Storia del circo. Dagli acrobati egizi al Cirque du Soleil 9788878703179

Questo è un libro in cui l’autore non si limita all’analisi pur profonda dell’aspetto più schiettamente spettacolistico

564 138 10MB

Italian Pages 609 Year 2008

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
Blank Page
Recommend Papers

Storia del circo. Dagli acrobati egizi al Cirque du Soleil
 9788878703179

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Occhio quadrato Collana diretta da Orio Caldiron

4

Raffaele Fabrizio De Ritis

STORIA DEL CIRCO

Bulzoni Editore Bulzoni Editore

TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22/04/1941 ISBN 978-88-7870-317-9 © 2008 by Bulzoni Editore 00185 Roma, via dei Liburni, 14 http://www.bulzoni.it e-mail: [email protected]

INDICE

11

PREFAZIONE di Paolo Bosisio

13

PREMESSA

17

INTRODUZIONE PRIMA PARTE

53

1. ORIGINI DI UN MONDO IN MOVIMENTO 1.1 Dallo sciamano all’acrobata - 1.2 Da rito a spettacolo – 1.3 La via della Seta e altre strade - 1.4 Giocolieri e domatori nel mondo antico

65

2. LA PIAZZA UNIVERSALE 2.1 Prima del medioevo - 2.2 Medioevo tra oriente e occidente - 2.3 «La famille du Diable»: il circo dei mendicanti. - 2.4 Ciarlatani, saltimbanchi, e l’arrivo dei gitani - 2.5 «Ogni ciarlatano in commediante»: nascita di una professione - 2.6 Acrobati e cavallerizzi a corte

79

3. FORME PRIMA DEL CIRCO 3.1 Shakespeare, funamboli e cani assassini - 3.2 Tra bel canto, commedia e bal di corda - 3.3 «Quelques discours accompagnés de sauts»: trionfi e declino del teatro di fiera - 3.4 Arlecchino a Londra - 3.5 Divertimenti equestri attraverso la Manica - 3.6 Intanto, a Oriente

97

4. LA GENESI DEL CIRCO MODERNO 4.1 Da sergente a impresario - 4.2 Nascita di un genere fuorilegge - 4.3 La codificazione del circo- 4.4 «Le pont équestre»: la legittimazione da Londra a Parigi- 4.5 Il clown arriva al circo - 4.6 «Spectacles mineurs» - 4.7 Da Caterina di Russia a George Washington 5

115 5. LA SCENA, LA PISTA, LA GABBIA 5.1 Le glorie del Boulevard - 5.2 «Monsieur claune» - 5.3 Tra “scene nel cerchio” e “ippodrammi”: splendore e decadenza del teatro equestre - 5.4 L’opera del popolo - 5.5 Zoologia nelle baracche - 5.6 Il teatro delle belve 133 6. IL TRIONFO DEL CERCHIO (1825-1850) 6.1 Dal Prater agli Champs Elysées: il circo stabile rotondo - 6.2 Tournées prima del tendone: le compagnie equestri e acrobatiche - 6.3 L’“invenzione” del tendone - 6.4 Dal peccato all’educazione: l’America puritana e la nascita del circo 147 7. DA UN CONTINENTE ALL’ALTRO (1840-1870) 7.1 La cultura del circo urbano verso il 1850 - 7.2 “Tutte le classi si confondono”: la voga degli hippodromes da Parigi a New York - 7.3 Barnum prima del circo: fabbricando la cultura popolare americana - 7.4 Tra il museo e l’ippodromo: il circo statunitense verso un’identità 161 8. LA CODIFICAZIONE DELLE “DISCIPLINE” CIRCENSI A METÀ ’800 8.1 Le specialità equestri - 8.2 “La vertigine dell’iperbole”: la moda del clown all’inglese - 8.3 «Se non vola, è per pura civetteria»: l’acrobazia dalle fiere alla pista - 8.4 L’invenzione del trapezio e le traversate del Niagara - 8.5 «Più terribili dei loro leoni»: il teatro della ferocia 179 9. L’ETÀ D’ORO DEL CIRCO (1870-1900) 9.1 I circhi urbani di fine ‘800 e la nuova pantomima circense - 9.2 Music hall e caffè-concerto - 9.3 La belle époque e le sue stravaganze - 9.4 La nascita di Montmartre e il circo - 9.5 Tra saltimbanchi e palestranti: troupes e solisti fin de siécle - 9.6 Il grottesco in abito nero: la leggenda dell’auguste - 9.7 Il popolo del circo: saltimbanchi, borghesi e il caso italiano 205 10. COLONIALISMO ED ESOTISMO 10.1 Il circo nel Nuovo Mondo e la leggenda di Chiarini - 10.2 Esotismi reciproci tra Oriente e Occidente - 10.3 Tra Darwin e Barnum: il business 6

degli animali selvaggi - 10.4 «Gli animali sono creature come noi»: la nascita dell’addestramento circense - 10.5 «Come le visioni dell’Apocalisse»: Barnum, Buffalo Bill e la nascita del gigantismo americano - 10.6 Zoo umani: il mostro, il selvaggio, la bestia SECONDA PARTE 231 11. IL CIRCO URBANO DEL PRIMO NOVECENTO 11.1 Dal circo stabile al teatro circo - 11.2 Troupes, solisti e discipline acrobatiche all’inizio del ’900 - 11.3 All’ultima risata: dalla creazione della coppia comica al mito dei Fratellini - 11.4 «Viva i buffoni di Sua Maestà il proletariato!»: le origini del circo sovietico 259 12. L’EPOCA DEL CIRCO ITINERANTE 12.1 Il “barnumismo” e la nascita del circo viaggiante in Europa - 12.2 Dal “circo zoologico” all’übercircus: il circo tedesco degli anni ’10 e ’20. - 12.3 Tendoni europei tra le due guerre: nascita di un sistema. - 12.4 Il Wagner del circo 12.5 Il più grande circo di tutti i tempi: l’epopea americana dei fratelli Ringling - 12.6 L’era dei domatori - 12.7 Tendoni di regime e la fine del gigantismo 283 13. LA CRISI D’IDENTITÀ DEL DOPOGUERRA 13.1 La ricostruzione del circo in Europa - 13.2 “Il più grande spettacolo del mondo”: le utopie americane di Jonny North - 13.3 «Una cosa del passato»: crisi e strategie identitarie degli anni ’60 - 13.4 Nascita e legittimazione dell’industria circense in Italia - 13.5 Tra le stelle e strisce e il tricolore: il primo circo “europeo” - 13.6 Sputnik a Washington e scuole a Pechino: l’espansione del circo sovietico e la Cina comunista - 13.7 Tra il boom del night club e la crisi dei tendoni: artisti, discipline e animali negli anni ’50 e ’60 313 14. DAL NEO-GIGANTISMO ALLA ROUTINE 14.1 L’effimera rinascita degli anni ’70 - 14.2 Saltatori bulgari e funamboli colombiani: il mercato delle “attrazioni“ - 14.3 La “morte” del clown e la gloria dei domatori 7

333 15. IL CIRCO LIBERATO 15.1 Il paradiso adesso: il ‘68 e la riscoperta del circo - 15.2 Dalla rivoluzione all’accademismo: il problema della formazione circense. - 15.3 Hippies, nostalgici e il poeta come saltimbanco - 15.4 «La più grande poesia dell’universo»: i circhi à l’ancienne tra classicismo e controcultura. 351 16. LA SVOLTA DEGLI ANNI ’80 16.1 Nel cuore della città: il circo d’arte da Parigi a New York e la rinascita del clown. - 16.2 I disagi del circo “tradizionale” - 16.3 La crisi italiana degli anni ’80 - 16.4 Assistenzialismo, formazione, riconoscimento: il circo e i poteri pubblici in Italia e in Francia - 16.5 Dalle avanguardie al circo “di carattere” - 16.6 Il circo reinventato: le origini del Cirque du Soleil - 16.7 La nuova linfa dell’Est e i Festivals: l’industria dei numeri circensi - 16.8 Gli scultori dell’aria e l’evoluzione dell’acrobazia - 16.9 Animali e domatori negli anni ’80 389 17. GLI ANNI ’90 FRA POSTMODERNO E NEOCLASSICO 17.1 La rivoluzione del circo dalla “nuova” Russia al Canada - 17.2 Senza la parola “circo”: le compagnie tradizionali tra Roncalli e Soleil - 17.3 Nuovi soggetti e vecchie famiglie: l’industria circense di fine millennio - 17.4 Il circo statunitense fino al Duemila - 17.5 Il crollo del sistema sovietico tra centralità e indipendenza - 17.6 Il drago e il leone: il circo cinese contemporaneo - 17.7 Dall’esibizione all’interpretazione: la rivoluzione acrobatica di fine secolo - 17.8 Un altro circo è possibile? Il circo malato dei suoi animali 425 18. IL CIRCO OLTRE IL CIRCO: NUOVE FORME PER GLI ANNI ’90 18.1 Dalla pista al palcoscenico: incroci tra Mosca, Las Vegas, Montreal e Broadway - 18.2 Da Berlino a S. Francisco: la rinascita del varietà e il circo-gourmet - 18.3 La riscoperta dell’arte clownesca 18.4 La nuova teatralità dell’avanguardia “storica” francese - 18.5 Il grido del camaleonte: l’invenzione del “nouveau cirque” da trasgressione a istituzione - 18.6 I sistemi di formazione e il “terzo” circo 8

445 19. LE ARTI CIRCENSI DOPO IL DUEMILA 19.1 Dal numero alle “arti della pista”: le forme monodisciplinari del nuovo millennio - 19.2 Campionario acrobatico dopo il Duemila - 19.3 Espansione e diversificazione: l’era dei produttori e le nuove sfide del Cirque du Soleil - 19.4 Dalla fine del kolossal al circo senza pista: quel che resta del “circo tradizionale” - 19.5 Le frontiere dell’avanguardia e la situazione francese - 19.6 Sull’incerto futuro del circo in Italia - 19.7 Istituzioni, formazione, divulgazione 477 20. CONCLUSIONI DI INIZIO MILLENNIO 20.1 Il circo, il cinema e lo specchio rotto - 20.2 Il più grande spettacolo di un mondo sempre più piccolo

ILLUSTRAZIONI 483 NOTE 515 TABELLE 525 CRONOLOGIA 533 BIBLIOGRAFIA 553 INDICE

DEI NOMI

9

10

PREFAZIONE di Paolo Bosisio Il circo rappresenta una forma di spettacolo popolare assai radicata anche nel nostro paese come dimostra, tra l’altro, il fatto curioso che in una legislazione carente e priva di una legge specifica per il teatro, lo spettacolo circense pure abbia un suo spazio specifico che ne determinano le modalità e i seppur magri finanziamenti. Se di una pubblicistica ampia e assai variegata si può parlare anche nel nostro paese a proposito del circo, non sembra si sia venuta delineando una adeguata riflessione di carattere storiografico, cui semmai si sono accinti studiosi stranieri, specialmente in area francofona e anglosassone. Non si può dunque che accogliere con soddisfazione la pubblicazione promossa da un editore da sempre attento ai campi di studio che riguardano ogni forma di spettacolo. Il progressivo allargamento di interesse che, negli ultimi anni, si è verificato nei confronti delle arti circensi, anche a seguito degli sviluppi inediti che esse hanno rivelato nella direzione del nouveau cirque e del cosiddetto circo di regia, rendeva oltremodo necessario un adeguato momento di riflessione e approfondimento in sede scientifica. Mentre un pubblico eterogeneo quant’altri mai continua a seguiSquadra pubblicitaria del re con passione i circhi tradizionali, mai pago di lasciarsi sorprendere dalla circo di Barnum & Bailey, performance dell’agilità corporea in se stessa conchiusa o dal fascinoso conStati Uniti, 1906. Foto di F. W. Glasier. Ringling fronto tra l’uomo e la belva, dal periglio degli esercizi aerei o dall’ambiguiMuseum of the Circus, tà della figura del clown, ricca di valenze assai più complesse di quanto, in Sarasota (Usa) genere, si tenda a ritenere, nelle università – che della ricerca sono o dovrebbero essere gli avamposti – si fa largo un insegnamento specifico, per la prima volta impartito nel corso di laurea magistrale in scienze dello spettacolo alla Statale di Milano. Nel bel libro che ho il piacere di introdurre, l’autore non si limita all’analisi pur profonda dell’aspetto più schiettamente spettacolistico del circo, ma si cimenta con un’indagine di tipo epistemologica in cui la pista circolare è assunta come emblema delle arti circensi, affrontando per converso gli aspetti legati al marketing e alla promozione, che individuano nell’universo circense un’industria propriamente detta. L’ambizione di creare una sorta di particolareggiato reference book, autonomo tanto nei confronti della saggistica nazionale, spesso povera e assai generica, quanto dalle ben più autorevoli trattazioni straniere, ha consentito di definire con pregevole rigore l’impostazione del lavoro e ha influenzato il modus operandi del suo autore, ben consapevole della sostanziale inadeguatezza delle sole fonti di riferimento tradizionali. La storia del circo che qui si propone si avvale di una ricca gamma di fonti, oltre che dell’esperienza diretta dell’autore: documenti d’archivio, articoli di giornale, locandine arricchiscono di voci inedite un percorso che muove dalle origini più remote dello spettacolo dal vivo per giungere alle tematiche dell’oggi, ancora in gran parte inesplorate. 11

L’opera si organizza secondo un’impostazione cronologica, adatta a facilitare lo studio di chi intenda accostarsi alla disciplina secondo un itinerario lineare e compiuto. La prima parte affronta il lungo periodo che dall’antichità giunge a fine Ottocento: particolare rilievo è assegnato alle reciproche influenze sviluppatesi fra il circo e altri modelli di spettacolo dal vivo, in un’attenta ricostruzione del contesto storico-sociale che, di epoca in epoca, si propone come punto di riferimento ai fenomeni che si succedono. Vengono così affrontati temi di fondamentale interesse, quali la contiguità tra rito e performance acrobatico-circense, o il genere peculiare del ‘teatro di fiera’, o ancora le reticenze dell’America puritana nei confronti della spettacolarizzazione delle abilità corporee, a comporre un percorso storico complesso che consente la progressiva costituzione di una tradizione. Si giunge per tale via all’analisi dei caratteri che contraddistinguono il periodo aureo del circo, coincidente indicativamente con l’ultimo trentennio del XIX secolo. La seconda sezione è integralmente dedicata al Novecento, e ne esplora nel dettaglio, fedele sempre a una limpida impostazione cronologica, problematiche e forme d’espressione, estendendo l’ambito di indagine dall’Italia, all’Europa, al mondo intero. Di particolare interesse risultano le pagine riservate alle manifestazioni del secondo dopoguerra, allorché il circo si pone alla ricerca di una propria identità, o ancora alla rinascita degli anni Ottanta con il che in essa svolgono Festival e l’amministrazione stessa dello stato, fino a giungere a un’attenta esplorazione delle recenti conquiste del nouveau cirque, che promuove la multidisciplinarietà e l’incontro con musica, danza e teatro. Un ricco apparato iconografico impreziosisce e completa il volume, offrendo concreti riferimenti al lettore che si confronta con lo studio di una disciplina dalla forte connotazione visiva. La cronografia collocata in appendice costituisce un agile strumento di consultazione e di orientamento, valido come sinossi, ma anche come indice ragionato, che consente di porre a confronto, in modo rapido e agevole, avvenimenti appartenenti a epoche diverse, per riconoscervi con immediatezza i rispettivi vincoli di consequenzialità, fondamentali per un’analisi meno che superficiale. Preziose, altresì, le tabelle riassuntive dedicate ai luoghi pre-circensi occidentali e ai principali circhi stabili e itineranti, come pure l’intelligente compendio che affianca agli avvenimenti di rilievo peculiari dell’ambito circense i dati che, pure meno affini alla disciplina, ne possono chiarire determinati aspetti. Una ricerca bibliografica ragionata si pone, poi, quale ulteriore invito all’approfondimento. L’opera, ricca e assai articolata, ma organizzata sempre con pertinenza e coerente continuità, risponde certo alle esigenze del lettore specializzato, ma si lascia apprezzare in qualità di organica ricerca sul percorso evolutivo dell’arte circense nei secoli anche da parte di chi vi si accosti per la prima volta, offrendogli, raccolta in un’unica trattazione, una panoramica chiara e oltremodo esauriente. Università Statale di Milano 12

PREMESSA LA STORIA dello spettacolo si nutre di testimonianze dirette. E lo spunto di questo libro è nato quando mi sono accorto che fin dall’infanzia avevo avuto il privilegio di assorbire direttamente la vita e i racconti di migliaia tra i più grandi come tra i minori acrobati, clowns, illusionisti e domatori in ogni angolo della terra. Non sono nato in una “famiglia di circo”: ciò nonostante, sono riuscito a diventare parte di questo mondo così riservato, dedicandogli buona parte della mia vita. Alternare un’ esistenza tra le quinte del Moulin Rouge e quelle del Madison Square Garden, i treni del circo Barnum, i circhi stabili dell’Urss e i villaggi cinesi fa nascere senza dubbio molte curiosità. «Chi “entra” nel music-hall, fuori dalla realtà, mischiato al mondo ingenuo delle attrazioni e dei numeri, perde quasi la speranza di pensare ad altro», scriveva negli anni ’20 Maurice Verne, uno dei cantori del circo. Ho approfittato dei miei viaggi per annoiare i protagonisti del circo con la mia curiosità, ma anche per spulciare archivi, biblioteche e per comporre una mia collezione di opere e reperti. Perché oltre alle voci dei protagonisti, sono importanti anche i manifesti sbiaditi, gli articoli dei quotidiani o i diari dei testimoni, per poter avvalorare pretese invenzioni di virtuosi o eventi di successo, e a volte scoprire tracce prima ignote ai ricercatori. Sono stato incoraggiato anche dal fatto che la storiografia circense, almeno nel mondo francofono e anglosassone, nell’ultimo ventennio è stata oggetto di decine di studi sociali e accademici. La mia pretesa è stata quella di scrivere un libro che non esisteva, neanche in altre lingue: una sorta di reference book, forse eccessivo nella precisione di nomi e date ma, spero, scevro della retorica di un genere che, come diceva Fellini già negli anni ’70, è «fradicio di letteratura». La mia presunzione è aumentata dal fatto che ho evitato di prendere le mosse dalle pur autorevoli “storie generali” esistenti: ho scelto invece di ripartire dalle fonti ormai dimenticate che le hanno ispirate, o di andarne a cercare altre. Trovando documenti e studi sorprendenti. Mi è interessato in particolare approfondire alcuni punti mai trattati in Italia e lasciati in superficie altrove: la reale evoluzione e “nascita” del circo moderno nel contesto teatrale londinese e parigino; le origini del clown e delle sue forme; alcuni aspetti dell’architettura circense; l’invenzione del circo ambulante e del tendone; l’evoluzione del domatore; le radici della cultura circense sovietica; la genesi culturale del circo d’arte e ricerca alla fine del ’900. E molto altro. È per me un privilegio poter scrivere avendo goduto del contatto e della generosità di tantissimi: è una possibilità unica per uno storico l’aver conosciuto quasi tutte le persone viventi citate nella propria opera. E inoltre l’aver testimoniato, e a volte condiviso con loro, le origini di alcune delle avventure artistiche descritte. Ma migliaia di altri, incrociati nelle mie esperienze, non hanno avuto la dignità della menzione, pur altrettanto influenti. A que-

13

sto esercito di clowns, trapezisti, impresari, cavallerizzi, ginnasti, giocolieri, istruttori, registi vanno le mie scuse e la mia affettuosa gratitudine. Non mi sarebbe stato possibile neanche concepire questo lavoro senza il lungo legame con la fraterna comunità mondiale dei ricercatori circensi, idealmente eredi delle basi costruite negli anni ’50 dalla leggendaria Union des Historiens du Cirque. Le radici di questo libro stanno anche negli anni di nottate, discussioni, liti, viaggi, visioni di spettacoli, scambi di notizie e cimeli, condivisi con quelli che mi confortano per essere i massimi studiosi al mondo delle mie stravaganti passioni: Ernest Albrecht, Frédéric Bollmann, Jorgen Borsch, Hovey Burgess, Fred Dahlinger, Dominique Denis, Richard Flint, Antonio Giarola, Helmut Grosscurth, Ricky Jay, Christian Hamel, Dominique Mauclair, Pascal Jacob, Jordi Jané, Dominique Jando, Dirk Kuik, Pierre-Robert Lévy, Arthur Hoofmeester, Alfred Van Maasakkers, Sergei Makarov, Flavio Michi, Giancarlo Pretini, Alessandro Serena, Mario Verdone, Dietmar Winkler, Roland Weise. A tre di queste persone, storici attentissimi, va un ringraziamento speciale per aver accettato di rileggere e correggere il manoscritto: Dominique Jando, il “guru” della storiografia circense contemporanea, che mi ha ispirato questo libro; Pascal Jacob, il più prolifico autore di circo di oggi; Christian Hamel, presidente del Club du Cirque. Sono poi stato assistito egregiamente dai curatori del Ringling Circus Museum a Sarasota (Florida); della Bibliotheque National de France e del centro Hors Les Murs (Parigi); del London Theatre Museum e della National Library (Londra); della New York Library for Performing Arts; da del Circus World Museum di Baraboo (Wisconsin). Il fondo Jacob-Williams presso la Tohu-Citè des Arts du Cirque di Montreal, è forse la più organica collezione di documenti iconografici sul circo dall’antichità ad oggi: i responsabili mi hanno autorizzato ad usarla, così come il Cirque du Soleil, il Ringling bros. And Barnum Bailey Circus ed il fotografo Cristophe Raynaud De Lage. Un ringraziamento ad Alberto Guerri per l’impaginazione, Mauro Forte per le riproduzioni delle immagini, Ettore Marzano per l’elaborazione della copertina. Alcuni ringraziamenti speciali: ai miei familiari, che da bambino hanno sopportato il paziente martirio di portarmi a vedere qualunque circo di cui ovunque apparisse un manifesto, poi aspettando che staccassi questo dal muro, fino a consentire la mia poi più concreta vocazione per elefanti e carrozzoni. E ad Orio Caldiron, senza il quale questo libro non sarebbe mai esistito. Il lavoro è dedicato ad alcune persone che non sono più tra noi. Ad autorità degli studi circensi di altri tempi, che mi hanno incoraggiato e ispirato con pazienza nei miei inizi: Antonio Arcudi, Massimo Alberini, Lucien-René Dauven, Riccardo Orecchia, Pierre Paret, Roberto Pandini, Jean Villiers, José Vinyes Sabatés. E infine, a miti del circo del secolo scorso che ho fatto in tempo a frequentare: giganti, il cui inestimabile contatto mi ha regalato il senso della storia: Arturo Castilla, Annie Fratellini, Roberto Germains, Jerôme Medrano, Eduardo Murillo, Yuri Nikulin, Throlle Rhodin, Wioris Togni. 14

Avvertenza I nomi di circhi stabili e ambulanti, compagnie circensi, anfiteatri, teatri e luoghi di spettacolo vari, sono indicati in caratteri normali. I titoli di programmi o attrazioni circensi, pantomime, piéces di circo e di teatro-circo, film, sono indicati in corsivo e nella lingua di origine. Dei nomi citati, vengono indicate le date di nascita e di morte nel caso di personaggi cui abbiamo attribuito un rilievo storico determinante. I rimandi alle fonti bibliografiche vengono indicati in maiuscoletto nel corso del testo e delle note. Solo nel caso di articoli di riviste, opere particolarmente specifiche o documenti precedenti il XVI sec., le fonti vengono indicate direttamente nelle note. Questo libro continua in un apposito blog dove si trovano aggiornamenti, approfondimenti, curiosità e, poichè il circo va visto, anche i video dei protagonisti: www.storiadelcirco.blogspot.com

15

INTRODUZIONE Tra il cerchio e la frontalità: il circo e i suoi spazi. Fragilità, tensione, curiosità morbosa, eccitazione che circola, assenza di una prospettiva fissa: sebbene nel corso dei secoli il circo non è sempre e per forza rotondo, niente più del cerchio si presta ad uno spettacolo basato sull’espressione estrema del corpo, sul rischio, sulla meraviglia senza artifici osservabile da ogni punto. Lo spazio dell’atto circense è condiviso nei secoli con le lotte tra gladiatori, la tauromachia, il combattimento dei galli, i venditori sulla piazza, le danze sciamaniche, il football americano. È uno spazio che nasce occasionalmente, dovunque, alle origini stesse della civiltà: quando ci si raduna in cerchio per accompagnare il ritmo di danza, acrobazia, contorsionismo, giochi di forza non ancora ben scissi in generi. Nei rituali ancestrali egiziani, precolombiani, etruschi, fino al 220 a.C. in Cina (dove si registra la prima testimonianza di esibizioni circensi che derivano da una simulazione commemorativa di battaglie), è facile immaginare come il lancio di oggetti o il virtuosismo acrobatico determinino la visualità circolare degli spettatori. L’atto circense nasce dal sacro, sfidando la natura e la morte: e curiosamente, i primi spazi di architetture circolari definiti dall’umanità sono di morte, se si considerano i tumuli in varie civiltà preistoriche, in India e nel Mediterraneo. Vi sono mausolei in Algeria o a Roma che dall’esterno non sono dissimili dal concetto dei circhi stabili ottocenteschi. Secoli prima dell’invenzione moderna della pista circense, il termine romano circulatores indicava giocolieri, acrobati e saltatori che si esibivano creando un cerchio di persone, forse anche per il carattere nomade del loro “circolare”. Ma al di là del cerchio, altre definizioni spaziali accompagnano le fasi storiche del circo. Le acrobazie equestri per millenni, dall’antica Cina al ’700, sono presentate in linea, o nell’età barocca nella pianta quadrata del carosello. In numerose culture gli spettacoli acrobatici o di equilibrismo restano frontali: il primo luogo circense storico è nel medioevo cinese il “teatro di balaustre” semiaperto; le arti circensi occidentali per molti secoli si manifestano nei palchi all’aperto o nelle baracche chiuse del teatro di fiera, con scene di solito frontali. Frontali sono anche le gabbie dei domatori dei serragli fino a metà ’800; giocolieri o trapezisti del varietà novecentesco si esprimono sul palcoscenico, come poi dal Duemila molti spettacoli del cosiddetto nouveau cirque. Tuttavia mai come nell’ancestrale circolarità le discipline circensi creano l’ideale tensione tra artista e pubblico, il contrasto drammatico tra rigore del cerchio e squilibrio dell’exploit, tra sguardo spie-

Scena dallo spettacolo “Nebbia”, Cirque Eloize, Ginevra 2008

17

Modello di sezione dell’Anfiteatro Flavio (il “Colosseo”). Sovr. Archeologica, Roma

18

Interno del Circo Roncalli, Germania, 2002. Foto Roncalli

tato a trecentosessanta gradi e presenza della morte. Se l’architettura delle civiltà mediterranee darà una forma di visione frontale al theatron contenitore della finzione teatrale, la circolarità non vi sparisce del tutto: a Epidauro è possibile tracciare un cerchio perfetto nell’area scenica dell’orchestra. Quest’arena con gradinata semicircolare e annesso proscenio frontale tornerà in mente a Londra, alla fine del XVII secolo ai pionieri del circo moderno, che sulle ceneri del teatro elisabettiano (spazio a sua volta nato dal cerchio per combattimenti di animali) fondono i giochi equestri con la pantomima scenica; e attorno al 2000 agli ingegneri del Cirque du Soleil, che costruiscono a Las Vegas edifici stabili (di cui uno acquatico) più simili al Teatro di Pompeo che allo spazio circense novecentesco. Il “circo” come luogo Il circo romano non nasce per le discipline circensi classiche (che vi sono però regolarmente accolte), e soprattutto non è circolare. Ma è qui che fisicamente si ha la genesi del rapporto spazio/pubblico in un luogo apposito che sarà riscoperto e codificato nel circo moderno, ma anche negli sport e nella tauromachia. Lo spazio romano di battaglia simulata e morte vera, di festa e di sangue, non è che l’evoluzione del cerchio primitivo di persone al centro del villaggio. Del resto, nell’urbanistica rinascimentale la piazza conserverà un ruolo teatrale per le innumerevoli occasioni festive che fondono giochi, sport e spettacolo: la piazza può nascere da un circo stesso, come Piazza Navona, che continua per secoli a mantenere la vocazione festivospettacolare del Circo di Domiziano. Le gradinate del circo romano si adeguano alla teatralizzazione della piazza in innumerevoli metropoli europee. Qui in tutti i tipi di appuntamenti ludici di piazza è quasi sempre presente il cavallo, che accompagna la civiltà umana per la maggior parte della sua storia: esso definisce non poco lo spazio festivo e di spettacolo, prestandosi a caroselli, tornei, corse, palii, semplici sfilate o al traino di carri allegorici, creando quasi naturalmente i presupposti della nascita del circo equestre e della sua parata urbana come genere parateatrale. È dal Rinascimento che l’uso teatrale del cavallo, simulativo di quello militare, disegna spazi di spettacolo: nel 1616 Callot, l’illustratore dei soldati e dei buffoni, ritrae a S.Croce a Firenze lo spettacolo equestre della “Guerra di Bellezza” nella piazza trasformata quasi in circo dall’architetto Giulio Parigi, un modello anche per le cerimonie alle Tuileries parigine (cfr. 2.6). Con l’avvento del Barocco, il cavallo disegna spazi chiusi e specifici speculari a quelli occasionali delle piazze: dalla Spanische Reiterschule di Vienna, creata nel 1572 in uno spazio quadrato, a quella successiva di Versailles (riportata a tale uso nel 2002 dalla troupe di Zingaro) fino all’estremo del Teatro Farnese di Parma dove la

19

Ricostruzione in miniatura del Teatro di Pompeo (Roma, 55 a.C)

20

combinazione dell’arena equestre o acquatica con la scena all’italiana sono il più deciso antenato dei circhi moderni. I protagonisti di tali luoghi sono i cavallerizzi del mondo militare che solo nel tardo ’700 si fonderanno con i saltimbanchi del mondo fieristico e le loro discipline circensi. Dalla precarietà dei teatri di fiera, dove gli attori iniziano a definirsi nei luoghi fissi della scena elisabettiana o all’italiana, anche nel mondo dei saltimbanchi emergono tentativi di racchiudere gli artisti in luoghi fissi e a programmazione mista. Nel 1628 a Norimberga si erige il Fechthaus, cortile delimitato da quattro lati, in cui possono aver luogo esibizioni di funamboli e di acrobati ma anche combattimenti di animali, in genere tori o orsi contro cani: è chiaramente ispirato al teatro elisabettiano. Ed è a Londra, a poche centinaia di metri dal sito del Globe shakespeariano, che dopo il 1770 vari transfughi del mondo equestre militare iniziano a proporre le loro evoluzioni in occasionali “scuole di equitazione”: troppo vicine al mondo in dissoluzione delle fiere e a quello nascente del teatro, per non accogliere saltimbanchi e funamboli. Dalla fusione tra la disciplina del mondo equestre militare e l’eccentricità di teatranti e giocolieri, nasce così il circo: quella che col melodramma è l’unica forma di spettacolo moderna realmente inventata dalla borghesia. I maggiori architetti francesi per tutto il XIX sec. si cimenteranno con l’edilizia circense, e così avverrà a Vienna, Berlino, San Pietroburgo. La prima metà dell’800 è il momento in cui l’incontro tra l’“aristocrazia equestre” nordeuropea e le famiglie degli artisti di fiera danno vita ad una vera e propria etnia cosmopolita. Esportata negli Stati Uniti, questa nuova forma di teatro equestre urbano qui diventa itinerante: i grandi territori e l’espansione delle ferrovie fanno diventare il circo un’industria ed una vera città viaggiante, che in una sola notte, su novanta vagoni, può spostare centinaia di dipendenti capaci di erigere in una mattinata una città di tende con un tendone principale di oltre diecimila posti. Questa apoteosi si ha dopo il 1880, dopo che Barnum inventa il circo a tre piste in una logica di accumulazione nella quale possono avvenire fino a sette attività contemporaneamente in ogni direzione dello

spazio, compreso il recupero della corsa dei carri attorno all’ippodromo ovale, o la drammaturgia di sfilate allegoriche a tema mitologico recuperate inconsapevolmente dalle forme festive del Rinascimento europeo. Quando il “Greatest Show on Earth” (questo è il nome del circo di Barnum & Bailey), s’imbarca per l’Europa all’alba del Novecento, cambia per sempre l’industria circense del vecchio continente fornendo col tendone un esempio di capillarità sul territorio. Ciò accade mentre il modello urbano europeo si sviluppa nella diffusione dei circhi stabili in muratura: nella sola Parigi tra il 1880 e il 1910 si contano fino a venti edifici specifici, compresi i cosiddetti hippodromes, questi ultimi una moda passeggera in cui gli impresari circensi ricreavano grandi eventi storici, e che avevano ispirato proprio Barnum (cfr. 7.2). Nei primi decenni del Novecento il circo europeo vede da una parte l’ascesa e il declino dei circhi stabili urbani, dall’altra la diffusione dei grandi e picco-

Progetto per il teatro acquatico realizzato a Las Vegas nel 1988 dal Cirque du Soleil, per la produzione “O”. Coll. dell’autore

21

22

li tendoni itineranti in varie forme. In entrambi i casi, l’antico cerchio ha ormai preso il nome di pista, o di maneggio. È ricoperta di segatura, cinta da un anello di legno bianco coperto di velluto rosso, completamente circondata dal pubblico ascendente e con almeno quattro vomitori di accesso in scena che garantiscono un ritmo serrato al movimento continuo di uomini, animali, accessori. Lampadari di cristallo sottolineano la “verità” di tutta la rappresentazione, rispetto al buio della finzione dei teatri: al circo, senza quinte, sipari né soffitte nascoste, tutto è rivelato. Un’orchestra e un palco reale sono in genere gli unici due punti di riferimento della vertiginosa circonferenza uguale a sé stessa in ogni punto. Verso l’alto la cupola, di tela o di cemento, si arricchisce sempre più di corde, trapezi e arnesi che, come la gabbia circolare introdotta verso il 1880, fanno immaginare al pubblico il potenziale impasto di sangue e segatura, nutrendo una curiosità sempre più morbosa. Il cavallo, che aveva definito lo spazio circense occidentale, resta importante: ma se fino a tutto il XIX secolo esso costituiva la parte principale dello spettacolo (non a caso in Italia si diffonde l’espressione circo equestre), ora si equilibrerà con gli altri elementi. Il modello imperiale europeo del circo stabile sarà conservato dal “congelamento” della rivoluzione russa: il circo di San Pietroburgo sarà il modello per gli oltre settanta edifici circensi sovietici che dagli anni ’30 nascono nelle città più sperdute dell’Urss; fino all’apoteosi, nel 1972, del modernissimo circo stabile di Mosca con le sue piste intercambiabili elettricamente. Attorno al 2000 l’edilizia circense arriva in Cina ma soprattutto nel Nord America, con gli edifici meravigliosi del Cirque du Soleil. In Europa (dove gli italiani portano ai livelli massimi l’industria delle infrastrutture circensi viaggianti), il tendone non solo raggiunge livelli ideali di visibilità e comfort (tanto da essere scelto da qualunque altro genere teatrale), ma adatta per la prima volta la propria architettura effimera ai dettami della concezione dello spettacolo, come insegna il nouveau cirque francese: la compagnia aerea Les Arts Sauts concepisce una bolla trasparente in cui lo spazio scenico è esclusivamente aereo (1999); il gruppo equestre Théâtre du Centaure crea un tendone dalla pianta dello zoccolo del cavallo (2000); Archaos realizza uno chapiteau fatto di corde per il suo delirio post-industriale (1989); il circo franco-africano Baobab inventa un veicolo-palcoscenico che si trasforma in una foresta in cui ad autentici, enormi alberi sono attaccate funi e trapezi (2001). In quanto all’edilizia circense, essa passa gradualmente dal luogo di spettacolo a quello di formazione, con l’esplosione planetaria delle scuole di circo, spesso originate dall’archeologia industriale. Tutto ciò non ha cancellato, in alcuna parte del mondo, i minuscoli “parapioggia”, o i circhi monofamiliari che dall’Indonesia al Mediterraneo continuano ad errare e a stupire il pubblico strappandolo alle meraviglie tecnologiche del divertimento domestico.

Rispettabilità ed emarginazione: un’arte tra residenza e itineranza. Il fenomeno urbano del circo stabile aveva reso il circense protagonista della vita artistica e teatrale. La residenza del circo e dei suoi protagonisti porta ad uno scambio di tecniche, personaggi, idee tra le varie arti dello spettacolo, quel métissage che l’attuale nouveau cirque cerca oggi di ricreare artificialmente. Quando nel 1782 il drammaturgo Dibdin introduce la parola circus, lo fa inventando il circo come genere teatrale: per restare in permanenza nella città non basta più presentare il semplice virtuosismo equestre, ma ci vogliono storie, musiche, scenari. Il cavallo è del resto il veicolo principe per la ricostruzione di battaglie o episodi mitologici: pur col divieto alla parola, nessun melodramma può battere la spettacolarità e la popolarità della combinazione tra scena e pista, tra uomo e animale. I titoli degli edifici circensi inglesi e francesi evocano, spesso grossolanamente, quelli dei templi della lirica, e sembrano indispensabili sia nomi dalla fascinazione neoclassica (olympic, amphitheatre, academy) che termini di rispettabilità come Royal, Imperial o le titolazioni a imperatori e imperatrici. Scenografi e architetti sono gli stessi dei teatri o dei monumenti; mimi e danzatrici lavorano indifferentemente per i circhi di Astley, le pantomime del Drury Lane o le opere del Covent Garden. A metà Ottocento a Parigi, sul “Boulevard du Crime” (cfr. 5.1), si trovano a fianco a fianco edifici come il Cirque Olympique dei Franconi, il Théâtre de Funambules dove Debureau inventa la pantomima classica, che è all’origine delle commedie di boulevard. Sono situazioni in cui il circo deve cambiare necessariamente programma in ogni stagione dell’anno, proprio come i teatri d’opera. Le compagnie basate invece sull’itineranza, con il tendone o con gli spettacoli di fiera, hanno meno bisogno di garantirsi il pubblico, ottenendo meno rispettabilità. Il loro arrivo pittoresco è una forma di intrusione nella società stabilita; più il loro passaggio è rapido, meno è necessaria la qualità dello spettacolo o il mantenimento delle promesse fatte dai manifesti. Fino ad oggi, resta quasi incrollabile il luogo comune che racchiude in una sola accezione negativa le differenze tra zingari, saltimbanchi, giostrai. La straordinaria lucidità con cui Federico Fellini ritraeva ne La strada il rapporto tra i circensi e la società suburbana e rurale degli anni ’50 era perfettamente speculare alla realtà. Il girovago può avere un’occasionale legittimità, quando è accolto a corte. Nelle epoche corrispondenti al nostro Medioevo e Rinascimento, in Cina l’arte acrobatica conosce momenti di fortuna, quando alcune dinastie imperiali valorizzano gli artisti anche con forme di mecenatismo; ma a tali periodi si alternano secoli di miseria in cui gli acrobati vagano per i villaggi, e la loro arte decade. La legittimità di una professione artistica appare dunque sancita dalla residenza, nella genesi storica del circo come per la maturazione del teatro: solo quando i “comici dell’arte” conquistano una casa a Parigi o altrove, la

23

Il circo Krone (Germania), nel 2007 resta il più grande tra i circhi itineranti europei

24

stabilità interrompe l’incerta ed eterna oscillazione tra disprezzo e benevolenza da parte della società. Del resto la diffusione tardo-medievale degli acrobati dall’Europa orientale verso quella occidentale, con orsi e scimmie al seguito, è una storia di fuga e di ricerca di nuove piazze. Per tutta la prima metà del Novecento, soprattutto in Italia e in Francia dove la piazza resta un concetto urbanistico-sociale essenziale, il tendone del circo, minuscolo o enorme, arriva nel punto più centrale della città: la vita circense è osservabile da tutti i lati e dall’alto delle finestre per ventiquattr’ore, la sua stessa installazione è vulnerabile allo sguardo; la parata pubblicitaria è un’invasione prepotente della vita urbana regolare. I manifesti precedono e poi permangono anche per un arco di mesi. Fino a buona parte del secolo scorso in Italia, e ancora oggi in Spagna, la permanenza del circo corrisponde nel calendario alla cadenza delle grandi fiere, religiose o agricole. Nell’800 e ’900 americani il passaggio del circo (spesso di un solo giorno) si è culturalmente fissato come circus day: una vera e propria ricorrenza fuori del calendario, in cui le scuole chiudono perché tanto nessuno ci andrebbe: come resistere all’arrivo degli elefanti col treno fin dall’alba?

Vi sono varie forme intermedie tra itineranza e residenza. Quando nel Novecento i tendoni soppiantano quasi del tutto i circhi stabili, è in varie forme di lunga permanenza che si rinnova occasionalmente lo scambio con la società dello spettacolo e non solo. In Germania e in Francia negli anni ’30 si sviluppa la tendenza delle constructions: circhi di legno eretti occasionalmente in città di medio-grandi dimensioni per dare una parvenza di permanenza teatrale al circo che si ferma per qualche settimana. In una logica simile a Parigi nel 2000 è concepito il tendone Phénix, il più grande del mondo: capace di oltre cinquemila posti, con lunghi tempi di montaggio, esiste non per le tournées ma per essere installato in un solo luogo per ospitare un circo per quattro mesi una volta l’anno. Emblematico in altro modo il caso della famiglia francese Bouglione: proprietaria del Cirque d’Hiver di Parigi, dagli anni ’30 ai ’60 capitalizzava nelle tournée sotto tendone nella Francia profonda il prestigio degli splendori della capitale. Varie Gli uffici e laboratori di creazione del Cirque du Soleil a Montréal. Foto: Éric Piché © 2002 Cirque du Soleil Inc.

forme di residenza temporanea restituiscono il circo itinerante al panorama culturale urbano: a Londra, dove dagli anni ’20 ai ’60 il circo Mills fu ospitato sotto l’immensa cupola d’acciaio dell’Olympia Hall per le feste natalizie, era la presenza della famiglia reale a sancire la periodica appartenenza del circo alla vita istituzionale della città; a New York Barnum per gli stessi motivi aveva stimolato la fabbricazione del Madison Square Garden. In quest’enorme arena coperta, ancora nel 2007 il circo fondato da Barnum v’inaugura la sua 138a edizione a tre isolati dai teatri di Broadway, regolarmente recensito dalla critica teatrale. Negli anni ’70, i lunghi mesi passati dal circo Orfei o Togni a Roma costituivano l’occasione per le strette relazioni col mondo del cinema, creando quegli scambi in cui Liana e Moira diventavano attrici a Cinecittà e Danilo Donati vestiva acrobati e domatori sotto il tendone. La presenza per due-tre mesi dei circhi nelle capitali nutriva il mondo circense di stimoli artistici che poi, nelle tournées, erano restituiti agli occhi meravigliati del pubblico di provincia. Erano forme che recuperavano la stanzialità culturale del circo stabile: di quando a Montmartre negli anni ’20 e ’30 Cocteau e Picasso stringevano collaborazioni

25

26

anche artistiche con gli artisti che si alternavano sulla pista di Medrano. Stanislavskij fa lo stesso a S. Pietroburgo, Mejer’hold e Majakovskij a Mosca, Reinhardt a Berlino. Cosa sarebbe poi stata l’avanguardia teatrale russa senza la residenza dei circhi stabili? Nel secondo dopoguerra, le sempre maggiori difficoltà di permanenza e la crisi del settore annullano quasi dovunque il concetto di residenza circense, tranne in Russia e in Cina dove la permanenza di circhi stabili e teatri acrobatici continua a legare il circo alla società. In occidente i tendoni, slegati dalla vita artistica, tentano di emulare l’immaginario televisivo riuscendo solo in un anacronismo a volte patetico. Inoltre dalla piazza vengono relegati alla periferia, perdendo ogni senso come spettacolo urbano. Il circo sembra tornare fuori le mura come era prima della sua nascita moderna. Restano oggi rari i casi di città europee, come Brest o Gand, dove tendoni anche enormi sostano nella piazza principale con i loro zoo. Nei casi di circhi privi di animali, come il Cirque du Soleil, o dotati di installazioni molto decorative, come il tedesco Circus Roncalli, il prestigio della centralità urbana del circo, fino a sei mesi, sopravvive ai nostri giorni. Quando il circo diventa parte di un patrimonio culturale della collettività, la città ne esalta la permanenza: a New York ogni inverno è possibile l’incredibile vista del tendone del Big Apple Circus quasi ancorato alle pareti del Metropolitan Theatre. Ma di norma in America, gli ultimi tendoni popolari trovano efficacissima la permanenza nell’urbanità virtuale dei centri commerciali. Oggi esistono forme di residenza estranee alla logica dell’impresa circense, itinerante o stabile. La prima soluzione è quella delle scuole di circo, spesso nate dall’archeologia industriale, che dagli anni ’80 creano scambi di vario tipo con la società a Parigi, Londra, Bruxelles. Nel moderno modello francese, grazie alle sovvenzioni, una creazione può avere tempi molto lunghi di sperimentazione, spesso con ateliers e stages, su modelli che il teatro ha visto in Hostelbro, Pontedera, o la danza con Wuppertal. In molte città francesi nascono “residenze circensi”, sul modello teatrale, che è inconsapevolmente anche quello delle scuole/compagnie acrobatiche delle province cinesi. Le compagnie, in Cina come in Francia, hanno un luogo di creazione, e quindi risorse, legate a realtà locali, e addirittura in alcuni casi un luogo di spettacolo. Da qui poi parte la tournée. Il caso più importante europeo è quello di Zingaro, la compagnia equestre che passa sei mesi all’anno nella propria “cattedrale di legno” ad Aubervilliers. Del resto è quanto accadeva nel primo Novecento ai grandi tendoni europei e americani che quasi sempre alternavano le tournées alla sosta nei “quartieri d’inverno” dove però più che alla creazione si badava alla manutenzione del materiale o alle lunghe sedute di addestramento degli animali. In alcuni casi, come Krone a

Il circo stabile “Bolshoi” di Mosca, edificato nel 1972

Munchen o Bouglione a Parigi, al quartiere d’inverno si affianca un grande circo stabile per la programmazione fissa invernale. Nel grande circo di tipo più “industrale” la residenza è invece finalizzata alle sei-sette settimane di creazione di uno spettacolo, come nel caso del Barnum, dagli anni ’30 ai ’60 nella leggendaria Sarasota in Florida, l’esempio più emblematico di residenza spontanea: una città di migliaia di abitanti il cui l’ottanta per cento è legato da generazioni all’attività circense. A Walden, nello stato di New York, la fondazione del Big Apple Circus grazie ad una donazione ha potuto inaugurare negli anni ’80 lo Slifka Creative Center, trasformando una vecchia industria in un luogo di produzione di spettacoli. Il caso più completo nella storia è quello del Cirque du Soleil: a Montréal la sua sede dà lavoro a tremila persone, e in numerosi laboratori vengono attirati artisti da tutto il mondo per sperimentare numeri, accessori e costumi da convogliare nelle varie produzioni. Tale modello nel 2004 supera ogni limite espandendosi nel

27

Foto pubblicitaria per il film Freaks (1932) di T. Browning. Coll. dell’autore

28

primo progetto urbanistico al mondo di riqualificazione di una periferia a carattere circense: la Tohu-Citè des Arts du Cirque, che su duecento ettari raccoglie oltre alla sede del Cirque du Soleil, l’Ecole Nationale du Cirque ed altre strutture per spettacoli, ospitalità, mostre, occasioni di ricerca. Simile tentativo, è dal 2003 a St. Denis presso Parigi l’Académie Fratellini, e a Melbourne il centro accademico Nica. A S. Francisco, le attività didattiche ed artistiche della School for Circus Arts coinvolgono varie migliaia di persone di ogni età. Esotismo, erotismo, martirio. «Una di noi…», gridano in coro i mostri umani di Freaks (1932) al matrimonio del nano con la bella trapezista. La diversità è stridente tra il microcosmo del circo e il mondo “normale”. Il circo è il “diverso” per eccellenza; il suo magnetismo è frutto del desiderio dello sguardo per uomini e donne splendide di mondi lontani, ma anche della sua negazione, ponendo la mano sugli occhi davanti a creature mostruose, umane o animali, o all’imminenza del pericolo dinanzi ad un esercizio mortale. L’esotismo del circo sta nei suoi estremi: i protagonisti vengono da Paesi lontani, spingono al limite le possibilità del corpo, sono per natura straordinariamente belli o brutti. Si gettano nell’arena in pasto alla sofferenza, siano essi uomini o animali, per ragioni irrazionali e antiche. In questo il circo rappresenta forse un bisogno: quello di sentirci vivi una volta che il funambolo ha compiuto il suo passaggio, e di sentirci “normali” una volta che il tendone si è portato via il suo bestiale mondo nomade di creature e odori. Esotismo e diversità sono costanti nelle forme che precedono la nascita del circo: negli zoo privati di sovrani egizi, aztechi o cinesi; nel gusto romano per gli acrobati mediorientali; nelle collezioni di nani e gobbi delle corti italiane e spagnole; nell’esplosione delle migliaia di divertimenti del teatro di fiera tra XVI e XVIII sec., prima che la codificazione del circo li razionalizzi. Dalla mostra della creatura lontana si passa alle più strane esibizioni fieristiche, mischiate a quelle anatomiche e ad automi meccanici, e inizialmente finalizzate alla vendita dei prodotti in piazza: dai mangiatori di pietre alle “fontane umane”; dai teatri di pulci ai “digiunatori”; dai maghi con i bussolotti alle esibizioni di resistenza al dolore o alle spire dei rettili. Anche nelle discipline circensi più riconoscibili, l’esotismo resta fondamentale. Ancora oggi, sembra che nell’immaginario collettivo la nozione di acrobata sia legata a quella di terre lontane: le grandi troupes che nel secondo ’900 invadono le piste occidentali dalle scuole di Stato dell’Est, sono una fusione tra il mito del moderno di atleta del blocco sovietico e le millenarie tradizioni zingare e balcaniche. Nel 2000 lo spettacolo Dralion del Cirque du Soleil inventa un suggestivo universo acrobatico multietnico in

29

Foto di scena di Dralion, produzione 2002 del Cirque du Soleil. Foto: Al Seib, Costumi: François Barbeau © 2002 Cirque du Soleil Inc.

30

cui Africa, Cina e Mongolia creano un tessuto acrobatico, visivo e musicale senza tempo né luogo; similmente le creazioni del teatro equestre Zingaro tra il 1988 e il 2006 fondono di volta in volta la tradizione equestre occidentale con musicisti tzigani, armeni, indiani, coreani o tibetani in complesse e ambiziose creazioni poetiche. Di certo l’esotismo circense si fissa all’epoca della rivoluzione industriale con le grandi esposizioni universali, in cui prima la Cina e poi l’India invadono la vita teatrale occidentale di illusionisti, giocolieri e fachiri dall’Estremo Oriente, legati al fenomeno delle mostre “etnografiche” o “antropologiche” in cui almeno fino agli anni ’20 gruppi esotici, indifferentemente umani o animali, sono importati vivi in circhi, zoo e musei dove è ricostruito il loro habitat (cfr. 10.6).

Sulla pista del circo il corpo umano, osservato da ogni punto e piegato ad ogni eccesso, si presta alla celebrazione della sua bellezza come in nessun altro spettacolo. La seminudità s’impone perché ogni muscolo sia apprezzato: Tolouse-Lautrec o Kafka sono tra i testimoni di quali pulsioni violente può suscitare nello spettatore il vertiginoso e fugace passaggio della cavallerizza attorno alla pista o il lento contorcersi della trapezista nell’alto della cupola. Se il circo è sede delle più inimmaginabili deformazioni fisiche, esso è anche il tempio del corpo sano e perfetto, dell’erotismo più puro: non a caso l’esplosione fin de siécle dell’acrobazia occidentale si accompagna alla rinascita delle olimpiadi e alla moda della cultura fisica. Nel 2002 l’equilibrista russa Elena Borodina, coperta solo da un sottile velo, e la contorsionista ucraina Gulnaia Karaeva che si esibiva nuda in una sfera d’acqua, sono una tendenza moderna dell’erotismo circense, che nel 2003 culmina a Las Vegas, quando il Cirque du Soleil crea Zumanity, primo circo dichiaratamente erotico. Da sempre il corpo svestito accentua nel circo gli estremi della mascolinità e della femminilità; mentre l’esaltazione della forza pura è lo strumento che, una volta evocata la morte, serve ad esorcizzarla sottomettendo di volta in volta la forza di gravità, le belve, il dolore, il peso, la stessa natura umana o animale. La celebrazione cruda della vita sulla morte è una delle chiavi per comprendere il fascino ancestrale del circo. La parata che precede lo spettacolo è quasi un’esibizione di vittime sacrificali, non meno che nelle sfilate rituali in apertura dei ludi circensi romani, della tauromachia iberica o delle esecuzioni capitali. Nell’arena inesorabilmente chiusa, circondata da drappi rossi e oro quasi funerei, il trapezista o il domatore come il torero sembrano non avere altro scampo se non l’esecuzione del suo esercizio, nel silenzio rotto dal macabro rullo di tamburo. È a fine ’800, quando più urgente sembra il bisogno di dominio sul mondo, che anche il controllo della morte pare diventi uno spettacolo necessario. È inoltre interessante notare di quest’epoca come il pericolo divenga parte del circo solo dopo la sua codificazione moderna di spazio e ritmo: quando la cupola dei circhi stabili può ospitare i pericolosi numeri aerei e la definizione della pista rotonda è pronta ad accogliere la gabbia circolare. Non a caso lo sviluppo della comicità clownesca prende forma con l’aumento dei numeri di rischio. Come nella drammaturgia di Shakespeare, quella del circo impara ad alternare i momenti più drammatici a quelli farseschi. Nei primi anni del Novecento, gli stessi in cui lentamente prende forma la letteratura horror, circhi e varietà inventano le più disparate attrazioni rompicollo: il trapezio volante, nato dopo il 1850 ad un’altezza media, raggiunge presto il punto più alto della cupola e, nelle sue varianti, genera fino agli anni ’20 vari attrezzi aerei

31

Incidente al circo: disegno di A. Beltrame per “La Domenica del Corriere”, 1909. Incisione a colori, coll. dell’autore

32

da brivido. La bicicletta, poi la moto e i bolidi trasformano la pista in “pozzo del brivido” a velocità centrifuga, o servono per saltare da piattaforme altissime compiendo giri vertiginosi. Le dimensioni dei tendoni americani esaltano l’arte dei funamboli: negli anni ’20 la famiglia Wallenda è capace di realizzare a diciassette metri di altezza una piramide di sette persone sul filo; sono gli stessi anni in cui in Italia Giovanni Palmiri muore cadendo dalla sua “moto aerea” e un’intera famiglia italoamericana, gli Zacchini, si fa sparare dai cannoni rompendosi spesso le gambe. Dal 1909 Houdini sfida la morte con le sue evasioni sott’acqua e nel 1920 l’illusionista Selbit, in pieno boom del cinema dell’orrore, inventa la “donna tagliata in due”. Per non parlare di tutte le varianti possibili nella gabbia delle belve, dove già dall’800 incidenti mortali a domatori o trapeziste sospese su iene e pantere sono ritratti a tinte forti dalla stampa popolare, come testimoniano centinaia di copertine dalla «Domenica del Corriere» al «Petit Journal». L’immaginario popolare estende la precarietà dal gesto artistico all’intero universo del circo: la morte può accompagnare la fuga delle belve, il crollo o l’incendio del tendone, il deragliamento del treno. Un freno al gusto del rischio è introdotto negli anni ’40 dalla cultura del circo Sovietico (e poi cinese), che prediligendo il gesto coreografico e atletico combatte la logica del rischio introducendo i cavetti di sicurezza o mutilando delle unghia le belve feroci. Il pubblico occidentale, soprattutto americano, predilige ancora il pericolo al circo: parecchie famiglie di acrobati dell’aria, soprattutto quelle dell’America Latina, considerano un disonore i cavi di sicurezza attorno alla vita o la rete sotto il filo, come se a un toreador si attaccasse una fune per sottrarlo alla sorte. Sopravvive quindi una strana retorica dell’eroismo circense, in cui, come il gladiatore o il torero, il domatore e il funambolo sono a loro modo martiri: immolati non sul campo di battaglia, ma su quello della soddisfazione morbosa dei migliaia di occhi che hanno bisogno della conferma di sentirsi vivi. La troupe e il solista Il “numero” specialistico di pochi minuti è il tassello emblematico della drammaturgia circense. L’intimità del giocoliere solista sta al monologo attoriale o all’assolo di danza così come la coralità di una troupe di trapezisti o saltatori sta all’ensemble del balletto o al coro di tragedia e melodramma. In realtà la ripartizione dei ruoli nella pista è molto più complessa: troupe può indicare sia la compagnia circense completa, che quella che svolge un singolo numero. Il concetto di compagnia circense nasce in Cina, e conosce la sua maturità sotto i Song (960-1368), quando si distinguono troupes private e sovvenzionate e prendono forma realtà corporative. Negli stessi seco-

33

Una delle prime troupes del nuovo circo: il nucleo di origine del Big Apple Circus, New York, 1977. Foto A. Simon, archivi Big Apple Circus

34

li, in Occidente, i girovaghi erano legati soprattutto allo sterminato circuito europeo delle fiere nel quale, spesso con la finalità del commercio di prodotti, si trovava la genesi di tutte le forme dello spettacolo moderno: commedia, acrobazia, danza, virtuosismo musicale, giocoleria, illusionismo, fachirismo, etc. Come ormai documentato, erano diffuse parecchie forme di corporativismo professionale (cfr. cap. 2). Il concetto occidentale di troupe circense inizia a formarsi probabilmente nel XVII sec. È la stessa epoca in cui nel caso del teatro la Commedia dell’Arte si struttura in compagnie con un nome, uno stile, un capocomico, alcuni attori fissi in molti casi appartenenti ad una famiglia di base ed uno spazio per attori “ospiti” (ed almeno un acrobata) ciascuno dei quali, con un proprio bagaglio di tecniche e canovacci, contribuisce a creare una circuita-

zione di idee e forme e quindi un repertorio universale. Lo stesso principio delle troupes teatrali ha regolato la vita di quelle pre-circensi del barocco e del primo ’700, e quindi la logica dei programmi: come quello dei teatri acrobatici di Nicolet a Parigi o del Sadler’s Wells di Londra, dove acrobazia, funambolismo, magia, pantomima e Commedia italiana creano un ibrido fertilissimo. Invece la struttura di compagnia circense vera e propria nasce nel primo ’800. L’evoluzione conosce due fasi. Le prime compagnie-famiglie nascono dal contatto tra i protagonisti del circo urbano di quel tempo: gruppi di acrobati/gitani del teatro di fiera, pionieri dell’arte equestre, figure della vita teatrale (ballerini, mimi, impresari). Molte famiglie sono oggi estinte come i Chiarini, i Franconi, i Grimaldi, e con loro quello strano repertorio a metà tra circo e pantomima. In una seconda fase, a fine ’800, le donne di queste troupes attirano giovani di famiglie borghesi, studenti o seminaristi, che “scappano col circo”, dando vita alle dinastie circensi moderne. Si originano così quei nuclei di acrobati, domatori, clowns, impresari oggi alla sesta/settima generazione con almeno 250 cognomi solo di origine italiana. Alcune famiglie risultano straordinariamente numerose, con diramazioni in tutto il mondo, come i Medini, Zavatta e Cristiani, o in tempi più recenti Togni, Orfei e Casartelli. Altre, come i Bouglione o i De Bianchi (il ceppo che dà origine ai Togni) uniscono misteriosamente cognomi borghesi con tratti etnici gitani. In vari casi è possibile rintracciare filiazioni, almeno culturali, risalenti alla Commedia dell’Arte. La logica delle troupes-famiglie. Le troupes circensi, e gli spettacoli, fino a tutto l’800 avevano una struttura completamente diversa da quella novecentesca poi impostasi come accostamento di numeri: per sopperire alla durata di un intero spettacolo, la seconda parte era dedicata a farse, balletti

La troupe femminile di Zhengzou, Cina, 2002

35

36

e pantomime, imponendo così una multidisciplinarietà agli interpreti. Sui programmi ottocenteschi non v’è tanto un elenco di numeri ma, come nella danza, una divisione in “uomini e donne della compagnia”; i ruoli acrobatici sono divisi in “primari” e “secondari” e ordinati in pista dall’autorità un “direttore equestre”. La figura parlante del presentatore è praticamente inesistente, il ritmo è scandito dall’orchestra, ed anche il lavoro clownesco è prettamente fisico, e raramente supera il grammelot verbale. Gli artisti sono quasi tutti sempre presenti in pista, dando vita alla “barriera” che collabora tecnicamente alle esibizioni dei colleghi a cavallo o sul tappeto: è un gruppo omogeneo, come nel teatro, che di volta in volta prende forma in combinazioni che vanno dal solista all’ensemble. Questa struttura, un modello che si afferma necessariamente come familiare, è chiaramente aperta ad ospitare artisti “esterni”, solisti o troupes acrobatiche indipendenti, nel primo Novecento spesso legati all’emergente teatro di varietà. Tale modello ha caratterizzato nel secolo scorso in particolare i circhi italiani, ed ora sopravvive nei circhi sudamericani, condotti da famiglie numerosissime e virtuose. Dallo spettacolo di troupe ai numeri autonomi. È la corsa alla novità che, all’alba del Novecento, vedrà un terzo periodo: quello in cui il circo della troupe è soffocato da quello dei “numeri”. Ormai gli artisti aspettano il loro turno in camerino, e la “barriera” è sostituita da un gruppo anonimo di assistenti in livrea; tra la pista e il palcoscenico del music-hall la differenza è quasi solo nello spazio. Al “numero” corrisponde un nucleo acrobatico indipendente. Un gruppo di saltatori marocchini, di cavallerizzi italiani, di ginnasti bulgari o di trapezisti messicani, ha un maestro-capocomico, vari acrobati spesso della stessa famiglia, alcuni “allievi” e qualche virtuoso che spesso passa ad altre troupes. Raramente queste troupes garantiscono più di 20-25 minuti all’interno di un programma (in genere con un numero principale e un paio di passaggi di altro genere), e sono indipendenti, dotati dei loro accessori, costumi, veicoli e abitazioni, liberi di scegliere gli ingaggi da una stagione all’altra sull’intero pianeta. Nel caso delle troupes di clowns (invariabilmente italiani, italofrancesi e iberici), le impressionanti similitudini con la struttura e la logica delle compagnie teatrali del ’600 (uso del repertorio, tecniche di improvvisazione, adattamento a più lingue) ci pongono di fronte all’ultima eredità vivente del sistema della Commedia dell’Arte. La troupe sovietica. Il Circo sovietico è stato l’unico a sviluppare il caso di troupes autonome che, pur nate per integrarsi in spettacoli completi, sono veri e propri “numeri-pantomima”, lunghi ed elaborati drammaturgicamente. Le grandi troupes del circo russo possono arrivare a proporre fino ad un’ora, (delle due di programma), in una sola disciplina: in genere illusionismo, acrobazia equestre, spettacoli aerei, salti acrobatici o grandi quadri di belve.

Ciascuna troupe qui si basa su un leader carismatico, in genere pluripremiato dal regime, che ha con sé decine di persone: artisti (familiari e non), tecnici, figuranti, poi rideaux e tappeti di pista decorati a tema, costumi, elementi scenografici e partiture musicali, animali. L’esplosione di tale modello si ha alla fine degli anni ’70, quando si vedono la Leggenda del Caucaso dei cavallerizzi di Tamerlan Nugzarov, il Prometeo dei funamboli di Vladimir Voljanski, le mini-riviste d’illusionismo dei fratelli Kio, la fantasia di tigri ed elefanti di Miecslav Zapachny, fino al rinnovamento negli anni ’80, con le Cicogne dei trapezisti di Vilen Golovko, il Carnevale russo dei saltatori Bondarev e decine di altri, sempre presentati all’interno di una compagnia circense più completa. Lo spettacolo di troupe rivalutato. L’idea di “uomini e donne della compagnia” è recuperata con ironia dalla famiglia di Livio Togni che dal 1990, con “Il Florilegio”, rilancia in Europa il modello di troupe circense all’“antica italiana”. Questo avviene in un momento di generale rivalutazione del circo di troupe cui si assiste negli anni ’80. Due sono le figure da cui emerge questa sensibilità: l’attrice Silvia Monfort, che nel 1974 convince a Parigi la famiglia di cavallerizzi di Alexis Grüss a lanciarsi nell’avventura del circo “à l’ancienne” con una troupe equestre ancor oggi straordinaria; poi il regista Pierre Etaix che con la moglie circense Annie Fratellini definisce un modello di circo-scuola basato sulla troupe all’antica (cfr. cap. 15). In una logica commerciale ad alti livelli, l’esempio culmina tra gli anni ’70 e ’80 a Bonn col circo Roncalli, a S. Francisco col Pickle Circus, a New York col Big Apple Circus, e più tardi, grazie a tali esempi, a Montréal col Cirque du Soleil. In tali esempi, pur d’identità diversa, il modello è di una troupe “all’antica” riconoscibile di acrobati e comici, “fabbricata” artificialmente (senza la possibilità di un nucleo familiare, come Togni o Grüss) con artisti di varia provenienza. Su tale gruppo quasi fisso, in gergo “troupe di casa”, di anno in anno si innestano le vedettes soliste del circo e del music-hall degli anni ’80 e ’90, ma tematizzandone i numeri sull’identità molto teatrale dei vari spettacoli. Lo spettacolo del solista e del “collettivo”. Se la maggior parte dei circhi commerciali nel mondo tende ancora a conservare l’accostamento di numeri tipico del secolo scorso, il concetto di troupe e di spettacolo circense va verso nuove forme, sebbene spesso limitate ai circuiti sperimentali. Il solista circense si scopre infatti in grado di condurre da solo un intero spettacolo; nel Novecento ciò era stato possibile solo nel caso dei grandi illusionisti, o al massimo nei quaranta minuti di esibizione del clown Grock e del giocoliere Rastelli, ma sempre nella logica dei programmi di varietà. Oggi, quasi sempre in Francia, il sistema delle scuole può generare “collettivi” che si costituiscono in compagnie con la volontà di produrre spettacoli comple-

37

Uno dei più grandi solisti del Novecento: il giocoliere Francis Brunn (1922-2005). Fotomontaggio, coll. dell’autore

38

ti, a volte anche monodisciplinari. Comunque non scanditi in numeri separati, bensì basati in una fusione delle tecniche secondo un principio poetico di vera e propria scrittura circense1. L’estremo è dopo il 2000 in casi come l’acrobata Johan Le Guillerm, che anima un intero circo da solo; o con il gruppo Que-Cir-Que, che vede in scena un trio per novanta minuti; o con il giocoliere Jerôme Thomas. Anche artisti provenienti dalla tradizione come l’ottuagenario giocoliere Francis Brunn o il clown David Larible, hanno brillato come solisti di una sola serata in esempi di successo nello stile più tradizionale dell’one-man show di repertorio. La troupe orientale. Il modello orientale di troupe (Cina, Mongolia, Corea) è invece simile a quello delle forme teatrali cinesi o giapponesi: una troupe assicura un intero spettacolo con uno stile, invariato spesso per secoli. In Cina vi sono centoquaranta troupes provinciali di circo. I propri membri si formano all’interno, spesso per emulazione; non sono gestori di un circo itinerante, ma di un gruppo d’artisti che si esibisce in palcoscenico. Una qualunque troupe circense della Cina somiglia un po’ a quella occidentale ottocentesca, ma soprattutto è vicina alla logica del balletto: gli artisti, una trentina per spettacolo, si alternano nei numeri di gruppo e nelle specialità da solisti; in genere il gruppo femminile appare unito nelle piramidi su biciclette o nei gruppi con i piatti rotanti sulle asticelle; quello maschile nei prodigiosi salti attraverso i cerchi o nelle danze acrobatiche travestiti da leoni sulle sfere. Le troupes cinesi hanno iniziato negli anni ’80 del Novecento a concedersi a programmi di circo occidentali, grazie a “finestre” come i festival di Parigi e Montecarlo, che le portano nella pista rotonda. Il Cirque du Soleil è il primo negli anni ’80 ad integrare artisti orientali in creazioni collettive creando numeri misti con artisti di varie etnie. La troupe dopo il 2000. È proprio nel Cirque du Soleil che è in embrione una nuova identità del circense, ancora diversa dai collettivi del nouveau cirque francese: la multinazionale canadese unisce artisti di varia provenienza (sport, danza, teatro gestuale, dinastie circensi, acrobati orientali) e di ogni nazionalità e cultura, preparati non solo in una specialità artistica ma addestrati alla polivalenza e alla fluidità di tecniche e linguaggi. Essi contraggono naturalmente matrimoni, e conducono uno stile di vita più confortevole per l’apprendimento e la ricerca artistica, e sono più che alfabetizzati. Un modello che potrebbe determinare una idea di troupe del prossimo futuro. Discipline della pista: le insidie della classificazione. Se il teatro si basa sull’attore, la danza sul danzatore e il teatro di figura sul burattinaio, il circo è l’unico genere dello spettacolo che sfugge ad un’unica definizione tecnica dell’interprete: si dirama in sottogeneri infiniti

39

LE TECNICHE CIRCENSI ’

FORZA ED EQUILIBRIO

ACROBAZIA Volteggio

A terra Di “banchina” “Mano a mano”

Salti

A terra Di spalla In lunghezza

Volteggio e salti con dispositivi

Icariani Battuta in lunghezza Trampolino elastico Letto elastico Fast track Bascule Altalena “russa” Sbarre fisse Pertiche fisse “cinesi” Tavolo Salti sul filo (v. Funambolismo) Ruota “tedesca” Ruota “Cyr”

ACROBAZIE AEREE Volteggio

Forza e agilità

Equilibrio

40

Forza

Equilibrista solista Equil. mano a mano Equil.di gruppo Piramidi umane Pose plastiche Contorsionismo

Equilibrismo con dispositivi

Scale “libere” Scale fisse Pertiche Globi Rulli Monocicli e biciclette Trampoli

Funambolismo

Filo teso Filo “molle” Bal di corda Corda doppia Filo a grande altezza

MANIPOLAZIONE E DESTREZZA Trapezi volanti classici Trapezi “alla coreana” Sbarre aeree fisse Trapezio singolo Trapezio doppio Quadro aereo fisso Corda volante Bunjee jumping Pertica aerea Anelli Corda verticale Tessuti Rete aerea Trapezio “washington” Trapezio roteante Aerolite Ruota aerea gigante Moto aerea Filo (cfr. funambolismo)

Giocoleria

Classica solista Eccentrica-comica Di gruppo Diabolo Gioc. di forza Antipodismo

Altre forme di destrezza

Equilibrio di oggetti Prestidigitazione Ventriloquismo Lanciatori di coltelli Tiratori di balestra Giochi con “lazos “



COMICITA’ CIRCENSE

ARTE EQUESTRE

Clowns classici

Solista “di ripresa” Duo/trio clownesco “Entrata” musicale

Solisti

Mimo eccentrico Eccentrico musicale Giocoliere comico

Dressage

Alta scuola montata Alta scuola alle redini Cavallo “sapiente” Gruppi “in libertà”

Acrobazia equestre

Volteggio alla cosacca Volteggio “richard” Salti a cavallo Jockey Equitazione comica

Forza ed equilibrio

Piramidi equestri Passo a due equestre Equilibri e pose equestri Posta “ungherese” Giocoleria a cavallo

Sketch con spettatori Altre forme comiche

Acrobati comici Domatori comici Parodie circensi Rodeo comico Pantomima comica

ESIBIZIONE DI ANIMALI

ATTRAZIONI DEL BRIVIDO

Gruppi “in libertà”

Cavalli Elefanti Zebre Cammelli Gruppi “esotici” misti

Numeri a grandi altezze

Gruppi in gabbia

Tigri Leoni Piccoli felini Orsi polari Gruppi misti Felini cavallerizzi

Uomo proiettile Freccia umana Loop in bicicletta Globo delle moto Tuffo nel vuoto Muro della morte Moto aerea

Altri animali

Cani Gatti Scimmie e primati Foche e otarie Orsi bruni Rettili Rinoceronte Ippopotamo Giraffa Volatili

Altro

Fachirismo Ipnotismo Grandi illusioni

41

42

ma precisi, ciascuno dei quali ha in realtà un’indipendenza tecnica e storica già prima della definizione ottocentesca del circo moderno. Classificare le discipline del circo è difficile, e i sottogeneri sono fluidi: il circo è una vera e propria arte combinatoria. Una leggera variante virtuosistica può annullare i confini tra equilibrismo e giocoleria; l’adattamento di un accessorio cancella le distanze tra acrobazia al suolo ed evoluzioni aeree; un giocoliere o un saltatore sul cavallo unisce l’arte equestre a miriadi d’altre forme; un clown sul trampolino padroneggia comicità ed acrobazia. Inoltre, un artista di circo che si specializzi come “giocoliere” o “acrobata” è spesso formato anche in altre discipline: impiegato nella tradizione di famiglia o di troupe come “generico” o sostituto in numeri collettivi, dal trapezio alla gabbia. Già i cinesi della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) avevano avuto il bisogno di catalogare le specialità circensi nella “teoria del Bai Xi”. Molti teorici hanno in seguito affrontato il problema: negli anni ’60 il pedagogo russo Gurevitch era riuscito a comporre una tavola catalogando novantatré diverse specialità circensi e incrociandole tra loro nelle innumerevoli combinazioni esistenti “in natura”2. Quali e quante sono realmente le discipline del circo? Bisognerebbe riconteggiarle almeno ogni dieci anni. In genere si tende a distinguerle in sei o sette grandi “famiglie” ciascuna con le proprie diramazioni: Acrobazia, ovvero l’arte di compiere salti al suolo, oppure volteggi a corpo libero. Esiste nelle varianti “al tappeto” (in assolo, coppia o gruppo) o in quelle con accessori di varia natura (trampolini, bascule, altalene, sbarre fisse, etc.); Forza ed equilibrio nel senso di sfida alle leggi di gravità e alla pesantezza. Ha un’enormità di varianti: equilibri di persone (solisti o nel duo “mano a mano”, o in più persone come nelle “piramidi”); nei numeri d’esibizione di forza; posizioni precarie con accessori speciali (pertiche etc.); nonché l’equilibrio e la danza sul filo a varie altezze. Una disciplina estrema come il contorsionismo si pone a metà tra questa categoria e l’acrobazia pura. Acrobazie aeree. Dal primo ’800, la definizione dello spazio e dello spettacolo circense, in superficie e in altezza, aggiunge questa branca oggi fondamentale: dal trapezio singolo alle troupes di uomini volanti, alle innumerevoli varianti con accessori, per solisti, coppie o gruppi; Manipolazione e destrezza, cioè manipolazione d’oggetti con le mani ma anche, nel caso degli antipodisti, con i piedi; l’equilibrio di piccoli e grandi oggetti su varie parti del corpo; fino a forme di virtuosismo manipolatorio proprie dell’illusionismo; Comicità, che va dagli interventi del singolo clown (detto “di ripresa”), ai numeri farsesco-musicali di gruppo (l’“entrata”), alle parodie e alle trovate eccentrico-acrobatiche;

Arte equestre, che si estende dalle forme virtuose di equitazione alle tantissime discipline dell’acrobazia e dell’equilibrio e giochi di forza a cavallo; Animali ammaestrati: se prima nel circo erano appena mostrati, con la pista rotonda si sviluppano le possibilità di addestramento e virtuosismo, presentando evoluzioni in libertà nel caso di quadrupedi, plantigradi, primati, e rettili (elefanti, zebre, cammelli, oppure orsi e scimpanzè, serpenti e coccodrilli), nella gabbia centrale nel caso dei felini. Esiste poi una miriade di discipline “minori” (fachirismo, giochi di forza, lanciatori di coltelli, ventriloqui, tiratori scelti, numeri del brivido) che sfugge a vere categorie. E poi come classificare le ardite commistioni emerse nella Russia dagli anni ’50 (come l’equilibrio su pertiche sul filo, i salti con i trampoli) o ancora le incredibili contaminazioni emerse in Corea del Nord negli anni ’90 tra il trapezio volante e le tecniche acrobatiche proprie al suolo (trampolino elastico, bascule); o le combinazioni nello stesso numero tra tigri ed elefanti, tra leopardi e rinoceronti. A complicare le cose c’è il continuo emergere di tecniche, accessori e numeri prima impensabili, soprattutto in quelle tradizioni dove c’è la possibilità di laboratori tecnici con una vera e propria sperimentazione ingegneristica: ciò si deve alla Russia degli anni ’70, ai budget dei circhi americani negli anni ’80 e a laboratori come quelli del Cnac francese o del Cirque du Soleil canadese negli anni ’90. Dopo il 2000, le discipline tendono ad una nuova indipendenza nelle forme monodisciplinari o miste, quasi a rivendicare l’indipendenza artistica e il potenziale creativo autonomo di ciascuna disciplina. Dagli Usa alla Francia, giocoleria, illusionismo, arte equestre, clownerie, acrobazia possono affrontare singolarmente una loro composizione di 90-120 minuti nel percorso poetico di una specifica drammaturgia non verbale: il “giocoliere” Michael Moschen, il “cavallerizzo” Bartabas, il “clown” Slava Polunin o David Larible, o un inclassificabile genio come James Thierrée possono affiancarsi all’“attore” o al “danzatore”, senza dover passare attraverso il “circo” (cfr. 12.1). Dalle dinastie alle scuole: la pedagogia circense. L’artista Davio Togni a quarant’anni è trapezista, clown, specialista in almeno quattro discipline equestri, equilibrista e addestratore di leopardi, rinoceronti, tigri, elefanti, struzzi e giraffe, oltre a saper montare e trasportare un circo in qualunque posto del mondo. Il clown italiano David Larible, nel 2000 il più celebre del pianeta, oltre a far ridere sa saltare a terra, andare sul trapezio, danzare, recitare al cinema, fare il giocoliere, il cascatore, il cavallerizzo, l’illusionista, esibirsi sui pattini, danzare con le bolas, lanciare i coltelli, scrivere le storie dei propri numeri, fabbricarsi gli accessori, suonare sette stru-

43

Educazione di una famiglia di acrobati sulla pista del Nouveau Cirque di Parigi, 1910 ca.

44

menti musicali e parlare altrettante lingue. Chaplin, Keaton, i Fratellini e decine di altri artisti non erano estranei a questo tipo di virtuosismo. L’apprendistato circense è stato per secoli una sorta di assorbimento familiare, diviso tra le severissime lezioni mattutine del “vecchi” sulla pista, l’osservazione quasi inconscia degli spettacoli per due volte al giorno, la vita dietro le quinte e i discorsi a cena dei familiari su un esercizio riuscito male o sui segreti di coinvolgimento del pubblico nelle serate più difficili. Ha dichiarato Larible in un convegno alla Biennale di Venezia nel 2002: «Io il circo l’ho imparato a tavola». Vita quotidiana e mestiere sono stati indissolubili nel circo classico, a volte sacrificando la libertà dell’infanzia e ricorrendo ad una didattica che includeva punizioni fisiche. Il rigore è l’unico modo per imparare il circo. Se si vuole far roteare tre cerchi, quattro o anche dodici come negli anni ’90 il fuoriclasse Anthony Gatto, c’è un’unica soluzione: provarci fino ad otto ore al giorno per tutta la vita. Se si vuole imparare a farne una presentazione artistica, ci si arriva passando l’infanzia ad osservare il tavolino del trucco, la sartoria, nascondendosi tra i musicisti, spiando gli artisti che da una stagione all’altra a centinaia si alternano con i gesti e gli sguardi più impercettibili per “vendere” al pubblico gli esercizi. È un sistema in cui acquisizione del sapere e inserimento professionale sono inconsci, fluidi, quasi paralleli. Questa pedagogia delle “famiglie-scuola”, che

Saggio di allievi alla Scuola di Stato di Mosca, 1970 ca.

ha per luogo i terreni dinanzi ai carrozzoni e per tempo una vita intera, entra in crisi nel primo Novecento: quando la decadenza del circo itinerante, la demolizione dei circhi stabili, la fine dei lunghi ingaggi, l’aumento dei costi e la disaffezione del pubblico costringono il circense a maggiori spostamenti e ad una concentrazione delle energie su problemi più urgenti della prestazione artistica. Inoltre, quando nella prima metà del Novecento le avanguardie impongono una riflessione planetaria sulla pedagogia delle arti sceniche, l’educazione classica al circo, fondata come nel teatro orientale sulla imitazione generazionale di modelli, condanna il giovane artista alla mera ripetizione e all’esclusione da un mondo in cui la fertilità artistica s’impone. Quella del circo classico appare dunque più trasmissione che formazione, formattazione più che pedagogia. Inoltre emerge uno scarto tra il livello di alfabetizzazione del circo e quello della società, tra l’educazione artistica della pista e quella di altri spettacoli: già nel primo Novecento le scuole di teatro e danza sono una realtà concreta e iniziano a formarsi “metodi”. Nel 1919 per «sopperire all’ignoranza dei direttori circensi» Lenin nazionalizza a Mosca il circo creando nel 1927 la Scuola di Stato del Circo (cfr. 11.4). Per la prima volta al mondo, l’apprendistato delle discipline della pista era possibile al di fuori della trasmissione dinastica, della chiusura del sapere riservato a pochi. È consentita in un luogo fisso, aperto a tutti e soprattutto

45

46

concepito come una disciplina “artistica”: in altre parole con una ricerca costante degli aspetti drammaturgici, interpretativi, coreografici e con il senso critico e storico del circo, sotto la guida di un geniale direttore come Aleksandr Volochin, autentico pioniere della pedagogia circense moderna. In maniera inedita, l’apprendimento circense, che prima era dilazionato nel percorso della crescita dell’individuo senza tempi precisi, è ora razionalizzato nella durata specifica di un triennio. L’affiancamento a pedagoghi di altri campi artistici fa della scuola un luogo in cui equilibrare la disciplina del mestiere con l’indisciplina della creazione, le tecniche antiche con la pedagogia moderna. E le dinastie dei virtuosi italiani sono per Mosca i primi modelli di riferimento. Il sistema è rapidamente esportato in tutti Paesi del blocco Sovietico subito dotati di Scuole di Stato (Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Polonia, Germania Est, Corea del Nord, Cuba, Vietnam, Mongolia, Cina) con eccellenti risultati che le tournées dei circhi russi e dell’Est durante la guerra fredda dimostrano agli spettatori occidentali. L’idea negli anni ’60 affascina osservatori come Hovey Burgess alla New York University, che illustra il fenomeno su «The Drama Review» e tenta corsi accademici di circo. In Florida, dal 1968 al 1999, i proprietari del circo Barnum avevano creato il Clown College: un’istituzione unica al mondo devota all’arte clownesca, che ha formato alcuni dei migliori talenti del circo e del teatro gestuale americano dei nostri giorni. In Europa l’esperienza sovietica affascina il circense di tradizione Alexis Grüss, che nel 1974 nell’ambito del Centre Culturel de Paris tenta la prima esperienza occidentale di scuola di circo, seguita quasi contemporaneamente da quella molto più durevole di Pierre Etaix e Annie Fratellini (cfr. 15.2). Quest’ultima sviluppa in occidente una pedagogia in cui le tecniche del circo sono potenziate da quelle di danza e teatro e dalla conservazione della memoria storica. Nel 1981 a Montreal l’attore e acrobata Guy Caron, formatosi alla Scuola di Budapest, apre una Scuola Nazionale di Circo in Canada. La Francia è il primo Paese occidentale a segnalare una volontà istituzionale verso la formazione circense, incoraggiata dalla tragica crisi delle famiglie di tradizione. È il ministro Jack Lang a ristrutturare e trasformare in scuola l’antico circo stabile della sperduta Chalons-en-Champagne, in una politica non felicissima di decentramento, creando il Cnac (Centre National des Arts du Cirque) (cfr. 16.3). Dopo i primi anni di pedagogia dalle scelte combattute e gestioni controverse, dal 1990 la nomina dello scultore Bernard Turin alla direzione dell’istituto introduce una nozione inedita quanto ambiziosa nella storia del circo: quella di “interprete”. L’attenzione è sull’artista polivalente o “acteur de cirque”, interprete in una creazione che non è vista come un insieme di numeri, ma ha l’ambizione di porsi come un’opera d’arte poetica, in chiaro distacco, e un certo senso di superiorità, rispetto al circo tra-

dizionale (che in Francia era, in effetti, ridotto al lastrico), (cfr. 18.6). Questo tipo di pedagogia crea polemiche (perché lo stato non assicura anche la formazione tradizionale? Perché l’allievo è asservito all’estetica esclusiva di un coreografo?) ed introduce una rottura forte sia rispetto al modello della famiglia-scuola che a quello Sovietico da essa derivata. Per almeno due ragioni: 1) La formazione-ricerca dell’artista “polivalente” non è più imperniata sulla figura del maestro; 2) l’insegnante non è artista o ex-artista, ma una figura quasi totalmente dissociata dalla pratica spettacolare, quella del “formatore di circo”, con un background che può spaziare tra atletica, psicologia, medicina, danza, arte contemporanea, in chiara rottura con la continuità storica del circo: è emblematica, con l’arrivo di Turin, l’eliminazione dei corsi di acrobatica equestre, una disciplina pur preziosa ed in estinzione3. Negli stessi anni ’90, un esempio più equilibrato tra la formazione del numero classico sul modello sovietico e quella contemporanea della francese si ha alla Scuola di Montréal soprattutto grazie alla direzione di Jean Rok Achard. Con la dissoluzione del sistema sovietico, ogni nazione dell’ex-Urss è costretta a provvedere con i mezzi che ha alla formazione circense, mentre la Scuola centrale di Mosca sopravvive con difficoltà. L’esempio più brillante è a Kiev, grazie anche al particolare talento circense del popolo ucraino. La scuola, fondata nel 1975, diventa nel 1999 un istituto superiore ed accoglie 300 allievi l’anno. Gli artisti ucraini sono riusciti a superare l’estetica postsovietica conservando l’elevatissimo livello tecnico, riuscendo in modo suggestivo a rendere contemporanea la presentazione del circo tradizionale. In Cina la formazione è completamente diversa. Seppur influenzata negli anni ’50 dal modello sovietico, è l’area dove più antico è il concetto di formazione circense: le prima testimonianza al mondo di scuole circensi si hanno infatti sotto la dinastia Tang (618-907) in cui si era iniziati dall’età di cinque anni. Le scuole qui oggi restano legate alle troupes regionali, che sono private, pubbliche o dell’esercito. Importante eccezione è la recente nuova scuola di Shanghai, oggi considerata la vera scuola nazionale cinese. In Cina il sistema pedagogico resta quasi medioevale, pur garantendo i più alti risultati al mondo nelle tecniche acrobatiche. I bambini, spesso di famiglie povere, sono iniziati anche all’età di tre anni e, in strutture convittuali, educati in modo rigorosissimo, dando spesso motivazione a polemiche internazionali sui metodi usati. La trasmissione di tecniche fino agli anni ’80 è stata legata ad un’inalterabile e stucchevole ripetizione di secolari estetiche folcloristiche, con costumi, esercizi, coreografie e musiche basate essenzialmente sulla ripetizione, come del resto in altre forme della scena orientale: con ancor meno libertà artistica per l’individuo che nelle vecchie famiglie occidentali. In seguito, grazie prima all’influenza della creatività sovietica e

47

L’Ecole Superieure des Arts du Cirque a Bruxelles, insediata recuperando un edificio del 1913. 2002, Foto X. Claes

48

poi al contatto con i festivals e le tournées occidentali, vi è stato un decisivo sviluppo: prima nel vocabolario acrobatico e poi in quello coreografico, soprattutto a causa del Cirque du Soleil (che impiega numerosi cinesi). Oggi le scuole e le troupes cinesi hanno costumisti, compositori musicali e coreografi che, seppur ancora troppo influenzati dallo stile della multinazionale canadese, ora stanno anche troppo abbandonando il folklore antico, forse rischiando di annullare una tradizione (un po’ come se l’intero sistema dell’Opera cinese diventasse rapidamente una brutta copia di Bob Wilson). A differenza della Cina, quasi tutte le pedagogie circensi del mondo non partono dall’infanzia, ma sono strutturate per allievi da 13-15 anni d’età, dopo la scuola dell’obbligo. L’Italia è stato l’unico modello al mondo a riprendere la struttura convittuale e ad accogliere bambini a partire dai sei anni, con l’esempio dell’Accademia del Circo, dal 1987. Questo perché l’istituzione, nata dalla volontà delle famiglie circensi, capaci di suscitare una buona sensibilità istituzionale, aveva anche l’urgenza di garantire l’alfabetizzazione ai figli del circo con la frequenza regolare mattutina della scuola dell’obbligo, senza le restrizioni dell’itineranza. È nato così il “caso” di una scuola fissa ma fatta soprattutto per allievi di tradizione nomade. L’Accademia ha garantito la tradizione del rapporto classico allievo-maestro, con istruttori italiani. Ma qui il sistema della tradizione è stato necessariamente privato dalla preziosa quotidianità della vita artistica in cui si apprendeva per “assorbimento”. Inoltre non è stato potenziato (come in Russia o in Francia) dal rapporto pedagogico con le altre arti. Il nuovo metodo italiano si è dunque sviluppato più sul principio cinese della trasmissione imitativa di tecniche acrobatiche che su quello di una solidità artistica completa e di un’educazione all’indipendenza creativa. Tuttavia, alcuni dei diplomati hanno sviluppato numeri di straordinario livello almeno tecnicamente ai vertici del mercato mondiale. Dagli anni ’40 negli Usa, poi in Australia e i Francia, esplode un fenomeno che dopo il 2000 sta espandendosi nel mondo: quello delle scuole amatoriali d’iniziazione al circo. Oggi la diffusione di una generazione internazionale di “formatori”, usciti dalle nuove scuole di circo degli ultimi trent’anni, spesso crea queste realtà locali destinate soprattutto all’infanzia: creando nel territorio una sensibilizzazione al circo un po’ come nel caso delle tante scuole di danza. Il più recente modello di pedagogia circense è invece quello legato all’azione sociale. Il primo importante esempio è stato il modello creato in Brasile dal francese Pierrot Bidon con il Circo da Madrugada, e simili sono l’azione della scuola Chapitô a Lisbona e dell’iniziativa creata in Marocco dall’Académie Fratellini. Nel 1993, il Cirque du Soleil crea il programma umanitario «Cirques du Monde» con l’organismo di cooperazione internazio-

49

nale Oxfam, che nel 2004 raggiunge quasi quaranta comunità disagiate nei cinque continenti, e si lega anche a programmi per formare la nuova figura pedagogica circense dell’“artista sociale”4. Sempre più sensibile è inoltre l’attenzione del mondo accademico verso la cultura circense. A Melbourne l’università di Swinbourne tenta attorno al 2000 un progetto di Istituto Nazionale d’Arte Circense, concretizzatosi nell’istituto Nica. Nel campo teorico, a partire dagli anni ’90 molte cattedre universitarie europee ed americane si occupano di circo, così come in Francia è costante il rapporto tra le scuole di circo e il mondo della riflessione accademica.

50

PRIMA PARTE

1. ORIGINI

DI UN MONDO IN MOVIMENTO

1.1 Dallo sciamano all’acrobata Come tutte le arti performative, anche quelle circensi risalgono allo sciamanesimo primitivo. Già nel Paleolitico, quando la caccia è l’unica forma di civiltà, lo sciamano, figura complementare a quella del cacciatore, è la figura di transizione tra l’universo sensibile e quello spirituale; è in lui che riposa la conoscenza oracolare per distinguere le fasi più propizie della caccia, della difesa e della guerra, ed è sull’accumulazione della sua conoscenza che si costruisce il patrimonio mitologico delle civiltà. Sciamani e sacerdoti hanno questo ruolo di custodia e risveglio del mito, tramite la dimostrazione reale o fittizia di abilità fisiche “soprannaturali”. È lo stato di trance, reale o apparente, accompagnato da percussioni o droghe, che conduce a convenzioni sempre più codificate di evocazione del mito attraverso danza, teatro, acrobatica, illusionismo, con cui «si dava potere spirituale ad ogni singola cosa: le piante, le nuvole, il sole, la luna» [HARRISON]. Sciamano viene dal termine siberiano saman, indica “uno che è eccitato, mosso, scosso”. Viaggia in altri mondi per acquisire potere di guarigione al fine di aiutare la comunità. Interagisce con spiriti, anche quelli dei morti, che popolano quello che il Walsh definisce un “mondo extra mentale” [WALSH]. «Molti diversi tipi di spettacolo come numeri di magia, acrobatica, marionette e mangiafuoco si possono dimostrare come derivati, o almeno preceduti, dal fenomeno di tali rituali, e ciò fornisce il quadro per una teoria generale delle origini» sostiene Kirby in una ricerca fondamentale, in cui spiega: «Tutti i divertimenti popolari [...] derivano dallo stato di trance e non da gioco infantile e imitazione per causare l’apparizione di una super-realtà che è “più reale” dell’ordinario»1. Sciamani indiani, africani o americani hanno in comune a fini di guarigione le stesse precise tecniche d’inganno su cui si baserà l’illusionismo (dall’apparizione di oggetti, alle decapitazioni miracolose, ai trucchi di evasione); i numeri con il fuoco si riconducono a trance apparente per esorcismi a Ceylon, in Sudafrica e tra i dervisci mediorientali. L’acrobazia stessa, come il contorsionismo, si ritiene generata dalla natura convulsiva e dall’estrema tensione muscolare dello stato di trance. Una prima codificazione del contorsionismo emerge in Mongolia dalla danza di guarigione del Beau Chachine, (che ha già una struttura teatrale). Ancor più evidente è la radice della sfida all’equilibrio, se si pensa alle tradizioni indiane dello sciamanesimo su lame o superfici appuntite. In Siberia, un rito iniziatico degli sciamani includeva il tentativo di danza sulla corda; persino il teatro di

Part. di calco da un bassorilievo presso Wu Han (Cina), epoca n.d.

53

marionette ha origini sciamaniche con scopo miracolistico e divinatorio. Numeri del circo cinese come la “danza dei leoni” o il lancio del “tridente” nascono da danze di esorcismo. Sulle origini sciamaniche del clown, da Bali agli aztechi, abbondano poi gli studi, per non parlare della cultura mediterranea del culto di Pan e della possessione dionisiaca, o in Europa della genesi mitico-silvestre del Carnevale e delle maschere. Con l’affermarsi delle prime religioni storiche, tutte le discipline di quello che sarà lo spettacolo mantengono il legame rituale col sacro (le teorie sulle origini della tragedia greca sono note; in India il Natyasastra che nel VI sec. a.C. è il più antico manuale del mondo di arte teatrale, è un testo religioso). In Cina ancora negli anni ’90 chi scrive ha potuto assistere ad una processione di consacrazione degli artisti che confluivano con i monaci buddhisti nel tempio di Wu Quiao. Qui in una cerimonia erano bruciati incensi ed offerti doni della natura dinanzi a tre grandi statue raffiguranti una contorsionista, un giocoliere e un mago con i bussolotti. Del resto il buddismo fin dalle sue origini, e per secoli, mostra una presenza importantissima dell’acrobazia in specifiche processioni-spettacolo, o con la presenza di scene affiancate ai templi.

54

1.2 Da rito a spettacolo Il passaggio del rito da culto a spettacolo prende forma probabilmente nel Neolitico (10.000 a.C.), lungo i grandi fiumi eurasiatici, quando l’agricoltura definisce società più stanziali in cui il ritmo della giornata inizia a separare il tempo del lavoro e della guerra da quello ludico: il ciclo dell’anno è scandito da feste in cui si possono iniziare a distinguere sacro e profano. Il gioco circense nasce di certo da un bisogno di simbolo e metafora delle attività quotidiane prima di diventare pura esibizione di virtuosismo. Ancora in Cina, fino all’ultimo XX secolo tutto il circo cinese resta chiaramente metafora delle leggi che armonizzano i rapporti tra uomo, cielo e terra. Il senso di acrobazia o giocoleria, ma anche quello del dominio di animali vivi, permane molto simbolico in tutta la tradizione cinese (l’occidente recupera questo valore ancestrale di metafora del quotidiano col nouveau cirque dopo il 2000). Il gesto circense è l’amplificazione virtuosistica di quello del cacciatore, dell’agricoltore e del guerriero: i primi equilibri avvengono con giare o ceste, e i primi giocolieri fanno roteare oggetti d’uso quotidiano. A Creta, tra gli affreschi di Cnosso (2.000 a.C.) una fanciulla compie salti mortali sul dorso di un toro in quella che è forse la prima testimonianza al mondo di esibizione circense. L’enorme affresco in una tomba egizia a Beni – Hassan (1994-781 a.C.), accosta attività agricole a giocolieri e contorsionisti2. Il disegno di un vaso cinese della prima epoca feudale (475-22 a.C.) trovato a

Chengdu assimila inequivocabilmente le pose dei cacciatori a quelle degli acrobati. Il cacciatore oltre ad uccidere ha poi bisogno di mostrare alla società agricola il controllo sugli animali feroci imprigionati e addestrati (come già in più di una testimonianza di egizi e assiri), il guerriero di rassicurare la comunità della propria abilità con la dimostrazione di giochi marziali ed equestri. Nelle società primitive come nell’antica Cina, nel Rinascimento come nell’età moderna, il circo nasce sempre da un incontro tra il saltimbanco della società agricola ed il virtuoso del mondo militare. Le arti marziali sono fondamentali nella codificazione delle discipline acrobatiche come dei moderni sport. Giochi propiziatori, celebrativi o di addestramento iniziano a destituire posture, gesti, ma anche armi, arnesi e strumenti dallo scopo di lavoro e difesa verso quello della meraviglia e della sfida di pesantezza, equilibrio, pericolo. Si diffondono messe in scena di vittorie belliche o di caccia di un passato mitico. Il riferimento militare consente al virtuosismo sciamanico e al patri-

Acrobazia su tori da un affresco della reggia di Cnosso, Creta, 2.000 a.C. ca. (Museo Archeologico, Heraklion)

55

Frammento di affresco egizio della XVIII dinastia, 1580-1314 a.C. ca (Museo Egizio, Torino)

56

monio mitologico uno sviluppo in forme sempre più teatrali: del resto le mitologie indiana, cinese e mediterranea sono ricche di personaggi dai poteri straordinari per la cui evocazione sono spesso indispensabili acrobazia e illusionismo. Verso il 220 a.C. la più antica evocazione leggendaria cinese, la “Battaglia dei Corni” (interpretata da esecutori vestiti da pelli e corni e risalente alle remotissime conquiste dell’Imperatore Giallo) prende una forma vera e propria di “teatro-circo”, affidata a tre attori acrobati: è da questo nucleo che inizieranno a distinguersi con chiarezza le specifiche discipline circensi in Cina, quando la brevissima dinastia Quin (221-207 a.C.) è la prima in Oriente a introdurre l’acrobazia a corte [QUI FENG]. Gradualmente dunque il rituale sciamanico lascia il posto all’esibizione pura: nelle società sempre più mature «l’arte dello spettacolo appare come l’orfana di un divorzio tra arte ed estasi [...] I giochi iniziano ad essere eseguiti come eventi sociali semplicemente a scopo di divertimento e ricchezza [...] e il pubblico perde il contatto col mistero estatico» [TAYLOR 1985]. La scissione tra autore dell’atto circense e spettatore stupito diverrà molto presto matura in Cina (qui l’acrobatica è spettacolo puro attorno al 770 a.C.), a Babilonia, in India, in Egitto: «È solo all’emergere di una rottura permanente dell’unità estatica tra esecutore e spettatore che ‘lo show business’ si pone in essere [...]. In certi contesti si può dire che il pubblico inizia ad esistere, quando esso smette di prendere la stessa droga del performer». L’immediatezza e il forte simbolismo delle arti circensi fanno in modo che queste si codifichino da rituale a spettacolo molto prima del teatro. Basti pensare alla definizione precisa dei numeri circensi dell’Antico Egitto, dove non si ricordano tradizioni teatrali; o al fatto che gli albori del dramma greco si hanno attorno all’800 a.C. mentre vasi cretesi e micenei ritraevano già chiaramente giocolieri e contorsionisti in contesti di spettacolo, in costume e affiancati da musici; in India il pur antico dramma sanscrito si afferma nel 320 d.C., quando da tempo caste di mendicanti praticavano precisi spettacoli di strada. E vedremo come in Cina, dove il teatro drammatico nasce solo con la dinastia Tang attorno al 618 d.C., già sei o sette secoli prima, sotto gli Han, i numeri del circo sono distinti con precisione. 1.3 La via della Seta ed altre strade Il circo pare generarsi nelle varie culture in modo autonomo, sebbene le testimonianze rendano specifiche alcune discipline in certi territori. Il gesto dell’equilibrista, del contorsionista e del giocoliere appaiono in Egitto dal 3.500

a.C., con tale frequenza da poter quasi configurare una “scuola di Tebe”; in India il contorsionismo e la magia sono conosciuti da 4000 anni; in Cina l’atto acrobatico si codifica prima del 2000 a.C.; nel bacino del Mediterraneo vasi e affreschi cretesi dal 2700 a.C. (e mille anni dopo nelle tombe etrusche) testimoniano di acrobazie. Ma è agli albori dell’era cristiana che le varie culture circensi si contamineranno per dare vita alle arti del circo come le conosciamo oggi, con l’apertura delle grandi vie del commercio tra i bacini di civiltà di Cina, India, e Mediterraneo greco, romano e poi bizantino: dando origine alla enorme comunità euroasiatica degli artisti itineranti. La chiave a tutto ciò è uno sguardo ai canali degli scambi nei secoli attorno alla nascita di Cristo: il mondo dei mercanti, col suo corollario di saltimbanchi, giocatori d’azzardo, musici e parassiti, si è sempre mosso lungo la mitica Via della Seta. Ma anche per la meno nota, ma più antica e agevole Via delle Steppe, che produsse incroci etnici dalla Cina, alla Siberia, alla Grecia. Tra l’utopia unificatrice di Alessandro (334323 a.C.) e quella di Gengis Khan (1224-1368), numerose civiltà si sviluppano nel medio-oriente. Tra le più vivaci è la Siria, la cui capitale Antiochia fa fiorire divertimenti e cultura. Da Orazio a Giovenale, molte sono le testimonianze per cui al commercio degli schiavi provenienti dalla Siria era legato l’afflusso costante verso Roma di mimi, acrobati, drammaturghi, danzatrici, prostitute: siamo attorno al I sec. a.C. Soprattutto emissari romani si impegneranno nella ricerca di animali esotici ed addestratori per lotte ed esibizioni nel circo. Nel frattempo fiorisce in Cina la dinastia Han (206 a.C.220 d.C.), distinta da una grande apertura verso un mondo in cui presero vita nuove nazioni nell’area medio-orientale: Battriana (attuale Afghanistan), Sogdiana (più a Nord), Aracosia e Gandahara (attuale Pakistan). Nel 120 a.C., il nuovo imperatore cinese Wu Di prende un’iniziativa di esplorazione, forse per cercare alleanze contro l’avanzata degli Unni: invia un funzionario imperiale, Zhang Quian, a fare un vero e proprio giro del mondo conosciuto. Nelle sue memorie questi racconta di essere giunto al Mediterraneo e di avervi visto “giocolieri e abili prestigiatori”. Poco dopo, nel 105 a.C., una nuova missione con dovizia di doni è indirizzata ai Parti il cui imperatore Mitridate II ricam-

Acrobati in un vaso cinese della dinastia Han, 206 a.C.-220 d.C. (Museo di Zheng Zou, Cina)

57

58

bia offrendo i “giocolieri di Li Kan” (la storica città di Petra, vicino Gaza). Due secoli dopo, nel 120 d.C., l’imperatore cinese riceve un’ambasciata birmana con in omaggio “giocolieri e acrobati yavana”, ovvero dal mondo greco! Essi si esibirono nel giorno di capodanno del 121. Erano capaci di «fare giochi di prestigio, sputare fuoco, legarsi gli arti e scioglierli senza alcun aiuto, scambiare fra loro le teste di buoi e cavalli, e far volteggiare in aria fino a mille sfere» [SAVARESE]. C’è di più: giocolieri e prestigiatori occidentali sono ricordati in quasi tutte le cronache cinesi dal I sec. a.C. al 1400 [HIRT, NEEDHAM]. Prima di tali scambi, gli spettacoli della stessa dinastia Han erano definiti ”monotoni e stereotipati”. Il risultato prova una realtà diversa dal luogo comune delle origini cinesi del circo. Le tecniche circensi provengono dunque sì in gran parte dall’Estremo Oriente, ma attraverso precedenti migrazioni che partono fin quasi da casa nostra. È chiaro che in oriente tali tradizioni artistiche non erano assenti: «Di fatto, l’arrivo in Cina dei giocolieri occidentali può essere considerato non una vera influenza ma un apporto allo sviluppo di arti e tecniche molto diffuse» [QUI FENG]. Va ricordato che in Cina si registrano afflussi di artisti anche da Giappone e Mongolia; nel X sec. sono databili presenze mature di spettacoli circensi in Vietnam; e molti studi vedono la Corea come fonte regolare del rinnovamento di alcune arti circensi. In sostanza, la nostra credenza per cui la Cina sia la culla di molti spettacoli circensi, va ridimensionata; fu piuttosto come l’Europa nell’800, la Russia nel ’900 e il Canada dopo il 2000: uno straordinario centro di elaborazione, crocevia fra diversi artisti di talento affluenti in Cina da tradizioni di Estremo e Medio oriente. Nel 350 d.C. si registra un grande afflusso in Cina di artisti dall’area indiana, nucleo di origine fondamentale per il circo. Più di un’opera della letteratura sanscrita attorno al V sec. loda prestigiatori provenienti dallo Sri Lanka. Si ricordi che, da Marco Polo ai missionari del ’600, è in India che si registrano gli artisti più prodigiosi. Comunque, dalla maggior parte delle fonti, il Bengala sembra la culla dell’arte circense indiana. Un grande imperatore, il quarto Moghul Jahangir (1605-1627), racconta nelle proprie memorie: «Al tempo di cui sto parlando, nella provincia del Bengala si potevano trovare artisti di destrezza manuale, o giocolieri, Bauzigurs, di tale abilità senza rivali nella loro arte che la loro destrezza non è senza merito per godere di un posto in questo memoriale»3. E procede elencando impeccabilmente nei dettagli ben ventotto tra i numeri classici cui siamo abituati oggi. I bauzigur, i maghi e saltimbanchi bengalesi, appaiono in molte delle cronache orientali ed occidentali delle feste di corte Moghul. Già 4000 anni fa le infime caste nomadi sopravvivevano mischiando pratiche come contorsionismo, magia, fachirismo, giocoleria, uniti a guarigioni miracolose e commercio di amuleti.

