Storia della filosofia occidentale. Dal Rinascimento all'Illuminismo [Vol. 2] [2, First ed.]


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Storia della filosofia occidentale. Dal Rinascimento all'Illuminismo [Vol. 2] [2, First ed.]

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Eo110REBuLGARINI F1RENZE

Copyright© 1994

Prima edizione, marzo 1994 Ristampe 2

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5

6

1999

1998

1997

1996

Finito di stampare per i tipi della tipolitografia Stiav s.r.l. in Firenze

Redazione Progetto grafico Copertina Impaginazione

Ricerca iconografica

Maurizio Landi Carla Prati Paolo Lecci Paolo Lecci Federica Giovannini Paolo Lecci Alba Melani Arianna De Lapi Silvia Morpurgo

A questo volume ha contribuito: MASSIMO MUGNAI

autore del cap. 19 Leibniz

(1646-1716):

«praedicatum inest subiecto»

1995

1994

Salvatore Tassinari

STORIA DELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE Dal Rinascimento al! 'Illuminismo

PARTE PRIMA

L'ETÀ DEL RINASCIMENTO EDELLA RIFORMA SEZIONE PRIMA

LARINASCENZA INITALIA SEZIONE SECONDA

RINASCIMENTI ERIFORME RELIGIOSE INEUROPA . SEZIONE TERZA

DALLA MAGIA ALLA SCIENZA

SEZIONE PRIMA

LARINASCENZA INITALIA

1

L'umanesimo rinascimentale Capitolo

2

Il platonismo rinascimentale 3

L'aristotelismo rinascimentale

21

1

Capitolo

L'umanesimo rinascimentale

1

Le radici trecentesche: Petrarca e Cola di Rienzo el De sui ipsiuset multorumignorantia,composto nel 1367 in polemica con l'aristotelismo averroisticodominantetra i cultoridi medicina e di scienzedella natura dello Studio di Padova, ma più in generalecon l'aristotelismodella Scolastica,accusatidi essereportatori di un «naturalismo» dimentico dell'uomo, cosi scrive Francesco Petrarca: «... moltecosesa (lo scienziato)dellebelve,degliuccel-

Petra'.ca e la li e dei pesci, e ben conoscequanti crini il leone abbia P~le~ica e?~sul capo, e quante penne nella coda lo sparviero,e con ghanSlotehciquante spire il polipo avvolgail naufrago;comea ritro-

so si accoppinogli elefanti e quanti anni duri la loro gravidanza ...; come deforme sia il parto dell'orsa, raro quello della mula, unico ed infelicequello della vipera; come sian ciechele talpe, sorde le api, ed infine di tutti gli animali il coccodrillosolo muovala mandibolasuperiore.Codestecose, in gran parte, o son false, il che apparve quando se ne poté fare esperienza,o sconosciutea quellistessiche le affermano ... ma quand'anchefosserovere, a nulla servirebbero per la vita beata. Io infatti mi domandoa che gioviil conoscere la natura delle belve e degli uccelli e dei pesci e dei serpenti,ed ignoraree non curar di saperela natura dell'uomo, perché siamo nati, donde veniamo,dove andiamo».

Non era certo nuovo nella cultura cristiana il richiamo, implicito in questa pagina, a raccogliersi nell'esamedi sé, liberi dalla dissipatricecuriositàper le cose esteriori, né la contrapposizioneconseguente . . tra «scientia»e «sapientia».Agostino,cui Petrar5lmo,11 ca guarda come al maestro tra tutti il più caro, Ago maestro . , d . . . . gia a quasi un m111enmo aveva pronunciatoparole decisivein questa direzione,facendoriviverenel cristianesimol'antica suggestionesocratico-platonica, riapparsa nei grandi scritti dei neoplatonici.Petrarca non aveva da far altro che riprendere il suo insegnamento,in opposizioneall'aristotelismotrionfantenelle scuolecristiane.

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Eppure,una novità va profilandosiin questoagostinismopetrarchesco:il riconoscimentodelle«humanae litterae»come strumentoessenzialedella «salvezza» dell'uomo;la convinzioneche, accanto al Cristo, operi, nellamedesimadirezione,Cicerone.È vero che il vescovodi lppona - è lo stessoPetrarcaa ricor- A 1 . che Agost'mo «non arrossi , Cristo ccanto a dar1o quando scnve mai nel riconoscerela grandezzadi Cicerone»- Cicer~ne avevaaccoltonel saperecristianola culturaproffana delle arti liberali, ma nel De doctrinachristiana l'avevariconosciutalegittimanon per un suovalorein sé ma solo come mezzoper l'intendimentodellesacre scritture.Petrarca, al contrario, scorgein Cicerone,e più in generalenegli«studiahumanitatis»,uno stimolo che già apre gli occhi della mente alla luce della verità, avviandol'anima alla vera sapienza. Ed è per questa felicecongiunzionedi antichità e cristianesimoche le vie dell'interioritànon inducono Petrarca a proporre un ascetico 'contemptus R.1. • bens1 , a 1are " I IUio mund1., e l''1solamento monastico, dell'ascetismo delle lettere e della teologiale condizioniper un operoso intervento nella città degli uomini. In una lettera a LuigiMarsili,l'agostinianodel convento di S. Spiritosuscitatoredel primo cenacoloumanistico fiorentino,aveva scritto il poeta: «Pur di una cosa io non mi posso tenere che non ti avverta;ed è che tu non presti l'orecchioa coloroche, pretendendo la necessitàdi applicaretutta la mente agli studi teologici,vorrebberoal tutto distogliertida quei dellelettere, dei quali se fossero stati digiuni (per tacer di molti altri) Lattanzioe Agostino,né quegli avrebbetanto agevolmente combattutole superstizionidei pagani, né questi edificata l'eccelsamole della città di Dio».

Ed è, appunto, per incitare all'attivo operare tra gli uomini un giovanetentato dalla prospettiva claustraleche Petrarca, in una delle «epistole

Le«adunanze ... chesi chiamano cillà»

SEZIONE PRIMA. LA RINASCENZA IN ITALIA CAPITOLO 1

fte1,ii,Trape~Jitio refpa •Jelidii.fibi proPl4tJeeé/iterit:,11tippt:1 iUÌ uereripoteritt,ntnu,rtqliua11i •1ni,Ubn,xll ~ufaftfnrodì leéf:ìoe •ibuti;fitcile uniiAriflotel? t''Jplextt.rétnr;plittoni ue_ rof!ul:i,egligerét, aut etiigt:aui •

.·• IN

hM dina, avrebbescrittoun libellocontroLutero- Confu- dell'ala taborita dell'hussitismo,radicale e apocalitti_J tazionealtamentemotivatae rispostaallacarnesenza co-comunista,in vista dell'edificazionedi una «rinno spiritochevivemollementea Wittenberge chein modo vata Chiesaapostolica». Tornato in Germania, riprende la predicazione sbagliato,medianteil furto dellaSacraScrittura,ha macchiatomiseramentela compassionevole cristianità in varie città, finché ad Allstedt,una piccolacittà di -, accusandolodi avereaffogatonellemollezzee nella minatori nella Sassoniaelettorale,organizzanel 1523 «vita comoda» di Wittenberg, divenuto amico dei una lega, la «Legadegli eletti», che avrebbe do- u . l . , . n sogno principi e dei borghesi,l'ardente protesta degliinizi. v~to mstaurare ~ nuova soc1etasanta, comum: chiliastico Da Lutero lo separavaormai la convinzioneche stlcamenteorgamzzata,e audacementetenta d1 la Parola di Dio non potesseessereimprigionatanella ottenereil favoredei principidi Sassonia,rivolgendomorta oggettivitàdella scrittura: non la parola di un si loro con un Sermonesullo spiritodi rivolta.La quanto si vuole santo ed ispirato, può pre- lettura di Gioacchinoda Fiore, ma anchedellaRepubIa»e .I1 libro, La({Paro d d' . l . . d' . . di Moro,lo confortanoa «libro»ten ere 1 esaurire a nve1azione e 1 1mpors1 blicadi Platonee dell'Utopia quale esclusivamediazionetra Dio e gli uomini, persisterenel suo sognochiliastico. ma piuttosto è la «vera e vivente Parola» che Dio Costretto ancora una volta alla fuga, si reca a scrivedirettamentenei cuori degliuomini a costituire Basilea dove entra in contatto con i rappresentanti l'autentica illuminazioneinteriore dello Spirito.Non dell'eresiasvizzerae, infine,si dedicanella Germania di una religionebibliocraticasi ha bisognodai cristia- meridionalead organizzareil movimentocontadino, ni, ma del libero annuncio, non mai compiuto una cercandodi infondergliquello spirito apocalitti- 11 volta per tutte, della Parola che giungedirettamente co c_hea~rebbedovuto_farne lo stru~ento per la spti~i~::ento dallo Spirito Santo. reahzzaz10nedella«qumtamonarchia»nella stoA ZwickauMuntzer aveva conosciutoi radicali ria del mondo, ossia del regno di Cristo in terra. Prospiritualisti che diffondevanole idee hussite, aveva mossaa Muhlhausenla creazionedi un ordinamento letto i misticitedeschi,e avevapredicatotra i minato- comunisticodella città, egli invia un Proclamaai citri e i tessitori,contrapponendoalla Chiesadei signori tadinidi Allstedt,che doveva rimanere il suo testaquelladei poveri,tanto da esserepresto cacciatovia - mento spirituale,e infine concludela sua vita, come . d . come innumerevolivolte si sarebbe ripetuto in s'è già detto, nel sanguedella decapitazione,dopo che La Cl11esa 01 . . poveri futuro -, e costretto a trovare nfug10a Praga, . cinquemilacontadini erano rimasti uccisi nel campo dove avrebbe pubblicato un celebre Manifesto, di battaglia di Frankenhausen.

4

Calvino

(1509-1564)

e la riforma svizzera

ccanto a Lutero, per tanti aspetti da lui diversissimo, si colloca GiovanniCalvino,l'altro granderiformatorereligiosodel secolo,che, insieme al monaco tedesco, doveva cambiare a fondo il volto d'Europa, dando vita ad una nuova versione del cristianesimo e ad una nuova Chiesa,a Ginevra, destinata a diffondersie moltiplicarsi in numerosipaesi europei,dalla Francia - ove i calvinistisi chiamaronougonotti- all'Olandae all'Inghilterra - ove si dissero puritani -, ma anche in Boemia,in Ungheriae in Transilvania,e poi ancora negli insediamentiolandesi in Sudafrica,fino a traversarel'Atlanticoversole lontane terre dell'America del nord. Dal riformatoredi Wittenbergforti erano le differenze,già nel caratteree nella formazioneculturale: quegli,di temperamentosanguignoe dalle veementi

passioni, ricco di vitalità prorompente,che si esprimeva così negli slancidella fede come anche nei piaceri del bere e dellatavola, era nato in ambientecontadino, e veniva da una formazionemonasticaimbevuta di suggestioniculturalie psicologichedi stampo medievale;il francese- Calvino era nato nel 1509 a Noyon, in Piccardia -, viceversa,era uomo di 0 forte dominio razionaledegli impulsi, di intelli- P~~onaggi genzausa al rigore della logica,cresciutoin una diversi famigliaborghese,educatoad un austero stile di vita, formatosisì neglistudi di filosofiascolasticae di teologiaa Parigi, al collegioMontaigu,celebreper la sua rigidaortodossiascolastica,ma anchepoi in quelli giuridici, seguiti alle università di Orléans e di Bourges,e negli studi umanistici,di nuovo a Parigi, dove avrebbestudiato il grecoe l'ebraico,e seguitoi corsi dell'umanistaGuillaumeBudé.

79 ►

PARTE PRIMA L'ETÀ DEL RINASCIMENTO E DELLA RIFORMA

In queglianni, tra il 1523e il 1532, si diffondono ampiamenteanche in Francia le idee luterane, in ambienti, come quelloparigino,già sensibilizzatialle esigenzedi riforma della Chiesa dall'umanesimodi Lefèvresd'Etaplese deglierasmiani.GradualmenteCald I vino si lascia coinvolgereda questo clima fino a li d. 1 isacco a scopnrs1 • • ne1153233 • • • a11 • cattolicesimo - ormai• acquisito a re1· 1g10ne riformata.LasciataParigi nel 1533per sfuggire alle incipienti persecuzionicontro gli eretici, approda sul finire dell'anno successivoa Basilea,dove entra in contatto con un'esperienzadi riforma religiosa diversa da quellatedesca,di questa ben più radicale, che avrebbe lasciato un segno profondo nel suo spirito. Si tratta dellariformairradiatasida Zurigoin altri cantoni svizzeri,come quelli di Berna e, appunto, di Basilea, ad opera di HuldrychZwingli(1484-1531), parroco della cattedrale di Zurigo. Questi, formatoz . r si sotto l'influenzadi Erasmoe di umanistiitaliawmgI ni come Pico della Mirandola, aveva maturato, indipendentementeda Lutero ma circa nei medesimi anni e con esiti fortementeanaloghi,il proprio distacco dalla Chiesacattolica,ed era riuscito a coinvolgere le autorità cittadine,facendodi Zurigoil teatro di una riforma istituzionaleinsiemereligiosae politica. D'accordo con Lutero circa la dottrina della salvezza, il primato della Sacra Scrittura, il rifiuto del papato e di ognigerarchiaecclesiastica,Zwingliaveva accentuatoil tema predestinazionistico,aveva incluso l tra i sacramenti da sopprimere anche l'eucareD,accorc o e no . conLutero stia, negando la presenza reale del corpo e del sanguedel Cristo nelle specieeucaristiche,e, infine, avevaridotto il culto alla semplicelettura e commento della Bibbia. Sul terreno delle idee politiche, netto era il rifiuto della teoria luterana del potere assoluto dei principi, cui veniva contrapposta una concezionecomunitaria della vita civile e politica e religiosa,fondata sul principio del diritto del popolo all'autogoverno,coniugatoin modo singolarecon una idea teocratica dello stato. Nel tranquillo rifugio di Basilea Calvino ebbe modo di scrivere il libro che sarebbe rimasto il suo . principale,nel quale, in modo sistematico,venieaIvino a 1 d • 1 .h 1· . Basileavano esposte e sue ottnne teo og1c e e re 1g10se: la lnstitutio christianaereligionis,dato alle stampe nel 1536, con una prefazione audacemente dedicataa re FrancescoI, e ripubblicato,questa volta in francese,nel 1541. Il quadro generale della dottrina di Calvino riprende le grandi tematiche della teologiadi Lutero la «sola gratia sufficit»,la giustificazioneper la fede, l'esclusivaautorità rivelativae normativa della Scrittura -, ma imprime loro un accento diverso,un'ispirazione originaleche doveva fare del calvinismouna religione e una Chiesa profondamente diverse da quelleluterane.

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riY~+-·~inscindibile nnesso s~~g11~re, pereh'e q_uesta_ nsu di prn grnsta, quella m cm le congrnnz10mastrali magia... siano le più favorevoli,e pertanto non potrebbe mai prescinderedagliinsegnamentiastrologici,che gli consentonouna valutazionecomplessivadegli equilibri del mondo. A sua volta l'astrologia«giudiziaria»- intesa allo studio delleinfluenze,ossia dei «giudizi»che le stelle pronuncianosulle vicende terrestri ed umane -, non si esauriscein una semplicepresa d'atto di tali «giudizi», ma esercita,attraversopreghiere,riti, uso di talismani e cosi via, un'azione magica sulle stelle, volta anche a modificarnei decreti. Gli astri sono in. fatti esseri viventi, che partecipano di· tutte le ...aStrologia... passionidegliuomini, provvisti di volontà, e dunque suscettibilidi venir «persuasi»,e comunqueelusi,dal-

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SEZIONE TERZA. DALLA MAGIA ALLA SCIENZA CAPITOLO 6

le arti dell'astrologo.È significativoche sul frontespizio dei manuali di astrologia cinquecenteschifosse frequente il motto: «il sapiente vincerà le stelle». Quanto all'alchimia,la «scienza»che, attraverso l'uso del forno, di alambicchi,bilance di precisione,e di ogni altra apparecchiaturautile alla manipolazione della materia, ricercava i modi per mutare i metalli vili in oro, e intendeva fornire la «panacea» con cui guarirel'uomo da tutte le malattie, anch'essa era una delle tante espressionidei poteri magiciche l'uomo è . . in grado di esercitaresulla natura. Essa, al di là • • • che preludevano a11 ...alchumade11e sue spenmentaz10m a nascita della chimica, pretendeva di risalire, rifacendo a ritroso i processicosmogonici,all'originariacostituzioneunitaria della materia, prima che essa decadesse nella differenziazionedegli elementi,e insieme perseguivail disegno soteriologicodi restituire l'uomo alla condizione originaria di Adamo nell'Eden, immune dalla morte e dal male. HeinrichCorneliusAgri1>pa di Nettesheim(14861535),filosofo,astrologo,alchimistae medico,nativo di Colonia, autore di un De occultaphilosophia,distinguevatre specie di magia, corrispondentiai Agrippa e le trespeciedi tre mondi in cui, come insegna la Cabbala, si magia gerarchizzala realtà: la «magianaturale», che, in vista di azioni portentose, studia l'essenzaoccul-

Gli alchimistidi GiovanniStradano.

ta dei corpi che costituisconoil mondo fisico degli elementi;la «magiaceleste»,che è lo studio, in vista di dominarli,degliinflussiche gli astri, il mondo celeste, esercitano sugli uomini e il mondo elementare; infine, la «magia religiosao cerimoniale»,ovvero la «magianera», che si riferisceal mondo intelligibile,e consiste nell'azionevolta a neutralizzarele forze demoniache che agiscononell'universo. Secondouna vecchia tradizione storiografica,le scienzeocculte,che nel mondo occidentalerisalivano al periodo greco-romano,avrebbero avuto durante i secoli medievali una sopravvivenza culturale assai marginale,ridotta quasi alla «bassa magia» delle fattucchiere,mentre la stagionedellaloro rigogliosarinascita sarebbeda ricercarsinei secolidel rinascimento. Non è stato difficile,viceversa,dimostrarequanta cultura magico-astrologica fossecircolata,magaritemuta e combattuta,durante il medioevo:i materialicui i cultori di magia e astrologia del Cinquecento, da . . ... . Ilmedioevo e Agnppa a a·10rdano Bruno, s1. r11anno, sono costi. 1 ..d . . h ., . e scienze tmtl a scntt1 c e avevano avuto gia pnma una occulte larga circolazionein occidente,almeno a partire dal XIIsecolo,dal Tetrabiblosdi Tolomeo,testo fondamentale dell'astrologiain occidentedovuto al grande astronomoalessandrino,all'Introductoriumin astronomiam di Albumasar (traduzione latina di Abu Ma' shar), un astrologopersiano del IX secolo,fino ad un manuale di magia arabo come Picatrix,_che era stato tradotto in spagnolofin dal XIII secolo.E in quest'ultimo scritto,ben conosciutoda Ficino,da Pico,da Agrippa, che l'idea, circolantenei testi ermetici, dell'uomo microcosmoveniva adottata a giustificazionedi un sapere capacedi intervenireoperativamentesulle cose. Lungi dall'essere dimenticate o sottovalutate, magia ed astrologiaerano semmai state combattute, nei secoli della scolastica,dalla teologia delle scuole, che nella magia scorgevala tentazione diabolica di por mano alla violazione dell'ordine della creazione voluto da Dio, e nell'astrologiala negazionedel libero arbitrio e la messa in discussionedell'incorruttibilità ed immutabilità delle sfere celesti.Il magoe l'astrologo non potevano avere legittima cittadinanza in un mondo che la teologia e la filosofia dei grandi Magia, sistemiscolasticicongelavanoin una gerarchiadi astrologia e forme ed essenzeimmutabili, definite una volta teologia per tutte con la creazionedivina. Essi dovevano scolastica essere relegatifuori dal mondo intelligibiledelle essenze,e la loro opera limitata entro i confini degli elementi materiali, in quella dimensionedell'indeterminato e dell'informe dove dominano le potenze infernali. Eppure, nonostantetutto questo, grandi esponenti del pensiero medievaletrecentesco,quali Ruggero Bacone(v.voL.1, CAP.2s, PAR. 3.3) o Raimondo Lullo (v.voL.1, CAP. 2s, PAR. s), furono sensibilissimial fascino della magia, e lo stesso Dante ebbe ad accogliereil punto di vista astrologico.

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PARTE PRIMA L'ETÀ DEL RINASCIMENTO E DELLA RIFORMA

coerenteunità il discorsobruniano;Mentre, infatti, il o: CO rifiuto, così netto nello Spaccio,del mito dell'età dell'oro appare coerente con una concezionedella vita dell'uomoper sempreconsegnata,in un oriz- ~~~:aggio zonte aperto all'infinito,alle vicissitudinied alla coerente? fatica interminabiledell'azione,negliEroicifurori la ricerca umana si concludeinvece una volta per tutte nella conversionedell'uomo in Dio, in quella «morte di bacio»,figuratanel biblico Canticodei cantici, nella quale si consuma ogni residuo di umana natura. L'«eroicofurore» è, simile all'«eros»platonico, lo slancio dell'anima oltre l'orizzonte sensibile, l'«impeto razionale»verso la semplicitàdella divina essenza,dove tutto si raccogliein perfetta unità. In un mirabile mito si riassume questa che è l'ultima conclusionedell'etica del Nolano: Atteone, cacciatoresolitario- immaginedel filosofoche non si contenta, come la gran parte degli uomini, della Att • «de f'1eresalvatlc • he e meno 1'11 • -, do- Diana eonee caccia ustn» po aver percorso luoghi selvaggilontano dagli . uomini, sorprende Diana nella sua nudità, simbolo della divina Natura, la contemplae, rapito dalla sua splendentebellezza,da predatore si trasformain pre-

«gli dèi avevanodonato a l'uomo l'intellettoe le mani, e l'aveano fatto simile a loro, donandoglifacoltà sopra gli altri animali; la qual consistenon solo in poter operare secondo la natura ed ordinario, ma, ed oltre, fuor le leggidi quella;acciò,formandoo possendoformaraltre nature, altri corsi,altri ordini con l'ingegno,con quellalibertade,senzala quale non arebbedetta similitudine,venessead serbarsidio de la terra ... E per questoha determinatola providenza,che vegnaoccupato(l'uomo)ne l'azione per le mani, e contemplazioneper l'intelletto;de maniera che non contemplesenza azione,e non opre senza contemplazione».

A quest'eticaprometeicadello Spaccio,eredità e insiemeestremobilanciodi due secolidi umanesimo, succede,nel terzo dialogomorale,il celebreDeglieroici furori, il momento culminante dell'avventuradell'uomo. In essol'industriosaoperositàdi quest'ultimo nella vicenda mondana vien come a placarsi, e Dall'uomo anassagoreo al all'azione insonne dell'uomo impegnato a dare puro ordini sempre nuovi alla natura, subentra la sucontemplante ... prema contemplazionedellaverità, in cui sembra svanire del tutto lo sforzoprometeicodell'uomo. All'uomoanassagoreo,provvistodi mani e creatoredi tecniche,subentra il puro contemplante,figura caratteristica delle filosofiemetafisichedi tutti i tempi. Anche se molti studiosi della filosofiadi Bruno negano che esista un vero contrasto tra queste due prospettive, come se l'etica dell'azione e del lavoro non fosseche l'inizio di quellavita dell'uomodestina-

119

GIORDA~ NO BRVNO ;)\(_o/ano •. DE GL' HEROICJ FVRORI. Al molt6illilflre et emllm1k1,.•• tU!liuo,Sif/Pr Phillippu Sidned. •

PARHH,

•.••

Appreffo AntonioBa.ic1. /i·

1

Una grande distanza da Cartesio opo che l'esperienzami ebbeinsegnatoche tutto ciò che accadesolitamentenella vita comuneè vano e futile,e vedendoche tutte le coseper le quali temevo, o che temevo,non avevanoin sé niente di buono né di cattivo, se non in quanto il mio animo si facevada esse turbare, decisi finalmentedi cercare se si desse qualcosache fosseveramentebuono e capacedi comunicarsi,e dal qualesoltanto,rifiutatetutte le altre cose, l'animo potesse esseresoddisfatto;se si desse anzi qualche bene grazie al quale, una volta trovatolo ed acquisitolo,io potessigoderein eterno di una gioia continua e suprema».

della terra» e a prolungare la durata della vita, cui mostrava preferibilmentedi guardarel'autore del Discorsodel metodo.Essaconsistepiuttosto nel possesso di un bene eterno che solopuò dare una eterna letizia, e per ottenere il quale occorre il distacco dall'amore esclusivodelle cose che possono perire, il quale produce nell'animo umano tristezza allorchéqueste periscono,timore che abbiano a perire, invidia ed odio se altri le posseggano,e così ogni altra passione.

Con queste parole, semplici ma attraversate da una commozioneprofonda, esordisceSpinozanell'incompiuto Tractatusde intellectusemendatione,et de via qua optime in veram rerum cognitionemdirigitur, risalente agli anni della sua prima produzione, e che rappresenta nel suo pensiero il corrispettivo del Discorsodel metodo di Cartesio.Come il filosofo Una emenda/io nonmeramente francese,egli parla qui in prima persona della teoretica... propria esperienza,della spinta che lo ha «convertito» alla filosofia, ed espone poi le regole secondocui procedereall"emendazionedella mente', che quellaconversionerichiede.Soloche, a differenza di Cartesio, che volgevail suo metodo all'acquisizione dell'evidenzarazionalein vista di un sapere puramente teoretico, Spinoza si pone il problema etico ·ma, come vedremo, ispirato da una profonda istanza religiosa - di una verità che, essendo essa stessa il bene supremo, sappia dare senso e felicità alla sua vita, e non esaurisca la propria efficacia in una dimensionepuramente gnoseologica. È vero che anche Cartesio si aspettava dalla scienza, e dal dominio che attraverso di essa l'uomo realizza della natura, la felicitàumana, ma, co...in vistadi l . d S . , b d' unagioia me a mten e pmoza, questa e cosa en 1vereterna sa da quella, tipicamente umanistica e mondana, rivolta prima di tutto a «godere dei frutti

«Al contrario- scrivel'autore del De intellectusemendatione-, l'amoredi ciò che è eternoe infinitopascel'animo di pura gioia, del tutto priva di tristezza: il che è ben da desideraree da ricercarecon tutte le nostre forze».

Cartesio aveva mantenuto una netta distinzione tra sapereteoretico e scientificoe vita morale, perché aveva distinto l'intelletto dalla volontà, il conoscere dal volere,il filosofaredal vivere,la scienzadalla morale, mentre Spinozaè •proprio queste distinzioni eOIOCI . 'denzad'I che non tollera, convmto, come vedremo, che conoscere e conosceresignifichisempre e intrinsecamente,e volere non per una qualche aggiuntae sovrapposizione estrinseca,volereciò che si conosce,sicchéverità e bene coincidono,e non si può cercarel'una senzatrovare insieme l'altro. L'emendatio intellectusnon può non essere insieme anche emendatiocordis,e la filosofia, proprioin quanto saperee ricercadel sapere,ancheper ciò stesso esercizio e ricerca della virtù, come, da Platone agli stoici, avevano insegnatogli antichi. L'origine più lontana ed illuminante di questa diversitàdel filosofaredi Spinozada quellocarteEsserein sé siano è da cercarsinel modo, del tutto divergente, edesserein di collocareil centro ispiratoredei rispettivi siste- altroin mi. Il filosofofranceseavevasentito fortementeil Cartesioe in tema, di origineumanistico-rinascimentale,della Spinoza centralità dell'uomo, del suo autoriferirsi come

273

PARTE SECONDA IL SEICENTO

LI.I

o z~,un11polverone di esanguiconcetti,che addirittura vengonoent1ficati in essenzee sostanzeultrasensibili,e, quel che è peggio,ritengonoun mondo siffattopiù vero e reale di quello sensibile.È questa la responsabilitàgrave dei dotti. «Noi per primi - osserva polemicamenteBerkeleyabbiamo sollevatoun polveronee poi ci lagniamodi non riuscirea vedere».

Un caso esemplaredi questa aberrazioneeglicredeva di averlo già riscontrato - lo abbiamo visto nella pretesa dei matematici di spiegarel'esperienza

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SEZIONE PRIMA. L'ILLUMINISMO BRITANNICO CAPITOLO 21

percettiva ricorrendo agli schemi arbitrari dell'ottica geometrica;ma ora, più in generale,individua la radice di questo devianteastrattismonel misconoscimento della natura del linguaggio,e nel conseguentecattivo uso di esso. Locke,per esempio,è responsabiledi aver sostenutoche «le parole diventano generaliperché vengonousate come segnidi idee generali»,e non si è reso conto inveceche le parole diventanosì gene. rali, ma non perchévenganousate come segnidi lt unca ,vouso 'd . h . . delleparole 1 ee genera11 astratte, c e non esistono propno, bensì in quanto ognuna di esse viene riferita a parecchieidee particolari,ciascunadellequali è indifferentementesuggeritada essa alla mente. Le parole 'uomo', 'colore', 'suono', ad esempio,non rimandano ad un'idea astratta di uomo o coloreo suono.Mai noi potremmo percepire 'l"uomo, o 'il' colore, o 'il' suono, ma sempre percepiamo'questo' uomo così e così determinato,e 'questo' colore con 'questa' tonalità, e così 'questo' suono. Se a tutto questo si aggiungeche non sempreai nomi corrispondonodelleidee, si potrà capirequanto sia facileabusaredel linguaggio,fare un cattivo uso delle parole, che formano come un velo ingannevoleche ci impediscedi conoscerela realtà. Così, al termine dell'introduzioneal Trattato,Berkeley concludela sua critica delleidee astratte, che fa di lui un nominalista,ben altrimentirigorosoed estremo di Locke,fermo al suo nominalismoconcettualistico (V. CAP. 17,PAR. 6.4):

«Chi riconoscedi non avere se non idee particolari, non si confonderàinutilmentea scopriree a concepirel'idea astratta connessaad ogni nome, e chi sa che i nomi non stanno sempreper le idee, si risparmieràla fatica di cercare idee dove non ce n'è nessuna.Sarebbequindi desiderabile che si sforzasseper ottenereuna chiaravisionedelleidee che intende considerare,separando da esse tutto quel rivestimento e quell'ingombrodi parole che tanto contribuiscono ad oscurare il giudizioe a disperderel'attenzione. Invano spingiamolo sguardo verso il cielo e scrutiamo le viscere della terra, invano studiamogli scritti dei dotti e indaghiamo le tracce oscure dell'antichità;abbiamo solo bisognodi sollevareil velo delle parole per contemplarel'albero più elevatodella conoscenza,che ha frutti eccellentie a portata di mano».

Si badi a quel 'a portata di mano': vedremo che, a parere di Berkeley,sono molto più prossimi alla verità delle cose gli uomini semplici,i cui occhi non sono velati da vacui fantasmi,piuttosto che i filosofi e i dotti, ai quali, avvolticomesono nelleloro astruserie, non basterebbeallungareuna mano per coglieredi quei frutti eccellenti. Aver negatole idee astratte non significaperaltro escludereche si possaparlare di generalizzazionee di idee generali.Basta intendersi, e saper vedere che la portata generaledi un'idea non sta nel suo conteIdeegenerali? Basta nuto, sempreparticolare,bensì nellafunzioneche intendersisvolge.Spieghiamoci:se ci si trova, per esempio, a dover dimostrareche la sommadegliangoliin-

terni di un qualsiasi triangolo è eguale a 180 gradi, l'idea di triangoloche avremo in mente, pur non potendo non essere l'idea di un triangolo particolare rettangolo,o isoscele,o scaleno,ecc. -, assolveràad una funzioneevocatricedi ogni altra idea di triangolo, e, in questa sua capacitàdi rappresentare,o megliodi sostituiretutte le altre, avrà acquistato,senza cessare di essereun'idea particolare,il valore di un'idea generale. Chepoi l'idea particolarepossaassolverea questa funzione generale,Berkeleyl'argomentacosì:

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«Benchél'idea che ho presentedurante la dimostrazione sia, ad esempio,quelladi un triangolorettangoloisoscele i cui lati sono di una lunghezzadeterminata,posso tuttavia esserecerto che la dimostrazionesi estende a tutti gli altri triangolirettilinei,di qualsiasispecieo grandezza.E questo perché la dimostrazionenon riguarda né l'angolo retto, né l'uguaglianza,né la determinatagrandezzadei lati. È vero, il diagrammache ho presenteinclude tutti questi particolari, ma nellaprova dellaproposizionenon si fa ad essi il minimo riferimento.Non si dicechei tre angolisonougualia due retti perché uno di essi è un angoloretto, o perché i lati che lo comprendonosono della stessalunghezza.Questomostra a sufficienzachel'angoloretto avrebbepotuto essereobliquoe i lati diseguali,senza che la dimostrazioneperdesseil suo valore».

L'unica astrazioneeffettivamentepossibileè dunque questa, di considerare di un'idea soltanto A . . . d' . , h . l straz1one e a1cum aspetti 1 c10 c e ne percepiamo - ne ideeastraile nostro esempio,soltantola triangolaritàdel triangolo -, il che è cosa del tutto diversa dall'ammettere un'idea generaleastratta. La negazionedelleidee astratte consentea Berkeley di intervenire ancora sull'empirismolockiano in modo da spianarsila strada che conduceall'«esse est percipi» ed all'immaterialismo. Intanto, quellanegazionefa caderela distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie,sulla quale Locke aveva fondato l'ammissione dell'esistenzadi sostanzemateriali.Berkeleyargomentacosì: come sarebbe mai possibile,senza compiere un inverosimile atto astrattivo,separarenell'ideadi una cosa,ad esempio la percezionedel colore, ritenuto da Locke una qualità secondariao soggettiva,dalla percezione Qualità dell'estensione,che sarebbe invece una qualità primarie e primaria o oggettiva?si può forse percepire un qualità colore che non sia esteso, o un'estensione non secondarie colorata? Una siffatta distinzione appartiene a quell'apparatoconcettualeastratto,caratteristicodella metodologiascientificadella fisica moderna, che si è già messoin discussionetrattando del problemadella visione.Essa comportala duplicazionedella realtà in due piani, l'uno soggettivocostituitodi qualità dipendenti dalla nostra sensibilità,e cometali non appartenenti alla natura dei corpipresuppostacomerealeal di fuori dellamente,l'altro oggettivodelleproprietàmeccanico-matematiche- le qualità che Locke chiama appunto qualità primarie, come l'estensione, la for-

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PARTE TERZA lL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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ma, il moto, la quiete, la solidità, ecc. -, che a quella natura invece inerirebbero. È una duplicazione questa, che, pur essendo ammissibile quale ipotesi scientifica utile alla spiegazione e previsione dei fenomeni naturali, non può invece essere accolta quando si voglia dare ragione della percezione reale delle cose. Tutte le qualità, infatti, che noi percepiamo, per il fatto stesso che le percepiamo, sussistono nella nostra mente, e non sono nemmeno pensabili separate tra loro, le une appartenenti a realtà corporee esterne, le altre, invece, risolventisi nelle sensazioni. «Io vorrei che ognunoriflettessee provassese può, con un'astrazionedi pensiero,concepirel'estensionee il moto di un corpo senzatutte le altre qualità sensibili.Per conto mio vedo chiaramenteche non è in mio potere formare un'idea di corpo esteso e in moto senza attribuirglianche qualche colore o altra qualità sensibiledi quelle che si ammettono esisteresolonellamente.In breve,estensione,formae moto, astratti da tutte le altre qualità, sono inconcepibili.Perciò, dove sono le altre qualità sensibili,ivi debbonotrovarsi anche queste, cioè nella mente e in nessun altro luogo».

