo contesto per quel loro

stretto rapporto con la scultura classica (per la Vergine della Visitazione si è citata addirittura una scultura ellenistica del 11 secolo, e non a caso una Venere) di cui sembrano essere una vera e propria traduzione medioevale". A Reims questo rapporto non si limita però

ad una ripresa formale, ma riesce a penetrare anche nel contenuto al punto che - ed è questo forse l'esempio più eclatante — la rappresentazione di Pietro principe degli apostoli

sottintende quale modello una rappresenta-

zione imperiale, vale a dire un ritratto di Antonino Pio!9.

Evidentemente, dunque, era già matura un'e-

sperienza artistico-culturale tale da permettere una realizzazione scultorea di questo genere in questo periodo.

Non solo al di là delle Alpi — e la portata

prerinascimentale di centri come Chartres e Reims è stata ormai riconosciuta — ma anche in

Italia — e significativamente nell'ambiente di Federico 11 — abbiamo realizzazioni figurative che riprendono per fini ufficiali e celebrativi modi di espressione di chiara ascendenza classica -in particolare mi richiamo al complesso architettonico-scultoreo che Federico fece programmaticamente realizzare nella porta di Capua. Tuttavia il patrimonio di forme e componenti

classiche utilizzato a Capua sembra program-

mato per una vigorosa ripresa della plasticità

antica, che nel busto di Genova sembra mancare in favore di una celebrazione imperiale improntata a effetti di preziosità quasi manieristica

e di aulicità letteraria Interessante può essere comunque un raffronto — iconografico e ideologico - tra il no-

Un busto genovese di Federico it

57

stro ritratto e quello che del ritratto di Federico 1 dalla porta di Capua ci è pervenuto, vale a dire il gesso Solari, il disegno del d'Agincourt e la gemma Raumer (si tenga però presente che la gemma riproduce la testa di questa statua solo di profilo)? (figg. 20-21). Per il complesso di Capua, che doveva dare concretezza figurativa e riassumere l'intero programma politico dell'imperatore nella zona di confine tra il territorio sottoposto al pontefice e il regno svevo, Federico scelse una sua immagine giovane corredandola di aspetti tradizionali, ad esempio l'abito imperiale usato dagli antichi imperatori, e di un diretto riferimento storico a

se stesso, vale a dire la corona medioevale. Non deve stupire che negli anni della matu-

rità Federico scegliesse una sua immagine gio-

vane, dal momento che il puer divino di ascendenza virgiliana era stato recuperato nella tradizione medioevale e applicato alla figura di questo imperatore nell'espressione Puer ApuHa" come appellativo di colui che avrebbe donato al mondo una nuova età dell'oro. Federico si voleva quindi rappresentato in un momento, l'adolescenza, che, anche secondo un tardo panegirico, aveva visto incarnarsi in lui, fanciullo, l''augusta natura dei Cesari". Anche la tipologia del viso, nota d'altronde attraverso alcune descrizioni letterarie,

cui storia è segnata sì da contatti con sovrani,

imperatori e pontefici, ma i cui tramiti e contro-

parti effettive non furono quasi mai dignitari pubblici, bensì esponenti dei grandi casati”. Se di donazione si può fare l'ipotesi, questa può essere stata destinata soltanto ad una qual che grande famiglia: non dimentichiamo che nel 1212 Federico 1 soggiornò presso i Doria e che alla sua corte visse quale poeta e funzionario militare un Percival Doria; inoltre, proprio

dagli annali, si apprende che le famiglie ghibelline in Genova — i cosiddetti mascherati — erano numerose e fedelissime all'imperatore (che nominò come ammiragli della flotta siciliana uno Spinola e un De Mari). Per questo si potrebbe pensare a un dono dell'imperatore ad una di queste famiglie. Non è da escludere, tuttavia, che il marmo in questione sia frutto di una qualche attività di saccheggio e spoglio. Non dimentichiamo che nell'assedio di Vittoria, città costruita sul modello ideale della Roma augustea — tanto è vero che ancora oggi

per

quanto ci permettono le testimonianze indirette a nostra disposizione, sembra manifestare certe analogie, soprattutto nella struttura d'insieme e nelle proporzioni delle singole parti Altri ritratti, oggi considerati ritratti certi dell’imperatore”, non sono stati qui presi in esame in quanto le analogie col nostro busto si limitano a particolari iconografici. In conclusione resta il problema della presenza di questo ritratto a Genova. Allo stato attuale della ricerca non si possono che fare solo delle considerazioni. Innanzitutto penso di poter escludere che si tratti di una produzione locale, vale a dire genovese, date le possibilità culturali e artistiche di Genova in quegli anni. Deve trattarsi, quindi, di un'opera eseguita altrove e solo in seguito pervenuta a Genova: la constatazione prospetta varie ipotesi. Nei

documenti

esaminati

non

v'è

notizia

di

una qualche circostanza illuminante circa una donazione ufficiale della Repubblica, cosa del resto abbastanza improbabile per Genova, la

22. Roma, Musei Capitolini. Ritratto di Augusto.

58

nella zona dove sorse Vittoria rimane il toponimo di Roma registrato anche nelle carte archeologiche — parteciparono 600 balestrieri genovesi, e che la città fu spogliata di tutto ciò che conteneva®. Qualche riserva per questa provenienza, dato l'aspetto giovane dell'imperatore, potrebbe nascere dal fatto che la città venne completata dopo una rapida costruzione nel 1247, quando Federico aveva già compiuto cinquantatre anni. D'altra parte a Vittoria per la quale Federico, seguendo il rituale antico, traccid persona mente il solco con l'aratro e ordinò addirittura la costruzione di ben 8 porte, non & improbabile che l'imperatore si facesse raffigurare secondo un piano già collaudato a Capua e scegliesse anche in questo caso una sua immagine giovane.

Con questo non si vuole proporre un’attribuzione del pezzo a questi anni, poiché l'impera-

tore avrebbe potuto reimpiegare qui un pezzo

scultoreo eseguito precedentemente. Cosi la scultura potrebbe essere arrivata a Genova per vie non propriamente legali e conservata quindi senza che divenisse motivo di orgogliosa esibizione (nella storia di Genova ricorrono, come è noto, anche altri casi del genere). NOTA TECNICA

TI busto misura cm 47x25 alla base e cm 44,05 in altezza. Si tratta di un ritratto eroicizzato di taglia poco più grande del vero. È stato cavato da un sol pezzo di marmo lunense o greco, comunque di spoglio, scelto con gran cura per la grana sottile e la tonalità tendente al cotognino. Dal punto di vista tecnico, per quest'opera, ci sembra più pertinente valerci del termine di «intaglio» più che di «scultura. Difatti la scultura si esegue, abitualmente, stando in piedi di fronte al blocco di marmo, che viene prima sbozzato per punti e successivamente rifinito sempre nella posizione verticale propria alla gravitazione del materiale. Il nostro busto invece fu intagliato sdraiato su un piano inclinato, ricercando e abbassando per gradi i piani come si procede negli avori, nei cammei e nel cavare gemme € coni. Le tracce poi di certi scalpelli e ferri, quali le «sgorbie» a unghia o a «V-, riscontrabili nei capelli e ai margini della scollatura o nelle scanalature delle pieghe oppure di certe striature di raschiatoio, sulle levigate superfici delle cari, persuadono a ricono-

Luigina Quartino

scervi piuttosto la faticata realizzazione di un lapicida medioevale. Pertanto l'opera va vista e considerata come di artista, sin qui anonimo, da supporre educato all'arte in una officina © cantiere, ove sembrerebbe che i lapicidi lavorassero in comunità € che «tout court, a seconda delle regioni ove operatono, vengono detti campionesi, comacini o marmorari romani, 0 semplicemente menzionati come «maestri alla taglia» o «maestri d'ascia e legname» come si legge nelle vecchie pergamene delle «loggie operis. Tuttavia pur nell'anonimato si nota che l'artista di questo busto marmoreo non si appagò certo di riprodurre in grande l'effigie di Federico tt, cosi come la conosciamo divulgata nei vari coni degli augustali: d'oro, ma avendolo studiato come familiare ne intagliò puntigliosamente un vivo ritratto. Ne rese la faccia glabra, l'occhio ceruleo e il biondo crine, celebrati dai contemporanei e ne delineò magistral mente la bocca, ferma e sottile, dimostrando in ciò la piena conoscenza degli stilemi ottoniani e staufici. E sempre in coerenza a un certo, direi impietoso, nordico amore del vero, egli non derogherà dal fedelmente riprodurre, seppure sotto il turgido volume capuano delle arcate sopraccigliari, l'allineamento un po’ sbilenco degli occhi che guastò non poco quel nobile volto da quando il destro era calato a causa di una paresi facciale. La storicità del fatto è riscontrabile nell'incisione del 1784 che ritrae l'a spetto della mummia dell'Imperatore. Il panneggio della clamide realizzato a piani sovrapposti, come a squame o ad embrici, torna puntuale nel busto acefalo di Bari e nella mutila statua di Federico a Capua, mentre l'impostazione del busto, con la spalla destra prominente, ha il suo riscontro nel modo di atteggiarsi in quello colossale di Acerenza. Singolare il nodo circolare della clamide, al sommo della spalla, in cui si intersecano ad «S- due elementi guttiformi simmetrici, di indubbio significato esoterico, poi ripreso dalla massoneria. Forse simboleggia la coesistenza unitaria di due elementi antitetici, bianco e nero, ovvero «Lux in tenebris.. Ciononostante οἱ to qualcuno che seriamente ci ha domandato s pera non potesse essere tardiva, addirittura del neoclassicismo napoleonico. Ebbene, tutti sanno, anche per esperienza recente, che l'idea ponderosa dell'Impero è stata ad ogni ritorno estrinsecata e propagandata con i segni accattivanti della «Pax Romana€ di qui sembra discendere il superficiale equivoco. Ma per gli storici dell’arte c'è classicismo e classici‘smo, 1 marmi neoclassici dell”800 assumono sotto il lavorio degli scalpelli e sovrattutto con l'abuso dei trapani, quella tipica fragilità di estremità e di detta gli, quella euritmica tornitura di forme, e quel nitore zuccherino di superfici ricercato con raspinature gentili e lisciature di pietra pomice. Tutte cose estra-

Un busto genovese di Federico it

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nee allo spirito e alla materia del busto federiciano da noi esaminato. Infine riferiamo che all'esame dei raggi ultravioleui a filtri incrociati, sul marmo si osservano zone di reattività giallognola concentrate nelle depressioni degli intagli, dovute a tracce di antica coloritura. Nelle parti emergenti si ha una diversa risposta con varietà di toni aranciati e grigiastri. Due macchie circolari di iridi si evidenziano nei campi convessi delle sclerotiche degli occhi e lasciano pensare che il busto, a lavoro ultimato, potesse avere assunto anche una parca rifinitura policroma fatta di lumeggiature d'oro su supporto di bolo d’Armenia e poco azzurro di lapislazzuli nella clamide, completamenti abituali per avori e marmi. Forse il busto poggiava in origine su di una predella di base. Nel retro, lasciato non finito e sommariamente tagliato a colpi di subbia, perché il busto potesse meglio aderire a una nicchia, si nota la residua grappa di ferro pressoché completamente limonitizzata, trattenuta nel cavo quadrangolare nel marmo delle spalle da un tassello di piombo notevolmente ossidato. L'ossidazione del piombo e la profonda trasformazione del ferro sono state favorite dall'umidità che per secoli si condensò nella parte bassa della nicchia parietale, dove il busto fu esposto stabilmente aggrappato. Di qui la diffusione e penetrazione nel retro della coloritura calda della limunite ferrica. Pico Cellini NOTE

τ Edito in Federico ie l'arte del duecento italiano, t, Galatina 1900, po. 289-259. A. 1201-212: Annales Januenses (Oger Panis Annales, in M. G. H. Scriptores, xvi, p. 11; a. 1220. Ann. Jan. (Marchisit Scribae Ann.) ibid, p. 145, a. 1231-32: Ann. Jan. Banbolomaet Scribae Ann), ibid, pp. 177-178, p. 180; a. 1248: Ann. Jan. (Barth. Scnbae Ann.) ibid, pp. 22425 ? Ce EH. Duns, Some Mediaenale Gens and Relatio Values in Speculum, x, 1935, pp. 1774187, in par. pp. 178-179. 2 1 profil, elemento carsterizzante già nell'antichità del personaggio politico eminente (come è stato ampliamente dimostrato dal LOrange), diventa col tempo prerogativa esclusiva dll'impetator: αἱ determina quindi come cemento indispensabile alla celebrazione di un personaggio, simbolo del personaggio stesso, emblema delle sue vinù (cfr. qui però noa 6). ^A. Giuuwo, La glia antica e le gemme di Lorenzo Magniico, in tesorodi Lorenzo l Magna, Frenze 1973, pp. 1932 e in pun. pp. 2526, cf. fra l'alro M. Ccisso De Azivtoo, Le opere dare nei botini di guerra, in Ordinamenti miltar in occidente nell'alto medioeno (Setimane di Studio del Cento alano di studi sullo medioevo, x), Spoleto 1967, 1, p. 1101 e ss; W. Oxxestore, Casal Inspiration in MediacvalAn, London 1959, in pa Ῥ ΤΊ è ss; WS. Hecrswn, Relics of Pagan Antiquity in Mediaeval Settings in Journalthe Warburg Institute, 193738, p. 204 e s

* Sull'uilizzazione di analoghi modelli da parte di incisori e coniatori già in età repubblicana: M1. VoLLENWEIDER, Die Porräigemmen der römischen Republik, Mainz 1972, (i) 1: p. 139 © 55. Per l'età augustea e imperiale G.M.A. Rıcırren, Engraved Gems of tbe Romans, London 1971. Cfr. in part. il conio della moneta nr. 474a con lintaglio 474, 475. Per la consuetudine assai diffusa di riprodurre una stessa iconografia su sigilli, rilievi marmorei, sculture etc, ID., op. cit, p. 5 e per i rapport tra gemme e monete, ID. op. οί, p. 7. Circa la diffusione di questa iconografia di Augusto sulle monete dell’epoca R. Conn, Déscription bistorique des monnais frappées sous l'empire romaine, Graz 1955, t 1, p. 66 nota 29; H. MarmNGIY, Coins of tbe Roman Empire in tbe British Museum, 1, London 1923, tav. 21, nr. hard, © Ἢ. Wevrzxi, Mitelalter und Antike im Spiegel keiner Kun stwerke des xi. Jabrbunderis, in Studier Tildgnade Henrik Cornell pà Sextiodrzdagen, Stockholm 1950. Per questo argomento resta fondamentale tuta l'opera del Wenzel e in part. Der Augustals Friedrichs n, in Zeitschrift far Kunstgeschichte, xv, 1952, p. 183 € ss; Portraits «ἃ l'antique. on French Mediaeval Gems and Seals, in Journal of tbe Warburg and Cortauld Institutes, xvi, 1953, pp. 342:350, dove lA. sottolinea come nella ripresa di quel gusto per l'antica maniera, caratteristica del xn e 301 secolo «nothing more antique could be chosen than the busts; AntibenImitationen des xt und xn Jahrhunderts in Halien, in Zeitschrift Jar Kunstuissenschafl ix, 1955, p. 29 e s 7 Sull'argomento esiste una vasta bibliografia in gran parte in dicata in E. Kawroowicz, Federico n imperatore (Kaiser Friedrich der Zueito, München, 1923), Milano 1976, appendice: Gli augustalidi Federico n, pp. 705-711; cfr. inoltre la bibliografia sul l'argomento nel catalogo della mostra di Stoccarda, Die Zeit der Staufer(26 marzo giugno 1977), Katalog, rav, Stuttgart 1977, Band t, p. 671 e ss * JE. Börsen, Acta imperii selecta, (Innsbruck 1870) Aalen. 1967, pp. 233-277 (nn. 259-514); J.LA. Hunann-Baenous, Historia diplomatica Priederici 1, vol. 1-6, Paris 1852-1861, passim. dir. E. Kaxronowicz, op. it,in part. p. 329,p. 445e ss, p. 508 ? È per lo meno curioso constatare che proprio nel 1231, anno. in cui s accingeva ad emettere le prime coniazioni degli augustaJi, l'imperatore sostò a Ravenna alcuni mesi in attesa della diera; in questa occasione intraprese veri e propri scavi archeologici, che misero in luce la tomba di Galla Placidi con i relativi mostici e i sarcofagi di alabastro (Twow. Tusci, Gesta imperatorum et onificum, inM. G. H. Scriptores, xxn, pp. 511-512) Una particolare attenzione merita poi il nodo tipicamente medioevale che trattiene la clamide sulla spalla destra. I significato simbolico che la dottrina neoplatonica, di cui lo stesso imperatore era seguace, attribuisce al modus o vincolum in età medioevale, meriterebbe di essere approfondito; in realtà tale simbolismo & giù latente nella tarda antichità in sculture in porfido, quali ad es. le statue di imperatori tetrarchi (cfr. R. DeLbROCK, Antike Porphyrwerke, Berlin 1930, Taf 7, 18, 4) e il sarcofago di Alessandria ibid, Taf. 105). Il preciso rapporto segno-sinificato, oggi perduto, era certo presente nella coscienza medioevale e soprattutto nella cultura fridericiana. Una famosa stolla, Die Zeit der Staufer, op. cit, Bd. u, Kat. - Nr. 807b, Abb. 598, reca l'immagine di un personaggio seduto, abbigliato con un mantello vistosamente annodato sul davanti alla maniera dei dignitari imperiali raffigurati nel complesso di Capua. Questo personaggio regge nella mano sinistra un rotolo la cui scritta fuste iudica ne definisce la funzione di supremo giudice. Anche in una rappresentazio

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ne di Enrico n su un reliquiario dell'epoca, Die Zeit der Staufer, op. it, 1, Kat. - Nr. 575, Abb. 380, un simile nodo ritorna in una. programmata prospettiva ribaltata. La stessa rappresentazione del Cristo in croce es. ibi, Kat. - Nr. 729, Abb. 520 (Bd. 1) e passim. presenta spesso un simile nodo con un probabile significato eso? Cfr. R. Biancwi DanDINELLL, An «antique- Reworking of an Antique Head, in Journal of tbe Warburg and Cortauld Institutes, x, 1946, pp. 1-9. Anche nel nostro busto-riratto i dati di natura. sembrano risolversi in forme lineari e piate, quasi decorative, accentuando quel carattere «ibrido» di una organicità solo potenziale © non ancora risolta secondo vie proprie — a differenza della assoluta unicità caratrisica della are antic- (cfr ad es la nostra testarirato con Augusto di Arles, rprodoto alla ta. κι, figg. 1-2) ©! Biblioteca arabo sicula (vers. it), I, Torino-Roma 1880, Appendice p. 63; M. Anu, in Neues Arcbio der Gesellschaft fü ältere deutsche Geschicbiskunde, xxvn, 1876, p. 584. "E. KANTOROWCZ,op. Cit, in part p. 53; inoltre ass noti e. diffusi poemi come l'Alexanderliede il Rolandslid ripropongono Ja figura di Alessandro come ideale di sovrano e di eroe in tutta Ja cultura europea dell'epoca. Ὁ. Cfr inoltre quanto il SAUERLÄNDER ha osservato in numerose sculture duecentesche (Gothic Sculpture in France, London 1970, p. 53). Questo tratto doveva inoltre essere ben presente nella memoria dei contemporanei se Dante stesso, Cont. iv, 10, definisce l'imperatore doico e clerico grande». Cit. G. Kascirz-Weiveeno, Bildnisse Friedrichs 1 von Hobenstaufen, in Mitteilungen des Deutschen Arch. Instituts, Rom. Abt, 60/61, 1953-54, p. 13; E. Kanronowcz, op. cit, p. 456, pp. 510-13. 7E. Kavrorowicz,op. cit,p. 301 e ss, p. 330e ss 1 Per a ripresa della litica in questo periodo cir. A. GrttiANo, op. cit, p. 25, pp. 6465. Fondamentale poi tutt la produzione del Wewrz sull'argomento. Per l'vorioè quindi ancora inevitabile l'assimilazione alle pietre dure © una tecnica di lavorazione condizionata da quella della glitica. In effetti il recupero dellavorio « tutto tondo si avrà a partire dalla metà del secolo: e solo in questa fase si recupereranno le tecniche della scultura in pietra e in marmo. Non rari i rapporti che si possono stabilire tra opere scultorcc duecentesche e oggetti d'arte minore. Per faciliare il riscontro si rar un esempio proprio dal catalogo della mostra di Stoccarda (op. cit, Bd. 1): il cammeo con busto-itratto, Kat. - Nr. 861, Abb. 635 e il fr. di testa ritratto, Kat. - Ne. 847, Abb. 626. Si hr. inoltre il nostro riratto con la statuetta ebumea della Vergine con fanciullo del Museo di Cluny. Se per tale legame silistico e compositivo esiste ormai una nutrita serie di studi, per le analogie tecniche il problema pare sia ancora da affrontare: per il nostro pezzo e la sua «derivazione dagli oggent di arte minore si veda quindi qui la nota di P. Cellini 5 In base a quanto ho potuto osservare finora, mi pare che il «rapporto tra classicità e Medioevo sarebbe da affrontare con una sistematica revisione critica, sopratutto per ritratti e sculture atriuiti con riserve e perplessità all'età classica. In troppi casi la po-

Luigina Quartino ca canonicità classica del pezzo è atribuita ad un ambito provinciale o ad un esecutore inesperto o insensibile ai valori classici. Valga ad es. i cosiddetto ritratto di Agrippina Maggiore conservato nel Museo Nazionale di Antichità di Parma (C. SaueTm, Il ciclo statuario della Basilica di Vella, Milano 1968, tav. x, an. 1-2, tav. x, an. 1-2), che per composizione ed iconografia (ma solo un approfondito esame tecnico potrà confermare una qualsiasi ipotesi in merito) sembra collegarsi più al a Vergine di Reims che non alle Agrippine e Drusile dello stesso Museo. Come a Reims la Vergine della Visitazione e il San Pietro sono rispettivamente rielaborazioni medicevali di sculture classiche (Y. OAESHOTT, op. cit, p. 108, tav. 1992-5;E. PANoRSKY, Rinascimento e Rinascenze nell'arte occidentale, ed. i, Milano 1971, p. 82, figg. 35-36), così questa «Agrippina: di Parma potrebbe rappresentare non una va: rante di epoca classica, bensì un recupero medioevale di una Agrippina o di una Drusill. Cfr. più οὔτε nel testo e nota 19. ? Gi nel 1939 (Studies in Iconology, New York 1939) E. Panofsky ha osservato che nel Medioevo il ratto è il solo genere in cui l'eredità classica continua nei stemi» e nei «motivi, rivelando differenze semmai solo nell'esecuzione tecnica che non possiamo definire classica — nonostante l'impiego di svariati srumenti gi in uso dalla classicità, W. OAKESHOTT, op. cir, pp. 81:89 e passim) — e che tradisce un antico pensatoe realizzato con mente medioevale (ct. inoltre E. SAuERLANDER, op. cit, p. 53 e ss). ? Per la gemma Raumer si veda in questa sede la relazione di A. Giuliano, inoltre A. PranDı, Dipl Friderici Caesaris imago, in RIASA, 1953, n5. n, pp. 263-302, in part. p. 298, nota 16. ? E. Kavronowicz, op. cit, p. 70 con bibliografia sulfargo? E. Kavronowicz, op. cit, p. 49, pp. 69-71 5. Alcuni particolari del volto ci sono pervenuti attraverso ben note descrizioni. Sull'argomento cfr. G. KAscHNITZ-WeInBERG, Band 60-61 (1953-54), p. 19, nota 61;E. KanTOROWICZ, op. p. 69, p. 379, appendice 1, pp. 705-711 e in part. pagina 708. ἘΝ Citiamo gli unici studi monografici dedicati i ritrati scuo. rei dell'imperatore: A. PRANDI, Divi Priderici Caesaris imago, ap. cit, e G. RascunitzWelnBERG, cit, Bd. 60.61 (1953-54), Bd. 62 1959). 77 Hist. Patr. Mon: Liber jurium Reipublicae Genuensis, i, Torino 1854-57; Annales Januenses, in M. G. H. Scriptores, xvi, p. cit, pp. 1-356 ® Una sistematica esplorazione della zona e una puntuale let tura della foto aerea (ringrazio il prof. Giulio Schmied: per il materiale messo a mia disposizione) potrebbero portare a qualche interessante indizio. È facile tutavia, data la breve vita della citàaccampamento e la natura alluvionale del terreno, che la lettura del sito presenti non poche dificoltà. Sulla località e la fondaziome di Vittoria e sulla sua distruzione cfe. Annales Parmenses Maiores, in M. G. H. Scriptores xvm, p. 664 e ss, in part. p. 673. Sul sito di Vittoria cfr. Carmina triumpbalia de Victoria urbe eversa, tbid, p. 790 e ss. (e nota 1 con le fonti sulla fondazione della cità); RoLanD. PAT. Chronica, ibid, xx, p. 85, Ann. Januenses, ibid, xvit, pp. 224-25, Sale. Chronica, ibid, 300%, p. 196, pp. 203-4 e possim, J.A. HUILARD-BREHOLES, op. cit, vi p. 591, 594, pp. 596.97, e ancora E. Kaxronowicz, op. cit,p. 696.

ANTONIO GIULIANO

Il ritratto di Federico rr: gli elementi antichi*

Si afferma, generalmente, che i monumenti antichi siano stati, almeno in grandissima parte, poco visibili durante tutto il Medioevo e che il loro influsso sulle varie correnti dell'arte europea sia stato, comunque, poco rilevante. Malgrado singolari smentite questo pregiudizio vizia gran parte degli studi di storia dell'arte medievale e limita, drasticamente, la possibilità di comprendere le motivazioni, almeno quelle iconografiche, di gran parte delle opere di quel periodo.

In realtà alcuni notevolissimi monumenti dovettero essere ben noti durante tutto il Medioevo: a Roma probabilmente essi scomparvero (0 non furono più custoditi con interesse pari a quello del passato) proprio durante il momen-

1. Roma, Santa Maria in Trastevere. Lesena.

to avignonese del papato (e furono riscoperti, ma solo in parte, dall'Umanesimo). Essere visibili non significava solo esistere in quanto tali, possedere carisma in quanto antichi, ma anche e soprattutto condizionare, in particolare per quanto concerne l'ambito iconografico, le esperienze di numerose officine attive nella città. Questo condizionamento rimase sostanzialmente costante in epoche molto diverse, con risultati eterogenei per quanto riguarda il prodotto formale. Il fenomeno fu caratteristico della città di Roma, ma anche di ogni centro nel quale fossero visibili opere antiche: in Italia, naturalmente, ma anche in Francia ed in Germania (il problema della continuità classica nel mondo bizantino si presenta diverso: il

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Antonio Giuliano

2. Roma, Tempio di Antoninoe Faustina. Graffito su una colonna. 4. Napoli, Museo Nazionale. Cammeo con Ercole e il leone,

3. Roma, Museo dei Conservatori. Scultura con Er- — 5. New York, Metropolitan Museum. Cammeo con cole e il leone. Ercole e il leone.

II ritratto di Federico 1

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6. Roma, Musei Capitolini. Cammeo tardo antico.

7. München, Schatzkammer der Residenz. Cammeo con Federico n: Puer Apuliae.

classicismo è in quel caso più costante, appartiene al patrimonio stilistico ancora più che a quello iconografico). Per fare solo un esempio: si afferma generalmente che l'Ara Pacis sarebbe stata riscoperta solo nel Cinquecento e che da allora le sculture di quel monumento avrebbero proposto canoni nuovi alla cultura iconografica e formale del tardo Rinascimento. Affer-

Nelle chiese innumerevoli membrature architet-

reliquie più preziose erano contenute in sarcofagi antichi e in vasche di materiale pregiato. Nei tesori, gemme antiche — in particolare erano ricercati i cammei — tempestavano i reliquiari (226, ad esempio, quelle figurate — quasi tutte antiche — sullo scrigno dei Re Magi a Colonia esse riproponevano un patrimonio iconografico quanto mai vario e carico di significato religioso: le iconografie classiche erano state quasi sempre, infatti, reinterpretate come cristiane. Vasi in pietra dura, dittici di avorio, riproponevano costantemente il patrimonio formale classico. Alcuni monumenti antichi superstiti, tra sformati in abitazioni e in fortezze, restituivano anche al mondo laico il patrimonio della classicità (e alcune strade romane di più antica toponomastica prendono nome da sarcofagi con leoni usati come fontane o come motivi araldici). Sculture particolarmente imponenti erano un punto di riferimento costante in Laterano

toniche erano state riutilizzate (e si riutilizzava-

(Lupa Capitolina, Costantino bronzeo, Marco

mazione

invero azzardata

ove si consideri che

la decorazione vegetale dell'Ara ha condizionato alcune delle più notevoli sculture del Me-

dioevo romano, come due rilievi di S. Maria in Trastevere

(forse

dell'età

di Adriano

1, 772-

795), che certamente riprendono l'iconografia delle specchiature vegetali dei lati brevi del monumento (fig. 1) I monumenti antichi in particolare a Roma,

e

specialmente alcune sculture, dovevano essere numerosi e ben noti durante tutto il Medioevo.

no ogni volta che si presentasse l'occasione di

un rifacimento e di un restauro); i pavimenti erano fatti con pietre antiche; alcuni arredi ec-

clesiastici erano tratti da monumenti antichi; le

Aurelio a cavallo), in Campidoglio (Leone), in Vaticano (Pigna, colonne törtili). Fenomeno questo non esclusivamente romano: si pensi ad

Aquisgrana, alla Pigna e alla Lupa?.

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8-14. Londra, British Museum. Augustali.

Antonio Giuliano

15-16. Milano, Museo del Castello. Augustali.

1l ritratto di Federico it

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Se il condizionamento da tanti monumenti antichi rimane legato per lungo arco di tempo per lo più alla sfera iconografica, esso diviene sempre più prepotente e formativo a partire dal xn secolo. Tra il 1145 e il 1190 sono

ese-

guiti per i re normanni i sarcofagi di porfido di Palermo ad imitazione di quello che sarà poi di Clemente xir Corsini, le officine dei marmorari copiano o riecheggiano precise sculture antiche, la glittica produce innumerevoli capolavori in uno stile che vuole essere classico?. Il fenomeno si accentua e si diversifica nell’età di Federico n: coincide con la prima attività della bottega nella quale si formerà Nicola Pisano e l'avvio della scultura italiana (problema oggi riproposto dal confronto tra alcune sculture di Castel del Monte e quelle che sostengono il tamburo della cupola del Duomo di Siena) Si è parlato a lungo dell'interesse dell'imperatore per il mondo antico, per alcune sculture antiche in particolare di bronzo, della sua ricchissima collezione di pietre lavorate (nel 1253

Corrado 1v impegnava 547 intagli e 133 cammei

del tesoro imperiale) e di vasi, del riuso e della rilavorazione di alcuni sarcofagi antichi, del classicismo che condiziona l'iconografia di lui nella monetazione, nella glittica, nei ritratti a tutto tondo.

Guido Kaschnitz-Weinberg ha individuato nella serie, per altro estremamente controversa dei ritratti dell'imperatore, le fonti di ispirazione: e precisamente la corrente augustea (in particolare ripresa dalla glittica) e quella constantiniana, pur senza approfondire ulteriormente il problema. L'osservazione è acuta e conseguente: i motiaugustei, per altro caratteristici anche del

mondo costantiniano (del quale sono una delle componenti iconografiche e formali) sono quelli più evidenti. Un esame più spregiudicato di alcune opere di età fridericiana, in particolare di alcuni cammei, ci permette di stabilire con maggiore approssimazione quali fossero le sculture o i monumenti antichi che sono stati presi in esame dagli scultori. Chi esamini alcune gemme riconosciute come definitivamente fridericiane dal Kahsnitz riconosce attraverso di esse le iconografie di ben precise opere antiche. Le gemme sono siate eseguite dalle officine imperiali (officine che si spostavano al seguito di Federico durante i suoi viaggi) della Sicilia o dell'Italia meridionale secondo convenzioni già definite in età normanna, e dipendono da monumenti che esistevano in vari luoghi visitati dall'imperatore. Per portare solo qualche esempio (la ricerca merita di essere approfondita) possiamo affermare che il cammeo con Posei-

17. Rom: , Museo di Palazzo Venezia. Sigillo e impronta con Federico n in trono.

Antonio Giuliano

18. Roma, Biblioteca Vaticana. Disegno di Séroux d'Angincour del Federico i di Capua.

Il ritratto di Federico 1

67

don ed Athena, poi in mano di Lorenzo il Magnifico, fu una fonte di ispirazione primaria. Altrettanto può dirsi per quello con l'aquila ora a Vienna. La lupa bronzea di Aquisgrana fornì uno spunto iconografico più volte elaborato. Forse un gruppo in bronzo con Herakles e il leone, nel Foro Romano, del quale rimane un ricordo in un graffito su una delle colonne del tempio di Antonino e Faustina, ispirò alcune

delle gemme più notevoli” (figg. 2-5).

Ma per non cadere in constatazioni troppo

generiche è opportuno ricondurre il discorso ai ritratti ufficiali dell'imperatore che abbiano una precisa personalizzazione e possibilità di identificazione. Essi sono: un ritratto su un cammeo di Federico giovinetto (fig. 7), i ritratti quali

compaiono sugli augustali (figg. 8-16), un ritratto da Genova in una collezione privata a Roma, un ritratto su un cammeo ora a Parigi, il ritratto

dell'imperatore sulla porta di Capua (del quale rimane, per quanto conceme la testa, un calco, purtroppo ritoccato, ed una immagine in una gemma). 1 ritratti sulle monete (pur nella diversità dei coni che compaiono a partire dal 1231) e quello in collezione privata a Roma derivano sostanzialmente da una sola immagine. L'imperatore è rap-

presentato laureato, il tono d'insieme è classicistico, le analogie con l'iconografia di Augusto precise. Il modello dal quale dipendono le immagini è uno soltanto: il cammeo con Augusto inserito

nella Croce di Lotario ad Aquisgrana (p. 55, fig. 19), cammeo che doveva essere ben conosciuto al quale, in quanto carico di carisma taumaturgico, si ispireranno anche gli incisori dei coni. Ampliando il modulo del cammeo si giunge al ritratto da Genova (pp. 50-52, figg, 1-4) che, non a caso, predilige la veduta di profilo e che, per gli incongrui del volume, per la policromia che do-

veva arricchirlo, deriva dall'amplificazione monumentale proprio di un'opera di glittica. Per quanto conceme la datazione sembrerebbe di dover proporre quella più ovvia: l'occasione della incoronazione del 1215 che si ebbe proprio ad Aquisgrana. Probabilmente il busto fu replicato più volte c uno di essi inviato a Genova, allora in ottimi rapporti con l'imperatore. L'immagine sarebbe quella di Federico ventenne. Un ritratto di Federico, questa volta su cammeo, rappresenta un profilo velato, sul capo una corona di quercia. Generalmente si stenta

19. Parigi, Louvre. Cammeo con Federico 1 velato e coronato di quercia.

ad attribuire il cammeo all'arte fridericiana: esso era inserito nella croce della Sainte-Chapelle de Bourges voluta da Jean de Berry, alla quale si lavorava ancora nel 1416 (fig. 19). Per quanto concerne l'origine iconografica essa deriva ancora una volta da cammei di Augusto, come uno ora a Firenze (p. 54, fig. 18) (ma anche da una visione diretta dei rilievi con la processione imperiale dell'Ara Pacis). Si potrebbe proporre che il cammeo rappresenti Federico 11 quale poteva essere rappresentato sul basamento sul quale era posto il carroccio,

dedicato, dopo il

trionfo, sul Campidoglio, nel 1237. Di una figura di Federico non abbiamo ricordo, essa dové

essere ben presto distrutta per damnatio memoriae. Ma il ricordo rimane probabilmente

proprio nel cammeo di Parigi; l'imperatore, quarantatreenne, si assimila alla benevolenza, voluta dall'occasione, dei protagonisti dell'Ara

Antonio Giuliano

Pacis: solo la carica è indicata dalla corona di quercia?.

Più complesso il problema dell'ultimo ritratto, e il più ufficiale: quello della porta di Capua"? databile attorno al 1240. Per quanto concerne l'impianto iconografico della figura imperiale, frontale, esso richiama quello, collaudato, dei cammei e dei sigilli databili dopo il 1220 (fig. 17)».

1I problema della porta di Capua complesso: coincide infatti con quello dell'inizio della

grande scultura in Italia. Le suggestioni dell'ar-

20. Firenze, Uffizi. Francesco di Giorgio: disegno della Porta di Capua.

chitettura e delle sculture della porta dipendono da spunti architettonici romani nei quali si inseriscono motivi decorativi arabi, motivi statuari da opere di grandi dimensioni, da figure di piccolo formato (forse creazioni di glittica od oreficeria, ampliate nel modulo). Si tratta di motivi eclettici che tendono tutti ad una monumentalità inconsueta. L'impianto di tutte le figure, i dettagli del costume, sono di sicura ispirazione classica. Lo spunto della figura imperiale può essere stato ripreso da una scultura che doveva essere ben nota nella Roma medievale e che, privata dei completamenti forse di bronzo dorato, doveva giacere nell'abside settentrionale della basilica costantiniana: il Costantino ora nel cortile del Palazzo dei Conservatori (fig. 22)". L'ipotesi è collaudata da un esame del profilo dell'imperatore, così come è confermata non tanto dal calco, profondamente elaborato, della testa, quanto dal profilo di una incisione Nel ritratto doveva essere caratteristica quella fissità, quella immobilità simbolo di potenza, che è specifica del ritratto di Costantino (fig. 23) (e Costantino fu il primo nome di Federico). Purtroppo la statua di Costantino dei Conservatori è stata poco studiata: l'unica, non troppo felice ricostruzione grafica del colosso, ricostruzione d'insieme, non permette di recepire tutti i dettagli della composizione. Ma il confronto tra il profilo e quello della gemma convalida quella che può considerarsi una ipotesi almeno plausibile. Il ritratto rappresenterebbe

Federico quarantaseienne.

Dal ritratto di

Capua dové derivare gran parte della iconogra-

21. Capua, Museo Campano. Rilievo, forse da un monumento funerario, con una porta di città.

fia dei potenti: come può dimostrare quella delfa statua di Carlo d'Angiò che Amolfo volle per il tribunal sul Campidoglio"? Quanto poi l'architettura della porta di Ca-

pua, a giudicare soprattutto da un disegno di

Il ritratto di Federico u

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22. Roma, Palazzo dei Conservatori. Colosso diCi stantino.

23. Roma, Museo dei Conservatori. Ritratto colossale di Costantino di bronzo.

Francesco di Giorgio, debba alla decorazione su più ordini dell'abside costantiniana della basilica di Roma, ἃ fatto ancora da definire (figg. 20-21). La carica simbolica che la porta proponeva deve essersi ispirata alla elaborata decorazione, su più ordini, della basilica romana.

EG. Guımwr, Der Aachener Domschatz, "Aachener Kunst 42 1972) p. 7, n. 1 (lupa); p. 7, n. 2 (pigna); p. 8, n. 5 Proserpina); p. 24, n. 22 (croce di Lotarioe cam. meo di Augusto: cfr. H. Wewrzei, Alte und altertümlicbe Kun stuerbe der kaiserin Theopbano (972 d.C], «Pantheon, xxx (1972), p. 3 ss). Sullargomento è ora, fondamentale: Ch. Bru: Tt, Statua. Die Entstebung der nachantiben Statue und der eu ropdische Individualismus, München 1982, p. 61 ss. Il cammeo con aquila, ora a Vienna (dr. nota 7) potrebbe aver decorato fambone di Enrico n, edificato tr il 1002 e il 1014 (p. 38, n. 27; cfe Warzen, cit). 5 Su tuto i problema rimangono fondamentali i contributi di. κέν. in particolare: The Dynastic Porphyry Tombs of tbe Norman Periodin Sici (Dumbarton Oaks Studies, v), Cambridge Mass. 1959. Si veda pure A. Giussano, Mori classici nella sculturae nella litica di età normanna e federiciana, in Federico ne late del duecento italiano 1, Galatina 1980, p. 19 ss; in questa sede pp. 37-18 "Trai contributi più recent s cia solo: P.C. CLAUSSEN, Scullura romana al tempo di Federico 1, in Federico n e l'arte, cit, p. 325 τα Sulle sculture di Siena: A. BacNou, Novità su Nicola Pisamo sculture nel Duomo di Siena, Prospettiva», 27 (1981), p. 27 s * Sulle collezioni di pietre dure e di vasi di Federico n: R. Kanswrrz, Kameen, in Die Zeit der Staufer, 1, Stutgart 1977; p. 674 ss (ch. v, 1979, p. 477 ss). Non si dimentichino alcune osservazioni di E. Nav, Meisterwerke staufiscber Ghprik, Schweize. schen Numismatischen Rundschau. xv (1966), p. 145 ss; così

Nore * Edito in Xenia, 5, 1983, pp. 63-70. F. Hero, L'arte in Roma dal secolo vir al xv, Bologna 1945, p. 130s, tav. xuva, 2 (cr. F. Mazzanm, La scultura omamentale romana nei bassi tempi, «Archivio Storico dell'Arte s. n (1890), p. 52). Sul problema si veda: H.P. L'Onaas, Ara Pacis Augustae. La zona floreale in Likeness and Ikon, Odense 19 263 ss. Sullinflnenza dell'Ara Pacis nel secolo xv, da ultimo: M. Vicxens, Mantegna and tbe Ara Pacis, The J. Paul Getty Museum Journal, t (1975), p. 109 ss. Sui monumenti antichi riutilizzati nelle chiese di Roma ci si deve rifare sempre a: G. MARANGONI Delle cose gentilesche e profane trasportate ad uso e ornamento delle chiese, Roma 174 . Sui reimpieghi medievali può essere di orientamento: F. GANDOLFO, Reimpiego di sculture nei troni papali del xt secolo, RPAA, xai (1974-75), p. 203 55,

70 come, evidentemente, tut i contributi di H. Wenrzz1. Vedi anche: Giuuano, art cit, p. 24, note 11-12. Rimane fontamentale EH. Bue, Some Medioeval Gems and relative Value, Specuume, x, (1935), p. 177 ss. * G. Koscurrz-Wemsoeno, Bildnise Kaiser Friedrichs i. von Hobenstaufen, MDAL QU, vx-axt (1953-50,p. 1 ss. e 1x1 (1955), D. 1 ss. Sui ritratti dell'imperatore non si dimentichi 1. DOWG, &itratti dell'imperatore Federico 1, Rivista d'Arte, xxx (1955), pp. 65 ss, 167 ss. δὲ veda pure CA. Witususex, Die Bildnisse der Staufer. Versuch einer Bestandaufnahme, Göppingen. 1977 (icchissimo repertorio iconografico: fig. 45 ss). ? Cammeo coi Poseidon e Athena (A. GiutiANo, in 11 tesoro di Lorenzo il Magnifico, t, Le Gemme, Firenze 1973, p. 42, n. 6, v. TO = KaMSNITZ, op. it, n. 886 ss; cammeo con aquila (F. Bichuen-E. Kus, Die Kameen im Kunstbistorischen Museum, Wien 1927, p. 48, n 4, tav. 2) = Kansunz, op. cit,n. 870 ss. (ma si veda sempre H. Wexrzat, Die Kaiser-Kamee am Gemmenkreuz in Brescia, MDAI (8), 11 (1955), p. 53 ss e tav. 26, 3: aquila a SS. Apostoli dal grande fregio di Traiano?) lupa di Aquisgrana (cr. nota 2) = Kartsurrz. op. cit,n. 868 s Herakles c ἢ leone, gruppo nel Foro Romano? (F. Casracnou, Foro Romano, Milano 1957, fig. 54, Inst. Neg: 56.1505-1506) Kasswrrz, op. cit, n. 891 s. cfrD. Musruu. 11 Museo Mussolini, Roma 1939, p. 162, n. 2, av. av 393). "Sul cammeo con il -Puer Apulize»: H. Wewrzet Die Mittelaltrlichen Gemmen der Staatliche Münzsammlung zu Mün(eben, ‚Münch. Jahrbuchd. bild. Kunst,vm (1975),p. 37 ss, Kat, n. 5: Giuuano. art. ct,p. 25, fig. 17: esso va confrontato con un esemplare antico: G.MA. Rıcırın, Engraved Gems of the Romans, London 1971. p. 123, n. 603, Sul busto da Genova: L. QuarmNo, Un busto genovese di Federico n, in Federico 1 e Far, cit, p. 289 55; in questa sede pp. 49.60. Sul cammeo di Parigi: Giuuano, art. cit,p. 26, ig, 20 e da ultimo: D. AscourrE, in Les Fastesdu Gotbigue. Le sce de Charles v, Paris 1981, p. 204 ss p. 212, n. 9 nella croce era inserito anche il cammeo, certamente frdericiano, con incoronazione: p. 210, n. 1 = Kanshrrz, op. cit, n. 865. Sul ritratto di Capua (e la gemma von Raumer) rimane fondamentale E. Laxciorz, Das Porirdt Friedrichs t. vom Brückentor in Capua, in Beiträge für Georg Suarzenski, Berlin 1951, p. 45 s ? E. Zwienuin Dient, Der Divus-Augustus-Kameo in Köln, Kölner Jahrbuch für Vor-und Frühgeschichte, xvin (1980),p. 12 ss. con bibliografía precedente, tav. 8, 49 (cammeo della croce di Lotario), tavv. 10, 57 (cammeo di Firenze). Ma si veda sempre, ML Vouuenwiupen, Die Steinschneidekunst und tbre Künstler in ‚Spätrepublikanischer und augustelscher Zeit, Badeó Baden 1956, P-68, tavv. 74, 2 (cammeo della croce di Lotario); p. 65, tav. 69, 7

Antonio Giuliano (cammeo di Firenze). Sulla ripresa iconografica dall’Ara Pacis, ir: G. Monern, Ara Pacis Augustae, Roma 1948, tav. A. Sul significato che alle corone si dava nel Medioevo, vedi anche R. Vaἀντι. Zuccutern, Codice Topografico della citt di Roma, κι, Roma 1946, p. 98 s «Grapbia Aureae Urbis 48. . Quarta est quer cea, de qua Romulus coronabatur; quia sicut quercus glandes ginit, unde homines primum vixerunt, ita imperator omnium ho"minum curam ac si florum suorum agere debet, et ab id pater patriae appellatur. Quinta corona est laurea, de qua senatores cum laudibus victorom imperatorum capita coronant; quae nunquam deponi viridiatem; de qua semper imperatores coronaban? CA. Winuemsex, Kaiser Fredrichs 1. Triumphtor in Capua, Wiesbaden 1953 (ma si veda sempre P. Tossca, L'architettura della Porta di Capua, in Mélanges Bertaua, Paris 1924, p. 292 ss). Ora: G. Scagua, La «Porta delle torri di Federico it a Capua in un disegno di Francesco di Giorgio, «Napoli Nobilissima», xx. (1980), p. 203 ss. Rimane aperto il problema delle maestranze fri dericiane: non è improbabile che squadre addestrate a completare la struttura edilizia e quella decorativa dei monumenti più uff cali fossero spostate di sito in sto per articolare le vari fasi delle costruzioni (ad esempio, le squadre di muratori e scalpellini che nel 1239 avevano finito i lavori a Capua furono inviate a Castel del Monte, seguite da quelle degli scultori quando esse ebbero terminato i lavori a Capua stessa), Sul ciclo di sculture valgono le osservazioni di F. BOLOGNA, 1 pitori della corte angloina di Napoli, 1266-1414, Roma 1969, p. 21 ss "Sui cammei: Kattssrrz, op. cit, nn. 860, 863. Sui sigilli un'ultima ricca documentazione è in Winueusen, Bildnise, cit. Un esemplare particolarmente notevole, databile dopo il 1228, è a Roma, Palazzo Venezia, Coll. Corvisieri Tal. n. 499 (inv. n. 9529/499) Ὁ Sulla riscoperta della scultura nel 1486: T. Buppexsusc, Die Kostaniinsbasilika in einer Zeichnung Francescosdi Giorgio und der Marmorkoloss Kostantins des Grossen, Münch. Jahrb. d. bild Kunst, xit (1962), p. 37 55. Sui frammenti conservati: Hato, 1, p. 252, n. 1441. L'unico tentativo di ricostruzione della statua (un frammento, caduto dall'abside della basilica, è nel sottostante Clivus ad Carina) è quello di A. Minornio, A Restoration of tbe Basilica of Constantine, PBSR, xi (1932), p. 1 ss, e tav. xt L'iconografia della statua doveva suggerire un motivo che sarà fondamentale in tutto il Medioevo: P.C. CLaussen, Kin freies Knie. Zum Nachleben eines antikes Majestas-Moties, Vallkal-Richanz-Jabrbuche, χαραῖς (1977), p. 11 ss. ? P. Cum, L'opera di Arnolfo all'Aracoeli, BA, xiva (1962), p. 180 ss, figg. 5 e 17 Gicostruzione del Tribuna.

PICO CELLINI

Presenze federiciane*

Chi è portato a studiare per proprio diletto e gusto, senza cioè scadenze di tempo e tanto meno col pensiero di costituirsi un titolo che poi gli giovi nell'esistenziale necessità del proprio sostentamento - dato che usufruisce già di altro lavoro remunerativo — può venire a trovarsi, come me, restauratore d'opere d'arte, in posizione particolarmente privilegiata: a continuo contatto con le più svariate estrinsecazioni

artistiche e nella possibilità di vedere in profondità attraverso i danni del tempo e l'usura, ciò che altri non tecnici, per mancanza d'esercizio, non riescono a considerare. Osservando senza fretta e in letizia avviene anche che ci si trovi a ragionarne con studiosi amici e ad esseme a volte, come in questa occasione, esor-

tati a darne notizia. Quando era vivo Roberto Longhi, era lui, com'è noto, a spronarmi: ed è appunto per assecondare lui, che generosamente mi offriva la sua ospitalità in «Paragone» e in «Proporzioni», che io ho scritto su vari argomenti soprattutto medievali che tuttavia, benché avessi proposto e sollecitato, per amore di sapere, l'interessamento degli specialisti, attendono ancora il necessario approfondimento per una loro definitiva acquisizione! Ora

è la volta

di Antonio

Giuliano,

che

rin-

nova con pari liberalità in questa rivista generosa ospitalità alle mie curiose indagini tecnicoartistiche. Dopo i Ricordi normanni e federiciani in Roma, nei miei appunti e schedule, si sono accumulate varie sporadiche noterelle su frammenti di monumenti dilacerati dal divenire e dal rinnovarsi incessante della vita Il primo marmo erratico di cui intendo dare notizia in questa sede è la scultura (37x80 cm) di una frammentaria giovenca, trattenuta per la

cavezza da un villico caduto a terra per l'irruenza dell'animale (figg. 1-2). II marmo, già ritenuto classico, fu da me riconosciuto per medievale tra i marmi accatastati alla rinfusa nel chiostro dell'Abbazia di Grottaferrata e da me segnalato ed illustrato sul luogo (il 17 febbraio 1968)? al Soprintendente di allora Guglielmo

Matthiae, per una conveniente collocazione nel

museo, in via di realizzazione. Ora il marmo è al coperto, ricoverato nel Lapidario, ma a quel che è dato riscontrare nella ricca bibliografia federiciana di questi ultimi tempi, non ha avuto quella illustrazione che meritava ed è rimasto egualmente pressoché ignorato dagli studiosi; benché rappresenti, come vedremo, un monumento veramente notevole per l’arte e la storia di quei tempi.