In un mosaico a Gafsa (Tunisia), uno dei primi anfiteatri (Musée du Bardo, Tunisi)

1.4 Giocolieri e domatori nel mondo antico Ad Oriente, in Occidente e nell’America precolombiana, le discipline del circo nel mondo antico si distaccano dall’origine sciamanica per consolidarsi in un calendario di avvenimenti, sacri o profani, in cui festa e divertimento coinvolgono tre categorie di artisti: 1) atleti e acrobati (schiavi o liberi) legati alla società fissa e alle corti, le quali spesso si occupano della loro preparazione; 2) virtuosi del mondo militare; 3) artisti girovaghi occasionalmente integrati nelle celebrazioni. Giochi e divertimenti dall’Egitto al Messico, dalla Siria all’India e poi dalla Grecia a Roma compongono un universo in cui si ritrovano le origini degli sport moderni, della fiera, dell’acrobazia, della danza, del dramma, degli strumenti musicali, del clown e della satira, delle arti equestri o marziali, del combattimento gladiatorio, dell’addestramento di bestie feroci, del collezionismo di animali esotici vivi, dell’esibizione di fenomeni umani o pseudo-scientifici e soprannaturali, del legame tra guarigione, magia e spettacolo.

59

60

I primi anfiteatri di cui si ha notizia appaiono a Creta dal 2400 a.C.; a parte esibizioni chiaramente acrobatiche a cavallo o su tori, la loro destinazione è soprattutto di tipo agonistico con vari tipi di lotta o gara. Così come il primo ippodromo documentato, quello di El Akathet in Egitto (1500 a.C.) è destinato alle corse di carri. Lo spazio della festa circense è piuttosto quello delle aree antistanti i templi, dei banchetti privati o dei grandi cortei pubblici. Quest’ultima diffusissima forma, che anticipa chiaramente la parata circense, è la più chiara traccia di come il rituale della sfilata sposti i propri simboli dal sacro al profano: con stendardi, su carri o portantine, vestali e fanciulli a simulacro di divinità si alternano ad animali meravigliosi, a buffoni, musici e acrobati o anche funamboli (che esistono già nel Mediterraneo dal 1345 a.C.) celebrando con il proprio corpo le stagioni o gli eventi mitici. Dal 600 a.C. sulle mura maestose di Persepoli sono immortalati leoni al guinzaglio. L’apice della sfilata-spettacolo celebrativa è forse raggiunto nel tardo Egitto alessandrino (323-30 a.C.), quando Tolomeo (che aveva raccolto un imponente zoo sguinzagliando cacciatori dall’Etiopia all’Arabia) promuoveva in onore di Dioniso parate interminabili di sontuosi carri con gabbie di belve trainati da elefanti e cammelli, con migliaia di figuranti in costume: un immaginario (non affatto dissimile da quello tardo-ottocentesco alla Barnum) da cui avrà origine la tradizione romana della pompa che aprirà ogni evento dei circenses. Ma già da prima il desiderio per l’appagamento dello sguardo è sempre più definito: in un affresco egizio di almeno un millennio prima, una contorsionista mostra già la cura per costume, acconciatura, trucco. È sempre l’Egitto, come gli Assiri, a sviluppare una vera e propria estetica del giardino zoologico, come testimonia la prodigiosa collezione privata della regina Hatsepsut. Ad Atene sono i monaci mendicanti iniziati al culto di Cibele, a diffondere l’idea di artista “di strada”, unendo animali sapienti, giochi di destrezza e lettura della sorte. È già dal 1345 a.C. che in occasione delle Askolias, la festa in onore di Bacco, i Greci eseguono giochi acrobatici sulle corde (già diffusi in Egitto dalla Cizia, in Asia Minore): neurobati o schenobati, a seconda che fossero equilibristi o arrampicatori. È col nome di cubisti che Omero ricorda danzatori-saltatori tra le spade, un numero che si ritroverà in estremo Oriente e tra i giullari del Medioevo. Recenti scoperte rivelano numerosissime tracce delle discipline circensi in manufatti della Magna Grecia, dalla Campania alla Sicilia; Sibari era celebre per la capacità di far danzare i cavalli al suono del flauto. Secondo Platone, Zenone (400 a.C., circa) testimonia di vari numeri eseguiti al banchetto del ricco ateniese Kallias. Nel IV sec. Isocrate ricorda il talento di personaggi in grado di rendere docili orsi o leoni, e da Atene ed Egitto provenivano i mansuetarii che addestreranno gli animali feroci a Roma. Al 600 a.C. risal-

gono statuette precolombiane di contorsionisti trovate in Messico. Gli etruschi, come evidente da affreschi tombali del V sec. a Tarquinia, portano giocoleria e contorsionismo sulle coste italiche dove poco dopo, nel 600 a.C. Tarquinio darà vita all’enorme circo Massimo. Circus, contrariamente all’idea comune, non indica un luogo circolare, ma ciò “attorno a cui si gira” all’interno del lungo e stretto ippodromo ovale attorno a cui avevano luogo i circenses, e cioè le corse dei carri, lo sport già fissato da egizi e greci. Cosa diversa, e più tarda, furono gli anfiteatri o arene, più stretti ma pur sempre ovali: questi veri e propri edifici, di cui si hanno le prime tracce in Campania e nel Sannio. Quello di Pompei, forse il più antico (circa 70 a.C.) nasce in legno. Sono notoriamente destinati ad altri divertimenti: cruente simulazioni belliche o combattimenti, per un numero ormai enorme di spettatori: l’asse dell’Anfiteatro Flavio (il Colosseo, 80 d.C.), capace di circa sessantamila spettatori, è di centottantotto per centocinquantasei metri. Circhi e anfiteatri romani, che si moltiplicano numerosi (fino a dodici nella sola Roma, poi in Europa e in Asia minore) sono interessanti rispetto al circo moderno non solo per la ragione etimologica, ma anche per il corollario rituale e spettacolare che accompagnava le gare: come le pompae di apertura, che avevano momenti di virtuosismo; le acrobatiche “saltazioni pirriche” o vari balli marziali; l’impiego comico di satiri; le esibizioni dei desultores, numeri di salti acrobatici da un cavallo all’altro, padri del moderno volteggio circense. I circenses erano spesso offerti per propaganda politica. Gli anfiteatri ospitavano almeno quattro tipi di cruenti spettacoli, spesso raccolti in una giornata, in occasioni festive: dal 264 a.C. le lotte tra gladiatori (anche con animali), le venationes (simulazioni di battute di caccia), le naumachie (battaglie navali) e le tauromachie, questa l’unica forma che ancora sopravvive (in Francia, penisola iberica e Messico), e infine il massacro dei cristiani. I giochi nell’arena durano a Roma per circa otto secoli, fino a dopo il 5004. La presenza di animali, ampia e documentata, era arricchita da esibizioni di addestramento, come quella degli elefanti funamboli (ricordati sia da Plinio che da Svetonio) o dei mansuetarii che facevano saltare pantere attraverso cerchi infuocati;

Rilievo marmoreo con scena circense di venatores, I sec. a.C. Coll. Torlonia, Roma

61

62

come nel circo, anche nell’anfiteatro erano spesso inclusi i numeri equestri dei desultores. Inoltre molti giochi erano introdotti da combattimenti comici di satiri, o scanditi da intermezzi affidati a pilarii (giocolieri), acrobati a terra o su pertiche, petauristae (forse antenati dei saltatori al trampolino), grallatores (acrobati-danzatori sui trampoli), equilibristi sulla fune per i quali Marc’Aurelio impose la rete di sicurezza dopo la morte di un fanciullo [STREHLY]. Queste e moltissime altre discipline circensi fiorivano poi attorno alle arene, vere e proprie fiere spontanee con decine di migliaia di persone. Qui i circulatores erano gli artisti girovaghi che addestravano piccoli animali, suonavano e compivano acrobazie. Bisogna ricordare che attorno a questi luoghi fiorivano in enorme misura gli intrattenimenti più disparati ai limiti della legalità. In Grecia agyritae indicava indistintamente giocolieri e veggenti ambulanti. Del resto «per i popoli dell’antichità e del Medioevo non c’era grande differenza tra giocolieri, alchimisti, progettisti meccanici, medici, astrologi e chiunque si occupasse di magia e negromanzia» [NEEDHAM]. Dinanzi a più d’un teatro greco, vi erano monumenti a famosi prestigiatori a fianco a quelli dei grandi drammaturghi. Come si è già detto acrobati, danzatrici, prostitute e giocatori d’azzardo arrivavano regolarmente dal Medio Oriente, e spesso sotto l’egida degli stessi impresari di spettacolo delle arene. È un po’ come nell’America della depressione quando i grandi circhi a tre piste degli anni ’30 si portavano al seguito i side-shows, popolati da spacciatori di fenomeni e illusioni. Il Liber Spectaculorum di Marziale scritto per l’inaugurazione del Colosseo è solo il più noto degli innumerevoli riferimenti letterari ai numeri circensi nel mondo romano5, tra i quali Petronio nella famosa Cena di Trimalcione ricorda la tradizione di acrobati nei banchetti6. Da non dimenticare la funzione a Roma del teatro che, oltre a sviluppare l’architettura di spettacolo, per un certo periodo (100 a.C.-100 d.C.) vede scendere la popolarità del dramma a favore di mimo e pantomimo. Come già visto nel caso degli acrobati, anche questo tipo di artisti proveniva soprattutto dalla Siria, e il loro repertorio poteva avere una non indifferente componente acrobatica, più vicina al moderno teatro-danza e al nostro “circo contemporaneo” piuttosto che al mimo moderno: uno dei generi, la chironomia, era una danza gestuale assimilabile più al Kathakali indiano che a Pierrot. Oltre che dalla Siria, mimi, domatori e giocolieri affluivano a Roma da India, Egitto, Grecia e, più tardi e in misura minore, anche dalla Cina. In Cina si assiste ad un’importante trasformazione sociopolitica, quando con l’avvento della brevissima dinastia Quin (221-207 a.C.) vi è una prima centralizzazione dello stato. La Cina (come anche l’India) non ha mai avuto nell’antichità grandi forme di aggregazione sociale come gli sterminati teatri, circhi ed ippodromi di Atene, Roma, Antiochia e Bisanzio. Le arti acro-

batiche, pur continuando ad essere parte della “Battaglia dei Corni” si distinguono maggiormente in discipline specifiche. I Quin per primi portano questi spettacoli a corte. Con la successiva dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), iniziano a notarsi distinzioni stilistiche tra gli spettacoli di corte, più cerimoniosi e monotoni (e accompagnati da musici sovvenzionati) e quelli che vengono dal popolo, che per la loro ricchezza e vivacità sono chiamati “i cento divertimenti”. Essi comprendevano giochi, sport, musica, arti marziali ma anche parecchie discipline acrobatiche. La ricca classe dominante del periodo Han porta questi “cento giochi” dalla strada nelle case, diffondendo la moda dei banchetti-spettacolo (già in voga in Grecia e a Roma) in cui si riconoscono giocoleria, contorsionismo, verticali, equilibri su pertiche, prestidigitazione, piatti rotanti, piramidi umane, animali ammaestrati, danze con spade, mascherate animali e parecchi musicisti7. Abbigliamento, stile e accessori rivelano già una coscienza artistica che supera la mera esibizione. Secondo un registro Han, verso il 108 a.C. (mentre a Roma culmina da secoli il circo e ad Atene si celebra la 268a Olimpiade), l’imperatore Wu Di inizia gradualmente ad abbandonare la forma della “Battaglia dei Corni” per adottare banchetti con i “cento giochi”, che diventano uno strumento di intrattenimento diplomatico e una forma di dono per oltre due secoli. Tali avvenimenti sono dovuti anche alla progressiva invasione dell’Asia da parte della Cina, che crea un afflusso notevole di talenti artistici.

63

2. LA

PIAZZA UNIVERSALE

2.1 Prima del medioevo Col trasferimento dell’Impero Romano, nell’arena di Costantinopoli continuano le corse circensi: nel V sec. in uno sterminato stadio capace di ottantamila posti alle gare si alternavano numeri sulla fune, equilibristi con le pertiche, mimi [SAVARESE]. Nei Saturnali d’Autunno, mascherate e balli contribuivano al gusto bizantino per lo spettacolo. L’imperatrice Teodora, che nel 509 favorì un grande flusso di acrobati dall’Asia centrale, era figlia di addestratori d’orsi e anch’essa acrobata. Presto però è la fine della centralità mediterranea: da una parte le invasioni barbariche che nel V e VI sec. attanagliano l’Europa, dall’altra l’espansione dell’Islam nel Mediterraneo dal VII sec., l’Impero d’Oriente muta dopo la caduta di Bisanzio nelle mani turche (sebbene i sultani continuino volentieri ad amare i divertimenti acrobatici). Ma prima di allora, la letteratura patristica cristiana testimonia di un’importante azione moralizzatrice dei vescovi verso lo spettacolo, che introduce l’oscurantismo medioevale: gli scritti di Tertulliano, Agostino e del patriarca Crisostomo si accompagnano a scomuniche e fughe di attori e acrobati1. Queste migrazioni si affiancano ad un costante scambio di contatti lungo le grandi vie tra Europa barbara, Asia musulmana ed estremo oriente, dove il panorama è molto vivace. È infatti nel VI secolo che il buddismo si diffonde realmente in Cina, mentre negli stessi anni l’India con Sakuntala conosce gli inizi del dramma sanscrito. In Cina, dopo la dinastia Han, (che abbiamo conosciuto per i “cento giochi”), seguono i cinque secoli caotici e bellicosi dei “Tre Regni” (220-581), che rendono ambulanti parecchi artisti i quali, attraversando più regioni e culture, arricchiscono il loro repertorio: particolare sviluppo hanno gli equilibri con pertiche, l’acrobazia equestre e nelle feste esplode l’illusionismo2. Sono gli anni in cui magia e acrobazia sono usati per la diffusione del buddismo, che fa nascere templi, monasteri e relative feste. In seguito, con la dinastia Sui (581618) nel 607 il vanitoso imperatore Yang Di erige una “tenda gigante” per intrattenere “il Khan dei Turchi” con un vero e proprio circo, il cui successo stimola l’interesse dei sovrani per il moltiplicarsi di sontuose feste e di artisti: registri professionali ne contano decine di migliaia. Davanti al palazzo reale di Luoyang è eretto un apposito teatro all’aperto. Tale atteggiamento di tutela governativa, assente nel Medioevo occidentale, crea le basi per la riforma artistica della dinastia Tang (618-907), che oltre a coniugare il gusto per le arti con le missioni diplomatiche nel mondo, grazie all’imperatore Xuan Zong nella prima metà del VIII sec. dà vita al “Giardino dei Peri”. Era questa una rete di

Part. di un’incisione tratta dalla tela Les Charlatans di K. Dujardin (acquaforte, sec XVII, coll. dell’autore)

65

istituti di formazione e tutela, forse la prima manifestazione nella storia dell’uomo in cui un governo interveniva in favore degli artisti: le arti si scindono in varie discipline, ed è in questi anni che nasce il teatro drammatico cinese. Musica e spettacoli sono divisi in due categorie: quelli con pochi artisti al chiuso e quelli con grandi troupes all’aperto. In questi anni prende una forma definitiva il numero forse più emblematico del circo cinese: la danza acrobatica dei “leoni”, e si diffonde quella scienza delle “piramidi umane” che nel’900 gli acrobati cinesi realizzeranno su biciclette. Sono sempre i Tang a coniare una parola cinese col significato di “acrobazia”. Tecniche circensi approdano da Corea, Giappone, India. Eruditi, militari, contadini sono i tre tipi sociali degli acrobati e appaiono numeri con animali (come cavalli danzanti, elefanti sapienti o un esercito di mille galli addestrati3).

66

2.2 Medioevo tra Oriente e Occidente I primi mille anni dell’Era cristiana per lo spettacolo rappresentano una transizione in Oriente come in Occidente. In questo periodo le feste religiose acquistano gradualmente un carattere profano e spettacolare. Le piazze di chiese cristiane e templi buddisti diventano spesso scene, seppur all’ombra della motivazione sacra, e i divertimenti assumono una dimensione popolare e partecipata: è di questo periodo la genesi europea del Carnevale. Feste e processioni sono le forme più frequenti, e da queste prenderanno vita le principali forme teatrali eurasiatiche. In Cina la dinastia Song (960-1271) fa corrispondere allo sviluppo dell’economia feudale una ancor più capillare organizzazione delle attività acrobatiche; alcune sovvenzionate dal governo, anche all’interno dell’esercito: una tradizione, questa, ancora presente in Cina. Sotto i Song c’erano ormai oltre centoventi tipi di numeri circensi. Per la prima volta in Cina appaiono luoghi di spettacolo veri e propri, e destinati a tutti, e anche compagnie che costruiscono teatri ambulanti nei villaggi. Le cosiddette “arene chiuse” (spazi circondati da teli) presenti in molte città sono il primo spazio scenico destinato a numeri di circo, dove il pubblico pagava con offerte libere. All’interno si trovavano varie “scene di balaustra”, dette così perché circondate da balaustre scolpite. L’arena chiusa della capitale Bianjing conteneva tredici scene con numeri in contemporanea, e la città di Lin’an contava ventirè arene. Inoltre i compleanni imperiali, i capodanni e l’enorme “festa delle lanterne” erano altre occasioni pubbliche di spettacolo. Con l’unificazione mongola della dinastia Yuan (1271-1368), il controllo sul popolo è maggiore, e l’acrobazia conosce un declino. Solo sporadicamente sono autorizzati spettacoli di varietà: ed è ad uno di questi, un banchetto del Kublai Khan, che assiste Marco Polo, con i numeri ereditati dai Song.

In Occidente, dall’XI sec. l’apertura dei mercati, le crociate, i pellegrinaggi, portano un’idea fantastica del mondo orientale, e in genere di quel “medioevo fantastico” fatto di personaggi, costumi, fenomeni, animali veri o inventati, comunque corpus di un immaginario che sarà fondamentale per nutrire saltimbanchi e mostratori per secoli. La passione dei sovrani per gli animali rari perpetra il gusto per gli zoo e il collezionismo di specie pregiate, dall’Inghilterra di Enrico I all’Italia di Federico II. I regnanti non restano indifferenti agli acrobati, spesso impiegati in feste e cerimonie: Carlo Magno (come già Alessandro in Grecia) aggrega agli eserciti giocolieri e prestigiatori per il conforto delle truppe. È poi ormai ampiamente studiato il fenomeno artistico della giulleria, che nel Medioevo mantiene labili i confini tra virtuosismo circense, poesia, musica. Tuttavia una maggiore analisi della parola “giullare” potrebbe rivelarci parecchie cose. Il termine deriva infatti in qualche modo dal romano ioculator (da jocus, divertimento), che designava il prestigiatore o il giocoliere (o, come noterà il Garzoni, il giocatore d’azzardo4), termine destinato a trasformarsi nel medievale iocular, provenzale jongleur o jougler (più tardi in inglese joker) che in italiano diventa giullare, a indicare indistintamente il giocoliere, il mago, il cantante, il poeta. La Francia li chiama anche trobadour o tregetour indicando soprattutto il cantastorie: e tregetour nell’Inghilterra del’300, ad esempio in Chaucer, è usato in alternanza con prestigiator (ancora dal latino: Acrobati cinesi sotto la operatore di inganno, incanto). Dunque ancora si confondono virtuosismo dinastia Yuan, 1260-1360 spettacolare, abilità poetiche, pratiche occulte [v.spec. BUTTERWORTH]. (dal dipinto Regata di Paotsin, Questo mondo artistico ancora confuso e solo occasionalmente legittiNational Palace Museum, mato, si muove sull’oscuro confine tra la precarietà delle occasioni di corte e Taiwan) lo sterminato universo di villaggi e sentieri, come testimonia anche il Muratori5. Dal X al XV sec., la transizione culturale verso il nascere della comunità nomade dello spettacolo, è un’articolatissima corte dei miracoli a metà tra il virtuosismo spettacolare e l’arte dell’inganno, che si organizza in Cina come in India e in Europa. 2.3 “La famille du Diable”: il circo dei mendicanti. Wu Quiao, nello He Bei, è un villaggio cinese di agricoltori considerato la culla mondiale delle arti circensi da tre millenni. In ricordo di ciò a Seijizuang, capitale della provincia a circa cento chilometri, ogni due anni

67

I contadini acrobati del villaggio di Wu Quiao (He Bei, Cina), considerato la culla millenaria dell’acrobazia. Foto L. Chevallier, coll. D. Mauclair

68

vi si svolge un festival mondiale con due sezioni, circo e magia, in un circo stabile iper-tecnologico. Ma in quei giorni nel villaggio di Wu Quiao, fatto ancora di poverissime case di fango di agricoltori, in un enorme terreno sabbioso confluiscono prestigiatori, mostratori di rudimentali teatrini ottici o di marionette, acrobati su pertiche, chiromanti, pranoterapeuti, fachiri o addestratori di topi e gatti, in genere artisti vecchissimi. A Wu Quiao, dove si possono vedere bambini di sei anni imparare i salti mortali nelle palestre o giochi di prestigio sui banchi di scuola, i vecchi narrano ancora una leggenda di tempi remotissimi. L’Imperatore Giallo (2550 a.C.), per chiedere aiuto ad altre tribù durante la guerra contro i barbari Chi-You, invia un messaggero: che però si perde in una bufera. Questi, per non tornare dall’imperatore in collera, vaga per il mondo. Per sopravvivere, sfrutta le sue conoscenze praticando giochi di virtuosismo sulle piazze dei villaggi. Nel frattempo l’imperatore invia un secondo, un terzo, e poi un quarto ambasciatore ai quali spetterà la stessa sorte: dando così i natali alle arti acrobatiche e di strada6. Un’altra leggenda viene dal medio Oriente ed è attribuita al poeta persiano Firdusi (420 a.C.). Racconta che il principe Behram-Gur era malato per mancanza di divertimenti. Invia ambasciatori al re di Cambogia e al Maharajah dell’India: essi portano in Persia dodicimila intrattenitori ai quali il principe assegna terre e regala grano. Ma nel giro di un anno questi istrioni avevano mangiato tutto il grano e trascurato l’agricoltura. Il principe li caccia, con i loro asini e la loro roba, e da allora si procurano da mangiare per il mondo con la loro arte [SAVARESE]. Entrambe le leggende sembrano evidenziare fin da tempi remoti il nomadismo ma anche la diffidenza verso gli artisti dello spettacolo. Anche l’atteggiamento del potere, religioso o politico, si alterna nei secoli tra attenzione e disprezzo. A Bisanzio i saltimbanchi sono adorati dagli imperatori e poi additati dai vescovi; nel medioevo cinese l’alternarsi delle dinastie cambia la condizione dell’acrobata: dopo l’epoca di organizzazione e riconoscimento, gli arti-

sti sono ripudiati e disprezzati con l’ascesa dei Ming (1360), e lo stesso avverrà dal 1860, dopo la guerra dell’Oppio, fino al comunismo. Gli artisti cinesi tornano spesso dalle corti nelle piazze con problemi di sopravvivenza e con pratiche di commistione tra arte e ciarlataneria, comuni tra Oriente e Occidente. In Francia, nel 1043, Enrico III pur dopo essersi divertito scaccia una compagnia di saltimbanchi senza corrispondere la paga promessa. Leggi, decreti, saggistica morale, rime di derisione sono le sole fonti letterarie per ricostruire, tra Medioevo e Rinascimento, le origini della comunità artistica da cui sorgerà il circo nell’era moderna. La società repressiva del Medioevo stimola reazioni in forme di divertimento che, seppur col pretesto festivo religioso, sono basate sul diverso, sullo strano, l’esotico, il sovvertimento dell’ordine fisico e morale, il soprannaturale, la superstizione con cui bilanciare la cieca fede imposta dal clero: il carnevale, la fête des fous, le fiere, o la nascita del mistero teatrale nel XII sec. Ma un altro è il fenomeno più esteso e meno studiato. Nel Medioevo europeo, come già in tutte le società urbane mature (dalla Cina, al Medio Oriente, ad Atene, a Roma) l’arte dell’inganno si era legata alla figura del mendicante: «Confusi ad arte con poveri autentici, cerretani e ciarlatani fingono piaghe miserevoli con trucchi opportuni» [TESSARI] ma con una precisa coscienza teatrale, come ha sottolineato Camporesi: «Tra le tecniche usate dai cerretani [...] si annoverano tanto maquillages di astuzia teatrale quanto invenzioni truffaldine complesse al punto di rasentare la vera e propria scena comica» [CAMPORESI]. L’epoca si presta alle aberrazioni pagane del culto dei santi, dando vita (come del resto in India) a falsi frati e santoni, rituali inventati tra sacro e profano, con precise confraternite e caste. L’espressione cerretano è presente dal primissimo Trecento. Lo storico Flavio Biondo, è la prima fonte per l’origine della parola, intesa come oriundo di Cerreto, villaggio umbro da dove essi «vanno quasi per tutta Europa mendicando e ingannando l’altre genti» 7 (etimologia altrimenti attribuita ai boschi di cerri, oppure al culto pagano di Cerere). Quella dei cerretani era una delle comunità di santoni-mendicanti generati dall’Umbria francescana, e vi si attribuivano ben trentotto sottogeneri di attività fraudolente. (una di queste categorie i guitti, sarà destinata ad un’accezione teatrale e circense8). Contorsionismo, fachirismo, prestidigidazione, esibizione di animali prendono la forma di un corpus al servizio della richiesta di elemosina o all’offerta di reliquie e incantesimi da parte di falsi tarantolati e storpi, sfruttando la predisposizione del cristiano alla carità come la superstizione. Ai cerretani era riconosciuta la dimestichezza con i rettili velenosi. Tale strana comunità è alla genesi di quella circense occidentale più degli zingari, che non si diffondono fino al Rinascimento. Circumforaneus e circumvagante sono termini medievali dal romano circulator. Questo sterminato circo dei mendicanti, oltre a trasportare verso l’età moderna le tecniche dello spetta-

69

colo e della meraviglia (dettagliatissime nelle loro specialità), sviluppa tecniche di economia, linguaggio, e gergo poi ereditate dai circensi; un senso gerarchico e corporativo para-monacale che si dipana tra Francia, Spagna, Germania, Italia, anche come canale di protezione da pene e scomuniche9. Inoltre il fenomeno è importante per la definizione delle forme di nomadismo della comunità artistica, in un momento in cui la stessa società medievale aveva un carattere di mobilità che persino Le Goff trova «estrema, sconcertante»10. Gli artisti dell’elemosina amplificano e sfruttano nel pubblico la sete di prodigi, di orrido e meraviglioso; trasporteranno nel circo moderno la loro precarietà, l’effimero, il senso di sorte, astuzia, fame, gioco, magia, carnevale, travestimento.

70

2.4 Ciarlatani, saltimbanchi, e l’arrivo dei gitani Nel Cinquecento nuove leggi, i cambiamenti sociali del neo-feudalesimo e quelli religiosi seguiti al Concilio di Trento, stabilizzano la società: la comunità dell’elemosina si trasforma gradualmente in quella della fiera. Il Garzoni nel 1584 include ormai “Cerretani e Ciurmatori” non più tra i mendicanti ma tra i “Formatori di spettacoli in genere”, e li dipinge sì «ingannando e gentil uomini e villani con questa maestria così maliziosa» ma anche «dando piacere con le bagatelle et frascherie»11. È dal XVI sec. che, il termine cerretano unendosi col termine ciarlare, designa l’arte degli artisti-venditori ambulanti12. Il virtuosismo dell’inganno fisico si confonde con quello verbale: è tra Quattro e Cinquecento che fachiri e acrobati del miracolo si completano con la vendita di prodotti miracolosi in veri e propri “numeri”, su un palco o in cerchio. Una straordinaria descrizione dell’epoca, sempre del Garzoni ci rivela come la dimostrazione di unguenti, polveri e bevande necessiti di ulteriori tecniche di illusionismo o contorsionismo per dimostrarne l’effetto13. Designano la nuova categoria termini come ciurmadori, giocolieri, bagatellieri. Ma soprattutto la professione appare distinta come “salir in banco”, e si designa come un preciso mestiere il “cerretano di banco” o il “sali in banco”14: donde “saltimbanco” e i numerosi suoi sinonimi 15. Banco designava indistintamente la banca per il prestito, il banco per la vendita e quello per le esibizioni: e gli operatori di tali attività erano spesso indistinti. Il legame tra spettacolo e commercio prende una forma e «l’arte dei cerretani si trasforma da espediente organizzato in piccola industria della persuasione pubblicitaria finalizzata al commercio delle illusioni» [TESSARI]. I saltimbanchi ereditano dai mendicanti gli aspetti corporativi che, secondo le abbondanti testimonianze, servono da autoprotezione, canali informativi, organizzazione dei giri attraverso luoghi di commercio che preludono al concetto di tournèe. Forme primitive di corporazioni nomadi di saltimbanchi sono presenti un po’ in tutte le culture agricole e commerciali;

nella Russia dei primi secoli skoromohki (da cui “scaramacai”) indica indistintamente chiromanti e giocolieri di strada, già ben organizzati in gruppi. L’aspetto corporativo è una caratteristica anche degli artisti orientali, dove il passaggio da arte del mendicare ad arte dello spettacolo/vendita è ancor più evidente, accentuato dalla divisione socioreligiosa in caste. In India gli artisti di strada si sono sempre distinti in due categorie: fakir (asceta) e jadoo- walla (prestigiatore/giocoliere nel senso più tradizionale). Il termine fakir indica in origine “mendicante”. Una delle prime caste di giocolieri nomadi indiani era quella dei Madari (un misto di cultura musulmana e induista), che si spostavano secondo le stagioni. Ancora oggi in India due sono le caste riconosciute del teatro di strada: i Maslets, che si riconoscono come esecutori di una prestazione artistica, spesso con permessi pubblici regolari, il cui profitto deriva dalla più o meno tollerata vendita di amuleti, e gli Jaduas, che invece collegano l’uso dei numeri di destrezza all’attività criminale [SIEGEL]. In India ancora ai nostri giorni il prestigiatore e il giocoliere di strada rivendicano una superiorità su musicisti, maghi ambulanti o mostratori d’orsi che chiedono l’elemosina col piattino, rispetto alla propria attività il cui introito viene invece dalla vendita di piccoli amuleti dopo lo spettacolo. In India questa forma medievale dello spettacolo mendicante sembra essersi fermata per secoli: in un epoca relativamente vicina a noi, al principio del XIX secolo, un missionario raccontava di ritorno dall’India: «Tra gli esseri degradati che formano l’abisso della società in India devono essere classificati i giocolieri, ciarlatani, montimbanchi, prestigiatori, acrobati, ballerini sulla fune etc: essi sono di due o tre caste che praticano queste professioni, viaggiando da paese in paese per trovare spettatori o gonzi. Non è sorprendente, in un popolo così credulone e amante del meraviglioso come gli Indù, che tali impostori abbondino. Essi sono visti come maghi e stregoni, come uomini votati alla stregoneria e tutte le scienze occulte, guardati con paura e diffidenza»16. Un altro viaggiatore, Pelsaert, ne nota lo stile di vita, ricordando che «essi vivono promiscui come i nostri gitani»17. Nel’400 l’arrivo degli zingari in Europa costituisce uno degli apporti storici basilari per la nascita culturale del circo moderno. Queste tribù nomadi, deriverebbero in parte da sette bizantine (a loro volta di origine egizia) di

Artisti girovaghi indiani in una stampa popolare inglese del XIX sec. Coll. dell’autore

71

maghi/mostratori di bestie (designati all’epoca dal greco athìnkanos, donde forse zingaro), in parte da una complessa migrazione di tribù iniziata nell’XI secolo dal subcontinente indiano, come è evidente dai tratti somatici. Appaiono in Europa agli inizi del ’400, e sono da allora destinati ad essere confusi con il mondo dei mendicanti (secondo la costante diffidenza verso il diverso e l’esotico), formando comunità in Europa Germania, Spagna, Gran Bretagna, e Italia, ove si diffondono specialmente presso Bologna18. Le cronache li designano come cingani, cingari, indiani, egyptians (donde gipsy) oppure bohemiens (dal legame con Sigismondo di Boemia nel XV sec.). Tre sono le grandi tribù: rom (dal sanscrito dom, nomade) meno legati allo spettacolo; gitani (da tchinganie, comunità di artigiani diffusa dal 300 d.C. nelle isole greco-slave), stabilitisi in Spagna e noti per musica e arte equestre; sinti (da Sind, Pakistan occidentale), quelli che unendosi ai saltimbanchi rinascimentali o alla borghesia stabile hanno generato molte famiglie moderne dello spettacolo viaggiante. Il loro vagare si inserisce presto nella nascente comunità nomade dello spettacolo europeo, apportandovi le loro specialità: animali ammaestrati, musica, marionette, ombre, lettura della fortuna. La cattura e l’addestramento di orsi diventa una loro diffusissima, caratteristica, dando vita alle comunità specifiche degli ursari o orsanti, in Italia esistenti fino al secolo scorso.

72

2.5 “Ogni ciarlatano in commediante”: nascita di una professione «Composto un palco vi salgono a fare prima il ciarlatano e poi il commediante e […] lo spacciatore del secreto s’introduce alla lode grande et incomparabile del suo meraviglioso medicamento e serrate le scatole e levati i bauli, il banco si cangia in scena, ogni ciarlatano in commediante»19. Episodi simili a questo del 1652, già dal Quattrocento rappresentavano la progressiva mutazione dal commercio allo spettacolo, un passaggio che alla fine del Rinascimento confluirà nel fenomeno del teatro di fiera. Dal mendicante, attraverso il commerciante si è ormai giunti all’artista di professione. Il saltimbanco, o banquiste, indica ormai un mestiere. Il numero circense o la scenetta teatrale si slegano dal commercio, e possono proporsi come forme indipendenti. Nel 1453 la Caduta di Costantinopoli aveva contribuito ad una migrazione di nuovi artisti verso Occidente. La centralità di Venezia arricchisce le tradizioni della fiera e del carnevale in cui meraviglie e brevi spettacoli anche a pagamento si possono ammirare nei casoti eretti nelle calli. Le cronache notano ormai due tipi di artisti: «Distinguo tutti i recitanti in due ordini: uno di coloro che si chiamano comunemente i commedianti, e questi fanno le loro azioni dentro […] sale o stanzoni assegnati. L’altro […] di quelli che si nominano i ciarlatani, e questi fanno i loro trattenimenti e giuochi nelle strade e nelle piazze […]; i ciarlatani diventano commedianti e si servono della commedia come di

Una tavola dal trattato Trois dialogues de l’exercice de sauter, et voltiger en l’air. Parigi, 1599

73

mezzo efficace per allettare al banco, donde fanno lo spaccio»20. È il momento di nascita di una vita artistica regolare e di vere e proprie troupes, sia di attori che di acrobati: il primo atto costitutivo di una compagnia teatrale “dell’Arte” è del 1545, nata dall’incrocio tra il commercio ciarlatanesco e la cultura degli umanisti; la più antica compagnia circense che si conosca, quella dei Chiarini, è registrata Parigi dal 1580, ma esistente da chissà quanto. L’artista è spesso erudito, sa scrivere canovacci o ha dimestichezza con le parole difficili per decantare col proprio ciarlare gli animali meravigliosi o i fenomeni che presenta. Seppur legittimati dalla società, gli artisti ne restano ai margini: del 1607 è un processo a tre saltimbanchi presso Bagnoregio (Lazio), in cui dalla vita dei protagonisti emerge la frequentazione con la prigione, la fuga continua, la fame, i viaggi, i permessi comunali e la clandestinità21. In parallelo alla nascita della commedia dell’Arte, in Inghilterra il teatro elisabettiano assorbe dal mondo popolare la figura popolare dello zotico saggio/stolto, e sorta di parallelo anglosassone dello zanni: al ruolo e al nome teatrale di fool (dai buffoni medioevali) si alterna quello di knave e gradualmente quello di clown22.

74

2.6 Acrobati e cavallerizzi a corte Come per la danza e il teatro, nelle corti europee si sviluppa una sorta di acrobazia “erudita”, lontana dalle precarietà della strada, e lo stesso avviene in Cina e India. Così come nelle corti nascono i giochi di società e di tavolo (alla base della moderna prestidigitazione), tra XVI e XVII sec. si sviluppano gli sport e i divertimenti ginnici. Due sono i primi trattati esistenti di acrobazia moderna: uno è un trattato sugli sport antichi scritto nel 1573 in Latino [MERCURIALE]; l’altro più specifico è nel 1599 di Arcangelo Tuccaro [TUCCARO]: uno dei tanti avventurieri legati al mondo dello spettacolo, che nel 1599 è saltarin du roy alla corte di Enrico IV. È in grado di scrivere in francese, e in una forma letteraria erudita e alla moda come il “dialogo”, un trattato di acrobazia che resta come il primo riferimento scritto delle tecniche circensi23. A Mantova e a Ferrara si diffonde il gusto per il meraviglioso, che va dalle wunderkammer, antesignane dei musei dei fenomeni, alla moda di nani o esseri mostruosi impiegati spesso per intere generazioni come buffoni alle corti estensi o dei Gonzaga. Gli Angiò continuano l’usanza degli zoo privati. Uno zoo nel 1519 è scoperto dagli spagnoli anche a Tenochitlàn, al palazzo di Montezuma, con gabbie riccamente intarsiate. Il ruolo delle corti rinascimentali europee è determinante anche per un’altra forma di genesi del circo moderno: il cavallo. Si è già detto del ruolo storico della classe militare, in ogni epoca e cultura, per la maturazione delle discipline equestri, nei fenomeni spesso sovrapposti di festa, conquista ed esercitazione o nell’uso equestre-spettacolare delle piazze fiorentine, romane

e parigine sul modello classico. La prima grande scuola equestre, (diretta J. Callot, Guerra di Bellezza antenata dell’equitazione circense “moderna” ottocentesca) è la cosiddetta a Firenze (incisione, 1616, coll. privata) «scuola napolitana», che fiorisce nel ’500 fondata da Cesare Fiaschi, e forma cavalieri leggendari come Pignatelli, De La Broue e Plouvinel, oltre a generare una sterminata trattatistica [cfr. TOOLE-STOTT]24. Gli «ingressi» in città di sovrani e le «prese di possesso» sono tra le prime definizioni di vere e proprie messe in scena spettacolari. Altra forma primordiale è quella medievale del torneo e poi del carosello. Verso la fine del ’500, queste spesso cruente manifestazioni assumono gradualmente forme più simboliche e teatrali, e finalità allegoriche di celebrazione in occasione di nozze o anniversari di sovrani. La struttura in lunghezza dei tornei sembra restare l’impianto scenico d’origine quando queste nuove forme emergono nel primo ’60025. Del resto, nell’urbanistica rinascimentale la piazza conservava un ruolo teatrale 75

Balletto equestre al Teatro Farnese di Parma, 1728 (Bibl. Palatina, Parma)

76

per le innumerevoli occasioni festive che fondono giochi, sport e spettacolo: la piazza può nascere da un circo stesso, come Piazza Navona, che continua per secoli a mantenere la vocazione festivo-spettacolare del Circo di Domiziano [VERDONE 1983]. Le gradinate del circo antico si adeguano alla teatralizzazione della piazza nelle metropoli europee. Qui in tutti i tipi di appuntamenti festivi di piazza è quasi sempre presente il cavallo, che accompagna la civiltà umana per la maggior parte della sua storia: esso definisce non poco lo spazio festivo e di spettacolo, prestandosi a caroselli, corse, palii, semplici sfilate, o al traino di carri allegorici, creando quasi naturalmente i presupposti della nascita del circo equestre come genere parateatrale. L’uso teatrale del cavallo, simulativo di quello militare, disegna spazi di spettacolo. Nel 1616 Jacques Callot, l’illustratore dei soldati e dei buffoni, ritrae a S.Croce a Firenze lo spettacolo equestre della Guerra di Bellezza nella piazza trasformata quasi in circo dall’architetto Giulio Parigi: un modello anche per le cerimonie alle Tuileries parigine. Nel 1618, lo stesso Parigi disegna al giardino di Boboli, presso Palazzo Pitti, il primo anfiteatro moderno all’aperto, incastrato nella collina del Belvedere: ventimila persone possono sedere su gradinate in pietra, volute da Cosimo II ispirato dall’anfiteatro classico. Sarà questo il modello di partenza per i circhi-ippodromi parigini ottocenteschi. E non a caso nello stesso anno l’Aleotti inizia il progetto del Teatro Farnese a Parma. Con l’avvento del Barocco il cavallo disegna spazi chiusi e specifici, speculari a quelli occasionali delle piazLe Grandi Scuderie ze: dalla Spanische Reiterschule di Vienna, creata nel 1572 in uno spazio di Versailles ristrutturate quadrato, a quella successiva delle Grandes Ecuries di Versailles con un nel 2001 come sede maneggio per balletti equestri (1680, riportata a tale uso nel 2002 dalla troudell’Académie du Spectacle pe di Zingaro) fino all’inaugurazione nel 1628 del Teatro Farnese di Parma: Equestre diretta dal con la sua combinazione tra l’arena equestre o acquatica (una cavea a U fondatore di Zingaro, identica a quella di Boboli) e la scena all’italiana, è tra i più decisi antenati Bartabas dei circhi moderni.

77

3. FORME

PRIMA DEL CIRCO

3.1 Shakespeare, funamboli e cani assassini Dal Rinascimento alla Restaurazione ci sono almeno due secoli di genesi di tutte le forme di spettacolo moderno. Ma sarà solo dalla Rivoluzione Francese che si può parlare di luoghi e generi per teatro, danza, opera, circo così come li intendiamo: forme codificate e svolte in luoghi specifici. Fino ad allora bisogna sforzarsi di immaginare un teatro non sempre definito, in cui in una stessa serata si combinavano divertimenti di ogni genere. I primi luoghi di spettacolo a pagamento abbinano confusamente gli acrobati e gli attori delle fiere ad una riscoperta dei divertimenti classici da arena, spesso cruenti, tramandati dall’antichità con i tornei medievali. È certo che la struttura del teatro elisabettiano evolve dalle due arene circolari, lungo il South Bank del Tamigi, dedicate l’una a combattimenti mortali tra cani e tori (The bull baiting), l’altra a quella tra cani ed orsi (The bear baiting), documentate dal 1560 e progenitrici del teatro elisabettiano. I loro gestori erano spesso imprenditori di spettacoli. I legami tra il mondo di acrobati e attori e quello dei combattimenti di animali o macellai sono più che casuali (nel ’700 Antonio Franconi, pioniere del circo in Francia, emergerà da questo mondo). Tra il 1576 e il 1614 nascono a Londra dieci teatri che, quadrati o circolari, presentano programmazioni miste [KERMODE]. Quando le compagnie elisabettiane edificano (a pochi passi dai siti delle arene da combattimento) il primo Blackfriars (1576) lo Swann (1587) e il Globe (1599), le lotte o i drammi vi si alternavano indistintamente a funamboli, contorsionisti delle fiere, scimmie a cavallo o a qualche virtuoso equestre, costituendo un divertimento continuo per ore. È interessante notare che a distanza di soli pochi metri dai siti d’origine di questi teatri, due secoli dopo nasceranno i primi circhi della storia. Molte sono le testimonianze nel Regno Unito di funamboli turchi o francesi, saltatori italiani e giocolieri di varia provenienza. Quando nel 1578 l’Arlecchino Tristano Martinelli giunge a Londra, nelle spese di corte figurano «un materasso, cerchi e tavoli con trespoli per acrobati italiani» [CHAMBERS]. Gli stessi drammi erano ricchissimi di acrobazie ed effetti di illusionismo [BUTTERWORTH]. La pianta elisabettiana non è del resto che un innesto tra il palco fieristico della Commedia all’italiana e l’arena classica [HODGES]. Questo tipo di teatro all’aperto polifunzionale si estende al continente: a Norimberga il Fechthaus (1628), è un cortile quadrato molto simile al Fortune londinese: gestito dalla corporazione dei macellai, le lotte tra animali vi si alternano a funamboli, spettacoli acrobatici o equestri, tea-

Part. da The Southwark Fair, di W. Hogarth (incisione, 1773, coll. dell’autore)

79

Le due arene per i tori e i cani lungo il South Bank del Tamigi, Londra, 1560 ca. (da una mappa di Londra del 1631)

80

tro. Probabilmente vi si esibì anche la troupe di Shakespeare. Norimberga è una città ricchissima di testimonianze di acrobati, e molti registri tedeschi dell’epoca menzionano famiglie di saltatori italiani [HALPERSON]. Nel 1657, in un abeccedario tedesco soggetti vari di istruzione includono (tra il seppellimento di morti e il gioco del tennis) due capitoli dedicati a spettacoli acrobatici e di fiera1. Nel libro c’è un’incisione che ritrae, in uno stesso luogo pre-teatrale, contorsionisti, acrobati, funamboli ed un prestigiatore. Nel “secolo d’oro” spagnolo i corrales erano allestiti per spettacoli e la gente pagava per entrare. Nel Seicento, se la Commedia dell’Arte cercava di legittimare il proprio teatro in luoghi specifici, anche gli artisti di circo provavano ormai l’urgenza inarrestabile di un proprio contesto alternativo alla fragilità e periodicità del sistema fieristico. Un esempio illuminante (e stranamente documentatissimo per l’epoca) è a Londra (1590-1620 ca.) quello del cavallo sapiente Morocco. È questi una vera celebrità del suo tempo (è citato anche da Shakespeare), il cui padrone Banks aveva creato una vera e propria arena recintata, tollerata dalle autorità: uno dei primissimi esempi al mondo di luogo circense specifico a pagamento2. Di recente si è scoperto un suo contemporaneo anche in Italia, con l’annuncio per lo spettacolo a pagamento di un cavallo acrobata in Piazza dei Mercanti a Milano nel 1618 [JAY 2005]. A Londra, dal 1620 al 1634 John Williams, esibitore di un elefante, tenta a più riprese con alcuni soci l’apertura di un anfiteatro sul modello di quelli del teatro e dei combattimenti, con l’intuizione di riunire cavallerizzi, acrobati, funamboli in un luogo specifico e

permanente e in un unico spettacolo. Questa prima idea di circo come oggi lo intendiamo non vedrà la luce: con la guerra civile del 1642 i teatri chiudono e i combattimenti di animali sono osteggiati dai puritani; nel 1660, con la Restaurazione, della vita teatrale elisabettiana non resteranno che rovine. Anche in Cina, in piena dinastia Ming, uno splendido dipinto lungo diversi metri ritrae illusionisti, equilibristi, musici e giocolieri che si esibiscono assieme per la festa del nuovo anno dinanzi all’imperatore Xian Zong in un luogo accuratamente allestito. Dovunque, è il tentativo di nascita di un’industria teatrale vera e propria. 3.2 Tra bel canto, commedia e bal di corda Nel corso del ’700, in meno di un secolo, da comuni radici nasceranno la commedia moderna, il melodramma, il balletto e il circo equestre, come risultato di un percorso così distinguibile:

Il Fechthaus aud der Schutt, Norimberga, creato dal 1628 (Incisione di Boener, 1700. Stadbibliotek Nurenberg)

81

Danzatori di corda in una struttura di legno e tela, 1680 (part. da una stampa satirica olandese. Kunstbibliotek, Berlino)

82

1) Passaggio graduale dal commercio al teatro (1450-1590); 2) costituzione di compagnie professionali italiane di attori o di acrobati e loro diffusione europea (1550-1650); 3) contaminazioni e progressiva definizione delle moderne forme di spettacolo nel teatro di fiera, e loro sforzi di legittimazione (1650-1750); 4) decadenza delle fiere e sistemazione delle forme in nomi, generi e luoghi fissi definiti (1750-1820). Tale genesi alla fine del ’700 culminerà con: a) il confluire della Commedia dell’Arte e di quella erudita nel teatro moderno; b) il passaggio dall’intermezzo all’opera buffa fino al melodramma; c) la definizione teatrale della danza; d) la codificazione del teatro di pantomima e la legittimazione scenica di quelli d’illusionismo e d’acrobazia; e) ultima in ordine di tempo, la nascita del circo. Bisogna pensare che ’600 e ’700 costituiscono una realtà artistica molto complessa: tutte queste forme di spettacolo, prima di diventare indipendenti costituiscono, a Londra come a Parigi, a Roma come a Vienna, un

mondo confuso che, a partire dal Medioevo, è l’innesto tra i commerciantiartisti eredi delle tecniche dei mendicanti medioevali; l’arrivo degli zingari o dei “turchi”, il dramma e la danza di corte; lo sviluppo di luoghi di spettacolo precari verso arene moderne o teatri all’italiana; il passaggio delle tecniche di spettacolarità festiva verso la scenotecnica; la maturazione delle grandi forme di teatro musicale. Nasce così un mondo di personaggi che naviga senza sosta tra permessi, decreti, divieti, licenze, per affermare un insieme ancora indistinto di professioni che dopo secoli continua ad essere associato alla malavita o alla semplice frode. Ai sempre più frequenti inviti a corte, per una stessa compagnia possono corrispondere restrizioni severe, quando debba esibirsi in teatri o fiere. È un universo che, ancora privo di definizioni e luoghi precisi, unisce negli stessi contesti, ma per un pubblico non più specifico, attori-venditori di unguenti, mostratori di diorami, le compagnie definite di Commedia o quelle di danzatori sulla fune, tragedie classiche, esibitori di animali vivi o impagliati, le prime opere liriche, i primi illusionisti, maestri di ballo di corte figli di acrobati di piazza o viceversa, burattinai che diventano impresari operistici, letterati che lavorano per funamboli come per attori. Lo stesso Moliére poteva presentare una commedia sofisticata per il popolo e il giorno dopo organizzare a corte uno spettacolo pirotecnico. Professione emblematica della “genesi dei generi” nel periodo tra ’600 e ’700 è quella del bal di corda: a metà tra acrobazia e danza, lo spettacolo sulla fune impone l’accompagnamento musicale, oltre a un minimo di tematizzazione drammaturgica e di tecnica mimica interpretativa. L’iconografia del periodo è sterminata. Assieme alle marionette, la danza sulla corda risulta la forma di escamotage più sicura per aggirare le restrizioni dei teatri privilegiati. Dalla metà del ’600 a quella del secolo dopo, nella sola Parigi vi sono le testimonianze di oltre un centinaio di troupes o singoli artisti di cui settanta sono ballerini sulla corda. I primi grandi maestri di ballo o mimi del teatro moderno sono figli di danzatori sulla fune: una disciplina che deve rendere armonico il senso dell’equilibrio e coniugarlo con l’espressività del gesto (nel primo ’800, Funambules resterà il nome del più celebre teatro di pantomima). La danza sulla corda si confonde anche con il genere della “corda volante”, una specie di antenata del trapezio, e molti degli artisti si cimentano in entrambe le varianti. Tra le prime celebrità è attorno al 1670 Jacob Hall. Poi vi sono le prodigiose funambole: come “la famosa prussiana” o “la celebre olandese”, sempre nel corso del ’600. Ravel e Chiarini risultano essere le famiglie più antiche, ma Grimaldi (famiglia da cui nascerà il primo grande mimo-clown) e Violante sono nomi che si ritrovano a Londra e a Parigi per oltre un secolo, così come quelli di vari turchi

83

L’equilibrista turco Mahomet Caratha, uno dei precursori dell’acrobazia di fiera. Stampa pubblicitaria francese del XVIII sec.

84

musicisti sulla fune. Mahomet Carahta verso il 1740 sembra uno dei più celebri. Si è ipotizzato che la sistematica provenienza mediterranea di questi artisti sia un chiaro legame con i funamboli del mondo antico. Sulla corda è presto possibile compiere elaborati equilibri con pile di bicchieri e altri oggetti: la specialità è presto popolarissima, con vere e proprie star internazionali, come il prodigioso Duncan McDonald. Altrettanto celebre è nel ’700 la scimmia ballerina sul filo del Signor Spinacuta, che farà in tempo ad esibirsi nei primi circhi delle colonie americane. Si diffondono anche i funamboli a grandi altezze. Molto popolari sono poi i posturers, nome antico dei contorsionisti: nel ’600 e ’700 sono giovinetti che piegano il loro corpo per arricchire i programmi di illusionisti o marionettisti, come Joseph Clark. Altre tecniche che si sviluppano nel ’600 sono i leapers e vaulters, saltatori in lunghezza secondo le tecniche diffuse nel Rinascimento: con rincorse su trampolini essi saltano attraverso una serie di cerchi, o sopra file di cavalli. Altro genere popolare è quello dei forzuti, generalmente tedeschi, con troupes come quella di Moriz, legata ai primi teatri di fiera. Il fenomeno non è solo continentale, ma riguarda subito anche le colonie: nel 1753 a New York un danzatore di corda, Anthony Dungee, erige un locale apposito per le sue esibizioni. 3.3 «Quelques discours accompagnés de sauts»: trionfi e declino del teatro di fiera La parola è forse il segreto più importante per capire la nascita degli spettacoli moderni. La parola consente di conquistarsi un pubblico e di mantenerlo, di raccontare una storia, di creare energia teatrale: anche per funamboli e maghi, si scopre che la trama, il pretesto tematico, catturano il pubblico per mostrare sofisticate meraviglie. Il circo, esaltazione dell’arte muta ancor più della danza, forse non sarebbe mai esistito senza divieti e censure che le autorità hanno voluto per legittimare alla vita teatrale solo poche compagnie drammatiche. E anche nell’ambito di queste, sono note alla fine del XVII sec. le tensioni degli italiens per potersi esibire in altre lingue. Se però agli attori è consentito integrare il loro organico con acrobati, a questi ultimi solo raramente è concessa una licenza per «quelques discours accompagnés de sauts». La genesi del circo si plasma per due secoli su rivendicazioni a catena: nel tardo ’600 i teatri francesi ostacolano gli italiani i quali, una volta legittimati, se la prendono col teatro acrobatico dell’ex-burattinaio Jean-Baptiste Nicolet (1728-1796) che, ottenuto a fatica un teatro fisso (1759), a sua volta nel 1786 tenterà di impedire l’emergere di simili strutture rivali. Gli artisti del teatro di fiera e poi del boulevard hanno aggirato in tutti i modi il veto alla parola: con monologhi alternati, frasi scritte su car-

85

86

telli o fazzoletti, col grammelot, distribuendo foglietti, col canto di couplets. Il paradosso straordinario è che da queste forme di difesa sono nati generi precisi come l’opera lirica, la pantomima e il circo, e con esse artisti moderni: un non-danzatore come il mimo e un non-attore come il clown3. Prima di conoscere l’invenzione della pista, la vita pre-circense europea si sviluppa in modo non dissimile da quella orientale: e cioè con compagnie teatrali-acrobatiche. Cìò avviene nel fenomeno del teatro di fiera in cui a lungo convivono fianco a fianco la baracca delle tragedie classiche con quella degli equilibristi, l’esibizione del rinoceronte e gli spettacoli di canto. La fiera periodica come fenomeno commerciale europeo è un concetto medioevale. La prima è a Parigi quella di St. Denis, nata nel 629 sotto il regno di Dagoberto. Molte altre sorgono ovunque in Europa, e in particolar modo a Londra4. Gradualmente, le forme di vendita-spettacolo evolvono da dopo il Rinascimento in attività teatrali sempre più mature e definite: venditori di balsami o operateurs (cavadenti) come Tabarin o Scaramouche sono passati alla storia per il loro talento teatrale, acrobatico o di prestidigitazione. Nel 1580 la compagnia acrobatica Chiarini, la prima di cui si ha traccia, è alla fiera di Saint Germain, la stessa dove nel 1595 è accettata la prima richiesta di autorizzazione per presentarvi commedie “all’italiana”: decretando la nascita del théâtre de la foire in quanto genere, che susciterà le ire degli attori all’Hotel de Bourgogne ma il favore dei cittadini e quindi delle autorità. Questo mentre già da decenni nelle corti si esibivano compagnie comiche come i Gelosi (1574) e i Confidenti (1572) (poi gli Accesi e i Fedeli) o acrobati “eruditi” come Tuccaro (cfr. 2.6): modelli teatrali e circensi per gli spettacoli di fiera, il cui pubblico fa gola ai teatri ufficiali. In meno di un secolo lo spettacolo di fiera assume una maturità teatrale definita. Nel 1640 a Parigi la fiera di St. Germain e quella di St. Laurent sono un panorama molto preciso: ai palchi improvvisati di comici-venditori si è ormai sostituita una distesa sterminata di baracche con veri e propri teatri dotati di scenari e macchine [CAMPARDON]. Marionette, esibizioni di animali (del 1611 è la lotta con un leone) e bal di corda sono forme più tollerate rispetto a quelle di troupes che, presentando scene recitate, creano concorrenza ai teatri. Nel 1678, sempre a Parigi, la troupe di attori dei fratelli Charles e Pierre Alard, assieme a quella del ballerino sulla fune Maurice Van der Beek crea il primo vero teatro di fiera in cui Les Forces de l’Amour et de la Magie è la prima commistione compiuta tra commedia dell’arte, acrobazia, musica e pantomima: un segnale per cui nuove forme teatrali stanno nascendo e con esse il bisogno di luoghi e contesti. Nel 1697, l’espulsione degli italiens da Parigi (poi riammessi nel 1715 alla morte di Luigi XIV) fa crescere i teatri di fiera e accogliere la richiesta di divieto di dialoghi da parte della sempre più potente Comédie Française, da poco fondata (1680). È l’inizio della battaglia

tra i divieti e gli ingegnosi escamotages: la vedova di Van der Beek, Jeanne Godefroy, “inventerà” l’opera comique sostituendo i dialoghi con rime cantate (1708), altri daranno vita alla pantomima acrobatica, mentre sia gli italiens che altri teatri tentano senza successo di aprire loro succursali nella fiera attorno al 1720: le troupes di danseurs de corde e marionettisti hanno la meglio sul pubblico. Il fenomeno è ormai enorme: alle due fiere parigine si aggiunge quella di St. Ovide (1763). Si tratta ormai di veri e propri quartieri teatrali, come anche a Londra, in cui nascono insegne specializzate in generi nuovi e precisi, spesso a causa dei divieti stessi. Una stabilizzazione è inevitabile. Nel 1726 la chiesa, proprietaria del terreno della fiera di St. Germain, espropria i forains e ne demolisce le baracche: destino simile avranno presto quelle di St. Laurent (1786) e St. Ovide (1777). La fine delle prime fiere è la prima tappa verso la nascita dei teatri di Boulevard, dove sia per restrizioni legislative che originalità artistica, si osserva la prima definizione in generi delle forme teatrali moderne. L’apertura dell’Ambigu Comique con gli spettacoli comici di Audinot (1769) e il teatro di Nicolet (ormai battezzato Les Grands Danseurs du Roi dopo un’esibizione per Luigi XV) con le riviste acrobatiche, entrambi sul Boulevard du Temple, sono le prime tappe del passaggio dalla fiera alla vita teatrale legittima. E non è un caso che nel 1775 alla Comédie-Française (la grande nemica dei forains), la prima versione del Barbiere di Siviglia di Beaumarchais sia costruita su canovacci di parades delle baracche da fiera. 3.4 Arlecchino a Londra Alla fine del ’600, molti attori, danzatori e acrobati forains, in gran parte italiani, da Parigi iniziano ad oltrepassare la Manica. Con la fine della guerra civile, nel 1642 lo scarso panorama teatrale londinese inizia a tramutarsi nella culla dei più importanti divertimenti moderni. Pantomima, caffè con varietà, intrattenimenti equestri sono nel secolo tra il 1650 e il 1750 le tre forme che a Londra daranno vita al circo moderno, grazie all’innesto di almeno quattro fonti: 1) la Commedia dell’Arte italiana, 2) il teatro di fiera francese, 3) gli acrobati (quasi sempre italiani) del circuito fieristico, 4) l’equitazione-spettacolo. Già un secolo prima dei contatti col teatro forain francese, le fiere della Gran Bretagna avevano conosciuto la Commedia dell’Arte italiana. Prime tracce vi sono nel 1575, e, dopo un costante influsso degli scenari italiani e di Moliére sul teatro inglese, dal 1677 Arlecchino appare in un dramma inglese senza parole. È all’impresario Cristopher Rich (dal 1682 direttore del Drury Lane) che si deve la definizione del genere poi noto come pantomime, riprendendo un nome classico. Arlecchino e gli altri personaggi diventano protagonisti di azioni mimico-danzanti, basate soprattutto su numeri di acrobatica e

87

Il pierrot Carlo Delpini, probabile iniziatore della figura del clown moderno nella pantomima inglese, 1760 ca.

88

temi fiabeschi [DISHER 1925, FROW]. Se già dalla prima messinscena di successo, Arlecchino imperatore della luna (1687), è evidente l’ispirazione al teatro di fiera parigino, nel 1700 Rich chiama a Londra da Parigi i fratelli Alard (gli “inventori” della pantomima di fiera) non in una baracca ma al Drury Lane: la sala più prestigiosa del tempo, dando al genere italo-francese l’ufficialità del teatro, e soprattutto quella tendenza inglese a temi ed atmosfere mitologiche e neoclassiche (come si evincerà dai titoli) che determineranno poi lo stile e l’identità del primo circo equestre. Il ricorso al mondo antico era anche un erudito escamotage per dare rispettabilità a generi troppo associati alla fiera o al vagabondaggio. È anche per questo che molti acrobati di fiera iniziano sempre più a mutuare tentativi di identità teatrale: ad esempio, nel 1696 alla fiera di S. Bartolomeo si vede uno Scaramouche compiere un’ascensione sul filo. Come già accadeva a Parigi, le famiglie di ballerini sulla corda e di ginnasti sono i primi protagonisti di questa vita teatrale, che darà loro modo di affinare personaggi e presentazione artistica. Molte cronache dell’epoca lamentano, in questi spettacoli, il dilagare dell’acrobazia a detrimento della più “nobile” arte della danza. Sui primi palcoscenici della pantomima, mentre i caratteri della vecchia Commedia italiana cambiano identità (Pantalone diventa una sorta di buffone, Arlecchino è praticamente un mago), altri affluiscono da fonti diverse: nel 1717, stesso anno in cui il nome pantomime appare, si vede a Londra un’altra maschera responsabile delle origini del clown circense: quella di Pierrot (tra i cui antenati è il simile Paillasse)5. E da ultimo appare, rispolverando un carattere della tradizione medievale inglese già usato dalla scena elisabettiana, il personaggio di Clown (cfr. nota 22 in 2.5). Contaminatosi con le influenze della commedia italiana e della fiera francese, il clown ora diventa una maschera colorata: a volto scoperto rispetto a quelle all’italiana, e in questa forma appare nel teatro di pantomima attorno agli anni ’20 del ’700, generalmente in ruoli di rivale in amore di Arlecchino6. Della sua riscoperta, nell’evoluzione dal dramma scespiriano al comico pre-circense da pantomima, sembrano ampiamente responsabili il Pierrot e coreografo Carlo Delpini (già con Garrick), e Giuseppe Grimaldi, attore/maestro di ballo di Garrick. Grimaldi è figlio di un attore-acrobata delle fiere italiane e francesi, padre del leggendario Joe7. Questo dimostra ancora una volta la prossimità professionale fra tragedia, danza, arte acrobatica. La vita teatrale ormai ufficiale e prestigiosa dei pantomimes di Rich e del Drury Lane non è il solo ambiente in cui si riciclano gli artisti di fiera. Emerge anche la definizione di luoghi specifici: vi è la tendenza delle taverne a presentare spettacoli sulla fune assieme ad intrattenimenti musicali, o dal 1712 un luogo popolare di divertimento “rispettabile” come i Vauxhall Gardens, che presenta gli stessi artisti delle fiere. È l’epoca in cui la nascen-

89

te borghesia inizia ad inventare il tempo libero, con luoghi specifici tra erudizione e divertimento, come l’imponente teatro di Covent Garden (1732) o il British Museum (1753). O si tenta di costituire luoghi di esibizione appena fuori dalle mura di Londra, dove non sempre sono necessarie licenze. È soprattutto presso le acque dei wells, le numerose sorgenti termali delle colline di Islington (che diverranno gli sterminati quartieri proletari vittoriani), nell’immediata periferia londinese, che nascono luoghi di occasionale intrattenimento. Tra essi il più fortunato è il Sadler’s Wells presso Islington che, partito come luogo di rinfresco con intrattenimenti musicali, dal 1683 prende i connotati del primo music-hall dell’era moderna, accogliendo sistematicamente, dal primo ’700, intermezzos, burlettas, alternati a ogni tipo di numeri acrobatici e attrazioni da fiera8. Il luogo diventerà presto un importante teatro di pantomimes, diventando la “casa” in cui Grimaldi figlio plasmerà nel primo ’800 il moderno clown teatrale: e, con l’imminente nascita del circo, avverrà un costante centro di scambio di artisti [ARUNDELL, DISHER 1925]. Il Sadler’s Wells ottiene una licenza teatrale nel 1753: in un periodo chiave in cui per le attività di spettacolo a Londra tra gli anni ’30 e i ’60 scattano le precise restrizioni che culmineranno nel 1760 con la soppressione della fiera di Southwark 9. In uno di questi teatri, una serata durava dalle tre alle cinque ore: iniziava con un piccolo concerto e con qualche attrazione; altri numeri si esibivano tra un atto e l’altro durante il cambio delle candele, e farsa, danza o un intrattenimento molto spettacolare chiudevano il programma. Il Sadler’s Wells risulta poi proporre, nel cortile sul retro, corse di pony ed esibizioni equestri. E a pochi passi, tra le stesse colline e sorgenti di Islington, dalla fine degli anni ’50 iniziano ad emergere in modo sempre più frequente le testimonianze di combinazioni pomeridiane tra bevande e spettacoli a cavallo: ed è sopratutto qui che vanno cercate le radici del circo moderno.

90

3.5 Divertimenti equestri attraverso la Manica. L’equitazione spettacolare è una forma che, come si è visto, dal mondo primitivo è sempre rimasta popolare, sia in Oriente che in Occidente. Tra il XVI e XVII secolo si era configurata in almeno tre forme: 1) Acrobati di fiera, che già dal ’600 presentavano equilibri e figure sul dorso di un cavallo, vero o di legno (come Christian Muller-Kamin a Norimberga, 1647) o vaulters specializzati nei salti in lunghezza al di sopra di più destrieri (come William Stokes a Londra nel 1652, o Thomas Simpson nel 1702). 2) Equitazione montata su cavalli danzanti, in vere e proprie coreografie, che attraverso le manovre e le feste rinascimentali si era configurata poi nel mondo militare e nella “scuola spagnola” -“napolitana” (cfr. 2.6): evoluta

L’Hetz Amphiteater di Vienna, 1760 ca.

tra i maneggi reali e le feste di corte barocche italiane e spagnole, giungendo a Versailles, e soprattutto in Austria e in Germania, con maestri spagnoli. È in questo ambito che si formano da incroci le razze di cavalli che conosciamo oggi, in particolare tra gli Arabi e gli Andalusi. Nel tardo XVII sec. a Lipizza sotto l’Arciduca Carlo una combinazione tra razze di Spagna e Boemia darà vita al cavallo lipizzano. Tale cultura equestre nordica genera una scuola pre-circense pioneristica che si potrebbe definire “mediterraneo-germanica”: i pionieri del circo austriaco e tedesco, Juan Porté e Pierre Mahyeu, saranno spagnoli; e Christoph De Bach, austriaco, si formerà tra Parma e Piacenza. È accademica e non acrobatica. 3) Figure acrobatiche su cavalli lanciati al galoppo, generalmente addestrati da persone legate alla cultura militare o sportiva: con evoluzioni simili a quelle già conosciute nel mondo antico, in Cina o nel Caucaso. È da quest’ultima forma che negli anni ’60 del ’700 nascono in tutta Europa occasionali spettacoli a pagamento di cavallerizzi inglesi, tra i quali emergono i precursori del moderno impresariato circense.

91

92

La vivacità militare dell’Impero Britannico aveva formato una cultura equestre profonda e cavalli forti, abituati ai ritmi della guerra. Avventurieri, addestratori e militari dismessi li riconvertono in una sorta di “equitazione profana” di cui lo spettacolo-dimostrazione e la didattica per il mondo civile sembrano fonti possibili di guadagno. L’esercito aveva favorito lo sviluppo di metodi moderni di equitazione (supportati da un’ampia trattatistica) adatti anche al mondo civile. Questi inglesi a partire dal 1760 circa risultano esibirsi in primavera-estate a Londra, e d’inverno in modo sistematico in tutta Europa e nelle colonie10. La provenienza di questi cavallerizzi è varia: in alcuni casi si tratta di istruttori, in altri di militari dismessi. Non sono solo inglesi: a volte si tratta di acrobati del mondo delle fiere o ballerini sulla fune che apprendono l’arte equestre: come nel caso di Luigi Chiarini, a capo un ramo di questa ricca dinastia, che mette in scena un torneo medioevale. I luoghi dei primi spettacoli equestri sono quasi sempre occasionali: maneggi, piazze, cortili pubblici o privati. L’introito proviene dal pagamento di un modico prezzo, o da corsi mattutini di equitazione. Ciò non avviene ancora in luoghi specifici: il passatempo è nuovo e ancora occasionale. Due almeno sono i luoghi precisi, entrambi ispirati alla romanità. A Vienna nel 1755 è aperto dal francese Defraine l’Hetz Theater, arena circolare all’aperto per spettacoli equestri e attrazioni di varietà, capace di tremila posti11. Attivo fino al 1796, è il vero precursore del circo, e negli ultimi anni i suoi programmi rifletteranno quelli delle prime invenzioni circensi londinesi. L’altro è a Parigi il Colysèe (1771), che ospita numerosi cavallerizzi (fino al 1780). È comunque nella periferia londinese che le sporadiche performances equestri si codificano in un genere, in un processo ventennale. La zona è quella delle piane strette tra le colline di Islington: grandi spazi prossimi al centro, in una zona dove emergeva la cultura delle music-houses e dei teagardens che garantisce alle esibizioni equestri un pubblico già numeroso e vario. C’erano inoltre possibilità di legami con gli acrobati delle fiere in dissoluzione i quali iniziavano ad essere impiegati nelle emergenti taverne-teatri di quella zona, di cui faceva parte ad esempio anche il Sadler’s Wells. I primi due nomi inglesi ad affermarsi sono apparentemente Jacob Bates e Thomas Johnson. Di Bates abbiamo molte testimonianze soprattutto sulle sue numerose tournées in Europa. Aveva un costume da picaro, e sembrava vantare grandi successi. Ma il primo annuncio documentato a Londra è quello di Thomas Johnson, un istruttore equestre che si esibiva a Islington in tenuta e berretto da jockey. Tra i due, gli esercizi equestri sono molto simili e di due tipi: 1) galoppo in piedi su più destrieri; 2) evoluzioni alla “cosacca” fuori sella. Dalle illustrazioni si deduce con tutta probabilità che le evoluzioni si svolgono già lungo un perimetro circolare. Nelle stampe rimasteci

Il cavallerizzo Johnson a Londra (Islington), 1760 ca. (stampa inglese. Fondo Jacob-Williams, Tohu, Montreal)

di Johnson e Bates, il pubblico era concentrato a debita distanza, più o meno lungo una linea, protetto da una balaustra provvisoria. Ma è presto per parlare di imprese o generi di spettacolo. Il primo documento a testimoniare di una definizione di luogo a pagamento è nel 1758 l’annuncio di un pub di Islington, il Three Hats Inn, il cui titolare, Joseph Dingley, pubblicizza le evoluzioni di Johnson nel terreno adiacente, con un successo che dura per otto anni12. Nel 1766, sappiamo grazie ad un ritaglio, Dingley decide di presentare le evoluzioni di un altro cavallerizzo. Si tratta di Thomas Price, le cui prime tracce si hanno a Bristol nel 1763, e nel 1769 a Stradford, ingaggiato da Garrick per il giubileo di Shakespeare. Al Three Hats Pub, da subito c’è la volontà di appartenenza alla vita teatrale: l’area è delimitata da logge a pagamento su cui sono dipinte immagini scespiriane. La pubblicità insiste anche sui corsi di equitazione: l’escamotage migliore perchè questo genere di esibizioni siano accettate come “educative”, e per sfuggire alla legislazione teatrale. Il mercato si espande, con faide e forme di concorrenza. Altro cavallerizzo popolare a quel tempo era tale Sampson, nella piana di Mile End, presso un altro pub chiamato Old Hats [cfr. DISHER, FROST]. È il primo a risultare come militare dismesso da un corpo della cavalleria reale, e diviene un rivale di Price: Dingley lo vede e lo scrittura per rimpiazzare Price al Three Hats nel 1776. Price, a sua volta, trova una sua stabilità in un locale analogo sempre a Islington: il campo di bowling di Dobney. Al panorama si aggiungono gradualmente i cavallerizzi Coningham (dal 1772 con Sampson) e Daniel Wildman (nello stesso anno con Price), celebre per cavalcare circondato da un

93

94

nugolo di api, portando a perfezione lo spazio scenico, con palchetti per rinfreschi attorno all’area del Three Hats: «un cerchio venne formato, e vi fu immediatamente un anfiteatro senza ulteriori complicazioni o spese» [DECASTRO]. In qualche modo, una sorta di atto di nascita del circo moderno. Si può a questo punto dedurre come la periferia di Londra con i suoi intrattenimenti ibridi all’aria aperta diventi un vero e proprio scacchiere per la genesi delle esibizioni equestri: Three Hats di Dingley e il Bowling Green di Dobney sono, assieme al Sadler’s Wells, tra i principali luoghi di svago di Islington in cui per anni si formano e ruotano almeno cinque diverse rudimentali compagnie di equitazione-spettacolo, con le loro logiche di concorrenza, impresariato e ambizione di teatralità13. I loro spettacoli dovevano essere intrattenimenti piuttosto brevi, tali da motivare la voglia a seguire dei corsi. Le evoluzioni, in cerchio o in asse, non erano dissimili da quelle dei cavalieri delle steppe russe: non a caso il soprannome di Johnson era “il tartaro irlandese”. Oppure molti di questi esercizi erano rudimentali simulazioni di figure militari, come l’entrée en ville, in cui il destriero era lanciato al galoppo. In generale, a differenza dell’equitazione accademica dei maneggi rettangolari, queste evoluzioni tendevano più verso il virtuosismo acrobatico. Johnson, quasi anticipando il principio drammaturgico circense di “progressione”, si esibiva in piedi su uno, due e poi tre cavalli. Sampson suonava il flauto su due destrieri senza redini, oltre a introdurre, cosa eccezionale, una donna: la moglie è considerata la prima acrobata cavallerizza. Coningham saltava un ostacolo su due cavalli. Thomas Price, forse il primo giocoliere a cavallo, teneva in mano bastoncini con piatti rotanti. Bates colpiva bersagli con frusta o pistola, e raccoglieva un fazzoletto in corsa. Come si vede, le figure principali tendono all’equilibrio in piedi. Vi è poi un momento in cui dall’estetica dell’instabilità si passa all’acrobazia vera e propria. E si intuisce che, per compiere sul cavallo salti o piroette, la forza centrifuga necessaria si può ottenere solo con una forma: il cerchio. Questo conferisce anche una visibilità migliore al pubblico, nonché rende più facile chiudere lo spazio, con pareti di tela o tribune di fortuna, al pubblico pagante. Gradualmente, seguendo lo sviluppo della città, questi luoghi si spostano pian piano verso Sud lungo la periferia Est di Londra. È solo nel 1768 che presso la taverna Duck & Dog, nella zona di St. George’s Field, gli ennesimi cavallerizzi-imprenditori, i coniugi Walton, aggiungono una variante decisiva, il primo atto identitario verso il circo come lo conosciamo oggi. Essi infatti pensano di intervallare il loro programma equestre con acrobati a terra, danza sulla corda e tiri di precisione con la pistola. E con questo assumono una caratteristica di spettacolo compiuto, che desta l’attenzione di altri gestori di teatri, music-houses e tea gardens. Infatti, quello che era stato per un decennio una tollerabile via di mezzo tra sport ed esibizione estempora-

nea, seppur a pagamento, assume ora tutti i connotati di un nuovo soggetto della vita teatrale: e quindi di un temibile concorrente. 3.6 Intanto, a Oriente In Cina, con l’avvento del periodo Quing (1644), in cui si affermano l’Opera cinese e si sviluppa l’illusionismo, l’acrobazia conosce un periodo di crisi. Nel 1727 è soppressa la gloriosa scuola acrobatica; la ricorrenza più importante, il “Banchetto della fertilità”, preferisce numeri di magia. Gli acrobati, per necessità divenuti ancora girovaghi, hanno una reputazione cattiva, soprattutto per il loro frequente coinvolgimento nelle rivolte contadine. Anche per tale ragione essi sono ulteriormente penalizzati da un divieto che impedisce loro l’uso di armi: limitando discipline antiche come giocoleria, giochi di forza o arti marziali. Molti scelgono la facile spettacolarità del fachirismo. Discipline ritenute più eleganti, come il contorsionismo, possono godere del mercato delle feste private, al fianco di illusionisti e imitatori di suoni. Le nascenti “case di attrazione”, sorta di baracche di fiera, o certe processioni religiose, erano altre occasionali forme di sopravvivenza per gli acrobati. Ma nell’epoca che corrisponde al nostro Rinascimento e Barocco, l’embrione della moderna acrobazia cinese va probabilmente cercata in altre influenze orientali. Come ad esempio in Mongolia, nelle forme di acrobazia religiosa: il buddismo favoriva, infatti, forme di addestramento molto acrobatiche [MAUCLAIR 2002]. O in tecniche di equilibrio praticate dagli Ouigurs, giunti in Cina dal Turkestan; nel volteggio equestre proveniente da Manciuria e Mongolia; nelle acrobazie al tappeto diffuse in Corea. Anche in Vietnam vi sono tracce dell’arte circense. Già dal X secolo, sotto l’impero di Din Tien Huang, ve ne sono testimonianze in bassorilievi con danzatori di corda e giocolieri accompagnati da musicisti. Un manoscritto del 1680 riferisce invece di combattimenti tra tigri ed elefanti e della sistemazione di due terreni destinati allo spettacolo equestre. In questo periodo se vi è una tradizione orientale nel pieno del suo splendore, essa è in Giappone: con l’autarchia imposta nel 1615 dal periodo Edo, gli acrobati nipponici sono tagliati fuori dal mondo. Si liberano da ogni influenza e trovano un proprio stile, esprimendosi in numerosi parchi pubblici di divertimento. L’espressione più originale è la traversata sul filo inclinato (che nell’800 influenzerà protagonisti delle feste pubbliche parigine, come il funambolo Ravel). Gia nel periodo Muromachi, precedente l’Edo, era diffuso il sofisticato Kumomai (“danza dei ragni”), rituale in cui ai quattro punti cardinali del tempio erano tesi dei fili incrociati: un rituale che diventa, con alcune varianti, tecnica di spettacolo. 95

4. LA

GENESI DEL CIRCO MODERNO

4.1 Da sergente a impresario Tra il 1768 e il 1773, a Londra vi è un’evoluzione evidente dalle arene occasionali a pagamento verso luoghi precisi di spettacolo. L’inarrestabile trasversalità acrobatica di tante discipline, tendeva a fare un linguaggio unico, creando l’urgenza di un luogo e di un’istituzione unificante. Ed il cavallo, con il suo valore di retorica sociale, storica, eroica era l’elemento adatto. A Londra, l’esperimento di Wolton di coniugare in un programma unico cavallerizzi e funamboli (v. 3.5) fallisce in pochi mesi. A riprendere immediatamente l’idea sarà l’ennesimo e il più capace dei cavallerizzi istruttori: il sergente Philip Astley (1742-1814). Alla sua tenacia ed intraprendenza si dovranno il primo vero luogo circense della storia e l’immediata esportazione del modello a Parigi. Astley, i suoi predecessori, rivali, allievi ed emuli, in meno di due decenni svilupperanno gradualmente il divertimento equestre e d’arte varia all’aperto in un sistema teatrale codificato in un luogo chiuso specifico. Tale dispositivo, prima della fine del secolo vedrà diffuso il termine “circo” come il più felice tra i vari tentativi di definizione. Astley già giovanissimo si era distinto per le gesta di una breve carriera militare1. Aveva conseguito una notevole conoscenza della geografia europea e soprattutto si era specializzato nell’addestramento dei cavalli e nel virtuosismo equestre: varie testimonianze ne documentano l’innato talento in questo campo, e sarà riconosciuto come una delle massime figure del suo tempo nella scienza equestre militare e civile. La prima occasione era stata, sotto le armi, quella di poter collaborare con Domenico Angelo: all’epoca l’addestratore d’avanguardia, con un celebre metodo di controllo del cavallo. Lo stesso Angelo è sorpreso dal talento di Astley nel dimostrare il proprio virtuosismo in una forma apparentemente nuova: le evoluzioni in cerchio2. Avendo probabilmente osservato numerose esibizioni sia in Europa che a Londra, Astley dopo sei anni di servizio nel 1766 si sposa e chiede di uscire dall’esercito dichiarando, stando ai registri militari, il suo preciso obiettivo: «Migliorare sé stesso con la presentazione di esibizioni equestri». Astley cerca di ambientarsi nel nascente business prestando servizio come apprendista nei corsi e negli spettacoli di Sampson. Poi, nell’aprile del 1768, in concorrenza a Wolton e a Sampson, all’età di ventiquattro anni apre una propria “scuola di equitazione”. Evitando la saturazione di Islington, opta per una zona completamente vergine: poco dentro la riva Sud del Tamigi, a Lambeth, in un terreno noto come Halfpenny Hatch3. Nel pomeriggio vi presentava dimostrazioni di acrobazia equestre: come i suoi predecessori, con il terreno delimi-

Veduta dell’esterno dell’Astley’s Riding School, il primo circo moderno, con Philip Astley al centro, nel 1777 (part. da incisione a colori, XVIII sec., coll. dell’autore)

97

Uno dei primi manifesti esistenti delle esibizioni all’aperto di Astley: lo spettacolo equestre si basa sulle evoluzioni dello stesso Astley, la moglie Patty e il figlio John di cinque anni. Prob. 1775. London Theatre Museum

98

tato da corde e paletti e passando col cappello dopo aver proposto le evoluzioni. Quasi sicuramente lo spazio era già un cerchio. Per convenzione, la maggioranza degli storici considera questo come l’atto di nascita del circo moderno, sebbene abbiamo visto quanti numerosi siano stati gli esempi precedenti. Dopo pochi mesi, Astley eleva una recinzione di fortuna con teli e pezzi di palizzate, con il pagamento di un biglietto. Se i Wolton, pur avendo attrazioni più varie, chiudono in agosto, Astley che si esibiva da solo (e con programmi ancora puramente equestri) sopravvive fino all’autunno. Annuncia sui giornali: «Quasi venti figure diverse saranno presentate su uno due, e tre cavalli ogni sera durante l’estate presso la sua scuola di equitazione. Le porte saranno aperte alle quattro ed egli monterà alle cinque. Sedie, uno scellino; posti in piedi, sei pences»4. Durante il giorno, dopo le lezioni, Astley calzava la sua vecchia uniforme rossa dei Dragoni, e cavalcava per le strade sul suo destriero bianco Gibraltar, annunciando lo spettacolo. All’ingresso, la moglie Patty vendeva i biglietti. Al centro della rudimentale arena, un ragazzo con un tamburo, in piedi su una vecchia casupola per piccioni, costituiva l’accompagnamento musicale. All’interno di un pollaio, erano disponibili alcune sedie coperte in caso di pioggia. Lo spettacolo comprendeva le evoluzioni di Astley su Gibraltar, della moglie (già amazzone e acrobata) e di altri due cavalli, ed era arricchito dal talento di Billy: un pony comprato a prestito che era capace di fingersi morto. Dopo circa tre mesi dall’inaugurazione, siamo nel luglio 1768, Astley introduce il primo tentativo di drammaturgia equestre e circense: si tratta di un vero e proprio sketch, che storicamente sarà la transizione tra lo spettacolo dimostrativo e una forma parateatrale propria. Cogliendo il pretesto da un episodio politico di forte attualità, Astley mette in scena e interpreta Il viaggio del sarto verso Brenford. Si tratta di un personaggio che non riesce a montare a cavallo; una volta riuscitovi il cavallo rifiuta di muoversi. In seguito il destriero galoppa troppo velocemente e il tutto finisce con il cavaliere inseguito (molti, non a torto, ravvisano in questo sketch l’embrione della clownerie circense; in varie versioni, avrà un successo tale da essere protagonista di quasi ogni circo europeo e americano per tutto l’800). In Dicembre, nonostante i rigori invernali, l’arena è riaperta per alcune settima-

ne annunciando anche una scimmia cavallerizza e un acrobata tedesco. Una «buona stanza calda al coperto» è promessa a chi vuole guardare lo spettacolo con maggiore conforto. Il circo moderno stava nascendo. 4.2 Nascita di un genere fuorilegge Nella stagione seguente Astley riesce a comprare un terreno ai piedi del Ponte di Westminster (sempre sul lato Sud, fuori della legislazione teatrale), e legname per una vera palizzata5. Questo diverrà il sito definitivo del primo circo della storia, e di uno dei luoghi di spettacolo più popolari di Londra per oltre un cinquantennio (attraverso incendi, restauri e ricostruzioni), anche dopo la morte del fondatore. Su questo terreno, tutto inizia nel maggio 1769, e gli annunci pubblicitari danno già un nome al luogo: “Astley’s Riding School”. Astley migliora di mese in mese il programma: sempre a cavallo sono presentati duelli di scherma e persino giochi di prestigio; si aggiungono divertimenti come la corsa dei sacchi e, per la stagione di Dicembre, acrobati «alla maniera del Sadler’s Wells». Nel 1770 la stagione debutta con una tettoia circolare che copre i posti del pubblico, rendendo lo spettacolo possibile «ogni sera, asciutta o bagnata», e nella pubblicità appaiono per la prima volta «figure militari» in programma. Se nel corso di questi anni continuano sui prati periferici le esibizioni occasionali dei vari concorrenti equestri (Price, Coningham, Wildman, Sampson), l’esperienza di Astley sconfina sempre più dall’esibizione a cavallo alla definizione di una forma nuova di spettacolo, seppur nascosta dietro il nome di “scuola”. Ciò con una sempre maggiore visibilità, essendo prodigo nelle inserzioni sui giornali, nella distribuzione di volantini e nella stampa delle prime locandine. Il prestigio arriva con un’esibizione a corte per Giorgio III ed il conseguente invito ad esibirsi a Parigi. Già da questi inizi pionieristici la cadenza stagionale resterà invariata per sempre: la stagione inizia invariabilmente il Lunedì di Pasqua e, con cambi di programma quasi mensili, si chiude in Settembre o Ottobre. In Inverno, Astley si reca in provincia o in Francia. Oppure, specializzatosi anche in illusionismo, presenta spettacoli di magia e animali sapienti nei saloni di Londra, quando non apre l’arena nei giorni natalizi. Nel 1771, a causa di una vecchia ferita di guerra, Astley per un periodo si fa sostituire da un cavallerizzo di grande talento: Charles Hughes. E all’apertura della stagione seguente iniziano per Astley i guai. Infatti, nel 1772 Hughes mettendosi in proprio apre poco distante, presso il ponte di Blackfriars una “British Riding Academy”: nome e spettacolo molto simili ma con maggiori attrazioni. Oltre alle evoluzioni dello stesso Hughes e a un plagio della pantomima equestre del sarto, vi appaiono cavallerizze donne, un burattinaio a cavallo ed eccellenti attrazioni non equestri: troupes di acro-

99

bati, il clown saltatore Huntly e soprattutto Breslaw, il più prestigioso illusionista del momento. Questo stimola Astley ad arricchire il programma con attrazioni simili (l’equilibrista Hatwin, il cavallerizzo Wildman suo predecessore, l’invenzione ottica detta Chronoscope). Tendenza che continua per la stagione 1773 con un programma che si avvicina ormai molto al circo moderno. Di mese in mese presso Astley si alternano un cane sapiente, acrobati burleschi, il già famoso acrobata Colpi, una troupe di piramidi umane da Verona, un saltatore spagnolo e un gruppo di equilibristi su scale. Nello stesso anno un terzo concorrente, il già citato cavallerizzo Hyam, aggiunge alle proprie evoluzioni saltatori, contorsionisti e la pantomima del sarto. Pubblicità e concorrenza dei due spettacoli rivali attirano ormai l’attenzione delle autorità verso il pericoloso proliferare di quelli che sono ormai veri e propri luoghi teatrali abusivi, seppure all’aperto, pur fino a quel momento tollerati. Astley e Hughes, e i loro artisti, vengono arrestati. La forma gradualmente assunta dai loro spettacoli si è trasformata in pochi anni da dimostrazione equestre (che non era sottomessa ad alcuna regola) in teatro illegale, giungendo ormai ad incrociare in vario modo tre diverse leggi6. Il problema era da un lato la mancanza di licenza, dall’altro il disagio recato alla quiete pubblica da folla, pifferi e tamburi, unito ai pericoli di crimine e immoralità che accompagnavano il nascere di questi nuovi luoghi di aggregazione sociale. I due proto-circhi sono chiusi. Entrambi gli artisti-impresari una volta fuori di prigione si avventurano con successo sul continente europeo. Astley si afferma sempre di più in Francia, Hughes visita molti Paesi tra cui l’Italia7. Se Hughes abbandona l’idea di una propria arena londinese, Astley tornato a Londra fa ricorso e riapre l’arena. È di nuovo processato nel 1776, ma vince: con l’escamotage che gli “esercizi equestri” non sono vietati da nessuna legge. Ma il suo consolidarsi e la natura sempre più ibrida dei suoi programmi accentuavano la pressione, non solo delle autorità quanto dei vari teatri. La rituale regolarità del calendario fa di Astley una piccola istituzione “istruttiva”. Le sue conoscenze nel mondo militare e politico paiono influenti; i giornali su cui compra quotidianamente annunci lo difendono nei casi di accuse o processi. L’impresario-cavallerizzo continua la sua legittimazione presso la critica e il mondo militare come autorità in fatto di cavalli, e non solo in patria8.