E questo equivale a dire che l'essere delle cose coincide con il loro essere percepite: «esse est percipi». Corollario di que$ta proposizione è l'immaterialismo. Cade infatti la ragione per la quale Locke ,. . aveva ritenuto di d~ver ammettere l'esistenza di ~~:;iateriauna sostanza materiale, che fungesse da «sostegno» di qualità ritenute oggettive, e che ora si è chiarito non essere in nulla diverse da ogni altra qualità. Dice Berkeley: «perché dovremmo preoccuparciancora di discutere questosubstratumo sostegnomaterialedella forma,del movimento e delle altre qualità sensibili?non fa esso supporre che quellequalità abbiano un'esistenzafuori della mente?e questanon è una contraddizioneimmediatadel tutto inconcepibile?». Basta, dunque, di trastullarsi con questa vacua astrazione, che tra l'altro, una volta che ne ammettessimo la realtà, ci farebbe trovare nella condizione Locke insegna - di doverne ammettere l'inconoscibilità, aprendo la strada allo scetticismo.

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«Esse est percipi»: ma allora son fantasmi le cose? a non significa forse una siffatta identificazione di esse e percipiscivolare verso una sorta di insostenibile e folle riduzione delle cose a fantasmi, e comunque a fenomeni soggettivi della mente? Così certamente parve, allorché della teoria berkeleyiana si ebbe la prima notizia, e Unateoriamal interpretatadopo ancora per tutto il secolo e oltre. Così racconta, ad esempio, in una lettera a Berkeley, un amico che a Londra aveva proposto agli uomini dotti della città la lettura del Trattatoappena edito:

no morti migliaia di uomini, ma semplicemente mi- • gliaia di idee! Lo stesso Kant avrebbe interpretato il pensiero di Berkeley come una forma di idealismo empirico, misconoscente come tale la realtà oggettiva del mondo fisico. In questo modo non si rendeva giustizia al punto di vista berkeleyano, di cui veniva anzi frainteso grossolanamente il significato. Abbiamo visto proprio ora che Berkeley vedeva nell'immaterialismo l'efficace alternativa allo scetticismo di chi, come Locke, imprigionava la mente in un orizzonte di idee oltre il quale «Accennaisolo al contenutodel vostro libro sui Princì- si nasconderebbe la realtà delle cose. Il nostro filosofo pi con alcuni miei amici, personed'ingegno,ed essi lo mise- è molto chiaro e netto nell'affermare intanto che .. h ro subitoin burla, rifiutandodi leggerlo... Un medicodi mia non c'è nulla ~a conoscere delle cose oltre quello 0 ~:~~o: 0 conoscenzasi mise a parlare di voi, concludendoche dovete che ne percepiamo; esse non nascondono alcun reale essereproprio matto e dovete curarvi. Un vescovovi compassionò d'esservi posto ad una tale impresa, mosso dalla fondo inesplorato e inesplorabile, e noi ne cogliavanità e dal desideriodi pubblicarequalcosadi nuovo... Un mo l'essere «reale», che tutto si esprime in quella altro mi disseche un uomo d'ingegnofa bene ad esercitareil collezione di percezioni che ne abbiamo. L' «esse est suo spirito senzaritegni,e che ancheErasmofu lodato per il percipi» non va inteso comunque come negazione del suo elogiodellapazzia,ma che tuttavia voi non avetesaputo mondo fisico, ché anzi questo - sostiene Berkeley spingervitanto oltre quanto un certo signoredi Londra, il viene riconosciuto in tutta la sua concreta esistenza quale non solo nega la realtà della materia, ma anche la molto di più di quello che avvenisse nell'empirismo nostra stessaesistenza». lockiano, o nella filosofia di Cartesio, o nelle teorie La musica non sarebbe del resto cambiata duran- degli scienziati: per tutti costoro oggettive sarebbero Leibniz, te tutto il secolo, se è vero che Leibniz credette di soltanto le idee delle qualità primarie, e invece tutte le Voltaire, Kant: altre si ridurrebbero a parvenza di immagini irreali, lettori dover interpretare il Trattatocome documento quando invece l'immaterialismo restituisce alle cose tendenziosi del di uno stravagante paradosso, e Voltaire ebbe a tutte le loro qualità, anche i colori e gli odori e i suoni. Saggiomotteggiare sull'immaterialismo berkeleyano, annunciando che, in una certa battaglia, non era- Dire infatti che tutte le qualità sono secondarie, per-

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ché tutte interne alla mente che le apprende, non esclude affatto che siano tutte anche oggettive, nel senso che tutte sono egualmente reali. Così Berkeley risponde alle obbiezioni che prevede debbano piovere sulla propria dottrina: «Si obbietteràanzituttoche, secondoquei princìpi,tutto ciò che è reale e sostanzialein natura viene bandito dal mondo e sostituitoda un sistemachimericodi idee. Tutte le coseche esistono,esistonosolonella mente:cioè sonopuramente immaginarie.Che ne è dunque del sole, della luna, delle stelle?che pensare delle case, dei fiumi, delle montagne, degli alberi, delle pietre; anzi, dei nostri stessi corpi? Sonoessi soltantochimereed illusionidellafantasia?A questo, e ad ogni obbiezioneconsimile,rispondoche coi princìpi stabiliti non ci priviamo di nessuna cosa della natura. Tutto ciò che noi vediamo,sentiamo,udiamo, o comunque concepiamoo intendiamo, resta sicuro e reale come per l'innanzi.Vi è una rerumnatura,e la distinzionetra realtà e chimereresta in tutta la sua forza». Nei Dialoghitra Hylas e Philonous,Berkeley farà dire a Philonous, il personaggio che sostiene la tesi

immaterialistica contro Hylas, difensore della realtà della materia: «Io non sono del pareredi cambiarele cosein idee, ma piuttosto le idee in cose; dal momento che quegli oggetti immediatidi percezioneche, secondovoi, sono soltanto apparenzedelle cose, io li prendo per le stessecose reali».

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Nulla cambia nell'idea che l'uomo della strada, il cui senso comune Berkeley ama contrapporre ai sofismi dei dotti, ha della realtà delle cose. Prosegue infatti Berkeley nel Trattato: «La sola cosa di cui neghiamol'esistenzaè ciò che i filosofichiamano Materia o sostanza corporea.Ma questo non recherà nessun danno al resto dell'umanità che, oso dire, non ne sentirà mai la mancanza». E subito dopo, a confessione dell'intenzione apologetica che sottende il suo immaterialismo, egli aggiunge:· «L'ateo, sì, soltanto lui, perderà l'ombra di un vuoto nome, cui appoggiarela propria empietà».

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Le cose: parole di Dio ualcunoperò potrebbeinsistere:« ... secondogli anzidetti princìpi,le cosesono ad ognimomentoannullate e ricreate.Gli oggettidel sensoesistonosoloquando sonopercepiti:perciògli alberisononel giardinoo le sedienellasala soltantofinchévi è qualcunoche li percepisce.Se chiudo gli occhi tutti i mobili della stanza sono ridotti a nulla; e col sempliceriaprirli vengono creati di nuovo».

La replica di Berkeley fa compiere un primo pas-

Dall'empirismo so sulla strada che lo condurrà infine alla conclualplatonismo: unprimopasso sione teologale, edificante, fin dall'inizio pro-

pisca, ma anche produca le idee che, di volta in volta, vengono apprese dalle singole menti finite, sicché la' vita percettiva di quest'ultime vada rivelandosi per quello che è: un rapporto diretto con un Dio «parlante», non più impedito dall'opacità di una materia interposta, su cui, come si diceva di sopra, gli empi potevano fondare il loro misconoscimento di Dio. Vediamo, allora, i passi che conducono Berkeley al termine del suo cammino apologetico. Innanzitutto:

«Per quantopotere io abbia sui miei pensieri,trovo che le idee percepiteMtualmentedai sensi non dipendono ... dal mio volere.iQuando apro gli occhi nella piena Leideedel «Quantunquesosteniamoche gli oggettidei sensi non luce del giorno, non è in mio potere di sceglierese sensonon sono altro che idee le quali non possono esistere se non debbovedereo no, e di stabilirequali oggettiparticola- sonopractotte percepite,non possiamotuttavia concluderneche essiesista- ri si presenterannoalla mia vista; e cosìper l'udito e gli dame... no solo mentre sono percepitida noi; vi può esserequalche altri sensi;le idee che vi si imprimononon sono create dal altro spirito che li percepiscein nostra assenza:dovunqueio mio volere». ho detto che i corpi non hanno esistenzasenza la mente, vorrei si intendesseche non alludevoa questa o quest'altra Secondo: non possiamo più affermare, seguendo menteparticolare,ma a tutte le menti in generale.Dai princìpi suddetti non segueperciò che i corpi siano annientati e i modi di Locke, apparentemente persuasivi - e ...néda creati ogni momento,o che non esistànoaffatto negliinter- certo condivisi dal senso comune, in questo caso sostanze non affidabile -, ma in realtà inconcepibili, che materiali valli tra le 'nostre' percezioni». ... la causa delle idee del senso siano delle sostanze Comincia a farsi evidente, a questo punto, che non pensanti, materiali. non ci si potrebbe fermare qui, a questa sorta di affiTerzo: è impossibile che le idee si produca- ...e neppuresi damento dell'esistenza dei corpi alle percezioni inter- no da sé, le une dalle altre, poiché esse sono producono da u mittenti di non si sa quante menti «finite»; si inerti e prive di ogni potere ed attività. sé na_ ~~11 profila cioè la necessità di concludere all'ammisQuarto: dobbiamo dunque riconoscere che 1M 111 ima s10ne • d'1 una Mente m • f'1mta, • che non so1o perce- le idee che ci sono date, e che, non dimentichiamolo,

grammata, del suo immaterialismo. Vediamola:

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sono l'esserestesso dei corpi, sono prodotte in

Laloro causanoi dall'attivitàcreatricedi uno Spiritoinfinito, w ::::e:: è Dio da Dio, Tanto più questa conclusioneapparirà _J

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necessaria;qualorasi consideri

«la regolaritàcostante,l'ordinee la concatenazionedelle cosenaturali,la sorprendentemagnificenza,la bellezzae la perfezionedelleparti più grandidellacreazione,il congegno finissimodelle parti più piccole,l'armonia e l'esatta connessionedel tutto»:

uno spettacoloche non si potrebbe spiegare senza ricorrerealla saggezzae alla bontà dell'Autoredella natura. Giacché,quelle che gli scienziati chiamano «leggidella natura» non sono altro che «leregolefissee i metodistabilitisecondocui la Mente dallaqualedipendiamoeccitain noi le idee del senso».

Con il giovaneBerkeleyavevastudiatoal Trinity Collegeanche Malebranche,al quale in effetti egli deve qualcosanella elaborazionedella propria riflessione. Con l'oratorianofranceseconcordail filosofo

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anglicanonel negare alle cosecorporeeefficaciacausale, esclusivamenteriservata anche da lui alla II d b. Causaprima.Quelliche gli scienziatidiconorap- Mal:;:~c~n porti causalitra le cose, in realtà sono semplici ne 8 connessioniregolaridi antecedentee susseguente;inutilepertantovagabondarealla ricercadi causeseconde, quandoinvecedovremmocurarcisoltantodi riconoscerequaleunica causala volontàdi Dio. Berkeley concordacon Malebrancheanche nel riconoscereun rapporto diretto tra mente umana e mente divina, e semmaisi chiede- ed avrebbechiestoallostessofilosofo francesequando nel 1715lo conobbepersonalmente pochi mesi prima che morisse- perchéquesti continuassea crederenell'esistenzaesternadei corpi, una volta ammessala visionedelle cosein Dio. Dissenteinvece da Malebranchelà dove costui ammetteche la menteumana «veda»Dio;il rap- 11d. , . D' , i , , 1ssenso da porto che essa mtrattiene con 10 e s mt1mo Malebranch comequellotra due dialoganti,ma resta ben fere mo per Berkeleyche noi udiamo le parole di Dio, vediamoi suoi segni,non Lui, «Deusabsconditus».

:mmmmrnmrnim:m11mm:::;rn:::1:::::::m:::::;::;;;;;;;:m:mmmmmumiiimmii!!m!lm:::,:::::::::;;;;;;;:mm;;;;;;;;;;::mmiii!iiiiilii!i!iiiilili!ii!i!!imm::::::::;;;;;;:;;;;;;;;::::,::::::::rn::;mrnrn!!mmmimmmrnmrn::::;;;;

«Esse. est percipi, aut percipere» implicitain modo del tutto trasparente,nel di- esterno.Berkeley,viceversa,presentavauna concezioscorsofondativodell'immaterialismo,l'ammis- ne tutta diversa,fortementedinamicae personalistisione,in una con il rifiuto dellamateria,dell'e- ca, dello spirito, e lungi dal ridurlo ad una inerte ed sistenza,invece,di sostanzespirituali.Là dove immobile realtà, ne identificava piuttosto l'essere, è dato un «percipi»deve infatti concedersiun senzaalcun residuo,con l'attività stessadella mente. «percipiens»,un centro di attività spiritualecapace, Della sostanzacomunementeintesa egli mostravadi ci rivela con immediata evidenza la co- conservaresoltantola nozionedi un essereesistente L Ianze come e sos • • • h . bb' d' . . spirituali scienzamtlma c e noi a iamo, 1n01stessi,non per sé. solo di riceverenella percezionele idee, ma di Conseguentementeegli sostenevache del nostro elaborarlee anche combinarlevariamente e libera- spirito, ossia di quella che comunementevien detta mente. Assaiefficacementeaveva espressoBerkeley, «anima», noi non possediamoun'idea, giacché e ,. . . . d l hecose nei Commentarifilosofici, questa sua convinzione, q~esta, essendo «mattlva>~ e cons1steno a su~ spirito conuna formulapiù completadi quellaadottata negli esistenzanell'esserpercepita,non potrebbemai scritti destinati alla pubblicazione:«esse est percipi «esserel'immagineo l'imitazione di un agente esiaut percipere». stente per se stesso».Il che comportavache l'anima Questaammissionedell'esistenzadi sostanzespi- fosse inconfondibilecol corpo, e pertanto, oltre che rituali sarebbe apparsa a Hume come una inconse- attiva, indivisibileed immortale,i corpi essendoapguenza;era infatti convintoil filosofoscozzeseche la punto le idee passivepresentinella mente. Questala negazionedella materia dovesse comportare anche definizionedi spirito che troviamonel Trattato: quella dello spirito, essendo raccolte ambedue «Uno Spiritoè un esseresemplice,indiviso,attivo:in rilormulazi~~:queste «realtà»sotto l'idea vacua ed inammissi-• quanto percepisceidee, è chiamato'intelletto',in quanto le dellanozione bile di «sostanza».Ma, in verità, si deve dire che produceo in vari modi agiscesu di esse,si chiama'volere'», di sostanzanel Trattatoera sì usato, per indicare la realtà spirituale, il termine consueto di sostanza, ma Il fatto che non abbia l'idea di me stesso, non senza che gli venisse dato il significatodi «substra- significadunqueche io non posseggadi me stessouna tum», di qualcosache farebbeda «sostegno»immobi- conoscenza,del tutto certa e indubitabile- che La«nozione» di le al fluire deglistati di coscienza,in analogiacon la ,Berkeleypreferiscedire «nozione»- attraverso sè materiache starebbea base dellepercezionidel senso la qualeapprendoimmediatamentela mia mente

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SEZIONE PRIMA. L'ILLUMINISMO BRITANNICO CAPITOLO 21

di manifestazionicorporeedel tutto simili a quelle in >cui si esplica la nostra attività spirituale, e che . ~ «Io osservoche possosuscitarenella mia mente idee a pertanto P?Sso~oesse~e~pi~gate.s?ltanto con la ~;e;\~!enzaw piacere,e variarnee modificarnelo spettacoloognivolta che presenza di altn centn di vita spmtuale. La cer- spiritifiniti È2 mi sembriopportuno.Non ho che da 'volerlo',e subitosorge w nella mia fantasia questa o quell'idea;e con lo stessopotere tezza dell'esistenzadi molteplici sostanze spiri00 tuali è, secondo Berkeley, un dato inoppugnabile della la cancelloper far posto ad un'altra. Questofare e disfarele nostra esperienza, anche se di gran lunga maggiore idee è ciò che permette di dire attiva la nostra mente». resta l'evidenza dell'esistenzadi Dio, tanto ampio è Quanto all'esistenzadi altri spiriti finiti, essa è l'ambito delle sue manifestazioni,che coincidecon la dimostrabile indirettamente, in base alla percezione totalità dell'universocorporeo. e il suo agire sulle idee:

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Contro Newton el 1713 Berkeleysi trasferiva a Londra, dove frattanto uscivanoi Dialoghitra Hylas e Philonous. Egli veniva introdotto dal conterraneo Jonathan Swift, il futuro autore dei Viaggidi Gulliver, negli ambienti mondani e culturali dellacittà, frequentandoi quali ebbemodo di conoscere da vicino quei «liberipensatori»,dei quali qualche anno dopo dovevacondurreuna criticaaspra nell'Alcifrone. Presentatoa corte alla reginaAnna,il ventottenL d I ne filosofoin quello stessoanno partì per il conti\a 0;gi~ape~nen~e,~1servizio,in qualità di cappellano,di _u~ l'Europanobile mglese e, dopo es~erpassato per Pangi, dove s'incontrò con Malebranche, viaggiò per l'Italia, che avrebbeconosciutoanchemeglio,soggiornando in Puglia,in Sicilia,a Napoli, Roma e Firenze, nel 1716-1720, al seguito,in qualità di precettore,del figliodi un vescovoanglicano,in un secondoviaggio nel continente. Fu allora che, passando di nuovo da Parigi, ebbe modo di conoscereVoltaire.Rientrato a Londra, scrissenel 1721,con l'idea di parteciparead un concorso bandito dall'Accademiadi Francia, un trattato in latino, De motu, nel quale sottoponeva a criticaradicalela fisicameccanicanewtoniana,sviluppando alcune note già presenti nel Trattato. Berkeleyprende di mira le idee di Newtonintorno allo spazio, al tempo ed al moto, individuandoin esseun casoesemplaredi vuota astrazione:non si può . infatti ammettere, come fa Newton, un tempo, eontroIa I.1s1ca • • m • nome d'i un newton·ana uno spazio e un moto «asso1utrn; 1 intransigenteempirismo,eglimostra comel'esperienza ci consentadi parlare soltantodi tempi, spazi e movimenti «relativi», ed apostrofa aspramente Newton:

ne. Così tutti i suoi attributi sono privativi o s . . . sembra qum . d'i essereun puro nulla»; al paz10 tempo negativi: 1' 0 contrario,l'esperienzaci insegnache ogni luogoè e mo relativo, «che quello che si concepisce è lo spazio relativodefinito dalle parti del nostro corpo».E così è inconcepibileil moto inteso cometraslazioneassoluta di un corpo in uno spazio assoluto: come potrebbe infatti concepirsiil moto «prima che si desserocorpi in relazionetra loro»?non è l'esperienzaa insegnarci che il movimento di un corpo consiste nel «cambiamento della sua distanza o posizionerispetto a qualche altro corpo»? Similmente,il tempo·:anch'esso è inseparabiledal concretosuccedersideglieventi, indipendentementedal quale è pura finzione. Anche del concetto di forza, compresa la forza gravitazionale,occorrecompiereun'analisi demistificatrice: esso, per chi come Berkeleyha rifiutato le cause seconde, è accettabile solo come ipotesi 1 . . l . e• f' . . I concetto matematica, uti1e. a «s~vare» i 1en?mem isici, deviantedi offrendoneuna spiegazionecapacedi prevederne «forza» l'accadimento,senzache si possaparlare in alcun modo di forze, così attrattive come repulsive,insite nei corpi.Far questoequivarrebbea rinnovarele pseudoteoriedelle«qualitàocculte»,o delle«formesostanziali»del vecchioarmamentarioscolastico.Per quanto concernein particolareil moto, che anche a parere di Berkeleyè l'oggettoprincipaledella meccanica,il solo compito dello scienziatoè di misurarlo - e in questi limiti, la scienzanewtonianaè senz'altroattendibile-, lasciando ad altri la questione della sua origine. L'intento che dirigeil discorsoberkeleianoanche nel De motu, è ancora una volta metafisico-religioso, come dimostra la conclusionedi questo trattatello. L'autore mira a tracciarela linea di demarcazione F' . «È indegnodi un filosofopronunciareuna parolae con • f'isico-m~tem~tica • • d. e11a natura, o_f'l is1ca e tra _scienza ! o- metafisica essa non significarenulla». sofla naturale, e filosofia pnma, o metaf1S1ca. È infatti un fantasma dei filosofimeccanicie dei Mentre quella deve limitarsi a stabilire e a misurare geometrilo spazio assoluto, «infinito, immobile,im- l'ordine secondoil quale si svolgonole serie o succespercettibileal senso,senzarelazionee senzadistinzio- sioni delle cose sensibili,sicché causa vien detto ciò

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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che costantemente precede, ed effetto ciò che costan- Lo scopo più generale di questo saggio, probabilmente temente segue, spetta alla metafisica conoscere invece indirizzato contro un astronomo che aveva scritto LLI le cause veramente attive ed efficienti delle cose e contro la religione, era di mostrare quanto anche nella ~ delle loro connessioni che, come sappiamo, si ricon- scienza vi fosse di misterioso ed incongruo: oc LU ducono alla Causa prima che tutte le cose produce. 00 «Chiedo se i matematici, che sono tanto esigenti in In uno scritto successivo, del 1734, L'analista. Discorso ad un matematico miscredente, Berkeley fatto di religione,siano rigorosamentescrupolosinella loro avrebbe attaccato anche il pensiero matematico di scienza.Non è forse vero che si sottomettonoall'autorità, che tendonoad un atteggiamentofideistico,e che credonoin Newton - e di Leibniz -, giungendo a liquidare il cose inconcepibili?Non è forse vero che anch'essihanno i calcolo infinitesimale, con la motivazione che le flus- loro misteri e, ciò che è peggio,aggiungonoa questi inconsioni newtoniane non si possono vedere - sareb- gruenzee contraddizioni?». Riliutodel calcolo bero «misteriose quanto i misteri della fede» -, e infinitesimalepertanto degli infinitesimali, di cui non possediaEsempio lampante ne era, appunto, agli occhi di mo idea alcuna, non dobbiamo neanche parlare. Berkeley, il calcolo infinitesimale. _,,J

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L' «Alcifrone»: la crociata contro i «minuti filosofi» ipreso per alcuni anni l'insegnamento al Trinity . College, Berkeley venne nominato nel 1724 de• cano della cattedrale di Derry, e cominciò a • meditare un audace progetto. Egli disperava · che la vecchia Europa avesse in sé le energie spirituali per risollevarsi dalla caduta materialistica, che sembrava ormai condannarla ad una decadenza irreversibile, e si era andato convincendo che il U d nprogetto au ace futuro de11 • • 'lta' umana doa rel'1g10ne e de11a c1v1 vesse essere ricercato fuori del vecchio continente; ad esempio, tra gli aborigeni americani, i quali, una volta convertiti al cristianesimo, avrebbero potuto rianimare con le loro forze giovani e genuine l'antico patrimonio dello spiritualismo cristiano. Venne pertanto adoperandosi per ottenere un finanziamento che gli consentisse di passare all'azione, utilizzando amicizie politiche e l'intervento di potenti protettori, fino ad ottenere dal Parlamento l'approvazione del suo progetto, che consisteva nella fondazione alle isole Bermude di un collegio, ove i giova1A . n menca. • • d' . d'A . . 1. d d l.'Atcifronem m 1gem menca vemssero acco ti e e ucati. Nel 1728, dopo essersi sposato, salpava per l'America insieme a un gruppo di discepoli, e arrivato a Newport, nel Rhode Island, lì si fermava, nella vana attesa, che sarebbe durata quasi tre anni, dei finanziamenti disposti dal parlamento britannico. Nel 1731, deluso, avrebbe fatto ritorno in Inghilterra, senza aver tradotto nella realtà il suo progetto. Ma la «vacanza» americana non era stata senza frutto: nella tranquillità della sua casa, di fronte all'oceano, egli aveva composto l'Alcifroneo il filosofo minuto, in sette dialoghi

con squisita grazia stilistica attraverso il confronto tra diversi personaggi, l'autore conduce un attacco frontale contro latitudinari, libertini, deisti, e sostiene che tutti costoro avanzano concezioni destinate a concludere ad un sostanziale ateismo, anche se questo non è mai apertamente professato nei loro scritti, ed anzi viene accuratamente occultato. Ciò che appare tendenzioso in questo scritto non è tanto il processo alle intenzioni che così Berkeley mette in atto - che, peraltro, non sembra privo di qualche fondamento, se è vero che spesso un filo rosso ha congiunto deismi e ateismi - quanto sem- u d' 1 • n ia ogo mai• 1·1fatto che eg1·1non tenga conto a suff'1c1enza tendenzioso delle non secondarie differenze esistenti tra i «minuti filosofi» contro cui polemizza, sicché Collins, Toland, Tindal, Mandeville, Shaftesbury, cui si riferisce nascondendoli sotto nomi tratti dall'antichità greca - Cratilo, Diagora, Demilo, e così via -, finiscono col perdere la loro identità e differenza, sacrificati come sono in uno schieramento tanto compatto quanto poco attendibile. Soprattutto discutibile, e per certi aspetti odiosa, appare la tendenza a gettare su uomini e orientamenti culturali di ispirazione illuministica, solo per il loro dissentire dai valori religiosi tradizionali, l'om- A . . , d' . ccuse 11ta bra de1 sospetto d1. 1mmora e 1 programmi infamanti denigratori dell'uomo e della sua natura. Come quando Critone, che è il personaggio, insieme ad Eufranore, che fa da portavoce del pensiero di Berkeley, accusa Alcifrone («spirito forte») e Lisièle, raffiguranti i liberi pensatori, di avere per scopo

contenentiun 'apologiadella religionecristianacontro «di cancellarei principi di tutto ciò che è grande e quelli che son chiamati liberipensatori, che avrebbe buono dalla mente dell'uomo,di scardinareogni ordine di

dato alle stampe a Londra nel 1732. _ In un contesto dialogico di gusto platonico, reso

vita civile, di minare le basi della moralità,e invece di miglioraree nobilitarela nostra natura, di abbassarcialle mas-

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SEZIONE PRIMA. L'ILLUMINISMO BRITANNICO CAPITOLO 21

sime e al modo di pensare delle nazioni più ignoranti e barbare, e perfino di degradarela specie umana al livello dellebelve selvagge».

In tal modo, mostrava Berkeleydi non saper intendere la portata innovativadel deismo,il suo essere propositore di una nuova moralità, espressiva delle esigenze che andavano maturando nella società del tempo. Sono in particolare le figure di Mandevillee di Shaftesburyad uscire deformate dalla raffigurazione che ne fa l'Alcifrone.All'autore della Favoladelleapi Berkeleyrimproveral'immoralismodi chi ha preferito . apprezzare i vantaggi pratici dei vizi, piuttosto Lapolemicache condannarequestiultimi, e non vuol rendersi Mandevil~:,~ conto che il punto di vista di Mandevillenon era quello del moralista, ma piuttosto, come oggi si direbbe, del sociologoo dell'economista.Questi comunque avrebberispostonello stesso 1732a Berkeley con una Lettera,nella quale gli avrebberimproverato il fraintendimentodel suo pensiero,ed avrebbeespresso il dubbio che egli non avesseletto attentàmente la Favola. Quanto a Shaftesbury,ne viene offertaun'immagine unilaterale,come di uno scrittore avverso al cristianesimo,e in particolareviene presa di mira la sua pretesa,presentatain modo schematicoe irrigidito,di rendere la morale autonoma dalla religione.In SI f,1..eIcon essa Berkeleyscorgeun pericolosoincentivo alia esmry l' abbandano de11 • ' da parte degl'1 uomm1 •• a virtu comuni, non più trattenuti dal timore dei castighi divini né più incoraggiatidalla speranza nell'eterna ricompensa.A tutto questo eglicontrapponeuna con-

cezioneeteronomadellamorale,che ne vuole.lafonda>L.JJ zione sull'insegnamentoe le prescrizionidella religio...J ne ecclesiastica. w L'Alcifronenon è propriamenteun libro di filosoৠfia, quanto piuttosto un'opera scritta da un prete . . LU . , , , , , delia Unlibrod1 a::i ang11cano s1mpat1zzante per le pos1Z1om 1oge1.1ca . I h . . apo «eh1esaa ta» (v.CAP. 20, PAR. n, c e ut111zzacerte proprie dottrine filosofiche- in questo caso, la teoria della visione del 1709 ripresa e aggiornata,piuttosto che direttamente la tesi immaterialistica,tenuta stranamente da parte-, in funzionedi un'esplicita apologetica della religionepositiva cristiana. Non che Berkeleyvoglia negare il fondamento naturaledellareligione,a riconoscimentodel quale militava tutt'intera la sua speculazioneprece- Religione naturale e dente;piuttosto egliè ostilealla pretesadeisticadi religione ridurre la religionea pura religionenaturale,scor- rivelata gendoviil primo passoverso l'ateismo,e rivendica la religionerivelatacomeconferma,sì, della religione naturale, ma insieme come superamentodella sua mèra filosoficità. Delle SacreScritturèvienerivendicatauna rigida interpretazioneletterale,mentre della religione,alieno com'egliè dalle sottili disquisizionidellateologiae dal suo teoreticismo,Berkeleysoprattutto esalta, secondo quelloche è stato detto il suopragmatismoreligio. so,la funzionesociale,la suautilità ed efficacianel Pr1~9_matismo . .1e e po11t1co . . deIla re1910s0 raf·i:1orzare l'ord'mamento c1v1 società, e nel guidare il comportamento morale dei cittadini, senza per ciò metterne menomamente in dubbio il fondamentodi verità. Anchein questo egli si mostrava vicino alla cultura politica del partito tory.

GeorgeBerkeleya/l'estremadestrane Il gruppo delleBermudedi Smibert.

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PARTE TERZA lL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

L'Irlanda agliinizidelSettecento I dominioinglese sull'isolad'Irlanda risalivaalla seconda metàdel Xli secolo,quando, sotto il regnodi EnricoIl re d'Inghilterra,era stata condottala primaspedizione armata,cui sarebbeseguito un primoinsediamento nell'isolae le prime spartizionidi terre tra i baroniinglesi. Dopoalterne vicendedi ribellionie di feroci repressioni,si era procedutonel XIVsecolo, per volontàdel re Edoardo 111, all'istituzionedi un parlamentoirlandese,nel qualeperò sedessero soltantoì rappresentantidei r:,-,-...,..,.,----''-':--------,---

dominatoriinglesi,allo scopo di impedirela tendenzadi questia fondersicon la popolazioneindigena.Fu in quellaoccasioneche venneroemanateleggiche vietavanoconnubitra inglesi e irlandesi,e disponevanola rigidaseparazionedei costumie degli usi, sia nella vita associatache in quella privata. Piùtardi, eranostate sancite, sotto il regnodi EnricoVII Tudor,le cosiddette«leggidi Pòynings», dal nomedel sir inviatodal sovranoin Irlanda, che stabilivanouna rigida dipendenzadell'isoladalla coronainglese:sì disponeva

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che le leggiapprovatedal parlamentoirlandesenon fosserovalidesenzala sanzionedel Consiglio privatodel re, e che, viceversa,tutte le leggi inglesidovesserovalere ancheper l'Irlanda. La riformareligiosadi Enrico VIII, introdottaa forza anche in Irlanda,dovevaaggravare ulteriormentele condizioni dellapopolazione,rimasta compattamente fedeleal cattolicesimo.Nascevacosì la Chiesaanglicana, assolutamenteminoritariama dominante,mentrei vescovi cattolicivenivanoespulsie i monasterichiusio distrutti.

Si dovettea Mariala Cattolica,che pur aveva ristabilitola Chiesacattolica, l'avviodi quel sistemadelle «piantagioni» che, adottato anchedai successorifino a Guglielmod'Orange,avrebbe significatola completa distruzionedellaproprietà dellaterra da partedelle tribù, in cui tradizionalmente gli irlandesieranodivisi.Al momentoin cui i nuovi proprietari,tutti inglesie per giuntaspessoreclutatitra avventurierie malfattori,si impossessavano dellaterra, gli abitantivenivano deportati. In particolare,sarebbestata

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1 Unacartadell'Irlandadellafine delXVIsecolo. 2 Ritrattodi JonathanSwift.

la spedizionedi Cromwella metàSeicentoa spezzare per lungotempola resistenzaarmatadegli_ irlandesidi fronte a quella che era ormai unaverae propriacolonizzazionedel paese:dopo aver messoa ferro e fuoco l'isola,il Protettored'Inghilterraaveva dispostodeportazioniin massa- si calcolache fosserosessantamilagli irlandesideportatinelleIndie occidentali-, cui si aggiunse unavastaemigrazionedi irlandesiin vari paesi dell'Europa.Narravala voce popolaredellavecchia Irlandache «trebestie» soltantoeranorimastea custodiadella patria:il lupo che si aggiravaper i terreni incolti,il preteche, clandestino,mantenevavivo il sentimentonazionale, l'irlandesespogliatodelle sue terre, che tramava controi nuovipadroni. Berkeleyera ancorain teneraetà, allorchél'Irlanda divenivateatro del tentativo degli Stuartdi recuperareil trono inglese,perdutodopo la «gloriosarivoluzione». Sbarcatonell'isolae accolto favorevolmente dalla popolazione,GiacomoIl riuscìad occupare.Dublino, ma nel 1690vennesconfitto dal generoGuglielmolii e costrettoa rifugiarsidi nuovo in Francia.Nuovespoliazioni a dannodei giacobiticattolici furonoseguitedalle«leggi penali»promulgatedal Parlamentoinglese,che frattantoavevarifiutatola concessionedellalibertà religiosaper i cattolici. Ridottialla miseriao a fare i bracciantinelleterre espropriate,gli irlandesi,o più esattamentei quattro quintidellapopolazione- un quintoeranoinglesie di

religioneprotestanteperserocosì ogni diritto politicoe civile. ScriveMarioManlioRossi nel suo Saggiosu Berkeley del 1955:«Uncattoliconon potevanemmenopossedere un cavalloche valessepiù di 5 sterline.Se un figlio si convertivaal protestantesimo, il padre perdevala proprietàdei beni a favoredel figlio. Se il figlio restavacattolico,invecedi lui ereditavaqualunqueparente anchelontano.Proibitoa un cattolicofabbricarearmi, esseravvocatoo procuratore legale,fare il maestrodi scuola,aver un impiego pubblico- e naturalmente, votareod essernominato deputatoal parlamento irlandese.... Se i poveri irlandesipotevanoancora respirare,era soltanto perchéil parlamentoinglese, che avrebbevisto di buon occhiola rovinadell'Irlanda pericolosasempre, incontraval'ostilitàdegli anglo-irlandesi del parlamentoirlandeseche volevanovivere.Ma tuttavia, giocandocon le tariffe doganalie con le restrizioni all'importazioneed esportazione,si erano compiutibei passiverso l'affamamentodell'Irlanda. Questanon avevaaltro da esportareche la lana.Ma la lanaera unodei grandi proventiinglesi;quindi Guglielmolii promisedi far quel che avrebbepotutoper scoraggiarela produzione irlandesedellalanae sostituirlacon quelladel lino che l'Inghilterranon produceva.Così,nel 1698 venneproibitoall'Irlandadi esportarlanafuorchéin Inghilterra,la quale, naturalmente,mettevale doganeche voleva,ovverola

pagavaquantovoleva.Nel 1726tutti i lanieri anglo-irlandesieranorovinati, e non potevanopiù dare lavoroai 'nativi'. Quantoal lino, se ne favorì l'importazionein Gran Bretagna:ma appenain questa(in Scozia)si sviluppò la tessituradel lino, anchesu questitessutivennero impostedoganeproibitive... >>. Tra coloroche allorasi batteronocon grande energiaa favoredella popolazioneirlandese,fu lo scrittoreanglo-irlandese ed anglicanoJonathanSwift, autorea quelfine di diversi pamphlets.Esasperatoper l'indifferenzadegli inglesial problemae per le proposte sbagliatedei governanti,egli pubblic.ònel 1729un libello, destinatoa restarcelebre per il sarcasmocon cui venivaavanzata,a feroce parodiadell'ipocrisiadei politici,la paradossale propostaadombrataneltitolo dato al libello.In Una modestapropostaper impedireche i bambinidella gentepoverasianodi peso ai loro genitorio al loro paese,Swift,con fare concretoda mercantee con il tono da programmatore competente,avanzaval'idea di organizzareuna sorta di allevamentodei figli dei poveri,per farne cibo dei ricchi,e sollevarecosì i loro genitorida un caricoche li costringevaad elemosinare, o a lasciarei figli senzacibo e vestiti per il resto dellaloro vita: «Unamericanomolto competenteche ho conosciutoa Londra,mi ha assicuratoche un bambino sano e ben nutritoè, all'età di un anno,un cibo quanto mai squisito,nutrientee salutare,sia che lo si faccia stufato,arrostito,al forno, o

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bollito;e io non ho dubbiche sia egualmentebuonoanche per unafricasseao per il ragout.Sottopongoperciò alla pubblicaattenzionela propostadi riservare ventimila,dei centoventimila bambinimenzionati, all'allevamento... E così i restanticentomilapotranno all'età di un anno,essere offerti in venditaalle persone ricchee nobilidi tutto il regno;e si dovràsempre raccomandarealle madridi lasciarlisucchiare abbondantemente nell'ultimo mese,in mododa renderli pieni,grassie adattialle buonetavole».E concludeva cgsì Swift: «Nonvi è il minimointeressepersonale nei mieisforzi di promuovere quest'operaindispensabile, non avendoaltro scopoche quellodi contribuireal bene del mio paesedandoimpulso al commercio,soccorrendo l'infanzia,aiutandoi poverie procurandoqualchegioia ai ricchi.Nonho bambinidai quali possapropormidi ricavareancheun solo penny,essendoil più giovanedei mieifigli di nove anni,e avendomia moglie superatal'età feconda».