Un cronista cassinese, Riccardo di San Ger-

mano, familiare dell'imperatore Federico n annotò nell’anno 1242-1243 della sua Cronaca, al mese di agosto:

pso mense Augusti Imperator ante recessum ab

obsidione Urbis statuam hominis eream et uaccam

eream similiter, que diu steterant aput sanctam Matiam de Crypta ferrata et aquam per sua foramina artificiose fundebant, in Regnum, aput Lucerium, Apulie ciuitatem, ubi Serraceni degebant, portari iubet?

Il bronzo classico era l'elemento significante della fontana del chiostro e, per quel che & ragionevole pensare, venne sostituito, se non altro nel ricordo, da questo piccolo gruppo marmoreo che ripete e vivifica l’animale totemico della giovenca, che da sempre spicca nell'impresa araldica dell'arme dell'Abbazia La notizia del cronista è poi illuminante circa

gli interessi collezionistici e preumanistici di Fe-

derico, che appoggiandosi all’erudizione del suo informatissimo staff, ben doveva essere

72

Pico Cellini

edotto sugli apollinei «armenta Myronis-, descritti da Properzio* e della quasi viva «bucular di cui (tra gli altri) dà notizia Plinio*. Il suo ministro, Pier delle Vigne, com'é noto, parafrasava i testi ufficiali in classico latino e versificava coltamente in esametri e distici elegiaci. Venendo all'esame dei dettagli, nel gruppo marmoreo della giovenca e del villico, va osservato che gli elementi del vestiario di questo s no quelli correnti nel xm secolo, composti di gonnella al ginocchio, che copre le brache, di una cintura di cuoio (il sogayone), che rese la veste alla vita, e della caratteristica bianca cuffia che raccoglie i capelli, così come è esemplificata in molteplici esempi e tra gli altri assai bene nell’Ars venandi cum avibus. È curioso notare come questo tipo di cuffia

bianca fosse stato già usato nel periodo classico, con o senza la fettuccia sotto il mento, e sulti un derivato sia della cuffia antica sia di certe forme di cappucci di cuoio. L'idea poi dell'animale mesciacqua gradiente alla proda o stante in un'isoletta nello specchio dell'acqua, pur essendo nell'invenzione di derivazione ellenistica, tornava allora a rivivere nelle fontane di piazza a Minori, a Ravello e in quella dispersa, già davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma®. In quegli anni, col risorgere delle autonomie comunali e col nuovo riordinamento della vita civile nei centri abitati e nelle campagne, riconquistate alla coltura con le bonifiche, le dighe e i ponti ad opera dei Cistercensi e degli altri ordini, si riscopri, per illuminati suggerimenti islamici, il beneficio delle acque, che con la gioia degli occhi e l'igiene cittadina, ridiedeτὸ incremento alle coltivazioni degli orti, delle piante medicinali, negli aperti pomeri e nei recinti agrumeti che tuttora in Sicilia si chiamano giardini Che il gruppo marmoreo della giovenca e del villico possa essere possibile dono di Federico m all'Abbazia di Grottaferrata, e per certo non classico, ma opera di fattura duecentesca, lo denuncia chiaramente la volumetria del corpo turgido dell'animale, impuntato in avanti sulle corte zampe, con gli zoccoli ad unghia fessa, che si rifà piuttosto alle corpose plasti di certi acquamanili inglesi di imitazione sassanide. 1l villico rannicchiato a terra, abbreviato quan sigla, esprime tuttavia grande vitalità e una

forza compressa entro volumi sferici, mentre fa peso di sé per frenare l'impeto della bestia. Benché corroso, il pezzo di scultura conserva intatti i caratteri peculiari della Puglia: la scultura pugliese agglomera in piccole masse bloccate significanti figurazioni, emergenti agli snodi, come chiose a margine, nelle complesse minute ornamentazioni dei portali e delle finestre. Nel contempo è evidente come il gruppo di questa fontanella di Grottaferrata richiami in nuce il fare e il modo di concepire la scultura in altra ben più celebre fontana: la succedanea della fonte Maggiore di piazza in Perugia architettata da fra' Bevignate «in pede plateae-, cioè aperta da ultimo nel piede dellalto basamento della prima, per comodità di abbeveraggio dei viandanti e dei giumenti, e che fu decorata da Arnolfo con le sintetiche figurine dei giudici e degli assetati? Linterdipendenza e la discendenza dell'una opera dall'altra è così conturbante che prima di pronunciare un nome fin troppo facile, penso giovi riflettere su quanto il Vasari «fabulosusC’informa su Jacopo Tedesco.

L'artista, dopo

aver vagato e operato in molte parti e fabbriche

d'Italia e persino nella Basilica di Assisi, per sol-

Iecitudine di frate Elia, avendo in seguito, sino alla fine della sua vita, dimorato in Firenze, sarebbe stato dai concittadini fiorentini chiamato Lapo secondo l’uso che costoro avevano in anti-

co di abbreviare i nomi. E concludendone la «Vita» il biografo scrive: «. e mandato finalmente il modello d'una sepoltura in Sicilia, alla Badia di Monreale, per Federigo Imperatore, e d'ordine di Manfredi, si morì, lasciando Arnolfo suo figliuolo, erede non meno della virtù

che delle facoltà paterne-.

Tuttavia per gli storici si direbbe pacifico che Arnolfo sia nato in Firenze circa il 1232 dove suo padre sarebbe venuto da Colle Val d'Elsa. A me personalmente, dopo aver chiarito varie cose su Arnolfo, resta ostico pensare che il padre suo, Lapo, sia stato realmente di Colle Val d'Elsa e che essendo toscano mettesse poi il nome di Amolfo al proprio figliolo. Assai più semplice è immaginare che questo nome goto, che significa l'aquila e il lupo, compiacesse l'orgoglio paterno di uno di quegli artisti staufici che per certo hanno lavorato in Puglia, come documentano le opere che vi hanno lasciato”.

e federiciane

1-2. Grottaferrata, Abbazia. Gruppo di un villico e una giovenca.

Pico Cellini

Altro notevole frammento è quello rappresentante una testa (alta 18 cm) dalle gote gonfie, di un sorridente trombetto imperiale, da me reperito come sasso erratico, tra le cianfrusaglie di un anticagliaro napoletano (figg. 4-5) Purtroppo la testa è stata a lungo rotolata qua e là come una boccia, perciò è guast sai sminuita e pesta. Ha sofferto specialmente la parte inferiore del volto con il mento, la bocca e il naso, che già in antico era stato una volta restaurato, come si deduce dalle prese per

l'inserto del nuovo, ora col resto completamente abraso. Rimangono tuttavia integri la sfericitä della cuffia, i ricci sul collo e quelli che a corona ne circondano il volto. Il dettaglio più vivo

3. Roma, San Silvestro in Capite. Mascherone di fontana

sono gli occhi ridenti per pupille di piombo e per le caratteristiche tre linee incise a ventaglio alla base delle tempie: plissatura indispensabile per un sorriso ammiccante alla francese. Se si tratta di un trombetto è verosimile che, quando la testa era sulla persona intera, questa figurasse in una qualche composizione scultorea: solenne ricordo di un memorando avvenimento o di una epifania imperiale. Nei disegni superstiti della Porta di Capua le sculture erano allineate in alto su due ordini sovrapposti e in basso disposte a semicerchio attorno al sesto della porta. Così almeno si può dedurre dalla più attendibile memoria grafica conservata nella Staatsbibliothek di Vienna”. In alto cinque figure di coronamento: la statua di Federico in trono al centro, tra due trombetti, e tre busti nei clipei sulla chiave e sulle spalle dell'arco; al centro la testa colossale ancora —

sembra una favola — di incerta personificazione

(in verità la Concordia), ai lati i busti dei giudi-

ci, su due colonne distaccate fiancheggianti gli stipiti due busti più piccoli.

Se, come penso, a fianco dell'imperatore erano realmente rappresentati due trombetti, di cui nulla più rimane all'infuori di questa malconcia testa, essi, richiamando con gli squilli di tromba, avrebbero riportato l'attenzione sulla maestosa apparizione dell'imperatore. Già accostai una coppia di trombetti alla statua di Carlo d'Angiò, il giustiziere del Papa,

4. Collezione privata. Testa di un trombetto.

nella ricostruzione da me proposta all’Aracoeli, sull'ingresso del tribunal, e possono ricordarsi gli esempi in pittura nel polittico Stefaneschi di Giotto e nell’affresco di Cavallini a Napoli'*,

Presenze federiciane

75

5. Collezione privata. Testa di un trombetto. Altro esempio ancor più pertinente sulla consuetudinaria presenza di trombetti in atti salienti sono i duplici gruppi per l'Arco d'Aragona di Benedetto da Majano: ora stabiliti al Bargello a Firenze dopo la fugace scappatella a Londra. Federiciano è il mascherone di fontana (alto 42 cm), sin qui negletto, nel cortile ex nartece di San Silvestro in Capite a Roma (fig. 3). Dal confronto col notissimo busto capuano, da molti ritenuto di Taddeo da Suessa, uno dei due giudici laureati, risulta ad evidenza quanto

serve per darne una convincente datazione e

indicare il clima in cui l’opera fu ideata. Lo scultore del mascherone cade un po’ nel grottesco col suo incidere duro, con quell'insistente ricercare la forma nei profili, quasi ese-

guisse a sbalzo e cesello un vistoso saggio di toreutica. La nobile e interrogativa grinta del

«frammento Molaioli- da Castel del Monte qui si distende in replicati solchi intorno agli occhi, che sembrano inseriti di smalto.

Quando mi

sarà concesso di distaccare il marmo

dal muro

e si potrà liberarlo dal tartaro dell'acqua che ne

6. Roma, Monastero di Santa Francesca Romana. Clipeo.

Presenze federiciane.

vum

7. Roma, Monastero di

Pico Cellini

78

intasa la barba e i baffi, l’arte di questa maschera potrà a pieno essere giudicata e apprezzata. Il suo stile ricorda il tipico fare insistente di Drudo de Trivio, marmoraro romano socio del Vassalletto,

di cui si conosce

tra l'altro un ac-

quaio: forse quello a cui appartenne il mascherone, già alle Terme, poi nel Lapidario di Palazzo Venezia.

Di certi e documentabili rapporti, per via di committenze, reperimenti e spedizioni di marmi,

tra

i Normanni,

Federico

n e le officine

dei marmorari romani, già accennai a proposito di Nicola d'Angelo, notevole marmoraro e architetto, spesso in collaborazione con il Vassalletto, Drudo de Trivio e altri. Vi tornerò quando potrò dare notizia di altri vari piccoli contributi alla conoscenza di così affascinante periodo".

Di certo, di ambiente federiciano sono altresi i quattro clipei con ritratti a rilievo (figg. 6-12), due che guardano verso destra e due rivolti a sinistra, ai quali in avanscoperta ha accennato Margherita Guarducci a proposito di un proble-

ma in via di soluzione, prima in una breve comunicazione alla Pontificia Accademia

Romana

di Archeologia, poi in questa stessa rivista.

Di questi ritratti, due erano a mia conoscenza. da più di mezzo secolo: quando da ragazzo, avendo familiarità con lo storico olivetano, l'abate don Placido Lugano, mi diedi a studiare sotto la sua guida le cose antiche di Roma, classiche e medievali. Egli viveva nell'Abbazia di Santa Maria Nova al Foro Romano e da lui, co-

me abate degli Olivetani, dipendevano le nobili Oblate di Santa Francesca (con a capo Maria Pia Ugolini, madre presidente di Tor de' Specchi). Essendo quindi domestico dei due rami Olivetani, maschile e femminile, per tempo avevo notato nel chiostro-giardino di Tor de’ Specchi, fra gli altri marmi e frammenti di raro interesse, due profili ovoidali: uno di uomo maturo barbuto, severo e con l'occhio scrutatore (fig. ©); l'altro di un giovane di gentile aspetto, anch'egli col mento ornato di un'accurata barba, con i capelli fluenti serrati alla fronte da un nastro, distintivo del rango a cui il nobile personaggio dovette appartenere (fig. 7). Molte volte nel corso degli anni avevo chie8-9. Roma, Monastero di Santa Francesca Romana Rovesci di clipei.

sto alle varie autorità tutorie, che si sono succe-

dute, il permesso di smurare i due clipei dalla recinzione del giardino per ripulirli dai licheni

Presenze federiciane

10. Collezione privata. Clipeo.

79

Pico Cellini

e dallo scialbo rosato dato uniformemente in

più tempi su marmi e muraglia.

Venuto da ultimo in dimestichezza con Antonio Giuliano, esternai a lui il mio antico desiderio ed egli, che è persona decisa, trovò accoglienza presso il Soprintendente Giovanni Di Geso, che qui si ringrazia, il quale diede il desiderato ordine di provvedere alla bisogna. Calati i clipei, si ebbe la consolante sorpresa di constatare che ambedue gli intagli erano stati eseguiti su marmi di spoglio. Per il severo uomo si era utilizzata una porzione di epigrafe del nam secolo d.C. (fig. 8) e per il giovane il fondo di un sarcofago, sgrossato rozzamente con il doppio picchiarello (fig. 9). I rilievi, una volta da me

lavati e liberati da

tutte le brutture, si dimostrarono come colossali cammei, intagliati con somma accuratezza e diligenza. Vedemmo subito l'intento tecnico che informa questa grandiosa impresa: trasferire in scala monumentale le minuzie e le ricercatezze della glittica. Si dava il caso che sia da parte del Giuliano che del sottoscritto si fosse da sempre avuto un vivo interesse per le gemme e gli intagli, che sono per chi li apprezza una fonte inesauribile di studio e di riflessioni Vedere nei clipei anche la suggestione di certi rilievi morbidi e levigati del più bel periodo paleo-cristiano persistenti nel colto ambiente meridionale, ancor più persuadeva a collocarli in quel classicheggiante ambito Le sorprese non ebbero fine: pochi giorni dopo il Giuliano, passando per la strada, attraverso una vetrina folgorava il terzo esemplare, che, con un certo sacrificio, acquistava. Si trat-

tava del compagno dell'anziano barbuto, di età

forse più avanzata, con i capelli più radi, la bar-

ba meno nutrita e con il segno della cosiddetta zampa di gallina all'angolo dell'occhio (fig. 10). Anche questo marmo è di recupero e sembra essere stato ricavato da un pezzo di spiovente di coperchio di sarcofago (fig. 11). Ha subito pure un maldestro restauro seicentesco al limite marginale del profilo, ove si vede mal rimodellata la linea del naso.

A pochi giorni di distanza avveniva ancora

che Carlo Gasparri, ospite in

12. Treia, collezione privata. Clipeo.

mirasse la fortunata trouvaille dell'amico e successivamente, a distanza di giorni, controllando una campagna fotografica di marmi fatta nelle Marche, ci segnalasse cortesemente il

Presenze federiciane

quarto clipeo (fig. 12). Esso rappresenta un uomo nel pieno della virilità, fiero e ispido nella barba e nei capelli quasi cresputi, su cui poggia, come sulla chioma del suo giovane compagno, un segno di distinzione nobiliare. Ci siamo così venuti a trovare con quattro ritratti di personaggi (alti in media 50 cm), che si fronteggiano due a due e che lasciano supporre un'immagine centrale, a cui i loro sguardi erano rivolti. Scoprire quale fosse il monumento che accoglieva il commento figurativo di queste immagini, appariva indubbiamente impresa ardua. Ma poiché, a nostro giudizio, i marmi non potevano essere altro che federiciani, se ne delineava la spiegazione che è poi la sola possibile. Federico n, erede della corona di Sicilia da parte della madre, Costanza d'Altavilla, ereditava con i diplomi il tesoro avito dei Normanni, che egli accrebbe con raffinato interesse d'intenditore e con amorevole cura. Nel fasto ricercato dai Normanni durante la loro rapida fortuna, tra le altre arti nobili atte a dar lustro agli splendori della nuova corte, oltre alle preziose vesti confezionate nel tiràz regale, sera favorita la ripresa, come è noto, della oreficeria e della glittica (che si valeva di maestranze bizantine e fatimidi, abilissime nel tagliare i cristalli, le pietre dure e i porfidi) (figg. 13-14). È un fatto che bisogna constatare. Solo sul vivo substrato di una cultura di tale tipo questi mirabili cammei marmorei hanno un senso e una logica spiegazione". È facile stabilire un confronto con le gemme e soprattutto con i cammei, dai quali si partono o derivano tanti manufatti artistici, prodotti in

13. Neuss, Clemens Sels Museum. Cammeo con atto giovanile

quel vivido cinquantennio o poco più. Molti

sono

stati gli studiosi

che hanno

nel

passato creduto, e anche recentemente afferm: to e sostenuto che Nicola Pisano si fosse form: to in questo straordinario clima culturale; e ciò ragionevolmente si appoggiava alla tradizione vasariana che lo dice proveniente dalla Puglia e pure da note carte senesi che lo descrivono co-

me «Nichola Petri de Apulia magister lapidumAnzi, questa definizione di «magister lapidumpuò essere interpretata come per l'appunto egli

fosse esperto intagliatore delle pietre più varie: specialista nel trattamento delle comiole e dei porfidi oltre che scultore, orafo e architetto, come tutti sanno.

14. Londra, British Museum. Cammeo con ritratto di un personaggio anziano.

ei. Ritratto federiciano da Roma.

Presenze federiciane

83

Stabilita dunque, in base a confronti obiettivi tecnici e di stile, l'origine federiciana dei ritratti

da me riuniti, dopo averne per anni vagheggia-

ta una ravvicinata indagine, si apre ora anche la

possibilità di dar soluzione a un problema che

ha appassionato studiosi grandi e minori nelle epoche passate, a cominciare dal Vasari e che

già nelle due redazioni delle Vite, la prima del

1550 e l’altra del 1568, mostrò un'evoluzione di

giudizio tesa a risolvere i rapporti tra l’arte pisana e toscana e quella meridionale immaginan-

do, almeno così è stato detto, un fittizio fioren-

tino Fuccio, autore della Porta di Capua e di al-

tre opere e castelli per Federico i . E sembra

impossibile che proprio a me sia dato dalla for-

tuna — e perché no, anche un po’ dall’attento e insistente amore e interesse per i problemi dell’arte -, l'avere quasi involontariamente messo le mani sopra questi esempi straordinari, che finalmente spiegano ed esauriscono la così importante questione del rinnovamento artistico operato da Nicola (e il nome è quello del Santo di Bari) d’Apulia. Per quanti hanno faticato e si sono applicati al problema mi fa immenso piacere ricordare alcune parole del grande Maestro del Medioevo, Pietro Toesca, che nella sua prudente, insistente e mai appagata ricerca delle questioni a lui più care — perché non di facile risoluzione -non sapeva dare altro suggerimento ai suoi discepoli che quello di andare «avanti, avanti, sempre più avanti».

Da lui (tra testo e note)

questo problema cruciale, se proprio non fu appieno spiegato e chiarito con assoluta e impeccabile informazione (si direbbe pure per

senso di umiltà), fu per lo meno enucleato. Nel

secondo volume della sua Storia dell’arte italiana: il Medioevo (Torino 1927), a pagina 911,

nota 83, è inserita questa lapidaria constatazione: «il problema non si può per ora risolvere sicuramente, perché mancano opere primitive del Maestro. Ora si può pensare di avere queste opere e

si ha pure la fondata speranza che tornino bene, idealmente, nell'unico monumento romano fatto eseguire da Federico n a custodia del Car-

roccio sul Campidoglio. Per quel che sin qui ne sappiamo, il monu-

mento si appoggiava alla fronte della torre mediana del Palazzo Capitolino, dove si elevava su due piani. L’epistilio iscritto che si conserva

16. Berlino, Musei. Ritratto federiciano da Roma

fiu trovato murato, appoggiato su antiche colon-

ne. Da questa parte bassa porticata si passava a

mezzo della scala interna della torre al secondo ripiano, aperto a loggiato, ove furono appese, in bella mostra, le spoglie mutile del Carroccio, Nel suo insieme il monumento doveva somigliare alla Loggia per le benedizioni di Bonifacio vm in Laterano o al Tabernacolo a due piani per le teste dei Santi Pietro e Paolo. Nella parte alta dovette essere utilizzata una seconda scritta metrica, sin qui smarrita, ma nota nel testo riportato con quello dell'altra, tuttora

esistente, dal Muratori, che col Forcella ci ha tramandato pressoché tutto in fatto di memorie epigrafiche. In questa solenne macchina di marmi bianchi e colorati, parlante per scritte in versi, furono forse inseriti sul parapetto superiore i quattro clipei coi ritratti di due tipi distinti di personag-

i sin qui ignoti: due consiglieri o ministri e

due ottimati che non possiamo identificare, ma

che ci sono fisionomicamente noti perché tor-

nano in altri ritratti del tempo. Basti il confronto del profilo del personaggio più giovane con quello di un giovane principe, conservato nei

84

17. Roma, Museo di Palazzo Venezia. Nicola Pisano: te:

Pico Cellini

Presenze federiciane

18-19. Roma, Museo di Palazzo Venezia. Nicola Pisano: testa di pirite.

Musei di Berlino (figg. 15-16): questo per quanto concerne, ancora, la datazione federiciana dei quattro clipei. NoTE * Edito in ‚Xenia, 8, 1984, pp. 95-108; Tra Roma e Umbria Studi e ricerchedi Storia dell'arte, Roma 1996, pp. 15-27. Sul problema della scultura umbra nel cantiere orvietano e l'equivoco delfinesistente personalità scultorea del Maitani vedi: P. Crisis, Appunti Orvietani, per Andrea e Nino Pisano; Ib., Ap punti Orvietani ας, per Lorenzo Mattani e Nicola di Nuto,ID., Ap punti Orvietani nt Fra' Bevignatee le origini del Duomo di Orvie o Gn questo volume da p. 71 ap. 105) ? La data del 17 febbraio 1968 è purtroppo per me indelebile nel ricordo per la disgraziata morte del giovane restauratore Ubaldo Aureli Tra i vari malintesi, a seguito del luttuoso evento, la scultura è citata in un déplianr (Museo della Abbazia di Grottaferrata), edito nel 1976 in occasione della procrastinata inaugurazione del Museo stesso. L'autrice del testo, Paola Della Pergola, succeduta a Guglielmo Matthiae, attribuisce erronea mente a Carlo Bertelli i riconoscimento della scultura ad epoca medievale ? Ringrazio l'abate di Montecassino don Bernardo D'Onorio per avermi rintracciato il testo qui riprodotto e la dr.ssa Barbara Pettinau per aver ricercato c fato eseguire copie fotostatiche di molti testi che hanno facilitato la stesura di questo lavoro. * PropeRzIO, Elegiae, n, 31, 7 e sgg. * Pusio tt Veccitto, Naturalis Historae liri, iv, 57. © P. Cet, Ricordi normanni e federiciani a Roma (in questa sede pp. 25:30)

* P. Geis, Della Fontana Maggiore di Perugiain questo vo lume pp. 107-112); Ip, Giuochi d'acqua a Perugia: Pra' Bevignate ela fontanina di Amolfo in questo volume pp. 113-46) Dizto mario Biografico degli Haltanı, x, Roma 1967, s. v. Bevignate. Nella revisione che si va operando degli infelici restauri della fontana di Perugia faccio voto che sia restituito al monumento il ful cro centrale del bocciolo girevole (che ferito nel Musco per costruire un falso pilo portastendardo) "GL. Maui, nella ricerca delle varie personalità in Appunti per la scultura federiciana, -Comunit-, xoa, 1978, 179, pp. 23 336, individua tra gli alti il Maestro di Castel del Mont che sembra tomi bene con l'autore del gruppo della Giovenca e il Villico e che poi, se verrà favorevolmente accettato, dovrebbe essere il vasariano «Lapo», cioè il goto padre di Amolfo. Parllelamente si possono intrvvedere nel Sosia del Maestro di Castel del Monte le origini dell'arte del pisano domenicano fra' Guglielmo, collaboratore di Nicola d'Apulia, di qualche anno più anziano di Amolfo © poi suo fedele interp ie ed esecutore (vedi P. una, DI fra Guglielmo e di Arnolfo in questo volume pp. 29-46). A seguito dei miei ormai ampiamente accettati contributi su Arnoifo (L'opera di Arnolfo all'Aracoel, in questo volume pp. 47-61) avrei gra che nel fratempo la grandiosa transenna gotica a trafori, già sulla facciata, fosse riportata alla luce dagli scantinati del Vittoriano, ove giace ed è di difficile visibilità per gli studiosi ? Si veda in E. Kanrorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, 1, Berlin 1927-1931 (rad. it: Federico 1 imperatore, Milano 1976) tav. πὶ (a proposito dell'altro disegno, tav. i, atribuito a France. sco di Giorgio, e pubblicato da P. Torsca, L'architeura della Porta di Capua, in Mélanges Bertaux, Paris 1924, pp. 292.9, tav xix, ritengo documenti un restauro o un aggiomamento di gusto golico internazionale: qu o può essere dimostrato osservando che nell'arco della porta centrale il vano compare ristretto, a strombo, da una fuga di colonnine, espediente già sperimentato

86 nella modifica della «Facciata semplice. del Duomo di Siena, cf. P. Cettina in questo volume pp. 63-70) Ὁ P. CeLuINI, L'opera di Amolfo all'Aracoeli it. "Chr. nora 6. "2I problema delle gemme in età normanna e federiciana non è davvero semplice (cft: A GIULIANO, Motio classic nella scultura e nella litica di età normanna e federiciana, in Federico n e Tarte del Duecento italiano, 1, Galatina 1980, p. 19 e sag; pp. 3748; 1p», I ritratto di Federico 1r gli elementi antichi, Xenia, 5, 1983, p. 63 e sag, con bibl. precedente= pp. 61-70), Premesso che 1a glitica fu colivata in ogni tempo e mai abbandonata quanto a procedimento artigianale, si deve notare che le gemme furono sempre usate. Nel rinnovamento e rattamento dei tesori regali ed ecclesiastici, spesso per necessità d'uso furono, quando mancava materiale antico, sostituite alcune gemme con esecuzioni dellepoca dei lavor. Nella coperta dell'Evangeliario di Teodolinda nel Tesoro della Cattedrale di Monza sono incastonati su ognuna delle facce quattro cammei affrontati araldicamente. Essi sono di produzione romana Gll'infuor di alcuni sostituiti nel restauro ottocentesco). La campitura dei profili nel piano e la forma ovale delle pietre ricorda la struttura degli ovali in marmo oggetto di questo studio. Nel ricchissimo tesoro di Federico n erano confluite gemme di età romana che erano state accumulate nei tesori barbarici d'Europa; ma il tesoro di Federico si era certamente arricchito con nuovo materiale proveniente, in particolare, dal saco latino di Costantinopoli. Né bisogna dimenticare che la produzione glitica era continuata ininterottamente sia a Costantino poli, che nell'Egito fatimida, e in particolare nell'ergasterton normanno di Palermo gli incisori federiciani non potevano ignorare tale somma di esempi che costituivano il banco di prova per i maggiori artisti αἱ servizio della corte. Fondamentale è l'esempio delle copie del cammeo con Athena e Poseidon, certamente della fine del 1 secolo a.C, replicato più volte in chiave cristiana per

Pico Cellini adattario ad un nuovo programma: la pace nel mondo (si veda nell'esergo dell'esempiare nella Biblioteca Nazionale di Parigi la figura del leone che pascola assieme agli animali domestici: R. Kanssurz, in Die Zeit der Staufer, τ, Stuugart 1977, pp. 674 e sag, 693, n. 886; c. v, Stuttgart 1979, p. 477 e sgg. per ulteriori considerazioni. Sulle giovanili esperienze di Nicola d'Apulia e il suo possibile alunnato presso gli intagliatori di gemme federiciani si propongono alcuni accostamenti assai probanti e persunsivi: alla formella della Arismetica. che computa con lo scolaro (nella Fontana Maggiore di Perugia) la data 1267, può essere avvicinato il cammeo in forma di mandorla (diaspro verde) che raffigura la caccia col falcone (A. Giuiano, Motivi classici nell scultura, ci. fig. 16) alle formelle del mese di maggio sempre nella fonte perugina che rappresentano una coppia di amanti a cavallo si può avvicinare il cammeo (sardonica a tre strat) con la figura di un cavaliere (R. Kaseswrrz, op. cit, p. 698, n. 894); e nelle formelle del mese di febbraio il vecchio pescatore avvista la preda sottacqua con la stessa intensità di sguardo del maturo scrutatore (fig. ©). Un confronto tra il cammeo (sardonica a tre strati con l'uscita dall'Arca (R. Kansurz, op. cit, p. 692, n. 885) e alcuni dettagli del pulpito di Nicola Pisano nel Batistero di Pisa appare particolarmente probante (alcuni spunti in C. GNuDI, Considerazionisul gotico francese l'arte imperiale ὁ la formazione di Nicola Pisano, in Federico ır ὁ l'arte del Duecento taliano, cit, 1, p. 1 € 888). Questo per ctare i sol esempi veramente perspicul: Fondamentale per la comprensione di questo fenomeno, a testimonianza delJa evoluzione dell'arte di Nicola, è la testa femminile (ricavata intagliando un blocco di galena, giovandosi dei sistemi tecnici della litica), ora nel Museo di Palazzo Venezia (A. SANTANGELO, Museo di Palazzo Venezia, Catalogo delle Sculture, Roma 1954, p. 17, figg. 4-5) sulla quale ebbi occasione di soffermarmi quando, assieme al Santangelo, riordinai e restaurai le sculture del Iapidario di quel Museo (ig. 17-19).

MARGHERITA GUARDUCCI

Federico it e il monumento del Carroccio in Campidoglio*

Questa mia ricerca, un po' diversa da quelle che finora ho svolte, ha preso le mosse dall'interesse che da molti anni l’amico Pico Cellini dedica ai monumenti dell'arte federiciana e dal suo desiderio che altri collaborino insieme a lui per giungere ad una più profonda conoscenza di quell'insigne personaggio e della sua at Il monumento del Carroccio in Campidoglio

è l'unico eretto

a Roma da Federico; un monu-

mento che rievoca una pagina fra le più vive nella storia della Roma medievale. Di esso si conosceva finora soltanto una insigne epigrafe, oggi esposta in Campidoglio, nella Sala chiamata appunto «del Carroccio». Col suo occhio acuto ed esercitato, Pico Cellini aveva da tempo

preso in considerazione alcuni pezzi di scultura che con grande probabilità appartengono anch'essi allo storico monumento. Messo sull'avviso da lui, Antonio Giuliano ha avuto il merito di recuperarne un altro, il quale, a sua volta, ha provocato il riconoscimento di un altro ancora da parte di Carlo Gasparri. I due nuovi pezzi

sono innegabilmente affini a quelli avvistati dal Cellini. A me è stato chiesto di occuparmi dell'epigrafe, la quale, pur essendo già nota, sembrava prestarsi ad ulteriori riflessioni. Ho dunque cominciato a studiare l'epigrafe, e veramente ho raccolto dal mio studio alcuni frutti di una certa consistenza.

Se non che la ri-

cerca mi ha poraata a riconoscere, strada facendo, altri cospicui pezzi del monumento. Questo risultato, del tutto inatteso e, a mio giudizio, di notevole interesse, minduce ora a dare ad esso la precedenza rispetto allillustrazione del testo epigrafico. Il monumento del Carroccio rievoca alla nostra memoria avvenimenti del 1237 e del 1238. Tutti sanno che il 27 novembre

1237,

a Corte-

nuova presso Bergamo, Federico t vinse in una

battaglia campale i Milanesi e il loro alleati dei Comuni lombardi. Questa vittoria sembrava vendicare la sconfitta subita a Legnano il 29

maggio 1176 da Federico Barbarossa, avo di

Federico n, e parve ai vincitori tanto più clamorosa in quanto perfino il Carroccio dei Milanesi,

glorioso palladio della libertà comunale, cadde nelle loro mani. In realtà la vittoria venne, a

quanto risulta, un po’ esagerata e il Carroccio si

ridusse a qualche resto raccolto la mattina dopo sul campo di battaglia, fra la mota, quando le parti più importanti del prezioso veicolo, fra

cui la Croce, erano già state portate in salvo il giorno prima dai guerrieri milanesi!. Comunque

sia, Pier delle Vigne, il celebre segretario di Federico τι, annunciò la vittoria con una solenne enciclica ai principi tedeschi e i resti del Car-

roccio, caricati su muli, furono avviati verso Roma per essere esposti in un apposito monu-

mento sul Campidoglio?. Federico n, sentendosi ormai capo dell'impero universale imperniato su Roma, volle mandare quei resti come dono ai Romani e li accompagnò con una sua lettera,

datata al gennaio 1238, nella quale egli dichiarava di considerare Roma capitale dell'Impero e

di volerne rinnovare gli antichi trionf?. Analoghi pensieri trionfali erano espressi in un carme di sei esametri che, secondo due cronisti vissuti fra il xin e il xiv secolo, accompagnarono a loτὸ volta la lettera di Federico‘. Linsigne spoglia giunse a Roma nell'aprile e, in mezzo al giubilo popolare, fu deposta in Campidoglio. Animatori della cerimonia e costruttori del monumento furono senza dubbio gli amici filo-imperiali che Federico aveva nel-

T'Urbe, ma, secondo una Cronaca degna di fe-

de, anche certi cardinali parteciparono con sim-

88

Margherita Guarducci

A LEONIST

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TROMA:SECVNBVDOMA TENET "EVREXNI-PERPES FNÜNVRIBZIECVSFAHICIMEDIOLANI CAPTVSDE.

STRÄAGETRIVMPHOSICHSARIS: VT REFFERAT INT LTA PREDA T OPPROBRIVMANI STIS VENITIHO IONIGREMPT I VRIBSLSTR PENIEB PMICTÜTVREAVNENVRBISMIGTE A? RE-IVSSIT-AMOHA 432177

1. Roma, Biblioteca Vaticana. Cod. Chigiano1. νι. 204, f. 27v.; copia dal Signorili

Federico n. . del Carroccio

patia all'avvenimento, mentre il papa (Gregorio 1x), già fortemente avverso all'imperatore, si doleva fino a morte (usque ad mortem doluit? Scrivendo ai Romani, Federico aveva unito alle lodi di Roma minacce gravissime per coloro che, spinti da odio di parte, avessero osato danneggiare il suo «dono». Ciò nonostante i resti del Carroccio furono bruciati; ma questo avvenne più tardi, quando già da qualche tempo i Romani avevano potuto osservarli dentro il monumento per essi costruito”. Tale monumento fu visto, certamente già danneggiato, nella prima metà del xv secolo da Nicolò Signorili, autore di una Descriptio Urbis Romae eiusque excellentia dedicata a Martino v (t 20 febbraio 1431)". Il Signorili vide e copio, abbastanza correttamente, l'epigrafe (fig. 1),

quella stessa che oggi si trova nella Sala del Carroccio, attestando di averla veduta nel chiostro della Cancelleria capitolina, incisa in un architrave marmoreo sostenuto da colonne (in claustro Cancellariae Capitolii... in lapidibus

89

marmoreis existentibus super columnas). Tale indicazione ci porta nell'interno dell'odierno Palazzo senatorio. Quanto all'epigrafe, essa è diversa dal carme di sei esametri tramandato dai due cronisti, ma redatta nel medesimo tono

trionfale. Preceduta da una Croce raggiata, che

peraltro il Signorili non riporta, essa consiste in tre distici elegiaci e suona così: CESARIS AUGUSTI FRIDERICI, ROMA, SECUNDI DONA TENE CURRUM, PERPES IN URB(E) DECUS. HIC MEDIOLANI CAPTUS DE STRAGE TRIUMPHOS CESARIS UT REFERAT, INCLITA PREDA VENIT HOSTIS IN OPPROBRIUM PENDEBIT, IN URBIS HONOREM MIGIITUR; HUNC URBIS MICTERE IUSSIT AMOR.

Passarono circa tre secoli, poi — nell'estate del 1727 - il monumento descritto dal Signorili tornò alla luce. La notizia del rinvenimento fu pubblicata per la prima volta da Ludovico Antonio Muratori nel secondo volume delle sue Antiquitates Italicae Medii Aevi, uscito a Milano nel

1739.

Ivi, a p.

491,

il Muratori

ricorda

di

avere appreso la notizia del rinvenimento nel

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3. Roma, Biblioteca Vaticana. Cod. Capponi 275, f. 629r-v: lettera di Anton Francesco Marmi al marchese Capponi.

Margherita Guarducci

90

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al 6 settembre 1727 (Biblioteca Estense, Archivio Muratoriano, filza 58, fasc. 26). Ecco il passo che qui soprattutto interessa: «Le scrivo... per mandarle l'acclusa iscrizione scoperta in questi giorni scritta in un'architrave di marmo assai lungo, il quale era retto da cinque colonne, due delle quali sono di verde antico, e l'altre di granito e di queste una è alta palmi romani 11 e oncie 11 e di diametro due palmi, e l'altre alte palmi 11 e di diametro un palmo e mezzo, le quali si fanno ripulire dagli Il!" Conservatori; ma già il Papa là destinato per servizio di Frati; ed il luogo dove si è trovato tutto ciò serve di recinto alle carceri di Campidoglio fatte murare in tempo di Sisto ν᾽:

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4. Roma, Biblioteca Vaticana. Cod. Capponi 275, f. 675r: copia dell'epigrafe redatta dal Capponi e tradotta dal Bianchini. 1727 dal marchese Alessandro Gregorio Capponi, dotto patrizio romano e furiere maggiore di

Un foglietto a parte, allegato alla lettera, contiene il testo dell'epigrafe. Prescindendo da quest'ultima, della quale mi occuperò in altra sede, e dalla conferma del luogo del rinvenimento, noto intanto che la lettera originale del Capponi offre alcuni elementi nuovi e non privi d’importanza: il rinvenimento

ebbe luogo poco prima del 6 settembre; delle cinque colonne due erano di verde antico e le altre tre di granito; esse misuravano tanti palmi e tante oncie; il Papa aveva in mente di darle a certi frati Il ricordo delle colonne di verde antico e di granito dà un'idea della vivacità del monumento; le due colonne verdi e le misure delle altre sono poi di aiuto per un'identificazione. Inoltre, la notizia che il Papa ha già destinato quelle colonne «per servizio di Frati» tradisce la preoccupazione del Capponi per la sorte delle mede-

Clemente xi [leggi xml, e riporta l'iscrizione, ri-

levando anch'egli ch'essa presenta un testo diverso da quello che i cronisti medievali avevano tramandato. Dalle sue parole risulta poi che il Carocii marmoreum monumentum diu ignoratum era venuto a trovarsi a quei tempi nel luogo attiguo alle carceri capitoline chiuse da Sisto v e che le colonne su cui l'architrave iscritto poggiava era-

no cinque, di marmo raro supra quinque columnas rari marmoris).

Le parole del Muratori ispiravano ovviamente il desiderio di sapere meglio che cosa il Capponi gli avesse scritto. Tentai allora di rintracciare la lettera del Capponi nell'Archivio Muratoriano di Modena. Grazie alla cortesia del prof. Gior-

gio Boccolari, benemerito studioso modenese, riuscii ad avere il testo di questa lettera, datata

5. Epigrafe trasportata nella Sala dei Capitani in

Campidoglio.

Federico n. . del Carroccio

91

6. Coppia di colonne di verde antico nella Sala dei Capitani in Campidoglio.

sime, una preoccupazione legittima, specia mente per le due di verde antico. Questo mar-

mo, nel quale & ovvio intendere il marmo tes-

salico, il lapis Atracius, cosi detto dalla località tessalica di Atrax, era infatti — nella Roma del Settecento — un materiale ormai raro e molto appetibile*. Non era certo strano che un papa

volesse, con un siffatto dono, assicurarsi la gratitudine di una comunità di frati desiderosi di abbellire la propria chiesa. Nella quale eventualità c'era seriamente da temere che le due colonne del monumento federiciano sarebbero state tagliate a pezzi per le strutture e i rivestimenti di architetture barocche. Il mio pensiero corse subito, perciò, ai frati che erano allora i più vicini alla località del rinvenimento, che anzi avevano, essi soli, il privilegio di abitare sul Campidoglio, cioè ai frati dell’Aracoeli. Il dubbio assunse poi una certa concretezza quando

lessi nel classico libro del p. Casimiro Romano,

pubblicato a Roma nel 1736, che proprio nel 1727 furono eseguiti grandi restauri nella Cappella di San Francesco, «con i soccorsi di vari benefattori,

e massimamente del Sommo

fice Benedetto xt?

Ponte-

Descrivendo quella Cap-

pella restaurata, il p. Casimiro afferma, anzi,

che di verde antico erano i riquadri del paliotto d'altare, le colonne scanalate, il cornicione al di sopra della pala, il fondo intorno alla finestra! Si noti, a proposito delle colonne scanalate, ch'esse presupponevano l'impiego di lastrine di marmo adatte al rivestimento. Forse che — pensai — tutto quel prezioso verde proviene dalle verdi colonne un tempo adibite al Carroccio?

Ma, per fortuna, il mio timore era infondato.

Il Papa era stato ragionevole e, pur non lesinando il suo aiuto alla chiesa dell'Aracoeli, aveva mantenuto integre le colonne?.

Ne ebbi la

certezza battendo un'altra via, che mi portò a indagare fra le carte del marchese Capponi, og-

Margherita Guarducci

92 gi conservate nella Biblioteca Vaticana. Entrata

su questa via, misi ben presto le mani sopra un codice (Capponi, 275) che conteneva la soluzione del mio problema. Codesto codice equivale al 5° tomo del carteggio tenuto dal Mar-

chese «con diversi Amici Letterati per la sua raccolta di Libri e cose Antiquarie del 1725, 1726 e 1727».

Tra i fogli ingialliti trovai anzitutto (f. 627) la lettera (datata al 19 settembre 1727) con la quale il Muratori rispondeva alla lettera inviatagli dal Capponi il 6 settembre e contenente la notizia che il monumento del Carroccio era stato ritrovato. M'imbattei poi (f. 629 r- 630 ı) in una importante lettera scritta al Capponi dall’erudito fiorentino Anton Francesco Marmi?

Da questa

risulta che, dopo avere comunicato al Muratori la lieta notizia, il Capponi l'aveva partecipata anche al Marmi, e precisamente in data 13 settembre. La risposta del Marmi conservata nel codice capponiano 275 porta la data del 23 set-

tembre (figg. 2-3). Dopo essersi congratulato per la scoperta, il Marmi esce in questa frase molto significativa:

Voglia Iddio che entri in capo al suo Vicario di far buon uso e di quella memoria e delle colonne di

verde bellissimo antico disseppellite nelle segrete

Carceri di Campidoglio, che tenevano ascoso sí bel tesoro».

È perciò evidente che anche il Marmi temeva per la sorte delle due colonne verdi. Ma lo stes50 codice 275 contiene, in data successiva, notizie rasserenanti. Prima però di esporre queste notizie rasserenanti, vorrei aggiungere, circa il rinvenimento delle colonne verdi, due altri interessanti documenti.

In una pagina del suo Diario di Roma, l'erudi-

to Francesco Valesio (t 1742) annota che domenica 24 agosto 1727 «si è scoperta altra colonna di verde antico, compagna della prima ritrovata in Campidoglio».

Le colonne dunque furono

scoperte entro le murature capitoline ancora prima dell'epigrafe, che il Capponi, scrivendo al Muratori il 6 settembre, afferma, come si è visto, essere stata rinvenuta «in questi giorni» Ancora più interessante è la notizia tramandata da un documento inedito dell'Archivio Capitolino datato al 9 settembre 1727. E, un'ordinanza delle Autorità capitoline a favore di un tale Rocco Fontana che aveva avuto il merito di

avvistare la prima colonna e chiedeva di esserne premiato. Ma ecco le precise parole del documento: «Havendo Rocco Fontana dato notizia che nel Palazzo della residenza del signor Senatore si fosse murata dentro i muri di detto Palazzo una colonna di verde antico, e che per tale notizia richiedeva la quarta parte del valore di detta colonna, onde discorsesi sopra di ciò maturamente. Sì risolse a prendere quello si fusse stimato e risoluto dall'Ecc" Signori Conservatori e Congregazione, onde fattasi cavare detta colonna dal sito dove il medesimo accennò, e nel cavarla non solo si trovò la colonna accennata ma un'altra simile poco più sottile della prima, che fatta ripulire si sono trovate tutte due di tanta beltà e valore, onde facendo istanza detto Rocco di haverne il premio gli si è accordato di fargliene fare un mandato diretto al Sacro Monte di Pietà per la somma di scudi trenta € perciò si dà ordine allo Scrittore del Popolo Romano che gli faccia detto mandato de’ denari depositati e da depositarsi dal Collegio de Notari Capitolini nel suddetto Monte.

Poiché il premio di 30 scudi sembra equivalere alla quarta parte della stima fatta per la sola prima colonna, il valore attribuito alle due colonne risulterebbe, a rigore, di 240 scudi. Era, per quei tempi, una cifra altissima. Per darne

un'idea, mi basta ricordare che, secondo un altro documento inedito dell'Archivio Capitolino, il fondo a disposizione del Monte di Pietà per i restauri dei Palazzi Capitolini nel loro complesso ammontava, in data 6 novembre 1727, più o meno alla medesima somma: scudi 237, baiocchi 805. E ora bisogna tornare al codice capponiano 275 e alle notizie rasserenanti circa la sorte delle due colonne verdi. AL f. 671 ré una lettera scritta il 29 novembre 1727 al marchese Capponi da Francesco Bian-

chini veronese, erudito e latinista provetto non che commissario delle Antichità di Roma. Il Bianchini era stato pregato dal Capponi di rendere in buon latino una sua minuta redatta «in lingua nativa» per il testo di una lapide che doveva essere esposta in Campidoglio. Ora il Bianchini manda al Marchese il testo desidera to. Il codice 275 ci ha conservato anche la minuta del Capponi «in lingua nativa», meno le prime parole che sono in latino (f. 672 7) e una copia (fig. 4) che il Capponi fece in bella grafia del testo latino ricevuto dal Bianchini (f. 675 7). Esso suona così:

Federico n. . del Carroccio

93

7-8. Capitello medioevale su una colonna di verde antico nella Sala dei Capitani in Campidoglio. SEDENTE BENEDICTO xut PONT: MAX. binas e marmore Lacedaemonio columnas olim sustinentes triumpbale donarium ex bostium manubiis veteri more Urbi transmissum A FRIDERICO 1 IMPERATORE e secretiori aedium Capitolinarum recessu ubi neglectae latebant in splendidioren banc aulam transferri curarunt. prorogato beneficentia Principis magistratu Paulus Marchio de Maccaranis Camillus Capranica Cos Prosper March. de Caffarellis Lotharius March. de Lotberis Prior Cap. Reg. addito Fridericianae epigrapbis exemplo Ne tanti bonoris Romano Capitolio babiti aut muneris augusti memoria interiret. Idib: Decembr: MDccxowi.

derivò dall'essere l'una e l'altra pietra a fondo verde. Comunque sia, non c'è dubbio che le binae columnae s'identificano con le due colonne verdi del monumento federiciano". Il marchese Capponi e suoi alleati erano dunque riusciti a salvare quelle colonne e a far sì ch'esse fossero trasferite in una splendidior aula. La cerimonia era prevista per il 13 dicem-

Il Bianchini aveva tradotto inesattamente il

«verde antico» del Capponi con marmor Lace-

daemonium, non riflettendo che il verde antico» corrisponde al marmor Thessalicum o Atracium; mentre il marmor Lacedaemonium & propriamente quello che si chiama «serpentino» un porfido durissimo proveniente dalle cave laconiche del Taigeto che, oltre tutto, per essere estratto in blocchi abbastanza piccoli, non si prestava alla fabbricazione di colonne. L'errore

9. Base di una colonna di verde antico nella S dei Capitani in Campidoglio.

94

bre 1727. Per l'occasione, il Papa si era anzi degnato di prorogare la durata delle magistrature capitoline. Ciò risulta dall'epigrafe stessa (pro-

rogato beneficentia Principis magistratu). 1 tre

Conservatori e il Priore dei Caporioni variavano, secondo la norma, ogni tre mesi. In questo caso, essi avrebbero dovuto decadere alla fine di settembre, con lo spirare del terzo trimestre, e invece rimasero anche durante il quarto. Si vede che già nel corso del settembre il Capponi e i suoi amici si erano dati d'attorno per la conferma dei magistrati in carica, ch'essi sapevano favorevoli alla propria tesi. Insieme alle colonne verdi, il Capponi aveva pensato di far esporre una copia dell'iscrizione (addito Fridericianae

epigrapbis exemplo): una copia, e non l'originale, probabilmente perché sembrava impresa difficile estrarre dalle murature, ad altezza notevole, quei grossi blocchi di marmo. Che l'impresa fosse difficile si constatò in realtà più tardi, nel 1744, quando l'epigrafe venne effettivamente tolta, per essere trasferita lungo le scale del Palazzo dei Conservatori!*. Scrivendo al Capponi il 19 novembre 1727 per mandargli il testo latino dell'epigrafe, Francesco Bianchini aveva aggiunto un poscritto:

«Ho parlato questa mattina con il marchese Maccarani del consaputo affare in genere e l'ho pregato di conferire con V. S. Il", di non parlare ad alui

Margherita Guarducci

che alli Ecc"! Colleghi del Magistrato per stabilire il luogo ove collocare si possa la memlori)a ritrovata».