100

4.3 La codificazione del circo Dal 1773 al 1779 la “Riding School” di Astley, rimasta senza concorrenti, assume i connotati di un vero e proprio teatro all’aperto. Consiste ormai di un’arena di diciannove metri: ancora molto più ampia di quella che sarà la pista classica. È ricoperta di segatura: per proteggere gli zoccoli dei

cavalli ed evitare il fango delle intemperie. Al centro c’è un ostacolo per i salti dei cavalli, e può essere eretto un palchetto temporaneo per i numeri non equestri. Il pubblico è comodamente seduto attorno, sotto una tettoia, e al di sopra delle costruzioni di legno che ospitano le scuderie sono ricavati tre ordini di palchi9. La facciata è decorata con un frontone e teli dipinti che illustrano le varie attrazioni: automi, marionette, imitazioni di uccelli10. L’ingresso oltre alla biglietteria ha un piccolo salone in cui si possono presentare meraviglie ottiche e meccaniche. Di fianco, c’è una pista più piccola per prove, corsi o l’addestramento di nuovi cavalli: attività questa in cui Astley continuava ad eccellere anche come trattatista11. Sono gli stessi anni in cui in inverno la sua presenza si consolida a Parigi. Con l’aumentare del successo e della sempre maggior appartenenza (sebbene parassitaria) al mondo teatrale, l’esibizione all’aperto è sempre più un limite alla possibilità di programmi serali. Così Astley nell’inverno del 1778, mentre resta a Londra e presenta uno spettacolo di ombre in un salone di Piccadilly, sovrintende alla trasformazione del proprio sito. Nel gennaio 1779 nasce così il primo circo coperto della storia: “Astley’s Amphiteatre Riding

Il primo luogo circense moderno: Astley’s Riding School, Westminster Bridge, Londra, 31 Luglio 1777 (incisione a colori da un dipinto di W. Capon del 1820, coll. dell’autore)

101

Interno di una delle prime configurazioni coperte dell’Astley’s, ribattezzato per alcuni anni Royal Grove, 1786 (stampa dell’epoca)

102

House”, con un tetto di fortuna di legno e tela. Il termine “anfiteatro” era d’uso comune. In quella stessa zona di Londra aveva già designato arene di combattimenti e divertimenti vari, e continuava ad essere impiegato per luoghi dedicati alla boxe. Ed era un nome non vietato dalla legislazione teatrale. L’anello della pista, forse per l’ampia superficie da coprire, viene ridotto alla dimensione minima possibile per i cavallerizzi: tredici metri, lo standard immutato fino ad oggi. Una rudimentale scena stabile è costruita tra due stalle, su un lato della pista: questo per permettere i numeri che Astley presentava d’inverno nei saloni, come magia, automi, ombre cinesi. L’interno ha ormai ordini di posto chiaramente teatrali. L’idea di abbandonare il titolo “scuola”, creare un luogo coperto e agire tutto l’anno è una sfida sfacciata alla legge. Nel 1782, Charles Dibdin, noto uomo di teatro e compositore di successi musicali popolari, riesce a trovare una cordata di finanziatori per sviluppare un’idea imprenditoriale: quella di unificare le principali tendenze di successo del teatro non legittimo del tempo. Il progetto consisteva in una pista per intrattenimenti equestri affiancata ad un palcoscenico attrezzato per creare una forma di spettacolo drammaturgico che potesse unire cavalli, danzatori, mimi e acrobati attraverso i due spazi scenici: «Le gesta equestri erano a quel tempo molto ammirate; e pensavo che, se potevo ripulirle da una loro

rozzezza, potevano essere oggetto di ampio consenso. Proposi perciò di abbracciare tutta la destrezza ed il prestigio dell’antica cavalleria; i tornei, le corse attorno alla pista e tutte le gesta di prestigio equestre potevano essere mostrate, e una forma classica ed elegante poteva essere data a tali esercizi […]. Queste esibizioni, pensavo, richiedevano un’introduzione non solo appropriata ma d’impatto. Perciò proposi di aggiungere un palcoscenico […] in modo da formare un racconto, e un forte coup-de-theatre, e fare in modo che le cose della pista e della scena potessero essere unite» [DIBDIN, 1803]. Per la parte equestre è chiamato Hughes, l’antico rivale di Astley ormai divenuto una celebrità europea. Il nome scelto da Dibdin per la nuova sala è “Royal Circus. Equestrian and Philarmonic Academy”12. Il sottotitolo “academy” indicava i corsi di equitazione e danza dati ai bambini, che poi erano inseriti negli spettacoli equestri o di balletto (sotto la guida di Giuseppe Grimaldi): una finalità evidentemente lucrativa che permetteva sia buoni rapporti politici con famiglie agiate, che il tentativo di una qualche rispettabilità educativa. Questo aspetto politico-educativo era anche una speranza per ottenere una licenza teatrale. Dietro una facciata neoclassica sul cui frontone spicca un Pegaso alato, l’interno è molto elegante: veri e propri palchi su tre ordini attorno alla pista, balaustre e decori color argento e paglia, una scena perfettamente attrezzata13. L’integrazione sognata tra ballo e cavalli, scena e pista, non avviene realmente. Ciò che si svolge in palcoscenico non è dissimile dagli spettacoli del Sadler’s Wells (harlequinades, pantomime, balletti a soggetto storico, numeri acrobatici) o si ispira alla grandeur del Covent Garden. Nella pista continuano scene equestri sebbene più teatrali e tematiche. In breve gli azionisti litigano con Dibdin e cambiano vari direttori. E la concorrenza è aspra. I teatri si mobilitano per delegittimare Hughes, e questi dal suo canto cerca di ostentare un valore artistico e educativo rispetto ad Astley. Il quale a sua volta cerca di avvicinare la propria programmazione a quella del Royal Circus. È un’arma a doppio taglio: Astley e Hughes nel 1783 sono nuovamente arrestati, causando enormi proteste. Ma ora la soluzione del caso è decisiva: è chiaro che i due pionieri del circo hanno introdotto una forma artistica in maniera solida, impossibile da ignorare. Sembra meglio piegare le leggi che avere due soggetti fuorilegge e incontrollabili. Così il Circo di Hughes e l’Anfiteatro di Astley hanno finalmente regolari licenze, sebbene solo per i mesi estivi e col divieto di dialoghi. La licenza sarà presto estesa a pantomime e burlette14. Anche Astley aggiunge un palcoscenico all’arena15. Da trasgressori della legge, gli imprenditori-cavallerizzi inglesi diventano i codificatori di una nuova forma di spettacolo. Del resto, l’invenzione di un luogo circense chiuso aveva parecchi vantaggi rispetto alle più incontrollabili fiere: separazione sociale degli ordini di posto, valori patriottici,

103

Veduta esterna del Royal Circus, St. George’s Field, Londra, (incisione, ca. 1782. Coll. privata)

104

regolarità di programmazione, sanità. In pochi anni, nelle isole britanniche e in Europa decine di luoghi analoghi apriranno, con una tendenza a preferire il nome “circo”: un genere nuovo che dopo il 1790 sarà riconosciuto secondo la logica della vita teatrale regolare, con rapida espansione in Europa del Nord e colonie americane. Astley aprirà subito un simile Anfiteatro a Dublino, e tre anni dopo a Parigi. L’idea del circo si ribalterà da minacciosa occasione di vagabondaggio e illegalità a simbolo di ordine, morale e pulizia. La sua salvezza sarà negli spettacoli patriottici, funzionali all’esigenza didattico-coloniale del tempo. Una delle più grandi intuizioni di Astley, a differenza dei suoi colleghi, era stata quella di capitalizzare sul proprio passato militare, continuando ad ostentare la vecchia uniforme imponendola nell’immaginario. Quella del circo è anche una sfida continua al monopolio delle più antiche istituzioni teatrali: il rimedio era quello di influenzare il potere grazie al tipo di spettacoli patriottici o istruttivi che nessun altro tipo di teatro era in grado di garantire, grazie alla possibilità di unire cavalli, cascatori, mimi, musicisti, acrobati, macchinerie fiabesche, con l’unione provocatoria di scena prospettica all’italiana e spazio circolare coperto. Inoltre è ormai possibile un controllo legale sulla popolazione artistica di saltimbanchi e funamboli creata col vuoto delle fiere, che ora ha nel circo un luogo salubre e disciplinato. Gli anni ’80 del ’700 sono quelli in cui si afferma la natura del circo stabile come entità teatrale legittima e, come vedremo, di una sua prima identità artistica. A Londra, sia Astley che il Royal Circus attraversano continue trasformazioni scenotecniche ed architettoniche, diventando a cavallo dei due secoli le più belle e grandi sale di Londra assieme ai teatri di Drury Lane e Covent Garden16. Il repertorio (come anche quello del Royal) è sempre più drammatizzato, soprattutto come specchio dell’attualità militare (nel 1789 entrambi i circhi rivali producono la Presa della Bastiglia, Astley un anno dopo propone L’Assedio del Quebec), pur non abbandonando l’inserimento di numeri acrobatici e di varietà in pista; e in palcoscenico la produzione di elaborati spettacoli. Tali edifici, pur con un’attraente facciata e bei decori interni, fino ai primi decenni dell’800 sono in realtà tutt’altro che agevoli. Realizzati interamente in legno, spesso con materiali di fortuna, pur se coperti sono esposti a vento, pioggia, cattivi odori, crolli. E soprattutto gli incendi (le pantomime circensi impiegavano abbondante pirotecnica), che plasmeranno l’evoluzione continua dell’Anfiteatro Astley17. Quando nel 1793 l’Impero Britannico dichiara guerra alla Francia repubblicana, l’ormai cinquantenne Astley si riarruola per un periodo, diventando corrispondente di guerra: delega la direzione dell’anfiteatro, al figlio

105

Interno del Royal Circus, eretto a Londra nel 1779 (incisione di Anon, 1790. Coll. privata)

106

John (1868-1821). Questi, sviluppando un talento per regia e drammaturgia, rispecchia negli spettacoli i successi militari inglesi. Hughes nello stesso anno si trasferisce a S. Pietroburgo, chiamato dall’Imperatrice Caterina. 4.4 «Le pont équestre»: la legittimazione da Londra a Parigi A Parigi, Astley non era stato il primo cavallerizzo inglese. Di certo ottiene grande visibilità, quando può esibirsi nel 1774 nel Manége Razade del Duca di Sardegna, alle vecchie Tuileries. Abituatosi nel corso degli anni ad un terreno all’aperto presso il quartiere Temple, dove si recava quasi ogni inverno, è su questo sito che apre col figlio John un anfiteatro coperto. Il 16-101783 è inaugurato il primo circo sul continente: l’“Amphiteatre Anglois”, a

pianta rotonda, con due ordini di palchi e rischiarato da 2000 candele. Nel quartiere del Temple, in quegli anni iniziavano a sorgere i teatri acrobatici e mimici, e tutti gli spettacoli transfughi dalle fiere. Se a Londra Astley aveva risolto i problemi con la legge, anche a Parigi deve fare i conti con la concorrenza: Nicolet, che aveva l’esclusiva per gli spettacoli acrobatici, si ribella, quando gli inglesi vogliono aggiungere l’arte varia ai cavalli. Nel Natale 1786, con un episodio diventato storico, John Astley aggira la legge con il “pont équestre”: una piattaforma posta su otto cavalli per far esibire gli acrobati; specificando con sarcasmo sui manifesti: “con il permesso del re”. «Queste non erano azioni protettive di ingenui esponenti della cultura popolare che si difendeva dai sofisticati attacchi della borghesia. I circensi erano pronti sia a sovvertire la legge che a piegarla in loro favore, fosse contro concorrenti, dipendenti o autorità» [KWINT 2002]. Il “pont” è chiara metafora della transizione ormai inarrestabile del circo verso la vita teatrale legittima. È un’esigenza di tutte le forme teatrali minori che si reinventano con la crisi delle fiere, come vedremo quando negli anni ’10 e ’20 dell’800 il vero ponte sarà quello dei forains verso il boulevard, la culla di tutte le forme moderne di spettacolo. 4.5 Il clown arriva al circo Lo sketch equestre del sarto (4.1), sebbene sia il primo tentativo di comicità circense in una pista, non è ancora considerabile come padre del clown. Così come occasionale è la comicità in pista di un funambolo comico, tale Fortunelly, registrato nei primi anni presso Astley [BLI]. È invece alla prossimità di Astley con il mondo della pantomima che si deve l’importazione in pista del clown, come uno dei contagi tra i divertimenti equestri e quelli teatrali. Se il Sadler’s Wells, che aveva assorbito tutti i divertimenti fieristici, era spesso citato nei manifesti di Astley come fonte e modello teatrale per gli intrattenimenti acrobatici, è la fonte diretta anche per l’arrivo del personaggio comico. Nel 1780, Baptiste Dubois è il primo nome documentato di clown a introdurre questa maschera di pantomima nella pista del circo inglese: ma non è errato pensare che altri tra i suoi numerosi colleghi vi siano passati prima. Saltatore e danzatore di corda, Dubois a contatto con i cavalli di Astley si cimenta in un numero comico con un mulo ed aggiorna la versione della farsa del sarto con virtuosismi trasformistici: è innegabile che in questo contatto tra la comicità equestre e quella teatrale va cercata la scintilla dello specifico comico circense. La sua silhouette non era molto diversa da quella dei vari clowns di pantomima pre-grimaldiani: incrocio tra maschere italiane e rustici inglesi, con costume colorato, parrucca rossa e quel maquillage scimmiesco su

107

108

fondo bianco, che sui palcoscenici inglesi aveva ormai da tempo rimpiazzato la mezza maschera italiana d’origine. Anche personaggi più prestigiosi del mondo della pantomima, come i già ricordati Carlo Delpini (già incontrato come forse inventore stesso del clown teatrale) e Grimaldi padre, alla fine del ’700 si cimentano regolarmente come saltatori, maestri coreografi o direttori artistici al Royal Circus (cfr. 3.4). I due anfiteatri rivali sono ormai luoghi di lavoro stabilizzati che artisti di ogni tipo, dalla danza all’acrobatica, alternano alle tavole del Sadler’s Wells o del Drury Lane. Bisogna poi pensare che sia l’Astley’s che il Royal, provvisti di palcoscenico, presentavano regolari pantomime teatrali di repertorio a chiusura della serata, e quindi hanno a disposizione i clowns anche per allietare le “scene nel cerchio” equestri. Grazie ai clowns in pista, si riempivano i brevi vuoti necessari a cambiare o far riposare i cavalli: sia con variazioni buffonesche dei ruoli del servizio di pista (quali porgere la frusta al cavaliere o portare piccoli accessori alla danzatrice di corda, come già avveniva al Sadler’s Wells) oppure, cosa più interessante, con rapidi scambi di battute con il direttore di pista. Quest’ultimo, in gergo ringmaster, diventa un personaggio decisivo della drammaturgia circense, col ruolo di spiegare al pubblico le varie evoluzioni. Lo stesso Astley presentava da solo i propri numeri con descrizioni in rima. Il ruolo autoritario del ringmaster, che soprassiede allo spettacolo, lo rende naturale spalla dei primi clown parlatori, nel primo ’800 noti come Mr. Merryman. E sul continente? Con l’arrivo di Astley a Parigi nel 1774 è probabilmente presente lo sketch comico del “sarto”; e con l’apertura del suo Anfiteatro (1783) approda in Francia Billy Saunders: cavallerizzo e ammaestratore di cani che sa adattare i lazzi scenici alla pista e ai giochi equestri. Non sappiamo se Saunders fu proprio un clown, di quelli che già si esibivano con Astley. Forse no, a causa dei divieti, poiché Astley a Parigi può presentare esercizi equestri, ma non azioni teatrali né dialoghi: ed il clown era ancora un uomo di teatro prestato al circo. In Francia l’espressività vocale si afferma per epiteti, giochi di sillabe e piccole grida, nel gioco equivoco e incomprensibile al confine tra le lingue inglese e francese, come il «oeu-oue ae-oua?» («voulez-vous jouer avec moi?») di Saunders (la prima frase clownesca documentata). Perciò sul continente l’origine del clown resta legata al confine tra il cadere da cavallo e fare salti mortali a terra. Forse due clowns sono già nel programma parigino di Astley del 1786, in cui si annunciano “deux paillasses”, e forse, desumiamo da un volantino, Astley veste alcuni cavallerizzi da Pierrot. Ma per quasi un trentennio, nessuna vera traccia di clown oltre la Manica. Del resto, si susseguono la guerra del ’78-’83, la rivoluzione francese, le guerre napoleoniche contro l’impero inglese: e Astley rimane prudentemente alla larga. Negli stessi anni a Londra si ride di più:

nel 1800 sta debuttando al Sadler’s Wells il mitico Joe Grimaldi (il figlio di Giuseppe, cfr. nota 7 in 3.4), dando alla maschera del clown teatrale inglese maggior rilevanza nel repertorio di pantomima. E, grazie ai suoi emuli, rinforzandone la moda all’Astley’s e al Royal Circus. 4.6 «Spectacles mineurs» Con la rivoluzione francese, un decreto del 1789 permette finalmente a tutti i forains, acrobati e cavallerizzi, di agire in Parigi. Ma gli inglesi Astley devono abbandonare la città ed il loro anfiteatro. Se ne appropria un loro ex artista, Antonio Franconi (1737-1846), protetto da nobili di provincia e affiliato alla massoneria18. Ciò avviene nel 1791: anno di un decreto che liberalizzava i teatri, con l’effetto di rimescolare per una decina d’anni i generi e far aumentare le sale di spettacolo, nella già confusissima atmosfera post-rivoluzionaria. Franconi ribattezzerà il luogo come “Amphiteatre National” (1793)19. La sua è una programmazione ibrida tra spettacolo equestre e teatro di pantomima, pur senza ancora un vero palcoscenico. Fino ai primi dell’800, i programmi sono composti da: scene equestri a tema, “scene recitate nel maneggio” e “intermezzi”. In alcuni casi emergono già brevi pantomime di soggetto militare, o allusive nell’allegoria alle glorie repubblicane. I due figli di Franconi, J.G. Henri (1779-1832) e A. Laurent (1776-1849), ne sono gli animatori. Nei primi vent’anni il loro modello prende inizialmente forma tra sedi parigine provvisorie, terreni all’aperto, palcoscenici affermati, lunghe tournées in provincia e in Belgio. Fino a stabilirsi nel 1802 nel cortile del Convento dei Capucines dove ritengono di ostentare la loro appartenenza al mondo teatrale dando vita ad un precario “Théâtre de l’Equitation”20. Qui la tendenza a teatralizzare i numeri equestri si fa maggiore (come negli stessi anni a Londra). In genere è la cultura neoclassica ancora in voga che fornisce l’ispirazione, da “Ercole” a “Le Baccanti”. Stare in costume in piedi su un cavallo è una forma “legale” per avvicinarsi ai mondi di pantomima e danza. È da cercarsi in questa logica l’embrione di quelle che saranno le icone del romanticismo circense. Tutto avviene nel pieno di un periodo complicatissimo e intenso della vita teatrale parigina in cui tra leggi, generi ibridi, privilegi, si legano le origini del melodramma, della danza, della regia, della pantomima e del circo equestre nelle infinite variazioni scaturite dall’estinzione dei teatri di fiera. Ma le libertà hanno fine con le leggi teatrali del 1807. La legge non fa che ufficializzare la realtà quando suddivide le licenze tra quattro teatri privilégiés (sovvenzionati) e quattro secondaires (non sovvenzionati ma riconosciuti), ciascuno limitato ad un genere preciso, secondo complesse combinazioni tra musica, danza, pantomima, canto, arti equestri21. È in questo momen-

109

Una delle prime esibizioni a Parigi della troupe dei Franconi, probabilmente nel 1805 (incisione a colori di Carl Vernet)

110

to che nascono importanti espedienti alla base della vita teatrale moderna, dovuti anche alle pressioni restrittive dell’Opéra: Audinot escogita la pantomime dialoguée, Nicolet inventa i leitmotifs musicali per i suoi libretti acrobatici. Tutto il resto rientra nella categoria di spectacles mineurs, quelli che non hanno diritto a scene dialogate né alla musica: in cui rientra inizialmente il genere equestre dei Franconi. Nel 1807, (proprio l’anno del citato decreto) i Franconi si spostano nuovamente, e riescono a fondare un vero edificio organizzato, pur sempre

in legno. Essi abbandonano prudentemente le insegne a loro proibite di Théâtre o Amphitéâtre. Cercando una definizione “legale”, optano per quella di “Cirque-Olympique”: usando per primi sul continente la parola circo22. La necessaria tendenza alla teatralizzazione spinge i Franconi verso un’edilizia ed una programmazione simili a quelle dei circhi londinesi: e cioè la possibilità di alternanza tra pista e scena. Per un trentennio, essi rifletteranno il modello londinese di teatro-circo: sia dal punto di vista artistico che da quello architettonico. Ne interpreteranno puntualmente le tendenze, ma in una simbiosi completa con la vita teatrale parigina, i suoi protagonisti, le sue logiche23. Eretto in Rue Mont Thabor, il Cirque-Olympique non aveva nulla da invidiare ai nascenti templi della lirica, in un primo vero progetto edilizio, opera dell’architetto Bourla. L’imponente torre scenica ospita un palcoscenico a sette quinte, per pantomime e “pétites pièces”. Grazie all’estetica marziale dei suoi spettacoli, alla prossimità del mondo equestre con quello del potere militare, all’appartenenza alla massoneria, Franconi attua strategie di legittimazione non dissimili da quelle con le quali si era affermato Astley a Londra pochi decenni prima. Il momento politico ha un significato intensissimo, negli anni di ascesa e decadenza di Napoleone. Le pantomime e i singoli numeri se non sono di soggetto patriottico sono ricchi di esplicite allusioni alla gloria dell’imperatore da poco incoronato. Non sorprende quindi che il Cirque Olympique sia presto riconosciuto come teatro secondario (1811) trasformando Franconi da semplice entrepreneur de spectacle in directeur de théâtre. La licenza è per sola presentazione di mimodrames (ovvero pantomime equestri). Henri Franconi si afferma drammaturgo e regista, con la produzione di oltre cinquanta tra pantomime ed ippodrammi ogni anno, con titoli che spaziano da soggetti militari contemporanei al genere fiabesco e avventuroso (ma sempre allusivo all’attualità). Sia i teatri minori che i secondari, per garantire al pubblico un minimo di drammaturgia e trama, sono costretti a reimpostare completamente la formazione artistica: il mimo è l’unica risorsa di acrobati e cavallerizzi per emulare o plagiare, con il linguaggio loro consentito, i melodrammi e i balletti dell’Opera. Del resto, ballerini, cantanti e acrobati sono una stessa famiglia. L’orgoglio dinastico e il carattere internazionale a loro comuni si ritroveranno fino ad oggi in circo, danza e lirica: le tre forme moderne nate dalla scena post-rivoluzionaria. Nella necessità del raccontare senza parlare, la stilizzazione mimico-acrobatica è di certo una delle chiavi per la nascita della pantomima romantica e del balletto classico. Dall’iconografia di un’epoca stretta tra neoclassicismo e romanticismo, notiamo come le posture della danza di corda siano identiche a quelle poi trasmesse ai nascenti codici del

111

balletto. La tendenza teatrale alla stilizzazione riflette anche l’epoca della fisiognomica di Lavater, di Engels e della codificazione della messa in scena di Diderot. Sono le basi sulle quali in pochi decenni prenderà forma anche il mimo classico, con la definizione del Pierrot romantico.

112

4.7 Da Caterina di Russia a George Washington Da Londra e Parigi, in pochissimi anni il circo si sparge come una macchia d’olio: all’alba dell’800, ogni grande città del mondo avrà un proprio anfiteatro circense o ha almeno ospitato nella sua vita teatrale una compagnia equestre e acrobatica. A volte sono gli stessi precursori di Astley e Hughes, dopo l’emergere dei circhi londinesi dei loro allievi, ad esportare la forma: Price ne fonda uno in Danimarca (1795), ed altri ovunque, fino a Costantinopoli; Balp ne apre uno a Barcellona (1779). Dello stesso Astley si dice abbia fondato diciannove anfiteatri in Europa e nelle isole britanniche. Il modello londinese ispira anche la scuola equestre ispano-germanica, con due maestri spagnoli che diverranno alla fine del XVIII secolo i capiscuola del circo equestre nordeuropeo: Jean Porté (1740-1857), che dal 1775 circa diventa cavallerizzo di Maria Teresa, inizia a dare spettacoli equestri per poi fondare a Vienna un primo luogo circense con cavallerizzi, acrobati e clowns nel Mehlmarkt nel 1780; e Pierre Mahyeu, che giunge a Vienna nel 1790 e diventa cavallerizzo imperiale, essendo poi il maestro dei pionieri del circo austro-tedesco (Brillof, De Bach, Hinné). Sempre nel 1790 Hughes, che si era già recato a S. Pietroburgo, vi torna per vendere dei cavalli all’imperatrice Caterina e vi esporta la forma moderna dello spettacolo circense. Nell’America del Nord, con l’arrivo dei coloni inglesi o francesi, acrobati di fiera erano apparsi già dal 1724, e in seguito i primi spettacoli equestri: ciò sebbene la legislazione e il puritanesimo siano severissimi verso i saltimbanchi e girovaghi24. Altri iniziano ad aprire arene equestre provvisorie in legno, sempre nelle nascenti aree urbane tra Philadelphia, Boston e New York, finché nel 1774 un editto bandisce gli acrobati assieme ai combattimenti di galli e alle corse di cavalli e “ogni specie di stravaganza e dissipazione”. Dopo la rivoluzione, è a Thomas Poole che si deve il primo spettacolo con cavalli e clowns a Philadelphia (1785). C’è dunque un contesto pre-circense stabilito quando John Bill Ricketts, allievo di Hughes, giunge dalla Scozia nel 1792 portandosi dietro alcuni acrobati di fiera e apre una scuola di equitazione con spettacoli all’aperto annunciati come “circus”. George Washington ne è uno dei primi fans, e ama cavalcare con Ricketts. In un’evoluzione simile a quella londinese di Astley di un decennio prima, in pochi anni Ricketts apre circhi stabili in legno e tela a Philadelphia, New York, Boston e uno in muratura a Montreal, compiendo varie tournées nel

Nord Est25. Il suo esempio è seguito dallo sbarco in America di alcune compagnie equestri francesi da vari porti europei26.

Prime compagnie equestri negli Stati Uniti 1724 Primi acrobati di fiera 1785 Thomas Poole 1792 John Bill Ricketts ( e primo circo in America) 1796 Philippe Laislon 1806 Pepin (poi Pepin-Brentschard-Mariotini)

113

5. LA

SCENA, LA PISTA, LA GABBIA

5.1 Le glorie del Boulevard È il 1820. L’impero napoleonico è ormai un ricordo, e i Borboni sono sul trono di Francia; lungo il Boulevard du Temple, militari, servi, borghesi, malavitosi (è detto il “Boulevard du Crime”), affollano decine di teatri l’uno attaccato all’altro. È infatti qui che in pochi anni si fissano e sono legalizzati gli spettacoli popolari della fiera1. Agli acrobati di Nicolet (che diventa Théâtre de la Gaitè), e a quelli del Théâtre de la Porte St. Martin, si erano aggiunti nel 1815 il teatro della leggendaria funambola internazionale Madame Saqui (Marie Antoinette Lalane, 1777-1866) e poco prima il rivale Théâtre des Funambules (1813), presto tempio della pantomima: è qui che debutta Jean-Gaspard Debureau (nel 1825) “riformando” il personaggio del Pierrot, nell’atmosfera immortalata da Carné e Prévert nel film Amanti Perduti (Les Enfants du Paradis, 1945)2. Altro episodio importante, al Théâtre de la Porte St. Martin, è il debutto del balletto-pantomima Jocko (1825), per opera del divo della danza Mazurier. Jocko è l’atto di nascita, mondialmente esportato, dei vari numeri circensi di uomini-scimmia, uomini-rana, disloqués e contorsionisti [WINTER]. È in questo fervore, nel 1827, che sullo stesso Boulevard è inaugurato il più imponente degli edifici teatrali: la terza e definitiva sede del Cirque Olympique dei Franconi3. I mondi di danza e acrobazia restano vicinissimi. Dove i ginnasti non possono supplire al talento interpretativo, gli attori possono essere ingaggiati, purché non parlino: e, come nel caso ai Funambules, per entrare in scena camminino sulle mani o sulla fune. Frederick Lémaitre, il più grande attore dell’800 francese, esordisce sul palcoscenico del Cirque Olympique4. Il teatro acrobatico di Nicolet e Saqui o quello equestre di Franconi erano stili di una sola vita teatrale, di cui facevano parte l’opera e il dramma. Le facciate degli edifici, l’edilizia interna, la pubblicità, la struttura della compagnia circense erano solo forme diverse dell’offerta teatrale urbana. La stessa circolarità della pista, annessa ad una scena attrezzata perfettamente classica, a Parigi e a Londra non rispondeva ancora a uno specifico architettonico circolare, ma semplicemente un’intuizione di svuotamento rotondo della platea altrimenti a ferro di cavallo. 5.2 “Monsieur claune” Con la restaurazione borbonica, i mimodrammi del boulevard iniziano ad ingaggiare spesso clowns: come il teatro acrobatico dei Saqui che chiama

Part. da un ritratto del domatore-attore Isaac Van Amburgh con le sue belve (incisione, 1840 ca., coll. dell’autore)

115

Joe Grimaldi, innovatore della pantomima inglese nel primo ‘800, influì profondamente sul circo pur non essendovisi mai esibito. Nell’immagine, Grimaldi sulla scena del Sadler’s Wells attorno al 1820 (ill. da Dickens, cfr. bibliografia)

da Londra i fratelli Laurent, acrobati comici che introducono gli accessori truccati. Anche i Franconi avevano importato la novità: la nuova parola clown appare sul continente per la prima volta nel 1816, come “monsieur claune” indicato in una testimonianza del primo Cirque Olympique. Claude Gontard è forse il primo francese a ricoprirvi il ruolo. Il “padre” della clownerie Joe Grimaldi non giungerà mai in Francia; ma quando nel 1818 i Franconi possono riaprirsi al rapporto con Londra, e scritturano la troupe di Andrew Ducrow, il pubblico vi scopre i primi tre veri clowns “grimaldiani”5. L’Olympique mostra questo primo trio nelle due peculiari novità: in scena, con la pantomima con accessori (The Magic Tomb, 1819); e in pista, con la moda di brevi intermezzi tra le varie evoluzioni. Com’è questa comicità d’oltremanica? Pur nascendo dalla matrice comune della Commedia dell’Arte, la pantomima inglese riducendo il dialogo ne ha stilizzato i tipi; introducendo il clown ha trovato un efficace personaggio violento, meccanico, immediato, un passaggio obbligato tra i lazzi dialogati degli Arlecchini seicenteschi e lo slapstick muto del primo Chaplin. Dirà qualche decennio dopo un importante storico: «Il clown inglese […] ha rotto il bianco della maschera infarinata di Pierrot con due macchie rosse, due tagli sanguinanti: le stimmate della boxe e della ptisi inglesi» [LEROUX]. 5.3 Tra “scene nel cerchio” e “ippodrammi”: splendore e decadenza del teatro equestre. L’Olympique di Parigi (nelle sue tre sedi alternative) e l’Astley di Londra, dagli anni ’20 agli anni ’40 dell’800 presentano, grazie alle possibilità di scena e pista, le più disparate forme di spettacolo: la legge tollera più o meno la loro natura equivoca e parassitaria rispetto ai teatri drammatici e musicali. Di tutte queste forme, il vero contributo alla storia del circo è dato da quelle che erano annunciate come “scene nel cerchio”: ovvero la creazione di quelli che sono oggi i singoli “numeri”. Un grande apporto a ciò proviene da Andrew Ducrow (1793-1842). Cavallerizzo, mimo, ginnasta, attore drammatico, regista, drammaturgo manager, negli anni ’20 e ’30 a Londra ha un prestigio pari solo a quello del suo amico Kean. Ducrow è consacrato da trionfali tournées in Europa con una compagnia equestre (anche al Carcano di Milano nel 1821), e diverrà direttore dell’Astley’s (dal 1821 al 1841). In piedi sul dorso del cavallo, Ducrow poteva far sognare migliaia di persone diventando di volta in volta Ercole, incantatore cinese, gladiatore, capitano oscillante sulla propria nave… Quelle che prima erano esibizioni di virtuosismo diventano veri e propri piccoli “atti unici” a tema, generalmente ispirati all’arte figurativa classica o romantica, oppure all’attualità e alla vita popolare. Il Corriere di S. Pietroburgo, in cui l’artista controlla le redini di nove cavalli in piedi su due destrieri, è

117

118

ancora oggi un classico del circo. Così come le “statue viventi”. Ancor prima dell’arrivo di Ducrow a Parigi al Cirque Olympique (1818), anche i fratelli Franconi sviluppavano fantasia nella creazione di scene nel cerchio. Nei loro brevi numeri a tema spicca anche l’abilità di addestrare animali: da Le tre grazie, con le tre cavallerizze di famiglia; al Ponte Infernale, in cui si esibisce il cervo Coco; al cavallo pirotecnico, alle evoluzioni di Baba (il primo elefante forse mai presentato in un circo) a quadriglie equestri a tema. Essi inoltre scritturano i migliori funamboli e saltatori del tempo, e i primi clowns, contribuendo alla creazione del mito di Auriol (cfr. 8.3). Al di là delle scene “nel cerchio”, delle pantomime su scena o di qualche numero di acrobazia, le serate dell’Astley’s e dell’Olympique erano completate da un genere teatrale originale: il dramma equestre. Noto come hippodrama a Londra e mimodrame a Parigi, è un genere ricchissimo, dalla storia complicata e densa, che per certi versi esula da quella circense6. È una moda che dura meno di quarant’anni e che costituisce la più ampia e sofisticata forma di teatro popolare metropolitano a Londra e a Parigi. Tra il 1810 e il 1840, drammaturghi inglesi e francesi scrivono pièces per elefanti e i critici drammatici lodano la sensibilità attoriale di cavalli. A Parigi soltanto tra il 1807 e il 1848 risultano registrati duecentosessanta libretti, tuttora conservati. Il Cirque Olympique ne produceva almeno cinque a stagione. I drammi equestri, al contrario di quanto si pensa, si svolgevano sul palcoscenico e non in pista. Il collegamento con il maneggio era usato solo per cavalcate nei momenti più spettacolari. Quali erano i soggetti? Fiabesco, gotico, medioevale, avventuroso erano i generi preferiti, ma non rare erano versioni equestri di Shakespeare (mute) o del primo melodramma (privato del canto), con l’avanzare del romanticismo: Mazeppa (1831), scritto e messo in scena da Ducrow, resta una pietra miliare del teatro popolare inglese del XIX secolo. I temi bellici erano poi i preferiti (vista anche la genesi militare del circo equestre), e, come vedremo, legati intensamente alla cronaca imperiale quotidiana. Per i primi vent’anni di esistenza dei circhi stabili, questo genere non si impone. Poi, nel 1800, John Astley produce sul palcoscenico Quixote and Sancho; or, Arlequin Warrior. È una sorta di fiaba, in cui ad un certo punto dalle quinte sbucano due squadroni di cavalieri in armatura. Già vari anni prima i Franconi erano stati chiamati ad interpretare simili spettacoli sulle tavole di vari teatri parigini. Il genere diventa un successo. Nel 1807, il palcoscenico dell’Astley’s è potenziato con botole, ponti, pedane ed un’estensione rimovibile che occupa parte del maneggio per ospitare più cavalli in scena. John Astley inaugura la macchineria con il primo vero hippodrama: The Brave Cossack (1807). Anche il Royal Circus inizia a cimentarsi nel genere, che diventa la primaria occasione di concorrenza tra i due stabili londinesi. Ormai, dal decennio successivo, sia a Londra che a

Il “Boulevard du crime” (Boulevard du Temple) con i suoi teatri, minuziosamente ricostruito da Marcel Carné nel film Amanti perduti (Les Enfants du Paradis, 1945). L’ultimo edificio in fondo a sinistra è il Cirque Olympique

119

Pianta del terzo edificio del Cirque Olympique di Parigi. Il tratteggio tra la pista e la scena indica l’ampia rampa mobile per gli spostamenti di cavalieri e comparse. Coll. privata

120

Parigi nessun programma circense pare prescindere da almeno un paio di drammi equestri a stagione. La moda è tale che la consuetudine salva dalla bancarotta non pochi direttori di teatri “normali”: nel 1811 persino il Covent Garden inizia a presentare ippodrammi. Lo stesso accadrà col Drury Lane, accogliendo i cavalli sulle sacre tavole: con lo scandalo della critica per una tale «decadenza dell’arte drammatica». A Londra inoltre, nuove leggi favorevoli creano ulteriore impulso alla forma7. Nel 1818 un possente proscenio mobile estende le capacità dell’Astley’s; e solo molto tardi, con The Battle of Alma (1854) vi apparirà il primo spettacolo in cui i cavalli dalla scena scendono in pista. A Parigi, il Cirque Olympique nella sua prima sede eretta nel 1807 era stato il primo sul continente ad avere un palcoscenico. Ma è con la seconda sede (nell’ex-Astley ristrutturato, cfr. nota 3 in 5.1) che le possibilità sceniche crescono. Qui Henri Franconi rende il dramma equestre il più potente dispositivo di celebrazione della gloria repubblicana e poi dell’ascesa napoleonica, con titoli eloquenti (La Mort de Kléber, 1816; Poniatowski, 1819). Ma l’incontro della drammaturgia con la glorificazione dell’Impero è un fenomeno vastissimo che riguarda l’intero teatro francese. Con la fine di Napoleone, lo spirito celebrativo non è ostacolato dai Borboni (è lo stesso Luigi Filippo a riprendere la salma di Bonaparte da S. Elena per seppellirla agli Invalides). Il mito dell’effimero trionfo napoleonico continua ad essere celebrato per anni, come un’affermazione di identità nazionale. Con il terzo Cirque Olympique sul Boulevard (1827-1847), l’inarrivabile macchineria fa raggiungere al dramma equestre l’apice storico. Per i Franconi, la glorificazione della mitologia militare francese si rivela quasi lo scopo primario del circo. Le autorità sono attentissime alla capacità del circo nel contribuire alla formazione della coscienza patriottica come pochissime altre forme: come altro si potevano illustrare il proprio prestigio e le proprie conquiste ad oltre duemila analfabeti ogni sera? Lo spirito è tanto grandioso quanto decadente, nel celebrare glorie ormai passate. Le redini creative passano alla terza generazione dei Franconi con Adolphe (1802-1855, figlio di Henri), che si affianca al drammaturgo Ferdinand Laloue. La vetta è forse L’Empereur (1830): un vero e proprio poema epico in cui in cinque atti e diciotto quadri è ricostruita l’intera vita di Napoleone. Ma oltre alla nostalgia delle glorie passate, non manca l’attualità.

Quando, negli anni dopo il 1820, era stato il momento di celebrare l’esercito francese vittorioso con i Borboni contro le insurrezioni di Spagna, l’occasione aveva stimolato decine di opere (da Les Pyrenées a Le Siége de Saragoza). Al Cirque Olympique, che in alcune sere poteva essere gremito di soli militari, era suonata La Marsigliese ogni sera, e le comparse che interpretavano i nemici erano pagate il doppio per dover sopportare fischi e ingiurie. In seguito anche i trionfi degli assedii coloniali trovano spazio al circo, sia a Parigi (Les Massacres de Syrie, con la supervisione stessa di Napoleone III, La Prise de Pekin), che a Londra (Storming and Capture of Dehli; The Battle of Afghanistan; Fall of Karthoum). Fino agli anni ’40, per Théophile Gautier è questa la vera “opera del popolo”: «Attori a due piedi, attori a quattro piedi, i soldati, i colpi di fucile, la polvere, i volteggi: ecco il circo detto Olimpico» [GAUTIER]. 5.4 L’opera del popolo Qual è la forma dello spettacolo circense a Londra e a Parigi nei primi decenni dell’800? Intanto l’architettura dei suoi luoghi aveva raggiunto livelli impressionanti. Già nel 1804 la terza ricostruzione dell’Anfiteatro Astley a Londra (sebbene con un tetto ancora precario) aveva duemilacinquecento posti, tre ordini di palchi, il palcoscenico più ampio di tutti i teatri inglesi, una facciata in muratura. Tra la pista e la scena vi era una fossa per l’orchestra, affiancata ai lati da due grandi porte. Sia all’Astley’s che al Royal Circus lo spettacolo iniziava alle sei e trenta della sera. Era aperto dall’ippodramma sul palcoscenico, diviso in circa cinque atti, che il pubblico ammirava dai palchetti. Nel corso delle ultime scene, alle otto e trenta, un pubblico numeroso era ammesso a metà prezzo e ospitato in piedi nella pista. Al calare del sipario, questo pubblico era fatto accomodare in palcoscenico; la pista era pulita dalle numerose bucce di arancia ed avevano inizio le “scene nel cerchio”, per non oltre quarantacinque minuti. Si trattava di qualche acrobata o equilibrista, e di almeno un buon quadro di quelle evoluzioni equestri che avevano fondato lo spettacolo nel ventennio precedente: come le creazioni di Ducrow, o gli sketches equestri comici, o qualche immancabile bambino prodigio in piedi sul cavallo. In seguito, il pubblico in piedi tornava ad occupare la pista ed il sipario si riapriva nuovamente per l’afterpiece: una pantomima, un balletto o un melodramma (che impiegava specialisti di questi generi, ma poteva integrare anche alcuni degli artisti circensi). Ovviamente chi a prezzo pieno aveva occupato gli ordini di palchi ed il loggione non era costretto a muoversi. In totale era un divertimento di oltre sei ore, la cui multidisciplinarietà intensificava i legami estetici e professionali tra mondo degli acrobati, dei cavallerizzi, del teatro musicale e di quello drammatico.

121

Il pubblico assiste dal proscenio alle “scene nel cerchio”: Andrew Ducrow in The Wild Indian Hunter all’Astley’s. Londra, 1825 (Part. da una stampa a colori di T. Lane, coll. privata)

122

Il modello di spettacolo e di luogo si sviluppa in modo molto simile a Parigi. Quando si stabilizza nel 1827 sul Boulevard, il Cirque Olympique ormai imponente si dota di uno spettacolare proscenio estensibile per ospitare più cavalli in palcoscenico. A differenza che a Londra, le “scene nel cerchio” aprivano il programma, mentre il palcoscenico era occupato dall’orchestra. Rispetto agli spettacoli dell’Astley’s, quelli del Cirque Olympique erano più ricchi in numeri equestri veri e propri, grazie anche al virtuosismo della numerosa famiglia Franconi. Ugualmente erano presenti in pista esibizioni di mimi, acrobati e dei primi clowns, spesso provenienti da Londra. A differenza che a Londra, certi numeri erano presentati sul palcoscenico (giocolieri, acrobati, illusionisti) e definiti “intermezzi”. Dopo le scene in pista o gli “intermezzi”, l’orchestra scendeva nella pista. Questa era trasformata con l’allungamento del proscenio e due grandi rampe che, ai lati dei musicisti, legavano pista e scena. L’ippodramma aveva inizio: qualunque fosse l’argomento, all’alzarsi del sipario una parata di suonatori di tamburi a cavallo scendeva dal palco per risalire dal lato opposto Seguivano poi “scene marziali sul palco”, a cavallo o mimiche, impiegando fino a 600 comparse. Finalmente, l’arrivo del nemico era causa di spettacolari inseguimenti tra pista e scena, ricchi di fuochi di bengala ed altri effetti spesso pericolosi, finché un tableau patriottico finale chiudeva la recita.

Il primo tentativo di collegare pista e scena: ippodramma patriottico The Battle of the Alma all’Astley’s (direzione Cooke). Londra, 1854

123

L’utopia teatrale di direttori come Andrew Ducrow o Laurent Franconi figlio deve avere necessariamente fine. A Londra l’anfiteatro Astley’s è distrutto dal fuoco nel 1841 durante una recita, e dopo poco il direttore Ducrow morirà pazzo. L’Astley’s sarà ricostruito, e nei suoi ultimi decenni privilegia i numeri nella pista rispetto alle costose pantomime sceniche8. A Parigi, gli allestimenti del pur gremito Cirque Olympique tendono a superare quelli dell’Opera, fino al fallimento in pochissimi anni: Adolphe Franconi spendeva centomila franchi per una produzione e ne aveva duemila di spese quotidiane. Nel 1836 la gestione è presa direttamente dal proprietario del terreno. Questi è un ex macellaio, Louis Dejean (1792-1870): un uomo che dall’occasionale affare edilizio passa ad un reale interesse per l’arte emergente del circo, e che nei decenni seguenti è destinato a trasformare il circo europeo nello stile classico come lo conosciamo oggi (per il Thétard «il più grande direttore circense che la Francia abbia mai conosciuto»)9. Egli mantiene il giovane Franconi come “direttore equestre” e il drammaturgo Laloue come “autore residente” e direttore artistico. Ma il dramma equestre è sempre più costoso e meno popolare, ed il Cirque Olympique va più verso il teatro puro che il circo: in alcuni casi Dejean riempie la pista di sedie per presentare sulla scena i drammi di Hugo. Il circo è venduto nel 1847, divenendo un teatro di genere ibrido10. Poi è demolito con l’intero Boulevard du Crime, quando nel 1862 il piano urbanistico del Barone Hausmann spazza via uno dei capitoli più esaltanti della storia dello spettacolo mondiale. Per compensare ai parigini la perdita degli ultimi ippodrammi, è appositamente eretto il Théâtre du Chatêlet: ma questo, come si sa, diverrà in breve uno dei templi mondiali del teatro musicale. Chi oggi attraversa il traffico dell’attuale Place de la République, può per un istante tornare indietro nel tempo, ed immaginarvi il Boulevard: in un solo colpo d’occhio la parade del Pierrot Debureau, i funamboli di Saqui e, immaginando l’imponente facciata, dietro di essa le fragorose pantomime equestri del Cirque Olympique.

124

5.5 Zoologia nelle baracche Anton Van Aken (1784-1868) era figlio di un commerciante di animali, il quale nel 1791 aveva aperto a Rotterdam una piccola impresa viaggiante: un’intera collezione ambulante di animali esotici. Un giovanotto marsigliese, Henri Martin (1793-1882), ex-cavallerizzo formatosi in Italia presso la compagnia Guillaume aveva chiesto ad Anton di lavorarvi come guardiano in un momento di sfortuna. Durante il Natale 1819, i Van Aken sono a Norimberga. Martin dinanzi ai visitatori entra nella gabbia di una tigre di quattro anni, Atir. Vi resta alcuni minuti, poi esce illeso. Nelle settimane successive, Martin torna nella gabbia di Atir: le insegna a sedersi, alzarsi, ed

altri semplici movimenti. Apparentemente, sembra sia il primo di tali incontri nella storia [PICHOT]. O forse fu preceduto di qualche anno da un tal “Manchester Jack”, guardiano nella ménagerie11 ambulante inglese di George Wombwell. Questi si sedeva sul leone Nero e gli infilava la testa tra le fauci. E ancora, nel 1825, sempre in Inghilterra, i visitatori inglesi della ménagerie Atkin’s si trovarono di fronte ad un brivido nuovo: un guardiano entrava nel vagone contenente la tigre e il leone, li accarezzava, riusciva a far passare l’uno e l’altro attraverso un cerchio, infilava la testa nella bocca del leone e infine si sdraiava a terra con le due belve «come tre bambini giocherelloni». In realtà tali occasioni di brivido erano gradualmente iniziate già da almeno un secolo: l’origine del domatore di professione sta nelle occasionali entrate in gabbia dei custodi, che diventavano facilmente dei personaggi. Il mostratore occasionale di animali esotici era esistito da sempre. Se nel Seicento iniziano ad apparire baracche di fiera a pagamento per la “mostra” di un singolo animale, è dopo il 1750 che la mostra itinerante o fissa di animali esotici diviene una forma regolare degli spettacoli popolari, intesa con supporti regolari quali i manifesti pubblicitari o il pagamento di un biglietto12. Principali responsabili sono mercanti-mostratori olandesi e inglesi, che offrivano ai sovrani animali da Indie, Oceania o Africa. Oppure li vendevano a esibitori francesi e dell’Italia del Nord, sovente famiglie di acrobati e burattinai: la dicitura ménagerie risulta usata la prima volta nel 1776 per la mostra ambulante di animali di François-Paul Nicolet (fratello del celebre impresario del teatro acrobatico parigino). Tra i pionieri della ménagerie negli stessi anni vi sono famiglie piemontesi o della Savoia, quali Antonio Alpi (dal 1784) o Benedetto Advinent; pionieri stessi del circo equestre come il veneto Antonio Franconi o Jacques Tourniaire iniziano come mostratori di animali. Le loro “collezioni” raramente superavano la decina di esemplari: un elefante, un coccodrillo, un leone ed una tigre; e rarità del momento come il leopardo, il canguro, l’istrice o qualche strano plantigrado. Essi si muovevano dall’Italia alla Gran Bretagna, con particolare successo in Germania. Questi animali passavano la loro intera esistenza in strette casse, con penose condizioni di trasporto.

La ménagerie al chiuso Cross, presso Exeter Change a Londra (1810 ca.) la più importante raccolta di animali vivi prima dell’invenzione di zoo e serragli ambulanti. Sullo sfondo, la gabbia con l’elefantessa Kiouny, che sarà la prima ad essere mostrata in un circo (cfr. 5.6). Stampa, coll. privata

125

Il primo Ottocento favorisce la volgarizzazione degli animali esotici: l’esplosione della scienza divulgata; il naturalismo nelle belle arti, nella letteratura e sulla scena; l’apertura dei musei e delle società scientifiche; la complicità tra capitani di navi e girovaghi di fiera; il consolidamento del colonialismo come elemento patriottico di identità. Negli ultimi anni del ’700 c’è una nuova sensibilità verso il mondo animale, anche di tipo protezionistico, e spariscono del tutto i combattimenti e gli spettacoli cruenti13. Ma fino a metà ’800 non esiste il concetto di zoo pubblico. A partire da modelli settecenteschi ancora di corte come il Belvedere di Vienna, nascono i giardini

Uno dei primi zoo ambulanti in una incisione tratta da una tela ad olio di Paul Meyerheim, Ménagerie, 1846 (coll. dell’autore)

126

zoologici che diverranno un dispositivo-chiave del tempo libero borghese, parallelo all’utopia scientifica di classificazione e controllo della natura. Il nome “Zoological Garden” (con il suo diminutivo “zoo”), appare per la prima volta a Londra nel 1828, con il concetto di parco inaugurato dalla neonata Società Zoologica. E alle origini dei primi zoo inglesi vi sono spesso operatori di ménageries viaggianti. Fino a quel tempo, l’esposizione pubblica di animali era legata allo sfruttamento commerciale delle ménagerie private o pubbliche urbane americane ed europee, di cui la più antica era quella londinese di Exeter Change, sullo Strand. Si trattava di edifici al chiuso, con anguste gabbie in stanzoni o corridoi, la cui diffusione coincideva con i

divieti di esibire animali per strada. Anche Van Aken aveva una simile struttura fissa a Rotterdam. È anche sul modello imprenditoriale di tali strutture fisse che le ménageries itineranti iniziano a sviluppare le loro baracche. Con l’estinguersi degli appuntamenti fieristici, i mostratori emulano il modello urbano della collezione zoologica e danno origine a mostre ambulanti: casse e grate (da metà ’800 carri-gabbia) sono disposti in un quadrato coperto da un tetto di tela, offrendo al pubblico la vista degli animali e, in orari stabiliti, il privilegio di vederli mangiare. Siamo ancora lontani da un vero mercato regolare di importazione di animali. Gli imprenditori si basano sulle offerte occasionali che arrivano da navi mercantili che approdano nell’area di New York, ad Amburgo o nel Tamigi. È forse per questo che le prime ménageries ambulanti, che appaiono tutte dopo il 1820, sono inglesi, tedesche, olandesi e americane14. È al porto di Rotterdam che nel 1791 ha origine quella citata dei Van Aken, forse la più antica. Quella ancor più grande e prestigiosa di George Wombwell, esordisce nel 1808 con due serpenti comperati per caso al porto di Londra15. Seeth Howe, tra i primi negli Usa, era in contatto con mercanti inglesi. In America, la prima ménagerie esistente esibisce nel 1813 un leone, una tigre e una mangusta. Inizialmente le “collezioni” sono modeste (l’industria regolare della cattura di animali selvaggi si consoliderà solo dopo il 1860), ma il business è rapido: già nel 1820 negli Stati dell’Est americano girano una trentina di ménageries. Nel 1835 vi è negli Usa un primo grande assetto industriale pre-circense, con la fusione monopolistica di 13 ménageries sotto in un vero e proprio trust (nato dal nucleo della prima impresa storica, quella di Titus, June e Angevine): con il titolo rassicurante di “Zoological Institute” nascono varie unità che controllano ormai il mercato. La più grande si sposta con trentasette carri –gabbia che, disposti in tre tende, ospitano diecimila visitatori al giorno. L’America è un giovane paese, che pone un alto valore sul bisogno di conoscenza16. Il fenomeno dei serragli ambulanti durerà circa un secolo per poi sfociare nella conseguenza più logica: la fusione con i circhi equestri, prima negli Usa (nel periodo1870-80), poi in Europa (attorno al 1910). Nel frattempo il primo beniamino del circo è l’elefante. In America, gli esibitori di singoli elefanti sono popolarissimi già dalla fine del ’700. Il primo a esibirsi in un circo è forse a Parigi l’elefante Baba, che nel 1816 compie semplici esercizi al Cirque-Olympique. La moda degli elefanti sapienti si diffonde ovunque, ma sono sempre esemplari solitari. Bisogna aspettare il 1852, quando all’Astley’s un gruppo di elefanti (probabilmente due) “corrono attorno al cerchio come cavalli” sfruttando lo spazio circense17. Solo più tardi si vedranno le belve in pista: il loro arrivo è preceduto da un curioso fenome-

127

Henri Martin, considerato il primo domatore, a Parigi, sul palcoscenico del Cirque Olympique interpreta Les Lyons de Mysore. Si noti la griglia che separa la scena dalla platea. ill. da “Le Monde Dramatique”, 1830. Coll. dell’autore

128

no teatrale, che è un passaggio significativo dalla “mostra” della ménagerie verso una spettacolarità circense. 5.6 Il teatro delle belve Parigi, 1829. Sul palcoscenico del Cirque Olympique la duchessa De Berry omaggia con frutti e dolci M.lle D’Jeck, la protagonista della pantomima in tre atti L’Éléphant du Roi du Siam, di Léopold Chaudezon e Ferdinand Laloue. L’indomani, l’attrice posava per grandi illustratori. Se avesse potuto leggere i giornali, avrebbe esultato alle lodi dei più eminenti critici per la sua interpretazione. Lo stesso accadeva poco dopo alla sua collega Kiouny. Ma sia M.lle D’Jeck, che nella piéce si sedeva a tavola, ordinava le portate con un campanello; e Kiouny, che salvava il padrone dai pirati e ne recuperava

la corona dalla testa del cattivo, erano delle elefantesse18. Djeck era stata addestrata dal proprietario di ménagerie Huguet de Massilia. Kiouny era una popolare protagonista della Cross’s Ménagerie stabile di Exter Change a Londra, ed era stata già iniziata alla scena nientemeno che al Covent Garden, per la pantomima Harlequin and Padmanaba. La breve moda dei drammi per animali fu uno dei fenomeni più stravaganti dell’intera storia del teatro, ancora poco studiato19. Ma fu alle origini di una forte componente identitaria dello spettacolo circense: la figura e l’estetica del domatore. Nel 1830, un anno dopo il successo di D’Jeck, giunge a Parigi il serraglio di Henri Martin: l’ex custode dei Van Aken (cfr. 5.5), si era messo in proprio nel 1829, sviluppando reali competenze in zoologia. Notato dai Franconi a Parigi, gli è offerta una proposta incredibile: il libretto per recitare una pantomima con belve, Les Lyons de Mysore, al Cirque Olympique. Sul palcoscenico, una griglia metallica “trasparente” separava animali e attori, con cambi di scenari dipinti, una ricca compagnia mimica e splendidi costumi. In fuga da un malvagio emiro che attenta alla figlia, il protagonista attraversa una giungla con elefanti, lama, canguri e pellicani, si addormenta con un leone, salva i figli dalle spire di due pitoni: e, mentre l’emiro è impegnato in una caccia alla tigre, si trova infine catturato e gettato con un pugnale contro un leone che alla fine sottomette. Lo spettacolo pochi mesi dopo è importato all’ Astley’s a Londra. Qui Martin è alla sera attore-domatore, e durante il giorno imprenditore: approfitta infatti del soggiorno londinese per sfidare con la sua ménagerie francese quella locale di Atkin. Negli anni seguenti le pantomime per elefanti o per belve si moltiplicano sulle scene parigine, britanniche e newyorkesi. La moda dei lion dramas esplode, complice un altro fenomeno: l’arrivo di ménageries americane in Europa con i loro domatori. La tendenza, non a caso parallela all’arrivo di circhi equestri e cavallerizzi statunitensi, potrebbe essere spiegabile con la crisi economica americana del 1837 cui segue una grave depressione20. Fatto sta che nel 1838 giunge al porto di Londra la grande ménagerie di un altro exguardiano di animali, l’americano Isaac Van Amburgh (1808-1865). Sugli echi della nuova moda parigina, questi aveva debuttato a New York in teatro con i leoni nel 1833. Ducrow, direttore dell’Astley’s, lo ingaggia con le sue belve come protagonista di The Brute Tamer of Pompei nel 1838. In seguito assieme allo stesso Ducrow si esibirà con le sue belve in Charlemagne sulle tavole sacre del Drury Lane, poi a Parigi in La fille de l’émir (1839). A Van Amburgh sono dedicati quadri, stampe, oggetti: la regina Vittoria, che nei propri diari ne descrive la dimestichezza con le belve, si recò sette volte a visitarlo21. Nello stesso 1838 del debutto di Van Amburgh a Londra, si afferma a Londra un altro sensazionale domatore-attore, James Carter (1812-1847). La

129

130

sua carriera è quella usuale: era ex guardiano alla ménagerie Wombwell. Lo ingaggia Batty, il nuovo direttore dell’Astley’s, in Afghar the Lion King; gli effetti sono ancor più sensazionali, con il protagonista che sul carro trainato da un leone percorre montagne di cartapesta, con belve in libertà tra gli attori e lotta con un leopardo. A Parigi, in Les Lyons du Désert, Carter introdurrà l’icona del costume in pelle di leopardo22. Il soggetto dei lion dramas restava invariabilmente quello di un eroe classico punito da nemici malvagi (quasi sempre spietati orientali o “infedeli”) che, gettato alle belve, riusciva ad ammansirle trionfando. In questo periodo dell’“arte domitoria”, siamo ancora lontani dall’estetica del pericolo e della frusta, e ancora di più da quella novecentesca di far compiere “esercizi” agli animali. L’enfasi è sulla mansuetudine miracolosa, secondo il simbolismo mitologico o biblico: non a caso Van Amburgh mostrava un agnello tra i leoni. Il gusto romantico per la natura selvaggia influenzava tutte le arti, nella contemplazione dell’estraneo e dell’altrove. Si domina ciò che è selvaggio, senza paura per il domatore la cui “supremazia morale” ha il sereno controllo sull’essere bruto. Ad esempio la regina Vittoria chiede a Van Amburgh se è possibile invitare i leoni a cena a palazzo: cosa impensabile pochi decenni dopo, con il gusto della ferocia fin de siécle. E Sua Maestà chiede anche di poter assistere al loro nutrimento, per vedere l’istinto selvaggio, assente nello spettacolo23. L’atto emblematico di introdurre la testa nelle fauci (introdotto da Van Amburgh già ai suoi esordi) testimonia il raggiungimento di una pacifica supremazia sulla brutalità. La belva è domata in un “prima” invisibile: al pari dell’uomo, essa “interpreta” un sé selvaggio tra palme di cartone. La simulazione della lotta tra uomo e belva nella giungla dei palcoscenici è la stessa finzione che operano i guardiani di ménagerie per i visitatori. È pura arte drammatica, secondo osservatori attenti come Gautier; o nelle frequenti cronache in cui si confrontano le doti di controllo di Carter e Van Amburgh, quando i due rivaleggiano nel 1839, prima a Parigi poi a Londra, di giorno nelle loro ménagerie e di sera sui palcoscenici. Ci si spinge a dire che Van Amburgh «ha aperto un nuovo campo d’indagine per il filosofo ed il metafisico; e lo stesso naturalista può notarvi un’impresa di supremazia che neanche Ercole stesso avrebbe superato»24. Martin, Van Amburgh e Carter fanno pensare più alla dimestichezza di Tarzan che alla suspence di un domatore circense moderno25. Solo decenni dopo, negli anni del naturalismo e del verismo, appariranno la frusta, l’uniforme, si cercheranno i ruggiti e si aggiungerà il sangue in gabbia alla mitologia del domatore, in una nuova drammaturgia romantica del serraglio. E con il declino dei circhi-teatro, finirà anche la moda dei lion dramas. Nella seconda metà dell’800, le belve passeranno dal palcoscenico alla pista con l’uso delle gabbie. Gradualmente, scompaiono anche le ménageries

fisse urbane. Ad un ritmo costante, in settant’anni sorgeranno i grandi zoo del mondo, nei quali resterà sempre incerto il confine tra finalità scientifica e business del divertimento: forme istituzionali di svago a pagamento, per nulla dissimili nel funzionamento sociale dai mostratori di animali nelle fiere. Lo zoo celebra il progresso della borghesia illuminata nel mondo; tra i suoi viali e le sue gabbie si esaltano l’ottimismo, il potere e l’ambizione collettivi di una nuova élite borghese, proprio come lo zoo settecentesco esaltava il potere personale della vecchia aristocrazia. Dal gusto per la curiosità si passa verso l’ambizione pre-barnumiana per l’“istruire e divertire” il maggiore numero di persone. Funzione degli zoo e dei circhi è anche fornire una forma di sicurezza nella repressione e nel controllo del potenziale pericolo rappresentato dal selvaggio. Se gli elefanti colpiscono pubblico e cronache per la loro docilità, sono invece causa di frequenti incidenti, e la loro fine è quasi sempre cruenta. Per tutta la prima metà dell’800 sia in America che in Europa sono frequentissime le cause di elefanti abbattuti perché “impazziti” (in realtà maschi irrequieti). Kiouny, esaurita la sua funzione di stella del teatro, torna ad essere esposta a Londra nella sua gabbia di un corridoio di Exeter Change; forse non vi si riadatta del tutto, ed è abbattuta nel 1826 da centocinquantadue fucilate. Anche la mansueta D’Jeck nel 1837 a Ginevra sarà ammazzata con un cannone “per la sua estrema violenza”.

131

6. IL

TRIONFO DEL CERCHIO (1825-1850)

6.1 Dal Prater agli Champs-Elysées: il circo stabile rotondo Le spese folli delle produzioni teatrali equestri, dal 1820 creano una crisi finanziaria cronica: a Londra il Royal Circus fallisce, Astley’s sopravvive con un nuovo proprietario ogni dieci anni; il Cirque Olympique a Parigi sotto varie gestioni è in continuo deficit. La tendenza al melodramma e al grand spectacle popolare sarà destinata ad esprimersi in altre forme nella vita teatrale: il circo, già privato della parola, per sopravvivere deve accantonare palcoscenico e drammaturgia. La sua vera risorsa è quella della pista pura (cosa peraltro già consolidata dalle esigenze di tournée), a favore della sequenza di “scene nel cerchio”, con l’abbandono del palcoscenico annesso. Dopo l’era dei circhi-teatro, nei primi decenni dell’800 emerge il modello del circo in muratura completamente rotondo. Le ragioni si legano alle strategie di qualificazione dei nuovi parchi urbani delle capitali europee (luoghi di passeggio e tempo libero); ai nuovi progetti urbanistico-monumentali delle capitali imperiali in piena rinascita; allo sviluppo di un nuovo pubblico borghese. Il periodo corrisponde anche all’emancipazione dell’arte equestre e acrobatica dalle logiche del teatro. Dal primato pionieristico londinese la centralità passa a Parigi, culminando nel periodo 1840-1860. Ma un ruolo non minore è svolto per tutto il secolo da Vienna e Berlino. Pioniere dell’edificio rotondo fu nel 1807 a Vienna il Circus Gymnasticus eretto dal cavallerizzo Cristoph De Bach nel parco del Prater1. L’influenza parigina era chiara: il nome Circo solo da pochi mesi era stato usato per la prima volta sul continente dai Franconi a Parigi, per la prima sede del Cirque Olympique. Ma è a Vienna che indica per la prima volta un’arena coperta rotonda, senza teatro: molto più simile al citato Hetz Amphiteater, demolito proprio a Vienna da pochi anni, che non al modello parigino. Il Circus Gymnasticus (la cui pianta poligonale ricordava il Globe Theatre) può accogliere a Vienna tremila persone ed ha scuderie per cinquanta cavalli, visibili tutto il giorno agli amatori: il Prater, già tenuta di caccia, era stato trasformato di recente in parco pubblico2. Un contesto simile è quello degli Champs-Elysées parigini da dove più tardi, negli anni 1840, scaturisce il vero rinnovamento del circo. Quando nel 1836 Dejean aveva acquistato il Cirque Olympique (5.4), rilevava dai Franconi anche una licenza per svolgere spettacoli estivi nei parchi degli Champs-Elysées. Questo parco-viale stava diventando luogo di passeggio e

Immagine del circo ambulante Althoff nella prima metà del sec. XIX. Part. dalla tavola Hinter den Coulissen, n.18 della serie Cirkus-Bilder di H.Lang (eliografia, 1879, coll. dell’autore)

133

134

divertimento per un pubblico borghese non abituato agli spettacoli popolari dei Franconi, e dopo la rivoluzione vi rinasceva la vita elegante. La nozione di circo era nuova soprattutto per una classe che non frequentava troppo il poco raccomandabile Boulevard du Temple. Dejean erige dunque nel 1838 sugli Champs un accogliente padiglione di legno e tela, senza palco o pantomime, presentandovi solo numeri puri: la formula ha successo, e molto più dei costosi spettacoli al Cirque Olympique. Dopo la crisi e la vendita dell’Olympique (1847), Dejean alterna il padiglione estivo a tournées invernali di compagnie equestri all’estero: ma resta però senza un vero circo. L’idea è perciò quella di trasformare in edificio la struttura precaria degli Champs-Elysées. Era il momento adatto: un nuovo pubblico sensibile ai cavalli e ai giochi ginnici; un nuovo quartiere in piena fase di abbellimento, in cui comparivano già altri spettacoli all’aperto e baracche di attrazioni (potenziali concorrenti). La costruzione è consentita dalle autorità solo a due condizioni, a salvaguardia dei teatri privilegiati: che la stagione resti solo quella estiva; e che non si tratti di un teatro-circo con palcoscenico (che esiste ancora, nel pur decaduto Olympique). In questo modo, nel 1841 il “Cirque des Champs-Elysées” passa alla storia come il primo caso di un edificio circense in cui l’architettura rispetta perfettamente la forma del luogo scenico, cioè la pista circolare3. Dejean, per favorire la propria licenza, sceglie abilmente come architetto C. H. Hittorf: lo stesso già incaricato della sistemazione urbanistica degli Champs-Elysées. Questi, conoscitore attento del mondo antico, si ispira a elementi costruttivi greci e romani e alla policromia di statue e templi dell’antichità. Capace di seimila posti, il circo sostituisce agli ordini di palchi teatrali, cari ad Astley e Franconi, una vera e propria gradinata, che Hittorf concepisce dallo studio del teatro antico di Taormina: dalla divisione sociale dei palchi dell’epoca imperiale, alla prospettiva repubblicana di una platea unita democraticamente come nella polis greca. Se prima il circo si assimilava al mondo teatrale, ora pur condividendone il pubblico esso sembra conquistarsi un’identità distante, sia per necessità che per naturale vocazione. Si svolge in una stagione diversa; ormai priva del palcoscenico, la pista è circondata da ogni lato; con il divieto di scene drammatiche o dialogate (il clown è ancora muto) il concetto di “numero” singolo prende sempre più forma. Inoltre, se la più grande conquista del teatro di quest’epoca è l’uso del buio, qui la platea resta invece illuminata per tutto lo spettacolo: con un cerchio di sedici lampadari più uno monumentale al centro, e il moderno gas che rimpiazza le candele dei tempi di Franconi. Ma non è forse il vedere ed esser visti una delle più grandi seduzioni dell’arena circolare, quando il circo diventa lo specchio di una società europea nuova e vivace? Sebbene aperto al popolo, questo circo ospita nelle

serate di Mercoledì e Sabato un pubblico molto preciso fatto di gente legata all’equitazione sportiva e professionale: ufficiali, membri del Jockey Club, bookmakers, spettatrici delle corse, nobili abituati da generazioni a passeggiare a cavallo lungo le Tuileries. Gli anni di Byron e di Shelley, di Hugo e di Schiller, non lasciano fuori della pista la sensibilità romantica, con il mito e il divismo delle prime cavallerizze, le “Taglioni equestri”. È nella pista del circo sugli Champs-Elysées che sarà codificata l’arte equestre moderna, e consacrato François Baucher, pilastro della storia del-

Il Circus Gymnasticus, (1807) primo circo stabile rotondo senza teatro annesso. Prater di Vienna (incisione dell’epoca)

l’equitazione (cfr. 8.1). Far la corte alle cavallerizze diventa uno sport a sé. L’architettura a vomitori che unisce pista e gradinata, crea nei corridoi interni una frizzante unione tra artisti, cavalli e spettatori; gli spazi tra scuderie e foyers sono fluidi quanto quelli delle corse. È un pubblico che non disdegna l’enorme offerta della vita teatrale: ma se fino a pochi decenni prima il circo ne era parte con i suoi ippodrammi, ora quasi vi si contrappone. La critica del tempo ci rivela come il circo fosse un vero e proprio diversivo dall’intensità della vita drammatica: quasi un bisogno di naturalezza quando le tavole dei palcoscenici erano assillate dal naturalismo. Nientemeno che i Goncourt sono dopo il 1850 i capiscuola di questa tendenza critica: «Noi

135

Cirque des Champs-Elysées, Parigi, inaug. 1841 (litografia a colori di C. Mothran,1843, da una tela di E. Lami. Coll. dell’autore)

136

andiamo solo ad un teatro. Tutti gli altri ci annoiano e ci seccano. Vi è un certo ridere del pubblico a ciò che è volgare, basso e stupido che ci disgusta. Il teatro dove andiamo noi è il circo. Là vediamo […] i soli talenti al mondo che siano incontestabili, assoluti come dei matematici o piuttosto come un salto mortale. Là non vi sono attori o attrici che fingono d’aver talento: o cadono, o non cadono. Il loro talento è un fatto» [GONCOURT]4. Il mondo intellettuale, negli anni di formazione del fenomeno dello snobisme, quasi si compiace di concedersi un divertimento popolare e democratico, sedotto dalla purezza del circo. Il gusto del circo continuerà con esponenti prestigiosi a cimentarsi nella critica di circo: decenni dopo, nel 1880, Zola dalle colonne del «Figaro» accusa D’Aurevilly di aver passato «trent’anni a galoppare in quel circo che è la critica circense». Il collega per nulla offeso risponde dicendo di trovare il circo (nei propri scritti sempre indicato con la C maiuscola) «molto più spirituale [sic] della ComédieFrançaise»: nel pieno del dibattito sul naturalismo teatrale, egli nota che gli acrobati «scrivono con il loro corpo cose affascinanti di stile, d’espressione, di precisione e grazia che Monsieur Zola col suo spirito grossolano non scriverà mai!»5.

6.2 Tournées prima del tendone: le compagnie equestri e acrobatiche

Le prime grandi compagnie equestri appaiono principalmente in tre aree: Gran Bretagna, Francia, area germanica. In generale si tratta di allievi di Astley, di Hugues e di Franconi. Soprattutto francesi, che accanto alle virtù equestri sviluppano quelle imprenditoriali formando a loro volta allievi: Tra il 1800 e il 1820 sono già innumerevoli le compagnie europee di cavallerizzi teatrali perfettamente organizzate. È già una “terza generazione” dalle origini dello spettacolo equestre, e ormai una realtà autonoma della vita teatrale, con la stessa struttura dinastica di certe famiglie di attori o danzatori. In sostanza si tratta di due grandi rami. Uno, più solido e antico, è di origine francese, con almeno tre nomi importantissimi (Tourniaire, Loisset, Soullier)6. L’altro, emergente, è di area prussiana, che parte con i due allievi austriaci del pioniere Mahyeu: il citato De Bach, e Brilloff7. Francesi e prussiani dal 1850 circa saranno protagonisti di una “guerra” di spartizione del territorio circense tedesco, e ad entrambi si dovrà la nascita del circo in Russia. La prossimità tra i generi teatrali favorisce scambi e matrimoni tra famiglie di acrobati, cavallerizzi, danzatori, mimi, musicisti, attori, cantanti. Ma quali erano i luoghi di spettacolo? Bisogna pensare che almeno fino al 1870 il circo europeo non conosce la diffusione regolare di una propria struttura viaggiante, e i circhi stabili in muratura sono prerogativa delle metro-

137

La funambola Maria Zanfretta su un palcoscenico di Boston nel 1858 (incisione, coll. dell’autore)

138

poli. Fra gli anni ’30 e ’40 del XIX sec., prendono così forma dispositivi di accoglienza per un genere artistico di fatto ancora inesistente, senza un vero nome e cresciuto troppo in fretta. Inizialmente le compagnie tendono a simulare nelle città minori le grandi strutture metropolitane con mezzi di fortuna: sono di legno, coperte in tela, decorate secondo i periodi di permanenza in una città, raramente trasportate, spesso demolite dopo l’uso oppure lasciate in uso per anni alternando varie compagnie. Questi circhi di legno, a volte ricavati anche da stalle, o costruiti a mò di silos circolari, proliferano sia in Europa che in America: delle decine di circhi fissi alternatisi nella sola New York nel corso del secolo, nessuno è realmente in muratura. In Italia, difficilmente sono erette strutture apposite. Sono gli anni di diffusione capillare del teatro all’italiana in provincia: con l’arrivo di una compagnia circense, nella platea bastava rimuovere le sedie e porle in palcoscenico per ottenere la pista. Nella nostra penisola, la diffusione delle compagnie equestri e/o acrobatiche (soprattutto straniere) è popolarissima già dal principio dell’8008. Questo spinge i costruttori dei teatri a tenere conto delle loro esigenze: l’Adriano di Roma ha scuderie sotterranee e la possibilità di tracciare una pista circense nella platea; l’Arena del Sole di Bologna, il Rossetti di Trieste e il Garibaldi di Palermo nascono tenendo conto degli spettacoli equestri, creando il sottogenere italiano dell’edilizia teatrale noto come “politeama” [VERDONE 1983]. Le tournées per buona parte dell’800 seguono il modello organizzativo delle compagnie teatrali, e gli artisti alloggiano in locande e alberghi. Per la prima metà del secolo, la parola circo in Italia non appare ancora: nei manifesti dei teatri italiani le diciture sono quelle di “primaria compagnia equestre”, “compagnia equestre ginnastica”, o al massimo “gran circo dei cavalli”. Numerose sono poi le troupes che non includono cavalli, definite nella vita teatrale e sui manifesti come “compagnia ginnastica, mimica e danzante”, con un repertorio che spaziava dalle danze acrobatiche, a balletti puri, da numeri di abilità a pantomime finali. Analizzando le locandine di tante di queste compagnie proto-circensi, conservate negli archivi di molti teatri municipali italiani, l’insieme è presentato in modo non dissimile dalle troupes di balletto o del melodramma: figurano gli elenchi di “uomini e donne della compagnia”, indicazioni come segretario, sarto, trovarobe, primo macchinista e, ovviamente, direttore equestre. Non manca la pratica delle serate d’onore o a beneficio di qualche giovane acrobata. Nella buona stagione, qualunque struttura all’aria aperta ospita questi spettacoli, compresa l’Arena di Verona. Se in Italia arrivano praticamente in tournée tutte le grandi compagnie internazionali ottocentesche, non mancano eccellenti formazioni autoctone. Sono importantissimi i Guillaume, attivi fino all’alba del

139

L’avviso per rappresentazioni teatrali di una delle compagnie della dinastia Chiarini nel 1831, prima che le organizzazioni circensi adottassero l’uso del tendone (coll. Pretini)

140

’900 (cfr. 11.1), e negli anni 1820-1840 la troupe di Alessandro Guerra (1790-1856), questi affermatosi principalmente in Germania e debitore di Ducrow per la creazione di numeri a tema d’ispirazione mitologica9. È chiaro che i due tipi di compagnie, quelle con i cavalli e senza, tendono alla fusione e alla fluidità tra loro, creando le basi per la nascita dei circhi equestri, che emergeranno solo dopo il 1870. Le più prestigiose compagnie italiane, dopo alcuni decenni in patria, si specializzano all’estero: incontreremo più avanti Gaetano Ciniselli, cavallerizzo-direttore che avrà un ruolo determinante in Germania e in Russia (cfr. 9.1); Teodoro Sidoli che fonderà numerosi circhi in capitali dell’Est; e le varie diramazioni della famiglia di acrobati Chiarini (cfr. 9.1, 9.7, 10.1). Compagnie “mimico- acrobatiche” francesi e italiane, avranno sbocco da metà ’800 anche nel nascente mercato teatrale delle prime metropoli americane, ad un livello ben più rispettabile dei circhi itineranti. La stampa illustrata di New York tratta al pari livello delle vedettes del bel canto le esibizioni dei funamboli Ravel, che dominano per anni la scena al Niblo’s Garden; degli Hanlon all’Academy of Music; o le tournées sui palcoscenici delle famiglie Zanfretta, Martinetti, Marzetti [ALLSTON-BROWN, ODELL, SLOUT]. Al contrario, l’Europa inizia ad essere territorio di conquista per acrobati e cavallerizzi americani. Già nel 1796, Astley annunciava esibizioni di capi indiani anche a cavallo. Ma ora i primi pionieri europei nel nuovo mondo hanno formato veri e propri maestri, che dal 1820 circa iniziano ad essere scritturati nei circhi stabili inglesi e poi a Parigi e sul continente10. Attorno al 1850, forse anche per la grave crisi economica del Nordamerica del tempo, intere compagnie equestri americane si imbarcano verso le isole britanniche, esibendosi nei numerosi teatri e circhi stabili inglesi ma portando anche una novità: l’uso del tendone11. 6.3 L’ ”invenzione” del tendone L’arrivo del tendone e dei carrozzoni non corrisponde ad un’“invenzione”, ma a varie cause incrociate. La più diretta è la semplice evoluzione dalle baracche di fiera e poi dai teatri smontabili in legno e tela usati nel ’700 dalle compagnie girovaghe teatrali e acrobatiche, che ora iniziano a fondersi con le più borghesi compagnie equestri (il gruppo dei funamboli Ravel si unisce a Guerra nel 1826, pur senza ancora tendone). Simili a tendoni erano anche le coperture usate dalle esposizioni viaggianti di animali. Ma uno spazio come quello del circo, molto vasto e circolare, rendeva inizialmente impensabili sia il montaggio di una struttura adeguata che una sua trasportabilità. Sebbene vi siano remote tracce di tende semistabili già tra i circhi precari di provincia, le cui coperture impiegavano quasi sempre la tela (lo stesso Astley

141

142

usò un telo come prima copertura), in realtà l’impiego del legno e la lunga permanenza facevano preferire la demolizione al trasporto. È attorno al 1825 che i pionieri del circo statunitense sono i primi a stabilire l’indipendenza di una tenda smontabile con veicoli propri trainati da cavalli12. L’economia dell’anfiteatro semistabile in legno deve affrontare l’agilità del viaggio: a differenza che in Europa, le troupe equestri non hanno teatri dove esibirsi. Questo è il contesto in cui verso il 1825 in America nasce il prototipo del tendone da circo. In un’epoca critica per l’espansione territoriale americana verso Ovest, la tecnologia della tenda smontabile rotonda, (sebbene di piccole dimensioni), aveva già uno sviluppo nell’esercito, nel settore delle abitazioni precarie e del tempo libero. Illustrazioni di tende militari dell’epoca mostrano esattamente il prototipo della tecnica poi usata per la tenda circense. Del resto in un continente in cui persino le prime città sono spesso tendopoli, tutto lo spettacolo americano è in questo periodo itinerante, usando carri e tende: circhi e ménageries condividono strategie comuni a compagnie che presentano concerti, esposizioni, opere liriche, conferenze, teatro drammatico, varietà, illusionismo, propaganda spirituale. E comunque le tende, nei primi decenni, anche nel caso dei circhi più grandi, restano a lungo strutture precarie e scomode: sono dette “parapioggia”, poiché rette dal fastidioso palo centrale. I primi circhi americani verso il 1830 raramente superano il diametro di cinquanta piedi. Ma la loro superficie in meno di un decennio è più che raddoppiata. L’invenzione graduale delle gradinate smontabili riesce presto a far superare la capienza di mille persone. Attorno al 1847, sarà il North American Circus di Gilbert Spalding (lo stesso che introduce l’illuminazione a olio) a migliorare il sistema della tenda allargando lo spazio con pali di sostegno: questo consentiva di guadagnare da otto a dodici file di posti13. In Europa, la diffusione regolare della tenda sul vecchio continente è importata dai primi circhi americani in tournée in Gran Bretagna e poi in Europa verso il 1840. Per quanto influenti le prime tournées d’oltreoceano, il tendone sul vecchio continente si sviluppa probabilmente anche in modo spontaneo, sebbene scarseggino i documenti prima del 1870; la pratica è sicuramente legata a minuscoli circhi14. Per l’Europa l’idea del tendone si rivelerà un vantaggio immediato per le piccole troupes di fiera, che già da secoli si muovono con carri e cavalli, e che da metà ’800 con il loro piccolo “parapioggia” hanno ora un luogo proprio ed un’identità specifica. Dopo l’America, la Gran Bretagna è dunque il luogo dove per primi emergono i tendoni: di una decina di minori vi è già testimonianza dopo il 1830 (tra questi Cooke, Saunder e Sanger padre). Tutti sono legati alle logiche del mondo della fiera e delle ménageries.

Ma l’evoluzione della tenda europea non è rapida, e il modesto “parapioggia” resta lo standard per decenni. Solo attorno al 1860 compagnie europee di una certa importanza sviluppano l’uso della tenda nel più ampio formato a due alberi, come la seconda generazione Sanger o i fratelli Pinder in Gran Bretagna e i Rancy in Francia (cfr. 9.7): saranno questi i veri pionieri del circo viaggiante come sistema compiuto; così come in America l’apoteosi dei grandi tendoni si avrà dopo il 1870. Molte compagnie equestri europee, inoltre, passano a forme ibride fra tenda e pannelli di legno, e adottano i carrozzoni dei forains come forme proprie di trasporto e abitazione per le lunghe tournées. L’introduzione del tendone salderà i rapporti tra l’“aristocrazia” equestre urbana dei cavallerizzi-direttori con il già nomade mondo della fiera, dei funamboli e dei mostratori di animali. E come vedremo, a fine ‘800 sarà l’unione tra compagnie equestri e serragli ambulanti di animali a creare la genesi e la filosofia della moderna impresa di circo viaggiante. 6.4 Dal peccato all’educazione: l’America puritana e la nascita del circo L’identità del circo classico statunitense, quello barnumiano dei tendoni a tre piste, delle parate e dei poster multicolori, dei treni interminabili con migliaia di persone e animali, emergerà solo dopo il 1870. Nel secolo precedente il suo processo evolutivo è tortuoso e complesso, seguendo fedelmente quello del costume del Paese, con l’espansione territoriale e dei trasporti, lo spirito democratico e imprenditoriale, le tensioni razziali e moraliste15. Si è già detto dell’epoca dei pionieri inglesi con i primi anfiteatri urbani nelle nascenti città delle colonie americane. Prima che il circo diventi un vero affare itinerante, il controllo del territorio è delle ménageries, sempre più grandi e potenti (cfr. 5.5). La trovata del tendone farà di esse tutt’uno col circo. Gli spettacoli viaggianti si diffondono o sulla costa Nordovest, oppure a Sud, attorno a New Orleans, in alcuni casi iniziando a spingersi in Florida, attraverso Georgia e Alabama. Il resto del Paese è ancora come inesistente. I primi circhi viaggianti sono detti mud show, poiché il fango pare il loro elemento naturale: forti cavalli da tiro trainano pesanti carri lungo strade quasi inesistenti, in massacranti viaggi notturni, quasi ogni ventiquattr’ore. Il circo di John Robinson è tra i pionieri di quest’epoca. In una giornata il veloce montaggio, la zoppicante parata per le strade e due spettacoli fatti alla meglio sono il circus day che la gente di comunità isolate aspetta per mesi come l’unico divertimento. La pista ancora singola è delimitata da terra ammucchiata o logore fasce di tela; se c’è una ménagerie prima dello spettacolo si può vedere un elefante in catene, un serpente, o una cassa di sbarre con una tigre, forse un po’ meno eccitanti che sulle incisioni a legno di ancora piccoli manifesti. I circhi più fortunati sono quelli in grado di por-

143

La parata del circo in un villaggio rurale americano, 1873 (da “Harper’s Weekly”, coll. dell’autore)

144

tarsi dietro molti horse rings, i cavalli destinati alle acrobazie equestri. Il circo ottocentesco americano ha una differenza di base con quello europeo: non è legato al contesto della rispettabilità teatrale, ma piuttosto al vagabondaggio e al peccato. Il teatro stesso quando arriva nei villaggi suscita scandalo. Attorno al 1830 un circo giunto in Pennsylvania è cacciato per “incanti e stregonerie”. Circo voleva dire, per spettatori e dipendenti, alcoo-

lismo, gioco d’azzardo, promiscuità sessuale, borseggio, risse e molto spesso omicidi. Erano più accettate le ménageries, che non si portavano dietro gente di spettacolo, e i cui cammelli e leoni potevano essere letti come un’illustrazione della Bibbia. L’espansione del continente fa conoscere la novità del circo a nuove aree: i circhi iniziano a viaggiare attraverso gli Appalachi, dal 1825 con l’apertura del canale dell’Erie ci si può spostare oltre Nordovest ; nel 1835 alcuni spettacoli hanno raggiunto Chicago, poi il Missouri. La tecnologia del vapore consente primi ma occasionali spostamenti in battello o in treno; e la fabbricazione di un’icona circense quale il calliope, il tipico carro-organo a canne alimentato dalla potenza del vapore, capace di segnalare l’arrivo festoso del circo a miglia e miglia di distanza. Ben presto i pionieri dei primi circhi diventano uomini d’affari, o si legano ad imprenditori, mentre decisive intuizioni rendono i tendoni più spaziosi: nel 1850 si iniziano a trovare circhi con platee rotonde superiori a cinquemila posti. Come le altre forme teatrali, il circo tenta vie alternative di organizzazione: memorabile è lo Spalding and Rogers’s Floating Palace (1852): un circo costruito all’interno di un battello su ruote, durato qualche anno. Ma molto più agevole è la frequenza di artisti e spettacoli acrobatici nei quartieri teatrali delle nascenti metropoli: un fenomeno vastissimo, che si incrocia con la nascita di Broadway e le origini del vaudeville [cfr. ODELL] A metà del secolo, esistono in America un centinaio tra circhi e ménageries: uno dei primi problemi da risolvere per gli imprenditori è la rispettabilità sociale della forma. Ci penserà dopo il 1850 un signore già all’apice del prestigio in numerosi campi, che sembra guardare con attenzione all’emergere di ogni nuova industria, dunque anche di quella circense: si chiama Phineas Taylor Barnum.

145

7. DA

UN CONTINENTE ALL’ALTRO (1840-1870)

7.1 La cultura del circo urbano verso il 1850 Dopo il 1850, il modello edilizio del circo degli Champs-Elysées, con la sua esaltazione dell’arte equestre, si estende all’area germanica. A metà ’800 Berlino, la capitale del nuovo impero prussiano, è terreno di tensioni e lotte, per alcuni anni, tra l’arrivo di compagnie equestre francesi e l’emergere di tedesche o italo-tedesche: i già citati Guerra e Hinné sono negli ultimi anni di attività, mentre si affermano nuovi protagonisti come Ciniselli (genero di Hinné) e Wollschläger1. Ma, come vedremo, la leadership finale sarà del più intraprendente e tenace: Ernest Renz, destinato a divenire uno degli imprenditori più influenti della storia del circo2. Per le compagnie francesi, era iniziata l’abitudine di esibirsi in inverno a Berlino erigendo circhi temporanei in legno, con enorme successo: la più prestigiosa è dagli anni ’40 la compagnia Cuzent-Lejars-Loisset3. Nel 1850, Dejean erige sulla strategica Freidrichstrasse un “Cirque National de Paris”: è in legno, decorato e arredato come quello parigino. L’eleganza del luogo e lo stile dei programmi sono una novità, rivelando al pubblico berlinese il talento equestre di Baucher e delle altre vedettes equestri francesi. L’iniziativa però è in contrasto con l’emergente compagnia di Renz. Questi alla fine avrà la meglio, occupando il circo del rivale francese. Renz ne farà in seguito un edificio in muratura, che con due sedi successive sarà un simbolo della vita artistica e sociale berlinese tra gli anni ’60 e ’804. Subito dopo, Renz crea un importante edificio anche a Vienna5. E Parigi? Persa l’occasione di Berlino, Dejean resta col problema dell’inverno: cosa fare ora di cavalli e personale durante i mesi di chiusura degli Champs-Elysées? Dejean chiede alle autorità parigine di aprire un nuovo circo-teatro: vorrebbe riprendere la tradizione con pantomime nel quartiere del Temple. Ma è concesso il permesso per un circo che “non abbia il nome anfiteatro” e la cui architettura “non permetta la successiva trasformazione in teatro”6: Dunque costretto allo stesso repertorio presentato nel circo estivo. È ancora l’architetto Hittorf che realizza il Cirque Napoléon, a pochi isolati da dove la demolizione del Boulevard du Temple lascerà posto alla Place de la Republique. Il pur splendido edificio (intatto nel 2007) è questa volta stretto tra i caseggiati: dunque l’architettura quasi cilindrica ne sviluppa gradinata e cupola in altezza. Goncourt lo paragona a una cloche à fromage, lamentandone anche i posti troppo stretti, il cattivo odore e la commistione con il quartiere popolare. In realtà, capace di quasi quattromila spettatori, il

Part. da Circo Ecuestre y Gymnastico, tavola spagnola di illustrazione didattica (1840 ca., coll. dell’autore)

147

Veduta attuale del Cirque d’Hiver, già Cirque Napoleon (foto A. Chevillard, 2004)

148

circo pensato come monumentale è riuscitissimo, con stucchi e colonne all’interno ed un pregevole bassorilievo neoclassico lungo il perimetro esterno7. Con i suoi due circhi in muratura, noti poi come les deux cirques, Dejean ha reso l’edificio circense un elemento legittimo del paesaggio urbano. Le grandi capitali del mondo, e le metropoli minori, iniziano ora a dotarsi regolarmente di circhi stabili. Il primato di questa diffusione spetta ora ai tedeschi. Gli imprenditori sono in genere cavallerizzi e gente del viaggio, o loro discendenti e collaboratori. In una prima fase (1850-1860 ca.), si hanno i primi edifici col passaggio dalle pur eleganti costruzioni di legno a veri edifici in pietra e acciaio. Solo in seguito, (1870-1880 ca.), vi sarà una vera capillarità di circhi monumentali8. Parigi, Berlino, Vienna, Londra e New York sono attorno al 1860 le città col maggior numero di circhi stabili. Delle prime tre abbiamo già parlato.

A Londra l’anfiteatro Astley’s, con nuovi direttori, resterà un’istituzione del tempo libero per buona parte dell’800: un appuntamento fisso per tutte le famiglie, celebrato anche da Dickens [DICKENS]. Oltre all’Astley’s, nell’800 nascono e muoiono a Londra un’infinità di circhi, ormai sul modello continentale della pista senza più palcoscenico annesso. Due sono i più importanti, che rivelano puntualmente a pubblico e critica londinese i maggiori talenti equestri e circensi d’Europa e d’America. Si tratta dell’Holborn Amphiteatre (1867-1873) e in seguito dello splendido Hengler’s Cirque (1871-1910, poi divenuto il noto teatro Palladium), fondato dall’omonimo danzatore di corda. In Inghilterra, i circhi stabili urbani conoscono una popolarità enorme: nel corso del XIX sec. città come Manchester, Bristol e Liverpool ne ebbero ciascuna oltre dieci. Inoltre nella capitale inglese gli spettacoli acrobatici fanno sempre più spesso parte dei primi varietà teatrali, o sono tra le principali attrazioni delle nuove cattedrali del tempo libero sorte con la rivoluzione di acciaio e vetro: l’Agricultural Hall (1863-1939) e il Crystal Palace (18541856), il Royal Acquarium, il Westminster Acquarium, consacrano i primi grandi acrobati aerei o i domatori di belve [BRAYLEY, COOK, TURNER]. A New York, il modello di circo rotondo degli Champs-Elysées aveva già ispirato gli americani, con un circo di legno sul tipo parigino, l’Hippoteatron (1864-1872). Nel panorama teatrale in espansione della metropoli statunitense, si alternano numerosi quanto effimeri circhi semistabili, quasi sempre in legno, l’ultimo dei quali diverrà nel 1881 il Madison Square Garden (cfr. 7.2 e 7.4).9. Ma restano soprattutto le grandi capitali europee a fregiare di circhi stabili i nuovi assetti urbani: sebbene lo vedremo realmente dopo il 1880, per quanto vi siano già primi tentativi attorno al 185010. Un fenomeno vivacissimo già da questi anni è quello della cultura circense franco-tedesca nella S. Pietroburgo ottocentesca: importante anche per essere la vera culla di quella che sarà poi la cultura del circo sovietico11. La capitale dell’Impero russo (dopo l’esperienza pionieristica di Hughes alla corte di Caterina) già dall’inizio dell’800 è tappa regolare delle compagnie equestri francesi e tedesche: con costruzioni provvisorie in legno, e puntualmente in concorrenza tra loro stesse12. Poi, nel 1846, tre dei più grandi protagonisti equestri dei fasti equestri parigini (Cuzent, Lejars e Loisset) danno vita ad un Cirque de Paris in quella che è oggi la Piazza Puskin. Nella seconda metà del secolo, la bilingue capitale russa è intrisa di cultura francese della quale il circo è una parte importante, sostenuto da generosissimi aristocratici e dalla stessa famiglia imperiale. Lo zar Nicola I (mecenate che valorizza scrittori come Puskin, danzatori come Petipa e crea direzioni di stato per le forme artistiche) istituisce nel 1847 una “Direction des Cirques Imperiaux”: un centro

149

di formazione, base per fondare nel 1849 un sontuoso Cirque Imperial, sul modello teatro-circo di Astley e Franconi. Direttore è nominato Paul Cuzent, che si lancia nella produzione di grandiose pantomime. L’esperienza non dura oltre un decennio (l’edificio diviene l’attuale teatro Kirov). Ma la moda del circo in Russia è solo all’inizio. La passione antica dei russi per la fiera, unita a quelle più aristocratiche per le belle donne e per i cavalli rendono la vita circense di S. Pietroburgo uno specchio di quella parigina: tutte le grandi attrazioni, con testa il pioniere del trapezio Léotard, appaiono in Russia dopo il 1850. Nei decenni successivi si alternano edifici e compagnie13. Vedremo poi a fine secolo il rilancio dato da Ciniselli, e il contagio del fenomeno circense alla città di Mosca (cfr. 9.1).

150

7.2 “Tutte le classi si confondono”: la voga degli hippodromes da Parigi a New York Al Parco Sempione di Milano, nel 1805, un gruppo di francesi aveva promosso la costruzione di un’arena longitudinale ispirata ai fasti romani: è il primo ippodromo in muratura dell’età moderna, capace di trentamila persone, e ha per ingresso un arco di trionfo. Se si associano una serie di fatti, si può scoprire come questa iniziativa porti fino alla nascita dell’intuizione circense di Barnum e del concetto di circo a tre piste. Come? Gli anni ’50 dell’800 si caratterizzano, oltre che per l’affermazione del circo classico, per una serie di forme di divertimento ibride. Oltre ai grandi parchi o agli edifici per esposizioni, una curiosa moda internazionale è quella dell’hippodrome: una gradinata ovale in muratura, all’aperto, che può presentare attività su un percorso longitudinale mantenendo il tracciato centrale della pista circense classica. Il tipo di spettacoli andava da pantomime a grande figurazione a fantasie equestri al gran galoppo; dalle corse di carri agli inseguimenti a cavallo; dai funamboli, ai concerti agli acrobati agli spettacoli di belve. Stravagante invenzione francese, si diffonde presto nel mondo anglosassone diventando poi l’inaspettato prototipo dell’enorme circo viaggiante statunitense con piste multiple. Iniziatore della forma artistica dell’hippodrome è Laurent Franconi, negli anni in cui è all’apice la moda dello steeple-chase ad Auteuil. Suo collaboratore è ancora Laloue, il librettista dell’Olympique. Ed è a poca distanza da Auteuil, di lato all’Arco di Trionfo da poco eretto, che egli apre l’Hippodrome de l’Etoile nel 1845, con una fantasia medioevale: Le Camp du Drap d’Or. Gradinata e facciata monumentale seguono l’esempio dell’edificio di Milano, ma con decorazioni in stile moresco. Al centro di un asse di centoventi metri, è tracciata anche una pista circense classica. Le gradinate sono coperte, e c’è posto per ventimila spettatori, sempre numerosi pur soffrendo il freddo d’in-

Hippodrome de l’Etoile, Parigi, inaugurato nel 1845 (incisione a colori. Bibl. Nat., Parigi )

verno e il caldo d’estate. La pubblicità descriveva la novità come «il più bello dei nostri teatri: ha il sole per lampadario, l’Arco di Trionfo come scenario, una città come galleria, un milione di cittadini come habitués. Qui tutte le classi si confondono, ogni opinione è rappresentata […]». La trovata permette i più vari generi di spettacolo: tornei, caroselli, fantasie arabe, corse di amazzoni, concerti sinfonici, gare di carri e di fantini si alternano a pantomime, quadriglie, numeri circensi. Con la sistemazione della Place de l’Etoile, l’Hippodrome sarà demolito, e cambierà di sede, diretto poi con successo da Arnault, presso la Porte Dauphine, come Nouvel Hippodrome (1856-1869). Qui allo spettacolo equestre si aggiungono sempre più vedettes dell’acrobazia: il cielo aperto ospita le prodezze del funambolo Blondin o dell’ormai ottantaseienne Madame Saqui, e l’arena i carri-gabbia con le pantere di Upilio Faimali. Arnault diventa un serio concorrente per i circhi stabili di Dejean. Inizia a Parigi una vera e propria corsa degli impresari alla costruzione di ippodromi, spesso colossali, che durerà fino ai primi del Novecento legandosi all’eccentricità della fantasiosa edilizia teatrale che emergerà col music-hall14.

151

Restando a metà ’800, il successo della grande arena equestre dell’Etoile, oltre a generare numerosi cloni impressiona tantissimo gli inglesi e gli americani. Tanto che un gruppo di impresari commissiona ai francesi (con un lontano parente dei Franconi) l’apertura di un Hippodrome a New York (1853-1855) a Madison Square, sulla nascente Broadway. È in legno, e a differenza che a Parigi la volta è protetta da una tenda. Per il debutto è chiesto il riallestimento de Le Camp du Drap d’Or. Questa impresa suscita l’interesse di colui che era ormai il maggior protagonista del tempo libero newyorkese: un personaggio che proprio nelle possibilità multiple degli hippodromes individuerà l’adatto gigantismo e il potenziale culturale per inventare l’identità del circo americano fino a renderlo itinerante: Phineas Taylor Barnum.

152

7.3 Barnum prima del circo: fabbricando la cultura popolare americana Nel corso dell’inverno 1867-1868, a New York nevicò trenta volte. Durante una delle più fredde notti, quella del 3 marzo 1868, le fiamme iniziano a levarsi dai palazzi al centro di Broadway. All’alba, lungo le vie c’è chi giura di vedere elefanti in fuga, leopardi che sbranano giraffe, gente che scappa con quadri di Rubens o reliquie di santi. I testimoni sono immobili davanti ai resti di un palazzo, di cui resta solo la facciata di marmo incrostata tra le stalattiti dei getti d’acqua degli idranti, resi inutili dal freddo. Un orso vagherà per tre giorni tra ruderi e statue di cera liquefatte. Sono i resti del Barnum’s American Museum. P. T. Barnum (1810-1892), il proprietario di quell’edificio, era all’apice della propria celebrità ma non si era ancora interessato realmente al circo: una forma che da ormai quasi un secolo era popolare tra gli americani, sia nella forma di teatri equestri semistabili che in quella di fusione itinerante

tra piccole compagnie ed esibitori di ménageries zoologiche. Se l’immaginario lega Barnum al circo, tendoni e carrozzoni impegnarono in realtà solo la fine della sua lunga vita, dopo il 1880, sebbene in modo influente come nessun altro per il settore. Il suo approdo all’industria circense catalizzerà una visione e un insieme di complesse strategie estetiche, razziali, politiche che dagli anni ’30 ai ’70 vedono Barnum come una delle massime figure americane nella costruzione stessa dell’identità culturale del Paese (prima, durante e dopo la guerra civile) e dei suoi nascenti elementi costitutivi: le tecniche di commercio, il giornalismo e l’editoria, l’impresariato e l’edilizia teatrale, la morale religiosa, la propaganda politica, la divulgazione scientifica e la democratizzazione della cultura. Verso la fine del secolo questo barnumismo confluirà nel moderno circo viaggiante, che si definirà come il più potente dispositivo di cultura di massa che la storia americana abbia mai conosciuto fino alla diffusione del cinema, agendo allo stesso modo sul modello europeo. Il tortuoso processo che porta Barnum verso il circo e la sua rivoluzione, solo da poco è oggetto di reali studi sociali15. Il giovane Barnum emerge negli anni ’30 dell’800 a Bowery, il quartiere più vivace della classe operaia newyorkese, dove lavora per drogherie o promuove lotterie. L’universo in cui si forma Barnum è quello immaginato da Scorsese in Gangs of New York. Il suo talento di venditore si estende all’occasionale management per piccole attrazioni di varietà in luoghi di spettacolo di Bowery o nella breve tournée di una tenda-varietà (“Scientifical and Musical Theatre”), il suo primo contatto con i pionieri circensi, abbracciando la comune utopia democratica: un’America bianca schiavista senza classi sociali, negli anni dell’emergere di una classe media. L’identità di Barnum appare con la sua prima trovata: la tournée di Joice Heth, un’anziana di colore spacciata come la centosessantenne nutrice di George Washington. La frode non a caso unisce scienza, patriottismo e razzismo: la donna sa leggere e parlare correttamente, merito dell’educazione bianca cristiana, e la sua età mette alla prova la medicina in pieno progresso: ciò fin dopo la morte della povera vecchia, con la spettacolarizzazione di un’autopsia a pagamento. Nei suoi abbondanti scritti epistolari e giornalistici di questi anni, Barnum conferma la propria adesione alla democrazia jacksoniana schiavi-

Il New York Hippodrome, inaugurato nel 1853

153

La prima sede dell’American Museum di Barnum sulla Broadway di New York, 1850 (incisione, coll. dell’autore)

154

sta, contribuendo alla costruzione sociale dello yankee. Egli inizia anche a costruire l’identità autocelebrativa per cui Barnum “persona” sarà sempre più spettacolare di ogni novità di Barnum stesso: come subito accade con “La Sirena delle Isole Fiji” (in realtà una scimmia imbalsamata con una coda di pesce), che colpisce per gli elaborati meccanismi narrativi legati all’identità geografico-scientifica e ai processi di acquisizione della creatura. Ma la prima grande svolta avviene quando Barnum istituzionalizza sé stesso con la cultura museale. L’idea del museo spettacolare tra scienza, arte e divertimento era già solida ben prima. L’idea di museo americano era nata da quasi un secolo con grandi collezionisti-filantropi (come Peale, dal 1786) eredi diretti del gabinetto di curiosità illuminista. Da ciò proviene la sordida cultura suburbana del museum: locale popolare in cui un unguento miracoloso e un dipinto fiammingo hanno pari dignità con la mucca a due teste o gli scommettitori. A metà ’800, i museums urbani erano un equivoco tra erudi-

zione e divertimento, tra autenticità, mezze verità e palesi imbrogli [Dennett]. Barnum amplifica e consolida questo potenziale negli anni di costruzione del profilo morale dell’America cristiana, lavoratrice e desiderosa di identità etnica. Dal meno raccomandabile dei passatempi, egli costruisce un modello di redenzione. Nel 1842 Barnum rileva a New York uno di questi museums in crisi in un quartiere che conosceva benissimo, quello di Bowery, mentre la metropoli raggiungendo il record di trecentomila abitanti si affermava come la più grande del mondo. I sette piani del “Barnum’s American Museum” diventano un modello sociale di come fare soldi e diventare famosi, oltre che un dispositivo per controllare ogni forma di diversità naturale e culturale, esaltando un unico modello dominante: il maschio bianco americano democratico. Nel cuore del quartiere operaio della bassa Broadway, già ricco di teatri frequentati anche dai quartieri “alti”, dietro una facciata ricca di bandiere, luci e illustrazioni colorate, tutti con un quarto di dollaro potevano rassicurarsi di avere il controllo dell’universo. Ci si muoveva in famiglia tra animali imbalsamati e scheletri, insetti, manufatti etnologici, autografi, monete, biglietti da visita, armi e armature, scarpe, vedute “cosmoramiche”, dagherrotipi, conchiglie, minerali, dipinti, sculture, automi, statue di cera, ritratti, meraviglie scientifiche. Si potevano poi vedere nelle varie stanze gli esemplari vivi a centinaia: belve, elefanti, pitoni di Giava e giraffe dal Sudafrica, canguri e iene. La collezione cresceva ogni settimana, con novità di ogni tipo, stimolando la gente a tornare. Nel seminterrato, il primo acquario del mondo moderno ospitava oltre ad ogni varietà di pesci i bacini con ippopotami e alligatori e la grande vasca con due balene bianche. Si sviluppano le tecniche, poi proprie al circo, per far spendere più soldi una volta dentro: analisi frenologiche e chiromanti, vendita di cimeli e opuscoli, o di oggetti realizzati sul posto da scultori di avorio e soffiatori di vetro, quale celebrazione edificante del lavoro umano nell’epoca delle grandi fiere corporative. Poi c’era la Lecture Room: in realtà un vero e proprio teatro, dedicato a conferenze e drammi morali (i titoli vanno da I martiri cristiani a L’ubriacone), o ad inusuali attrazioni come burattinai, maghi, concertisti con campanelli, lottatori, danze popolari, macchine parlanti. La famiglia e il lavoro sono incoraggiati da concorsi di neonati e di cani, di polli e di belle fanciulle. I bambini hanno un biglietto gratis se portano topi vivi per le anaconde. Nei due decenni del museo, Barnum si dedica ad una miriade di altre attività, che vanno dalla fondazione del primo periodico illustrato di New York, all’industria immobiliare e portuale (diverrà sindaco della nativa Bridgeport), a tournées di manufatti e fenomeni, in alcuni casi sotto tendone, anticipando il suo futuro circense. La più importante è il triennio di giro nei

155

Barnum raffigurato con l’elefante Jumbo e il nano Tom Thumb sulla copertina della sua autobiografia 156

salotti d’Europa con il generale Tom Thumb, l’uomo più piccolo del mondo che incantò sovrani e popoli del vecchio mondo, i quali conoscono così il celebre impresario. In Europa Barnum compra di tutto, da tele di Rubens a uccelli rari, da manufatti giapponesi a nuove attrazioni teatrali e circensi. L’enfasi della loro presentazione sarà sempre sulla genialità dell’impresario come modello supremo dell’emergente e rispettabile self-made man, che si getta anche in una propaganda senza pari contro l’alcoolismo. Il museo intanto prospera, amplificato da un crescente e spettacolare rapporto con la stampa e l’editoria. Le memorie di Barnum, in infinite edizioni a partire dal 1854, per tutto l’800 saranno il più diffuso libro in America dopo la Bibbia, quasi un manuale di affermazione sociale [BARNUM]. L’apice della legittimazione dell’impresario è nel 1850 con la tournée della soprano svedese Jenny Lind: e in questa occasione, il tour attraverso il Sud convincerà Barnum della causa abolizionista. Nel corso della guerra civile l’impresario diverrà sostenitore di Lincoln e portavoce unionista. E così gli anni della guerra civile riversano inevitabilmente nel museo iniziative e personaggi patriottici. Se ora lo showman rinnega lo schiavismo, l’inferiorità del nero e dello straniero negli anni ’50 resta spettacolarizzata, pur con altri messaggi: ad esempio a Barnum devono molto le origini del minstrel show (radice nera sia del jazz che del musical), e molti capi indiani sono mostrati come esempi di “pigrizia e crudeltà”. L’impresario è aiutato dal clima di curiosità scientifica che precede il darwinismo. Animali esotici e anomalie fisiche umane sono visti nel contesto di “anelli mancanti” della catena evolutiva per capire l’origine di una razza dominante moderna. Questa filosofia sarà tra le basi del concetto moderno di circo occidentale (nei due emisferi) che prenderà forma a fine secolo. È anche per questa ragione che dopo il 1850 il Museo inizia ad accogliere quelli che saranno poi i freaks, individui con mostruosità vere o reinventate: per il momento le loro anomalie sono rigorosamente legate ad etnie non occidentali, a dimostrazione di una presunta inferiorità. Così, due contadini macrocefali sono spacciati per i “gemelli aztechi”; due gemelli ritardati diventano “aborigeni”; un mongoloide è il “selvaggio” Zip; Eng e Chang, scoperti nel 1848 nel Siam, sono invece i primi autentici fratelli siamesi. La tendenza anticipa la moda emergente per la diversità spettacolare, che diverrà parte della cultura circense con l’emergere delle grandi esposizioni etnologiche, negli anni tra ’800 e ’900. Questo vale anche nel permanere di una vera e propria drammaturgia espositiva e promozionale: se un pioniere della cultura museale come Peale aveva creato diorami paesaggistici per gli animali imbalsamati, Barnum li riempie di fantasiosi disegni e descrizioni sui processi di cattura di animali e umani selvaggi. Nel frattempo, il museo di Barnum vede la sua fine a causa della più grande minaccia della vita urbana del tempo: il fuoco. Distrutto da un primo

157

incendio nel 1865 e dal secondo nel 1868 (entrambi catastrofici per gli animali vivi e per le collezioni), il museo sparirà. Nel frattempo la cultura scientifica e la filantropia artistica avevano trovato le loro vere strade, e in pochi anni a New York gruppi di businessmen rimpiazzano la grossolanità barnumiana con il Museo di Storia Naturale, il Metropolitan Museum of Art e lo zoo di Central Park. Barnum, con la sua mentalità, è ormai fuori dal giro. Dopo qualche anno di ritiro e depressione, l’inesauribile precursore del marketing rivolge la sua attenzione da altre parti: come ad esempio alla nascente moda dell’hippodrome alla francese, o sogna una possibile versione itinerante del concetto di museo, restando appassionato all’impresariato teatrale e riprendendo i contatti con il mondo dei circhi in espansione. Nella sua mente, queste passioni stavano inconsciamente fondendosi. La più smisurata intuizione nella storia mondiale dello spettacolo stava prendendo forma.