PARTE TERZA lL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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«Siris»: una svòlta nella filosofia berkeleiana? opo pochi anni dal suo ritorno a Londra, e forse anche per le benemerenzeacquisite con la pubbicazione dell'Alc!frone, Be~k~leyvien.eno~i: nato vescovoe chiamato a dmgere la d10ces1d1 Cloyne, in Irlanda, dove avrebbe vissuto dal 1734fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta nel 1753 ad Oxford, dove frattanto si era trasferito con la mogliee i figli. Come vescovo anglicanoin terra cattolica - lui stessocalcolavache nella sua diocesisu nove irlandesi solo uno fosse anglicano-, Berkeleydovette sentirsi, comeè stato detto efficacementedallo studiosoMario Manlio Rossi, nella posizionedel cappellanomilitare di un esercito di occupazione.A differenza di V escovo •ft, che pure era come lm• un lf• landese d'1ong1•• anglicano in Sw1 lrlandane inglese e di religione anglicana, il fervente vescovosi guardò bene dall'incitare alla ribellione il popolo irlandese, come appunto aveva fatto per anni il suo illustre conterraneo, ma piuttosto venne pubblicandotra il 1735 e il 1737 una serie di scritti, raccolti sotto il titolo L'indagatore,nei quali suggeriva agli irlandesi la sottomissioneal dominio inglese, rimproveravaloro l'indolenza quale non ultima causa, insieme alla dipendenza economica dagli inglesi, della loro povertà, ed auspicavariforme pacificheche migliorasseroprogressivamentela condizionedi quella sventurata nazione. Ciò non gli impediva, peraltro, di proporre che i mendicanti venissero fatti schiavi dello stato per un certo numero di anni, e costretti a lavorare con la forza. Una grave carestia verificatasi nel 1739-40,accompagnata da pestilenze che seminavano la morte tra la popolazione anche della sua diocesi, fu l'occasione perché il vescovo, preoccupato della pubblica d' salute, sperimentasseun curiosomedicinaleottel' I acqua • d1• catrame, ch e aveva imparato • catramenut o d a11' acqua ad usare durante il soggiornoamericano.Ma ciò che più importa è che il ricorso a tale terapia, lo indusse a studi di chimica e di medicina che, uniti ad un profondo interesse per Platone ed i platonici antichi coltivato in quegli anni, gli permisero di dare alla luce nel 1744l'ultimo suo libro di filosofia,Siris:una

sullecose-, inaugurasseuna sorta di secondafilosofia, ben diversa da quella empiristico-immaterialistica precedente. Ad una realtà piuttosto semplificata,ridotta ad un mondo di idee sensibilie di spiriti percipienti, che testimonia della propria origine da uno Spirito infinito creatore, sembra ora sovrapporsiuna visioneplatonizzantedella realtà, con una conseguente svalutazionedel senso di fronte ad una superiore esperienza intellettuale e razionale. E così vediamo Berkeleyrinverdire il mito platonico della caverna: «Èinnegabile che,rispettoall'universo dellecose,nella nostracondizionedi mortalisiamocomeuominieducati nellacavernadi Platone... I sensie l'esperienza ci informano delcorsoe dell'analogia delleapparenzeo effettinaturali. Il pensiero,la ragione,l'intellettoci introducono nellaconoscenzadellelorocause». Un vero e proprio capovolgimentosembra cosi verificarsi nella filosofia dì Berkeley:la concezione «lockiana»dell'idea come semplicecontenuto mentale, da cui aveva preso origine il suo empirismo, si rovesciaora in quella platonica, che la vuole 'aition' ed 'archè' (causa e principio), «supremoe immutabileessereintellettuale, superiore perrealtàallecosesensibili,fuggevoli e contingenti, chenon hannoalcunastabilitàe non possonoesserein alcunmodo oggettodel sapere».

Quando però si consideri più attentamente il percorsocompiutofin qui da Berkeley,non è difficile scorgereche non ad un ripudio dell'empirismosiamo di fronte, non ad una svolta o ad una rottura col passato, bensì ad una coerente evoluzione di Daemf)irista a quello stesso empirismoverso un esito platoniz- platonico: un zante, potenzialmente già presente in esso fin coerente dall'inizio. Basti pensare che l'aver rifiutato alle svolgimento idee, fin dagli anni dei Commentarifilosofici, ognisostegnoche non fosserogli spiriti che le percepiscono- gli spiriti finiti - oppure le creano - lo Spirito infinito -, e quindi l'averle concepite, con la teoria immaterialistica,come esse stesse le cose reali, già preludevaad uno sviluppoin sensoplatonico.Lo dice catenadi riflessionie indaginifilosofichesulle virtù bene AugustoGuzzo (V. voL.3**•CAP. 10,PAR.9), uno studell'acquadi catrame,e diversialtriargomenticollega- dioso italiano di Berkeley: ti tra loroe sorgentil'unodall'altro. «...Nonè paradossale che,sele idee,o contenutisensiA prima vista sembrerebbeche questo libro - un bili, sonodal Voleredivinocomunicateagli spiritipercicurioso e complicatomiscugliodi teorie terapeutiche, pienti,sianoideearchetipe,in Dio chele comunica,quelle di dottrine scientifiche,fisiche e chimiche,ma anche che sono idee ricevute,percepite,nellementi umaneche queldivinomessaggio naturale.Cosìsonoidee pseudoscientifiche,alchemichee teosofiche,e di raccolgono Siris:una platoniche,nelleloroscaturigine divina,quellechediventasecondaletture filosofichedell'universoin chiave teologi- no idee lockianenellaricezioneche l'uomone fa. Né un filosofia?ca e neoplatonica, dove si parla di una materia simileesitos'annunzierà solonegliscrittitardi dell'ultimo finissima,l'etere, attraversola qualeDio agirebbe Berkeley. Se si pensachela dottrinadei fenomeninaturali

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come linguaggiodirettamentedivino è al centro, come del Trattato,così dei Tre dialoghi,ed è, nel bel mezzo del IV Dialogodell'Alcifrone,il colpo d'ala che sollevala disputa dai pro e contro dei Dialoghiprecedenti,si vede che il platonismo berkeleianoha radici profondein tutta la sua filosofia, ché, guardate nell'uomoche le percepisce,le idee sono idee sensibililockiane,ma, guardatein Dio che le comunica, non possonoesserese non idee archetipe,anche se Iddio le comunichialla sensibilitàdell'uomo,e non al suo puro intelletto, che Berkeleyha dichiarato, nei suoi Commentari,di non comprendere».

È semmaiper quest'ultimopunto che si può parlare di una novità presente nel Berkeleydella Siris, non prevedibile,ed anzi in contrastocon la sua precedente riflessione.In effetti, ciò che scrivevanei Com.1. mentari - «l'intellettopuro è una parola priva di Unanov1a sigm • 'f'icato» -, e che g1i• facevad'ire d'i consi 'derare la «plebe»,immersacom'essaè nella certezzasensibile, assai più vicina alla verità di quanto lo fossero i dotti e gli scienziati,ora, nella Siris, viene smentito dalla scoperta della visione intellettuale, cui l'uomo platonicamente s'innalza trascendendo i «fantasmi» sensibili: «Sono anzitutto i sensi che sottomettono e tengono prigionierolo spirito.I fenomenisensibilicostituisconol'intero nostro mondo: tutte le nostre deduzioni si riferiscono unicamentead essi e tutte le nostre aspirazionitrovano in essi il loro scopo. Noi non cerchiamo altre realtà o altre cause,sino a che non comincia sorgerel'intelletto,gettando un raggiodi luce su questo giuocodi ombre».

Allora: «Le coseche prima sembravanocostituireper noi tutto l'insiemedella realtà, diventanofuggevolifantasmi,non appena noi le consideriamocon l'occhiodell'intelletto».

Le visioni sensibili, certo, rimangono il primo,

Levisioni sensibili: un indispensabile momento della conoscenza, ma trampolinosolo come una sorta di trampolino,che consenta,

per così dire, alla mente di compiere il primo salto che dovrà, infine, sollevarla,attraversola catena della riflessione,fino a Dio:

ri. In questa catena un anellose ne trascina dietro un altro. Le cose più meschinesono connessecon le più sublimi».

Ad esempio,anche dall'acqua di catrame si può risalire fino a Dio, È così che Berkeleychiamava in soccorsotutte le risorse della chimica, le forze di aggregazionee di repulsione, lo stesso meccanicismo newtoniano,ma insiemel'animazioneuniversale O 11, 1. • 1ismo, • 1e «simpatie» • • occu1te care aIl'anti• catrame a acquaCl e i•1 vita a Dio ca tradizione alchemica,ermeticae teosofica,per mostrarecome quella risalita fossepossibile.Egliparla di un fuoco invisibile, sostanza sottile come luce, etere o spirito animale dell'universo,che tutto pervade di sé, trasmettendo a tutti i fenomeni l'azione di un Dio, assimilatoall'Uno dei neoplatonici, Che cosa ne fosse in questa visione del mondo, così sovraccaricadi essenze,forze occulte,trasformazioni e processi della materia - come quelli per cui dalle particelle più volatili del catrame effuso dai tron~hi dei pi~i si sp,rigi_onano ~egretevfrtù tera- Una peutiche -, di quelluniverso immateriale fatto discussione tra solo di idee e menti, che per tanto tempo Berke- studiosi ley aveva proposto, ancor oggi si discute dagli studiosi, divisi tra chi ha sostenuto una netta cesura tra le due stagioni del berkeleismo,e chi, invece, anche appoggiandosia passi espliciti della Siris, che mettono in guardia dal prendere alla lettera espressioni correnti che parlano dell'esistenzadi forze e realtà materiali, ha visto una sostanzialecontinuità nell'itinerario del nostro filosofo. Ciò che sembra fuori discussioneè la continuità dell'atteggiamento apologetico mai dismesso da Berkeley,e la sua diffidenzaper il razionalismoe lo sperimentalismodella scienzamoderna, che, come ha osservatoun altro studioso italiano, Paolo Casini, lo spinse - la Siris ne è documentoeloquente -, a «ripercorreall'indietroil faticosocamminodella scienza sperimentale,reimmergendonealcune acquisizioniparziali e il linguaggiostessonellemistichetenebre della tradizione teosofica».

Era, del resto, la sua stessa attitudine a scendere

«I sensi fornisconoimmaginialla memoria.Questedi- sul terreno degliavversarie ad approfittare delle loro ventano materia di elaborazioneper la fantasia.La ragione ambiguitàe contraddizioni,a favorirequella sua opeconsidera e giudica le immaginazioni.E questi atti della razione:basterebbepensarea quanto, nella chimicadi ragione diventano nuovi oggetti per l'intelletto. In questa scala, ciascunafacoltà inferiore è un passo che conduce a Boyle e nella stessa teoria gravitazionaledi Newton, vna superiore.E la supremanaturalmenteconducea Dio ... operasseroancora le suggestionialchemichee teosofiE una catena che corre attraversol'intero sistemadegliesse- che, che Berkeleyè prontissimo ad enfatizzare,

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Capitolo

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Berkely (1685-1753):l'ossessionedella materia Su Berkeleysuggeriamole seguentiletture: F. Olgiati, L'idealismodi G. Berkeleye il suo significatostorico,Vitç1e Pensiero,Milano1926;S. Del Boca, L'unitàdelpensierodi Berkeley,Sansoni,Firenze1937;M. M. Rossi,Saggiosu Berkeley,Laterza,Bari 1955;G. Bontadini,Studidi filosofiamoderna,La Scuola, Brescia1966;M. M. Rossi,Introduzionea Berkeley,Laterza,Bari 1971;K. R. Popper,Notasu Berkeleyqualeprecursoredi Mache Einstein,in Congetturee confutazioni,voi. I, pp. 287-301,Il Mulino,Bologna1972;M. Fimiani,G. Berkeley. Il nomee l'immagine,Lerici,Cosenza1979;P. F. Mugnai,Segnoe linguaggio in Berkeley,Edizionidell'Ateneo,Roma1979.

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Capitolo

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Hume e l'illuminismo scozzese

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La Scozia agli inizi del Settecento llorché Hmne nascevanel 1711 ad Edimburgo, erano appena avvertibilii profondi mutamenti destinati a verificarsi in Scozia, come conseguenza della sua unificazionecon l'Inghilterra nel regno di Gran Bretagna,decretata dalla regina Anna appena quattro anni prima. La Scozia era un paese dalle strutture economico-socialiancora feudali, dominato dalla nobiltà terriera e costituitoprevalentementeda una popolazione di rozzi pastori abitanti negli altipiani e di contadini in condizioni ancora assai vicine alla servitù della il paese Unpaese gleba.• Anche sottodil profilo culturale, l' .. arretratoappariva povero e arretrato: orgamzzaz10ne scolastica,dominata da un ceto ecclesiasticoottuso ed ostile ad ogni novità che apparissemettere in pericolola tradizione religiosa,era carente, sia per lo scarsonumero delle scuoleche per la qualità scadente dell'insegnamento.A differenzadelleuniversitàinglesi ed europee,l'università di Edimburgoera l'equivalente, per fa fascia di età dei suoi studenti, di una scuola secondariasuperiore. La dominante Chiesa presbiteriana, versione scozzesedel calvinismo,soloverso la metà del secolo, quando si sarebbero fatti sentire gli effetti delle trasformazionieconomico-sociali,avrebbevisto nascere al proprio interno una tendenza moderatamenteaperta alle nuove idee che circolavano nella società. La vecchia organizzazione«democratica»che voleL eh. a ,esa va l'e1ezione • da parte dei• 1e 1: d 1· d • • • • de1 presbiteriana e i ei mmistn culto nelle Chiese locali, e che rappresentava il maggioreostacoloalla penetrazionedel nuovo, venne sostituita con la scelta dall'alto dei ministri, da parte di autorità ecclesiastichesemprepiù inserite nel sistema costituzionale inglese; il che doveva favorire il rafforzamentodelle tendenze innovatrici. Ma intanto la religiosità popolare, alimentata

dalla predicazionedi ministri del culto quasi sempre bigotti, e da pratiche penitenzialisevere- come quella, diffusissima,dello«sgabellodel pentimento», ... à . . h' . . . Larehg10s1t dove erano costretti. ad mgmocc iarsi 1peccatori, poi>1 e così esposti in chiesaal pubblicoludibrio -, con- 0 ar tinuava a nutrirsi di immaginazionisuperstiziose,risalenti ad una antichissimatradizione,usa a popolare il mondo di elfi, streghe,diavoli vaganti nei boschi e nelle desolateregionideglialtipiani e della campagna scozzese. In virtù dell'unione con l'Inghilterra la Scozia venne inserendosi nel commercio internazionale, e Glasgowdivenne uno dei porti più importanti , .. • • • 1• L unionecon dell'Eur?~a de1t~mpo,~e.ntre n~o~1 ceti socia 1, l'Inghilterra mercantili e mamfattunen, commciaronoa contendere alle vecchieclassiil predominiosocialee politico. Con quella delle merci doveva intensificarsianche la circolazionedi nuove idee d'ispirazioneilluministica, che avrebbefatto della Scozia,a partire dalla metà del secolo,uno dei paesi culturalmentepiù vivaci e creativi d'Europa,.Edimburgopoté apparire una sorta .di Atene del nord, e dagli storici si è parlato di un «miracoloscozzese»,illustrato da personaggicome Thomas Reid, iniziatore della scuoladel senso comune, e, soprattutto, Adam Smith, il padre dell'economia politica moderna, e Hume, la cui opera doveva rappresentareil momento più alto dell'empirismofilosoficobritannico. Tutto ciò non si produsse, naturalmente, senza forti resistenzeda parte della componentetradizionalista del presbiterianismo,che godevadi un forte radicamento sociale, dominava nelle università ed . d' r 0 e~a p~drona della stampa. Alcu~i ~~isodi dell_a::~~ 0 ~~~osto vita di Hume, nel loro opposto significato,testimoniano di questa difficile gestazionedel nuovo, e delle sue alterne vicende. Nel 1745 veniva impedito

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

ad Hume,dipinto dagli avversari quale «scettico e ateonotorio»,di accederead una cattedra di filosofia nell'università di Edimburgo,ed ancora nel 1751 gli venivanegatala successionea Smith nella cattedra di logicaall'universitàdi Glasgow.Di segnocontrario,le vicendedel 1755-56:avanzata nelle assembleegeneralidellaChiesapresbiteriana,tenutesi in queglianni ad Edimburgo, la proposta di una condanna ufficiale

2.1

di Hume e delle idee sulla religioneda lui professate veniva respinta, e si affermavanoinvece le tendenze dei moderati, tra i quali numerosi erano gli amici del filosofo,aperti al nuovo, anche se, certo, distanti essi stessi dalle posizioni radicali di Hume. Quest'ultima vicenda doveva apparire come il segnaleche la strada verso la vittoria dei rinnovatori era ormai aperta.

Hume (1711-1776): ilfilosofo della natura umana La formazione giovanile. «Una nuova scena di pensiero»

If'j)'IavidHumeera nato in una fanrigliadi piccola •. ·:·•·····.··i•.··.····••.•.·•·.·. nobiltà discendenteda un ramo dei conti di •. . Homeo di Hume,cosiddettidal nome del territorio di cui erano proprietari, e il cui patrimonio non sarebbe spettato, se non in minima parte,a David,per la sua condizionedi figlioterzogenito,cheanchelo escludevadal godimentodel titolo nobiliare. Mortogliil marito quando David aveva appenal'età di tre anni, la madre si era trasferita a ~inewells,nellaScoziameridionale,dove risiedevano 1parentipiù prossimi.Qui Hume trascorse un'infanunprecoceziaserena?mostrandoun ~r~coceint.eresseper l.a distacco dallalettura,ahmentatadalla b1bhotecad1casa, formtedereligiosa ta di testi classicilatini e greci, delle opere di Miltone di Shakespeare,della collezione dello «Spectatorn di Addison(v.cAP. 20, SCHEDA,OPINIONE runBLlCA EGIORNALI ININGHILTERRA). Cresciutonella religione presbiteriana,Hume, forse anche perché sfavorevolmenteimpressionatodalla superstizionee dalle urtantipratichepenitenzialidominanti nella Chiesa del tempo,dovettepresto conoscereun progressivoraffreddamentodella propria fede, che nel giro di qualcheannosi sarebbeconvertitoin un definitivodistaccodallareligione. Nel 1721,in età di dieci anni, il piccoloe precoce pav~dera entrato all'Universitàdi Edimburgo,dove m cmqueanni aveva compiuti gli studi secondari, appassionandosi agli autori classici - in particolare, agliamatissimiCiceronee Seneca- e venendo a contatto con il newtonianesimoe con le idee di Traletterature classiche e Locke e Berkeley, penetrati nell'insegnamento filosofiauniversitarioe negli ambienti culturali della citmoderna tà. Avviatodalla famigliaaglistudi giuridici,presto vi avrebberinunciato a favore dei prediletti studiletterarie filosofici.Ne La mia vita un'autobiografiastesanegliultimi mesi prima dell; morte, così Humeracconta:

non fosse l'apprendimentodella filosofiae di una cultura generale,e mentrei miei familiaricredevanoche io avessigli occhi fissi su Voet e su Vinnen (due tra i maggiorigiuristi olandesidel XVII secolo),Ciceronee Virgilioerano gli autori che divoravoin segreto».

Anche un successivotentativo di far di lui un commerciante sarebbe fallito, e inutilmente egli avrebbe fatto pratica a Bristol presso una ditta commercialedi zuccheri. Il 1729 si era annunciato come un anno di Unannodi svolta nella vita di Hume, come questi stesso ci svolta racconta in una lettera del 1734: «Dopo molto studio e riflessionemi parve infine di giungereverso l'età di diciotto anni all'aprirsidi una nuova scena del pensiero di fronte a me, la quale mi impressionò oltre misura e mi fecemettere da parte ogni altro piacereod

«Provavoun'avversioneinvincibileper ogni cosa che

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The TronChurcha Edimburgo,in una incisione di J. Elphistone.

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occupazioneper dedicarmi,con l'ardore naturale in un giovane, interamentead essa».

trarsi alla solitudine degli studi, e nel 1734 era partito alla volta della Francia. Là lo attiravano probabilmente le suggestioni, che già aveva avuto modo di La spiegazione di che cosa fosse quella «nuova provare, dei pensatori francesi, Montaigne e Bayle scena del pensiero» la troviamo annunciata già nel prima e più di ogni altro. Dopo un breve soggiorno a sottotitolo del Trattatosulla naturaumana, il capola- Parigi, che gli consentì di introdursi nell'ambiente voro che I-lume avrebbe dato alle stampe dieci dei philosophes,ed a Reims, si ridusse a La Flèche Unostudio anni dopo: Un tentativodi introdurreil metodo dove, nel silenzioso raccoglimento del celebre colle1mewtoniano» dellanatura sperimentaledi ragionarenegli argomentimora- gio gesuita nel quale aveva studiato il giovane Carteumana li. Si trattava dell'applicazione allo studio della sio, studiò a fondo la filosofia francese del Seicento natura umana del procedimento scientifico per- particolarmente, Cartesio e Malebranche - e condusfezionato nel campo della scienza del mondo fisico da se a termine la scrittura del Trattato. Newton, in modo da fare anche di quello studio una Già nel 1737, di ritorno in Gran Bretagna, era vera e propria scienza, non meno attendibile e rigoro- alla ricerca di un editore, pieno di speranza che l'apsa di quella newtoniana, e come tale in grado di sosti- parizione della sua opera lo avrebbe imposto all'attuire le tante filosofie che, fin dai tempi antichi, han- tenzione generale come autore di una filosofia nuova no affidato la conoscenza dell'uomo più all'invenzio- e rinnovatrice. Ma i tre volumi del Trattato,dene che all'esperienza, mai procedendo in modo vera- dicati rispettivamente all'esame dell'intelletto, Sfortu_n~ta • • e della mora le, pubbl'1cat1 . a Lon- appar121011e del mente scientifico. L'autore indicava in Locke innan- de11e pass10m Trattato zitutto, e poi in Shaftesbury, in Mandeville, in Hu- dra, anonimi, nel 1739-40, conobbero un pesantcheson, gli autori che, volendo fondare interamente te insuccesso editoriale, passando pressoché inossersull'esperienza le loro indagini sulla natura umana, e vati - ne sarebbe apparsa una sola recensione, negadichiarandosi alieni da ogni preoccupazione metafisi- tiva e malevola -, e inutilmente I-lume ne avrebbe ca, avevano aperto la strada che egli, quale inusitato presentato, nello stesso 1740, anch'esso anonimo, un «Newton della natura umana», contava di percorrere Estratto, solo recentemente riconosciuto come opera fino in fondo. sua, nel quale, fingendosi un recensore del Trattato, Il decennio 1729-39 sarebbe stato dedicato da ne riassumeva i punti fondamentali. Solo alcuni anni I-lume quasi esclusivamente alla realizzazione di que- dopo, nel 1748, avrebbe riproposto in forma saggististo ambizioso progetto. Dopo alcuni anni di studio ca i contenuti del primo libro del Trattato con la . accanito, che aveva messo a dura prova la sua pubblicazione dei Saggifilosofici sull'intellettoumaU 11soggiorno 1 • 1osa de- no, ristampati infine nel 1758 sotto il titolo definitifrancese sa ute portan do1o su11'or1o d'1 una penco pressione psico-fisica, egli aveva deciso di sot- vo di Ricercasull'intellettoumano.

2.2

Il «Trattato sulla natura umana»: un filosofo scettico?

ir;!if :}~ii~iiigf ~{~f ~i

Ora, I-lume sa bene i grandi mutamenti e progressi che saremmo in grado di fare in queste come in ogni altra scienza, solo che

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irn· porre

la condizione per costruire finalmente il sistema di tutte le scienze, senza più procedere Tuttele scienze in modo parziale e rapsodico. Tutte le scienze, rinvianoinfatti - e non soltanto, come è per tutti evidenall'uomo te, la logica e la morale e la politica -, rimandano all'uomo come al loro comune presupposto. Scrive I-lume:

«conoscessimoa fondo la portata e la forza dell'intelletto umano, e potessimospiegarela natura delleidee di cui ci serviamoe delle operazioniche compiamonei nostri ragionamenti».

Fino ad oggi è stato seguito un metodo «tedioso ed estenuante» quanto inefficace, che ci ha tenuti alla periferia del sapere; quel che serve è puntare dritti al centro, ove soltanto è possibile trovare il fondamento che dia sicurezza e certezza alle nostre conoscenze. Così I-lume chiarisce, con metafora militaresca:

«È evidenteche tutte le scienzehannouna relazionepiù o meno grandecon la natura umana,e anchequelleche sembrano più indipendenti,in un modo o nell'altro,vi si riallacciano.Perfinola matematica,la filosofianaturalee la religio« ... invece d'impadronirci,di tanto in tanto, d'un cane naturaledipendonoin certo qual modo dalla scienzadel- stello o d'un villaggioalla frontiera, muoveredirettamente l'U0MO,poiché rientrano nella conoscenzadegli uomini, i alla capitale, al centro di queste scienze, ossia alla stessa quali ne giudicanocon le loro forzee facoltàmentali». natura umana: padroni di esso, potremo sperar di ottenere

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ovunqueuna facilevittoria ... Non c'è questionedi qualche importanzala cui soluzionenon sia compresanella scienza dell'uomo,e non ce n'è nessunache possa essererisolta con certezzase prima non ci rendiamopadroni di quella scienza».

Per assicurarsiuno statuto scientificopari a quello raggiunto,ad opera di Galilei e di Newton, dalla scienza del mondo fisico, anche lo studio dell'uomo deve poter risalire,sullabase dell'esperienzae dell'osservazione,dalla molteplicitàdei fenomeni umani a I . . . . . «pochi principi semplicidai quali tutto il resto pnm1d' d l' 1 h 1· e p11nc1p1 le «essenze» ipen e»; con avvertenza, pera tro, c e ta 1 principi mai potrebbero essere i «principi ultimi» cui vanamentehanno pretesoi filosofimetafisici. Hume, che non inutilmenteha meditato su Locke e, soprattutto, sull'«hypotesesnon fingo» di Newton, mette in guardia fin dalle prime pagine del Trattato dal cader vittime dell'illusionedi poter conoscerele «essenze»: «Essendociignotal'essenzadellamente al pari di quella degli oggettiesterni, è ugualmenteimpossibilefarci una nozionedei suoi poteri e qualità altrimenti che con accurati ed esatti esperimenti,e con lo studio degli effetti risultanti dalla differenzadelle circostanzee delle sue particolaricondizioni. E sebbene ci si debba sforzare di rendere tutti i nostri princìpi per quanto è possibileuniversali,elevandoi nostri esperimential massimogrado di generalitàe spiegando gli effetti con poche e semplicissimecause, è tuttavia indubitabileche noi non possiamomai andare al di là dell'esperienza,e che, qualunqueipotesipretendessedi scoprirele ultime e originariequalità della natura umana, la dobbiamo condannaresenz'altrocome presuntuosae chimerica.

Questadrasticalimitazionedei poteri conoscitivi dell'uomo entro i confini dell'esperienza,che consegna Hume ad una prospettivacoerentementeempiristica - assai più rigorosa, lo vedremo, di quella di Locke -, e di cui, nel corso del primo libro del U n progetto T 1· ff . . ·r· . costruttivo rattato, eg 1 o re ampia gmstr1caz10ne,non viene condotta da Hume in modo negativoe distruttivo, simile a quello ritornante nelle posizioni filosoficheche si è soliti etichettare come scettiche. Già lo vediamodal progetto,alquanto ambizioso,che si è propostodi portare a compimento:una «scienza» dell'uomo, che egli non sembra affatto considerare menomata, al punto di perdere credibilità e valore, solo per il fatto che non può avere a che fare con i principi primi: «Se qualcunoattribuissea difetto della scienzadell'uomo questa impossibilitàdi spiegarei principi primi, mi permettereidi farglinotare che, allora,un tal difetto è comune a tutte le scienzee le arti, sia quellecoltivatenellescuoledei filosofi o praticate nelle botteghe dai più umili artigiani. Nessuna di esse può andar oltre l'esperienzao fondare un principiose non su questa autorità».

Vedremo,pertanto, Hume procederead una radicale messa in discussione delle presunte certezze

dellaragione,sullequali i metafisicisono solitifondare i loro «sistemi»,simili a geometrichearchitetture, tanto perfette quanto artificiose e fondate per . aria: egli metterà allo scopertol'impotenza della muneassraa~ 111 • • ragrone a d'rmostrareche esistano sostanzemate- questione riali costitutivedel cosiddetto«mondo»;che nessi causalileghinotra loro gli oggettidella nostra esperienza secondouna necessitàche sarebbeinsita nella natura di queglioggettistessi;che esista Dio; che esista un'anima, fondamento della cosiddetta identità personale,e che essa sia immortale. Sarebbestato per questa sua implacabiledistruzione delle certezzedella ragione metafisicache Hume sarebbestato interpretato, fin da subito, e poi da una lunga tradizione storiograficache giunge fino a noi, come uno scettico integrale,demolitore di ogni possibilitàdi costruireuna scienzameritevoledi questo nome. Solo a partire dagli inizi del nostro secolo una critica più cauta ha sottoposto ad un esame più accurato dei testi questa interpretazione,e l'ha alquanto ridimensionata, preferendo parlare, Unarevisione novecentesca quantomeno, di uno scetticismo relativo - o di unvecchio «moderato»,come lo stessoHume lo aveva bat- schema tezzato -, ricco di molti elementi positivi e co- interpretativo struttivi. In particolare,è stato messo in evidenza come la lettura humiana della natura umana faccia gran posto,accantoalla ragione,alle componentiistintuali e·sentimentali,all'immaginazione ed all'abitudine, dalle quali dipende il generarsinell'uomocomune di credenzeintellettualie morali che nessun scetticismo dellaragionepotrebbemai riusciread estirpare.Fermo rimanendoche spetta alla ragionecritica- qui a buon diritto scettica- di smontarele astruseriedei metafisici comei sofismidei teologi,il suo compitodi frontealle credenzespontaneedell'uomocomuneè invecesoltanto quellodi metterein luce e di descrivere,senzapretendere né di fondarliné di negarliin forza di argomentazioni razionali- cose ambedueimpossibili-, proprio quei meccanisminon razionalidella natura dell'uomo che consentonoa quest'ultimodi costruirsiuna conoscenzaa suo modo valida dellarealtà. A sostegnodi quanto ora detto, ci piace mettere a confronto due pagine humiane che, con grande vivacità, mettono in evidenza rispettivamente la Duemodidi debolezza e l'insostenibilità dell'atteggiamentosopravvalutare scetticointegrale,proprio dei «pirroniani»,così l'astratta come di quello dogmaticodei metafisici,ambe- ragione due colpevoli di sopravvalutaresecondo modi opposti i poteri dell'astratta ragione: l'una, appartenente al Trattato,descriveda un lato il disagio dello scetticoper le speculazionirazionali«fredde»,«forzate», addirittura «ridicole», con le quali ha preteso cancellarele certezzedell'uomoimmersonella vita, e dall'altro la tentazione di abdicare alla filosofiamescolandosicon il volgo;l'altra pagina,tratta dalla Ricercasull'intellettoumano, liquida invececon brutale

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fermezza,quali sofismied illusioni,i presuntuosiragionamentidella metafisicae della teologia. Dice il Trattato: «Ecco,io pranzo,giuocoa tric-trac,faccioconversazione, mi diverto con gli amici;quando, dopo tre o quattro ore di svago, ritorno a queste speculazioni,esse mi appaiono così fredde, così forzate e ridicole, che mi vien meno il coraggiodi rimettermici dentro. Eccomi dunque deciso a vivere,a parlare e agirecomel'altra gentenegliaffari comuni dellavita ... son pronto a gettaretutti i miei libri e le mie carte nel fuoco,e a decideredi non rinunziareormai più ai piaceri della vita per amore dei ragionamentie della filosofia».

Nella Ricercainvece leggiamo:

E allora,gettiamolonel fuoco,perchénon contieneche sofismi ed inganni».