Risulta dunque che il 19 novembre la cosa era ancora riservata (si temeva forse che il Papa tornasse sulla propria decisione?) e ancora non si sapeva dove quei cimeli avrebbero trovato posto Ma quale fu alla fine - dobbiamo chiederci

noi - il luogo prescelto? Si tratta, in sostanza, di

rintracciare in Campidoglio una coppia di splendide colonne di verde antico, possibilmente sormontate da capitelli medievali e corrispondenti per altezza alle indicazioni che il Capponi, nella sua lettera al Muratori, dette cir-

ca le colonne di granito che affiancavano le colonne verdi La ricerca non mi è stata difficile. Nel Palazzo dei Conservatori, e precisamente nella Sala dei Capitani, esiste una coppia di bellissime colonne di verde antico, con capitelli medievali (fig. 6), due colonne che il Trattato ottocentesco del Corsi sulle pietre antiche non mancò di menzionare! e che le guide turistiche seguitano ἃ ricordare con onore. L'altezza di codeste colonne corrisponde a quella richiesta. Ma la conferma ch'esse sono davvero le travagliate colonne verdi del monumento federiciano risulta clamorosamente da un'epigrafe incastonata nella parete attigua della medesima sala (fig. 5)”:

Federico n. . del Carroccio SEDENTE BENEDICO xit. PONT: MAX BINAS E MARMORE LACEDAEMONIO COLUMNAS DE SECRETIORI AEDIUM CAPITOLINARUM RECESSU UBI NEGLECTAE LATEBANT AD FULCIENDA ANTIQUI OPERIS ILLUSTRIA SIGNA AB ALEXANDRO CARDINALI ALBANO MUNIFICENTER DONATA IN SPLENDIDIOREM HANC AULAM TRANSFERRI CURARUNT ‘PROROGATO EX BENIFICENTIA PRINCIPIS MAGISTRATU PAULUS MARIA MARCHIO DE MACARANIS: CAMILLUS CAPRANICA Jem PROSPER MARCHIO DE CAFFARELLIS LOTHARIUS MARCHIO DE LOTTERIIS PRIOR CAP. REG. IDIBUS DECEMBRIS wDecxxva.

Ognuno vede che si tratta, in sostanza, della medesima epigrafe dettata dal Capponi e tra-

dotta dal Bianchini. C'è però qualche cosa di

meno e qualche cosa di più. Manca qualsiasi

accenno a Federico n e al monumento del Car-

roccio; v'è in più il ricordo di due sculture an-

tiche donate dal cardinale Alessandro Albani e destinate ad essere collocate sulle due colonne. Sembra anzi che il trasporto delle due colonne verdi dal secretior recessus del Palazzo Capitolino nella splendidior aula abbia come unico motivo quello di adibire le colonne a sostegno delle sculture generosamente donate dal cardinale. Che cosa era avvenuto? C'era stato, evidente-

95

Ma osserviamole meglio queste colonne verde antico. Il lapis Atracius, col suo fondo cupo verde-azzurro, con le sue macchie nere bianche, si rivela qui in tutta la sua bellezza.

di di e I

due magnifici esemplari, certamente di spoglio, provengono da un monumento romano in rovi-

na esistente, forse, nella vicina zona del Foro o del Palatino. I capitelli medievali (figg. 7-8) sono del solito tipo ionico, con un giro di ovoli e uno di astragali e con una rosetta che sbocci dalle volute. Le due colonne furono collocate su due basi quadrate di marmo bianco (fig. 9), sulla cui faccia anteriore vennero incisi, ad abundantiam, i nomi dei tre Conservatori e del Priore dei Caporioni dei quali Benedetto xin aveva prolungato la magistratura? Se il cardinale Albani aveva contribuito al salvataggio delle due colonne col dono dei due busti, anche Francesco Bianchini, traduttore del manipolato testo, volle fare qualche cosa. In quella occasione egli donò infatti al Campidoglio un'importante epigrafe da lui posseduta (fig 10). Scoperta da poco in un fondo della via Aurelia, essa portava la data del 1278 e commemorava l'intensa attività edilizia svolta da Nicolò m?. Che autore del dono fosse il Bianchini si deduce da un'altra lapide (fig. 11) che lo ricorda

mente, un compromesso. Il Papa aveva ceduto

alle pressioni del Capponi e di altri dotti che volevano salve le colonne, ma in cambio aveva preteso che si depennasse ogni ricordo dello scomunicato Federico 1 e del monumento da lui eretto in Campidoglio. Era intervenuto allora ii cardinale Albani, presumibile alleato del Capponi, con un dono che offriva il pretesto al salvataggio delle due colonne. Le sculture donate dal cardinale consistevano in due busti, l'uno di Settimio Severo, l’altro di un personaggio ignoto che fu interpretato come Traiano?! Le due

colonne poi, coi rispettivi busti, furono collocate alle due estremità della parete. Lo dimostra un'incisione che commemora la prima seduta dei Centumviri svoltasi nella Sala dei Capitani il 1° ottobre 1847, durante il pontificato di Pio ne. Più tardi, rimossi i busti, le colonne furono avvicinate come oggi le vediamo, di qua e di là dai tribunale dove i tre Conservatori e il Priore dei Caporioni amministravano la giustizia.

11. Fpigrafe che ricorda il dono del Bianchini in Campidoglio.

%

Margherita Guarducci

esplicitamente — obtulit Capitolio Franciscus Blanchinus Veronensis Ss. d(omini) n(ostri) Papae prael(atus) domest(icus) —, affermando che di quel dono curarono la sistemazione i noti magistrati capitolini, alla medesima data 13 dicembre 1727%. Anche queste due altre lapidi vennero murate nella Sala dei Capitani”. Si noti che, essendo Nicolò m della famiglia Orsini, come lo era Benedetto xiu, il dono del Bianchini assumeva un maggiore significato e si prestava ancora meglio ad impegnare la benevolenza del pontefice ai fini del desiderato salvataggio. Si direbbe, insomma, che nella Sala dei Capitani siano raccolti i principali documenti relativi al dramma felicemente concluso delle colonne verdi. Le due colonne verdi avevano già trovato rifugio nella Sala dei Capitani. Le tre di granito, invece, andarono disperse. Non sarebbe tuttavia improbabile che una delle tre fosse da identificarsi con quella che sostiene oggi una copia della Lupa capitolina davanti all'ingresso del Palazzo senatorio (fig. 12): una bella colonna di granito grigio proveniente dalle cave egizie del mons Claudianus. A favore di questa ipotesi starebbero le misure che sembrano coincidere con quelle indicate dal Capponi al Muratori nella sua lettera del 6 settembre 1727 Quanto all'epistilio iscritto, esso rimase, per il momento, al suo posto. In un documento dell'Archivio Storico Capitolino, Francesco Valesio @ 1742) attesta appunto di averlo veduto «nel cornicione del torrione vecchio di Campidoglio

nel cortile delle segrete delle carceri capitoli ner. Dalla sua copia dell'epigrafe risulta poi che l'epistilio era scompaginato, col terzo pezzo separato dagli altri due”. Ad un certo momento, anche l'epistilio ven-

ne tolto dall’oscuro luogo in cui si trovava e

posto in maggior evidenza. Erano già morti Be-

nedetto xm (f 1730) e il suo successore Clemente xr ( 1740) e sedeva ora sul trono pontificio Benedetto xıv, il famoso papa Lambertini. La decisione di trasferire la storica epigrafe venne presa dalle autorità capitoline (d'accordo

12. Colonna di granito grigio in Piazza del Campidoglio.

- s'intende — col Papa) il 3 dicembre 1744. Ce ne informa un altro documento dell'Archivio, dal quale risulta altresì che fu impresa non facile il calare a terra quei marmi dall'alto cornicione. Finalmente il lavoro venne compiuto e l'epigrafe fu murata lungo le scale del Palazzo dei

Federico n. . del Carroccio

97

del monumento eretto in funzione del currus praetoriani vexilli (Carroccio), che l'augusto Federico aveva raccolto dalle spoglie della guerra milanese e mandato in dono a Roma. 1 tempi erano cambiati. La mente aperta del papa Lambertini era già riuscita a vedere nel

dono di Federico 11 un omaggio sincero e doveroso dell'imperatore germanico al Campidoglio e alla Città Eterna. ADDENDUM

13. Lapide del 1774 rimasta in situ in Campidoglio.

Conservatori, nella parete destra della seconda

rampa”. Mentre ai piedi del torrione restò una piccola

lapide (fig. 13) che indicava il sito originario del monumento e ne commemorava il trasporto®, la storica epigrafe venne accompagnata da un’altra lapide (fig. 14) che fu apposta al di sopra di essa nella medesima parete delle scale. Oggi anch'essa si trova, insieme all'epistilio iscritto, nella Sala del Carroccio.

di quest'altra lapide settecentesca?!

Ecco il testo

BENEDICTO xiv PONT. MAX. von GVRRVS PRAETORIANI VEXILLI MEDIOLANENSIS BELLI MANVBYS ‘A FRIDERICO 1. AVGVSTO ROMAM DONO MISST MONVMENTVM EX INTERIORI CAPITOLI! PARTE IN APERTUM LOCVM TRANSFERRI MANDAVERIT PRINCIPI OPTIMO. ET AD VRBEM ORNANDAM PROVIDENTISSIMO ANTONIVS AMADEVS MCARCHDO DIDACVS ANDOSILLA MCARCHDO IOSEPHM. MACCARANVS CO(MES) STANISLAVS NEGRONVS C(APORIONVM) R(EGIONVM) PCRIOR) POSVERVNT I magistrati capitolini sono quelli che erano

1I Prof. Reinhard Elze, coltissimo studioso di Fe derico i, e della sua età, ha cortesemente richiamato la mia attenzione sopra un articolo abbastanza recente di Otto H. Becker (Zur Bedeutung der Farbe grün für die späten Staufer, in Geschichtsschreibung und geistiges Leben im Mittelalter. Festschrift für Heinz Löwe, ecc., Köln-Wien 1978, pp. 490-502). In queste pagine, l'Autore esamina accuratamente le molte fonti che attestano la predilezione per il colore verde dimostrata da Federico n e da altri sovrani svevi, e la spiega col desiderio ch'essi avevano di dare impulso al patriziato romano, di cui il mantello verde era caratteristica insegna. Comunque sia, la provata inclinazione di Federico n verso il verde sembra intonarsi alla scelta di coNonne verdi per il monumento del Carroccio. Nore * Questo studio è stato oggetto di una mia comunicazione alla Pontificia Accademia Romana di Archeologia nella seduta pubblica del 23.1.1984. Edita in Xenia, 8, 1984, pp. 83-94.

je

in carica nel quarto trimestre del 1744. Ma ció che soprattutto importa rilevare è lo spirito mutato rispetto all'epigrafe del 13 dicembre 1727 incisa sotto Benedetto xir, che accompagnò la sistemazione delle colonne verdi. Mentre lì il ricordo di Federico n e del suo monumento viene relegato nell'ombra, qui si parla apertamente

14. Lapide del 1744 commemorante il trasporto in Campidoglio.

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* Giò risulta dalla cronaca milanese del frate domenicano Gualvano de la Flamma, vissuto nel medesimo secolo xm (dt. L A. Mun«ronı, Rerum Italicarum Scriptores, xi, Mediolani 1827, col. 673 s; ID., Annali d'Italia, ecc., vn, Milano 1744, p. 238) ? per lenciclica di Pier delle Vigne: ILA. HunzARp-Bnénouuts, Historia diplomatica Prideric secundi, 1, Parisis 1857, p. 137 s Per il trasporto dei resti del Carroccio a Roma, cf. fra l'altro, gli Annales Placentini Gibellini Gn. Mon. Germ. Histor, Scriptores, 18, Hannoverae 1836, p. 478). ? Per la lettera di Federico ai Romani: Hnau-Batnouuts, pct p. 1618 41 sei versi οἱ sono stati tramandati dai cronisti Ricobaldo ferrarese € Francesco Pipino bolognese (Munato®I, Rerum Ialicarum Scriptoris ci, x, pp. 246 e 658). * Cfr. Annales Placentini, loc. ci. * L'incendio dei resi del Carroccio è attestato dalla Cronaca di fra’ Salimbene de Adam (Mon. Germ. Hist, Scriplores, 32, Hannover-Leipzig 1913, p. 95: «sed Romani combusserunt illud in vituperium Friderici 7 La copia del Signorli ci è stata tramandata da vari codici, fra i quali è pregevole uno della Biblioteca Vaticana, Cbigi 1, v1 204 (€ 27 9). Cit. R. VauesriNtG. Zuccuern, Codice Topograficodella Città di Roma, iv, Roma 1953, p. 207. Per l'iscrizione, ci. V. FoncetLa, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo xa fino ai giorni nostri 1, Roma 1845, p. 25, n. 1; CIL, vi p. 2001, n.° 76. "Cfr. F. Const, Delle pietre antiche, ecc., Roma 1845, p. 160 s; X. Gnou, Marmora Romana, Roma 1971, pp. 136-138. Già nel 1564, per recuperare un pezzo di colonna di verde antico, si fece un bando promettendo un premio di 25 scudi (cfr. Gxou, op. cir, p. 138, nota D. * cit. P. Casio ROMANO, Memorie itoriche della Chiesa e Convento di 5. Maria in Araceli di Roma, Roma 1736, p. 109. ?10.cp. cit,p. 110, ? Non si può escludere che i suddetti abbellimenti di verde antico nella chiesa dell'Aracoeli provengano da certe colonne di quel materiale che sappiamo essere state importate proprio in quegli anni dalle rovine dell'antica Salona. Ciò risulta da un passo di C. Pea, Miscellanea filologica, storica e antiquaria, Roma 1790, 1, p. cum: «Altre colonne di verde antico anni prima (rispetto, cioè, al 1741) vennero a Roma da Salona in Dalmazia, patria di Diodeziano, che, segate, hanno servito per varie chiese- Cfr. per l'importazione da Salona Gnou, op. ci, p. 138. 7" Nel riconoscere la scrittura del Marmi ebbi il valido aiuto di Augusto Campana 3 G. Scano, Diario di Roma di Francesco Valesio, Milano 1978 vol. v, p. 846 ?* Archivo Storico Capitolino, Decrett della Ecc** Congregazione e Magistrati, 1724-1731 (Credenzone νι, t. 72, p. 188). Rinnovo i miei ringraziamenti lla dott.ssa Gaetana Scano per l'auto da essa prestatomi. ‘8 Archivio Storico Capitolino, Credenzone Vi, t 72, p. 193. 1° Alla copia del testo latino il Capponi aggiunge (675 In epistlio columnis imposito adhuc supersunt versus insculpti Gearts Augusti, ecc. I Capponi ricorda anche, a questo punto, i sei esametri mandati a Roma insieme ai resti del Carroccio (v. sopra). "Per il lapis Lacodaemonius serpentino), cr. Const, op. cit, pp. 205-209. La rarità e la relativa piccolezza dei blocchi di questa pietra risultano dalla seguente frase del Const (op. ct, p. 207: « come un portento si tengono due picciole colonne di serpentino verde che sono sopra un altare della Chiesa di S. Giovanni in Fonte).

Margherita Guarducci "er. più avant, p. 92. "9 Consi, op. cit,p. 366 ® FoncrttA, op. cit, p. 77, n. 224. Cfr. E. Ronocanacia, Ze Capitole remain antique et moderne, ecc, Paris 1904, p. 157 € not 5. 3 Per questi due bust, cr. E. PLacnen, in E. Prarwen,C. Bux sen, E. GemanD,W. RosTeLL, Beschreibung der Stadt Roma, m, 1, Stutgar-Tübingen 1837, p. 116 5 C. PIETRANGELL, «Capitoium, 37 (1962), p. 646, il quale ct in proposito un interessante inventario del 1729 (Archivio Storico Capitolino, Credenzone tv, t 6,192). 2 Cfr Pierani, art. cit,p. 640, figura in basso a sinistra. 7 Esse furono ripulite, come attesta il Capponi, nel 1727, subi το dopo la scoperta (v. sopra, p. 86) e forse già prima, nel x secolo, quando vennero assegnate al monumento federiciano. La colonna di destra presenta in basso un'ampia zona scilpellata sulla quale non oso pronunciarmi. Parimenti non oso tentare di definire meglio la provenienza delle colonne. ?Foremua, loc. ct, n. 225 310, op. cit, p.25, n.2 * 1D,, op. cit, p.77, n.226, ©Pırrmangeus, art. ct,p. 646. Archivio Storico Capitolino, Credenzone xiv, τ. 39, f. 39 u 7? Archivio Storico Capitolino, Credenzone vni, t. 39, f. 437 rv Geduta del 3 dicembre 1744); cr. RonocanacHI, op. cit, p. 14. "rascrivo integralmente il testo (imperfetamente riferito dal Rodocanachi), dopo averlo accuratamente rivisto: "Volendo l'Ecc** Sig* Conservatori dell'nclito Popolo Romano trasportare l'antica memoria incisa nellarchitrave di marmo dell'antico portico, ove di presente sono le finestre del palazzo Senatorio in Campidoglio, rappresentante il dono fatto da Federico 1 Svevo Imperatore alla Città di Roma del Carroccio di Cremona preso nel saccheggio di Milano; ed essendosi a tal effetto dall'Ece* Conservatori ricercata l'offerta per avvantaggiar la spesa per l'Ece Camera capitolina, quale fu data dal Capo Mastro dell'Ece® Camera Bartolomeo Maggi in scudi trecento [sid con dichiarazione non potersi far a meno, per il che fattosi dall'Ecc® Signore Diego Andosilla uno de’ Conservatori richiesta a Carlo Fedele, Capo Mastro muratore per detta opra, fu dal medesimo Fedele ricercata la somma di scudi ventisette, con dichiarazione doversi dal medesimo a proprie spese levar l'opra e calar a basso detta inscrizzione in tre pezzi di mano del sudetto architrave longa palmi 1. 7, alta p. 1 2/3 grossa p. 1 1/2, con doversi dal medesimo rimurar il sto di detta inscrizzione e rifarsi dî stucco la comicetta per uni all'altro, che restava in opra; e doppo calata, tassllala nelle mancanze e rotture, segarla con lasciar il rustico di marmo a beneficio dellEcc Camera di grossezza palmi 1, dovendosi diminuir la grossezza della sudetta lapide a causa di far meno taglio nel mu10 delle / schale del Palazzo dell'5cc* Conservatori, ove a proprie spese deve trasportarla e porla in opra con riquadrarla atten tamente d'una fascieta di stucco». ?' ForceLLA, op. cit, p. 88, n. 249: «Nel Pal. Senatorio, nella parete del cortile delle antiche segrete delle carceri capitoine: pilum inscriptum / ad memoriam prodendam / currus vexili Mediolanensium / Priderico u Augusto Romam misst / ex boc loco ad proximas aedes / transferendum curaverunt / Antonius Amadeus / marchio Didacus Andostla/ m(archDo Ioseph M. Maccaramus consferuatore)s / co(mes) Stanislaus Negronus C(aporionum) regionum) p(rior) / anno Domini) unccxicoxne. Ya lapide fu, in epoca imprecisata, trasferita nella cosiddetta Camera del Boia, dove oggi si vede. P Poncrua, loc. cit, n. 248

MARGHERITA GUARDUCCI

L'iscrizione sul monumento del Carroccio in Campidoglio e la sua Croce radiata*

Il 27 novembre 1237, a Cortenuova presso

Per integrare la mia ricerca, vorrei oggi fare

Bergamo, Federico n vinse i Milanesi e i loro alleati della lega lombarda. Questa vittoria, che sembrò riscattare la sconfitta subita a Legnano nel 1176 da Federico Barbarossa, avo di Federico u, fu annunciata nel dicembre 1237 ai fedeli dell'Impero da una lettera enciclica scritta (non par dubbio) da Pier della Vigna, il celebre segretario dell'imperatore!. Nel mese successivo (gennaio 1238) i resti del Carroccio dei Milane, preziosa spoglia raccolta sul campo di battaglia, furono avviati verso Roma, quale dono di

qualche osservazione sull'epigrafe con la quale il monumento fu dal suo donatore solennemente dedicato (figg. 1-3)

lettera di lui, anch'essa evidentemente uscita dalla penna di Pier della Vigna?, Il dono imperiale giunse a Roma nell'aprile 1238 e fu subito sistemato in un monumento eretto per l'occasione sul Campidoglio. In un mio precedente saggio credo di aver dimostrato, in base a documenti editi ed inediti, che al monumento del Carroccio appartennero le due splendide colonne di marmo verde (lapis Thessalicus o. Atracius, detto comunemente «verde antico») che si trovano oggi nella Sala dei Capitani, nel Palazzo dei Conservatori, e delle quali fino allora s'ignorava la provenienza. Più precisamente, le due colonne verdi adornavano un tempo la facciata del monumento federiciano, accompagnate da altre tre colonne, di granito, una delle quali è forse identificabile con quella che attualmente sostie-

tradizione manoscritta quattrocentesca, e precisamente nella Descriptio Romae eiusque excel-

Federico alla Città Eterna, accompagnati da una

ne la copia della Lupa capitolina davanti al Palazzo Senatorio?.

1. Iscrizione del Carroccio di Federico m in Campidoglio.

Questa iscrizione è incisa nell’architrave so-

stenuto dalle cinque colonne. Essa fu scoperta nell'estate del 1727. Ciò risulta da una lettera scritta il 6 settembre di quell’anno dal marchese Alessandro Gregorio Capponi a Ludovico Antonio Muratori, il quale ne pubblicò il testo nel secondo volume delle sue Antiquitates Italicae Medii Aevi, uscito nel 1739", ma già da tre secoli il testo era noto. Esso figura già, infatti, nella lentia redatta nella prima metà del xv secolo da

Nicolò Signorili e da lui dedicata al papa Marti no v (t 20 febbraio 1431). Il Signorili copiò

Vepigrafe ancora in situ, nell'interno dell'odierno

Palazzo Senatorio, e la sua copia venne abbastanza largamente ripetuta?.

Più tardi, nel 1744,

la grande iscrizione fu trasferita lungo le scale del Palazzo dei Conservatori, per essere poi — ai nostri giorni — esposta nella sala detta appunto del Carroccio* L'epistilio iscritto, perfettamente conservato, misura m 6 di lunghezza e 0,36 di altezza, ed & ornato superiormente da una cornice. L'epigrafe, incisa con lettere alte cm 6, ἃ quanto mai decorosa. Lo dimostrano l'accuratezza dell'incisione e i larghi spazi che separano le parole l'una. dall'altra. Si tratta, insomma, di una dedica bene intonata alla solennità regale del monumen-

Margherita Guarducci

100

2. Iscrizione del Carroccio di Federico n in Campidoglio: particolare.

10. La scrittura è di tipo capitale, con immissione di alcuni elementi gotici”. Il testo, preceduto da una caratteristica Croce, sulla quale mi riservo di tornare, consiste in tre distici elegiaci espressi rispettivamente su tre righe: + Cesaris Augusti Friderici, Roma, secundi dona tene currum perpes in Urbe decus. Hic Mediolani captus de strage triumpbos Cesaris. ut referat inclita preda venit. Hostis in opprobrium pendebit, in Urbis bonorem mictitur, bunc Urbis mictere iussit amor. «© Roma, mantieni come dono di Federico secondo Cesare Augusto, a perpetuo ornamento nella Città, questo carro. Esso, preso a Milano dalla sanguinosa battaglia, viene a te, insigne preda, a rappresentare i trionfi di Cesare. Pender a vergogna del nemico, ἃ mandato in onore della Città; l'amore della Città comandò di mandarlo?.

1l carme allude esplicitamente alla battaglia di Cortenuova e alla cattura del Carroccio milanese. Mandando a Roma la preziosa spoglia, l'imperatore intende associare i suoi trionfi a quelli antichi della Città. Il cimelio da lui conquistato riuscirà di onore a Roma, per amore

della quale egli si sente obbligato a mandarlo. Il verbo pendebit (v. 5) trova la sua spiega: zione nel passo di un cronista del xm secolo, Tomaso Tusco, autore di un libro intitolato Gesta imperatorum et pontificum che fu probabilmente redatto nel 1279. In esso infatti si legge che il Carroccio (chiamato, al femminile singolare, carrochia) venne appeso (suspensa)!°. E in realtà, quando si pensa che la spoglia del Carroccio conquistata da Federico consisteva

principalmente in ruote e stanghe", non si stenta a comprendere ch'essa venisse per l'appunto appesa. D'altra parte, la frase bostis in opprobrium pendebit evoca opportunamente l'immagine di un condannato che pende dal patibolo! Nella sua Storia di Roma nel Medioevo, Ferdinand Gregorovius osservò scetticamente che i

trofei dei quali i Romani adornavano ora il loro muscoso Campidoglio avrebbero fatto ridere allegramente gli antichi conquistatori del mondo”. Ma bisogna riferirsi ai tempi: nel 1238 la dedica di una spoglia opima di Federico n sul Campidoglio assumeva un profondo significato. Per quanto riguarda la paternità dei versi dedicatori incisi nell'epistilio a noi pervenuto, alcuni studiosi si sono astenuti dal fare nomi, altri hanno fatto quello di Pier della Vigna, ma senza addurre alcun argomento che in qualche modo sostenga la loro tesi't. Sottoposti i sei versi ad un attento esame, credo di poter oggi provare, con buoni motivi, ch'essi uscirono ve-

ramente dalla penna del famoso segretario di

Federico.

Anzitutto bisogna riflettere che il testo di un'epigrafe di tale impegno, destinata ad eternare in Campidoglio la gloria del sovrano vittorioso, non avrebbe potuto essere affidata ad un uomo qualunque, ma doveva esserlo ad un uomo che brillasse — nella corte imperiale — per autorità e cultura.

E veramente nessuno si pre-

stava all'onorevole incarico meglio di Pier della Vigna. Egli infatti era colui che, ben lontano dal prevedere l'orrenda sua fine, teneva ancora, per dirla con Dante, «ambo le chiavi del cor di Federigo- e che, per di più, aveva preso viva parte

agli avvenimenti. Lo dimostrano i due scritti sti-

lati quasi certamente da lui: Venciclica inviata ai fedeli dell'Impero nel dicembre 1237 e Pepistola di Federico ai Romani che accompagnò il dono del Carroccio nel gennaio 1238. D'altra parte, Pier della Vigna possedeva una vasta cultura e sapeva elegantemente comporre versi e in lati-

no e in volgare". Era dunque vorrei dire inevitabile che a dettare la solenne dedica del Carroccio fosse proprio lui. Ma un esame ap-

profondito del testo stesso ne dà conferma.

Uno dei versi più significativi a questo ri-

guardo è il sesto (il pentametro del terzo distico), con le parole bunc Urbis mictere iussit

101

L'iscrizione... del Carroccio

3. Iscrizione del Carroccio di Federico in Campidoglio: particolare. amor. Si noti che la medesima clausola del pentametro in amor ricorre in due versi latini dello stesso Pier della Vigna (vix celare potest intima cordis amor, e et iam cum lacrimis grata reliquit amor). Essa compare altresi, col mutamento di amorin amore, alla fine dell'ultimo verso di un suo carme in volgare (Però 5 ἴο fallo il mi perdoni Amore)”. Queste osservazioni aprono un'altra via alla ricerca. È risaputo che durante il Medioevo la

poesia di Ovidio godeva larghe simpatie. Particolarmente legato al poeta di Sulmona sembra poi essere stato il nostro Pier della Vigna". Ora, la clausola del pentametro in amor, è quanto mai frequente nell'opera ovidiana, un vero e proprio luogo comune. Fra gli ottanta versi e più che ne ho raccolti scorrendo le Concordanze di Ovidio, due ve ne sono che rispetto all'epigrafe del Carroccio assumono, a mio giudizio, una singolare importanza: un verso delle Heroides (iv, 10) e uno dei Tristia (u, 160). Nel primo caso — in una lettera di Fedra ad Ippolito — l'eroina esprime per iscritto all'amato i sentimenti che non ha osato esprimergli a voce: dicere quae puduit scribere iussit amor. Il secondo verso Suona così reddatur gratae debitus Urbis amor. Le cadenze di questi due pentametri ovidiani si consertano, come si vede, nel ter20 pentametro della nostra epigrafe: bunc Urbis mictere iussit amor®. Ma c'è di più. Nell'epigrafe risuonano parole significative che si leggono sia nell'enciclica del dicembre 1237 sia nella lettera di Federico n ai Romani del gennaio 1238. Ecco quanto mi è occorso di rilevare: v. 1, perpes in Urbe decus (cfr, nella lettera di Federico, ad extollendum decus Urbis e memoriale Iriumpbi Cesarei decus in Urbe dispositum) v.2, inclita preda venit (cî., nell'enciclica, venit inclytus imperatore, nella lettera, victorum hostium predam).

v. 3, in Urbis bonorem (cfr., nell'epistola, ... quin interim Urbis bonorem... extollamus)

Sembra dunque che tutto converga a farci riconoscere in Pier della Vigna l'autore dei tre. distici incisi nel monumento. Un cronista bolognese, Francesco Pipino, vissuto fra il xm e il xiv secolo, tramanda che il Carroccio 0, meglio,

i suoi resti furono inviati a

Roma accompagnati dal seguente titulus.

Urbs decus orbis ave; victus tibi destinor, ave, currus ab Augusto Friderico Caesare iusto. Fle Mediolanum, iam sentis spernere vanum imperii vires proprias tibi tollere vires. Ergo triumpborum potes urbs memor esse priorum, quos tibi mittebant reges qui bella gerebant. Sono sei esametri o, per essere più esatti, tre coppie di versi leonini, intessuti di concetti

trionfali e di termini altisonanti. Il cronista chiama questo carme (titulus, donde si potrebbe desumere ch'esso fosse destinato ad essere inciso nel monumento. Sta di fatto però (ebbe già a notarlo il Muratori) ch'esso è diverso da quello che effettivamente vi fu inciso e del quale, viceversa, nessun cronista fa menzione? Non si puó escludere, a rigore, ch'esso sia stato in una parte del monumento a noi non pervenuta. A me sembra tuttavia ch'esso sia tanto differente dall'altro da indurci a dubitare di codesta ipotesi. A parte infatti la diversità del metro (distici elegiaci nell'uno,

esametri

leonini

nell'al-

iro) e della fattura poetica (elegante nel primo, abbastanza goffa nel secondo), esistono anche differenze di contenuto. Nel secondo infatti, e solo in esso, compaiono una diretta ed energica minaccia a Mediolanum e un ricordo esplicito degli antichi trionfi di Roma, quando i re debellati mandavano i trofei alla città regina; dove si noti, fra l’altro, la confusione fra trionfi e trofei (iriumpborum... quos tibi mittebant reges, ecc)? Forse che il carme di fattura deteriore fu sostituito, all'ulimo momento, dal carme più ele-

Margherita Guarducci

Il verso (esametro) s'intona alle minacce che

Federico aveva espresse, nel terminare la sua

lettera, a quelli dei Romani che fossero animati

da cattive intenzioni, ed è comunque una nuo-

va e manifesta affermazione della sua autorità. Non

mi sentirei anzi di escludere

che autore

del verso fosse anche qui Pier della Vigna. A favore di questa ipotesi parlano, forse, certe re-

miniscenze di Ovidio, poeta che, come si è vi-

sto, fu caro al potente segretario del sovrano”. Vengo infine ad un particolare sino ad oggi trascurato: la Croce che precede il testo della dedica (fig. 4). Si tratta di una Croce di tipo fra latino e gre-

co che si distingue per una caratteristica: dal-

l'incrocio dell'elemento orizzontale con quello verticale si dipartono ai quattro angoli altrettante linee sottili terminanti ciascuna con tre puntini. Questi ultimi sono, evidentemente, un'ag-

giunta decorativa, come i puntini che si vedono

all'estremità destra dell'epigrafe, ma le linee sottili vogliono rappresentare raggi di luce. Siamo, insomma, davanti ad una cosiddetta Croce radiata. ne del Carroccio di Federico i: particolare della Croce radiata. gante? In questo caso bisognerebbe ammettere. che Pier della Vigna fosse presente a Roma quando il monumento fu eseguito, cioè poco

dopo l'aprile 1238. Per la verità, le nostre fonti

tacciono circa le sue vicende in quest'epoca.

Certo, un rappresentante dell'imperatore dovet-

te essere a Roma per assistere alla sistemazione

del Carroccio, e sarebbe una suggestiva ipotesi, ma non più di una ipotesi, quella che codesto rappresentante sia stato per l'appunto Pier della Vigna. Oltre il carme riportato da Francesco Pipino, un altro verso accompagnò a Roma gli avanzi

del Carroccio e fu, a quanto sembra, inciso davvero sopra o presso il monumento capitolino. Ciò risulta dalla già citata Cronaca di Tomaso Tusco, redatta, come ho detto, intorno al 1279%. Parlando del Carroccio (carrochia) inviato da Federico n a Roma ed appeso (suspen5d) in Campidoglio, il cronista aggiunge: ubi fecit imperator bunc versum poni: Cesaris arma time, iubet bec carrochia, Roma".

Non sarà inutile — io credo — passare in ras-

segna le Croci radiate che finora si conoscono per l'epoca compresa fra il iv e la metà circa del xiv secolo. Dopo alcune ricerche, nelle quali ho messo a profitto anche la dottrina e l'esperienza di amici, sono riuscita a comporre

un elenco di citazioni, del quale peraltro non oso garantire la compiutezza. Seguo, all'incirca, un ordine cronologico. In ORIENTE

1. Sehremini presso Costantinopoli, ipogeo decorato da affreschi. Sulla chiave di volta di un

arco è dipinta una Croce gemmata iscritta in un

cerchio e intersecata da quattro raggi dorati. Nella lunetta sottostante sono tre Croci (non radiate), di cui la mediana - più piccola — al di sopra di una fenestella. Seconda metà del 1v secolo”. 2. Sofia (Bulgaria), mausoleo affrescato. Sulla volta, entro un alone azzurro circondato da una corona, spicca una Croce gemmata con le estremità fiorite e con quattro raggi che intersecano

l'alone. Di qua e di là, disposte orizzontalmente e anch'esse fiorite alle estremità, sono due Croci decisamente latine, non radiate (fig. 5). Nella lu-

103

L'iscrizione... del Carroccio

netta sottostante è un'altra Croce radiata fra due pavoni, Seconda metà del iv secolo. 3. Salonicco, basilica dell’Acheiropoietos. Alla sommità dell'arco mediano del tribelon, un mosaico rappresenta — su fondo aureo, dentro un disco sfumato di azzurro — una Croce ornata di pomi all'estremità dei bracci, con fasci di raggi che emanano dai quattro incroci. Secondo quarto del v secolo (circa 431-450)". 4. Presso Kartnim, nella regione della Tur Abdin (Turchia), chiesa del monastero di Der "Amr (dedicato ai santi Samuele, Simeone e Gabriele). Nella volta principale un mosaico presenta -- in corona - una Croce gemmata da cui emanano quattro raggi d'argento, mentre sullo sfondo, fra i raggi e i bracci della Croce, brillano stelle esse pure argentee. Altre due Croci a mosaico, ma non radiate, si trovano sulla volta di due porte laterali, a Ovest e ad Est. Data molto probabile: 512”,

5. Costantinopoli, chiesa di Santa Sofia. Nella rampa della scala di sud-ovest, un affresco presenta una Croce gemmata e radiata iscritta in un cerchio. Età giustinianea (circa 532)". 6. Monte Sinai, monastero di Santa Caterina. Due pannelli nel muro esterno contengono una Croce latina a forte rilievo, dalla quale si staccano, ma soltanto verso il basso, due raggi espressi da linee incise. Medesima epoca (circa 536-548)".

7. Resafa - Sergiopolis (Siria), Cappella epi-

scopale. Nell'abside, un affresco rappresenta — in una corona — una Croce gemmata circondata

da tre cerchi concentrici, coi soliti quattro raggi emananti dagli incroci. Seconda metà del vi secolo». 8-10. Tre coperte ebumee di Evangeliari con-

servate rispettivamente a Erevan (U.R.S.S.), nel-

chio, al di sopra della Vergine col Bambino, fra gli arcangeli Michele e Gabriele. Prima metà del vii secolo* 12. Nicea, chiesa (oggi distrutta) della Dormizione. Nell'abside, un mosaico con scena di etimasia presenta sul trono vuoto una Croce (col Crocifisso), dai cui quattro incroci emanano

quattro fasci di raggi. Fine del vi secolo* 13. Monte Sinai, monastero di Santa Caterina. Ala destra di un trittico dipinto (al rovescio). Vi si vede la parte destra di una Croce gialla (colore imitante l'oro), ornata di perle e di gemme, dalla quale emanano i raggi. Probabilmente vi secolo”. 14. Palestina, poi a Roma nella Cappella del Sancia Sanctorum in Laterano, ora nel Museo Cristiano della Biblioteca Vaticana. Reliquiario di legno con dipinti a tempera: scene evangeliche nell'interno e Croce radiata sul coperchio.

Fra il vi e Ivan secolo”. 15. Costantinopoli, chiesa di Santa Sofia, al di sopra della rampa delle scale, nell'Alcova verso sud-ovest. Mosaico con due esempi di Croce radiata, dentro tre cerchi concentrici di tessere azzurre. Fine dell'vm secolo”. 16. Ibidem, nelle lunette della galleria occidentale. Croci radiate espresse a mosaico, a noi note soltanto dai disegni di Gaspare Fossati,

che restaurò la chiesa fra il 1847 e il 1849. Et incerta, dall'vın secolo in poit 17.

Efeso, cimitero dei «Sette Dormienti».

18.

Presso

Mileto,

sul

monte

Latmo,

nella.

grotta dei «Santi Apostoli». A sinistra dell'ingres-

so, sulla parete intonacata di bianco, spicca

la Biblioteca Matenadaran; a Parigi, nella Bi-

bliothéque Nationale; in Vaticano, nel Museo Sacro della Biblioteca: tutte e tre provenienti dall'Oriente cristiano. Nelle prime due la Croce (greca) radiata è inclusa in una corona Iriumphalis sorretta da due angeli; nella terza lo schema è identico, salvo la sostituzione di un clipeo alla corona. Tutte e tre sembrano appartenere al vi secolo (la terza è forse una copia di età successiva)”.

11. Cipro, Chiesa della Panagia Angelöktistos. Nella volta dell'abside si vede, eseguita a mosaico, una Croce radiata iscritta in un cer-

Af-

fresco rappresenante una Croce gemmata, dai cui incroci emanano quattro vistosi fasci di raggi rossi. xr secolo.

5. Sofia, Mausoleo. Croce radiata.

104

-- dentro un triplice cerchio — una Croce gemmata, da cui emanano quattro raggi bianchi. Dalla base della Croce salgono, di qua e di là, alcuni viticci. Medesima epoca’ 19. Serie di monete bizantine: Michele Ducas € Niceoforo Botaniates (1075-1080); Manuele 1 Comneno (1143-1180); Andronico Paleologo (1282-1328); Andronico m e Andronico mi (1325-1328). Croci radiate di tipo ora greco ora

latino? 20. Costantinopoli, chiesa di Santa Maria Pammakaristos. Croci radiate in corona espresse a mosaico”. IN Trauıa

21. Serie di monete battute dai duchi di Benevento: Grimoaldo 1v (806-817); Radelchis 1 (839-851); Adelchis (853-878). La Croce radiata è di tipo più greco che latinos. 22. Lecce, chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo, sul portale. Una Croce (latina) radiata apre l'epigrafe dedicatoria fatta apporre da Tancredi, conte della città. Anno 11805 23. Monopoli (Puglia), cripta di Lamalunga. Ad una parete, è dipinta una Croce radiata terminante in basso con viticci disposti a guisa di ancora (fig. 6). Età incerta (xi secolo?)”.

24. Anagni, Duomo. Nella cripta, il noto affresco riproducente Cristo in trono fra santi presenta alla destra del Redentore l'arcangelo Michele col globo in mano, sul quale figura una Croce radiata molto simile a quella dell'epigrafe del Carroccio. Probabilmente xin secolo: data a favore della quale parla anche la suddetta somiglianza® (fig. 7). 25. Ostia, basilica paleocristiana di Pianabella. Due blocchi di tufo rivestiti d'intonaco, forse ‘appartenenti ad una recinzione, presentano una Croce dipinta che dai quattro incroci emana un triplice raggio. L'edificio primitivo, di età costantiniana, fu rimaneggiato più volte durante il Medioevo, e ad un tardo rifacimento appartengono appunto le due Croci®. 26. Roma, epigrafe del Carroccio. Anno 1238. Questo esempio di Croce radiata è, per quanto mi risulta, finora unico a Roma”. A questo elenco debbono probabilmente essere aggiunti certi esempi di Croci a rilievo in cui sembra di ravvisare non tanto la presenza

Margherita Guarducci

di un chi GO, iniziale del nome Χριστός, sovrapposto alla Croce, quanto la traduzione in pietra di quattro raggi. Ricordo, ma senza alcuna pretesa di compiutezza, un paio di sarcofagi

siriaci e alcune transenne ravennati, ispirate —

queste ultime - da modelli orientali e forse addirittura eseguite a Costantinopoli?! Tenendo ora sott'occhio l'elenco da me redatto, si è costretti a riconoscere che la massima parte delle Croci radiate a noi note appartiene all'Oriente cristiano. Ciò induce, di per sé, a ritenere che proprio in questa zona sia l'idea sia l'immagine della Croce emanante raggi di luce abbiano avuto origine. E in realtà l'ipotesi non tarda a rivelarsi giusta L'idea di «Croce-luce- è già presente nellintreccio delle due parole greche significanti -luce» e «vita» (φῶς e ζωή). E] ZOH ς Luce e vita nel mondo è, secondo il Vangelo di Giovanni, lo stesso Cristo*, ma la disposizione cruciforme delle due parole sembra indicare che causa della luce e della vita sia, in particolare, la Croce del Redentore?. L'intreccio salutare, divenuto ben presto sigla profilattica, è attestato in Egitto già nella prima metà del 1v secolo, ma in Siria, dove probabilmente nacque, è forse ancora più antico. 1 primi esempi a noi noti di una vera e pro-

pria Croce radiata risalgono alla seconda metà del rv secolo e si trovano a Costantinopoli e nella Bulgaria (nrr. 1-2), ma il motivo è certamente più antico e dev'essere anch'esso cercato, probabilmente, nella regione siro-palestinese. Credo di non errare ammettendo che, se non all'origine, almeno alla diffusione di esso abbia dato impulso la tradizione della famosa visione di Costantino narrata da Eusebio, vescovo della palestinese Cesarea, nella sua Vita di Costanti-

no. Scrivendo fra il 330 e il 340, egli riporta, com'è noto, che alla vigilia della fatale battaglia

presso il Ponte Milvio (28 ottobre 312) una Cro-

ce luminosa, accompagnata dal motto augurale «vinci con questo» (τούτῳ νίκα), apparve nel cielo all'imperatore ed al suo esercito”. Questo racconto risalirebbe, secondo Eusebio, allo stesso Costantino che a lui lo avrebbe, per di più,

L'iscrizione... del Carroccio convalidato con un giuramento. Si noti che del-

la Croce luminosa parla soltanto la versione orientale di Eusebio, mentre la versione oc dentale del prodigio, rappresentata da Lattanzio, fonte autorevole ed anche più antica, non vi accenna affatto” Di altre Croci luminose comparse miracolosa mente nel cielo in età successiva sono giunti a noi più o meno attendibili ricordi*; ma la Croce di gran lunga più celebre resta sempre quella di cui per primo parlò Eusebio a proposito di Costantino e della sua vittoria. Bisogna poi constatare che abbastanza presto alla tradizione della Croce luminosa apparsa nel cielo a Costantino come presagio di vittoria S'intrecciò la leggenda dell'Invenzione della Croce sul Calvario, leggenda che - almeno nelle sue principali versioni — mette capo, più o meno direttamente, allo stesso Costantino”.

6. Monopoli, Cripta di Lamalunga. Croce radiata

nei nm. 1 e 2 del mio elenco (databili ancora alla seconda metà del rv secolo), col motivo delle tre Croci, evidente allusione al racconto evangelico delle tre Croci rizzate sul monte della Passione; dove la Croce radiata dev'essere ovviamente intesa come quella del Redentore, distinta mediante i raggi da quelle dei due ladroni? La leggenda di Costantino sopravvisse tenacemente nel Medioevo, sia nell'Oriente sia nell'Occidente. Nell'Oriente, la cui capitale portava il suo nome, Costantino venne addirittura associato alla schiera dei santi; nell'Occidente, il suo ricordo ricevette impulso dal concetto dell'impero cristiano cui la conversione di lui aveva dato luogo. Nel Medioevo sopravvisse anche, e fu propagata dall'Oriente verso l'Occidente, la tradizione della Croce luminosa, nella quale ormai si collegavano la vittoria presso il Ponte Milvio e l'Invenzione della Croce®!. La

dell'etimasia, e nell'affresco di Anagni (n. 24) si trova sul globo dell'universo, per dimostrare che con la Croce Cristo ha riportato la suprema vittoria? È anche abbastanza eloquente che a reggere il globo recante il segno della Croce radiata sia Michele, l'arcangelo vittorioso. Quanto poi alle monete, l'idea della Croce vittoriosa e trionfante non disdice ai sovrani dei quali le monete stesse portano l'effigie; e tanto più sintona agli imperatori di Costantinopoli che, discendendo da Costantino, hanno più degli altri il dovere e, insieme, il diritto di perpetuare la vittoria della Croce, strettamente collegata alla figura di lui Per tornare all'epigrafe del Carroccio, dirò che la sua Croce radiata risulta giustificabile sotto vari aspetti. In primo luogo, il suo carattere di trionfale vittoria è in evidente armonia con un testo che di una vittoria e di un trionfo

Questa contaminatio affiora già, a mio avviso,

Croce luminosa venne espressa figuratamente dalla Croce gemmata o radiata, od anche - con

evidenza maggiore - gemmata e radiata. Essa mantenne ad ogni modo, sia nell'Oriente sia nell'Occidente, l'idea di vittoria e di trionfo® Tale idea si manifesta — è ovvio — ancora più chiaramente quando la Croce è inclusa in una

corona (trionfale) e sollevata dagli angeli verso il cielo, ma anche in altri esempi. Così, nel mosaico di Nicea (n. 12) la Croce si erge, non senza un preciso significato, sul trono maestoso

vuole appunto eternare la memoria.

Non è anzi

inutile ricordare, a questo proposito, che pochi anni prima (nel 1231), all'inizio della costituzione di Melfi,

Federico

Il aveva

chiamato

se stes-

so proprio victor ac triumphator“. In secondo

luogo, una Croce di tipo «orientale», quale, come ho spiegato, è la Croce radiata, si addice benissimo a Federico m che, com'è noto, portava allora il titolo di re di Gerusalemme®. In terzo luogo, ammettendo (cosa non irragionevole) che nella Croce radiata perduri ancora un'allu-

Margherita Guarducci mug

CEN

7. Anagni, Cripta del Duomo, Cappella di San Tommaso di Canterbury. Croce radiata. sione a Costantino, si apre forse la via ad una suggestiva ipotesi È risaputo che Federico n ebbe tre nomi: Fri-

dericus dall'avo paterno Federico Barbarossa, Rogerius dall'avo materno Ruggero d'Altavilla, e Constantinus dalla madre Costanza. Questultimo, che gli fu imposto nel Battesimo, è autorevolmente attestato”, e doveva suonare agli orecchi dei contemporanei quale allusione non soltanto alla madre di Federico, ma anche al famoso imperatore Costantino, che godeva nel Medioevo un immenso prestigio ed era considerato — specie nell’Occidente - il modello dei principi cristiani”. Se ciò è giusto, il nome di Constantinus verrebbe ad acquistare, nei riguardi di Federico τι donatore del Carroccio a Roma, una certa attualità. Non era infatti difficile pensare che, come nel 312 dopo la vittoria presso il Ponte Milvio Costantino il grande era entrato a Roma quale trionfatore e protettore della Chiesa, così nel 1328, vinta la battaglia presso Cortenuova, Federico n chiamato anch'esso Costanti-

no, offrisse a Roma la spoglia trionfale del Carroccio e assumesse egli pure verso la Chiesa l'atteggiamento di protettore; un atteggiamento che, pur contrastando - è vero — con l'inimicizia da lui dimostrata agli ostili pontefici romani, non può essere negato. Ne fa fede, tra l'altro, una lettera che un fautore © ministro di Federico (molto probabilmente, Pier della Vigna) inviò nell'estate del 1240 a Gregorio 1x che poco prima aveva scomunicato e deposto l'imperatore (20 marzo

1239).

Interpretando senza dubbio il

pensiero del sovrano, lo scrivente esorta il papa

à non opporsi ad un principe difensore della madre Chiesa (nec opponas te principi matris Ecclesiae defensor), e ricorda la regale munificenza di Costantino verso Silvestro, alla quale la. Chiesa deve — egli afferma — «utto ciò che ora possiede di libertà e di onore:

Per tutti questi motivi, non appare strano — io penso -- che una Croce luminosa sia stata

eccezionalmente scelta ad ornare la dedica di Federico in Campidoglio.