158

7.4 Tra il museo e l’ippodromo: il circo statunitense verso un’identità Nel 1850 i circhi nel Nordamerica sono già un centinaio: ancora a pista unica, e quasi tutti fusi con le ménageries, ora esposte in una tenda separata. Se le due aree circensi sono la costa Est e il Sud, l’espansione territoriale negli anni ’50 porta il circo nel Midwest, e in Texas. Alcuni circhi attraversano il continente verso il Pacifico, tentando occasionalmente l’uso dei primi tratti di ferrovia, o a Sud, oltre St. Louis. Due esperienze incuriosirono indubbiamente gli impresari dei tendoni americani di metà ’800, ancora relativamente modesti e malvisti dalla società. La prima: dal 1851 al 1854 Barnum accetta l’offerta di far girare sotto una tenda una versione itinerante del museo, con animali, manufatti e fenomeni, pur senza pista e veri spettacoli: “Asiatic Caravan, Museum & Ménagerie” (giustificato da un gruppo di dieci elefanti di Ceylon mostrati in catene). La seconda: il già citato Hippodrome importato dai francesi nel 1853 a Madison Square e coperto da una tenda (cfr. 7.2). Se si riflette sulle due esperienze, la loro coincidenza si direbbe il gene identitario del circo americano classico. L’esempio del road show di Barnum offre una pretesa educativa e un modello promozionale per i divertimenti viaggianti; l’hippodrome alla francese una forma di spettacolo prestigiosa che esalta il cavallo con corse e caroselli. Esso inoltre suggerisce uno spazio in lunghezza che, se portato in tournée, può aumentare la quantità di spettatori. Ci vorranno oltre vent’anni e l’espansione della rete ferroviaria per realizzare tali influenze in un unico modello, ma sono subito evidenti varie esperienze. Nel 1852 la Caravan di Barnum era un concorrente fastidioso per il circuito dei circhi, e il progetto prossimo dell’Hippodrome era già noto a molti16. Prima che esso approdi in America, appare sulle strade del Sud il “Great

Hippodrome and Menagerie” di un intraprendente impresario, Dan Rice17. Anticipando di un anno l’arrivo dei francesi e capitalizzando su quello di Barnum, Rice concilia museo, ménagerie e ippodromo in una forma viaggiante. L’esperienza dura pochi anni, ma influenza molti. Rice, che aprirà poi vari ippodromi fissi e circhi itineranti, aveva iniziato a diffondere il circo come uno spettacolo rispettabile, per una repubblica che nasceva come agraria, ma iniziava a generare una classe media, con ambizioni elevate anche nel tempo libero. Il divertimento non era più una prerogativa maschile, ma uno spazio condiviso in una società in cui l’“americano” era tale già da qualche generazione, e la donna si poneva come il centro morale della famiglia. Negli anni a venire, lo sviluppo del tendone e dell’idea di ippodromo diventano una cosa sola. I pali centrali aumentano seguendo la lunghezza dei tendoni; la pista (ora un solido anello di legno) é inscritta in un perimetro ovale, attorno al quale in questo modo i posti a sedere aumentano in migliaia, e le corse di cavalli e carri possono chiudere lo spettacolo in modo eccitante. I circhi diventano più grandi, i manifesti iniziano ad essere a colori; con l’introduzione della colla impastano le pareti e le staccionate dei cantieri che brulicano ovunque. Le vette dei grattacieli in costruzione sfidano quelle delle iperboli promesse dai manifesti. Divertimento e istruzione progrediscono con la commistione tra fenomeni, curiosità, animali e veri artisti circensi. Aumentano anche i problemi: quando davanti ai tendoni arrivano migliaia di persone è una tentazione forte dare il resto sbagliato, diffondere il gioco d’azzardo, borseggiare, provocare le donne che arrivano dai paesi. Il circo non sempre mantiene le sue promesse, ma all’indomani deve incantare e rassicurare un’altra comunità. I circhi del Nord e quelli del Sud continuano a divertire, e Barnum a New York prospera col Museo: mentre negli stessi anni la Guerra Civile spazza via seicentomila americani.

159

8. LA

CODIFICAZIONE DELLE

“DISCIPLINE”

CIRCENSI A METÀ ‘800

8.1 Le specialità equestri Terminata la moda dell’ippodramma, le esibizioni con i cavalli si stabilizzano in generi precisi. È una serie ricca di specialità diverse divenuti gli attuali “numeri equestri”. Si tratta delle evoluzioni che dal primo ’800 erano già comprese nelle “scene nel cerchio” che in pista precedevano o seguivano gli ippodrammi in palcoscenico, e che erano ormai divenuti “pezzi” sofisticati in confronto alle semplici prove di bravura del primo Astley: come abbiamo visto, grazie soprattutto alla creatività di Ducrow, delle successive generazioni dei Franconi, di loro estrosi emuli come Guerra. La precisazione di un repertorio equestre si afferma nel 1840-1850, negli anni in cui si stabilizza una nuova generazione di direttori-cavallerizzi francesi: gli stessi cui si deve la diffusione del circo equestre a Berlino, Vienna e S. Pietroburgo1 Dopo il 1850, con l’apertura dei grandi circhi stabili europei, si diffondono i trattati di equitazione, nascono gli sport equestri, settore i cui grandi maestri sono strettamente legati al nascente mondo circense. Determinante è il rapporto col mondo del circo della figura di François Baucher (1796-1873), codificatore del moderno dréssage, e considerato uno dei fondatori dell’equitazione civile moderna. Negli anni di nascita del Jockey Club de France, è determinante il suo “sistema” codificato in uno scritto basilare [BAUCHER]. Nel 1839, la sua decisione di esibirsi nel circo desta furore nel mondo ippico, e fissa il genere della haute école, la versione spettacolare dell’equitazione accademica (Baucher era del resto allievo di Laurent Franconi). È a Baucher che si devono innumerevoli allievi molti dei quali diverranno, oltre che eccellenti cavallerizzi, i più grandi pionieri europei dell’impresariato circense2. La sua allieva Caroline Loyo è da considerarsi, attorno al 1840, la prima grande amazzone circense di alta scuola, e non meno importante sarà la rivale Pauline Cuzent3. Vi è poi lo sviluppo dell’acrobazia a cavallo. Dal 1830 circa si ha in Gran Bretagna e poi in Europa una vera ”invasione” di acrobati equestri americani: è in gran parte a loro che si deve la maturazione di questo spettacolare genere. Sono numerosissimi, e stando alle cronache i loro salti a cavallo sono incredibili4. Prenderà il nome di jockey (dalla definizione anglofona di “fantino”) il genere popolarizzato da acrobati equestri come Charles Slezak. Nel 1825 è forse l’europeo Jacques Gautier a compiere per la prima volta un salto mortale a cavallo; l’americano Levi North vi riuscirà nel 1847 su un cavallo senza sella (una prodezza che avrà poi il suo apice nella prima metà del Novecento).

Thomas Hanlon, Uno dei primi trapezisti, al Niblo’s Garden di Londra, 1860. Stampa dell’epoca, coll. dell’autore

161

Volteggio al panneau: il travestito Miss Ella (stampa inglese, 1857. Coll. dell’autore)

162

Altra forma di virtuosismo equestre ad affermarsi è il volteggio: in cui il cavallerizzo corre di fianco al cavallo saltando su di esso al galoppo per compiere le proprie evoluzioni. La sua forma più fortunata in questi anni è quella detta à la richard, dal cavallerizzo americano David Richard che la popolarizza in Europa, dove nel genere spiccano i fratelli Loisset. Grazie ad essi, emerge anche un’altra specialità, quella delle acrobazie al panneau: una piccola piattaforma sul dorso del cavallo. Il pioniere è probabilmente nel 1849 James Morton al circo Renz. Il panneau favorisce la diffusione di una diva del circo che si contende l’ammirazione del pubblico con le amazzoni dell’haute école: la ballerina sul cavallo, che sul panneau stesso può compiere passi di danza, o saltare le ghirlande tese dai clowns lungo la pista. La più celebre in assoluto fu…un uomo: Omar Kingsley, che en travesti si presenta come Miss Ella (emerge nel 1854 a Berlino con la compagnia Loisset). Innumerevoli sono le imitatrici omonime, e fa furore anche Palmyra Annato. È invece solo dopo il 1840 che iniziano ad apparire le prime presentazioni detta dei “cavalli in libertà”, che girano attorno alla pista, o compiono esercizi. Inizialmente questo tipo di presentazione è una variante degli anti-

chi cavalli sapienti. Si deve soprattutto ad Andrew Ducrow e Laurent Franconi l’intuizione di un vero e proprio genere, ma con un solo esemplare5. Solo molto più tardi, dopo il 1870, Soullier e Renz sono tra i primi documentati a presentare gruppi di otto o dodici cavalli “in libertà”. Attorno al 1880, i grandi direttori tedeschi si specializzano in gruppi maestosi: gruppi da sedici fino a trentasei cavalli insieme hanno un pioniere in Eduard Wulff [HACHET-SOUPLET]; in America le tre piste di Barnum ne accolgono settanta; l’apoteosi si avrà nel 1894 a Berlino con il “carosello” dei centosessanta destrieri in pista di Franz Renz [RAEDER]. Entro la fine del secolo, le discipline equestri si contano a decine6. 8.2 “La vertigine dell’iperbole”: la moda del clown all’inglese Abbiamo visto il clown teatrale inglese insinuarsi sui palcoscenici e sulle piste parigine e londinesi (cfr. 4.5, 5.2), “mimetizzato” tra mimi e cavallerizzi, ignorato miracolosamente dalle leggi: «Personaggio nuovo, non disturba alcun attore, alcun genere, alcun interesse, e non contravviene a nessuna disposizione amministrativa né ad alcun privilegio. E, appena arriva, diventa alla moda» [RÉMY1962], indistintamente tra teatro e circo. Fuori dai ruoli scritti per i teatri di pantomima, il clown al circo può fare ben poco, e proprio per questo è onnipresente, intensificando i colori accesi della maschera grimaldiana: una faccia a base bianca che, rotta da colori forti, si distingue nelle arene di oltre duemila posti e ricche di attività. Dal 1820 il clown si afferma soprattutto come acrobata, o approfondisce lo scambio di battute con il ringmaster: almeno in Gran Bretagna dove il dialogo non è vietato. Tra le maggiori celebrità circensi londinese del tempo si afferma un personaggio nuovo tra le tipologie circensi: John Esdaile Widdicombe (17871854). È a lui che si deve la definizione del personaggio di ringmaster e della sua uniforme autoritaria. Con Widdicombe (per anni un’istituzione-icona dell’Astley), il direttore di pista diventa un vero e proprio attore, specializzandosi nello scambio di battute con i primi clowns; volentieri spiritoso lui stesso. È il vero precursore del clown bianco ma anche di certi aspetti dell’august. Ma soprattutto Widdicombe fissa la tipologia di personaggio di animatore-direttore, che nel primo ’900 diverrà celebre in Francia come monsieur loyal (cfr. 11.3), e che in seguito diverrà l’annunciatore dei numeri. I clowns passati al circo a metà ’800, sono ormai centinaia. Conservando l’impronta grimaldiana, sono abili sia nei salti che negli scherzi verbali. Su di essi spiccano Dewhurst e Thomas Kemp. Qual’era la loro comicità? Nell’Inghilterra vittoriana, il clown nella pantomima è al servizio del fiabesco e degli autori. Nel circo, senza un vero testo, il clown trova un sito chiave per suscitare risate legate all’attualità della moderna gerarchia sociale industriale in

163

Clowns e jesters “shakespeariani” in un circo ambulante verso il 1850. Part. da una stampa dell’epoca (dalla tela The american circus in France di F. A. Bridgman). Coll. dell’autore

piena definizione. Salti mortali, scemenze a cavallo e battute sbeffeggiano sulla base della cronaca quotidiana, riecheggiando a perfezione la divisione sociale degli ordini di posto delle arene, dove tutti vedono tutti [ASSAEL 2005]. Verso il 1840, entra in pista un curioso personaggio che per un ventennio sarà alla moda: il jester shakespeariano. Vestito con una curiosa veste e calzamaglia medioevale, adatta i monologhi classici alla satira del tempo, o declama Shakespeare alle cavallerizze, riallacciandosi alla sua origine elisabettiana di buffone illuminato. È una tendenza curiosa, senza dubbio efficace presso un pubblico che per la stessa matrice culturale ne coglie la comicità. La decostruzione comica di opere o brani dal patrimonio del national drama è un espediente di satira che fa presa sull’identità collettiva, permette numerose varianti e non offende nessuno. Il genere sembra diffuso da William Wallett (che trasferitosi in America ispira il grande Dan Rice), ed è esaltato da Boswell (James Clemens). E in Europa? Abbiamo visto che Parigi fu culla della prima importazione (cfr. Cap. 5). Usata nel linguaggio corrente francese dopo il 1820, la parola clown entra nei dizionari d’oltralpe dal 1845, come «personaggio grottesco della farsa inglese introdottosi su alcuni dei nostri teatri […]. Nei nostri circhi [sono] dei veri artisti […] con esercizi di equilibrio, agilità e scioltezza […] veramente notevoli» [cit. in BASCH]. Il clown inglese, in tournée con le troupes equestri, si fissa poi con successo in Germania, sopratutto in quella fucina circense che sono i circhi stabili di Renz (che riceve regolarmente i grandi nomi inglesi): è il caso del celebre Lavater Lee sen.7. In Italia “due faceti clowns” sono annunciati in un manifesto della troupe teatrale di Vincenzo Chiarini del 1853, ma probabilmente non è la prima traccia. Si tratta certo di clowns “grimaldiani” impegnati nel vivacizzare le scene equestri, nell’animare interventi acrobatici: forse adattando un grammelot anglofono alla lingua del luogo per i dialoghi col capo di pista. Cosa vietata a Parigi, dove sembra che l’unica chance sia acrobatica. Qualità che dal 1835 aiuta il trionfo del sommo Auriol, sicuramente più saltatore che comico (cfr. 8.2 e 8.3). Il suo costume (miracolosamente conservato fino ad oggi) se si ispira alla pantomima inglese, si richiama anche all’Arlecchino da boulevard. È sormontato da un copricapo a tre punte, di memoria giullaresca, ispiratore di una sterminata iconografia che influenzerà poi i tipi clowneschi di Picasso. Clown è ormai qualunque acrobata, domatore, ex-mimo che sappia dotarsi di un habillage grottesco. Dagli anni ’30 dell’800 oramai a Parigi qualunque comico, danzatore di corda o acrobata che nella fiera e nel boulevard si presentava come disloqué o grotesque, si fa passare ora come clown anglais, adottando il costume grimaldiano d’oltremanica. È una fantasia di colori mai vista prima (pur derivando a sua volta dalla Commedia dell’Arte),

165

166

e smorfie aggressive e grottesche. Claude Gontard (forse il primo francese a adottare il personaggio), per anni noto come “le plus grand grotesque francais”, diventa ora “le clown du Cirque Olympique”. A Parigi, in un’epoca comunque “anglomane”, approda persino il jester shakespeariano. Se infatti è vietato il dialogo, non vi sono restrizioni al monologo. Con l’equivoco tra inglese e francese questo tipo di virtuoso accresce il proprio valore comico. Tale moda a Parigi fa presa col debutto di Thomas Kemp importato da Franconi al Cirque Olympique; e poi negli anni dopo il 1850 con il travolgente successo di Boswell (che morirà d’infarto in pista). Questi fa parlare delle sue gags quanto la pubblicazione di Madame Bovary ed è ammirato da Maurice Sand. La costruzione dei deux cirques di Dejean, i primi senza palcoscenico, contribuisce alla definizione del clown ottocentesco come virtuoso solista. Ancor più che nei teatri-circhi londinesi, i nuovi edifici rotondi parigini o tedeschi plasmano la provenienza teatrale verso nuove regole di ottica circolare, di acustica “gridata”, di ritmi legati al viavai di cavalli ed accessori: è un mondo diverso da quello dei fondali dipinti del boulevard o dei tréteaux delle fiere, dalle farse o dalle fiabe meravigliose. Qui c’è il vuoto, una luce spietata, gli ultimi spettatori si trovano in alto, lontanissimi e di spalle all’artista, la legge non consente il dialogo né la pantomima. Ci si può esprimere o come solisti, oppure in una piccola folla di altri simili senza poter comunicare verbalmente, né mimare vicende. Troppo poco: ma il teatro ha paura del nuovo arrivato ed ha le leggi dalla propria parte. Tra il 1820 e il 1860 il clown matura tentando di reagire ai divieti: inventa le più disparate possibilità comiche, che dall’impronta inglese maturano in vere specialità. Oltre ai monologhisti e ai cavallerizzi comici, agli inservienti-buffoni, emerge un esercito bizzarro e grottesco: dai grimaceurs specializzati in smorfie; dai clowns acrobati a quelli che cantano; dalla violenza del knock-about con accessori, alle movenze del cake-walk; alle allucinate coppie di muti clown musicisti (Gaertner, Webb, Price), con i costumi decorati da pentagrammi, che tentano di aggirare il divieto con l’invenzione di strumenti clowneschi di fortuna fatti con campanelle, casseruole, scope. Altri sono domatori di piccoli animali: dal 1850 circa molti si affiancano ad un partner sicuramente consentito dalla legge: il maiale. Il cochon accompagna numerosissimi clowns fino alla belle époque: Hayden, Grice, Durov, Medrano, Beketov, Bedini sono solo i più celebri tra quelli che ne scelgono la compagnia, per la gioia del pubblico infantile e per il gusto degli adulti nei riferimenti ironici all’attualità. In ogni caso, ciascun clown plasma la propria identità con un grido, un intercalare, un leitmotif, che spesso diventa nome d’arte: in ogni caso,

personale quanto la truccatura o il costume, per distinguersi in pista nella piccola folla di buffoni. La nazionalità inglese continua a predominare fin quasi alla fine del secolo. Nota il loro primo studioso: «Su un numero di venti, ne conteremmo quindici inglesi, due spagnoli, un italiano, un francese, un diverso» [PERRODIL]. Il clown resta anche un fenomeno teatrale: i primi varietà francesi ospitano volentieri pantomime inglesi, le quali continuano a contaminare le baracche del Boulevard du Temple che sopravvivono fino oltre il 1860 lungo la via dove per Maupassant si sente «la vera vita di Parigi». Baudelaire in un celebre saggio oppone al vecchio pierrot il fascino del nuovo clown inglese: «vertigine dell’iperbole» capace di rivelare per la prima volta nel comico quelle caratteristiche allucinanti, misteriose, violente ed eccentriche8. È in questi anni che prende forma il mito romantico del “clown triste”, dovuto in parte al contrasto tra il mestiere di far ridere e una vita effettivamente sacrificata: il clown, riempitivo di piste e palcoscenici, appariva come il gradino più basso dello spettacolo (sebbene esistessero molte vedettes). È una mitologia moderna che da ora colpirà generazioni di intellettuali, compiaciuti nel vagare tra le baracche delle ultime fiere o nelle squallide matinées dei circhi: Honoré Daumier inizia i suoi schizzi tra i personaggi della fiera o gli acrobati di quartiere, Gustave Doré la serie di tele dei saltimbanchi tristi. Maurice Sand va al circo mentre riscopre la Commedia dell’Arte tra le struggenti note di Chopin. Clown, Pierrot, Arlecchino, saltimbanco: per il poeta o il pittore fanno tutt’uno, nell’immaginazione diventano l’ibrido ma épatant pagliaccio alla Leoncavallo, il Rigoletto di Hugo. L’uomo che ride, ridi pagliaccio, il re si diverte: in una ricerca di simbiosi tra la vita dell’artista e quella del buffone il clown si prepara a Picasso, e a divenire un solido stereotipo; «fradicio di letteratura», come dirà Fellini. 8.3 “Se non vola, è per pura civetteria”: l’acrobazia dalle fiere alla pista Si potrebbe distinguere in tre fonti la radice dell’acrobazia moderna: dinastie di fiera; provenienza esotica; cultura borghese delle palestre. Per le ultime due bisognerà attendere la fine del secolo, con la diffusione dell’etnologia coloniale da una parte, e della cultura delle palestre dall’altra. Inizialmente gli acrobati ottocenteschi sono ancora le famiglie delle fiere e del teatro di pantomima. Attorno al 1830-1840, esse hanno ormai il nuovo mercato delle compagnie circensi, e si spostano agevolmente dai circhi stabili di Parigi a quelli di Berlino, o nelle compagnie equestri che girano per i teatri italiani. Impresari moderni da Dejean a Renz, alternano ormai le evoluzioni dei cavalli con qualche buon numero di acrobazia “al tappeto” o giochi di forza. Inoltre, se dai nuovi circhi rotondi di Parigi erano escluse

167

168

le pantomime, le compagnie inglesi, tedesche e italiane necessitavano di acrobati anche per questo sottogenere: essi presentavano i loro numeri nella prima parte e poi ricoprivano ruoli negli spettacoli tematici a fine di serata. Il repertorio è ancora simile a quello fieristico. Sono i saltatori e gli equilibristi al “tappeto”, ma soprattutto i cosiddetti “ercoli”, o atleti di forza. Si esibiscono nel sollevare cose e persone, e sono all’origine di due moderne discipline circensi: quella del sollevatore di pesi e l’altra, diffusissima, degli equilibri “mano a mano”. Una variante diffusa era quella delle “statue viventi”. Specialisti di tali discipline erano state le famiglie olandesi Moritz e Ducrow, e un’autentica vedette diventa Carl Rappo, vero giocoliere con pesi. Gli ercoli sollevano in equilibrio scale e cannoni, ruote di carri, ma anche bambini e giovani atleti. Per tutta la prima metà dell’Ottocento i numeri di acrobazia sono generici. Si tratta di gruppi di quattro-cinque maschi, in genere un padre con i figli (per la maggior parte famiglie inglesi o italiane), che presentano un insieme di piramidi umane, equilibri, salti, esibizioni di peso, giochi “icariani”, l’immortale danza sulla corda che ha come variante la “corda volante”, più mobile a mò di altalena e possibile supporto di contorsioni, e qualche esercizio sostenuto da corde verticali. Questo genere di acrobazia “di famiglia”, contaminato con l’antipodismo, crea la più importante novità acrobatica del XIX secolo: i “giochi icariani”, e cioè le acrobazie di un atleta fatto volteggiare dai piedi di un altro disteso a terra. L’invenzione è ormai definitivamente attribuita all’americano Risley ( da cui il nome tecnico, risley act), sebbene se ne siano trovate tracce in Cina in epoca Ming9. Risley presenta la sua invenzione nel 1841 al Bowery di New York. Disteso con i piedi in aria, faceva compiere al figlio John un salto mortale da piede a piede e un salto mortale e mezzo dal piede alle mani. Il numero fa furore in Europa (in Francia nascerà la definizione di icarisme) e genera adepti. Nel 1861, Nagel faceva girare una ventina di salti mortali al figlioletto. Questo genere è destinato ad esplodere nel primo ’900 (cfr. 9.5 e 11.2) Gli acrobati al suolo portano al circo l’esaltazione dei salti mortali, prima limitati alle piazze o ai palcoscenici di pantomima. Attorno alla pista dei moderni circhi stabili, essi trovano quattro lunghi corridoi, i vomitoires che favoriscono le rincorse: al termine delle quali si può anche installare la batoude, piccolo dispositivo a molla per i salti. Non sono rare le gare di salti mortali tra acrobati, spesso al di sopra di file di cavalli (con una “battuta” più alta), e prende forma lo charivari o il poutpourri di acrobazie10. Negli anni ’30 dell’800 diventano di moda anche i salti mortali a terra senza rincorsa: nel 1835, Tomkinson è il primo uomo al mondo che risulti aver compiuto un doppio salto mortale “al tappeto”.

L’acrobazia pura si fonde molto spesso con l’evoluzione del clown. Se per costume e trucco vistosi molti artisti del tempo sono considerati clowns, in realtà il termine è spesso sinonimo di virtuoso acrobatico (cfr. 8.2). È il caso di Auriol, uno dei miti della storia del circo11. Passato alla storia come pioniere della clownerie, sebbene più virtuoso nell’atletismo che nella comicità, Auriol fu innanzitutto una delle massime grandi celebrità della vita teatrale parigina tra il 1830 e il 1850. Certo, molto dovette al suo riuscito ed elegante costume di giullare/Arlecchino moderno (prototipo del clown romantico picassiano): ma erano i suoi record fisici ad affollare il Cirque Olympique dove debuttò come intermezzo di agilità dei programmi di cavalli, e poi il nuovo Cirque des Champs-Elysées. In un certo senso, Auriol contribuì al passaggio dei favori del pubblico verso l’acrobazia del corpo umano a detrimento dell’arte equestre. Egli mise a fuoco la possibilità del solista circense nell’immensità della pista, negli anni di affermazione del divismo teatrale romantico: «Le scimmie sono zoppe in confronto ad Auriol; le leggi della pesantezza gli sembrano del tutto sconosciute; si arrampica come una mosca alle pareti verniciate di un’alta colonna; camminerebbe sul soffitto se solo lo volesse; se non vola, è per pura civetteria», notava il pioniere dei critici di circo [GAUTIER]. Partendo dalla teatralizzazione di vecchi exploits da fiera, come la danza sulle bottiglie e gli equilibri sulle sedie, Auriol fa di alcuni di essi veri e propri marchi personali: come il salto nelle pantofole o il fazzoletto piegato a terra durante il salto. Più spettacolari ancora sono il volo al di sopra di un’armata di fucilieri, o attraverso un cerchio di spade, e anche molti giochi in piedi sul dorso del cavallo. È poi a partire da metà Ottocento che al circo si diffonde il contorsionismo occidentale: la sua chiara origine è quella dei giovani posturers delle fiere settecentesche poi divenuti gli “uomini scimmia” dei balletti e delle pantomime (si è già citato Mazurier, con il fenomeno di Jocko e dei suoi imitatori). Al circo essi diventano numeri brevi, mantenendo l’assimilazione della contorsione col mondo animale: per decenni sono invariabilmente travestiti da rettili o anfibi, dando origine ad una serie di uomini-rana o serpente: la prima vedette del genere, ricordato da Goethe, è l’uomo-coccodrillo Edouard Klishnigg; altrettanto celebre il “serpente” Marinelli, che alla fine dell’800 diverrà uno dei primi impresari intercontinentali di artisti circensi e di music-hall.

Auriol nella “danza delle bottiglie” (stampa tedesca, 1840 ca.)

169

Sempre negli anni 1830, con le nuove conquiste coloniali si iniziano a scritturare le troupes beduine di saltatori e di piramidi umane, prima in Gran Bretagna e in seguito in Francia: attrazione ideale per grandi parchi e ippodromi. Il gusto per gli acrobati in Europa si diffonde in un’epoca sensibile a orientalismo, colonialismo, cultura del corpo e del tempo libero. La diffusione di artisti orientali porta quella che è forse la vera grande novità di metà ’800: i giocolieri. In questi anni affluiscono nei teatri troupes prima indiane, poi giapponesi e cinesi. Generalmente erano gruppi che presentavano un ibrido di fachirismo, prestidigitazione, equilibri con piatti e volteggi di palline. Proprio le “sfere” lanciate in aria colpiscono pubblico e critici. La prima celebrità è già nel 1820 Ramo Samee a Londra, ammirato da Dickens, le cui doti sono oggetto di un importante scritto di Hazlitt: paragona le sfere a pianeti in orbita, e sostiene che «chi non lo ammira, non ha ammirato niente in tutta la propria vita»12. Le piste dei circhi europei si popolano nel frattempo di altre specialità dalle origini più varie che vanno dalle influenze orientali, all’emergere delle palestre, alle trovate di stravaganti inventori, a intuizioni casuali della vita teatrale e fieristica. Le prime testimonianze dei vari sottogeneri sono tutte degli anni dopo il 1840: si iniziano a vedere i salti in lunghezza sulle botti, gli equilibri sulle sfere, gli antipodisti distesi a terra con oggetti, scale e pertiche sui piedi; equilibristi con gli arnesi più inverosimili. Ma l’invenzione più geniale ed esaltante era destinata alla vera conquista dell’edilizia circense moderna: il brivido dell’altezza.

170

8.4 L’invenzione del trapezio e le traversate del Niagara L’arte del “trapezio” era inesistente prima dei grandi circhi stabili di metà Ottocento. L’unico precedente nel teatro di fiera era la “corda volante”, variante del repertorio di molti danzatori sulla fune: attaccata alle due estremità ad un’altezza media, consentiva semplici figure ginniche o contorsioni. L’evoluzione circense dalla “corda volante” settecentesca verso il moderno “trapezio” va però cercata al principio del XIX sec. in un attrezzo da palestra, in principio triangolare, variante delle sbarre fisse, peraltro noto anche tra gli acrobati girovaghi13. La definizione di un vero trapéze si deve forse a tal Colonello Amoros, titolare di una palestra militare. Nel mondo dello spettacolo tra il 1816 e il 1824 Antonio Diavolo è in Francia un celebre ginnasta su una specie di piccolo trapezio oscillante, in posizione bassa, con evoluzioni simili alla “corda volante”. Una sorta di precedente “aereo” è anche l’usanza del trapezio attaccato alle mongolfiere per ascensioni spettacolari nelle feste, almeno dal 1851 [SPEAIGHT 1981].

J. Léotard introduce il “trapezio volante”. Cirque Napoleon, Parigi, 1859 (da un giornale dell’epoca)

Il trapezio e la sbarra da palestra approdano al circo negli anni 1840: un Signor LeTort presentava esercizi alla barra orizzontale (1847); negli anni successivi approderanno in pista intere troupes di sbarristi palestranti, in alcuni casi iniziando a cimentarsi con l’altezza, incoraggiati dalla solida cupola dei primi circhi in muratura. I primi supporti oltre alle sbarre sono gli anelli da palestra, le corde e un primo trapezio. Risulta poi che alcuni dei primi circhi ambulanti americani presentassero un trapezio fisso, a varie altezze comunque modeste, in cui predominava più l’esercizio di forza che quello in oscillazione14. La grande conquista del circo tardo ottocentesco doveva essere un’altra: il brivido di potersi librare nel vuoto. La paternità del “trapezio volante”, almeno in una versione rudimentale, è indubbiamente dovuta al palestrante Jules Léotard (1838-1861), che nel novembre 1859 presenta al Cirque Napoleon la sua invenzione: “La corsa ai trapezi”15. In quegli anni, i deux cirques parigini di Dejean erano continuamente alla ricerca di novità sportive o ginnastiche: senza più la possibilità di pantomime, si rischiava la monotonia dell’arte equestre. Il ginnasta Henri Maitrejean, regisseur e talent-scout di Dejean, setacciava le palestre di Francia. È in una di queste, a Tolosa, che scova Léotard, figlio del titolare di una palestra (il quale, come Maitrejean, era a sua volta allievo di Amoros). Questi, grazie ad un’invenzione del padre riusciva a “volare” da un trapezio all’altro compiendo qualche evoluzione nel vuoto. È così approntato un

171

Blondin nel 1859 (ill. da un quotidiano del tempo)

numero adatto al circo. Attraverso la pista, da un lato all’altro del circo, si erige una passerella-materasso. Sopra le due estremità sono sospesi due trapezi e una coppia di anelli. Questo permetteva all’artista, dopo una rincorsa, di lanciarsi nel vuoto da un trapezio all’altro compiendo evoluzioni ad un’altezza più che modesta, ma spettacolari: passaggio in piedi, passaggio “di reni” passaggio con le caviglie, passaggio in piroetta ed in fine un breve salto mortale nel vuoto, da un trapezio all’altro. In una serata, Léotard è una vedette. In una recensione, Goncourt conia per lui una definizione: trapéziste. L’entusiasmo del pubblico è inatteso: per la prima volta, uno spettacolo offre l’ebbrezza del corpo nel vuoto. Léotard guadagna cinquecento franchi al giorno, una cifra favolosa. Negli anni seguenti potranno permetterselo Renz a Berlino, Ciniselli a S. Pietroburgo, e a Londra l’Alhambra di Leicester Square, il primo grande music-hall. L’artista è conteso dai grandi circhi europei e nei teatri (dove la passerella e i trapezi sono posti lungo la platea): dopo ogni suo passaggio, ogni sala ingaggia un imitatore. Entro la fine del secolo, il trapezio sostituirà l’arte equestre nei favori del pubblico di tutto il mondo. Pochi mesi prima del debutto di Léotard, un’altra prodezza aveva fatto parlare il mondo. È il 30 giugno 1859. Negli Stati Uniti, il francese Blondin stava per compiere una singolare passeggiata che, se portata a termine, si sarebbe compiuta…in Canada. Infatti, quando una banda lo accoglie suonando La Marsigliese Blondin aveva appena attraversato le cascate del Niagara camminando su un filo, portando a termine una delle più grandi imprese acrobatiche della storia. Blondin (Jean-François Gravelet, 1824-1898), avrebbe ripetuto nei mesi seguenti l’impresa più volte. In una lunga carriera, glorificherà il progresso e la civiltà industriale attraversando sul filo la volta del Crystal Palace di Londra (1861), o la Senna in occasione dell’Esposizione Universale a Parigi. Era titolare di una propria impresa, una sorta di circo aereo all’aperto, in cui all’interno di un altissimo recinto di tela tendeva il filo nelle piazze di tutto il mondo. Ma ogni luogo è buono, purché alto, per tendervi la fune, soprattutto fiumi e palazzi. Con la fine delle fiere, i vecchi ballerini sulla fune si cimentano con le grandi altezze. Alcuni di essi usavano anche tendere il cavo perpendicolarmente, per compiere ascensioni mozzafiato. Imprese come quella del Niagara saranno tentate in quegli anni da altri, come l’inventore-impresario Farini o Maria Spelterini, che compie il tragitto con i piedi in due ceste, o i tanti imitatori, come “Arsens” Blondin. Un florido mercato per i funamboli si sviluppa presso i nascenti luoghi di ritrovo. Già dal primo ’800 i parchi pubblici erano la destinazione di passatempi familiari e rispettabili. Gli Champs-Elysées o il nuovo Jardin de Tivoli liberano i funamboli dalle fiere, e li rendono eroi sulle copertine illustrate della Domenica. Oltre al brivido dell’altezza, c’è spazio anche per rin-

173

novare l’antico “bal di corda”. Già nei primi decenni del XIX secolo Forioso è un provetto danzatore, in grado di eseguire l’allemande o la valse su quattro corde assieme alla sorella. Erano esibizioni che si svolgevano tra uno spettacolo pirotecnico, un ballo popolare o un’ascensione aereostatica [DEPPING, FOURNEL, GUYOT, PEACOCK]. Ma è nel circo che i ballerini di corda troveranno presto la loro casa. Le evoluzioni diventano sempre più spettacolari, con la diffusione di attrezzi per l’equilibrio come il parasole o il bilanciere. Già nel 1811 l’Astley’s di Londra annuncia un salto mortale sulla fune. Ma bisognerà aspettare la fine del secolo e la meccanica legata alla tensione dei cavi d’acciaio perché l’acrobazia sul filo esploda.

174

8.5 “Più terribili dei loro leoni”: il teatro della ferocia Negli ultimi decenni del XIX secolo, se si spegne la moda episodica dei domatori di teatro, la ménagerie ambulante da semplice mostra diventa una vera e propria forma di moderno teatro di fiera. Dopo il 1850, il “terrore” romantico invade l’immaginario delle bestie feroci in gabbia. Alla mitologia della mansuetudine dei Carter e Van Amburgh (cfr. 5.6), si sostituisce quella del panico. Dalla saggezza mitica del leone si passa alla belva sanguinaria, in contrasto con l’ordine della civiltà borghese, sottratta alla natura in favore della conoscenza. Il primo domatore di serraglio a tentare strategie di addestramento è Upilio Faimali (1826-1894), che ha una propria ménagerie nel 1845, ed è il primo a compiere personalmente spedizioni in Africa per la cattura di esemplari. Tra i primi a popolarizzare la nuova tendenza romantica è il domatore noto come Charles, che in gilet e camicia nei primi anni ’50 entrava nella gabbia della ménagerie di Huguet de Massilia. Charles è un vero personaggio da melodramma, un eroe che con le minacce tenta di dominare i ruggiti e le zampate, illudendo il pubblico di non sapere se uscirà incolume dall’angusto carro-gabbia. Vera terra di ménageries è la Gran Bretagna, dove tra le decine di baracche la più importante è quella di George Wombwell, in seguito fusa con quella della famiglia parente dei Bostock: avrà il suo apice nel primo ’900, e sarà attiva fino al 1931 [FROST, BOSTOCK, DISHER 1942]. Era un periodo in cui, se in Inghilterra le fiere si estinguevano (costringendo le ménageries a legarsi ai circhi o a varcare l’oceano), a Parigi risorgevano tre grandi feste annuali: quella di Neuilly, la Foire du Trone, e la festa sull’esplanade degli Invalides, e nella bella stagione gli Champs-Elysées. Qui la nuova borghesia repubblicana trova come grandi protagonisti le baracche dei domatori di belve. Attorno al 1850 i padroni delle ménageries moderne sono i più facoltosi e potenti di un ambiente che propone ogni tipo di baracche ormai “rispettabili”: quelle dei lottatori, delle pulci ammaestrate, degli illu-

Il serraglio di Jean-Baptiste Pézon (manifesto litografico a colori di E. Lévy, 1890 ca. Coll. privata)

175

Il domatore-impresario François Bidel in una delle gabbie-teatro della sua ménagerie ambulante (1870 ca., coll. privata)

176

sionisti, dei primi musei di cere, dei gabinetti anatomici, delle meraviglie fotografiche [PY-FERENCZY]. In un mondo antropocentrico, dove il fascino del controllo sulla natura oscilla tra scienza e teatro, il successo del domatore è nel contrasto scenografico tra bestialità e normalità. I carri gabbia iniziano ad avere fondali dipinti, che rappresentano saloni e interni, in cui il domatore è in abiti quotidiani. L’arma del domatore non è ancora la frusta, quanto l’intensità dello sguardo, l’“intelligenza” che domina la brutalità. La trasformazione del domatore da eroe di fiera a borghese e sapiente può anche leggersi in una ricerca di onorabilità da parte della categoria nomade. L’apice della voga del domatore come borghese illuminato è raggiunta senza dubbio dal figliastro di Faimali e il più celebre, tra gli impresari-domatori dei serragli: François Bidel (1839-1909), titolare della ménagerie più sontuosa mai vista. Bidel rappresenta anche il passaggio dal saltimbanco da fiera all’imprenditore circense borghese: abiti eleganti, biglietto da visita, presidente e fondatore del primo sindacato di artisti da fiera. Per il pubblico Bidel era un carismatico professeur in abito da sera, che sembrava davvero ipnotizzare le belve: per lui Victor Hugo conia lo slogan «leo inter leones». A lui si deve il massimo sviluppo teatrale dei carri-gabbia, e della messa in scena delle presentazioni. La stampa popolare dedica articoli con litografie a colori ai suoi animali, ai quaranta lussuosi vagoni che compongono un serraglio di settanta metri, la sua troupe ricca di costumi etnici16. La carovana di Bidel è pubblicizzata da manifesti disegnati dal più prestigioso artista dell’affiche, Jules Chéret. Il suo successo è emblematico del passaggio dalla mostra itinerante dei tempi di Van Aken, con casse buttate in giro in un ambiente quasi sordido, ad una tipologia più definita di vero spettacolo. I carri con gli esemplari sono disposti su due lati: attraverso un sistema di griglie, vengono via via fatti passare nella gabbia-teatro centrale (ampia fino a sette metri su tre), dove vari domatori presentano le belve con costumi del luogo di provenienza, al suono di un’orchestrina. Il serraglio di Bidel, che passa lunghi periodi sugli Champs-Elysées, ha come concorrente negli anni della belle époque, dal 1873, l’impresa non meno importante di Jean-Baptiste Pézon (1824-1888), capostipite di una numerosissima dinastia di domatori da serraglio. Pézon, all’eleganza del collega contrapponeva un eroismo popolare: in camicia bianca e gilet, sembra

«un vecchio operaio socialista che tiene una lezione per un leone popolare» [THÉTARD 1928]. E grande fascino hanno da subito le donne in gabbia: come La Goloue (la cui baracca fu decorata da Lautrec), o dal 1882 l’intrepida Nouma Hawa, citata dal De Amicis. Tutti questi nomi visitano regolarmente l’Italia del Nord, dove i serragli ambulanti francesi, tedeschi e anche italiani continuano ad essere una forma di spettacolo diffusissima. Ben presto l’elemento femminile serve ad introdurre ulteriore fragilità e quotidianità: le donne in gabbia sono ginnaste, pianiste, pranzano a tavola tra le belve, cantano, si esibiscono nella danza serpentina o del ventre, animano spettacoli di ipnosi o di cinema. Dei nuovi serragli-teatro si accorgono presto gli impresari di circo e varietà, e nella seconda metà dell’800 l’esibizione di belve diventa un classico del circo: sebbene ancora con i carri-gabbia posti frontalmente all’ingresso della pista. La prima mossa si deve forse a Dejean, direttore dei deux cirques che “crea” una vedettes acquistando dei leoni per la soubrettina Paulina Borelli, nel 1855 al Cirque d’Hiver: un successo cui seguiranno altri17. Il connubio tra circo e domatori è partito. Sono tempi in cui gli animali non compiono ancora veri esercizi, ma si limitano ad esibire la loro ferocia, o prendere pezzi di carne dalle mani del domatore, mostrando solo due o tre esemplari. Miss Senide con le sue belve è tra i primissimi esempi di regolare carriera europea di un numero di belve nel circo, nei maggiori stabili dell’epoca. Un ruolo decisivo si deve al circo berlinese Renz, che nel 1863 lancia il domatore Thomas Batty (18341869). Batty, figura chiave di questo rinnovamento, è erede di una dinastia inglese di impresari (tra gli ultimi gestori dell’Astley’s). È con lui che si stabilizzano l’uso regolare di un carro- gabbia apribile al centro della pista, una tipologia di costume (l’uniforme militare), la presentazione di un gruppo di animali (nel caso, cinque leoni)18. Giunto trionfalmente a Parigi, Batty lascia il proprio serraglio al garzone Lucas: ma questi sarà divorato dalle belve nel 186919.

177

9. L’ETÀ D’ORO

DEL CIRCO (1870-1900)

9.1 I circhi urbani di fine ’800 e la nuova pantomima circense. Nel 1870 il circo è uno spettacolo nuovo, con una sua identità solida, caratterizzato da una mobilità transnazionale che deve tenere conto dei nuovi equilibri e delle nuove tensioni sociali: la caduta dell’Impero e la Terza Repubblica in Francia, con una Parigi scossa dalla comune; gli assestamenti dell’Italia postunitaria; l’influenza della morsa prussiana sull’Europa con il secondo reich di Guglielmo I; il boom industriale di Londra. È comunque l’inizio di un’epoca di euforia e di novità sociali, culturali, tecniche. I circhi stabili possono beneficiare dell’edilizia industriale, e all’intera industria dello spettacolo si offre l’esplosione della litografia a colori per i manifesti, o la diffusione della stampa popolare illustrata che presto trasforma in icona il nascente immaginario circense, sottoforma di memorie di protagonisti o incisioni degli spettacoli del momento. Il concetto di tempo libero si estende alle classi operaie. È questa l’epoca dei grandi circhi monumentali: cattedrali di acciaio e pietra che nell’ultimo trentennio del secolo fregiano le capitali europee. Gli ultimi decenni del secolo vedono lo sviluppo del circo europeo legato soprattutto all’iniziativa di una nuova generazione tedesca. Quasi in parallelo all’imperialismo del nuovo kaiser, è Ernest Renz a dominare il mercato dell’Europa nord-centrale con monumentali circhi in pietra in varie città (cfr. 7.1). Il suo nuovo stabile di Berlino eretto nel 1879, è in qualche modo il prototipo europeo di circo moderno. È improntato a specchio dello sfarzo e del militarismo del nuovo impero: stucchi, velluti, platea di quattromilacinquecento posti e scuderie per duecentocinquanta cavalli; sfarzose pantomime wagneriane, grande orchestra, valletti in livrea con parrucche incipriate, numeri equestri e acrobatici di prim’ordine1. Renz oltre suo circo berlinese costruisce altri tre edifici a Breslau, Amburgo e Vienna: è attraverso l’efficace circuitazione in questi quattro stabili che ogni anno si svolgerà la stagione del suo sempre nuovo spettacolo. Altri tre importanti direttori prussiani si affermano all’ombra di Renz: Carrè, Salamonski, Schumann, tutti ex artisti di Renz e alla seconda generazione di cavallerizzi2. Ma Renz è inflessibile sul controllo del mercato: Carrè dovrà stabilirsi ad Amsterdam dal 1865 e Salamonski in Russia dal 1879, entrambi con grande successo. Sarà Schumann ad attendere nel 1891 il fallimento di Franz Renz (figlio del grande Ernst), per rilevarne il mitico circo berlinese. Altra compagnia di valore di fine secolo è quella di Eduard Wulff, che dopo il 1880 rivelerà i grandi gruppi di cavalli in libertà ai londinesi, e

Il circo Renz di Berlino in un particolare da Im Circus, stampa tratta da una tela di O.Walter (incisione, 1865, coll. dell’autore)

179

Una delle elaborate pantomime del circo stabile di Ernest Renz di Berlino: La regina d’Abissinia, 1880 ca. (incisione di H. Leutemann, coll. dell’autore)

180

ai torinesi per l’Esposizione Universale. Un ruolo determinante di questi imprenditori prussiani resta la diffusione del circo monumentale in pietra nelle capitali: il fenomeno è sistematico dal 1870 circa, e ogni città principale d’Europa centrale ne ha almeno uno3. A Parigi per alcuni decenni restano solo i deux cirques di Dejean (d’Hiver e d’Eté), con la direzione artistica del maestro cavallerizzo Victor Franconi (1810-1897), poi aiutato dal figlio Charles, mentre furoreggiano gli hippodromes. Nella provincia francese proliferano più che altrove i circhi in muratura in provincia, con l’emergere di due nuovi cognomi di addestratori-imprenditori che domineranno buona parte del Novecento: Houcke e Rancy4. Il fenomeno della provincia francese nasce dalla graduale trasformazione di circhi di legno, poi divenuti in pietra spesso per iniziative municipali: in essi agli spettacoli equestri si alternavano tutti i tipi di iniziative civiche del tempo libero [DEGELDÉRE]. Alla fine dell’800 i circhi stabili proliferano anche in Spagna, in particolare col fenomeno edilizio del “teatro-circo”, tra i quali primeggia lo splendido Price di Madrid (1880), mentre a Lisbona è costruito il Coliseu (1890). Barcellona in particolare è vivacissima nella successione degli edifici e degli impresari che si alternano a gestirli5. In Italia non vi furono mai circhi stabili, sebbene continui l’edificazione dei politeama. Sia a Roma che a Napoli sorsero un “Gran Circo delle

Varietà”, più vicini al genere del caffè-concerto. L’unica effimera esperienza è il grandioso circo di legno che Renz realizza a Milano in Piazza Castello per l’Esposizione del 1881. Il nostro Paese è il più sensibile all’influenza prussiana, e frequenti continuano ad essere le visite di compagnie tedesche nei nostri teatri. Di quelle italiane, le uniche di una certa importanza a metà ’800 sono quelle dei Guillaume (che usano spesso il nome di Circo Olimpico), capaci anche di ippodrammi equestri, pur senza i mezzi parigini e londinesi6. Ma se ne aggiungono di nuove, come quelle di Corradini, dei fratelli Amato, o il Gran Circo della Trinacria dell’impresario Cantoni: si esibiscono ancora in palcoscenico o, se vi sono cavalli, nelle platee adattate a circo [CERVELLATI 1966]. In quanto a Londra, la faticosa decadenza dell’Astley’s, col suo avvicendarsi di direttori fino alla chiusura nel 18937, non impedisce alla culla del circo di mantenere validi programmi. In concorrenza erano ormai sorti i più fiorenti e sfarzosi Hengler’s e Holborn’s (cfr. 7.1); senza contare i tanti delle altre città britanniche, da Liverpool a Glasgow). Ma ad essi si sostituirà ben presto la nuova architettura ibrida del circo/music-hall. Attorno al 1880, l’impero russo conosce l’impulso circense decisivo dei decenni pre-sovietici: quell’amalgama tra tradizioni italiane, francesi, tedesche e russe, radice di quella straordinaria esplosione circense che sarà nel ‘900 il circo sovietico. A S. Pietroburgo abbiamo già visto l’arrivo del modello francese e la nascita del Circo Imperiale (7.1). Qui il protagonista della fine del secolo diventa Gaetano Ciniselli, arrivato quasi per caso nel 1871 a rinforzare la compagnia del cognato Carl Magnus Hinné8. Ciniselli giunge ad inaugurare un proprio circo nel 1877, sul canale Fontanka. Realizzato dall’architetto Kenel, resta uno dei più eleganti edifici della storia del circo. Capace di tremila posti, poteva accogliere le logge con poltrone di velluto per l’aristocrazia, i militari e la jeunesse dorée dell’impero, fino ai vasti loggioni per il proletariato. Senza concorrenza, lo splendido circo rimasto nei ricordi d’infanzia di Stanislavskij diventa presto la tappa delle grandi novità parigine fin de siécle, come la pista acquatica e le più nuove vedettes, e Ciniselli esalta la propria passione di regista di pantomime sontuose9. In ritardo sulla capitale, anche a Mosca inizia a muoversi con vivacità l’edilizia circense10. Protagonisti sono sempre gli stessi (Ciniselli, Hinné, i francesi), oltre a due nuovi soggetti. Il tedesco Albert Salamonsky, che costruisce nel 1880 il più durevole circo stabile di Mosca (oggi ancora attivo), e gli spregiudicati fratelli Nikitin: di origine fieristica, essi sono, di fatto, la prima vera dinastia russa di imprenditori circensi11. Attorno al 1870, Dejean, Hengler, Sanger, Renz, Carré, Ciniselli, Price, Rancy, Houcke sono dunque i primi a passare dallo status di capocomici-

181

cavallerizzi senza sede a gestori –registi moderni, con sale proprie perfettamente stabilite nella vita urbana. Sono riusciti a mutare la posizione tipica dei loro predecessori, maestri o rivali (Guerra, Ducrow, Tourniaire, De Bach o Cuzent) il cui principale problema organizzativo era quello di continue tournée tra teatri e precari circhi di legno. In sostanza, tutta la seconda metà dell’800 vede stabilirsi un circuito solido e preciso tra le grandi capitali, che come vedremo sarà amplificato a partire dagli anni 1880 dall’esplosione dei music-hall. Proprio nella transizione verso quest’ultima moda, gli spettacoli circensi hanno una decisiva alterazione: in sostanza, l’arte equestre passa in secondo piano rispetto all’emergere delle discipline acrobatiche, complice la passione borghese per la cultura del corpo. Nonostante i direttori provengano dall’arte equestre, il cavallo non è più il protagonista del circo. Quelli che erano maestri-cavallerizzi sono ora più attenti alla gestione e all’impresariato delle loro compagnie o dei loro edifici, con un fascino per la messinscena. Questo porta ad un nuovo impulso della pantomima circense. Sparite le combinazioni scena-teatro, ora in questi edifici completamente rotondi le produzioni a tema sono ospitate nella pista tradizionale, nella seconda parte dello spettacolo. Dai soggetti patriottici del primo ’800 si passa ora a leggende di banditi e pirati, ambientate in Paesi lontani, dall’Oriente al Nordamerica, pur con forte ispirazione a imprese militari o coloniali. Montagne che franano, cavalli imbizzarriti, fanciulle rapite e cascate d’acqua sotto ponti che crollano sono gli ingredienti irrinunciabili. D’altra parte, a teatro è l’epoca degli spettacoli pittorici, del naturalismo scenografico e soprattutto della tendenza germanica all’opera d’arte totale wagneriana: nel 1876 a Bayreuth c’è il primo allestimento del Ring der Nibelungen, che non poteva mancare di suggestionare un direttore di circo ambizioso come Ernest Renz, il quale proprio negli anni successivi diffonde il nuovo impulso per la pantomima. Sono gli stessi anni in cui a Parigi esplodono il grand-opéra, l’operetta ed il balletto spettacolare, dei quali il rilancio del circo parigino dopo il 1890 terrà conto, come vedremo, contestualmente alla nascita della révue à grand spectacle. Per i grandi circhi, la pantomima pare l’unico modo per contrastare l’emergere di un temibile concorrente nuovo: il varietà.

182

9.2 Music-hall e caffè-concerto A New York come a Berlino, a Parigi come a Londra, si moltiplicavano fumosi caffè, paradisi per gioco d’azzardo, alcool e prostituzione. I loro gestori si accorgono che scritturando qualche occasionale attrazione musicale, comica, o acrobatica era possibile avvicinarsi ad un divertimento

Attrazioni varie alle Folies-Bergère nel 1880. Manifesto litografico di Jules Chéret

183

Il celebre uomo forzuto Eugene Sandow “sostiene” una compagnia americana di vaudeville di F. Ziegfield jun. in una foto pubblicitaria, 1880-1890 ca.

184

rispettabile. Questo porterà a fine ’800 nella nascita del varietà e del concetto di “numero” di attrazione. I circuiti nazionali e internazionali del musichall, in pochi decenni sostituiranno l’industria circense urbana: attorno al 1890 in ciascuna grande capitale a uno o due circhi stabili si affiancheranno decine di sale per music-hall o caffè concerto. Se il circo divideva le classi sociali per ordine di posto, i music-hall più grandi rispettano a volte lo stesso sistema, mentre in altri casi si tratta di locali per tipologie specifiche di pubblico: soprattutto quello maschile in cerca di compagnia ed evasione. Spina dorsale del music-hall sono i comici e cantanti specializzati in parodie etniche e sociali, emersi dalla stessa tendenza che nel circo genera l’augusto. Acrobati, cani ammaestrati e prestigiatori ne completano i programmi. Le sale popolari di varietà hanno un grande impulso a Londra: in pochi anni qui nascono l’Alhambra (1868), l’Empire (1887), il Palace of Varieties (1893). Nel 1868 nella sola Gran Bretagna vi sono trecento sale di varietà, esistono circuiti di artisti, organizzazioni sindacali e le novità appaiono su una rivista professionale, «The Era», fondamentale forma di relazione e aggiornamento assieme alla tedesca «Der Artist» (1883) e all’americana «Clipper» (1886), oggi fonti inestimabili per lo storico.

Nel 1881 a Berlino un popolare caffè-giardino di ritrovo diventa il Wintergarten, una scena enorme da subito punto di riferimento per le attrazioni del massimo livello mondiale; dal 1892 il pubblico berlinese è conteso anche dall’Apollo, e molti degli artisti sono strappati al Ronacher di Vienna12. La situazione non era dissimile in altri Paesi: il grande circuito internazionale toccava anche Barcellona, Madrid, Napoli, Roma, Milano13. Del caso di Parigi, si parla nel paragrafo seguente. Dove il mercato del varietà raggiunge il proprio apice è il continente americano, in cui il music-hall prende il nome di vaudeville [LAURIE, GILBERT, SOBEL, SNYDER]. A New York l’asse del divertimento teatrale negli anni ’80 si sposta a Nord di Broadway, da Union Square a Times Square. Pionieri dell’impresariato teatrale, che in modo significativo provengono dal circo, come l’ex clown Tony Pastor o i barnumiani Keith e Albee, che creano rapidamente circuiti di sale e artisti: il Keith-Albee, formato nel 1883, controllerà presto settecento sale. Se un artista firmava per un periodo con un circuito, gli era assicurata una lunghissima tournèe nei teatri facenti capo a quella compagnia. I “giri” più importanti erano Keith, Orpheum, Pantages, che spesso davano i nomi alle sale stesse, e che dagli anni ’20 del ’900 diverranno inesorabilmente cinematografi. Tra il 1880 e il 1930 si sono esibiti in America circa venticinquemila artisti di varietà e molti di loro, attori e ballerini, sono divenuti divi di Hollywood. Il sistema industriale del vaudeville permetteva ai teatri di restare aperti tutto il giorno, costringendo gli artisti a dare da due a quattro spettacoli. Questo ritmo mozzafiato era il segreto che permetteva ad un numero di raggiungere la perfezione, mentre prezzi bassi e sale eleganti erano il segreto per attirare lo spettatore. Per l’artista, il pubblico popolare e la destinazione per famiglie imponevano efficacia, originalità, immediatezza e assenza di volgarità. In quella che è stata definita l’“opera del popolo”, un numero durava in media dieci minuti. I livelli di qualità dei “giri” erano diversi, dalla provincia più sperduta alla vetta più ambita: il Palace di Times Square a New York, eretto nel 1913. La lunga durata delle sterminate tournées consentiva di eseguire lo stesso numero spesso per una vita intera o per più generazioni. Un programma aveva una decina di numeri, ed era una versione moderna e borghese della fiera. Gli ingredienti del vaudeville erano parodie etniche, numeri di tip-tap, orchestre, monologhisti comici e duettisti, sketch comici, e poi i numeri muti: acrobati, giocolieri, prestigiatori, cani, ciclisti. Ma la corsa alla novità generava ben altro: xilofonisti, ombre cinesi, imitatori di uccelli, evasione da bauli e manette, cappelli animati, calcolatori prodigio, equilibristi, scultori di creta all’improvviso, tuffatori e nuotatori, artisti di origami, fischiatori, virtuosi del biliardo,

185

pianisti acrobatici, ipnotisti, contorsionisti, caricaturisti, imprese di forza, esibizioni di elettricità, antipodisti, lottatori comici, uomini dalle “mascelle d’acciaio”, tiratori scelti, sfere umane rotanti, lettura del pensiero, muli recalcitranti, lottatori con coccodrilli, solisti dell’arpa o dell’ukulele… Con l’espansione delle ferrovie e del telegrafo, gli artisti di circo e varietà potevano accettare anche ogni quindici giorni una scrittura diversa. Molti stampavano brochures illustrate che i loro agenti proponevano ai circuiti teatrali; i più facoltosi inviavano ai teatri sontuosi manifesti a colori da affiancare a quelli del programma completo, aggiungendo visibilità e notorietà all’artista. A questi bastavano un baule di accessori, e grazie ai piroscafi e ai cablogrammi degli impresari potevano muoversi da un continente all’altro. La durata media di vita di un numero poteva arrivare a due decenni o oltre (v. infra 11.2). Cavallerizzi e acrobati aerei (con cavalli propri o materiale più pesante) avevano contratti più lunghi. Nel caso dei circhi viaggianti invece, un gruppo di artisti era scritturato per la tournée di una stagione, spesso per l’intero anno. Il cachet di un’attrazione in un grande circo o teatro parigino attorno al 1880 andava dai tremila ai diecimila franchi mensili. È il caso ad esempio del trio aereo Rainat, che guadagnava quattromila franchi, o della famiglia di icariani Schaeffer, pagati seimila.

186

9.3 La belle époque e le sue stravaganze I deux cirques di Dejean già dopo il 1870 sono passati di moda. Quello d’Eté ha perso i favori dell’aristocrazia e diventa una pista di pattinaggio, quello d’Hiver è diventato il circo delle famiglie di artigiani della zona République. La Parigi della Belle-Èpoque rimane tutt’altro che estranea alla moda mondiale del music-hall, nell’euforia della terza repubblica dopo il 1870. La moda del café-concert sarà presto trasformata dagli spettacoli di varietà. Nascono teatri dove le attrazioni musicali hanno pari dignità con quelle circensi, come il Casino de Paris (1890), o le Folies-Bergère (1869), sulla cui platea nel 1873 si stende la rete dei trapezisti Hanlon-Lees. Per ammirare le attrazioni circensi, almeno dieci sono le sale di primo livello14. Sono sale adatte ad un pubblico internazionale che non conosce il francese; e la loro architettura provvede un sicuro richiamo come il promenoir in cui sono possibili attività licenziose. La stravaganza, la fantasia e la molteplicità dei luoghi di spettacolo parigini di questi anni, dovrebbe essere riletta rivalutando la figura di Joseph Oller (1839-1922), in qualche modo il padre del music-hall continentale, il primo nell’industria dello spettacolo ad interpretare la crescente anglomanie dell’epoca. Oller, assieme al socio Charles Ziedler, è un vulcano di idee all’incrocio tra tutti i generi artistici della belle-époque. Passati alla storia come i

La pantomima Néron all’Hippodrome de l’Alma, Parigi, 1891 (ill. da “La Nature”, n. 895)

creatori nel 1889 del Bal du Moulin Rouge, allietato da attrazioni circensi sempre nuove, poi per il leggendario Olympia (1893), a loro si devono trovate che vanno dalle montagne russe a sale da ballo, da arene a piscine. La storia del circo deve loro due esperienze irripetibili: l’Hippodrome de l’Alma e il Nouveau Cirque, che determineranno l’una l’invenzione delle grandi figurazioni storiche nello spazio ovale poi ereditate da Barnum; l’altra quella dello spettacolo acquatico. Se negli anni 1850 la trovata dell’hippodrome era all’aperto (cfr. 7.2), ora l’architettura industriale di acciaio e vetro e la macchineria teatrale si fondono in nuove realizzazioni coperte. Ormai non è il cavallo da glorificare, ma qualunque novità che possa riempire un enorme spazio. Di ciò è emblema l’Hippodrome de l’Alma (1877-1892), costruito presso l’omonimo ponte in occasione dell’Exposition. Il luogo è un vero precursore del circo barnumiano, che colpisce per la sproporzione tra la sua breve vita e l’enormità del progetto e delle sue produzioni. È una superficie di ottocentoquaranta metri quadrati che, con un impianto di imponenti colonne d’acciaio, si

187

Il dispositivo per le pantomime acquatiche al Nouveau Cirque di Parigi, 1886 (ill. da “La Nature”)

188

dota di colossali vetrate apribili a ventisei metri d’altezza. Ben ottomila persone possono sedere attorno ad un’ellisse con un’asse di centoquattro metri: e una grande novità, la luce elettrica, che «non viene, come il gas, a riscaldare oltre misura i nostri crani»15. Le scuderie possono contenere duecento cavalli. Il primo grande evento è nel 1890 Jeanne d’Arc, scenografato con una sterminata tela metallica circolare, che discende al buio dall’alto e, retroilluminabile, rivela a sorpresa vari panorami. Il canto del cigno prima della chiusura sarà invece Néron (1891), uno degli spettacoli più influenti della storia del circo. Usa cinquecentottanta figuranti e viene fabbricata una prodigiosa gabbia alta quattro metri che sale dal basso con un colossale sistema di ascensore a circondare l’intera arena: per accogliere da botole sotterranee i primi leoni in pista della storia del circo. Nel 1887 un festival di musica all’Hippodrome vedrà alternarsi alla bacchetta Gounod, Massenet e Saint-Saens, tra un carosello equestre, un mulo sapiente e i fucilieri beduini su dromedari. Oltre alle grandi produzioni l’Hippodrome ospita le maggiori novità in fatto di numeri circensi, diventando un vero laboratorio sperimentale e una piattaforma di lancio per tutti i miti del primo Novecento: da qui prendono il volo grandi artisti dell’aria o funamboli; vi debuttano novità esotiche come i saltatori marocchini o gli equilibristi algerini e giapponesi; da qui James Guyon diffonde il nuovo personaggio comico dell’auguste; qui è introdotta la gabbia circolare per le belve di Hagenbeck; attorno all’arena si sviluppano i grandi numeri equestri. Quasi dieci anni dopo il tentativo dell’Hippodrome, nel 1886 Oller crea un altro tempio: il Nouveau Cirque. Costruito nella Rue St. Honoré su un sito da oltre un secolo dedicato a luoghi di svago (come il primo Olympique di Franconi), questo circo aveva elementi di modernità decisivi restando un punto di riferimento fino agli anni ’20 del ’900. Innanzitutto era il primo circo stabile europeo che nasceva fuori della logica dell’arte equestre degli impresari-cavallerizzi, pur conservando la pista classica e qualche esibizione di cavalli. Inoltre nasceva in una zona di Parigi diversa, per un pubblico nuovo alto borghese, adulto di sera e familiare nelle matinées. Forse anche per la prossimità con l’Opéra e i suoi frequentatori, la chiave di attrazione del Nouveau Cirque è l’enfasi sull’eleganza della sala, con stucchi dorati,

vetrate e velluti (foyer, proménoir e scalone sono di Garnier, gli affreschi di sala di Delaunay), luce elettrica. Ma soprattutto c’è l’idea della piscina: il progetto iniziale è quello di essere d’inverno circo e d’estate piscina/sala termale. L’intuizione geniale è, infatti, la possibilità di trasformare la pista in una vasca. Se si scomoda Victorien Sardou per dare alla sala il nome di “Arénes Nautiques”, l’idea non funziona e dopo due anni la destinazione di quello che era promesso come «il tabernacolo dell’equitazione e il santuario del nuoto assemblati in un palazzo fiabesco» resta puramente circense. La pista-piscina servirà per la novità delle pantomime nautiche: quella inaugurale è La Grenouillère (1877), antesignana di un concetto che è ripreso ovunque nel mondo16. Con o senza acqua, questo circo con il direttore-drammaturgo Donval svilupperà una forma originalissima di pantomime circensi: fondali, tappeti e accessori possono creare nello spazio circolare un décor naturalistico, passando da un villaggio a un porto, da una foresta ai binari di un treno che attraversa il circo. Di questi spettacoli, restano oggi i libretti [DONVAL]. È un sistema che sedurrà Busch in Germania e soprattutto Ciniselli a S. Pietroburgo, dove ciò resterà come una delle chiavi scenotecniche dell’estetica circense sovietica (cfr. 11.1). Ma il Nouveau Cirque è soprattutto un alternarsi di numeri ad altissimo livello, i più grandi del mondo: da Footit e Chocolat, padri del duo clownesco moderno, ai prodigiosi cavallerizzi Frediani; ed è tra i primi a presentare belve in pista, seppure ancora trainate nei carri-gabbia. Dai circhi stabili ai teatri, dai music-hall agli hippodromes, dai domatori delle feste ai saloni d’illusionismo, al café-chantant: benché divisi per frequentazione sociale, i luoghi di spettacolo di Parigi offrono una varietà impressionante agli artisti che in fin dei conti sono gli stessi. Cambiano solo i salari. Ne abbiamo testimonianza anche grazie al fenomeno dei manifesti a colori, con l’esplosione della cromolitografia a partire dagli anni 1870 per merito di uno dei padri dell’illustrazione moderna, Jules Chéret, che lavora indistintamente per l’opera lirica come per i serragli. Le sue folgoranti creazioni e quelle dei suoi colleghi (come i prestigiosi tipografi Lévy) ci raccontano le allegorie di cavallerizzi e clowns per invitare il pubblico al Cirque d’Hiver, al Nouveau Cirque o all’Hippodrome. Il cavallo non è più il protagonista dei programmi, sebbene resti l’icona motivante del circo, forse già fastidiosa («il Cirque d’Hiver conserva 40 cavalli per tradizione, il Nouveau ne ha solo 15 che impregnano i velluti col loro odore» [STREHLY]); ormai, negli anni di scoperta della fotografia che rapida evolve verso il cinema, dei divertimenti ottici e della celebrazione del movimento, protagonisti dei manifesti e degli spettacoli sono le grandi vedettes. Come le regine dell’aria Emma Juteau e l’americana Léona Dare, le più pagate ginnaste soliste del-

189

Il circo Fernando (poi Medrano) a Montmartre, ca.1875 (manifesto litografico a colori di E. Lévy. Bibl. De l’Opera, Parigi)

190

l’epoca, che si affermano col pubblico popolare del Cirque d’Hiver per giungere alle sofisticate platee maschili delle Folies-Bergère. Alle Folies tra il 1870 e il 1900 si alternano gli Hanlon-Lees tra numeri al trapezio e celebri pantomime all’inglese; vi accedono i leoni di Seeth; vi si esibiscono il forzuto Holtum che raccoglie una palla di cannone con le mani, i centocinquanta topi ammaestrati del clown russo Durov, gli acrobati Cragg’s, il canguro boxeur; fenomeni barnumiani come le sorelle siamesi Rosa e Josepha o, il capitano greco Costantenus, l’uomo tatuato. L’Hippodrome de l’Alma si sbizzarrisce tra pantomime, fantasie storiche e caroselli equestri tra clowns e acrobati; sotto la volta del Palais de l’Industrie o da un lato all’altro della Senna, Blondin o D’Jelmako percorrono il loro cavo d’acciaio. Nelle fiere primaverili il serraglio del domatore Bidel è ormai un palazzo viaggiante, che lungo gli Champs-Elysées soggiorna per mesi col suo teatro delle belve17. Cavalli-funamboli, elefanti-musici, orsi a tavola e gatti antropomorfi popolano ogni tipo di spettacolo, rimpiazzando con le stravaganze dell’animale sapiente il rigore dell’accademismo equestre. A pochi passi dall’Opera, il nuovo direttore del Théâtre RobertHoudin, il giovane Georges Mélies, promette meraviglie con le sue fiabesche illusioni. Tuttavia mancava ancora un tassello a questo già debordante panorama parigino, per poter parlare davvero di belle époque. 9.4 La nascita di Montmartre e il circo Verso il 1880 la poco popolata collina di Montmartre, zona di operai e disoccupati, inizia ad ospitare nelle sue modeste casupole scrittori, pittori e musicisti. Quando nel 1881 è aperto il café-chantant Le Chat Noir vi abitano già Berlioz, Massenet, Scribe. Ai piedi della collina, a Pigalle, iniziano a sorgere altri locali (il Trianon, la Gaité, la Cigale) fino a giungere ad un’ancora scarna Place Clichy dove un giardino all’aperto presso un vecchio mulino, il Bal du Moulin Rouge, sarà scoperto nel 1889 da una ennesima intuizione di Oller, di certo la più riuscita. Tra i nascenti atéliers dei pittori, nei terreni di Pigalle si spostava con buon successo popolare la baracca del “Cirque Fernando” del cavallerizzo belga Ferdinant Constantin Beert (n.1835). È subito luogo di ritrovo di giornalisti e bohémiens della zona, in cerca di sensazioni semplici o di impressioni realiste. Il successo di Fernando trasformerà nel 1875 la baracca in un nuovo circo stabile in muratura, per un quartiere che non ne aveva. L’edificio

è particolarmente stretto e quindi caloroso, con una pista inscritta in una costruzione dal diametro di trentaquattro metri la cui compatta gradinata si alza per ventun metri. In questo modo, sarà il più intimo di tutti i circhi stabili, e la sua architettura permette un rapporto tra spettatore e artista come forse in nessun altro luogo della storia del circo. Il Cirque Fernando si afferma come il divertimento del proletariato urbano, ma anche dei nuovi amatori dell’arte equestre, i campioni delle corse, i mercanti di cavalli. Ma soprattutto è da subito il paradiso di generazioni di artisti di Pigalle: la chiave dei sogni per pittori e poeti. Negli anni 1880, pittori ancora squattrinati e filosofi branchés passano i pomeriggi sulle gradinate semivuote del Fernando, mentre sulla segatura rischiarata dalle macchie irregolari del sole attraverso i finestroni della cupola, i bambini del pubblico lanciano arance all’augusto o alle figlie del direttore ai loro primi passi. È un circo in cui, più che le sofisticate amazzoni dell’ormai defunto circo degli Champs-Elysées, ad affascinare gli artisti sono l’imprecisione e la naïveté delle cavallerizze saltimbanche, che tentano qualche passo sul dorso del cavallo o saltano attraverso il cerchio di carta tenuto dal clown. In un decennio, il naturale décor de verité del Cirque Fernando è oggetto di almeno quattro tra i capolavori della pittura di tutti i tempi18. Dall’epoca di Seurat, Degas e Lautrec, il mito di questo circo contagerà nel Novecento Picasso, Satie Cocteau, fino a Léger, Mirò e Chagall arrivando fino ai surrealisti. Ma lo stabile avrà già un altro nome: diverrà infatti Medrano dal 1897, rilevato dalla vedette di Fernando, il clown “Boum-Boum”19. Medrano sarà il trampolino di lancio per molti artisti, e col nuovo secolo la consacrazione delle grandi vedettes: il suo prestigio crescerà con la riqualificazione artistico-sociale di Montmartre e col suo mito (cfr. 11.1). La belle-époque riavvicina gli intellettuali al circo. Se a metà ’800 il circo equestre di Auriol e dei Franconi figli era stato celebrato da dandies annoiati dall’arte drammatica come Gautier, Goncourt, Banville, Barbey-D’Aurevilly, ora a fine secolo è il realismo della vita circense ad affascinare Lautrec e Seurat, Balzac e Hugo, o Wedekind che scopre Parigi. Il dandismo circense ritrova invece casa nell’esperienza snob del Cirque Molier (dal 1880 al 1933): è uno spettacolo d’élite realizzato annualmente nel granaio presso la villa di Ernest Molier (1850-1933), non lontano dall’Etoile. Qui assieme a veri acrobati si esibiscono aristocratici e scrittori sofisticati. È la voga del circo. Ma non dura a lungo: nel 1892 è demolito l’Hippodrome dell’Alma, e nel 1898 il Cirque des Champs-Elysées. Nel 1897 Fernando, come si è detto, cede il circo a Medrano, mentre il Cirque d’Hiver sembra avviarsi alla decadenza con Charles Franconi. A Parigi, bisognerà aspettare gli anni ’20 per nuove trasformazioni.

191

Una delle più rinomate troupes di acrobati di music-hall e circo a fine ’800: la famiglia di “icariani” Kremo

192

9.5 Tra saltimbanchi e palestranti: troupes e solisti fin de siécle L’epoca delle grandi attrazioni inizia a sostituirsi a quella del circo equestre, con la codifica decisiva di quattro grandi aree: l’acrobazia a corpo libero, quella con attrezzi, le evoluzioni aere a grande altezza e la giocoleria moderna. Oltre ad innumerevoli sottogeneri. Tre sono gli ingredienti di base: il corpo agile del circense di tradizione, quello forte del palestrante e la filosofia dell’equilibrio proveniente dal Giappone (cfr. 10.2). Alla fine dell’800, il pubblico del circo abbandona la passione dei cavalli per una nuova moda: quella della ginnastica e dell’esaltazione del corpo. Le palestre sono ormai cosa normale in tutto il mondo, e dopo il 1870 l’insegnamento dell’educazione fisica si diffonde nelle scuole. Il termine inglese sport inizia a diffondersi, così come fioriscono ovunque le federazioni di ginnastica: esse dimostrano di essere una lobby transnazionale quando nel 1897, anno delle prime olimpiadi moderne, il barone De Coubertin deve accettare i virtuosismi ginnici come disciplina olimpica. Attrezzi come sbarre, corde, trapezi, anelli, trampolini, potevano garantire miracoli agli appassionati in circa quattro anni di dedizione. Tali pratiche avevano raramente

fatto parte delle tradizioni delle dinastie di acrobati da fiera e dei primi circhi. I circensi di famiglia, costretti dall’itineranza a non basarsi su attrezzi, abituati all’allenamento del corpo dalla più tenera infanzia, erano più caratterizzati dall’agilità, dai salti, dalle contorsioni, dall’equilibrio e dalla danza di corda, dal volteggio a corpo libero poi divenuto anche equestre. Ora il mondo della forza e degli attrezzi dei palestranti borghesi si stava per fondere con quello dell’agilità e del “tappeto” propri dei circensi nomadi, definendo le moderne discipline del circo, come si è già visto con Léotard e la sua evoluzione del trapezio da sport a spettacolo. Nel 1902 e nel 1903, rispettivamente in Italia e in Francia, appaiono due trattati a firma di ginnasti: Zucca e Strehly, che registrano il successo ottenuto negli ultimi trent’anni dell’acrobazia spettacolare nata dall’incontro tra il virtuosismo delle palestre e quello degli artisti nomadi (cfr. bibl.). Entrambi classificano le discipline emergenti e codificano un repertorio ormai leggibile di salti, figure ed equilibri di un vero e proprio vocabolario acrobatico moderno. Alla fine emergono alcune aree principali: l’acrobazia a corpo libero ed i salti; quella con attrezzi come sbarre e anelli; gli equilibri e i giochi di forza; la giocoleria con oggetti o pesi; la ginnastica aerea e i trapezi; l’acrobazia equestre. Con ovviamente infiniti sottogeneri. Strehly si spinge persino a individuare un’attendibile serie di “scuole” emergenti attorno al 1880: i rumeni per le sbarre, la Francia per il trapezio, una scuola “piemontese” per i salti e le piramidi, i tedeschi per gli “icariani”, i giapponesi per gli equilibri, inglesi e americani per i salti a terra e a cavallo. Una vera e propria mappa in cui gli emisferi, le provenienze sociali e le culture tecniche si sono ormai fuse in un’unica grande famiglia. Le unioni tra circensi e palestranti sono sia didattiche che di sangue. In Italia si delineano almeno tre grandi tradizioni di palestre acrobatiche: Torino, Genova, Milano. Da Genova, dove insegna lo Zucca, usciranno anche troupes di sbarristi dal successo internazionale, come Sturla, Bergonzini, Chiesa20. L’arte acrobatica. L’influenza di evoluzioni e attrezzi da palestra non oscura la tradizione acrobatica circense dei salti a terra e degli equilibri, che anzi si teatralizza. Le famiglie dei virtuosi da fiera diventano vedettes del varietà, iniziando a comporre numeri curati nella progressione, nella partitura musicale, nei costumi e nel delineare i personaggi. Dalle calzamaglie si passa all’abbigliamento quotidiano: e così, anche per distinguersi dalle origini banquistes, si diffondono gli acrobati in abito da sera. È il caso di uno dei primi grandi numeri moderni, quello dei Cragg’s, capace tra un continente e l’altro di salari da capogiro21. Padre e sei figli, i sette Cragg entravano in scena in frac con ciascuno una gardenia all’occhiello. Eseguivano sette salti mortali. Poi, deposte le giacche e arrotolate le maniche delle camicie, si esi-

193

194

bivano in mezz’ora del miglior repertorio di evoluzioni a corpo libero al tappeto e in colonna. Numeri simili di salti al tappeto e in colonna erano proposti da famiglie quali Wilson, Chiesa o Briatore. Altre famiglie più che ai salti si dedicano alle evoluzioni “icariane” sui piedi, molto richieste dagli impresari. I più richiesti, i tedeschi Schaeffer’s (come i colleghi Kremo, capaci di un triplo salto sui piedi del porteur), si spingono nella tematizzazione del numero scegliendo costumi da toreri, viaggiando con scenari propri e facendo comporre un’apposita marcia musicale (cfr. 11.2). Oltre alle grandi famiglie, acquistano fascino anche le attrazioni soliste, soprattutto nel caso di equilibristi o dei sempre più diffusi dislocatori-contorsionisti. L’equilibrismo. È in questi anni che si affermano numeri di equilibrio in verticale, soprattutto per il diffondersi di solisti nordafricani, algerini o tunisini, su piramidi di sedie o di piccoli blocchi. Forme strane di equilibrismo sono quelle di due vedettes di fine secolo: Ethardo, che in piedi su una sfera percorre in altezza una vertiginosa spirale; e Leon La Roche, che propone lo stesso numero ma…dall’interno della sfera. Nuova forma emergente di solisti dell’equilibrismo è quella su un certo tipo di trapezio fisso, detto washington dal nome del suo inventore americano, H. R. Keyes Washington (1838-1882), che giunge in Europa nel 1870 assieme ai fratelli Hanlon. Se il rinnovamento del circo fin de siécle deve molto alla cultura delle palestre, non va dimenticata un’altra influenza basilare: il Giappone (cfr. 10.2). I giocolieri. Si è detto di una conquista importante di quest’epoca, la codificazione della giocoleria. Già negli anni 1820 le troupes indiane di maghi e fachiri facevano volteggiare piatti e sfere. Molti forzuti europei di fiera erano da tempo intrepidi nel lanciare e riprendere pesanti oggetti; Le due cose confluiscono nella definizione del solista della jonglerie, il cui motto diventa presto nec plus ultra, in una rincorsa del pubblico basata sulla quantità o diversità di oggetti ma anche sul carisma della presenza scenica. I primi giocolieri sembrano soprattutto tedeschi e sembrano un’evoluzione dell’uomo forzuto come Schaeffer o Spadoni, prediligendo oggetti come le palle di cannone, o alternano la dinamica da “velocimane” del volteggio di oggetti con gli equilibri statici più precari. L’anello di passaggio tra giocoleria di forza e virtuosismo da “velocimane” è dovuto soprattutto al leggendario pioniere della giocoleria, Paul Cinquevalli22. Celebre il suo numero del “tavolo da biliardo umano” con stecche e palline, e il ruolo pionieristico di trovate ancora oggi attuali, come il lancio delle tazzine sulla testa, continuando ad eccellere nella giocoleria con oggetti pesanti, come botti o tavoli. Altro contributo importante è quello di Moritz Cronin, cui sembra si debbano le tipiche “clavette”. Ma la tendenza in atto è quella del giocoliere con oggetti quotidiani, che come abbiamo visto per gli acrobati si veste con abiti da gentiluomo con-

temporaneo. Vera icona diventa Kara, con palle e stecche di biliardo o scatole di sigari; e vanno di moda le troupes di giocolieri che si presentano nei teatri con una loro scenografia e attrezzistica a tema, quasi sempre ispirata al ristorante: sulla scia della famiglia Agoust tra i numerosi esponenti del genere passerà alla leggenda la famiglia Perezoff, con un vero e proprio atto unico senza parole ma con dovizia di tavoli, bottiglie, piatti, cibarie che volteggiano in aria. Del resto le specialità inusuali aumentano in questi anni, molte delle quali si affermano come discipline circensi. La bicicletta e il cavallo. È il caso degli acrobati-ciclisti, il cui repertorio in alcuni casi sembra ricalcato sull’acrobazia equestre: dopo vari pionieri dagli anni ’60, l’apoteosi è raggiunta negli anni ’80 dalla famiglia Ancillotti (9 persone in frac che entrano in scena in ordine di altezza per statura e dimensione del velocipede) che compie veri e propri prodigi da una bicicletta all’altra, già prima che la bici moderna sia inventata nel 1880. L’ascesa della bicicletta non sembra nuocere all’acrobazia equestre che anzi ha un impulso, sebbene i numeri con cavalli non siano più la parte principale dei programmi circensi. Per una troupe di acrobati è molto più facile girare il mondo con attrezzi pesanti che con un gruppo di propri cavalli: ingombro che inoltre preclude di molto il palcoscenico del music-hall. È di questi anni la coscienza di un “detrimento” dell’arte equestre a favore della ginnastica [STRÉHLY]. Nonostante questo, fioriscono alla fine del secolo alcune troupes splendide di ginnasti equestri: dai cinque Loyal, vedettes parigine dei deux cirques, alla famiglia dei Lecusson, uomini e donne in abito da sera in piedi in quattro su un cavallo; ai fratelli inglesi Charlie e John F. Clarke, tra i primi capaci di salti mortali da un cavallo all’altro. Nel 1875 William Bell inventa il numero del jockey d’Epsom, con fantini in costume che saltano correndo di fianco o sul dorso del cavallo. Fino ad arrivare ai leggendari fratelli Frediani, che nel 1901 sono in grado di presentare una colonna di tre uomini sul cavallo al galoppo. Tutte queste troupes al principio del secolo passano sistematicamente negli Stati Uniti ad arricchire la compagnia di Barnum & Bailey, in una migrazione di cavallerizzi che durerà oltre la Seconda Guerra Mondiale. Le evoluzioni aeree. Tra tutte le possibilità di fusione tra palestranti e ginnasti, la più grande conquista della belle époque è l’esplosione dei trapezi volanti. L’intuizione di Léotard (cfr. 8.4) nei primi decenni si offre a una progressione di varianti spettacolari, che al principio del ’900 si fisseranno nell’arte del trapezio volante come la conosciamo oggi. Poi c’è lo spostamento progressivo in altezza che alla passerella di Léotard sostituisce la rete di protezione. Questo consentiva di poter presentare i trapezi sulle teste degli spettatori nelle platee dei teatri e delle halls europee e americane, che per un

195

Gli Hanlon-Lees alle Folies-Bergère, 1872 (da “L’Univers Illustré”, coll. dell’autore)

196

buon ventennio furono i veri luoghi di genesi del trapezio volante. Il primo a cimentarsi con un’altezza considerevole è William Hanlon che nel 1861 presenta a New York lo Zampillaerostation: il tentativo di elevare l’atleta su un’alta colonna di partenza. Dopo l’altezza, la successiva intuizione è la possibilità di presentare il numero con due diversi ginnasti, che possono così alternare i ruoli di lanciatore e atleta, vivacizzando il numero: i fratelli Loyal e gli Alex, ancora francesi, sono tra i primi. Nel 1872, nell’alto della platea alle Folies-Bergère, la famiglia Hanlon al completo farà realmente parlare di uomini volanti23. Vi è presto l’introduzione di ginnaste femminili: tra le prime di cui sembra essere testimonianza è nel 1868 Miss Azelle. Ma sopratutto, si assiste all’inarrestabile sviluppo delle evoluzioni. Se Léotard eseguiva già un salto mortale da un trapezio all’altro, presto si arriva al doppio. La prima esecuzione di un “doppio” è attribuita dagli storici a Edmond Rainat dopo il 1870, ma recenti ricerche darebbero il primato ad altri24. Rainat, col fratello e la sorella, diede vita al più prodigioso trio di acrobati aerei di fine ’800 (poi una numerosa troupe), rendendo i “3 Rainat’s” una delle attrazioni in assoluto più contese e pagate al mondo tra i due secoli. L’impulso spettacolare è dato dalla commistione con la ginnastica alle sbarre a grande altezza. L’apoteosi si ha attorno al 1880, quando i maggiori teatri del mondo si contendono la regina delle troupes: gli Hanlon-Volta: a tre dei fratelli Hanlon si aggiungono i due fratelli Volta con le loro sbarre fisse. In cinque presentano evoluzioni su tre diversi livelli di altezza. Ma il volteggio da trapezio a trapezio, in gergo baton-baton, se ebbe fortuna ancora per qualche decennio sarà soppiantato dagli esercizi eseguiti da un atleta nelle mani del catcher, o porteur, sospeso a testa in giù. L’origine è imprecisa poiché graduale, sebbene i primi a popolarizzare la scelta sono i fratelli spagnoli Rizarelli (famiglia Rizar), a metà degli anni 187025. Si servono di una rudimentale propulsione con una sorta di trampolino aereo (idea poi curiosamente riemersa nel 1993 in Corea del Nord). L’invenzione del trapezio porta a immaginare molti altri dispositivi di lancio nel vuoto, avendo generalmente donne come “vittime”: come i tuffi in rete, o plongeons, o il lancio nel vuoto verso un trapezio tramite macchinose invenzioni: si parte da una specie di balestra gigante per arrivare al leggendario cannone26. Zazel è nel 1877 la prima celebrità come donna proiettile, la cui fama sarà messa alla prova dalla plongeuse Miss Zaeo, esibitasi anche in Italia. 9.6 Il grottesco in abito nero: la leggenda dell’auguste Nel 1864, la legge francese sulla libertà degli spettacoli consente finalmente al clown la commedia dialogata e gli strumenti musicali. Nello stesso

197

198

anno, la demolizione del “Boulevard du Crime” (che spazza in un colpo l’ex Cirque Olympique, i Funambules, Saqui, Nicolet) decreta l’agonia della pantomima e del teatro acrobatico. Schiere di mimi e virtuosi si riversano nei nascenti caffè (aiutando la nascita del café chantant), o approdano al circo degli anni d’oro. Parigi conta a fine secolo due circhi stabili rotondi che in meno di vent’anni arriveranno a cinque (senza contare le decine di sale di varietà): come in nessun’altra città al mondo. I clowns eredi della fiera vi portano in pista l’arsenale di trucchi, arnesi di scena, strumenti musicali improbabili, teste di cartapesta, animali di pezza delle pantomime fiabesche nate dall’ormai inestricabile ibrido tra Commedia dell’arte, clownerie inglese e pantomima francese. A Londra, il clown inglese grimaldiano è condannato a sparire assieme ai circhi e ai teatri di pantomima inglesi, spazzati via dal music-hall: è in esso che il clown si riciclerà, o sopravviverà nei pantomimes fiabeschi natalizi, come il Calvero immaginato da Chaplin nell’atmosfera vittoriana di Luci della ribalta. Il clown inglese avrà delle possibilità negli Usa: da una parte esportando la pantomima, che per qualche decennio avrà vere e proprie vedettes teatrali (come il grande clown George Fox, o prima ancora Dan Rice); sia soddisfando la fame di clowns dei circhi statunitensi. In questi tendoni, sempre più vasti, si compongono gli eserciti anonimi e appariscenti di buffoni, tra i quali pescherà a piene mani la nascente industria del cinema. Anche in Germania, Italia, Russia e Spagna i grotteschi all’inglese lasceranno gradualmente spazio alla conquista parigina della commedia dialogata. Negli anni di condanna al silenzio, il clown acrobata, privato del dialogo, si era arricchito di altre doti: di qualità vocali non verbali, della coscienza acustica e fisica dello spazio rotondo, dell’interazione drammaturgica con la gerarchia circense, di una varietà ormai infinita di costumi e lazzi. Attorno al 1870, si ha un colpo di coda della pantomima inglese, modernizzata grazie ai citati fratelli Hanlon-Lees (cfr. 9.5). Questi, lasciata gradualmente l’acrobazia e il trapezio, si concentrano sul teatro di pantomima divenendone i maggiori protagonisti mondiali. Condizionati da una serie di influenze teatrali e circensi, paiono cavalcare la tendenza del naturalismo a teatro unendo l’arte del clown al trionfo della moderna machinerie teatrale. I loro Do Mi Sol Do (1876), poi l’elaborato Voyage en Suisse (1880) diverranno l’apoteosi dell’arte scenica di fine secolo, citati persino nei primi manuali di scenotecnica [MC KINVEN, MOYNET]. Fra treni che deragliano, carrozze che esplodono, batiscafi assaliti da piovre in fondo al mare, gli Hanlon sembrano incarnare una versione grottesca di Jules Verne fatta di tele dipinte e botole da teatro. Sono spettacoli da palcoscenico, ma con una grande novità rispetto al fiabesco di un tempo. Infatti, un altro ruolo storico attribuibile agli Hanlon, è l’abbandono del costume del clown a favore di ambienti e personaggi contem-

poranei: questi, tra crolli e incidenti, sembrano la prima vera e propria anticipazione delle comiche cinematografiche. È la prima possibilità di comico nella variante grottesca di tipi “normali”, diffondendo i frac neri, tendenza comune ad altri artisti di circo e varietà, come gli acrobati Cragg’s o il giocoliere-regista Agoust (maestro degli Hanlon stessi e dei Perezoff). Volti pallidi di cerone bianco stretti in abiti neri conciliano l’aspetto grottesco con un gusto anche macabro, in quella combinazione che aveva affascinato Baudelaire, (perfettamente immortalata da Chéret in certe affiches) e che contraddistingue l’identità della pantomime anglaise. Ed il comico in abito scuro è destinato a rivoluzionare la risata al circo, con l’emergere di quello che diverrà l’erede novecentesco del clown: l’“augusto”. È di questi anni la nota leggenda. Al circo Renz di Berlino, un inserviente maldestro in uniforme, identificato in Tom Belling, suscita le risate inaspettate del pubblico che apostrofandolo come “ajust!” (sciocco, in gergo), “inventa” il nome di un nuovo personaggio: l’“augusto”. Ma come sempre, la storia è molto meno casuale. Belling risulta realmente al Renz all’epoca: ma non era un inserviente, bensì un già noto cavallerizzo e clown saltatore con i suoi fratelli Clemens e Gobert Belling. Come tutti gli artisti, Tom alternava i suoi numeri al servizio di pista in uniforme nera. Una sera, il porre per scherzo una parrucca da pantomima sull’uniforme, avrebbe costituito il germe ilare del nuovo personaggio27. Oggi restano in effetti le prove che quel fortuito accostamento di parrucca rossa e frac nero cambiò completamente la sua carriera, lanciandolo come vedette di prim’ordine, sicuramente il primo artista documentato come august. Ma il personaggio maldestro in livrea, più che del caso fu forse figlio di molteplici influenze28. Il genere di comico in abito nero pseudo-elegante, capelli rossi e naso paonazzo, lo si poteva riconoscere già in nuove forme di clownerie extra-circense: non solo negli Hanlon o tra gli acrobati in frac, ma anche negli smoking troppo larghi o troppo stretti dei primi cantanti francesi di caféchantant, dai capelli dritti o dal naso paonazzo; nei miseri abiti da cerimonia dei black minstrels vittoriani in guanti bianchi, papillon e cilindro; o nelle oscure birrerie tedesche tra i precursori spiegazzati e lisi del kabarett. E ancora tra gli abiti apparentemente “seri” dei primi inservienti comici provenienti dal mondo stesso della pista già a metà ’800: come Chadwick (già allievo di Widdicombe, il brillante pioniere dei ringmaster, di cui in 8.2), o gli equilibristi comici Lavater Lee jun. o Olchansky. In Francia, il dizionario Larousse del

Tom Belling, il primo august, 1873 ca.

199

tempo cita i «clowns in abito nero» menzionando gli Hanlon-Lees. È difficile dire chi viene prima di chi. Sull’origine dell’augusto, artistica ed etimologica, si moltiplicano ormai varie e suggestive possibilità29. Nel 1865 inoltre, a Parigi il citato clown inglese Chadwick (1838-1889) si esibiva già come direttore di pista comico, come ampiamente documentato [SALTARINO, RÉMY 1945, THETARD 1945]. Non va infine dimenticato che nella seconda metà dell’800 viaggiava nei circhi e varietà europei la famiglia francese Agoust, che si esibiscono come “Les Deux Agousts” in «una specie di abiti da sera burleschi» [MCKINVEN]. Certo è che attorno al 1875 sembra emergere una tipologia nuova di comico di pista, capace di una risata inaspettata: molto più forte poiché legata alla dignità della presunta eleganza, e non alla ormai scontata maschera buffonesca dei clowns dalla faccia dipinta. Questi ultimi, da un buon secolo ormai convenzione chiassosa e colorata, paiono sempre meno capaci di vere risate, e si avviano verso il ruolo poi storico di spalla. L’augusto, parallelamente alla nascita del music-hall, pare invece una tipologia clownesca che si stacca dalle maschere di origine teatrale, per ispirarsi all’esagerazione “dal vero” di tipi quotidiani, lontano dalla codifica gestuale grottesca del circo e della pantomima. Non a caso il fenomeno coincide col naturalismo a teatro: il successo dell’inserviente comico dal naso leggermente rosso e dai capelli disordinati, poi divenuto un buffo uomo della strada, si inserisce con esilarante precisione nella tensione drammaturgica di una ormai matura gerarchia delle figure della pista. Di sicuro Belling è in qualche modo il primo august dichiarato, ed una vera vedette: il suo personaggio maldestro in abito da sera è per anni nei più grandi circhi e music-hall, dal Wintergarten di Berlino all’Hippodrome di Londra30. Le sue esibizioni non sono numeri, bensì brevi interventi pressoché solitari, ancora lontani dalla commedia dialogata. A Parigi, un anno dopo il passaggio di Belling, nel 1878 il personaggio è praticamente plagiato all’Hippodrome de l’Alma da James Guyon, se si confrontano le rare foto dei due. Guyon arriva inoltre nel pieno della moda parigina per gli Hanlon-Lees. L’augusto è subito un’icona teatrale continentale, talmente popolare che ogni music-hall non potrà escluderlo dai programmi (trasformandolo presto nell’“eccentrico”), e ogni circo non potrà più non affiancarlo alla comicità del clown31. L’augusto è anche costretto ad accentuare i propri attributi, per contrastare la forte maschera del clown che, pur perdendo in comicità resterà coloratissima e aggressiva. Di fianco al clown, nell’augusto la semplice macchia paonazza diventa un naso finto, le scarpe da inserviente si allungano (e molto grazie all’emergere di Little Tich, ispiratore di Chaplin), i capelli rossi diventano un vero cespuglio, gli abiti sono sempre più grandi, come nel caso di uno dei prototipi dell’augusto parlatore, Billy Hayden, verso il 1875. 200

9.7 Il popolo del circo: saltimbanchi, borghesi e il caso italiano Il nascente mondo del circo non era solo quello del “giro” di cavallerizziimpresari dei grandi stabili urbani. È anche tra quelli allora definiti “saltimbanchi” che si deve cercare la nascita della popolazione circense moderna. Emerge in misura sempre maggiore un circo di tipo ambulante: sopratutto rurale, di provincia, sviluppato principalmente dalle antiche dinastie acrobatiche di origine fieristica o tzigana. Esse assimilano al loro patrimonio la diffusione dell’arte Il circo Sanger (Regno Unito), uno dei primi ad usare il tendone (incisione tratta da una fotografia, 1886. Coll. privata)

equestre e quella del tendone. In breve le due nozioni di “compagnia equestreginnastica” e “saltimbanchi” confluiranno nella definizione di “circo equestre”, inteso sia come genere artistico che luogo trasportabile di spettacolo. Il tendone si afferma in Europa solo dopo il 1870, e per decenni il formato dominante resta quello a parapioggia, con palo centrale (cfr. 6.3); nei circhi più grandi il sistema si estende con due pali in linea, entro i quali inscrivere la pista (cfr. 12.1). I primi circhi organizzati con tenda e carrozzoni sono quelli inglesi: anche per l’influenza delle numerose tournées di circhi ambulanti americani in Gran Bretagna. Il più antico dei circhi viaggianti di una certa reputazione è nelle isole britanniche quello dei fratelli George e John Sanger. Documentati nelle fiere verso il 1840 (cfr. 6.3), i Sanger già verso il 1860 hanno cavalli e un serraglio

201

Le compagnie circensi della famiglia Guillaume sono le più importanti in Italia nel secondo ’800 e si esibiscono generalmente nei teatri (cfr. la nota 6 del cap. 9). Programma di sala, 1887. Coll. dell’autore

202

annesso, e presto la pretesa di portare in tournée pantomime in costume. Formeranno due circhi dopo il 1870, dei quali quello di George diventa il più importante. Seppur di dimensioni ancora contenute, verso il 1880 la sua tenda a due alberi può ospitare duemila persone. È inoltre forse questo circo il primo ad ospitare la rete dei trapezisti sotto un tendone; ed è ad esso che si riconosce l’introduzione dei carri di legno scolpiti per la parata nelle vie cittadine: una via di mezzo tra la pompa dei carri funebri e le feste barocche. Da recenti ricerche, emerge che Barnum nelle sue visite a Londra sarà molto impressionato dal sistema di Sanger, e dall’idea della sfilata e dei carri, che diverrà una delle icone del circo statunitense32. I diretti concorrrenti di Sanger erano George e William Pinder, con un loro circo dal 1854. Presto il circo ambulante si diffonde in Europa continentale. Il Circo Pinder sbarca in Francia nel 1854 per restarvi per sempre (l’insegna, passata in varie mani, è attiva e popolare ancora nel 2007), introducendo anche qui l’uso dei carri da parata. Il primo circo francese di un certo rilievo con un sistema ambulante è attorno al 1856 quello di J. B. Théodore Rancy (1818-1892): cavallerizzo, è il patriarca dei direttori circensi francesi, e capo di una numerosissima dinastia di imprenditori di circo33. Suo primo concorrente è il circo di Antoine Plége, di una famiglia di danzatori di corda. Le compagnie ambulanti francesi sfruttano anche la crescente e presto capillare rete, unica per l’Europa, degli stabili urbani di provincia34. È difficile identificare chi all’epoca usasse un vero tendone: nelle cronache e pubblicità, con nomi come “costruzione” o “padiglione” si intendeva spesso un circo provvisorio in legno e tela. In Italia, è con una di queste strutture che giunge nel 1870 il circo americano di James Myers: forse il primo esempio nel nostro Paese di circo equestre ambulante. La prima compagnia italiana ad usare una struttura mobile di una certa importanza potrebbe essere il circo Zavatta attorno al 188035. Così come in Francia, in Italia il circo itinerante si sviluppa grazie anche al calendario delle varie fiere di provincia, in cui si forma un nuovo popolo nomade: di esso cui oltre che dei circensi fanno parte le nascenti ménageries di animali, le baracche dei lottatori, i gabinetti delle cere, gli innumerevoli esibitori del pre-cinema, i giostrai. Seppur si è visto come l’Italia conservasse un regolare impresariato di compagnie equestri medio-alte nel giro teatrale, il “caso” che distingue il nostro Paese in Europa è in realtà un altro. È quello più modesto di tantis-

sime famiglie nuove, che affrontano la strada con il loro parapioggia e i loro carrozzoni, introducendo quella che sarà la chiave di volta del circo novecentesco: la famiglia polivalente, sia dentro che fuori della pista, che fonde vite artistiche, logistiche e trasmissione del sapere. Queste famiglie sono definite “saltimbanchi”, viste come paria della società, ma applaudite con simpatia nei loro spettacoli. L’urbanistica della provincia italiana postunitaria offre piazze centrali rotonde per accogliere i circhi. Il solo arrivo di cavalli e carrozzoni, ed il montaggio, sono già uno spettacolo. Prima della recita, la “parata” d’invito sul soppalco antistante il tendone è l’eredità delle fiere dei secoli precedenti: queste famiglie, si è detto, spesso provengono direttamente dai cognomi italiani che si ritrovano nei documenti del “Boulevard du Crime” a Parigi o della St. Bartholomew’s Fair a Londra. Ora hanno imparato in qualche modo le acrobazie equestri e l’arte dei primi clown, pur mantenendo le tradizioni del ballo sulla corda e della pantomima; e presto la progressiva fusione col mondo dei palestranti esalterà la loro già naturale agilità. Nel tardo ’800, si assiste a frequenti matrimoni di rampolli borghesi (studenti o seminaristi, palestranti) con ragazze del mondo viaggiante. Quasi tutti dell’Italia centro-settentrionale o del Piemonte: probabilmente perché il circuito dei circhi seguiva gli appuntamenti di svago delle grandi fiere del bestiame e dell’agricoltura, fiorenti in tali aree. I cognomi di questi giovani diventano quelli di tutte le grandi dinastie italiane del Novecento: le quali, si può affermare, nascono tra il 1870 e il 1880. La paternità borghese spegne i cognomi più antichi, facendo svanire per sempre tracce remotissime. Queste dinastie danno vita prima a circhi medio-piccoli (spesso in fusioni periodiche tra loro), e in seguito a grandi artisti che si spargeranno nel mondo. Oggi almeno trecento di questi cognomi italiani sopravvivono, e non solo nella penisola [LITTAMODIGNANI]. Tra primi cognomi ad emergere attorno al 1870 e in buona parte ancora attivi oggi, sono: Bellei, Biasini-Anastasini, Bizzarro, Cavallini, Frediani, Folco, Gerardi, Sforzi, Pellegrini, Truzzi, Zacchini, Zamperla, Zerbini. A loro si aggiungono dopo il 1880 i primi modesti circhi di Orfei e Togni. C’è poi il caso dell’oggi estinta famiglia Travaglia, che genera le dinastie Colombaioni e Larible. E soprattutto una triade di prodigiose quanto numerosissime dinastie che, in Europa e poi in America, produrrà alcuni tra i più grandi artisti che la storia del circo abbia mai dato: Cristiani, Zavatta, Caroli.