Esce da queste due diversepaginel'immaginedi un pensatore che scetticopuò dirsi solo nel senso di ch,iè impegnatoa ridimensionareil ruolo della ragione, riconducendoladentro i suoi limiti, senzaper questo negarne le effettive possibilità, che si vogliono però destinate esclusivamentealla descrizione,e non già alla contestazione,dei comportamentiintellettuali e morali dettati all'uomo dalla sua propria natura. Hume dice di no, insomma,alla pretesa della ragione di assolutizzarese stessa a scapito della vita; e bene egli avrebbecosi delimitatonella Ricercasull'intelletto umano la «professione»del filosofo:

«Quando scorriamoi libri di una biblioteca ... quale «sii filosofo,ma in mezzoa tutta la tua filosofiaresta distinzionenoi dovremofare?Se ci viene alle mani qualche volume, per esempiodi teologiao di metafisicascolastica, pur sempreun uomo». domandiamoci: 'Contiene qualche ragionamento astratto È tempo ormai di entrare nel merito di questa sullaquantità o sui numeri?'No. 'Contienequalcheragionamento sperimentalesu questionidi fatto e di esistenza?'No. filosofia.

2.3

La conoscenza: impressioni e idee. I princìpi della natura umana 1 primo libro. del Trattato è dedicato all'esame dell'intellettoe dei suoi poteri conoscitivi. Hume,innanzituttocondividecon Lockee Berkeley la convinzioneche la mente abbia a che fare soltanto con le proprie percezioni, al di là delle quali non potremmo andare, neppure se ci si provasse,aspingerci«finoal cieloo agliestremilimiti dell'universo»;anche in questo caso, non avremmo fatto un passo «di là da noi stessi». Sulla base di questo presupposto, egli procede alla distinzionedel materialepercettivoa disposizio. . ne della mente in due speciediversedi percezio1mpress1om e . . d' . d' . . . e «1'dee», idee m, cm a 11 nome 1 «1mpress10m» differenziandosida Lockee da Berkeley,che tutte le percezioniavevanoinveceindicato con il nome improprio di idee. Così Hume descrivequella distinzione:

ne nel momentoturbato; una cosa gustareil saporedi una mela, altra pensarlosenzaavere la mela in bocca. Le idee, insomma,sono il ricordo,la copia necessariamente illanguidita,il riflessodi impressioninon più attuali. Va da sé che, da una parte le impressioni godonodi una chiarezzaed evidenzatali da non ammettere alcuna discussione,e pertanto strappano di per sé l'assensodel soggettopercipiente,dall'altra invecemolte delle nostre idee appaiono oscuree si prestano a discussioniinterminabili. Sulletracce di Lockesi debbonopoi distinguere, tra le impressioni,quelledi «sensazione»,che vengono riferite ad oggettiesterni, e perciò sono dette del «senso esterno», dalle impressioni di «riflessione», che vengoninvecedette del «sensointerno» poi- 5 . •i:- • l l , « ensaz1one» e cbé son niente so tanto a soggetto senziente. r'fl s·ono . . . . . h «1 es 1 » Queste u1time - pass10m,emoz10m- sono anc e denominate da Hume «secondarie»- rispetto alle «La differenzatra esse sta nel gradodi forza e di viva- sensazioniche sarebberoinvece impressioni«primacità con cui colpisconoil nostro spirito ed entrano nel pen- rie» -, per il fatto che deriverebbero,o immediatasiero e nella coscienza.Le percezioni che penetrano con maggiorforza e violenza,le chiamiamo'impressioni':e sotto mente dalle sensazioni,o, per la più parte, dall'azione questa denominazioneio intendo tutte le sensazioni,passio- sull'anima delle idee di quest'ultime. Così Hume ni ed emozioni,quando fanno la loro prima comparsanel chiarisce: nostroanimo. Per 'idee' intendoinvecele immaginiillangui«Un'impressionecolpiscedapprima i nostri sensi e ci dite di queste sensazioni,sia nel pensareche nel ragionare». fa percepireil freddoo il caldo,la seteo la fame,un qualsiasi piacereo dolore.Di questaimpressioneuna copiaresta nella Una cosa sono le impressionidi chi è innamora- mente, anche dopo che l'impressionecessa,ed è quella che to, altra le idee di chi discetta sull'amoresenza esser- chiamiamoidea: Quest'ideadi piacere o di dolore,quando

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

tornaadoperaresull'anima,producele nuoveimpressionidi desiderio o di avversione,di speranzao di timore,chepossonogiustamente esserdette impressio,nidi riflessione,perché daessaderivano.Questevengono,da capo,riprodotte dalla memoriae dall'immaginazione, e diventanoidee. Cosicché leimpressioni di riflessionesono anteriorisoltantoalle loro ideecorrispondenti, ma posteriorialle idee di sensazione,e derivanoda queste».

La Chiesa presbiteriana scozzese

Le percezionidel senso esterno avevan posto, comesappiamo,ad empiristiquali Lockee Berkeley, mapiùin generalea tutti i filosofiche, da Cartesioin poi,avevanoesclusoche oggetto della mente fosse altracosadallesue stesseidee, avevanposto - dicevaunprobi mo- il problemadellaloro origine.Hume, fedele inassum~b~: all'~dozione del suo metodosperimentaledi ispirazionenewtoniana,rifiuta invece di prenderlo in considerazione, nonostanteche l'aver ammessola distinzione tra sensointerno e senso esterno sembrerebbedoverloevocare,tanto da provocarein lui qualcheincertezzain proposito.Decisoegli è, comunque, quandoafferma: «Quantoalleimpressioniprovenientidai sensi,la loro causaultimaè, a mio avviso, assolutamenteinesplicabile dallaragioneumana,e sarà sempreimpossibiledeciderecon certezza seprovengonoimmediatamentedall'oggetto,o sono prodottedalpoterecreatoredellospirito oppure se le abbiamodall'Autore del nostro essere». '

Nonha del resto alcuna importanza, per la costruzione di una scienzadellanatura umana, sciogliere unaquestionedel genere: «Noi possiamoragionare fondandoci sulla coerenza dellenostrepercezioni,sianoessevere o false,rappresentino esattamente la natura o siano mere illusionidei sensi».

A completamentodella sua disamina del materialedell'esperienza, Hume stabilisceinfine un'ultima distinzione tra «impressioni semplici»,non suImpressioni (e idee) semplici scetti?ilidi esseresuddivise- ad esempio,l'imecomplesse press10ne di colore -, ed «impressionicomplesse»,consistentiin collezionidi più impressioni semplici- ad esempio,l'impressionedi una mela -; cornspondentemente, si dovranno anche distinguere «ideesemplici»da «icieecomplesse». . • . d 11 Sullabasedi quanto detto finora Hume procede Iprmc1p1 e a li " l . . . , scienza a a 1ormuaz10nedel tre pnncipi che dovrebbero dell'uomo fungereda fondamentodella scienzadella natura umana:il principio della dipendenza delle idee dalleimpressioni;il principiodella libertà dell'immaginazione; ed infineil principio dell'associazionedelleidee.Vediamoli. L 'd a. Alla domanda «se le impressioni sono causa e, ee d 'd . . . . dipendonoe11 e 1 ee o v1eeversa»,non s1 può esitare a ndallespandereche non si potrebbemai pensaread una impressioni cosasenzaprima averne avuto l'impressione: «Perdare ad un bambino l'idea del colore scarlatto o i: !

400

differenzache in Inghilterra,la riforma religiosasi diffondein Scozia,durantela seconda metàdel XVIsecolo, secondoun'ispirazionequasi fin dall'iniziocalvinistica,e per un movimentodal basso, promosso,in conflittocon una monarchiapiuttosto debole,dallapiù partedei nobili,che costituivanola classedominante,in un paesedallestruttureancora accentuatamente feudali.La Chiesapresbiteriana,che da quellariformadoveva nascere,non ebbepertantoil caratteredi creaturadello stato,e quindila rigida strutturagerarchicaed episcopale,che invece contrassegnarono la Chiesa d'Inghilterra,anchese poi le complessevicendepolitiche, sullosfondodellequali il movimentoprotestantico scozzesevenne affermandosi,consentirono, in certi momenti,alla monarchiadi esercitaresu di esso la propriainfluenza

centralizzatrice. La tradizionestoricavoleva che la monarchiascozzese fosse in costanteconflitto con l'Inghilterrae, viceversa, intrattenesseforti rapportidi amiciziacon l'avversario storicodegliinglesi, rappresentatodalla monarchiafrancese.Fu questaunadellenon ultime ragioni,accantoal desiderio di metterele manisui beni ecclesiastici,che aveva indottola nobiltàscozzese, per rafforzarela propria autonomiadallacorona,a guardarecon simpatiaal diffondersifin dal terzo decenniodel XVIsecolodei primiorientamentiluterani,e alla riformapromossain Inghilterrada EnricoVIII.La gravecorruzioneassai diffusatra il clerocattolico avrebbecol tempofavorito, per partesua, la diffusione popolaredelleidee riformistiche,mentre,in un primomomento,la repressione,che il re GiacomoV e poi la reggente,

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~~

'

1 GiovanniKnox,in unaincisionedi H. Hondiusil giovane. 2 MariaStuardanel 1573,in un ritrattoanonimodelXVIsecolo.

2

tornato in Scoziaormai in nomedella figlia Maria Stuarda,del trono scozzese, acquisitoalla fede calvinista, Mariadi Guisa,avevano aspiravanoa soppiantarei volutodel movimento «papisti»,e ad imporreil presbiteriano,poté sembrare sistemaecclesiastico presbiteriano,il che avere- ma solo per breve avrebberoottenutol'anno tempo- un caratteredi resistenzanazionaledi fronte successivo,poco prima alla minacciaespansionistica dell'avventosul trono di MariaStuarda,di ritorno inglese. 111546è una data importante dalla Francia,dove qualche anno primaera andatain nellastoria del presbiterianesimo scozzese: sposa al re FrancescoIl. La regina,non più protettadalla tornavain quell'annodalla Svizzera,dove si era formato monarchiafrancese,investita dalla crisi provocatadallo alle idee dei riformati,un fanaticopredicatore, scatenarsidella guerradi GiovanniKnox,che sarebbe religione,avevadovuto stato il capo riconosciuto cedere,e anzi nel 1567 avrebbedovutoabdicare, della riformascozzese. reginacattolicadi uno stato Nonostanteche poco dopo ormai protestante. egli fosse costrettoa ripararein Inghilterrae poi di Nel 1560il Parlamento nuovoa Ginevra,il partitodei scozzeseavevaaccolto,su propostadi Knox,la riformatorivenne «Confessioscoticana»,ossia ingrossandosi,tanto che la fede calvinistacome Mariadi Guisafu costretta già nel 1559a concederela religionenazionale,aveva abolitola messacattolicae libertàreligiosaai la giurisdizionepapale.Era protestanti.Questiperò, insommanata la Chiesa sotto la guida di Knox,

presbiterianascozzese. Nell'annosuccessivo,veniva ancheaccoltoil Libro di disciplinadi Knox,che predisponeva un'organizzazione «democratica» della Chiesa: si stabilivache i fedeli di ogni parrocchiasi scegliesseroil proprio ministroe delle personeanzianecui affidare il governodella parrocchia;i ministrie gli anzianidelle parrocchiedi un medesimo territorioformavanopoi il sinodoprovinciale,e infine ad un'Assembleageneraledi ministried anzianiall'uopo designatidai sinodi provinciali,venivaaffidatoil governodella Chiesa nazionale. Il successoredi Maria Stuarda,il figlio GiacomoVI, cresciutonel protestantesimo ma anchenell'odioper i presbiteriani,avrebbetentato più volte di limitarei poteri dell'Assembleagenerale, contrapponendoad essa i nobili del Parlamento,ma solo divenutoanchere d'Inghilterra,alla morte di ElisabettaI nel 1603,riuscìin parte nel suo intento:impose alla Chiesascozzesevescovi di nominaregia,col poteredi controllareAssembleae sinodi provinciali,intervenne anchein materiadi fede e di liturgia,e insommamirò ad una sorta di anglicanizzazione della Chiesascozzesè.Questo tentativo,proseguitodal figlio Carlo I, e la reazioneviolenta dei presbiterianiscozzesi, culminatain una vera e propriaguerradi resistenza, si sarebberointrecciatia partiredal 1641,in modo assaicomplicato,con la guerracivileche nel frattemposi era accesain Inghilterratra monarchiae Parlamento.Durantela

401

dittaturadi Cromwellgli scozzesifurono puniti per aver accoltonel 1650come sovranoil figlio di Carlo I, depostoe giustiziatonel 1649,il futuro Carlo li d'Inghilterra:il Parlamentoe la Chiesascozzesifurono posti sotto il controllodiretto di Westminster,mentre venivaintrodottain Scoziala tolleranzareligiosain funzioneantipresbiteriana. La restaurazionedegli Stuart in Inghilterrae in Scozia avrebbesegnato,sotto il governodi Carlo Il e successivamente di Giacomo Il, la ripresadella trasformazionedella Chiesa scozzesesecondoil modello anglicano.Solo la «gloriosa rivoluzione»del 1688,seguita dall'accettazioneda parte della Scoziadella monarchia di Guglielmod'Orange, avrebbemessofine definitivamentea questo tentativo;se la Chiesa presbiteriananon avrebbe più riacquistatoil potere politico precedente,ad essa venneperò restituitoil monopoliodella organizzazioneecclesiastica del paese,ed assicurata pienaautonomiareligiosa, che le consentìdi mantenere integral'improntacalvinista del proprio credoe della proprialiturgia. Sol,onel corso del XVIII s~colo,in conseguenza soprattuttodell'unionedi Scoziaed Inghilterrain un medesimostato, sarebbero intervenutiprocessiculturali ed economico-sociali di ammodernamento, che avrebberoinciso anchesugli orientamentiteologicie religiosie sull'assetto organizzativodella Chiesa presbiteriana.Ma di questo abbian;ioaccennatonel testo.

PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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arancione,del dolce o dell'amaro,io gli presentogli oggetti ossiagli procuroqueste impressioni;non commettol'assurdità di cercaredi produrre in lui le impressionieccitandone le idee. Le nostre idee, presentandosi,non producono le corrispondentiimpressioni;né riusciamoa percepireun colore o a provareuna sensazionesemplicementepensandoci. Notiamoinveceche un'impressione,sia dellospirito che del corpo, è sempreseguitada un'idea che le somiglia,diversa soloper forza e vivacità.L'unione costantedelle percezioni somigliantiè, dunque,la prova convincenteche le une sono la causa delle altre; e questa priorità delle impressioni è ugualmentela prova che queste sono la causa delle idee e non viceversa».

A riprova di questo basti pensare che un uomo nato cieco o sordo, privo dunque delle impressioni dei colori e dei suoni, mai potrebbe acquisirele idee corrispondenti.Di qui l'enunciazionedel primo principio: «tutte le idee semplici,al loro primo presentarsi,derivano dalle impressionisemplicicorrispondentie le rappresentanoesattamente».

Ad evitare equivoci,va però detto che tale principio non vale solo per le idee semplici: esso vale anche per le idee complesse,non essendo queste se non collezionidi idee semplici. Da questo principio discendono alcune conseguenzedi notevoleimportanza.Innanzitutto che non esistonoidee innate, e semmaisono da dirsi innate le Idee. 1 impressioni,per il fatto che esse sono «una sorta se1~t~r:e~ di istinti naturali, non derivati da altro che dalla pensarecostituzione della natura umana»; in secondo luogo,da quel principioconsegueche il pensareè radicalmentecondizionatodal sentire, nel senso che non è nei poteri del pensiero creare idee dal nulla, potendo esso soltanto comporre, associare in modo diverso tra loro le idee fornite dai sensi e dall'esperienza. Ma soprattutto il principio in questione ci consente di adottare un eccellentecriterio di verificadella sensatezzao meno delle tante controversieche accompagnanola storia del pensiero umano e, segnatamente, i ragionamenti metafisici dei filosofi. Ogni volta che ci imbattiamoin un'idea oscurae confusa,o dubitiamo che ad un termine del linguaggiocorIl criteriodi risponda davvero una qualche idea, dobbiamo validificazione delleidee provare a ricondurre quell'idea oscura all'impressioneda cui è stata prodotta, o, nel caso del termine linguistico, dobbiamo chiederci se davvero esista un'impressione a cui possa essere ricondotta l'idea che si presume collegatacon esso. Nel primo caso otterremo di rendere chiara la nostra idea; nel secondo,qualora dovessimoconcludereche non esiste alcuna impressione a supporto della parola che usiamo, concluderemotranquillamenteche detta parola non ha alcun significato,e ci saremo così liberati

d'un colpo di tutte le controversieinsorte intorno ad essa. Vedremopiù avanti il drasticouso antimetafisico che Hume saprà fare di questo suo criterio di validificazionedelle idee. b. Abbiamo accennato al potere del pensiero di comporreliberamentetra loro le idee semplicifornite dall'esperienzainterna ed esterna. Tale potere viene esercitato dall'immaginazionela quale, proprio per questo,si distinguedalla memoria,che invecesi limita a registrareed a conservarele idee secondoil L. . . ord'me nel qua1e si• erano precedente- z'one '1mmagmamedesimo mente presentate le corrispondentiimpressioni. ' È così che Hume perviene a formulare il secondo principiodella scienzadella natura umana, consistente nel riconoscimentodella «libertàdell'immaginazione di trasporre e cambiarele sue idee». Si tratta della capacità di «analisi» e di «sintesi»,ossia, rispettivamente, di separareidee avvertitecome differenti,e di tornare a comporlein modo diverso da prima. Per cogliereappieno l'importanza del ruolo dell'immaginazionenei processi conoscitivi,basterà osservare che, senza la sua libera esplicazione,non sarebbe possibilealcun progressonellenostre conoscenze, che rimarrebberoferme alle registrazionipassive della memoria. c. D'altronde, neppure sarebbepossibilela conoscenza se la libertà dell'immaginazionefosse capriccio, ed essa operassele sue composizionie scomposizioni in modo del tutto arbitrario e imprevedibile.Gli uomini, in questo caso, non potrebberoneppure parlare tra loro e comprendersi,ognunodi essi chiu- L 1 . . . b'l . . ., . eregoe so ne11 a propna mcomumca i e soggettivlta,tutti dell'immaginaresi simili a dei pazzi. Libera come non lo è la zione memoria,l'immaginazionenon può però esserlo come nelle assurde associazionidi un folle. Devono pertanto esistere delle regole che, senza togliere all'immaginazionequella libertà che le è peculiare,la guidino,e la rendano, nelle sue operazioni,«in certa misura uniforme in tutti i tempi e luoghi». Arriviamo così al terzo principio della natura umana, che prevede l'individuazione, appunto, di dette regole della connessione o associazionedelle idee, e che Hume consideraquali espressionidiverse di una medesima«forzagentile»(gentlefarce), appartenente alla nostra stessa natura, che anzi è la nostra stessa natura. Tale forza, essenzialmenteistinti- u 1 . .1e ncercare . la causa, e che gentile» na«orza va, di. cm. sarebbe muti dobbiamopiuttosto assumerecome una proprietà originaria della natura umana, opera nel mondo mentale analogamente a come nell'universo fisico opera la forza newtonianadi gravitazione:essa spinge «gentilmente»la nostra mente, senzadunque costringerla - il che sarebbe incompatibile con la libertà dell'immaginazione-, ad associare «naturalmente» un'idea ad un'altra, ed a produrrecosì quellerelazioni che costituiscono il tessuto connettivo della nostra

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, •

vita psicologica.È qui che si rivela per la prima volta in tutta la sua evidenza il nucleo irrazionale che si nasconde al fondo dell'interpretazionehumiana dell'esperienza: non è infatti la ragione a costituire il fondamento dell'ordinamentodel mondo, bensì un principio istintuale, una forza, senza di cui la stessa ragione non potrebbe in alcun modo intervenire ed orientarsinellarealtà, ma di cui essa non è in gradodi riconoscerel'originee la causa. Interessante,a questo proposito, è notare che la vicinanzadi Hume a Newton non sta solo nell'analogia funzionale che indubbiamente corre tra «forza F quanto innanzi1.I1e» gentile» e forza gravitazionale, 11orzaaen . . e gravitazionetutto nella cautela metodologicacon la quale 11 newtonianafilosofoscozzesemette in guardia da ogni tentazione di dare di quella forza un'interpretazione metafisica.Dopo aver detto degli«effettistraordinari», «evidentidappertutto»,di questa«speciedi attrazione» che opera «nel mondo mentale»,e della quale però le

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s ali the perceptionsorthe sE e :r. mind may be divided into I. imprefliò1is and 'ideas,fo the ~ impreffionsadmit of another divHloninto originaiandfa· condary.This divifionof the impreffionsi~ V o t, II, 13 th~ Paginadelsecondo volume delTrattatosullanaturaumana diHume.

cause ci sono sconosciute,così Hume prosegue: «Non vi è cosa tanto necessaria a un vero filosofo quanto quelladi frenareil desideriointemperantedi cercare le cause:una volta stabilitauna dottrina su un numerosufficiente di esperimenti,eglideve arrestarsisoddisfatto,specie quando un ulteriore esame lo condurrebbea speculazioni oscureed incerte».

Ma vediamo quali sono le regoledell'associazione delle idee: Hume ne riconoscetre: rassomiglianza, contiguità spazialee temporale, e relazione di causa ed effetto. Intanto è evidente che la somiglianzatra due idee è di per sé una proprietà sufficientea sospingerel'immaginazionea passaredall'una all'altra, L . 1 d 1 . . .f e 1ego e ecome quando, ad esemp10,un ntratto c1 a pen- l'associazione sare naturalmentealla personaritrattata. Quanto delleidee alla secondaregola,non è difficilecomprendere che l'immaginazionenon può non esserecondizionata dalla contiguitànellospazioe nel tempo con cui gli oggettidel senso si presentanonelle impressioni,tanto da esser forzata solitamente'a riprodurla; e così, quando ricordiamoSaint-Denis,un sobborgodi Parigi, pensiamo senza sforzo a Parigi. Rimane infine la terza regola,che vuole che l'idea della causa richiami l'idea dell'effettoe viceversa,come quando pensando al figlio, portiamo facilmentel'attenzione sul padre. Ma su questa relazione associativa,di gran lunga la più importante, dovremotornare più avanti. • A rendere ancorpiù rilevantela portata di questa dottrina associazionisticahumiana è da mettere sul conto che essa non si riferiscesoltanto al livellodelle idee, ma si estende anche a quello delle impressioni: anche tra queste agisce la «forza gentile», che, 11Forzagen1.I1e» , • per cosi dire, le cementa le une con le altre, e impressioni creando tra esse «i soli vincoli che legano assieme le parti dell'universo»,e dai qualiviene reso possibile l'ordinee l'uniformitàdella natura.L'intera nostra esperienzapercettivane è condizionata:comenell'esperienzaesterna,all'impressione, ad esempio,del fuocosi accompagnaregolarmentel'impressionedel calore,cosi, nell'esperienzainterna, al dolore ed alla disillusione suoleseguirl'ira, all'ira l'invidia,all'invidiala malignità, alla malignitàancoradolore,e cosìvia, in un ordine che appareripetersiregolarmente. Non potremmo concludere l'esame di questa «geografiadella mente», come Hume chiama la sua indaginesui materialiconoscitivi,senza accennarealla questionedelleidee astratte,già affontata da Berkeley, che dà modo a Hume di confermarsiin quel- L 'd l'opera di umiliazionedellepresunzionidella ra- a:t;a~: gione che abbiamo cominciato a vedere. Dopo aver ripreso le argomentazionicon le quali Berkeley negaval'esistenza di idee astratte, ed aver fatto proprio il suo assunto nominalistico,sostenendoche le impressionie le idee sono sempre determinatee singolari, e solo l'uso che di quest'ultime facciamo nei

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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nostri ragionamenti fa assumere loro, che pur restano idee particolari, una portata universale, di rappresentanza delle idee simili, Hume insiste particolarmente sulla funzione cui l'abitudine assolverebbe in quest'uso universale delle idee. Via via che noi veniamo constatando una somiglianza tra gli oggetti di cui facciamo esperienza, imponiamo ad essi un medesimo nome, il che equivale ad aver acquisito un'abitudine;

ogni volta che, infatti, quel nome venga ricordato, vengono anche richiamate alla mente le idee particolari ad esso abitualmente associate. È questa un'ulteriore conferma di quanto siano potenti le forze istintuali su cui poggia l'edificio delle nostre conoscenze: anche l'abitudine ne è un esempio, del tutto simile come essa è, per la sua natura infrarazionale, alla «forza gentile» di cui parlavamo di sopra.

2.4

Verità di ragione e verità di fatto: certezza e probabilità

·.. I] i1~~zs\~~~~:::~ ~~~e~~~r;;r:~~~~~t;i~:~i~ ~:~~~ ....:::.:zioni tra idee, «dipendenti interamente dalle 1 terreno nel quale la ragione gode di un'indi;} scutibile autorità ed autonomia, libera dal con-

torio, al contrario, se domani il sole non sorgesse, un non-evento questo, che ci potrebbe soltanto turbare psicologicamente, e solo perché siamo abituati al suo contrario, regolarmente verificatosi fino ad oggi. Questo possiamo ripetere per qualunque altro fatto d'eidee messe a confronto», a prescindere cioè da ogni sperienza, intorno a nessuno dei quali la nostra conoriferimento al piano dell'esistente, ovverossia scenza potrebbe mai varcare i confini della probabiliL . e scienze d 11 • • • E' •1 d 11 • matematiche e e impress10m. questo i caso e e scienze tà, magari anche altissima, ed attingere certezza ed matematiche, che, se godono di una certezza che evidenza irrefutabili. Le materie di fatto non hanno non ha bisogno di alcuna verifica nella realtà, è per- come loro criterio di verità il principio di non conché questa nemmeno potrebbero avere, essendo esse traddizione, bensì la verifica empirica, in base alla scienze puramente ideali e convenzionali: quale soltanto si può stabilire la distinzione tra proposizioni vere e proposizioni false. «Anchese non vi fossero,in natura, cerchi o triangoli, Chiunque dimenticasse questo 'discrimen' tra le verità dimostrate da Euclide conserverebberointatta la verità di ragione, ideali e puramente ipotetiche, e veloro certezzaed evidenza». rità di fatto, probabili e solo statisticamente apprezza.. . Ciò non significa naturalmente che le idee mate- bili, e, non contentandosi a proposito di queste . d' d . . . . d' . Ventac11 matiche, checché ne pensino i razionalisti platoniz- u1time i stare entro ~ 1imiti i ~n sapere spen- ra ionee verità zanti, non abbiano un'origine empirica, al pari di ogni mentale, che del resto e quello cm hanno guarda- di~atto altra idea; ciò che Hume vuol dire è soltanto che, una to i Galilei ed i Newton, pretendesse invece stavolta ricavate dall'esperienza, le idee matematiche bilirne una validità necessaria, come se quelle fossero vengono analizzate per se stesse, facendo completa- verità di ragione, sarebbe condannato a avvolgersi in contraddizioni, insensatezze e sofisticherie di cui somente astrazione dalla loro origine. Pertanto, una volta stabilito, attraverso delle pre- no pieni quei libri di metafisica e di teologia• che, cise definizioni, il significato da dare, ad esempio, alle come abbiam visto di sopra, Hume consigliava di getidee di triangolo o di numero, la ragione procede a tare nel fuoco. Comincia qui, per così dire, la 'pars destruens' costruire, soltanto sulla base del principio di non Proposizioni matematiche e contraddizione, catene di proposizioni di cui sa- della ricerca humiana, destinata a passare in rassegna . principiodi non rebbe impossibile pensare il contrario, e che go- le idee cui i metafisici affidano le loro patetiche Questioni di contraddizione dono dunque di una necessità incontrovertibile: velleità, e a metterne in chiaro l'arbitrarietà e fattoe impossibile pensare, ad esempio, che gli angoli di l'inconsistenza. Prima fra tutte, l'idea di causali- principiodi un triangolo non siano uguali a due retti, o che due tà. Questa non è infatti un'idea qualsiasi: tutte le causalità questioni di fatto sembrano in effetti presupporla più due non faccian quattro. Le cose cambiano radicalmente quando si passi come l'unico schema di spiegazione dell'ordine seconda pure relazioni tra idee a questioni di fatto, la veri- do cui si presentano le impressioni, così interne come non può che essere affidata all'e- esterne. Le quesI.10m. d'1 fica •delle quali L . . d . h . fatto spenenza. a proposlZlone, a esemp10, c e recii ragionamentiriguardantile materie di fatto ta: 'domani sorgerà il sole', non si potrebbe mai scrive«Tutti Hume nella Ricerca- sembrache siano fondati sulla pretendere di dedurla dall'analisi dell'idea di sole, co- relazionedi causa ed effetto.Soloper suo mezzonoi conseme se da questa seguisse necessariamente il levarsi del guiamoqualchesicurezzaintorno ad oggettiche sono lontasole all'orizzonte; non ci sarebbe nulla di contraddit- ni dall'attualetestimonianzadella memoriae dei sensi».

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SEZIONE PRIMA. L'ILLUMINISMO BRITANNICO CAPITOLO 22

2.s

Spazio e tempo a prima di vedere la critica humiana dell'idea di causa ed effetto,soffermiamociun momento sulle idee di spazio e tempo, che pur essendo, certo, implicate nelle questioni di fatto, appartengono però anche alle discipline matematiche. Innanzitutto, Hume si preoccupadi confutarela teoria che vorrebbe spazio e tempo infinitamentedivisibili. Egli ricava l'impossibilità - che per lui Una impossibileequivale a impensabilità- della loro infinita didivisionevisione dal fatto, comprovato dall'esperienza, infinita che la capacità della nostra mente non è infinita; non è pertanto nei poteri dell'immaginazionedi andare oltre un 'minimum' nella divisionedelle idee, così come, del resto, delle impressioni. Quanto a stabilirela natura delleidee di spazio e tempo, occorrechiedersia quali impressioniessecorrispondano. Intanto è da escludere che quelle idee abbiano «un'esistenzaseparata e distinta» corriS . 11az10 e spon_ dente ad una presunta 1mpres~10ne • • de11 tempo: «modi o di sentire»spaz10e del tempo; esse «sono semplicementele idee della maniera o dell'ordine in cui esistono gli oggetti».Ciò equivale a dire che spazio e tempo non sono impressioni, ma piuttosto «modi di senti-

re», o, per dir meglio,modi di presentarsi delle impressioni,di per sé inesteseed istantanee,secondoun ordine, rispettivamente,di «coesistenza»e di «successione». Ad esempio,la percezionedella superficiedi un tavolo si rivela costituitadi un insiemedi impressioni semplici, che Hume chiama «minimi sensibili», M" .. • • dotat1• d"1co1ore e sol"d" mnm ovvero«atomi• percett1v1 1 1- «sensibili» e tà», di per sé inestesi- in quanto indivisibili-, che spazio per la «disposizione»con cui appaiono - coesistenti gli uni con gli altri - produconol'«impressione derivata» dello spazio,la quale non è un'impressione distinguibileda quelledei singoliminimi sensibili. Analogamenteper il tempo: «Cinque note suonate sul flauto ci danno l'impressione e l'idea del tempo, ma il tempo non è una IItempo sesta impressioneche si presenti all'udito»;

esso è semplicementela maniera - successione- con la quale quei cinque suoni si presentano. In tal modo, Hume recuperavala critica che già Berkeleyaveva svolto del modo con cui Newton aveva concepitolo spazio e il tempo.

2.6

La critica dell'idea di causalità

I

ome sappiamo,il criterio per verificarela vali. dità di un'idea è di stabilire se essa sia o no . riconducibilead un'impressione.Anche per l'idea di causalità si dovrà dunque procedereco• sì. Se ci chiediamoquali siano le componentidi questa idea, non ci è difficilerispondereche quelletra . di esse che hanno un riscontro nelle nostre imL e componenti • • l''d d ll . ., . dell'ideadi press10m sono: 1 ea e a contlgmta spaz10causalitàtemporale di ciò che diciamo causa ed effetto, l'idea della precedenzadella causarispetto all'effetto, e infine l'idea di una connessionecostante tra i due fenomeni considerati. Ascoltiamocome Hume espone il proprio pensiero nell'Estrattodel trattatosullanaturaumana: «Ecco qui una palla ferma sul tavolo del biliardo, e un'altra palla che rapidamentesi muoveversodi quella.Esse si urtano, e la palla che prima era ferma ora acquista un movimento... È chiaroche le due palle si sono toccatel'una con l'altra prima dellatrasmissionedel moto, e che non vi è stato alcunintervallotra l'urto e il movimento.La contiguità nel tempo e nello spazioè perciò una condizionenecessaria dell'azionedi ogni causa. Parimenti è chiaro che il movi-

mento, ch'era la causa,deveprecederel'altro, che era l'effetto. La prioritànel tempoè, quindi un'altra condizionenecessaria per ognicausa.Ma non è tutto. Facciamol'esperimento con quante altre palle si vuole, della stessa speciee in una situazionesimile: troveremo sempre che la spinta dell'una produce il movimentodell'altra.Abbiamdunque una terza condizione,e cioè una unionecostantetra causaed effetto... Oltre a queste tre condizioni... io non so trovare altro in questo rapporto di causalità».

Eppure, se torniamo ad interrogarci su che cosa pensiamo quando pensiamo il rapporto causale, ci accorgiamo che abbiamo in mente anche una ,.d d" •• • l'"d LI ea 1 quarta cond.1z10ne, ossia 1 _eache tra ca~sa ed «connessione effetto sussista una connesswnenecessaria,per necessaria» ... cui, una volta data la causa, ne debba seguire necessariamentel'effetto. Il problema è allora quello di spiegaredonde derivi questa idea. È da escludereche essaprovengadalle impressioni. Rivolgiamo pure quanto si vuole, da tutti i lati, gli oggettidella nostra esperienza;non trove- d~nonproviene remo alcuna qualità conosciutada cui quell'idea impressioni... possa dipendere. Proviamo a metterci nella si-

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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tuazione di Adamo, di un uomo venuto al mondo che certi particolari oggetti sono costantementeuniti con altri». all'improvviso: «Mai avrebbepotuto indurre dalla fluiditàe trasparenza dell'acquache questa lo poteva soffocare,né dalla luce e dal calore del fuoco che questo poteva consumarlo.Nessun oggettoscopremai, per mezzodellequalità che i sensipercepiscono, le cause che l'hanno prodotto o gli effetti che ne sorgeranno».

Eppure si suppone che «Adamo,appena creato, fosserazionalmenteperfetto». Ciò fa sorgereil sospettoche neppure sia ipotizzabile che l'idea di connessionenecessaria ci venga fornita, come hanno insegnatocerti filosofi,dalla no. . ,.d stra stessa ragione, prima e indipendentemente ...nee unI ea d . . Il'.d . 8 priori a ogm esperienza,come se que 1 ea corrispondesse ad una sorta di originariaintuizionedi per sé evidente, o ne fosse possibileuna dimostrazione razionalea priori. Basti pensare che, sul terreno delle questioni di fatto, cui appartengono le connessioni causali tra gli oggetti,una proposizionecome 'il sole si leverà domani' non gode, l'abbiamo già detto, in alcun modo di una necessitàintrinseca,che escludala possibilitàdi pensare il contrario.Ciò vale anche per il caso delle nostre palle da biliardo: chi potrebbe negarela perfetta concepibilitàdi supposizionidiverse dalla previsioneche facciamoquando diciamoche la palla ferma, una volta urtata dall'altra, si metterà anch'essain movimento?