L'iscrizione... del Carroccio NOTE

* Edito in Xenia, 11 (1986), pp. 75.84. * Cir LLA. Hunano-Batrouss, Historia diplomatica Priderici secundi, x, 1, Parsi 1857, p. 137 5 * Cfr Πυπιλκρ. Βκξηοικες, op. cit, p. 161 s. ? M. Guanpuccı, Kenia, 8 198), pp. 8594. LA. MuRatORI, Antiquitates licae Medii Avi, 1, Mediolani 1739, p. 401. * Cr. R. γαιαντινηισ, Zuccuern, Codice Topografico della cità di Roma, w, Roma 1953, p. 207. iscrizione compare in V. Foncrua, Le iscrizioni dell chiese e d'alri edifici di Roma dal se colo x fino at giorni nostr, 1, Roma 1869, p.25, n. 1, e in CIL νι, p. χκνὶ, n. "76. La prima riproduzione fotografia si trova presso P.zza, Roma e Impero medioevale (774-1252), Osiuro di Sudi Roman), tra di Roma, x), Roma 1947, tav. xvi, ct. p.493. “ Peri trasferimenti dell'epigrae, cr. il mio aricolo, in Xen ci, p. 92s; in quest sede pp. 875. 7 Gotche sono dovunque a ed nl è due vole la ula prima di curmume quell di urbe nella 1 ga), una vola a b honorem: nell 3 riga). τ C. Ῥατκανσειι, Capitolium, 32 (1957), p. 9 traduce non esattamente perpes decus con ‚omamento augurale e il pendebit con rimarrà». Per questo pendebi, soto. Ci. Mon. Germ. Hit, Scriptores, 22, Hannoverae 1872, pp. 483528 ? Qp. ct, p. 513. 1 Cf e mie osservazioni in Xenia, cit, p.83 e not 1. 7? KJ. Henuscn, Kaiser Friedrich 1. n Brifon und Berichten seiner Zi, Darmstadt 1978, p. 405, ha creduto di sentire in quel lo ost una diret allusione al papa Gregorio x inviso a Federico; có che peraltro resta, natumimente, incerto 5, Quconovics, Geschichte der Stadt Rom im Miller, v, Stutgar 1892, p. 186, nota 4: So schmuckten die Römer ihr bemoostes Capitol noch mit Slegeszeichen; aber diese Trofien Würden das laute Gelicher der antiken Weleroberer emegt haben 10 fece, fa li ali, A. Nnov, Roma nell'anno MDOXCONVI, pane2, Roma 1821, p. 619 7 Cr A. Honanp-Dnénouss, Vie er corespondance de Pierre de la Vigne, ministre de l'empereur Prádéri n, Paris 1864; E. Mosacs, Rend. Lince, 189, pp. 4551; E. Panırone, Alcuni carater del se ell cancelleria fadortciana, in Ati dl Convegno Internazionale di Studi Federiciani, Palermo 1950, pp. 288. 514 (pecalmente 287-304). "6 Honnano-Dnénouuss, op. cr, pp. 417, 420. δὲ tata di una legia in prosa diretta ad un'ignota dama, camme nel quale sono inserti 18 pentametri € 5 esametri. Cfr. PARATORE, op. cit, pp. 287.289. Ct il secondo verso con l'emendamento iam (invece di non enim dei codd) giustamente apporato dal Paratore Copctt, p. 290), in base a un verso di Ovidio (Met, νι, 523) che comincia appunto con et iam cum lacrimis, ecc. HutıanButtons aveva conett il non onim in non sine, che però non di senso. 7 HuinsarDBREHOLLS, op. cit p. 422. ? Per la predilezione di Pier della Vigna nei iquardi di Ovidio, ci Monaci, apcit, p. 49; PARATORE, op. cit, pp. 294-206 * Non potrei del tutto escludere che nellevidenza data ala parola amor alla fine di un carme pubblicato a Roma e dedicato a Roma si sentisse altresi un'allusione al famoso palindromo K9ma-Amorche godette favore anche nel Medioevo (cf. M. Besso, Roma e i papa nei proverbi e nei modi di dire, Roma 1900, pp. 128,165)

107 ? Mur«ronı, Rerum Ialicarum Scriptores τς, Mediolani 17: p.658. ? ID, Antiquitates Nalicae Medii Ace, u, Mediolani 1739, co. 491.1 Μυκατοκι (ibid) afferma che il carme è riportato anche dal cronista Ricobaldo ferrarese (er. Ital Script, ix, p. 247). Lo stesso si legge presso GREGOROVIUS (op.it, p. 185, con la vaante di 259 invece di 247). Ma le due citazioni, sono, per quanτὸ vedo, erronee. 2 Si noti, all'inzio, il bstccio, largamente conosciuto anche nel Medioevo, Urbs-orbis ? V. sopra SA p.513. 5. Con Caesaris arma comincia un verso dei Fasti 0, 13). 1 verbo timeresi unisce ad arma in Amores, 1,6, 30 € 39. L'uso del termine carrocbia (Pier della Vigna scrive currus o carroecium) può essere stato determinato dall'esigenza di un dattilo al penultimo piede dell'esametro. ^ Ricordo, con gratitudine, i seguenti nomi: prof. Mara Bon: fioli Panciera, prof. Pico Cellini, prof. Fernanda de' Maffei, dou. Erika Dinkler von Schuber, prof. Letizia Pani Ermini, dott. Jan Partyka, prof. Armando Petrucci, p. Michele Piccirillo, dott, GiuNana Santagata PN Figari, in Tortulae, Studien zu alicbristlichen byzantinischen Monumenten fi onore di J. Kollwitz (= -Rom. Quartlsch rf, Suppl. 30, pp. 131-139, fg, 5, av. 340). > DB. Filow, Sainte Sophie de Sofia, Sofia 1913, p. 102 s. fgg. 103-105; cfr. p. 169; V. AmnaLov, Tbe Hellenistic Originsof ByzantineArt, New Jersey 1961, pp. 255-257, fig, 116a. Il Fw Cop. cit. p. 105, fig. 110) ricorda un altro sepolcro di Sofia, con un'altra Croce radiata, nella quale da ogni incrocio escono tre raggi. > Sr. Ρειεκανιρες, Παλαιοχριστιανιχὰ μνημεῖα τῆς ΘεσσαJevisms "Ayeporoínros, Mov) Λατόμου, Thessaloniki 1949 (τ produzione anastatica 1973),p. 29, av. 7; In., Gli affreschi paleocristianied 4 più antichi mosaici parietali di Salonicco, Ravenna. che analoghe Croci sa 1963,p.51, fig. 11. Non si può escludere mo siate nella volta degli archi laterali minori. P ENG Hawiiss.M.C. Μύνρειι, DOP, 27 (1973), pp. 279-296 Gpecialmentep. 285 s. e fig. 7, 19). HR. CORMACK-E.W. Hawnans, DOP, 31 (1977), p. 202, fig. 8; cfr. p. 188, fig. v 7 GH. Fonsynt, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai. The Church and Fortress of Justinian, Ann Arbor 1969, tav. X AD, di p. 6. 7^], Lassus, Sanctuaires chrétiens de Syrie, Paris 1947, p. 299 5, fig. 109 a p. 300 (disegno, per il quale cfr. EJ. Hawks MIC. MunDtut, op. cit, p. 286, nota 58); F. DE Mare, Storia del l'Arte, 45 (1982), p. 104, fig. 6 (fotografia). ἘΠΕ. Vorsacn, Elfonbeinarbeiten der Spätantike und des Früben Mittelalters, Mainz 1976, nn. 102, 145, 223 ΞΕ WF. VotaacitJ. LAFONTANE Dosoone, Byzanz und der christliche Osten, Berlin 1968,p. 168, τὰν. 9. 7 V. Lazanw, Storia della pittura bizantina (edi. ialiana rielaborata e ampliata dall'autore), Torino 1967, fig. 24, cir. p. 67 dove pero non si accenna ai raggi). 9 Κ᾿ Werrzmans, The Monastery of Saint Gatberine at Mount Sinai. The Icons, Princeton NJ. 1976, τὰν. xixb, dr. p. 48 Gl diri to è un'immagine del profeta Elia: tav. xıxa); F. DE Marra, op. cit, 46 (1982),p. 197, fig. 5. ^ H. Guisan, Die römische Kapelle Sancia Sanctorum und ihr Schatz, Freiburg im Breisgau, p. 116, fig. 60 (per tuo il reliquario pp. 113-117). Cfr. L von Mart, Die Kunstiammlungen der Biblio-

108 deca Apostolica Vaticana, Rom-Köln 1969, p. 171, nn. 6-67 d'autore definisce inesattamente il segno del coperchio come un È. Que sto reliquiario sarà ripreso in esame dal dott. Jan Partyka, il quale mi ha intanto dichiarato di approvare la datazione vit-vm secolo (proposta a suo tempo da C. Cecchell) 9Corucx-Hawans, op. cit, p. 234; figg. 2425. © C. Manco, The Mosaics of St. Sopbia at Istanbul, Washing: ton 1962, p. 41 s, figg. 42:45. 4 Ἢ, GensmuuxGen, in Das Cómeterium der sieben Schläfer, Baden (Wien) 1937 (= Forschungen in Ephesos», rv, 2), p. 213 s, fig. 128 (a p. 213). © Tit, Wiscasb-O. Wuure, Der Latmos, Berlin 1913 (> Mile, κι, D), p.95, Agg. 118-119. © W. Womi, Catalogue of Imperial Byzantine Coins in tbe. British Museum, n, London 1908, p. 580 s. nn. 8695, tav. pou 12, Pin. GruensoN, Catalogue of tbe Byzantine Coins in Ihe DumBarton Oaks Collection and in tbe Wbittemore Collection, m, Washingion 1973, pp. 696-700, tave. xvin, 1, 2, 15, 19, 51, 58.1 quattro raggi emananti dalla Croce vengono tavola fraintesi come un x sovrapposto ad essa Cv, infr * H. Bürisc-C. Manco-D. Μουκικι, The Mosaies of δι. Mary Pammakaristos (Fettbiye Kami) at Istanbul, Dumbarton Oaks. Studies, Washington 1978, figg. 60.61. © W. Wnomi, Catalogue of the Coins of tbe Vandals, Ostrogotbs and Lombards... in the British Museum, London 1911, p. 574 s, nn. L5, av. xxm, 14-16e p. 182 s, nn, 23, tav. oo, 23. * A. Prmmuccı, La scrittura fra ideologia e rappresentazione, in Storia dell'arte italiana, vol. x, Torino 1980, fig. 3. Per il testo dell'epigrafe, ir. B. DE Saxcns, RAC, 23-24 (1947-1948), pp. 353365 (specialmente p. 360 5). 7 E. Bextaux-A. PranDi, L'art dans l'alie méridionale, νι, Roma 1978, tav. uc, cfr. p. 335 (vol. n) © C. Berrezu, «Paragone», 21 (1970), p. 92, tav. 40a. Un alfreco analogo, molto probabilmente eseguito dai medesimo artista, si trova nella chiesa della Badia di Grottaferrata, ma la Croce rappresentata sul globo è, qui, priva di raggi (ΒΕκτειαι, op. cit, tav. 406). 9 G. Sanracara, «Esercizi. (Università di Perugia), (1981), n © 11 motivo della Croce radiata è forse riconoscibile in un docomento d'Innocenzo m databile al 1207 (G. Barren, Acta pon Hficun, Exempla Scripturarum, τα, Cità del Vaticano 1965, tav. 13, cfr. pp. 16-18) ἘΚ, Prewnce, Expeditions to Syria 1904-1909, m B, Ley. den 1922, nn. 814, 1154; FW. Deicnwans, Ravenna. Geschichte und Monumente, t, Wiesbiden 1969, p. 70, fig. 58, . Kouwrrz-H. Henpeöngen, Die ravennatischen Sarkopbage, Berlin 1979 (= Die antiken Sarkopbagreies,vu, 2), p. 78,n. B 30, ταν. 82, 12 83, 1. Questi monumenti sono databili tra il e il v secolo. jones, 1, 4, cfr 8, 12. * Voglio ricordare qui, dietro cortes informazione del dott Jan Partyka, che nel 1984 una campagna di scavi organizzata dalluniversità di Ginevra a Kellia nell'Egito settentrionale ed alla quale egli partecipava ha rimesso in luce dentro un eremo databile allinizio del vi secolo (anteriore, comunque, al 626) una pittura muτοῖς in cui la Croce è accompagnata alle parole φῶς ζωῆς (s. ^ Cfr. le mie osservazioni in M. GuaDuccı, Epignafia greca, 1, Roma 1978, pp. 438 s, 457. 5 Eusentus, Vita Constantini 1, 282.

Margherita Guarducci % Bisogna prescindere, naturalmente, dal traduttore in latino. di Eusebio, il monaco Rufino di Aquileia, il quale, sia pure con qualche variante, segue il suo testo. 9 Lacravrius, De mortibus persecutorum, 444-5. Cir. M. Guanouccı, La capsella eburnea di Samagber, ecc. in «Atti e Memorie della Società Isriana di archeologia e storia dellarte, 78 (1978), pp. 47-49. Lattanzio, che scrive fra il 317 e il 321, parla soltanto di un sogno durante il quale Costantino sarebbe stato arcanamente ammonito di apporre agli scudi dei suoi soldati il segno. (la cosidderta Croce monogrammatica), compendio della Croce (9) e del nome abbreviato di Cristo Cer) © cfr. JA. Fannicius (ed. G.C. Hades) Bibliotheca Graeca, sive Notitia scriptorum veterum Graecorum, Hamburgi 1790-1809, vi, pp. 712.719; A. MONAGI, «Nuovo Bulletino di archeologia crisanas, 19 (1913), pp. 43:69, e tav. 1; P. FranciDr' Cavani, Costantiniana, Cità del Vaticano 1953 (= Studi e Testi, 171), p. 137, nota 179. ®Cir. A. Fnoıow, La relique de la vraie Grob ecc., Paris 1961, pp. 155-157. Si not che secondo la lettera (peraltro di dubbi tenticià) scrita da Cirillo vescovo di Gerusalemme a Costanzo 1 Parr. Gracca, 33, 1168 B), Costantino stesso avrebbe scoperto la vera Croce. ^^ Per alti esempi della medesima conaminatio nella tadizioinoscria, v. soto. L'intreccio dei due elementi è, ad esempio, manifesto in un inno copto risalente al Medioevo (G. Giasseranpia, in «Studia Orientalia Christiana Collectanea 7, 1962, p. 63) e in un inno popolare francese attestato fino dal xi secolo (C. Butte, Litumische Prosen des Mittelalters, vt S. (= Analecta Hymnica Medit Aci, 39, Leipzig 1902, p. 21, n. 10). Cfr. per la data di questulimo,A. Livper, Studi Medievali Spoleto), 16, 1 (1975), p. 66. ὧ Limperativo νίκα del motto τούτῳ νίκα rivolto arcanamente a Costantino trapassò nell'indicaivo νίκα da intendersi come acdamazione alla Croce (cf. M. GunaDuccı, in Mäldnges... offersἃ Pierre Boyancé, Roma 1974, pp. 383-386). ‘ Sono eloquenti, a questo proposito, le parole di TexrULuANos, Ado. Marc, 4, 20, p. 485, 11: cum morte proeliaturus (Christus) per tropaeum crucis riumpbavi. $ E. Kavrorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, DüsseldorfMünchen 1931, ı, p. 243. I| medesimo titolo portava l'imperatore Giustiniano all'inizio del suo celebre codice (Corpus furis civili, red, n, Berolini 1900, p. 2) Chr. Kaxronowicz, op. cit, pp. 130 s, 182 % Annales Studenses, in Mon. Germ. His, Scriptores, 16, Hannoverae 1859, p. 353, 16, a. 1198 Cocabatur autem a matre alio. nomine Constantinus) Cronica Reinbardsbrunnensi, ibid, 30/1, Hannoverae 1896, p. 558 (Constantinum elusdem imperatorifi lium regem cum imperialibus praecontis et magnis vocibus acclamabano) © Cfr. H. Woumaw, Miteilungen des Instituts für ósterreichische Geschichisforschung,, 63 (1960), pp. 226-249. © Honzaap-Butniotus, op. cit, p. 312. Per la data del documento: F. Graere, «Heidelberger Abhandlungen zur miti. und ‚neuer. Geschichte, 24 (1909), p. 61 5; HM. SCHALLER, «Deutsches. Archiv für Exforsebung des Minelalters, 11 (1954-1955), p. 143. Che la leggenda di Costantino fosse ancora viva a Roma è dimostrato dai noti affreschi della chiesa dei Santi Quattro Coronati (1238-1240) €, indirettamente, da quelli di poco posterori della chiesa di San Silvestro a Tivoli

ANTONIO GIULIANO

«...principes gentium sunt creati»*

1 cammeo con la gara tra Athena e Poseidon per il dominio dell’Attica è uno tra gli esempi più noti della glittica antica. Ispirato da un gruppo sull'acropoli di Atene! attribuito all'offiCina di Aspasios, fu, probabilmente, eseguito per Antonio. In possesso di Ottaviano dopo la conquista dell'Egitto, entró, forse, nello stesso tesoro imperiale. La iconografia delle figure rimase come un punto di riferimento già nell'anichità. Fu ripetuta ed arricchita (assumendo, anche, significato diverso da quello originale).

Cammei: Napoli, Museo Nazionale (fig. 5) A. Giuliano, in JI Tesoro di Lorenzo il Magnifico, I, Firenze 1973, pp. 42 ss., n. 6, tav. IX (con app. di T. Ritti) e «Prospettiva» 2, 1975, Early Cbristian and Byzantine Art (Exhibition 1947), Baltimore 1947,p. 113, n. 551, tav. IXVII (The Judgement of Paris: 2); Part two of the Notable Art Collection belonging to tbe Estate of tbe Late Joseph Brummer, New York 1949, p. 53, n. 227 (fig. 4).

1. Leiden, Penningkabinet. Incisione con Poseidon ed Athena.

2. Parigi, Cabinet des Medailles. Cammeo medioevale con Adamo ed Eva.

pp.

39

s.;

Tbe

Walters Art

Gallery

Baltimore.

Antonio Giuliano

110

stantinopoli del 1204, fu imitato in età federiciana: a Palermo (o, comunque, nell'Italia meri-

dionale) (figg. 7-8).

Cammei: Paris, Bibliothèque Nationale (figg, 7-8). E. Babelon, Catalogue des camées antiques et modernes, LII, Paris 1897, pp. 18 ss., tav. V, 27; H. Wentzel, Die Grosse Kamee mit Poseidon und Athena in Paris, in «Wallraf-Richartz-Jahrbuch- 16, 1954, pp. 53 ss. R. Kahsnitz, in Die Zeit der Staufer, 1, Stuttgart 1977, p. 693, n. 886; ibid., v, Stuttgart 1979, pp. 477 ss.; Les Fastes du Gotbique, le siecle de Charles V, Paris 1981, p. 207, n. 166 (D. Alcouffe); Bi-

bliotbéque Nationale, Cabinet des Médailles et Antiques. Vrai ou faux?, Paris 1988, p. 52, n. Ga, tav. 11 (E. Veljovic). Wien, Kunsthistorisches Museum (fig. 3). E Eichler-E. Kris, Die Kameen in Kunsthistorischen Museum, Wien 1927, p. 151, n. 236, tav.

48 (cfr. p. 69, n. 37, tav. 13: 2); Kahsnitz, in Die

3. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Cammeo con Adamo ed Eva.

Incisioni: Leida, Penningkabinet, M. Maaskant-Kleibrink, Catalogue of tbe engraved Gems in tbe Royal Coin Cabinet. Tbe Hague, The Hague 1978, p.273, n.749 (qui fig. 1) e p. 367, n. 1156.

Il cammeo, ora a Napoli, non fu mai dimenticato. Forse rapito durante il sacco latino di Co-

4. Baltimore, Walters Art Gallery. Copia medioevale Ὁ del cammeo con Poseidon ed Athena.

Zeit, cit., 1, p. 694, n. 887. La figura di Poseidon fu presa a spunto in un cammeo con la rappresentazione dei giochi per la fondazione di una città marinara: Wien, Kunsthistorisches Museum (fig. 6). Eichler-Kris, op. cit., p. 151, n. 327, tav. 48; Kahsnitz, in Die Zeit, cit, I, p. 695, n. 888. La iconografia fu ancora riadattata dal Rinascimento all'inizio dell"800; per limitarci alla glittica Ma nelle imitazioni medievali il significato della scena muta, sostanzialmente. Le figure sono interpretate come Adamo ed Eva: lo testimonia la iscrizione, ebraica, incisa sul bordo dell'esemplare a Parigi (fig. 7), che riferisce un brano del Genesi: III, 6 (vidit igitur mulier quod esset bonum lignum ad vescendum et pulchrum oculis aspectuque delectabile). La presenza di Erichtonios, nell'esemplare antico, assieme ἃ quella dell'olivo, sembrava proporre essa stessa questa esegesi. Rimane però da stabilire perché, in età federiciana, il motivo è stato tanto apprezzato e ripetuto. La glittica federiciana è sempre carica di precise allusioni. I cammei esprimono attraverso simboli, attributi, personificazioni e allegorie, convincimenti, programmi e raccomandazioni. Ma l'esegesi di circa quaranta esemplari (sinora noti), attribuibili a quell'epoca, comincia appena a delinearsi?

principes gentium sunt creati

5. Napoli, Museo Nazionale. Cammeo con Poseidon ed Athena.

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Antonio Giuliano

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6. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Cammeo con la fondazione di una città marinara.

Alcuni recano i ritratti dell'imperatore, di principi o di magistrati imperiali (assimilati agli apostoli). Altri la scena della incoronazione imperiale (da parte di due angeli). Altri gli animali del serraglio di Federico. Altri la rappresenta-

zione della lupa (?) di Aquisgrana. Altri quelle di aquile (il simbolo ghibellino): aquile che

possono essere rappresentate isolate, mentre

cacciano lepri o mentre lottano contro serpenti

(con evidente allegoria politica). Altri scene religiose. Altri scene di caccia. Altri busti iugati: forse in occasione di matrimoni. Altri ancora scene bibliche o di tradizione classica

1 cammei, opere delle officine imperiali (concessi forse, a volte, come doni eccezionalì, possederebbero, dunque, solo un simbolismo generico: in rapporto alla esaltazione imperiale.

Federico sarebbe stato rappresentato come Sansone mentre strozza, vittorioso, un leone Gl simbolo guelfo: Giud. 14,6: dilaceravit leonem) 0, con significato più complesso, mentre combatte contro più avversari (Psalm. 90,13 5.: super aspidem et basiliscum ambulabis et conculcabis leonem et draconem): come in un esem-

plare di Washington (dove è ritratto lo stesso

principes gentium sunt creati

7. Parigi, Cabinet des Medailles. Cammeo con Adamo ed Eva

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Antonio Giuliano

8. Parigi, Cabinet des Medailles. Cammeo con Adamo ed Eva: particolare. imperatore).

Le scene bibliche, come quella

con l'arca di Noè, sarebbero in rapporto all'invito verso la buona dimora (dunque la corte imperiale) che sola puó dare salvezza; quella con Giuseppe che giudica i fratelli, e trattiene Beniamino (dove compare l'iscrizione ebraica: Gen. 44,17: vos autem abite liberi ad patrem vestrum), tes imonierebbe dei buoni rapporti tra l'imperatore e gli ebrei (ma, probabilmente, in rapporto ai valletti-ostaggi imperiali). L'esemplare con i giochi potrebbe essere inteso in relazione a gare sportive (ma, fondazione di Augusta:

12327).

Queste esegesi sono, sostanzialmente, esatte;

ma riduttive e limitative (e, tra parentesi, si pro-

pongono nuove letture). A cominciare proprio

per gli esemplari con Adamo ed Eva.

La esegesi del cammeo di Parigi deve basarsi infatti sulla attenta lettura di quel proemio del Liber Augustalis (datato da Melfi: agosto del 1231) che segna

l'atto di nascita della burocra-

zia moderna?. La rappresentazione ha un preciso significato giuridico.

Nel Medioevo il diritto positivo è, ovviamente, cosa diversa dal diritto divino; negli stati terreni trova la giustificazione nelle consuetudini, le norme tramandate, le leggi rivelate dalle Scritture. Compito dei principi è quello di di fendere, proprio, il diritto positivo. Federico, imperatore, è assieme mediatore, giudice e redentore. Egli fonda il proprio potere su un dono largitogli dalla grazia celeste Solo Dio, Imperatore e popolo, fonti del diritto, creano justitia, gratificano la gerarchia terrena. Adamo ed Eva, trasgressori della legge divina, giustificano l'esistenza dello stato e della giustizia che in esso si manifesta. Ma Adamo ed Eva, creati ancora innocenti, sono anche il simbolo dei primi uomini senza peccato, signori del mondo. E ad essi si vuol rifare l'imperatore, in quanto -kosmokrator« a quell'Adamo che era stato il modello stesso di Cristo.

Il cammeo, attraverso questa esegesi, assume significato ben più complesso da quello sinora proposto. Si comprende allora perché la figura

principes gentium sunt creati

di Adamo (nell'esemplare di sentata con il dorso coperto scettro nella destra. Perché tanto significato di potenza;

115

Parigi) sia rappreda un mantello, lo la figura possieda perché Eva com-

paia vestita, in atto di indicare il serpente, an-

cor prima del peccato: a significare quasi una nuova età dell'oro. L'esecuzione dell'opera deve allora ricollegarsi, anche cronologicamente, al Liber Augustalis, esprime concetti precisi che saranno di una successiva edizione (quella

viennese). Una lettura più attenta del proemio delle costituzioni di Melfi vale a giustificare quanto è stato enunciato.

Liber Augustalis: da Historia Diplomatica Friderici Secundi, ed. J-L-A. Huillard-Bréholles, IV, I, Parisiis wpCccuv pp. 25. IMPERATOR FREDERICUS II, ROMANORUM CAESAR SEMPER AUGUSTUS, ITALICUS, SICULUS, HIEROSOLYMITANUS, ARELATENSIS, FELIX, VICTOR AC TRIUMPHATOR

Incipit liber primus imperialium constitutionum. PROOEMIUM. Post mundi machinam Providentia divina formatam, et primordialem materiam nature melioris conditionis officio in rerum effigies distributam, qui facienda previderat facta considerans et considerata commendans, a globo circuli lunaris inferius hominem creaturarum dignissimam creaturam, ad imaginem propriam effigiemque formatam, quem paulo minus minuerat ab Angelis, consilio perpenso disposuit. preponere ceteris creaturis: quem de limo terre transumptum vivificavit in spiritum, ac eidem honoris et glorie diademate coronato uxorem et sociam partem sui corporis aggregavit; eosque tante prerogative munimine decoravit ut ambos efficeret primitus immortales; ipsosque verumtamen sub quadam lege precepti constituit, quam quia servare tenaciter contempserunt, transgressionis eosdem pena dammatos ab ea, quam ipsis ante contulerat, immortalitate proscripsit. Ne tamen in toto quod ante formaverat tam ruinose, tam subito divina clementia

deformaret, et ne hominis forma destructa sequeretur per consequens destructio ceterorum, dum cart rent subjecto proposito et ipsorum commoditas ullius usibus non serviret, ex amborum semine terram mortalibus fecundavit ipsamque subjecit eisdem. Qui patemi discriminis non ignari, sed in ipsos a patribus transgressionis vitio propagato, inter s odia invicem conceperunt, rerum dominia jure naturali communia distinxerunt; et homo quem Deus rectum et simplicem procreavit, immiscere se questionibus non ambegit. Sicque ipsa rerum necessitate cogente nec minus divine provisionis instinctu, principes gentium sunt creati per quos posset licentia scelerum coerceri: qui vite necisque arbitri gentibus qualem quisque fortunam, sortem, statumque haberet, velut executores quodammodo divine Providentie stabilirent. De quorum manibus, ut villicationis sibi commisse perfecte reddere valeant rationem, a Rege regum et Principe principum ista pori: sime requiruntur ut sacrosanctam Fcclesiam, christiane religionis matrem, detractorum fidei maculari clandestinis perfidis non permittant et ut ipsam ab hostium publicorum incursibus gladii materialis potentia tueantur; utque pacem populis eisdemque pacificatis justitiam, que velut due sorores se ad invicem amplexantur; pro posse conservent. Nos itaque quos ad imperii Romani fastigia et aliorum regnorum insignia sola divine potentie dextra preter spem hominum sublimavit, volentes duplicata talenta nobis credita reddere Deo vivo, in reverentiam Jesu Christi, a quo cuncta suscepimus que habemus, colendo justitiam etjura condendo mactare disponimus vitulum labiorum; ei parti nostrorum. regiminum primitus providentes que in presentiarum provisione nostra circa justitiam magis dignoscitur indigere. Com igitur regnum Sicilie, nostre majestatis hereditas pretiosa, plerumque propter imbecillitatem etatis nostre, plerumque etiam propter absentiam nostram, preteritarum perturbationum incursibus extiterit hactenus lacessitum; dignum fore decrevimus ipsius quieti atque justitie summo opere. providere, quod ad nostre serenitatis obsequia, resi stentibus aliquibus etiam qui non de ovili regni prefati nec de nostro erant, promptum semper invenimus et devotum. Presentes igitur nostri nominis sanctiones in regno nostro Sicilie tantum volumus obtinere; quas cassatis in regno predicto legibus et consuetudinibus his notis constitutionibus adversantibus, quasi jam antiquatis, inviolabiliter ab omnibus in futurum precipimus observari. In quas precedentes omnes regum Sicilie sanctiones ct nostras {quas servari decernimus], jussimus esse transfusas, ut ex his que in presenti constitutionum nostrarum Corpore minime continentur, robur aliquod nec auctoritas aliqua in judiciis vel extra judicia possint assumi.

116 NOTE

7 Edito in ‘Prospettiva’ 53-56, 1985-1959, pp. 50.82. * E. Gioia, Π gruppo di Atena e Poseidon sull'aropoli di Atene, in Rivista di Archeologia vn, 198, p. 12 s rimane fondamertle, quanto ignoto, un rilievo a Como: Como nell'nti chità, Como 1977, p.73Ὁ. Maggi. * Sulla esegesi dei cammei sono numerosissimi i contributi di Hi via. Gopratuno: Staakame im Mitelaler in ιν Be Mos? 4, 1962, p. 42 53); sullo tto della questione: R oni, in Zeit der Staufer, v, ci, p. 499 ss. δὲ veda ora: A Gattuso, la luce de la gran Costanza; in Pact 1987, in corso di pubblicazione con bibl. prec, in questo volume pp. 117-122; ha perduto una occasione rca: C. Bemzi, Una dea diporfido in Scritti di Storia dell'arte in onore di Raffaello Causa, Napoli 1988, Ῥ 57 s Per e riprese successive lfeà federcana 1. Wien: MarzouwrcH, Quelques amées nidis du Mus de l'Ermitage, in "Arethuse' 5, 1928, p. 100 ss.; Bibliothèque Nationale Vrai ou fes ct, p. 58 55, ὅδ᾽,G. Lrouo, Gemmen und Kameen des Alerts und der Neuzeit, tta 1922, av. CI,

Antonio Giuliano. * Sulle costituzioni si veda: The Liber Augustalis or Constitutions. ef Mel. Promulgated by the Emperor Frederick for the Kingdom f Sicly in 1231, ed. JM. Powell, Syracuse 1971; e, da ultimo: A iber Augustalis: di Federico ı di Svevia nella storiografia, antologia di scri a cura di AL. Trombett Budresi, Bologna 1987. 41 concetti sono tutt in: E-H. KANTOROWICZ, Kaiser Friedrich der Zweit, n, Berlin 1927-31 (rad. it. Milano 1970), cap. v, 1. Si veda, dello stesso: Tbe King’ tuo Bodies. A Study in Mediaeval Political Tbeology, Princeton NJ. 1957, in part. p. 97 ss. Kaiser Friedrich i und das Königsbild des Hellenismus; Zu den Rechtsgrundlagen der Kaisersage, in Selected Studies, Locust ValleyNew York 1965, p. 264 ss. Ma, anche: ThC. Va Cueve, The Bm eror Prederick it of Hobenstaufen. Immutator Mundi, Oxford 1972; sul dispotismo del proemio, p. 251 ss. In particolare per Adamo nel Medioevo: Encyclopidie de l'Islam, 1, 1960, sv. Adam. (9. Pedersen); Enciclopedia dantesca, 1, 1970, sv. (A. Ciotti-P.V. Mengaldo); Lexicon des Minelalters, t, 1980, s.v. Adam (L. Scheeffrzyk-P. Schäfer) e Adam und Eva (G. Binding-A. Reinle-K. Wes sel). Per l'uso dell'ebraico da parte di Adamo: Enciclopedia danesca, 1, 1970, sv. Ebraica lingua(A. Penna-P.V. Mengaldo).

ANTONIO GIULIANO

«...la luce de la gran Costanza»

Il tesoro imperiale nell'età di Federico n dové sere molto notevole se, nel 1253, Corrado rv offriva (tra l'altro) in pegno ai genovesi 546 intagli e 137 cammei e vasi preziosi'

La grande mobilità politica obbligava l'imperatore ad accrescere continuamente la consistenza della propria magnificenza con incisioni e cammei - antichi e moderni — che testimoniassero attraverso simboli, attributi, personifi-

cazioni ed allegorie, convincimenti, programmi, raccomandazioni? Il tesoro doveva essere composito: in esso erano confluiti esemplari antichi, certo dopo il sacco latino di Costantinopoli del 1204, altri di età normanna. Ma l’attività degli incisori fredericiani dové essere continua, a volte intensissima?. Così come dopo il saccheggio di Vittoria (1248), quando l'imperatore fu privato della stessa corona.

1-2. Collezione privata. Incisione (e impronta) con ritratto di Federico 1

Antonio Giuliano

118

3. Collezione privata. Busto di Costan Per quanto concerne gli intagli realizzati da-

mescolati assieme ad esemplari antichi o mo-

gli incisori imperiali non possiamo dir molto. Forse riconoscerne uno che potrebbe rappresentare il profilo dello stesso imperatore su un

Un piccolo busto femminile può darci un'ulteriore documentazione della produzione di

Per quanto concerne i cammei siamo più for-

appena 45 mm, ricavata da una pietra dura,

diaspro, alto 18 mm (figg. 1-2).

tunati: circa quaranta sono noti. Ma parte note-

vole di essi attende solo di essere riconosciuta:

derni.

corte. Si tratta di una scultura a tutto tondo, alta

probabilmente un'agata siciliana. L'oggetto è stato adoperato: lo dimostrano le venature che

la luce de la gran Costanza

119

4. Collezione privata. Busto di Costanza.

attraversano il volto. Doveva far parte di un árredo mobile.

Rappresenta una donna dal seno rigoglioso, la fronte ornata da un monile, il capo velato. La potenza di essere della protagonista si manifesta con l'ampiezza del busto, con il taglio degli occhi, del naso, della bocca. La figura, monumentale, vuole essere simbolo di comando, di

potere, di benevolenza: divina majestas. Il busto assimila i caratteri iconografici di quelli, femminili, antichi, che dovevano essere abba-

stanza diffusi: quale simbolo di imperium. Essi potevano essere lavorati a tutto tondo e usati

forse, come finali di scettri: come nel caso di una Livia che reca sul diadema il profilo coronato e, forse, la fortuna astrale di Augusto, e

120

Antonio Giuliano

5-6. Collezione privata. Busto di Costanza.

che, probabilmente, faceva parte del tesoro di Tiberio* (figg. 7-10). Ma nel busto già prima ricordato la maniera classica & rivissuta con di versa sensibilità: la voluta imperiosità dei line: menti, ottenuta attraverso il taglio angoloso delle superfici, che contrasta col trattamento morbido dei capelli e quello greve e stondato delle vesti, tradisce un'esecuzione tutta medievale (secondo i canoni di un classicismo che, in ambiente mosano, aveva già trovato manifest zioni convincenti) (figg. 3-6) Non è impossibile proporre che il busto forse finale di uno scettro, rappresentasse — come personificazione — Costanza, la madre stessa di

Federico: dalla quale egli traeva la giustifica-

zione dell'essere re di Sicilia. Quella Costanza «prudentissima donna: che, il 26 dicembre 1194, fatto porre «un pavaglione ne la piaz

pubblica di lesi ... in esso si condusse a l'ora del suo parto e volse che fusse lecito a tutti li baroni e nobili, maschi e femine, andar li a vederla partorire, a fine che ciascuno intendesse quello non esser parto suppositizio- così come afferma

Pandolfo

Collenuccio.

La

stessa

che

poi mostrerà «cunctis non credentibus nudas

mammas, sive mammillas lacte plenas- anche a dimostrare la felicitas temporum che sarebbe discesa su tutti i sudditi a seguito di quella materni L'ipotesi potrebbe essere convalidata dal fatto che nel sepolcro di Federico a Palermo fu rinvenuto il globo, non lo scettro? e che, sembra, il bustino provenga proprio dalla Sicilia Ma la scultura propone una serie d'interrogativi che dovranno ancora essere ripresi e chiariti. Chi è l’autore del busto, certamente eseguito in un opificio imperiale, da un incisore di corte, con un riferimento così perspicuo a modelli antichi ? Quando è stata eseguita la scultura?

La cronologia dell'arte di corte nell'età di Federico n è ben lontana dall'essere definita. Certo è che essa si articola secondo un programma

unitario ed organico, suggerito dallo stesso im-

peratore, soprattutto tra il 1230 e il 1250. Le of-

ficine di corte dovevano solo eccezionalmente creare opere, di marmo, di grandi dimensioni: a Roma attorno al 1238, a Capua dal 1234 al 1239/40, a Castel del Monte a partire dal 1240.

Tutte queste sculture monumentali tradiscono il

la luce de la gran Costanza

7-10. Malibu, The J. Paul Getty Museum. Busto di Livia C).

121

Antonio Giuliano

122 riferimento alla attività di orafi e di intagliatori,

dei quali esasperano, ingigantendoli, i moduli. Il busto attribuito a Costanza è stato probabilmente eseguito nel momento di massima esperienza delle officine degli incisori imperiali forse attorno al 1240. Saranno queste officine trapiantatesi in Toscana, nel 1245-1246, quando l'imperatore porrà corte a Grosseto, ad accettare le commissioni delle città ghibelline: soprattutto Siena e Pisa.

La Fonte dei Canali di Piom-

bino, del 1247, è tra le prime testimonianze di una attività proprio degli scultori della corte di Federico 11 in Toscana. Non a caso un confronto con la Costanza è proposto da una testa, alta 130 mm, scolpita nella pirite dell'isola d'Elba attorno al 1247 che mostra ben maggiore libertà compositiva e fisionomica” (pp. 84-85, figg. 17-19). Opera certamente di quel Nicola, attivo alla corte imperiale come incisore: e la durezza del materiale, le dimensioni della testa valgano a testimoniare questa proposta. Nor: * Edito in Pact, 23, 1989, pp. 335-339. ! EH. Brive, Some Medienal Gems and Relative Values, in Speculum, x, 1935, p. 177 5. ? Sulle fonti rimane fondamentale la interpretazione di: E. Kawrorowncz, Kaiser Friedrich der Zweite, 1, Berlin 1927-1931, passim (tad. it, Milano 1970);di notevole spessore critico: G. PePr, Lo stato ghibellino di Federico, i^, Bari 1951; ora, TH.C. Va Cuevr, Tbe Emperor Frederick 11 of Hobenstaufen. Immutator Mundi, Oxford 1972. ? A. GivuaNo, Motivi classici nella scultura e nella gliica di età normanna e federiciana, in Federico 1 e l'arte del duecento italiano, 1, Galatina 1980, p. 19 s, in questa sede pp. 37-48; II ritratto di Federico 1 gli elementi antichi, in Xenia, 5, 1983, p. 63 5. (dr Antike Kunst, 26, 1983,p. 120s); in questa sede pp. 61-70) OR. Kuusurrz, Kameen, in Die Zeit der Staufer, 1, Stutigart 1977, p. 6745. V, 1979, p. 477 s. Ma εἰ aggiongano, ad esempio,

alcuni esemplari a Firenze: MA. Micuianini, Catalogo generale della Dattlioteca nell. e R. Galleria delle statue a Firenze, comprende gli acquisti dal suo principio, fino all'anno 1837, n. 263 ©), 455, 457 Ὁ), 462 (); AP. Kozuorr, Animals in Ancient Art, from Ihe Leo Mildenberg Collection, Cleveland Museum of Art, Cleveland, 1981, p. 187, n. 185 fr l'esemplare antico in Archeo logia nella Siclia sud orientale, Napoli 1973, p. 115, n. 380 con bibl: G. Voza) * G. Divoro, Geologia applicata all'archeologia, Roma 1985, p.70s. ὁ Chr F. Eiciuea, E. Kus, Die Kamen im Kunstbistorischen Museum, Wien 1927, p. 61, n. 19, tav. 9. Sulla Livia: B. FarvrsScicmpona,e E. Simon, Vier Iuliscb-Claudische Basten, in Arch, Anz, 1980, p. 340, fgg. 25-27, p. 342: Antonia minore sacerdotessa di Augusto 0): E. Simon. ? Compendio de le itori del regno di Napoli, a cura di A. Saviorm, Bari 1929, p. 113 Anonymi Vaticani Historia Sicula ab Ingressu Normannorum in Apuliam usque ad Annum 1282, in LA. Mun«ronı, Rerum IHalicarum Scriptores, vui, Milano 1726, p. 741 5 ©. Carıranı, in Enciclopedia Dantesca, n, Roma 1970, s. v. Par. 105-120. "Sulla apertura del sarcofago di Federico: F. Daxıcır, 1 regali sepolcri di Palermo, Napoli 1784. Sul sarcofago: 1. Dein, Tbe Dynastie Porphyry Tombs of tbe Norman Period in Sicily, (Dumbarton Oaks Studies, v), Cambridge Mass. 1959. Sullornato imperiale 3. De£x, Der Kalseromat Friedrichs 1, Bern 1952; P.E. SCHRANM, Kaiser Friedrich n. Herrschaftszeichen, Götingen 1955. Sul clssicismo mosano: efr. PC. CLausseN, Nikolaus von Verdun. Uber Antien - und Naturstudium am Dreikönigenschrein, in Ornamenta Ecclesiae, 2, Ausstellung Köln 1985, p. 447-456 9 P. Cri, Presenze federiciane, in Xenia, 8, 1994, p. 95 s. qui pp. 71-86; M. Gunapca, Federico11e il monumento del Car roccio in Campidoglio, in Xenia, 8, 1984, p. 83 s; Ea. L'iscrizone sul monumento del Carroccio im Campidoglio e la sua croce radiat, in Xenia, 11, 1986, p. 75 5, in questa sede pp. 87-108, Sulla porta di Capua, da ultimo: F.W. DEICKHMANN, Die Bártigen mit dem Lorbeerkranz vom Brückentor Friedrichs 1. zu Capua, in Von Angesicht zu Angesicht, Portätstudien. Festscbr für Michael Stetler, Bem 1983, p. 71 s. che klentficherebbe nei due busti barbatiCo stantino €) e Carlo Magno. "^ La testa fu riconosciuta da A. SArraNGELO, Museo di Palaz20 Venezia. Catalogo delle Sculture, Roma 1954, p. 17, figg. 45. Sulla prima attività di Nicola in Toscana: A. Baonou, Novità su Nicola Pisano scultore nel Duomo di Siena, in Prospettiva, 27, 1981, p. 27 s. Ora, in forma seppur torrentizia: M.L. Tesri Cai sani, Nicola Pisano architetto scultore, Pisa 1987: sulla testa di Pie, p. 6.

ANTONIO GIULIANO

Le fonti alla Marina di Piombino*

Ferdinando Bologna, a proposito della Fontana delle Novantanove Cannelle a L'Aquila (garantita per la parte più antica dall'iscrizione: -An-

no Domini siccat Magister Tancredus de Pentoma de Valva fecit lioc opus), nota che nel gruppo dei mascheroni tre almeno sono opera di uno scultore formatosi nella tradizione di Nicola Pisano in uno dei centri propulsori della cultura sveva. Egli sottrae il monumento da un giudizio troppo generico che, ignorando la dedica, lo darebbe tutto alla ricostruzione e all'ampliamento della prima metà del xv secolo. Questa sua analisi ci riporta a una tra le prime opere di Nicola: quella Fonte dei Canali o delle Serpi costruita a

1. Piombino, Fonti alla Marina: pianta.

Piombino nel 1247: «Hoc opus... D. facium D(omini) Ugolini Assopardi Capitani Plu(m)bini Ilb(a)e et Port) Baratoli an(n)i Domini mecxıvini indictione quinta et magistri Dorgodorii et Cambi oplenarii. Hic fons iam plenta)e sit aqu(a)e nu(n)e (et) semper amen(a)e- (fig. 3). Dorgodorio e Cambio sono gli imprenditori che avevano costruito in pietra pisana la parte

muraria e risolto i problemi del bacino e della fontana a caduta. Nicola poté essere incaricato

di scolpire nel marmo le cinque protomi con i cavalli e i molossi? (figg. 5-8) La lapide della Madonna che è sotto l'arco,

attualmente molto deteriorata, fu fatta apporre

Antonio Giuliano

124

debba essere circoscritta alle sole sculture con le prese d’acqua. Purtroppo il monumento è in mediocre stato di conservazione, privato sin dalla fine del secolo scorso di una delle protomi. Ma quando si esamina l'intera struttura ar-

chitettonica della fontana si può proporre che l'intervento di Nicola non si sia limitato all'esecuzione delle bocche d'acqua: egli potrebbe aver definito il progetto per tutto l'edificio In pianta (merito dell’architetto Costanza

Fusconi, cfr. fig. 1), il monumento è caratteı

2. Piombino, Fonti alla Marina: sezione.

lì dal signore di Piombino Jacopo m Appiani Aragona nel 1470 ed è opera dell'architetto fiorentino Andrea di Francesco Guardi.

Non è escluso che la personalità di Nicola

d'Apulia (forse giunto in Toscana con l'imperatore, che passò a Grosseto l'inverno 1245-46) sia maggiormente presente nel progetto e non

zato da una scansione meditata, che permette all'acqua di defluire verso il mare. Soprattutto il rapporto tra la parte eseguita in pietra e il grande arco che la sovrasta propone temi ancora irrisolti (fig. 4). Tanto più che sopra la fonte grava la chiesa di Sant'Antimo, già completata nel 1256 Il motivo del grande arco costruito in mattoni — e forse originariamente decorato in facciata — è quanto mai idoneo a coprire le bocche di una fontana a caduta. Ma, da un punto di vista architettonico, esso propone lo stesso modulo che il protomagister Bartholomaeus nel 1223, per ordine dell’imperatore, aveva adottato e che compare nellarchivolto del Palazzo di Federico n a Foggia (Sic Caesar fieri iussit opus istud Bartholomaeus sic construxit illud). Non si tratta di un caso isolato, per quanto concerne architettura civile. Il motivo del grande arco ricompare almeno nel secondo e nel terzo ordine della Porta di Capua costruita tra il 1234 e il 1239-40. Ritorna nelle cornici delle porte-finestre, quasi balconi di apparizione, del primo piano nel cortile di Castel del Monte, costruito a partire dal 1240" Si tratta di una ripresa di un motivo antico riutilizzato per l'architettura civile voluta dall’imperatore! con significato di esaltazione. L'i-

draulica, quanto ad importanza e a raffinatezza, aveva raggiunto alla corte normanna e in quella sveva, per merito della tradizione araba, vette ancora ignote al mondo occidentale*. Usata ancora

una

volta con

tanta raffinatezza

(e si

comprende meglio l'elogio che termina l'iscrizione

di Piombino)

e insieme

arricchita

con

un'architettura carica di significato imperiale, è

riproposta da un modello inedito, probabilmente proprio per intermediazione di Nicola

3. Piombino, Fonti alla Marina. Iscrizione del 1247.

d'Apulia, a Piombino (fedele a Pisa e all'imperatore).

Le

fonti alla Marina di Piombino

4. Piombino, Fonti alla Marina. Veduta di insieme

125

Le fonti alla Marina d

7. Piombino, Fonti alla

8. Piombino, Fonti alla Marina. Protome di molosso.

128

Per questo motivo la Fonte della Marina rimarrà un esempio, forse anche per la fontana a L'Aquila. Esempio al quale Nicola dovrà rinunciare quando, ormai vecchio, da Pisa chiamato nella guelfa Perugia, tra il 1277 e il 1278, si sottometterà col figlio Giovanni al progetto, sostanzialmente tradizionale, anche se più elaborato, della Fontana Maggiore per quella città‘.

NoTE τ Edito in Napoli ὁ l'Europa. Ricerche di tora dell'art in onore di Ferdinando Bologna, Catanzaro 1995, pp. 25-26. * E. BoLocna, in Documenti dell'Abruzzo Teramano, 1, Teramo 1983, 1, p. 307 ss; F. Acero, «Magistri e cantior nel «Regnum Sicliao= l'Abruzzo e la cerchia federiciana, in -Bollenino d'Ame« 13a, 1990, 59, p. 15 ss, in particolare p. 82. Una propostadi attribuire tuto l'impianto della fontana a Nicola d'Apulia è sempre di F. Botooa, Per una storia delle arti medievali e moderne nel mezzogiorno continentale, in Storia del Mezzogiorno, x, Aspetti e problemi del Medioevo e dell'tà moderna, tv, Napoli 1998, p. 228 (ed ora: La pubblica Fontana detta la Riviera, L'Aquila 1995; La cultura architenonica di Tancredi, la dicromia originaria della fonte e la sua origine svevo-niccoliana) ? Sulla Fonte di Piombino: 1. TOGNARN-M. Buoci, Piombino. Città e stato dell alla moderna nella stor © nell'art, Piombino

Antonio Giuliano 1978,p. 134 ss, taw. 1-4 (M. Buoc) fr. inoltre ML Tesrı Cursani, Nicola Pisano. Architetto e scultore, Firenze 1987, p. 63 ss. RingrazioT. Arrigoni, M. Carrara e L. Rebaudo per i suggerimenti c l'auto che mi hanno prestato. ? Per i monumenti citati cfr. M.S. CaLò Manu, L'arte del Duecento in Puglia, Torino 1984. La bibliografia è in: Federico 1. Immagine e potere, Venezia 1995. ^ Sul problema, da ultimo: F. BOLOGNA, «Cesaris Imperio Regni Custodia Fio. La porta di Capua e la Jnterpretatio Imperiali del classici, in Nel segno di Federico 1, Unità ὁ pluralità medierae del mezzogiorno, Napoli 1989, p. 159 ss; La Porta di Capua, in «Fridericiana», Riv. dll'Univ. Napoli «Federico t, 1, 2, 1990.91, Ῥ. 1295». * MS. Cato Μανίανι, Uli e dieto, L'acqua e le residenzeregie dell lala meridionale fra xt e xt secolo, in MERM, 104, 2, 1992,p. 343ss. * Sulle fontane di Perugia: P. Cetus, Giuochi d'acqua a Perugia: Frà Bevignate e la fontanina di Amolfo, in «Paragone», xi, 127, 1960, p. 3 ss su quella minore la bibliografía è in: Enc. Arte Med, n, 1991, voce: Arnolfo di Cambio (AM. Romanini; G. occisi, Arnolfo di Cambio e la fontana di Perugia spedis plateo: Perugia 1989; F. Cavauuccı, La Fontana Maggiore di Perugia, Voci e suggestioni di una comunità medievale, Perugia 1993;E. Canti, Arnolfo, Firenze 1993, p. 72 ss; in generale: A. Corasarrı, Le fontane d'Ialia, Roma 1926; per quelle antiche: N. Nevennunc, L'architettura delle fontane e det ninfei nell'Ialia antica, in «Mem. Acc. Napoli, v, 1965; W. Lerzuen, Rómische Brunnen und Nympbaea in der Westlichen Reichshälte, Münster 1990,

Collezione privata.

Mensola di pietra calcarea dal territorio di Bari.

TAVOLAΠῚ

Collezione privata. Busto di Federico m

TAVOLA

Collezione privata. Testa di un trombetto: marmo lunense.