203

10. COLONIALISMO

ED ESOTISMO

10.1 Il circo nel Nuovo Mondo e la leggenda di Chiarini Tra il 1850 e il 1880, tra gli imperi francese, inglese, tedesco, russo, spagnolo è competizione in Asia centrale, Sudest Asiatico, Africa, Americhe. Altresì vivace è la loro tensione con le realtà autoctone: dalle guerre indiane e cinesi, a quelle con i Maori, fino in Sudafrica, e alle ribellioni in Giamaica. A tutto questo si accompagna un’espansione mercantile senza precedenti, che in Europa corrisponde ad una democratizzazione dei consumi. Alla fine del XIX secolo, la conoscenza del mondo “non civilizzato” è completa. Popoli, costumi, manufatti, animali di altri mondi non sono più prodigi o simboli, ma prodotti di una natura diversa, da studiare e mostrare per testimoniare e motivare la propria capacità di controllo. Nello stesso modo, tutto quello che è occidentale diventa oggetto di fascino e desiderio sia per le popolazioni orientali che per i coloni delle Americhe e dell’Oceania, avidi di novità da Londra e Parigi. Di questo universo, il circo è un veicolo fondamentale: da un parte per la voglia di esotismo in Europa (acrobati, animali, selvaggi); dall’altra, per il fascino dell’Europa nel resto del mondo. E il circo, tra importazione e esportazione, segue il ritmo della colonizzazione politica, militare e culturale del pianeta. Dopo il 1860 l’Europa e l’America hanno codificato lo spettacolo circense come un insieme di esibizioni equestri, acrobatiche e con animali in uno spazio rotondo. In tutto il resto del pianeta esistono però ancora forme diverse ma molto specifiche: dalle troupes nomadi di funamboli del Turkmenistan, ai voladores sudamericani, all’acrobazia rituale dell’Estremo Oriente, alle troupes ambulanti di maghi-acrobati-fachiri che spaziano dal subcontinente indiano alle steppe russe; a forme di virtuosismo equestre nel Medio Oriente o nella regione caucasica; a troupes acrobatiche nomadi del Nordafrica a quelle legate alle tribù del continente nero, alle organizzate compagnie cinesi e giapponesi in teatri di varietà e parchi di attrazioni orientali. Queste forme all’alba del Novecento saranno oggetto di un fenomeno di sincretismo tra l’esportazione dei circhi occidentale e la diffusione di tradizioni diverse nel mondo circense occidentale. In un’epoca di viaggi etnologici, spedizioni scientifiche, caccia di animali, missioni diplomatiche e soprattutto guerre coloniali, tra i vari imprenditori di spettacolo che si avventurano nei vari continenti non mancano i capocomici circensi. Inizialmente le prime zone di tournée dei circhi europei sembrano essere quelle balcaniche, del Nordafrica o al massimo del Medio Oriente. Tra i primi è Louis Soullier: attorno al 1860 passando per Budapest, Sofia e Belgrado

Eng e Chang, la prima coppia di gemelli siamesi, posano a New York nello studio del fotografo M. B. Brady per il loro arrivo al Barnum Museum nel 1860

205

ottiene le grazie del Sultano di Istambul; tornato in Europa chiamerà il proprio circo “Caravan Serail”. Nelle stesse aree è molto attivo l’impresario Teodoro Sidoli che ha una compagnia dal 18551. I grandi direttori tedeschi fondano i primi circhi stabili in Europa dell’Est2. Già nel 1859 Rancy aveva inaugurato un circo stabile al Cairo per festeggiare l’apertura del canale di Suez. Gli Stati Uniti diventano invece un punto di partenza privilegiato per la conquista di altri continenti. È il caso di vari americani, o francesi trapiantati in America: ma soprattutto di una delle figure più leggendarie e misteriose della storia del circo: Giuseppe Chiarini (1823-1897). Chiarini è l’ultimo esponente di una dinastia considerata la più antica della storia (se ne hanno tracce dal 1580 in modo costante). È il direttore cui (al pari di Soullier) si deve la diffusione del modello circense occidentale in Sudamerica, Estremo Oriente ed Oceania, e

Il Royal Italian Circus di Giuseppe Chiarini in Giappone, periodo Meiji, 1860 ca. (manifesto, fondo Jacob-Williams, Tohu, Montréal).

206

l’unico ad aver compiuto per due volte il giro del mondo. Chiarini, al contrario di quanto si immagina, in realtà non agì mai in Europa se non come artista, giungendo negli Stati Uniti quasi per caso3. Qui inizia la sua attività di imprenditore in società con vari circhi, mettendosi in proprio nel 18544. Presto si ritrova protagonista di una vera e propria conquista del pianeta. La sua storia è ancora difficile da ricostruire con esattezza: ma il fatto che tra il 1850 e il 1890 articoli di giornale e manifesti documentino la sua presenza, e più volte, dal Nepal alla Nuova Zelanda, da Cuba a Singapore, dal Guatemala al Sudafrica, è semplicemente straordinario5. È pure difficile capire il modo in cui la sua come altre compagnie si spostarono per mare, o all’interno di un ampio territorio, con al seguito alcune decine di persone, cavalli, animali esotici. Probabilmente alternavano l’uso di una struttura portatile a quello di luoghi occasionali. È

certo che essi esportano un sistema di spettacolo originale che ha il potere di mutare profondamente le culture circensi autoctone, o generare imprese e dinastie circensi sul modello europeo. In Sudamerica i primi circhi appaiono già dal 1870, divenendo uno spettacolo popolare in Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Portorico, Guatemala, Brasile, Peru, Ecuador, Colombia. Tuttavia il circo sembra radicarsi molto a Cuba, dove Chiarini erige un circo stabile nel 1853 (oggi una chiesa) e soprattutto in Messico, terra dove emergerà un numero incredibile di dinastie. Chiarini approda in Messico nel 1864, con l’inizio del regno di Massimiliano I, e vi fonda un circo stabile (poi divenuto sede del parlamento). Sarà ispirazione per la nascita di due dinastie di imprenditori circensi attive ancora oggi: quella fondata da Aurelio Atayde nel 1888 (oggi tra le più numerose famiglie circensi al mondo), e quella dei fratelli Suarez (1872) [CARDENAS]. Chiarini è poi in Brasile nel 1867, dove dopo il suo passaggio nascono numerosi altri circhi. In Oceania il circo arriva quando in Australia i coloni aprono i primi teatri: del primo circo si ha notizia già nel 1847, e impiega anche schiavi affrancati6. Qui la diffusione del circo viaggiante si deve soprattutto alla febbre dell’oro australiana: attorno al 1860 esistono già i tendoni viaggianti di Jones, Burton e Ashton (quest’ultima una numerosa dinastia ancora oggi attiva, fin dal 1852). È dal 1873 che vi arrivano grandi circhi d’America e d’Europa, con le ripetute visite di Cooper & Bailey (quest’ultimo il futuro socio di Barnum) e del solito Chiarini. Un’altra dinastia australiana, i Wirth (dal 1878), si avventurerà anche in Sudamerica ed Estremo Oriente. In Sudafrica (dove passa anche Chiarini), un importante ruolo pionieristico si deve a famiglie di cavallerizzi-imprenditori inglesi. 10.2 Esotismi reciproci tra Oriente e Occidente Nel corso di tutto il XIX secolo, l’influenza orientale sulla nostra cultura non è casuale ma attraversa varie fasi, legate alla politica e al commercio. Dalla fine del ’700 al fascino per il Medio Oriente si sostituisce la moda per l’India, che seguendo le prime strategie coloniali sarà una delle caratteristiche dell’universo vittoriano. Solo verso la metà del secolo avrà ampia diffusione la cultura cinese (nell’epoca delle Guerre dell’Oppio). E infine, negli ultimi decenni del secolo, il Giappone si apre all’Occidente. In queste fasi il circo è un dispositivo culturale sottovalutato ma enorme, poiché capace di influenzare masse con usi e costumi, sia in Occidente che in Oriente. Nella seconda metà dell’800 le pantomime dei circhi inglesi e tedeschi o degli ippodromi francesi e americani riflettono puntualmente le battaglie coloniali. Le troupes indiane dal 1820, quelle cinesi intorno al 1840 e quelle giapponesi dopo il 1870 ebbero un’influenza capitale sulle nostre arti circensi: in particolare

207

Manifesto dipinto a mano per un circo giapponese, 1860 ca.

208

sulla codificazione occidentale della giocoleria e dell’illusionismo moderni. Sono forse migliaia gli acrobati, danzatori, prestigiatori occidentali che devono la loro fortuna all’appropriazione di nomi, abiti e repertorio orientali. Vicerversa, in Oriente sotto i primi tendoni nati dal contagio occidentale, è una gara a usare abbigliamenti ed esercizi tipici dei circhi americani o europei. Il circo è un divertimento occidentale che attrae il pubblico cinese, giapponese o indiano, fino in Birmania, Malesia, Giava, Siam, Bangkok. Nel 1879 Chiarini giunge a Bombay: il circo è visitato dal Rajah di Kurudgad, che affascinato dal modello europeo nel 1889 ha l’iniziativa del “New Indian Circus”: il primo di numerosissimi tendoni indiani all’europea. In Cina, durante la dinastia Quing (fino al 1870), l’arte acrobatica aveva conosciuto una fase di decadenza. La politica semifeudale successiva alla Guerra dell’Oppio (1858) creava un clima di oppressione difficile per gli artisti, degradati agli ultimi ranghi della società. Nell’800 cinese, sono maggiori le testimonianze di numeri di fachirismo o suspence a discapito dell’arte acrobatica: in tempo di crisi, tali esibizioni non richiedono allenamento e colpiscono di più il pubblico. Se non si riusciva a fuggire all’estero, si trovava lavoro con spettacoli di strada nei villaggi, o anche nei parchi di divertimento nelle maggiori metropoli: come il quartiere di Tsin Tiao a Pechino, il “Tempio di Confucio” a Nanchino o il “Nuovo Mondo” a Wuhan. Molti di questi parchi erano gestiti dalla mafia: questa, oltre alla crisi, è una delle ragioni della grande migrazione di acrobati cinesi verso occidente nella seconda metà dell’800. Ed infatti, dopo la voga dell’India, nei teatri d’Europa e d’America, verso il 1860 esplode il boom dei cosiddetti “giocolieri cinesi”: si tratta di troupes composite di artisti che presentano programmi misti di giocoleria, fachirismo, equilibrismo ed illusionismo. Il fenomeno esplode a cavallo tra i due secoli: la troupe più celebre sarà quella di Ching Ling Foo (il prototipo del mago cinese) che dal 1898 visita America ed Europa. Altri artisti raggiungono Russia o Giappone. Molte di queste troupes, al loro ritorno in patria introducono tecniche circense occidentali o di altri Paesi dell’Oriente, preparando il terreno per il grande serbatoio della Cina comunista. In Giappone, al porto di Yokohama, nel 1856 sbarca l’ammiraglio Perry con le prime navi occidentali. Negli anni 1860, il Giappone compie almeno dieci missioni diplomatiche in Occidente (la prima delle quali a New York è organizzata con Barnum), e si moltiplicano i trattati con i governi europei; fin-

ché, quando nel 1867 l’imperatore si installa a Edo (Tokio) iniziando il periodo Meiji, ha inizio l’occidentalizzazione del Giappone [SAVARESE]. A Tokio, abiti moderni e cappelli a cilindro, curiosità per la moda delle capitali europee, corrispondono a Parigi e a Londra alla moda del Giappone nelle arti decorative e dello spettacolo. In Europa, arredatori, architetti e scrittori fanno del Giappone un tema centrale; il japonisme condiziona illustratori e pittori della bélle époque (Lautrec in testa) ; clowns e acrobati sono condizionati dalla stilizzazione giapponese nel trucco e nei costumi; a New York negli ultimi anni del museo di Barnum una delle attrazioni è una mostra di manufatti nipponici. Il Giappone, già da secoli terra di acrobazia soprattutto rituale (cfr. 3.6), a metà ’800 ha teatri di fiera gestiti da famiglie di acrobati, come gli Okuda a Osaka e i Komatsu a Tokio, che incorporano alle attrazioni circensi anche le arti marziali, in passato militari e religiose. In questo ambito maturano vere e proprie troupes organizzate: il primo vero capocomico circense riconosciuto è Hayatake Torakichi, che dal 1857 compie numerose tournées. È la sua compagnia a popolarizzare gli esercizi di kyokuzashi, l’equilibrio su pertiche di bambù tenute sulla fronte o sul bacino, in cima alle quali acrobati compiono ogni tipo di evoluzioni. Questi generi autoctoni sono destinati da un lato ad invadere per qualche tempo l’Europa, dall’altro ad estinguersi in meno di un secolo a causa dell’influenza dei circhi occidentali. Nel 1864, Richard Risley (cfr. 8.3) porta un circo a Yokohama: i giapponesi scoprono così l’acrobatica occidentale, la pista rotonda e da subito vanno pazzi per l’arte equestre. Risley, da parte sua, forma una troupe giapponese portando in occidente una “Japan Imperial Company”, che furoreggia in Europa e America. Altri gruppi giapponesi seguono l’esempio: sbarcano così in occidente le troupes di Kanewari Fukumatsu e quella del celeberrimo Torikata Kosankichi, subito integrati nel regolare mercato teatrale. Nel 1880 l’Esposizione Mondiale di Kyoto inaugura l’apertura all’esterno del periodo Meiji: delle celebrazioni fa parte il circo di Soullier, che delizia il pubblico nipponico con i suoi cavallerizzi e con i trapezisti. Sei anni dopo arriva l’immancabile Chiarini: il suo circo è il primo ad introdurre in Giappone tigri ed elefanti, ed il fascino dei suoi artisti avrà un’influenza decisiva. Presto da parte di Giapponesi nascono tendoni all’europea: sui loro manifesti appare la dicitura francese “acrobatie occidentale”; molti artisti nipponici aggiungono “Chiarini” al proprio cognome. Alla fine dell’800, il repertorio acrobatico giapponese è completamente contaminato dalle tecniche occidentali7. Le discipline giapponesi in teatri e circhi europei e americani, erano destinate ad arricchire il nostro vocabolario acrobatico. Si tratta inizialmente di troupes polivalenti, (come quelle di Yamamoto, Okabe), in cui pari fascino hanno esercizi, abiti e accessori. Antipodisti con oggetti sui piedi, giocolieri

209

210

con trottole, prestigiatori, i giapponesi portano in occidente due principali specialità: una è quella delle evoluzioni appese per polsi o caviglie nelle staffe sulla corda verticale o su un bastone (la “pertica aerea”, non a caso diffusa in gergo circense come “bambù”); l’altra è l’equilibrio su pertiche sia fisse che flessibili, che esercitano grande fascino sugli artisti occidentali generando molti emuli. Ma la più grande sensazione proveniente dal Giappone è una specialità apparentemente sconosciuta prima in occidente: quella del lancio dei coltelli, erroneamente attribuita ad origini zingare. All’inizio è diffusa come “tortura dell’impalamento”, contribuendo al luogo comune della crudeltà orientale. Sempre i Giapponesi contribuiscono a perfezionare la transizione dalla danza sulla corda agli equilibrismi e salti sul filo teso d’acciaio. Anche il filo “molle” del “bal di corda” diventa d’acciaio, per esercizi di giocoleria o evoluzioni comiche. In pochi anni queste troupes influenzano numerosi artisti occidentali, e già nei primi decenni del ’900 tornano a casa: la loro moda pare esaurita. Una volta in Giappone, il loro mercato sarà messo in crisi dalle guerre e crisi dovute al nuovo isolamento dei primi decenni del Novecento. Inoltre alle gloriose troupes nipponiche ottocentesche si sono sostituiti i circhi nati con l’influenza occidentale: come quello di Tadasuke Kinoshita dal 1902 (ancora attivo). Sono tendoni con cavallerizzi, trapezisti, animali quasi del tutto uguali a quelli venuti dall’occidente. Un’influenza ancor più decisiva avverrà dal 1933 con le tournées degli Hagenbeck. La tradizione secolare del circo giapponese alla fine della Prima Guerra mondiale non esisteva praticamente più. Altra fonte di rinnovamento per l’acrobazia orientale è il Nordafrica: nei parchi e negli ippodromi, poi nei circhi, i jeux arabes algerini e tunisini diffondono le piramidi umane, i caroselli di salti, ma anche la moda per equilibristi solisti dai forti muscoli. Sebbene artisti non inferiori a quelli occidentali, gli orientali sono visti come forme meno “educate” di acrobazia. Nel caso degli arabi «la loro arte è bruta e primitiva. Non offre che un interesse di pura curiosità e serve di conferma alla superiorità della nostra» [STREHLY]. Mentre i risultati dei giapponesi sono considerati parziali: «avrebbero molto da prendere dagli occidentali. Affermando così in maniera eclatante la superiorità incontestata della razza bianca in tutti gli esercizi atletici» [in id.]. Sono testimonianze di come l’acrobazia esotica, assieme agli animali, ai mostri e ai gruppi di folklore, fa parte di un unico progetto culturale di affermazione della moderna civiltà occidentale sul resto del pianeta. All’alba dell’epoca di Darwin e di Barnum, è difficile distinguere nell’immaginario borghese coloniale la differenza tra animali domati, acrobati giapponesi, selvaggi del Sudan o esquimesi, fachiri indiani ed esseri con menomazioni fisiche. Promotori, mercanti, esibitori, spazi e conte-

sti di queste categorie hanno confini fluidi e confusi. In ogni caso si tratta di creature inferiori, le cui caratteristiche strane o prodigiose sono dominate dall’intraprendenza borghese, controllate dalle nuove scienze e messe a disposizione di divertimento e conoscenza. 10.3 Tra Darwin e Barnum: il business degli animali selvaggi Verso il 1890 un fenomeno sancisce il passaggio decisivo dalle ménageries al circo: l’emergere dell’addestramento vero e proprio, con la relativa invenzione della gabbia circolare (cfr. 10.4). Le possibili cause sono solo di recente oggetto di studi sociali, e forse hanno alla base un fenomeno industriale che non è limitato al circo: la nascita regolare del commercio di animali esotici. Cosa che consente per la prima volta la possibilità di selezione di esemplari, come da secoli avviene col cavallo. L’unica vera ditta del settore, la Compagnia delle Indie Orientali, si era estinta alla fine del XVIII sec. Fino al 1860, gli animali delle ménageries e dei primi giardini zoologici erano frutto di catture occasionali, o di liquidazioni di altre collezioni. Ad esempio, ad una famiglia inglese di ménagerie, i Bostock, (eredi dei Wombwell, cfr. 5.5) si deve l’espansione di molti zoo pubblici americani attorno al 1860. In questi anni, al porto di Amburgo, chiave dell’Europa verso l’America, il commercio del pesce si fonde con quello di animali vivi, nordici o orientali. L’Africa Orientale, con un ruolo decisivo dell’Italia (abbiamo citato le spedizioni di Faimali ) si apre alle esplorazioni anche grazie al nuovo canale di Suez nel 1870: una porta verso il Sudan, Paese di leoni ed elefanti. Sulla scia dell’emergente darwinismo, inizia a delinearsi un mondo in cui si incrociano naturalisti, esploratori, bracconieri, capitani, militari, fotografi, scrittori. Dalla tradizione della caccia emerge un mestiere nuovo: il trapper, catturatore di animali vivi. Per la loro posizione, sono soprattutto tedeschi i primi veri mercanti con un ruolo determinante nella nascita dell’industria circense europea e americana e degli zoo pubblici moderni. Enorme è in particolare l’apporto di due famiglie: gli Hagenbeck e, si è scoperto di recente, i Reiche8. Ai fratelli amburghesi Charles ed Henry Reiche si deve la diffusione in America dei primi elefanti da circo attorno al 1870, e lo sviluppo di un grande zoo-circo statunitense come quello di Adam Forepaugh. È sempre uno dei Reiche a fondare nel 1876 il New York Aquarium assieme a W.C. Coup (colui che spingerà poi Barnum verso l’avventura circense, cfr. 10.5). È principalmente sulla rete commerciale stabilita dai Reiche e da altri che negli stessi anni emerge ad Amburgo l’incredibile impero del più grande mercante di animali vivi (e in seguito di tribù etniche) di tutti i tempi: Carl Hagenbeck (1844-1913). Il suo influsso sullo sviluppo mondiale di zoologia, etnologia, e sui concetti di zoo e circo, resta incalcolabile9. Figlio di un mer-

211

Importatori di animali per il circo al porto di New York, 1870 ca, (da una rivista pubblicitaria)

212

cante di pesce cui sono state vendute per caso sei foche vive, Carl si rivela spregiudicato nell’importazione diretta di animali, soprattutto dal 1864, quando entra in contatto in Egitto con il cacciatore Lorenzo Casanova. In pochi anni Hagenbeck ha rappresentanti in Africa (soprattutto italiani), al Polo Nord, nella Terra del Fuoco, in India. In meno di cinque anni ha una sorta di zoo privato: settantaseimila mq. in cui avvengono smistamenti tra Europa e America di migliaia tra giraffe, renne, serpenti, formichieri, pellicani, rinoceronti. Alla metà degli anni 1870, il mercato degli animali vivi è incontrollabile: i prezzi cadono e i costi aumentano. Per un periodo, sembrano redditizi solo gli elefanti, che, infatti, proprio negli anni 1880 si stabiliscono come un’icona chiave nei circhi sia europei che statunitensi10. Dalla corrispondenza di Carl si desume che tra il 1875 e il 1882 da Amburgo ha inviato cento elefanti in America soltanto ai due circhi rivali di Forepaugh e Barnum. Hagenbeck in crisi lancia un’attività parallela dal successo enorme: quella

dell’importazione ed esibizione di decine di gruppi di umani nel loro specifico etnico. Questa trovata “etnologica” è la prima impresa che rende il suo nome realmente famoso al grande pubblico, diffusa in esposizioni di varie città del mondo (dettagli in 10.5). Per breve tempo sfrutta uno di questi gruppi anche con la creazione effimera di un circo in Germania (Hagenbeck’s International Circus & Singhalese Caravan, 1887-1889), in cui non appaiono ancora numeri di belve, al contrario di quanto spesso creduto11. Nel frattempo gli zoo delle città sono sempre più frequentati e ambiscono ormai alla classificazione della natura vivente. Sulla scia di Darwin, fanno la loro comparsa l’etologia e un’idea primitiva di “psicologia animale”. È questa idea che sarà la chiave del passo successivo: l’invenzione del domatore moderno. 10.4 «Gli animali sono creature come noi»: la nascita dell’addestramento circense I grandi circhi europei, in cui il ginnasta ha soppiantato il cavallo, sembrano trovare una novità nei domatori di ménagerie (come si è visto in 9.4). È forse valutando questi fattori che Carl Hagenbeck intuisce una nuova via per rilanciare il commercio di animali vivi: il loro addestramento in esercizi veri e propri. In realtà negli stessi anni i fratelli inglesi Frank e Charles Bostock, della ménagerie Bostock & Wombwell (la più antica al mondo e forse la più grande in Europa), stavano ottenendo risultati simili nella presentazione di animali addestrati. Ma Hagenbeck, da mercante, era forse l’unico al mondo a disporre di risorse, animali da selezionare, un vasto luogo per sperimentare e una squadra di collaboratori preparati. E soprattutto era ormai protagonista di una filosofia antropocentrica di dominio. Carl Hagenbeck rivendicherà l’“invenzione” dell’addestramento moderno, da lui definito “zahne dressur”, ovvero “doma in dolcezza”12. Ma si hanno oggi prove che ciò è dovuto al fratello, Wilhelm Hagenbeck (1850-1910), che si separa dagli affari commerciali di Carl, e inizia a occuparsi di addestramento verso il 1875, fondando una “scuola” nel 1878, in collaborazione con i domatori Julius Seeth e Wilhelm Philadelphia: sono i primi al mondo a presentare gruppi di leoni che eseguono esercizi. Non si tratta più delle esibizioni di ferocia nei carri gabbia, ma di vere e proprie evoluzioni: ciò genera l’esigenza di un apposito spazio scenico, con ricerche che porteranno nel 1889 ad una delle più decisive invenzioni tecniche della storia circense: la gabbia circolare13. La trovata di Hagenbeck, a nostro avviso, non è tanto nella circolarità della pista ma nel fatto che la prima dimostrazione di Philadelphia è quella di un leone cavallerizzo14. La vera rivoluzione però è che ora l’ampio spazio permette di assegnare a ciascuna belva un postament su posizioni fisse (gli

213

214

sgabelli disposti attorno), da cui gli animali possono essere facilmente controllati per alternarsi in quella che è la novità decisiva: compiere esibizioni in gruppo, sfruttando lo spazio e sviluppando tutto il loro potenziale dinamico e virtuosistico. Seeth è il primo al mondo a proporre un gruppo addestrato di leoni come lo intendiamo oggi. È significativo quanto dichiarava Seeth: «posso chiedere ai miei leoni tutto ciò che si fa con i cavalli» [in VRIELING]. Vi è apparentemente una controversia tra i fratelli Hagenbeck: nel 1890 Carl sembra sviluppare un proprio filone con suoi addestratori, nello stesso mercato europeo del fratello15. Del 1892 sono un manifesto e un programma tedeschi del “Zoologischer Circus”: uno spettacolo allestito da Carl in un luogo chiuso nel centro di Amburgo, basato su numeri di belve. Il programma ci risulta essere il primo documento in cui Hagenbeck descrive la gabbia: «Si chiama circo zoologico, poiché le belve si esibiscono in una gabbia grande quanto l’intero maneggio» [in MALHOTRA]. Nello stesso anno, il fratello Wilhelm rivendica sulla stampa quei numeri come proprie invenzioni [VRIELING]. Le possibilità consentite dalla grande gabbia permettono alle due ditte Hagenbeck di sfornare gruppi di belve ammaestrate per i grandi circhi, una vera e propria fabbrica con una formidabile scuderia di addestratori, dalla quale inizia la genesi di tutte le scuole del Novecento. Un evento che cambia la storia del circo è nel 1893 l’invito a Carl Hagenbeck in America, alla Columbian Exhibition di Chicago, la più grande esposizione di tutti i tempi. Tra la prima ruota panoramica del mondo e l’arena di Buffalo Bill, è costruito per Hagenbeck un enorme edificio in muratura: un “circo zoologico” di seimila posti dedicato agli spettacoli dei suoi domatori, mentre quarantamila visitatori al giorno osservano nei corridoizoo gli altri suoi animali esposti. Lo spettacolo (per il quale Carl compra molti numeri dal fratello) è un’apoteosi del dominio delle tecniche umane sulla natura animale, in una disperata celebrazione della “psicologia”: si vedono orsi funamboli, un cammello sui pattini, un rinoceronte “attore”, i leoni “equestri”, la tigre sul triciclo, un ippopotamo trapezista, e la “grande piramide zoologica”. La stampa americana loda il «grado di perfezione dell’addestramento» e nota la «possibilità di redenzione degli animali dal loro stato di ferocia». Ehrich Mehrmann, cognato di Carl, presenta gran parte dei numeri. Questi ormai non è un cacciatore con frusta e pistola, affannato nella sottomissione di creature pericolose dai ruggiti assordanti: ma un discreto uomo d’affari tedesco in abito da cerimonia tra creature silenziose e mansuete. Catturare gli animali, trasportarli in salvo, mantenerli vivi e infine controllarli in esercizi impensabili era un trionfo del talento e dell’intelligenza dell’uomo sulle opposte leggi della natura.

Nonostante la palese filosofia di sottomissione alla base questi esercizi, Carl Hagenbeck formalizza il proprio nuovo business in un“metodo”, che solo vari anni dopo sarà storicizzato dal best-seller mondiale delle sue “memorie” (prive della minima menzione per Wilhelm) [HAGENBECK 1908]. «Gli animali sono creature come noi e l’intelligenza loro è diversa solo di grado e forza”», spiega nel libro Carl il quale, attribuendosi le conquiste del fratello, vi definisce il “proprio” sistema zahne dressur (addestramento in dolcezza), contrapposto alla violenta teatralità delle ménageries. L’idea di concettualizzare un “metodo” pare rivoluzionaria, ma sembra piuttosto far fronte abilmente alla tendenza che, al principio del secolo, già additava la crudeltà dei domatori, creando di riflesso un’abbondante letteratura sulla loro “umanità”16. Hagenbeck ha una abilità promozionale, che si avvicina sia alla sensibilità scientifica dei processi intuitivi che a quella coloniale della sottomissione del bestiale alla tecnica umana. Nei numeri della “scuola” Hagenbeck (come di Bostock e di altri contemporanei) l’uomo non

Il primo gruppo “misto” di animali in una gabbia circolare, presentato da Hagenbeck alla Columbian Exhibition di Chicago, 1893 (nella gabbia, Ehrich Mehrmann)

215

216

minaccia e la belva non ruggisce: il leone è sottoposto “in modo umano” alla sottomissione tolemaica di una corona e un mantello di ermellino a bordo di un carro trainato da tigri e spinto da cani dalmata. Perché si afferma l’addestramento non-violento e psicologico? La realtà è forse banale. Fino agli anni 1880 i carri-gabbia non avevano lo spazio per realizzare veri esercizi, sebbene le gabbie-teatro di Bidel o Bostock fossero abbastanza grandi da consentire qualche esperimento (cfr. 8.5). Inoltre, nella filosofia delle ménagerie, la “ferocia” era una chiave teatrale di presentazione e non necessariamente una forma di addestramento. Prima di Hagenbeck, i domatori avevano già iniziato ad usare i riflessi animali per far compiere esercizi (come Bostock), così come in alcuni casi gli stessi addestratori di Hagenbeck non disdegnavano l’uso della forza e della frusta, anche se non in pubblico17. Il milione di persone che visita Hagenbeck alla fiera di Chicago fa esplodere i numeri di animali anche nel mercato circense e fieristico americano, e l’uso della grande gabbia nei circhi18. Hagenbeck riceve numerose offerte, diventando una celebrità oltreoceano19. Due grandi ménageries inglesi arrivano immediatamente in America: quella dei Bostock (nel 1893) e un anno dopo quella dei fratelli Ferrari (che avevano rilevato gli animali di Bidel). Bostock, inizialmente in concorrenza con Hagenbeck, diverrà un’icona del Luna Park di Coney Island nel periodo 1894-1903, dove ha un proprio edificio-zoo con al centro una gabbia semicircolare limitata da un fondale ispirato al Colosseo, in uno spettacolo in cui si alternano duecento animali e sei domatori, capeggiati da Jack Bonavita con i suoi venticinque leoni, con i leopardi di Luisa Morelli e molti altri numeri. Bostock esporterà poi la formula a Parigi rilevando l’enorme Hippodrome de Clichy (19031906), con uno spettacolo fatto da diciassette entrées de cage (cfr. 11.1). In quanto agli Hagenbeck, il loro obiettivo commerciale culmina con una situazione di quasi monopolio: animali e domatori dei maggiori circhi europei e americani tra il 1890 e il 1910 sono quasi tutti loro. La carriera del mercante tedesco continua con una nuova invenzione: il “diorama zoologico”, lanciato nel 1896 con La Vie au Pole Nord per un’esposizione parigina. È una presentazione in cui foche e orsi bianchi sono esibiti in una scenografia realistica invece che in gabbia, con tanto di veri esquimesi, grazie a un gioco di vetri. L’idea, che si estende nella tournée di un “Zoologische Paradies”, deve molto sia alla tradizione fieristica tedesca del diorama che alle conversazioni di Carl con Henri Martin, il primo domatore della storia ormai ritiratosi allo zoo di Rotterdam (cfr. 5.6). E Carl passerà alla storia principalmente per aver sviluppato l’utopia di Martin in quello che è considerato il modello dello zoo moderno novecentesco. Del 1907 è, infatti, la più importante intuizione della sua vita: il parco zoologico di Stellingen, aperto al pubblico, in cui invece delle

gabbie si usano recinti “naturali” e fossati, arricchiti da ambientazioni realistiche. Con pari spazio, naturalmente, alle esposizioni “etnologiche” dei popoli esotici, esposti come gli animali. Dietro la pretesa divulgativa, si celano un business del tempo libero ed un persuasivo showcase per acquirenti: fondatori di zoo pubblici, privati (tra cui molti nobili del tempo), organizzatori di esposizioni e manager di circhi, sono tutti affascinati dai nuovi metodi di esposizione o di addestramento. È il compimento di una deliberata illusione teatrale di libertà: l’idea finale di santuario della natura emulato poi nel mondo, e celebrato un anno dopo con il diffusissimo libro di cui sopra. All’alba del Novecento, quella di Hagenbeck appare come la prima soluzione estetica al dibattito ideologico sulla cattività: ma anche sui simboli dell’imperialismo e dell’efficacia di controllo sul mondo non “civilizzato”. Il parco della natura artificiale è un tempio grandioso, un’arca di Noé rovesciata. A rassicurare che gli animali, gli uomini e le donne della terra erano salvi sotto le cure di Hagenbeck, della Germania, dell’Europa. 10.5 “Come le visioni dell’Apocalisse”: Barnum, Buffalo Bill, e la nascita del “gigantismo” americano. Barnum, ritiratosi nella sua Bridgeport dopo il rogo del terzo museo, nel 1870 era il più grande promotore di attrazioni che il mondo aveva mai conosciuto. In trent’ anni, il successo del “museo” e delle altre sue attività ne avevano fatto un’icona americana (cfr. 7.3). Tour teatrali come quello di Tom Thumb e le ripetute edizioni delle sue memorie lo avevano reso egualmente celebre in Europa. Il museo era stato visto da ottantadue milioni di persone, tra cui il Principe di Galles, Charles Dickens, Henry James, Mark Twain. Ma ora Barnum, a sessant’anni, si era fermato nella sua casa di Bridgeport. Un produttore circense e suo antico dipendente, William Cameron Coup, nel 1870 si reca in visita allo stanco impresario. Gli chiede l’uso del suo nome e la sua consulenza per far rinascere un museo in forma itinerante e legandolo ad un circo minore, quello di Dan Castello. Se si analizza la vita circense di quel periodo, l’intuizione di Coup sembra molto sensata. Alla fine della Guerra Civile, gli Stati Uniti vedono il circo espandersi in Ohio, Michigan, Indiana, Illinois e soprattutto Wisconsin, uno Stato che per la sua posizione diventerà base di molti circhi. Nel 1869 l’Union Pacific collegava ormai la Nazione con una rete ferroviaria capillare, e questo mezzo di trasporto rendeva possibili spettacoli ricchi e tendoni capienti. La tecnologia dei tendoni aveva raggiunto standard accettabili. In essi era ormai assorbito il modello francese dell’hippodrome, con la pista al centro. La recente diffusione della stampa litografica a colori offriva prospettive allettanti per la pubblicità. Dalla corrispondenza di Barnum, si desume che la proposta di Coup è accettata con entusiasmo e fidu-

217

218

cia (in cambio del tre per cento sugli incassi) e con un vivace supporto di idee. Ha inizio così per Barnum un processo decennale che, con vari partner e modifiche, si rivelerà una sorta di laboratorio industriale fino a definire, alla fine del secolo, il modello di base per il circo statunitense classico con incalcolabili influenze sul Novecento europeo e sull’immaginario mondiale. Nel 1871 prende dunque avvio l’esperienza del “P.T. Barnum’s Great Traveling Museum, Menagerie and Circus”: la prima vera esperienza circense di Barnum e il primo circo nella storia a concepire il proprio tour sulla filosofia ferroviaria. Coup aveva organizzato l’uso di sessantacinque vagoni, che consentivano di “scegliere” città anche molto distanti, raggiungendole velocemente nottetempo, e inventando un sistema di carico dei carrozzoni in uso ancor oggi. Egli si serve del treno anche per le “escursioni”: cioè combinazioni per attirare il pubblico da centri lontani all’area del circo. Com’era questo show? Non ancora molto grande, ma sufficientemente ricco di trovate, concepito come una sorta di villaggio itinerante delle curiosità ai limiti del raggiro. Diviso in sette diverse tende di misura contenuta, aveva una parte museale ispirata alla prima esperienza in tenda del ’51 (cfr. 7.3): nella tenda “caravan” ci sono curiosità esotiche come i “cannibali delle Fiji”; in quella della “ménagerie”si vedono dai canguri alle giraffe; tra le curiosità del “museum”, un gigante “fossilizzato”; nel “politechnic” meraviglie come la macchina parlante; nella tenda “fine arts” antichità egizie; tra le “human curiosities” un uomo scheletro e una donna cannone. Dopo la visita, il pubblico si sedeva nel tendone di Castello a vedere ginnasti e cavallerizzi in pista, e corse attorno all’ippodromo. La vera trovata di questa impresa era l’enfasi sul divertimento rispettabile, dedicato per la prima volta a donne e bambini. Nonostante il titolo, si ostentava: «niente legato a questo stabilimento somiglia ad un circo». Quale fu il reale ruolo di Barnum in questa operazione? Egli fu attentissimo a tutte le fasi. È oggi possibile confutare la teoria secondo cui Barnum non fu propriamente un uomo di circo. Fin dalle esperienze giovanili, il suo passato è ricco di legami col mondo circense; agli anni del museo risalgono poi contatti costanti con ménageries itineranti come Van Amburgh, o con impresari di attrazioni; e l’esperienza episodica dell’Asiatic Caravan nel 1851 gli aveva insegnato molto in fatto di logica ed economia circense. Dalle sue lettere e dal suo carattere si può evincere che nei frequentissimi viaggi in Europa non mancavano visite e contatti con i maggiori nomi di circo del vecchio mondo: Sanger, Renz, Dejean, Franconi, Hagenbeck, Ducrow. La prima stagione del circo-museo viaggiante è un successo. Per il 1872, il secondo anno di tournée di Coup col nome di Barnum, l’esperienza sfocia nell’estensione del tendone in lunghezza e con un’idea

dovuta con certezza allo stesso Coup e non a Barnum: l’uso di due piste, inscritte in un hippodrome ovale alla francese. Apparentemente stravagante per l’epoca, l’intuizione concilia genialmente grandeur, visibilità e aumento dei posti. Un principio che molti altri circhi immediatamente riprendono. Con un nuovo titolo da cui scompare la parola circo (“P.T. Barnum’s Great Traveling Exposition and World’s Fair”) e un trasporto ferroviario più organizzato, la nuova tenda ha ora ben dodicimila posti e merita ormai lo slogan che per oltre un secolo soddisferà ampiamente la promessa: “The Greatest Show on Earth”: il più grande spettacolo del mondo. I divertimenti espositivi, “casti e raffinati”, sono riuniti in due tende; e per la prima volta la galleria dei “fenomeni umani” è data in concessione ad altri, col sistema del side show. Il successivo problema di Barnum è quello di dare una “casa” al costoso show nei mesi freddi, e, forse, anche quello di una propria riqualificazione nella vita teatrale di New York. Barnum compra così l’Hippoteatron (il circo stabile

La città di tende e la parata di una delle prime imprese circensi di Barnum: The Great Traveling World’s Fair, 1871 (da una rivista pubblicitaria)

219

Il Wild West Show di Buffalo Bill, 1899 (manifesto litografico a colori. Coll. privata)

220

in legno di New York) annettendovi un museo e uno zoo. Andrà in fiamme dopo cinque settimane. Barnum non si arrende: per l’anno seguente costruisce sulle ceneri il “Great Roman Hippodrome”, in cui è presentata la sfilata di carri “Congress of Nations” comprata dal circo inglese Sanger20. L’Hippodrome prenderà poi un nome divenuto mitico: Madison Square Garden. Lo spettacolo itinerante, col nome di Barnum, pur con nuovi partner finanziari, si consolida negli anni con sempre più innovazioni e una ménagerie ricca di animali; vari partner si alternano fino ad una vera crisi societaria nel 188021. È qui che l’impresa è fusa con quella del rivale James Anton Bailey (Jimmy McGinnis, 1847-1909), che per la sua capacità organizzativa è considerato da molti il più grande direttore circense della storia22. Il sodalizio fra Bailey e Barnum è perfetto: una fiducia reciproca lega un riservato genio della logistica con il più appariscente degli impresari. Bailey costruisce un “quartiere d’inverno” a Bridgeport con rimessa per ferrovia e animali; si realizzano vagoni speciali, una campagna di enormi manifesti a colori, ed un modello di tournée che resterà invariato: apertura primaverile al Madison Square Garden di New York, poi tournée con le tende per nove mesi. Con un’insegna inverosimilmente lunga23, lo spettacolo introduce due novità che cambieranno la storia del circo: la luce elettrica sotto il tendone e le tre piste inscritte nell’ippodromo. Tra le piste si aggiungono due scene, creando sei

luoghi d’azione contemporaneamente, ai quali si aggiunga lo spazio aereo del tendone per avere un’idea delle potenzialità spettacolari24. La tenda dello spettacolo è ormai l’attrazione principale. Delle tende annesse ne restano due: la menagerie degli animali, gratuita e posta come tenda d’ingresso, ed il sideshow dei fenomeni, con un biglietto a parte. È il più grande spettacolo itinerante mai realizzato nella storia: e sarà sempre più grande. Nel 1882 Barnum compra dallo zoo di Londra il popolare elefante Jumbo, celebre per le sue notevoli dimensioni, che diviene indubbiamente l’attrazione più famosa della storia (sebbene si limitasse a camminare attorno all’ippodromo). L’elefante morirà dopo pochi anni in un incidente ferroviario, ma Barnum lo “sdoppia”: esibendone scheletro e carcassa al centro della ménagerie. È la voga degli elefanti, che aumentano a decine: nel 1884 Barnum fa catturare a Burma un elefante “bianco”, in concorrenza con quello esibito dal suo più irriducibile rivale, Adam Forepaugh. Il circo di quest’ultimo è rilevato da Barnum nel 1890, primo di una serie. È in effetti Bailey a introdurre una politica aggressiva che rende in pochi anni “il più grande spettacolo del mondo” capace di assorbire i suoi rivali. Nel frattempo, un curioso derivato dell’industria circense era apparso nel 1884. Con la logica circense di treni e manifesti, viaggiava per città e campagne il “Buffalo Bill’s Wild West Show”: una variante dell’hippodrome basata sull’epopea della conquista americana. Il suo animatore, William Fitzgerald Cody (1846-1906) si era distinto negli anni ’60 e ’70 come guida eroica contro la resistenza dei nativi indiani (dei cui capi portava a casa lo scalpo) guadagnandosi il soprannome “Buffalo Bill” per una storica mattanza di bisonti. Poi però la guerra era finita. Dopo una breve carriera teatrale, su idea dell’impresario Nathan Salsbury nasce lo spettacolo itinerante, nella voga dell’industria circense su ferrovia: in sostanza un circo all’aperto (non è usato il tendone a causa delle armi da fuoco impiegate, perciò vi sono solo teli di recinzione e gradinate coperte). È basato su gesta equestri e di abilità in strategie narrative nazionalistiche di “civilizzazione”, “progresso”, ma anche nostalgia per le culture preindustriali, pur basandosi sullo stesso mezzo che le aveva distrutte: il treno25. Il successo di Buffalo Bill è esportabile: cambierà per sempre la percezione dell’intrattenimento e, prima del cinema, sarà in Europa il massimo veicolo alla formazione dell’immaginario americano. Lo show si imbarca per la Gran Bretagna nel 1887, poi giunge in Europa continentale nel 1889, con i capi indiani fotografati sotto la torre Eiffel o in Piazza San Pietro, o in gondola a Venezia. Il concetto è esteso col “Congress of Rough Riders of The World”, in cui cavalieri beduini, irlandesi, tedeschi, pellerossa, francesi non

221

222

servono altro che a dimostrare il primato della cultura equestre yankee, esaltata negli ultimi anni anche dalla tiratrice Annie Oakley. Usando le strategie del circo (e affiancandosi anche un side show di fenomeni) il Wild West con gli incroci di tournée e le violente guerre di manifesti è un fastidio per Bailey: questi finisce per comprare lo show rivale nel 1896 (tenendolo attivo fino al 1917)26. In quanto a Barnum, nel 1890 il “Barnum & Bailey–The Greatest Show on Earth” (questo è ormai il nome dello show) compie la sua spettacolare traversata oceanica per quello che era stato il sogno dell’intera carriera di Barnum: portare agli inglesi, come genio americano, il più grandioso show possibile ad un essere umano. Lo spettacolo è ospitato all’Olympia di Londra. Nella città natale del circo, lo spettacolo a tre piste per la critica è una spiazzante novità da “indigestione”; ma con un successo travolgente. Per il debutto londinese, Bailey aggiunge una nuova attrazione che in tournée sarà per anni un sogno ad occhi aperti per le masse rurali americane: la pantomima biblico-storica. Ingaggia il regista londinese Imre Kiralfy cui affida una colossale messinscena di “Nerone” costruendo un teatro su un lato dell’ippodromo (l’anno dopo sarà la volta di “Cristoforo Colombo”, poi la “Caduta di Babilonia”, etc.)27. Barnum è accolto a Londra da un banchetto a cui siedono i principali lords, e celebrità quali Oscar Wilde o Henri Irving. Ad ogni spettacolo saluta il pubblico da un cocchio attorno all’ippodromo, mentre in platea si succedono di sera in sera il Principe di Galles e molti sovrani europei. Il trionfo di Londra era stato il coronamento del sogno di una vita per Barnum, che muore nel 1891 lasciando lo show viaggiante nelle mani più che sicure di Bailey. Questi si rivela un direttore attentissimo anche al controllo del mercato, con l’aggressiva politica di assorbimento di imprese rivali: nel 1896 Bailey rileva i quattro concorrenti più grandi e li fonde in due show itineranti oltre al suo, controllando di fatto il territorio28. In venti anni, il processo di modernizzazione del circo all’americana si era compiuto. Il “Greatest Show on Earth” si avviava a trionfare all’alba di un secolo complesso, in cui la miriade di immagini in movimento delle tre piste ben si incastrava in un’America ormai dominata dai giornali illustrati, dalla fotografia, dagli specchi dei grandi magazzini che come le arene multiple del circo riflettevano le mille meraviglie della modernità: una «civiltà geroglifica» in rottura con una cultura che aveva preso forma in bibbia e dizionari [ADAMS]. Per il fruitore come per l’impresario, il circo è dispositivo di gioco, violenza e opportunità economica, ma anche uno stupore passivo che soppianta la genuina interattività dei piccoli circhi a “parapioggia” con i loro clown. E proprio il clown, moltiplicato da Bailey fino a cento pagliacci, si polverizza in America nell’anonimato, ridotto da artista a sfarzoso

pezzo di arredamento per le glorie di ginnasti e domatori. Bailey e gli altri circhi americani (a fine secolo almeno quaranta di essi sono a tre piste e su ferrovia), possono solo diventare più grandi: ogni anno sempre più uomini, più elefanti, più cavalli, più artisti , più clowns, parate più lunghe per le strade, più vagoni su una rete ferroviaria più grande di quelle europea e russa messe assieme. Prima del cinema, ma anche oltre, il circo è il divertimento più diffuso d’America. Spesso l’unico che la gente aveva in un anno intero, e alla porta di casa. Annunciato per settimane dai muri, il circus day, in cui spesso chiudevano scuole e fabbriche, diventa la più importante festa rurale statunitense dopo il Natale. Era l’India, l’Arabia e l’Africa assieme. Era una lezione di biologia. Prima della radio e dei dischi, la banda portava e insegnava le nuove canzoni, gli operai le nuove barzellette. Si usciva per ventiquattr’ore dalla banalità, e si restava con qualcosa di cui parlare. Come notava il romanziere Hamlin Garland, «per un ragazzo di campagna, arrivare dalla sperduta prateria o dai polverosi campi di grano e trovarsi faccia a faccia con la ‘sorprendente aggregazione di meraviglie dal mondo’ era come fronteggiare le visioni dell’Apocalisse». 10.6 Zoo umani: il mostro, il selvaggio, la bestia L’esibizione di “esemplari” di popoli strani e lontani era ricorrente da secoli nel mondo del divertimento, proprio come quella di animali. Al pari di quest’ultimo settore, il genere delle “esposizioni umane” pare configurarsi come un vero sistema solo verso il 1870, negli stessi contesti degli animali: giardini zoologici ed esposizioni internazionali, e in seguito circhi. Se ne potrebbero delineare due principali filosofie commerciali: una è quella “artificiale” dell’americano Barnum, l’altra quella più puramente “etnologica” del tedesco Hagenbeck, reciprocamente influenzati. In entrambi i casi il successo è in un’inquietante combinazione di evoluzionismo, positivismo e razzismo. Per Barnum, l’esibizione del diverso è artificio e contraffazione, idea culminata negli anni 1860 col museo, e sfocia nel fascino dell’anomalia fisica. Per Hagenbeck, è una reale mostra di “esemplari” etnici autentici, un business che negli anni 1870 risolve la crisi del commercio di animali applicando simili criteri agli uomini. A sua volta, Barnum (o meglio il suo nuovo socio, Bailey) dieci anni dopo si ispira molto probabilmente all’emergente modello tedesco di Hagenbeck, quando dedicandosi agli spettacoli viaggianti lancia il “congresso etnologico” (a sua volta emulato da Buffalo Bill nella variante equestre). Nel sistema circense occidentale, il modello “etnologico” si innesterà fino a metà ’900 con la ménagerie animale annessa ai circhi e con i “freaks”, mostri di natura. Con la fine dell’attività museale di Barnum (7.3), si era definito un incrocio tra cultura alta e bassa, in cui ciascuno dei “fenomeni” si poneva tra

223

224

la credulità grossolana del divertimento artefatto e la sua potenziale legittimità scientifica o artistica. Negli anni 1870 questa visione tende a scindersi. Da una parte verso i musei di arte, di scienza naturale, i primi zoo istituzionali e le esposizioni. Dall’altra verso il mondo itinerante fieristico-circense, o stabile dei museums urbani e degli emergenti parchi di attrazione [DENNETT]. Il freak show si imporrà come una delle prime tensioni estetiche della moderna cultura popolare, per il contrasto tra due visioni del mondo: una religiosa che vede il mostro come prodigio soprannaturale, l’altra razionale che vede l’anormalità fisica come patologia. Il freak show resterà fino a dopo il 1950 una componente importante della sottocultura del divertimento americano29. Dopo l’ultimo incendio del Museo Barnum, New York continua a popolarsi, e il quartiere Bowery diventa una zona malfamata di divertimenti equivoci a poco prezzo. È negli anni dopo il 1870 che qui emergono almeno cinquanta modesti dime museums, in cui con dieci cents (un dime) si possono ammirare mostri di natura. Il fenomeno si estende ad altre metropoli americane, e ben presto si crea un circuito di impresari e mostri, reperiti ovunque. Che provengano da paesi lontani o da villaggi rurali, catturati da mercanti o venduti dalle stesse famiglie, che siano menomati dalla nascita o dagli stessi impresari, i giganti, nani, ritardati, macrocefali, ermafroditi, o semplici gemelli sono trasformati nella loro identità culturale tramite frode, esagerazione, contraffazione. Nonostante i luoghi comuni sul loro sfruttamento o sulla crudeltà degli impresari, esistevano molti livelli come in ogni settore dello spettacolo. Molti freaks diventano vedettes ben pagate; gli altri sono gratificati dalla unica attività possibile in un’epoca in cui il diverso è emarginato dalla propria comunità. Dal 1880 al 1900, il settore vanta autentiche star mondiali: il capitano greco Constantenus con il corpo ricoperto di tatuaggi; Eng e Chang, provenienti dal Siam (i primi gemelli siamesi); Rosa e Josepha Blazek, sorelle siamesi; Julia Pastrana, la donna barbuta; David Merrick, il leggendario elephant man; A. J. Elliott, dalla lunghissima barba; la ragazza pelosa Krao, ”anello mancante” della catena evolutiva. E le grandi vedettes Jojo o Lionel, “uomini leone”, col corpo ricoperto di pelo. Tutti hanno un agente, manifesti litografici a colori, splendidi costumi e sono considerati quanto i più grandi cantanti, illusionisti o giocolieri. Questi nomi, se resi celebri dal circo Barnum, formano un circuito ben più ampio e preciso: a Berlino al Circo Renz o al Panoptikum della Freidrichstrasse; a Parigi alle Folies-Bergère o al Jardin d’Acclimatation; a Londra all’Egyptian Hall e in vari teatri; e in tournées teatrali da S. Pietroburgo a Roma. Molti dime museums sono in tende itineranti: seguono il percorso delle fiere rurali americane o si aggregano ai circhi in “concessione”, con un pagamento d’ingresso separato (già prima del 1840): di qui il nome definitivo di

questa forma di spettacolo, chiamata prima annex e nel Novecento side show (lett.: “mostra a parte”)30. Barnum già negli anni del museo si era interessato alla possibilità itinerante di una esibizione a metà tra mostri di natura e popoli lontani: nel 1851 aveva condotto brevemente le tende dell’“Asiatic Caravan”, e nei suoi scritti ricorre l’idea di un “congresso delle nazioni”. E infatti, quando tra il 1870 e il 1880 i complicati partenariati di Barnum e soci sperimentano le forme che anticipano il moderno circo americano, l’esibizione di umani strani e diversi vi compare in vari aspetti. Già nella prima tournée del 1871 con Coup e Castello, una delle tende dello show di Barnum annuncia «cannibali Fiji, indiani Modoc e tipi rappresentativi di cinesi, giapponesi, aztechi e esquimesi». Senza staccarsi dal vecchio principio del museo: due fratelli ritardati del Kentucky diventano facilmente i “gemelli del Borneo”, o un comune albino è fatto “provenire” dall’Africa. Costumi, set fotografici e storie artefatte di viaggi e deportazioni a fini “scientifici” completano il quadro. Due anni dopo, con il lancio dell’Hippodrome americano (1874-75, cfr. 7.4), questa visione tende a scomparire e l’approccio è più deliberatamente teatrale: nella parata del “Congresso delle Nazioni” ogni carro rappresenta le “nazioni civilizzate” occidentali ed orientali, e figuranti interpretano “monarchi antichi e moderni” con il loro seguito, da Confucio alla regina Vittoria. Ma alla fine di questo biennio di breve tournée, è forse l’eco dell’esperienza di Hagenbeck che porta la sensibilità di Barnum verso lo zoo umano. Nel 1874 Hagenbeck assieme a delle renne aveva ricevuto una tribù di Lapponi: con l’occasione intuisce il potenziale delle esibizioni “umane”31. La fotografia della “tipica famiglia lappone” fa il giro dei giornali del mondo. Hagenbeck fa giungere dall’Africa un gruppo di nubiani con il loro “villaggio negro”, mostrandoli in tutta Europa. Il successo è enorme. Come abbiamo visto, il commercio mondiale di animali attraversa in quegli anni una crisi per saturazione (cfr. 10.3), e il business dei popoli selvaggi, che avviene tramite lo stesso capitale di canali, clientele e dispositivi, sembra l’alternativa perfetta per il mercante di Amburgo. Negli anni a seguire arrivano decine e decine di gruppi da tutto il mondo, offerti dal commerciante tedesco alle grandi esposizioni delle capitali o a nascenti luoghi di istruzione e tempo libero come il Jardin d’Acclimatation di Parigi, tra gabbie e recinti di animali, oppure in tournée appositamente prodotte. In dieci anni,

Pubblicità per uno degli “show etnici” della ditta Hagenbeck, 1886

225

Hagenbeck risana le proprie economie e può passare al nuovo affare dell’ammaestramento di animali feroci (cfr. 10.4). Rispetto a Barnum, nel caso di Hagenbeck l’importazione di popoli lontani è la pura operazione di mostrare la natura così com’è: esattamente con gli stessi parametri della cattura e mostra di animali. La visione imprenditoriale di Hagenbeck appare deliberatamente anti-barnumiana, attribuendo il successo «alla semplicità con cui tutto ciò era organizzato, e alla completa assenza di volgari artifici. Nulla era nel modo di uno spettacolo» [HAGENBECK, 1908]. E tale abile punto di vista situa il mercante in quel com-

I freaks del circo Barnum e Bailey (manifesto litografico a colori, 1901 ca. Coll. privata)

226

plesso settore emergente che si posizionava a metà tra la comunità scientifica e quella dello spettacolo: le esposizioni universali, gli zoo municipali, i circhi e i varietà. In questi ambiti i supporti e il linguaggio erano però gli stessi dei circhi: manifesti litografici a colori, accattivanti descrizioni. Gli show umani di Hagenbeck erano disponibili sia per le università e le accademie, che per dichiarati luoghi di piacere come le Folies-Bergère, il Circo Renz, l’Hippodrome de l’Alma. A differenza di Barnum, Hagenbeck non impiega mai “mostri” di natura. Se alcuni dei suoi “selvaggi” hanno abilità artistiche o manufatturiere è solo nel significato della presentazione di uno spaccato “fedele e genuino” di vita esotica.

Hagenbeck senza dubbio sapeva della “Carovana orientale” di uomini e animali proposta anni prima da Barnum. Cercando nelle tracce biografiche di entrambi, risulta che i due si conobbero soltanto nel 1873 ad Amburgo (nei primi anni del circo di Barnum), sviluppando intense relazioni commerciali: l’americano è eccitato dalle iniziative del tedesco e dal suo mercato di animali («Hagenbeck, sei un genio: diventa mio socio con le tue idee!», cit. in SAXON 1989). È perciò molto facile che Barnum si ispiri a sua volta ad Hagenbeck, quando nel 1884 lancia per il suo Barnum & Bailey show il “Congresso Etnologico di Tribù selvagge” (emblematica prova è la richiesta ad un corrispondente di «una tribù di lapponi, ma senza renne»). Dall’allegoria delle “nazioni civilizzate” di qualche anno prima, si è ora al congresso di «100 persone incivili, superstiziose e selvagge». L’idea è diversa da quella del collega tedesco. Barnum non vuole singoli e fedeli spaccati di realtà straniere, ma un catalogo vivente di esagerazione del selvaggio, possibilmente con stranezze fisiche o capacità peculiari. Il comunicato stampa è una litania allucinante: «bestiali cannibali australiani, misteriosi aztechi, botocudi abbrutiti, musulmani selvaggi nubiani, feroci zulù, monaci buddisti, afgani invincibili, preti pagani burmesi, todari ismaeliti, infidi indù adulatori, sinuose ragazze Nautch, nani annamiti, crudeli siriani, giganti orientali, giapponesi erculei, caffri, arabi, persiani, curdi, etiopi, circassi, polinesiani, tasmaniani, tartari, patani, etc»32. I termini di identità religiosa, razziale, tribale sono confusi. Ci sono fenomeni genuini come il celebre gigante cinese Chang, ma anche artifici come due coniugi menomati spacciati come aztechi. In ogni caso, esemplari di «imperi estitnti» . Così come Hagenbeck presentava negli stessi parchi o esposizioni i villaggi di uomini e i recinti con animali, Barnum & Bailey ospitano il “congresso” dei selvaggi in un palco centrale della tenda della ménagerie, circondati da elefanti, cammelli e belve, e posizionati volentieri di fianco ai vagoni delle scimmie. Attraverso questa sorta di stadio primario dell’umanità, si passava nella tenda dei freaks, accuratamente separata. Qui era enfatizzata l’anomalia fisica piuttosto che l’appartenenza etnica, e alcuni degli esseri deformi potevano essere uomini o donne bianche, anche con particolari doti del corpo (dal fachirismo al virtuosismo musicale, alla mnemotecnica). Terminata la visita, si passava nella tenda dell’ippodromo, il grande circo a tre piste dove ci si poteva sedere, ad ammirare finalmente l’esaltazione sportiva e atletica dell’umanità bianca civilizzata. Sulle tre piste ginnasti alle sbarre si alternavano a dimostrazioni di lotta, corse a piedi o a cavallo, intrepide gesta al trapezio, sapienti azioni antropomorfiche di elefanti, orsi o cani travestiti. L’umanità moderna usciva rassicurata dal proprio controllo sulla natura. All’alba del Novecento, il “congresso etnologico” tenderà a sparire dal circo: popoli e luoghi lontani erano ormai affidati alla fotografia, e milioni

227

di persone a fine secolo scelgono i nickelodeon con il Kinetoscope di Edison per soddisfare ampiamente il bisogno di esotismo. La tenda d’ingresso ospita solo animali e noccioline, quella dei freaks diventa il divertimento affiancato del side show, con un pagamento a parte. Quando non aggregati a circhi, giostre, fiere, gli impresari di sideshow continuano a girare da soli, rimangono nei musei urbani o si sistemano nei luna park fissi, come a Coney Island a partire dal 1880. Nei circhi europei invece i gruppi etnici continueranno regolarmente ad animare a lungo la visita allo zoo viaggiante (chi scrive ha visto i volkerschau in grandi circhi tedeschi fino al 1990). Sono oggi possibili considerazioni definitive sulla presentazione circense del selvaggio e del diverso alle soglie del Novecento? Sia l’artificio di Barnum che la “naturalità” di Hagenbeck hanno lo stesso contesto culturale. Si tratti di unicorni finti o balene vere, donne barbute artefatte o autentici Zulù: l’idea è in ogni caso quella dell’anello mancante” di un qualche stadio evolutivo, e contribuisce alla costruzione del darwinismo sociale. Nel caso degli umani come degli animali, si lavora sull’aspettativa del pubblico di un’immagine precostituita di sub-umanità, caratterizzata da crudeltà e civiltà, che stimola pietà e comprensione. I “finti” fenomeni di Barnum e i “veri” selvaggi di Hagenbeck hanno in comune l’assoluta assenza di contatto con i visitatori bianchi, quasi che la separazione stesse a presupporre una vaga forma di pericolo o a enfatizzare segreti desideri sessuali (e infatti diffuse erano le combines di incontri “privati” con uomini e donne, come occulto business parallelo). Il dispositivo sociale che stava dietro il successo degli spettacoli con animali o con uomini selvaggi consolida dopo il 1870 un processo iniziato quasi un secolo prima. Partito con l’emergere della borghesia vittoriana, culminava con il controllo sulla natura emerso con la zoologia e il darwinismo, fino alla filosofia coloniale della Germania di Hagenbeck. L’accesso ai territori di uomini e animali diversi simboleggiava l’orgoglio imperialista di una moderna nazione. Il poterli ammirare era per i visitatori un riflesso di questa gloria: anche se due guerre mondiali stavano per comprometterne la disperata sicurezza. L’ultima esposizione etnologica di Hagenbeck avviene nel 1931. Pochi anni dopo, quella vecchia foto scattata nel 1878 alla famiglia esquimese della prima esposizione di Hagenbeck, fa di nuovo il giro del mondo: è proposta come modello “inferiore” nella prima pubblicazione di propaganda nazista sulla purezza della razza ariana.

228

SECONDA PARTE

11. IL

CIRCO URBANO DEL PRIMO

NOVECENTO

11.1 Dal circo stabile al teatro-circo Nel gennaio del 1900 a Londra, pochi anni dopo la demolizione dell’Astley’s, mentre i circhi Holborn e Hengler sono trasformati in teatri, si inaugura l’Hippodrome di Leicester Square. È la più grande delle sale di spettacolo della metropoli: c’è un palcoscenico, un’arena circense a semicerchio trasformabile in piscina (nella quale debutta Chaplin bambino) e installazioni per numeri aerei. È ispirato ormai solo nel nome agli hippodromes parigini. È il prototipo della trasformazione dell’edilizia circense in un nuovo genere di teatro a pista semicircolare, che coniuga ciò che resta della tradizione di circo stabile all’emergere del music-hall. Su Leicester Square sorge già l’Empire (dal 1888) e pochi anni dopo l’Alhambra. In uno stesso giorno uno di fronte all’altro i tre teatri possono offrire i più disparati gruppi di ballo, produzioni fiabesche di pantomima o cartelloni misti con il giocoliere Paul Cinquevalli, i trapezisti Hanlon, acrobati cinesi, elefanti tuffatori, le fughe di Houdini e molti illusionisti americani, ultima moda del momento. Poco più in là dalla piazza, analoghi spettacoli sono offerti in simili teatri come il Coliseum, il Palace o il Palladium (l’ex circo Holborn), tutti elegantissimi e accessibili a ogni ceto. Nel 1900 da Leicester Square si dipanerà una rete di quarantatrè tra teatri di varietà e circhi-teatro nella sola Londra, e duecentoventisei in tutta la Gran Bretagna, dovuti in gran parte al circuito degli impresari-gestori Stoll e Moss. Sul modello londinese, dopo pochi anni anche a New York nasce un identico Hippodrome: lo realizza nel 1905 Frank Thompson, l’inventore del Luna Park di Coney Island. È un teatro mastodontico, anch’esso con piscina, l’unico al mondo con al suo organico una troupe stabile di elefanti, e capace di presentare le più ricche pantomime possibili, con dovizia di acrobati, cavallerizzi e saltatori. Sia nel caso londinese che in quello americano, “hippodrome” ha perso ormai lo specifico di arena equestre ovale: è solo una pista semicircolare annessa ad un profondo e capace proscenio teatrale. Numerosi restano ancora oggi i teatri e i cinema chiamati “hippodrome” della provincia americana e delle isole britanniche. In Germania, la contaminazione tra circo e teatro è emblematica nel 1912 con la costruzione del Sarrasani di Dresda: in una sala di cinquemila posti palcoscenico, pista, piscina e moderne tecnologie si combinano in programmi di varia natura (cfr. 12.4). A Berlino la nuova tendenza al teatro-circo si rispecchia nella ristrutturazione nel 1900 dell’immenso varietà Wintergarten (fondato vent’anni prima), in cui i numeri di trapezio sono proposti sulle teste

Francois, Albert e Paul Fratellini (sullo sfondo i figli e nipoti Victor e Henri) posano nel camerino del Cirque Medrano per “Le Petit Journal”, 1922

231

La scena-pista del New York Hippodrome, nello spettacolo inaugurale A Yankee Circus on Mars, 1904 (foto di scena).

232

degli spettatori sotto un cielo stellato di lampadine. Anche a Berlino il panorama dei circhi stabili è nel frattempo cambiato. Le glorie del leggendario Renz sono ormai lontane, da quando nel 1899 il circo sulla Freidrichstrasse è rilevato dai cavallerizzi danesi Albert e Max Schumann: ma nel 1918 questo circo Schumann, ristrutturato dal grande Hans Poelzig, diverrà il tempio per le creazioni teatrali di Max Reinhardt. La vera novità berlinese viene da Paul Busch (1850-1927): sulle ceneri del vecchio Salamonsky crea un moderno progetto di teatro-circo nel 1919 introducendo a Berlino la pista-piscina, invitando vedettes del music-hall ed esaltando la tradizione delle grandi pantomime a soggetto storico o avventuroso. La stessa ibridazione avviene fino agli anni ’20 con gli stabili di Carrè ad Amsterdam, di Ciniselli a S. Pietroburgo e Truzzi a Mosca. Nel 1919 Krone apre il proprio circo stabile a Monaco di Baviera. A Parigi, nel 1900 nella voga dell’Esposizione Universale, pochi mesi dopo l’apertura dell’Hippodrome di Londra nasce l’Hippodrome de Clichy: dopo varie gestioni è presto trasformato in grande zoo-teatro di belve col ritorno in Europa dei fratelli Bostock e della loro squadra di domatori. Essi introducono a Parigi l’esperienza di teatro delle belve maturata nei Luna Park americani. Sarà demolito nel 1907 (cfr. nota 14, cap. 7). Nello stesso anno il Cirque d’Hiver

diventa cinema. Ma a Parigi sono prestigiosi teatri di varietà, come l’Alhambra, ad assicurare grandi attrazioni. In una fase successiva, negli anni ’20, il modello del teatro-circo vedrà una seconda puntuale diffusione: a Berlino, dove al Wintergarten si aggiungono gli enormi Scala e Plaza [JANSEN]; a Parigi con l’Empire (1924-1946); a Barcellona dove nasce il teatro-circo Olympia (1924-1947), mentre a Madrid negli anni ’30 si apre una nuova epoca per il Circo Price con il direttore Mariano Sanchez, che per alcuni anni aveva costruito un altro circo stabile, “Circo Americano” (1919-1929) dal nome poi celebre nel dopoguerra (cfr. 13.5). Quello del circo urbano è un mercato mondiale ormai ibrido, in cui la differenza tra i generi si annulla in spazi perfettamente adattabili. Vedettes della canzone, dello sport e del circo si alternano tra piste e palcoscenici. Le platee di Berlino, New York, Londra, Parigi possono ammirare in uno stesso programma leggende come il clown Grock o i Fratellini, l’ipnotista Hanussen o il culturista Sandow, i trapezisti Codona e gli eccentrici Rivels, il travestito Barbette o il giocoliere Rastelli, i Comedian Harmonists e Jacques Tati. I programmi si rinnovano anche ogni due settimane. Il varietà fa perdere a molti artisti la necessità dello spazio circolare introducendo la dimensione frontale e prospettica: non sono rari i numeri di acrobati e giocolieri a tema, addirittura con fondali dipinti. Il circo, da spettacolo a base equestre, diventa quell’inattesa e casuale arte combinatoria che tanto piacerà ai futuristi e alle avanguardie in genere. Il legame col varietà nobilita ulteriormente i circensi: i Codonas sono immortalati a Parigi da Matisse, e a Berlino dal cinema espressionista di Dupont; Houdini, i Fratellini e Grock pubblicano libri di ricordi e sono nobilitati come autori letterari; Barbette diviene la musa di Cocteau, mentre Kafka è cantore di cavallerizze e trapezisti. Soprattutto a Parigi (come già a metà ’800), negli anni ’20 si sviluppa un vero e proprio movimento di riflessione critica attorno al circo, spesso per opera di nomi non trascurabili del giornalismo, quali Colette, Fréjaville, Legrand-Chabrier. Nasce una vera e propria critica circense su quotidiani e riviste ma anche in libreria, grazie a Pierre Bost, Serge, al romanziere popolare Maurice Verne, ed Henri Thétard, fondatore del Club du Cirque e padre della storiografia circense moderna1. In questo mondo ibrido di circo e varietà, talenti umani o animali combinano erotismo e canzoni in voga, record sportivi e satira sociale, culturismo e soprannaturale, mondi lontani e abiti all’ultima moda. A Parigi, alla metà degli anni ’20 la mappa dei circhi stabili parigini ha un nuovo grande momento di trasformazione, rinvigorito dalla moda del music-hall2. Anche nuovi varietà entrano nella logica del teatro-circo: l’Empire di Dufrenne e Varna si ispira ai nuovi teatri-circhi berlinesi e all’Hippodrome di New York. Può all’occorrenza tracciare una pista equestre sul palco-

233

scenico, alternando gruppi di cavalli alle canzoni di Maurice Chevalier. Il Cirque d’Hiver riapre, diretto dall’ex-acrobata Gaston Dèsprez, che nel 1933 vi fa scavare una pista acquatica. L’anno dopo lo stabile è rilevato dalla dinastia viaggiante dei domatori Bouglione (cfr. 12.3): essi subiscono l’influenza del music-hall e dell’operetta, negli anni in cui le Folies-Bergère, il Moulin Rouge o il Casino de Paris vedono la maturazione del teatro di rivista. I Bouglione chiamano il regista Géo Sandry, e al Cirque d’Hiver la seconda parte del VARIETÀ

E TEATRI-CIRCO

1868 1869 1877-1910 1885-1935 1887 1888 1889 1893 1900-1910 1900-1907 1900-1945 1905-1939 1912-1945 1913 1920-1950 1924-1947 1926-1939

234

(1870-1930) Londra Parigi Parigi Berlino Londra Berlino Parigi Londra Londra Parigi Berlino New York Dresda New York Berlino Barcellona Parigi

Alhambra Folies-Bergère Nouveau Cirque (Oller) Circus Busch Empire Winter Garten Moulin Rouge (Oller) Palace London Hippodrome Hippodrome de Clichy Nuovo Winter Garten New York Hippodrome Sarrasani Palace Scala Olympia Empire Music-Hall

Varietà con numeri circensi Varietà con numeri circensi Primo circo con piscina Circo-varietà con piscina Varietà con numeri circensi Varietà con numeri circensi Varietà con numeri circensi Varietà con numeri circensi Teatro-circo con piscina Circo-varietà Teatro-circo Teatro-circo con piscina Teatro-circo con piscina Varietà con numeri circensi Teatro-circo Teatro-circo con piscina Teatro-circo

programma diventa occasione di pantomime: come la leggendaria Perle du Bengale (1936) ripresa più volte nei decenni e divenuta un’icona del repertorio popolare parigino. Indubbiamente il protagonista di questo periodo parigino è Jerôme Medrano jr. (1907-1998). Nel ’28 eredita dal padre il glorioso circo stabile di Montmartre (cfr. 9.4). Partendo da una situazione difficile (le sue star, il trio Fratellini, avevano abbandonato il Medrano scegliendo un’offerta del Cirque d’Hiver), non ignora la moda parigina per il music-hall, e ne approfitta: non per snaturare l’identità del circo ma rinnovandola3. Ecco allora, dagli anni ’30 ai ‘60, Medrano come un progetto circense sorprendente e rimasto unico, in cui per la prima volta nel Novecento le soluzioni del teatro contemporaneo sono al servizio del circo. A Medrano si deve il concetto oggi diffusissimo degli spetta-

coli a “tema”: che è cosa ben diversa dalla pantomima. Se la pantomima poneva gli artisti e lo spazio del circo al servizio dello svolgimento teatrale di una vicenda, il programma a tema preservava invece l’integrità dei singoli numeri, seppur inseriti con musiche e costumi ad hoc all’interno di un filo conduttore (è il sistema poi divulgato da Grüss negli anni ’70 fino al Cirque du Soleil). Se per lo spazio circense era sacra la piena luce, Medrano oscura il pubblico come a teatro, inserisce i proiettori con le gelatine colorate e i cambi soffusi di luce, e valorizza gli artisti con l’“occhio di bue”, sfruttando l’intimità e la convivialità uniche della sala di Montmartre. Se negli anni ’50 i circhi itineranti ingaggeranno cantanti o comici, Medrano li integrerà completamente in queste sue revues circensi, che per i parigini hanno presto lo stesso appeal del music-hall. Se si sceglieva una produzione sul ghiaccio, tutti gli acrobati e i protagonisti pattinavano realmente. Ma Medrano non era solo questo. Cambiava programma ogni mese, e gli spettacoli a tema si alternavano con quelli di circo puro, in cui si “inventa” il concetto di vedettes circense: Medrano poteva creare un evento sull’arrivo di un grande trapezista come Codona o sull’ingaggio di star musicali come le Peters Sisters. E poi c’erano i clowns: in ogni programma almeno tre grandi gruppi comici erano protagonisti senza temere la concorrenza. Oppure Medrano sceglieva di puntare sui solisti: come nel caso dell’ingaggio di Grock; o, vero coup de thé^atre, dei passaggi circensi di Buster Keaton con numeri clowneschi (1947, 1952, 1954). Spettatori affezionati come Chagall, Cocteau e Picasso si offrono per disegnare le copertine dei programmi. Medrano si ritrova concorrente sia del più popolare Cirque d’Hiver che del borghese varietà Empire, creandosi una fetta di mercato e di pubblico, e soprattutto un’estetica, ancora oggi rimaste uniche. Il secondo personaggio determinante per la riforma del circo urbano negli anni ’20 emerge a Londra. Bertram Mills (1873-1938), personaggio dell’alta società, rilancia il circo in modo inatteso dopo che, con la demolizione dell’ultimo Astley’s, la patria dello spettacolo equestre aveva perso il primato. Mills era un uomo d’affari senza passato circense, organizzatore di concorsi ippici. Dopo aver fallito una trattativa per riportare Barnum a Londra, decide di creare egli stesso un programma invernale ogni anno, arredando per l’occasione l’enorme sala dell’Olympia (dove Barnum era passato nel 1890), ma con un impianto a pista classica singola: trasformando la hall per due mesi all’anno in un circo di seimila posti con luna-park annesso, richiamando oltre trecentomila spettatori ad ogni edizione. Un pranzo inaugurale in

Il circo Medrano di Montmartre. Copertina di un programma, fine anni ’30. Coll. dell’autore

235

Il circo natalizio di Mills all’Olympia di Londra negli anni ’20.

236

pista diventa l’apertura irrinunciabile cui presenziano il Lord Sindaco con l’aristocrazia britannica; e la puntuale visita della famiglia reale è abitudine ogni anno. Scritturando Willy Schumann come direttore equestre, Mills diventa forse il più importante esempio del Novecento di circo classico della “vecchia scuola”. Senza ricorrere a pantomime, basa semplicemente i programmi sui migliori numeri del mondo e su una base di arte equestre. Dal 1920 al 1967, il circo invernale Mills riunisce all’Olympia i maggiori talenti d’Europa e d’America, approfittando anche della chiusura stagionale dei tendoni. La sapiente sistemazione temporanea della pur enorme hall crea una magica intimità da circo stabile. Ed i programmi sono un museo vivente di storia del circo. Soltanto fino alla Seconda Guerra, si alternano trecentottanta attrazioni: dai trapezisti Codona al funambolo Colleano, dai settanta leoni di Schneider alle pantere di Court, alle tigri di Krone; dai clowns Rivel ai cavallerizzi Caroli; da Enrico Rastelli a Barbette. Grazie alla pausa invernale del Ringling-Barnum, negli anni ’30 arrivano dagli Usa il direttore musicale Merle Evans, il leggendario clown Emmett Kelly e i più celebri freaks. E poi le ultime grandi dinastie equestri con le loro intere scuderie: Schumann, Knie, Rancy. Mills dal 1930 fonda anche un circo itinerante su ferrovia4. E ancora

a Mills, che usava osservare lo spettacolo dal bordo della pista unendo il frac rosso inglese da cerimonia del toastmaster al suo inseparabile cilindro, si deve l’uniforme universale del direttore di pista. La Seconda Guerra mondiale spazzerà la cultura del circo stabile urbano: Mills interrompe per alcuni anni gli spettacoli; a Parigi i nazisti affidano nel 1940 Medrano e Hiver alla famiglia Busch (ma senza successo). E le forze alleate, dai cieli della Germania raderanno al suolo gli ultimi grandi templi del circo tedesco: Busch, Scala, Wintergarten e Plaza a Berlino, Krone a Monaco e purtroppo anche il fiabesco Sarrasani a Dresda. Nel 1939 a New York non sono le bombe, ma i bulldozer a demolire l’Hippodrome, il cui ultimo spettacolo è il leggendario musical circense Jumbo di Billy Rose. I costi sono alti. E poi elefanti, cambi di scena e danze acquatiche sono ormai un valore effimero di fronte al nuovo business delle sale: il cinema sonoro. 11.2 Troupes, solisti e discipline acrobatiche all’inizio del ’900 Negli anni ’20, un ipotetico artista nel suo momento d’oro, poteva compiere un giro tra teatri e circhi simile al seguente: il Palace o l’Alhambra a Londra. Poi un paio di mesi tra il Price di Madrid, il teatro Olympia di Barcellona o il Coliseu di Lisbona. In seguito un rapido passaggio a Roma in uno dei varietà di Piazza Esedra, o in un politeama con le compagnie Guillaume. Due settimane a Parigi, se l’impresario riusciva a mediare l’inevitabile contesa tra Medrano, l’Hiver e l’Empire. In seguito un mese a Berlino, al Wintergarten o allo Scala, o meglio ancora con Busch che pubblicizzava l’attrazione con speciali manifesti. Prima di passare allo Schumann di Copenhagen o al Carrè di Amsterdam. Se poi l’artista accettava di varcare l’oceano, c’erano l’Hippodrome o il Palace a New York, un circuito continentale di sale americane o un ottimo giro in Australia. In dicembre, si poteva accettare l’offerta di Mills all’Olympia di Londra, soprattutto se l’artista possedeva animali o una spettacolare troupe aerea. Altri potevano scegliere se passare nove mesi in uno dei pochi circhi itineranti al mondo in grado di pagare vedettes sotto un tendone: Ringling in America, Sarrasani o Corty in Germania, Knie in Svizzera, Scott in Svezia. E, nonostante l’ascesa del comunismo, per alcuni anni si poteva ancora avere un contratto al circo Ciniselli di Leningrado o al Salamonski di Mosca. Questo vivacissimo mondo si snoda tra piroscafi e telegrafi, tra bauli e manifesti raffinati come quelli dello stampatore Friedländer, lo specialista degli artisti, protagonista di una vera rivoluzione estetica nel campo dell’illustrazione per lo spettacolo [MALHOTRA]. I contratti degli artisti, sempre più precisi nelle loro clausole, durano da un minimo di due settimane (i programmi, soprattutto delle metropoli, si rinnovano spesso) a un’intera stagione.

237

Rèclame dei trapezisti Codonas al Wintergarten di Berlino. 1930 ca.

238

L’individualità del numero indipendente offusca il vecchio concetto di compagnia polivalente, lasciato ai piccoli circhi. Gli artisti e le troupes di circo e varietà sono organizzati per presentare un solo numero, ma come una vera e propria mini-compagnia: che siano acrobati, prestigiatori o clowns, essi viaggiano con propri scenari e guardaroba, macchinisti e segretari, a seconda della complessità della loro esibizione (cfr. 9.2) Ma oltre al mondo delle vedettes, ci sono le famiglie di artisti legati ai circhi di provincia, generalmente polivalenti, scritturate per rinforzare i programmi dei tendoni familiari. E poi ci sono i “saltimbanchi”, che lavoravano ancora con un tendone a “parapioggia”, se non in proprie baracche o direttamente sulla strada, col sistema della posteggia o postiche. In ogni caso quello degli artisti circensi pare un mondo destinato all’anonimato in cui, come già nel modello orientale, a risaltare non è l’identità del singolo ma quello del collettivo: famiglie conosciute piuttosto per cognomi, o per generi facilmente replicabili e basati sulla ripetizione del repertorio, inconsciamente aggiornato dalle continue prove mattutine sulle piste dei circhi o sui palcoscenici. La troupe di acrobati è un nucleo autonomo che, da un circo a un teatro, da un varietà a un hippodrome, basa la sua forza su una simbiosi tra professione e formazione che garantisce livelli acrobatici elevatissimi: almeno fino al secondo dopoguerra, quando inizia la lenta dissoluzione delle troupes, che diverranno invece appannaggio dei più convenienti ginnasti dell’Est. Con il Novecento si può parlare di una vera maturità del repertorio circense e della figura professionale di artista. È ormai compiuta la fusione tra mondo sportivo e dinastie fieristiche, che ha unito il virtuosismo degli acrobati con la tecnica delle palestre, aggiungendo l’influenza orientale. Il repertorio è ormai immenso, il vocabolario acrobatico in continua evoluzione. Acrobati “puristi” come i saltatori “di spalla” al tappeto, lasciano il posto ad attrazioni caratterizzate da nuovi accessori di propulsione, inizialmente le “sbarre fisse” da palestra che diventano un dispositivo circense per salti a varia altezza. Una disciplina che vede il suo apice negli anni ’10 è quella degli icariani, o risley (cfr. 8.3 e 9.5): è la più diffusa fino agli anni ’30, diventando una specialità di famiglie di acrobati soprattutto di area austro-tedesca. È un tempo in cui circhi e varietà pullulano di questi ikarischiker, con famiglie che vedono anche oltre dieci persone in scena: i genitori distesi fanno volteggiare i loro figli sui piedi. Le famiglie-vedettes si chiamano Lorch, Kremo, Schaeffer, Allisons. La vera novità d’inizio secolo è l’introduzione della bascule (bascula), plancia altalenante sulle cui origini poco si sa ma che diverrà il dispositivo più diffuso per tutto il corso del secolo e di certo un’icona dell’immaginario circense5. Con questa specie di altalena-trampolino, troupes come i Picchiani fanno saltare un acrobata su una colonna di quattro uomini; gli Yacoppi arrivano in quin-

239

240

ta altezza, così come gli austriaci Glinseretti, i quali sono probabilmente la prima tra queste troupes ad emergere. Dal 1910, le troupes con bascula diventano regolarmente diffuse, e la loro provenienza è germanica o dell’Europa orientale: si diffonde soprattutto in Ungheria dove, a partire dagli anni ’30, grazie alla troupe Magyar Pusztai la propulsione alla “bascula” diverrà una prerogativa dei circhi dell’Est e in seguito uno dei maggiori successi delle scuole di Stato. Molte altre troupes contribuiscono a rendere regolari discipline affermatesi alla fine del secolo precedente: gli equilibri con scale e pertiche, i virtuosi sulle biciclette o sui pattini a rotelle; le pose plastiche spesso con l’attrazione delle “statue viventi” con gli atleti dipinti di bianco; e poi gli equilibri di forza “mano a mano”, vivacizzati da costumi che, abbandonando le vecchie calzamaglie si adeguano al music-hall adottando ora il frac, ora le toghe da antichi romani, o ancora abiti del far-west. Ma due sono le leggende del circo fino al secondo dopoguerra: il volteggio ai trapezi volanti e l’acrobazia a cavallo. Affermatosi ormai come volteggio nel vuoto da atleta a porteur, il trapezio volante riserva una nuova sorpresa: il triplo salto mortale nelle braccia del porteur. A renderlo regolare per primo è Ernest Clarke nelle braccia del fratello Charles, a partire dal 19096. Nel 1917 vi riescono poi per un breve periodo i Flying Wards. In questi anni migliorano le condizioni degli accessori e le tecniche di evoluzione, e gli anni ’20 e ’30 iniziano a far parlare realmente di “uomini volanti” e di eleganza stilistica. È proprio con la nascita del concetto di “stile” che si afferma la differenza tra “ginnasta” e “artista”. Questo si deve soprattutto ad una delle più grandi stelle della storia del circo: Alfredo Codona (1883-1937). Dal 1920, è il primo ad eseguire il triplo ogni sera, nelle braccia del fratello Lalo nei più grandi music-hall del mondo e nei pochi circhi in grado di permettersi un tale artista (Medrano, Mills, Ringling). Il lancio del suo triplo era arricchito di virtuosismi a corpo libero che lo avvicinavano alla grazia di un danzatore. Ispiratore di pittori, letterati e fotografi (da Matisse a Calder), immortalato da Dupont in Varieté (1931), Codona è ricordato come il “Great Gasby” del circo, anche per il suo tragico suicidio in seguito all’incidente mortale della moglie Lilian Leitzel. Quest’ultima, ginnasta agli anelli, fu la più grande solista circense degli anni ’20, l’unica per il cui “numero” il caos delle tre piste di Ringling si fermava, lasciando l’artista al centro con un fascio di luce. Tornando al “triplo” al trapezio, l’exploit resta per decenni cosa rara: il primato di Codona è appena conteso negli anni ’30 da Genesio Amadori (prematuramente stroncato da un incidente in rete), o dai Fliyng Concello (allievi dei Wards), a lungo l’unica troupe in cui due dei membri, Art e Antoinette, erano entrambi capaci di un triplo. Altra variante coreografica ai trapezi

Lucio Cristiani, il più grande acrobata a cavallo che si ricordi (1935 ca.)

volanti è quella dei voli “incrociati” degli Otaris, in frac bianchi nei loro volteggi lungo i lati di una “croce” gigante adornata da centinaia di lampadine. Per quanto riguarda l’acrobazia equestre, il 1900 era iniziato con un prodigio mai più eguagliato: la colonna a tre sul cavallo dei fratelli Frediani, capaci anche di ogni genere di salti mortali. Nei decenni che seguono, i salti a cavallo sembrano essere la prerogativa di buona parte dei nascenti piccoli circhi italiani di famiglia, i cui componenti diventano presto vedettes internazionali del circo o dei music-hall, che per loro montano il maneggio equestre sul palcoscenico7. Al principio degli anni ’30 emergono i tre acrobati a cavallo più grandi della storia: Lucio Cristiani (1908-1992), Enrico Caroli (1912-1983), e Justino Loyal. Tra essi, Cristiani resta celebre per la regolarità del salto mortale dal primo al terzo cavallo, e per esercizi ineguagliati assieme ai fratelli. Loyal sarà a capo della più ricca e versatile troupe equestre di ogni tempo. Alcune di queste famiglie cederanno alle lusinghe di Ringling trasferendosi in America negli anni ’30 e ’40: le famiglie Zoppé,

241

Il danzatore sul filo Con Colleano

242

Zavatta, Loyal-Repensky, e soprattutto i prodigiosi Cristiani, protagonisti di una saga tra le più felici dell’intera storia del circo8. Le famiglie equestri italiane, una volta in America riescono a riportare agli antichi fasti anche il leaping, il salto nel vuoto al di sopra di file di elefanti, conosciuto come “battuta all’americana”: rischiosa prodezza in cui milioni di americani negli anni ’40 vedranno spiccare Emilio Zavatta e Ugo Bogino. Alternativa ben più eccitante a questi voli nel vuoto è la diffusione a partire dagli anni ’20 dell’uomo proiettile. Gli anni ’10 avevano visto diffondersi, sia in Europa che in America, attrazioni di solisti del brivido: prima il “giro della morte” in bicicletta di Ugo Ancillotti o di Volo the Volitant; poi l’“auto bolide” dei fratelli Desprez o di M.lle De Glorion9. L’uomo sparato da un cannone, se aveva avuto alcuni tentativi verso il 1880 (cfr. 9.5), pare riemergere con un cannone militare vero e proprio grazie al tedesco Paul Leinert nel 1920 e subito dopo con Cliff Aeros. Ma il numero diventa un’icona del circo, quando John Ringling invita nel 1938 negli stati uniti Ugo Zacchini (1898-1975), che in America darà vita ad un’intera dinastia di uomini e donne sparati dal cannone10. Gli anni ’20 vedono la maturità del vedettariato in campo circense, con discipline in cui possono emergere grandi solisti ingaggiati con cachet faraonici. È una voga che durerà fino agli anni ’40 circa, in sostanza fino alla crisi del varietà a favore del cinema. Le quattro icone degli anni ’20 e ’30, quelle grazie ai quali si parla di un “prima” e un “dopo” sono indubbiamente il citato trapezista Codona, il clown-fantasista Grock, il danzatore sul filo Con Colleano ed Enrico Rastelli (1896-1931), il più grande giocoliere di tutti i tempi. Quest’ultimo, morto troppo giovane, è la sintesi delle conquiste della giocoleria dell’ultimo secolo: egli già dagli anni ’10 rapppresenta la simbiosi perfetta tra la cultura occidentale e la leggerezza non estranea all’influenza giapponese; è il primo ad affermare una giocoleria non più basata su esercizi con oggetti pesanti, ma come arte del coordinamento quasi miracoloso di più oggetti lanciati nello spazio. Questa disciplina, basata sulla manipolazione di oggetti, è gradita da pubblico e impresari quanto quella affine dei prestigiatori: negli anni ’10 c’era stata in Europa una vera e propria invasione di giovani maghi americani che si distinguono per specializzarsi in un genere: come il re delle monete Nelson Downs, lo specialista delle carte Howard Thurston, e altri virtuosi le cui sparizioni e apparizioni si basano su palle da biliardo, orologi, etc. Anche nel campo dei giocolieri si assiste del resto ad una specializzazione per temi o per “oggetti”: la famiglia Perezoff lancia in aria gli accessori da ristorante; Kara gli attrezzi da biliardo, altri addirittura banjos. Dal 1907 si deve a McSovereign la diffusione del diabolo, sorta di trottola di origine orientale oggi tanto diffusa tra gli artisti di strada. La giocole-

243

ria si incrocia volentieri con la comicità eccentrica: come Bagessen con le sue pile di piatti o il leggendario W. C. Fields destinato alle glorie del cinema11. Nei primi decenni del secolo, altri solisti diventano vedettes del loro tempo, aggiornando la moda di altre discipline circensi: come il contorsionista-dislocatore Chester Kingston, in abiti cinesi, o il dislocatore-trapezista Albert Powell. Disciplina antichissima, che in quest’epoca assume la sua forma moderna definitiva, è la danza sulla corda ad altezza media, aggiornata grazie ai miglioramenti tecnici con l’introduzione di molle e cavi d’acciaio. Prenderà due vie: una è quella del filo oscillante, esaltata dai salti di Bombayo o dalla parodia di ubriaco di Hubert Castle in frac e cilindro. L’altra via è quella più puramente acrobatica sul filo teso, che avrà la sua leggenda nell’australiano Con Colleano (1899-1973), citato sopra. In costume di torero, sulle note del Bolero di Ravel, egli crea un numero ineguagliabile che culmina con una novità assoluta: un salto mortale in avanti sul filo. Anche i funamboli a grande altezza iniziano a passare dalle piazze sotto i tendoni, soprattutto americani, com’è il caso della famiglia tedesca di Carl Wallenda, che sarà in grado di presentare a quindici metri d’altezza una piramide sul filo di sette persone di cui tre in bicicletta, consacrati sotto il tendone del Ringling.