Bisognaandare più a fondo.La scopertadelUnione l'unione costante di due oggetti non comporta, costantee infatti, di per sé - osserva Hume nel Trattato- connessione che tra di essi sussistauna connessionenecessa- necessaria ria: «Essaimplicasemplicementequesto,che oggettisimili si sonosemprepresentatiin una relazionesimiledi contiguità e successione;e sembra evidente,almeno a prima vista, che con questo mezzo non potremo mai scoprire un'idea nuova,e potremosoltantomoltiplicare,ma non approfondire gli oggettidellamente ... Dalla sempliceripetizione,anche all'infinito,di impressionipassate,non sorgeràmai un'idea nuova,originale,comequelladellaconnessionenecessaria,e in questo caso il numero delle impressioninon conta più di una sola».

Andare più a fondo significherà,allora, scoprire che l'idea di una connessionenecessariadi causa ed effetto, e la credenza a quest'idea unita, sorgonoda una forza, che sta prima e al di sopra della ragionee di ogni sua argomentazione,e pur è costitutiva L 1 dell.anostra ~atura:.si tratta della forza dell'.«abi- d:ll'~:~tudine 11 tudme», che mtervienea sorreggeree ad ahmentare l'immaginazione,inducendolaad interpretare la connessionecostante tra un antecedenteed un susseguentecome se consistessein un rapporto necessario, e a credere in questo; in tal modo un semplicehoc «Non potrebbe forse quella in movimento arrestarsi, post hoc viene trasformatoin un hocpropterhoc. ed ambedue rimanere in quiete assoluta?non potrebbe la Leggiamonell'Estratto:

prima tornare indietro in linea retta o scappareda uno dei lati in una qualsiasi direzione?Tutte queste supposizioni sono coerentie concepibili.Perchédovremmodar la precedenza ad una che non è né più coerentené meno difficilea concepirsidelle altre? Tutti i nostri ragionamentia priori non potranno mai giustificarequesta preferenza».

«Ciò che ci spinge a supporre il futuro conforme al passato è soltanto l'abitudine.Quando vedo una palla da biliardomuoversiversoun'altra, il mio pensieroè immediatamente indotto dall'abitudinea concepirel'effetto solito,e anticipala vista nel rappresentarsiil movimentodellaseconda palla.Gli oggetti,consideratiastrattamentee indipendenEppure, nella realtà, noi non esitiamo un mo- temente dall'esperienza,non hanno in sé niente che mi comento nel prevedereil movimentodella secondapal- stringaa formulareuna conclusionedel genere;e anchedopo la, una volta urtata dalla prima. Anzi, non ci limitia- aver moltevolte ripetuto l'esperienzadi effettisimili,io non mo a prevedere:crediamoche la palla si muoverà,ne . trovo un argomento,che mi faccianecessariamentesupporre siamo certi,a tal punto che ci è impossibilecrederead la futura conformità dell'effetto all'esperienzapassata. Le potenzeche fanno agirei corpi ci sono del tutto sconosciute. nonostante ci rendiamo conto Noi di essi percepiamosoltanto le qualità sensibili:e qual Unaeredenza •altre eventualità, . nonsradicabileche, teoricamente, sarebbero tutte egualmente ragione abbiamo di pensare che le stesse potenze saranno concepibili.È così che, «senzatante cerimonie», sempre·congiuntecon le stessequalità sensibili?Non è dunprocediamoall'inferenzacausale,che vuole che anche que la ragioneche ci guida nella vita, ma l'abitudine. Essa in futuro debbaripetersi quanto finora, costantemen- soltantoinduceil pensiero,in ognioccasione,a supporreche te, è accaduto. Dobbiamo, pertanto, tornare a chie- il futuro sia conformeal passato. Per quanto facile sembri questo passo, la ragione non riuscirebbea farlo mai, per derci: donde ricaviamo l'idea che tra i movimenti tutta l'eternità».

delle due palle vi sia una connessione necessaria? donde, la credenzacosì radicata in detta connessione? Un testo, questo, ché più eloquentementenon Non basta - anche se è ineccepibile- una prima potrebbemettere in evidenzal'impotenzadella ragiorisposta di Hume: ne, e la sua dipendenzadalle forze istintualidell'uma«Oso affermare,come proposizionegeneraleche non na natura. Certo, è un ragionamentoche ci conducea queammette eccezione,che la conoscenzadella relazionecausale ... sorgeinteramentedall'esperienza,quandonoi troviamo ste conclusioni,ma esso è fondato su un presupposto

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- l'uniformità della natura - che mai potrebbe essere dimostrato: «che il corso della natura possa cambiare è possibile, dato che nulla ci vieta di concepireun tal cambiamento».

La conformità tra futuro e passato «è una questione di fatto» e, pertanto, «su questo punto non è possibile prova alcuna; noi l'ammettiamocome vero senza prova alcuna».

Unica autorità, l'abitudine. Due sono le conseguenze,importantissime, di questa «anatomia»humiana delle strutture psicologiche che presiedonoalla formazionedell'idea di causalità: a. da un lato emergeche «la necessitàè qualcosa che esiste nella mente e non negli oggetti»;b. dall'altro viene confermata la tendenza a privilegiare, in rapporto alla formazione delle convinzioni intellettuali, le componentiistintuali e sentimentalidella natura umana piuttosto che la ragione, la quale ad esse viene anzi bruscamentesubordinata. a. Contro la prevalente tradizione filosofica, orientata a pensare la causalitàquale struttura intrinseca alla natura oggettivadelle cose, e magari avente il proprio fondamentoultimo in Dio, Hume attribuisce all'uomo stessola responsabilitàdi avere istiL'ideadi causalità:tuito l'idea della connessionenecessariadei fenoun'ideatutta meni: non è l'inferenzacausalea fondarsi su una umana...presunta connessione necessaria esistente negli oggettiindipendentementeda noi; ma, al contrario, è l'idea della connessionenecessariaad avere la sua origine nell'inferenzache noi stessi facciamo,sospinti dall'abitudine e dall'immaginazione. In tal modo Hume nega al principio di causalità ognipretesa di valereassolutamente,e lo riduce entro . d' . i confini di una scienzasperimentaledella natura ...privaP~~:;~di ispirazione newtoniana, peraltro opportunaontologicamente emendata da quella tentazione di compierne un'integrazione metafisica, che era presente nel pensiero di Newton e dei newtoniani. b. A fondamentodel nostro inferire l'effettodalla causa, s'è visto, non c'è la ragione,bensì una inclinazione spontanea, un vero e proprio istinto naturale, . dal quale scaturiscequella credenza nell'unifor1 ~!';i~n: mità della natura e nella necessità del rapporto causale, che ci guida e ci dà sicurezzanella vita pratica, e che mai la ragionené saprebbeprodurre,né, peraltro, saprebbe nemmeno distruggere. chiedersi in che La naturadeIla Diventa, .allora, indispensabile . credenzacosa consistaprecisamentela natura della credenza, o fede (belief), che, come vedremo, sta alla base anche delle altre «certezze»dell'uomo comu-ne, relative all'esistenzadelle cose corporeee dell'io. La credenza non è semplicementela «concezione» di una cosa: molte infatti sono le cose che noi concepiamoalle quali non crediamo.Essa è piuttosto

Ritrattodì DavìdHume.

un certo modo di concepire;non è una percezione, idea o impressioneche sia, ma piuttosto, un Concepire e concepire certo modo di 'sentire', tale da convincercidell'esistenza di ciò che percepiamoe della sua differenza da ciò che, pur potendoloconcepire,avvertiamoinvece come irreale e fantastico. «Noi possiamo- scrive nella RicercaHume -, nella nostra concezione,congiungerela testa di un uomo con il corpo di un cavallo,ma non è in nostro potere credere che un tale animaleesiste realmente».

La credenza è insomma un «sentimento che non dipende dalla volontà, né può quindi esser comandatoa piacere».

In quanto sentimento, noi lo possiamo sentire, tire, non definire; tutt'al più possiamotentare di un sentimento . . , descnverlo, cosi: «La credenzanon è nulla più che una concezionepiù vivace,vivente,efficace,ferma,più salda,di ciò che l'immaginazioneda sola sia mai capacedi raggiungere... è quell'atto della mente che rende la realtà ... più presente a noi che non le finzioni, fa che pesino di più sul pensiero e dà loro un'influenzasuperioresullepassionie sull'immaginazione».

Quanto all'origine della credenza, essa va ricercata nel fatto che le impressionisono tanto più vivaci ed intense delle idee, e per questo sono capaci di . , . . d 11 " • . , alle i.dee Lcredenza origme e a trasmettere questa 1oro 1orza e vivacita con cui stanno in rapporto costante:come quando, per riprendereil solitoesempiodellepalleda biliardo, l'impressionedel movimentodellaprima suscitain me irresistibilmentel'idea del moto della seconda,accompagnatadalla certezzache esso si verificherà.

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

2.7 """"""'"'"'"'""'

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Esiste un mondo corporeo? Esiste l'anima, l'io? n'analoga indagine critica Hmne conduce, a proposito delle altre «certezze» che assistono gli uomini nella loro vita quotidiana, della pretesa dei metafisicidi erigerlea verità razionalmente dimostrabili: si tratta della credenza in un mondo di cose materiali esistenti fuori di noi, che i metafisici riconducono all'idea di «sostanza Altre matena • 1e», e de11 • ' perso«ceiiezze> a eredenza nell''d 1 ent1ta > nale, che essi pretendono di fondare sull'idea di «anima», o «io», o «sostanzaspirituale». Quanto al problema dell'esistenzadi un mondo corporeo,Hume comincia con l'osservare che non si tratta di stabilire «se i corpi esistano o no», giacLacausadella credenzaché il filosofocritico sa che gli unici oggettidella nell'esistenzanostra esperienza sono le impressioni e le idee, deicorpi:... dalla cui cerchia mai si potrebbe uscire; la questione è piuttosto quella di stabilire

duca ad una «inintelligibilechimera»,ad una «fantasia» del tutto illusoria.La conclusionecui pervienela ragionecritica non può essere,allora, se non quella di riconoscere nei cosiddetti oggetti esterni nient'altro che delle collezionidi impressionied idee. Eppure, nonostantetutto, è radicata in noi, nella nostra natura, indistruttibile, la convinzione che le cose esistano davvero fuori di noi, e continuino ad esistereanche quando non le percepiamo.Questa certezza, che ci salva dall'opera altrimenti distruttiva della ragione, ce la offre, ancora una volta, l'immaginazione. Vediamo come. Il punto di partenza è costituito dal rilevare la costanzadelle nostre impressioni:

«Quellemontagne,quellecase, queglialberi, che vedo presentemente,mi sono sempreapparsi nel medesimoordine; e se chiudo gli occhi o volgo la testa, poco dopo mi si ripresentanosenzala minima alterazione.Il mio letto, «quali sono le cause che ci induconoa crederenell'esi- la mia tavola,i miei libri e le mie carte, si presentanoa ~atSlanza stenza dei corpi». me nello stesso modo uniforme, e non cambiano per . e e . . un'interruzionedel mio vederli o percepirli». nnpressiom

Chiarito che la credenzadell'uomo comune consiste nel ritenere che i corpi continuino ad esistere anche quando non sono presenti ai nostri sensi e che dunque abbiano un'esistenza indipendente e distinta dalle nostre percezioni,si tratta di capire se a produrre questa credenza siano i sensi, la ragione, oppure l'immaginazioneconfortata dall'abitudine. Come nel casodell'idea di causa ed effetto,anche qui la risposta di Hume è netta: anche questa credenza è fondata su memoria, immaginazioneed abitudine, e mai i sensi o la ragione la potrebbero generare. . . Non i sensi,poiché per essi un oggettoesiste solo ...nonI sensi... finchée in quanto sia percepito;supporrel'esistenza di oggetti distinti e indipendenti dalle percezioni, significaessergià andati oltre gli attestati dei sensi. Non la ragione- prosegueHume -, poiché l'analisi critica che essa conduce delle nostre conoscenze 1 empirichemostra come «tutto ciò che si presenta ...nep~~\~n:alla mente non è che percezione,la quale è intermittente e dipendente dalla mente»:tutto il contrario, dunque, di un'esistenza continuata e indipendente dei corpì. Quanto al tentativo condotto dai filosofimoderni, ultimo tra tutti Locke,di fondare razionalmentela credenza nell'esistenzadel mondo corporeo sulla distinzione tra qualità primarie e qualità secondaQualità rie, che autorizzerebbead ammettereuna sostanprimarie e secondarie:za materiale quale sostegno delle prime, Hume d'accordo con riprende le argomentazionicontrarie di Berkeley, Berkeleye mostra come l'idea di sostanza materiale, non essendoriconducibilead alcuna impressione,ri-

Questa costanza delle percezioni è già una premessache avvia alla supposizionedell'esistenzacontinuata e indipendente dei corpi. È vero che «spessoi corpi mutano di disposizionee qualità, sicché,anche dopo una breve assenzao interruzione,si riconoscono appena», ma si tratta di mutamenti che per la loro regolaritàe coerenza non sembrano in contrasto con quella supposizione: «Quando ritorno in camera dopo un'ora di assenza, non trovo il fuoconellestessecondizioniin cui l'ho lasciato; ma io sono abituato a vedereuna similealterazione,prodotta in similetempo, in altre circostanze,ch'io sia presenteo assente». •

Dal ripetersi costante e regolaredi successionidi impressionitra loro fortementesimili si forma un'abitudine, che sospingel'immaginazionead identificare tali insiemi di impressioni, colmandone la di- L b. d. • • , nell''d • • 'a 1tume scontmmta 1 ea d'una loro esistenza continuata. Insomma, dalla costanza, coerenza e somiglianzadellenostre percezioninascel'opinionedi una esistenzacontinuata dei corpi, e di una loro indipendenza dalle nostre percezioni. Ed anche in questo caso, come in quello della connessionecausale necessaria,noi non ci limitiamo a 'concepire' l'esistenza continuata ed indipendente dei corpi, ma ci 'crediamo', anzi non possiamo L d ~ . sotto la spmta . irre . frena- a ere enza 1are a meno d'1erederc1, bile di un istinto che nasce dalla nostra stessa natura e, anche in questo caso, confliggevittoriosamentecon

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SEZIONE PRIMA. L'ILLUMINISMO BRITANNICO CAPITOLO 22

LU le argomentazionidella ragionecritica. Parlare,comefannoi metafisici,di noi stessicome ~ Lo stessoprocedimentoHume segueper quanto di sostanzepensanti e immateriali,è pura fantasia: ::::, riguarda la credenza nell'identità personale .e l'idea :r: «Noi non siamo che fascio collezionidi differentiper,.d 1. dell'esistenzadi sostanzespirituali.Se ci affidia- cezioniche si susseguonocon una inconcepibilerapidità, in I ea e1 Lostanza • de11 • • 1ta un pertetuo flussoo movimento... La mente è una speciedi mo a11 e ana1· 1s1 a rag10ne e a quanto nsu !pirituale dall'esperienza,dobbiamo riconoscerel'inconsi- teatro, dove le diversepercezionifannola loro comparstenza di un concettocome quello,caro ai filoso- sa, passano,ripassano,scivolanovia e si mescolanoin Unap~ra fi, di «anima» - o «spirito», «sostanza pensante», una varietà infinita di atteggiamentie di situazioni>,. fantasia «sostanza immateriale»,che dir si voglia -, con il E ad evitare che qualcunocerchi ancora di penquale si è creduto di poter fondare l'idea di un «io» sare che in questo fluire qualcosa di fisso e sempre personale,sempre identico a sé. identico a sé pur vi sia, Hume aggiunge: Intanto non è vero, con buona pace di Cartesio, b. Nonab iamo h d' ''d d 11' • P?IC • hé m. • que«Non si fraintendail paragonecon il teatro: a costituir l'ideadi ((io»c e posse iamo un 1 ea e «1_0», sto caso ne dovremmoaver pnma 1'1mpress10ne, la mente non ci sono che le percezionisuccessive;noi non abbiamola più lontana nozionedel posto dove si rappresene questa invece non si dà: tano queste scene e del materialedi cui è composto».

«Se ci fosse un'impressioneche desse origine all'idea dell'io,essadovrebberestarela stessaper tutta la nostravita, poichési supponeche l'io esistain questomodo.Invecenon c'è alcunaimpressioneche sia costantee invariabile.Dolori e piaceri,affannie gioie,passionie sensazionisi alternanodi continuo, e non si danno mai tutti insieme. L'idea dell'io non deriva quindi da alcuna di queste impressioni,né da nessun'altra:di conseguenza,una tale idea non esiste».

Incalza Hume: «Per parte mia, quanto più mi addentro in quello che chiamo il mio io, semprem'imbatto in una particolarepercezione,di caldo o di freddo,di luce o di ombra, di amore o di odio, di dolore o piacere, o di altro. Non riesco mai a cogliereil mio io senza almeno una percezione,a notare altro che non sia l'atto del percepire ... E se tutte le mie percezionifosserosoppressedalla morte, sì che non potessi più pensaree sentire,vederee amare e odiare,e il mio corpo si dissolvesse,io sarei completamenteannientato,e non so che altro si richiedaper far di me una perfetta non-entità».

Nonostante la forza di queste argomentazioni della nostra ragioneusata criticamente,anche per l'i dentità personaledi ciascunodi noi resisteun'inclinazione naturale a credervi che, ancora una volta, una si nutre della forza dell'immaginazionee della Ancora volta,la forza memoria. In questo caso, l'immaginazionefa le- dell'immaginava sulla memoria, che le consente di vincere la zionee della frammentarietà e mutevolezzadelle percezioni memoria interne, e di riunirle, per la somiglianzache le lega, nell'idea fittizia dell'io. In particolare, esercita un'influenza decisiva il fatto che quelle percezioni, similmentea quelle del senso esterno, son già legate tra loro dal nessocausale,secondoil quale «si generano reciprocamente,si distruggono,si influenzano e modificanol'una l'altra»:quelloche si suolechiamare il nostro io, o la nostra persona,non è altro che questo concatenamentodi cause ed effetti. Dalla risoluzionedellavita interna della coscien-

Letteradi Humea W. Strahan,il suo editore.

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

za nella successionedelle percezioni, Hume ricava infine l'argomento che gli consente di subordinare anuniformi,nel senso che sussisteun'unione costante Uniformità dei che l'uomo a quell'uniformitàche abbiamo trocomportamenti vato nei comportamentidella natura fisica,giunumani e libertà gendo così a metterne in discussionela libertà. Anche i comportamenti dell'uomo sono infatti

LJ.J

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tra le azioni che eglicompieda una parte, e i moventi, le situazioni, i caratteri dall'altra; di conseguenza, quei comportamentisono prevedibili,né più né meno di quelli della natura, e, al pari di quelli, necessitati, naturalmentenel senso sperimentale,e dunque relativo, del termine 'necessità'.Ma con questo già ci introduciamo alle problematichedella vita morale.

2.8

La vita di un saggio alla ricerca della gloria letteraria opo l'insuccessodella pubblicazionedel Trattato, Hume mise da parte i suoi interessipiù propriamente teoretici per dedicarsi, lungo il decennio 1741-51, prevalentemente a studi di morale, politica e religione, che si sarebbero concretizzatinei Saggi moralie politici,pubblicatinel Gr ·tr 1741,destinati ad un discreto successo,nella Rietico-p~~~~ 0: cercasui princìpi della morale del 1751, e nella religiosi stesura in questo stesso anno dei Dialoghisulla religionenaturale,che per motivi prudenziali rinunciò a pubblicare,e che sarebberoapparsi solo nel 1779,postumi. Egli si portava dietro, provocata dal Trattato,l'accusafastidiosadi scetticismoe di ateismo - che tra l'altro, come s'è già ricordato,gli aveva fatto perderel'opportunitàdi saliresu una cattedrauniversitaria dell'universitàdi Edimburgo- , e non intendeva probabilmenteaggravarela propria posizione,facendo apparireun libro sullareligioneaudacementespregiudicato. Ciò peraltro non gli aveva impedito nel 1748 di inserirenei Saggi filosofici sull'intellettoumano, anch'essidestinatiad un buon successo,uno scritto Sui miracoli,che otto anni prima aveva rinunciatoa pubblicarenel Trattato,e nel quale non era difficilepercepire la sua indifferenzareligiosa. A proposito dei Saggi, ribattezzati dieci anni dopo Ricerca sull'intellettoumano, che rappresentavano, come sappiamo, una rielaborazionedel primo liRidimensionabro del Trattato, si deve dire che essi, insieme mentodel con la Ricercasui princìpidella morale, segnavaprogramma no l'abbandono da parte di Hume dell'ambizioso primitivoprogrammagiovaniledi costruire una scienza sistematicadella natura umana, a vantaggiodi una considerazionepiù «saggistica»di quest'ultima, nella convinzioneormai maturata che non fosse nei poteri dellaragionericondurre a pochi princìpi la complessa ricchezzadell'esperienzaumana. Negli anni precedenti, la vita di Hume era stata Interessi politici e movimentataper alcuni viaggicompiuti in Franstorici. La cia, Italia ed Austria, al seguito di un generale Storiache lo aveva preso al proprio servizio,e dai quali d'/11ghilterra il nostro filosofo si era ripromesso, oltre che i proventi necessarial vivere, una più ampia espe-

rienzadel mondo,che pensavagli sarebbetornata utile anche per i propri studi. Questi si erano andati infatti sempre più orientando verso i problemi etico-politici dell'attualitàe gli interessistorici,come sarebbeapparso durante gli anni cinquanta,quando avrebbepubblicato nel 1752i Discorsipolitici, e si sarebbededicato, potendovalersidellabibliotecadellafacoltàdegliavvocati pressol'universitàdi Edimburgo,di cui nel frattempo era divenutoil conservatore,alla stesuradellamonumentaleStoria d'Inghilterrada GiulioCesarealla «gloriosarivoluzione»,apparsatra il 1754e il 1762,che gli avrebbe procurato grande notorietà internazionaleed agiatezzaeconomica.Anche delle critiche, però: oltre che da parte dei soliti ambienti ecclesiastici,dagli whigs,che avvertirononei volumidedicatial XVII secolo un'ispirazioneschiettamenteconservatrice. Dopo esserescampatoal rischio dellapersecuzione religiosa,culminato, come s'è già detto, negli anni 1755-56,Hume pubblicavanel 1757un saggio,fin nel titolo assai irriverente, sulla Storia naturaledella 1.b . . h bb . 1 •1 • • Un i ro rel1g!on~,c e_avre. e ~usc1tat? e_~10ent1ss1meirriverente reaz10mdegh amb1ent1ecclesiast1c1, non senza spaventare i suoi stessi amici, troppo moderati per anche soltanto apprezzarele sue idee religiose. Segno eloquente della fama ormai diffusasi anche nel continente,furono i riconoscimentie gli onori tributatigli a Parigi durante un soggiornodi alcuni anni, tra il 1763 ed il 1766, in qualità di addetto all'ambasciatabritannica, riaperta dopo la fine della guerra dei Sette Anni. Hume frequentò i circoli e i salotti illuministici della città, entrò in rapporti La amichevoli con i philosophes,da d'Alembert a frequentazion Diderot, da Buffonad Helvétius,fino a d'Holba- dei ch. Più che come scrittore di cose strettamente philosophes filosofiche,egli era conosciutoe apprezzato per gli scritti politici e storici, oltre che per quelli intorno alla religione,circa i quali vi era chi, come d'Holbach, trovava che egli fosse anche troppo moderato. Il suo «umoreaperto, socievolee brioso»,il modo serenoed equilibratodi mettersi in rapporto con gli altri, la sua compagnia,«non sgradevoleai giovani ed agli spensierati, così come agli studiosi ed ai letterati», dovet-

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tero contribuire per la loro parte al successoanche mondano del filosofo,il quale non disdegnòl'amicizia sentimentalecon la dama che lo aveva introdotto negli elegantisalotti parigini. Lui che, scherzosamente, avrebbe scritto di avere una famigliacompostada lui stesso, un gatto, una domestica,una sorella. Al ritorno in Inghilterra si sarebbe aperto per Hume un doloroso capitolo della vita, rappresentato dal caso Jean Jacques Rousseau:su suo invito, questi lo aveva raggiunto a Londra, in cerca di protezione dalle persecuzionicui era soggettoe dopo la rot11 Rous~::~ tura con gli ambienti illuministiciparigini. Il carattere ombroso del ginevrinoe la mania di persecuzionedi cui ormai era preda lo fecerovaneggiare di un complottoordito da Hume ai suoi danni, dopodiché abbandonavabruscamentel'amico, facendo ritorno in Francia. Il nostro filosofovolle pubblicarela documentazionedella spiacevolevicenda per allontanare da sé ogni sospetto,ma poco dopo se ne sarebbe pentito, essendosireso conto delle condizionidi salute di Rousseau. Dopo un breve incarico nel governoinglesein Gliultimianni qualità di sottosegretario,Hume, ricco e ormai sicurodi quellaglorialetteraria che aveva semprecercato, decise nel 1769 di ritirarsi ad Edimburgonella

quiete solitaria dei suoi studi, che lo avrebbe accompagnatofino alla morte, sopraggiuntanel 1776in conseguenza di un tumore intestinale. Trascorse questi ultimi anni nella revisionedei propri scritti e, in particolare,dei Dialoghisulla religionenaturale,che considerò come il proprio testamento filosofico,e volle assicurarsiche non venisserolasciati inediti dopo la sua morte. Ormai colpito dal male, compose, negli ultimi mesi di vita, la propria autobiografia,che sarebbe apparsaun anno dopo la sua morte, col titolo di La mia vita. Della propria sorte, ormai segnata, così egli scriveva: «Io ora faccio conto in una rapida dissoluzione.Ho soffertomolto poco a causa della mia indisposizione;e, ciò che è più strano, non ho, nonostanteil grandedeclinaredel mio fisico,soffertonemmenoun momentaneoabbattimento del mio spirito;cosicché,se dovessiindicareil periododella mia vita da scegliereper riviverlo,sareitentato di puntare su quest'ultimo periodo. Possiedolo stesso ardore di sempre nello studio, e la stessagaiezzanella compagnia.Considero inoltre che un uomo di sessantacinqueanni, morendo,evita soltanto pochi anni di infermità;e sebbeneio veda alcuni sintomi del cresceredella mia fama letterariada ultimo con maggiorelustro, so che ho soltantopochi anni per goderla.È difficile essere più staccati dalla vita di quanto io lo sia presentemente».

2.9

La morale: le passioni e la ragione. Il sentimento della simpatia n filosofo appassionato analista della natura umana come Hume non poteva non riconoscere nella morale «un argomentopiù interessante di ogni altro», riferendosiesso alla vita concreta e quotidiana degli uomini, assai più delle astratte problematichedella filosofia teoretica, interessanti solo per il dotto studioso.D'altronde, era lo stesso rilievo che nella trattazione dei problemi della conoscenzaaveva assunto il ruolo dell'istinto, della credenza e del sentimento, a giustificareil crescente interesse di Hume per regioni come quelle dell'etica, della politica e della religione,nelle quali - lo vedremo - dominanti appaiono essere appunto le componenti arazionali, passionalidella natura dell'uomo. Quanto alla morale, il discorsohumiano sottende una dottrina dellepassioni francamenteantirazionalistica.Già nel secondolibro del Trattato,dedicato R . appunto alle passioni,Hume avevasostenutoche ~~~;i~~ la ragione,da sola, non potrebbe mai offrire alla volontà un motivo di azione, e che, nel comportamento degliuomini, essa non è in grado di contrapporsi alle passioni, che sole motivano gli uomini ad agire. Se un ruolo essa è capacedi assolvere,è solo di

fungereda strumento delle passioni, le vere padrone dell'animo umano; e questo, in due modi: «o quando suscitauna passionecon l'informarcidell'esistenzadi qualcosache rappresental'oggettospecificodella passione;o quando scopre la connessionetra le cause e gli effetti,in modo tale da offrircidei mezziper soddisfareuna passione».

Per il resto, la ragioneè impotente: «Non parliamoné con rigorené filosoficamentequando parliamo di una lotta tra la passione e la ragione. La ragione è, e deve solo essere,schiava delle passioni, e non può rivendicarein nessuncasouna funzionediversada quella di serviree obbediread esse».

Una così radicale negazionedella ragion pratica dovevaavereun immediatoriflessosullaquestionedel fondamentodella morale. Questa ha il compito di offrire criteri la condotta . . .secondocui. valutare . . . ,urna- Rag1one e na, se sia v1rtuosao v1z10sa,e pertanto g11 e pro- «doveressere» prio un linguaggionormativo,cui è essenzialel'uso del verbo 'dovere'. Viceversa,la ragione,che Hume restringeal campo esclusivamenteteoretico,ha a che fare solo con la distinzionetra vero e falso,e di conse-

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

guenzale espressioniverbali che soltanto le si addicono, sono l"è' e il 'non è'; il 'dover essere' non è di sua pertinenza.Essa non può esseredunque il fondamento della morale. In effetti,Hume ricerca la base della valutazione morale nel sentimento,e certamenteavrà tenuto conto della lezione di un moralista scozzesecome Hutcheson (V. CAP. 20, PAR. 6), il quale aveva discorso,sulle . onne di Shaftesbury,di un «senso morale»innaIl sen11mento. t Il' SI h H h " • • Mutchesono ne uomo. o o c e utc eson 1acevansa1ire questo senso morale ad un'origine trascendente, e lo interpretava come segno dell'impronta divina nell'uomo,mentre Hume, fedeleal proprio sperimentalismo empiristico,mette da parte ogni implicazione metafisicae teologica,riducendolaicamenteil principio della morale ad un sentimentopuramenteumano. Rifacendosi alla distinzione tra impressioni ed idee che, come si ricorderà, veniva fatta coincidere con quella tra sentire e pensare, il nostro filosofosostiene che l'origine della valutazione morale, e dun' . . d que la distinzione tra vizio e virtù, sta in una Lorigine e11 a , • SI b . . valutazioneimpress10ne. o o se uono e cattivo, virtuoso e moralevizioso,consistesseroin qualità appartenenti agli oggettiin se stessi, avrebberoragionei sostenitori del razionalismo etico a porre a fondamento del giudizio morale un atto della ragione consistentenel riconoscere, appunto, l'oggettività del bene e della virtù, allo stessomodo che con un atto della ragionesi riconoscela verità. Ma le cose non stanno così:

buona composizionemusicale, tra il piacere che si prova per un'azione nobile e generosa e quello suscitato da un oggettoinanimato. Ciò che con- Ilsentimento morale: un traddistingueil piacere morale, o estetico, è che sentimento 11di si tratta di un sentimento «di tipo particolare», tipo «disinteressato»,senza alcun riferimento al no- particolare>> stro interesseparticolare. ScriveHume: «I sentimentimorali e i sentimentidell'interessepersonale possono esser confusi e convertiti naturalmentel'uno nell'altro.Raramentericonosciamovirtuosoun nemico,come raramentesiamo capacidi distinguereil fatto che eglisi opponeal nostro interessedalla sua reale scelleratezza.Ma i due sentimentisono,per se stessi,distinti;ed un uomo equilibrato può evitar di cadere in tali errori. Allo stessomodo, è certo che una voce armoniosadà soltantoun piaceredi un genereparticolare;tuttavia è difficileper un uomo avvertire che la voce di un nemico è piacevolee riconoscereche è armoniosa.Però una personadi orecchiofine e che sia equilibrata può separarequesti sentimentie lodare ciò che merita di esser lodato».

Proprio perché il piacere che sta a fondamento delle nostre valutazioni morali è disinteressato,queste possonopretenderedi valere universalmente, . . di ottenere per sé il consensodi tutti gli uomini, Laiisimpalia» o, quantomeno,della maggiorparte di essi. È così che Hume riconosce,alla base della valutazionemorale,il sentimento della «simpatia», che consente ad ogni uomo, appunto, di oltrepassarela sua propria sensibilità egoistica,facendogli'sentire' l'appartenenzaal comune mondo degli uomini, all'umanità.

«Prendiamoun'azione ritenuta viziosa,ad esempioun «La simpatia- scrive Hume - ci fa uscire da noi stesomicidio premeditato. Esaminatelasotto tutti gli aspetti e vedete se riuscitea scoprireil dato di fatto, o esistenzareale si». che si chiama vizio. Guardate pure la cosa in tutti i modi: troverete soltanto certe passioni,moventi, volizioni e penÈ essa un istinto che assolve ad un ruolo per sieri; non vi sono altri dati di fatto. Il vizio sfuggiràcomple- molti aspetti simile a quello svolto dalla credenzanel tamente finché consideratel'oggetto». campo del conoscere:così come questa rende possibi-

Cosa occorre allora che facciate? «Rivolgetela vostra attenzioneal vostro cuore,e troverete che in essoè sorto un sentimentodi disapprovazionenei confronti di quell'azione.Ecco allora un dato di fatto; esso però non è oggettodella ragione,bensì del sentimento.Esso si trova in voi, non nell'oggetto».

È dunque nel modo, soggettivo,con cui noi «sentiamo» le qualità degli oggettiche consisteil giudizio S Il... d I morale; per questo, del tutto simile al giudizio ogge!Vita e t • ·1 I • • d' d I b 11 d I giudiziomorale es etico con i qua e s1 gm ica e e o e e brutto. In ambedue i casi, l'approvazione o disapprovazioneche noi esprimiamosi riconducead un sentimento di piacere o di dispiacereimmediati che le cose suscitano in noi. Naturalmente, ciò non va inteso come se una qualunque cosa che piacciao dispiacciasia, semplicemente per questo, buona o cattiva, bella o brutta: ci deve pur essere una differenza tra il piacere di una buona bottiglia di vino e quello procurato da una

le l'organizzazionedell'esperienza, di modo che al fluire e all'instabilitàdelle percezionisi sostituiscaun mondo di «cose»,in cui all'uomo sia possibileorientarsi, analogamentela simpatia rende possibilel'organizzazione sociale, un •mondo comune che consente ad ogni uomo di uscire dal pròprio isolamento e di incontrarsi con gli altri. In ambedue i casi, non la ragione,ma una forza istintiva è il cemento che unisce le parti in un complessoordinato, in un «mondo». Per questo riconoscimentodella simpatia, della benevolenza,quale principio sul quale si fonda l'intera vita morale, Hume si oppone, come del resto avevano già fatto Shaftesburyed Hutcheson,al pesd1 • • d'i Hobbes, d'i cm• n·r· • Lontanoa simismo mta l'assoIutlzzapessimismo zione dell'egoismonel dipingere la natura del- hobbesiano l'uomo: non che egli neghi nell'uomola presenza di «particelledel lupo e del serpente»,ma ritiene che, tutto sommato, siano le «particelledella colomba»a prevalere;e comunqueeglipensa che la preoccupazione per il proprio utile non sia incompatibilecon l'im-

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SEZIONE PRIMA, L'ILLUMINISMO BRITANNICO CAPITOLO 22

pulso simpatetico. Come Hutcheson, anch'egli unisce pertanto a quella sentimentalistica una componente utilitaristica della moralità, dalla forte accentuazione sociale.Sicché,a rafforzarela spinta a simpatizzarecon gli altri e a condividerele loro gioie e i loro dolori, si

uniscela consapevolezzache la propria felicitàindividuale dipende da quella della collettività, il che ci determina a considerarevirtuose le azioni socialmente utili, viziose quelle esclusivamenterivolte al proprio utile particolare.