V

Tavora VI

Collezione privata. Ritratto femminile di età federiciana: — Collezione privata. Cammeo federiciano con marmo lunense.

Collezione privata. Testa maschile laureata di età federiciana: marmo lunense.

Collezione privata. Cammeo con sa

TAVOLA VII

Collezione privata. Protome di cervo di età federiciana.

ANTONIO GIULIANO

Simone Martini e Federico 11*

L'arma imperiale — aquila nera su fondo oro — doveva essere comune sia al corredo di Federico n CVictrix aquila) che a quello dei suoi: lo vediamo — tra l'altro — nella bordura di un tappeto (probabilmente fabbricato a Lucera) sul quale, attorno al 1260, Manfredi (la sua corona reca anch'essa tre aquile) riceve alla presenza di Johensis scriptor. la Bibbia ora nella Biblio-

teca Vaticana! (fig. 1). La stessa insegna comp:

re in due scene delle storie di San Martino ese

guite da Simone Martini per la chiesa inferiore

di Assisi. Nell'investitura» (figg. 2-5) è rappresentata due volte sul copricapo a punta sopra l'asta che sarà consegnata al cavaliere; nella «rinunzia (figg. 6-7) tre volte sulla tenda dell'imperatore (contrapposta al leone bianco su fondo rosso del campo avverso) Che Simone Martini fosse sensibile allaraldica

è cosa sin troppo nota: si rammenti la cornice

dell'ancona di Napoli, con i gigli angioini, o le insegne più volte rappresentate nell'accamp: mento e nella fortezza senesi mentre Guidoriccio da Fogliano si accinge a varcare, da trionfatore, lo steccato che difendeva un borgo ormai abbandonato (forse Montemassi, nel 1328) La fonte iconografica di Simone, per le storie di Assisi, di committenza francescana, è Iacopo

da Varagine: ma questo solo per la scena della «rinunzia». L'autore afferma che questa avvenne in Gallia sotto Giuliano l'Apostata. Ma i due personaggi imperiali delle due scene rappresentano una stessa persona: quindi proprio Giuliano (almeno nelle intenzioni di Simone Martini: e si differenziano da Valentini no — raffigurato altrove - dove l'imperatore ha un diverso riferimento iconografico). Si tratta di un protagonista di media statura, biondo, glabro, lievemente obeso, la testa coro-

nata di alloro, vestito di stoffe orientali. Nella «rinunzia» è seduto su un faldistorio, ha mantello verde, scettro nella destra e globo nella sinistra (e su questo, ad indicare il dominio, A(sia) in alto e E(uropa) in basso: secondo il convenzionalismo dell'epoca) (fig. 7). Si è già cercato di stabilire quale sia la fonte iconografica della testa dell'imperatore: così da proporre Costantino; ma il Toesca, descrivendo la scena dell-investitura aveva notato il volto orientale del suonatore di doppio flauto? (fig. 5). Il Martini poteva conoscere la scena dell-investitura- per qualche cerimoniale cavalleresco, a questo si & rifatto (si veda quanto complessa fosse la cerimonia: come per Ildebrando Giratasca, aretino, nel 1260). Nell'imperatore che si contrappone al miles Martini ha voluto rappresentare, dunque, proprio Federico n. Lo dimostrano le insegne, il berretto che torna nel costume dei cavalieri del De arte venandi», la falconiera coronata di fiori, le cuffie indossate dai protagonisti maschili, il manto verde* e l'iconografia del volto (figg. 8-10): simile a quello degli augustali (figg. 11-21), dei cammei, delle incisioni e di più ritratti di marmo? (fig. 22 ss.). Rimane allora da comprendere per-

ché nella figura di Giuliano l'Apostata-Federico n il Martini si sia ispirato proprio a quell'imperatore. Certo per una voluta opposizione alla figura di lui, in favore della committenza angioina. Ma, nell’esorcizzare l'avversario, egli ha assimilato precise iconografie di età sveva. Non è indispensabile pensare che il Martini abbia veduto pitture federiciane a Napoli (è dubbio, peraltro, che sia stato in quella città): monumenti federiciani dovevano esistere numerosi in Toscana (ad esempio a Pisa) e in Umbria (ad esempio a Foligno).

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1l problema che le due scene di Assisi pro-

pongono -- diverse sul piano compositivo, ico-

nografico e formale? dalle altre (quasi risposte postume alla propaganda sveva) potrà essere approfondito in base a questo riconoscimento e ai documenti pazientemente raccolti da Francesco Redi (che vengono riproposti in Appendice). APPENDICE

Francesco Redi, Bacco in Toscana, Firenze ΜῸcixxxv, p. 149-177. P. 31. V. 9. Cavalier sempre bagnato Allude all'antichissima milizia de’ Cavalieri Bagnati. Di questa stessa volle intendere il Medico appresso il Boccaccio nella Novel. 9 della Gior. 8 quando da Bruno, e da Buffalmacco gli fu detto. La contessa intende di farvi Cavalier Bagnato alle sue spese. Per intelligenza delle quali parole scrissero l'infrascritte notizie quei Valentuomini, che dal Serenissimo Granduca furono deputati alla correzione del Testo del Boccaccio l'anno 1573. nelle loro loro dottissime Annotazioni. Erano dunque allora i Cavalieri Bagnati i primi in onore, e si dava questo grado con ‘grandissima pompa, ec. Perché v'intervenivano cirimonie assai, e belle, e pregne di regole, e costumanze cavalleresche: e di queste la prima era, che in un Bagno [149] per questo solennemente apparecchiato in Chiesa erano da altri Cavalieri bagnati, che erano i Patrini in quest'atto, e di quindi tolto lo riponevano in bianchissimo letto, con tutte quell'altre particolarità, che si leggono nella Novella di Messer Ugo di Tabaria, quando alla richiesta del Saladino, che n'ebbe vaghezza, lo fece, secondo questo nostro costume, Cavaliere: ne ha molto, che uscì fuori del Cento Antico. E Giovanni Villani parlando di Cola di Rienzo, quando fu fatto Tribuno, e fu vicino a far gran faccende in Roma, e per tutta Italia, scrive, che egli, Ma mettiamo le parole sue: Fecesi il detto Tribuno far Cavalier al Sindico del Popol di Roma all'Altare di San Pietro. E prima per grandezza si bagnò a Laterano nella Conca del Paragone, che v'è, ove si bagnó Gostantino Imperadore, ec. Π che medesimamente si legge, e poco meno, che con le medesime parole nelle Istorie Pistolesi. Messer Luca da Panzano molto nobile, e onorato Cavaliere così scrisse di se quando fu fatto Cavaliere l'anno 1361. 1l Magnifico M. Pandolfo Malatesta, in nome, e vicenda del Comune, e Popolo di Firenze, mi fece Cavaliere Arma10 in su la porta de' Priori: E prima la notte dinanzi in San Lorenzo di Lamberto Soldanieri al Ponte a

Grieve, mi bagnò solennemente M. Guelfo Gherardini, e M. Giovanni di M. Bartolommeo de Mangiadori, ec. Ma e' non sia forse discaro a’ Lettori, udire le parole proprie della Istoria di Cola di Rienzo, si come elle sono in quella lingua Maremmana, o [150] Romanesca antica. Allora fu celebrato un solenne ufizio per lo chiericato, e puoi l'Oficio, entrò nel Vagno, e Vagnaose nella Conca dello Imperatore Costantino, la quale ene de porsiosissimo paragone: Stupore ene questo a dicere: moito fece la iente favellare. Uno Cittadino di Roma M. Vico Scuotto Cavaliere li cienze la spada, puoi se adormio en uno venerabile lietto, e iacque in quel Iuoco, che si dice le Fonti di San Ianni. E nella Tavola Ritonda, che mostra l'usanza molto antica. Tristano se ne va nella gran Piazza della Città, e quivi lo Re lo bagna, ec. Fino a qui le Annotazioni de’ Deputati, alle quali mi sia lecito aggiugnere alcuni altri particolari esempli, che dimostrano e l'antichità di questa Milizia, e le diverse cirimonie, e solennità costumate nel prenderla. Giovanni Monaco di Marmonstier nel primo Libro della Storia di Goffredo Duca di Normandia, volendo raccontare, che Goffredo figliuolo di Fulcone Conte di Angiò fu fatto Cavaliere l’anno 1128. da ArrigoI. Re d'Inghilterra così ne scrive. Gauffredus, Fulconis Comitis Andegavorum, post Terosolymorum Regis, filius, adolescentiae primaevo flore vernans, quindecim annorum factus est. Henricus primus Rex Anglorum unicam ei filiam lege connubij iungere affectabat. Regia voluntas Fulconi in petitionibus suis innotescit. Ipse Regis petitionem effectui se mancipaturum gratulanter promisit. Datur utrinque fides, et res sacramentis firmata, omnem dubietatis scrupulum tollit. Ex [151] praecepto insuper Regis exactum est a Comite, ut filium suum non dum Militem ad ipsam imminentem Pentecostem Rotbomagum bonorifice mitteret, ut ibidem cum coaequevis arma suscepturus, regalibus gaudijs interesset. Nulla in bis obtinendis fuit difficultas. Iusta enim petitio acilem meretur assensum. Ex imperio itaque Patris, Regis gener futurus, cum quinque Baronibus, multo etiam stipatus milite, Rothomagum dirigitur. Rex adolescentem multiplici affatur alloquio, multa ei proponens, ut ex mutua confabulatione respondentis prudentiam experiretur. Tota dies illa in gaudio, et exultatione expenditur. Illucescente die altera, Balneorum usus, uti tyrocinij suscipiendi consuetudo expostulat, paratus est. Post corporis ablutionem ascendens de Balneorum lavacro, bysso retorta ad carnem induitur, cyclade auro texta supervestitur, chlamide concbilij, et muricis sanguine tincta tegitur, caligis bolosericis calciatur, pedes eius sotularibus in superficie leunculos aureos habentibus muniuntur. Talibus ornamentis decoratus Regius gener adductus est miri decoris equus. Induitur lorica incomparabili, quae maculis duplicibus intexta, nul-

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icana. Vat. lat. 36, f. 522.

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2. Assisi, Basilica inferiore. Simone Martini, Storie di San Martino: "Investitura'

Antonio Giuliano

ie di San Martino: "Investitura", particolare.

Simone Martini e Federico 1

5. Assisi, Basilica inferiore. Simone Martini, Storie di San Martino: "Investitura", particolare.

6. Assisi, Basilica inferiore. Simone Martini, Storie di San Martino: "Rinuncia'

7. Assisi, Basilica inferiore. Simone Martini, Storie di San Martino: “Rinuncia”,

particolare.

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8. Roma, Biblioteca Vaticana. Pal. lat. 1071,f. 1.

Simone Martini e Federico t

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Biblioteca Vaticana. Pal. lat. 1071, f. 1: particolare

_

Hong mile oes deme.



bre rebs fup-goao rome

10. Roma, Biblioteca Vaticana. Pal. lat. 1071, f- 103: particolare.

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11. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Augustale.

12. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Augustale (rovescio).

lius lance e ictibus transforabilis baberetur. Calciatus est caligis ferreis, ex maculis itidem duplicibus compactis. Calcaribus aureis pedes eius adstricti sunt. Clypeus leunculos aureos imaginarios babens collo eius suspenditur. Imposita est capiti eius cassis multo lapide pretioso relucens, quae talis temperaturae erat, ut nullius ensis incidi, vel falsificari valeret. Allata est basta fraxinea ferrum Pictavense praetendens. Ad ultimum allatus est ei ensis de thesauro Regio [152] ab antiquo ibidem signatus, in quo fabricando fabrorum superlativus Galanus multa opera, et studio desudavit. Taliter ergo armatus Tyro noster, novus militiae postmodum flos futurus, mira agilitate in equum prosilit. Quid plura? Dies illa tyrocinij honori, et gaudio dicata, tota in ludi bellici exercitio, et procurandis splendide corporibus elapsa est. Septem ex integro dies apud Regem tyrocinij celebre gaudium continuavit. Da una antica cartapecora, che si conserva tra le Scritture del Signor Prior Francesco Seta di Pisa, ho copiato il seguente narramento dell'Ordine di Cavalleria, che fu dato nella Città di Arezzo ad un tale Ildebrando Giratasca a spese del Comune, e Popolo Aretino. Cum Domino. Anno 1260. die octava Aprilis in Consilio generali congregato more solito ad sonum campanae, et tubarum Domini Domini constituerunt, quod secunda Dominica Mensis Mai factus es set Miles ad expensas publicas nobilis, et fortis vir II dibrandus vocatus Giratasca. Venta igitur die secundi Sabati Mensis Mai valde mane preafatus nobilis, et strenuus vir Ildibrandus bene, et nobiliter indutus cum magna masnada suorum ingreditur

Palatium, et iuravit fidelitatem Dominis Dominis, et Sancto Protectori Civitatis Arretij in manus Notarij, et super sancta Dei Evangelia: postea bonorifice ivit ad Matrem Ecclesiam, ut baberet benedictionem, et pro bonore eius adfuerunt sex domicelli de Palatio, et sex Tibicenes de Palatio: in bora Prandij fuit ad prandendum, ex deliberatione [153] Dominorum, in domum Domini Ridolfoni. Pro prandio fuit panis, et aqua, et sal, secundum legem militiae, et commensales fuerunt cum eo dictus Ridolfonus, et duo Eremitae Camaldulenses, quorum senior post prandium Fecit illi sermonem de officio, et obligationibus Militis. Post boc Ildibrandus ingressus est cubiculum in quo stetit solus per boram unam, et postea ingressus est ad eum Senex Monacbus Sanctae Florae, cui devote, et bumiliter confessus fuit peccata sua, et accepit ab ipso absolutionem, et fecit penitentiam impositam. His peractis ingreditur cubiculum Barbitonsor, qui concinne caput, et barbam eius curavit, et postea ordinavit omnia, quae necessaria erant ad Balneationem. Rebus sic stantibus ex deliberatione Dominorum venerunt ad domum Ridolfoni quatuor strenui Milites Andreassus filius Marabuttini, Albertus Domigianus, Gilfredus Guidoternus et Ugus de Sancto Polo cum masnada nobilium domicellorum et cum turba Ioculariorum, Menestreliorum, et Tibicinum. Andreassus et Albertus spoliaverunt Ildibrandum et collocaverunt eum in Balneum; Gilfredus autem Guidoternus et Ugus de Sancto Polo dederunt illi optima documenta de munere, et officio novi Mi litis, et de magna dignitate. Post boram unam Balnei positus fuit in lecto mundo, in quo lintea erant

Simone Martini e Federico it

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albissima, et finissima de mussali; et papilio, et alia necessaria lecti de drappo serico albo erant. Permansit Ildibrandus per boram unam in lecto et cum iam nox appropinquaret fuit vestitus de Medialana alba cum caputio, et fuit cinctus cintura coriacea. [154] Sumpsit refectionem ex solo pane, et aqua; et post ea cum Ridolfono, et quatuor supradictis ivit ad Matrem Ecclesiam et per totam noctem vigilavit in Capella, quae est a manu dextra, et oravit Deum et Sanctissimam Matrem. Virginem, et Sanctum DonaTum ut facerent eum bonum militem, bonoris plemum, et iustum. Adstiterunt illi per totam noctem

cum magna devotione duo Sacerdotes Ecclesiae, et duo Clerici minores; item quatuor pulcrae, et nobiles domnicellae, et quatuor nobiles domnae seniores nobiliter indutae, quae per totam noctem oraverunt Deum, ut baec Militia esset in bonorem Dei, et Sanctissimae Matris eius Virginis, et Sancti Donati, et totíus Sanctae universalis Ecclesiae. Ridolfonus, et quatuor alij supradicti iverunt ad dormiendum; sed ante auroram redierunt. Orta iam aurora Sacerdos benedixit gladium, et totam armaturam a galea usque ad solerettas ferreas; postea celebravit Missam, in qua Ildibrandus accepit a Sacerdote bumiliter, et

13-19. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Augustali

20221. Siracusa, Museo. Augustali

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23. Ginevra, Museo. Ritratto antico () rilavorato come Federico n.

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cum magna devotione Sanctissimum, et Sacratissimum Corpus, et Sanguinem Domini nostri Iesus Christi. Post boc obtulit Altari unum magnum Cereum viride, et libram unam argenti bonorum denariorum Pisanorum; item obtulit pro redemptione animarum Sancti Purgatorij libram unam argenti bomorum denariorum Pisanorum. His peractis portae Ecclesiae apertae fuerunt, et omnes redierunt in Domum Ridolfoni, in qua Domicelli de Palatio nobilem, et divitem refectionem praeparaverant; ponendo supra unam tabulam magnam, magnam quantita(155] tem tragea, diversa genera tartararum, et alia similia cum optima Guarnaccia, et Tribbiano. Facta. refectione Ildibrandus ivit aliquantum ad dormiendum. Interim cum esset iam bora redeundi ad Ecclesiam, novus futurus miles surrexit e lecto, et fuit indutus ex drappis omnibus albis sericeis cum cinctura rubra auro distincta, et cum simili stola. Interim Tibicines de Palatio, et Ioculares, et Menestrelij tangebant sua instrumenta, et canebant varias stampitas in laudem Militiae, et novi futuri Militis. Postea omnes iverunt ad Matrem Ecclesiam cum magna turba militum, et nobilium Domicellorum, et magna quantitate plebis vociferantis Vivat Vivat. In Ecclesia incoepit Missa magna, et solemnis. Ad Evangelium. tenuerunt enses nudos, et elevatos Ludovicus de Odomeris, Antonius a Mammi, Cercaguerra illorum de Cioncolis, et Guillelmus Miserangeschi. Post Evangelium Idibrandus iuravit alta voce quod ab illa bora in antea foret fidelis, et Vassallus Dominorum Dominorum Comunis Civitatis Arretij, et Sancto Donato. Item alta voce iuravit quod iuxta suum posse defenderet semper Domnas, Domnicellas, pupillos, orphanos, et bona Ecclesiarum contra vim, et potentiam iniustam. potentium bominum, et contra illorum gualdanas iuxta suum posse. Post boc Ampbosus Busdragus cinxit Ildibrandum calcare aurato in pede dextro, et D. Testa dictus Lupus cinxit eum calcare aurato in pede sinistro. Post boc pulcra nobilis Domnicella Alionora filia Berengberij gladium illi cinxit. Postea Ridolfonus de more dedit illi Gautatam, [156] et dixit illi. Tu es Miles nobilis Militiae equestris, et haec Gautata est in recordationem illius, qui te armavit militem, et baec Gautata debet esse ultima iniurie, quam patienter acceperis. Finita celebratione Sacrosancti Sacrificij Missae cum tubis, et timpanis redierunt omnes ad domum Ridolfoni. Ante portam D. Ridolfoni stabant duodecim pulcrae, et nobiles Domnicellae cum guirnaldis de floribus in capite tenentes in manibus catenam ex floribus, et herbis contextam, et bae Domnicellae facientes serralium nolebant, quod novus miles intraret in domum Ridolfoni. Novus autem Miles dono dedit ilis divitem anulum cum rosa aurea, et dixit quod iuraverat se defensurum esse Domnas, et Domnicellas, et tunc illae permiserunt illi, ut intraret in

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24. Ginevra, Museo. Ritratto antico (?) rilavorato come Federico n.

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25. Firenze, Bargello. Cammeo con una falconiera

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26. Firenze, Bargello. Cammeo con una falconiera: particolare. Domum, in qua a Domicellis de Palatio magnum Prandium paratum fuerat, in quo multi milites, et seniores sederunt. In medio prandij Domini Domini miserunt divitem donum novo Militi, scilicet duas integras, et fortes armaturas ferreas, unam albam cum clavellis argenteis, alieram viridem cum clavellis, et ornamentis auratis, duos nobiles, et grandes equos alemannicos unum album, alterum nigrum, duos Roncinos, et duas nobiles, et ornatas vestes armaturae superimponendas. Inter prandendum proiecta fuit ex fenestris ad populum, qui erat in Strata, magna quantitas trageae, multi panes musta.

cei, multae gallinae, et pipiones, et magna aucarum quantitas; unde magna, et incredibilis laetitia in tota illa contrata erat; et populus exclamabat Vivat Vivat, et orabat, ut frequentius baec festivitas [157] fie: rel, cum iam essent plures quam viginti anni quod facta non fuisset. Post prandium novus Miles Ildibrandus Armatura illa tota alba, quae benedicta fuerat in Missa ad auroram armatus fuit, et cum eo armati fuerunt multi nobiles bomines. Postea Ildibrandus adscendit in equum album, et ivit al Pla positus in medio a Luchino Tastonis supranone dicto Pescolla, et a Farolfo Catenaccio vocato

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27. Washington, Dumbarton Oaks. Cammeo con Ercole (Federico 1) e il leone.

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Squarcina cum ornatis scutiferis lanceas, et scut deportantibus. In Plates preparatum erat magnum Torneamentum, multaeque Domnae, et Domnicellae in fenestris erant, et multa turba populi in Platea. Sex Iudices Torneamenti fuerunt Brunus Bonaiutae, Naimerius de Totis, Ubertus de Palmiano dictus Pollezza, Giudoguerra Montebuonus, Bertoldus olim Cenci vocatus Barbaquadra, et Nannes de Fatalbis vocatus Mangiabolzonus. Hastiludium prius factum fuit de corpore ad corpus cum lanceis adsque ferro acuto, sed cum trappellis obtusis, in quo novus Miles bene, et fortiter se gessit, et cucurrit primo de corpore ad corpus contra lacobum a domo Bovacci, secundo contra Inghilfredum Guasconis supranomine vocatum Scannaguelfos, tertio contra Godentium Tagliaboves. Postea fuit factum torneamentum cum evaginatis ensibus, et res fuit pulcra, et terribilis, et tanquam vera guerra esset, et per gratiam Dei nibil mali, vel dampni accidit, nisi quod in Brachio sinistro leviter vulneratus fuit Pbilippus illorum a Focognano. Magnam autem virilitatem monstravit Pierus Paganellus, cui cum ex ictu ensis proiecta esset galea. de capite, et [158] remansisset cum capite nudo, et absque birreto ex maculis, noluit tamen ex torneamento exire, ut boneste poterat; sed intentus ad bene agendum, et ad gloriam acquirendam scuto cooperiebat caput suum, et in maiori folta pugnantium se se immiscebat. Appropinquanie iam vespere cum magno strepitu tubarum indictus fuit finis torneamenti; et Iudices primum premium dederunt novo Militi. Secundum Piero Paganello, tertium Vico de Pantaneto, qui currens de corpore ad corpus cum Toníaccio illorum de Bostolis, lancea illum de equo proiecerat, licet multi dicerent, quod boc non fuit ex defectu Toniacci, sed equi ipsius, tamen Toniaccius de Bostolis non potuit se se eximere quin deportaretur in Barella derisoria facta de fustis. Novus autem Miles suum premium dono misit per duos ornatos scutiferos nobili, et pulcbrae Domnicellae Alionorae, quae in Ecclesia cinxerat ipsi ensem Militiae, et premium fuit unum Bravium de drappo sericeo vermiculato. Post boc cum iam esset nox alta novus Miles Ildibrandus cum quantitate luminarium, et cum tubis, et buccinis rediji in domum Ridolfoni, ubi cenavit cum amicis, et consanguineis, et post cenam distribuit bonorifica munera Ridolfono, et omnibus illis, qui aliquam operam praestiterunt. Habuerunt etiam sua munera Domae, et Domnicellae, quae in nocte vigiliae Ildebrando adstiterant, ec. Haec scripsi ego Pierus filius Mattei a Pionta clericus anno aetatis meae 50. Qui vidi aliam similem solempnitatem quando anno millesimo dugentesimo, et quadragesimo Domno Papa Gregorio sedente, et Domno Friderigo [159] Imperatore Serenissimo imperante factus fuit Miles Corradus Masnaderius in Ecclesia. Sancti Pieri; sed illa solemnitas non fuit tam

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28. Washington, Dumbarton Oaks. Cammeo con Ercole (Federico n) e il leone: particolare.

29. Collezione privata. Pasta vitrea con Federico n.

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32. München, Schatzkammer der Residenz. Cammeo Tedericiano.

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33. Donaueschingen, Collezione Fürstenberg. Cammeo federiciano.

Simone Martini e Federico 1

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34. L'Aia, Collezione Reale. Cammeo federiciano.

magnifica, quam fuit ista Domini Ildebrandi, quae vere fuit magnificentissima, ec. Dalla seguente Scrittura, che racconta, come in Firenze furon fatti Cavalieri Giovanni, e Gualtieri Panciatichi ne sono stato favorito dal sig. Conte Lorenzo Magalotti, che ne conserva copia in un Libro di diverse Scritture antiche raccolte da uno de’ suoi nobilissimi Antenati 1388. Die 25. Aprilis 1388 presentibus Ser Dominico Ser Salvi, Frate Georgio. Domini fecerunt Sindicum ad militiam Domini Joannis de Panciatichis, et Gualtieri filij Bandini, postea nominati Domini Bandini, et ad omnia, et omnes actus, et ceremonias Dominum Gabrielem. Aijmo de Venetijs Capitaneum Populi. Die 25 Aprilis 1388. Indictione 11 praesentibus Aghinolfo D. Gualterotti, Nicolaio Nicolai, Laurentio D. Palmerij, et Francisco Nerij Fioravantis in Ecclesia Sancti Joannis. 1. Caput. Et barbam sibi facit fieri pulcrius quam prius esset, et caput, et voluit pro completo baberi factus per Dominum. C. boc modo quod manu tetigit barbam.

2. Intret balneum in signum lotionis peccati, et cuiuslibet viti, ec. puritatis prout est puer, qui exit de Baptismate. Commisit quod fieret per Dominum Philippum de Magalottis. D. Michaelem de Medicis, et D. Thomasium de Sacchettis, et pro eis balnearetur et sic balneatus fuit. [1601 3. Statim post Balneum intret lectum purum, et novum in signum magnae quietis, quam quis debet acquirere virtute Militiae, et per Militiam. Missus in lectun per praedictos Gommiss. ec. 4. Aliquantulum in lecto strato exeat, et vestiatur de drappo albo, et sericeo in signum nitiditatis, quam debet custodire Miles libere, et pure. De mandato Capitanei indutus albo, et sic illo sero remansit. inter tertiam, et quartam boram noctis. 5. Induatur roba vermilia pro sanguine, quem Miles debet fundere pro sevitio Domini nostri Iesu Christi, et pro Sancta Ecclesia. Die 26. dicti Mensis de mane in dicta Ecclesia praesentibus supradictis de mandato, et commissione Capitanei exutus est, et indutus vermilio per dictos Milites 6. Galcetur caligis brunis in signum terrae, quia omnes sumus de terra, et in terra redibimus. Factum est de caligis nigro de sirico successive per dictos tres Milites.

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35. Firenze, Museo degli Argenti.

Cammeo federiciano con leone.

36. San Pietroburgo, Hermitage. Cammeo federiciano con leone.

Simone Martini e Federico u

37. Londra, British Museum. Cammeo federiciano con leone.

38. Napoli, Museo Nazionale. con leone.

Cammeo federiciano

7. Surgat incontinenti, et cingatur una cinctura alba in signum Virginitatis, et puritatis, quam Miles multum debet inspicere, et multum procurare ne fedet corpus suum. Factum est, et cinxit eum Capitameus, 8. De calcare aureo, sive aurato in signum promptitudinis servitij militaris, et per militiam requisiti prous volurnus alios Milites esse ad nostram iussionem. Dictae die 26. Super Arengberia factum mandato, ut supra, perD. Vannem de Castellanis, et Nicolaum Pagnozzi. 9. Cingatur ensis in signum securitatis contra Diabolum. Et duo tallij significant diretturam, et legaltiatem prout [161] est defendere pauperem contra

divitem, et debilem contra fortem. Factum per Dom. Donatum de Acciatuolis 10. Alba infula in capite insignum, prout debet facere opera pura, et bona, ita debet reddere animam puram, et bonam Domino nostro. Omissum fuit, quía non erat infula. 11. Alapba pro memoria eius, qui Militem fecit. Non debet Miles aliquid villanum, vel turpe facere timore mortis, vel carceris. Quatuor generalia faciat. Miles. Primo non sit in loco, in quo falsum iudicium detur. Secundo non de proditione tractare, et inde discedere, nisi alias posset resistere. Tertio non ubi Da-

39-40. Firenze, Museo degli Argenti e Collezione privatà. Cammei federiciani con leoni.

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ma, vel Damigella exconstlietur, sed consulere recte. Quarto ieiunare die Veneris in memoriam Domini nostri, ec. Nisi valetudine, vel mandato Superioris, ec. Vel alia iusta causa. Dicto die 26 Aprilis factus fuit Miles armatus. Gualterius, postea ob memoriam Patris dictus Domimus Bandinus, et factus fuit per Capitaneum Sindicum, ec. Calciatus calcaribus per Dom. Robertum Pieri Lippi, et Dom. Baldum de Catalanis, et cinctus ense per Dom. Pazzinum de Strozzis, omnia in presentía DD. Et plurium aliorum Militum, et populi multitudo maxima fuit. D. Ioannes promisit, et iuravit pro se, et pro D: Bandino, et promisit quando esset legittimae aetatis infra annum coram DD: ratificaret, et iuraret, L'anno 1389. A San Dionigi in Francia dal Re Carlo [162] νι furono fatti cavalieri, Luigi n. Re di Sicilia, e Carlo suo fratello, e figliuoli di Luigi 1 Re di Francia con le seguenti cirimonie, come si legge nell'Autore di una Cronaca manuscritta compilata ad istanza di Giudo di Monsò, e di Filippo di Vilette Abati di San Dionigi, la qual Cronaca fu cominciata l'anno 1380, e dura fino al 1415. Ad celebritatis fama oris remotioribus divulgandam in Alemanniam, et Angliam longe, lateque per Regnum cursores Regij diriguntur, et nuncij, qui utriusque sexus ingenuitatem oraculo vivae vocis, et apicibus invitarent ad solemnitataem in Villa Sancti Dionisij prope Parisius peragendam. Prima die Mensis, quae fuit dies Sabbatbi, Sole iam. suos delectabiles radios abscondente, Rex ad locum deditum solemnitati accessit: Quem, modico temporis spatio interiecto, Regina Siciliae secula est. In curru. de Parisius exivit cum Ducium, Militum, et Baronum multitudine copiosa, quam etiam duo eiusdem filij Ludovicus Rex Siciliae, et Carolus adolescentes egregij, equestres sine medio sequebantur, non tamen simili apparatu, quo prius soliti erant equitare. Nam scutiferorum priscorum ceremonias gradatim ad tyronum ordinem ascendentium servantes, tunica lata talari ex griseto bene fusco uterque indutus erat. Quidquid. vero ornamenti eorum equi, vel ipsimet deferebant, auro penitus carebat. Ex simili quoque panno, quo ambo induti erant quasdam portiunculas complicatas, ac fellis equorum a tergo alligatas deferebant, ut armigerorum antiquo- [163] rum pergere proficiscentium speciem denotarent. In hoc statu cum matrem usque ad 5. Dionysium conduxissent, in secretioribus locis nudi in praeparatis Balneis so mundarunt. Quo peracto circa noctis initium, ad Regem redeunt salutandum, a quo benigne suscepti sunt: Et tunc ad Ecclesiam festinans, eo sequi se precepit modo, qui sequitur. Indumentis praedictis exuti mox vestimentis. nouae Militiae adornantur. Ex oloserico rubino vestimenta duplicia minutis varijs foderata deferebant, unum de subtus rotundum, ad talos usque proten-

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sum; alterum ad modum imperialis chlamydis, a scapulis ad terram dependentis. Quo habitu distincti, et absque caputijs ad Ecclesiam sunt adducti. Insignium Virorum comitiva praeibat, et sequebatur. Domini Duces Burgundiae, et Turoniae ad laevam, et ad dextram Ludovicum Regem Siciliae deducebant. Dux etiam Borboniensis, et D. Petrus de Navarra Carolum deducebant. Et bi omnes cum Rege ante Martyrum corpora sacrosancta, peracta oratione cum pompa, qua venerant, coenaturi ad aulam regiam redierunt. Tunc in mensa Regis, Regina Siciliae, Duces Burgundiae, et Turoniae, ac Rex Armeniae sedem superiorem. tenuerunt. Ad laevam Rex Siciliae, et frater eius Carolus consederunt. Celebrique coena facta, omnibus Rex vale dicens ad quiescendum perrexit. Insignes vero adolescentes predicti babitu eodem, quo prius, ante Martyres reducuntur, ut ibidem, sicut mos antiquitus inolevît, ín orationibus pernoctarent. Sed quia tenera aetas amborum tanto labori minime correspondebat, ibi modica mora [164] facta, reducuntur ut quieti indulgerent. Ilucescente Aurora futurorum Militum ductores praenominati ad Ecclesiam accedentes, adolescentes. Regios prostratos ante pignora Martyrum sacrosancta repererunt, quos ad domum reducentes expectare Missarum solemnia praeceperunt. Haec Antissiodeensis Episcopus cum conventu monasterij celebranda susceperat, ut novae Militiae insignia sanctius conferrentur. Ad quod etiam decentius peragendum, Rex brevi nobilium vallatus multitudine ad Ecclesiam pervenit. Duo armigeri corpori eius custodes praecipui evaginatos enses per cuspidem deferentes in quorum summitate aurea calcaria dependebant, per claustri poetam Ecclesiam sunt ingressi, quos Rex. longo, et regali epitogio indutus, ac postmodum Rex Siciliae cum fratre, ordine quo prius sequebantur. Qui cum ad Altare Martyrum pervenissent, ac ibidem Reginas Franciae, et Siciliae, ac caeterarum Dominarum insigne contubernium expectassent, iubente Rege Missa solemnis inchoatur. Hoc peracto, Episcopus protinus Regem adiit, et in eius presentia ambo adolescentes flexis genibus petierunt, ut tyromum adscriberentur numero, qui cum eis iuramentum solitum exegisset, eos noviter accinzcit balteo militari, et per Dominum de Cbauviniaco calcaribus deauratis eos iussit Rec Carolus insigniri. In boc statu prius tamen ab Episcopo benedictione percepta in aulam Regiam reducuntur, ubi cum Rege prandium, et coenam acceperunt utriusque sexus evocata mobilitate absistente, que ineffabiliter congaudens tripudiando pernoctavit. 165] Die Lunae subsequente, circa diei boram nonam, sicut condictum fuerat, Rex viginti duobus electis militibus spectatae strenuitatis indici iussit bastiludiorum spectaculum, et cum quanto apparatu possent, et scirent, illud redderent. gloriosum. Quod, et peragere maturarunt. Nam mox.

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41. Mentana, già collezione Zeri. Rilievo con "Iustitia

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in equis cristatis, auro fulgentibus armis, et scutis viridibus insignitis, quos etiam sequebantur qui lariceas, et galeas solemniter vectitabant, ad Regem pervenerunt, et ibidem insignem catervam Dominarum, quae ipsorum ductrices existerent, dignum dixerunt aliquandiu praestolari. Eae iusso Regis ad numerum Militum praelectae, vestimentis similibus ex viridi valde fusco cum sertis aureis ac gemmastis cultu Regio pbaleratis insedentes ad eius praesentiam adducuntur. Et sicut instructae fuerant de sinu suo funiculos sericeos extrabentes, dulciter praedictis. militibus porrexerunt, et eorum sinistris lateribus adbaeserunt cum lituis, et instrumentis musicis cos usque ad campum agonistarum deducentes. Ardor inde martius militum animos incitavit ut repetitione ictuum lancearum usque al Solis occasum laudis, et probitatis titulos mererentur. Tum Dominae quarum ex arbitrio sententia bravij dependebat, nominarunt quos bonorandos, et praemiandos singulariter censuerunt. Quarum sententiam, gratanter Rex audiens, et ipsam munificentia solita cupiens adimplere, praetos viros aegregios, pro qualitate meritorum, donis donavit ingentibus. Et inde coena peracta, quod reliquum noctis fuit, tripudiando transactum est. Militari tyrocinio peracto, frequens dies ad similia exer- [166] cenda vigintiduobus electis scutiferts assinatur, et pari pompa, ut prius a totidem Domicellis in campum ducti fuerunt, ubi alternatis ictibus mutuo usque ad noctem conflixerunt. Coenaque lauta Regio more est peracta, cum Dominae nominassent quos super caeteros eligerant praemiandos. Quia exercitium illud militare per triduum statuerat exerceri, die sequenti, priore tamen ordine non servato, indifferenter Milites cum scutiferis ludum laudabiliter peregerunt, et ut prius Virtutis praemia receperunt qui iudicio Dominarum se babuerunt Sortius. Sic nox quarta finem dedit choreis. Sequenti die Regia Reflectione percepta, Rex pro cuiuscumque merito Milites, et armigeros laudavit. non sine fluxu munerum, munificentiaeque Regalis. manum porrigens liberalem, Dominas, et Domicellas armillis, et muneribus aureis, et argenteis, olosericisque donavit insignoribus, omnibusque cum pacis osculo valedixit, et concessit licentiam redeundi. Non sarà forse discaro agli amatori delle antichità il soggiugnere qui la maniera antica usata nel Regno d'Inghilterra, contenuta nella seguente Scrittura, la quale fu data prima in luce da Edoardo Bisseo nelle sue note sopra il Trattato di Niccolò Vpton de Studio Militari stampato in Londra l'anno 1654 in foglio, e poscia dal sig. Carlo Du-Fresne nel suo famoso Glossario Latinobarbaro. Io ne ho una antica copia manuscritta in cartapecora. [167] Cy apres enfuit l'ordonnance, et maniere de creer, et faire noveaulx Chevaliers du Baing au temps de paix, selon la Custume d'Angleterre.

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Quant ung escuier vient en la Cour pour recevoir. T'ordre de Chevalrie en temps de paix selon la Custume d'Angleterre; il sera tresnoblement receu par le officiers de la Cour, comme le Seneschal, ou du Chamberlain, s'ilz sont presens; et autrement, par les Marescbaulx, et buissiers. Ft adonc seront ordonnez deux Escuiers d’onneur saiges, et bien aprins en courtoisies, et nourritures, et en la maniere du fait de chevalrie; et ilz seront escuiers, et gouverneours de tout ce qui appartient a celluy, qui prendra l'ordre dessus dit. Et au cas, que l'escuier viegne devant disner, il servira le Roy de une escuelle du premier cours seulement. Et puis les dicts escuiers governeurs admeneroni Vescuier, qui prendra l'ordre en sa chambre sans plus estre veu en celle iournee. Et au vespre les escuiers gouverneurs envoyeront apres le barbier, et ils appareillont ung Baign gracieusement appareille de toile, aussy bien dedans la Cuve, que debors. Et que la Cuve foit bien couverte de tapiz, et manteaulx, pour la froidure de nuyt. Et adoncques sera l'escuiers rez la barbe, et ler cheveulx tonde, Et ce faict les escuiers governeurs yront au Roy, et diront; Sire il est vespre, et l'escuier est tout appareille au Baign, quant vous plaira. Et sur ce le Roy commandera a son Chamberlan, qu'il admene avecques luy en la chambre de l'escuier ler plus gentilz, et les plus saiges chevaliers, qui sont presens, [168] pour luy informer, et conseillier, et enseigner l'ordre, et le fait de Chevalrie. Ft sembablement, que les autres escuiers de l'ostel, avec les menestrelx, voisene par devant les chevaliers, chantans, dansans, et esbalans, iusques a l'uys de la chambre du dit escuier. Et quant les escuiers gouverneurs orront la noisse des menestrelz ilz despouilleront l'escuier, et le mettront tout nu dedans le Baing. Mais a l'entree de la Chambre les escuiers gouverneurs feront cesser les Menestrelx, et les escuiers aussi pour le temps. Et ce fait les gentilz saiges Chevaliers entreront en la Chambre tout coyement sans noise faire: et adoncques les Chevaliers feront reverence l'un a l'autre, qui sera le premier pour conseillier l'escuier au Baing l'ordre, et le fait. Et quant ilz seront accordes dont yra le premier au Baing, et ylec s'agenoillera pae devant la cuve en disant en secret Sire a grant honneur soit il pour vous cet Baing; et puis luy monstrera le fait de l'ordre, au mieux qu'il pourra, et puis mettra de l'eave du Baing dessus l'espaulles de l'escuier, et prendra congie. E Vescuier gouverneurs garderont les costes du Baing. En mesme maniere seront touts les autres chevaliers l'un apres l'autre, tant qu'ils ayent touts ‚fait. Et donc partiront les chevaliers hors de la chambre pour ung temps. Ce fait les escuiers gouverneurs prendont Tescuiers bors du Baing, et le mettront en son lit tant qu'il soit sechie; et soit le dit lin simple sans courtines. Et quant il sera sechie, il levera hors du lit, et sera addurne, et [169] vesti bien chaulde-

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42. München, Schatzkammer der Residenz. Cammeo con personificazione.

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ment pour le veillier de la nuyt. Et sur tous ses draps il vestira une cotte de drap rousset, avecques unes longues manches, et le chapperon a la ditte Robe en guise dung bermite. Et l'escuier ainsi bors du Baing, et attorne, le barbier ostera le Baing, et tout ce qu'il a entour, aussi bien dedens comme debors, et le prendra pour son sie ensemble pour le collier; comme ensí, si cest Chevaliers soit Conte, Baron, Baneret, ou Bachelier, selon la custume de la Cour. Et ce fait, les escuiers gouverneurs ouvreont l'uys de la chambre, et feront les saiges Chevaliers reentrer, pour mener l'escuier a la Cbappelle. Ft quant ilz seront entrez, les escuiers, esbatans, et dansans seront admenes par devant l'escuier avecques les menestrels faisans leurs melodies iusque a la Chappelle. Et quant ilz seront entrez en la Chappelle, les espicxes, et le vin seront prestz a donner aux dits Chevaliers, et escuiers; Et les escuiers gouverneurs admeneront les Chevaliers par devant Vescuier pour prendre congie, et il les mercira touts ensemble de leur travail, bonneur, et courtoistes qu'ilz luy ont fait. Et en ce point ilz departiront hors de la Chappelle. Et sur ce les escuiers gouverneurs fermeront la porte de la Chappelle, et ny demourera force les escuiers ses gouverneurs, ses prestres, le chandellier, et le guet. Et en ceste guise demourerà l'escuier en la Chappelle tant qu'il soit iour, tousiours en oraisons, et prieres, Requerant le puissant Seigneur, et la bennoite Mere, que de leur digne grace luy donnent pouvoir, et confort a prendre ceste

43. Madrid, Prado. Cammeo federiciano.

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baulte dignite tempo4170] relle en l'onneur, et lovenge de leur, de sainte Eglise, et de l'ordre de Chevalerie. Et quant on verra le point du iour, on querra le Prestre pour le confesser de tous ses pechies, et orra ses matines, et messe, et puis sera accommuschie, s'il veult. Mais depuis l'entree de la Chapelle autra ung cierge ardant devant luy. La messe commence, ung des gouverneurs tiendra le cierge devant l'escuter iusque a l'Evangile. Et a l'Evangile, le governeur baillerà le cierge a l'escuier iusque a la fin de la ditte Evangele: l'escuier governeur osterà le cierge, et le mettra devant l'escuier iusque a la [in de la ditte Messe, et a la leuacion du Sacrament ung des gouverneurs ostera le chapperon de Tescuier, et apres le Sacrament le remettra iusque a l'Evangile In princi pio. Et au commencement de In Principio le governeur ostera le chapperon de Tescuier, et le fera ester, et lui donnerä le cierge en sa main: mais qu'il y ait ung denier au plus pres de la lumiere fichie. Et quant ce vient Verbum caro factum est, l'escuier se genoillera, et offra le cierge, et le denier. Cest a savoir, le cierge en lonneur de Dieu, et le denier en l'onneur de luy, qui le fera Chevalier. Cefait, les escuiers gouverneurs remeneront l'escuier en sa chambre, et le metront en son lit iusque a baulte four. Et quant il sera en son lit, pendant le temps de son reveillier, il fera amende, cest assavoir avec ung couverton d'or, appelle sigleton, et ce sera lure du carde. Et quant il semblera temps aux gouverneurs, ilz yrontau Roy, et lui diront. Sire quant il vous plaira nostre maijstre [171] reveillera. Et a ce le Roy commandera les saiges Chevaliers escuiers, et menestrelx d'aler a la chambre du dit escuier pour le reveillier, attourner, vestir, et admener par devant lui en sa sale. Mais par devant leur entree, et la noise des menestrelx oye, les escuiers gouverneurs ordonneront toutes ses necessaries prests par ordre, a baillier aux chevaliers pour attourner, et vestir l'escuier. Bt quant les Chevaliers seront venus a la Chambre de l'escuier. Sire le tres bon iour vous soit donne, il est temps de vous lever, et adrecier; et avec ce les gouverneurs de prenderont par les braz, et le feront drecier. Le plus gentil, ou le plus saige Chevalier donnera a l'escuier sa chemise; ung autre lui baillera ses braques; le tiers lui donnera ung pourpoint; ung autre lui vestira avec ung Kirtel de rouge tartarin. Deux autres le leveront bors du lit, et deux autres le chaulseront; mais soient les cbaulses denouz, avecques semelles de cuir. Ft deux autres lasceront ses manches; et ung autre le ceindra de la sancture de cuir blanc sans aucun barnois de metal: Et ung autre peignera sa teste: et un autre mettra la coiffe; ung autre lui donnera le mantel de soye de kirtel de rouge tartarin atachiez avec ung laz de soye blanc avec une paire de gans blans, pendus au bout du laz. Mais le Chancellier prendra pour son fies tous les garnements

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avec tout l'arroy, et necessaries, en quoy l'escuier estoit attournez, et vestuez le jour qu'il entra en la Court pour prendre l'ordre. Ensemble le lit en qui il coucba premierment apres le Baing, aussi bien avec le (1721 Singleton, que des autres necesites. Pour les quels siefs le dit Chancelier trouvera a ses despens la coiffe, les gans, la ceinture, et le las. Et puis ce fait les saiges chevaliers monteront a cheval, et admeneront l'escuier a la sale, et les menestrelx tous iours devant aisans leurs melodies. Mais soit le Cheval habillie comme il ensuit. Il aura une telle couuerte de cuir. noir, les arzons de blanc fust, et esquartez, les estriwiers noires, les fers dorez, le poitral de cuir noir avec une croix patee doree pendant par devant le piz du cheval, et sans croupiere, le frain de noir a longues cerres a la guise de Espaigne, et une croix patee au front. Et aussi soit ordonne ung ieune Iouvensel escuier gentil, qui chevaulchera devant l'escuier. Et il sera dechapperonné et portera l'espee de escuier avec les esperons pendans sur les eschalles de l'espee, et soit l'espee a blanches esihalles faictes de blanc cuir, et le ceinture de blanc cuir sanz barnois; et le Jouvencel tiendra l'espee par la poignee, et en ce point chevaucheront iusques a la sale du Roy; et seront les gouverneurs prestz a leur mestier. Et les plus saiges Chevaliers menant le dit escuier, et quant il vient par devant la sale les marescbaulx, et buissiers. se seront prestz a l'encontre de l'escuier et lui diront. Descendez. Et lui descendra. Le Marescal prendra son cheval pour sie, ou CS. Et sur ce les chevaliers. admeneront Vescuier en la sale iusque a la baulte Table, et puis il sera dresciez au commencement de la Table seconde iusques a la venue du Roy, les chevaliers de coste luy, le louvensel a bout, l'espee estant par devant luy par entre les ditz 1173} deux gouverneurs. Et quani le Roy sera venu a la sale, et regardera l'esculer prest de prendre la bault ordre de dignite temporelle, il demandera l'espee avecques les esperons. Et le chamberlain prendra l'espee, et les esperons di Iouvencel, et les mostrera au Roy; et sur ce le Roy prendra l'esperon dextre, et le baillera au plus noble, et plus gentil, et luy dira. Mettez cestuy au tallon de Vescuier. Et celluy sera agenoillie a l'un genoil, et prendra l'escuier par la iambe dextre, et mettra son pied sur son genoil, et fixchera l'esperon au tallon dextre de l'escuier. Et le seigneur faira croix sur le genoil de l'escuier, et luy baisera. Et ce fait viendra ung autre seigneur, qui fichera l'esperon au tallon senestre en mesme maniere. Et doncques le Roy de sa tres grande courtoisie prendra Vespee, et la ceindra a l'esculer. Et puis l'esculer levera. ses braz en hault, les mains entretenans, et les gans entre les pous et les doits: et le Roy mettra ses bras entour le col de l'escuier, et lievera la main dextre, et frappera sur le col, et dira. Soyes bon Chivaliers et ‘puis lebaiser. Et adoncques les saiges Chivaliers ad-

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meneront le nouvel Chivalier a la Chapelle a tre grande melodie iusques au bault autel. Et ilecques se agenoillera, et mettra sa destre main dessus l'autel. Et sera promisse de soustenir le droit de Saincte Eglise toute sa vie.Ft adoncques soy mesme deceindra T'espee avec grande devotion, et prieres a Diex, a Saincte Eglise, et Voffreira en priant Dieu, et a tous ses Saincts qu'il puisse garder l'ordre, qu'il a prins iusques a la fin. Et ceo acomliz preindra une souppe (1741 de vin. Et a la issue de la Chappelle le maistre queux du Roy sera prest de oster les esperons, et les prendra pour son fie, et dira. Ie suis venu le maistre queuz du Roy, et prens vos esperons pour mon fie, et si vous faites chose contre l'ordre de chevalrie (que Dieu ne vueille) ie coupperay vos esperons de dessus vos talons. Et puis le Chevaliers le remenont en la sale et il commencera la table des Chevaliers. Et seront assis entour luy les chevaliers, et il sera serroy si comme les autres; mais il ne mangera ne ne beuvra a la table, ne ne se mouvra, ne ne regardera ne deza ne de la, non plus que une nouvelle mariee. Ft ce fait, ung de ces gouverneurs avra ung cuever chefen sa main qu'il tiendra par devant le visage, quant il sera besoing pour le craisier. Et quant le Roy sera leve bors de sa table, et passe en sa chambre: adoncques le nouvel chevalier sera mene a grant foison de Chevaliers, et Menestrelx devant luy iusques a sa chambre. Et a l'entree les Chevaliers, et Menestrelx prendront congie, et il yra a son disner. Et les Chevaliers departiz, la chambre sera fermee, et le nouvel chevalier sera despouille de ses paremens, et ilz seront donnes aux Roys des Heraulx, s'ilz sont presens, ou si non, aux autres Heraulx s'ilz y sont, autrement. aux menestrelx, avecques ung marc d'argent s'il est Bacheler, et si il est Baron le double; et s'il est Conte ou de plus, le double. Et le Rousset cappe de nuyt sera donne au guet, autrement ung noble. Et adoncques il sera revestu d'une robe de bleu, et les manches de custote en guisse d'un prestre, et il aura a l'espaule senestre ung laz de blanche soye pendant. Et ce blanc laz il por- [175] tera sur tous ses babellemens quil vestira au long de celle iournee, tant qu'il ait gaignie bonneur, et renom d'armes, et quil soit recorde de si bault record comme de nobles Chevaliers, Escuiers, et Heraulx d'armes, et qu'il soit renomme de ses faiz d'armes, comme devant est dit, ou aucun bault Prince, ou tres noble Dame de pouvoir couper le laz de l'espaule du cheualier en disant. Sire nous avons ovy tant de uray renom de vostre. bonneur, que vous avez fait en diverses parties, au tres grant bonneur de Chevaliere a vous mesme, et a celuy, qui vous a fait Chevalier, que droit veult, que cest laz vous soit ostez. Mais apres disner les Chevaliers d'honneur, et gentilz bommes viendront apres le Chevalier, et le admeneront en la presence du Roy, et les escuiers gouverneurs pae devant luy. Ft le Cheva-