244

11.3 All’ultima risata: dalla creazione della coppia comica al mito dei Fratellini Per una serie di motivi, Parigi è la vera bomba ad orologeria per l’esplosione della farsa clownesca parlata del ’900, dove i clown da riempitivi passano a titolari di uno spazio di parecchi minuti. Questo accadrà solo attorno al 1910, in seguito ad una lunga e particolare genesi. Le ragioni potrebbero essere riassunte da una coincidenza di fattori dopo il 1880: 1) l’arrivo con successo a Parigi della figura dell’augusto (cfr. 9.6); 2) la presenza all’alba del ‘900 di almeno cinque circhi stabili e quindi del continuo scambio e incontro di artisti; 3) la necessità di nuovi personaggi e storie per le pantomime circensi; 4) la sparizione del divieto per i circhi della commedia dialogata. Una delle prime immagini di coppia clownesca “moderna” è una foto non datata dell’augusto James Guyon (il primo imitatore francese di Belling) con il clown Jimmy Loyal [in THETARD, 1945]. Siamo attorno al 1890. Il clown classico dal volto bianco e dal cappello a punta, ruzzolato per terra davanti al suo partner in frac dal naso rosso, è forse la prima inconsapevole testimonianza di uno degli archetipi dello spettacolo del Novecento : il contrasto tra l’augusto e quello che da buffone diverrà una spalla sempre più seria, il clown ora distinto come “bianco”. Il loro rapporto di coppia è ancora casuale, come quello di altre combinazioni simili (“Antonio e Averino” o, dal 1892, “Pierantoni e Saltamontes”). La relazione si basa ancora su sberleffi, scherzi musicali o paro-

Forse la prima foto esistente della coppia clownesca classica: l’”augusto” James Guyon (in piedi) e il “bianco” Jimmy “Gougou” Loyal (seduto). Quest’ultimo ancora lontano dal ruolo autoritario. Sullo sfondo la tipica “barriera” formata dai régisseurs in abito scuro. 1890 ca., prob. al Cirque Fernando, Parigi. Archivio H. Thetard, Musée ATP, Paris

die della boxe. La cosa sicura è che a fine secolo, ogni circo stabile parigino al proprio drappello di clowns colorati affianca un augusto “di casa” col frac nero troppo largo, che come Belling ha capelli e naso rossi, ed è onnipresente nello spettacolo: come Batiss al circo Fernando, ritratto in varie tele dal pittore Faverot. Sui palcoscenici, la più celebre incarnazione teatrale dell’augusto è il leggendario Little Tich (Harry Ralph, 1868-1928), le cui lunghissime scarpe ispirano il giovane Chaplin ma anche tutti i pagliacci del Novecento. Al Nouveau Cirque, dopo il 1880 arriva dal music-hall un danzatore cubano di colore, Chocolat (Raphael Padilla, 1868-1917), in frac, guanti bianchi e cilindro da augusto. Immortalato da Lautrec, questo “grottesco” ha immediato successo nel sintetizzare una serie di mode emergenti, dal black minstrel al cake-walk. È per anni il divo del circo, grazie anche ad una fortunata pantomima acquatica, La Noce à Chocolat (1889). Tra una pantomima e l’altra, Chocolat in questi anni è “maltrattato” da vari clowns: la stupidità dell’augusto sembra amplificata a perfezione dalla minoranza etnica. Sberle e calci nel sedere gli provengono prima dal colorato Boum-Boum (Medrano), poi dal 1890 dall’inglese Foottit (Tudor Hall, 1864-1921) le cui smorfie lo rendono il più celebre dei clowns grimaceurs, violento erede della pantomima classica. Per un buon ventennio Foottit e Chocolat (che impressionano Cocteau bambino) dividono il cartellone nelle pantomime a tema del Nouveau Cirque. Ma quel che è più importante, sviluppano sketches propri a due durante lo spetta-

245

Il trio spagnolo Andreu-Rivels: tra i pionieri, sulla scia dei Fratellini, nella forma moderna dello sketch con clown bianco e due “augusti” (1926, coll. privata). Charlie Rivel (il primo da sin., 18961983) diventa uno dei massimi solisti del Novecento, attivo fino ai suoi ultimi anni

246

colo, dando sempre più spazio alla parola. Il carattere autoritario di Foottit e il ruolo di vittima di Chocolat sono fondamentali per definire il rapporto poi leggendario bianco-augusto, divenendone la prima coppia compiuta della storia. Da dove viene la struttura dello sketch parlato clownesco? Di certo pesca nell’antichissimo repertorio farsesco che, dall’arrivo degli arlecchini italiani nel Seicento, fu tramandato e trasformato tra acrobazie e funambolismi dai pierrots di boulevard assieme ai loro colleghi inglesi. È una tradizione che verso fine ’800 si divide tra il genere del circo e quello della farsa, per poi confluire naturalmente nei primi canovacci del cinema muto. Ai primi del ’900, l’abito nero dell’augusto inizia a formare caratteri più definiti, quasi tutti simili tra loro: il personaggio ha ormai lunghe scarpe, un ampio papillon, una larga camicia bianca e un’ampia fronte su cui il trucco segna ampie sopracciglia. È un’epoca di cui esistono già le prime tracce fotografiche, e queste costanti nel trucco si ritrovano, con lievi varianti, nelle foto dei grandi pionieri dell’augusto novecentesco: Little Walter, in pista già dal 1900; Paul Fratellini agli esordi; Alex Briatore; e anche Grock “prima maniera”, che arriva a Parigi nel 1908 e che prima di diventare il celebre solista ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del duo clownesco moderno. L’augusto in abito scuro approda per forza di cose dal circo al cinema: gli anni ’10 e poi ’20 sono l’apice massimo della comicità sullo schermo, e la stragrande maggioranza dei suoi protagonisti proviene dal circo e dal music hall, sia in Europa che in America, a iniziare dal pioniere Max Linder. Chi ha il coraggio di scegliere il nuovo mezzo trova nel cinema maggior fortuna. Se si confrontano le foto del tempo di augusti circensi e di varietà con quelle di comici del cinema o anche del teatro popolare (da Petrolini a Scarpetta, da Karl Valentin agli chansonniers comici parigini), non esistono praticamente differenze nel criterio della scelta degli abiti, o nel modo di truccarsi. Anzi, le comiche del muto sono l’unica traccia per capire la gestualità mimica e acrobatica tipica del comico circense di quel tempo. È una sola, grande famiglia. Nelle piste dei circhi, agli augusti in nero si affiancano clowns che gradualmente perdono l’indipendenza di buffone acrobata o musicista divenen-

do un’elegante spalla prima giocosa poi sempre più autoritaria: come Gustavo Fratellini, o Antonet (Umberto Guillaume, 1872-1935). Quest’ultimo, che dal 1908 si esibisce al fianco sia di Grock che di Little Walter, è il primo a sancire la trasformazione del clown bianco in definita “spalla”, e a trasformarne il già variopinto costume a sacco nella sgargiante veste di lustrini che conosciamo. Sviluppa il cappello di feltro bianco a punta, e una truccatura sobria, in cui sul volto bianco un sopracciglio nero diventerà, sempre diverso, la firma personale di ogni clown bianco. Clown e augusto iniziano a dare vita a veri e propri sketches, spesso con la complicità di un terzo personaggio che è il direttore di pista, in gergo il loyal12. La base è sempre quella di un equivoco tra l’autorità e l’ignorante, oppure di uno scherzo ai danni del più stupido, o ancora del tentativo del clown di presentare un’esibizione (magia, musica, acrobazia), rovinata dall’augusto. Si può dire che il moderno sketch clownesco e i canovacci delle comiche del cinema nascano contemporaneamente, in entrambi i casi recuperando il sistema della Commedia dell’Arte. La stabilizzazione decisiva del numero comico a più ruoli, in una sua struttura drammaturgica, si deve in gran parte all’imporsi dei tre figli di Gustavo Fratellini come trio dal 1909 in grandi tournées europee, e al loro stabilirsi a Parigi dal 1916, al circo Medrano13. La loro combinazione è perfetta quanto lo saranno i Marx al cinema. François (1879-1951), clown bianco, è un folletto a metà tra il colorato e virtuoso buffone ottocentesco e l’evoluzione autoritaria del ’900; Paul (18771940) rimane l’augusto “storico” in nero, vagamente aristocratico con cilindro e monocolo. Albert (1885-1961) è quello che sintetizza tutti gli elementi inaugurando l’estetica del pagliaccio moderno: esagerando i tratti della bocca, le dimensioni del naso rosso (che da tinta paonazza diventa una vera protesi) o delle scarpe, gli abiti stampati a scacchi e la mostruosità grottesca poi tipica del personaggio. Da qui, l’augusto diverrà in seguito tutto quel che non è il clown: più ingenuità che astuzia, meno imbroglio che credulità; è ubriaco e rozzo, inetto e impacciato. L’augusto non è più un personaggio della gerarchia di pista in abito scuro: come Chaplin, i suoi abiti sono quelli del popolo, è un normale vagabondo, o forse un contadino, piombato chissà come nella pista, di fianco ad un clown che è sempre meno un buffone smorfioso e sempre più un’elegante autorità. I primi augusti moderni con tali caratteristiche si affermano negli anni ’20. I tre più celebri sono sicuramente, dagli anni ’10, il portoghese Porto (Arturo S. Mendès, 1888-1941) e gli italiani Beby (Aristodemo Frediani, 18851958), Bario (Manrico Meschi, 1888-1974) e Rhum (Enrico Giacinto Sprocani, 1904-53). Da notare che la maggior parte degli augusti hanno quasi sempre nomi di liquori. Paradossalmente, l’etimologia di clown ormai si addice più

247

248

all’augusto, in linea con l’origine medioevale del clown come paesano e zotico, che a ciò che è diventato il clown bianco. In effetti, dal principio del Novecento nei programmi, nel linguaggio corrente e nel gergo del mestiere scompare la dicitura auguste (che resta nel linguaggio critico e storico) e la sola parola clown designa ormai indifferentemente ogni tipo di comico circense. Sebbene a Parigi negli anni ’20 restino i soli Cirque d’Hiver e Medrano, nei programmi i clowns costituiscono il solo elemento costante per un pubblico che torna una o più volte al mese: perciò si arricchisce e si aggiorna il repertorio che cresce in misura esponenziale. Il mondo circense parigino dagli anni ’20 ai ’50 è considerato non a torto l’epoca d’oro del clown. Ogni programma circense richiede più clowns e augusti, con numerosi interventi e dunque appassionanti sfide all’ultima risata. Molto di ciò si deve alla stabilità dei Fratellini, che per vent’anni lavorano ogni giorno quasi unicamente a Parigi: prima al Medrano (1916-1923), poi al Cirque d’Hiver (1923-1934). Essi divengono una sorta di vera e propria compagnia stabile di repertorio, con elaborati numeri a tema che sembrano una sintesi del concetto di pantomima, caratterizzati da una quantità inverosimile di accessori, strumenti musicali e costumi, che trasformano il loro camerino in una caverna-deposito della follia, con i numerosi familiari impiegati come figuranti di improbabili farse. Sono decine i temi che spaziano dalla corrida al funerale, dal barbiere a “Salomé”, dai fantasmi al fotografo, da “fiori e farfalle” alla bambola meccanica. Senza contare i numerosi sketches basati su parodie musicali di celebri sinfonie, o quelli parodianti i numeri del circo, con grossi animali di stoffa o cartapesta. Per il pubblico è l’immersione in un mondo incantato, tra la vecchia pantomima da boulevard e l’emergente universo dei cartoni animati. La dinamica a repertorio dei Fratellini è paragonabile a generi popolari come il teatro di farsa o quello di burattini. La loro vitalità artistica, in un momento in cui l’avanguardia teatrale si pone molte domande, stimola grandi nomi della cultura: nel 1920 Milhaud, Satie e Cocteau compongono per loro Le boeuf sur le toit; Léger dedica ad essi vari ritratti; Copeau li onora di un saggio e li include nel corpo insegnante del Vieux Colombier, la prima utopia moderna di formazione attoriale. Registi che mitizzano il teatro popolare come Gémier e Dullin, li prendono ad esempio; per i surrealisti, da Apollinaire a Bréton, sono eroi della follia. Sulla scia dei Fratellini, in un decennio arrivano a Parigi clowns italiani e spagnoli che diverranno i più grandi del secolo14. Questa epoca d’oro vede poi un formidabile valzer di scambi tra partners: augustes come Rhum, Bario, Porto e quelli che seguono negli anni ’20 (come il grande Charlie Cairoli, e in seguito Mimile, Nino Fabri, tra i più noti), si legano a clowns bianchi autorevoli ma dalle grandi doti mimiche, oratorie e musicali, sempre più eleganti nei loro sgargianti “sacchi” di lustrini (soprattutto dopo l’apertu-

ra dell’atelier di Charles Vicaire, lo stilista dei clown). I primi grandi clowns bianchi degli anni ’20 sono Jean-Marie Caroli, Antonet, Polo Rivel, Dario Meschi, naturalmente François Fratellini. Più tardi, tra gli anni ’30, appaiono Maiss, Pipo, e in seguito Alex; appaiono persino clowns bianchi nani, come Goliath e Nino. È in questi anni parigini, tra il 1920 e il 1940, che il tratto distintivo del clown bianco diventa un marcato, singolo sopracciglio nero sul volto bianco: un personalissimo tratto sempre diverso come una vera e propria firma. I tipi di augusto e clown bianco approdano anche in America, dove però non nascerà mai lo sketch parlato clownesco: i grandi circhi a tre piste d’oltreoceano hanno eserciti di almeno venti clown. I loro ruoli sono ispirati allo sviluppo di quelli europei, ma si esibiscono in gruppo nelle sterminate arene, in brevi intermezzi oppure onnipresenti durante i numeri equestri ed acrobatici. Nelle foto di gruppo che ci restano dei clown americani della prima metà del secolo, si avverte questa dispersione di caratteri comici, che si ampliano ad una vivacissima varietà, di cui fanno parte anche le parodie dei neri, degli ebrei, degli zingari e delle minoranze etniche immigrate, spesso affidate a nani. Tra tutti, il carattere più spiccatamente americano di clown sarà dalla fine degli anni ’30 il tramp o hobo, il vagabondo che durante gli anni della depressione vagava per le strade e dormiva nei treni. È reso personaggio circense da due miti del circo americano, Otto Griebling ed Emmett Kelly (1898-1979). Quest’ultimo soprattutto, con il suo desolato vagare nell’arena per l’intero spettacolo, nella selva di centinaia di artisti e migliaia di spettatori, ha rappresentato nella mitologia del circo statunitense quel che Chaplin è stato per il cinema. In entrambi gli emisferi, la comicità circense si esprime anche in altre forme al di là dello sketch bianco-augusto. È il genere del numero “eccentrico”, che incrocia i mercati di circo, music-hall europeo e vaudeville americano nella prima metà del ’900. Trai suoi massimi protagonisti vi sono il ciclista vagabondo Joe Jackson o il cameriere con i piatti Bagessen; il prestigiatore

Il leggendario Emmett Kelly, capostipite della clownerie “poetica”, fu tra i pochi ad affermare una propria personalità negli eserciti clowneschi dei circhi a tre piste americani. Foto J. J. Steinmetz, 1940 ca.

249

Grock (Adrien Wettach) negli anni ‘30 (coll. dell’autore)

250

“ubriaco” Cardini. Ma soprattutto l’eccelso Grock (Adrien Wettach 1880-1959), universalmente considerato come il massimo solista comico nella storia dello spettacolo dal vivo. In qualche modo Grock negli anni ’20 riesce a staccarsi dalla logica di rapporto con il clown bianco. L’insofferenza verso vari partner lo porta a sviluppare un’immagine di solista, sebbene sempre aiutato da un’anonima spalla in frac (per molti anni il fedele Max Van Embden). Da questo periodo, Grock si adatta più al palcoscenico che alla pista (soprattutto per gli elevatissimi cachet da lui richiesti), giungendo a presentare un numero di oltre quaranta minuti. Il fenomeno di Grock è anche importante per le origini del vedettariato teatrale europeo: la sua fama internazionale è, infatti, talmente vasta che il suo maggiore pubblico era quello delle innumerevoli incisioni discografiche di musica popolare, e delle trasmissioni radiofoniche. Grock gira tre film, è testimonial per case di strumenti musicali o fabbriche di apparecchi radio, pubblica tre biografie in numerose lingue [cfr. GROCK]. Ed in un film ci resta l’integrità del suo numero: un irresistibile concerto basato su violino, pianoforte e concertina costruendo gags da manuale attorno a ciascuno di questi strumenti. Base per Chaplin e Keaton del finale di Luci della ribalta, il numero di Grock resta un primato mai più eguagliato nella storia della comicità15. 11.4 “Viva i buffoni di Sua Maestà il proletariato”: le origini del circo sovietico Il circo sovietico è forse il fenomeno circense più originale del Novecento. Si basa su un innesto quasi perfetto fra tradizione dinastica italiana, architettura circense parigina, grande pantomima tedesca, avanguardia teatrale russa, baracche rurali di fiera, spirito bolscevico. E, soprattutto, organizzazione sovietica della cultura e della pedagogia artistica. Il sistema del circo sovietico, basato su una rete solidissima di circhi stabili urbani, su un circuito capillare di artisti e su capaci strutture di formazione, in realtà impiegherà vari decenni ad affermarsi realmente, e per molto tempo rischia di restare un’utopia. Solo negli anni ’50 si potrà parlare realmente di un sistema autonomo, con un apice negli anni ’70 fino a una dissoluzione tragica con la caduta del comunismo16. All’alba del Novecento, la Russia zarista era ancora parte del circuito circense europeo, (sebbene il fenomeno resti poco analizzato in Occidente)17. Il circo di S. Pietroburgo, diretto da Scipione Ciniselli (figlio di Gaetano), continua la tradizione di vedettes e pantomime; a Mosca il bell’edificio di Salamonski gode dello stesso prestigio (cfr. 7.1, 9.1). I trapezisti Rainat, gli acro-

Il clown russo Anatoli Durov, 1920 ca.

251

Agit-prop pre-rivoluzionario a S. Pietroburgo, 1905. L’uomo sui trampoli è il clown “politico” Vitali. A. Lazarenko. Museo del Circo di S. Pietroburgo

252

bati Kremo, il giocoliere Rastelli, i clowns Fratellini, le tigri di Togare, il mago Houdini, i cavallerizzi Frediani o il giocoliere Kara visitano puntualmente i grandi circhi russi per i primi vent’anni del nuovo secolo. Alcune dinastie italiane, come Truzzi, Tanti o Ferroni, vi rimarranno per sempre. La seconda parte dello spettacolo continua ad essere riempita da una pantomima (di genere di soggetto avventuroso, spesso acquatica) nello stile di Busch o Renz: forma che verrà ereditata e reinventata come elemento chiave nell’ideologia del futuro circo sovietico. Di fianco a questo mercato urbano, la Russia aveva uno sterminato mondo di baracche di fiera o di circhi rurali, o di artisti di strada tra fachirismo e giocoleria, contaminati nei secoli con i loro colleghi indiani e cinesi. Questi gruppi erano gli skoromoki, quasi sempre cacciati dalle città, che però erano capaci di generare autentiche dinastie : come gli intraprendenti Nikitin, la baracca degli orsi della famiglia Filatov, gli acrobati djiguit a cavallo Kantemirov, i piccoli circhi di Lapiado e Gibadullin. Tutti nomi, in parte presenti ancora oggi, che il sistema sovietico integrerà poi, nobilitandoli, con la tradizione ufficiale dei circhi stabili. Tra le prime famiglie circensi russe la più numerosa e importante appare quella dei Durov, mostratori di animali di ogni genere (dall’elefante al pellicano) e clowns. Se Vladimir L. Durov (1863-1934) si dedicava alla psicologia animale frequentando Ivan Pavlov, il fratello Anatoli L. (1864-1916) diverrà uno dei clowns più leggendari della storia18. È la prima celebrità ad emergere nella tendenza popolare del clown satirico antizarista, i cui numeri sono basati sul dileggio di aristocratici, mercanti, latifondisti e antisemiti: la rivoluzione nasce anche al circo, negli anni in cui le sempre più frequenti assemblee bolsceviche hanno luogo a S. Pietroburgo sulla pista del Circo Ciniselli. Il successore e allievo di A. Durov è un’altra leggenda: Vitali E. Lazarenko (1890-1939). È amico di poeti e scrittori, si avvicina al teatro con Mejer’hold che ne fa un punto di riferimento per il proprio rinnovamento della scena. Lazarenko è perfettamente affine allo spirito dell’avanguardia e a quello della rivoluzione: le sue graffianti parodie e canzoni contro burocrati, preti, poliziotti, padroni portano persino ad una giornata di disordini nel 1905, facendo scoprire il circo come una vera e propria forma di agitprop e teatro politico. Era chiaro che il grande pubblico popolare preferiva

questo tipo di spettacolo alle grandi vedettes europee. Inoltre, indipendentemente dalla rivoluzione, il mondo della cultura e le avanguardie trovavano nel circo nuove ispirazioni in un’epoca di reinvenzione del teatro. Il circo pre-sovietico, ormai con un ruolo non minore di catalizzatore di riforma sociale, attrae molti intellettuali verso il rifiuto di un’arte circense sensazionalistica e per un circo come arte del popolo, con la necessità di programmi autoctoni, senza più nomi stranieri. Lo dimostrano Cˇechov con la sua ammirazione per Durov, Gorkij nelle sue pagine sul circo, Stanislavskij nei ricordi d’infanzia, Tairov nella sua utopia di unione delle arti, Kuprin con opere sui clowns (ispirate dalla frequentazione con l’“augusto” italiano Giacomino Cireni), persino Marx19. Dopo la rivoluzione di Ottobre, il problema di un rinnovamento del circo come arte del popolo si avvera complicatissimo e lungo. L’unica certezza è la nozione di distruzione del vecchio. Il primo effetto tangibile è quello della dissoluzione di un sistema artistico ed economico: i cavalli sono requisiti per le battaglie, gli artisti in trincea, le troupes dissolte, i begli edifici circensi rovinati e alterati. Il circo russo era ancora un sistema basato sul mercato di artisti internazionali, e non vi erano strumenti per modificarlo, tranne che la condanna di un tipo di spettacolo mal visto poiché basato “sul profitto”, o su “valori effimeri”, sullo “sfruttamento dell’infanzia”, sulla “distanza dalla causa rivoluzionaria”. Non è di questa idea A. V. Lunacˇarskij, il ministro dell’educazione, amico sia del clown Durov che del segretario Lenin. Ci restano suoi numerosi scritti in merito, da cui si evince la sua intuizione di un potenziale “sovietico” del circo: Lunacˇarskij ne evidenzia il consenso a vari livelli della società, la quantità di menti e talenti che tale forma sa coinvolgere, la sua presenza profonda nella cultura russa. L’approccio è quello di esplorare i valori del circo per riorientarlo dall’industria del teatro borghese verso la causa comunista: «Il circo sovietico deve mostrare la bellezza fisica dell’uomo […], e l’importanza della clownerie satirica. Il circo è lo spettacolo veritiero della forza e dell’agilità […] Viva i buffoni di sua maestà il proletariato!»20. Quello di Lunacˇarskij è il primo atteggiamento scientifico verso l’arte circense che si ricordi al mondo. Nel 1918 con la “casa del circo”, chiassoso circolo periodico, presso il caffè degli artisti sulla Sverstkaia, ha inizio la prima fase del circo sovietico: quella teorica. In confusi dibattiti si parla di allontanare il circo dai valori borghesi, si discute del carnevale e della fiera, delle farse e del clown politico come erede di Aristofane. Si vagheggiano esperienze che riconducano all’anfiteatro della Grecia antica, ad una drammatizzazione anti-psicologica del circo (nel 1918 un Edipo e un Macbeth furono messi in scena al circo Ciniselli di S. Pietroburgo, non senza l’influenza delle esperienze tedesche di

253

254

Reinhardt). Al dibattito intervengono saltuariamente artisti già coinvolti nella rivalutazione dello spettacolo popolare a largo raggio: Meyer’hold si mette a disposizione per formare registi di circo, così come il coreografo Foregger; Ejzensˇtejn progetta pantomime di circo; Majakovskij convocherà Lazarenko come protagonista di Mistero buffo (1920). In breve tempo il circo è considerato al pari delle altre arti sovietiche: il culmine è nella sfilata allegorica del 1 maggio 1919, in cui artisti del circo e del teatro sono parte della nuova grande famiglia della rivoluzione artistica. Pochi mesi dopo, un decreto nazionalizza come “primo e secondo circo di stato” i due stabili di Mosca (rispettivamente il Salamonski e il Nikitin) 21. Nei programmi si tentano astratte rivalutazioni del carnevale o della mitologia, con titoli che vanno da Pierrot al Trionfo di Minerva alternando satira e celebrazione. Ma è ancora la teoria a dominare, e la realtà è ben diversa: il pubblico continua a preferire la tradizione dei programmi con gli artisti europei; le pantomime d’avventura di Truzzi e Ciniselli con i cowboys, i toreri e le odalische ai nuovi fumosi esperimenti sovietici. Con la nuova politica economica del 1921, per la riflessione sul circo s’impone una seconda fase di tipo più concreto: il circo deve sapersi sostenere con il pubblico pagante. Nel 1922 il governo crea una prima Direzione generale dei Circhi di Stato, con la sigla Goscyrk. Nel consiglio, come direttore artistico dei due circhi stabili di Mosca, siede William Truzzi. Come maestro dell’arte equestre e regista, Truzzi continua con pantomime circensi come Carnevale a Granada, Le Mille e una Notte, o Il Pirata Nero; finché nel 1929 mette in scena La battaglia di Makno: primo lavoro propagandistico ispirato ad un episodio eroico della rivoluzione. L’identità circense sovietica prendeva forma a partire dalle radici della grande tradizione europea tardo-ottocentesca. Nel frattempo continua la politica di espansione e controllo centrale dell’attività circense, verso una rete che sarà presto colossale: dal 1924 si fabbricano circhi a Kiev, Rostov, e in altre città, soprattutto industriali; è riaperto a Leningrado il glorioso ex-Ciniselli, il cui splendore è ormai rovinato dall’occupazione di collettivi di artisti. Da Mosca un ufficio centrale di Goscyrk organizza le tournées dei numeri, le composizioni dei programmi e la gestione del settore in tutta l’Unione. È nato quello che diverrà in alcuni decenni il più grande apparato organizzativo circense della storia: il Circo di Stato Sovietico. Ma a quasi ormai venti anni dalla rivoluzione, almeno il settantacinque per cento degli artisti proviene ancora dall’estero, in un imbarazzante ma necessario sistema che fa lucrare artisti e agenti occidentali, come l’impresario tedesco Paul Spadoni. Si tentano perciò programmi di formazione che saranno alla base del concetto moderno di scuola del circo.

Nel 1926 prende vita a Mosca un primo corso di arte circense: inizialmente programma di perfezionamento, nel 1928 esso diventa la prima scuola di circo al mondo (i primi risultati si vedranno nel 1931, ancora modesti), mentre a Leningrado nel 1930 sono fondati un museo ed un tentativo di laboratorio per la creazione di numeri “sovietici”, in cui gli artisti russi in attività sono messi in contatto con registi, disegnatori e coreografi. Il risultato è una generazione di numeri ispirati a celebri eroi della rivoluzione o gesta e metafore patriottiche. Il motto del momento è del resto “il circo alle masse”, rafforzato dalla nascita nel 1927 di un comitato politico per i rapporti tra il circo e il partito. È la pantomima, col suo carattere narrativo ed elementare, a rivelarsi il dispositivo più efficace sia per la propaganda che per un’effettiva modernizzazione di tecniche ed estetiche circensi. Impulso decisivo è dato nel 1930 dalla pantomima Mosca brucia! su libretto di Majakovskij, per i 25 anni dalla rivoluzione del 190522. Il soggetto (che l’autore definisce un “melonima eroico”) è la storia della rivoluzione sovietica, attraverso gli stessi dispositivi di cui si era sempre servito Truzzi: pedane mobili, schermi con filmati, rampe per le cariche a cavallo, il finale con le cascate d’acqua e la pista tramutata in un lago, inseguimenti ai trapezi, schiere di figuranti, animali e clowns usati a impersonare in forma grottesca il decaduto potere zarista. L’esperienza si inserisce in un filone ormai inarrestabile di drammaturgia circense di propaganda. Le varie conferenze sullo stato del teatro richiedono al circo un perfezionamento della tecnica per l’esaltazione dei valori del corpo, una forte estetizzazione, un alto grado di patriottismo, ed una costante forma di comicità satirica e popolare. Oltre alle pantomime, continua la creazione di numeri singoli intercambiabili tra i vari circhi. Gli edifici stabili circensi dell’Urss, nel 1928 sono quindici con un giro di un migliaio di artisti: in dieci anni le cifre saranno triplicate. Nel 1930 un piano quinquennale affronta seriamente lo sviluppo di quella che è ormai la maggiore industria artistica sovietica. Nel 1931 i primi diplomati della scuola rimpiazzano gradualmente gli artisti stranieri. Ma una volta in pista si affiancano anche ad artisti autoctoni di tradizione provenienti dalle varie etnie dell’Urss: dal Turkmenistan confluiscono nel sistema circense danzatori acrobatici come i Kadir; dal-

Una delle prime attrazioni sovietiche: i cavallerizzi cosacchi Tuganovi, 1930 ca. (manifesto a colori)

255

Allegorie dello sport e del progresso nei primi circhi sovietici (1930 ca.)

256

l’Uzbekistan le tecniche dei funamboli risalenti al XV secolo come la troupe Igamberdjev; dai monti del Caucaso e dell’Ossezia i volteggiatori a cavallo come i Tuganov; dal Tadjikistan e dall’Azerbadjan i più vari gruppi di acrobati e artisti di fiera dalle origini zingare. Sarà nell’incrocio tra la pantomima e il numero a tema che il circo sovietico trova quell’identità con cui sarà in grado di rinnovare l’intero concetto di circo del Novecento. Il contatto dei gruppi di tradizione con la “scienza” dei registi, fa nascere inizialmente numeri tematici vicini all’etnografia. Tutto sommato non è un’estetica diversa dal gusto coloniale dei finti cowboys o beduini dei circhi occidentali: come facevano negli stessi anni Sarrasani o Hagenbeck, o Barnum. Ma, a differenza con i precedenti, qui c’è la rivoluzionaria novità di una vera e propria integrazione e fusione delle varie arti. Il primo prodotto di questo stile è nel 1929 quello dei dieci acrobati Kadir: in venti minuti essi combinano acrobazia, danze turkmene, musica popolare, addestramento di animali in una creazione composita e fluida. Poco dopo Mikail Tuganov crea il primo numero equeste a tema Nelle piane del Caucaso, con volteggi equestri, danze e giochi marziali. Per il sistema sovietico, il pur necessario proliferare dei numeri folkloristici crea una direzione diversa dalla tendenza più sperimentale dei futuristi, lasciando aperto a lungo il dibattito tra “formalismo e naturalismo” nell’arte circense sovietica23. Se gli anni ’20 lanciano i numeri folkloristici, gli anni ’30 sono quelli dell’ingresso dello sport nel circo sovietico. Grandi ginnasti e atleti sovietici si dedicano alla carriera circense, rendendo sempre più eroica l’immagine delle arti della pista e sempre più imbattibili gli acrobati sovietici. Il riferimento al mondo sportivo sposta le esibizioni acrobatiche verso la sobria immagine dell’atleta, abbandonando i lustrini da musichall occidentale. Tra le due guerre, si può dire che nel circo sovietico si delineano le caratteristiche di successo del suo futuro, su tre linee: 1)sperimentazione teatrale “astratta”; 2) numeri tematici, folkloristici; 3) numeri sportivi o patriottico-militari. Le tecniche circensi sembrano potenziare vari filoni: sviluppo della pantomima classica oltre il concetto di numero; maturazione del clown satirico; per-

formance atletico-acrobatiche; potenziamento degli animali ammaestrati. Il settore dei numeri di animali ha nell’Urss uno sviluppo notevole. I domatori occidentali di belve Togare, Sawade e Sembach (cfr. 12.6) negli anni ’20 sono l’ispirazione di base. Il primo domatore sovietico, Gladilchikov, lascia i panni del cowboy per abiti folkloristici come una sorta di eroe del popolo tra orsi e leoni. Un primo gruppo di leoni è venduto per Goscyrk da Carl Sembach a Boris Eder, pioniere dei domatori russi moderni, diffondendo il metodo di addestramento tedesco. Ben presto Goscyrk organizza spedizioni di cacciatori di orsi e tigri dalla Siberia agli Urali, o intesse rapporti con governi africani e con l’India per l’acquisto di elefanti e animali esotici. Negli anni ’40 domatori quali Buslaev, Kornilov, Fedotov, fondono la tradizione di scuola Hagenbeck con nuove tecniche originali24. Nel 1940 entra in gabbia, tra i leoni di Buslaev, Irina Bugrimova (1910-2002), che negli anni ’30 si era già affermata in numeri aerei o di tipo sportivo. Energica, intrepida, l’artista tra le criniere degli enormi felini maschi incarna il tipo perfetto dell’eroina sovietica, in una lunghissima carriera (addestrerà fino a settanta leoni) che ne farà una delle donne più carismatiche dell’intera storia del circo. Un altro campo importantissimo nel circo sovietico è la magia: grande impulso è dato quando l’illusionista Kio (Emil F. Renard, 1898-1966) crea un grande numero, inizialmente di ispirazione orientale, poi con spettacolare tecnologia quasi in un clima da spy-story. Kio è solo il più celebre tra decine di maghi da circo sovietici. Folklore, comicità, esotismo, mistero, apoteosi del realismo socialista, pantomime a tema sono dunque i dispositivi di successo che rendono sempre più popolare il circo come veicolo di esaltazione dei valori sovietici. Dal 1938, collettivi circensi minori nascono in tutta la Russia, mentre la Scuola del Circo di Mosca inizia a sfornare talenti con maggior sicurezza e regolarità. Nel 1936 il film Cˇirk, melodramma del regista Grigori Aleksandrov, diventa il manifesto che esalta l’arte circense come patrimonio della cultura sovietica, di cui diverrà presto forse la più grande bandiera attraverso il mondo. Nel 1939, quando si celebra il ventennale della prima nazionalizzazione del circo, questo può finalmente considerarsi una forma compiuta, con un’identità originalissima rispetto al resto del mondo. Ma il suo sviluppo e la sua visibilità tarderanno a venire, poiché la tragedia del secondo conflitto mondiale è alle porte.

257

12. L’EPOCA

DEL CIRCO ITINERANTE

12.1 Il barnumismo e la nascita del circo viaggiante in Europa Nel 1900, il circo Barnum & Bailey, il “più grande spettacolo del mondo”, è sbarcato in Europa1. Alle redini c’è il solo Bailey, erede unico dopo la morte di Barnum (cfr. 10.5). La sua impresa titanica di portare lo show oltreoceano non ha riscontro nella storia dello spettacolo. Consiste dapprima nell’imbarcare il più grande circo del mondo su una nave per l’Inghilterra («l’impresa umana più vicina all’Arca di Noè», per il testimone CONKLIN); poi nell’esibirsi per quattro mesi all’Olympia di Londra creando, col suo successo, una vera crisi dell’industria teatrale. In seguito, nel portare la più grande tendopoli del mondo attraverso la Gran Bretagna e poi nel vecchio continente. Negli ultimi decenni, in Europa si era visto qualche circo americano con un palo centrale, la pista unica e qualche buon cavallerizzo. Ma con Bailey l’Europa conosce il circo a tre piste, e l’arrivo della “città di tende” in tutto il suo splendore. Per quattro anni i treni specialmente costruiti da Bailey vomitano centinaia di animali e meraviglie sulle spianate di Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Olanda, Belgio, Prussia, Sassonia, Austria, Ungheria in città su cui spesso per un solo giorno sorge l’immensa tendopoli. Una prima tenda d’ingresso lunga centoquaranta metri accoglie animali di ogni genere e i venti elefanti; un ulteriore tendone ospita il museo dei fenomeni umani. Il culmine è la tenda-ippodromo per lo spettacolo che, con le tre piste e le due scene misura centonovanta su ottantacinque metri e le cui gradinate ospitano oltre diecimila persone. E poi una miriade di altre strutture erano erette per ospitare i trecento cavalli necessari al trasporto dei carri fino alla ferrovia, le sartorie, le officine, la mensa capace di seicento pasti. I treni del circo giungevano all’alba e, dopo aver offerto una sontuosa parata e due spettacoli, a mezzanotte erano già in viaggio. Ogni città è avvolta per settimane da migliaia di manifesti, di cui alcuni lunghi oltre sessanta metri, mai visti nel vecchio mondo. Il pubblico di città e paesi si assiepa nelle tende della ménagerie e dei fenomeni, o sulle gradinate attorno alla sterminata arena; durante il giorno la folla osserva le operazioni di ferrovia e il montaggio della città di tela: molti eserciti continentali ne trarranno ispirazione per le moderne manovre militari. Le esibizioni invernali, quando è troppo freddo, si svolgono sotto le volte d’acciaio dell’Olympia di Londra, della Salles des Machines a Parigi e della sontuosa Rotonda dell’Esposizione a Vienna. Tutti i sovrani del tempo si recano allo spettacolo. Le ferrovie francesi ne fanno oggetto di studio, e l’esercito prussiano segue il tour per trarre esempio di organizzazione logisti-

Part. da un manifesto a colori del Circo Cole, Stati Uniti, 1920 ca.

259

Il Barnum e Bailey a Zurigo (1902) durante il tour europeo (McCaddon Collection, Princeton University)

260

ca; il gotha della critica saluta la stravaganza americana come una nuova istituzione culturale. Quando nel 1902 la carovana torna a imbarcarsi per gli Usa, il mondo circense europeo è spiazzato: ma ha trovato un modello di riferimento che corrisponde alle sue esigenze di evoluzione, e che ne decreterà però una crisi di identità lunga decenni. Come se non bastasse, Bailey utilizza i treni e il circuito creati in Europa per organizzare un nuovo tour dello show di Buffalo Bill: un ulteriore mito per i circensi del vecchio mondo. All’alba del secolo esistevano in Europa pochi circhi itineranti di una certa importanza, in genere emanazione della cultura equestre dei circhi stabili. Abbiamo visto in Gran Bretagna Sanger e Pinder, in Francia Rancy (9.7) mentre in Germania si imponeva l’eccellente Corty-Althoff2. Erano tutti a due alberi, con una pista unica al centro, un’attraente facciata (evoluzione delle baracche fieristiche) e scuderie smontabili per i cavalli. Nei casi più importanti la platea conteneva duemila posti. Gli spostamenti, secondo il modello fieristico, erano su strada con cavalli. Per il resto, non c’era granchè. La stampa d’attualità illustrata rivelava alle province le ultime mode dei circhi stabili urbani, e questi tendoni riuscivano a offrire il sapore del modello in provincia. Ma se Pinder, Rancy e Corty-Althoff si attengono al vecchio stile europeo, alcuni nuovi personaggi del circo e della fiera iniziano ad essere sedotti dal ciclone Barnum nei primi anni del secolo. Si tratta di domatori di ménageries ambulanti tedesche e francesi, per le quali il modello americano è la scintilla che li spinge verso la trasformazione in circo. Un nuovo tipo di circo.

12.2 Dal “circo zoologico” all’übercircus: il circo tedesco degli anni ’10 e ’20 Il circo è un mestiere unico nel mondo dello spettacolo: può produrre miracolose fortune nel tempo di una stagione, e costituire una rovina in tempi ancora più brevi. Negli anni precedenti la Grande Guerra, in Germania si assiste ad un copione costante: piccole ménageries viaggianti ampliano la loro baracca in tendone usando insegne come “circo zoologico”; in pochi anni aggiungono slogan come “il Barnum europeo”, per diventare colossi a tre piste alla fine del conflitto. Questi giganti saranno annientati dai costi folli, dall’inflazione degli ultimi anni ’20 e dalla tentazione per il bluff: ma il loro stile, che si potrebbe definire “prussiano-americano”, definirà i connotati del circo equestre europeo novecentesco. Il primo ad affermarsi è Hans Stosch, in arte Sarrasani, che dopo una carriera internazionale come clown-domatore, apre un proprio circo nel 1902: tempo un anno, ha tremilacinquecento posti e duecentocinquanta animali (del suo peculiare ruolo storico si parla in 12.4). È l’iniziatore di una lunga serie. Emblematico è negli stessi anni il caso del domatore di fiera Carl Krone3, che dalla fine del secolo precedente animava una ménagerie, con uno spettacolo di belve in cui l’intrepida moglie Ida Ahlers presentava numeri di tigri e leoni vestita di pizzi e crinoline. La sua baracca nel 1905 si trasforma in una tenda di trentasei metri a due alberi, col nome di “Circus Charles”. Quattro anni dopo ha cento dipendenti, scuderie ricche di cavalli, e può ospitare quattromila spettatori. Anche Wilhelm Hagenbeck, (cfr. 10.4), sfrutta i propri gruppi di animali in un “circo zoologico”nel 1907 (con il leggendario gruppo di settanta orsi polari); nel 1916 i figli di Carl (Lorenz e Heinrich), fondano un circo Carl Hagenbeck, intitolato al celebre padre. Identici casi di serragli ambulanti in espansione erano quelli del boemo Karl Kludsky (1864-1930), di Jacob Busch (1875-1948, un omonimo della dinastia berlinese), di Arthur Kreiser (1878-1953); del musicista di circhi e fiere Julius Gleich (1886-1951), e della famiglia circense Strassburger. Tutti costoro negli anni ’10 hanno già veri circhi, ma ancora modesti, sebbene tutti con il modello americano come obiettivo presto raggiunto. Sull’esempio di Barnum, per i tedeschi è una corsa al grande circo, spesso coperta da finanziatori, banche e grandi industriali. Sarrasani è il primo europeo a sfruttare su larga scala l’industria litografica a colori con i sofisticati manifesti di Friedländer, è il pioniere di spettacoli invernali nelle grandi hall urbane (sull’esempio barnumiano) e già nel 1912 riesce a costruire a Dresda il più grande e moderno circo stabile del mondo. Dopo di lui, il rivale Krone ne fabbrica uno a München nel 1919. Allo scoppio della Grande Guerra, questi circhi trovano fortuna nei Paesi neutrali (Svizzera, Scandinavia). Alla fine delle ostilità, il riaprirsi di un mer-

261

Ida e Carl Krone, 1925 cartolina, coll. dell’autore

262

cato più ampio incoraggia i tendoni tedeschi ad uno dei periodi di massimo investimento della storia del circo. Nella confusa situazione economica che segue la guerra, per questi ex domatori la sindrome di Barnum è all’apice. Nel 1923 Gleich ha come equivoco nome «die Europaeische Barnum and Bailey»; Kreiser assume il nome definitivo di “Barum” (senza la n). Nel 1924 Krone è probabilmente il primo circo europeo a spingere l’emulazione americana fino a proporre le tre piste. Ha una tenda di otto alberi e ottomila posti fissando il modello di spettacolo del rehnbahn-circus: a differenza degli americani, che avevano un ippodromo attorno alle piste, Krone può rimuovere le tre arene a metà spettacolo creando così un unico spazio ovale, per corse di carri ispirate all’antica Roma e soprattutto per il grande gruppo di elefanti4. Il suo zoo viaggiante è impressionante, per certi versi superiore anche a Barnum. Un critico lo definisce “übercircus”. Nello stesso anno il domatore Alfred Schneider (1876-1941), proprietario di cento leoni (quelli usati a Roma nel film Quo Vadis?) apre un proprio circo zoologico. Nel ’24, Gleich sull’esempio di Krone opta per le tre piste; con la stessa idea lo seguono Kludsky nel ’25 e Strassburger nel ’26. Sarrasani esalta invece, ampliandolo, il maneggio unico. A lui si ispira J. Busch, restando con la pista unica ma portando in tournée un impianto per pantomime acquatiche. Ma l’inflazione è un primo segnale per questa crescita ancora inarrestabile. Il Corty-Althoff, forse l’unico circo ancora basato sulla forma classica e veri artisti (l’unico circo viaggiante al mondo che si era potuto permettere

Houdini) fallisce nel 1927. L’unico modo per sopravvivere ai circhi colossali è la fuga all’estero. La Scandinavia, la Spagna e l’Italia, dove il Barnum & Bailey non fu mai, sembrano il mercato privilegiato dove far conoscere il kolossal. Krone giunge in Italia nel ’22 (vi era già stato più volte con la ménagerie), seguito da Kludsky e da Schneider nel ’24. Wilhelm Hagenbeck si sposta in Benelux, o giunge in Lettonia. Il circo Carl Hagenbeck parte per Sudamerica e Asia nel 1927. Sarrasani trova ingenti capitali per sanare la propria situazione, salpando per il Sudamerica nel 1924. Il suo tour sarà un successo inatteso che, al ritorno, gli darà la forza per un’influenza stilistica importante sull’intero sistema del circo viaggiante europeo (cfr. 12.4). 12.3 Tendoni europei tra le due guerre: nascita di un sistema. Durante la prima guerra mondiale, al di fuori della Germania l’industria itinerante è ancora modestissima. I piccoli tendoni “parapioggia” a palo centrale e le baracche di domatori riescono a sopravvivere grazie all’economia della gestione famigliare. Solo con la fine della guerra, nascerà in modo rapido un sistema di grandi tendoni europei. Negli anni ’20, accade in Francia un fenomeno simile alla Germania pre-bellica: anche qui nuovi padroni degli zoo ambulanti sono contagiati dal ricordo di Barnum e Buffalo Bill, ancora vivo nel pubblico. Quattro serragli da fiera diventano i quattro più grandi circhi del Novecento francese: Court, Amar, Bouglione e Spiessert. La logica si ispira al recente esempio dei tedeschi: circo basato su animali, possibilmente a tre piste. Il pioniere è lo Zoo Circus dei fratelli Jules e Alfred Court, ex acrobati già in America con Barnum: il loro circo per qualche anno si ispira al Barnum & Bailey, ma più in logistica e proporzioni che in qualità, dotato di un ricchissimo zoo. L’impresa non ha lunga vita (1921-1932), ma introduce per prima in Europa un circo completamente motorizzato e la logica dei manifesti “a tappeto”. Il circo dei Court è un modello per altre due dinastie, tanto rivali quanto simili: Amar e Bouglione. I quattro fratelli franco-algerini Amar, e i quattro fratelli di origine gitana Bouglione restano oggi figure leggendarie per i francesi, nel cui immaginario contribuiscono in modo decisivo al legame tra circo e animali feroci. Entrambe le dinastie si tramutano da baracca di belve in grande circo negli stessi anni, con un successo dovuto anche all’estinzione dei due grandi serragli di Pézon e Bidel (cfr. 8.5). Gli Amar (Mustapha, Ali, Said, Cherif) comprano un tendone trasformando la loro ménagerie in un circo nel 1924, alternando le tournées attraverso la provincia francese con lunghe tappe oltremare in Nordafrica. Sempre nel 1924, la baracca-zoo di Sampion Bouglione (1875-1941) sceglie la via del circo, quando questi trova casualmente un enorme lotto di

263

Manifesto del circo francese Bouglione, 1935 ca. (litografia a colori, coll. privata)

264

manifesti lasciati dalla tournée di Buffalo Bill: comprato un vecchio tendone, è facile lanciare lo “Stade du Capitaine Buffalo Bill”. Soprannominati da allora “i re del bluff” i quattro figli di Sampion5 incontrano tuttavia crescenti successi alternando per anni inesistenti insegne “americane” e lasciandosi tentare anche dalle tre piste, fino a scegliere la denominazione definitiva, “Bouglione Fréres”, nel 1933. Amar e Bouglione si fronteggiano sulle strade di Francia a colpi di pubblicità, contendendosi attrazioni del brivido, aumentando il parco animali, le dimensioni del tendone, fregiando delle loro effigi di “re del circo” manifesti che spesso in entrambi i casi raffigurano un transatlantico pieno di carrozzoni e belve: moderna arca di Noé che evoca vaghi richiami al collegamento dell’idea di grande circo con l’emisfero americano. La sfida tra le due dinastie di ex-saltimbanchi si sposta a Parigi, punto decisivo di legittimazione. Se gli Amar riescono per un periodo a rilevare il music-hall Empire, il vero braccio di ferro è la possibilità di acquisto del Cirque d’Hiver, il più antico e prestigioso stabile del mondo, che negli anni ’20 era diretto da Gaston Désprez, ex acrobata del brivido (cfr. 11.1). Ad assicurarsi il tempio parigino saranno nel 1938 i Bouglione (ancora oggi titolari). Da quel momento, le loro tournées in provincia (che garantiscono sui manifesti «du Cirque d’Hiver de Paris») si alternano con i programmi invernali sotto la cupola parigina. Quarto grande circo emergente dell’epoca è quello di un’altra famiglia di fiera: i fratelli Spiessert, che nel 1928 acquistano il circo inglese Pinder (dal 1824 stabilitosi in Francia), trasformandolo in un “gigante della strada”. Per questi circhi, il fascino dei trasporti stradali e degli slogan a effetto sembra aver rimpiazzato quello dello spettacolo vero e proprio. Amar, Bouglione e Pinder restano protagonisti assoluti della vita circense francese fino agli anni ‘706. Nei primi decenni del secolo tuttavia viaggiano in Francia anche numerosi tendoni di piccole famiglie provenienti dal mondo fieristico, alcune delle quali creano almeno tre circhi itineranti di discrete dimensioni e di prestigio internazionale, come Rancy, Plége-Ancilotti e Bureau7. Inizia inoltre ad affermarsi la dinastia Grüss8. Nel resto d’Europa, il circo itinerante non sembra avere i mezzi per seguire l’americanismo: si ferma al modello di circo equestre classico rotondo, basato sulla qualità degli artisti. Ovunque la fine della guerra incoraggia

il passaggio da una situazione fieristica ad un modello imprenditoriale. Emblematici sono gli esempi di Knie e Togni. In Svizzera, l’arena di funamboli Knie, di origine austriaca, si trasforma nel 1919 un circo vero e proprio: dalle dimensioni contenute ma con l’ambizione di programmi internazionali e l’investimento su una seria base equestre di famiglia e sugli animali9. Decidendo per una capillarità costante limitata all’interno del mercato svizzero, i Knie riescono da subito a creare un circuito annuale rigoroso rinnovando integralmente lo spettacolo: in nove mesi è loro possibile visitare centinaia tra villaggi e città. È una logica da teatro di giro che consente da una parte una grande confidenza col pubblico, dall’altra una sicurezza commerciale solidissima. Inoltre lo sviluppo qualitativo dell’arte equestre (che nel dopoguerra farà dei Knie gli eredi artistici degli Schumann) consente ai Knie di impiegare i mesi invernali in circhi natalizi prestigiosi, come Mills a Londra. Questo evita loro crisi finanziarie o definitive scissioni dinastiche, il che è un caso unico nella storia del circo, permettendo lo sviluppo di un piccolo modello logistico e commerciale senza pari al mondo ancora nel 2007. Nel corso degli anni, la crescente qualità dei numeri di famiglia (cavalli, e in seguito elefanti) e l’altissimo livello delle attrazioni ospiti ha fatto in modo che ancora oggi per molti sia il miglior circo classico del mondo. Sempre nel 1919, nasce in Italia il Circo Nazionale Togni, si dice su decreto di Vittorio Emanuele I10. A differenza dei loro omologhi francesi e tedeschi, i pionieri italiani non provengono dall’esibizione fieristica di animali, ma da una tradizione acrobatica ed equestre. Il Togni è guidato da quattro fratelli versatili e intraprendenti: Riccardo (1890-?), Ercole (1894-1958), Ugo (1897-1981), Ferdinando (1900-1990), con le loro sorelle. I loro spettacoli si distinguono per consistente qualità, rafforzati dalla numerosa prole. Negli anni ’30 le loro installazioni diventano importanti, i trasporti iniziano a servirsi della ferrovia, le scuderie sono ricche di cavalli, e si aggiungono animali feroci. Più modesto dei colossi tedeschi che costituiscono una preoccupante concorrenza, Togni resta elegante ed essenziale e crea un rapporto di fiducia con il proprio pubblico alternando le tournèes col tendone ad esibizioni nei teatri della penisola o della Sicilia nei mesi invernali. Dalla separazione delle famiglie dei fratelli Togni, nel secondo dopoguerra nasceranno i circhi più importanti della ormai leggendaria dinastia (cfr. 13.4). Anche per il circo italiano, il tendone è ormai il futuro. Al principio del secolo si erano affermate in Italia due nuove e prestigiose compagnie di circo nei teatri, ma si estinguono dopo gli anni ’20. Si tratta dell’impresa Gatti e Manetti, erede diretta del glorioso Guillaume11, ed il Circo Continentale di Romeo Bisini negli anni ’10 (1907-1921). Il circo itinerante in Italia si afferma in modo costante negli anni ’20 e ’30 con famiglie di acrobati di varia

265

Il Circo Nazionale Togni durante la seconda guerra mondiale. Cartolina pubblicitaria, 1944. Coll. L. Togni

266

provenienza, dotate di “parapioggia” con palo centrale che nei mesi estivi si alterna all’“arena”. Gli spettacoli generalmente sono composti di una prima parte di esercizi acrobatici, nella seconda da farse. Alcuni hanno anche qualche cavallo per numeri equestri. Sono animati dalle famiglie Bellucci, Biasini, Cristiani, Canestrelli, Carbonari, Gambarutti, Jarz, Pellegrini, Perris, Caroli, Bizzarro, Bellei, Zavatta, Zamperla, Caveagna, Zacchini, Zoppé, Gerardi, Palmiri, Rossi. Uno o più rami di molte di queste famiglie abbandonerà l’Italia alla vigilia della seconda guerra mondiale, generando artisti e circhi in Europa e negli Stati Uniti. Verso il 1930 nasce anche il circo Casartelli: una famiglia che trascorrerà gli anni della guerra assieme ai Togni, e dopo il 1970 darà vita al tendone Medrano, a tutt’oggi uno dei più prestigiosi con una progenie numerosissima e di talento. In Emilia-Romagna diventa popolare il circo diretto da Ferdinando Orfei (pare figlio di un prete, Paolo, fuggito con i saltimbanchi) con il figlio Paolo (1890-1975), cfr. 13.4. In Spagna, dove c’è una rete capillare di circhi stabili municipali, si dovrà aspettare la fine della guerra civile per il vivace sviluppo di un’industria itinerante. Un altro importante circo viaggiante nasce invece in Svezia (dove frequenti sono le tournées dei tedeschi): è il circo Scott, creato nel 1937 dai

clowns fratelli Brönett, che ospita importanti domatori e acrobati. In Gran Bretagna, nasce nel 1935 l’unità viaggiante di Bertram Mills (cfr. 11.1). Tra americanismi tedeschi e francesi, e modesti tendoni a uno o due alberi, è però ad un “principe” che è affidata la sintesi identitaria del circo europeo del Novecento. 12.4 Il Wagner del circo Hans Stosch (1873-1934), fondatore del circo Sarrasani, è considerato uno dei personaggi più influenti della storia del circo europeo e della cultura popolare tedesca12. Nessuno meglio di lui in Europa usò il circo come dispostivo di cultura di massa e di sintesi delle tensioni e dei fervori d’innovazione nei primi decenni del nuovo secolo. Nessuno con maggiore lucidità è riuscito a sfruttare la pubblicità moderna e l’evoluzione dei trasporti, la tecnologia, il mondo scientifico e il senso del teatro, la letteratura popolare e il cinema. Col nome d’arte di Sarrasani, Stosch aveva girato l’europa come clowndomatore con piccoli animali, prima della fondazione dell’omonimo circo nel 1902 (cfr. 12.2). Influenzato come tutti dalle recenti tournée di Barnum e Buffalo Bill, egli pur usandone i simboli (dal mito del west alla filosofia pubblicitaria) si pone in aperta polemica con l’americanismo, optando per una dimensione del circo come fatto di stile più che sensazionalismo. Da Barnum egli recepisce comunque il senso del circo come contenitore universale delle immagini provenienti dai quattro angoli di un mondo sempre più accessibile e suggestivo nei suoi esotismi. Ma vi aggiunge un’utopia più “alta” del circo inteso come unica “arte” totale per le masse, sintesi della contemporaneità non solo artistica: un vero e proprio gesamtkunstwerk negli anni dell’invenzione degli “stili” in arte, architettura, letteratura e spettacolo. La prima fascinazione è per i giochi del west, negli anni in cui si diffonde questo tipo di letteratura popolare. Sarrasani li ospita nel suo circo (giungendo ad essere il primo europeo ad importare direttamente una tribù Sioux), la cui estetica è però costruita dietro l’orgogliosa facciata in legno laccato e vetri jugendstil di un figlio della Sassonia. La passione per le arti applicate nobiliterà il suo progetto circense al di sopra dell’immagine di provenienza fieristica, portandolo nella civiltà industriale. Il suo circo è il primo in Europa a usare dei locomotori a vapore per trasferire i carrozzoni dalla ferrovia alla città, e sfruttare pienamente le raffinatezze dell’industria litografica, nel sodalizio con lo stampatore Friedländer. La sua carta intestata è disegnata dal ritrattista della corte di Sassonia. Ed è integrando il proprio progetto nella cultura sassone che nel 1912 riesce ad inaugurare a Dresda, alla presenza dei reali, un avveniristico progetto di teatro-circo in muratura di cinquemila posti, il più all’avanguar-

267

dia del tempo. L’ardito spettacolo Europa in fiamme (1914), qui messo in scena all’alba della prima guerra mondiale, anticipa di decenni la moderna pantomima sovietica, nel legame tra pista, palcoscenico, piscina, schermi. Negli anni del teatro di massa propagato da Max Reinhardt, lo stesso grande regista stringe amicizia con Sarrasani, e sceglie lo stabile di Dresda per il suo storico Oedipus. Con il suo senso per lo spettacolo di massa, Sarrasani è poi il primo a sfruttare le hall coperte moderne come alternativa al tendone (a Frankfurt, nel 1912, per quindicimila persone). Veduta esterna della struttura semistabile di Sarrasani. Berlino, 1929 (da una rivista pubblicitaria, coll. dell’autore)

268

La partecipazione del circo alle riprese del film Il sepolcro indiano di Joe May negli studi Ufa, ispira Sarrasani a vestire sontuosi abiti orientali per presentare i suoi elefanti: passando alla storia col soprannome di “maharajah del circo”. L’inflazione spinge nel ’23 Sarrasani in Sudamerica (Argentina, Uruguay e Brasile): il rischio è grande. Ma il successo è oltre le aspettative, ed il ritorno nel ’26 sarà un momento straordinario. Il tour oltreoceano, a cui sono aggregati scrittori e giornalisti, si trasforma in un universo da libro d’avventure, diffuso al ritorno in tutta la Germania da pubblicazioni illustrate, che parlano delle vicende del circo attraverso le Ande ma anche di popoli mai visti, di piante meravigliose, di paesaggi incantati e di città leggendarie come Buenos Aires, Montevideo e Rio. Una volta in patria, nasce un progetto di radicale modernizzazione dell’idea stessa di circo, che appare accuratamente premeditato e preciso. Sarrasani diventa un personaggio fiabesco protagonista di cento episodi di feuillettons stampati in decine di migliaia di copie, in cui l’immagine del direttore del circo è ormai sublimata da quella di adventure man alle prese via via con crudeli cowboys, tribù orientali, spie e scienziati pazzi, esquimesi spietati.

Per il 1927, viene fabbricato un nuovo principio di circo viaggiante con la collaborazione di ingegneri. Prima di allora tutti i circhi avevano i tendoni ovali con due o più alberi in linea. Agli storici del circo è finora sfuggito che, confrontando vari documenti, è a Sarrasani che si deve l’introduzione del tendone a pianta rotonda con i quattro alberi in quadrato e la gradinata perfettamente circolare: ancora oggi considerato il più perfetto sistema possibile. Due tendoni diversi, (“Rio” e “Montevideo”) sono fabbricati per alternare la troupe

tra un viaggio e l’altro attraverso l’Europa. Per l’inverno, viene ideata un’altra grande invenzione pionieristica: la construction, circo di legno smontabile. È un capolavoro di carpenteria, del diametro di settantotto metri; all’interno è arredato come un tempio orientale in un delirio di stoffe pregiate e lanterne. Altre decisive introduzioni storiche: i gruppi elettrogeni autonomi; l’impianto di riscaldamento/condizionatore; il programma di sala illustrato. Ma soprattutto, l’idea più rivoluzionaria: un circo trasportato completamente su strada, con veicoli motorizzati, rinunciando alle ormai costose ferrovie, per far viaggiare gli ormai ottocento dipendenti, duecentocinquanta cavalli, cento belve e ven-

L’interno della struttura di Sarrasani con la prima gradinata smontabile rotonda (da una rivista pubblicitaria, coll. dell’autore)

269

Hans Stosch, fondatore del circo Sarrasani (1926, coll. dell’autore)

270

tisette elefanti. Cinque aerei Siemens con la scritta Sarrasani volteggiano su ogni città. L’accesso al circo è garantito da un’evoluzione decisiva della vecchia facciata da baracca di fiera. Per la construction del ’28, l’architetto Alfred Pape realizza un ingresso che è un vero e proprio tempio smontabile, a metà tra l’architettura moresca e indiana. Degna di un set di De Mille, la facciata è alta quindici metri, lunga sessanta e illuminata da ventimila lampadine. Una porta dei sogni verso qualunque possibile esotismo, e soprattutto un distacco controcorrente rispetto all’americanismo a tre piste che in quegli anni iniziava a condizionare le scelte dei suoi rivali. Sarrasani, che criticava la dispersione antiestetica dello spettacolo a tre piste, riesce lo stesso a contenere diecimila persone sotto i suoi nuovi tendoni. Lo fa stringendo la circonferenza del pubblico come nei circhi stabili, e ampliando quella della pista a diciassette metri. È un maneggio gigante, in cui però l’attenzione può via via concentrarsi sull’enorme quantità di stili che si alternano come in un libro di viaggi. Adottando un ritmo teatrale affidato al regista Paul Eschberger, lo spettacolo 1928 è diviso in quadri che si incastrano l’uno nell’altro, con lo slogan «Una rivista del mondo. Immagini e artisti dai cinque continenti». Accompagnati da due orchestre, in due ore si alternano autentici Sioux e cow-boys con il quadro di acrobazia giapponese «Alla corte del Mikado»; si spazia da «Fata Morgana» con saltatori e musici marocchini, zebre e ippopotami, ai volteggi di trapezisti in frac; dagli elefanti presentati dal maharaja Sarrasani in persona ai cavalieri cosacchi delle steppe; dal tableau cinese «Una fiera a Pechino» ai cavallerizzi delle Pampas argentine; dal balletto di girls da rivista moderna al folklore creolo brasilano; dal classico carosello equestre di Schumann ai gruppi di tigri, di leoni, di foche ammaestrate e naturalmente una troupe permanente di clowns. Per il suo creatore «questo non è circo, non è teatro, non è revue, o comunque nessuna delle forme classiche dell’arte o del divertimento. Si potrebbe definire: un nuovo welttheater» [SARRASANI]. Negli anni del vedettariato circense (di Grock, dei Codona, o dei Fratellini), ai giornalisti Sarrasani rispondeva: «Non ingaggio nessuna star. Il mio circo è la star». Sarrasani è un universo a sé anche oltre lo spettacolo. All’esterno del circo, i nuovi carrozzoni adottano il colore araldico di Sassonia bianco e verde, decorato con lettere d’oro a rilievo e disposti con elegante simmetria in un’area di trentamila metri

quadri. Ciascun vagone è numerato come le case di un quartiere (n. 43 sala conferenze – n. 147 ufficio propaganda, n. 68 selleria, n. 22 generatori) per ricostruire minuziosamente l’impressione di una vera città-spettacolo, un teatro totalizzante. «Sarrasani - sostiene Stosch con disinvolta immodestia - sta al circo come Bayreuth all’opera». In effetti tra spettacolo e letteratura popolare, Sarrasani si pone negli anni ’20 come uno dei maggiori protagonisti del dibattito tedesco sulla cultura di massa. Negli anni in cui Krone è un gigante a tre piste con lo slogan «il più grande circo d’Europa», Sarrasani risponde con «lo spettacolo più bello dei due mondi». È quasi un presagio: infatti il sogno dura pochissimi anni, e il Sudamerica si ripresenta nel futuro. Nel 1933 una serie di sfortunati incidenti, a cui si aggiunge l’avanzata del nazismo, costringe il circo a reimbarcarsi per Rio, dove il suo fondatore muore un anno dopo celebrato da un sontuoso funerale di sapore imperiale. Il figlio Hans Stosch jr. continuerà a guidare il circo oltreoceano e in Germania, ma l’epoca d’oro è ormai finita. Il circo-teatro di Dresda è demolito dai bombardamenti. Tutte le innovazioni di Sarrasani verrano copiate dai suoi colleghi (negli anni ’30 e ’40 non esiste circo tedesco che non abbia una facciata orientale). Ma nessuno riuscirà mai più a fare dell’arte circense un capolavoro di stile e sintesi culturale, almeno fino all’avvento di Roncalli negli anni ’80 e poi del Cirque du Soleil. Nel 1930, una delegazione di uomini di lettere francesi era stata invitata da Sarrasani in avanscoperta prima di una mai realizzata tournée parigina. Era capeggiata da Colette, che dopo il viaggio ricordò il “maharaja” come «l’ultimo dei monarchi assoluti». 12.5 Il più grande circo di tutti i tempi: l’epopea americana dei fratelli Ringling All’alba del ’900, l’apoteosi a tre piste ispirata dal Barnum & Bailey corrisponde ad un proliferare di una ventina di circhi giganteschi, che con la ferrovia coprono l’intero continente americano. Già nel 1890 erano ventidue i grandi circhi a tre piste. L’impresariato circense statunitense si incrocia sempre di più con altre forme affini di capitalismo dello spettacolo che vanno dalla nascente industra del luna park suburbano, agli zoo municipali, ai grandi e piccoli teatri di vaudeville; genere quest’ultimo che continua a muovere attraverso il nuovo continente varie migliaia tra giocolieri, acrobati, fantasisti soprattutto europei e orientali. L’arrivo del nuovo secolo rappresenta per il circo statunitense un periodo decisivo di conquiste di mercato che culminano in intricate fusioni ai limiti del cannibalismo industriale, fino a portare negli anni ’20 al monopolio totale di un unico marchio: il Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus (che nel 2007, seppur ridimensionato, permane ancora la più importante industria di circo tradizionale).

271

Il tendone del Ringling-Barnum-Bailey nel 1935, Stati Uniti (coll. dell’autore)

272

Quando nel 1903 il “Barnum & Bailey Greatest Show on Earth” torna trionfante dall’Europa (cfr. 11.1), l’infallibile Bailey scopre di aver perso il monopolio del mercato americano, pur avendo assorbito i maggiori circhi rivali per controllare il territorio durante l’assenza13. Aveva infatti preso nel frattempo piede un nuovo concorrente: il circo dei cinque fratelli Ringling14. Costoro, da una minuscola compagnia ambulante di “concerto comico” erano giunti ad un circo colossale, grazie a sagge economie, una proposta di divertimento rispettabile riguardo ai valori della famiglia cristiana, e soprattutto una buona conoscenza della rete ferroviaria. Al ritorno in America, Bailey aveva tentato di rinnovare il “Greatest Show on Earth”: con le grandi attrazioni sportive e da brivido provenienti dall’Europa: come il saltatore nel vuoto Volo the Volitant, il ciclista Ugo Ancillotti col cerchio della morte, o l’intrepida Octavie de la Tour con l’“auto-bolide”. Nello stesso tempo, Bailey aveva continuato un rilancio della tradizione equestre: importan-

do talenti europei come gli Schumann, Loyal, Lecusson, o lanciando la grande cavallerizza australiana May Wirth, e imponendo il più grande cavallerizzo d’America, Edwin “Poodles” Hanneford, con i suoi ventisei salti consecutivi a cavallo. Aveva introdotto nel suo circo la gabbia centrale con le belve di Hagenbeck; o ancora rilanciava la grande parata per le strade, ora capeggiata dall’imponente “vagone dei due emisferi” trainato da quaranta cavalli15. Alla morte di Bailey (1906), i Ringling ne approfittano per rilevare il Barnum & Bailey. Sfruttato separatamente per qualche anno, nel 1919 sarà fuso in un unico circo con il loro16. Questa fusione darà vita per alcuni decenni al più grandioso spettacolo viaggiante che la storia abbia conosciuto, giustificando come non mai lo slogan di “Greatest Show on Earth”17. Negli anni ’20 ha il suo apice: il circo Ringling Bros and Barnum & Bailey (questo ormai il nome completo) ha mille dipendenti, trecento cavalli, oltre venti elefanti, una collezione immensa di animali esotici. Si sposta su centodieci vagoni ferroviari divisi in tre convogli, che trasportano a loro volta trecento carrozzoni. Nell’enorme tendone dello spettacolo, oltre alle tre piste vi sono tre ampie pedane, per presentare fino a sei numeri in contemporanea. Sotto la cupola volteggiano sette troupes aeree nello stesso momento, tra cui i leggendari Clark. L’arena pullula di talenti equestri delle più antiche famiglie inglesi e francesi; il momento delle belve feroci vede quattro gabbie circolari in contemporanea con leoni, tigri, orsi polari, pantere. La tenda dello zoo si arrichisce di sempre nuovi animali rari; quella dei freaks di vedettes della mostruosità (è qui che Tod Browning scrittura tutti i talenti per il suo Freaks nel 1932). Il più grande circo del mondo procura alla famiglia Ringling una fortuna economica immensa, più di una major cinematografica: visto ogni anno da oltre tre milioni di persone, con quasi cinquecento rappresentazioni in oltre cento città diverse, il circo può incassare fino a sei milioni di dollari in un solo anno. La tenda dello spettacolo principale è in grado di ospitare oltre sedicimila persone sedute. Nel pieno della jazz age, i Ringling sono ormai tra i sovrani dello show-business americano, legittimando il loro prestigio con una serie di mosse: come l’apertura di stagione nel Madison Square Garden (di cui sono azionisti) prima di affrontare la tournée sotto il tendone. L’affermazione deve molto al prestigio sociale raggiunto dal più carismatico dei fratelli, “Mr.” John Ringling (1886-1936). Questi diviene presto una delle personalità di maggior prestigio nell’industria americana degli anni ’20: i suoi interessi spaziano nel mondo ferroviario, edilizio, petrolifero, e poi nel campo del collezionismo d’arte europea in cui Ringling è una delle figure chiave [WEEK, DE GROFT]. È ormai un magnate nella stessa categoria dei PierpontMorgan o Vanderbilt. Nel settore specifico del circo, Ringling riesce a compiere l’assorbimento totale della concorrenza. Ma soprattutto ha un talento nella “costruzione” di vedettes di circo: lo fa nello spirito dello star-system alla soglia

273

274

degli anni ’20, quando era all’apice il culto per i divi del cinema o della canzone. “Mr. John”, spesso in Europa per l’acquisto di opere d’arte, porta in America per il suo circo le leggende viventi del suo tempo, stelle dei varietà europei, impensabili per un circo itinerante: i trapezisti Codona, la ginnasta aerea Lilian Leitzel ( che ottengono un vagone ferroviario privato), o Con Colleano, che danza sul filo sulle note di Ravel; nel 1928 fa scalpore la “cattura” di Goliath, il leone marino gigante. E poi gli acrobati aerei Siegrist, i funamboli Wallenda, l’“elefante sacro bianco”. Mr. John, che nel 1927 ha mosso i quartieri d’inverno del circo a Sarasota, in Florida (una città praticamente costruita da lui negli anni del boom terriero), è uno dei dieci uomini più ricchi d’America: è amico del presidente Ford e «Time» gli dedica la copertina. È un esteta del circo: migliora la qualità della pubblicità, arricchisce lo spettacolo con costumisti e coreografi, sceglie francesi o inglesi come direttori di pista, elimina completamente i numeri di animali feroci perché le gabbie disturbano la bellezza visiva del circo. I colori e il gusto dei costumi, dei manifesti, la scelta dei clowns o le bardature degli animali formano quell’universo onirico, fiabesco, che influisce in modo determinante su pionieri dell’illustrazione popolare, come Winsor McKay o Walt Disney. I Ringling tentano inoltre di eliminare dal circo la commistione con le attività di gioco d’azzardo e borseggio che da sempre vi ruotavano attorno, e che permangono negli altri circhi. All’apice del successo, coronato dall’arrivo di una grande sensazione come il proiettile umano Hugo Zacchini, il crash del 1929 colpisce i Ringling. Essi sono reduci tra l’altro da un investimento enorme e azzardato: l’acquisto dell’American Circus Corporation, l’unico trust rimasto di grandi concorrenti18. In un’America in cui un cittadino su quattro è disoccupato, i circhi chiudono uno dopo l’altro. Il circo Ringling è ipotecato e affidato al controllo del falso amico Samuel Gumpertz, spregiudicato direttore del luna park di Coney Island, che guiderà il Ringling-Barnum per un periodo (’34-’38). John Ringling nel ’36 muore a Sarasota, nella sua Ca d’Zan: la mitica villa sul mare costruita dal 1924 con pezzi di magioni veneziane, immerso tra gli arazzi di Rubens in una delle più grandi collezioni private d’arte in America (che per suo volere testamentario è oggi lo splendido State Art Museum della Florida). Nel frattempo il circo strappato ai Ringling, sotto la direzione di Gumpertz, si allontana dall’estetismo preferendo il sensazionalismo da fiera. Sui manifesti appaiono i freaks visitabili nel side-show piuttosto che i numeri acrobatici. E viene ripristinato l’uso delle belve feroci con la creazione di un mito: quello di Clyde Beatty (cfr. 12.6), che vestito di bianco con in mano la sedia e la pistola tra i minacciosi leoni crea l’icona del domatore moderno, divenendo la più grande vedette popolare nella storia del circo statunitense. Ma l’epopea della famiglia Ringling era tutt’altro che tramontata.

12.6 L’era dei domatori Le radici del circo itinerante, si è visto, sono principalmente nei domatori che accompagnano la trasformazione delle ménageries nei “circhi zoologici” a loro volta origine dei più grandi tendoni europei. All’alba del nuovo secolo, le “scuole” di Carl e Wilhelm Hagenbeck avevano ormai cambiato il concetto di presentazione di belve sia in Europa che in America, e reso la gabbia circolare uno standard irrinunciabile. I due rami degli Hagenbeck avevano ormai due industrie inesauribili di numeri “di gabbia”, con decine di domatori-allievi che invadevano i due emisferi. È l’apice di un percorso che abbiamo visto partire dalla drammaturgia della mansuetudine del primo ’800, poi in epoca romantica con l’approccio “tragico” di Batty o Faimali, passando a fine

Il domatore Clyde Beatty. Stati Uniti, 1935 ca.

275

276

secolo attraverso i “tentativi” fieristici dei “professori” Bidel e Pézon per giungere al “borghese illuminato” della scuola Hagenbeck (cfr. 8.5, 10.4). Si è ormai alla pacifica drammaturgia dell’esposizione in cui una piramide zoologica mostra senza una logica apparente lo spostarsi di posa in posa di orsi, cani, tigri, iene, leoni e pantere in una stessa gabbia a far da tappezzeria. Le diramazioni della scuola Hagenbeck si esprimono in tendenze. Se Carl prediligeva contorte sperimentazioni come la tigre sull’elefante o il leone sul cocchio spinto da due dalmata (affidate a domatori come Deyerling o Philadelphia), il fratello Wilhelm apre la via all’estetica moderna per cui il numero di belve è la presentazione di un gruppo attivo di felini della stessa razza, impegnata in esercizi senza grandi accessori. Dai due fratelli Hagenbeck si dipanano veri e propri alberi genealogici dell’addestramento spettacolare di belve attorno al globo, dalla Russia al Sudamerica, con differenze tecniche ed estetiche. Il simbolo della scuola di Wilhelm è lo sconvolgente gruppo di settanta orsi polari del figlio, Willy Hagenbeck (1884-1965): a sua volta maestro di una nuova generazione e longevo domatore (celebre è la sua frase: «A vent’anni presentavo settanta orsi bianchi, a settanta ne presento venti» [in VRIELING]). Alla “scuola” di Wilhelm si deve anche un pioniere come August Mölker (1876-1951), il primo (sull’esempio di Seeth) a sviluppare il concetto di un vero gruppo di leoni nella gabbia circolare. Qui gli animali feroci non sono né creature brute di cui si esalta l’aspetto selvaggio, tantomeno tappezzeria vivente, ma compiono reali evoluzioni. Lo stesso discorso vale per il ramo di Carl Hagenbeck, da cui spicca il vero pioniere dei gruppi di tigri: Richard Sawade (1868-1947). Egli fu tra i primissimi assistenti di Carl stesso (e diverrà direttore del circo dei suoi figli). Il suo numero di tigri senza ingombranti accessori è una sensazione mondiale: a Mosca è osannato quanto Caruso. Negli anni ’10 la sua presentazione in frac e cilindro introduce il carattere di “domatore gentleman”. Suo allievo principale è Rudolf Mathies (1889-1978), la cui eleganza diffonde ulteriormente il carattere di domatore “moderno” in dolcezza. È ad un giovane apprendista di Mathies che si deve la fondazione dei numeri di belve in Unione Sovietica: si chiama Carl Sembach (1908-1984). Nel 1935 sposerà la figlia di Krone divenendo direttore del maggior circo d’Europa ed uno dei grandi domatori del secondo dopoguerra. Allievo di Sembach è a sua volta lo splendido Togare: vestito come un eroe salgariano, è un personaggio fiabesco, da music-hall, adatto sia all’intimità dei circhi stabili russi che agli sterminati tendoni americani di Ringling. Sembach e Togare ispirano i pionieri dei domatori sovietici: Boris Eder e Alexandrov Fedotov. Pur se continua a lungo il predominio delle ditte Hagenbeck, dagli anni ’30 i grandi circhi ambulanti tendono ad acquistare propri gruppi di belve e

I 70 orsi polari di Willy Hagenbeck. Monaco, Oktoberfest, 1907 (coll. dell’autore)

a formare domatori in famiglia, spesso imponendo personaggi popolari: come Firmin Bouglione (1905-1980, un caposcuola) in Francia, vestito da cow boy e più tardi, nel dopoguerra, Darix Togni in Italia (cfr. 13.4, 13.7). Innumerevoli furono anche le domatrici tra gli anni ’10 e ’30: dalle eroine energiche in pelle di leopardo come Martha La Corse, a quelle più delicate vestite di pizzo come ragazzine innocenti: da Ida Ahlers-Krone a due grandi vedettes: Claire Héliot (Klara Huth, 1867-1953), una sorta di Sarah Bernhardt, eroina borghese tra i leoni, e Tilly Bébe (Mathilde Rupp, 18791932), una grande celebrità del suo tempo, dalle tournées di Sarrasani in Sudamerica all’Olympia di Londra con Mills: con le delicate apparenze di una specie di “Alice nel paese delle belve”. Gli anni ’20 furono, sia in America che in Europa, l’apice storico della diffusione dei numeri di belve feroci. I grandi tendoni tedeschi (Gleich, Krone, J. Busch, Sarrasani, W. Hagenbeck, C. Hagenbeck) hanno buona parte del programma basato sugli animali. In Francia, lo Zoo-Circus dei fratelli Court vede l’intera seconda parte dedicata alle belve; Schneider, Bouglione e Amar puntano anch’essi sugli animali feroci. Negli Usa, nel 1924, il Circo Ringling presenta un numero con quattro gabbie in contemporanea19. Negli stessi anni, due grandi tendoni americani, l’Hagenbeck-Wallace e quello di Al G. Barnes, sono

277

278

quasi interamente basati sugli animali. In questi due circhi, tra pantere, tigri, orsi o leoni, si formano due importanti personaggi: l’intrepida domatrice Mabel Stark (1888-1968) e il leggendario Clyde Beatty (m. 1964). La Stark è la prima grande addestratrice americana; la sua complicità con le tigri e le pantere resta leggendaria. Alla fine del suo numero di dodici felini, rimaneva sola in gabbia con la tigre Rahja. La domatrice si voltava come distratta a salutare il pubblico: la belva la assaltava alle spalle atterrandola, prima di un corpo a corpo mozzafiato con i due arrotolati tra la segatura della pista. Era un momento di teatro e di forte erotismo, basato in realtà su un quotidiano affetto tra domatrice e belva. Beatty resta invece forse l’unico artista del circo famoso quanto un divo del cinema: a lui si deve principalmente l’icona del domatore in abito bianco da caccia, con frusta e sedia in mano tra i leoni ringhianti. Interprete di numerosi film e autore di quattro biografie, anche Beatty negli anni di incertezza sociale spinge il pedale teatrale del pericolo e dei ruggiti, e spettacolarizza i suoi incidenti. Dopo uno di questi, in cui miracolosamente sopravvive, «Time» nel ’32 gli dedica la copertina: «Ancora una volta il circo funzionava come metafora dell’America. Nell’anno della depressione 1932, Beatty sembrava esprimere il bisogno nazionale di reagire, e il credo che un ragazzo americano può farcela sulla legge della jungla» [CULHANE]. In America si afferma in seguito Terrel Jacobs, con un sensazionale numero di oltre quaranta tra tigri e leoni; e, allo scoppio della seconda guerra mondiale, Ringling importa dall’Europa Alfred Court con tutti i suoi animali per una straordinaria carriera20. Ispirato dalle grandi scuole tedesche, Court, ex acrobata e direttore di circo (cfr. 12.3) per la sua fertile produzione di numeri resta uno dei domatori più influenti del Novecento. Si specializza nell’unire specie diverse vincendo la loro ostilità naturale. Pietre miliari sono la sua “pace nella jungla” (con vari tipi di orsi, felini, cani nella stessa gabbia), e il numero di diciotto piccoli felini (giaguari, puma, pantere, leopardi) che resta uno dei numeri più difficili e pericolosi nella storia dell’addestramento. Court era ormai colui che meglio aveva rappresentato l’incrocio ideale tra l’addestramento scientifico alla Hagenbeck ed il più teatrale sensazionalismo da fiera. I domatori alternano l’icona del cacciatore (come Beatty e Jacobs in America o Spiessert in Europa) al fascino del personaggio orientale da libro d’avventure: dal già citato Togare (uno dei più carismatici) all’indù Damoo Dhotre tra i leopardi, allievo di Court. Altro elemento imprescindibile dei primi decenni del secolo, è ormai la presenza dei grandi gruppi di elefanti. Negli anni ’20 e ’30, è difficile che un grande circo (sia europeo che statunitense) abbia meno di venti pachidermi: trasportati su appositi vagoni dei treni, nel giorno dell’arrivo del circo la loro sfilata nel centro cittadino tra due ali di folla assicura la vendita di migliaia

di biglietti. Patrimonio dell’impresa circense, la loro presentazione s’impone come l’immagine in pista dello stesso direttore-proprietario: è il caso di Sarrasani, Kludsky, Amar, mentre in America George Conklin, direttore dello zoo presso Barnum & Bailey, è un pioniere nel genere. Animali già docili per il loro secolare rapporto con l’uomo, per qualche tempo la loro presentazione sfrutta soprattutto la mole o la quantità degli esemplari, o al massimo la diffusa tendenza a vestire i pachidermi in abiti umani, per grottesche esibizioni musicali o sportive. Per parlare di vero e proprio addestramento circense di elefanti, in senso sia etologico che artistico, bisognerà attendere il secondo dopoguerra. Tra i pionieri in questo campo è Rolf Knie in Svizzera. Questi inizia con i tre elefanti del proprio circo, ai quali alla fine della seconda guerra mondiale se ne aggiungono undici rilevati da Sarrasani: da queste basi Rolf crea un allevamento unico in Europa, sviluppando uno dei primi metodi originali di addestramento moderno. Nel frattempo si affermano sulla pista e sulla scena i numeri più strani con ogni tipo di animali, generalmente destinati ad esibizioni antropomorfe. Nel 1904 aveva fatto epoca l’idea di Bostock dell’esibizione dello scimpanzé Consul: vestito in giacca e cravatta con scarpe all’inglese va in bicicletta e fa colazione a tavola. È il grottesco avvio di un travolgente successo di orsi, canguri, pappagalli, foche, ippopotami, zebre, scimmie, cani, gatti coinvolti in qualunque attività quotidiana dell’uomo nella disperata emulazione della civiltà. Il sensazionalismo ed il favore del pubblico sembrano prevalere sulla sensibilità animalista che accompagna nelle cronache europee ed americane l’evoluzione del mestiere di domatore. Molte di queste attrazioni con animali si alternano tra la pista e le scene del varietà: in particolare i numeri di foche, presentati da addestratori puntualmente vestiti da capitani di navi; oppure quelli di rettili, con grandi gruppi di coccodrilli (come l’inquietante Monsieur Pernelet, o il “Capitano” Wall), entrambi con l’immersione in vasche trasparenti, dal sicuro fascino. L’addestramento di animali evolve anche nel caso dell’arte equestre. Al principio del ‘900 si fanno meno diffuse le discipline accademiche con il cavallo (sebbene resta soprattutto l’equitazione di alta scuola), il cui tramonto si accompagna alla rarefazione dei circhi stabili urbani. Negli anni ’20 sembra prendere un nuovo impulso l’acrobazia equestre (cfr. 11.2) e si stabilizza l’addestramento di cavalli in libertà come elemento di base di ogni programma circense. Si tratta di gruppi di almeno dodici cavalli, in una tradizione che al principio del ’900 è trasmessa grazie ad antiche dinastie come Rancy, Houcke, Carré e Schumann, i cui allievi la portano sotto i nuovi tendoni europei. Questi nomi restano attivi per buona parte del ‘900 con gruppi di cavalli in vari circhi. A loro iniziano ad aggiungersi negli anni ’30 e ’40

279

pionieri nuovi che si distinguono per il lavoro con la cavalleria in libertà: alcuni sono proprietari di circo, come gli Strassburger, Frédy Knie, o Ferdinando Togni. Altri sono addestratori indipendenti come Carl H. Petoletti (che negli anni ’30 imposta l’addestramento al circo Krone), i fratelli Kossmeyer, il belga Christensen e il polacco Czeslan Mroczowsky, il quale dopo i successi europei passerà, durante la seconda guerra mondiale, presso il Ringling-Barnum con memorabili presentazioni equestri. Il mito delle cavallerizze è affidato all’originale numero di dressage di Therese Renz in Europa (che si afferma curiosamente sui palcoscenici del varietà più che in pista), o al sapore romantico di Ella Bradna negli Usa presso il Ringling.

La vendita all’asta di materiale e belve al fallimento del circo Schneider. Napoli, 1932.

280

12.7 Tendoni di regime e la fine del gigantismo Per i circhi tedeschi tra le due guerre, le innovazioni di Sarrasani sembrano il modello che dagli anni ’30 ha rimpiazzato Barnum e Buffalo Bill. Tutti hanno ormai una facciata orientale, un tendone rotondo a quattro alberi, la pista piena di pellerossa e arabi, e naturalmente molti animali. Krone mantiene per qualche decennio le tre piste; crea nel 1932 uno splendido tendone adattando al centro i quattro alberi. La sua facciata orientale, sul modello di Sarrasani, supera in sfarzo ormai ogni altra al mondo, e il suo zoo viaggiante è in questo periodo il più imponente mai creato in Europa. Tutti hanno pantomime con figuranti, e spese folli. Molti sono favoriti dall’ascesa del nazismo: nella riorganizzazione culturale del ministro Goebbels, il circo rientra in modo preciso nelle politiche relative allo spettacolo di varietà, come «strumento di psicologia»21. E molti dei grandi circhi hanno un ruolo politico importante. Musiche, costumi, nomi, titoli, devono evitare riferimenti “asiatici” o “negri”. Paula Busch a Berlino diventa una sorta di circo di regime, aprendo anche un tendone (1941-1945). Secondo le strategie dell’asse si avvicendano in Italia Gleich (dal ’32) Jacob Busch (dal ’36) e Schneider; il circo Barum-Kreiser ingaggia gli artisti italiani Palmiri, mostrando le bandiere dei due regimi. A queste imprese si aggiunge dopo la fine del regime un nuovo circo: Apollo, creato nel 1946 dal filo-nazista Emil Wäcker (1900-1967, cognato della Busch), destinato in particolare ai mercati esteri (Grecia, Italia, Turchia). Il circo Carl Hagenbeck è esportato per propaganda in Giappone nel 1933. La posizione dei circhi è equivoca: molti di essi aderiscono al partito nazista più per opportunismo che per convinzione politica. Il Sarrasani, bollato come judencircus, da eroe nazionale diventa

transfuga verso l’Olanda e poi di nuovo in Sudamerica, dove però serve la propaganda del regime. Un grande circo ebreo, quello di Strassburger, è requisito dalla Busch e dovrà stabilirsi in Olanda all’alba del secondo conflitto. Krone verrà accusato di essere stato membro del partito. Per questi colossi tedeschi, ormai anche i mercati stranieri sono inflazionati dalla loro stessa presenza. I costi diventano assurdi. Per quasi tutti, è presto la fine, spesso misera: Schneider fallisce a Napoli nel 1932, con i leoni venduti all’asta; Kludsky è liquidato nel 1934; Willy Hagenbeck è costretto a chiudere nel 1933 e Barum-Kreiser è liquidato nel 193122; Gleich chiude nel 1937; Sarrasani junior nel 1943; Jacob Busch si ridimensiona notevolmente per sparire dopo la guerra (assorbito dalla DDR); Carl Hagenbeck sopravvive in Estremo Oriente, vende molti numeri di animali a Ringling e, dopo uno straordinario giro del mondo durato anni (Cina, India, Egitto, poi Sudamerica), chiuderà nel 1952. Apollo fallirà a Roma nel 1955. C’è una grande differenza culturale con le compagnie equestri del secolo precedente, che si esibivano nei teatri o erigevano circhi stabili provvisori. I nuovi tendoni del primo Novecento sono basati sull’esigenza di riempire platee enormi, con una corsa al pubblico generalista in cui l’illusione della quantità domina sulla qualità di ciò che si vede. La logica dell’abbondanza, come in America, è la conseguenza naturale della costruzione dell’aspettativa tramite i manifesti. Le ultime grandi dinastie equestri (Schumann e poi Busch in Germania, Houcke e Rancy in Francia), chiuse nelle fortezze in pietra degli ultimi circhi stabili, osservano con perplessità e amarezza lo spirito populista e spregiudicato di questi palazzi di tela, in cui la confusa imponenza di branchi di elefanti rimpiazza l’antico rigore dei gruppi di cavalli ammaestrati; e il brivido violento delle belve feroci s’impone sul talento dei ginnasti. Raramente i tendoni restano più di un giorno in un posto, e non danno al pubblico il tempo di lamentarsi della sensazione di vuoto che spesso rimane; le finte dorature e i velluti posticci danno per una sera l’illusione della capitale a spettatori di paese. Ormai è questo il modello del circo novecentesco. Mentre questi tendoni all’americana falliscono, la guerra rade al suolo gli ultimi circhi stabili. La ricerca di un’identità, nel dopoguerra, sarà il problema maggiore, ma in qualche caso anche la base di una grande fucina di idee per la storia estetica del circo europeo.

281

13. LA

CRISI D’IDENTITÀ DEL DOPOGUERRA

13.1 La ricostruzione del circo in Europa Al risveglio dalla guerra, si riaccendono rapidamente le luci della pista, con i tendoni che in tutta Europa si installano tra le macerie per un pubblico avido di svago. Come tutti, anche il mondo del circo è disorientato: gli anni ’50 e ’60 oscilleranno tra fallimenti ed inaugurazioni di decine di circhi dall’identità incerta. L’americanismo impostosi negli anni ’20 e ’30 sembra restare il modello per gli imprenditori circensi, confortati in Europa dall’euforia postbellica. La vecchia corsa al gigantismo, sintesi tra l’ostentazione di potere dei circhi americani e della struttura gerarchica militare dei circhi tedeschi ante bellum, sembra ora un modello adatto alla cultura paternalistica di dinastie emergenti francesi, tedesche, italiane o spagnole. In generale, nell’immediato dopoguerra in tutta Europa si riscontra lo stesso fenomeno: 1) consolidamento di alcuni grandi circhi sopravissuti; 2) immediata importanza nazionale di circhi prima modesti; 3) apparizione di nuovi imprenditori. Tra i Paesi liberati, la Francia è quello in cui la vita circense sembra riprendere con maggior euforia e ricchezza di proposte. Nel 1948, la Parigi liberata accoglie sotto la Tour Eiffel il tendone da quattromila posti dei Bouglione. I due stabili parigini, l’Hiver-Bouglione e il Medrano (requisiti da impresari tedeschi durante l’occupazione) tornano ad essere il tempio dei clowns (tra i quali continua a spiccare Rhum, si affermano i Bario e nasce una nuova vedette, Achille Zavatta). I tendoni Amar e Bouglione riprendono le strade di Francia, con le sempre meno credibili iperboli sugli sgargianti manifesti e i loro animali esotici. Circhi francesi più modesti ma di qualità sono quelli degli eredi Rancy, e degli emergenti Grüss1. Ma il vero colosso francese del dopoguerra è Pinder, diretto dal megalomane Charles Spiessert (19291971): l’ultimo in Europa a presentare una fastosa sfilata per le strade con carri allegorici, e con installazioni che richiedono diecimila metri quadrati. A Londra riprendono gli splendidi programmi invernali di Mills all’Olympia, che durante l’anno sfociano nel tour del circo Mills viaggiante su ferrovia (cfr. 11.1). Nella capitale inglese, dal 1947 si aggiunge anche un grande concorrente natalizio: Tom Arnold, i cui programmi si svolgono nell’ampio velodromo di Harringay affidati a Clem Butson, un grande regista del varietà. Circo stabile inglese resta quello estivo sul lungomare di Blackpool, con alcuni dei programmi migliori del mondo che, dal 1940, sono potenziati da una vedette fissa: il clown Charlie Caroli (ne diverrà la star per ben quarantacinque anni). La Gran Bretagna, seppur pullula di modesti ten-

Part. da un manifesto a colori del Cirque Amar, Francia, 1968. Coll. dell’autore

283

Il tendone di Franz Althoff, il primo nel dopoguerra ad introdurre il sistema della rehnbahn, l’ippodromo ovale modulabile in tre piste. Germania, 1949

284

doni di famiglie antiche (Fossett, Roberts), era orfana di importanti circhi viaggianti. Nell’immediato dopoguerra vedeva emergere due grandi circhizoo, da parte di famiglie provenienti dal mondo della fiera: uno è quello dell’antica famiglia di domatori Chipperfield (circo che assume notevoli dimensioni dal 1954); l’altro è dal 1945 quello di Billy Smart, imprenditore di lunapark. Sono entrambi da subito popolarissimi. Nel corso degli anni ’50 cinque importanti tendoni sorgono anche in Olanda (dove d’inverno il circo-teatro Carré di Amsterdam ospita i migliori artisti e animali europei) ed altri in Belgio e in Austria2. Durante e dopo la guerra, in Svizzera continua a consolidarsi il circo Knie, mentre una discreta industria di circo itinerante si afferma anche nei neutrali Paesi scandinavi3. In Italia con proporzioni sempre maggiori si sviluppa il circo Togni, che si scinde in tre grandi imprese indipendenti nel 1953; epoca in cui si affermano tre nuove imprese presto d’importanza nazionale: Palmiri, Orfei e Casartelli (cfr. 13.4).

In Spagna, con la fine della guerra civile, il mondo del circo risorge con lo sviluppo di numerosi circhi a conduzione familiare e l’afflusso di artisti stranieri. La nuova industria circense si afferma in un legame tra la professionalità di imprenditori teatrali e l’esperienza delle famiglie circensi: è il caso del circuito di Juan Carcellè (1941-1959), produttore di zarzuelas. Questi ricostruisce e rilancia nel 1941 il circo stabile Price di Madrid e promuove tours e festivals. Lo studente d’arte Arturo Castilla si associa con il circense Manuel Feijo, per dare vita nel 1947 ad un tendone ancora modesto che, recuperando un nome popolare del circo spagnolo degli anni ’20, è destinato a grande fortuna: il “Circo Americano” (cfr. 13.5) a cui segue negli anni ’60 il Monumental. Importante è anche l’impresa italo-catalana Amoros-Silvestrini, che con successo organizza dagli anni ’40 ai ’70 numerosissimi circhi, quasi sempre importando realtà emergenti europee, soprattuto dall’Italia (Casartelli, Jarz, Togni), e dà vita al circo Continental. Tra le migliori imprese di famiglie circensi spagnole spicca poi il circo Atlas del clown Tonetti (dal 1956). Vera terra di tendoni sembra restare la Germania, nonostante profondi cambiamenti e difficoltà. Qui l’intero sistema dei circhi stabili è devastato dai bombardamenti. Nel 1950, la DDR crea un Circo di Stato che requisisce tre dei più grandi circhi4.. Il territorio dimezzato dalla guerra fredda crea per la prima volta nella storia della Germania una saturazione insostenibile di circhi viaggianti sul territorio occidentale; e col risorgere di solide imprese in tutta Europa, i tedeschi non possono più risolvere i problemi con le tournées all’estero di un tempo. Dei grandi nomi tedeschi della prima metà del secolo, alcuni falliscono, altri si ridimensionano e sono oggetto di complicati passaggi di proprietà, con spettacoli che sono l’ombra degli antichi fasti5. L’unico circo immutato in prestigio e proporzioni sembra essere il Krone, che nel ’66 ricostruisce anche il proprio stabile di Monaco, e che rimane il più importante. Il nome nuovo che s’impone in Germania alla fine della guerra è quello dei due rami di un’antica famiglia fieristica, gli Althoff, risalente al XVII sec.: una dinastia tra le più intricate del mondo, capace di alternare settantasei circhi in meno di un secolo. Gli Althoff, soggetti a varie scissioni, nel periodo 1948-68 sono presenti con quattro tendoni importanti con diverse insegne6. Negli anni ’50 e ’60 il più grande è l’innovativo circo-ippodromo di Franz Althoff, che verrà usato dalla Fox per le riprese de Il circo e la sua grande avventura (Circus World, 1964) con John Wayne e Claudia Cardinale, e da John Huston per La Bibbia. L’identità dei circhi tedeschi di questi anni è molto confusa. È una sintesi tra i fasti dell’arte equestre del secolo precedente, le colossali ambizioni dei tendoni pre-bellici, i rimasugli di un esotismo coloniale alla Hagenbeck, un’eredità malintesa dello sfarzo alla Sarrasani. L’energia è tutta nel rispol-

285

verare nomi vecchi, mentre desolante e sempre più fuori moda è l’estetica degli spettacoli, che spesso superano le tre ore con un ritmo inesorabile e senza sorprese. Lo spazio scenico dei circhi tedeschi è ormai viziato dal complesso della grandezza, con una confusione di formule tra le tre piste, la pista unica o il sistema prebellico dell’ippodromo ovale (rehnbahn), tardiva eredità barnumiana. L’ostinazione a usare la ferrovia (a differenza dei colleghi francesi) anche a causa delle grandi distanze, fa salire i costi in modo proibitivo. Negli anni ’60, la crisi dovuta ai costi di trasporto, alla concorrenza e l’identità artistica sono solo il campanello di allarme, e riguardano tutto il circo europeo e americano.