La politica nche nell'affrontarei problemirelativi all'origine della società e dello stato Hume rimane fedele all'impostazione empirico-sperimentale che caratterizzatutt'intera la sua indaginesulla natura umana; e pertanto si mostra ostile alle ipotesi astratte ed inverificabilicui la più recentefilo. sofia politica inglese aveva dato largo credito, Avversmne a11o • , d ll d' l . 'd 0109.10 come 11 mito e o «stato l natura» e a teona me » contrattua1· • d 11 1st1ca e o stato. Per la stessaavversionealle ideologie,eglirifiuta anche l'idea, incompatibilecol suo laicismo,dell'origine divina del potere, venendosicosì a collocaredissimmetricamentenon solo nei confronti del partito . whig, legato alla tradizione liberal-contrattualiTrawhtg e stlca , del loc1C1smo, 1 • • toles ma anche nei• confront1• de1 ' toriespiù ligi alla tradizione, dai quali già lo separava il proprio scetticismoreligioso. Contro Hobbese Locke,Hume difendeil carattere naturale della società, che non è fondata su di un contratto,bensì sullospontaneo«consenso»- proprio nel significatoetimologicodella parola - che sorCarattere • • sotto 1a spmta • de1 b'1sogno.A naturale della ge tra gl'1 uomm1, società differenzadi quanto avviene nella vita animale, nella vita umana sussisteuna sproporzionetra i mezzi di cui gli uomini dispongonoin quanto animali e la quantità di beni e~ternidi cui hanno bisogno, i quali non sono reperibili in natura già pronti e in quantità sufficienteper tutti, ma devonoessereacquisiti attraverso il lavoro, il quale a sua volta richiede unione delle forze, cooperazionee dunque socialità. Per avere garantito,in una tale situazionedi scarsità, il possessosicuro dei beni prodotti dal proprio lavoro o comunque acquisiti, gli uomini, avvertiti dell'interesse comune, si danno delle regoleidonee ad assicurare stabilitàe sicurezzaal possessodei beni di ciascuno, che acquistain tal modo il significatogiuridicodi «prot?rietà». E da quelle regole che nasce la «giustizia»,la quale, dunque, non è data originariamentenella natura umana, ma viene acquisita con l'evolversistoG. . . 1ust1zia e neo • de11a soc1eta, • , ed e, ' a11'ongme, • • de1tutto funpropr'età 1 zionale alla tutela della proprietà. Solo in un secondo momento essa acquistala valenzadi una virtù, ed alla coscienzadella sua utilità socialesi aggiungeil

sentimento,fondato sulle simpatia, della sua obbligatorietà morale. Nulla sopravvive,come è evidente,in questa teoria della natura e del progressodella società,delleidee giusnaturalistiche:non esiste un diritto naturale; . diritti, obblighi,proprietà, presuppongonoil sor- E~tranetita ?1n 'd d' . . . . . .. g111sna ura11sro gere de11 e 1 ee 1 giustizia e mgmst1zia,e sono dunque un portato del progressosociale,non il mitico fondamentometastoricodi cui favoleggianoi giusnaturalisti. Questo rifiuto del diritto di natura consente a Hume, tra l'altro, di liquidare,quale segnodi fanatismo politico derivato da un originariofanatismoreligioso,l'egualitarismodi coloro- i livellatori- che nel XVII secolo avevano preteso la eguale distribuzione della proprietà.In ognisocietà,che è sempreil risultato di vicendestoricamentecondizionate,l'unico diritto cui ci si possa appellareè quello positivo, in forza del quale la proprietà è necessariamentedistribuita in modo diseguale. Quanto al governo- ovverossiaallo stato -, Hume lo considera un'istituzione che nasce successivamente alla società, ed è resa necessaria,oltre che dal fatto che gli uomini sono deboli ed incostanti, .. 0rigi.ne abbastanza da perdere spesso di. vista l'interesse ed 11 1unzione • . eo generalee da anteporre ad esso 11propno vantag- stato gio particolare,soprattutto a causa delle inimicizie che intervengonotra uomini appartenenti a società diversevenute a contatto tra loro. L'unica funzione spettante al governoconsistenel costringeregli uomini a rispettare la giustiziae la proprietà. Circa poi l'obbedienzache i cittadini debbono al governo,Hume rifiuta la tesi, sostenuta per esempio da Berkeleye dai teorici del diritto divino dei re, che essa debba essereassolutaed incondizionata.L'obbligo dell'obbedienza- egli afferma- cessanel mo. • •• , , , d Obbedienza e mento m cm 1 governanti impongano,m mo o r'belr 11 «flagrante», «clamoroso» ed «intollerabile»,la I io 0 loro tirannia, venendo meno al compito di assicurare il rispetto della giustizia.E per questo, non è affatto necessarioipotizzare un contratto originario che sarebbe intervenuto tra sudditi e governo, ché anzi è proprio il contrario a legittimarela ribellione: «Dato che non si è fatta nessunapromessa,ribellarsial governonon significaaver mancato di parola».

413

PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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Natura ed origine della religione

interessedi Hume per la religionenon è di natura religiosa;se eglise ne occupa è solo perché la religioneè un'espressionesignificativadella natura umana, e come tale merita di esserestudiata. In effetti di essa egli si era occupato fin daglianni della elaborazionedel Trattato,quando era • . giunto, in un saggio Sui miracoli,che avrebbe Unmt~r~sse·pubblicato solo nel 1748,alla conclusioneche le nonrehg1oso . . . . . . . d' 11, perla religionetestimomanze sm m1raco compresi que11 1 1 cui si narra nei testi biblici, sono destituite di ogni valore probatorio, e possono essere accolte solo in base alla pura fede. Gli scritti più rilevanti da un punto di vista teorico sarebberoperò venuti soltanto con i Dialoghisullareligionenaturalee con la Storia _ naturaledellareligione,nei quali Hume dovevasottoporre a critica corrosivaognipretesa di fondare razionalmente la religione,e all'opposto ne avrebbe sostenuto l'origine dalle forze istintive e irrazionali della natura umana. Nei DialoghiHume interveniva in un dibattito da tempo accesoin seno alla cultura inglese,ecclesiastica e non (V. CAP, 20, PAR, 2). Due dei personaggiche partecipanoalla discussione- Cleantee Demea DCleante,rappresentano, rispettivamente, l'uno un punto emea e d'1vista • ehe abbraccia • cos11 ' ·1teismo • • le Filone sperimenta d'ispirazione newtonianacome il deismo, l'altro le posizioni tradizionaliste più intransigenti della Chiesapresbiteriana;mentre Filone, lo «scetticospregiudicato»,è il portavoce del pensiero dell'autore. Il dibattito, nel quale Demea occupa un posto marginale, è incentrato sul confrontotra Cleantee Filone, e si concludecon la prevalenzadi quest'ultimo che, rifacendosi all'epistemologiaempiristica del Trattatoe dellaRicercasull'intelletto umano,dimostra l'inconsistenza di ogni tentativo di provare razionalmentel'esistenza di Dio. Illusoria è, innanzitutto, la pretesa, avanzata da «newtoniani»e deisti, di risalire, in base all'analogia . con le produzioni dell'intelligenzaumana, dal11 l'ordine e dall'armonia delle cose all'esistenzadi Cleant~, ((181518 un D'10 areh'1tetto de11' • N e1 presentare sperimentale» umverso. questo percorso,Cleante,dopo aver rassomigliato il mirabilefinalismoche appare «attraversotutta la natura» al finalismo caratteristico delle produzioni dell'intelligenzaumana, così aveva proseguito:

A questo audace procedimento, vengono F' 'd' , tutta 1'11 • l'(i'II ilone da F1'lone, con 1uc1 contrapposte umim'·n· . . l . , 1ta , I U I IS1all mstlca, e seguentiargomentaz10m: a. in primo luogo, non è proponibile l'analogia che viene istituita da Cleante, tra una causa, qual è l'attività produttiva umana, capace di spiegare prodotti del tutto particolari,come case e navi, e la causa che dovrebbe invece dare ragione dell'intero universo. Chiediamoci:chi ci autorizza a proiettare il pensiero - che nell'uomonon è che è una «piccolaagitazione del cervello»,con una capacità di agire assai limitata, e per di più operante in una piccolissima parte del mondo - sulla scenadell'universo,designandolo come causa originaledi tutte le cose?Come possiamo far questo, noi che non conosciamoper niente l'origine del mondo? Non è questo un andar oltre l'esperienza,senzala quale nessunaprova di esistenza è possibile? b. Non ci si rende conto, inoltre, che quella analogia, per la quale «facciamodi noi stessi il modello dell'interouniverso»,ci conducead una antropomorfizzazionedi Dio, rappresentandocelo«come troppo intelligibilee comprensibile,e troppo simile ad uno spirito umano»? c. Sconcertantisono le conseguenzedi questo antropomorfismo.La prima è che, dovendo essere la causa, come ci insegnal'esperienza,proporzionataall'effetto,ed essendoil mondo costituito di cosefinite, anche la causa del mondo dovrà esserepensata finita. Che ne è, in tal modo, della infinità che si vuole attribuire a Dio? d. Per non dire del fatto che, essendocinel mondo molte imperfezioni,vien meno qualsiasiragionedi riconoscereperfetta la divinità. e. Ancora:dovendosila costruzionedi una casa o di un naviglioad un gran numero di uomini, come si potrà provare, volendo mantenere l'analogia tra uomo e divinità, che questa è una sola piuttosto che molte? f. Infine: come poter attribuire a Dio la bontà, quando si osservinotutti i mali e i disordini che si verificanonel mondo? Di fronte a questa confutazione dell'argo- 0 • , avanzato da Cleante, Demea l'((aprioristall emea, mento a posterwrz propone a sua volta una diversa prova dell'esi«Poiché dunque gli effetti si rassomiglianofra loro, stenzadi Dio, svolta a priori,ossiaindipendentemensiamo condotti a inferire, secondotutte le regoledell'analo- te dall'esperienza.Così essa recita:

gia, che le cause si rassomiglianoegualmente,e che l'Autore della natura è in qualchemodo somiglianteallo spirito dell'uomo, per quanto dotato di facoltàben più ampie,proporzionate alla grandezzadell'operache ha eseguito.Con questo, noi proviamoad un tempo l'esistenzadi una divinità e la sua somiglianzacon lo spirito e l'intelligenzadell'uomo».

«Tutto ciò che esiste deve avere una causa o ragione della sua esistenza,essendo assolutamenteimpossibileper una cosaqualunqueprodurrese stessao esserela causadella sua propria esistenza.Perciò,risalendodaglieffettialle cause, dovremoo proseguirein una successioneinfinita, senza

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SEZIONE PRIMA, L'ILLUMINISMO BRITANNICO CAPITOLO 22

mai raggiungerealcuna causa finale, o dovremoinfine far ricorsoa qualchecausafinaleche sia 'necessariamente'esistente».

Non è difficileper Filone-Humemostrare l'inconcludenzadi una siffattaargomentazione:sullabase delle acquisizionidel Trattato,che richiedonola . netta distinzionetra questionidi fatto e relazioni u1na 1 f~cile tra idee, si vede con chiarezzache nessunragioconu azione . namento astratto potrebbe mai. d'1mostrarel'esistenzadi alcunché;infatti, «tutto ciò che concepiamo esistente,lo possiamoanche concepirecome inesistente»senzaper questoincorrerein nessunacontraddizione,sicchéparlaredi un'esistenzanecessarianon ha alcunsenso.Per affermarel'esistenzadi qualcosaè necessariofarneesperienza,averedelleimpressioni;e questonon è certo il caso dell'esistenzadi Dio. La conclusionedei Dialoghiè che la religione, Lareligione così comevieneesperitadallagentecomune,non nonha un'originepuò goderedi un fondamentorazionale,checché razionalene pensino teisti e deisti e «teste metafisiche» quali quelleche si esercitanonelleargomentazioni a priori, e la sua origineva cercata in altro dalla ragione. Ciò non escludeche certi aspetti della prova a posteriori- come,ad esempio,il far leva su fenomeni dellanatura qualila perfezionedell'occhio,o il perfetto adattamentodei sessiai fini della propagazioArgomentazioni ne delle specie,e altre meravigliedell'universo, suggestive per affermarel'esistenzadi un autore divino del

mondo- esercitinouna loro suggestioneanche sull'animopopolare,per esserei prodottidi una immaginazione sbrigliata,assai consuetanell'uomocomune,la quale forza volentieriil principiodi analogiaoltre le sue legittimeapplicazioni.Soloche, poi, le radici più vere della religioneaffondanoin un terreno ben diverso,quellooscurodegliistinti e dellepassioni.Qui, nei Dialoghi,Hume, probabilmentein vista di una difesadalleaccusedi empietàed ateismo,affermache la religionesi basa non sullaragione,ma sullerivelazioni della fede,e suggerisceche aver limitato le pretese della ragionenon può andare che a vantaggiodi una religionepiù autentica:

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«Essereuno scetticofilosofico,per un uomo colto,è il primo e più essenzialepassoche conducead essereun vero cristiano,un credente».

Dell'origine della religione Hume tratta nella Storia naturaledella religione,dove sostieneche le fonti originariedella religionepopolaresarebbefonti ro da ricercarenon già nella «curiositàspeculati- Le irrazionali ed va» di chi vuole spiegarsil'ordine della natura, oscuredella bensìnel terroree nellasperanza.L'uomo,infat- religione ti, all'origine,non è comel'Adamobiblico«che. nasce di colpo, in paradiso, nella piena perfezione dellesue qualità»,e che, «meravigliatodalle magnifiche apparenzedellanatura ... è portato naturalmente a chiedersidonde sorgala stupendascenache vede»; al contrario,l'uomo primitivoè un «animalerozzoe

-À!•~;Ì;~tv.}f,,:,~,iitf;k 1} .n~ 1!J LU che ormai separa Montesquieu dalla tradizione giu=> snaturalistica, Egli non va più alla ricerca di princìpi o Cl') naturali metastorici, in base ai quali giudicare dell'eLU sperienza concreta degli uomini, quale si svolge Unascienza I-nelle forme di convivenza storicamente determi- empirico- Z nate. Secondo un criterio empirico-sperimentale, naturalistica ~ • analogo a quello fruttuosamente adottato nella dellasocietà scienza della natura, si tratta piuttosto di esaminare, caso per caso, le leggi positive che regolano i rapporti tra gli uomini nei diversi paesi, e di comprendere che quelle leggi non sono che l'espressione delle condizioni naturali della vita sociale di quei paesi medesimi, Per questa via - sia detto di sfuggita - sarebbe giunto Montesquieu, pur così aperto ad un'ispirazione cosmopolitica, ad incentrare la sua concezio- e .. . ,. d' 'd . , d . d' . osmopohtismo ne de11a stona su11m 1v1 ua 11ta e1 1vers1popo- e individualità li, ognuno contraddistinto da un proprio incon- deipopoli fondibile «spirito», evitando di riassorbire le differenze storiche nell'indifferenziata ed astratta idea di umanità. Ma per fare della politica una scienza, occorre evitare anche l'estremo opposto di quello rappresentato dal giusnaturalismo, ossia il machiavellismo delle teorie della ragion di stato rv.CAP. s,PAR. 6.4), che riducevano la politica a pura e semplice tecnica di governo fondata sull'inganno e sulla violenza. La politica, invece, trae la propria validità dalla capacità di individuare, al di là delle vicende particolari e nelle quali, certo, conta la machiavellica «virtù» scientificodei degli uomini di stato -, l'uniformità e la regolari- fenomeni tà dei fenomeni sociali, che devono essere ricon- sociali dotti alla ricca molteplicità delle loro cause, le quali non attengono soltanto a fattori culturali, ma anche ad altri, di ordine fisico, sui quali Montesquieu ritorna con particolare insistenza, come il clima, le condizioni geografiche, la natura del suolo, e così via, Non è che Montesquieu, da buon illuminista del paese di Cartesio qual è, dimentichi che

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«la legge,in generale,è la ragione umana, in quanto governatutti i popoli della terra»,

e che «le leggi politiche e civili di ogni nazione Leleggi non debbono essere che i casi particolari in cui dellenazioni questa ragione umana viene applicata»; ma egli sa anche che queste leggi «devono essere adatte al popolo per cui sono fatte, tanto che soloeccezionalmentele leggidi una nazionepossono conveniread un'altra».

E così chiarisce: «Essedebbonoessererelativealla natura fisicadel paese; al climagelido,torrido o temperato;alla qualitàdel terreno, alla sua situ~zioneed estensione;al genere di vita dei popoli, siano essi coltivatori,cacciatorio pastori; debbono

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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esserein armonia col grado di libertà che la costituzioneè capacedi sopportare,con la religionedegli abitanti, le loro inclinazioni,ricchezze,numero,commercio,costumi,modi di vivere.Infine, esse hanno relazionireciproche;ne hanno conia loro origine,col fine del legislatore,con l'ordine delle cose su cui si sono formate».

• Tutti questi aspetti «costituiscono,nel loro insieme, ciò che viene detto lo 'spirito delle leggi'».Non per caso il sottotitolo del libro montesquieinanosuonava: Sul rapporto che le leggi devono avere con la costituzione di ogni governo, i costumi, il clima, la religione, il commercio, ecc.

Per questa cosi concretafondazionedella scienza politica su basi positive, sperimentalie, diremmo, naturalistiche,e per la conseguenterelativizzazionedelle leggi,si è parlato di Montesquieu,già da parte «Padre della sociologia» ma, di Comte (v.voL.3*, CAP. 11, PAR. 2), e non senza insieme, un ragione, come di uno dei padri della sociologia. illuministaQuesto non deve però far dimenticareche l'autore de Lo spirito delle leggi fu e rimase un illuminista, ancorato ad una concezione normativa della ragione, con la quale sempre si sforzò di conciliareil proprio empirismo e relativismoscientifico. Ciò significache egli non volle essereil semplice spettatore che descrivele situazionidi fatto, astenendosi da ogni giudiziodi valore,da ogni riferimentoad un dover-essere;al contrario, fece della libertà l'elemento discriminante tra regimi politici e forme di .b . .governofondati sulla razionalità,e il dispotismo, L1 erta e d' . d ,. . . dispotismo 1 cm ve eva 1mcarnaz10ne,non so1o nei governi di Turchia, Russia e Cina, ma anche nella monarchia assolutadi Luigi XIV. Circolanel suo capolavoro, trattenuto soltanto da una moderazione aliena da qualsivogliaintenzione rivoluzionaria,uno spirito di protesta nei confronti del dispotismo,che indirettamente traspare dal giudizio estremamentepositivo che invece vien dato della costituzioneinglese. Sulle diverse forme di governo, Montesquieu si attiene in sostanza ad una classificazionetradizionale: governo repubblicano,governo monarchico e gol d" verno dispotico, dove il primo si distingue a sua 0 r'versd~volta in democraziae aristocrazia,a secondache 10 1 ne I ·1 1 1 . • governo 1 potere sovrano appartengaa popo o numto o soltanto ad una parte di esso. Quanto al governo monarchico,esso prevede il potere di uno solo, «ma in base a leggifissatee stabilite»;mentre il dispotismo «è quello in cui un solo uomo, senza legge e senza regola, dispone ogni cosa con la sua volontà e con i suoi capricci». Ad ognunadi queste forme di governocorrispondono altrettanti princìpi etici che ne promuovonol'azione e che sono necessari al suo funzionamento.Il principio che deve muovere il governorepubbliForme di governo e cano è la «virtù», ossia «l'amore dello stato per principietici se stesso»,ciò che oggisi direbbe «spirito pubblico»; nel caso della democrazia,la virtù deve ap-

partenere a tutti i cittadini, nel caso del governoaristocratico è sufficiente che accompagnil'azione dei nobili che hanno in mano il potere; quanto alla monarchia e al dispotismo,invece, «non è necessariamolta probità affinché... si mantengano e si sostengano.La forza delle leggi nel primo, ed il braccio del principe sempre alzato nel secondo,regolanoo contenganoogni cosa».

Pertanto, il principio che regola il governo monarchicoè l' LU ::)

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poco le prerogativedei corpi o i privilegi delle città. Nel primo caso si va verso il dispotismodi tutti; in questo, si procedeinveceverso il dispotismodi uno solo ... La monarchia si perde allorché il principe, richiamando ogni cosa unicamentea se stesso,concentralo stato nella capitale,la capitalenella corte, e la corte nella sua sola persona».

Sulla «degenerazione»del governo tirannico il

La tirannide giudiziodi Montesquieunon potrebbe esserepiù

pesante: «il suo principiosi corrompesenzasosta,poichéè corrotto per sua natura».

Mentre monarchia e repubblica si corrompono solo per l'intervenire di cause accidentali,il dispotismo «perisceper vizio interno», ed è semmai l'intervento di fattori accidentaliad impedire che la corruzione giunga al suo ultimo esito. In questa descrizione delle forme di governo il nostro autore non nasconde la sua preferenza per il governo monarchico, che, particolarmente,ritiene il più adatto per l'Europa, dove i confini geograficinaturali hanno dato luogo a paesi di media grandezza,i quali, per questa ragione,richiedonola forma monarchica, considerato che la repubblica,soprattutto Formedi nella sua forma democratica,si adatterebbe megoverno e . • · condizioniglia ai piccoli stati. Quanto ai governi dispotici, fisico- essi troverebberouna loro giustificazionefisicogeografichegeograficasoltanto in Asia,dove i confini naturali disegnanopaesi dai vastissimiterritori, governabili solo in virtù del timore suscitato da un unico potere personale, arbitrario ed indivisibile. Montesquieupensa per l'Europa ad una forma di monarchia temperata, e guarda al modellocostituzionaleinglese, nel quale il potere del re è moderato dalla presenzadi altri organi di potere. È dallo studio del modello inglese che prende origineappunto la teorizzazionedella separazionedei poteri, con la quale lo scrittorefranceseritiene di aver individuato la miglioregaranziadella libertà politica, e che sarebbe stata acquisita dal pensiero costituzional-liberale moderno fino ad oggi. Vediamo in che . cosa essa consiste.In ogni stato esistono tre speL a separazione , d • • •i 1 •1 • • • ' d I deipoteri c1e 1 poten: 1 potere eg1sat1vo, m virtu e quale si stabiliscono«le leggiper un certo periodo di tempo o per sempre, correggendoo abrogando quelle già stabilite»; il potere esecutivo,in virtù del quale il principeo il magistrato«fa la pace o la guerra, manda o riceve ambasciate,impone la sicurezza,previene le invasioni»;infine, il potere giudiziariocon il qualevengonopuniti i delitti e giudicatele dispute tra privati cittadini. Scrive Montesquieu: «Allorchéil potere legislativoè riunito al potere esecutivo nella stessa persona o nello stesso corpo di magistrati, non esistelibertà:infatti si può temere sempreche il monarca o il senato faccialeggitiranniche,per eseguirlein modo tirannico.Non c'è libertà neppurequando il potere di giudi-

care non è separato dal potere legislativoed esecutivo.Se esso fosse unito al potere legislativo,il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini risulterebbearbitrario: infatti il giudice sarebbe anche il legislatore.Se esso fosse unito al potere esecutivo,il giudiceavrebbela forza di un oppressore. Tutto poi sarebbeperduto se lo stessouomo, o lo stesso corpo di notabili o di nobili o di popolo,esercitasseinsieme questi tre poteri».

Occorrepertanto prevederediversi organi quanti sono i poteri dello stato: «Il potere legislativosarà affidatoal corpo dei nobili e al corpo scelto per rappresentareil popolo: l'uno e l'altro dovrannotenere le loro assembleee prenderele loro deliberazioni separatamente,in base a punti di vista ed interessi diversi ... Il potere esecutivodeve essereinvece nelle mani del monarca,poichéquesta parte del governo- che ha quasi sempre bisogno di un'azione immediata - risulta amministrata meglioda uno solo che non da molti».

Quanto al potere giudiziario,deve venir affidato ad una magistraturaindipendente. Notevole sarebbe stata l'influenza di questa teoria montesquieianasullevicendepolitico-costitulnfluenza zionali del secolo: ne troviamo tracce evidenti storicadella nella dichiarazionedei diritti della Virginia del teoria 1776, nella costituzione del Massachusetts del montesquieina 1780, e, soprattutto, nella carta costituzionale francesedel settembre 1791. Non possiamoconcluderequesta esposizionedel pensiero di Montesquieu senza accennare al modo con cui egli tratta, ne Lo spiritodelle leggi, delle religioni. Egli se ne occupa soltanto nella dimensione storico-sociologica,per il loro esserepiù o meno L r . . utili a favorire lo sviluppo della società, e non 8 re,g,one esclude neppure il cristianesimodall'inclinazione,di origine libertina, a veder esaurita la funzione delle religioni in quella, del tutto profana, dell'instrumentum regni. Il che non significa,peraltro, che egli condividesse orientamenti irreligiosio ateistici. Vietano di pensarlo, non tanto la Difesa delloSpirito delle leggi,che egli composenel 1750,per difendersi dalle accusedi empietà rivoltegli dagli ambienti ecclesiasticie u gesuitici,e che ubbidisce alla logica diplomatica o~entamento tipica di pubblicazionidel genere,quanto i Pen- deistico sieri, rimasti inediti fino ad epoca recente, nei quali l'autore confessa una fede d'impronta deistica nell'esistenzadi un Dio creatore, e sembra riconoscere il carattere sovrannaturaledel cristianesimo. Si trattava peraltro di un riconoscimentoconsegnato a pagine lasciateinedite, e per questo, diciamo, privato, non incidente sull'opera pubblica di Montesquieu, il cui capolavoro già nel 1752 venne messo all'Indicedalla Chiesacattolica.Del resto, eglifu vicino agli enciclopedisti, alla cui opera collaborò nel 1753 con un Saggiosul gusto.

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SEZIONE SECONDA. L'ILLUMINISMO FRANCESE CAPITOLO 23

Voltaire (1694-1778).' «dobbiamo coltivare ilnostro giardino»

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Il «philosophe» gli inizi del secoloera già al tramonto ormai la figura seicentescadel filosofoper così dire professionale,intento alla pura speculazione,costruttore di grandi sistemi metafisici,e creatore, talvolta, di una nuova scolastica,non meno pedante e dogmaticadi quella che si era voluta combattere. Abbiamo già detto abbastanza,in proposito, nellepagineprecedenti;qui vogliamosoltantoaggiungere che esercitare la filosofia non voleva più dire coltivareun settore specialisticodi competenzeintellettuali, separato dai mille problemi ed interessi Unnuovomodo d ll . d d . . . •, d' flosot e e a vita mon ana eg11uom1m;non era prn un 11 ar oggettospecialed'indagine a distinguereil filosofo da chi non lo fosse, bensì una 'forma nientis', un atteggiamentointellettualecon il quale poter affrontare un qualsiasiargomento,e che poteva esprimersisia in uno scritto filosoficoche in uno spettacoloteatrale, in un articolo di giornalecome in un poema o in un pamphlet.Voltaire è certamentel'esempiopiù prestigiosoed illuminantedi questo nuovo modo di esercitar filosofianella Francia del secolodei lumi. Pregnantee di grande efficaciaè in questo senso la presentazioneche della sua figura e della sua opera ci viene offerta da Paolo Casini:

tutta risoltanellalotta per una più giustaconvivenzasociale. Nel corso di un cinquantenniofu al centro della battaglia ideologicache i 'philosophes'combatteronocontro gli abusi dell'assolutismo,la religionepolitica,i fanatismiresiduidelle guerredi religione,i privilegidelleclassidirigenti,l'assetto irrazionaledell'ancienrégime.Innestando,megliodi tutti i 'confratelli',la polemicafilosoficaentro la lotta politicaper l'affermazionedei lumi, promuovendograndimovimentidi opinione,fu il portavocedei fermentiideologiciche accompagnaronola maturazionepolitica della borghesiafrancese. Al di là delleriformeparzialiche patrocinò,entro gli angusti schemidel dispotismoilluminato,i suoi scritti esprimevano esigenzedi portata universale,che avrebberotrovato un'eco soltanto nelle solennienunciazionidei Diritti dell'uomo. Di fronte all'immensaportata storica e politica dell'opera di Voltaire, le riserve correnti circa la sua qualità di 'filosofo' appaiono irrilevanti. Gran mediatore di cultura, erede di Erasmo e di Montaignepiuttosto che dei filosofi

«Interpreteper eccellenzadella mentalitàilluministica, 'patriarca' del partito filosoficofranceseed europeonei decenni più memorabilidella lotta, Voltaire sembra sottrarsi ad ogniformuladi convenzione.Ingegnoestremamenteduttile e inquieto, trattò tutti i 'generi' letterari tradizionali: lirica, epica, tragedia,commedia,madrigale,romanzo, epistola morale; compose scritti di divulgazionescientificae trattati di controversiafilosofica;rinnovò radicalmentela storiografia;seppe fare del pamphletun'arma straordinariamente efficaceper la divulgazionedelleidee e per la controversiapoliticae giuridica.Eccelsesoprattuttonella schermagliapolitico-religiosa, con quei vivacissimiinterventi,spesso contenuti nel breve giro d'un libello, nelle battute di una 'voce' di dizionario, in una lettera o nel fuoco d'artifizio d'una facezia,legati a situazionicontingentie tuttavia carichi di significatouniversale,nei quali è condensatala quintessenzadi ciò che si suoledefinire'spirito voltairiano'.Ma ciò che sotto la sua penna arguta e brillante va perduto quanto a precisionee 'profondità'speculativa,è compensato dall'eleganzaed efficaciadella pagina,dal magistraleesercizio dell'ironia: giacchéVoltaire seppe, come nessun altro, demistificarel'impostura,ridurre le chimerealla misura della ragione,diffondereil gustoper il concretoe il positivo,la diffidenzaverso i sistemi,l'avversioneper le ambiziosecostruzionimetafisiche,la limitazionedel sapere all'orizzonte empirico, infine un deismo spoglio di dogmi ed un'etica

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gonda,si accompagnaper il mondo con Pangloss («tutta parola»), il suo maestro in «metafisicoteologo-cosmolo-idiotologia», che gli ha insegnatoessere il mondo in cui si vive il miglioretra tutti quelli possibili,ma che, tanto per cominciare,è stato sfigurato dalla sifilide. Essi passano da una disavventura

È secondoquesta logicache anche la sifilidetrova una sua buona giustificazione: «Se Colombonon avessepescatoin un'isola dell'America questa malattia, che avvelenala sorgentedella generazione, che spesso anzi impediscela generazionee che evidentementeè l'opposto del gran fine della natura, noi non avremmoné cioccolatané vainiglia... ».

E il terremoto di Lisbona? «Questo terremoto non è una cosa nuova; la città di

Lisbonadistruttadal terremotodel 1755,in una incisionedell'epoca.

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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Limaprovòle medesimescossein Americal'anno scorso· ranza in quella sopravvivenzaoltremondana di cui, stessecause,stessieffetti;certamenteè rimasta sotto terr~ come sappiamo, Voltaire aveva finora rifiutata l'atunascìadi zolfoda Limafinoa Lisbona».

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Moltissime ancorasonole disgrazieche si abbattonosuidueprotagonisti, cui ad un certo momentosi . aggiunge Martino,un vecchiosaggioanche lui Un saggio d ll . . musulmano tartassatoa a cattivasorte,ma che prendevale coseconpazienza,convintofermamentecom'era «chesi stesseugualmente maledappertutto».La conclusione delromanzotrovariunital'intera compagnia a Costantinopoli, dovei nostrieroi s'imbattonoin un vecchio e saggiomusulmanoche,indifferenteal corso delmondo,si accontentadi vendere,aiutato dai propri figli,i fruttidelgiardinoche coltiva: «Hosoltantoventijugeri,li coltivo coi miei figli. Il lavoroallontana da noi tre grandimali:la noia, il vizio e il bisogno».

tendibilità. In questo modo, il suo deismo - o teismo, come ora preferisce chiamarlo perché non venga confuso con le idee a sfondo spinoziano-ateisticodi Toland o di Collins-, che si era voluto distinguereradicalmente dalla religionecristiana confessionale,finisce O I d . con l'accoglieredi questa la fede nell'immortalità ai8tei:,~~no individuale, finora considerata buona soltanto per una religionead uso del volgo.Allo stesso modo, Voltaireanche fa propria del cristianesimol'idea, finora anch'essa rifiutata, di un Dio remuneratoredei buoni e castigatoredei malvagi.

Voltaire e Federico II

Pangloss, Martino,Candidofanno profonde riflessioni sulleparoledelturcoe sullevicendetrascorse;mamentreil primoinsistenel ripetere con Leibniz, che«tuttigli avvenimentisono concatenati nel migliore deimondipossibili»,Martino,il filosofoche sembrainveceincarnarelo spiritoscetticodi Bayle,è stancodi questediscussioni: «Lavoriamo senzadiscutereè il solomezzoper rendere la vitatollerabile». '

MentreCandido,in rispostaalle tiritere di Pangloss,conclude: «Ègiusto,ma bisognacoltivareil nostro giardino».

«Coltivare il propriogiardino»:è la metaforacon la qualeVoltairevuoldistoglieregli uomini dalla predi scoprirela logica oscura che coIl•1vare.I1 tesalambiziosa l' . proprioregoa umversomondo,e richiamarlipiuttosto giardinoadoperare rassegnatamente e pazientementeentroi limitibrevidellaloro condizioneumana in vistadimigliorare il più possib\lequellapiccolaai~ola in cuisonostati destinatia vivere. . Unpassosoltantosembrerebbeseparareil nostro filosofoda un pessimismovirile ed attivo libero ormai da o_gni sortadi consolazionereligios~;ma quel passoeghnonlo avrebbemai fatto. Glieloimpedivano la sincerafede razionalein un Dio autore della natura,seppurinconoscibile,e l'intento anche di sbarrarela strada alle posizioni materialistiche ed «Ungiorno ~teecheandavanoemergendotra i philosophes. tuttosarà E cosichenellaprefazioneal Poemasul disastro bene»diLisbona, per esempio,al momentodi rifiutare il menzognero 'tutto è bene', egli si affida alla speranzache «un giornotutto sarà bene»: dove la fiducianell'opera mondana,intesaal progressodell'umanità,sembraprolungarsi,e trascendersi,nella spe-

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appiamoche Voltairefu per qualchetempoa Postdam,alla corte di FedericoIl di Prussia. Riportiamoda una pagina dellostoricoFrancoCatalano il vivaceraccontodella permanenzadel filosofoin quella«dorataprigione»: «IlVoltairefu da lui invitatoa recarsia Postdam,la residenzarealea 30 chilometrida Berlino,con la promessache gli sarebbe statoofferto il postodi ciambellanocon la grande crocedell'ordinedel Merito ed una pensioneannualedi 20 milalire. Lo storicoe letteratopartì il 28 giugno 1750,dopo esserestato a Compiègnea 'chiedereal più grandere del Mezzogiorno (LuigiXV)il permessodi andarea mettersiai piedidel più grandere del Settentrione'.A Postdam FedericoIl gli assegnò l'appartamentodel maresciallodi Sassonia, cosache lusingòmoltoil Voltaireche, scrivendoneal conted'Argentai,... disse: 'Hanvolutometterelo storiconellacamera dell'eroe'.Anch'egliavevala concezionedi unacultura . pugnacee dovettecolpirlo

quell'omaggioal letterato accomunatoall'uomo d'azione,al condottierodi eserciti.All'iniziotutto gli parvebelloe grande:vivere accantoa quel re vittorioso in cinquegrandibattaglie... lo commuoveva e lo esaltava nellostessotempoe celebravala corte in cui si trovavano 'centocinquantamila soldati vittoriosi,opera,commedia, filosofi,poesia,un eroe filosofoe poeta,grandezzae grazie,granatierie Muse, societàe libertà'.Ma in una letterasuccessiva,del 13 ottobre,a M.meDenis, incominciava a notare qualcosache non gli piaceva del tutto: anzitutto,il re non avevané unacorte né un consiglio,cosache, affermava,non lo disturbava, sebbenea lui, abituatoalla vita francese,dovesse sembraremoltostrano.E poi, non si vedevanoche mustacchie colbacchida granatiere:troppi generalie troppi principiche avrebbero dovutoabituarload essere sempredavantiad un re in cerimoniaed a parlare semprein pubblico.Così, avevapresol'abitudine,tutte le volteche poteva,di

SEZIONE SECONDA. L'ILLUMINISMO FRANCESE CAPITOLO 23

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«Ecrasez l'infame!». La tolleranza. Contro l'ateismo

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7.7

Le idee politiche li anni di Ferney furono per Voltaire intensi anche sotto il profilo dell'impegnopolitico; il che gli consentì di mettere a punto, prendendo occasionedalle situazioni e dai problemi concreti di volta in volta affrontati,il proprio pensiero politico. Anche in questo caso, volle rifuggire dalle «chimere»sistematiche,preferendoriflettereintorno a situazioni particolari piuttosto che risalire a concezionigeneralidi ampio respiro. A differenzadi Locke,di Montesquieu,di Rousseau,non amò discet. tare sui temi costituzionali,o teorizzaregerarchie Pragmati~~o tra le diverse forme ideali di stato, preferendo politico guardare pm •' a11 • ' c1v1 • ·1e che a11o stato m • a societa quanto tale. E neppure della società civile in astratto egli si occupò, quanto piuttosto di quella concreta societàcheavevadavantiagliocchi,con i suoiconnotati borghesi ed antifeudali, che egli sempre apprezzò come segni di un progresso irreversibile. Fin dalle Lettereinglesiavevacontrappostoallafiguraparassitaria del nobilequellaintraprendentedel commerciante: «Non so chi sia più utile allo stato, se un signoretutto incipriato che sa precisamentea quale ora il re si leva, a quale ora va a dormire,e che si dà arie di grandezzamentre fa la parte dello schiavonell'anticameradi un ministro,oppure un commercianteche arricchisceil suo paese,dà ordini dal suo ufficioa Surateo al Cairo,e contribuisceal benessere del mondo».