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lier dira. Tres noble, et redoubte Sire de tout ce, que ie puis, vous remercie, et de touts ces bonneurs, courtoisies, et bontez, que vous, par vostre tres grande grace, m'avez fait, et vous en mercie. Et ce dit, il prendra congie du Roy. Ei sur ce les escuiers gouvermeurs prendront congie de leur maistre en disant. Sire ceo nous avons fait par le commendement du Roy, ainsi comme nous seusmes obligez a nostre pouvoir. Mais s'il est ainsi que nous vous ayons deplu par negligence, ou par faict en cest temps, nous vous requerons pardon: D'autre part, Sire, comme uray droit est, selon les coustumes de Count, et des Royaulmes anciens, nous vous demandons Robes, et Fies a terme de comme escuiers du Roy, compaignons aux bache- [176] Hers, et aux autres Seigneurs. Guglielmo Camdeno nella sua Britannia afferma, che era totalmente andata in disuso cosi fatta maniera di Cavalieri. Milites Balnei, dice egli, qui multis Balneorum, et vigiliarum ceremonijs adbibitis, Patrum memoria creati fuerunt, sciens omitto, quód bic ordo iampridem exolevisse videtur. lo non so quel che fosse ne’ tempi, ne’ quali vivea il Camdeno; so bene, che il Re d'Inghilterra Carlo fratello del Regnante ne’ giorni della sua Coronazione fece molti, e molti Cavalieri Bagnati, o del Bagno, con le solite antiche cirimonie, € non molto dissimili dalle sovraccennate... 771 NOTE * Edita in Rend. Mor. Acc. Lincei, s.9, v. 10, 1999, pp. 159-202 (detta il 13 aprile in occasione delle «Giomate di studio in onore di Ferdinando Bologna), * Sulla araldica nel Medioevo italiano (ad es. Dante: nf, xvn, 55:78; Par, xi, 88-135) la condizione degli studi è critica: generale: H. Züo-Tocat, Un linguaggio feudale: l'aradica, in Storia d'Italia. Annali, 1. Dal feudalesimo al capitalismo, Torino 1978, Ὁ B11 ss. Rimane fondamentale E. Dupnf-Tieseipen, Sugli stemmi delle οἰπᾶ comunali italiane, in La storia del diritto nel quadro dello scienza storiche, Firenze 1966, p. 311 ss." Mondo citadino e movimenti ereticali nel Medicevo, Bologna 1978, p. 103 ss; M. PaSTOREAU-G. Ontani,sy. Araldica, in Enc. Arte Med. Sul simboli smo della lota guelfa c ghibellina: R. Wrrzkoven, Eagle and SerDent. A Study in the Migration of Symbol, in Journ. Warburg Institute, n 1938, p. 293s. Sul simbolismo di Federico u: P.E. Scuramu, Kaiser Friederibs n. Herrschafiszeicben, in Herrschaftzeichen und Staatssymboli, m, Stugart 1956, p. 884 ss Nachträge, München 1978, p. 52 sss Le insegne del potere di Federico 1, in Atti del Convegno di studi su Pederico m, les 1976,p. ΤῸ ss R. Eize, La simbologia del potere nell'età di Federico αι, in Federico 1 Immagine e potere, it. infra, p. 45 ss; F. CARDINI, L'aquila imperiale, ibid., p. 58 ss. Sì veda lelsa e il fodero della spada di cerimonia imperiale: ibid,p. 49: Vienna, Schatzkammer (M. Axpatoro, Federico i e la Sicilia. Arti figurativee arti suntuarie, ci, p. 3 ss. ἀρ. τή, fig. 10). L'esuberanza bibliografica determinatasi a seguito del centenario federiciano impone di ricordare i contributi più ufficiali delle

Antonio Giuliano manifestazioni: Federico 1 e l'Italia, Percorsi, luoghi, segni e tru menti, Roma 1995; Federico1. Immagine o Potere, Venezia 1995 Federico 1 e la Sicilia, 11, Palermo 1995; Intellectual Life at the Court of Frederick it Hoenstaufen, ed. W. Tronzo, Washington. 1994; Kunst im Reich Kaiser Priedrick 1 von Hoenstaufen, her. v. K. Kappel, D. Kemper, A. Knaek, München-Berin 1996; Ariedrick 14 her. A. Esch, N. Kamp, Tübingen 1996. Il primo riconoscimento dello stemma sul tappeto è di: U. MONNERET pe Vita, Tessuti e ricami mesopotamici ai tempi degli 'Abbasidi e dei Seltügidi, in. Mem. Acc. Lincei, s. vm, vu, 4, 1955, p. 218, 1; incerto se atib re il manufatto agli arabi di Lucera, noti come tessitri; P. Ecipt, La colonia saracena di Lucera e la sua distruzione, in Arch. Sor Prov. Napol, 100x130, 1911-1914; Mezzogiorno medioevale e Piemonte moderno, Bari 1931, p. 54. ? Sulle pitture di Simone Martini ad Assisi, quantoa font iconografiche: G. Karat, Iconograpby of the Saints in Tuscan Patnting, Firenze 1986, c. 708 ss, n. 208, A 1- A 4. Per il loro inquadramento A. Ganzeuu, Peculiarità di Simone ad Assis Gli afreschi della Cappella di San Martino, in Simone Martini. Atti del Convegno, Siena 27-29 marzo 1985, Firenze 1988, p. 55 ss. (con bibi. prec: in particolare: F. BOLOGNA, /pittori della conte angioina di Napoli IV: Pro Symone Martini milite, Milano 1969, p. 147 ssi Enc. Arte Med. sv. Angioini, p. 675 ss; € Conclusioni (e. proposte), in Simone Martini, it, p. 239 ss). F. ACETO, Pitori e documenti della Napoli angioina: aggiunte ed espunzioni. 1 Pro Symone Martini milite, in Prospetiva, 67, 1992, p. 53 ss, sgombra il campo per una eventuale concessione del titolo angioino di “miles, in concomitanza con l'ancona di S. Ludovico, canonizzato nel 1317, già a San Lorenzo a Napoli, riconoscendo nel personaggio solo un omonimo. Sulla pittura senese con Guidoriccio da Fogliano «Castrum pingaturin palato», 1, M. Seen, Ricerche storiche e iconografiche sul castelli dipinti nel Palazzo Pubblico di Siena; 2, 1. Bewosı, Duccio e Simone Martini pittori di castelli se“ nos «e lesemplo come erano« |. Boccia, Note sul costume guerre» sco nel Guido Riccio, in Prospetiva, 28, 1982, p. 17 ss; 41 ss; 66 5s; P. Tomum, La parete del «Guidoriccio, in Simone Martini, cit, Ps. > Sulla assimilazione a Costantino: AS. Hoch, The Antique Origines of am Emperor by Simone Martini, in Paragone = Arte, 1, 443, 1987, p. 42 ss si rammenti l'osservazione diP. Totsca, Storia dell'are italiana. n, Il Trecento, Torino 1971 (ristampa), p. 551 ss, fig. 479-480 f. 480: un tartarico aulita- Su lacopo da Varagine si veda l'edizione critica di G.P. Maccioni, 11, Firenze 1998, p. 1133 ss. (rat. De Sancto Martino Martinus Sabarie Pannoniorum oppido oriundus fui, sed intra Yaliam Ticini altus es; cum patre suo tribuno militum sub. Constantio et Juliano cesare militauit non tamen sponte, quia ab. infantia diuinitus inspiratus cum esset annorum duodecim intitis parentibus ad ecclesiam confugit et catechumenum se fieri postulauit et ex tunc heremum intrasse nisi camis infrmitas obsttisst Sed cum cesares decreuissent ut veteranorum filii pro patribus miltarent, Martinus cum esset annorum quindecim ad militandum urgetur... Interea imientibus intra Gallias barbari Iulianus cesar contra eos pugnaturus pecuniam militibus erogauit; at Marinus nolens deinceps militare donatiuum recipere nohiit, sed cesari dixit: Christi ego miles sum, pugnare mihi non licet. Indi gnatus Iulianus dixit quod non religionis gratia, sed metu belli imminentis miltie resignaret, Cui Martinus intrepidus respondi “Si hoc ignauie, non fidei ascriitur, crasina die ante aciem inermis astabo et in nomine Christ signo crucis non clipeo protectus aut galea hostium cuneos penetrabo securus. Unde custodiri iubetur ut inermis, ut dixerat, barbaris obiceretur. Sed die sequenti

Simone Martini e Federico 1

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hoses legationem miserunt sua omnia seque dantes. Unde non dubium est meritis sancti uiri talem uicioriam sine sanguine da* Sul globoe sulle lettere che lo segnano: LA. Brown, The Story of Maps, New York 1977, p. 102; PD. A. Harvey, Medieval Maps, London 1991; M. peLLA Vatte, sv. Cartografia, in Enc. Arte Med. Sulle stoffe: K. Erowann, Arabische Schriftzeichen als Oma. mente in der abenlandische Kunst des Mittelalters, în Abad. Mainz, Abb, 1953, 9, p. 467 ss; in particolare per Simone Mart ni: CS. Hocxucen, Cloth of Gold and Sitter Simone Martinis tecbniquesfor representing luxury textiles in Gesta, XXX, 2 1991 p. 154 ss; anche: H. Tara, Le testinontanze estremo oriental nella pittura italiana nell'epoca di Giotto, in La setae la sua via, a cora di M.T. Lucidi, Roma 1994, p. 129 ss. Sulle donne falconiere in età sveva cfr. nota, Si vedano i cammeia Firenze (figg 25-26): R. Kansnırz, Die Zeit der Staufen, Katalog der Ausstellung, τ, Stuugart 1977, p. 696, n. 663; V, Stuttgart 1979, p. 493, fig. 372 e a Malibu: The 7. Paul Getty Museum Journal, 14, 1986, p. 259, n. 236 (c. A. GiulANO, Motivi classici nella Scultuna e nella glitica di età normanna e federictana, in Federico ue l'arte del duecento italiano, I, Galatina 1980, p. 19 ss. 25, fig. 16; pp. 37-48), Isabella di Inghilterra è rappresentata come falconiera nell'affresco di Palazzo Finco a Bassano: M. FLSA AVA Gna, Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa: Federico uela corte dei Da Romano, in Federico 1. Immagine © potere, ct, p. 105 ss. (su altre piture sveve: a Verona e Ati, ibid, p. 113 5s, © 423 s; ma anche: V.H. Einenn, Das Fresko Kaiser Friedrich 1. an der Torre di S. Zeno zu Verona, in Archiv far Diplomatik, 1, 1995, p. 1 ss). Sul codice vat ano: Fredericus ‘1. De arte venandi cum avibus, MS. Pal lt. 1071, Biblioteca Apo. stolica Vaticana, a cura di CA. Willemsen, Graz 1969. Sulla cuffia maschile, che è una costante nell'iconografia tau fica, si veda, ad es, il cammeo a Vienna Kunsthistorisches Musem: Kanswrrz, cit, p. 698, n. 895; V, p. 509, fig. 387. Sul fldisorio di Federico i: 1. DE Mas-Lerus, Porte e rachat du one de l'Empereur Frédéric n, in Bibl. bc. Chartes, 23, 1863, p. 248 ss HLLA. HUILLARD-BRENOLLES, Lettre sur le tróne de l'Empereur. Fredericαι in Bibl, Éc. Charts, 24, 1863, p. 139 ss;N. Kaw, Die Herrschertbrone im Schatz der Kardinäle: 1268-1271, in Fesisehrift Percy Ernst Schramm, 1, Wiesbaden 1964, p. 157 ss. Sullaspetto fisico dell'imperatore la descrizione migliore è in Rıccoacp FeRRARIENSIS, Historia Imperatorum, in MunatORI, RIS, 1X, 1726, c. 132: De moribus et gloria Piderict: ‚lt autem Fridericus non procerus, obeso corpore, subrussus. ». Adde: M. AMARI, La guerra del vespro siciliano, a cura di F. Giunta, Il 2, Palermo 1969, p. 455 5: I. Frammento del Tesoro di Brunetto Latini, ver sione italiana, Codice della Nazionale di Firenze vm, Latini 1375 (già Sttozziano, 265). Cap. xc i: comelo re perudore Federigo venne alla dignitade dello imperiato di Roma «.. E fue di mozzana taglia e più intra' grandi, e fue di bella compressione lic la Juccia sua grande, colorita ed occhi serpentini e capellatura bionda e tutto bene fatto d'ogni membra; e dell'arme fue meraviglioso cavaliere.» Sulla predilezione per il colore verde (da parte di Federico e degli Svevi: δ. TRAMONTANA, Vesti e travestirsi in Sicilia, Paler mo 1993,p. 98ὃς; cf: Il regno di Sicilia, Torino 1999 (ma si ve. da anche: O. H. Becker, Zur Bedeutung der Farbe grün für die spdien Staufen, in Geschichtsschreibung und geistiges Leben im. Mittlalter, Fesschrif für Heinz Löwe, Köln-Wien 1978, p. 490 552. Sul cavalierato: LA. Munatoni, Antiquitates Ilalcae Medit Aevi, IV, Mediolani 1741, 675 ss. De Institutione Militum, quos

44. Collezione privata. Cammeo federiciano. Cavalieri appellamus, et de Insignis, quae nunc Arme vocantur Dissertatio quinguagesimatertia, c. 687a... Et consulat in primis Franciscum Redium celebrem Virum, utpote qui inter Ialicos non volgari eruditione illustravit unc ritum in Notis ad suum Dity rambus Bacco in Toscana p. 149. Εἰ ex Italica Historia multa congessit, quae, ne nimius sim, apud eum legenda dimito. Il docu. mento (in appendice) è ricordatoda G. Saıvanımı, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295. Seguito da: La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, a cura di E. Sestan, Firenze 1960, p. 364, 419; epitomato c chiarito da S. GaspaRRI, 1 milites cittadini. Studi sulla cavalleria in Ialia, Roma 1992, p. 74 ss, e infine riassunto da F. Carpi, L'acctar dè canalieri. Studi sulla cavallerta nel mondo toscano e talico (Sec. xı-xV), Firenze 1997, p. 151 ss: Una vestizione cavalleresca aretina: ldebrandino Gire tasca. Ora, sulla cavalleria: J. From, Chevalierset chevallerteen Moyen Áge, Paris 1998 (rad. it. Torino 1999). Sui rapporti tra Fe derico ue i «milites: J. Fisckenstuin, Priedrich αι und das Ritertum, in Federico 1 e le nuove culture, Atti del 100% Convegno in: temnazionale: Todi, 9-12 ottobre 1994, Spoleto 1995, p. 27 ss; F. Canon, Federico 1e gli ordini cavallereschi, in Federico re l'lalia, cit, p. 53 ss. Vedi anche: 1. Pusckensrei, her., Das Riteriche Turnier, Götingen 1986: TH. Szano, Das Tournierin halien, PETTO * Sui ritratti di Federico il: A. GivtaNo, Il ritratto di Federico 21 gli elementi antichi, in Xenia, 5, 1983, p. 63 ss pp. 61-70; ma anche: Motiv classici nella sculturae nella glitica di età normanna e federiciana, ci. Ll ritratto di Federico 1 i suoi elementi antichi, in Antike Kunst, 26, 1983, p. 120 ss], -. principes gentium. sunt creati in Prospettiva, 53-56, 1988-1989, p. 80 ss, in questa sede pp. 109-116; «..la luce della gran Costanza», in Paci, 23, 1989,p. 335 ss, pp. 117-122; Novitd sul tesoro di Lorenzo il Ma gnifico, in Lorenzo il Magnifico e H suo mondo (Convegno inter-

160 nazionale di studi, Firenze 9-15 giugno 1992), Firenze 199, p. 319 ss. Assimilazione a Dionysos ed Herakles su gemme e monete dall'età tardo ellenistica al IV dC, in Filellenismo e Tradizionalismo a Roma nei primi due secoli dell'Impero, convegno internazionale: Roma, 27-28 aprile 1995, Roma 1996, p. 143 ss); ma, per tuti; P.C. CLaussen, Creazione e distruzione dell'immagine di Federico 1 nella storia dell'arte. Cosa rimane, in Federico 1. Immagine e potere, ct, p. 69 ss. Scultura figurativa federiciana, in Fedorico ne alia, ci, p. 93 ss. (dove si propongono come federiciane sculture come V, 10 a p. 248: si veda - dopo un mio Xervento in un Convegno a Taranto del 7 ottobre 1995 — F. Siavazzı, Da Policleto a Federico 1. Intorno a una testa antica da Saintes, in Ostra, V, 1996, p. 145 56). Ora: 1. Topisco, Contro. verse federiciane, 1-2, in Xenia antiqua, VI, 1997, p. 143 ss; VI, 1998, p. 197 ss. (con bibl. prec). Sugli augusta: H. Kowisii, Die Augustalen Kaiser Friedrichs n, in Schweitzerische Numismasche Rundschau, 54, 1975, p.77 ss. dimostra che su 579 esemplari, atribuibili alle zecche di Brindisi e di Messina, è possibile riconoscere una serie notevolissima di varianti (1/4). Queste lasciano intendere quanto fossero numerosi gli incisor che realiz zavano i punzoni necessari alle emissioni. Sulla continuità della iconografia degli augustali: Corpus Nummorum Bergomensium, Bollettino di Numismatica, monografia, 5,1, 1-2, Roma 1996. * A Napoli, peraltro, esisteva una pittura Ὁ) che rappresentava Federico: F. Francisci Piet, Il, Chronicon, XXXIX, De Magistro Petro do Vineis, in MuratoRI, RIS, IX, cit, c. 660 -Cojus quidem singularis familiaritatis apud Imperatorem foit ilud signum insigne, quod, in Neapolitano Palatio, Imperatoris, & Petri effges habebantur. Imperator in throno, Petrus in Cathedra. residebat. Populus ad pedes Imperatoris procumbens, justitiam sibi in causis fier his versibus innuebat. Caesar amor Legum, Frderice pissime Regum, Causarum telas nostras resolee querelas Imperator autem his alis versibus ad haec videbatur ale dare responsum. Pro vestra lite Censorem juris adito Hic es; tura dabit, vel per me danda rogabit. Vinee cognomen Petrus Iudex est sibi nomen. Imperatoris enim figura respiciens ad Populum, digito ad Penum sermonem dirigere indicabat. Federico 1 è altrimenti rappresentato nella chiesa di 5. Francesco ad Assis E. Lunoni, Presenze di Federico n nella chiesa di δ. Francesco ad Assist, in Assisi al tempo di Federico 1, Au Accademia Properziana del Subasio - Assisi, VI, 23, 1995, p. 215 ss. Sui monumenti privati o federiciani in Toscana — a parte il castello di Prato — si pensi alla descrizione di un edificio a Pisa: Saumene. DE Adam, Cronica (a cura di G. Scalia) 1, Bari 1966, p. 60 ss 225.6 1229): «Cum autem in civitate Pisana habitarem, eram iuvenculus, et duxit me quadam vice pro pane quidam frater laycus et spurius et habens cor vanum, εἴ erat natione Pisanus... Igitur, cum essem com co in civitate Pisana et cum sports nostris panem mendicando iremus, occurrit nobis quaedam curtis, quam ambo pariter sumus ingressi. In qua erat viis frondosa desuper extensa per τος tom, culus viriditas delectábilis ad videndum et umbra nichilomimus ad quiescendum suavis, Ibi erant leopardi et alie bestie ultramarine quam plures, quas libenter aspeximus longo intuitu, quia libenter inusitata εἰ pulcra videntur. Erant etiam ibi puelle et

Antonio Giuliano pueri in etate ydonea, quas pulcritudo vestium et facierum speciosias muliplicter decorabat et faciebat amabiles. Et habebant. in manibus, tam femine quam masculi, viellas et cytharas et alia genera musicorum diversa, in quibus modulos faciebant dulcis mos, et gestus representabant ydoneos. Nullus tumultus erat ibi, nec aliquis loquebatur, sed omnes in silentio ascultabant. Et canio quam cantabant inusiata erat et pulera, et quantum ad verba, et quantum ad vocum varietatem et modum cantandi, usque adeo ut cor iucundum redderetur supra modum. Nichil nobis dixerunt, sed et nos nichil diximus eis. Cantare non cessaverunt quousque. {fulimus ibi, tam voce quam musicis instrumentis. Ex contraximus ibi longam moram [ei vix scivimus recedere inde. Nescio, novit Deus, unde tante lette talis apparatus occurrerit, quia nec antea ilum videramus vel similem, nec postea videre potuimus.Su Federico ı a Foligno: S. Niss, II Ducato di Spoleto tra Papato e Impero al tempo di Federico 11 (con elenchi dei Rettori Pontefie Vicari Imperiali, in 11 Ducato di Spoleto, Ati del 9° Convegno Internazionale di studi sull'lto Medioevo (Spoleto: 27, 92, 10 1982), I, Spoleto 1983, p. 909 ss rst, Montefalco 1994); Federico 1 e suoi rapport con l'Umbria, Montefalco 1995 (esti di H. Zug Tucci, A. Bartoli Langeli, S. Ness. Su alcuni monumenti federiciani: Spoleto (L. Stnsi, 1 rtrati roman di Spoleto in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli studi di Peruga, XXII, ns. VIII, 1984-85, 1, Studi Classic, p. 227 ss cat n. 28, 31, 52), Foligno (M. Fotoci, Catalogo del Museo Civico di FoHino, Foligno 1908): ovale: Inst Neg. 38, 291; due teste femminiJi Inst. Neg. 40, 987, 40.988, 80, 2028. Altre due teste femminili in collezione privata a Roma ed una nella collezione della Università di Colonia: K. BERGER, Griechische und italische Antike der Sammlung Niessen, in Kölner Jahrbuch, 28, 1995, p. 7 ss, p. 115, n. 161, figg. 221-225. N. 5684 (AD. 7 Sulla cultura formale federiciana (cfr. nota 5) è ora indispensabile consultare: W. GRONDHAGEN, Bemerkungen zu den Kameen in der Krone des Königs Sancho rv von Kastlien (el Bravo« 1284-1295; filo di Alfonso x el Sabio« 1252-1284), in Madrider Mitteilungen, 29, 1988, p. 245 ss, av. 58. Sulla importanza dei cammei e delle incisioni si rimanda a: «..corone cum gemis et camafodis et anulis et ala dona nobilia ad regem pertinentia... in G. Dauer, Les testaments d'Alpbonse x le Sauvant Roi de Custl lo, in Bibl Be. Chartes, LXVIL, 1906, p. 70 ss, e p. 91 (101-1284) (Chr: EH. Βνκνε, Some Medioeval Gems and relative Value, in poculum, X, 1935, p. 177 ss; U. ῬΆννυτι, La «Tazza Farnese datazione, interpretazione e trasmissione del cimelio, in Pact, 23, 1989, p. 205 ss. Si veda l'inventario del Cardinale (Dante, Inf, X, 120) Ubaldini: G. Levi, II Cardinale Ortaviano degli Ubaldini, il suo carteggio e altri documenti, in Arch. Soc. Rom. St Patria, XIV, 1891,p. 232 ss, p. 297 ss, n. xxv: 1° - x — 1262). I rilievo nelJa coll. Zeri (forse Justitia» che trionfa su un leone guelfo) (fig. 4), è edito da GL. Metuisı, Federiciana, 4, in Comunità, x, 1920, 1991, p. 3 ss;e p. 9, fig. 12-13, 15 (Dante; Par. VI, 107 s: ma tema doll artigli ch'a più alio leon trassero vell). 1l cammeo a Monaco (lig. 42) è in LS. Wesen, Kostbare Steine. Die Gemmensammlung des Kurfürsten Joban Wilbelm von der Pfalz, München 1992, p. 73 ss, n. 18 Qualien; 1 Halte 16 Jahrhundert 0); cr. Carmina Triumphalia de Victoria urbe eversa, in Mom. Germ. Hit, XVIII p.795 (I, 9 ss). E. Mazzanese FARDELLA, Aspetti della organizzazione amministrativa nello stato normanno e svevo, Milano: 1966; P. Gourva, Ricerche sul principio di legalità nell'amministraione del Regno di Sicilia αἱ tempo di Federico 1, 1, Milano 1964.

ANTONIO GIULIANO

Lineamenti per una cultura formale di Federico n°

Federico 11, incoronatosi re di Gerusalemme nel 1229, mise in atto la ristrutturazione dello stato. Del 1231 sono le Costituzioni di Melfi?. A testimonianza della propria autorità egli volle fosse coniata una moneta di oro già nel Dicembre del 1231: Nummi aurei qui augustales vocantur, de mandato imperatoris in utraque sycla, Brundusii et Messanae cuduntur. L’augustale si rifà a precisi prototipi antichi: di oro fino, del peso medio di 5,2-5,3 grammi, con un diametro di 19-21 millimetri, reca il busto dell'imperatore e l'iscrizione 1MP(erator)

mOM(anorum) CESAR AvG(ustus) — e un'aquila dalle ali spiegate e FRIDERICUS sul rovescio

(figg. 1-9). La circolazione e la propaganda po-

litica implicita nelle raffigurazioni delle monete dové essere molto notevole. Gli augustali sono abbastanza comuni: nel 1975 venivano scelti e catalogati, tra augustali e mezzi augustali, 579 esemplari. Si ricordano alcuni tesoretti: come quello di Pisa composto di 16 pezzi. Esaminando 579 esemplari H. Kowalski è riuscito a stabilire una serie di varianti: 97 (su 246 esemplari) per la zecca di Messina, 40 (su 88 esemplari) per la zecca di Brindisi. Solo per il materiale meglio esaminato possediamo 137 varianti: questo significa che i conî sono stati incisi numerosissime volte. Possiamo ritenere che da una immagine ufficiale dell'imperatore e da una dell'aquila (il simbolo imperiale: victrix aquila) sono stati realizzati centinaia di punzoni eseguiti in un solo centro (o nelle due zecche). Pur considerando che gli augustali sono stati coniati per circa una generazione (sembra difficile che gli esemplari di particolare iconografia, a Roma e a Vienna, siano stati voluti, a Pisa, da Enrico vil: come ritorno all'antico) ne

deriva che qualche decina, almeno, di incisori dové realizzare in uno o più centri le matrici necessarie”. Questo aiuta a comprendere la grande importanza che gli incisori ebbero alla corte imperiale. Poiché il lavoro dellincisore per i coni è affine a quello dell'incisore di pietre dure e di

cammei, si comprende allora il perché dell’e-

mergere di queste personalità nella programmazione dell’arte di corte voluta dall'imperatore. Che Federico ı1, in occasione di particolari avvenimenti, ordinasse agli artigiani alle sue dipendenze di realizzare incisioni e cammei che esaltassero la sua figura attraverso simboli, attributi e allegorie è stato altrimenti proposto. Che il tesoro imperiale fosse ricchissimo di gemme, pur dopo i donativi fatti dallo stesso Federico,

o le spoliazioni a seguito delle sconfitte subite

(in particolare a Vittoria, quando perdette il te-

oro, il trono e una delle corone) è evidente‘. Il tesoro era formato da oggetti antichi — ad esempio la stessa coppa poi Farnese — ma soprattutto da incisioni e cammei realizzati da

botteghe normanne e federiciane.

La consuetudine al riuso di pietre antiche era

caratteristica della famiglia imperiale: Federico Barbarossa aveva concesso, per ornare il reliquiario

dei Re Magi di Nicolas di Verdun, nel

duomo di Colonia, 226 tra incisioni e cammei

antichi. Arrigo vI si era preoccupato di trasferi-

re, probabilmente nel Palatinato, il tesoro normanno dopo il matrimonio con Costanza. Ma

Federico

1 dové

accrescere

il tesoro sia

acquistando incisioni e cammei antichi (in par-

ticolare dopo il sacco latino di Costantinopoli del 1204) sia facendo eseguire opere nuove. Un

documento testimonia che nel 1253 Corrado ıv,

suo figlio, vendette (o impegnò) — tra l’altro —

162

Antonio Giuliano

1-7. Pisa, Museo di San Matteo. Augustali provenienti da un tesoretto scoperto nella città. 8. Roma, Biblioteca Vaticana. Augustale. 9. Palermo, Museo. Augustale. ai genovesi 547 incisioni e 133 cammei. Presup-

ponendo che gran parte del materiale del tesoτὸ imperiale fosse formato da esemplari antichi, si può ragionevolmente ritenere che fosse costituito anche da esemplari creati alla corte normanna e poi in quella imperiale. Ma questo contrasta con la relativa scarsezza del materiale

a noi noto.

Ad oggi la glittica normanna è sostanzialmente poco nota. Meglio conosciuta quella federiciana. Ma anche in quest'ultima si nota una singolare disparità. È conosciuta una sola incisione (p. 117, figg. 1-2): forse anche perché l’attenzione degli studiosi si è rivolta piuttosto ai cammei, più facilmente identificabili. Le incisioni dovevano in realtà essere molto più numerose dei cam-

10-11. Toledo,

Cattedrale. Particolare della

funerariadi Sanchoıv

12. Kassel, Kunstsammlung.

di una coppa con cammeo federiciano

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

14. Roma, Musei Capitolini. Testa femminile già sul Campidoglio.

165

15. Lagopesole, Castello. Frammento di un sarcofago con leone usato per l'apparato imperiale.

Antonio Giuliano

mei stessi, per la facilità di esecuzione e per l'uso che ne derivava (come sigilli), ma sono quasi completamente ignote. I cammei, meglio noti, si riducono a circa quaranta (alcuni di straordinaria impostazione iconografica e formale). Nella ricerca degli esemplari federiciani è possibile aggiungere, a quelli sinora meglio noti, altri, certi, che permettono di arricchire il panorama della iconografia e della temperie stilistica della corte. Nella corona funeraria di Sancho rv di Castiglia (1284-1295:

che era stato controimperatore

nel-

linterregno di Germania), dalla cattedrale di Toledo, sono utilizzati quattro cammei. Due sono antichi, con un Druso minore e una Omphale, altri due - federiciani — raffigurano busti maschili: il profilo di un uomo e un profilo giovanile (figg. 10-11). Il classicismo dei busti riapre il problema del programma all'antica di Federico u.

Ma il classicismo di Federico si dové arricchi-

re anche attraverso il rapporto con il mondo islamico: dove, già nel xl secolo, si coniavano monete all'antica, in Asia. Le immagini dei coni si emancipano da un richiamo troppo generico al mondo classico per assumere una valenza che è nel programma dinastico orientale

17. Aquisgrana, Museo. Ossuario di Carlo Magno: Federico 1 imperatore in trono.

Non è escluso, inoltre, che le raffigurazioni

di animali, così frequenti alle rappresentazioni della corte sveva, non si rifacciano semplice-

Lineamenti per una cultura formale di Federico ı

18. Stoccolma, Museo Nazionale. Coppa e corona di Santa Elisabetta.

167

168

Antonio Giuliano

19-20. Collezione privata. Moneta selgiuchide con ritratto di Antioco vır

mente ad un interesse per la loro natura zoologica così studiata, peraltro, dallo stesso Federico. Probabilmente essi raffigurano quelli che, tra le meraviglie di molti, accompagnavano l'imperatore nelle sue peregrinazioni. A questa categoria possono rifarsi il cammeo con l'elefante a Kassel (fig. 12), o quelli con la raffigurazione di leoni, di leopardi, di cani, di cavalli, di cammelli, di falchi, di aquile’ (figg. 38-44). 1 cammei federiciani propongono, pertanto, un problema molto complesso: visti i confronti — evidenti — con opere di scultura. Nelle tante esperienze iconografiche e formali che essi propongono si possono trovare spunti che saranno tipici di alcune creazioni della grande scultura attribuite al mondo dell'imperatore. Federico ha inoltre, spesso, riutilizzato sculture antiche:

come

è ben

noto dalle fonti e dai

monumenti. Di questa riutilizzazione sono docu-

mento prezioso alcune opere, ancora poco note: come

un ritratto a Ginevra,

certamente

antico,

trasformato in Federico 1 laureato (pp. 142-143, figg. 23-24) e un rilievo con una personificazio-

ne (Justitia) — e nell'esergo un leone vinto: sim-

bolo guelfo — già nella collezione Zeri (p. 153, fig. 41) (per l'apparato imperiale — tra l'altro - un frammento di un sarcofago con un leone a Lagopesole) (fig. 15). Ma l'esperienza di chi lavorava i cammei dové essere sempre egemone a corte.

Il problema che alcune figure su cammei propongono è quello stesso dell'origine della

grande scultura italiana. Considerazione preliminare necessaria per inquadrare più in dettaglio il tema della cultura formale nell'età di Federico i. Quando si esamina l’arte federiciana si è portati a considerare quel fenomeno culturale con significato unitario: fuggendo i dati che possono essere ricavati dall’interpretazione degli spunti diversi che hanno contribuito alla formazione di una cultura formale (che si manifesta solo in alcuni monumenti e che egemonizza lentamente il panorama dell'arte italiana).

Diversi sono i motivi di ispirazione che l'imperatore stesso vagliava in funzione di una propria supremazia politica e culturale. Questi debbono risalire ad ambienti quanto mai eterogenei: all’arte dell'Europa centrale (ed in particolare in quella renano-mosana), a quella di tradizione normanna che aveva egemonizza 10 la Sicilia così come tutta l'Italia meridionale, a quella proposta dai vari ordini religiosi (ognuno dei quali manifestava una propria

autonomia formale), a quella che nell'Italia settentrionale e in quella centrale — soprattutto a Roma -- manifestava una continuità con la tradizione classica (che rimaneva modello insuperabile e punto di riferimento costante per

Lineamenti per una cultura formale di Federico ir

21-24. Siracusa,

Castello Maniace. Peducci di volta.

169

170

Antonio Giuliano

26. Capua, Museo Campano. Leone dalla Porta.

i

172

28. Capua, Museo Campano.

Antonio Giuliano

Busto dalla Porta federiciana.

Lineamentiper una cultura formaledi Federico 1

29. Capua, Museo Campano. Busto dalla Porta federiciana.

173

174

32-33. Capua, Palazzo Comunale. Protomi

Antonio Giuliano

Lineamenti per una cultura formale di Federico ir

34-35. Baltime

, Walters Art Gallery. Cammeo federiciano C): originale e calco.

qualsivoglia bottega)*. Le fonti stesse ci propongono qualche spunto preciso.

Si pensi al

padre di Arnolfo, Jacopo Tedesco, che, a detta del Vasari: *. mandato finalmente il modello d'una sepoltura in Sicilia, alla badia di Monreale, per Federigo Imperatore, e d'ordine di Manfredi, si mori, lasciando Arnolfo suo figliuolo, erede non meno della virtù che delle facoltà paterne'.

Probabilmente

si trattava di un

tedesco che volle per suo figlio Arnolfo un no-

me che richiamasse l'origine familiare, al quale lasciava in eredità gli stilemi dell’arte dell'Europa centrale. La complessità della formazione dei due doveva dare origine ad una cultura di necessità mista, che traeva dai monumenti centro europei motivi che l'imperatore doveva co-

di Puglia. Le suggestioni raccolte soprattutto a Bamberg, dalla figura del Cavaliere, ma soprattutto da quelle del Giudizio nel portale (Fürstenportal) del Duomo (con la loro violenta espressività) (fig. 16), rimarranno come un modello per alcune sculture di Castel del Monte (figg. 61-69) € poi, soprattutto, del Duomo di Siena (figg. 104-107). Tutto questo ci aiuta a comprendere quanto grande è stato l'intrico delle sugge-

stioni iconografiche e formali che ha contribuito alla formazione di un'arte ufficiale di Federico τὶ (che solo lentamente emerge per divenire proposta di stato, in un arco di tempo sostanzialmente brevissimo: poco più di un ventennio). A parte qualche cammeo non troviamo prima

noscere ed apprezzare.

del 1230 opere che possano essere attribuite con certezza alla ideologia imperiale. Per quanto con-

bono infatti rifarsi alcune suggestioni che saran-

cerne l’Italia meridionale le officine di tradizione normanna avevano attraversato, nell'arco di tem-

Al viaggio in Germania dell'imperatore deb-

no trasferite nella cultura formale del Mezzo

giorno d'Italia. I canoni classicistici avevano in-

vestito l'Europa centrale: a Reims (con le figure della "Visitazione"), a Magonza, a Magdeburg e soprattutto a Bamberg.

Non è escluso che a

quel viaggio abbia partecipato lo stesso Nicola

po compreso tra la estinzione della dinastia e la presa di potere da parte di Federico it, uno sbandamento che aveva permesso un innesto tra culture diverse, ma anche un impoverimento formale che, almeno per quanto conceme gli stilemi classici, in particolare nella scultura, si manifesta

Antonio Giuliano

176

36. München, Schatzkammer der Residenz. Cammeo con la incoronazione di Federico n.

37. Parigi, Louvre. Cammeo con la incoronazione di Federico n.

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

177

38. San Pietroburgo, Hermitage. Cammeo con aquila.

39. Collezione privata. Cammeo con falco.

40. Berlino, Musei. Cammeo con aquila.

41. Collezione privata. Cammeo con aquila

Antonio Giuliano

178

42. Aquisgrana

iermondt-Museum. Cammeo con leopardo.

in maniera quasi drammatica. Quando l'imperatore volle per la moglie Costanza d’Aragona, morta nel 1224, una sepoltura più degna nel Duomo di Palermo, ordinò che — secondo una antica tradizione normanna — venisse utilizzato un sarcofago antico con una scena di caccia al leone (p. 42, figg. 10-12). La fronte del sarcofago fu profondamente rilavorata: consuetudine che era caratteristica delle botteghe che utilizzavano lari antichi soprattutto in Sicilia: a Palermo sina. Nel rilievo furono inseriti elementi

stioni che la passione per la caccia da parte di Federico proponeva al patrimonio iconografico della corte. Ma tutta la rilavorazione è affidata ad uno scultore che mostra sostanziale povertà formale. Questo è dovuto, forse, all'incapacità di ritrasferire in un modulo così ampio come quello proposto dalla fronte del sarcofago stilemi che nella glittica potevano essere realizzati con maggiore perspicuità formale e con una minuzia esecutiva che si perdeva in superfici troppo vaste.

43. Ginevra, Museo. Cammeo con un lupo €).

44. München, Schatzkammer der Residenz. con un cavallo.

esotici, come uno struzzo, seguendo le sugge-

Cammeo

Lineamenti per una cultura formale di Federico ir

179

45. Collezione privata. Cammeo con Ercole e il leone.

46. Vienna, Kunsthistorisches Museum. con Ercole e il leone.

La rilavorazione non sarà possibile, probabilmente per la mancanza di maestranze, per il sarcofago antico riutilizzato per il figlio Enrico — 1242 — nel Duomo di Cosenza (p. 43, fig. 13)). Se esaminiamo alcune opere di scultura monumentale, a tutto tondo, di età normanna si nota una esecuzione ben più meditata (che si manifesta, ad esempio, in due coppie di sfingi, da Messina, che mostrano una temperie formale pienamente realizzata) (pp. 44-45, figg. 16-19). Per non parlare delle teste — ricavate nel porfido — di leone e di quelle umane, dell'età di Ruggero τι, che testimoniano il dilatarsi su scala monumentale dei canoni della glittica

siciliana, distolsero l'imperatore da una canonizzazione di una cultura formale di corte: modello dell'ideologia di dominio. Sono proprio gli anni tra il 1200 ed il 1230 quelli che impongono alla intera Europa, e tanto più alla corte imperiale, la assimilazione tumultuosa di inediti canoni iconografici e formali. La conquista crociata del 1204 di Costantinopoli riproponeva l'immenso patrimonio dei reliquiari e soprattutto della glittica bizantina. Si impongono modelli quali non giungevano in maniera così imponente da quando Teophano

(fonte di ispirazione per la stessa scultura nor-

manna) (pp. 38-39, figg. 2-5). Queste considerazioni vanno intese tenendo presenti gli avvenimenti che caratterizzano la corte di Federico n sino a circa il 1220: quando la prima ideologia imperiale prese forma dopo la incoronazione e la dieta di Capua. I problemi relativi alla sottomissione della Sicilia, i lunghi ed estenuanti negoziati con la curia per la crociata, la spedizione in Oriente cui segue, a partire dal 1230, la riedificazione della monarchia

Cammeo

(972) aveva recato la propria dote di principes-

sa bizantina: patrimonio che aveva modificato 1a percezione artistica nell'Europa italiana, renana e mosana?. Il viaggio in Germania di Federico aveva suggerito canoni nuovi anche attraverso l'uso da parte dell'imperatore di precisi arredi ecclesiastici e dinastici: come la croce con il cammeo di Augusto che, nel 1215, impugnò ad Aquisgrana proclamando la crociata! (p. 55, fig. 19) — o la stessa corona imperiale. Il soggiorno in Asia e il matrimonio con Isabella di Gerusalemme del 1225 aveva, inoltre, permes-

Antonio Giuliano

180

47. Collezione privata. Cammeo con satiro.

48. Collezione privata. Cammeo con ritratto.

so di assimilare anche un particolare classicismo:

che sino ad ora non

è stato conveniente-

mente studiato. Tra la fine dell'x1 secolo, per circa un secolo (dalla caduta di Gerusalemme in mano cristia-

49. Parigi, Cabinet des Medailles. Cammeo con un Faraone.

na, 1099, alla riconquista della città da parte del Saladino, 1187), si manifesta nel mondo orientale, soprattutto in Asia minore, un fenomeno che non è stato adeguatamente considerato (per un preconcetto della storiografia occidentale: intesa al più ad aprirsi ad eventuali, ma sempre sospette, fonti bizantine). Se si esaminano alcune coniazioni genericamente riportate al mondo selgiuchide, monetazioni di zecche solo superficialmente oggetto di studi, si notano elementi che ci obbligano a più precise considerazioni. Le monete, diffusissime in tut10 il Medio oriente, mostrano una singolarità che tradisce una precisa ideologia politica. Esse hanno su un lato iscrizioni cufiche, ma sull'altro iconografie singolari per le coniazioni islamiche (così aliene dal rappresentare raffigurazioni umane) (figg. 19-20). Accanto a rappresentazioni del dinasta in trono in veduta frontale, di sfingi dal volto umano, appaiono

profili che si rifanno alle iconografie dei dinasti seleucidi, e che si continuano con rappresenta-

50. Napoli, Museo Nazionale. Cammeo con Poseidon ed Anfitrite.

zioni di imperatori, soprattutto del πὶ e 1v secolo, per giungere sino ad Eraclio. Si tratta di canoni iconografici che gli incisori cercano di trasferire in figure classicistiche incombenti: che certamente prendevano a modello le monete antiche che in Oriente avevano ancora diffusione (e non sono soltanto immagini tratte dalle così dette coniazioni romane-orientali). Nasce

allora la necessità di chiarire per quale motivo i

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

181

dinasti selgiuchidi volessero assimilare con tanta insistenza i canoni delle iconografie dei maggiori protagonisti dell'età ellenistica, di quella romana, di quella bizantina. Non si tratta infatti di una generica assimilazione iconografica, quale era peraltro comune in tutto l'Oriente

ambio tra iconografie orientali e iconografie bi nche

assisteva

ad

una

continua

osmosi

e s

tine (quali si manifestano in alcune raffigurazioni di codici islamici decorati da miniatori costantinopolitani). Il problema è più complesso: gli antichi imperi suggerivano al mondo selgiuchide un modello di riferimento (quasi che i dinasti cercassero di identificarsi con i grandi

protagonisti del passato dei quali volevano riproporre l'ideologia politica: quella di un impero centralizzato).

È evidente che Federico n, a Gerusalemme (così come aveva tratto dalla visita alla Moschea

della Roccia,

dove fu nel marzo del

1229,

i canoni che saranno poi in molte delle sue costruzioni in Puglia: prima fra tutte Castel del Monte), dové assimilare proprio da quelle coniazioni la ideologia che è alla base degli august i coniati a partire dal 1231 TI viaggio di Federico ın nel mondo orientale (che egli riproporrà come modello soprattutto nelle sue ultime lettere: . .O felix Asia, o felices

51. Londra, British Museum. C. mmeo con ingresso nell'Arca.

184 orientalium potestates que subditorum arma

non metuunt et adinventiones pontificum non verentur) deve essere ben altrimenti valutato nella complessità della formazione culturale dell'imperatore. La stessa idea dei cortei trionfali ricchi di protagonisti, di animali esotici, dove tutto il tesoro diveniva simbolo del potere uni-

versale trae origine dai suoi rapporti con i dina-

sti orientali (e forse dalla lettura dei passi relativi a quelle processioni che Ateneo - v, 194 ss. — ci ricorda per i Tolemei e i Seleucidi). Non è escluso che Federico, buon lettore di greco, abbia conosciuto il testo di Ateneo: tramandato dall’unica redazione costantinopolitana dell’xı secolo che Bessarione depositerà — poi — a Venezia, in Marciana!?.

Certo è che il 1231 rappresenta il punto no-

dale della formazione e della ideologia di Federico ı1. Le costituzioni di Melfi, la emissione degli augustali sono il momento più alto della codificazione di un nuovo ordine a servizio del quale l'imperatore piega le maestranze che dovranno interpretarlo. Lo stesso cerimoniale imperiale a partire dal 1231 diviene più complesso e si cristallizza con modi che le fonti ci permettono di intravedere. Imperator in trono ...residebat. Populus ad pedes imperatoris procumbens iustitia sibi in causis ...fieri innuebat. Imperator, sedens in eminciori loco in suo trono, se cunctis ostendit ilarem et iocundum. V Imperator non parla, ma solo serenus et semper augustus si manifesta attraverso i cancellieri. Si tratta di una iconografia che ha origine in quella classica e tardoantica, basti pensare alla descrizione di Costanzo m, nel viaggio a Roma, da parte di Ammiano Marcellino (xvi, 10, 10), ma che nel mondo bizantino e orientale era divenuta fissa e canonica e si era arricchita dei molti contributi che aveva saputo trarre da quella selgiuchide. L'imperatore è colui il quale si manifesta attraverso Justitia, che si identifica con un assolutismo ancora più esplicito per l'apporto orientale, con un centralismo nel quale si riverberano le condizioni del

suo stato attraverso gli specchi che egli possiede. E questi specchi sono la burocrazia che si esprime attraverso i funzionari e che si diffonde attraverso la cancelleria. I burocrati, scrutatori, che conservano, in nome di Federico, la certezza nel diritto sono l'emanazione e insieme la manifestazione della sacralità dell'imperatore:

Antonio Giuliano

la cancelleria imperiale dipende dalla sacra figura dell'imperatore ed è sottoposta solo alla lustitia che emana da lui. Ove questa dipendenza viene meno è indispensabile che colui che ha trasgredito perda la stessa possibilità di vedere: così come avverrà, per ordine imperiale, allo stesso Pier delle Vigne. Gli oggetti antichi divengono necessità di stato, manifestano attraverso l'antichità il potere assoluto: per questo Federico vuole, a Marburg, per le reliquie di Santa Elisabetta, il 1° maggio 1236 un vaso (e una corona) antico di immenso valore (fig. 18), per lo stesso motivo acquista al ponte di Piacenza il 4 novembre 1239 la tazza Farnese per una somma sbalorditiva (tazza che, probabilmente, donerà poi al sultano d'Egitto e che nel xv secolo attraverso l'Egitto finirà ad Hera)". Il concetto di dono così caratteristico nel mondo medievale, ma che soprattutto in quello bizantino e in quello islamico trovava precesi, viene richiamato da Federico riferimento dinastico. Lo scambio permette l'arrivo in occidente di beni che sono raccolti con precisa intenzione celebrativa o scientifica: come il mappamondo eseguito în Egitto nel 1225, ora a Napoli, probabilmente dono del sultano; l'elefante che morrà poi a Cremona (ma che trascinerà il Carroccio dopo Cortenuova nel 1237). Da parte sua Federico m regala un orso bianco al sultano, Manfredi riceve in dono una giraffa (il motivo si continuerà a lungo: si pensi alla coppa di vetro turchese, antica di almeno tre secoli, che i Veneziani riceveranno in dono da quei Turchi - 1472 - che dipendevano da Uzum Hasan e che si opponevano a Maometto 11)! La ingordigia per le opere di bronzo antiche impone a Federico τι di impadronirsi di quanti più monumenti antichi è possibile: quando costruisce il castello Maniace di Siracusa (figg. 2124) nel 1232 — 1240 farà porre ai lati dellingresso due arieti di bronzo, forse presi in Oriente, a testimonianza del ritorno del Dioniso-Alessandro (uno solo purtroppo è conserva10). Nell'agosto 1243 egli fa portare a Lucera un gruppo di bronzo di un uomo e di una vacca. Nello stesso Castel del Monte un rilievo antico murato all'interno del cortile è probabilmente una preda, e assieme, un ricordo del suo viagio". Per quanto concerne la stessa materia

Lineamenti per una cultura formale di Federico it

185

54. San Pietroburgo, Hermitage. Cammeo con le storie di Giuseppe. egli riutilizza oggetti antichi, marmi che abbiano quel carisma di preziosità che l'antichità stessa proponeva È bene allora cercare una cronologia più

precisa per le opere federiciane che possono disporsi in una più meditata sequenza. Si noterà allora che le varie tendenze si fondono lentamente in una unità che trova modo di ma-

nifestarsi più compiutamente — e per la prima

volta — solo nella porta di Capua. Ma se cerchiamo di articolare con troppa acribia cronologica alcune testimonianze dell’arte ufficiale di Federico 11 ci troviamo di fronte a difficoltà im-

plicite in monumenti che non riescono sempre ad avere una precisa collocazione temporale. La produzione di alcuni cammei di stato con aquile e animali (qualcuno con composizione all'antica) (figg. 38-44) può collocarsi già prima del 1231 (i cammei sono citati secondo la numerazione proposta dal Kahsnitz: 866, 868-870, 877, 879) (figg. 38-43). 1 due cammei con l'imperatore in trono (a Parigi e a Monaco: 862-863) (figg. 36-37) e quello a Vienna (888) (p. 112, fig. 6) con la fondazione di una città marinara probabilmente possono anch'essi essere attribuiti a questo momento. L'iconografia dell'imperatore incorona: t0, in veduta frontale, e quella dei due angeli sui lati è evidentemente canonica; quella — mi-

Antonio Giuliano

188

non hanno ancora trovato una organiz

zione

compositiva: citazioni più che elaborazioni dal mondo classico. Appartengono al decennio 1220-1230 quando

la cultura imperiale mostra il

tentativo di recepire accanto a motivi classicistici spunti quali erano più comuni alla ufficiali dell'Europa centrale. Non a caso i primi due esemplari ricordati — con l'incoronazione — po: sono essere avvicinati a quello ora a Praga

(860) — realizzato secondo canoni tipici per le figure imperiali - in particolare per l'acconciatura, la lunghezza delle chiome (caratteristica nei sigilli, lo sarà poi nelle pitture e nelle miniature e comparirà nel ritratto conservato a Mi-

lano, fig. 99). Lo stesso motivo compare nel ritratto, per necessità ufficiale, posto sul transetto esterno della basilica superiore di Assisi (in rapporto con l’attività di frate Elia attorno al 1240) (fig. 85). Si tratta di monumenti che al più testimoniano l'inizio del classicismo federiciano ancora sensibile alla tradizione normanna. Classicismo, peraltro, destinato a convivere nel tempo accanto a quello che, elaborando e approfondendo gli spunti antichi, possiede maggiore perspicuità iconografica e formale 57. Malibu, The J. Paul Getty Museum. Falconiera.

rabilmente eseguita — della fondazione (2) di una città marinara riprende spunti tratti da sculture antiche — che dovevano essere ben note alla corte - con iconografie giustapposte che

Tutto ciò ci aiuta ancora

una

volta

a com-

prendere quanto diverse siano prima del 1231

Je correnti formative dell’arte di corte sveva.