286

13.2 “Il più grande spettacolo del mondo”: le utopie americane di Jonny North Nel 1938 in maniera inattesa, negli Stati Uniti la famiglia Ringling aveva ripreso il controllo del più grande circo del mondo: ciò si dovette al giovane John Ringling-North (1903-1985) e al fratello Henry (figli di una delle sorelle Ringling, Ida) che ottenuto un prestito strappano il circo alla gestione Gumpertz (cfr. 12.5). Negli anni del modernismo in arte e architettura, per questo circo è l’inizio di un ventennio di utopie ma anche di conquiste artistiche, tecnologiche, pubblicitarie, che consegneranno John North alla storia come l’uomo che volle fare del circo uno spettacolo d’arte comparabile alle Broadway e Hollywood contemporanee, negli anni ’40 e ’507. Inizialmente l’attrazione per rilanciare il circo è ancora un fenomeno da baraccone, forse il più sensazionale di tutti i tempi: il gorilla Gargantua, esibito dal ’39 in una tenda all’ingresso dentro un carro di sbarre e vetro circondato da esploratori armati, e annunciato da una pubblicità senza precedenti, basata sul terrore. Erano passati solo pochi anni dal successo del film King Kong (1933), e si è nel pieno boom degli horror della Universal: Gargantua sfrutta la curiosità e le insicurezze del popolo americano all’alba della guerra. Sanati i debiti grazie al gorilla, il circo Ringling Bros. and Barnum & Bailey diventa nuovamente un paradiso di grandi artisti. Anche John North, come suo zio, è un amante dell’Europa: porta in America le due più grandi dinastie di cavallerizzi, i Cristiani e Loyal-Repensky; dall’Europa arriva anche Alfred Court con le sue belve. A grandi solisti è dato il privilegio della pista centrale senza altri numeri attorno, come i giocolieri Massimiliano Truzzi o Francis Brunn. O il leggendario equilibrista Unus (Franz Furtner, 1907-1994), che in frac, cilindro e guanti bianchi stava in verticale su un dito. Nonostante gli sforzi artistici, sono tuttavia anni difficilissimi per la gestione North. Non solo per l’impegno bellico dell’America, ma anche per altre cause. Una di esse è l’avvicinamento dei sindacati al mondo dello spet-

Finale patriottico dell’edizione 1953 al Ringling bros. and Barnum-Bailey Circus

tacolo, che con rivendicazioni, scioperi e atti vandalici (anche ai danni degli animali) mette quasi in ginocchio il circo costringendo a sospendere più di una tournée negli anni ’40. Altrettanto catastrofici sono due incendi: il secondo nel 1944 distrugge a Hartford il circo uccidendo centosessantotto spettatori. John si batte coraggiosamente per mantenere vivo il circo, affidandone la direzione al geniale Art Concello che modernizza e riduce gradualmente le infrastrutture (soprattutto il numero di vagoni ferroviari), introducendo tra l’altro il trasporto motorizzato e i vagoni-gradinata (è alla figura di Concello che De Mille deve il personaggio affidato nel suo Il più grande spettacolo del mondo a Charlton Heston, v. infra). Nonostante i problemi, John North intanto frequenta l’alta società tra Parigi e New York: attori, pittori, aristocratici, musicisti, cineasti sono le sue frequentazioni abituali. In questo contesto, nel pieno boom modernista (è l’epoca della World’s Fair di New York, in cui North organizza eventi) chiederà a Norman Bel Geddes un restyling delle infrastutture del circo. Immerso nel jet-set tra i due emisferi, North riesce ad appassionare al circo chiunque: commissiona a Stravinsky e Balanchine uno storico balletto per elefanti, Elephant Polka (1944); vi è anche una trattativa con Salvador Dalì per i costumi del

287

circo. Una delle innovazioni fondamentali di North è, infatti, la concezione dello spettacolo circense secondo i principi del musical e della rivista degli anni ’40 e ‘50. Il suo ruolo storico di innovatore è in America paragonabile a quello avuto negli stessi anni a Parigi da Medrano. North negli anni ’40 e ’50 modernizza lo “spec” (la tradizionale parata a tema attorno alle tre piste introdotta da Barnum a fine ’800). Per North lo “spec”, da lui posto alla fine del primo tempo, va concepito come una vera e propria mini-rivista, con numeri di danza e canto. La concezione è affidata a scenografi e costumisti internazionali: come Charles LeMaire delle Ziegfield Follies, Max Weldy delle FoliesBergére, o Miles White dei musical Fox. Il coreografo è quasi sempre Richard Barstow (il preferito di Judy Garland). Elefanti, cavalli, figuranti e balletti animano di anno in anno titoli che vanno da A day in Central Park all’oriente di Nepal, da Alice in Circusland a The Night before Christmas. Barbette (idolo di Cocteau) era il coreografo aereo; lo stesso North scriveva le canzoni. Per la prima volta in un tendone erano usate luci teatrali e gelatine colorate. C’era poca differenza qualitativa tra un musical di Minnelli, una Silly Symphony di Disney e uno di questi spec di North. È un universo che per la provincia americana sembra materializzare il mondo fiabesco dei cartoni animati o del Mago di Oz. Ernest Hemingway, Bob Hope, Clark Gable o Cecil De Mille scrivono i testi dei programmi di sala, riccamente concepiti come magazines, illustrati da firme del cartoon. Questo tipo di visione e di legame col mondo delle arti e del cinema sarà alle origini dell’idea del film di De Mille Il più grande spettacolo del mondo (1952). De Mille spenderà due anni con la sua troupe in tournée con il circo Ringling, e nel quartiere invernale di Sarasota. La pellicola, che vincerà un Oscar, immortala per sempre l’universo e i talenti della grande città viaggiante di North. È la celebrazione in technicolor di un monumentale impero. Ma appena in tempo prima del suo crollo. L’equilibrista Unus (1945)

288

13.3 “Una cosa del passato”: crisi e strategie identitarie degli anni ‘60 Nel 1956, dagli Stati Uniti fa il giro del mondo come una bomba un comunicato di John Ringling North: «Il circo sotto il tendone come esiste oggi è, a mio avviso, ormai una cosa del passato […]. L’87esima stagione del Ringling bros. and Barnum & Bailey Combined Show aprirà come sempre al Madison Square Garden il 3 aprile, poi si esibirà per tutta la stagione 1957 nei palazzi dello sport con aria condizionata di tutti gli Stati Uniti». Il più grande tendone della storia scompare per sempre, creando uno choc nell’immaginario di milioni di americani. I costi delle ferrovie americane erano saliti in dieci anni del duecentocinquanta per cento. Negli anni ’50, milioni di spettatori statunitensi per la prima volta potevano seguire le finali di baseball in tv, guardando con indifferenza all’arrivo del circo. Nel 1954, nel

pieno della cultura dell’utilitaria familiare e del weekend, nasce il primo parco Disneyland. Nel 1957, delle decine di enormi circhi che attraversavano gli Usa, ne restavano cinque di medie dimensioni, e organizzati ormai su strada8. È lo stesso anno in cui Hollywood ha la sua crisi più nera, e che paradossalmente cerca nell’immaginario epico del circo in crisi uno dei suoi sottogeneri di rilancio, con una serie sistematica di titoli e, ironia della sorte, un gusto per l’aspetto catastrofico9. L’unica salvezza per l’industria circense americana è rappresentata dagli “shrine circuses”: esteso fenomeno per cui imprenditori locali legati alla massoneria scritturano circhi nei palazzi dello sport con spettacoli prevenduti ai loro membri per fini benefici. In Europa, il circo sembra destinato alla fine. La prima ecatombe di circhi si abbatte sulla Germania già nei primi anni ’50 (cfr. 12.7 e 13.1); in meno di dieci anni, fallimenti e chiusure si alternano nel resto dell’Europa: tocca in Austria ai circhi di Barlay e Belli; in Olanda ai quattro più grandi; lo stesso in Belgio; in Gran Bretagna a Chipperfield e Mills (entrambi chiudono nel ’64); in Svezia a Schumann e Rhodin; in Francia a Bureau. Si tratta in molti casi di circhi nati e morti in un decennio carico di speranze. In Spagna all’alba degli anni ’60 i circhi che sono fioriti nel dopo-rivoluzione sono ridotti della metà. In Italia, prima i Togni (1953) e poi gli Orfei (1963) preferiscono scindersi in varie imprese che sopravvivono con ripetuti allarmi alle autorità: solo l’intervento dello Stato, nel 1968, eviterà per un soffio la dissoluzione del sistema in Italia (cfr. 13.4). La rinascita del circo nel dopoguerra era in realtà basata su un pericoloso anacronismo: la totale conversione all’itineranza di un intero sistema artistico internazionale, il più oneroso al mondo, che per due secoli era maturato per gran parte in centri sicuri di accoglienza (gli stabili). Questo accade nel momento della storia umana in cui maggiormente si moltiplicano le offerte per il tempo libero. La costante del circo degli anni ’60 sembra essere l’incertezza: per un’itineranza sempre più fragile e onerosa; per i tentativi di ibridazione di un’estetica tutta da ritrovare; per il cambio delle insegne, frequentissimo e quasi schizofrenico; per le concorrenze dilanianti tra tendoni (particolarmente feroci in Francia). Un’insicurezza quasi confermata dal senso del rischio su cui si basa ormai lo spettacolo, con la corsa alle acrobazie pericolose o al fascino per le belve feroci. Negli anni in cui il cinema hollywoodiano consolida la mitologia del circo, questo sembra avviarsi verso un appiattimento della sua formula artistica, soffocato da divertimenti sempre più nuovi. Quando non tenta di emulare la rivista, l’immaginario del circo sembra capace di spaziare solo tra i cow boys, le odalische o gli alamari ottocenteschi. L’estetica del circo è praticamente ferma ai primi del secolo, basata ancora sull’esotismo coloniale, su

289

La tournée 1960 del Radio-Circus, Francia (programma a colori, coll. dell’autore)

290

una comicità desueta; nei casi migliori su un orgoglio verso la conservazione dell’arte equestre classica in un’epoca in cui il cavallo non fa più parte della cultura quotidiana. In Germania, Italia, Francia, Spagna, di tutte le formule usate dai tendoni degli anni ’50 e ’60 nessuna corrisponde ad una vera essenza di circo. Il pubblico è eccitato ma poi disorientato da trovate che vanno dal “circo varietà senza animali” al “circo a tre piste ricco di animali”; dallo spettacolo per metà dedicato a incontri di boxe o a versioni itineranti della pantomima acquatica poco convincenti; dai concerti dei tenori da operetta e delle soubrette alle orchestre di swing. La crisi d’identità emerge soprattutto con i frenetici cambi di nome: i circhi europei sembrano puntare sul fascino dell’internazionalità postbellica, con bandiere di tutto il mondo sui manifesti o nel tendone, e artisti che cambiano di cognome e nazionalità da un numero all’altro. L’Europa pullula di “Festival Mondiali del Circo” che durano per intere tournèes. Delle varie strategie estetiche, negli anni ’50 emerge quella del circorivista. Pioniere è in Spagna il “Circo Americano” del 1950, con messe in scena a tema (cfr. 13.5). In Germania si diffonde la forma dello spettacolo diviso in “quadri” e un corpo di ballo. Tentata già da Sarrasani negli ultimi anni ’20, la formula è ora diffusa da Krone: Krone-Festival (1955), introduce una forma di circo che diverrà molto influente. Viene ingaggiato un balletto di girls, e un piccolo palco con l’immancabile scalinata introduce i più o meno prevedibili “quadri” nei quali vengono integrati i vari numeri (l’oriente, il far west, il ’700 etc.), che le ballerine introducono con cambi continui di costume. Questo restyling di Krone introduce inoltre importanti innovazioni tecniche, come la prima pista in plexiglas illuminata da neon colorati. Una forma meno sofisticata e più genuina era usata in Italia da Palmiri: dal 1955 il suo “Follie del Circo” è offerto su una pista rialzata in legno, con stile e attrazioni all’altezza delle migliori riviste italiane del tempo. La pista rialzata era da qualche anno la caratteristica di un’iniziativa del produttore Kurt Collien: il “Circus Grock” (1953-1956), in società col più celebre dei clowns. È concepito come una rivista, e la seconda parte consiste nel lungo numero di music-hall di Grock, in una tournée tra Germania, Svizzera, Francia. L’abbinamento tra pista e palcoscenico-rivista è proposto negli anni ’50 da Amar in Francia. Tipico della Francia (seppur diffuso ovunque) è invece un fenomeno che inizialmente ha un successo travolgente, prima di diventare un motivo di decadenza: la radio sotto il tendone. Nel 1946 l’organizzatore Jean Coupan propone ad un allora modesto circo, quello dei fratelli Andrè e Alexis Grüss, di girare per i piccoli centri di provincia con un progetto dal nome “Radio Circus”: nella prima parte numeri circensi, nella seconda, su un palco rialzato, la trasmissione in diretta di una sorta di “lascia o raddoppia” con i più celebri

291

Il primo concetto di festival circense, introdotto in Spagna nel 1956. Nel bozzetto dell’illustratore di cinema Jano viene introdotto per la prima volta il celebre ritratto di clown (ispirata da una foto di Lou Jacobs) che diverrà la più popolare pubblicità circense del mondo. Coll. dell’autore

292

animatori di Programmes de France e Radio Luxembourg. Il successo è assicurato. Nel 1952 il Radio Circus ha quattromila e cinquecento posti, ed il progetto andrà avanti fino agli anni ’60. È subito l’emulazione. Bouglione si apre ai giochi radiofonici nel 1958. Amar e Pinder tentano invece, senza troppo successo, di presentare celebrità dello sport (dal ciclismo, alla lotta, alla corsa); Pinder introduce nel ’53 le vedettes del pattinaggio sportivo su una pista di ghiaccio, anche sulla voga di “Holiday on Ice” (un’idea che sarà poi sviluppata in Urss e in Italia) (cfr. nota 19). Lo stesso Pinder, negli anni ’50 aveva pagato cachets impressionanti ai cantanti di hit parade (compresa Edith Piaf) e nel 1962 emula l’idea della radio (e poi della tv) diventando per un decennio “Pinder O.R.T.F.”. Ormai per portare la gente al circo si puntava a tutto ciò che non era circo: l’identità gloriosa dell’arte circense francese era perduta. Nel frattempo, ovunque in Europa, i piccoli circhi adottano la pubblicità dei grandi, crescono in installazioni ma non in spettacolo, lasciando nel pubblico amarezza e sfiducia verso il circo. Il circo europeo ha successi altalenanti, e la sua economia si rivela imprevedibile. Gli unici due dati sicuri sono crescita dei costi e abbassamento della qualità. Trasporti e pubblicità sono preoccupazioni infinitamente superiori alle scelte artistiche. Quella che sembrava una rinascita, in poco più di un decennio assomiglia a una catastrofe: inoltre il rapido proliferare dei circhi porta la concorrenza ad essere insostenibile con una presenza troppo alta di grandi tendoni in ogni nazione. Poi, il boom dell’automobile e la nascita del turismo familiare creano un’alternativa più allettante per il tempo libero. In anni in cui la radio e il cinema continuano ad essere una grande attrattiva c’è infine la più grande insidia: la televisione. In Inghilterra la BBC aveva iniziato a trasmettere spettacoli di circo con tentativi già dal 1936. In seguito le due principali emittenti trasmetteranno uno spettacolo circense ciascuna il giorno di Natale, subito dopo il discorso della Regina. La moda del circo in tv culmina negli anni ’60 in una evidente crisi per i circhi inglesi dal vivo. In Francia il Cirque d’Hiver e il Pinder sono periodicamente trasformati in studi televisivi per La Piste aux Etoiles (1946-1965), storica trasmissione di Gilles Margaritis che porta in tutte le case numeri spesso migliori di quelli in tournée con i tendoni. I circhi europei reagiscono con il grave erro-

re di spostare l’attrattiva verso il pubblico infantile, rendendo ancor più banale un prodotto già contaminato dalle varie ibridazioni. Ulteriore colpo di grazia è l’edilizia che rende rari e più piccoli gli spazi per i tendoni; poi le disposizioni che limitano le affissioni murali; o il traffico, che negli anni ’60 fa sparire per sempre le sfilate in centro nel giorno inaugurale del circo. Negli anni ’60 in Europa finisce per sempre anche il fenomeno che fu all’origine stessa del sistema circense moderno: la rete dei circhi stabili urbani. Il leggendario Medrano di Montmartre attraversa una crisi, ed offre il suo ultimo spettacolo nel 1963 (acquistato dai Bouglione per essere demolito nel 1972). Un anno dopo si spengono a Londra anche la tradizione invernale di Mills all’Olympia e quella del suo concorrente Tom Arnold all’Harringay. La più antica dinastia equestre del mondo, Schumann, è in difficoltà e perde la gestione dei circhi stabili di Copenhagen, Göteborg e Stoccolma, minacciati da progetti immobiliari. In un’Europa un tempo disseminata di circhi in muratura a decine, negli anni ’60 resteranno solo l’Hiver a Parigi, il Price a Madrid (demolito nel 1970), il Tower a Blackpool e, nel solo periodo natalizio, il Carré ad Amsterdam e il Coliseu a Lisbona. Nello stesso tempo, si aprono però nuove forme di fruizione del circo. Ringling aveva scoperto i palazzi dello sport negli Usa, e il fenomeno si diffonde anche in Europa: questo è dovuto molto agli impresari americani che negli anni ’60 iniziano a portare grandi show di massa come “Holiday on Ice” (i cui produttori nel 1963 tentano senza successo una breve tournée europea dello stesso Ringling). Poi c’è la necessità di grandi luoghi per le prime tournées estere del Circo di Stato Sovietico che, privo di tendoni, dagli anni ’50 si fa conoscere con regolarità negli stadi coperti occidentali col nome di “Circo di Mosca” (cfr. 13.6). In molte capitali si sfruttano gli spazi coperti per vari tipi di programmi circensi: a Parigi, numerosi circhi francesi adottano i nascenti palasport come luogo alternativo; in Spagna Juan Carcellé crea un vero e proprio sistema parateatrale presentando annualmente nei palasport di Madrid e Barcellona il “Festival Mundial del Circo” (1956-1962), prototipo storico del festival circense a premi, poi ripreso da Castilla negli anni ’70. 13.4 Nascita e legittimazione dell’industria circense in Italia All’alba degli anni ’60, in Italia esistono già circa duecento circhi: sono quasi tutte piccole imprese a conduzione familiare, e per buona parte si tratta di “arene” a cielo aperto, in cui le famiglie di artisti presentano ancora nella seconda parte le farse comiche. Molte conservano il rapporto con le fiere periodiche e alcune di loro sono legate al mondo delle giostre. Negli anni ’50 quasi tutte nel periodo invernale si dotano di propri tendoni: col dopoguerra scompare l’abitudine di organizzare spettacoli in teatri e politea-

293

294

ma, i quali perdono per sempre la loro secolare variante circense. I nomi che spiccano sono molti di quelli affermatisi già prima della guerra (cfr. 12.3). Possiamo considerare la metà degli anni ’50 come il momento in cui tre nomi si affermano a livello nazionale: Palmiri, Togni e Orfei. Il circo Togni alla fine della guerra poteva considerarsi come il più importante d’Italia, capace nel 1948 di una trionfale tournée in Egitto. Animatori sono i tre fratelli Togni della seconda generazione: Ugo, Ercole e Ferdinando, con le loro sorelle ed i figli (cfr. 12.3). Alla fine degli anni ’40 le famiglie dei tre fratelli si cimentavano nell’acrobazia equestre, in uno splendido numero di trapezisti volanti, avevano propri gruppi di tigri, leoni ed elefanti, ricche scuderie di cavalli e un gruppo di clowns. Nei primi anni ’50 emergono dalla famiglia almeno tre artisti che nella loro specialità acquistano una reputazione internazionale: il domatore di belve Darix (cfr. 13.7), il trapezista Cesare e l’addestratore di cavalli Ferdinando: destinati a diventare direttori di tre grandi circhi con i rispettivi “rami” delle loro famiglie, dopo una storica scissione nel 195310. Circo completamente nuovo è dal 1947 al 1968 quello di Egidio Palmiri (n. 1923) che sfocia dall’esaltante esperienza di un’arena acrobatica di numeri aerei rompicollo, in cui perde la vita il temerario fratello Giovanni (1904-1949). A Palmiri, memore della esperienza giovanile nei tendoni e music-hall europei d’anteguerra, si deve molto la modernizzazione del circo italiano: sia artisticamente (per porsi al pari con il varietà del suo tempo per scelte musicali, coreografiche e di programma), sia dal punto di vista organizzativo. E soprattutto per la messa a punto di una tournée biennale che tocca regolarmente l’intera penisola: sistema questo poco imitato sebbene l’unico in grado di garantire la fiducia costante del pubblico e di motivare il rinnovamento artistico11. Contemporanea è l’affermazione nazionale del circo Orfei, inizialmente popolare in Emilia Romagna, che si arricchisce di animali e artisti internazionali, facendosi apprezzare nel 1954 a Milano e in altre città. La fama si accompagna ai successi televisivi di Orlando Orfei (grazie anche alle registrazioni sotto il suo tendone del Mattatore di Gassman), ma sopratutto all’esordio al cinema nel 1959 delle nipoti, le due cugine Moira (n. 1931) e Liana (n. 1937). Poi, il circo di Orlando Orfei si trasferisce in Brasile (1960), ed i nipoti daranno vita a tre diverse imprese12. Intanto acquista importanza il circo di una famiglia guidata da un nuovo impresario, figlio della circense di antica stirpe Rosina Gerardi: l’intraprendente, inventivo e coraggioso Leonida Casartelli (1924-1978) con le sorelle Lucina, Jonne, Liliana. Strettamente imparentati ai Togni, e poi ai Larible, i Casartelli dal 1958 con il nome Coliseum ed altre insegne si dedi-

cano soprattutto a tournées di successo in Spagna, Grecia, Turchia. E negli anni ’50 ha un rilevante livello anche il circo della famiglia Jarz. Negli anni ’60 dunque tre circhi Togni, tre Orfei, il Palmiri, l’emergente Casartelli e Jarz sanciscono anche in Italia la presenza di un’industria circense solida, di circuito nazionale, elevata qualità artistica, manifesti pubblicitari e modernissime strutture (quasi tutti organizzati su ferrovia). Nei programmi di questi anni spesso compaiono alcuni dei migliori artisti mondiali del tempo. Non si è ancora sempre in grado di avere propri zoo, perciò frequenti sono i rapporti con i grandi circhi internazionali (come Benneweis o Sarrasani nel caso di Palmiri; Williams nel caso di Togni; o Willy Hagenbeck e il circo ungherese nel caso di Orfei). I circhi italiani a differenza dei loro colleghi francesi o tedeschi resistono all’americanismo e alla troppo sfacciata commistione con radio o tv. La collaborazione con i nascenti media è saltuaria ma fruttuosa; i circhi ospitano occasionalmente trasmissioni televisive traendone beneficio, e lanciandone i protagonisti nello star-system. I due domatori Orlando Orfei e Darix Togni entrano rapidamente nell’immaginario collettivo del dopoguerra. In particolare il secondo, il leggendario “gladiatore”, regolare controfigura sui set dei peplum. Liana e Moira Orfei legano il circo all’attualità delle “maggiorate” e della “dolce vita”. Al pari del teatro di rivista di quegli anni, il circo diventa un protagonista di primo piano dello spettacolo dal vivo italiano, e suscita l’interesse del giornalismo, creando per la prima volta anche in Italia una “scuola” di critica circense, con firme anche prestigiose come Orio Vergani, Enrico Bassano e Massimo Alberini. Come negli altri Paesi, in Italia l’esplodere di un circuito circense si accompagna alla precarietà e agli elevati costi. Al pari dei colleghi europei i circensi italiani si battono per un riconoscimento istituzionale. Dalla fine degli anni ’50 si intensificano da parte dei circensi lettere ai giornali e appelli ai politici. A differenza di altri Paesi del mondo, in Italia si è costituito nel 1947 l’Ente Nazionale Circhi, la cui forza è essere una costola dell’Agis, basilare ponte tra la politica e lo spettacolo. Inoltre alla lotta dei circensi si unisce quella dei numerosissimi imprenditori del luna park. A testimonianza delle sempre più valide imprese italiane, si fanno sempre più rare le tournées di circhi stranieri, se si eccettuano tentativi di Amar

Il Circo Orfei si esibisce al politeama di Napoli, 1955

295

(’48), Krone (1952 e 1954), Apollo (1955) o a più riprese l’austriaco Medrano: quest’ultimo (il nome è solo “ispirato” al celebre stabile parigino), diventa in Italia molto celebre e sarà significativo nello sviluppo del circo italiano per varie ragioni13. Al contrario, iniziano tentativi di circhi italiani verso mercati stranieri: generalmente nel bacino mediterraneo (prima Spagna e Nordafrica, poi Grecia, Turchia e paesi slavi) anche per affinità culturali e linguistiche. Questa capacità di esportazione diverrà una costante del circo italiano come per nessun altro Paese del mondo14. Nel frattempo, il pubblico italiano aveva conosciuto nuove esperienze circensi: come la tournée teatrale del circo cinese ad opera di Remigio Paone nel 1956, e quello sovietico portato da Leo Wätcher con l’aiuto dei Togni (1959, 1964, 1969). Se le tournées all’estero riescono spesso a sanare i bilanci, i costi e la concorrenza degli altri media sono però insormontabili. Orlando Orfei, si è detto, abbandona l’Italia nel ‘60. Circhi stranieri come Apollo e Medrano falliscono in Italia alla fine degli anni ’50. Palmiri decide di chiudere nel 1968. L’annullamento totale dell’industria è scongiurato solo da un avvenimento che non ha precedenti nella storia: nel 1968 l’Italia ha la prima legge del mondo occidentale che riconosce la “funzione sociale del circo e dello spettacolo viaggiante”. Essa contiene basilari agevolazioni per trasporti, luce, acqua e occupazione di aree. Questo impedirà fallimenti altrimenti certi e un innalzamento della qualità unico al mondo: seppur breve.

296

13.5 Tra le stelle e strisce e il tricolore: il primo circo “europeo” Nel 1963, debutta al Palazzo dello Sport di Torino il Circo Americano. Sfarzose coreografie su tre piste, decine di elefanti e cavalli. Scenografie, sfilate e costumi esaltano l’immaginario a stelle e strisce: il debutto è fissato casualmente il giorno stesso dell’assassinio di Kennedy. In realtà, il Circo Americano non è mai giunto dagli Usa, né è mai esistito l’immaginario produttore «John David Morton di Dallas». Si tratta invece del primo grande progetto realmente “europeo” della storia del circo, nato dagli sforzi di tre entità di nazioni diverse: il talento per la produzione e lo spettacolo dello spagnolo Arturo Castilla; l’esperienza con le tre piste e gli animali della tedesca Carola Williams (1903-1988); la capacità logistica, artistica e pubblicitaria dei figli di Ferdinando Togni. Quella di Torino è la prima mondiale di un sodalizio che, con curiosi cambi di insegne e nomi di circhi “nazionali”, sarà la prima forma di costruzione di uno spettacolo circense con i metodi moderni della rivista e il primo tentativo (restato di fatto unico) di un circuito transnazionale di imprese. Arturo Castilla (1916-1993), considerato il primo grande innovatore europeo del dopoguerra, si era formato tra la produzione circense e quella di operette, e aveva lanciato il Circo Americano in Spagna nel 1946 (cfr. 13.1)15.

Negli anni ’50 riesce ad interpretarlo con un gusto teatrale dello spettacolo che va dalle uniformi del personale alle partiture musicali, dalla decorazione degli accessori alla grafica dei manifesti, valorizzando qualunque talento potenziale in pista. Negli anni ’60, Castilla, Togni e Williams sono partner in intricate quanto fertili collaborazioni societarie tra Spagna, Germania e Italia. Nei primi anni ’50, la famiglia di Ferdinando Togni, dopo la storica separazione della sua grande dinastia, aveva iniziato a creare in Italia tournées in collaborazione col circo tedesco di Carola Williams, contaminando con lo spirito di una grande troupe all’italiana il sistema a tre piste modulabili della rehnbahn (l’ippodromo ovale) sul modello di Franz Althoff. Il Togni si trasferiva periodicamente in Germania (tra il 1960 e il 1969), prendendo il nome di Heros – Italianische National Circus. Contemporaneamente, Castilla realizza per la Williams una serie di coreografie spagnole: in modo che il circo tedesco, quando non è in combinazione con i Togni, prende il nome di Spanischer National Circus che può visitare l’Italia come Circo di Madrid o, a seconda dei casi, Circo di Berlino.16 Nel 1963 il Ringling bros. progetta un tour europeo. Per fermare il concorrente in Italia, Togni propone a Castilla di riprendere l’insegna Circo Americano, coinvolgendo come d’abitudine gli animali della Williams. Castilla aggiunge al proprio progetto artistico già solido le tre piste e gli animali di italiani e tedeschi. L’intuizione portante, ormai collaudata da Williams e Togni, è lo spazio scenico modulabile della rehnbahn: perfettamente adatto all’immaginario “americano”, e ribattezzato pistavision (in perfetto stile anni ’60). Il Circo Americano diventa in seguito il tendone viaggiante più bello e ricco d’Europa, in alcune edizioni non inferiore al colosso americano Ringling. Nel 1976, il controllo del Circo Americano passa definitivamente agli italiani sotto la guida di Enis Togni (n. 1933). Senza dubbio erano anni in cui il cambio frequente di nomi era indice di crisi d’identità e di difesa verso la concorrenza. Ma in questo caso ai nomi corrispondeva realmente l’universo coreografico e visivo di una sorta di folklorismo circense. È un mondo di atmosfere e titoli sicuramente di finzione, ma nel senso teatrale. Un principio che, plagiato immediatamente, in mano a tanti altri sfocerà nel fenomeno fraudolento dei nomi “falsi”. Ma chi andava al Circo Americano, attendato in un parcheggio di Madrid, Roma o

Una delle prime produzioni dello spagnolo “Circo Americano” dell’impresa Castilla, 1956. Manifesto a colori

297

Il gruppo di 26 elefanti al debutto del “Circo Americano” di TogniCastilla-Williams (Torino, Palazzo dello Sport, 1963)

298

Berlino ricoperte di manifesti, viveva veramente l’illusione dell’universo al di là dell’oceano visto solo al cinema. Dopo quasi un secolo, l’esperienza di Barnum, assieme a quella del kolossal dei circhi tedeschi d’anteguerra, al gusto iberico per la rivista e al virtuosismo antico del circo italiano, producevano un progetto originale e irripetibile. Uno spettacolo dal vivo di ricchezza mai vista incontrava l’immaginario del dopoguerra appena uscito dalla ricostruzione, negli anni del boom economico in cui (nonostante le tensioni della controcultura) tutto ciò che era americano significava spettacolo, progresso, sogno. 13.6 Sputnik a Washington e scuole a Pechino: l’espansione del circo Sovietico e la Cina comunista Per il mondo comunista gli anni ’50 e ’60 segnano l’epoca di una vera reinvenzione dell’arte circense, con la creazione di un universo colossale di

scuole e artisti che si estende dalla Germania all’Estremo Oriente. Se questo sistema sarà quasi spazzato via con la fine del comunismo, le sue conquiste artistiche e metodologiche saranno la base, alla fine del secolo, del rinnovamento circense del nouveau cirque europeo o di sistemi americani quali il Cirque du Soleil. A metà degli anni ’50, il Circo Sovietico (cfr. 11.4) si sente pronto per due tappe decisive: 1) la presentazione al mercato mondiale; 2) l’esportazione pratica del modello pedagogico e organizzativo nel mondo comunista. Dopo una prima tournée in Iran (1945) e Polonia (1955), i dirigenti del Soyuzgoscyrk (l’organismo circense statale) si ritengono pronti per la conquista propagandistica del pubblico occidentale. Il momento è strategico, poiché lo sviluppo dei palazzi dello sport nel mondo favoriva la diffusione di nuove forme di intrattenimento e cultura. Nel 1956 è composta una selezione di artisti per un programma da presentare per l’Esposizione di Bruxelles e subito dopo a Parigi e a Londra. Viene scelto il titolo Circo di Mosca, subito leggendario. L’avvenimento è in effetti un momento chiave nella storia del circo. Il prodigioso giocoliere Kiss, lo sputnik dei ginnasti aerei Lisin, i saltatori Fomenko, gli orsi di Filatov, i funamboli daghestani Zovkra con le bascule sul filo, la ruota aerea delle sorelle Koch… Il pubblico e gli specialisti europei sono sconvolti dal livello degli atleti, dall’originalità delle inedite evoluzioni, e dalla tecnologia modernissima degli accessori di acrobati e domatori. Ma soprattutto è un trionfo per Oleg Popov (n. 1930), il clown subito portato in trionfo da Chaplin e Marceau, simbolo strategico del “disgelo” con la sua comicità poetica. Un programma tutto nuovo ripete il tour nel 1958-59 (con scambio di un programma francese in Russia): e questa volta si aggiungono nuove tappe tra cui l’Italia e la Germania. È invece nel 1963 che Morris Chalfen, (l’impresario di “Holiday on Ice”) porta per la prima volta una selezione del Circo di Mosca in tour negli Usa, in piena guerra fredda. Offrendo in cambio un programma occidentale a S. Pietroburgo, affidato a Ringling. In seguito i tour del circo sovietico si moltiplicano con regolarità in Europa, Sudamerica, India, Oceania, Africa, giungendo a costituire una percentuale importantissima del mercato di Soyuzgoscyrk ed una fonte basilare dei propri introiti17. Nel frattempo l’organizzazione interna evolve: nelle province sovietiche proliferano i circhi stabili, la cui direzione è spesso affidata a celebri artisti locali; i programmi, sempre rinnovati, sono generalmente imposti da Mosca. Di fianco ai circhi sono costruite confortevoli pensioni per gli artisti Il livello tecnico e creativo evolve, e la scuola sforna talenti a pieno ritmo18. Negli anni ’60 molti artisti del circo iniziano a ricevere onoreficenze e a diventare idoli del popolo: come Karandash (Mihail Rumchev, 1901-1983), che

299

300

continua la tradizione del clown satirico, o la domatrice Irina Bugrimova. La qualità artistica migliora anche con l’istituzione di un corso di regia circense presso l’Istituto d’Arte Teatrale a Mosca (1964). La tradizione delle pantomime evolve migliora con fantasiose scenografie e tematiche. Sono poi lanciate nuove forme come quella del Circo sul Ghiaccio (1964) con due apposite compagnie, in cui gli acrobati pattinano realmente (ispirato da un’idea geniale del francese Medrano)19. Vi è poi la diffusione di un fenomeno completamente nuovo: la clownerie di tipo sovietico. Basati sul vecchio repertorio satirico o acrobatico, i clowns russi sono influenzati da due fenomeni occidentali: uno è il cinema di Chaplin, che spinge molti artisti verso la pantomima poetica o il tipo sociale del vagabondo; l’altro è una tournée russa del mimo Marceau negli anni ’50. L’incontro con la tradizione della pantomima permette l’emergere di caratteri nuovi, e la creazione del “mimo-clown”, come nel caso dell’armeno Leonid Enguibarov. È da questo universo che può emergere una personalità come Oleg Popov. Gli anni ’60 sono importanti per l’altra tappa chiave della riforma sovietica: l’innesto del proprio modello circense nei Paesi socialisti. Molto si deve all’instancabile Alexandre M. Volochin (1900-1986), padre della pedagogia circense sovietica e direttore “storico” della scuola di Mosca. Già nel 1940 si era recato in Mongolia per fondare una scuola del circo sulla base delle millenarie tradizioni locali. Tra i primi allievi vi sarà la splendida Tsen Ayuche, cui si deve l’impulso nel mondo del contorsionismo mongolo20. Volochin fonderà scuole di circo anche in Cambogia e Vietnam, con risultati più modesti. L’influenza sovietica caratterizza anche la Cina, dove era avvenuto un fenomeno importante. Gli artisti cinesi orginari di villaggi di agricoltoriacrobati come quello di Wu Quiao, alla fine degli anni ’10 erano tornati in patria dalle grandi tournées occidentali, riportando tecniche contaminate e arricchite. Nel frattempo si sviluppavano nelle metropoli grandi centri di attrazioni, come il Gran Mondo a Pechino o il Lui Wai Luo a Shanghai: in ciascuno di questi luoghi potevano esserci oltre dieci spettacoli di acrobati, misti a bordelli, fumerie d’oppio e casinò. In questo tessuto si erano inserite esperienze di impresariato circense come quella di Sun Fu You, che negli anni ’20 è il primo a portare in Cina la tradizione circense russa [MAUCLAIR 2002]. Con l’avvento del comunismo, le attenzioni del mondo intellettuale cinese si rivolgono verso una rivalutazione dell’acrobazia quale arte popolare, com’era accaduto in Russia. Nel 1950, il ministero della cultura cinese avvia un programma di potenziamento dell’arte circense: gli acrobati sono incoraggiati, e i loro gruppi sono strappati al controllo del capitalismo e della mafia. Nell’Ottobre di quell’anno, alla presenza di Mao è proposto il primo spettacolo moderno

Le sorelle Koch al Vecchio Circo di Mosca, 1955

301

La leggendaria Xia Huhua, pioniera del contorsionismo, poi coordinatrice di scuole e compagnie statali cinesi

302

di acrobazia della “nuova Cina”, nel Palazzo Huairen di Pechino [QUI FENG]. Da varie regioni lo spettacolo raccoglie i numeri destinati a divenire classici: i salti nei cerchi, le evoluzioni in bicicletta, il contorsionismo, la magia, la giocoleria con le giare. In pochi anni l’acrobazia cinese si sviluppa: ma non in forma centralistica come a Mosca, bensì con l’autonomia di troupes regionali. Le prime e più antiche sono quelle di Shanghai, Pechino, Wuhan, Hebei, Shenyang e Chonquing. Altre troupes sono legate a organizzazioni come l’esercito o le ferrovie. Esse formano al loro interno gli allievi, quasi sempre in tenerissima età, che altrimenti hanno accesso a due scuole vere e proprie, situate a Pechino e Wu Quiao. A differenza della specializzazione sovietica in “numeri”, le troupes cinesi sono veri e propri collettivi di artisti polivalenti, come un tempo nel sistema occidentale delle famiglie. Negli anni ’60 una tradizione di circo comunista nasce anche in Corea del Nord, con la creazione di una scuola e di un circo stabile a Pyongyang (1962), i cui esiti in un ventennio saranno particolarmente originali: sintesi della pedagogia russa, delle tradizioni cinesi e dell’eredità degli agili acrobati giapponesi21. Più tardi sarà la volta del Vietnam, in forma più modesta. In quanto al Giappone, un nuovo periodo di isolamento nel 1930 decreterà per sempre la fine dell’arte acrobatica nipponica, dove il circo resta destinato ai tendoni d’ispirazione occidentale nati a fine ’800 (cfr. 10.2). Dalla sovietizzazione del circo non restano estranee Cuba (grazie sempre a Volochin, dal 1962), né tutti i Paesi europei del blocco sovietico, dove tradizioni circensi erano state importate da pionieri tardo-ottocenteschi come Sidoli, Soullier o Ciniselli: la forma è sempre quella di un’organizzazione che comprende una scuola di formazione, un circo stabile di una capitale o qualche tendone itinerante. Nei Paesi dell’Est europeo, la cultura circense sovietica si fonde col mondo dello sport o esalta anche le antiche tradizioni acrobatiche balcaniche: scuole e circhi di stato nascono puntualmente a Budapest (1950), Sofia (1953) e Bucarest (1954). A Berlino Est, il circo di Stato della DDR (1950) ha estetiche più vicine all’occidente pre-bellico, anche per le abitudini storiche del pubblico: dunque con grande attenzione per imponenti gruppi di animali, tre grandi tendoni e un centro di formazione a Berlino per nuovi talenti.

Lo stesso accade a Praga, dove le grandi dinastie circensi (Kludsky, Berousek) sono assorbite dal Circus Centrum (1951), che opera con due tendoni, Praha e Humberto. In Polonia la scuola di Stato (1949) si affianca ad un centro di produzione presso Julinek (1951), da cui negli anni ’70 prendono il via ogni anno undici grandi tendoni. Inoltre dalla Polonia si diffonde nel mondo un “serbatoio” di cinquecento artisti ripartiti in centocinquanta numeri e soprattutto un centinaio di musicisti e tecnici specializzati, richiestissimi. Il confronto delle scuole dell’Est con l’occidente si può delineare in tre fasi: negli anni ’50 e ’60 è l’epoca di un’ammirazione “a distanza” delle tournées russe o cinesi in Occidente, ma di grande ispirazione. Dagli anni ’70, i numeri dell’Europa dell’Est arricchiranno regolarmente i programmi occidentali. Negli anni ’80 anche russi, cinesi e nei ’90 mongoli e coreani accetteranno di concedere numeri singoli ai circhi occidentali (cfr. 16.7, 17.4); fino ad una totale fluidità del mercato all’alba del 2000, che comprende anche un intenso scambio di esperienze pedagogiche. 13.7 Tra il boom del night club e la crisi dei tendoni: artisti, discipline e animali negli anni ’50 e ’60. L’emergere dei circhi dell’Est introduce un’alternativa importante nel mondo del circo: la formazione accademica si rivela più efficace della trasmissione dinastica, con i suoi fertili incroci tra mondo sportivo e logica delle arti teatrali: questo mentre le antiche famiglie di acrobati sembrano in evidente estinzione. Acrobati. Dall’Est la disciplina più potenziata sembra, negli anni ’60 l’acrobazia con le bascule: i primi gruppi ad apparire in occidente sono ungheresi. Esse diffondono il modello di troupe-famiglia, formata da un nucleo dinastico arricchito da allievi. Sono formazioni che superano le dieci persone (Tokai, Hortobagy, Faludi) e in molti casi presentano salti e piroette con arrivo su piramidi di quattro o cinque atleti. Solo alcune famiglie italiane riescono a confrontarsi con loro (i Larible e Macaggi in Europa o i Cristiani negli Usa). Ma soprattutto sono i sovietici a superare ogni immaginazione: nel 1960 la troupe Doveiko introduce i salti mortali con i trampoli sulle bascule, e pochi anni dopo i Beliakov introducono un nuovo dispositivo di successo: l’“altalena russa”. Grazie al legame con la ginnastica, i russi mantengono vive le acrobazie alle sbarre fisse (con gruppi come i Nicolaev), che negli stessi anni vantano rivali occidentali (come gli Ibarra). I numeri di salti senza accessori, (l’“acrobatica al tappeto”), sembrano restare prerogativa di famiglie italiane che fanno il giro di circhi e varietà di tutto il mondo: i Medini, Nicolodi, Macaggi, Sali, Bogis, Niemen, sono solo le più celebri di queste troupes che ben presto fanno parlare di “acrobatica

303

L’acrobata-tenore Gino Donati con i suoi partner (1968 ca.)

304

all’italiana” come di un vero e proprio genere. Inoltre i circhi italiani grandi e piccoli sono tra i pochi che riescono a presentare ancora un charivari di salti a terra con tutta la compagnia. Questa disciplina vede presto la diffusione di troupes specializzate nordafricane: tra i primi ci sono gli Atlas, i Tanger e la “scuola” marocchina di Ali Hassani. Grande cambiamento avviene nel campo degli acrobati “icariani”: scompaiono le numerose famiglie della prima metà del secolo, basate sulla disparità fisica genitori-bambini. Tra le ultime troupes ci sono i Bogino, gli albertis e gli Ashton, mentre appaiono nuovi numeri di icariani in coppia o trio: le prime vedettes sono gli egiziani Akeff cui seguono i marocchini Rios: a questi ultimi, capaci di exploit incredibili, si deve l’innovazione del lavoro in “duo” ed il ritmo sostenuto oggi diffuso. Gli icariani sono uno dei numeri acrobatici che più si adattano ad un nuovo e fertile mercato: il night club. Il night e i solisti. Se muore il più popolare music-hall, capitali della vita notturna come Parigi, Miami, Londra, New York, Roma vedono l’emergere di locali più intimi e selettivi in cui una spesso piccola scena accoglie almeno un paio di attrazioni a sera. Nel 1946 gli impresari Clerico rilanciano il Lido di Parigi e pochi anni dopo trasformano il Moulin Rouge in grande rivista; nel 1951 Alain Bernardin fonda il Crazy Horse. Questo, mentre in America Ed Sullivan chiama i più grandi talenti del mondo per il suo varietà televisivo, e Las Vegas inizia rapidamente ad essere una mecca per artisti con pochi accessori e grande personalità. Oltre agli icariani c’è spazio per brillanti antipodisti come i Castors o i Bassi; per grandi contorsioniste come Fatima Zohra (caposcuola di un nuovo stile); la divina giapponese Lily Yokoi sulla bicicletta placcata d’oro; gli equilibri testa a testa delle sorelle Mascott. O per nuove attrazioni eccentriche come il disossato Rocky Rendall o l’“automa” Joy Kay, il giocoliere con i piatti Eric Brenn, i “borseggiatori” Borra o Dominique, prestigiatori dalle mani magiche come Pollock o Silvan. Il night e la rivista stimolano molti artisti circensi ad introdurre forme di umorismo in quelle che erano presentazioni di virtuosismo: icariani, maghi, equilibristi, aggiungono volentieri gags o battute nel loro repertorio. In particolare l’acrobazia occidentale, “minacciata” nella qualità dall’atletismo dell’Est, sceglie volentieri la via della comicità e della parodia per impressionare il pubblico: è il caso di molti acrobati all’italiana citati sopra (come la versione “gangster” del Trio Chicago dei Nicolodi, o le gags dei Craddocks (Fratellini jun.), dei Charlivels (figli di Rivel), di Aly e Saly Larible); dell’ex nuotatore Larry Griswold che diffonde il popolarissimo genere del tuffatore comico sul letto elastico dal 1945; o del leggendario tenore-equilibrista Gino Donati. I giocolieri. Se c’è una categoria in piena evoluzione tra circo e night, che catalizza tutti questi elementi, questa è quella dei giocolieri. Bela Kremo moder-

305

306

nizza lo stile del giocoliere “gentleman”, mentre la scuola italiana con cerchi e clave è assicurata da vedettes mondiali come Raspini, Picinelli, Medini. Lo spagnolo Gran Picaso diffonde la moda delle palline sputate con la bocca e dei piatti-boomerang; Rudy Horn in equilibrio su un alto monociclo crea una pila di tazzine sulla propria fronte. A Rudy Cardenas si deve la diffusione dello spirito “latino” della giocoleria a ritmo rapido. Bob Bramson diffonde i cerchi giganti. Poi vi sono i virtuosi, alla Rastelli: in America approda sulle pagine di «Life» Massimiliano Truzzi, che al Ringling ha l’onore di solista nella pista centrale; la scuola sovietica offre il talento del duo Kiss. Ma negli anni ’60 l’autentico erede di Rastelli è Francis Brunn (1922-2005), considerato il maggior giocoliere del secondo ’900. Egli rimarrà per sempre un esempio di sintesi e purezza: gli è necessaria solo una semplice calzamaglia, e una musica ad un ritmo forsennato sulla quale, come un Barishnikov della precarietà, per venti minuti può ricevere a getto continuo palloni o cerchi e farle roteare o restare in equilibrio in una folle sequenza di vere e proprie sculture viventi. Unico oltre a Truzzi ad aver lavorato nella pista centrale del Ringling, negli anni ’50 Brunn frequenta il danzatore Antonio Gades e porta il proprio numero all’essenzialità del flamenco: calzamaglia nera e chitarra spagnola saranno da allora gli unici orpelli di uno dei più grandi geni circensi del novecento. Il night club consente cachets molto alti a tutte queste attrazioni e soprattutto non costringe gli artisti a troppo frequenti viaggi. Il pubblico più vasto e popolare può conoscerle grazie alla televisione (con programmi specializzati come l’Ed Sullivan Show in America o La Piste aux Etoiles in Francia) o con le grandi platee degli ultimi circhi stabili che investono sulla qualità degli spettacoli: il Tower di Blackpool, il Price di Madrid, l’Hiver e gli ultimi anni di Medrano a Parigi e di Mills a Londra. Questi grandi artisti appaiono meno nei circhi viaggianti. I tendoni da parte loro vedono crescere i costi di gestione e preferiscono continuare ad investire sui numeri di animali, sempre più spesso di loro proprietà, o a risolvere tra poche famiglie polivalenti la parte acrobatica. Per l’attenzione verso gli artisti, eccezioni sono le tournées svizzere di Knie, di livello altissimo, il tedesco Krone e alcuni dei programmi di Togni-Americano o Palmiri, che ospitano puntualmente le più grandi attrazioni da music-hall. I trapezisti. Alcune discipline, fisicamente inadatte al night, restano legate al circo: si tratta dei grandi numeri aerei. Il trapezio volante, dopo gli anni ’30 di Codona e i ’40 dei Concello, sembrava aver visto sparire il leggendario triplo salto mortale. Nel 1952, all’improvviso, un artista ripete l’exploit. È Fay Alexander (1924-2000), la controfigura al trapezio nei più celebri film sul circo. Nello stesso anno, Cesare Togni è in grado di compiere una spettacolare tripla piroetta “di ritorno” a conclusione del suo doppio salto mortale.

Essi rappresentano in qualche modo le due “scuole” che sembrano dominare gli anni ’60 (a parte quella sovietica, che porta avanti vari esperimenti, come l’elaborata creazione Galaktika): quella italiana, con la carriera internazionale dei vari rami della grande famiglia Jarz; e quella statunitense, che vede emergere soprattutto un grande artista: Tony Steele22. Questi è il primo uomo al mondo a riuscire un triplo salto mortale e mezzo. Ma già alla fine degli anni ’60, si intuisce che l’espansione delle grandi famiglie circensi sudamericane inizia a creare un vivaio inesauribile di talenti al trapezio volante: la prima grande rivelazione è il messicano Lalo Palacios con la sua troupe. Un grande genere aereo destinato al successo è quello, effettuato in due, della “sedia aerea” o “quadro aereo” con il salto nel vuoto finale: è portato al successo da due attrazioni francesi, i Clèrans e i Palacy. Di grande pericolosità, questa tecnica sarà la base per molte contaminazioni successive. Di natura simile, è l’attrazione da brivido al femminile dell’ineguagliabi-

Un “doppio passaggio” della troupe Palacios, 1963 (foto P. De Cordon)

307

I clowns musicali spagnoli Rudi-Llata (Pepi e Nolo Ruiz, 1963, foto P. De Cordon)

308

le Rose Gold, tenuta appesa nel vuoto con due corde dai suoi partners a testa in giù con i suoi due partner. Altro successo di quest’epoca è lo sviluppo degli equilibri del trapezio washington: ad esaltare tale specialità a testa in giù vi sono i fratelli Aguanitos (Merzari) e soprattutto il numero mozzafiato dei Larible: mai più eguagliato, con l’oscillazione concentrica di due trapezi, entrambi a testa i giù, e soprattutto una grande presenza scenica. La “divina” del genere è negli anni ’50 la leggendaria Pinito del Oro (Maria Cristina Segura, ispiratrice del soggetto del citato film di De Mille, nonchè controfigura). Il suo ritorno in Spagna nel 1956, dopo le tournées americane con Ringling, è un evento da diva del cinema. Sulle sue orme si afferma una star americana come Galla Shawn. Inizia poi a diffondersi il trapezio singolo oscillante, con esercizi mozzafiato e “prese” ai talloni o alle caviglie: prima vedette del settore è la grecoispanica Miss Mara negli anni ’60, una sorta di Callas del circo. Sempre sotto la cupola del circo, negli anni ’50 i sovietici danno vita ad accessori volanti sotto forma di sfere, missili, dischi volanti, sputnik, aerei (tra i primi il “razzo” di Victor Lisin), da cui emergono i trapezisti. Il genere sarà d’ispirazione per i temerari francesi Antares. I funamboli a grande altezza sono celebrati dalla troupe di Bob Gerry, sul modello dei Wallenda, mentre Joe Seitz e Gene Mendez sviluppano la tendenza al solista spericolato con ritmi più rapidi. I clowns. Nel campo dell’arte clownesca, l’epoca d’oro finisce. Nel ’56 Grock decide di ritirarsi, dopo aver trascorso le ultime tournées europee sotto il tendone che portava il suo nome; dei Fratellini resta il solo Albert, stanco e a disagio con partner occasionali. È nel secondo dopoguerra che si consolida la struttura delle cosiddette “entrate”: i lunghi sketches di repertorio con pezzi musicali, in grado di tenere in pista per oltre venti minuti un clown bianco con due o più augusti. È il caso negli anni ’50 della seconda generazione dei Bario, dell’emergere dei Francescos (Caroli), dei Rastelli o dei più grandi successori dei Fratellini: gli spagnoli Rudi-Llata. Questi ultimi sono a capo di un filone che vedrà emergere per decenni innumerevoli famiglie spagnole, portoghesi e italiane nei circhi di tutta Europa. Tra le migliori “entrate” degli anni ’60 va sicuramente ricordato il catastrofico e gioioso concerto della famiglia Salvadori, veri capiscuola della clownerie musicale moderna. L’altra vera novità pare quella del clown sovietico (cfr. 14.3 per lo sviluppo dei clowns). Arte equestre. Ormai i tendoni possiedono propri gruppi di cavalli, rinnovando il repertorio. Tra i migliori sono quelli di Krone (presentati da Sembach), di Williams (con la “scuola” di Petoletti) e di Franz Althoff in Germania (in grado di presentare un gruppo di quarantotto cavalli); di Ferdinando Togni in Italia; di Bouglione, Vasserot e Rancy in Francia; di Strassburger e Albert Carrè in Olanda

309

(quest’ultimo d’inverno con Darix Togni in Italia). Ma dagli anni ’60 sembra chiaro che due sono i talenti fuoriclasse nelle presentazioni equestri del dopoguerra: Frédy Knie (1920-2003) ed Albert Schumann (1915-2001)23. Entrambi si distinguono per rinnovare ogni anno destrieri e presentazioni, con una ricerca continua ed un’ispirazione fertilissima in trovate estetiche ed esercizi, o in ardite combinazioni come quelle tra cavalli di varie razze e zebre. Sono abili sia nella presentazione di grandi gruppi che come cavalieri d’alta scuola. In seno a queste famiglie appaiono anche splendide amazzoni: prime fra tutte Paulina Schumann, Sabine Rancy, Elly Strassburger. Per l’acrobazia equestre, nel dopoguerra sembra arrivato il momento del declino, se si eccettua il successo internazionale della grande famiglia Caroli, con salti e piramidi a cavallo; o di nuove generazioni di dinastie ormai divenute americane, come Zoppè e Loyal-Repensky. Tra i solisti europei, emerge il talento di Dany Renz o di Cipriana Portner-Folco. Il genere è in parte affidato all’emergere delle nuove famiglie sovietiche come Sersh o Zapachny, grandi acrobati a cavallo. Negli Usa, molte famiglie di origine europee (Loyal, Cristiani, Zoppè) continuano a perpetuare le evoluzioni equestri in vari circhi. I direttori dei circhi La greco-spagnola Miss Mara, la prima a diffondere europei, piuttosto che scritturare numerose troupes con cavalli e veicoli al le acrobazie in volteggio al seguito, preferiscono investire su propri destrieri e formare talenti in seno trapezio singolo. Foto di alle famiglie. scena, 1961, Domatori. Le stesse famiglie di imprenditori continuano a possedere coll. dell’autore gruppi di elefanti sempre più numerosi. Negli Stati Uniti, negli anni ’60 la diffusione degli elefanti da circo continua ad essere molto vasta, quasi imprescindibile nonostante qualunque crisi economica. Sarebbe impossibile enumerare tutti i domatori di elefanti del primo dopoguerra negli Usa. Antiche famiglie come quella dei Woodcock sviluppano interessanti principi di addestramento. In Europa, se Althoff, Krone o Ringling continuano a concentrarsi su grandi gruppi, Rolf Knie (1921-1997) allievo di Franz Kraml, sviluppa le potenzialità dei pachidermi con nuovi esercizi e numeri. Gunther Gebel Williams, Erwin Bauer e Willy Togni, accelerano il ritmo dei grandi gruppi. 310

Nella grande gabbia, l’epoca degli Hagenbeck e di Court ha lasciato una notevole eredità. La più importante è la scuola di addestramento di Eric Klant (allievo diretto di Willy Hagenbeck), da cui provengono alcuni dei domatori più influenti degli anni ’60: primo tra tutti Charly Baumann, che ispirerà gli anni ’70. Dal ramo “francese” di Court si formano altri due grandi nomi: Vojtech Trubka (1904-1981) in abito bianco, e Gilbert Houcke (1918-1984). Questi è uno dei veri innovatori del genere. Abbigliato alla Tarzan, per primo rinuncia a qualunque tipo di accessori o sgabelli, per presentare le sue tigri come fossero un gruppo di cavalli, sfruttando la suggestione del vuoto, la spontaneità del comportamento animale, ma soprattutto evidenziando la complicità con l’uomo. Nei primi anni ’60 emerge il tedesco Gerd Siemoneit, destinato ad un’importante carriera. Sulla suggestione scenografica e sulla tecnologia punta invece in Italia Darix Togni (1922-1976), prima con i leoni poi con le tigri. Richiestissimo sui set nell’epoca d’oro del peplum, negli anni ’50 sviluppa il costume del gladiatore, con la colonna sonora dell’allora attuale Ben Hur, e tronchi di colonne come accessori, illuminate al neon, nella sottile gabbia retrattile in maglia di rete sviluppata dal fratello Wioris (e poi ampiamente diffusa nel mondo). Mitizzata dai frequenti incidenti con le belve, la carriera di Darix come domatore si lega al carisma di direttore circense tra i più popolari. Non da meno è il popolarissimo Orlando Orfei, vestito di bianco tra le sue leonesse e conteso dai rotocalchi, capace anche di presentare un gruppo di iene con astuta teatralità. Nel frattempo, vivacissime presentazioni di belve e animali esotici continuano in Unione Sovietica, in una gara a quanto di più inusuale, tra suggestione e grottesco: dalla tigri nuotatrici di Margarita Nazarova nel circo acquatico, a quelle equilibriste sui globi di Denisov; al numero di yak e tigri di Tikonov, ai due ippopotami di Stefan Isakiaan, agli innumerevoli, disperati esperimenti con orsi, costretti in inverosimili numeri di funambolismo, o in performances clownesche alla guida di sidecar o persino taxi. Il gusto del ridicolo con ogni tipo di animale, selvaggio o domestico, è una caratteristica molto radicata nel circo sovietico e nel suo pubblico proletario dai gusti spesso semplici.

311

14. DAL

NEO-GIGANTISMO ALLA ROUTINE

14.1 L’effimera rinascita degli anni ‘70 Se arte cinema, teatro e musica assistono ad una memorabile effervescenza creativa alla fine degli anni ’60, il circo sembra immerso nella sua crisi identitaria. In anni di grandi sommovimenti sociali e messa in discussione dei linguaggi, nulla potrebbe sembrare più anacronistico dei tendoni con acrobati in lustrini ed animali in gabbia, mentre il varietà si estingue nell’indifferenza generale. Nonostante questo, il circo resta un divertimento popolare dal vivo apprezzato ovunque. Ma dai costi sempre più onerosi. Come alla fine del decennio precedente, anche all’alba degli anni ’70 si assiste ad un’altra serie di chiusure di circhi. In Germania gli ultimi “tendoni giganti” continuano a districarsi tra fallimenti, tentativi di rilancio o compravendita di grandi nomi. Nel 1968 chiudono in Germania i tre grandi circhi di Williams e Althoff; nello stesso anno negli Usa Ringling vende il più grande circo del mondo; un anno dopo in Italia Palmiri decide di chiudere. In Gran Bretagna si fermano Chipperfield (1968) e Billy Smart (1971); in Francia si apprestano a fallire i due colossi Pinder (1972) e Amar (1973), mentre desta scandalo la demolizione del Medrano a Montmartre. In Spagna il glorioso stabile Price è demolito (1970). Rare eccezioni di qualità restano il tedesco Krone (con un tendone e lo stabile di Monaco) e lo svizzero Knie: quest’ultimo, ormai tappa regolare di vedettes del cinema e di capi di Stato, sembra restare anno dopo anno il miglior circo del mondo nella sua essenzialità. E poi vi è il boom del circo italiano, di cui si parla di seguito. Se gli anni ’70 sono spesso ricordati come l’epoca di esplosione di un circo alternativo (seppur ancora minore, cfr. cap.15), in realtà anche nella vasta industria di tipo classico, seppur in crisi, vi sono casi di successo con la nascita di nuovi circhi. In seno a famiglie storiche nascono il Circo Nazionale Austriaco di Elfi Jacobi-Althoff (1974), il Medrano dei Casartelli (1972), l’innovativo circo Williams di Franz Althoff (Germania, 1976). Vi è anche il caso del domatore Gerd Siemoneit che dal 1969 rilancia con successo il nome tedesco Barum (senza la n) creando un nuovo zoo-circus. Ma soprattutto è importante l’apporto di personaggi con logiche esterne all’appartenenza famigliare. Esempio clamoroso è l’inglese Gerry Cottle: fuggito da ragazzo col circo, apre un piccolo tendone nel 1971 diventando in pochi anni il magnate del circo britannico. In Spagna vi è ancora Arturo Castilla con vari tendoni. In Francia importantissima è l’avventura dell’attoreimprenditore Jean Richard (v. infra).

Part. da un manifesto a colori di R. Casaro per il Circo Medrano, Italia, 1974. Coll. dell’autore

313

Gunther Gebel Williams al Madison Square Garden. Ringling Bros. and Barnum-Bailey Circus, 1979 (coll. dell’autore)

Il caso imprenditoriale più importante all’alba degli anni ’70 è, negli Usa, il passaggio di proprietà dalla famiglia Ringling ai produttori fratelli Feld, anch’essi esterni al mondo circense: una grande operazione industriale che salva il più grande circo del mondo. Dopo l’incerto passaggio dalle tende ai palazzi dello sport, il Ringling-Barnum sopravviveva rinnovando i programmi grazie a nuovo afflusso di acrobati dell’Est e di domatori tedeschi (ossature decisive, queste, anche per i grandi circhi italiani). Nonostante questo, le spese e l’anacronismo del circo continuavano a pesare. Demotivato e senza eredi, John Ringling-North affronta richieste di cessione da parte di gruppi di finanziatori legati al mondo del nuovo entertainment: un vivace universo che lega il mondo delle arene sportive, le compagnie cine-televisive, gli emergenti parchi a tema e il mercato di Broadway. Ad avere la meglio tra gli offerenti è l’ambizioso Irvin Feld (m. 1984): un promotore di concerti già impegnato nelle prevendite del Ringling fin dal 1957, che trova una cordata di finanziatori. In uno storico accordo, firmato a Roma sotto le arcate del Colosseo l’11 novembre 1967 davanti ai fotografi di «Variety», dopo quasi un secolo il “più grande spettacolo del mondo” passava di mano per la cifra di otto milioni di dollari1. Feld conserva gran parte dello staff di Ringling (tra cui il regista Richard Barstow e il responsabile del casting Throlle Rhodin); proietta con grande energia il più antico divertimento americano nel ventunesimo secolo, senza snaturarlo. Feld in un paio d’anni rinnova interamente la concezione degli spettacoli ed il cast. Potenzia l’afflusso di acrobati dell’Est e fonda una scuola per clown; arricchisce il parco animali imbarcando al completo lo zoo del circo tedesco Williams; scrittura la prima troupe di acrobati interamente di colore in un circo statunitense. Introduce le tecniche più moderne di marketing, si apre ai partenariati con gli sponsor. Soprattutto lancia il concetto di vedette nel circo, creando dal nulla in stile hollywoodiano il più grande mito circense di fine Novecento: il domatore Gunther Gebel Williams (1934-2001).Giunto sconosciuto dalla Germania, Gebel è oggetto di un restyling che mitizza un domatore come un’icona pop degli anni ’70 (v. infra 14.3)2. Ma soprattutto la rivoluzione di Feld è nel potenziare la presenza del circo nel mercato dei palasport: il circo è clamorosamente duplicato con due diverse unità circensi. Due spettacoli egualmente imponenti che girano contemporanemente l’America per rinnovarsi ciascuno ogni due anni. Nel campo creativo, si potenzia la struttura musicale e visuale, usando coreografi e costumisti di Broadway e della tv (determinante il coinvolgimento di Don Foote), o scenografi di Disneyland. Negli anni di pieno fervore delle avanguardie artistiche, il rinnovamento di una forma di massa come il circo sembra seguire scelte molto conservatrici come del resto accadeva al musical e

315

316

al teatro industriale di Broadway: di certo lontano dal fervore culturale del tempo (al contrario di quanto accadeva con North negli anni ’40 e ‘50). Altro importante fenomeno si ha nella situazione italiana. Nella penisola, anche sulla scia della nuova legge del 1968 (cfr. 16.4), le imprese circensi per un breve periodo (tra il 1969 e il 1975 circa) presentano spettacoli che per qualità di produzione, cast e strategie organizzative non avranno eguali al mondo3. Nel ’68 il teatro italiano scende in piazza, invade le cantine, cerca una propria identità. Ma non sono esperienze come ad esempio l’Orlando Furioso di Luca Ronconi o il Mistero buffo di Dario Fo ad ispirare nuove vie per i circensi. Il mondo del circo sembra trovare una nuova vita nei generi di massa alla moda, dai linguaggi collaudati, visualmente ricchi e rassicuranti per il pubblico familiare. Dinastie come Togni e Orfei, negli anni ’60 avevano frequentato constantemente il mondo e le logiche del cinema, della commedia musicale e della nascente tv; Palmiri e Nones il varietà. Inoltre in Italia era in dissoluzione un patrimonio enorme dello spettacolo popolare: il teatro di rivista, che a differenza della Francia (limitata a Parigi) aveva una diffusione capillare nel Paese. La “rivista” italiana aveva abituato il pubblico a coreografi e costumisti di Parigi e Las Vegas, poi approdati nei primi varietà della Rai. Il circo ne eredita le forme, presso un pubblico che le conosce e le ama. I circhi italiani adottano così il “balletto” di girls, che con cambi di costumi introduce i vari numeri, ma soprattutto gli spettacoli e i quadri a tema, con fondali dipinti e accessori scenografati (nello stile diffuso al circo da Castilla, Krone, Ringling negli anni ’60). Questo avviene in una curiosa ibridazione col modello del circo/ippodromo a più piste e del gigantismo americano-tedesco. Nel 1969 debuttano in un solo anno gli spettacoli più creativi nella storia del circo italiano del Novecento: il Circo Americano dei Togni crea una nuova produzione con ricchi costumi e tableaux; i fratelli Liana, Nando e Rinaldo Orfei inaugurano il Circorama con proiezioni legate a coreografie su tre piste; Darix Togni ripropone il Circo nell’Acqua che, come negli stabili di fine secolo e già molti tendoni europei, nella seconda parte ripropone la pantomima con la pista mutata in vasca; Moira Orfei sotto un tendone imponente affianca la pista del circo a quella dei pattinatori con il Circus on Ice, che fa ricorso a grandi specialisti internazionali di un genere in piena moda4. I cast di questi circhi sono competitivi con i grandi music hall internazionali; i bozzettisti dei manifesti e i press-agent sono gli stessi del cinema; le strutture eleganti e confortevoli. Il pubblico accorre a fiumi. Negli anni in cui in Italia la ricerca rende “difficile” il teatro, il circo dei primi anni ’70 è il solo grande spettacolo popolare per tutte le età, preparando quel mercato che negli anni ’80 vedrà in Italia l’emergere del musical di massa. Ciascuno di questi circhi è rinnovato interamente ogni due-tre anni. Scriveva Bassano: «Al Circo - lo si

Locandina per il circo dei fratelli Orfei, 1973. Bozzetto di R. Casaro (coll. dell’autore)

317

La famiglia di Cesare Togni nelle “piramidi equestri” (1971)

318

dimostra chiaramente - è suonata una potente sveglia: è scoccata l’ora di escogitare nuove formule di spettacolo, di rinverdire la vecchia tradizione senza devastarla e soprattutto senza seppellirla. Da troppi anni, ormai, i programmi si susseguivano con una monotonia piuttosto pericolosa; da anni ed anni (e, purtroppo, particolarmente in Italia), i lineamenti dello spettacolo circense non venivano rispolverati, rinnovati, riscossi dal letargo in cui l’esistenza del Circo aveva tutti i pericolosi segni della fossilizzazione»5. Gli operatori del mercato internazionale accorrono stupiti in Italia: nel settore, Orfei e Togni sono nomi che si diffondono con lo stesso prestigio del Moulin Rouge o del Ringling-Barnum. Con lo stesso sfarzo i fratelli Casartelli rilevano il nome Circo Medrano (1972), Enis Togni crea il “Circo de Mexico” (1971), e Livio Togni inaugura il Jumbo Super Circus (1974), mentre Riccardo Canestrelli dà vita all’imponente circo a tre piste Royal (1967-1971). L’apice è toccato nel 1973, quando i fratelli Orfei danno vita per un paio d’anni al Circo delle Mille e Una Notte. È questa una produzione che impiega duecento costumi di Danilo Donati realizzati dal sarto Farani negli anni d’oro di Fellini e Pasolini; coreografie di un Gino Landi all’apice della tv e del teatro musicale; effetti speciali, attrazioni strappate a Las Vegas, venti elefanti e tre piste di cavalli; manifesti firmati da Renato Casaro, come già il Circo Americano dei Togni. L’“Americano” continua a collaborare con i creativi spagnoli di Castilla: la produzione 1972-1974, con un ricchissimo cast, resta di magnitudine ancora ineguagliata in Europa. Il solo circo di Cesare Togni sembra concentrarsi su un più intimo ed eccellente progetto di famiglia polivalente arricchita da grandi attrazioni dell’Est: ed è tra i pochi a mantenere ferma un’identità di genere che, nonostante la miriade di invenzioni, sembra in realtà perduta. L’enormità delle ambiziose produzioni non può durare a lungo, e sembra seguire la parabola del benessere degli italiani. Infatti, con la crisi economica di metà anni ’70, la breve epoca d’oro finisce rapidamente. Nel 1976 i fratelli Orfei, dopo il breve ma brillante Circo delle Amazzoni (con la difficile ma riuscita scelta di un cast internazionale tutto al femminile) si dividono in due circhi. È l’anno in cui anche Walter Nones scinde il circo di Moira in due unità ridotte (una tradizionale, l’altra sul ghiaccio) e i Togni si ridimensionano chiudendo il Jumbo e il Circo nell’Acqua. Solo il più solido progetto del Circo Americano resterà ancora a lungo testimone degli anni del

kolossal. Ma per gli altri, c’è davanti la lenta decadenza degli anni ’80 che si accompagna anche agli anni di declino qualitativo del nostro cinema e della tv. Per i circhi italiani, si troverà nel mercato estero l’unica soluzione di sopravvivenza (cfr. 16.3). Ma l’identità del circo classico risulta alla fine corrotta. I circhi più piccoli cercano di emulare costumi e balletti con scarsi risultati, rendendo infine quasi dispregiativa la definizione di “circo-rivista”. Per quanto riguarda il resto dell’Europa, si è già accennato all’emergere di nuovi nomi sul mercato. Il caso più interessante è la breve ma intensa parabola francese di Jean Richard (1921-2002). Questi alla fine degli anni ’60 era un attore popolarissimo, grazie soprattutto alla serie tv di Maigret. Divorato da una passione per il circo e per le belve, diventa occasionalmente domatore fino a prestare il proprio nome a qualche tendone. Trasformatosi egli stesso in imprenditore di circo, per alcuni anni dà vita ad un’organizzazione di successo, che grazie alla carica innovativa e alla qualità dei programmi, diviene una delle spinte di rinascita del circo francese. Richard dal 1968 crea un circo ex-novo con installazioni confortevoli, nuove strategie pubblicitarie, sinergie continue col mondo della televisione. Stabilisce un impero che al suo apice, nel 1976, vanta quattro diversi tendoni itineranti, che, quando sostano a Parigi, scelgono luoghi emblematici (le Halles, le Tuileries, Clichy, la Villette), in una sorta di utopia di recupero della tradizione di grande circo urbano. Per gli spettacoli, il modello appare essere quello svizzero di Knie: programmi di attrazioni che, come una squadra di calcio, raccolgono le massime vedettes del circo mondiale in una semplice pista, senza fronzoli coreografici. Altri suoi spettacoli sfruttano, come gli italiani o gli americani, il crescente serbatoio di artisti dell’Est. L’impero di Richard determina una sorta di duopolio del mercato con i Bouglione, i quali nel ’73 con un secondo tendone hanno rilevato lo storico concorrente Amar. Emblematico di questa situazione è l’inedito accordo sulle tournées, che culmina nello storico spettacolo “unificato” che nel 1976 i gruppi Richard e Bouglione propongono in un tendone montato nel giardino delle Tuileries. Ma l’iniziativa, che negli anni delle prime avvisaglie di “nuovo circo” (cfr. 13.1) pare più una sorta di difesa identitaria, è anche indice di una crisi di proposte. L’impero Richard culmina in un’autentica bulimia imprenditoriale con troppi tendoni in viaggio, per poi crollare del tutto con un fallimento nel 1978 (cui segue l’effimera rinascita di un tendone nei primi anni ’80). Nel 1982, anche il glorioso tendone dei Bouglione si ferma per sempre: la dinastia preferisce concentrare i propri interessi economici sulla solidità del Cirque d’Hiver (che però resiste ancora pochi anni). Il circo francese diventa un deserto, negli anni in cui le istituzioni iniziano a interessarsene: paradossalmente, il fallimento di una celebrità come Jean Richard spinge il presidente Giscard in persona al primo

319

Jean Richard, dai panni di Maigret a quelli di domatore e produttore di grandi circhi negli anni ’70, è stato uno dei più influenti personaggi del circo francese del dopoguerra

320

intervento politico in favore del circo. Comunque tardivo: infatti, quando nel 1978 il Ministero della Cultura istitituisce un fondo specifico, il circo francese non esiste praticamente più. Il vantaggio è forse quello di ripartire da zero, ma in una serie di tentativi di strategie istituzionali, lunghi un ventennio, troppo irregolari ma efficaci (cfr. 16.4). Più lungimirante del governo francese era stato nel 1974 il principe Ranieri di Monaco istituendo il Festival International du Cirque nel Principato: un’iniziativa tesa a salvare il circo morente, che inizialmente trova pochissimi sostenitori nel settore. Non a caso il Principato si rivolge per l’organizzazione a Orfei e poi a Togni, che all’epoca erano al massimo del prestigio. Montecarlo, con le sue serate costellate di vip, diverrà rapidamente l’unico veicolo mondiale ad elevare il circo al prestigio delle altre forme dello spettacolo. L’immagine del principato consente il coinvolgimento della televisione americana e, negli anni ’80, la sua ufficialità e il suo prestigio saranno la chiave per l’apertura dei mercati russi e cinesi versi l’industria occidentale. 14.2 Saltatori bulgari e funamboli colombiani: il mercato delle “attrazioni” Negli anni ’70, le grandi dinastie acrobatiche ed equestri occidentali stavano vivendo la loro ultima stagione, ed il fenomeno delle nuove scuole è ancora lontano a venire (cfr. 15.2). Nel frattempo vi era un proliferare di

troupes-famiglie da due zone: l’Europa dell’Est (nelle acrobazie a terra) e l’America latina (in quelle aeree). Esse invadevano i tendoni europei e americani, in una situazione di quasi monopolio stilistico. Oltre a queste, qualche grande famiglia italiana o spagnola completavano un panorama senza dubbio da rinvigorire. Questo mentre i “blocchi” russo e cinese non aprivano ancora i loro artisti al mercato. Non essendoci più artisti in occidente, gli impresari degli anni ’70 ricorrono dunque a Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria (e Sudamerica per i trapezisti). Tra gli artisti di questi Paesi inizia una vera competizione nell’evoluzione delle tecniche, sebbene nel totale immobilismo estetico. La competizione ha motivi commerciali. Nei primi anni ’70 almeno una mezza dozzina di circhi europei (Knie, Orfei, Togni, Jean Richard, Krone) offre eccellenti contratti. Fondamentale è poi la posizione del Ringling-Barnum in America. Qui le due unità circensi di Feld hanno ciascuna tre piste, nelle quali ciascun display dello spettacolo triplica le troupes che si sfidano per davvero contemporaneamente, fianco a fianco. Spesso il rinnovo del contratto americano di un gruppo bulgaro può dipendere dal superamento degli exploit di colleghi polacchi. E poi arriva dal 1974 il Festival di Montecarlo, i cui premi conferiscono agli artisti un fondamentale valore di mercato. E tutto questo prima ancora che, negli anni ’90, lo sterminato serbatoio russo si apra al libero circuito. Se c’è una disciplina acrobatica che esplode negli anni ’70, è senza dubbio quella delle “bascule” (cfr. 13.7): diffusa già da un buon ventennio tra famiglie ungheresi, potenziata a Mosca, essa diventa ora quasi la base delle prime generazioni di allievi delle scuole di Stato dell’Est, tra le quali spicca quella bulgara. Per un buon ventennio si diffondono almeno una ventina di queste troupes, incentrate sulla famiglia un “capo” affiancato da “allievi” e qualche familiare. La prima a imporsi della nuova generazione è la troupe ungherese dei Faludi, ma poi saranno i bulgari a specializzarsi con exploit sempre più sofisticati: il doppio salto mortale di un atleta catapultato su una “colonna” di tre o anche quattro persone diventa la norma. Molti gruppi sono particolarmente numerosi (come i 14 Boitchanovi) ed i loro salti iniziano a costruire colonne umane “truccate” dall’uso di una pertica, ma non meno spettacolari: i Kehaiovi raggiungeranno una settima colonna6. Le bascule sono oggetto anche di curiose combinazioni, con salti in arrivo su globi ( i Sallai) o su monocicli (i Bertini), o sono usate da eleganti coppie come propulsione per equilibri in verticale (i Kristof). Alcuni gruppi bulgari accolgono la tradizione sovietica dell’“altalena russa”, con voli altissimi (Petrovi, Borissovi, Pendakovi, Ferkos). L’altra grande disciplina dell’Est che diventa di moda negli anni ’70, è quella degli equilibri su pertiche. Dalla sua antica origine giapponese, passando per Mosca anche questo genere diventa una prerogativa di Sofia,

321

I Silagis, saltatori bulgari con le “bascule”. Ringling bros. Circus, Madison Square Garden, 1978 (coll. dell’autore)

322

Praga o Varsavia, con porteurs dalla forza formidabile che sostengono sulla loro fronte gli equilibri di acrobati. La novità più sensazionale è quella introdotta dal duo Dobritch, in cui il porteur con la pertica in fronte (e la partner in cima) si arrampicava a sua volta su un palo fisso (esercizio ripreso poi dai Sibera). Varianti di successo con le pertiche sono state la troupe tutta al femminile delle Stauberti o quella folkloristica dei messicani Kailicoa. In seguito i polacchi Zalewski e gli ungheresi Kristof migliorano lo stile. Le tournées dei circhi di Mosca esaltano al massimo i numeri di pertiche, con troupes numerose, varianti complicatissime, altezze inverosimili lasciando almeno un ricordo memorabile: la troupe di Leonid Kostiuk, con salti mortali tra le pertiche poste sulla fronte dei singoli porteurs. La vera grande novità di questi anni è però la “barra russa” in fibra di 7 vetro . Nonostante il nome d’origine (i russi sono tra i primi a divulgarla) la prima vera scuola è polacca: la rivelazione è nel 1968 con i Dymek, al circo Ringling, capaci di doppi salti mortali, cui seguono il quartetto di Lydia Koziak, e i bulgari Metcharovi. I primi in occidente a tentare tali esercizi sono nel 1978 Franco Knie e Gaston Hani col giovane Willer Nicolodi. L’acrobazia “di spalla”, tipica della tradizione italiana, a Mosca si fonde con il volteggio ginnico dando risultati eccezionali, con le grandi troupes (Zapachny, Chemchour) che saranno la base per la scuola ucraina degli anni ’90. Una di loro, gli Oceanos (Olchevnikov), inventa la stupenda pièce acrobaticocoreografica Troika Russa con alcuni degli atleti in equilibrio precario su una slitta in movimento trainata da cavalli, idea all’origine di parecchie varianti. Negli Usa, per la prima volta artisti di colore hanno la dignità della pista del circo: è il caso degli originalissimi King Charles (versione sui monocicli dei cestisti Harlem Globetrotters) o dei Backstreet Flyers, formatisi alla scuola del Big Apple. E le famiglie di acrobati occidentali? Solo alcune famiglie italiane sopravvivono, con buone carriere internazionali: chi nell’acrobazia “di spalla” senza accessori (i Nicolodi, Rossetti, Macaggi), chi con le bascule (Huesca), con le biciclette (Bogino, Biasini), o sul trampolino elastico, come le famiglie Fornasari e Canestrelli, emigrate in America. Resta alla storia in questo campo Marco Canestrelli, capace nel 1976 di un quadruplo salto mortale o di una settupla piroetta. Nel campo dell’acrobazia equestre, pochissime sono le famiglie che mantengono la gloriosa tradizione di piramidi umane e salti mortali a cavallo, quasi tutte italiane: per i Zamperla, Caveagna e i mitici Caroli è sempre più costoso farsi scritturare con famiglie numerose, cavalli e veicoli al seguito. Anche in questo campo emergono alcuni validi gruppi dell’Est (Richter, Romanovi, Slavovi) o artisti sovietici (Sarvat Begbudi, ancora gli Zapachny).

323

I contorsionisti statunitensi Archie e Diana Bennett, tra le maggiori vedettes mondiali degli anni ’70, visti in Italia grazie a Liana Orfei

324

Saranno presto i Grüss, con la loro visione accademica del circo, a preservare l’acrobazia equestre nel XX° secolo (cfr. 15.4, 16.9). Nell’arte acrobatica degli anni ’70 tornano in voga anche le coppie con gli esercizi “mano a mano”: incrocio tra le doti di equilibrio e forza. Soprattutto nei music-hall, spiccano i fratelli Yong, i bulgari Sinekos e gli sconcertanti Archie e Diana Bennett, acrobati-contorsionisti. In seguito si afferma la numerosa famiglia portoghese Lorador: prima con le Alexis sisters e poi con gli Alexis bros. In molti circhi e varietà, il vecchio numero delle “statue d’oro” offre occasioni coreografiche, con gruppi (Victorias, Olympias) che suscitano autentiche ovazioni, tali da essere posti in chiusura dei programmi. È poi questo un periodo in cui si stabiliscono i codici di un contorsionismo occidentale, con una “scuola” iberica sulla scia dello stile di Fatima Zohra. Nasce anche la moda di “dislocatori”/yogi, come Rocky Randall, Klemendor o Coudoux che si fanno rinchiudere in un cubo di plexiglas. Ma la grande esplosione acrobatica degli anni ’70, oltre a quella citata delle “bascule”, si ha nell’aria con il trapezio volante. Tre sono le scuole che si affermano. Una, la più effimera e modesta, è quella sudafricana, frutto del lavoro dell’atleta coreografo Keith Anderson, che aveva creato il circo-scuola Osler. Le troupes da lui sfornate (come gli Star Lords o gli Oslers) sono numerose e a basso costo, ma di scarsa qualità stilistica. Ben più valida, ma anch’essa di breve durata, è la ripresa di una scuola italiana di trapezisti grazie alle varie troupes della famiglia Jarz. Se non riescono a spiccare per il “triplo” (benché Ketty Jarz sia stata una delle prime due donne al mondo a compierlo), questi atleti rimarranno nella storia per lo stile delle loro piroette di “ritorno” dal trapezio alle mani del porteur: come la tripla o quadrupla di Enzo Cardona e Luciano Jarz. Più ampio e durevole è il fenomeno delle numerosissime famiglie di uomini volanti che giungono da Messico, Colombia, Ecuador, Brasile. Per alcuni anni il più grande trapezista del mondo è considerato Tito Gaona (ormai l’erede storico di Codona). Il suo triplo attorno al ’78 è

eguagliato da due giovani prodigi come Raul Jimenez o Rafael Palacios: tra i primi a far pensare seriamente alla possibilità di un quadruplo. Queste troupes, oltre che per la loro qualità atletica, si distinguono per la vivacità coreografica e la carica di gioiosa spontaneità. In un programma europeo o americano, lo sventolare di mantelli intarsiati di pietre e lustrini, i sombreros, le belle donne latine e le marce da corrida sono un efficace contraltare al più freddo folklore dei composti saltatori dell’Est. Di queste troupes, la più ricca e prolifica è senza dubbio quella dei Farfans con la vedette Don Martinez8. Il Sudamerica contribisce al rinnovo di un’altra disciplina aerea: quella dei funamboli a grande altezza. Al colombiano Pedro Carillo sr si deve molto l’enfasi sulla velocità e la pericolosità di esercizi in coppia (nello stile degli statunitensi Mendez e Seitz): come i temerari salti di un funambolo sull’altro, (seguiti in questo dai fratelli Farell). Altri funamboli europei continuano per qualche anno negli esercizi più statici o nelle traversate di scuola “tedesca”: come Manfred Doval, i Diavoli Bianchi con le piramidi sul filo in bicicletta, o il clownfunambolo Pio Nock che attraversa dall’alto la gabbia dei leoni. Ma il vero fenomeno è senza dubbio l’artista di strada Philippe Petit (n. 1951). Solo marginale al mercato circense, si fa notare per le sue installazioni clandestine in tutto il mondo (dalle torri di Notre-Dame alle Cascate del Niagara), tra cui un’impresa unica nella storia: la traversata improvvisa, nel 1974, delle Twin Towers di Mahanttan non ancora inaugurate, con mesi di preparazione delle attrezzature in completa clandestinità e in totale segreto. Tutt’altra evoluzione avviene tra i funamboli sovietici. Le tradizioni di Daghestan o Tajikistan si fondono ormai con le tecniche dei maestri di acrobazia ed equilibrismo della scuola di Mosca. Il funambolismo diventa qui una cosa completamente diversa: una lenta serie di esercizi fatti di equilibri impossibili, in cui rischio e suspence sono totalmente cancellati dall’uso dichiarato di cavi di sicurezza, per poter concentrare i movimenti su un estetismo vicino alla danza. Emblematico il caso della troupe di Vladimir Voljanski, che nel 1977 allo Studio di Mosca crea il “poema aereo” Prometeo, vera e propria pantomima acrobatica di quarantacinque minuti. È una reale fusione di varie arti e tecniche che resta come uno dei grandi capolavori dell’intera storia del circo, per certi versi la prima tappa del poi abusato concetto di nouveau cirque. In occidente, suspence e pericolo attraggono ancora, anche con splendidi solisti al trapezio. Dalle oscillazioni in piedi di Gerard Edon o Rosa Maria Segura sul trapezio washington, alla nuova tendenza di questi anni: i solisti mozzafiato al trapezio singolo, con le “prese” nel vuoto ai talloni. Dopo un caposcuola come Gerard Soules, nel 1970 debutta al Ringling Elvin Bale. Figlio di un domatore, diverrà una delle poche vere vedettes del circo moderno: chioma bionda e calzamaglia bianca, per oltre un decennio farà

325

Il trapezista Elvin Bale (1976 ca.)

326

trattenere il fiato nei grandi palasport americani, e nel 1982 monta il suo trapezio in Vaticano nella Sala Nervi, dinanzi al Papa. Negli anni ’70 di Guerre stellari e di Superman, Ringling aveva trasformato Bale in un supereroe del circo: con lo slogan di «conquistador of the cosmos», Bale di anno in anno si fa sparare da un missile, “doma” un mostro meccanico; dal 1976 divulga una delle poche invenzioni di fine secolo: l’enorme “ruota della morte” (creata negli anni ’50 e poi diffusa nei parchi d’attrazione dal duo Leigh), con pericolosi salti ed equilibri. Dalla Spagna, gli anni ’70 rivelano tutta una generazione di danzatori sul filo “basso”, con famiglie come Segura, Tonitos o Munoz. In particolare, Luis Munoz è un sicuro erede del grande Colleano, anche lui in tenuta da toreador: nel 1977 resta leggendario il suo salto mortale sul filo a corpo disteso.

Gli acrobati icariani conoscono un periodo di declino (un rilancio avverrà dopo il 2000), eccezion fatta per il duo Rios, a lungo stelle del Lido di Parigi con salti e piroette, e qualità di showmen. Il music-hall sviluppa negli anni ’70 la doppia polarità tra Parigi e Las Vegas, con attrazioni che provengono comunque dal mondo del circo: come gli antipodisti-showmen Castors, gli equilibristi Tito Reyes e Little John. Poi i sempre numerosi giocolieri: tra loro, la rivelazione del momento è Kris Kremo (n. 1951): in un perfetto equilibrio tra humor e tecnica, diventa l’icona inarrivabile del giocoliere con cappelli a cilindro, ed entra nel Guinness dei primati: è infatti capace di girare su sé stesso tre volte, mentre una scatola di sigari rimane sospesa nel vuoto. Ma fa sensazione anche Dick Franco, che lancia in aria persino motoseghe. Anche la scuola di Mosca esalta l’arte del giocoliere: nel 1974 Sergei Ignatov è il primo al mondo a mantenere in aria sette palline e poi undici cerchi, in un’estetizzazione che usa la lievità di Bach come colonna sonora. Negli stessi anni emerge negli Usa un personaggio influente seppur esterno al circo classico: Michael Moschen (n. 1954), padre della giocoleria concettuale che si lega alla rinascita del mimo contemporaneo. Al di fuori del circo classico, Moschen è più affine all’avanguardia delle arti plastiche e della musica contemporanea. È dalle sue sperimentazioni che nasce il poi diffuso genere del contact juggling, con le sfere di cristallo che scivolano lungo il corpo. 14.3 La “morte” del clown e la gloria dei domatori Federico Fellini nel 1972 decreta ne I Clowns la “morte” del clown. Nel 1978 e 1979, i due episodi della trasmissione per la tv svedese Clowns (forse la più bella mai realizzata sul circo) sembrano il canto del cigno del clown classico, riunendo in una sorta di catalogo tutte le glorie mondiali dell’arte clownesca nel circo stabile di Stoccolma (che sta per chiudere i battenti): da Charlie Rivel a Pio Nock, dai Rastelli a George Carl, dai Pompoff a Fattini, della decina di protagonisti difficilmente qualcuno ha meno di settant’anni di età. Nello stesso anno, il popolarissimo clown italo-inglese Charlie Cairoli va in pensione. Come nel caso dell’acrobazia, più che di morte si tratta semplicemente della fine di una generazione senza ricambio. La nuova clownerie d’avanguardia che emerge negli anni ’70 confluirà sulle piste commerciali solo dopo un decennio (cfr. cap. 15 e 16.2). Per il momento, permane senza convinzione il modello morente dell’“entrata”, lo sketch clownesco-musicale invariato da quando negli anni ’10 fu codificato dai Fratellini. Questo tipo di comicità conosce un successo strepitoso nella penisola iberica: in Spagna e Portogallo il pubblico accorre ad applaudire decine e decine di gruppi clowneschi di circhi grandi e piccoli. Sotto i tendoni europei, l’“entrata” continua con famiglie di antica tradizione, in gene-

327

George Carl. Circo Knie, Svizzera, 1983 (foto F. Bollmann)

328

re figli di celebrità: Caroli, Chabri jr Rivels jr, Bario jr, Llata jr). Tra questi si afferma il leggendario gruppo italiano dei Rastelli. Acrobati al trampolino e cascatori comici, negli anni ’60 lavorano con “Holiday on Ice” e grandi riviste. A contatto con i creativi di questi spettacoli, danno vita a un numero musicale che rinnova il genere dei Fratellini, portato verso una rarefazione in cui la parola scompare completamente. Il loro numero si basa sulla comicità di orchestrespettacolo del dopoguerra come quella di Spike Jones. Il linguaggio clownesco è così notevolmente rinnovato, strizzando l’occhio alle gag visive e rapide tipiche del cartoon, ma in qualche modo ispirate anche, inconsciamente, all’incomunicabilità del tempo, con personaggi che si sfiorano in modo surreale, incontrandosi solo per far esplodere pianoforti o dare vita a fanfare. Il successo dei Rastelli è un modello per tante famiglie di ex-acrobati per riconvertire intere dinastie ad un genere forse meno faticoso, a volte con accettabili risultati9. La comicità dei clowns anni ’70, se caratterizzata da virtuosismo, è sempre più staccata dalla quotidianità. L’umorismo è desueto, datato a prima ancora del cinema. La ripetizione di gags e maschere non si basa sugli influssi della società ma su una ormai insensata trasmissione familiare, in un’epoca invece intensissima per pulsioni artistiche e sociali. Sono famiglie in cui spesso, se il padre è un buon solista di vecchia scuola, forgiato all’avanspettacolo o alle farse, figli e nipoti non sempre reggono la responsabilità di secondo comico o di spalla classica. La forma più attuale e brillante di comicità dal vivo degli anni ’70 si ha ancora tra gli eccentrici da music-hall: il leggendario “non mago” McRooney, Ray Dondy, l’esilarante partita di badminton di Hugh Forgie, Jean Lemoine con i piatti rotanti, Johnny Martin col suo cane, il fantasista Alfredo. Ma soprattutto la leggenda George Carl (1916-2000): l’omino impigliato per venti minuti nel filo del microfono, vero erede di Grock. Questa dei “fantasisti” sembra per il momento l’unica novità nell’arte clownesca del mercato circense. Se si deve aspettare la maturità della clownerie di strada, una fonte di nuova linfa emerge con il Ringling Clown College, la scuola fondata nel ’68 da Feld per foraggiare il bisogno di clowns del gigante americano, ma da

subito un punto di partenza anche per avventurieri dello spettacolo di strada e del nuovo teatro (cfr. 15.2). Vi è poi la scuola sovietica: la generazione successiva ad Enguibarov, Popov e Karandash è numerosissima. Se la carica satirica dei “padri” è ormai estinta, si ereditano il binomio tra qualità acrobatiche e preparazione mimica (Andrei Nicolaiev), e la tendenza post-chapliniana alle gags “poetiche” (Anatoli Marchevski). Alcuni continuano la tradizione dell’impiego di piccoli animali, come nel caso di Yuri Kuklatchev. Ma il clown russo, se rimane acrobatico e fortemente ironico, diventa stereotipo perdendo la carica realmente “comica”. Il suo ruolo storico è semmai un altro: e cioè l’esempio di perfetta funzionalità nella dinamica di un intero spettacolo, introducendo la nozione di personaggio a fare da fil rouge, in una versione contemporanea dell’antico augusto. Campo in cui invece gli anni ’70 sono un periodo di evoluzione è quello della presentazione di animali: si passa gradualmente dall’estetica della sottomissione a quella della pacifica complicità tra uomo e animale, pur continuando a spettacolarizzare l’esotismo e, in qualche caso, la ferocia. Nel caso dell’arte equestre, l’ultimo protagonista della vecchia generazione è Alexis Grüss sr, che resta nella storia per la sua tecnica di comando dei cavalli a distanza o per la leggendaria cabriole alle redini. Per quel che riguarda i gruppi di cavalli, un ruolo dominante è assunto in questi anni dal circo svizzero Knie. Fredy Knie jr (n. 1946) affianca ormai il padre creando di anno in anno un enorme e sofisticato repertorio di quadri equestri. Fondamentale è anche il suo ruolo nella presentazione estetica. Come già gli Schumann, rilancia i cavalli “nudi” senza finimenti, lasciati liberi in pista con moderni effetti di fumo e luce, passando dalle marce militari ad atmosfere poetiche o da musical. Come Knie jr, Katja Schumann e il giovane Alexis Grüss jr (cfr. 15.4) sono gli unici a rinnovare le messinscene dei gruppi di cavalli con una concezione teatrale, tra giochi di luce e partiture musicali organizzate in medleys a tema. In forma più tradizionale, tutti i circhi degli anni ’70 e ’80 hanno grandi gruppi di cavalli. Restano memorabili quelli di Carl e poi Christel Sembach al circo Krone; o al Circo Americano, Bruno Togni (1931-1988) con tre gruppi di cavalli su tre piste, in una delle più memorabili presentazioni equestri della storia del circo. Non vanno dimenticati Anita e Nando Orfei, Emilien Bouglione, i fratelli Althoff in Germania; in America Gunther Gebel al Ringling-Barnum. In Russia, si affermano l’imponente gruppo di cavalli di Alexei Sokolov e le bellissime presentazioni equestri del virtuoso Iuri Ermolaev, memori della scuola fin de siécle. I più importanti circhi europei e americani riescono ancora a mantenere grandi gruppi di elefanti: Ringling, Althoff, Krone, Orfei, Togni, Knie ne hanno oltre una decina ciascuno. Se Rolf Knie resta leader nelle tecniche di

329

Pablo Noel al Circo Americano. 1975. (coll. dell’autore)

330

addestramento (seguito dal figlio Louis), Gunther Gebel diventa il re degli elefanti nelle arene americane, e nel 1976 emerge il sedicenne Flavio Togni (n.1960) che darà un nuovo stile nella velocità delle presentazioni. A Mosca Anatoli Kornilov lancia la sontuosa produzione Elefanti e ballerine. È alla metà degli anni ’70 che si inizia anche ad addestrare in modo completo equidi o pachidermi esotici, da sempre relegati solo ai recinti e ai carri dello zoo viaggiante. Fino ad ora impiegati nelle sfilate, cammelli, zebre, bovidi esotici o lama, raramente erano addestrati in veri numeri, e già dagli anni ’50 potevano apparire occasionalmente un ippopotamo o una giraffa per rapidi passaggi in pista (come nel caso di Chipperfield o Krone). Gradualmente, si vedono tentativi di addestramento in evoluzioni: Knie o Schumann ad esempio si erano già distinti per ammaestrare gruppi di zebre. Nel 1968 Frédy Knie

jr addestra per la prima volta al mondo a semplici evoluzioni un rinoceronte10; nel ’76 poi lo presenta insieme ad una giraffa (e poi nel 1972 con una tigre). Gradualmente i circhi iniziano a dotarsi dei “gruppi esotici” realmente addestrati, con due grandi scuole: quella svizzero-tedesca, che ha una prima espressione con i gruppi di animali creati da Sacha Houcke per i circhi Knie e BarumSiemoneit; e quella inglese, con gli addestratori Smith o Mc Manus al Medrano-Casartelli, circo che introduce in Italia la presentazione di giraffe, rinoceronte, zebre e altri esemplari in uno stesso numero, seppur ancora più o meno alternati in una sfilata. Gunther Gebel e Louis Knie (n. 1951) rilanciano poi le esibizioni di elefanti cavalcati da tigri. Questa tendenza ispira a Mosca Mitislav Zapachny (n. 1938), uno dei più versatili uomini di circo del ’900, che nel ’77, ispirandosi ai colleghi occidentali, lancia un nuovo numero: Elefanti e tigri, in cui quattro felini e due pachidermi lavorano assieme in pista con una complicità possibile solo nei cartoni animati. Nella gabbia centale vanno ancora di moda i gruppi di leoni: Dick Chipperfield, Wolfgang Holzmair e Pablo Noel hanno gruppi di oltre venti belve e sono grandi showmen. In Italia si afferma Walter Nones, marito di Moira Orfei: alle proprie eccezionali doti di manager aggiunge un talento di domatore di leoni, ancora oggi ineguagliato per carisma teatrale, capacità e senso del rischio. Imponente è in Unione Sovietica il gruppo di leoni di Walter Zapachny, e sofisticata la presentazione di leoni e tigri di Ludmila e Walter Schevchenko. È invece nella DDR che si afferma una esibizione memorabile: quella della minuscola Ursula Bottcher, circondata dai suoi undici orsi polari, presto una star mondiale, dagli Usa al Giappone. È uno dei numeri di animali più spettacolari mai presentati. Questi domatori europei sono scritturati puntualmente negli Usa, in una delle due unità del circo Ringling: l’altra è dominata dalla superstar Gunther Gebel. A lui, il più grande circo del mondo offre possibilità economiche pari solo a quelle dei circhi sovietici per rinnovare ogni due anni i numeri. Avrà così modo di presentare un gruppo fino a ventidue tigri (il più numeroso mai presentato), o uno storico numero “misto” di piccoli felini sul modello di Court (puma, pantere, leopardi), oltre a combinazioni tra cavalli, zebre, cammelli, etc.

331

15. IL

CIRCO LIBERATO

15.1 Il paradiso adesso: il ’68 e la riscoperta del circo Chiusi nelle fortezze di tela dai codici immutabili, al massimo ravvivati dalle paillettes delle girls, pur se restano il più grande spettacolo di massa dal vivo, i circhi di tutto il mondo sembrano fuori dal tempo nei decenni in cui i linguaggi artistici sono in discussione. Già nell’America degli anni ’50, mentre i grandi tendoni si estinguevano, la musica era stata rivoluzionata da John Cage, la pittura dalla pop art, il teatro dall’Actor’s Studio e dalla nascita di off Broadway, la danza da una decisiva rivoluzione. Il termine happening, introdotto da Allan Kaprow fin dal 1959, aveva cambiato per sempre il concetto di spettacolo: negli anni ’60 questo è messo in questione dal punto di vista del luogo, della partecipazione dello spettatore, del corpo fisico dell’esecutore, della relatività del testo scritto. Esperienze come la San Francisco Mime Troupe, il metacirco di trampoli e cartapesta del Bread and Puppet Theatre, o la riscoperta parigina dell’arte del mimo da parte della scuola Decroux sono negli anni ’60 le esperienze pionieristiche più affini a un’espressività e a pratiche di tipo circense. Altri influssi, negli anni della nuova danza americana, creano incroci tra il danzatore, il clown e l’acrobata: come i Mummenschanz, i Momix, Lindsay Kemp. Con le prime tournées europee del Living Theatre (col ciclone di Paradise Now) questi elementi confluiscono naturalmente nei movimenti sociali paralleli in varie parti dell’occidente. Il Maggio ’68 francese, il pacifismo americano negli anni del Vietnam, la generazione inglese del dopoBeatles, lo spettacolo italiano di protesta, l’euforia post-franchista spagnola e il sindacalismo degli artisti catalani, l’ecologismo dei collettivi artistici del Quebec, le pulsioni libertarie olandesi, la Svizzera, sono le culle storiche del “teatro di strada”. Libertà e festa sembrano le parole d’ordine di un’esigenza di teatralità ludica che conquista strade, parchi e piazze del mondo. Dai raduni musicali sulla scia di Woodstock all’esplosione di una nuova forma chiamata “festival”, alle fanfare urbane estemporanee, l’immaginario dei movimenti approda per natura ad una grande icona storica: il circo. Com’è accaduto anche nelle avanguardie del Novecento, la fisicità e l’immediatezza del circo all’alba degli anni ’70 sono ancora una volta le chiavi di reinvenzione del teatro: ma questa volta è il circo che, attraverso il teatro, rinnoverà il proprio linguaggio. Il primo punto in comune tra circo e teatro è negli anni ’70 un bisogno di sviluppo della fisicità: il concetto di training è diffuso da approcci al teatro come quelli di Grotowski e Barba, con

Part. da un manifesto a colori per Le Cirque Imaginaire di JeanBaptiste Thierrée e Victoria Chaplin. Seconda metà degli anni ‘70 ca. Coll. dell’autore

333

Il “Grand Magic Circus” negli anni ’70. Al centro, J. Savary. (Coll. dell’autore)

334

laboratori che sfociano nell’acrobatica o in forme di improvvisazione comica che presto generano il termine extra-circense di clownerie. Il clown circense, come la Commedia dell’Arte, la maschera o la marionetta, è tra i principali soggetti rivalutati. In America la storica rivista «The Drama Review» giunge nel 1974 a dedicare un numero alla riscoperta dello spettacolo popolare e circense e del suo rapporto con le avanguardie storiche1. In Europa, si pensi solo alla reinvenzione del clown in un “metodo” da parte di Jacques Lecoq, partner di Dario Fo che a sua volta avvia un fortunato percorso critico sulla maschera; alle varie versioni dell’Arlecchino di Giorgio Strehler col suo Goldoni rivissuto con gli occhi di una troupe ambulante. Oppure si ricordi l’impiego dei circensi Colombaioni da parte sia di Fo che di Barba, già alla fine dei ’60; e ancora la confluenza, operata da Ariane Mnouckine, tra essenzialità di circo, Commedia dell’Arte e teatri orientali. Mentre il circo si dibatte nella crisi, o tenta di uscirne diventando music-hall, le sue tecniche e il suo immaginario nutrono tante esperienze teatrali. Date esemplari: Mistero buffo di Fo (1969), Les Clowns di Mnouckine

(1970), la rottura di Brook con il teatro classico attraverso la rivisitazione circense del Sogno scespiriano (1970), I Clowns di Fellini (1972). Ma questi esempi sembrano solo il puntuale ricorso storico del rapporto tra circo e avanguardie. In realtà, la vera novità dell’epoca sarà la riflessione innovativa sul circo stesso, sulle possibilità autonome delle discipline acrobatiche oltre il contesto della trasmissione dinastica e dell’industria circense definita. Nei primi anni ’70 dal mondo teatrale si stacca una serie di iniziatori che, con gruppi e filiazioni, formeranno tra gli anni ’70 e gli ’80 la genealogia di un nuovo genere vero e proprio dello spettacolo dal vivo2. Se c’è una troupe con un ruolo pionieristico è dal 1969 il francese Grand Magic Circus et ses Animaux Tristes, vero nucleo ispiratore verso il passaggio dal circo come linguaggio teatrale a una possibilità pura di circo “nuovo”. Nata dalla formazione tardo-surrealistica di Jerôme Savary, questa troupe è la prima a usare il termine “circo”, e ad avvicinarne l’immaginario e le tecniche verso un ruolo di derisione o di parodia sociale. La chiave è il contrasto tra la gioiosa spontaneità fisica del circo e il dramma dell’uomo “sociale” prigioniero delle convenzioni: «L’animale triste è l’uomo, poiché ha perduto la sua animalità» [SAVARY]. Nel “Magic Circus” confluiscono i coriandoli del carnevale, la musica dal vivo, il trucco violento dei clowns, l’esotismo da mille e una notte, la cultura del fumetto di cui Savary è parte. La drammaturgia delle sue storie è circense nella struttura a numeri; gli interpreti usano seriamente tecniche di acrobati, fachiri o giocolieri, allenandosi presso vecchi circensi nelle scuderie del Cirque d’Hiver. Del “Magic” è dirompente il ruolo di provocazione che ha la parola “circo”, usata con valori nuovi innestati sulle convenzioni: la nudità liberatoria può convivere con lo spettacolo per famiglie; gli animali “tristi” di pezza con quelli veri; la satira politica con la comicità ingenua. Per la prima volta, il circo può essere altro. I tour mondiali del “Magic Circus” per oltre un decennio, formeranno molti tra i primi protagonisti e le vocazioni del rinnovamento circense. Da questa e da altre esperienze, nascono infatti le prime troupes che gradualmente si concentrano sulle tecniche circensi non come supporto del rinnovamento teatrale, ma come oggetto stesso dei loro spettacoli. Tra i gruppi maggiormente debitori dell’esperienza metacircense di Savary ci sono senza dubbio i catalani Comedians (attivi dal 1972 e per un periodo popolari in Italia) e più tardi La Fura del Baus (1979), solo in seguito passati al loro celebre teatro urbano multimediale [JANÈ-MINGUET ’05, JANÈ ’01]. Ma soprattutto alcuni componenti stessi del “Magic” fondano le prime compagnie vere e proprie di circo “nuovo”: come Christian Taguet, che con il gruppo Puit aux Images (1973) crea la fucina di una parte del cosiddetto nouveau cirque degli anni ’80; o Jules Cordiére, il cui Palais des Merveilles (1971) è una

335

Lo svizzero Dimitri, tra i pionieri del “mimo-clown” e della pedagogia del circo contemporaneo

336

sorta primo di catalogo vivente del nascente “teatro di strada”. Sono gruppi che proliferano sull’onda delle nuove politiche francesi e spagnole di “animazione culturale”, nel nuovo dibattito sull’urbanistica e sull’architettura sociale della piazza (si pensi al Beaubourg parigino, o alle strategie di decentramento). La parola “circo” è sempre più usata da quelli che, seppur nell’area della controcultura, iniziano ormai a porsi come spettacoli circensi veri e propri, all’aria aperta o sotto un tendone. All’alba dei ’70 vedono la luce il “femminista” Cirque de Barbarie; il Cirque Bonjour di JeanBaptiste Thierrée e Victoria Chaplin (1971); in Belgio il Cirque du Trottoir (il cui regista è dal 1972 Franco Dragone). E poi c’è la riscoperta dell’itineranza ancestrale: con il Cirque Bidon dalla Francia all’Italia (dal 1974, per iniziativa del’ex agricoltore Paul Roleau) o i primi passi del Theatre Emporté (culla di Zingaro) tra Francia e Spagna; fino al Pickle Circus in California (1974); il Circus Oz in Australia (1978), il Circ Semola in Catalogna (1978). E, nel Quebec, Les Echassier de la Baie St. Paul (1979), prima cellula del Cirque du Soleil ideata da Gilles St. Croix (cfr. 16.6). Nella Manhattan dei primi anni ’70, nasce un gruppo di figure carismatiche ed estreme del primo teatro di strada, con performances provocatorie che vogliono recuperare l’essenza creativa e sociale dell’atto circense: come il funambolo Philippe Petit, con la folle traversata “clandestina” sul filo tra le Twin Towers; o gli interventi muti del prestigiatore-mimo Jeff Sheridan a Central Park. Si può parlare di una vera e propria “prima generazione” planetaria di quello che sarà il “nuovo circo”. In Italia, l’avvicinamento al circo resta confinato nell’esperienza puramente teatrale, o al massimo del nuovo spettacolo di strada. Domina il concetto di animazione urbana con esperienze come quelle di Giuliano Scabia e dell’Odin Teatret, e anche il teatro ufficiale si apre alla strada (l’Orlando ronconiano per tutti), le tournées dei maestri francesi e catalani generano esperienze locali: come il Teatro Tascabile di Bergamo, o a Milano Quellidigrock, a Bologna i corsi dell’allieva di Lecoq, Alessandra Galante-Garrone; o i collettivi dei primi allievi del Dams, come il gruppo Melquiades da cui usciranno le esperienze diverse del teatro urbano di Valerio Festi e del teatro-circo minimalista di Bustric. Per non citare il Festival di Santarcangelo, tra i primi grandi laboratori europei del nuovo spettacolo di piazza (sul modello di Edimburgo o Avignone), o le multiple esperienze di Pontedera.