Due sono i princìpi cui Voltairesi ispira nellesue valutazionipolitiche:l'uno, che vuole la libertà civile •dell'individuo e una sua sfera di autonomia nei confronti dello stato, e l'altro, simmetrico,dello stato di diritto, senza del quale quella sarebbepriva di garanzie, ed anzi non sussisterebbeaffatto, giacché essa, . . come Voltaire scrive nei Pensierisul governoriind·_Ldibe 1i:a salenti al 1752-56,«consiste nel non dipendere ivi uaI e che da11 • D'1 qm• 1a sua avvers10ne • stato di diritto e 1eggrn. ad un potere fondato sull'arbitrioe privo della certezza delleleggi;queste devono valere egualmenteper tutti, a prescinderedalle differenzedi ceto e dalle consuetu-

dell'educazione

1--

,1.J..J

laudeAdrienHelvétius,nato a Parigi nel 1715, provenivada una famigliadell'altaborghesiasuo padre era medico di corte -, e per tutta la vita avrebbe conservatouna posizione sociale assai elevata, che peraltro non gli avrebbe impedito di farsi accesopropagandistadelle idee nuove dei philosophes.Educato, come tanti altri esponenti dei 'lumi', dai gesuiti, nel collegio parigino un Louis-le-Grand,si era presto disamorato degli personaggio di !! rilievotragli studi di teologia,aveva letto il Saggiosu 'intelliilluministi genza umana di Locke,che lo aveva conquistato alla nuova filosofia,e si era dedicato alla lettura dei poeti moderni e dei moralisti,da Montaignea La Rochefoucauld.Dopo alcuni anni di eserciziodell'attività di appaltatoredelle tasse a Caen, che gli aveva permessodi accumulareuna grande fortuna, era tornato nel 1738 a Parigi, dove frequentò gli ambienti illuministici,strinseamiciziacon Voltaire,di cui condivise per qualche tempo l'orientamento deistico, e con Montesquieu,di cui ebbe modo di discutere lo Spirito delleleggiprima ancora che venissepubblicato. Nel frattempoandava radicalizzandoin sensomaterialistico le proprie idee filosofiche,che avrebbero avuto la loro prima forte espressionepubblicanel suo capolavoro,Lo spirito,pubblicatoanonimo nel 1758. Diversamenteda La Mettrie, Helvétius non rinuncia ad affidarealla filosofiail compitodi contestare alla radice l'ancienrégime,e i principi morali, religiosie politici su cui questo si fonda. Se ne accorsero. . subito i rappresentantidel potere allorchéLo spi11050 e rito apparve,e tutti si unirono nella condanna,in F 1 1 (ia con esazione F . . . l l' . politica rancia comem Europa:i1Par amento e arcivescovo di Parigi come la Sorbona, il Papa come l'Inquisizionespagnola;mentre anchegli enciclopedisti, accusatidi aver organizzatoinsiemead Helvétius quella che venne consideratauna «congiura»,videro proibire per semprela loro impresa editoriale. Che cosa contenevadi così pericolosoquel libro? A prima vista non appariva evidente.Il materialismo non vi veniva enunciatocon l'esplicitezzadegliscritti di La Mettrie; anzi, proprio nelle prime pagine,l'au. . tore nascondeva i propri convincimenti dietro L~ Sp,l~bito: asserzioni prudentemente agnostiche,sostenenPerch e un i ro d h l'' • • • d 11 • pericoloso? o c e impostazione sensistica e a propna epistemologiasi poteva accordarealtrettanto bene con l'ammissionedi una sostanzaspiritualecome, viceversa,con l'ammissioneopposta di una materia senziente e pensante. Il libro, d'altronde, non conteneva idee che non fosserogià state professate:Locke, e in particolareCondillaccon la sua riduzione sensistica dell'empirismone erano i principali ispiratori, mentre l'attribuzione alla materia della sensibilità

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....J veicolava un materialismo non nuovo rispetto a LU ::e quanto avevano già scritto Diderot e Buffon, se non per il fatto di esserel'esito, invece che di preminenti interessibiologicie naturalistici,di un percorsognoseologicointrapreso sulle orme di Condillac. Ciò che faceva de Lo spiritouna miscelapericolosa, inaccettabiledai benpensantie dai difensoridella stabilità politico-sociale,erano i corollaripedagogici e sociali che Helvétiusricavava dalle proposizioni del sensismo.Se tutte le conoscenzeprovengono dalla sensazione,e le stesse strutture mentali - L'eguaglianza nativadegli attenzione, memoria, immaginazione,intelletto, uomini. volontà - non sono che trasformazionidella sen- L'onnipotenza sazione stessa, allora si deve concludereche gli dell'ambiente uomini nativamente sono tutti eguali, privi di predisposizioniesclusiveche li destininoad esiti prestabilìtie diversi,e nellecondizioni,invece,di sviluppare o non sviluppare le attitudini più svariate, di diventare questo o quest'altro,a secondadell'influenza, da ritenersi assolutamente determinante, delle condizioniambientali.Leggiamone Lo spirito:

«L'ineguaglianzadi spiritoche si riscontratra gli uomini dipende dunquee dal governosotto il qualevivono,e dal secolopiù o meno felicenel qualenascono,e dall'educazione più o meno buona che ricevono,dal desideriopiù o meno vivo che essi hanno di distinguersi,e infine dalle idee più o meno grandi e fecondedelle quali essi fanno l'oggettodelle loro meditazioni.L'uomo di genionon è dunque che il prodotto delle circostanzenelle quali si è trovato».

Helvétiusnon lo diceva,ma le sue parole riguardavano da vicino la situazionedel suo paese,nel quale un governoarbitrario,i pregiudizi,le discrimi- F . . . . . . ll . . d' ,. La rancia: naz10msocia1i prossimea o spmto i casta, 1m- 1111caso tolleranza,condannavanola più parte dei sudditi esemplare alle cattive abitudini, al vizio, all'infelicità, all'impossibilitàdi raggiungerelivelli adeguatidi istruzione, addirittura all'incapacitàdi pensare: «Chi osa pensarein un paesesottomessoal potere arbitrario? La pigrizia, l'inutilità, la desuetudine,e persino il pericolo,di pensare, ne comportanopresto l'incapacità. Si pensa poco nei paesi in cui si taccionoi propri pensieri».

Occorreva allora la trasformazionedelle istituzioni politiche e sociali, che rendesse possibile un'educazioneegualeper tutti, per tutti pari op- Educazione per lutti portunità di sviluppomorale e intellettuale.Proseguiva,pertanto, Helvétius: «Tutta l'arte dell'educazioneconsistenel porre i giovani in circostanzeatte a svilupparein loro il germedell'intelligenzae della virtù. Non m'ha indotto a tale conclusione l'amore del paradosso,ma il solo desideriodi rendere felici

475

PARTE TERZA lL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

gli uomini. Mi sono reso conto che una buona educazione Il problemache si trova al centro della riflessione diffonderebbelumi,virtù e quindi felicitànellasoç:ietà;e che etica di Helvétius è, in effetti, quello di mostrare cola persuasionecorrenteche il genioe la virtù siano puri doni me sia possibile agli uomini, considerato che ogni della natura si oppone ai progressidella scienzadell'educasingoloindividuo di per sé guarda soltanto al proprio zione,e favoriscein tal senso la pigriziae la negligenza».

Non che Helvétiuspensassea mutamentipropriamente radicali dell'organizzazionepolitica dello stato; le sue mire rimanevano, in sostanza, al di qua del programmacostituzionalemontesquieianodella divisionedei poteri, e si fermavanoalla prospettivadi una monarchiailluminata,quale quellache eglicredettedi ravvisarenella Prussia di Federico II, presso il quale si era rifugiatoper qualchetempo, onde sfuggire Tradispotismo alle persecuzionisuccedutealla pubblicazionedel illuminato ed suo libro. Eglicomunqueritenne che il legislatore egualitarismo piccolo- dovesseprocederesecondoun piano razionaledi proprietarioriforme, inteso ad assicurare nel più alto grado possibilela felicitàper il maggiornumeropossibile di uomini; di questo piano doveva essere parte significativail riconoscimentodelle libertà civili dell'individuo,da quelladi religionee di culto alla libertà di opinione e di stampa. Fu sul terreno sociale che Helvétiussi spinsepiù avanti, auspicandouna sorta di egualitarismofondatosulladistribuzione,la più ampia possibile,della piccola proprietà contadina. Sotto il profilo più propriamente etico, il sensismo doveva condurlo a conclusionidi stampo edonistico-utilitario,che si contrappongono frontalmente ad ogni pretesa di fondare la valutazioneetica su prospettive religioseultraterrene, e mettono in evidenza la centralitàdell'interesseegoisticonella determiUtilitarismo , , umam. , La sensaz10ne • . naz10nedei. comportamenti eI1co , • f . d e, m atti, sempre accompagnata a una nota di piacereo di dolore,e pertanto divienesorgentedi bisognie di impulsi,che necessariamentesi traducono nell'azione. È cosi che ogni uomo agisce sempre in vista di un interesse,del proprio individualeinteresse, che - sentenziaHelvétius -

particolare interesse ed è sospinto solo dalle proprie passioni, innalzarsi alla considerazionedell'interesse collettivo,senza il perseguimentodel quale non Interesse sarebbepossibileuna convivenzasocialeordina- egoistico0 ta. E ancora una volta Helvétiusindica nel pote- interesse re dell'educazionela condizione di questa tra- collettivo. sformazione,o, per dir meglio,di questa integra- «Educare gli zione degli interessi particolari in un medesimo interessh> interessegenerale.Ciò che occorreè «educaregli interessi»in modo che la felicità del singolosi armonizzi con quella sociale,ed è questo il compitodella legislazione e dello stato. Nascono allora le virtù, che non sono altro che «interessitravestiti»,ossiainteressiche hanno acquistato una utilità sociale. Helvétius sarebbetornato sui temi affrontati nel libro del 1758 con un altro scritto, L'uomo, le sue facoltà intellettualie la sua educazione,apparso postumo nel 1772. In esso, confermandopuntualmente gnoseologiasensistica ed antropologia edonisti.. . . . . precedenti, • eg11. ms1steva . • criticad1 co-utihtana nell'af'!'1er- La D'd 1 mare l'onnipotenza dei fattori ambientali e del- 1 ero l'educazione,sollevandole critiche,come si è visto (V. PAR. 9), di Diderot, il quale nella sua Confutazionedi

«è sullaterra il potente incantatoreche cambial'aspetto degli oggettiagli occhi di tutte le creature».

Essoconsistenella tendenza a procurarsiil piacere e a fuggireil dolore, e quanto più si espande e si moltiplicasotto la sollecitazionedegli stimoli esterni, tanto più si complica e si arricchisce,sotto il profilo così intellettuale che emotivo, la vita dell'individuo. Introducendoa parlare Dio, cosi l'autore de Lo spirito gli fa dire, rivolto all'uomo: «Ti metto sotto la sorveglianzadel piaceree del dolore: entrambi presiederannoai tuoi pensieri e alle tue azioni; genererannole tue passioni;stimolerannole tue avversioni, amicizie, tenerezze, collere; accenderanno i tuoi desideri, timori, speranze;ti svelerannoverità e ti precipiterannoin errori; e dopo averti fatto partorire mille sistemi assurdi e diversi di morale e di legislazione,ti svelerannoun giorno i sempliciprincipi alla cui realizzazioneè connessol'ordine e la felicitàdel mondo morale».

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Helvétiusconla suafamiglia, in un dipintodi L. Carrogis, dettoCarmontelle.

SEZIONE SECONDA. L'ILLUMINISMO FRANCESE CAPITOLO 23

Helvétiussi faceva forte del proprio materialismo a sfondobiologicoper sottolinearel'importanza,accanto all'educazionee all'influenzadell'ambiente,dei fattori psico-fisiologici che fin dallanascitarendonoognisingolo individuo diverso da tutti gli altri. Dopo il venir meno dei clamori·sollevati dalla pubblicazionede Lo spirito,il nostro filosofoera tor-

nato a Parigi, dove aveva aperto un salotto letterario :e e filosofico,fervido di discussionie frequentato c..::> dagli illuministi.Dopo la sua morte, ne sarebbe 11 «:8!0110» ;;§ stata assicurata la sopravvivenzadalla moglie parigino --' Anne Catherine,intorno alla quale si sarebbe raccol~ to, durante gli anni della rivoluzione,il gruppo degli «idéologues»(V. voL.3*, CAP.9, PAR. 2).

15

Holbach

(1723-1789):

un «ateista furiosissimo»

aul HenryThiryd'Holbachnasce nel 1723 in terra germanicaad Edesheim,una cittadina del Palatinato prossimaal confinefrancese.Nonostante le modesteoriginiborghesi,egliereditail titolo nobiliare di barone da uno zio materno che di recente l'aveva acquistato, e che, al momento dellasua morte nel 1753,gli avrebbelasciatoin eredità ancheun riccopatrimonioterriero.Dopoaverstudiato all'università di Leida, in Olanda, dov'era venuto a contatto con la più recentecultura inglesee fran. utn cese assaidiffusain questopaese,Paul si stabilisce naiuraItzzao • • P . . d . d' . francesevent1se1enne a ang1e ottiene 1esserenatura11zzato francese.Entra in amicizia con Diderot, al quale sarebberimastolegatoper tutta la vita, conosce Rousseau,con cui invece sarebbe presto intervenuta una definitivarottura, collaboraall'Enciclopedia,per la quale scrivealcunecentinaia di articoliriguardanti la chimica,la geologia,la mineralogia,delle quali era divenuto un conoscitoreesperto anche se dilettante. Celebri sono rimasti gli incontri intellettualiche egli,fino agliultimianni della sua vita, fu solitoorganizzare due volte la settimana nella sua casa di UnceIIc1b1re Parigi e nella dimora di campagnadel castellodi «sao o» Grandva1, nei• pressi • d'1Souc1, • e che v1'dero, tra g1· 1 ospitioccasionali,personaggiillustricomeHume,Beccaria, Smith,Voltaire,e tra i partecipantipiù assidui, Diderot, Buffon,Helvétius,Turgot, Galiani. Al momento della crisi intervenuta nel gruppo degli enciclopedistisul finire degli anni cinquanta, Holbachfu d'accordoconDiderotnelritenerechefosse necessaria,in presenza dell'acutizzarsidella reLottafilosofica pressioneantiilluministica,una radicalizzazione 11~~ dellalotta filosofica, e chein brevetempolo avrebbe 1 mezzoal portato all'esplicitazionedi idee apertamentemapoI10I0»terialisticheed atee. Ebbecosì inizio una sua febbrile attività propagandisticache si espressesoprattutto nellapubblicazioneclandestinadi testi irreli• giosifino alloracircolantimanoscritti,di saggidi deisti inglesi come Toland.e Tindal, di scritti dello stesso Holbachma divulgatiin formarigorosamenteanonima o attribuiti ad autori già morti, nei quali potessero essere esposte dottrine materialisticheed atee, senza

~;~rs~i~:

bisognodi occultarlesotto moderatesembianzedeistiche.A differenzadi quanto si era prefissala letteratura libertinaseicentescae settecentesca,e in dissensoradicalecon la politicadelle«dueverità» - una per i dotti, l'altra per la 'plebe' ignorante-, cara al deistaVoltaire come anche ad un materialistaquale La Mettrie, l'obbiettivoholbachianoera quello,al contrario,di diffondere l'ateismo il più largamente possibile, anche in mezzoal popolo.Viderocosì la luce, durante gli anni sessanta,numerosi scritti, tra i quali Il cristianesimo svelato,ovveroesame dei princìpi e degli effetti della religionecristiana,Il contagioreligioso,Letterea Eugenia, la Teologiaportatile, la Storia critica di Gesù Cristo,un Saggiosui pregiudizi. Nel 1770apparve,sotto il nome di Jean Baptiste Mirabaud, uno scrittore antireligiosomorto qualche anno prima, quelloche tradizionalmenteè stato considerato il libro più importantedi Holbach,una sorta di bibbia del materialismoateo, quel Sistema dellanatura,ossiadelleleggidelmondofisicoe delmondomorale, nel quale eglipresentala sua concezionegenerale . dellanatura, insommail suo «sistema»materiali- 11 51'st?111 .8 . 1 1 ' s· ' d' f d , ' l' ma erta IS ICO stico. 1e 1 ronte a un operapiuttostopro issa, piena di ripetizioni,nient'affatto originale,che raccoglie in una visione sistematicaidee già ampiamente divulgateda una letteratura filosoficache da Hobbes discendefinoa Tolande a La Mettrie.Privo di interessi propriamentescientifici,l'autore non si confronta- in questoassaidiversoe più «arretrato»dell'amicoDiderot - con le ipotesi e le teorie che si andavano allora dibattendo in sede scientificaed anche filosofica,in particolareintorno alla questionenodaledel passaggio dall'inorganico all'organico, dall'animale all'uomo. Egli sembra volersi limitare a tracciare alcune linee essenziali,a fissarei punti, a suo parere ormai definitivamenteassodati,sufficientia fondareuna concezione materialisticadell'universoe dell'uomo. Ecco dunque l'affermazioneche la materia . non è inerteestensione,sostratopassivobisognoso Mat~r,aet , . dal d'1fuon,. da un mve. mov1men o d1. ricevere 1.1.movimento rosimilee incomprensibileesserespirituale,bensìrealtà eternacui il movimentoineriscenaturalmentedall'e

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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ternità,e secondole cuileggiinvariabilitutti i fenomeni naturalivengonosvolgendosi,in una catenaininterrotta di cause ed effetti. Di nessun dio-orologiaioc'è dunque bisogno;per spiegarel'ordine della natura, è sufficienteammettere, insieme con la necessitàdelle cause, l'eterogeneitàdella materia, ossia il suo essere costituita dall'«assemblaggio»di diverse materie che interagisconoe si combinanoin infiniti modi tra loro:

sue leggi,non può affrancarsene,nemmenocol pensieropuò uscirne;invano la sua intelligenzatenta di spingersioltre i limiti del mondovisibile,sempreè costrettaa rientrarvi.Per un essereformato dalla natura e da essa circoscritto,niente esisteal di là del gran tutto di cui è parte e del quale subisce le influenze».

«L'universo,questo assemblaggiodi tutto ciò che esiste, non ci mostra ovunqueche materia e movimento:il suo insieme non è che una immensa ed ininterrotta catena di cause ed effetti ... Materie assai diversificate,combinatein una infinità di maniere,ricevonoe trasmettonosenza sosta movimentidiversi.Le proprietàdifferentidi questematerie, le loro diverse combinazioni,i loro così diversi modi di agire, che necessariamentene discendono,costituisconole essenzedegli esseri;ed è da queste essenzediversificateche risultano i diversi ordini, gradi e sistemi che questi esseri occupano, nella cui somma complessivaconsiste ciò che chiamiamonatura... Essa è il gran tutto che risulta dall'assemblaggiodi diverse materie, dalle diverse loro combinazioni, dai movimentidiversi che vediamonell'universo».

«L'uomoè un esseredel tutto fisico;l'uomo spirituale non è che questo stesso essere fisico consideratosotto un particolarepunto di vista, ossia in relazionea qualcunodei suoimodi d'agire,dovuti alla sua particolareorganizzazione. Ma questa non è forse anch'essaopera della natura?I movimenti o i modi d'agiredi cui è capace,non sono forsefisici? Le sue azionivisibili,allo stessomodo dei movimentiinvisibili eccitatial suo interno, che provengonodalla sua volontà o dal suo pensiero, sono allo stesso modo effetti naturali, conseguenzenecessariedelsuospecificomeccanismo,impulsi che esso riceve dagli esseri dai quali è circondato ... Tutto q~antofacciamoo pensiamo,tutto ciòchesiamoe chesaremo non è altro che una conseguenzadi comela natura ci ha fatti: tutte le nostreidee,le nostrevolontà,le nostreazionisonogli effetti necessaridell'essenzae delle qualità che la natura ha messoin noi,oltrechedellecircostanzeattraversole qualiessa ci costringea passaree dalle quali veniamomodificati».

Non ha difficoltàHolbacha riconoscere·nelmovimento intrinsecoalla materia una sorta di energia,di forza dinamica e agente, una volta però che da concezi~~: questi termini siano eliminate del tutto quelle ((fisicissima» suggestioni,quei significatianimistici, caratteristici da sempredelleconcezionipanteistichedella natura;la suavisionedellanatura vuoleessere,per così dire,fisicissima;non semplicementeempia,comequella di Spinozao di Bruno chela natura avevanodivinizzato, ma propriamenteatea, esclusivadi ognidivinità, sia pur identificatacon la stessa materia. Devianti sembranodunque- sia detto di sfuggita - certetendenzeaffioratetra glistudiosiad interpretare in senso panteistico il materialismoholbachiano,ad attribuirgliuna sorta di religionedella natura, addirittura a romantizzarlo,comeserappresentasseun'anticipazione delle concezionivitalisticheed organicistiche care all'età romantica.È vero che Holbachparla della . . natura comedi un «grantutto» - espressionecara Interpretaz1om . , d . . . d d devianti a1 1mguagg10 e1 pante1st1-, ma a guar are a vicino si scopreche essasi risolve,comesi è visto, in un assemblage, che è parolaappartenenteal linguaggiodellameccanica;è vero che nell'apostrofeallanatura, con cui il Sistemasi chiude, Holbachparla di una religioneda eleggerein alternativa alla religionesovrannaturale,ma si tratta di nient'altrochedellamorale naturale, la quale ha per oggettosemplicemente«la conservazione,il benesseree la pace tra gli uomini», insomma «l'interesse di ciascun uomo, di ciascuna società,dell'intera specie umana». L'uomonella Naturalmente,l'uomo non fa eccezionenel sistenatura ma della natura: esso .

La distinzionechesoventesi è fatta tra uomofisico ed uomo spirituale costituisceun abuso:

L'idea che l'uomo sia libero è pertanto priva di alcun senso: «La nostra vita è una linea che la natura ci costringea tracciaresulla superficiedella terra, senza che noi possiamo distanziarceneper un solo istante. Nasciamosenza che l'abbiamo voluto,la nostra organizzazionenon dipendein nulla da noi, le idee che abbiamoci vengonoinvolontariamente,le nostreabitudinidipendonoda coloroche ce le fannocontrarre, siamo continuamentemodificati da cause, cosi visibili comenascoste,che regolanonecessariamenteil nostro modo di essere,di pensaree di agire.Chesiamofelicio infelici,savi o folli, ragionevolio irragionevoli,questo non dipende in niente dalla nostra volontà».

Bastaad Holbachaverefissatoquestipunti fondamentalidellasua filosofiadellanatura e dell'uomo,per venire a quello che è l'obbiettivo principaledella sua opera di infaticabile propagandista della verità del materialismo:la lotta ad oltranza contro la religione, in tutte le forme che essaha assuntonellastoria dell'umanità,dallereligionidell'uomoprimitivofino al . ' ' D' .. ' l' . ' Lalottacontro cnst1an~s1mo. . 1 questa cnt1ca antir~1g10s~,m la religione nomed1un ateismoche operasseper la hberaz10ne degli uomini e la loro maggiorefelicità possibile, è espressionela secondaparte del Sistemadellanatura, ma particolarmenteun'operettaconcepitae pubblicata successivamenteda Holbach,nel 1772, e destinata a grande fortuna per tutto il secolosuccessivoalla sua apparizione,Il buonsenso,ovveroleideenaturaliopposte alleideesovrannaturali, attribuito all'iniziosolitamente a Meslier (v.PAR. s). Di essa è stata proposta «èoperadellanatura, esistenellanatura,è sottopostoalle recentementeuna ben motivata rivalutazionenei con-

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SEZIONE SECONDA. L'ILLUMINISMO FRANCESE CAPITOLO 23

frontidelSistemadellanaturada SebastianoTimpanaro, che ne ha curato la traduzioneitaliana. Ciò chedistinguela criticaholbachianadellareligione dall'orientamentosoltanto anticlericaledi un Voltaire,chefacevarisalirele religionipositiveall'imposturadei preti ed alla lorovolontàdi dominio,è che l'origineprima dellareligioneè piuttosto da ricercare nelfondodell'animoumano,là dovesi annidanopaura ed ignoranza,alleatenell'incatenaregli uomini a credenzeirragionevolied assurde.Non che Holbachnon tenga conto dell'aspettopolitico della religione, L'origine della religione e dell'alleanzadei preti con i troni per costringere gli uominia tollerarein silenzio,sottola minaccia !'«impostura» deipreti di punizionisovrannaturali,i poteri terreni; solo chequestoaspetto,a suoparere,intervienesoltanto in un secondomomento,dopochela religionesiagià nata nel cuore umano. Egli sa bene, d'altronde, che limitarsia contestarel'imposturareligiosaera funzionale in Voltaire,comenellevarie versionidel deismo moderato o teismo, al recupero d'un cristianesimo «illuminato»,d'una religionerazionale,mondatadegli aspetti «grossolani»delle religionipopolari, ma pur semprepartecipedellaloromenzognadi fondo,e, come vedremo,non meno di esse insostenibile. Alla radice dell'idea della divinità sì nasconde l'ignoranzadellecausedellecosee deglieventi,che fa apparireil mondoinintelligibilee quindi temibile;gli uominisi rifugiano,di conseguenza,nellemani di Ignoranza e • • • • h' d paura un esseresupenoree m1stenosocm c ie onoprotezionedai malidell'esistenza,ma che,a suavolta, incute nuovepaure di punizioniterribili,in una sorta di circolovizioso,che non fa che metterein evidenza ilbisognoirraziohaledi provartimorechesi è impadronito dell'animo umano. Scrive Holbach ne Il buon senso: «Ignoranzae paura, eccoi due sostegnidi tutte le religioni.L'incertezzain cui l'uomo si trova in rapportoal proprio Dio è precisamenteil motivo che lo tiene aggrappato alla propria religione.L'uomoha paura delletenebre,sia in sensomateriale,sia morale.La paura divienein lui abituale e si tramutain bisogno;eglisi riterrebbeprivodi qualcosase non avesseniente da temere».

Non c'è d'altronde,una sostanzialedifferenzatra le religioniprimitive e le religionispirituali come il cristianesimo,che hanno solonascostola loro origine «selvaggia»e «crudele»dietroformepiù raffinate Religioni ma nonmenoassurdee sanguinaprimitive e e spiritualizzate, religionirie nella sostanza:assurde,come, ad esempio,la spirituali credenzaeucaristicacheHolbachnon vedediversa dallepratichesuperstiziosedegliantichiselvaggi;sanguinarie,comele leggichecondannanogliuomini alla tortura e alla morte solo per il loro modo di pensare.

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platonismoricco di echi neoplatonicie rinascimentali «conoscenzadelle umane e divine cose - eglidiceva - è testimonianza significatival'opera di PaoloMattia convertitain immaginefantasticae armoniosa». Doria( 1662-1746), dell'anticafamigliadei condottieri e magistratigenovesi,ma napoletanodi adozione.SePur non sfuggendodel tutto al rischio di una in un primo momento della filosofiacarte- . . concezionetroppo didascalicadella poesia,il Gravina guace • • t a a sensi. add'mttura . . Dona: mvece stana, che avrebbe piega spicheCartesio . ebbe il senso che ritroveremo ben più acuito nel P oesiae v·ico e che verra , npreso • da1 neoc1assicismo, •• filosofia ad noziani, sembra ne venissedistolto da Vico che, Platone• ' esempio, del Foscolo -, dell'incorporarsi fan- come questi stessofa intenderenella sua Autobiotastico, nelle parole della poesia, e attraverso i suoi grafia,lo avrebbeiniziatoalla scuoladi Platone. Sta di fatto cheDoria, pur riconoscendotalvoltachela filosograndi miti e le favole,delle verità filosofiche: fia di Cartesio potesseservire,«agli uomini di buona «La favola è l'essere delle cose trasformato in geni fedee di cuor sincero»,da introduzionealla filosofiadi umani ed è la verità travestitain sembianzapopolareperché Platone, venne descrivendo,in scritti come i Discorsi il poeta dà corpo ai concetti,e con l'animar l'insensato,ed criticifilosoficidel 1724e La filosofia di PaoloMattia avvolgerdi corpolo spirito, convertein immaginivisibilile Daria con la qualesi schiariscequella di Platone del contemplazionieccitatedalla filosofia;sicchéegli è trasformatore e producitore,dal qual mestieroottenne il suo no- 1728, un tragitto che, prendendo avvio dal recupero del pensierodi Plotino attraversola mediazioneriname». scimentale,risalivaal Platone del Timeo e soprattutto Da questaidea dellapoesia,quale«conversionein del Parmenide,tutto impegnatonel dibattereil problefigura corporea delle contemplazionidella mente», il ma del rapporto tra Uno e molteplice. Segno di una crescentechiusura alle novità del Gravina risalivaalla sua origineidealee storicain D O • meroe ante O . classica . - em . Dante, pensiero moderno, che potremo constatare presente mero e nella grande poesia per quanto riguardavala poesia italiana -, primo tra anche nel Vico,è poi lo scritto sullaDifesadellametatutti, anchein questocasoin compagniadi Vico,a dare fisica degli antichi filosofi contro il signor Giovanni Locke del 1732,nel quale il Doria, così tanto stimato inizio in Italia alla fortuna dei due grandi vati. Per tornare ora alla diffusione,nella cultura filo- da Vico,si scagliavacontro il «livore»antimetafi- e L 1 • d'i una f'l • e mgannevo • le, «tutta oniro octe i osof'ia empia sofica italiana tra i due secoli, dell'interesse per la sico tradizione platonica, ci rimane da dire che questo radicata nelleipotesie nell'esperienzadei sensi».Que-· interesse traeva alimento anche da autori non teneri sta, del resto, sarebbestata la filosofiache più di ogni con Cartesioe suoi detrattori; come se «Renato»,che altra avrebbe contribuito ad alimentare il dibattito pur era stato per molti maestro e confermatore di filosofico,al momento della maturità, anche in Italia, platonicheverità, si scoprisseora filosofomalamente dalla metà del XVIII secolo in poi, del movimento echeggianteinsegnamentichesi trovavangià,tanto più illuministico.

3.1

Vico o668-17 44J:tra etàbarocca edetàilluministica La formazione spirituale. Aspetti «reazionari» del suo pensiero

~

...l. u in questo ambiente culturale che venne for- dovevanocostituirei principidel suo pensieromaturo. t.;._·;·:•'.•.;·•·,;·, mandosi nella sua prima giovinezzaGiambatti- In realtà, nonostante poco sappiamo di quanto egli ~• sta Vico,il qualetrasse da essoassai più alimen- pensassenei suoi più giovanianni, Vicodovetteparte~ cipare in qualchemodo della cultura dei novatori, che ~~:in~~:n:~t~~l;b0r~li~~~~i~i;;;}z~: a Napoli venivano introducendo gli autori della più nel 1725,in anni lontani da quelliversoi quali si volge recente moderna filosofia.Sembra esserne un docula sua memoria,è intento piuttosto a descriversicome mento significativo una canzone resa pubblica nel un «autodidascalo»,sostanzialmenteestraneo al- 1693, Affetti di un disperato, nella quale è vistosa un

«Questecose di fisica, che sono presentatecome vere in forza del metodogeometrico,non sono se non verosimili, e traggonodalla geometriail metodo,non la dimostrazione: dimostriamo le verità geometricheperché le facciamo;se potessimodimostrarele cose naturali, le faremmo».

Ma questo ci è impossibile;e, a confermadell'intento principale che, pur sottinteso, ispira il suo discorso,e cioè salvaguardaredall'empiaminacciadella scienza cartesiana le verità della teologia platonicocristiana, cosi Vico conclude: «Infatti le forme delle cose sono vere solo in Dio ottimo massimo,e la natura delle cose si conformaad esse».