Il cammeo a Parigi (886) (p. 113, fig. 7) - che copia un famoso esemplare antico ora a Napo-

li: probabilmente anch'esso di proprietà imperiale e modello per la glittica di corte (p. 111, fig. 5) - è certamente databile a dopo il 1231 e già possiede i canoni compositivi e formali che saranno tipici di quelli, successivi, con le maggiori rappresentazioni bibliche: alcuni segnati in ebraico. Il richiamo al proemio delle Costituzioni di Melfi, che il cammeo vuole esaltare, definisce la cronologia di quell'opera. Essa è stata eseguita da un incisore di altissimo livello formale che nella testa di Poseidon, nella rappresentazione degli animali, anticipa caratteri che saranno, poi, dei maggiori cammei caratte-

rizzati da iscrizioni ebraiche e da quello con l'ingresso nell'arca. L'autore, che non è ancora possibile definire quanto a formazione, nel quale si può riconoscere Nicola di Puglia, possiede una capacità 58. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Cammeo con una coppia.

creativa di non comune spessore.

Gli anni tra il 1231 e il 1238 sono sempre più

ricchi di invenzioni:

a questo periodo debbono

Lineamenti per un

ultura formaledi Federico it

59. Montalto delle Marche, Duomo. Reliquiario: particolare.

189

190

60 Cleveland, Museum of Art. Trittico con cammeo rappresentante la Natività

Antonio Giuliano

Lineamenti per una cultura formale di Federico1

essere riportate quelle raffigurazioni che, ispirate da suggestioni bibliche e da modelli classici, si manifestano con una perentorietà iconografica e una capacità artigiana e formale quale non si manifestava dalla fine del mondo antico. Appartengono a questo momento — con ogni probabilità - due cammei con teste di profilo (864, 882) (p. 81, figg. 13-14), che assimilano assieme iconografie e stili classici quali compaiono negli ovali che decoravano il monumento del Carroccio dedicato sul Campidoglio a Roma. Non è escluso che possa datarsi allo stesso momento il cammeo con il Puer Apuliae a Monaco (p. 63, fig. 7) il quale si rifà a prototipi classici, e che nella perentorietà della presentazione frontale laureata, dové rimanere emblematico per tutta la glittica imperiale (quasi che la presenza del protagonista, volutamente puer, voglia accompagnare l'ideologia imperiale in tutto il suo svolgimento). Questa tipologia, peraltro, era stata preceduta nel cammeo a Baltimora (861) (figg. 34-35) che ancora deve essere cri imente interpretato: sia per la forma a mandorla che sembra richiamare quelle arabe, sia per la tipologia — tutta tardoantica - che potrebbe rifarsi ad opere di scultura monumentale della tarda romanità: come lo stesso colosso a Barletta (visibile in età sveva in quella città). Ma probabilmente la corte imperiale non è ancora pronta per trasferire composizioni tanto complesse — limitate al momento alla glittica — ingigantendole in rilievi e sculture. Il culto delT'antichità richiedeva solo il riutilizzo meccanico (al più la rilavorazione) di precise sculture antiche: come i monumenti già citati o la testa — probabilmente di Justitia— collocata a Roma, in Campidoglio (che forse faceva parte, originariamente, della decorazione del tempio di Venere e Roma voluto da Adriano) (fig. 14).

Solo nel 1238 circa, dopo Cortenuova, il modulo dei cammei viene dilatato e ingigantito: si creano allora le prime opere di scultura monumentale che possono dirsi definitivamente. creazioni federiciane. Si puó affermare che i primi, in ordine di tempo, tra i documenti di scultura sono quelli per la decorazione del Carroccio: eseguiti nei primi mesi del 1238 a Roma. Di questi monumenti che riutilizzano spoglie antiche rimangono soprattutto i quattro ovali (specchi) che presentano le teste dei funzionari e gli eredi

6 Castel del Monte. Federico n a ca vallo.

Antonio Giuliano

62. Castel del Monte. Testa di un satiro.

63. Castel del Monte. Testa di una menade.

imperiali (non certo Enrico ribelle nel 1235)"

cata nell'abside della basilica di Massenzio; ai lati della figura imperiale ancora due sculture antiche. Più in basso i busti così detti di Pier delle Vigne e Taddeo di Suessa (figg. 28-29) tradiscono - quanto a esecuzione - una origine dalla glittica (si pensi al bustino, detto di Costanza, che certamente si rifà ad iconografie classiche e che era destinato ad un qualche instrumentum imperiale: bustino che nella ampiezza di impianto, nella perentorietà del per-

(pp. 76-80, figg. 6-12). Le teste hanno un pre

so riferimento al mondo antico: si rifanno ad alcuni dei rilievi di Marco Aurelio sull'arco di Costantino

(arco che

Federico

considerava

in

modo particolare sia perché dedicato all'imperatore con il nome del quale egli stesso era stato battezzato, sia perché in possesso dei Frangipani: la famiglia che egli aveva risarcito affinché riparassero l’arco stesso) (fig. 13). Ma, evidentemente, il complesso più imponente è quello della porta di Capua, intorno al 1234-1239" (fig. 25).

L'idea di una porta monumentale a più ordini

dipende certamente dalla imitazione di edifici

sonaggio rappresentato supera i canoni della

glittica per divenire esso stesso opera della grande scultura monumentale) (pp. 118-120, figg. 3-6) e dalla toreutica (non si dimentichino

della romanità imperiale, ma il patrimonio di

le esperienze dello stesso Federico con le lamine a rilievo dello scrigno di Carlo Magno ad

prezza nei disegni (piuttosto che nella contro-

ti dei funzionari (nodi che dovevano preciso simbolismo).

scultura risponde ad una ideologia unitaria che vuole la testa della Justitia (antica) come centro focale della decorazione (figg. 30-31). La figura di Federico seduto (fig. 27), che meglio si ap-

versa testa Solari),

assimila

l'iconografia

della

gigantesca statua di Costantino all'epoca collo-

Aquisgrana, cfr. fig. 17): con quello stento nell'emergere di valori plastici e quella minuzia grafica dei nodi complessi che chiudono i man-

avere un

Il problema delle sculture di Capua deve es sere ancora approfondito. L'imperatore seduto

Lineamenti per una cultura formale di Federico n

193

si rifà a un modello antico, ma la testa (che conosciamo attraverso il calco Solari e la incisione Raumer) (p. 56, figg. 20-21) è meno classicistica di quanto si possa credere. Probabilmente il calco è stato ripulito e restaurato durante l'esecuzione: ma esso mostra di possedere gli stilemi dell’arte federiciana, gli stessi che appaiono in molti conî degli augustali. La testa di Justitia: — è volutamente antica — proviene probabilmente dalla città antica, dall'anfiteatro: così come le teste ora murate sulla fronte del Palazzo comunale (figg. 32-33) anch'esse rilavorate (altrettanto - ma senza rilavorazione = le figure ai lati di quella dell'imperatore), ma rielaborata negli occhi, nei capelli, nella corona. La figura del leone (fig. 26) richiama spunti che erano già stati caratteristici di quelli eseguiti per una fontana a Roma,

forse attorno al 1238 (pp. 32-35, figg. 12-15).

Soprattutto i busti dei funzionari imperiali mostrano per la prima volta una libertà di invenzione e di esecuzione ormai pienamente autonome. Dipendono da opere di glittica e di toreutica, ma nella perentorietà espressiva mostrano che la scultura (di Nicola di Puglia), liberatasi dai canoni della glittica, sa affrontare — € ormai pienamente — formule della scultura monumentale. A Capua la scultura raggiunge completa autonomia. Ma non bisogna pensare che la produzione della glittica si esaurisca: essa mantiene tuta la propria tradizione. Se il capo della bottega, Nicola di Puglia, preferisce ormai dedicarsi, quasi con maggiore entusiasmo creativo, alla realizzazione di figure di modulo sempre maggiore — si pensi alla pirite di Palazzo Venezia (pp. 84-85, figg. 17-19), forse al porfido di Siena: che rappresentano il primo passaggio cruciale di questo suo avanzare — le fabbriche di cammei, forse delegate a personalità di bottega,

non si interrompono. Lo scambio glittica-scultu-

τὰ monumentale rimane uno dei motivi fondamentali di tutta la cultura dell'imperatore". Probabilmente in rapporto al soggiorno della corte a Grottaferrata la testa di Lanuvio eseguita intorno al 1243 (come simbolo di giustizia)

mostra una più disinvolta volumetricità classi-

ca (fig. 108)

Negli anni intorno al 1245 è la decorazione di Castel del Monte che mostra la scultura fe-

dericiana completamente liberata dai canoni

grafici riproposti dalla glittica: con una libertà

64. Castel del Monte. Testa di Oceano.

compositiva che dipende ormai da una sola grande scuola di scultura. Scuola che si cimenta, ormai, con figure monumentali: come il gruppo del cavaliere, in veduta frontale, probabilmente lo stesso Federico ı1, quasi certamente ispirato dal bronzo di Marco Aurelio che all'epoca campeggiava, isolato, nel campo

Laterano (fig. 61). Federiciano, per il confronto con le mensole di Castel del Monte, è il busto di un satiro (fig. 47): su un cammeo. Il motivo ricompare in una isolata scultura: una testa coronata di edera (figg. 70-73). E si potrebbe proporre perché l'imperatore

abbia prediletto quella iconografia. Non è escluso che alla corte imperiale fossero noti al-

cuni autori antichi che Federico prediligeva giustificando, attraverso di essi, la propria potenza. La scelta delle figure di satiri e di menadi nelle mensole del castello, nella glittica, nelle sculture a tutto tondo, ci riconduce (così come gli arieti bronzei di Siracusa) ad una sua assimilazione a Dioniso: tanto più motivata dopo il suo

194

Antonio Giuliano

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

69.

Castel del Monte. Peduccio di volta.

195

Antonio Giuliano

70-75. Collezione privata. Testa di un satiro.

Lineamenti per una cultura formale di Federico n

74. New York, Metropolitan Museum. Capitello da Troia ritorno da Gerusalemme (figg. 62, 63, 70-73). Non è escluso che egli conoscesse un passo di Velleio Patercolo (it, 82) che, descrivendo il trionfo di Antonio ad Alessandria del 34 a.C., lo identifica come Liber Pater; o lo stesso Plutarco (Vita, 24).

Un capitello a Troia ed uno gemello a New York (probabilmente hanno la stessa provenienza) sembrano, anch'essi, collocarsi in questi anni: forse erano destinati a sostenere un pulpito sul quale poteva apparire lo stesso imperatore (rappresentano, nelle protomi, i protagonisti della corte imperiale che accettano, so-

stengono, e determinano il trionfo universalistico di Federico n) (figg. 74-79) È Nicola di Puglia (che forse aveva già ac-

compagnato l'imperatore in Germania) a creare

queste sculture. Egli realizza opere di modulo monumentale interpretando i canoni della politica imperiale. La sua scuola segue l'imperatore nel 1246 in Toscana: quando la corte è acquartierata a Grosseto. 1l 1246 è l'anno cruciale per Federico n già deposto nel concilio di Lione nel 1245. La bottega di Nicola passa prima a Piombino dove nel 1247 esegue la Fonte dei Canali, poi a Pisa

Antonio Giuliano

198

75. New York, Metropolitan Museum. Capitello da Troia nel Battistero (figg. 102-103), poi a Siena (figg.

104-107). Le città ghibelline si servono delle

maestranze pugliesi che rinnovano i canoni

dell’arte toscana. Il tema appena abbozzato, e qui delineato, permette di poter allineare, accanto ad opere

più precisamente datate, altre delle quali rima-

ne più incerta la cronologia".

Il vero problema che si presenta e che deve essere chiarito sul piano critico è quello di

comprendere come e perché Nicola di Puglia sia stato in grado di trasferire composizioni che erano racchiuse in cammei di piccole di-

mensioni in formule di grande formato, come le lastre che decorano il pulpito del battistero di Pisa.

La capacità compositiva di Nicola è compren-

sibile ove si consideri che essa deriva da composizioni glittiche di complessa valenza compositiva. Non tanto dallo schematismo dei due cammei con l'incoronazione di Federico (figg. 36-37): dove la figura frontale dell'imperatore è il modello più volte ripetuto per le sue immagini di potenza, quanto dai maggiori cammei (co-

me quello di Giacobbe che benedice i figli di

Giuseppe, quello di Giuseppe con i fratelli

Lineamenti per una cultura formale di Federico ir

199

76. New York, Metropolitan Museum. Capitello da Troia.

(881) (figg. 54-56), quello dell'ingresso nell'Arca. (885) (figg. 51-53), databili attorno al 1245), che permettono di ribadire ancora l'ipotesi proposta. Le iconografie cristiane, inoltre, non erano ignote allo scultore anche per quanto concerne i cammei: lo testimoniano gli esemplari con la Nuovo

La capacità compositiva, la ricchezza dei dettagli fisionomici (che si apprezzano soprattutto negli ingrandimenti fotografici: in particolare negli esemplari a San Pietroburgo e a Londra) vengono adottati quasi trionfalmente proposti nei pannelli di marmo del Battistero pisano (quasi con un impeto liberatorio che da allora non ab-

Nicola, già nel modulo sostanzialmente mi-

glio Giovanni e di tutta la bottega: sino ai rilievi

natività

ed altre scene

dell'Antico

e del

Testamento (884, 893, 896-897) (figg. 59-60).

nuto della glittica, era stato in grado di realizzare composizioni tanto complesse che si prestavano ad essere rappresentate in modulo di grandi dimensioni.

bandonerà più lo scultore e che sarà poi del fidella Fonte di Perugia). La frattura di due

diversi filoni della cultura

federiciana, almeno per quanto concerne la scultura, è definitiva in Toscana.

Antonio Giuliano

200

77. Troia, Museo della Cattedrale. Capitello. Nicola di Puglia, attorno al 1246, abbandona la corte imperiale e si mette al servizio dei libeτ comuni. A Piombino egli mostra, nel 1247, di tisentire dei canoni di corte: nella architettura. della Fonte dei Canali che riprende quella della

Loggia di Foggia, e soprattutto nelle protomi dei cavalli e dei mastini napoletani che servono come cannelle (pp. 126-127, figg. 5-8). E in

quest'ultime il ricordo del mondo antico si fa sempre evidente: lo dimostra il confronto con una testa di Sessa Aurunca?.

Si tratta di quelle figure di animali — caratteri-

stici soprattutto i mastini — che hanno tanto

spazio nella glittica imperiale — i cavalli (fig. 44) le sono i protagonisti di molte imprese volute dall'imperatore (che a cavallo trascorse gran parte della sua vita) (fig. 61). Per quanto concerne le figure di animali, queste erano state realizzate — alla corte sveva — anche a tutto tondo. Lo testimoniano le protomi di cervo, insegna di qualche tenuta imperiale, da Canosa (^ ricavata da un blocco di marmo proconnesio) e da Comiso (figg. 80-83).

Protomi che solo in etä federiciana possono trovare una collocazione nel tempo e che appaiono essere ancora come documenti isolati,

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

201

78. Troia, Museo della Cattedrale. Capitello.

ma certamente attribuibili agli anni tra il 1240 e il 1250 Federico dopo il 1246 si serve anche di una bottega diversa (che deriva sempre da quella di Nicola): documentata in particolare a Spoleto e a Foligno (quando i problemi per il dominio dell'Umbria e delle Marche, in possesso pontificio, divengono più urgenti), a Genova. 1l problema è reso più evidente dai documenti. A partire dalla lettera che Federico n invia a Jesi, la città ove era nato, che considera la sua Betlemme nel 1239, sino alla attenzione portata alle città dell'Umbria soprattutto a Foligno (ubi

fulgore pueritia nostra cepit) e dove ordinò la

costruzione di mura e di un palazzo (distrutto pochissimi anni dopo la sua morte), a Gubbio,

a Coccorone (poi Montefalco: in rapporto ai fal-

coni imperiali). E a Foligno l'imperatore aveva ricevuto (tra il 31 gennaio e il 9 febbraio 1240) la sottomissione di Spello, Viterbo, Orte, Civita Castellana, Montefiascone, Toscanella. Ad Assisi il ritratto dell'imperatore e quello di uno dei suoi giustizieri era stato posto sul transetto esterno della Basilica superiore (forse a seguito

dell'interessamento di frate Elia nella primavera 1244) (gg. 84-85). Nel 1240 e il 1242 caddero

202

Antonio Giuliano

79. Troia, Museo della Cattedrale. Capitello. Spoleto e Todi. Perugia era assediata nel 1241.

Spoleto riceveva un privilegio imperiale nel giugno 1241 (nella città Federico sarà nel maggio 1244). Con questo l’imperatore metteva fine alla lega umbra del 16 novembre 1237 con Perugia, Foligno, Todi, Gubbio e Spoleto (ma Foligno rimaneva sempre fedele: nel 1237 i suoi delegati non furono presenti alla costituzione dell'alleanza). Era Foligno la città: apostatricem, primor-

dius scismatis, totius infidelitatis detestande sentinam.

Proprio a Spoleto e testimoniato almeno un

ovale con uno dei giustizieri di Federico u ed

una immagine a tutto tondo di Federico 11 che ha come corrispettivo una testa femminile (probabilmente di Justitia) che mostra nel classicismo del volto, nel nodo complesso dei capelli, tutti gli stilemi dell'arte sveva (figg. 92-97). Ma in Umbria le manifestazioni dell’arte di Federico n divengono sempre più esangui: lo documentano un ovale con la figura di un Puer Apuliae a Foligno (motivo iconografico che è di tutta l'età federiciana) (fig. 86), e soprattutto alcune teste, forse collocate nelle pareti di una sala, che permettevano di osservare dall'esterno quanto avveniva all'interno di un qualche am-

Lineamenti per una cultura formale di Federico αὶ

82-83. Collezione privata. Protome di un cervo.

203

Antonio Giuliano

cida perentorietà). È questo il momento in cui viene creato il busto laureato, già in proprietà Cellini (pp. 50-52, figg. 1-4). Accanto a temi più tipicamente araldici, la glittica, da par suo, assimila i canoni della grande scultura in alcuni cammei eccezionali: come quelli che rappresentano un falconiere a cavallo a Parigi (894) e due falconiere a Firenze (890) (pp. 144-145, figg. 25-26) e a Malibu?

(fig. 57) estratte, quanto a valenza compositi va, da più complesse iconografie (forse di pittura: ma il problema della pittura federiciana rimane ad oggi sostanzialmente irrisolto e la documentazione - quella più notevole a Bassano — deve essere sottoposta a un vaglio critico più meditato e confrontata con la produzione di miniature con le quali ha rapporti che debbono essere ancora chiariti).

La produzione di cammei delle fabbriche im-

84. Assisi, transetto della Basilica superiore. Cancelliere.

biente (probabilmente proprio nel palazzo imperiale) (figg. 87-91). Sculture realizzate con un classicismo ormai manierato, così rabbiosamente aderente ai canoni classicistici, da perdere ogni consistenza plastica. È questo classicismo, voluto sino alla fine, quello che Federico impone alle città amiche (e che a Genova trova manifestazioni imponenti) (fig. 100) In tutte queste ultime opere (in Umbria e a Genova) si nota il prevalere di un manierismo ormai fisso e statico che è tutto della implacabile volontà imperiale. Manierismo che sembra voler tornare, nel marmo, alle fonti di ispirazione antiche (e che non è rinnovato dal genio inventivo di Nicola di Puglia). La grande scultura subisce un fenomeno di rarefazione A Genova (i rapporti con l’imperatore saran-

no alterni: ma costanti, quanto a fedeltà, per alcune famiglie) una testa barbata, imponente per espressività (fig. 101) (assieme una singolare testa di un protagonista caratterizzato da lu-

periali dové rimanere costante. Agli ultimi anni del regno, tra il 1245 ed il 1250, appartengono quello di Parigi (865) (p. 67, fig. 19), con l'imperatore coronato di quercia, quello di Brescia (Kahsnitz, cit., v, fig. 360; p. 148, fig. 31) che lo rappresenta vestito di corazza e coronato di alloro. Accanto una serie di altre opere: l’imperatore che lotta contro il drago, che combatte il leone (Washington, Vienna, New York: 891, 889, 892)

(p. 62, fig. 5; figg. 45-46). Esse manifestano una

complessità compositiva che supera la dimensione della glittica. Assieme la rappresentazione di aquile (L'Aia, Brescia, Monaco: 878, 880; Kahsnitz, cit., v, fig. 359) (pp. 148-149, figg. 3034) e di leoni (Firenze, Napoli, San Pietroburgo 862) (pp. 150-151, figg. 35-40) che hanno una monumentalità sinora ignota. Accanto una produzione allegorica, con figure ormai di spesso re inconsueto — come un esemplare a Napoli: con Poseidon e Anfitrite (883) (fig.

50), uno

con Ercole e il leone nemeo (p. 62, fig. 4), e quelli con iscrizioni ebraiche a rilievo (898-899)

(fig. 54), che possiedono una maniera sempre

più incombente Ma il ricordo dell’arte di Federico n rimane non solo nell'eredità di Nicola: che nel tamburo della cattedrale di Siena rappresenta, ancora nel marmo, i protagonisti dei tanti cortei imperiali che per venti anni avevano sbalordito l'Italia e l'Europa: con i suoi orientali, i negri, i giustizieri, gli eredi della dinastia, i buffoni, i paggi, gli

Lineamenti per una cultura

formale di Federico t

Assisi, transetto della Basilica superiore. Federico m.

Antonio Giuliano.

animali (leoni, orsi, aquile, falchi e scimmie) che esaltavano la pompa dell'imperatore? (figg. 104-107). Con Manfredi, ed ancora nella prima età angioina, il canone classicistico troverà manifestazioni imponenti a Ravello nel pulpito (1272), opera di Nicola di Bartolomeo da Foggia, che, riutilizzando per la parte decorativa i frammenti dell'ambone più antico, mostra nei leoni, nel busto di Sigilgaida, nei due profili, nel volto del lettorino le ultime conseguenze di una cultura destinata ben presto a soccombere alle istanze gotiche volute da Carlo d'Angiò. Canone che si continua anche nella glittica come nell'esemplare, forse realizzato per un matrimonio, con una testa maschile ed una femminile (quelle degli sposi) ora a Vienna (895) (fig. 58) Altrettanto potrebbe dirsi per quanto concerne la pittura: nel codice dell'età di Manfredi dell'Arte venandi cum avibus alcune miniature mostrano una libertà compositiva che riassumendo canoni arabi, bizantini e normanni sono alla base delle pitture del Sancta Sanctorum, di quella nei Santi Quattro Coronati e implicitamente di quella della scuola romana dalla quale dipende lo stesso Giotto. Il ricordo delle composizioni federiciane rimarrà a lungo fisso nella memoria di molti: Simone Martini, ad Assisi, si rifà al ritratto dell'imperatore. A Bergamo, sino all’inizio del 1300, le monete conserveranno il suo busto laureato?. E

i canoni

federiciani

ritorneranno,

in Italia

meridionale, tra la fine del xv e l'inizio del xvi secolo (come testimonia la sin troppo famosa testa di Barletta e le molte sculture che a quella ci riconducono: tutte della fine del xv o dell'inizio del xvi secolo) Nor

87. Collezione privata. Protome femminile.

* Per la straripante bibliografia federiciana rimando a: CA. Wituensen, Bibliografia federiciana. Fonti e ltteratura storica su Federico n o gli ultimi Svevi, Bari 1982. Rimane insuperato: E. Kanrorowicz, Kaiser Friederick der Zweite, n, Berlin 192 Erganzungsband, ib. 1931 (rad. iL 1976); vedi anche T.C. van Ceva, The Emperor Frederick 1t of Hobenstaufen, Immutator Mundi, Oxford 1972; D. Auuarın, Frederick1 A Medieval Emperor, London 1988 (trad. it. 1990); Tbe su Ialies. Economic Relations between tbe Norman Kingdon of Sicily and tbe Nortbern Communes, Cambridge 1977 rad. it. 1991); N. Kw in Dix

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

90. Köln, Rómisches-Germanisches Museum. Protome femminile.

207

91. Collezione privata. Protome femminile.

208

Antonio Giuliano

92. Spoleto, depositi del Museo. Testa maschile di età federiciana.

Augustalis, 1995; 3)G. CorroLa, Ponti medienali in legno, 1996, 4) Canalter alla conquistadel Sud, a cura di E. Cuozzoe JM. Martin, 1998; 5) P. Guns, H sacro artefice, 1998; 6) M. Canavaws, La monarchia meridionale, 1998; 7) E. Caspar, Ruggero it (1101-1154) e la fondazione della monarchia normanna in Sici lia, 1999; 8) H. Hounen, Ruggero ir di Sicilia, 1999; 9) F. GaNDoro, La scultura normanno-suena in Campania, 1999; 10) De arte venandi cum avibus, di Federico u di Svevia, a cura di AL Trombetti Budrisi, 2000 Comitato Nazionale per le Celebrazioni dell'vm Centenario della Nascita di Federico n. Catalogo della mostra: Roma 22-x11995; 0 ν- 1996. Federico ite l'lalia. Percorsi, Luoghi, Segni e Stanziamenti, Roma 1995; L'età normanna e sveva in Sicilia, mo documentaria e bibliografica, Palazzo del Normanni 180, 15xt 1994, Palermo 1994; Federico e la Sicilia dalla terra alla corona, a cura di CA. Di Stefano e A. Οἱ 1995; n, cura di M. Andaloro, Palermo 1995; Comitato nazionale per le celebrazioni dell'vm centenario della nascita di Feder Atti di Convegni: 1) ..Colendo iusitiam et iura condendo... Fede rico αι legislatore del Regno di Sicilia nell'Europa del Duecento, Per una storia comparata delle codificazioni europee. Atti del Convegno internazionale di Studi organizzato dall'Università degli Studi di Messina, Istituto di Storia del Diritto e delle Istituzioni (Messina-Reggio Calabria: 20-24 gennaio 1995), a cura di A. Romano, Roma 1997; 2) Federico 17 e Montevergine. Atti del Convegno di Studi su Federico n organizzato dalla Biblioteca di Montevergine Mercogliano (AV) (Palazzo Abbaziale di Loreto, 29 giugno-1 luglio 1995), a curs di p. PM. Tropeano, Roma 1998, 3) 'Gastra ipsa possunt et debent reparari*. Indagini conoscitive e metodologie di restauro delle strutture castellane normanno-svew.

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93. Spoleto, depositi del Museo. Testa maschile di età federiciana.

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

210

Antonio Giuliano

95. Spoleto, depositi del Museo. Testa femminile di età federiciana.

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Atti del Convegno Internazionale di Studio promosso dall Istituto Internazionale di studi Federiciant, Consiglio Nazionale delle Ri cerche (Castello di Lagopesole, 16-19 ottobre 1997), 1-1, a cura di CD. Fonseca, Roma 1998; 4) Mezzogiorno — Federico 1- Mezzo. giorno. Atti del Convegno Internazionale di Studio promosso dal l'Istituto Internazionale di Studi Federiciani, Consiglio Nazionale dello Ricerche (Potenza Avigliano-Castel Lagopesole, 18-23 ottobre 1994), t, a cura di C.D. Fonseca, Roma 1999; 5) Federico αι ὁ le Marche. Atti del Convegno di Studi con il patrocinio del Comune di Jesi - Assessorato alla Cultura, promosso dalla Biblioteca Pla nettiana con il coordinamento scientifico della Deputazione di Storia Patria per le Marche (Jes, Palazzo della Signoria, 24 di combre 1994), Roma 2000; 6) Cultura artística, cià e architettu ra nell'età federictana, Atti del Convegno Internazionale di studi (Reggia di Caserta - Cappella Palatina, 30 novembre-1 dicembre 1995), a cura di A. Gambardella, Roma 2000; 7) Castelle cinte ‘murarie nelleta di Federico 1. Ati del Convegno di studio organizzato dal Comune di Montefalco (Pg) (Montefalco, Museo Civi: co 5. Francesco, 27-28 maggio 1994), a cura di B. Ulianich e G. Vitolo, Roma 2001; 8) Federico 1 e la civilà comunale. Atti del Consegno internazionale promasso in occasione dell vit centena rio della nascita di Federico 1 di Svevia (Pavia, Aula Foscoliana. dell'Unieerstà - Rivellino, Castello Visconteo, 13-15 ottobre 1994) a cura di CD. Fonseca e R. Crogi, Roma 1999. Frederic 1 (1194: 1250) et 'héritage normand de Sicilie, Caen 2000. Su Federico n e - in particolare - l'Umbria, da ultimo: Accademia di Montefalco, Federico 7 e suoi rapporti con l'Umbria, Atti della Tavola rotonda: 28.1.1995, Montefalco 1995; rimane fondamentale: S. Nesi, I ducatodi Spoleto ira Papato e Impero al tempo di Federico 1, in Atti del 9 Congresso internazionale di sudi sull'al-

96. Spoleto, depositi del Museo. Testa femminile di età federiciana.

a femminile di età federiciana.

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τὸ juramentum fidetatis οἱ officit juxta morem. Datum Sarzani, ac decembris, xit indictionis, Prodericus ec, secreio Messane, et. Sknfiaet culmini nostro Gaudius ebreus, notarius sce nosre Messane, fidelis noster, quod cum dudum de ordinatione. quondam Mattbei Marchafabe secret fidelis nostri moa moneta ile nostre Messane missa fuerit inponenda per singulas terras Si clie et Calabria, plurs de ilis qui eamdem pecuniam rocaperun, 20 quod dicus quondam secretus medio empore concessit n ata, ecuniam ipsam assignare andice sicle nose remuunt in cure nostre jacturam, cum adbuc bona quantitas de dica pecunia ab eis nostre curie debeatur. ^ Sula glia saufc: . Kass, in Die Zeit der Staufer, Kaalog der Ausstellung, , Katalog, Kamoen, Stutgare 1977, p. 674 ss; v 1979, 477 ss Gi vedano sopratutto gli sudi di H. Weirzt, cia in Festschrift Wontzl. Beiträge zur Kunst des Mittelalters, Berlin 1975, p. 255 52, or: 1. Kucrı, Jopaux Renaissance. Une Splendeur Rerounée, Paris 2000 (R. Diselberger), n. 1. Ho cercato ἃ affrontare alcuni temi dellartefederiana, sopratuio per quanto conceme la gitica: Moto classici nella sculura e nell gitica di età normanna e federiciana, in Federico 1 e l'arte del Duecento ttaliano, tti dell m settimana di studi di storia dell'arto medievao dell'Università di Roma, 13-20 maggio 1972, ται, Galatina 1980, 5.19 ss, in questa sede pp. S748, I rato di Federico a gli οἷος menti antichi, in Xenia, 5, 1983, p. 63 ss (cr. Antike Kunst, 26, 1965, p. 120 5); pp. 61:70; la luce de la gran Costanza, in Pact, 23, 1969 (Technology and Analysis of Ancient Gemstones: Novem ber 13-16 1987, p. 575 55, in questa sede pp. 117-122 princ pes gentium sunt creati, in Prospettiva, 356, 1983-1589, p. 80 ss pp. 109-116; Novità sul tesoro di Lorenzo dl Magnifico, in Lorenzo Ἡ Magnificoὁ suo mondo, Firenze 1994, p. 319 s; Le fonti alla Marina di Piombino, in Napoli, l'Europa. Ricerche di Storia dlArte in onore di Ferdinando Bologna, Roma 1995, pp. 25-26, in questo volume pp. 123128; Asimilazione a Dionysos ed Herakes su gemme e monete dll'eà tardo ellenistica al secolo d.C, in Fr ellen e tradizionalino a Roma nei primi due secoli dell'im pero, Convegno internazionale, Roma, 27-28 aprile 1995, Roma 1996, pp. 143-180 = Seit minori, Roma 2001, p. 235ss; Element della cultura classica all cor di Federico n, in Fredià della Maana Grecia, Att del cc Convegno di studi sulla Magna Grocia, Taranto 6-10 ottobre 1995, Napoli 1998, p. 203, intervento: pp. 247-248, Simone Martini e Federico n, in Rendiconti dellAccadea dei Lince, serie, x, 2 1999), pp. 159202; pp. 129-100. * R Laven, in Ornamenta Ecclesiae, Aussllun, Köln 1985, p 216 ss; B.C. Crasse, Nibolausvon Verdun. Über Antiken- und Naturstudium am Dreikönigen - schrein, bid, p. 447 ss; E. Zwimunx.Diein, Die Gemmen und Kameen des Dreikönigenschreines, (Studien zur Kölner Dom), 5, Köln 1988, Sul trasferimento del tesoro normanno in Germania (ad es: Arnoldi Chronica Slavorum v, 20: MGH xa, 1869, p. 197) Imperator autem in Apuliam profectus prosperaus est n via sua, quia mortuo Dangebrado adversarisuo, omne regnum Willbelmi ad volutuntatem optinuit, Cuius aulam ingressus lectos et se dila, monsas ex argento et nasa earum ex auro intenti purissimo Repert etlam thesauros absconditos et omnem lapidum precosorum et gemmarum gloriam, tt ut oneratís ntum quinquaginta somariis auro et argento, lapidibus preciosts et vestibus sericis gloHoe ad teram suam redire, Cum autem terras Teuonte ἀπῆρεν. e, insecutus est eum. cles cursu imperaticis nuncius, que in ‘Apulia remanserat munckans, nventos esse omnes thesauros Ralbdri regis. Vetula entm quedam apud imperatricem era, que de obsequio Rotger fuerat. Hec gazopbilactum agis de paucisimis noverat, quodin muro antiguissimo contutatur diligentissime i

Antonio Giuliano mito pariete er superducta pictura omnibus indagabile videbatur. Cum igitur per ipsam proditum imperatori manifestatur fuisset, ille imperatrici mandauit, dicens: De ipsis thesauris quod tbi videtur facito, me autem scias hoc tempore Apullam non repetere. Ipse siquidem imperator liberalissimus erat. Quem Deus ampliare. volens dedit e thesauros absconditos, quos infarigabiliter, non tamen prodige omnibus erogabat, non tantum melioribus vel nobiHortbus, sed militaribus sive vulgaribus. Pauperum vero non senis provisor erat, quise n omnibus non solum prudenter, sod et religiose cum gravitate gerebat. camel della corte di Sancho iv sono editi da: W. GRONMA(GEN, Bemerkungen zu den Kameen in der Kronedes Königs Sancho iv von Kastilin, in Madrider Miteilungen, 29, 1988, p. 245. ss. (di: HJ. HOFFER, Die Funde in Dom von Toledo und die kasilische Konigskrone, in Saeculum, 2, 1951, p. 433 ss). Mestieri in Sicilia in età normanna: A. Messina, Uomini e metiri della Sicilia normanna, in. Quellen und Forschungen aus italienischen Arcbiven und Bibliotheken, 73, 1993, p. 19 ss: sono testimoniati oral, argentieri, incisorl,niellator, monetiri (ristiaπὶ, ebrei, arabi). Vedi anche P. LANZA DI Scit; cfr. Donne e tote! in Silla nel Medio Evo e nel Rinascimento, Palermo-Torino 1982, p. 228; M. Accascına, Oreficeria di Sicilia dal xal xx secolo, Palermo 1974, p. 96 (anche: Quaternus de excadenciis et revocatis Capitinatae.., Montecassino 1903, p. 28, 50; Codice diplomatico salernitano del secolo x, a cura di C. Canucc, 1, Subiaco 1931, p. 65). Ma non si dimentichino i contati, peralto frequentisimi, con oraf e argentieri veneziani: Archivio Veneto, It 1878: Il Liber Communis detto anche Plagiorum del R. Archivio Generaledi Venezia, Venezia 1872, p. 86, n. 333; p. 129, n. 533534-535; p. 139, n. 578 (ct nota 12). 7 Il corteo degli animali è caratteristico dopo il 1231: nel 1231 a Rimini; nel 1231 a Ravenna; nel 1235 a Cremona; nel 1237 a Cremona; nel 1239 a Padova; nel 1241 a Cremona; nel 1245 a Verona; nel 1247 a Siena; fino al 1248 a Parma. La descrizione più perspicua è quella del coneo (Luglio 1235) in Germania (Gofredi Vit. continuatio Funiac. et Eberbacensis. M.G.H., xxn, 1872, p. 348), quando Federico i: ..prout imperialem decuit matestatem, drocedens in magna gloria cum quadrigis plurimis auro argentoue onustis, bysso et purpura, gemmis atque preciosa suppellectil, cum camelis mulis atque dromedis, Sarracenos quoque multos et Eihyopes diversarum arcium noticiam babentes cum symiis et leopardîs, pecunias et thesauros suos custodientes secum adducens, in multitudine copiosa principum et exercitus Winpiam usque pervenit. L'elefante è rappresentato in: Matthaei Parisiensis... Cbronica Majora: Cambridge, Corpus Christi College, ms. 16, £ 151. Trascina il carroccio nel trionfo di Cremona dopo Cortenova (PAsporo CoLiENUECIO (ed. Savioti, iv, p. 127: E avuto grandissima vittoria, entrò in Cremona in specie di trionfante, menando con sé il carroccio, sopra il quale era legato il podestà per un braccio alto ad un legno e con il laccio al collo, e le bandiere lombarde prese roversae, con li prigioni che seguitavano: et era il carroccio menato da uno elefante, sopra fl castello del quale aptamente fatto di legname stavano li rombetti con le bandiere imperiali levate, che in segno di vittoria precedevano, e Federico con l'esercito seguitava. Appare in un cammeo ora inserito nel piede di una coppa con coperchio del n venticinquennio del xar sec. (ig. 12): E. Henzoc, Kostbarkeit aus den Landesmuseum Kassel, Stungart 1979, p. 22, fg. a p. 23; in questo si può, forse, riconoscere il nome dell'animale: AN(X)sr(AsQUs) (A. Petrucci mi comunica il 26.7.1995: Per quanto riguarda la data della scitura dl xit sec. mi sembra sicuro; si tratta di maiuscole di tipo gotico). Sul dono dell'elefante: M. Ananı, Biblioteca Arabo Sicula,

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100. Genova, Musei Comunali. Ritratto federiciano.

Antonio Giuliano Torino 1880, p. 518 ss Nell'anno 944 (1227-8) arrivò l'ambaSclatore del sultano, quel desso ch'avea viaggiato in compagnia dell'ambasciator dell'imperatore, arrivato l'anno innanzi le ripartito dall'Egitto per la Sicilia. Insieme con questo ambasciatore [dol sultano) ne venne uno di parte del suddetto imperatore, il quale ambasciatore non avea la stessa dignità di quel primo, ma era (di gradol inferiore. Ei recava in dono cavalli, stoffe, minuterie d'orafo e falconi. Gli fu dato allggio, com’era usanza; e il sultano, ch'egli abbia [da Diol splendida vittoria, mosse coi suoi eserciti alla volta della Stra. Egli uscì dal Cairo la domenica, ventinove del mese di 'abib di quest'anno (23 luglio 1228); nè fermossi fino a che egli non posele stanze im Tall ‘al ὍρΙ, ra Ad drüm e Gar ταῖν, ..Entrato l'anno 945 (agosto 1228), il sultano marciò Icon le genti) posando ad ogni stazione da Tall ‘al "Ugàl a Näbulus, dovei fermass; ὁ l'sercto st avanzo da Al Gawr ed a Qusäyr (Il castelluccio di Ton Muin 'ad din [occupando un tratto di paese che abbracciava Gerusalemme e la costiera da "Ad Darum ad AI Qusäyr sopradetto. In questo mezzo l'imperatore era arrivato di Ponente in Cipro, e di Cipro ad Acri, dond'egli pedi ambasciatori al sultano, con preziosi domni e con gran seguito. Eran due st gnorà, entrambi, di alto stato: l'uno (Balian), principe di-Stdone, € l'altro Tommaso conte (di Acerra), vicario del re di Acri. II sulla no I accolse con grandissimo onore: αἱ giorno del loro arrivo fece uscire tuto l'esercito a splendida mostra. Tra i sultano e i Franchi andavano e venivano t messaggi. L'imperatore era filosofo uom generoso, di gentil tatto e di bella fama. [Mal i negoziati an davano tn lungo. Il Sultano, che Dio gli conceda splendide vito rie mandava allo imperatore bei presenti di caval, muli, dromedarii, cammeli battriant, stoffe, ed alii somiglianti dont da re. Poscia il sultano mosse da Nibulus, ritornò da Magdaltaba, e quivk slanzióe st tramutò di stazione in stazione a Qurata, presso Ascalona: dove il giorno dell" 'ad duhà del seicento venticinque (10 novembre 1228) venne a trovarlo il fratello Assaf, principedel Levante, e fu giorno di gran festa. Non smetteano intanto le ambascerie dalla parte dell'imperatore. I sultano, cbe Iddio gli conceda splendida vittoria, fece ventre d'Egitto il sold elefante cbe ri manea di quelli recati (in quel paese da "AI Malik 'al Mast, principe del Yaman e dellHigiz, e tutigl altri erano morti. alt mandò dunque cotesto elefante all'imperatore; il quale mosse da Acri e pose le stanze a Jalfa, allo scopo di ristorar questa fortezza, come avea già fatto di Cesarea... Hunuaro-Basnowss, cit, m 1852, p. 486: Jces messages li aporterent grans presens de dras de sole et d'or de diverses colours et de diverses choses d’Orlent et li ‘amenerent un olfant et x chameaus corsters e x jumens arrabies L'elefante a Cremona: BRuNETTO Lerma, Li litres du Tresor, ed. P. Chabaille, Paris mpcccıxun,p. 242; morte dell'elefante: Ch ronicon Placentinum, ed. J.LA. Huilard-Bréholles, Paris wpcc cn, p. 215. La migliore descrizione dell'animale è in: Ex Mathei Parislensis Cronicis Matortbus, M.G.H, xxvi, 1888, p. 223 T1241): Er venienti occurrerunt ex precepto imperatoris cives in. equis preciosis t mirfficafaleratis, estiri series οἱ alls caris induvis, in canticis er musicis instrumentis, in portentis excogitatis appropinquanti autem Cremonam veniebant obviam gaudenter Cremonenses, elephantem tmperatoris mirabiliter ornatum producentes et portantem machine lignee propugnaculum, in quo quidam magistri bestie residebant, tubis canentes et manibus locu lando applaudenies * Caratteisico: G. ZANDER, Contrasto di maestranze: scuola cistercense dei lapicidi di Fossanova e maestranze di marmorari romano-campani nella costruzione della cattedrale di Terracina, in Quaderni Istituto Storia Architettura, n.s., 15-20, 1990-1992, Ῥ 128 8

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1r

101. Genova, Museo d

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Antonio Giuliano

102. Pisa, Museo del Duomo. Testa di un negro.

turgeschichie, 50, 1968, p. 181 ss; W. KinscH, Kaiser Friedrich 1. = ein neuer Alexander, ib, 56, 1974, p. 217 ss. Si noti la somiglianza tra: M. AMart, Biblioteca Arabo-Sicula. Appendice, Torino 1889, p. 20, 6: Nel detto anno (631 = 1233-4) venne un ambascia dor dell'imperatore re de' Pranchi con (vari presenti, ira* quali motossi un orso bianco che tulfaua in maree prendea de' pesci, e altresì un pavone bianco... © Ateneo, v, 200 s. (..pavoni... un grande orso bianco..); dir: F. COARELL, La ροπιρdi Tolemeo Fi ladelfo e il mosaico nilotico di Palestrina, in. Revodi Ars. Arte e Ideologia a Roma. Dai modelli llenístict alla tradizione repubblicana, Roma 1996, pp. 108-109. 1 N tesoro di Lorenzo il Magnifico ἃ cura di U. Dacos, A. Giu: liano, U. Pannuti, Firenze 1973 p. 17 ss; U. Panwum, La Tazza Farnese, Datazione, interpretazionee irasmisione del cimeli, in Pact, 23 (1989) p. 205 ss. Ora: A. Esch, Friedrich τ. und die Anin Friedrich ας cit, p. 201 ss. Sulle coppe possedute dall'imperatore: Marburg, 1° magi 1 Richeri Gesta Senonensis Ecclesiae. Hic [Piderius] ..cifum aureum, in quo solitus erat bibere, obtulit beate Elisabeth, in quo. et caput etus reconditum est. . Cr. HunARD-Bni 2, Parisis MDccctv, p. 839: „.Ipse etiam imperator primus lapt dem de sarcophago levavit ei coronam auream de suo thesauro sacro capiti sanctissimae viduae imposuit. Ante pontem Placentiae, 4 novembre 1239: Hcitanp-Buistotus, cit, V, 1, MDCCCLYI, p. 477 ss: Predericus, etc. Notum faci mus untversis quod Gusbertus de Turano et Bernardus de Les mercatores Provinciales vendiderunt et assignaverunt in camera nostra unam magnam scutellam de omichto οἱ alias plures jobyas, de quarum venditione babere debuerunt a curta nostra in summa uncias mille ducentum et trigenta, ad generale pondus regni,

? H. Were, Alle und alertümliche Kunstwerke der Kaiserin Theophano, in Pantheon, xoc, 1972, p. 3 ss Sulle sculture classi cistiche normanne, vedi: D. Grass, Romanesque sculpture in American Collection. V. Wasbington and Baltimore, in Gesta, x 1, 1970, p. 47 ss, n. 3 (con bibl. prec). 1 J. Μεπεριτη, The Revival of tbe Augustan Age in he Court Art of Emperor Frederik 1, in. Artistic Strategyand tbe Rhetoric of Power. Political Use of Art from Antiquity to the Present, Carbondale 1986,p. 39 ss, 190 ss; U. HavsatanN, Zur Bedeutung des ró mischen Kaiserbildes in Miteralter, in Rom. Mit, 97, 1990, p. 383 ss N. Wınınar, Augustus patrem figurat, Zu del Betracbtungsuei sen des Zentralsteines am Lotbarkreuz, in Aachener Kunstbläte, 60, 1994, p. 105 s * Sul classicismo rievocativo di alcune monete islamiche: The Coins of the Turkumän Houses of Sejook, Umuk, Zengee, etc. in the Britsb Museum, Classes xaxv, by S. Lane Poole, ed. by R. Stuart Poole, London 1877, p. 139 ss S. LANE Pon, Coins of the Uruki Turkmans (Foes of tbe Crusades), Chicago 1968, p. 6 ss. N.M. Lowicx, Les premtéres monnaies artugides: une exbumation. tardive, in Revue numismatique, vi Ser, 16, 1974, p. 95 ss; G. Hennequis, Catalogue des monnaies musulmanes de la Bi blictbäque Nationale, Aste pré-mongole. Les Salkügs et leurs suc cesseurs, Paris 1985 ? Sulle lettere greche (1250) di Federico w, ora: E, Mmenpino, Quattro lettere greche di Federico 1, in Atti Accademia Palermo 300, 1975, p. 293 ss. Cr, Huann-Brénonues, cit, νιν 1, p. 791 ss. Su quelle arabe: Storici arabi delle Crociate, a cura di F. Gabrieli, Torino 1963, p. 276 ss. Su Federico n = Ales sandro Magno (€ quindi i sovrani ellenisic): RM. Kıoos, Alexander der Grosse und Kaiser Friedrich 1, in Archiv für Kul

103. Pisa, Museo del Duomo. Testa di un negro.

104. Siena, Duomo. Cupola: Testa di un negro.

Antonio Giuliano

105. Siena, Duomo. Cupola: Testa grottesca.

106. Siena, Duomo. Cupola: Testa barbata

de quibus uncis, quia centum unclas auri de nostra camera re. erunt, de reliquis mille centum tigenta unciis promistmus eis et convenimus ut Angelus Prisarius magister portulanus Sicile citra flumen Salsum fidelis noster de pecunia victualium curie nosire est per manus suas debeat quietare; et i de pecunia ipsa vel de parto ejus aliqua voluerit de frumento curie nostre recipere idem Angelus de victualibus curie nostre que babet assignet etsdem ad illam rationem qua mercatoribus aliis victualia curie. nostre venduntur per eum. Ad cujus rei memoriam et predictorum. mercatorum cautelam, presentes literas ieri et sigillo majestatis nostre jussimus communiri. Datum in castris ante pontem Pla centiae, ıv novembris, xut indictionis. tem scripsit: Fredericus ate, Angelo Frisario, etc, Notum facimus fidaltan tue quod Gu. sbertus de Turano et Bernardus de Lyes mercatores Provinciales. pro una magna scutella de onichio et alis jobys quas vendiderunt. nobis οἱ ascignaverunt in camera nostra, debuerunt babere un. has mille ducentum et trigenta ad generale pondus regni, de qui bus quia centum uncias auri de nostra camera receperunt, alias mille centum trigenta uncias volumus de pecunta viciualtum cu rie nostre que est per manus tuas, soo eisdem; fidelitati tue preci piendo mandamus quatenus de pecunia victualium curie nostre que est per manus tuas, predictis mercatoribus uncias mille centum et trigenta ad generale pondus ret assignes, et si de predicta. quantitate pecunie wel de parte ipsius aliqua voluerint de fru mento curie nostre recipere, tu eis de frumento curte nostre ass nes ad illam rationem qua mercatoribus alis victualia curie no-

sire per te venduntur. De solutione autem ipsa fieri facias compe: ens scriptum ad cautelam curie nostre, et licteras nostras patentes quas ipsis de pecunia ipsa fecimus, reciplas ab elem. Si vero ru mentum noluerint, tu eos de predicia quantitate pecunie sine di icultate et mora debeas expedire. Datum Gut supra) Viterbo, 29 febbraio 1240: Hun1Asp-Bnéouuss, ct, v, n, Pa isis epoccux, p. 792: Predericus, ec, Angelo Prisario magistro portulano Sicilie citra flumen Salsum, etc. Benigne recapimus, ete Super eo autem quod scripsisti te solvisse de mandato nostro mercatoribus ad te misis a curia nostra pro scutella de onicbil et doectis aliis per eos nostre camere assignatis et ammirato pro emendis victualibus ad onenandum naves nostras et la servitia nostra de pecunia curie nostre que et per manus tuas c Isttudini mostre placet et tuam inde diligentiam commendamus. Volumus tamen ut ad inveniendam pecuniam et mictendan ad erartum nostrum des opem et operam efficacem. ‚nova, 21 dicembre 1253, pegno di Corrado iv: E.H. Byaxt, Some medieval Gems and relative Values, in Speculum, x, 1935, p. 177 ss, p. 180: In nomine domini amen. Ego Josept de Brauduxio nuncius domint Regis Conradi confiteor me debere tibi Jacobo Buxoli de Palma nomine tuo et sociorum tuorum uncias nomingentas decem et septem auri tarenorum bonorum et legalium. ‘ad pondus regni et soldos quinque Janue que uncie extimate sunt soldi quinquaginta quinque Janue pro uncia, que restant ibi ad abendum de precio de rerum infrascriptarum quas emi a te. Res

imenti per una cultura formale di Federico it

Ven een Van gg

na, Istituto Arc

> Germanico:

Federico n.

Lineamenti per una cultura formale di Federico 1

110. Bari, Pinacoteca. Busto da Castel del Monte,

22

222 omni sunt ite, Anuli riginta septem robint. Anuli auri de safıo de Podio quadraginta tres. Anuli auri decem cum topactis. Anulus unus auri camioli concirati de smeraderis. Anulus de auro. cum eriscpacio, Anulus aurt cum peredoto, Anulus auri cum plasme due. Anulus aurt cum clapaudine decem. Safiii inclusi in auro orientali es. Safilo de Podio incluso in auro uno. Safilt orientali exclusi centum duodecim. Safıl de Podio duo. Topaclum inclusum in auro unum. Topacti exclusi decem et novem. Lapide entaliate excluse rescentas octuaginta quatuor. Lapides de entalia excluse centum undecim. Lapidesde entalia clause in auro viginti novem. Lapides de ontalia incluse in argento quinque. Lapis de entalia inclusa in ramo una. Corne de saflio orientale nclause in auro due, Camiolus inclusus in auro cum galma bominis unus. Lapides de entalia excluse sexdecim. Camioli inclusi in auro quinquaginta, Camioli exclus septuaginta septem. CamioH de vetro exclus res, Vas unum de onizilo et calzedono guamitum de aureo. Vasa de onizilo et calzedono sine guamimento tata. Cruces de auro cum ligno domini res. Lapis de entalia guarmita de auro reliquie intus una, Anuli de auro cum diamanti duo. Amulus de auro sine lapide unus, Anulus de auro cum lapide plena de diamanti unus. Anulus de auro cum safiio orientali unum. Anulus de auro cum cameolo unum. Crus de crestalo una. Perle orientale quinquaginta novem. Cameolum de jaspeo guarnito de aureo et perlis intus lignum domini unum. Lapis de calzedono guarnita de auro una. Er sunt in duabus bronziis de corio et sigillate sigillo mei Josept culto arbore palme. Quas unclas noningentas decem et seplem aur et soldos quinque Janue per me vel meum missum tibi vol tuo certo misso dare et solere promitto in cieitate Janue usque ad medietatem quadragesime. roxime venture. Eo acto inter me et te quodsi ut supra Hbi non Solveroet dedero tibi dictas uncias ut dictum est debent esse tue li bre centum Janue videlicet illas libras quinquaginta quas tibi Burgus de Florentia feci scribere in bancho Guillelni Locacoroi et ias libras quinquaginta tibi pro me promiserunt ex delegatione. mea Paganellus Manatus de Pistola et Bernardinus filius quondam Jacobi Storti de Palma. Ei ἃ termino in antea liceat tibi vendere dictas res cui volueris sine omni mea et beredum meorum. omniumque pro me contraditione. Actum Janueeo loco die bora σι presentibus. (Actum Janue in fundico Bestagnorum. Testes Jacobinus Bestagnus. Jacobinusde Casali e Pariboni Romei de Vorsali Die xxt Decembris circa terciam.) 1253) Sulle cororie dell'imperatore, da ultimo: G. ARNALDI, Federico t nelle ricerche dello Schramm, in Friedrich n Q994), p. 23 ss. È sin troppo nota la descrizione di Salimbene di quella catturata a Vittoria (2944-295a: ed. G. Scalia): Item Parmenses abstulerunt Imperatori Totum. thesaunum suum, quem magnum babebat in auro et argento et lapidibus pretosis, vasi et vestibus, et omnem ormattum et suppellectlem suam babuerunt et corona imperii, que. ema magni ponderis et valoris, e tota erat ex auro et lapidibus. pretiosis intexta, mulias babens ymagines fabrefacta ot eleatas, ut celaturas putares, Grandis era sicut una olla; nam magis erat pro dignitate et tbesauro quam pro capitis ornamento. Totum enim caput cum facie occulasse, nist remedio aliculus pecie suBlevata stetisset. Hanc babut in manibus meis quia in sacristia maioris ecclesie Beate Virginis seruabatur in ciitate Parmensi. Et cum volo ad memoriam coronam illa reducere, recordor illus diadematis de quo legitur 1i Reg. capituli xi .. Hanc coronam inventi quidam bomo parcus medie stature, qui dicebatur yronice Curtuspassus, eo quod parvus esset; et portabat eam publice in manibus, sicut portatus nisus, demonstrando omnibus qui videre. volebant, ad laudem victore babite t sempiterni opprobrit Friderici. Nam quod quisque rapere poterat, suum erat, 1| noc qui-

Antonio Giuliano

uam alter audebat el presumebat auferre Noc unum verbum contentionis seu iniurosum ibi fut auditum; quod fut mirabile dictu, maxime cum dicatur, Y x. Coronam igitur supradictam. emerunt Parmenses ab lo concive suo et dederunt ei pro ea du Centas bras imperaltum et unum casamentum prope cecleiam. Sancte Christine, ubi lasatortum equorum antiquitus fuerat. E statuerunt ut quincunque de ibesauris Victore aliquid babuisi, medietatem baberet et medietatem assignaret communi. Ditati sunt ergo mirabilier pauperes expoliato principe ditte. deo dicit Becesasieusxr Sul fldistorio = o sui adito - di Federico tL. De Mastamur, Perte et rachat du tróne de l'empereur Frödödric n, in Bib. Be. Charts, 23, 1862, p. 248 ss; J-L-A. HutAsp-Batnonus, Let aro surle trone de l'empereur Prédédri αι ibid, 24, 1863, p. 139 ss; N. Kane, Die Herschetbrone im Schatz der Kardinale Q2681271), in Resschrit P. Schramm, 1, Wiesbaden 1964, p. 157 s Essi potevano terminare con protomi leonine: ct. nota 4. Non si dimentichi il mandato da Parma, il 7 dicembre 1239 (HunzaupIntrtors, cit, v, 1, Paris DCCCIVI, p. 353): Prederiens, ec, Philippo de Aversa collectori pecunie in Capitanata, Basilicata, serra Bari εἰ Mronti, etc. Esposuerunt exclletie nostre Lambimus, Perus Donatus e Petrus Caldara mercatores Veneti, [idle most, quod cum Thomastus de Brundusio receperit quondam in andati a dieci familiaribus αἱ fidelibus nostris pro parte notra, ur eos quietare de pecunta eis conventa pro faldistori et als jotis nobis ab eisdem venditis, dictus Thomasius partim. sdem de ipsa pecunia soft et quedam quantitas ut asserunt τὸς mansit ad solvendum, quam ab eo babere non possunt pro eo quod ab officio est amotus. Verum quia nostre voluntatis est ur dict mercatores de eo quad remanserit intere quientr, [delia tuo precipiendo mandamus quatenus si ext ila quicquid de ipsa pecunia mercatoribs ipsis a curia nostra debita tibi constr er confessionem dicti homasti de Brundusio remansisse ad solvendum eisdem, de pecunia curie nostre que st per manus tuas dictos mercatores sine more dispendio pro pare curi nose studeas quietare. Recepturus ab eis Iceras nostras patentes exinde dosis factas et alas si quas babent exinde rationes, et facturus fiet aliud scrptum competens de solutione ad curie nosre cautelam. Datum Parme, vi decembris, xt indictionis. Ma il problema merita un approfondimento. "A. Cori, Gifs and Git Exchange as Aspects of tbe Byzanine, Arab, and Related Economies, in Dumbarton Oaks Papers, 55, 2001, p. 245 s . Per quanto conceme i globo astronomico: La collezione Borga. Curiosità e tesori da ogni parte del mondo, a cura di A. Germano. Nocca, Napoli 201, p. 154 s , commisionato dal sultano al-Kimil nel 1225. Si tata probabilmente di quello: Hunnsanp-Batnonss, cit, iw, 1,1854, p. 369 ss. Q2a 1232) Soldanus Babiloniae imperatori mitt tentorium mirfica arte constructum, in quo imagines sols et lunae artficialer mo"ae, cursum suum ceris t debitis spat peragrant, t boras dii et noctis infalliblier indicant. Cujus tentork alor igit millium marcarum prettum dicitur ranscendisse. Hoc apud thesauros τὸς glos apud Venustum repositum. Per la βιταδι inviata nel 1262 a Manfredi: P. Gamuumu, Le ambasceri di Baibars a Manfredi, in Studi medievali in onore di Antonino De Stefano, Palermo 1956, p.219ss Per la coppa (di veto turchese) a Venezia: A. Gato, I] desoro di San Marco e la sua storia, Venezia 1967, p. 2, n. Baaxosn, Mebmed der Eroberer und seine Zeit, München 1953 Grad. i Torino 1967), cap. v. Cfr. nota7 not 12. 2511 tipo del bronzo di Grotferata doveva essere come: HR Goerre, Kub und Ser als Opfer. Zur "probato victimae", in Bull Com, xai, 1986, p. 61 ss, a giudicare dalla scultura di mar-

Lineamentiper una cultura formale di Federico 11

223

111. Francoforte, Liebieghaus. Testa federiciana.

Roma 1996, p. 19 ss, in questa sede pp. 71-86; sul monumento M. Gunapuccı, Federico Ire il monumento del Carroccio sul Campidoglio, in Xenia, 8, 1984, p. 83 ss; L'iscrizione sul monumento del Carroccio in Campidoglio e la sua Croce radiata, in Xenia, 11, 1986, p. 75 ss; pp. 87-108. Per la iscrizione sul rovescio di uno di essi (che testimonia il rutilizzo di un marmo antico) Marco Buonocore così mi comunica il 15 Luglio 2002: “Secondo me i e to potrebbe essere cos inteso: Aemillio- - ] / filo mleo carissimo ? oppure quj UE vel similia - - 4 / pater linfaicissimus ?) / JacCiendum) (curCavib), La quarta riga, che principia con rac, ri essere stata scrita rientrata, da intendersi, pertanentrata rispetto allintero dettato: questo mi consente di vuperare un certo allineamento delle righe precedenti e di calcolare con una cera approssimazione lo spazio mancante sulla desta. Ovviamente gli aggettivi carissimus e infelicisimus sono. solo ex ingenio, ma abbastanza comuni in testi di simile tenore e lausibili con il calcolo lineare della lacuna. Si tratta della dedica di un padre al proprio figlio. La paleografiae il fatoch defunto della gens Aemilia risulti privo di praenomen consentono di datare il testo nella seconda metà del ur ccolo d.C. se non oltre. In una scheda del CIL, cos scriverei: Aemilio- - 1] / flo mieo-- 1 pater- - / faciendum) Icuraub), Quontmus tus recte st supplendus, in dubio maneo. - 2 ca issimo vel eriam non ext cur, excludam esse locutionem illam qui vixit etc. compendiis scrip tam - 3 linfelicissimus] restituere quoque potui. Ex literarum Jormis et ex eo quod Aemiltus praenomine caret temporis statio. inter saeculum tn p.C.n. exiens et v tniens comprebenso saltem inibuerinr F. BOLOGNA, "Gesaris Imperio Regni Custodia Fio". La porta di Capua e la "Interpretatio Inperialis" nel classico in Nel se-

mo rimasta, come ricordo, nell'abbazia. MS. CALO Manat, Fede rico 1 collezionista e antiquario, in Aspetti del collezionismo in Italia da Federico ital primo Novecento, Trapani 1993, p. 23 ss. sul riutilizzo di sculture classiche in edifici di tà federiciana: L pe Lachenat, II rillevo frammentario con cavalieri reimpiegato a Castel del Monte. Alcune note sugli esordi della scultura lapidea Apulia, in RIASA,n. s, 14-15, 1991-1992, p. 131 ss; L Topi sco, Rilievi romani a Treu, Castel del Monte, Canosa, in MEFRA, 105, 1993, 2, p. 873 ss. sui precedenti normanni: L DE LAcHENAL, 1 Normanni ὁ l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale in compiuta di Venosa in terrali cana, in Boll. d'Arte, 6:97, 1996, P. 1 s ; sulle consuetudini normanne, si veda, anche: G.B. Stt usa, La tomba di Sibilla regina di Sicilia (1150), in Centenario della nascita di Michele Amari, τι, Palermo 1910, p. 252 ss. Signi ficativa cora con la quale si chiede siano trasferite alcune scul ture antiche da Napoli a Lucera: Hotamp-Batrtotts, cit, v, 2, mpcecux,p. 912, 2241v-1240: .. Cum vellmus ymagines lapideas in galeis delatas que sunt in castro Neapolis apud Lucertam in. stanti babere, ac mandemus compalatiis Neapolis ut ipsas a le requant, rociplant et statim Lucertam mictanı, firmiter mandamus quatenus ictas imagines incontinenti iss liters elsdem compa: latis facias assignari. Datum Fogie, xxit aprilis, xir indictionis tem scripsit compalatiis ut requirant, e inveniant bomines qui vas salubriter super collum suum usque Luceriam portent, et eas per ipsos quam cito illuc mictant (cr. p. 696: Gubbio, 294-1240). Sulla testa della Justitia in Campidoglio: A. BararroLO, in Rom. Mit, 89, 1982, p. 133 ss, con bibl. prec;€ V. Pact, in Intel ectual Le. Ct, p. 151 ss. fg. 9. Sugli ovali messi in relazio ne alla dedica del Carroccio sul Campidoglio: P. Cet, Presenze Jedericiane, in Xenia, 8, 1984, p. 95 ss, = Tra Roma e l'Umbria,

112. Amburgo, Museo. Testa federiciana.

224 gno di Federico 1. Unità e pluralità culturale nel mezzogiorno, cit, p. 159 ss; Id, La Porta di Capua, in Fridericiana. Riv. del l'Univ. Napoli "Federico 1°, 1, 2, 1990-1991, p. 129 ss; La Fontana della Riviera, Roma 1995; Divi Iuu Caesaris: Un nuovo busto federiciano e gH interessi dei circoli umanistici del Regno per Federico n, in Dialoghi di Storia dell'arte, 2, 1996, p. 4 ss. (ma: L Topisco, Uso ed abuso dell'antico nella scultura architettonica del Cinquecento a Bitonto in Bitontoe la Puglia tra tardoantico è regno normanno, Convegno, Bitonto 15-17 ottobre 1998, Bari 1999, p. 291); P.C. Ciaussen, Die statue Friedricks 1. vom Brückentor in Capua (1234-1239), in Festschrift für H. Biermam, Weinheim 1990, p. 19 ss C. Via, Tritico per Federic0 1 "Immutator mundi”, in Aevum, ΤΊ, 1997, p. 381 ss; S. Ser"rs, Nicola “de Apulia" e il "Moro" di Pisa, in Prospetiva, 99.90, 1998, p. 98 s. "^ Leoni per una fontana a Roma: P. Cetuni, Ricordi normannie federiciani a Roma, in Paragone, vn, 1956, 81, p. 5 ss. = Tra Roma e l'Umbria, Roma 1996, p. 3 ss, pp. 26-36; testa di pirite a Roma: A. SATANGELO, Museo di Palazzo Venezia. Catalogo della scultura, Roma 1954, p. 17, fag. 4-5; testa di porfido a Siena: C. Bret, Una dea di porfido, in Scritti di Storia dell'arte in onore di Raffaello Causa, Napoli 1988, p. 37 s. Le chiavi delle volte con le protomi di Oceano si rifanno, a Castel del Monte, a mascheroni di fontana o a sarcofagi antichi (un esemplare a Sepino), senza necessariamente dover richiamare modelli grafici quali compaioπὸ nel Liere de Portraiture di Vilard de Honnecourt. ? w. Scirea, Caste del Monte, Mainz 2000; F. Carpisa, Castel del Monte, Bologna 2000. ll cammeo con il busto di un satiro è: Paris Drouot, 4xu-1989, p. 19, n. 102. La testa di un satiro è in: Case d'Aste Babuino: 10-01-2001, n. 1. Lovale di Spoleto è in 1. Sonst, I ritratti romant di Spoleto, in Ann. Fac. Let e Fl Univ. Perugia, xo, n. s. vu, 1984-1965, 1, Studi classic, p. 40 ss, n. 28, p. 43, n. 32. I marmi di Foligno sono in M. FAtoct, Catalogo del Museo Civico di Foligno, Foligno 1908, p. 12, n. 101-103, 104105. L'ovale è alto 0,35; e teste 0,31. La maschera a Colonia è in K. BenGen, Griechische und talische Antiben der Sammlung CA. essen im Römisch-Germanischen Museum und im Arcbdologischen Institut der Universität zu Köln, in. Kölner Jahrbuch, 28, 1995, p. 7 ss, p- 115, n. 161. Quelle in coll. privata sono alte rispettivamente 031 e 033. La protome di Comiso, insegna di una. tenuta imperiale, è in G. DI STEFANO, Za ferma imperiale di Comiso, in Sicilia archeologica, xxvn, 85-86, 1994, p. 82 ss. Sui rap pori tra l'imperatore e Genova è ancora fondamentale: C. lupe-

Antonio Giuliano

sous, Genova e le sue relazioni con Federico 1 di Svevia, Venezia. 1923; una scultura è in: Marmi antichi dell raccolte civiche genoes, Ospedaleto 1998, p. 109, n. 40 (B.M. Giannattasio), Ma per la suggestione iconografica non st dimentichi, ad cs: HUNLARD-BaEnOLLES, ct, v, 1, wpccciv, p. 630 s. Pisa: 2530.1239: Fredericus, etc, Riccardo de Montonigo justitiario Terre. Laboris, ec. Quia muntium Cumiani in Apulia de curia nostra Dermictimus usque ad reditum nostrum Fogio moraturum, fideli tati tue mandamus quatenus eidom pro so et bs qui secum suni, octo equos de bys qui sunt In contrata jurisdictionis tue, facias usque Fgiam mutuari, utn es usque ad dicum locum comode alt equitare. datum apud Pies, xxv decembris, x indictionis Item: Predertcus εἴς, Alexandro fio Henri, ec, Quia muntium, etc, usque moraturum, et cum eo Theodorum valiectum, ec, procuratorem a nostra cura sol datum, mandamus quatenus eidem unti pro se t decem personis, siut melius expedire vider ac dicto Theodoro prose, duobus scuteris, et iribus equis, juxta assi Sam curie nostre, de pecunia nostre curi quo est per manus tuas expensas debeas xbibero, a medietate menss januarii, primo venturi in antea donec morabuntur ibidem, Datum {ut supral Item: Predericus, etc, Alexandro filio Henrici, εἰς. Quia Conradum Binonachum et Jobamnem de Troya maresalle nostre scueris cum septem canibus in regnum venire mandavimus, del tati tue mandamus quatenus eis a medietate mensis januarit proximo futur in antea donec ibidem cum canibus ἐρεῖς fuerim, de pecunia curie nostre que est per manus tuas expensas modera. tas t necessaria sicut potius expedire videris, debeas exbibore pro seet canibus antedictis Datum vt supra. Ci; Hontam-Butnous, it, v, n, upccux, p.754 s. (Coocorone: 131-1240); p. 50 5 Foggia: 1210-1240) 7 Il cammeo con una flconier seduta è ora a Malibu: The Paul Getty Museum Journal, 14, 1986, p. 259, n. 236. Ἔ La coste imperiale sostiene, con la propria potenza, la cupola (sccondo un simbolismo per il quale si veda, tra i molt E. Bauwin Suma, The Dome. A Study in History of Idas, Princeton 1950; e, per tuti: E.P. LORANGE, Studles on Ih Iconograpby of Cosmic Kingsbip intbe Ancient World, Oslo 1953) del Duomo di Sena: A. BAGNOLI, Novità su Nicola Pisano scultore nel Duomo di Siena, in Prospettiva, 27, 1981, p. 27 s . (cr, nota 7). Motivo anticipato nei due capitelli da Troia, che meriterebbero una analisi più approfondita (pp. 197-202, fig. 7479) % Sulle monete di Bergamo: Corpus Nummonum Bergomenstum, t, Boll di Numismatica, Monografia, 5,1 2, 19%,

ANTONIO GIULIANO

Antiqua statua Tygridis fluvii marmorea*

si legge nella didascalia dell'incisione lieri relativa alla statua colossale che, insieme ad una — speculare e gemella — rappresentante il Nilo, è ora ai piedi della scalinata che congiunge la piazza del Campidoglio al Palazzo senatorio; l'autore aggiunge: «quam recentiores statuarii Tiberi accomodarunt. Le due statue erano originariamente sul Quirinale (Monte Cavallo) assieme a quelle più famose di Dioscuri. Nel a più antica redazione dei Mirabilia erano identificate con Saturno e Bacco (poi con Acheloo ed Istro). Tra il 1513 e il 1527 (probabilmente nel dicembre 1517) furono trasferite in Campidoglio davanti

al portico del Palazzo dei Conservatori; cambiarono

ancora

denominazione:

Nilo

e Tigri

(o Aniene e Nera). Avanti al Palazzo dei Conservatori furono riprodotte più volte da Marten van Heemskerck

tra il 1533 e il 1536).

Cir-

ca la fine del 1549 Michelangelo utilizzava le sculture mettendole in opera ai piedi della doppia scalinata che conduce al Palazzo senatorio.

Tra il 1565 e il 1568 il Tigri fu ripristinato in Tevere: reintegrando la testa della lupa e aggiungendo le figure dei gemelli; un disegno anonimo a Braunschweig si dilunga sui dettagli dello scalone e documenta il restauro*.

1. Vaduz, Collezione Liechtenstein. Veduta fantastica di Roma di Hermannus Posthumus, 1536: particolare.

Antonio Giuliano

Ma perché l'identificazione con il Tigri di

una delle sculture durante la prima collocazione in Campidoglio? E perché uno dei disegni

di Marten van Heemskerck rappresenta, sotto il

gomito della figura, la testa e le zampe di un felino?

Le due figure dei fiumi sono lavorate solo nella parte anteriore, probabilmente durante la prima collocazione in Campidoglio furono rinzeppate affinché fossero più stabili. Per la figu-

ra del «Tigri. furono usati alcuni marmi che si

trovavano nella piazza: essa infatti almeno a giudicare da un disegno attribuito al Pisanello (databile attorno al 1431-1432) sembra fosse già priva della testa della lupa sotto il gomito destro.

Uno dei disegni dello Heemskerck permette di identificare quali marmi si trovavano nei pressi della scultura e quali erano stati utilizzati per assicurarne la statica (fig. 2). In primo piano il congio per il vino ricavato

3. Collezione privata. Leone.

da un rocchio di colonna

antica (forse attorno

al 1200 da Innocenzo mi; il congio per l'olio era

Antonio Giuliano

228

sul retro della figura: lo mostra un altro disegno dello Heemskerck). Ancora più vicino alla figura una o due are iscritte: probabilmente la -rugitella de grano» e quella «de calce» ricavate rispettivamente dai cippi di Agrippina senior e di Nerone (quest'ultimo è oggi quasi completamente perduto). Dietro i finali di altre due mi sure (una è cava nella parte superiore): si tratta dei congi per vino e per olio fatti ricavare da spoglie antiche da Bonifacio vm, probabilmente per il giubileo del 1300*. Segue un felino: sotto il braccio destro del fiume. L’iconografia è ben definita: una testa grande, una criniera che scende sulle zampe anteriori puntate all'esterno, a filo del muso. Scomparsa dal Campidoglio, sostituita da un più esatto restauro (lupa e gemelli) la figura è ricomparsa di recente. Si tratta di una scultura che serviva per le necessità del mercato e, probabilmente, per le donazioni, che avevano luogo in piazza del Campidoglio durante tutto il medioevo. Ma non si tratta di una tigre, bensì di un leone (il simbolo della città di Roma); la criniera dellanimale, meno irsuta alla sommità del capo, più ricca sui lati, può aver fatto identificare nellanimale una tigre. Ricavata da un blocco di marmo antico, presenta in alto una cavità che permetteva, attraverso un foro nelle fauci, di far scendere una certa quantità di cereali (all'interno non presenta il dilavamento caratteristico dell'acqua: non può essere stata usata come fontana) raccolti dagli acquirenti o dai beneficiari dei congiaria (così come è rappresentato, ad esempio, nella scena di liberalitas., in uno dei rilievi costantiniani dell’arco di Costantino: dove un romano raccoglie nella falda del mantello 12 monete) (figg. 3-5. La figura doveva, originariamente, essere po-

sta in un sito elevato; l'incavo sul lato destro poteva ricevere una caditoia di legno che chiudeva il bacino nel quale si conservavano i cereali che venivano fatti uscire dalla bocca dell’animale. Il blocco è alto 67 cm, poteva essere inserito proprio sotto il braccio della figura del fiume, in corrispondenza della cavità che conteneva i resti della lupa: in tal modo si restituiva una identità all'animale troppo malridotto, si puntellava la figura del fiume. La scultura del leone non è antica, anche se riprende spunti antichi, in particolare da sarcofagi e da sostegni per sarcofagi.

Le figure dei leoni furono uno spunto costante per i marmorari che lavoravano a Roma. La potenza dell'animale, l'ideologia che esso lascia trasparire, il confronto con i leoni sui lati del seggio della figura di Carlo d'Angiò, permettono di suggerire che questo leone fu scolpito sotto Bonifacio vm, probabilmente per il giubileo del 1300, quando in Roma lavorava, assieme alla sua scuola, Arnolfo. Esso, identificato erroneamente come una tigre, doveva portare alla denominazione di fiume Tigri per la scultura che sosteneva e, con la quale, originariamente, nulla aveva a che fare. Nore * Edito in Xenia, 11, 1986, pp. 85-8. * A. Micitaeus, Storia della collezione capitolina di antichità fino all'inaugurazione del Museo (1734), in MDAIR), v1 (1891), p. 3 ssi e p. 25 s; Monte Cavallo, in MDAICR), xm (1898), p. 248 55. 6 p. 254 ss. Le figure compaiono in una veduta fantastica di Roma del 1536 del Posthumus (M. Gorni, in Tieme-BecxeR, 27, 1933, p. 300) ora Liechtenstein, sul quale si veda, ora: R. Ours Runınsrein, Tempus edax rerum» a neuly discovered Painting by Hermannus Postbumus, in The Burlington Magazine, soi (1985), p. 425 ss. (N. Dacos, Hermannus Postbumus. Rome, Mantua, Landsbut, ibid, p. 433 ss) (fig. 1). Sulla denominazione delle figure: R. Vauenrim,G. Zuccnrn, Codice topografico della cità di Roma, m, Roma 1946, p. 61 (cr. iv, Roma 1953, passim). Sul trasporto in Campidoglio: C. D'ONOFRIO, Renonatto Romae, Roma 1973, p. 128. Sul disegno attribuito al Pisanello: GF. Hit, Drawings from tbe Antique attribuited 10 Pisanello in. BSR, τὶ (1905),p. 297 ss, 300, tav. 100,1. Sulla scultura: Heusic‘, 1162 (E. Simon), ora è fondamentale: N. Ἠϊμμειμανν, Satur. am Dom von Florenz, in Viuarium-Festschrift Tb. Klauser Jabrbu(chf, Antike und Christentum, Erg. Band τι, 1969), p. 170 ss. ? Die römischen Sizzenbücher von Marten van Heemskerck.. her. von Ce. Horse und H. Ecctr, , Berlin 1913, p. 24, fol. 45 (efr fol 60. ? H. Eccen, Römische Veduter?, n, Wien 1931, p. 10, tav. 3 (er. p. 9, av. 1). ^ A. Giuuavo, in Xenia, 4 (1982), p. 15 ss, în questa sede pp. 227.238. Sul cippo di Agrippina: D. Musmu, Il Museo Mussolini, Roma 1939,p. 21, n. 10, tav. xvm, 61.62 (cfr. CIL vi, 886-887e xxm s, 4748), su quello di Nerone (cfr. un fr. nel Museo Nuovo: inv. n. 268 wt; alt 0545, largh, 0,20; fot. B 1153): Inscriptionum. antiquarum quae tam Romae quam in aliis quibusdam, Italiae urbibus videntur, cum suis signis propriis ac veris lineamentis exacta descriptio, per Jo. Jac. Boissartum Burgund. Romae, anno eri: Stoccolma, Biblioteca Reale. CIL v, Lv, ux * L'Arcadia. Casa di vendita, Roma: 18 Maggio 1984, n. 365. * identificazione condiziona l'iconografia della figura di un. fiume in un affresco delle Logge vaticane di V. Tamagni, Consarazione di Salomone, xi, 1: N. Dacos, Le Loggedi Raffaello Roma 1977, p. 199 s, tav. xIvI, e si continua anche in: Dialoghi di Don Antonio Agostini ..intorno alle medaglie, inscritioni οἱ alire antichità . in Roma, (15921,p. 106 s, fig. a p. 107.

ANTONIO GIULIANO

Roma 1300

Le vicende dell'obelisco di villa Celimontana (Mattei) (figg. 2-3) meritano una trattazione più approfondita?. Eretto sulla piazza del Campidoglio, sul fianco destro della scalinata che recava al convento dell'Aracoeli, è ricordato dall'inizio del xv secolo. Nella sfera di bronzo dorato che sormontava la guglia si favoleggiava fossero le ceneri di Ottaviano?

È riprodotto per la prima volta dal Cronaca (fig. 4) attorno al 1480-1498: «Agulia de sancta

maria araceli reintagliata da ogni banda»; l'arti-

sta lo riconosce gemello di quello oggi in piazza della Rotonda, che gli serve per completarlo nella parte inferiore: «da questo sengnio in giu e di sammacuto». Il monumento attrasse più volte l’attenzione di M. van Heemskerck (fig

1. Berlin, Kupferstichkabinett. Disegno di Marten van Heemskerck.

Antonio Giuliano

1), che lo riprodusse, attorno al 1535, ben nove volte; «teneijt gesprenkelt: scrive l’artista in uno dei disegni sul dado che sostiene la guglia ad indicare che una iscrizione, che poteva essere incisa in quel punto, era scomparsa: «annientata dalla corrosione». Il monumento era formato da una fondazione che, col tempo, era ormai allo scoperto. Sopra la fondazione una cornice (0 una doppia cornice) di «marmo», sulla quale posava un blocco di «granito rosso» sormontato da quattro leoni di marmo»: come documenta il Cronaca. I leoni sostenevano la guglia, composta da una parte inferiore liscia sulla quale si innestava l'obelisco, o meglio il finale di un obelisco (alto appena m 2,68) ornato di geroglifici. La parte inferiore liscia, anch'essa di granito rosso, era stata ricavata da una spoglia antica In età imperiale l'obelisco, assieme ad uno gemello, era a poca distanza dal Campidoglio, nell'lseo. Si era spezzato e sembra che un frammento della parte inferiore si conservi in quello composito, Albani, oggi ad Urbino (un altro frammento sarebbe stato veduto a piazza del Popolo nel xvır secolo). Originariamente i due obelischi erano ad Heliopolis, eretti sotto Ramessesn. Il monumento forse perché pericolante fu demolito durante la sistemazione della piazza del Campidoglio voluta da Paolo m e fu lasciato in terra forse per essere riutilizzato per la de-

corazione della piazza.

la guglia fu disegnata, tra gli altri,

da G.B.

Naldini (fig. 5): «In campidoglio accanto alla chiesa

d'ara

celi vicino alle due

statue

di co-

stantino che sono in sul prato di sopra et e di mischio»”., L'11 settembre

1582 il monumento fu donato

a Ciriaco Mattei che lo fece riedificare ad ornamento della sua villa. Nel 1817 fu fatto trasportare dal nuovo proprietario, Emmanuel Godoy, nel sito ove attualmente si trova e fornito di un nuovo basamentof. L'obelisco era certamente di proprietà

munale,

2-3. Roma, Villa Celimontana. Obelisco.

come

dimostra

l'essere stato

co-

donato

dal consiglio segreto capitolino al Mattei; & probabile che Paolo πὶ e i suoi successori non lo abbiano riutilizzato per non riaccendere, con una sistemazione nella piazza, l'orgoglio dei romani.

231

4. Oxford, Christ Church. Disegno del Cronaca.

Antonio Giuliano

5. Vaduz, Stiftung Ratjen. Disegno di G.B. Naldini.

Quando il monumento fu demolito o cadde per vetustà in seguito ad un avvenimento che non conosciamo, due leoni che sostenevano il fusto furono probabilmente travolti nel crollo. Altri due rimasero intatti. Ciriaco Mattei portò nella sua villa la guglia (0 meglio i due frammenti che la componevano) e la riutilizzò. Si impossessò anche dei leoni ancora intatti (fig. 6-11) che usò per sostenere un grande sarcofago con le muse divenuto sua proprietà (monumento già da tempo conosciuto, disegnato da Francesco di Giorgio Martini quando

era a San Paolo).

Sui due leoni il sarcofago rimase sino al

1923: divenuta la villa di proprietà comunale, fu trasferito nel Museo delle Terme (e i due leoni sostennero da allora un secondo sarcofa80, di minor pregio). Sul Campidoglio rimasero dunque due leoni probabilmente frammentari e le cornici che ornavano il basamento (la fondazione fu demolita). I due leoni nella villa Mattei appartengono certamente al monumento: lo dimostra il con-

fronto con alcuni disegni di M. van Heemskerck, il fatto che essi si trovino nella villa sin dal momento della prima sistemazione di essa, il fatto che essi sono certamente medioevali (così come ebbe a notare F. von Duhn che, per primo, li prese in esame. Sull'obelisco capitolino si è scritto molto, nel tentativo di stabilire quando poté essere messo in opera un monumento così imponente. Le

cronologie sinora proposte oscillano tra il 1150 e il 1350. Le ipotesi più meditate sono quelle del Malmstrom, che vuole l'edificazione attorno al 1200 per ornare la fronte della chiesa benedettina di 8, Maria in Capitolio rivolta verso la piazza del mercato; del Noehles che pensa ad un monumento in ricordo delle sconfitte inflitte agli abitanti di Tivoli da Brancaleone degli Andalò (1252-1258) adoperando il finale di un obelisco proveniente dalla Villa Adriana (ipotesi contraddetta dalla provenienza della guglia dall'Iseo); del d'Onofrio che pens ad una edificazione sotto Cola di Rienzo ad esaltazione della potenza del se-

Roma 1300

nato romano (ipotesi contraddetta dalla non felice attività edilizia in Roma alla metà del xiv secolo)? Il problema non supererebbe l'interesse antiquario se non si potesse giungere ad una ipotesi più articolata relativa alla edificazione del monumento nel Medioevo. 1 leoni di villa Mattei non si rifanno alla tipologia più comune ai leoni medioevali scolpiti nella città, tipologia che in parte si rifaceva a quella dei leoni egiziani, o a quella più scapigliata, suggerita dalle figure di qualche sarcofa-

go. La coppia (probabilmente gli animali rap-

presentati sono maschio e femmina) ha una naturalezza che non esclude una osservazione dal vero: quella degli animali che venivano custoditi come simbolo del potere penale e civile. A Roma il leone, «custos iustitiae», era simbolo del senato!0,

Chi esamini con attenzione i disegni di M. van Heemskerck potrà inoltre notare che ai lati del basamento dell'obelisco compaiono alcuni piccoli cippi cilindrici o parallelepipedi: di uno di essi lo Heemskerck dà in grande una rappresentazione fedele. Si tratta del con-

gio per il vino che assieme a quello gemello per l'olio (trasformato più tardi per scuorgo) si trova nel Palazzo dei Conservatori (figg. 1415).

Ricavati da

rocchi di colonne

antiche,

le

misure, per i caratteri paleografici delle iscrizioni, possono essere datate attorno al 1200:

testimoniano la liberalità del senato romano in favore dei pellegrini che visitavano Roma forse durante il pontificato di Innocenzo ni. Per quanto concerne i cippi a sezione quadrata

possono essere identificati nei congi per vino € per olio, ricavati probabilmente anch'essi da spoglie antiche, che recano lo stemma di Bonifacio vin, del pari nel Palazzo dei Conservatori (figg. 16-17)"

Ai lati del basamento dell'obelisco erano, dunque, quattro misure per congi, due per il vino e due per l'olio, quasi eguali in altezza, ricavate da marmi antichi, a distanza di circa 100 anni, in diretto rapporto con la piazza del mercato. Si può pensare che Bonifacio vm per soppe-

rire alle necessità dei romei che si recavano in Roma per il giubileo del 1300 abbia raddoppiato le misure per la distribuzione di -congiaria(rifacendosi ad una consuetudine voluta da In-

6:

Roma, Villa Celimontana. Leoni.

Celimontana. Leoni.

Roma 1300

235

nocenzo mi e che abbia incaricato di quella operazione il senato romano.

I monumenti antichi, generalmente, tanto piü

se di mole e di peso rilevanti, non viaggiano con facilità. Rimangono Ii dove furono eretti o nelle immediate vicinanze. Uno di essi, oggi nel cortile del Palazzo dei Conservatori, potrebbe definire la cronologia del monumento che stiamo esaminando. Si tratta di una cornice (fig. 18), ricavata anch'essa da una spoglia antica, larga circa m 2,72, che reca una lunga iscrizione: il testo afferma che Riccardo Annibaldi e Gentile Orsini per mandato di Bonifacio vm «almae urbis senatores illustres hoc opus marmoreum addiderunt anno Domini mccc quo Romae fuit indulgentia omnium peccatorum-. Il nome di Bonifacio vın è scalpellato per «damnatio memoriae- così come lo stemma del pontefice sui congi che gli appartengono". È tutt'altro da escludersi che l'opus marmoreum- citato nella iscrizione altro non sia che l'obelisco che sovrastava la piazza e che presentava sui lati i congi di Innocenzo iit e di Bonifa-

cio vu. Si potrebbe addirittura pensare che la cornice appartenesse al basamento dell'obelisco € che fosse ben visibile dalla scalinata. 1l nome e lo stemma di Bonifacio vm furono

scalpellati, il tempo si accani sul monumento: il

basamento rimase scoperto sino alla fondazione, i congi si piegarono. Da ultimo l'obelisco crollò o fu fatto crollare e Ciriaco Mattei non utilizzò i leoni danneggiati dalla caduta della guglia, i congi che recavano le iscrizioni e gli stemmi, la cornice con l'iscrizione. Congi e iscrizione finirono nel Palazzo dei Conservatori (uno dei leoni, simile a quelli di villa Mattei per dimensione, iconografia, stile, è forse nei Musei

Vaticani, cfr. figg. 12-13) Se, come è almeno probabile, l'obelisco fu eretto come «opus marmoreume da Bonifacio vur per il giubileo del 1300, la figura del pontefice diviene, quasi, quella di un precursore di Sisto v. La consuetudine con l'antichità classica del pontefice è stata riconosciuta: quando egli ad esempio il 13 giugno 1299 distrugge Palestrina, in odio ai Colonna, fa spargere il sale sul suolo della città: «ad veteris instar Carthaginis Africanae» ar restaurare e mettere in opera un obelisco antico rappresentava un impegno non comune che solo il giubileo poteva giustificare. In tal

12-13. Roma, Musei Vaticani. Leone frammentario.

236

modo la piazza del Campidoglio diveniva un punto di riferimento obbligato; l'obelisco, nel sito elevato del colle, era visibile da gran parte della città, quasi fratello minore dell'unico che dall'antichità era rimasto in piedi: quello sul fianco sinistro della basilica di San Pietro. Così come l'obelisco di San Pietro (legato a più anti che leggende diffuse nel Medioevo) diveniva la custodia delle ceneri di Cesare, quello sul Campidoglio diveniva la custodia delle ceneri Augusto (vicino al sito legato alla leggenda della Aracoeli) Attraverso i «congiaria- Bonifacio vii si assimilava, nell'occasione del giubileo, agli antichi imperatori, nei quali trovava giustificazione del proprio potere temporale? Un programma cosi ambizioso deve essere stato affidato, per la esecuzione, ad una personalità di primissimo piano, per capacità tecniche e sensibilità architettonica.

14-15. Roma, Palazzo dei Conservatori. Congio cilindrico.

Antonio Giuliano Lizzare dall'Iseo la guglia di un obelisco an-

tico ed il suo basamento, provvedere al restau-

ro della parte inferiore usando una spoglia di

granito lucidata a specchio, provvedere a far scolpire due coppie di leoni, ornare il basa mento

con

cornici

iscritte non

era

lavoro

di

tutti i giorni. La alternanza dei colori, bianco e rosso (i colori dei Caetani), esaltava la gloria di Bonifacio vm, le sculture probabilmente policrome erano poste a difesa della tanta luce che si rispecchiava sul granito e sulla sfera dorata, l'orgoglio dell'iscrizione diceva delle difficoltà del lavoro e dell'occasione di esso, i congi davano la misura della benevolenza del pontefice. Il monumento,

quasi immenso cero pasqua

le, risplendeva sullo sfondo del Colosseo e del la Basilica di Massenzio, a riferimento per tutta la cittadinanza. E i congi sul fianco della scali nata scandivano il passo dei pellegrini: più vici

Roma 1300

16-17. Roma, Palazzo dei Conservatori. Congio di Bonifacio vur,

ni all'obelisco quelli cilindrici, più lontani gli altri, a dimostrare la munificenza del Caetani. Programma di ampio respiro realizzato per i ritmi ascensionali: lo spunto classico si articola con le esigenze del gotico, ne suggerisce la stessa struttura formale Probabilmente architetto del monumento fu lo stesso Arnolfo. Egli aveva lunga consuetudine con l'Aracoeli per la quale aveva realizzato,

in stile classico, il «tribunal- per Carlo d'Angiò

(forse ispirandosi all'abside della Basilica di Costantino dove il colosso dell'imperatore — che già aveva ispirato l'architetto della porta di Capua per Federico m - doveva essere ancora visibile) ed i portali. E in quello centrale, mescolando naturalismo e stilizzazione, aveva rappre-

sentato enormi mani che, quasi mensole, sostenevano la ascesa delle cuspidi gotiche!‘ Arnolfo

non

era certamente

nuovo

ad usare

pietre di spoglie antiche, variamente colorate,

sin dalle sue prime opere: si pensi da ultimi al ciborio di S. Cecilia del 1293 (dove la figura di

San Tiburzio riprende l'iconografia della statua equestre di Marco Aurelio) o alla stessa tomba di Bonifacio vm in San Pietro (dove l'iconografia del pontefice e della Vergine richiamano quella del più antico altare dell’Aracoeli)””.

Non contraddice il gusto per i ritmi ascensio-

nali dell’architetto l'uso di un obelisco:

e Arnolfo

saprà sfruttare questa nuova suggestione dell'antico a Firenze, nel realizzare, ad esempio, i ritmi ascensionali delle finestre di Santa Croce'®,

238

18. Roma, cortile del Palazzo dei Conservatori. Iscrizione di R. Annibaldi e G. Orsini.

Antonio Giuliano

Roma 1300 Norte

* Edito in Xenia, 4, 1982, pp. 1522. * Sul monumento si veda, da ultima: A. Router, The Egprian and Rptianizing Monuments f Imperial Rome, Leiden 1972, p. Bun. ἜΑ, Michaels, Le antichità della cità di Roma descritteda Nicolao uff in MDAIC,m (188), p. 254 ss. > Sul disegno del Cronaca: ROULLET, ep ct, p. 79, n. 85, tav. ixi, ig, 95,1. Byaw Saw, Drawings by Old Masters at Christ Church, , Oxford 1976, p. 4, ει 41. ^ Die römischen Stiezenbicher von Marten van Heemskerck dm Königlichen Kupfersichkabinet zu Berlin, her. von Cit. HotSEN und E. Booen, Berlin ra, 1913-1916. 6, 11, 61, p. 5,7, 33.11.12, 16, 50v, 56, 72, 92, p. 10,13, 31,34, 4142,50. Lisci zione sul basamento s vede in f. 72 (1): la intepretazione è dovuta alla corsia di Mons. J. Roysschaer * Sul disegno di G.B. Naldini a Vaduz, Stiftung Raten: J. Bvast Suse, Nalienische Zeichnungen des 16-18. Jabrbunderts München 1976, p. 196, n. di, fig. 3; vedute dellobelisco: ME. Micia, Giovanni Colonna da Tivoli: 1554, in Xenia: Quaderni, 2, Roma 1982, p. 88 το, 6 * Sulla sistemazione dellobeliso a Villa Mate s veda, in particolare: E. Ivensen, Oboliss in Exile, 1, The Obeliks of Rome, Copenhagen 1968, p. 106 ss 7 Sulla sistemazione del sarcofago sui due leoni CR. VenumGC. Avapcz, Vetera Monumenta Mattbaeorum, tt, Rome 1778, Ῥ 26 5s, tav. 301; sul sarcofago: Die antiken Sarkopbagrelos v. M. Weoen, Die Musensankopbage, Bein 1966, p. 50, n. 128 (a av, B4 il sarcofago ὃ Τοιοριαίαιο nella Vila Mattei) ©. MAT. von Dun, Antike Biläwerke im Rom, 1, Leipzig 1881, p. 407, n. 3268, il riconoscimento della appartenenza dei icon allobelisco è merito del Noehls, cit a nota 9 I Ieoni misurano, quello a sinistra (guardando); alt. m 058, largh. m 039, prof. m 0,41 Gino allincavo dell'obelisco); quello a destra: at. m 056, gh. m 0,42, prof. m 041 I RM. Maussrron, The Tuelfl-Century Church of S Maria in Gupitoli and tbe Capitoline Obelisk, in Rom. Jabrb. Kunstgeschi-

239

chte, n (1970), p. 1 ss; K. Normes, Die Kunst der Cosmaten und die Idee der Renooatio Romae, in Fossebrjt Werner Hager, Recklinghausen 1966, p. 17 ss; C. p'Ooruo, Gli Obelischi di Roma, Roma 1967, p. 204 ss. R. Kruruenuen, Rome: Profileof a City, 312-1308, Princeton N). 1980, p. 198, inclina per una cronologia atoro al 1150 "Sui Jeoni medicvali in Roma rimangono fondamentali le osservazioni di 1. Deta, The Dinastic Porphyry Tombs of tbe Normani Periodin Sicily, Dumbanon Oaks Studies, v), Cambridge Mass. 1959, p. 102 s; si veda anche P.C. Ciaussen, Scultura τὸς mana al tempo di Federico 1 in Federico 1 l'Arte del Duecento Italiano, t, Galatina 1980, p. 325 s; sul significato del leone, simbolo araldico di Roma medievale, da ultimo: C. Prenwceu, If Icone ritrova, in Boll. Musei Comunali di Roma, xvm (1971) p. 15 ss (adde: Ancora sul leone ritrova, ibid, xax (19721, p. 37). "Sul congi: V. FonceLLA, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo xt fino at giorni nostri, 1, Roma 1869, p. 27 no. 7-10; a cronologia delle iscrizioni sui congi cilindrici è suggerita dalla cortesia di A. Perucci (uno di essi - forse quello: olei — è disegnato da Marten van Heemskerck all'ingresso del Palazzo dei Conservatori: HÜLSEN-Eocen, ci, t f. 45, p. 24), 1 Sulla iscrizione di R. Annibaldi e G. Orsini Foncetta, op. dit, p.26, n. 5; C. Purrmantu, I palazzi capitolini nel Medioevo, n Capitolium, xxxix 1969), 1 p. 191 ss, tav. 12. "1a cornice, di marmo a grana grossa, è larga m 272, ata m 0,22, spessa m 0,12 in basso e m 0,29 in alto. I congi sono alti m. 1,18 quell ati da rocchi di colonne antiche, m 1,16 (ole) e m 1,18 Grin) quelli a sezione quadrata. "La scultura, inv. 5284, è alt, nella parte rimasta, m 0,32. Foτο Musei Vaticani xooqt 68-1, 2,5. * Sul giubileo del 1300: A. Fucon, II Giubileo di Bonifacio vin, in Bull It. tor, It Medioevo, 1950, n. 62, p. 1 ss. = Incontri nel Medioevo, Bologna 1979, , iv,p. 73 ? P. Ciuuna, L'opera di Arnolfo all'Aracoeli, in BA, χάνει (1962) p. 180 ss. 7 M. Rowan, Arnolfodi Cambio, Firenze 1980",p. 84 ss. fig. 77. "Romania, p. cit, p. 191 ss.