In questo contesto, cosi remoto dalle moderne problematichescientificheintorno alla natura, appare allora meno significativadi quanto avrebbe potuto esserela distinzionecheVicotracciatra la presun- s . .. . , l , . . ullospentuosa f1s1cacartesianae o sperimenta11smoga11- mentr leiano,cui riconosce,ancorain forzadel principio galile~;~;o del «verumipsum factum»,una qualchecapacità Occorredunque combatterel'esclusivismodi chi di approssimazioneal vero. Attraversol'esperimento, pretenderebbe fare del metodo matematico e della infatti, si riesce a riprodurre in qualchemodo ciò che scienza naturale il solo metodo e la sola scienza am- la natura produce, il che ci mette nelle condizioni di missibili,e consegnareal mondo dell'incertoe dell'ir- comprenderequalcosadei suoi interni processi: rilevantela dimensioneumana dellarealtà. Che se poi fisica - scrive Vico - si hanno per buone quelle - avrebbe scritto Vico qualche tempo dopo - si pre- teorie«in che si possonoprovarecol fatto, cioècon l'operarenoi tendessesottoporreanche questa dimensioneal domi- medesimiun effettosimilea quellodella natura». nio dei paradigmifisico-matematicie «recareil metodo geometriconell'orazioncivile»,allora Ma veniamo agliulteriori sviluppidella riflessione vichiana. Armato del suo nuovo criterio di verità, «sarebbelo stessoche toglierdallecoseumanegli appetiti, la temerità,l'opportunità,il caso ... In una parola sareb- il nostro filosofo si sente ormai pronto a costruire il proprio sistema filosofico alternativo al cartesianibe fare nelle raunanzeda Dottore invecedi Oratore». smo, che avrebbevoluto esporre in tre parti - metafiÈ nel De studiorumrationeche Vico, allo scopo sica, fisica e morale -, ma di cui solo la prima doveva di rintuzzare le pretese della scienza cartesiana, pre- trovar posto nel De antiquissimaitalorumsapientia suntuosamente fondata sul criterio dell'evidenza e ex linguaelatinaeoriginibuseruenda,lo scritto del delleidee chiare e distinte, proponeper la prima volta 1710col quale Vicoentra nel novero dei più noti 110 il suo nuovo criterio della verità, incardinato sul nes- filosofi italiani del tempo, A somiglianzadi Ba- an/q •ss·na '' U/11 so di «vero»e «fatto», ossia sul principio che si possa eone, ehe ne1suo De sapzentiaveterum(v.CAP. 10, fare scienzae dare dimostrazione,insomma conosce- PAR.2) aveva preteso scoprirenei miti antichissimidei «vero», solo ciò che noi stessi «faccia- Greci l'allegoriadelle verità filosoficheda lui profesu" nuovore come d, . . l , , sate, e non meno arbitrariamentedel filosofoinglese, criteriodi mo» e 1cm siamo a causa - sapere e «scireper verità causas»-, e che perciò noi stessi siamo in grado Vico, rifacendosiperò anche al metodo suggeritodal di riprodurre avendolouna volta prodotto, come Cratilodi Platone, ipotizza che le proprie dottrine è il caso, ad esempio,delle proposizionidella geome- metafisiche risalgano all'antichissimasapienza degli tria. Un cosiffattoprincipio, che proprio nuovo non italici, quale sarebbevelatamenteriposta e inconsapeera, e Vico stesso aveva tratto dalle discussioniintor- volmente suggeritanelle etimologiee nei segni delno al metodo sperimentalein fisica avviate durante il l'antica lingua latina. «I Romani - egli scrive - parlaSeicento- tra gli altri, da Gassendi (V. CAP. 12, PAR. 3) e rono lingua di filosofisenza esser filosofi». A cominciaredal principio gnoseologicodel «veda Hobbes (v.CAP. 1s, PAR. 4) -, viene dal nostro filosofo adoperato non già per progredire sul terreno della rum et factum convertuntur» («verum ipsum fac-

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tum» ), del quale ora egli esplicita tutte le implicazioni teologiche riguardanti il sapere divino e il rapporto di questo col sapere umano:

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Napolicittàe capitale moderna

, «In latino verume factumhanno rapporto di reciprocita, o, per usare un vocabolovulgatonellescuole,si convertono l'un l'altro ... Da ciò è dato congetturareche gli antichi sapienti italici convenisseroin queste sentenzeintorno alla

colorito allo sfarzo della corte regiae della vita aristocraticae borghese. Nelleprovincequestaplebe sa - evidentemente- che si troverebbeancorapeggio. In tal modo Napoli- osserva il Capaccio- «perfrequenza di habitatoridivennecosì grandein Europa».Ne divenne,infatti,dalla metà del secoloXVI in poi la secondacittà, dopo Parigi,e lo sarebberimastafin quasi agli inizi del secoloXVIII.Il suo ritmo di crescitaè impressionante:100.0ùO abitantiagli inizi del '500; circa 250.000alla fine dello stesso secolo;oltre 350.000 primadella peste del 1656... Non sorprendeperciò che alla metàdel secoloXVIIsi sia raggiuntoa Napoliun vero e proprio parossismo della congestione... L'esigenzadi spaziospinge in alto le costruzioni,A Napoli- dice il Capaccio- le case hannocinquee sei piani,il doppiodi città come Parigi.Si può costruirecosì alto - aggiunge- perchéil

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materialeda costruzioneè leggeroe si prestaad essere ben connessodalla buona maltalocale.La stessa esigenzamantieneinalterata l'anticapiantaippodamea della città grecae romana;e tenne ad imporla,benché non semprevi si riesca, anchenei quartieridi nuova costruzione.CosìNapoli apparecome una speciedi città di «grattacielb>, che sorgonosu lunghie stretti vicoli. Gli spazi apertie le ampieprospettive dell'urbanistica rinascimentalenon vi attecchiscono.I suoi palazzi - vieneosservato- sono imponenti,ma non hannola monumentalitàe la bellezza di quelli di Roma,di Firenze o di Venezia.Le condizioni igienico-sanitarie vi appaiono ancorapeggioridi quelle comunia tutte le grandicittà dell'epocapre-industriale. Tutti avvertonouno stato latente,ma costantee profondodi tensionesociale ... Si parla,con riguardoalla bellezzadei luoghida tutti ammirata,di un «paradiso abitatoda diavoli».In effetti vi si riscontranofenomeni anch'essieccezionalidi emarginazionee di violenza. Si teme sempreil serra serra, la jacquerieurbana estemporanea,senza ragionespecificae senz'altro obbiettivoimmediatoche il saccheggio,per cui si corre a «serrare»le porte delle botteghee dellecase. Il «colorelocale»è assaiforte, ma si nutre del contrastofra i lussi e le miseriedi una capitaleugualesolo a se stessa,che è un luogo di elezioneper chi voglia studiareuna delletipologie più esemplaridi un grande Lumpen-Proletariat dell'epocapre-industriale».

PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

oC)

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entità matematiche,per uno come Vico che loro ha negato ogni portata ontologica,non sono che pallide finzionidellamentedegliuomini,sicchéla scienzache le ha per oggetto,quanto si vogliacerta e vera, non è più che «una tenuissimascienza». . Non sembrerebbedunque questa riflessionesui poteri conoscitividellamenteuna conclusionediversa dallo scetticismo,tanto più che a cadere sotto i colpi dellacritica vichianaè anche quelloche Cartesioave. . er11ca 1 d I va pretesofosseil «primumverum», confutazioe d . . ll «cogito»ne, a suove ere, tanto semp1ice quanto mappe acartesianobile degliscettici.Vicoriconoscesì che il «cogito» comporta certezza,ma una certezza meramente esistenziale,limitataalla'coscienza'di sé,dellapropria nudaesistenza,ma non già'scienza',per la qualeoccorrerebbepoter conoscerele cause del pensiero: «Io scettico,pur sapendodi pensare,ignora tuttavia le causedel suo pensare,vale a dire la guisain cui il pensaresi produce».

Per questooccorrerebbechelamente umana fosse lei stessacreatricedi sé; il che, lo si sa bene, non è. Il «cogitoergo sum» cartesiano,insomma, non sembra più che la banaleconstatazionedi esistere- 'io penso, dunqueci sono':questoavrebbedovutolimitarsia dire il filosofofrancese-, della quale è capace, senza per questoaver bisognodi essereun grandefilosofo,perfi-

no l'illetteratoSosiadella commediaplautina, che così si acqueta dal turbamento prodotto dall'apparirgli di un altro identico a sé. È con questo argomentoche Vico si sbarazza della novità cartesiana dell'autocoscienza, contrapponendo ad essa - anche in questo caso, filosofo pre-moderno - l'antica verità di Dio, Primo Vero. Accanto alla problematica gnoseologicafinora esaminata,e strettamenteintrecciataconl'impalcatura teologicadi ispirazioneplatonico-cristianache rappresenta il debito di Viconei confrontidel pensierotradizionale, troviamo nel De antiquissimala fondazione metafisicadi quellafisicadi ascendenzeermetico-cabbalistiche di cui si accennava di sopra. L'autore, in alternativaallariduzionecartesianadellamateria L 1.. . . l . d' . a 1s1ca ad estens10negeometrica,e ne tentativo i nas- vichiana sorbirein una concezionespiritualisticadel mondo le teorie atomistichecosi diffusenell'ambientenapoletanoe italiano del tempo,parla di «punti metafisici» immateriali,come di altrettanti «conati»o «virtù» spirituali,generatricidell'universomateriale,dietro le quali, ad eccitarle,si nasconde«una mente infinita ed immota in sé, cioè Dio». Essepotrebberofar pensare, cometalvoltasi è fatto, alle monadi di Leibniz,se non fossecheVicopocolessee conobbedelfilosofotedesco; in realtà - ma l'abbiamo già detto-, le sue fonti erano state assai diverse da questa.

Verso la «grande discoverta» egli anni immediatamentesuccessivialla stesura del De antiquissimaVico non fece seguireil completamentodel suo sistema filosofico,che, per essereracchiusoentro l'ambito di una tradizione teologica e metafisica datata e fin troppo fedelmente accolta, non lo avrebbe di certo fatto emergere più che tanto in mezzo ai dotti del tempo, e che oggi non gli meriterebbe più che una paginettanei manuali di storia della filosofia. È vero che negliscritti apparsi finora non mancavano spunti e motivi che, debitamente ripresi e sviluppati, avrebberopotuto avviare il loro autore verso quello sforzo creativo destinato a concludersi nella fondazionedi una «nuova scienza»:la percezionedel-• Ger . . . l'importanza della fantasia e della poesia nella mmaziom • de1 smgo • 1o come de11a co11ettlvita • • ' umana; 1a peruna imuovavita scienza»riabilitazioneanticartesianadel senso comune e del verosimile,intesi come spazio propriamente umano attraversato dalla tensione verso una verità ancora soltanto intravista - vis veri -; l'attenzione all'eloquenzache consentedi misurare in tutta la sua portata il valore e l'incidenza delle passioni;l'interesse per il diritto e la giurisprudenza;la consapevolez-

za della molteplicitàdei metodi, tutti egualmentelegittimi a seconda delle materie che si voglianotrattare, sicché accanto a quello geometricodevono avere un loro spazio il metodo oratorio, il poetico, l'istorico, e così via. Occorreva però, perchè tutte queste germinazionidessero luogo a grande fioritura, un'occasionepropizia, come, ad esempio,l'opportunità di avviare gli studi in una direzione piuttosto che in un'altra. Così doveva avvenire:tra il 1714 ed il 1716 venne dedicandosi Vico ad un De RebusgestisAntonii Caraphei,una biografia di Antonio Carafa,il celebre condottiero al servizio dell'imperatore Leopoldo I d'Asburgo,per la stesura della quale dovette af- A 1 10 . dei• problemi. re1ativi • . a11 conron frontare 1o stud10 a natu- con i ra e ai fondamenti del diritto e delle istituzioni giusnaturalisti civili,con la.conseguentenecessitàdi immergersi nel mondo della storia e di meditare sugli scritti dei giusnaturalisti,da quelli di Pufendorf (v.CAP. 14, PAR. 4) al Dejure belliac pacisdi Grazio (v.CAP. 14, PAR. 3), di cui nel 1717inizia un commento,presto interrotto al pensiero che «non conveniva a uom cattolicodi religione adornar di note opera di auttore eretico».

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Del grande pensatore olandese,peraltro, riconosciutocomeil proprio quarto «auttore»,insiemea Platone,Tacitoe Bacone,Vicoapprendela lezionerelativa al rapporto tra diritto naturale e diritto positivo,strutture universalidellanatura umana e mutevolezzadelle leggideterminate dei popoli, tendendo egli peraltro a rimuovere della filosofiadi Grozio un troppo statico modo d'intendere la ragioneumana, a vantaggiopiut. tosto dell'ideadi una lenta maturazionedi questa Groz,o, q1i1iarto attraverso la storia, che lasciassespazio ad uno «auore» stud'10genetico • de11 • • • • 'd' h e e1ormaz10m etlco-gmn ic e, socialie politicheche contraddistinguonola storia dei popolie dellenazioni.Comedire chei princìpirazionali del diritto e della morale e della politica sono da considerare attinenti all'uomo quale deve essere, al qualedevonosì esserecommisurati,ma non sacrificati, gli uomini quali sono di fatto, in quelle loro manifestazioni storicheche accompagnanoil corso delle nazioni, e nelle quali queglistessiprincipi razionaliforse vannofaticosamentedisvelandosi.In altreparole,Vico va ponendosiora il problemadi comeconciliareleverità universalied immutabilidi Platonecon i fatti accertati, di cui è contestoil camminodegliuomini nel tempo, e dei quali Tacito era stato attento quanto crudo osservatore. Frutto di questariflessionesonogliscritticheVico produce tra il 1720 ed il 1722, raccolti sotto il titolo complessivodi Dirittouniversale: una breveSinopsidel dirittouniversale a mo' di introduzione;un primolibro, De universijuris unoprincipioetfine uno,dedicato ai problemi strettamente giuridici;un secondo,De constantiaiurisprudentis, di argomentoinveceprevalentemente storico-filosofico,distinto in due parti, De constantiaphilosophiae e Deconstantia philologiae; infine, una seriedi Notaein duoslibros,nellequali è contenuta una prima esposizionedella critica omerica oltre che varie interpretazionidi antichi miti grecie latini. Vicoavevamotivo di diffidaredi certi aspetti del pensierogiusnaturalistico,di cui vedevabene il prevalenteorientamentolaicoed irreligioso,e il suosforzofu di utilizzarne il patrimonio di idee ispirate in senso razionalisticoconciliandoloconle premesseteologiche e religiosedella propria filosofiacattolica.Attraverso Pufendorf e gli altri giusnaturalisti,ad esempio, Unrecuperoeglirecuperadella filosofiapoliticadi Hobbesl'icristiano dea dell'origineferinadell'umanità,cheben vededell'origine va poter conciliarsicol proprio orientamento a ferina dell'umanitàconcepirein modo storicola razionalitàumana; si trattava soltanto di reinterpretare quell'idea alla luce della verità cristiana del peccato originale.Negli uomini-bestionidelle origini, vaganti nelle selve,non s'avrebbeda vedereinsommaaltro chel'«Adamodecaduto», nel qualela razionalitàè stata comesommersae impeditadallaviolenzadegliimpulsianimali;non però distrutta, sicchéle è possibileriemergeree riaffermarsi, sia pur non più nell'integritàoriginaria.

o Già nel De universiiurisVico svolgela teoria, che

scienza»,secondocuiproprioattraversoi sensi,chepur hanno ottenebratola loro ragione,i bestioni primitivi elaborano fantasticamentele immagini e i miti I b . . . , , , .•d ll e , ll est1om destmah a rest~tmr1i a o stato ~ermo_aque o primitiviegli umano. Il fulmme saettante nel cielo e il rombo inizidellaciviltà pauroso del tuono non li mettono in fuga, come fosserosoltanto animali,ma al contrario suscitanonel loro animo timore misto a curiosità, che li spinge a sollevarelo sg_uardo versoil cieloe a figurarsila collera di un nume. E la paura di questa presenzanuminosa, cheVicoqualificacome«pudore»,a costituirela molla chefa riemergerenellacoscienzadei primitiviquellavis veridi cui accennavamodi sopra, capacedi mettere in moto i processidellacivilizzazione. Più in generale,Vicoelabora,in particolarenel De constanti a iurisprudentis, glielementifondantila storia come nuova scienza,tanto che molti studiosiconsiderano il Dirittouniversale comeuna sorta di prima redazione del suo capolavoro,che avrebbe intitolato, appunto,Princìpidi unascienzanuova.Egli,utilizzandoil criteriodel «verum-factum»in questonuovo con- L . .1 . i.1nessovero-certo,senzai.1quale la nesso astoriae1 testo, teorizza storia né sarebbené sarebbeconoscibile.Essaè sì, vero-certo infatti, svolgimentodi fatti e vicende particolari, che è compito della «filologia»raccoglieree rendere «certi»attraversodocumentie testimonianzeaffidabili, ma non è solo questo: in quello svolgimentosono presenti, che gli uomini lo sappiano o no, le «ragioni» degliaccadimenti,senzale quali questi non avrebbero senso, e che sono costituite da quel «vero» ideale ed eterno chela «filosofia»ha per proprio oggetto. Pertanto, la scienza della storia è possibilenella misura in cui idealeed effettuale,filosofiae filologiasi uniscano:la filosofiadeveabbandonareil terreno delle verità astratte e separate nel quale finora infecondamentesi è chiusa,per ricercarlenelflussotemporaledei fenomeni,e così «accertarle»;la filologia,a sua volta, ha da oltrepassarel'orizzonte della sempliceco- F"I 1. · de1certo, per «~~ver~re» · e • 1osome scienza i• 1~tti attraverso filologia; la conoscenzadelleventa umversahed eterne che Platone eTacito di essisonoi fondamentiideali.Finchéi discepoli di Platone, fissi nella contemplazionedell'eterno, e i seguacidi Tacito, contenti di stare ai fatti, non decideranno di incontrarsi in una medesimaprospettiva, la storia non potrà dirsi scienza:per servirsidi una metafora che, in un diversocontesto,sarebbestata usata da Kant, si potrebbedire chela filosofiasenzala filologiaè «vuota»,e «cieca»questasenzala prima. NellaScienza nuovaVicoavrebbedimostrato «avermancatopermetàcosìi filosofichenon accertarono le lororagioniconl'autoritàdei filologi,comei filologichenon curaronod'avverarele loro autoritàcon la ragionde' filosofi; lo che avesserofatto, sarebberostati più utili allerepubbliche e ci avrebberoprevenutonel meditarquesta Scienza».

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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La «Scienza nuova»: tra metodo scientifico e pressioni della tradizione teologica e metafisica

a vita del Vico professoree scrittore non fu, neglianni di cui stiamo parlando, felice,né allietatada un qualchesuccessodella sua opera, né lo sarebbemai stata fino alla morte. Le teorie presentatenel Diritto universale cadevano in un ambienteintellettualecome quello di Napoli . impreparatoad accoglierle;se ne parlò come di Unavitapoco • d'1sseche 1osse " stravaganze, e d'11m• s1 add'mt• tura 1r e ,ce preda di una ben singolarepazzia. Nel 1723 la sua partecipazionead un concorsoper ottenere una cattedradi dirittocivile,che molto avrebbe significato per lui anche sotto il profilo economico, si era conclusain malo modo, ed assai ebbe a soffrirne, anchenel doverconstatarela pochezzadella persona che gliera statapreferita.Egli- si leggenell'Autobiografia- «disperònell'avvenireaver mai più degno luogonellasua patria». Di carattere scontroso e suscettibile,vennechiudendosiin se stesso, scarso di amicie relazionisociali,estraneo alla politica pur in tempi turbinosie pieni di rivolgimenti- nel giro di pochi anni dovevanosuccederesul trono di Napoli aglispagholigliAsburgo,ed a questi un ramo cadetto dei Borbonidi Francia-, dedito soltanto all'insegnamentoed allecure della famiglia. Ed allostudio,naturalmente!Egli era profondamente convintodel valore delle proprie dottrine e, dopoun momentodi scoraggiamento,tornò a lavorare intornoall'operacui avrebbededicato il resto della propriavita.Nel 1725,finalmente,dava alle stampe a Napoli i Princìpidi una scienza nuova intorno alla naturadellenazioni,per la qualesi ritruovanoi princìpi di altrosistemadel diritto naturaledellegenti, noti anche col titolo, con cui più tardi lo stesso Vico li avrebbe indicati, di Scienza nuova prima. Privo L com'eradi ognisostegno,per affrontare le spese elabora~~~~gd~ d~pubblicazion~ si era v_istocostr~tt? a disfars~ uncapolavorod1un anello«ov era un diamante d1cmque gram di purissimaacqua»;dopodiché,manco a dirlo, l'apparizionedell'operapassò a Napoli nell'indifferenzagenerale,e Vico ebbe a scriveredi essersi confermatonell'«oppinionedi averla mandata al diserto». Nel 1729l'avrebbe interamente riscritta cambiandonela struttura, ed esito ne sarebbero stati i Cinquelibridi G.B.Vico de' principii d'una scienza nuovad'intornoalla comune natura delle nazioni, la cosiddettaScienzanuova seconda,apparsi sempre a Napoli nel 1730. Dopo una nuova riscrittura nel 1734-35,nonavrebbecessatodi rivedere, correggere, migliorare,integrareancora il suo capolavoro,la cui ultimaredazione- la Scienza nuova terza - sarebbe apparsanel 1744,sei mesi dopo la sua morte. Tanto

avevapotuto la consapevolezzadi Vico d'esser l'autore di un libro che apriva la strada di un nuovo mirabile sapere!In una lettera del 1725,l'anno della Scienza nuovaprima, così egli ebbe ad esprimersi: «quest'operami ha informato di un certo spirito eroico, per il qualenon più mi perturbaalcuntimore dellamorte e sperimentol'animo non più curantedi parlare degliemoli. Finalmentemi ha fermato, come sopra un'alta adamantina rocca,il giudiziodi Dio, il quale fa giustiziaalle opere d'ingegno».

Prima di vedere quali siano il metodo e i principi della nuova scienzadella storia di cui Vico si presenta comelo scopritore,sembra opportunotornare ad insistere su quale sia la condizioneche la rende possibile. Essa è data proprio da quel criterio del «verum-factum», in base al quale è risultata sbarrata la stra- iiQuestomondo da della conoscenzadella natura e anche di noi civileè stato stessi in quanto esseri che usciamo dalle mani fattodagli creatrici di Dio. L'intuizione che sta all'origine uomini...» della «grande discoverta» vichiana consiste appunto nel comprendere che è delle vicende storiche degli uomini - miti, linguaggi,religioni,poesia, leggi, istituzioni civili - che si può fare scienza, poiché di quelle sono gli uomini gli autori, come Dio lo è delle cose naturali. Enuncia Vico nel primo libro della Scienza nuova: « ... questo mondo civile egli certamenteè stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazionidella nostra medesimamente umana».

Se i filosofi hanno trascurato di studiare il mondo delle nazioni e si son persi nel tentativo di conoscereil mondo della natura, ecco,addotta da Vico, la causa, di schietta derivazioneplatonica, di un così «stravaganteeffetto»:esso

Uno stravagante 11 effetto»e la suacausa

«è provenuto da quella miseria ... della mente umana, la quale, restata immersa e seppellitanel corpo, è naturalmente inchinata a sentire le cose del corpo e dee usare troppo sforzoe fatiga per intendere se medesima,come l'occhio corporale che vede tutti gli obbietti fuori di sé ed ha dello specchiobisogno per vedere se stesso».

Da dove si desume con chiarezza che la conoscenza storica è agli occhi di Vico la vera scienzache gli uomini possono acquisire di sé, alternativa alla vana autocoscienzacartesiana;essi possonoscru- unanuova tare e penetrare la propria mente, e le «modifica- iiautocoscienza} zioni» che ne costituisconola struttura ideale, in

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SEZIONE TERZA. ILLUMINISMI DIVERSI: ITALIA E GERMANIA CAPITOLO 25

quanto queste si riflettono, come in uno specchio, negli accadimenti della storia. Come dire che gli uomini si conoscono non in quanto fatti da Dio, ma nella misura in cui, in qualche modo, si fanno da sé nella storia. L'ambiguitàdi fondo che si nascondenel pensiero vichiano anche in questa fase della sua maturità, preso in mezzo tra vecchio e nuovo, tra suggestione . della tradizione umanistico-rinascimentalee delAmbiguita • barocca,e press10ne • de11 pensidel ro la cultura rel'1g10sa e 1·dee vichi!io nuove indotte dalla rivoluzione del pensiero scientifico moderno, emerge con chiarezza dal modo stessodi proporre il metodo secondocui procedere alla costruzione della nuova scienza, oscillante tra richiestedi una moderna ragionecritica e richiami alla fedeltà ad una ancor forte tradizione religiosa. Da una parte Vico insiste su di un necessario procedimento scientifico: egli afferma di voler trasportare «dallenaturali all'umane cosecivili»il metodo di Bacone,cosi efficace,per il suo prender le Unarigorosa mosse dalla concretezzae particolarità dei fenometodologia scientificameni, nel ricercarei «fondamentidel certo»; ma anche lo vuole integrarecon l'attenzione ai prin-

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.. ··, cm ~ «ideaieterno»avevano abbandonati Epicuro e «1d1lm seguaci Obbes e Macchiavello»,quanto quello del «fato», di cui parlava lo stoico Zenone,«e con lui Spinosa». Se una necessitàsi dà nella storia, essa è del tutto compatibilecol libero arbitrio degli uomini: consiste in quella significanzarazionale intrinseca alle umane vicende che deriva, appunto, dal loro rispecchiarele «guise» proprie dell'universalenatura degli uomini. Perché è vero che una storia più profonda opera invisibilmentenella storia empirica,cui troppo spessosi è limitata la curiosità superficialedegli uomini. Da questo nesso di particolare e universale, di storia nel tempo e di storia eterna, dipende il fatto, altrimenti inspiegabile,di «idee uniformi nate II «senso . , . . l . . comune» ... appo mtlen popo11 tra esso oro non conosc1~t1»: esse son frutto del «sensocomune»,che, sostiene Vico, «è un giudiziosenz'alcunariflessione,comunementente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il gener umano».

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La provvidenzadivina dunque «è l'architetta di questo mondo dellenazioni»,la «reginadellefaccende degliuomini»:questimai saprebberoinnalzarsial , . di sopra dei fini particolari che il loro egoismo dL~te,.r~genesi . le persegue,se non mtervemsse . . - e, la cosi'd - e1 1111 bestla detta teoria dell'eterogenesidei fini - una mente superiore a servirsi di quei fini per volgerli verso esiti universali. È vero che sono gli uomini ad aver fatto questo mondo delle nazioni, «ma è egliquesto mondo, senza dubbio,uscito da una mente spessodiversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti;quali fini ristretti, fatti mezziper servirea fini più ampi,gliha sempreadoperatiper conservarel'umanagenerazione in questa terra».

In nome di questa«teologiacivileragionata»Vico porta il suo attacco contro Grozio e gli altri giusnaturalisti che hanno preteso fondare il diritto naturale senzafare riferimentoa Dio, contro l'audacia di Bayle giunto a ipotizzareuna nazione di atei, contro infine stoicied epicurei,«filosofimonasticie solitari»,i quali, o per aver voluto «l'ammortimentode' sensi»- i . 10•d primi-, o per «avernefatto regola»- i secondi-, CBon tro G r?~ 1 1 . . d' . d' . d' . d • ay e,s 01c1e 1 1 1 s1sono1mpe 1t1 1cog1ere a mam1ca e rappor- epicurei to impulsisensuali-virtùe, dunque,di comprendere l'azionecivilizzatricedellaprovvidenzae le leggidel mondo della storia. Sono invece i platonici ad essere riconosciuti,per la loro fede nella provvidenzadivina e la convinzione«che si debbano moderare le umane passionie farneumanevirtù»,comei «filosofipolitici» capaci di dar conto di quelle leggi. Sugliinizi della storia quali Vico li pensa si è già anticipatoqualcosatrattando dei suoiscritti tra il 1720 ed il 1722.Ora, egliriconoscegliinizi dell'umanità in «tre costumi eterni e universali» - religioni, Religioni, matrimoni e matrimoni e sepolture- che innalza a primi prin- sepolcri cipi della scienza storica:

Per aver disprezzatoil senso comune,ad esclusivo vantaggiodelle dimostrazionie delle idee chiare e distinte della dotta ragione, Cartesio e i cartesiani si sono esoneratidalla possibilitàdi intenderela storia I' ridotta ad una sorta di passatempo o di futile ...e 0~: 1;: pett~golezzo- e ~'azionein essadella_Men~e diviprovvidenzana. E attraversoil sensocomuneche mfattl opera la provvidenza, suscitando negli uomini quella percezione,quanto si vuole confusa, delle norme del diritto naturale, e quel linguaggiointeriore - «dizionario mentale»,lo definisceVico-, che sono comuni ad ogni nazione e che consentonoagli uomini socievolezzae costumi ordinati. «Osserviamotutte le nazionicosìbarbarecomeumane, . . È attraversol'opera legislatricedella provvidenza Dai...v1z11e v1rtu h d . . . d ll . . d 1. . . . . . . quantunque,per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro degliordini c ~ e1v~z1 e e. e pass1?m ~g1uomm1pnm1t1v1, lontane;divisamentefondate,custodirequesti tre umani cocivili dei quah questi da soh perirebbero, s1 fanno le stumi: che tutte hanno qualchereligione,tutte contraggono virtù e le istituzioniprincipali degli ordini civili. matrimoni solenni, tutte seppellisconoi loro morti ... da queste tre cose cominciòappo tutte l'umanità, e per ciò si Così recita un'altra «degnità»vichiana:

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PARTE TERZA IL SETTECENTO: I «LUMI» DELLA RAGIONE

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debbonosantissimamentecustodireda tutte perché 'l mondo non s'infieriscae si rinselvidi nuovo».

bestioni».Dopo che la terra, «disseccatadall'umidore dell'universale innondazione», poté mandare D . «esalazionisecche,o sieno materie ignite, nell'a- u~iv~r~ ~ìluvio Prima che are, nozze e sepolcriintervenisseroad ria ad ingenerarvisii fulmini - il cielofinalmente a0 umanizzare i costumi, vagavano infatti «per la gran folgorò,tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi... selva della terra» i giganti progenitori delle nazioni Quivi pochi giganti... spaventati ed attoniti dal grangentili, ridotti dopo il diluvio universale - l'evento d'effetto di che non sapevanola cagione,alzarono gli che segna l'inizio della storia dell'«umanità gentile- occhied avvertironoil cielo».È l'inizio - lo sappiamo sca» - allo stato ferino, «stupidi, insensati ed orribili - dell'umana civiltà. 3.6

La «Scienza nuova»: le età della storia e la «sapienza poetica» .•. no dei criteri sulla cui base Vico conduce la :.',·•.·. c?struzione d_ellanuova _scienzaè l'istituzio_ne ~~ :: d1 un parallehsmotra sviluppo della mente mJ i dividuale degli uomini ed evoluzione storica .••.dell'umanità: come il singolo individuo conosce un'infanzia, una giovinezzaed un'età matura, la stessa cosa accade nella storia delle nazioni. Mele treetà dell'uomodesime sono le «guise»o «modificazioni»della mente, medesimala «storia ideale ed eterna».

soficane appruova che gli uomini del mondo fanciullo,per natura, furono sublimipoeti». •

È così che - scrive Vico nel secondo libro della

Scienzanuova-

«i primi uomini delle nazioni gentili ... dalla lor idea criavanessile cose,ma con infinita differenzaperò dal criare che fa Iddio: perocchéIddio, nel suo purissimointendimento,conoscee, conoscendole,cria le cose;essi,per la loro robusta ignoranza,il facevanoin forza d'una corpolentissi«Gli uomini prima sentono senz'avvertire,dappoi av- ma fantasia, e, perch'era corpolentissima,il facevano con vertisconocon animo perturbato e commosso,finalmente una maravigliosasublimità,tal e tanta che perturbavaall'eccessoessi medesimiche fingendole si creavano,onde furon riflettonocon mente pura». detti poeti, che lo stesso in greco suona che criatori.Che In questa celebre «degnità»vengono annunciate sono gli tre lavori che deve fare la poesia grande, cioè di ritruovarefavole sublimiconfacentiall'intendimentopopole tre età dell'uomo: senso, fantasia e ragione, alle laresco, e che perturbi all'eccesso,per conseguiril fine, ch'elquali corrispondono,nella più grande storia dei popo- la si ha proposto,d'insegnaril volgoa virtuosamenteoperali, le età, rispettivamente,degli dèi, degli eroi e degli re, com'essil'insegnaronoa se medesimi».

uomini. I giganti «stupidi e insensati» di cui parlavamo Di tal sorta fu infatti la cosa che essi fecero, la pocanzi rappresentano la prima età, nella quale gli prima volta che, spaventati dal fulmine,guardaronoil L' . d 1. d" uomini sono «mutoli»,incapaci di ogni riflessio- cielo: eta eg1 01 . h,e la ragio. ne - «sentonosenza avvert'ire» -, po1c «si finseroil cieloesserun gran corpo animato, che per ne è in essi come «tutta stordita e stupida». Le loro tal aspettochiamaronoGiove ... che col fischiode' fulmini e menti, avverte Vico, col fragorede' tuoni volesseloro dir qualchecosa».

«di nulla erano astratte, di nulla erano assottigliate,di nulla spiritualezzate,perch'erano tutte immerse ne' sensi, tutte rintuzzate dalle passioni,tutte seppellitene' corpi».

È così che dovevanascerela religione,ad avviare i primitivi ai primi usi civili: timorosi del dio, N 1 • 11ta, • , de1 • religione asconoa essi• provaronovergognade11 a 1oro bestia ... non regolaticongiungimenticarnali, e presero

Possedevanoessi comunque «robusti sensi e vigorosissimefantasie» che consentironoloro le prime «a strascinareper sé una donna dentro le lor grotte e . . . . risposte, immaginose,alle domande intorno alle Iprnm 11om1m: • • d Il E . . 1. d . ~ tenerlavi dentro in perpetua compagniadi lor vita e sé usa«sublimi poeth>cag10m e e cose. ss1, a som1gianza e1 1anciulli, furono infatti «sublimi poeti», nel senso rono con esse la venere umana al coverto, nascostamente, cioè a dire con pudicizia». chiarito da un'altra celebre«degnità»vichiana:

Nacque così, insieme con la religione,il pudore «Il più sublimelavorodella poesiaè alle cose insensate dei matrimoni, mentre l'uso delle sepolture se- ...il pudore, dare senso e passione,ed è propietà de' fanciullidi prender coseinanimatetra mani e, trastullandosi,favellarvicome se gnalavail primo emergeredella credenzanell'im- la pietà... fossero,quelle,personevive. Questa degnità filologico-filo- mortalità. Intanto, la politicità degli uomini ve-

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SEZIONE TERZA. ILLUMINISMI DIVERSI: ITALIA E GERMANIA CAPITOLO 25

niva esprimendosinelle prime comunità patriarcui governi «furono divini, che i greci direbbero teocratici,ne' quali gli uomini credettero ogni cosa comandaregli dèi». La poesia dell'umanità fanciullasi confondecon quella potenza fabulatrice della mente che dà luogo alla produzione dei miti. Con intuito che precorre la mitografiae gli studi etnologicimoderni, Vico rifiuta sia l'interpretazione, cara alla «boria dei dotti», del mito come contenitore di una antica sapienza razionale volutamente celata sotto le sembianzedella 11 . mito... favola, sia quella illuministicache all'oppostoirride ad esso come a vaneggiamentoprivo di sensoo lo denuncia quale inganno tessuto da impostori e sacerdoti per il dominio sugliuomini. Il mito è viceversala «guisa»secondola qualel'umanità fanciulla,incapace ancora di riflessionee di concettirazionali,intende la verità e aderisce, oscuramente ed ingenuamente,all'ordine provvidenzialedel mondo, alla storia ideale ed eterna. Ne deriva una «sapienzapoetica» che estende a tutti gli aspetti del mondo naturale ed umano un'in1 terpretazionemitica e fantastica:la sapienzapoe((Sa~·ie~z: tica perta~t? è un v~stodomini.odi cui.sonpart~ poetica»una metaf1s1ca poetica, una logicapoetica, e cosi una fisica, un'astronomia, una politica, un diritto, una storia, una cronologia, una geografia,tutte poetiche. ScriveVico:

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...i primi cali, i governi

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