In tutto il mondo le nuove troupes, come nell’antica tradizione circense, della Commedia dell’Arte, o del teatro orientale, diventano allo stesso tempo nuclei di creazione e formazione. Questa tendenza si manifesta soprattutto nella riscoperta non circense del clown, come icona di trasgressione sociale ma anche come dispositivo provocatorio di coinvolgimento dello spettatore in un ruolo attivo. L’esperienza più dirompente è forse quella di Jango Edwards, che crea dal 1971 in Europa il suo Friends Roadshow, diventando per la comicità quello che erano i “papi” del rock ‘n roll, al grido di «clown power»: i suoi enormi Festivals of Fools raduneranno adepti a migliaia dall’Olanda al Mediterraneo. Vi sono poi le schiere di allievi-artisti usciti dai centri parigini di Marceau e Decroux prima e poi Lecoq; o quelli che iniziano a formarsi presso vari transfughi del circo, quali i Colombaioni o Leo Bassi. All’incrocio tra tutte queste influenze, il clown extra-circense, nella sua attuazione pratica, nasce con Pierre Byland, Johnny Melville, Polivka, Yves Lebreton, Les Clowns du Prato, i Pigeon Drops, Tortell Poltrona, gli americani del Pickle, il più classico Dimitri. I loro riferimenti sono le immagini del mondo contemporaneo, il teatro di ricerca, ma anche i maestri del cinema muto e del clown circense del passato. Dai primi anni ’70 è in atto un fertilissimo dibattito vivente sulla cultura e sull’attualità della comicità universale e non verbale, prima appannaggio dei clowns del circo. Il lavoro di questi “eretici” è in chiara opposizione verso “il circo”. Ricambiati con reciproca diffidenza dal mondo circense, questi artisti hanno spesso talento, e il loro mercato si limita ai festival e al lavoro in strada: ma negli anni ’80, dopo aver affinato le loro tecniche col pubblico di piazza, approderanno nelle piste classiche salvando da una sicura estinzione il clown tradizionale (cfr. 16.1). 15.2 Dalla rivoluzione all’accademismo: il problema della formazione circense Negli anni ’70, la riscoperta del ruolo formativo della troupe, il principio di training che spazia dal “terzo teatro” a radici come la Commedia dell’Arte o i teatri orientali, pongono un problema al centro della rivoluzione dello spettacolo: la formazione. Gli innovatori circensi della controcultura preferiscono le t-shirts colorate ai lustrini degli acrobati e le pasticciate truccature carnevalesche alle maschere perfette dei clowns; cercano creatività nella presentazione degli exploit circensi; ma non hanno gli strumenti per far evolvere le tecniche acrobatiche in declino. Mentre le prime tournées di russi e cinesi mostrano gli straordinari risultati delle scuole di circo, i circensi occidentali vedono sparire le loro generazio-

337

La prima scuola occidentale di circo di Sylvia Monfort e Alexis Grüss. Parigi, 1974

338

ni sotto le incombenze dei problemi pratici sempre più gravosi. L’unica soluzione di sopravvivenza dei circhi, dall’Italia agli Usa, sembra l’ingaggio di numeri dell’Est, ricchi di exploits ma spesso anonimi e asettici. Sia i circensi di tradizione che le nuove troupes hanno sete di artisti e tecniche. Si è spesso sostenuto che la formazione circense occidentale nasca in Francia a metà degli anni ’70. In realtà in molti altri posti del mondo, seppur in modo occasionale, una pedagogia circense extra-familistica appare già consolidata. Ad esempio, il community circus era una tendenza formativa emersa in alcune università americane3. Programmi regolari di tecniche circensi erano usati per l’educazione fisica e artistica. Il fenomeno si diffonde in molte comunità anglosassoni, dall’Alberta (Australia) alla Scozia [ALBRECHT ’95, SUGARMAN]. Esistevano poi progetti sociali legati al recupero dell’infanzia abbandonata: come dal ’66 lo spagnolo Circo dos Muchachos di Padre Jesus Mendez de Silva, celebre per le sue tournées mondiali; la scuola acrobatica di Ali Hassani in Marocco; quella di numeri aerei Osler di Keith Anderson a Città del Capo, fondata nel ’75; la palestra aerea dell’ex trapezista Jean Palacy a Parigi, etc. Molte di queste realtà, tra dilettantismo e tempo libero, dai primi anni ’70 sono spesso capaci di immettere sul mercato internazionale artisti di alto livello. Nell’ambito di questa cultura della formazione, si muove un grande pioniere della pedagogia circense: Hovey Burgess, che dal 1966 introduce corsi di acrobazia e giocoleria alla New York University, prima di creare per alcuni anni una troupe di animazione nei parchi americani: Circo dell’Arte. Burgess era arrivato al circo folgorato da due esperienze: gli spettacoli del Circo di Mosca in America, e quelli teatrali di Grotowski. Egli diventa un “guru” del nascente movimento circense americano: in California diviene il primo insegnante del nucleo del Pickle Circus; in Florida sarà uno dei pilastri su cui prende vita il Ringling Clown College (cfr. 14.1). Questa scuola è creata da Irvin Feld nel ’68 per foraggiare il proprio circo, il più grande del mondo, con un esercito di clowns a paghe modeste. Ma fa sorprendentemente incontrare le esigenze del circo capitalistico con quelle della controcultura giovanile, alla ricerca di forme alternative di formazione: il Clown College

sarà la culla di alcune delle massime personalità del circo statunitense e del teatro contemporaneo. Nel frattempo a Mosca la formazione giunge alle sue realizzazioni massime: nel 1972 si apre lo “Studio di creazione” nella periferia della capitale. Passo successivo alla scuola, è un inedito laboratorio dove tecnologia, teatro e ginnastica si incontrano per la creazione di numeri lunghi ed elaborati, in alcuni casi veri e propri atti unici circensi. Tra le prime grandi rivelazioni vi sarà il poema aereo Prometeo (1976): per oltre quaranta minuti, il nucleo dei funamboli Voljanski rivive il grande mito attraverso una fusione di danza, musica sinfonica, pantomima, effetti speciali ed ogni tipo di acrobazia aerea (cfr. 14.2). In Cina si moltiplicano a centinaia gli artisti formati in scuole e troupes. In Occidente, l’esigenza di apprendimento è viva: se non tra i circensi puri, nell’ambito dei nuovi movimenti di strada. A Parigi, la troupe del Magic Circus si allena con i vecchi maestri del Cirque d’Hiver; altri si radunano nella Salle Dunoy o frequentano la palestra di Palacy. Ma la sensibilità e gli allarmi per la fine delle ultime generazioni di artisti arrivano da appassionati del circo classico provenienti da altre arti. Pierre Etaix (n. 1928) alla fine degli anni ’60 è tra i più brillanti registi del cinema francese. Allievo di Tati, frequenta da sempre gli artisti del circo e li impiega in molti film. Etaix si era sposato nel 1968 con Annie Fratellini (1932-1997), transfuga dalla propria famiglia circense e rivoltasi verso il jazz e la recitazione. Il regista la spinge di nuovo verso il circo, formando con lei un duo classico (clown bianco/donna “augusto”) per una tournée col circo Pinder. In questa esperienza, i due si accorgono effettivamente che gli artisti dei circhi sono tutti vecchi e che la formazione è un’urgenza: i giovani del circo sembrano scegliere il loro futuro per un’inconscia costrizione culturale, e non per ispirazione artistica. «Quando mi sono riavvicinata al circo, i figli della pista mancavano di convinzione. I genitori anche, pur senza accorgersene. Allora perché una scuola? Per permettere a dei giovani nati fuori del circo di apprendere e scoprire questo mestiere fuori norma. Rinnovare l’eredità con la libera scelta di un mestiere» [FRATELLINI ’89]. Nel 1972 la coppia deposita l’atto di fondazione della prima scuola di circo occidentale al mondo, che però impiegherà alcuni anni per vedere la luce: essi scoprono, infatti, che il circo non è riconosciuto come un’arte dagli interlocutori istituzionali. Nel frattempo la città di Parigi inizia a sviluppare progetti di animazione multidisciplinari. Direttrice del primo Centre d’Animation Culturel de la Ville de Paris è l’attrice e regista Silvia Monfort (1923-1991). L’artista nota che nel 1974 è il bicentenario dell’arrivo di Astley a Parigi, col primo circo eque-

339

Annie Fratellini e Pierre Etaix, 1976

340

stre sul continente. Organizza per l’occasione un’esposizione a cui pensa di legare uno spettacolo. Riesce a reperire un circo, quello della famiglia Grüss, ed entra in contatto con il giovane a cui stavano passando le redini di famiglia. È Alexis Grüss jr (n. 1944), destinato a diventare uno degli uomini di circo più importanti della storia recente. Grüss riesce alla meglio ad installare un tendone nel minuscolo cortile dell’Hotel Salé (oggi Museo Picasso). L’interesse mediatico e istituzionale spinge Alexis Grüss e Silvia Monfort verso lo sbocco forse logico di quella prima animazione urbana: una scuola di circo. Così, nell’ambito di un centro culturale che già accoglieva prosa, danza, mimo, jazz, sinfonica (un po’ come dal 1975 il Lincoln Center di New York), nell’ottobre 1974 nasce il Conservatoire National des Arts du Cirque et du Mime (cfr. 15.4, 16.2, 16.4). Solo poche settimane dopo, per pura coincidenza, Etaix e Fratellini riescono finalmente ad aprire la loro Ecole Nationale du Cirque sotto un minuscolo tendone, sempre a Parigi. Se la scuola di Monfort e Grüss avrà vita più breve (fino all’84), entrambe avranno decine di candidati ogni anno, perfezionando corsi in una vera e propria metodologia pedagogica, di molto debitrice ai sistemi dell’Est. Le due scuole parigine hanno il pregio di impiegare come istruttori artisti (in pensione o ancora operanti) delle più prestigiose dinastie franco-italiane del Novecento: oltre alle tecniche, essi trasmettono uno spirito antico di secoli. Per i giovani dell’avanguardia europea o americana, le scuole Fratellini e Grüss diventano sinonimo di mecca parigina al pari di Lecoq e Marceau. Ma i due nuovi centri inaugurano anche una funzione unica in occidente: la possibilità di formare artisti di circo veri e propri all’altezza del mercato mondiale, per la prima volta al di fuori della trasmissione dinastica. Questa funzione è potenziata dall’emergere nel 1977 di una vetrina: le Bourses Louis Merlin, concorso mondiale per giovani artisti che un anno dopo diverrà il Festival Mondial du Cirque de Demain: il trampolino di lancio più importante nella storia del circo contemporaneo. I modelli parigini e dell’Est diventano prototipi anche dall’altra parte del mondo. Da Montreal, l’artista di strada Guy Caron si iscrive alla Scuola di Circo di Budapest, per poi tornare in Quebec e avviare progetti formativi: che porteranno nel 1980 alla nascita dell’Ecole Nationale du Cirque in Canada. A New York il nascente Big Apple Circus crea nel 1978 la New York School of Circus Arts sui modelli parigini. Non avrà lunga durata, ma sarà il nucleo per la nascita della Clown Care Unit e del fenomeno dei clown-dottori. 15.3 Hippies, nostalgici e il poeta come saltimbanco Nel 1972 Fellini gira I Clowns: è il funerale del circo, vissuto attraverso la contemplazione poetica delle glorie passate. Il mondo circense si ribella a questa immagine: con orgoglio, ma ben consapevole dell’anacronismo

341

rispetto a tutti gli altri fermenti culturali e soprattutto dell’esaurirsi di talenti e idee all’interno delle famiglie. Tra i testimoniinterpreti del film, mischiati a vecchi clowns in pensione, nel film di Fellini c’è anche un’altra coppia: Jean Baptiste Thierrée e Victoria Chaplin, che nel 1971 ad Avignone avevano varato sotto un tendone Le Cirque Bonjour: un progetto di circo poetico con bolle di sapone, conigli, colombe e strani oggetti, incoraggiato da Jean Vilar. L’iniziativa avrà poi fortuna mondiale in palcoscenico (divenendo lo spettacolo Le Cirque Imaginaire e poi Le Cirque Invisible) per oltre un ventennio. Nel film di Fellini appaiono anche Etaix e la Fratellini, nei loro anni di riscoperta del circo: gli stessi in cui Sylvia Monfort incontrava i Grüss riscoprendo un dimenticato circo classico. Negli stessi anni, a Vienna agiva un giovane grafico, Bernhard Paul (n. 1944). Appassionato di storia del circo cercava fondi per un progetto di circo “essenziale”, che pescasse nel culto del passato ma che coinvolgesse il Jean-Baptiste Thierrée e pubblico contemporaneo: «Volevo un circo che fosse bello come la principessa Sissi, divertente come il clown Grock ed emozionante come i Beatles»4. Victoria Chaplin Lo stesso meditano a San Francisco un gruppo di membri della Mime Troupe. E, tra essi, i giocolieri Michael Christensen e Paul Binder, che durante un viaggio iniziatico come artisti di strada sono folgorati a Parigi dalla figura e dal progetto di Annie Fratellini. La crisi del circo sulla strada senza uscita del gigantismo, e l’emergere dei nuovi movimenti artistici, sono dunque di stimolo a cinque progetti indipendenti ma estremamente simili: a Parigi il circo scuola Etaix-Fratellini e il circo all’antica di Grüss con la Monfort; a Vienna il Circus Roncalli di Bernhard Paul; dall’altra parte del mondo, il Pickle Circus a S. Francisco e la sua più felice costola, a New York: il Big Apple Circus di Binder e Christensen. Seppur diversi culturalmente, tutti sognano di un piccolo tendone rotondo, intimo, con le gradinate strette a pozzo attorno ad una pista centrale proprio come nei circhi stabili ormai destinati alle ruspe. Sognano di spettacoli con pochi artisti polivalenti, di numeri, gags e costumi scomparsi, altrimenti affi342

dati alla memoria di vecchi manifesti o foto sbiadite. Sognano dell’incontro tra le glorie del passato e il liberatorio spirito di festa e performance degli anni ’70. La loro è una visione diversa dall’uso trasgressivo dell’icona-circo che ne facevano i pur essenziali “movimenti”: pur se con essi condividono il netto rifiuto di un ormai “corrotto” mondo circense. Sono gli anni del resto del celebre saggio di Jean Starobinski, Ritratto dell’artista come saltimbanco (1969) che, di poco precedente il film di Fellini, riapre il dibattito sul patetico del circo in arti figurative e letteratura. Etaix, Monfort, Paul, gli americani sono inoltre figli di una cultura artistica dell’essenzialità. Il cinema di Etaix è fatto di una comicità minimalista (sceneggiato dallo stesso Jean-Claude Carriére a cui si dovrà la drammaturgia essenziale di Peter Brook). Silvia Monfort professa un teatro basato sul recupero nostalgico del rapporto pubblico-artista di altre epoche; Bernhard Paul studia la storia dimenticata del circo classico, intimo, opposto al gigantismo; i giovani californiani, guidati da Hovey Burgess, lamentano la deriva statunitense dei dispersivi circhi a tre piste e sono figli della nuova spiritualità artistica americana. Sono gli anni del “teatro povero”, ma anche quelli in cui si è alla ricerca di maestri. Tutti questi protagonisti basano la loro ricerca anche sul rapporto con i testimoni del passato, come già Fellini nel suo film: Paul passa pomeriggi tra i carrozzoni dei vecchi clowns; Etaix “estrae” dalla moglie Annie Fratellini e da vecchi artisti il tesoro dell’eredità storica; Burgess si reca a Mosca, Binder e Christensen a Parigi, Caron a Budapest. 15.4 «La più grande poesia dell’universo»: i circhi à l’ancienne tra classicismo e controcultura Il primo colpo di fulmine concreto dei nuovi sognatori è quello già citato di Silvia Monfort con la famiglia Grüss. Nello spettacolo da lei richiesto per l’animazione parigina del 1974 (15.2), Alexis Grüss riesce nello stupore generale a proporre un intero spettacolo circense con soli sei artisti, due cavalli e un elefante. Non si hanno i mezzi né il tempo per un vero progetto artistico: ma la genuina troupe di famiglia con qualche numero “ospite” riesce ad imbastire un più che modesto programma. Quel che conta, è l’inedito e prestigioso contesto, e l’inattesa, magica intimità che l’esperienza trasmette al pubblico. È persino difficile contenere il troppo grande tendone nello stretto cortile del centro culturale: la necessaria riduzione delle dimensioni della tenda è l’emblematico e inconsapevole atto di nascita mondiale di un “nuovo circo” in cui la modestia delle propozioni sarà il punto di forza. Da trenta recite previste, lo spettacolo va avanti per sei mesi, divenendo un fatto sociale. Con le poche risorse (trecentottanta euro di oggi), si è quasi per

343

La famiglia Grüss nella prima edizione del “Cirque à l’Ancienne”. Parigi, 1975

344

caso giunti al recupero di un concetto primario di troupe. Così come il progetto era stato la scintilla per la prima scuola occidentale al mondo, ugualmente farà ripensare alle sorti del circo di tradizione, che forse non appare destinato davvero all’estinzione. Per la prima volta al mondo, l’idea di avere un tendone piccolo non è umiliante ma fonte di riconoscimento culturale, ancora maggiore dei colossi di Jean Richard e Bouglione che negli stessi mesi si accampavano a Parigi. La Monfort propone a Grüss di creare un nuovo spettacolo per l’anno seguente. C’è una famiglia di talento, ma non c’è repertorio. Allora Alexis Grüss ricorre ai ricordi dei suoi genitori, alla tradizione orale dei circensi, alle illustrazioni del passato: ha così inizio un formidabile trentennio di ricostituzione di un repertorio equestre, acrobatico e comico scomparsi, con l’estro e il talento di oggi. L’esperienza diventa nota come Cirque à l’ancienne, da allora sinonimo di un genere. All’“antica”, non nel senso di rievocazione nostalgica, ma di recupero di uno spirito e di un metodo di costruzione dello spettacolo. Il consenso aumenta. Per la prima volta al mondo, un tendone non deve programmare la propria tournée, ma è oggetto di offerte da parte del circuito culturale. Grüss è invitato nel 1977 a montarlo sulla Place Beaubourg per l’inaugurazione del Centre Pompidou; nel 1978 alla Philarmonie di Berlino; nel 1981 alla Biennale di Venezia. Nel corso degli anni, ogni nuovo spettacolo di Grüss è parte della stagione parigina del Nouveau Carré della Monfort. Passo importante lo spettacolo del 1979, che ha per titolo Le Cirque commence à cheval: l’acrobazia equestre, atto fondante del circo moderno, è recuperata, come base per la rifondazione di un circo contemporaneo (cfr. 16.2 e 16.4). Da questo momento Alexis Grüss, oltre che come direttore, inizia ad affermarsi come uno dei massimi protagonisti mondiali dell’arte equestre. Per il talento e la necessità di dover creare ogni anno una decina di numeri nuovi, nel 2007 Alexis rimane come uno dei più prolifici e geniali artisti del’intera storia del circo, forse il più completo uomo di circo del nostro tempo. Simile è l’altra esperienza parigina, quella di Etaix-Fratellini. Il progetto di circo nasce dal nucleo della neonata scuola, il cui primo corso inaugura un altro minuscolo tendone al Festival d’Avignon del 1975: si chiama Nouveau Cirque de Paris: nel nome, c’è il paradosso di un atto innovatore la cui fonte è la riscoperta del passato: i nuovi allievi, educati da vecchi artisti, vi interpretano numeri antichi. Se le due esperienze parigine pescano in una cultura conservatrice (il cinema di Etaix era sembrato reazionario in anni di nouvelle vague, e il teatro della Monfort non aveva la carica innovatrice di una Mnouckine) quelle americana e austriaca saranno invece emanazione della controcultura, pur condividendo il ritorno ad un paradiso circense perduto.

345

346

Nel maggio 1975, negli stessi giorni in cui a Parigi nasceva il circoscuola di Etaix e Fratellini, dall’altra parte dell’oceano nasceva a S. Francisco il Pickle Family Circus. Nella patria dei grandi show a tre piste, questo spettacolo è una pista all’aperto, circondata da teli dipinti e sedie pieghevoli, in cui i numeri di acrobati, giocolieri e clowns sono eseguiti da un collettivo animato da tre artisti formatisi con la Mime Troupe: Geoff Hoyles, Larry Pisoni e Bill Irwin. Per la critica, lo spettacolo risulta «quello che i circhi americani probabilmente erano alle origini» [SCHECHTER 02]. Gli elementi della satira corrosiva della Mime Troupe confluiscono in una sincera ammirazione per il circo del passato. Tra le basi vi sono la riscoperta del cinema muto, la passione per i clowns europei contemplati e “uccisi” da Fellini. Ma a S. Francisco si aggiungono la forza di Dario Fo, della più sanguigna Commedia dell’Arte, dello spirito di Beckett e della danza postmoderna. La struttura hippy della troupe può forse ricordare lo spirito di Savary, ma la base è il gusto per il circo classico. La parola family nel titolo corrisponde nello spettacolo alla chiave drammaturgica dei personaggi di un’immaginaria famiglia circense: non avendone una vera, come i Grüss a Parigi. È evidente che famiglia, troupe o collettivo sono la chiave delle pur diverse esperienze nel mondo. Diversamente dal Pickle, un’altra coppia di transfughi della Mime Troupe è destinata ad un progetto di più ampie proporzioni. Abbiamo sopra accennato a Michael Christensen (n. 1947) e Paul Binder, che nei primi anni ’70 se ne vanno in Europa come giocolieri di strada (stessa idea poi avuta nel 1976 dal mangiafuoco canadese Guy Laliberté, di cui oltre). Michael e Paul fanno il loro numero, da Piazza Navona al Beaubourg; finché non sono notati da Annie Fratellini che chiede loro di esibirsi nelle animazioni di found raising per il Nouveau Cirque de Paris, di cui per un breve periodo diverranno artisti. L’energia del piccolo tendone carica i due americani di ispirazione e idee. Tornato a New York, Binder cerca fondi per il proprio sogno: creare nella “grande mela” la stessa esperienza di recupero minimale del circo classico, visto come eredità perduta delle origini della cultura americana, quando i circhi avevano una sola pista. Binder a Parigi aveva assistito anche agli spettacoli dei Grüss: vi aveva riscontrato «come in un’epifania» le origini stesse del circo sia europeo che americano. Inoltre trova il circo un veicolo efficace di coinvolgimento sociale, negli anni in cui in America poteri privati e pubblici iniziavano ad occuparsi di iniziative culturali. Binder trova finanziamenti per fondare l’associazione non profit “New York School for Circus Arts”. E per montare, nel 1977, uno spettacolo in un piccolo tendone nella desolata spianata di Battery Park, innalzato alla meglio (con l’arguzia tecnica di Philippe Petit). Nasce così il Big Apple Circus, destinato a divenire un’istituzione del

teatro americano contemporaneo (prima nell’off e poi come sezione costante del Lincoln Center) ed una delle più solide realtà circensi mondiali di fine secolo. Il modello “Big Apple” è una sintesi americana dei circhi-scuola di Grüss e Fratellini, con l’aggiunta di maestri russi esiliati. E circondata da protagonisti del nuovo circo di strada americano: nella prima stagione appaiono Michael Moschen, pioniere della nuova giocoleria, e Philippe Petit, (il leggendario funambolo filosofo che aveva appena compiuto la traversata “clandestina” tra le Twin Towers). Nel Big Apple, la fedele attinenza alle esperienze parigine si fonde con lo spirito dell’avanguardia americana con i suoi riferimenti al training, alla liberazione del corpo dell’artista e all’enfasi sui processi energetici del performer. La quinta decisiva esperienza di questo periodo, e forse la più influente mondialmente sul circo di tipo industriale, è quella di Bernhard Paul a Vienna. Egli trova finalmente il via al suo progetto di circo ideale: ciò avviene nel sodalizio con Andre Heller (n. 1947), notissimo poetapittore-performer, esponente della controcultura austriaca, anch’egli interessato ad una riflessione estetica sul circo. Il loro progetto prende il nome di Zirkus Roncalli, dalla nostalgica assonanza italiana: il più classico stereotipo linguistico dell’immaginario circense5. Heller coinvolge pittori, scultori e poeti d’avanguardia nella concezione. Chiama il mimo Pierre Byland per la coreografia. L’idea, una sorta di roadshow culturale, è basata sul restauro di carrozzoni antichi e su un piccolo tendone dove stanno stretti duemila posti. L’idea è quella di girare per otto settimane in Germania con questo villaggio dipinto a mano in cui, al “rispolvero” di classici come clowns, acrobati e domatori, si abbinano serate di poesia, sessions di jazz e installazioni d’arte. Il principio è quello di rivalutare la tradizione perduta del circo abbinandola alle avanguardie creative contemporanee. Lo stile dell’ambientazione si vuole ispirato agli anni ’20, ritenuti l’epoca storica di massima creatività del circo, periodo in cui esso era in fertile simbiosi col mondo dell’arte. Il titolo: La più grande poesia dell’universo. Per la stampa, a cui è illustrato il concetto in un party-conferenza a Vienna , il progetto Roncalli pare un «incrocio tra Disneyland e Fellini». L’atteso debutto del Zirkus Roncalli avviene al festival di Bonn il 18 maggio 1976. Il pubblico vede in un unico sogno Woodstock e i circhi del

Il primo tendone del Big Apple Circus a New York, 1977 (foto a colori, archivi Big Apple Circus)

347

Locandina d’esordio del Zirkus Roncalli di Bernhard Paul e Andre Heller. Bonn, 1976 (ill. di J. Huber, coll. dell’autore)

348

primo ’900, il “Magic Circus” e i Beatles. In poco tempo diventa il “caso” culturale, di certo la massima novità del panorama tedesco. Come ovunque, anche in Germania «un sentimento di ribellione a favore della spontaneità in teatro spingeva alla ricerca di nuove espressioni. Le alternative alle forme di teatro letterario indirizzavano l’interesse verso l’espressione corporea, il gioco con le maschere, il clown, i testi di nonsense, le forme di espressività afro-asiatica, o categorie teatrali del passato come i misteri medioevali, la Commedia dell’Arte, ma anche un ritorno del futurismo o dell’“anti-arte” anarchica del dadaismo. E la forma circense e del varietà era sempre più presente nelle produzioni teatrali»6. Non va dimenticato che negli stessi anni Savary inizia in Germania la propria carriera di regista teatrale di mercato, Peter Zadek inserisce elementi del music-hall e della pop art negli allestimenti di opere classiche, mentre Pina Bausch inizia ad affermarsi. E l’impatto di Roncalli sulle arti dello spettacolo tedesco sarà paragonabile forse solo, anni dopo, al fenomeno della stessa Bausch. Ma presto il progetto si interrompe. Rispetto a Heller, interessato ad una operazione puramente poetica, il sogno di Paul è la creazione di un vero circo classico. I due si separano, e Paul riprenderà il principio di Roncalli da solo, nel 1980, esaltandolo fino a renderlo il più influente riferimento mondiale del circo d’arte di fine secolo (cfr. 16.2). All’alba degli anni ’80 Le Cirque all’Ancienne di Grüss, il Nouveau Cirque Fratellini, Big Apple, Roncalli si ponevano come i quattro pilastri su cui innalzare il tendone rinnovato del circo classico. Tutti e quattro sembrano avere un approccio intellettuale legato allo studio della storia del circo: Sylvia Monfort frequenta collezionisti e letterati; Paul Binder cita Steinbeck ma anche i teorici della performance, Annie Fratellini evoca Léger e i propri stessi nonni; Bernhard Paul e Andre Heller restaurano vecchi carrozzoni e frequentano l’avanguardia musicale e delle arti figurative. I quattro circhi hanno molti punti in comune: la pista rotonda classica e lo studio del repertorio dei vecchi circensi; la distanza dal circo commerciale in declino; lo spi-

rito della troupe-famiglia e l’essenzialità “povera” della forma; il valore di socialità del circo e dell’intimo rapporto artista-pubblico; la logica delle avanguardie. E, soprattutto, la fantasia al potere. Anche le testimonianze dei protagonisti rivelano affinità: per Sylvia Monfort, il primo cirque à l’ancienne con i Grüss «non è né il circo da music-hall, né quello della ricerca dell’exploit atletico senz’anima. È il luogo di una poesia che gli è propria e irrinunciabile» [in DEVAULX]. Alexis Grüss ricorda la rivelazione di come «in sette era possibile fare uno spettacolo di due ore e mezza, quando i figli dei direttori imparavano soprattutto a dirigere» [Grüss]; per Annie Fratellini si trattava di «ritrovare le tradizioni. Impararle per sfuggirne. La pista, il rosso e l’oro, la terra, la segatura. Creare una giovane troupe comunitaria fatta di solitudini riunite» [FRATELLINI]. Nel concetto di Roncalli, Bernhard Paul s’imponeva di «ritrovare la funzione culturale del circo e la creatività, mentre (il circo) è perso in un regime commerciale» [in RONCALLI]. Per i primi critici americani, il Pickle Family «è quello che probabilmente i circhi erano prima di diventare grandi». A Paul Binder, nella visione del Big Apple, il circo veniva scoperto come «la forma teatrale moderna più simile alle forme rituali all’origine di tutti gli spettacoli» [cfr. SIMON, JANDO 02]. Nel frattempo, il canadese Guy Lalibertè continua a fare il mangiafuoco per le strade d’Europa.

349

16. LA

SVOLTA DEGLI ANNI ’80

16.1 Nel cuore della città: il circo d’arte da Parigi a New York e la rinascita del clown Giugno 1980, Colonia. Un parco fiorito in pieno centro. Il biglietto che si ha in mano è illustrato come un libro di fiabe. Tra i carrozzoni antichi del foyer si è accolti da lanci di coriandoli e paillettes. Sotto il piccolo tendone i mille spettatori stanno seduti strettissimi, l’uno accanto all’altro sulle panche di legno: tra personaggi in uniforme, musiche di Nino Rota, mangiafuoco e finti cinesi. È come stare allo stesso tempo dentro al film Dumbo, in un racconto di Kafka, un set di Visconti. La sensazione è come se ciascuno fosse il festeggiato di un bizzarro compleanno. È il Circo Roncalli, rinato definitivamente dopo il tentativo sperimentale del 1976 (cfr. 15.4) e destinato a cambiare per sempre il corso della storia del circo. Si apre una fase in cui il circo poetico degli anni ’70, pur mantenendo una sua naïveté, si traduce in seria industria per il pubblico di massa dei grandi spettacoli, verso solide basi di marketing e di produzione teatrale. Tutte le esperienze pionieristiche, che come Roncalli si erano eroicamente battute per trovare fondi o riuscire a innalzare un tendone, trovano ora il loro giusto contesto. Le tre grandi esperienze fondatrici diventano nei primi anni ’80 figure istituzionali del circo classico: Grüss con la nomina a Cirque National nel 1982; a New York il Big Apple con la sua legittimazione nel contesto culturale del Lincoln Center di New York dal 1981; Roncalli con il suo ruolo pilota in festivals di cultura teatrale, o di riconoscimento da parte delle città. In un’epoca in cui il circo stabile è estinto per sempre, e il tendone è considerato ormai cosa da periferia, questi circhi recuperano il senso urbano del circo, con il loro tendone piantato anche per mesi in luoghi centrali delle grandi città. A Parigi ad esempio, la sosta del tendone di Grüss è tra le basi della scommessa di riqualificazione del quartiere della Villette; il Big Apple di fianco al Metropolitan Opera è altrettanto emblematico, così come Roncalli nei centri storici e nei parchi delle metropoli tedesche. Gli spettacoli dei nuovi circhi neoclassici sposano la tecnologia dei concerti, i metodi del teatro, i numeri del circo classico e l’atmosfera semplice dello spettacolo di strada. Entrano nel circuito circense regolare pur non proveniendo dalle grandi famiglie, e riportano lo spettacolo della pista alla dignità del teatro, negli anni in cui in Europa centrale inizia il fenomeno del teatro musicale di massa, con i meccanismi di prevendita e il turismo teatrale. Ma questo tipo di circo possiede un vantaggio importantissi-

Il clown-mimo Pic nello spettacolo Circus Poesie al circo Knie, Svizzera, 1983. Coll. dell’autore

351

352

mo rispetto al resto del teatro commerciale: è l’unica forma a capitalizzare sugli aspetti di interazione, animazione, e ambiente emersi con le pulsioni delle avanguardie. Roncalli, Big Apple (e in seguito Soleil) colpiscono per essere una vera e propria forma di environmental art, in cui l’ambiente e l’atmosfera hanno importanza pari allo spettacolo. L’idea del tendone, fino ad allora luogo comune che evoca periferie e cattivi odori, è recuperata nel potenziale estetico della sua centralità urbana come chiave principale di attrazione. Gli animali, fino ad allora pilastri del circo, pur non scomparendo passano in secondo piano. È un’altra estetica: secondo Bernhard Paul: «Per me collezionare e restaurare carrozzoni antichi è come per i vecchi circensi accumulare elefanti»; e dirà più tardi Guy Laliberté, pur rispettando chi fa circo con animali: «Al Cirque du Soleil preferiamo nutrire una famiglia di acrobati che un elefante». Il motivo è piuttosto estetico che etico, ma anche di capitale economico o culturale. Se si parte da zero, è normale ci si basi sulle risorse umane: così come per le stesse ragioni, al contrario, i circhi storici del primo Novecento erano nati dall’estensione degli zoo ambulanti. Al massimo ci si limita ai cavalli o a un singolo elefante, come Grüss o Big Apple, e Roncalli non disdegna i leoni. Qual’era diventata la proposta artistica di questi circhi? Parigi. Grüss, terminata l’esperienza del Centre Cultural de Paris con la Monfort (cfr. 15.4), evolve nel nuovo contesto para-statale di Cirque National (1982-1987). Sulla base di una straordinario nucleo artistico-familiare polivalente Alexis Grüss inventa ogni anno venti numeri nuovi, coinvolge pregevoli compositori e costumisti, prepara e addestra cavalli e, sorta di padre della moderna regia circense, diffonde il criterio degli spettacoli “a tema” con quattro memorabili creazioni disegnate da Yannis Kokkos e musicate da Daniel Janin: Le Cirque Forain (1983), ispirato all’iconografia delle fiere; la produzione con gli animali degli svizzeri Knie nell’84; Paris-Pékin (1985) con l’inserimento per la prima volta di acrobati cinesi in una produzione occidentale, fino al geniale De Lautrec à Picasso (1986), in cui i numeri del circo materializzano i capolavori della pittura (v. infra 16.4). New York. Il Big Apple Circus sviluppa gradualmente la propria qualità produttiva sino a raggiungere lo standard di Broadway (del 1983 è l’Obie Award per «esperienza teatrale d’eccezione»), pur restando un’esperienza intima e poetica. Ciò accade sopratutto dal 1985, quando il Big Apple è ispirato dalla tendenza di Grüss per gli spettacoli “a tema” 1. Questo grazie anche all’ingaggio di creativi del teatro commerciale e dello storico e drammaturgo Dominique Jando (tra i pilastri dell’esperienza parigina di Grüss). Dei due fondatori, se Christensen si concentra sulla drammaturgia e sulla costruzione di un’originalissima équipe di clowns, Paul Binder come regista e diretto-

re artistico inizia ad ingaggiare i più grandi talenti circensi del mondo: il Big Apple diventa in breve uno dei templi di consacrazione per trapezisti, acrobati e giocolieri, al pari di Knie, Krone o Ringling. Colonia. Quando (dopo l’episodico debutto del 1976), Roncalli esordisce realmente nell’80, Bernhard Paul non collabora più con Andre Heller. Allo stesso modo di Binder a New York, cerca in ogni modo di coinvolgere banche, finanziatori e amici, riuscendo a mettere assieme un milione di marchi. Riparte dalla scena artistica allora fertile della città di Colonia, ricca di arti figurative e musica. Coinvolge come regista il mimo svizzero Emil. A differenza di Grüss o Big Apple, Roncalli non crea spettacoli a tema, ma usa piuttosto l’immaginario classico del circo come tema stesso. Il viaggio sull’arcobaleno è il titolo del primo spettacolo che, con alcune variazioni di cast, resta in scena per anni. Roncalli, a differenza di qualunque altro circo al mondo, si distingue per i dettagli decorativi dell’ambiente e per le tecniche di accoglienza del pubblico. La tendenza degli anni ’70 all’happening o all’installazione, evolve ora in gusto per la precisione delle arti applicate, per il senso partecipativo della festa e del fiabesco. Faranno scuola la punta di rossetto posta sul naso di ogni spettatore e i lanci di coriandoli con cui si viene ricevuti nel recinto del tendone da musicisti e

Il Circo Roncalli di Bernhard Paul in Germania, anni ’80

353

David Shiner, il primo mimo-clown a passare dal teatro di strada alla pista del circo. Circo Roncalli, Germania, 1984. Foto T. Krath

354

trampolieri. Tra le uniformi e i costumi sfarzosamente ricostruiti dal patrimonio iconografico storico, le decine di antichi carrozzoni di legno intarsiati e dipinti a mano, resta emblematica l’idea del carrozzone Cafè des Artistes all’esterno del circo, vero e proprio luogo di ritrovo nelle città in cui sosta il tendone. Ma soprattutto è l’idea registica a vincere: Roncalli è un circo inventato su una logica e un concetto stilistico precisi; è primo al mondo ad applicare al circo una partitura illuminotecnica di effetti col metodo teatrale. Il difficile innesto tra la più classica estetica del circo e attuali forme spettacolari extra-circensi appare riuscitissimo. Elementi costruttivi dello spettacolo sono la clownerie moderna e la musica, con l’orchestra pop di Joe Schwarz, bizzarro incrocio tra Sgt. Pepper e le bande militari. I quadri di cui si compone lo spettacolo sono abilmente scelti tra le icone-chiave del circo recuperate in forma fiabesca: il mangiafuoco, i finti cinesi, il pierrot lunaire con le bolle di sapone, le belve feroci, il clown bianco. Il primo tour completo di Roncalli del 1980 raccoglie centoventimila persone. I media e gli intellettuali ne fanno il fenomeno culturale degli anni ’80: intorno alla sua pista si mischiano vedettes popolari e nomi della cultura, premi nobel e divi del passato: da Günter Grass a Keith Haring, da Horowitz a Bernstein, da Warhol a Beuys, da Peter Ustinov a Giulietta Masina2. Il successo di Roncalli è del resto lo stesso tipo di successo che incontra a New York il Big Apple, dove Jerome Robbins, Robert De Niro e Woody Allen non mancano un’edizione. In Roncalli, Grüss, e Big Apple, la concezione degli spettacoli ha molto in comune. Perde di centralità la figura del presentatore, a favore della fluidità teatrale del legame drammaturgico tra i numeri; la riduzione degli animali gioca a favore del nuovo vero elemento costruttivo: il clown. Negli anni in cui le grandi famiglie di clowns diventavano l’ombra di sé stesse, questi circhi innestano nuove forme di comicità provenienti dal teatro di strada o dalle scuole di teatro e mimo. Il Big Apple è valorizzato da giovani clowns uscenti dal Clown College (Jeff Gordon, Barry Lubin) che in modo sorprendente portano nuove trovate ad un repertorio fossilizzato da decenni; Roncalli attira sotto il tendone allievi di Lecoq (Pic e Pello) che introducono la figura poetica del “mimo clown”, o scrittura per primo giovani artisti di strada che si affermano negli anni alla “vetrina” parigina del Festival du Cirque de Demain: di loro, David Shiner (dal 1984) e Peter Shub (dal 1986) diverranno nuovi astri del teatro comico e principali responsabili della sterminata diffusione di gags con il coinvolgimento di spettatori3. Il neo-romanticismo del circo favorisce una nuova generazione comica: quella del “clown poetico”. Si tratta di un genere all’incrocio fra molte tendenze: la teatralità virtuosistica dei clown russi di matrice chapliniana

355

356

(come Popov e i suoi eredi Marchevski, Nicolaiev, Kuklatchev, Maik); le scuole di mimo; l’interattività del teatro di strada; e la tradizione classica della pista. Molti, provenienti da scuole come Lecoq, Dimitri o Marceau sono incoraggiati da alcuni circhi (Knie, Roncalli, Krone) a portare in pista la loro poesia non circense, simile di molto al genere lunare del citato Cirque Imaginaire di Thierrée-Chaplin4. Molti abbandonano la maschera per vestire gli abiti “casuali” dello spettatore sprovveduto (Jean-Paul), come del resto fu in origine l’augusto ottocentesco. Qual è il rapporto dei nuovi circhi “d’arte” col mercato? Grüss, Roncalli, Big Apple, pur proponendo una forma circense classica, attirano al circo chi normalmente non ci va, creando comunque una concorrenza di immagine alle imprese tradizionali. A New York, il piccolo Big Apple rischia di creare più interesse del colossale Ringling-Barnum, che in controtendenza punta su un nuovo interesse per i “fenomeni” di un tempo, con un più violento impatto mediatico: come l’“Unicorno Vivente” (1985) o King Tusk, l’“elefante gigante” (1986), ma continuando a potenziare i propri spettacoli con la massima qualità in fatto di design, costumi e coreografia. A München, la permanenza di Roncalli in città per più mesi crea problemi di visibilità al circo Krone, secolare leader del territorio. I circhi tradizionali europei, sebbene diffidenti verso Roncalli, ne subiranno la più profonda influenza di fine secolo. Inizialmente ne sono condizionati in un evidente miglioramento dell’impatto decorativo delle infrastrutture: già solo per questo, l’influsso di Roncalli su scala mondiale è incalcolabile. Dal punto di vista della rivoluzione “poetica” dello spettacolo, i primi a capirlo sono gli svizzeri del circo Knie: nel 1982 accettano di essere scritturati come artisti con i loro animali presso Roncalli, cosa mai concessa ad altri colleghi, legittimando ulteriormente l’innovatore tedesco all’interno della tradizione; e nel 1983 i Knie scritturano il mimo Pic, artista-simbolo di Roncalli, per il loro programma Circus Poesie. In Germania, il circo Williams-Althoff ricorre ad una drammaturgia poetica per lo spettacolo Verzauberte Lachen (1986); Krone, il grande rivale di Roncalli, introduce anch’esso elementi di clownerie poetica; in Svizzera nascono due nuovi circhi sul modello “roncalliano”: Fliegenpilz e Monti. In Svezia rinasce sullo stile “roncalliano” il circo Brazil Jack della famiglia Rhodin. In Francia parte con simile spirito il nuovo circo Arlette Grüss (1986), e in Italia assume una svolta “poetica” anche il circo Darix Togni a partire dal 19855. L’esempio di Roncalli, quasi sempre mutuato in modo frettoloso e ai limiti del plagio, influenza solo una parte dell’industria. E non basta come soluzione alla crisi crescente.

16.2 I disagi del circo “tradizionale” «Il presentatore saluta il pubblico, chiedendo ai bambini come stanno. Ci guida poi lungo il programma: l’orchestra “della radio di Varsavia” non è potuta arrivare; il giocoliere che è in realtà ungherese “arriva direttamente”da Las Vegas, e il signore dall’incipiente calvizia è il “più giovane domatore d’Europa”. Il doppio salto mortale è annunciato come l’unico triplo al mondo […]. Durante interminabili pause al buio per smontare le gabbie, siamo invitati ad applaudire “i nostri versatili marocchini”. La musica più gettonata sembra “Viva España”. I colori di moda per i costumi sono: arancione tendente al verde, e lilla. La moda è indietro di dieci anni. Le artiste in pista somigliano a quelle dei centri erotici, stando a parrucche e make-up. Gli effetti di luce sono affidati ai pulsanti delle allogene guidate da un elettricista. Mentre un numero si esibisce, è normale al suo retro preparare gli accessori del seguente. La parola regia non figura nel programma di sala»6. Così Bernhard Paul, il fondatore di Roncalli, ricorda il circo-tipo degli anni ’70, prima dell’avvento dei nuovi circhi. Ma anche negli anni ’80, nonostante l’uragano degli innovatori, il mondo del circo che esisteva prima rimane uguale. L’emergere dei circhi d’arte fa nascere una definizione paradossale per definire tutto il resto: quella di “circo tradizionale”, ovvero ciò che rimaneva dei grandi circhi itineranti europei e americani. Gli spettacoli dei sognatori venuti dall’esterno avevano rinnovato tornando alle radici. I detentori di queste radici, le famiglie circensi, avevano reagito con indifferenza e chiusura, vedendo altri accedere ad un “loro” patrimonio (che però erano ormai incapaci di gestire), e che invece i nuovi “esterni” sentivano come un bene collettivo. Dall’inizio del Novecento, la comunità circense era passata per varie fasi: dalla centralità culturale urbana dell’epoca degli stabili; poi al barnumismo dei tendoni che aveva snaturato tutto; fino alla crisi d’identità, sottolineata dall’avvento delle nuove forme di arte e tempo libero. Era un mondo marginale che di colpo si trovava nella modernità degli anni ’80. Un decennio in cui il sentire comune sviluppa aspetti estranei ad un mondo autarchico come il circo: sensibilità sociale, etica ecologica, attenzione per i diritti dell’infanzia e per la sicurezza e regolarità del lavoro; alfabetizzazione universale; tecnologia; cultura amministrativa e delle risorse umane. La televisione e il cinema portano una sofisticazione mai raggiunta nel mondo dello spettacolo e del linguaggio pubblicitario; il boom dei parchi di attrazione offre un’alternativa importante al divertimento familiare (e migliori occasioni di lavoro per gli artisti). Sotto il tendone il confronto si può vincere tornando ai valori essenziali del circo e della sua umanità, valorizzandoli con le risorse artistiche contemporanee: proprio come era accaduto per due secoli. Ma il

357

358

messaggio non arriva. I circensi, legati a valori antichi, imprigionati da orgoglio e disorientamento, non seguono subito la scia di Grüss o Roncalli, e sottovalutano il lento emergere di Soleil. Sviluppano invece il loro circo degli anni ’80 in senso opposto (seppur a volte con buone storie di successo): moda televisiva, enfasi sugli animali, pubblicità insignificante e spesso ingannevole, irregolarità negli spettacoli, comicità scadente e numeri ripetitivi. In generale tre sono le debolezze dei circhi di tradizione: la routine, che ha distrutto l’atmosfera, trasformando il circo da tempio della gioia a stereotipo della malinconia; la mancanza ormai cronica del ricambio generazionale, per cui si può dire che negli anni ’80 la tradizione degli acrobati occidentali è estinta. E poi il problema dei costi. Nel 1980 desta un certo stupore in Germania la decisione del Circo Krone, l’ultimo colosso europeo, di eliminare l’orchestra (soluzione anticipata un decennio prima da Darix Togni). Mentre Grüss, Roncalli e Soleil ripartivano dalla musica come chiave drammaturgica del rinnovamento, negli anni di Cats o del Fantasma dell’Opera, in pochi anni nel mondo i circhi con la musica dal vivo saranno la minoranza. È un segnale di come i tagli avvengano disperatamente nel settore più artistico, mentre non si rinuncia a portarsi dietro zoo viaggianti «con animali dei cinque continenti», o a scritturare costose famiglie di clowns «musicali internazionali», per garantire un’iconografia fuori dal tempo. Seppur l’ingresso di Roncalli nel mercato regolare ha spinto i concorrenti a migliorare le installazioni e gli spettacoli, appaiono altre le priorità dei circensi rispetto a soluzioni realmente creative. Il vero investimento dei grandi circhi storici (tedeschi e italiani in particolare) sembra negli anni ’80 quello sugli animali: una vera controtendenza culturale, in epoca di sensibilità ecologica e di enormi costi. Qual è all’epoca il panorama europeo? In Germania nell’86 si contano sei grandi circhi e centodiciotto minori di famiglia: solo l’Italia ha proporzioni simili. Se il panorama tedesco è dominato da Krone, si afferma anche il Circus Barum di Gerd Siemoneit, tra gli ultimi sul modello di “circo-zoo”, in cui si alternano addestratori di valore (da Charles Knie a Sacha Houcke). Seppur di buon livello, restano convenzionali Busch-Roland e Sarrasani, ormai avviati verso un lento declino, mentre diventano ormai senza importanza i due circhi di Corty e Giovanni Althoff, brillanti un decennio prima. Un vero innovatore è Franz Althoff jr (n. 1941): il suo circo Williams-Althoff (creato nel 1977) cerca di distinguersi per soluzioni innovative nel campo dello spettacolo, delle installazioni o delle logiche di tournée (è il primo ad organizzarsi in containers). In Spagna finisce l’epoca delle grande imprese Feijoo-Castilla e Amoros-Silvestrini, lasciando spazio a tendoni convenzionali (come quelli

L’identità del circo soffocata dai personaggi televisivi. Palazzo dello Sport di Barcellona, 1979. Coll. dell’autore

del domatore Angel Cristo, della soubrette Teresa Rabal, o dei circensi italiani “trapiantati” Jarz e Faggioni). Tra loro spicca dal 1980 il Circo Mundial di José Maria Gonzales (ex amministratore di Castilla), che specialmente nel periodo invernale propone programmi di valore internazionale; così come il circo Chen si rivela il migliore tra i troppi che emergono anche in Portogallo. In Spagna una disperata via di sopravvivenza sembra il parassitismo verso l’intrattenimento di massa: la metà di ogni spettacolo circense iberico è una grottesca parata live di personaggi televisivi o dei fumetti: sotto i tendoni «è la terribile e nefasta epoca delle Heidi, dei Mazinga, delle Api Maia, credendo che con tali trovate si attiri il pubblico infantile e quindi tutta la famiglia. Ma il rimedio fu peggio del male, e contribuì al declino artistico, economico e di prestigio sociale dello spettacolo circense»7. In Svizzera, dove Knie mantiene la propria reputazione mondiale di tempio delle grandi attrazioni, numerosi tendoni minori proliferano in eccesso rispetto al mercato effettivo della confederazione. Di un circuito europeo “medio-alto”, in grado di permettersi le migliori attrazioni, dagli anni ’70 restano ancora protagonisti in Austria il Circo Nazionale Austriaco di Elfi Jacobi-Althoff, in Svezia il circo Scott, e in Danimarca il Benneweis, che per un ventennio gestisce anche la stagione

359

parallela del circo stabile estivo di Copenhagen (1970-1990). L’Olanda è tappa regolare dei tendoni tedeschi. La situazione più tragica si ha nei due Paesi che avevano dato i natali al circo. In Gran Bretagna, le insegne storiche (da Chipperfield a Cottle), sono affidate a tendoni minori8. Gerry Cottle apre la via delle tournées in Estremo Oriente come fruttuosa possibilità di sopravvivenza. Lo stesso accade in Francia, dove a metà degli anni ’80 non esiste più un grande circo, tranne qualche decina di tendoni di famiglia9. Bisognerà aspettare quasi un decennio per una rinascita10. La Francia diviene così terreno fertile per i tendoni italiani, che con le loro famiglie ricche di animali affrontano redditizie tournées: unica vera soluzione ad una non rosea situazione interna. Una lettura dettagliata merita infine l’unica nazione con una legge e un sostegno istituzionale per il circo: l’Italia.

360

16.3 La crisi italiana degli anni ‘80 All’alba degli anni ’80 gli splendori delle grandi produzioni italiane di qualche anno prima erano già un ricordo. Perché? L’ambizione di quei progetti generava costi ingestibili e, nell’inseguire i fasti della rivista, dilapidava l’eredità culturale dei codici originari del circo, mentre lo spettacolo dal vivo evolveva verso ben altro. Molti dei grandi circhi tendono a scindersi: quelli che erano i tre-quattro grandi tendoni si moltiplicano in sette-otto circhi di primaria importanza (cfr. 14.1), rischiando di saturare i circuiti: nei primi anni ’80 non è infrequente che a Roma negli stessi giorni tre grandi circhi si fronteggino a colpi di manifesti11. I loro spettacoli tornano ad essere programmi classici di numeri, e per qualche anno continuano a scritturare artisti internazionali di alto livello. Oltre al gruppo di circhi maggiori, rimane un buon centinaio di piccoli circhi familiari. Inoltre c’è il fenomeno della nascita dei circhi “medi”, una decina di imprese familiari che per strutture e spettacolo tentano di avvicinarsi ai grandi circhi: in particolare grazie al fenomeno dei “falsi” nomi Orfei, che sono già una ventina attorno al 1985. Di questi circhi “emergenti”, sicuramente l’Embell-Riva della famiglia Bellucci è la maggiore rivelazione con una reputazione internazionale e ottimi cast12. Alcuni circhi di tradizione tentano strade avventurose ma imprevedibili nel successo: Cesare Togni, che negli anni ‘70 del kolossal era restato l’unico a mantenere proporzioni contenute, si lancia ora in un riuscitissimo ma oneroso circo a tre piste (1982-1988). Ma il mercato è saturo, e con un fenomeno strano. Infatti (e non solo in Italia), ad ogni periodo di crisi corrisponde un proliferare delle aziende. Sembra facile aprire e ingrandire un circo ma meno saperlo gestire. Troppi sono ormai i circhi per il territorio della penisola: nel periodo invernale

quando più tendoni inflazionano ogni grande metropoli; e in Estate quando i centri della riviera adriatica hanno un circo a settimana. Alcuni cercano forme affini di spettacolo viaggiante: dagli anni ’80 numerose famiglie italiane presentano nel periodo estivo le arene di spettacoli con auto e moto acrobatiche, dopo che nel 1973 la via è stata aperta con lo storico Stunt Cars di Holer Togni (n. 1946): circense che (se si esclude la carriera delle Orfei nel cinema) fu capace di costruire un personaggio riconoscibile di showman celebre e popolare con un prodotto esterno alla logica classica (i suoi spettacoli negli autodromi raccolgono fino a diecimila persone). Alla fine il mercato estero si rivela l’unica valvola di sfogo: in particolare è l’organizzazione Casartelli che affronta e conquista mercati come Grecia, Turchia e Jugoslavia, fino a Israele, oltre all’Europa occidentale. In questo Ugo De Rocchi eredita la capacità dello zio Leonida Casartelli nella

Nando Orfei, “il domatore della televisione” ritratto nel suo circo, uno dei migliori degli anni ’80 (1983, coll. dell’autore)

361

362

penetrazione e nel mantenimento di mercati nuovi. Il gruppo Casartelli-De Rocchi crea un bacino internazionale di utenze di ampiezza rarissima nell’intera storia mondiale del circo. Poi c’è l’assalto degli italiani alla Francia, rimasta senza grandi circhi, e in alcuni casi di Germania e Austria13. In generale, i circhi italiani degli anni ’80 sono quelli di domatoridirettori: Orfei, Togni, Nones, Bellucci, Casartelli, hanno tutti invariabilmente propri gruppi di elefanti, cavalli e belve, mentre si diffonde la moda per i gruppi “esotici”: sembra che nessuno possa fare a meno di una giraffa, un rinoceronte o dei bisonti americani, non facendo che livellare l’offerta in modo prevedibile. Alcuni imprenditori tentano strade alternative usando il bagaglio tecnico e logistico del circo. A Milano Divier Togni (n. 1949), che aveva già tentato nel 1982 un’idea natalizia di Circo Nazionale Togni, si lancia in un ambizioso progetto di nuove soluzioni di spazio con strutture avveniristiche, che lo porteranno alla creazione del Palatrussardi, estendendo il concetto in tutta Italia e diventando leader di un nuovo settore. Enis Togni diffonde la moda dei concerti sotto il tendone, prima con Angelo Branduardi e poi associato a Renato Zero dando vita al tour leggendario di Zerolandia, cui seguono le storiche esperienze del Teatro Tenda di Piazza Mancini a Roma e della Bussoladomani a Viareggio. Pioniere di questo tipo di attività era stato anche Paolo Pristipino, che nei primi anni ’80 inaugura a Roma la struttura per eventi Tendastrisce in cui dal 1984 si svolge anche il programma natalizio Golden Circus. Walter Nones dedica dal 1985 una delle sue unità circensi alle tournées annuali della rivista Holiday on Ice o la usa per distribuire spettacoli circensi e folkloristici dall’Urss. Su queste basi, in Italia nascerà un intero e sterminato settore imprenditoriale para-circense nel campo degli spettacoli di massa, dai concerti agli “eventi”. Nel frattempo i circensi italiani restano paradossalmente vittime della loro stessa saturazione del mercato: giochi di forza creano una diaspora dei circhi Orfei dal resto della corporazione, “colpevoli” di tentare nuove strategie di mercato (il management del Circo di Mosca in Italia di Walter Nones o il Golden Circus natalizio di Liana Orfei): seppur fortemente innovativi, essi apparivano in conflitto con la regolarità dei circuiti, generalmente concordati. Gli stessi Orfei innescano a loro volta una difficile guerra contro gli Orfei “falsi”. Sono alcuni dei tanti problemi interni che rischiano di far implodere un settore faticosamente sensibile all’autodisciplina. Quasi inutili sono gli appelli dei vertici dell’ENC (Ente Nazionale Circhi, corporazione animata dai gestori stessi), che cerca di sensibilizzare le imprese verso il contenimento dei prezzi, delle installazioni e la qualità degli spettacoli. Ma difficilmente il messaggio arriva, in un settore che non riesce ad anteporre l’investimento sul futuro al guadagno immediato. Inoltre dall’esterno sorge un

nuovo problema: gli attacchi al circo da parte delle associazioni ecologiste. Tra il 1982 e il 1985 con una sorprendente frequenza, sono centinaia le lettere contro “gli animali al circo” inviate ai quotidiani italiani. Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti si trovano presto con lo stesso problema. 16.4 Assistenzialismo, formazione, riconoscimento: il circo e i poteri pubblici in Italia e in Francia Nel 1979, l’organizzazione del Casino de Paris porta a Parigi il Circo Americano dei Togni. Lo splendore dello spettacolo a tre piste, con alcuni dei più grandi artisti del mondo, è un trionfo. Segue una tournée francese: ma la reazione dei circensi autoctoni, i cui circhi sono modesti e agonizzanti, è violentissima. Il caso stimola ancora di più il dibattito per una rinascita anche istituzionale del circo francese. Nel frattempo, si deve ai circhi italiani il merito di mantenere per vari anni il gusto dei francesi verso il buon

circo. Alle ripetute tournée del Circo Americano seguiranno quelle di Casartelli (dal 1986) e di Livio Togni (dal 1989), tutti basati su famiglie di artisti di talento, grandi gruppi di animali e serietà professionale. La Francia, culla del circo mondiale, a metà degli anni ’80 ha solo circhi di piccole dimensioni. A Parigi anche il Cirque d’Hiver, l’ultimo degli stabili, cessa l’attività circense nel 1984 (riprendendola solo nel 1999). È un caso unico al mondo, quello dell’estinzione totale di un patrimonio artistico. Così come unico è il primato italiano di circa duecento circhi, i maggiori dei quali vedono proprio la Francia come terreno di conquista (mentre il francese Rancy si spegne in Italia). A questa differenza tra i due Paesi corrisponde un’analogia: si tratta delle due uniche nazioni al mondo in cui le istituzioni si occupano del circo. E in entrambi i casi, sono storie diverse di conquiste riuscite e di occasioni mancate.

Il Circo Americano (Togni) a Parigi, 1980 (foto C. Puttevils)

363

364

Negli anni ’80, il problema del circo francese è quello di rinascere dalle proprie ceneri; quello del circo italiano è salvare dall’autosoffocamento un settore che si espande senza disciplina. In Francia sono le istituzioni a notare la dissoluzione del circo, e ad inventare dispositivi di rinascita; mentre in Italia è la corporazione a cercare i poteri pubblici. Questa differenza è fondamentale: se in Italia il circo è salvaguardato come il patrimonio chiuso di una “categoria”, in Francia esso è oggetto di politiche culturali aperte verso una pluralità di soggetti. È questa, forse, la ragione principale per cui all’alba del 2000 la Francia diverrà la culla del “nuovo circo”, e l’Italia l’unica nazione a non generare compagnie innovative. Nel 1978 in Francia, col fallimento dell’impresa circense di una celebrità quale Jean Richard (cfr. 14.1), il governo Giscard si accorge che il circo non è tutelato come parte della cultura, ma fa riferimento al Ministero dell’Agricoltura (per via degli animali). Se il ministro Lecat vara una commissione di studio per un “piano di rinnovamento” e poi di un “fondo”, c’erano già stati negli anni contatti tra circo e istituzioni14. La citata tournée francese del Circo Americano Togni, nel 1979-80, e il successo di vari spettacoli russi e cinesi a Parigi, riaprono il dibattito in Francia sulla ricostruzione di un patrimonio circense. Mentre in Italia, nell’81, il ministro Lagorio porta a un miliardo di lire i contributi per il circo, in Francia il cambio di governo da Giscard a Mitterand raddoppia il budget della cultura. Ora, se negli anni ’80 l’intervento dell’Italia si ferma alla cultura amministrativa, in Francia esso si traduce in politiche culturali e progettualità. Se la Francia non avrà come da noi una legge sul circo, tuttavia da quest’epoca vi saranno vari tipi di interventi finanziari mirati. Jack Lang, il ministro della cultura di Mitterand, interviene con dispositivi a tutto tondo in campo artistico: i punti chiave sono decentralizzazione ed accessibilità a tutti, e il circo fa parte dei suoi piani. Nell’affrontare il circo, Lang lavora su tre livelli: 1) l’originalissima operazione di recupero artistico nella creazione di un “Circo Nazionale”, come una sorta di versione circense della Comedie Française; 2) un organismo di disciplina e sostegno del settore e del suo rapporto con i poteri pubblici; 3) un progetto di scuola nazionale. L’utopia di “circo nazionale”. L’idea di Lang è quella di stabilire una compagnia in grado di produrre uno spettacolo ogni anno che agisca sei mesi a Parigi e il resto dell’anno in provincia o in grandi appuntamenti esteri, per «ridare fiducia al pubblico e garantire la tradizione». Come unità-pilota è scelto il circo di Alexis Grüss: la sua esperienza con la Monfort, ne ha fatto un circense al tempo stesso pratico e colto, e in qualche modo il primo a concepire uno spettacolo di circo secondo criteri moderni di produzione (cfr. 15.4 e 16.2)15. Sono valorizzati il ruolo creativo della musica dal vivo,

della creazione di costumi, l’arte equestre come base, la modernità delle installazioni, gli scambi con le grandi tradizioni straniere (dal circo Knie a quello cinese, cfr. 16.1). Dalla prima produzione Le Cirque commence à Cheval, il successo è notevole: Grüss (con una reputazione già forte degli anni con la Monfort) riempie immediatamente il vuoto parigino della creazione circense, riportando sotto il tendone il mondo della cultura e il grande pubblico degli eventi artistici. Ma le tournées in provincia non hanno lo stesso successo; e in generale all’esperienza non è offerta una macchina

Il Circo Medrano della famiglia Casartelli, nel dopoguerra capace di effettuare tournées in Paesi stranieri più di ogni altro circo al mondo. Foto panoramica a Roma, 1980. Coll. dell’autore

mediatica pari al valore artistico. Inoltre quel che resta della “professione” circense lamenta il privilegio esclusivo dato alla famiglia Grüss. Nel 1987, dopo che l’accordo è stato rinnovato due volte, a Lang succede il ministro Leotard. E allo scadere dell’ultimo contratto con i Grüss, l’esperienza del Cirque National termina (Alexis Grüss continuerà ad animare il proprio circo come privato, salvaguardando stile e qualità). Il progetto aveva lanciato comunque un modo nuovo di nobilitare il circo, ispiratore nel mondo. Un’iniziativa artistica governativa di “circo nazionale” sarebbe stata perfetta anche per l’Italia. Una fertile famiglia italiana che (come i Grüss) avrebbe potuto lanciare un progetto di circo inteso come famiglia-conservatorio, quella di Cesare Togni, si lancia nella strada opposta, con la creazione di un nuovo circo a tre piste, nel 1982 (proprio l’anno in cui il Cirque National esordiva). In Italia il gusto degli operatori e del pubblico è confuso, in anni in cui gli eventi di tipo teatrale non sono ancora abbastanza massificati, e l’esplosione della tv commerciale diffonde estetiche ibride. Come il circo, del resto, anche il cinema nazionale (ad esempio la commedia all’italiana) snatura la propria identità fino alla crisi.

365

366

Corporazione e poteri pubblici. Nell’85, anno in cui in Italia è creato il Fondo Unico dello Spettacolo (FUS), il nostro circo gode di una considerazione notevole da parte delle istituzioni. Un anno prima l’Ente Nazionale Circhi era stato invitato a svolgere relazioni sia al congresso della DC che del PCI. Durante la sosta dei circhi a Roma le massime autorità intervenivano alla prima: e storica resta nel 1985 la visita del presidente Pertini al circo di Nando Orfei. Se l’Enc considera inadeguati i tipi di intervento (si insiste sul preferire sgravi fiscali a sovvenzioni a pioggia), il circo italiano resta distante dal mondo intellettuale, e da solo non riesce a formulare ipotesi di intervento per un rilancio culturale e artistico. In Italia sono decisamente mancate quelle “scintille” come Grüss e Fratellini, a metà fra tradizione e mondo esterno. Anche in Francia esisteva dal 1974 un’associazione di imprenditori. Il ministro Lang nel 1982 se ne serve come nucleo per varare un nuovo organismo parastatale, l’Aspec, una via di mezzo tra associazione di categoria e centro di promozione. Invece di sovvenzionare i circhi, la Francia affida i fondi all’Aspec, a sua volta autofinanziata dalle imprese. L’associazione non è “gestita” dai circensi: se gli imprenditori ne sono soci, i dirigenti sono studiosi del settore o funzionari culturali, e l’accesso è aperto anche a organismi non tradizionali e amatoriali. Quando l’Aspec sarà sostituita dal nuovo Andac (1988), uno dei motivi è il riconoscimento delle nuove realtà: dei trentatré soci buona parte sono scuole o circhi non tradizionali [Cfr. FORETTE]. A differenza che in Italia, c’è una novità decisiva: gli aiuti ministeriali filtrati dall’Andac si concretizzano anche in un “aiuto alla creazione” su deposito di progetti artistici. È il dispositivo-chiave per la futura nascita del nouveau cirque. Un problema che accomuna le due nazioni è il reperimento di aree: in Italia l’Ente Circhi scrive ai sindaci, in Francia l’Andac nel 1982 vara un protocollo con alcune città. In entrambi i casi, il successo è limitato. L’Italia inoltre a causa dell’elevato e crescente numero di circhi ha il problema del sovrapporsi delle proposte che inflazionano il territorio. Nel 1984 in Italia vi sono nove grandi circhi e centoventisette tendoni minori e familiari, e la spesa degli italiani per lo spettacolo circense è di sedici miliardi e cinquecento milioni. La formazione. Sia in Italia che in Francia, la vera scommessa vincente si rivelerà quella della formazione. In Italia già dal varo della legge sul circo nel 1968 era prevista l’idea di una scuola di circo, ora resa possibile dall’aumento di risorse. In Francia le iniziative pedagogiche degli anni ’70, di Grüss-Monfort e Etaix-Fratellini, mostrano i loro limiti. Il Centre di Grüss si rivela troppo rigoroso e accademico, e l’esperienza termina nel 1989; la scuola Fratellini, seppur sarà riconosciuta nel 1986 come diploma di formazione superiore, è pur sem-

pre un’iniziativa privata. Lang nel 1982 lancia un progetto di scuola superiore nazionale decentrata, la cui sede va individuata in uno dei tre edifici circensi in muratura rimasti (Elbeuf, Amiens, Chalons). Per una serie di ragioni, viene scelto e ristrutturato il circo stabile municipale di Chalons-en-Champagne, che nel 1985 diventa il Cnac (Centre National des Arts du Cirque). La domanda è forte: sul successo mediatico di Grüss, e sull’esempio parigino di Fratellini, che apriva corsi a bambini o dilettanti, in Francia erano iniziate a nascere decine di scuole di circo. Il Cnac diventa perciò una sorta di punto fermo istituzionale: prima scuola pubblica nel mondo occidentale, nasce da logiche completamente esterne alla tradizione circense, seppur col proposito di salvaguardarla. Completamente diverso è il discorso dell’Italia: l’idea di scuola nasce da iniziativa privata (la corporazione circense) seppur decisivo è l’intervento pubblico. Il consiglio d’amministrazione coincide in pratica con quello dell’Ente Circhi, formato dai proprietari circensi, il cui obiettivo è duplice: la formazio-

Il Cnac (Centre National des Arts du Cirque) a Chalons sur Marne (Francia): la prima scuola superiore pubblica di circo in occidente (foto P. Cibille)

367

Alexis Grüss in “De Lautrec á Picasso”. Cirque National Grüss, Parigi, 1985 (foto S. Neveu)

368

ne dei loro figli come artisti e la loro alfabetizzazione. Infatti, se in Francia il Cnac è un istituto superiore, l’idea italiana di scuola è dedicata all’infanzia di età scolare superiore e media, con una struttura convittuale che assorbe gran parte delle risorse. La scuola italiana è inaugurata nel 1988, avendo come sede provvisoria il quartier generale del Circo Americano dei Togni, a Verona: dunque in strettissimo legame con la logica corporativa imprenditoriale. Il nome è Accademia d’Arte Circense, ed il suo fondatore Egidio Palmiri (anche presidente dell’Ente) ne assume il ruolo di direttore. All’epoca ha settantun’anni, quando all’estero l’età media di un direttore di scuola era tra i trenta e i quaranta. Gli allievi sono per la quasi totalità di famiglia circense, e sono frequenti i loro rapporti di parentela con insegnanti e amministratori: è il modello secolare delle gloriose famiglie italiane. Solo nel 1991, l’Accademia (assieme all’Ente Circhi) troverà una sede adeguata in una colonia marina ristrutturata a Cesenatico (per poi tornare a Verona nel 2002). La cerimonia d’inaugurazione, alla presenza del ministro Carraro, mostrerà già i sorprendenti risultati atletici degli oltre quaranta giovanissimi allievi (tra i sei e quattordici anni) nelle discipline acrobatiche classiche che in Europa occidentale erano a rischio. Ma lo spettacolo dei bambini rigorosamente ordinati in uniformi da palestra e la struttura del programma didattico non rivelano attenzioni verso l’innovazione o la formazione degli allievi come identità creative oltre che ginnasti. In Francia il percorso è più complicato. Il primo direttore del Cnac è Richard Kubiak, organizzatore proveniente dal mondo dell’animazione di strada e della formazione circense moderna. A lui nel 1987 seguirà il canadese Guy Caron, fondatore della scuola di Montreal, appena reduce dalla creazione del Cirque du Soleil. Nel 1988 le scuole di circo in Francia sono già settantacinque. Nasce per coordinarle una federazione nazionale, tra i cui problemi principali vi è il dibattito tra formazione professionale e dilettantismo. Il movimento delle scuole è ormai una parte importante del sistema circense francese. Il Cnac intanto inizia a caratterizzarsi per un’estrema indipendenza dai codici della tradizione: seppur molti dei maestri sono vecchi artisti, la metà del sapere proviene da danza contemporanea, mimo moderno, tecniche sportive. Nel 1989 il Cnac si rivela ingestibile in un vero programma didattico. Caron abbandona. È chiamata Annie Fratellini per una gerenza temporanea e per stendere un rap-

porto, che non è dei più positivi. Il ministero nomina un nuovo direttore: è uno scultore, direttore di una scuola di circo a Rosny e presidente della federazione scuole. Con una visione molto chiara. Si chiama Bernard Turin (cfr. 18.6, 18.7). 16.5 Dalle avanguardie al circo “di carattere”. Se Grüss, Roncalli, Big Apple o Soleil hanno svolto il ruolo di rinnovamento per il circo commerciale classico, dalla ricerca degli anni ’70 si stacca un altro filone innovativo. Alcuni gruppi para-circensi dell’avanguardia erano stati assorbiti dal teatro. Altri erano andati a formare l’ossatura della grande famiglia del “teatro di strada”. Ad alcuni invece toccherà il tentativo (spesso rimasto tale) di rinnovamento vero e proprio del linguaggio circense. Si tratta di collettivi di artisti che tra Francia, Spagna, Gran Bretagna e Australia fanno confluire le loro esperienze in piccole compagnie circensi per un nuovo pubblico16. Gruppi inizialmente di nicchia, condividono un criterio artistico dominante assolutamente nuovo: la dissoluzione del concetto di “numero” a favore di una multidisciplinarietà dell’interprete circense. Sono gruppi che, iniziando a coprire con un tendone la loro drammaturgia di teatro di strada, e coinvolgendo sempre di più i primi allievi delle scuole di circo, diventano imprese di creazione definite e regolari. Il caso più emblematico è quello di Théâtre Equestre Zingaro, nato nel 1984 da una serie di esperienze legate all’ambiente del Festival d’Avignon post-’68, e dominate dalla personalità carismatica dello sciamano-cavallerizzo Bartabas (Clément Marty), appassionato di equitazione fin dall’infanzia17. Zingaro ha dal 1984 in Cabaret Equestre lo spettacolo che ne determina l’identità vincente e il successo per sette anni nel mondo, prima di affrontare una più complessa estetica (cfr. 18.5, 19.1). Di Cabaret Equestre colpisce lo strano valore di happening liturgico piuttosto che l’insieme di numeri presentati. Se Roncalli aveva rivalutato l’esperienza totalizzante del circo come ricostruzione di un mondo di fiaba, esaltando l’integrità dei numeri classici con le tecniche del teatro commerciale, in Zingaro ad avvolgere lo spettatore sono il vissuto e la quotidianità senza tempo della presunta comunità zingara. Basato unicamente sul rapporto tra cavalli e attori-musicisti, Zingaro è un’esperienza più vicina al “teatro povero” che alla tradizione del circo (mondi poi davvero così lontani?). Cabaret Equestre è la prima grande rottura moderna con i codici drammaturgici e di esibizione del circo. Il flusso musicale di un concerto tzigano è quasi indipendente come asse portante dello spettacolo.«La musica gitana, in cui si fondono melopee ebraiche e il Blues del Mississippi, accompagna al suono dei singulti dei violini un carro funebre trainato da due buoi bardati a festa e su cui alcune decine di bottiglie suonano da xilofono. Vacillanti maggiordomi alla Feydeau rivisitati da Buster Keaton servono, una

369

Bartabas e il cavallo Zingaro nella prima edizione di “Cabaret Equestre Zingaro”, 1985 (foto M. Enguerand)

370

mano con guanto bianco, vino caldo in barattoli di vetro per senape pieni di segatura […]. Con accessori stanchi per aver luccicato troppo in passato, Zingaro s’inventa una cerimonia decadente, delinea una Mitteleuropa immaginaria, crea un’opera kafkiana, accorda un’Andalusia incandescente e tutto il languore magiaro. È un teatro povero, ma pieno di sogni aristocratici e di un’oscura, indefinibile religiosità» [GARCIN]. Simboli e oggetti religiosi si uniscono con quelli del mondo dei girovaghi: lo scheletro di una giostra diventa un enorme incensiere-lampadario e un carro funebre può essere usato per servire il vino cotto al pubblico. Ma a parte il gioco-installazione con gli archetipi, qualunque nozione di décor è abolita. Per Bartabas l’esperienza è ridotta alla pura condivisione di emozioni in una no man’s land, in cui la purezza, la luminosità e la nuda circolarità proprie al circo restano il dispositivo chiave. Per la prima volta un artista di circo si avvicina ai processi dell’arte contemporanea con un progetto che ha per base l’evocazione, l’inconscio; il passare degli istanti come linea estetica. Non a caso per la critica inizia ad essere normale avvicinare Bartabas a Bob Wilson, Pina Bausch o Bill Viola. Il rapporto con i cavalli non è vissuto nella finalità di esibire un exploit, (come ad esempio in Grüss) ma semplicemente nella condivisione con l’uomo di un universo comune e di un immaginario. Bartabas diventa così un personaggio-emblema del teatro contemporaneo. La sua capacità visionaria è totale, anche come interprete: le sue inquietanti espressioni, le smorfie, il gioco reciproco di provocazioni col cavallo-attore Zingaro, il coinvolgimento violento di alcuni spettatori creano la strana sensazione che il circo può anche avvicinarsi al teatro di Eugenio Barba e del Living. Il carisma di Bartabas, nella versione showman dello sciamano, è innegabile: «Con il labbro inferiore sollevato urla in skovatch, ammonisce i cavalli, salta di gran carriera tavoli su cui sono allineati bicchieri di spumante, insulta i lacchè, si getta sugli spettatori, li scuote e si calma solo per montare, in stile tauromachia, cavalli impeccabili» [GARCIN]. D’altra parte, è recepita anche dalle istituzioni la volontà di Bartabas di distaccare Zingaro dai meccanismi che regolano il settore circense, avvicinandolo piuttosto al sistema del teatro e della musica con la definizione nuova e unica di “teatro equestre e musicale”. Il successo planetario di Zingaro dalla seconda metà degli anni ’80 (prima delle sue più sofisticate creazioni), si lega non tanto all’iniziativa commerciale che caratterizzava Roncalli o Soleil, bensì al circuito dei grandi festival d’arte e alla loro sete di spettacolarità visuale e fisica raffinata. In egual modo sembrano muoversi altre due esperienze francesi, seppur meno influenti. Il Cirque Plume (dall’83) e il Cirque Baroque (nome assunto nel 1987 da Le Puit aux Images), seppur si spostano con un loro tendone e coinvolgono ogni tipo di pubblico, si basano anch’essi più sulla tea-

371

Cirque Archaos. Parigi, 1989

372

tralità plastica delle immagini che sull’exploit circense. L’emergere di queste ed altre compagnie negli anni ’80 (Compagnie Foraine, Cirque en Kit, Le Grand Celeste, Le Docteur Paradi) si incrocia in Francia con l’amministrazione Lang, in cui il budget della cultura è aumentato con attenzione verso le forme “minori”. Il ripensamento politico del settore circense, vede questi gruppi non solo con pari riconoscimento istituzionale delle poche imprese tradizionali rimaste, ma anzi le eleva ad emblema di una presunta rinascita creativa del mondo circense. Del resto anche la struttura didattica del nuovo Cnac inizia a privilegiare la formazione a tutto tondo di “interprete della pista”, opposta alla “fabbricazione” di numeri per il mercato (come invece continuava a fare, e con concretezza, la Fratellini). È l’inizio di un intenso dibattito in Francia sulla formazione circense e sullo specifico stesso del circo, che si trascinerà per oltre un decennio tra pesanti malintesi e risultati altalenanti. Se la capacità visionaria di questi gruppi riesce a rimotivare il gusto del circo in generale, solo in pochi casi vi è una riuscita mediatico-commerciale. L’esperienza più straordinaria oltre a Zingaro è senza dubbio dal 1986 quella di Archaos-Cirque de Charactére di Pierrot Bidon, transfuga del Cirque Bidon. Quasi in parallelo alla “sporcizia” tribale di Zingaro, Archaos definisce “delirio postindustriale” la sua commistione tra acrobati, detriti da discarica, veicoli impazziti, musicisti punk, personaggi da emarginazione suburbana, neo-clowns armati di motoseghe. In realtà per quello che avviene sotto il suo “chapiteau di corde” o nelle situazioni all’aperto in cui si propone, Archaos sembra vincente per la sua struttura insospettabilmente classica: presentazione di buoni numeri acrobatici con musica dal vivo, legati da personaggi e intermezzi comici. Ma vi è una grande novità: si tratta del processo di simultaneità, in cui lo spettatore è aggredito da personaggi e accadimenti che si alternano contemporaneamente, generando visioni e sollecitando l’immaginario. Una tecnica che ha un precedente paradossale nel Barnum di inizio secolo, e di cui sarà debitore il Cirque du Soleil (non a caso nell’88 è Franco Dragone a curare una regia di Archaos). Di Archaos è senza dubbio la caratteristica “anarchia onirica” a creare verso i propri spettacoli un consenso vastissimo, dagli intellettuali più sofisticati ai giovani di periferia che accorrono a migliaia. Il gusto punk e grunge di Archaos ne fa le fortune presso il pubblico anglosassone, che non era peraltro estraneo a nuove forme. Sarebbe, infatti, un falso storico attribuire alla sola Francia la genesi di un “nuovo circo” (come già si è dimostrato nei capitoli precedenti). Vi è negli anni ’80 anche un solido ceppo di rinnovamento britannicoaustraliano, dovuto al proliferare di piccole scuole incoraggiate anche dai dispositivi di sostegno delle arti e di azione sociale. Emergono collettivi di

373

breve durata: come il Suitcase Circus di Reg Bolton in Australia o i circhi Hazard, Lumiere, Burlesque, Senso, Ra-ra-zoo in Gran Bretagna. L’esperienza più felice è forse l’australiano Circus Oz (nato nel 1977), con la sua capacità di reinvenzione dei numeri del circo con una forte carica di derisione. Punti di incontro diventano a Londra l’apertura alle arti di strada del Covent Garden e il Mime Festival; a Londra nasce anche il primo festival internazionale di “new circus” nell’88. L’impresario Gerry Cottle, pur a capo di un circo tradizionale, è il primo a tentare un esperimento di scuola di circo inglese. Poi l’apertura della scuola Circus Space a Londra nel 1990, in una vecchia centrale elettrica, farà della capitale inglese un punto di riferimento del “nuovo circo”, in anni di reazione intensa dell’opinione pubblica britannica verso la decadenza del circo tradizionale ed una crescente ostilità per gli spettacoli con animali. La metà degli anni ’80 vede affermarsi anche in Catalogna la trasformazione di compagnie di strada in “nuovi circhi” provvisti di tendone (il Circ Cric nell’81, o il Circ Perillos e il Circ Semola), nel periodo di massima espressione di un nuovo teatro spagnolo alternativo fondato sulla fisicità e sulla visualità violenta: sono gli anni di maturità dei Comedians e quelli in cui si fa strada, dal 1979, La Fura dels Baus [CFR. JANÈ-MINGUET, 2006]. Non va poi dimenticato che negli ultimi anni del regime sovietico si sviluppano a Mosca e S. Pietroburgo tendenze circensi esterne al sistema e felicemente aperte alla trasgressione e alla sperimentazione. È il caso del gruppo di Teresa Durova e dal 1988 dei travolgenti Litsedei, dai quali emergerà il genio surreale di Slava Polunin. La tendenza generale di fertilità di un circo “nuovo” negli anni ’80 si accompagna alla diffusione mondiale della giocoleria amatoriale con decine di migliaia di praticanti, al fenomeno dei buskers, o alla pratica amatoriale delle tecniche circensi quali forme di autostima e training. L’universo del clown sembra alla fine degli anni ’80 un efficace veicolo di rinnovamento e di azione sociale anche al di fuori della pista. È il caso della Clown Care Unit fondata nell’86 da Michael Christensen, come operazione parallela del Big Apple Circus, dopo un iniziativa nata quasi per caso un anno prima: l’Health Day. Raccogliendo artisti di varie provenienze, è qui che per la prima volta nasce il fenomeno organizzato della clown-terapia negli ospedali, poi diffuso nel mondo18.

374

16.6 Il circo reinventato: le origini del Cirque du Soleil «Noi non abbiamo reinventato il circo: abbiamo preso quello che era stato fatto riarrangiandolo. Abbiamo inventato una nuova combinazione», ricorda oggi Guy Caron. Roncalli, Grüss, Knie, la lezione sovietica e quella cinese: nessuno ha catalizzato queste influenze base dei primi anni ’80

meglio dei creatori del Cirque du Soleil. La loro è la vera operazione di sintesi delle tendenze del circo di fine secolo. L’inizio degli anni ’80 vede emergere nel Québec varie pulsioni culturali e di ricerca di identità nel contesto nordamericano. Anche le arti di strada vi avevano visto un intenso sviluppo dopo il ’68: ma a differenza che in Europa non riscuotevano l’interesse delle istituzioni. Les Echassier de la Baie St.Paul era una troupe di teatro sui trampoli diretta da Gilles St.Croix, che dopo due tournées estive nel 1980 e 1981, decide di dare vita ad una specie di festival: è la Fête Foraine della Baia di St. Paul con una cinquantina tra gruppi di trampolieri e mimi da tutto il mondo. Qui tra sfilate, stages, ani-

mazioni, spettacoli, la serata finale riunisce tutti in uno spettacolo estemporaneo. Una sorta di Woodstock dei moderni saltimbanchi, la cui energia colpisce molti. Socio di St. Croix nell’iniziativa è Guy Lalibertè (n. 1962 ), musicista-mangiafuoco ventenne che si era già avventurato per le piazze d’Europa. Nel 1983 la festa è replicata, col chiaro obiettivo di renderla un’impresa. Nel 1984, per la terza edizione, Lalibertè tenta di accedere ad un contributo governativo per i 450 anni del Québec: il progetto è quello di rendere itinerante la festa. Ma in una di quelle combinazioni tra caso ed economia, il risultato sarà diverso: alla fine a diventare itinerante sarà solo una versione della serata finale della festa, un unico spettacolo che prende il titolo di Le Grand Tour du Cirque du Soleil.

La festa della Baie St. Paul (Québec) nel 1980, primo nucleo storico del Cirque du Soleil: a sinistra Gilles St. Croix, al centro Guy Lalibertè

375

Le Cirque Reinventé (1987) la prima produzione del Cirque du Soleil fuori dal Canada che afferma la troupe negli Stati Uniti. (foto n.d., coll. dell’autore)

376

Lalibertè crea una prima regia per quello che sembra un vero e proprio circo: forma di spettacolo estranea alla cultura del Québec. Giocolieri e animatori di strada si ritrovano in una pista, sotto un tendone provvisorio di ottocento posti, che visita in tre mesi undici città della comunità dando cinquanta spettacoli a prezzi popolari. Ma gestire la logistica di quaranta persone si rivela cosa durissima, sebbene si affermi già una sensibilità verso il marketing: intuendo che il pur modesto spettacolo sembra creare una vera e propria domanda di mercato. In cerca di sostegni per dare continuità all’esperienza, Lalibertè riesce a interessare direttamente il primo ministro, René Levesque, (che aveva visto lo spettacolo) perché un secondo tour sia sovvenzionato nell’ambito dell’“Anno della Gioventù”. Levesque, contro lo scetticismo del suo stesso Ministero della Cultura, accetta così di sostenere un tour per il 1985. Perché il Cirque du Soleil è subito legittimato con entusiasmo a livelli così alti? Paese giovane, il Québec aveva dimostrato la propria energia creativa sulla scena mondiale con l’Expò del 1967 e le Olimpiadi del 1976, che avevano creato anche legami culturali con le altre culture del mondo. La gioventù era un settore chiave di investimento. Un gruppo motivato e creativo come i fondatori del Cirque du Soleil era il modello di una generazione tenace, con un senso aggressivo dell’imprenditoria. E soprattutto senza complessi nell’affermare un’identità slegata dal peso culturale dei “vicini” statunitensi. E, infatti, il tour ’85 si estende anche alle città anglofone, seppur con deludenti risultati di mercato. Ma è una fase decisiva: i media identificano il circo come un’arte nuova, il pubblico scopre un linguaggio di spettacolo moderno e al contempo immediato. Nel preparare la decisiva edizione ‘85, era emersa l’esigenza di codificare meglio il linguaggio circense con un vero processo creativo. Lalibertè fa ricorso alla figura chiave di Guy Caron, il canadese che meglio conosceva la tradizione circense mondiale. Caron avava studiato circo a Budapest, per poi fondare la scuola di circo di Montreal nel 1982 e aveva diretto il Cnac in Francia. Egli guida Lalibertè attraverso le influenze europee di Grüss, Knie e Roncalli: i circhi più “puri” e creativi della tradizione. Caron prende inoltre a modello lo spirito di essenzialità del circo cinese, che si era esibito con successo a Montreal un paio d’anni prima. E chiama dal Belgio Franco Dragone, regista e insegnante di Commedia dell’Arte, che inizia a sviluppare la costruzione di personaggi a metà tra teatro e circo. In uno spazio caratterizzato ormai dalla pista classica rotonda, Lalibertè, Caron e Dragone creano così lo spettacolo ’85 del Cirque du Soleil, forse il vero atto di nascita identitario della nuova “firma”. Nel frattempo si rivela necessaria l’estensione del tour per ammortizzare i costi della troupe, sempre più verso un’economia simile ai tour da concerto: ma, anche per le limitate condizioni climatiche canadesi, si impongono nuovi mercati.

377

378

Nel 1986 il Cirque du Soleil mette in scena La Magie Continue. Al suo terzo anno, è una solida impresa inserita sia nel circuito artistico canadese che nelle relazioni del circo mondiale. Un buon rapporto con gli svizzeri Knie consente la logistica di un tendone classico all’europea, fabbricato in Italia, con la gradinata rotonda e stretta attorno alla pista: un principio classico ma inedito in America (se si eccettuava il Big Apple a New York). L’ispirazione nata da Roncalli sviluppa l’aspetto festivo e partecipativo dell’esperienza circense. Gli spettacoli di Grüss e del circo cinese influenzano profondamente lo spirito collettivo. Da Grüss sembra provenire anche l’idea di “filo conduttore”, pur senza scelta di temi. La musica e il design diventano sempre più elementi costruttivi. Il cast artistico dei primi anni deve molto al rapporto con la scuola di Montreal (lo stesso Caron ne è il direttore), i cui giovani allievi costituiscono l’ossatura dello spettacolo. Maestri internazionali (soprattutto cinesi) creano numeri in quella contaminazione tra acrobatica occidentale e orientale che diverrà una delle carte vincenti del Soleil. Altri artisti sono reclutati alla scuola francese Fratellini o in varie dell’Est. Il criterio è sempre quello di coinvolgere talenti giovanissimi senza influenze circensi radicate, aperti a lavorare al servizio di una regia e ad alternare il lavoro di acrobata a quello di personaggio teatrale. La chiave drammaturgica è quella dell’équipe di pista polivalente, di quel senso di troupe appartenente sia alla tradizione orientale che al circo ottocentesco o di famiglia. Ma i riferimenti alla tradizione sono di metodo e non estetici. Il lavoro di Dragone sul personaggio resta nello specifico circense pur affrontando un lavoro teatrale sulla maschera nello stile di Lecoq, o ispirandosi ad un’idea di archetipi umani cara a Mnouchkine e Brook e per certi versi al teatro cinese. L’universalità del linguaggio artistico si rivela necessaria per un mercato bilingue e multiculturale, e in futuro sarà una delle chiavi del successo planetario. Il Cirque du Soleil diventa un’esaltazione delle dinamiche di gruppo, dentro e fuori lo spettacolo. La sua spinta artistica viene dal basso, dalla cultura del mondo giovanile; su queste basi sarà possibile per il gruppo affermare uno spiccato senso dell’autocritica, della rimessa in discussione continua delle dinamiche interne e delle logiche di gestione e valorizzazione aziendale delle risorse umane. Con la definizione dell’identità estetica, emerge anche un profilo definitivo di pubblico: il Cirque du Soleil già dall’86 è frequentato da una classe medio-alta tra i venticinque e quarantacinque anni, al sessanta per cento femminile. Sono dati che resteranno pressochè invariati negli anni, così come i processi di diffusione. Il consenso genera dinamiche molto simili a quelle suscitate in Germania da Roncalli: l’immediata curiosità da parte della stampa, le politiche di coinvolgimento di personalità e celebrità, le tecniche di comunicazio-

ne integrata. Ma la capacità di attrazione è affidata alla qualità dello spettacolo: il cinquanta per cento del pubblico proviene dal “passaparola”. Nel 1987 con Le Cirque Reinventè il Cirque du Soleil ha una solida estetica propria, che gli permette di essere lo spettacolo inaugurale del Los Angeles Arts Festival, seppur senza alcuna garanzia economica. Vero parvenu tra colossi come Peter Brook, Peter Sellers, il Lyon Opera Ballet, il circo canadese è l’illustre sconosciuto che diventa, tempo una serata, la sensazione culturale del momento. È la nascita del mercato statunitense. Ormai slegato da sovvenzioni pubbliche, il Cirque du Soleil è ora una piccola azienda di spettacolo unica nell’intero panorama nordamericano: è la prima alternativa originale negli anni di boom del mercato di tournées dei musical classici. Le Cirque Reinventè, con varianti nel cast, conquista per tre anni Canada e Usa, fino alla grande svolta degli anni ’90 (cfr. 17.1)19. 16.7 La nuova linfa dell’Est e i Festivals: l’industria dei numeri circensi A corto ormai di acrobati, i circhi europei dei direttori-domatori negli anni ’80 hanno un’improvvisa chance con l’apertura totale dei mercati dell’Oriente: se gli artisti dell’Europa dell’Est erano già scritturabili da oltre un decennio, ora anche i leggendari numeri cinesi e russi iniziano a slegarsi dalle blindate tournées dei loro spettacoli di Stato, rendendosi disponibili ai normali circhi. Il merito è del prestigio del Festival di Montecarlo e del valore di vetrina di quello del Cirque de Demain di Parigi, che riescono ad ottenere per primi la partecipazione di Russia e Cina. A Montecarlo il disgelo inizia nel 1981 con due numeri sovietici: il leggendario clown Popov e un duo aereo (Lubitchenko-Golovko); poi al Festival di Parigi fa sensazione nell’82 l’arrivo delle contorsioniste della Mongolia con la “dea” Tara; e la rivelazione della “pagoda di cristalli” con la cinese Dai Wen Xia. E nel 1983 anche a Montecarlo arrivano i cinesi con la contorsionista Li Liping. I contatti con i Festivals e col mercato occidentale fanno intuire ai dirigenti comunisti nuove potenzialità, e rapidamente partono strategie di apertura, inizialmente solo su progetti selezionatissimi e tramite sedi diplomatiche. Nel 1984, un altro evento storico: i dirigenti cinesi accettano di slegare alcuni acrobati dalla logica di tournée ufficiale “blindata” per inviarli nei due circhi europei più “istituzionali”: al circo Nazionale Knie in Svizzera per la tournée Knie + il Circo Cinese, e l’inverno successivo al Cirque National di Grüss a Parigi nel memorabile programma Paris-Pékin. I programmi misti con acrobati orientali e cavallerizzi europei riscuotono un successo senza precedenti, e la formula si estende altrove. Anche in America: il biennio 1986-87 vede artisti della troupe di Shanghai far parte dell’imponente spettacolo del circo Ringling negli Usa; e nel 1987 anche il Big Apple e il quasi esordiente Cirque du Soleil

379

Lu Lixing e Shen Ning, una delle prime troupes cinesi al Festival di Montecarlo (1984, foto F. Bollmann)

380

avranno artisti cinesi. Lo stesso tipo di combinazioni avviene con l’Urss: è sempre Knie a varare nell’85 il programma Knie + il Circo di Mosca, combinazione attuata in Italia da Walter Nones (Moira più Mosca, 1988), in Germania da Williams-Althoff (1989) e in Svezia da Scott. In pochi anni, per qualunque circo sarà possibile avere normalmente attrazioni russe o cinesi, spesso contattandole direttamente, soprattutto dopo il crollo del Muro di Berlino. La raggiunta fluidità tra Cina, Russia, Nordamerica ed Europa ha un termometro nel proliferare dei Festivals, che tocca il suo apice attorno al 1990. Montecarlo si afferma come altare di consacrazione di vedettes già nella storia, pagati a cachet per concorrere ed esibirsi, ma anche capace di mostrare nuove sorprese. È invece il Cirque de Demain di Parigi il vero trampolino che in dieci minuti può trasformare un esordiente in una star mondiale: è il caso (oltre che per russi e cinesi) nel 1985 e 1986 dei mimi “storici” David Shiner, Peter Shub, e Denis Lacombe o del primo nucleo del Cirque du Soleil nel 1986. Intanto, rapidamente sorgono molti altri festivals: in un decennio ne appaiono almeno venti nel mondo, di diverso valore20. Lo schema di Montecarlo è clonato ovunque senza grande fantasia: è quello con una ventina di attrazioni e una giuria internazionale di specialisti. Terra di Festivals diventa per qualche anno l’Italia, dove le televisioni sono pronte ad investire facendone terreno di concorrenza, in città spesso scelte a seconda della logistica televisiva o dei finanziamenti locali. Ma sempre per iniziativa di privati impresari, e mai da associazioni, o per decisione o investimento istituzionale. Nei primi anni ’90, la breve avventura di Festivals come Verona o Genova entra nella storia per superare in qualità e originalità anche il modello di Montecarlo, attirando in Italia centinaia di operatori dai cinque continenti, come mai era accaduto. I festivals diventano il momento di aggregazione e scambi professionali per migliaia di impresari, il trampolino per nuovi numeri: una statuetta è decisiva per aumentare il valore di un artista già sul mercato. Ma gli enormi costi organizzativi limitano in genere la durata negli anni di questi festivals a due, tre anche una sola edizione. Solo i due eventi-pionieri Montecarlo e Parigi saranno alla fine gli unici capaci di superare il trentennio. Altri sopravvivono scegliendo la biennalità (Budapest, Wu Han, Wu Quiao, Barcellona). Altri ancora si specializzano nella proposta di artisti infantili o giovanili, coinvolgendo scuole amatoriali, professionali e famiglie circensi21. Ma quale che sia la loro forma, i festivals di numeri circensi sono il segno dell’esistenza di un’industria dai mille stili e dai livelli più diversi, in cui in una serata lo stridore tra avanguardia e conservazione può esprimere la vitalità di un genere. Oltre all’offerta, anche la domanda per gli artisti si è estesa: ai grandi circhi storici (Ringling-Barnum, Krone, Togni, Orfei, Knie), si sono aggiunte quelle che sono ormai nuove imprese (Roncalli, Soleil, Big Apple) con un notevole

381

potere di acquisto. Inoltre, le attrazioni circensi migliori oltre a continuare a popolare i grandi cabaret di Parigi o Las Vegas, trovano nuovi sbocchi nell’espansione dei nuovi parchi di divertimento europei ed americani.

Le Cicogne: produzione aerea della troupe Golovko, coreografia di P. Maestrenko. Circo di Mosca, 1985

382

16.8 Gli scultori dell’aria e l’evoluzione dell’acrobazia La notizia attraversa il pianeta di sorpresa, dalla prima pagina del «New York Times»: il 10 luglio 1982 a Tucson, Arizona, Miguel Vasquez staccandosi dal trapezio compie un quadruplo salto mortale prima di agganciarsi ai polsi del fratello Milton, porteur22. Poi, torna al proprio trapezio con una elegante piroetta. In senso storico, si tratta della più importante conquista umana da quando esiste l’acrobazia. Ma questo estremo exploit atletico, non è un punto di arrivo artistico. La prodezza del quadruplo, in effetti, non è che il culmine di un’estetica del “sempre più difficile”, di un genere che seppur continua a produrre buone famiglie sudamericane (Bells, Caballero, Navas), non genera in realtà alcuna evoluzione estetica fin dagli anni ’30. Gli anni ’80 mostrano altrove un rinnovamento radicale delle discipline aeree, e delle arti del circo in generale. E non, come si era sempre ragionato, nella ricerca progressiva del record, bensì in una logica artistica che porta ad una vera mutazione dei codici acrobatici e delle tecnologie applicate. A parte il quadruplo, che sancisce la solidità della scuola sudamericana, negli anni ’80 vi sono altri due momenti chiave dell’arte aerea: il rinnovamento sovietico e l’emergere della scuola coreana. Lo “Studio” di creazione di Mosca mostra i primi grandi risultati. La possibilità di lunghi tempi per la creazione di un numero (anche anni), la presenza di più creatori, gli elevati budget per le sperimentazioni tecniche danno vita a vari capolavori. La chiave di volta è la creazione di un modello di artista che sappia sposare la qualità dell’atleta alla coscienza dell’interprete. Negli anni ’70 si era già vista la pantomima aerea Prometeo (cfr. 14.2). Il 25 marzo 1985 debutta a Mosca uno dei numeri più ambiziosi della storia del circo. Il regista Piotr Maestrenko (1924-1997) e la troupe di trapezisti diretta da Vilen Golovko presentano dopo sette anni di lavoro Le Cicogne: un vero e proprio poema sinfonico-acrobatico ai trapezi volanti, ispirato da una leggenda sulle anime dei caduti in guerra23. Il dispositivo tecnico è impressionante, le evoluzioni di altissimo livello. Ma soprattutto i

trapezisti si muovono nell’aria su una vera e propria partitura coreografica tra suggestivi effetti di luce. Il rigore estetico proprio del danzatore non impedisce alla troupe il massimo dell’exploit (uno di loro riesce anche nel “quadruplo”). Nel 1991 Le Cicogne compiono la prima di tre tournées in America: a New York sono lodati da Jerome Robbins e la critica li innalza tra le icone della ricerca coreografica contemporanea. Il circo poteva essere ormai considerato un’arte interpretativa, e Le Cicogne la base su cui costruire negli anni ’90 l’avanguardia canadese e il “nuovo circo” francese. Vi è in questi anni un’altra inattesa novità: nell’81 a Roma e a Parigi si esibisce per la prima volta il Circo di Stato della Corea del Nord. Tra gli straordinari numeri si impone una troupe di trapezisti che rinnova radicalmente la tecnologia del settore, e in cui i vari esercizi sono legati, senza tempi morti, come veri e propri voli24. Di inedito vi sono anche l’aumento spettacolare delle distanze e la sovrapposizione dei livelli. È una rivoluzione totale. La prima troupe di trapezisti è capeggiata dal porteur Kim Dong II con il poi celebre atleta Choe Bok Nam, capace di un triplo, e trionferà al Festival di Montecarlo nel 1984 (influenzando di molto altri trapezisti russi, sudamericani, europei). Altra conquista dell’aria in forme evolute di coreografia è quella del trapezio singolo. Quest’ultima disciplina si era affermata negli anni ’70 con gli spericolati americani che si lanciavano nelle prese ai “talloni”, e prima ancora si era vista la “divina” temeraria Miss Mara, ma era stato un caso pressochè unico. I russi trasformano il trapezio singolo in un’aggraziata performance femminile in cui l’uso di cavi di sicurezza elimina il fascino del rischio, ma aggiunge spettacolari figure atletiche unite ad intense qualità interpretative. La rivelazione è nel 1987 il numero di Elena Panova. Creato con il ginnasta Victor Fomine e la regista Tereza Durova (entrambi digiuni di tecniche aeree), il numero è un’intuizione estetica e tecnica che segna la nascita di un vero genere, tra i più fortunati della storia. La Panova come un’étoile di danza volteggia a testa in giù sulle note di Vivaldi in un numero che termina con una piroetta e mezza sulle caviglie al trapezio25. Alla fine del decennio si afferma un’ulteriore scuola aerea: quella canadese. Il visionario André Simard, ispirato anche dall’esempio russo, crea nel 1988 il numero del Duo Mouvance: un vero e proprio tango danzato al trapezio, che coniuga intensità interpretativa, elevatissima performance e l’antica suspence legata al reale rischio. Nell’eredità di una scuola più classica, trionfa nei due emisferi l’italiana Vivien Larible, nel continuare la tradizione degli equilibri in verticale al trapezio washigton. L’elemento del rischio a grande altezza è garantito in questi anni anche dalla splendida Dolly Jacobs, che con sfarzo e classe rinnova i fasti della mitica Leitzel nelle evoluzioni agli anelli. Il messicano Sabu Alegria gira il

383

Tamerlan Nugzarov, coreografo e capo-troupe equestre, in un momento della sua pantomima La leggenda del Caucaso (Festival di Verona, 1994, foto P. Brenzini)

384

mondo con un numero mozzafiato al trapezio senza rete, mentre la numerosa famiglia spagnola Garcia crea varie attrazioni aree basate sulla suspence. Se scendiamo dal trapezio, nel campo dell’arte acrobatica a terra i grandi gruppi dell’Est europeo di acrobati alle bascule o all’altalena russa continuavano a proliferare, ma sempre più simili tra loro. La tradizione acrobatica europea occidentale era ormai pressochè scomparsa: in Italia, Francia, Svizzera o Germania i figli di quelli che erano acrobati preferiscono diventare imprenditori di circhi medio-piccoli. In occidente, gli ultimi anni ’80 vedono almeno un riemergere dell’acrobazia “mano a mano” con due scuole principali: una è quella portoghese, con le famiglie Chen e Alexis-Lorador, più basata su esercizi di forza; l’altra è quella sovietica basata su volteggi spettacolari di un bambino nelle mani di un adulto, genere popolarizzato dai Kotsuba. Sempre in Russia riemerge a nuovi livelli la “barra russa”, grazie a spettacolari troupes come gli Egorov. E qui si affermano due generi dalla diffusione poi vastissima: l’hula-hoop (tra le iniziatrici Marina Kordoban e Dana Kaseeva) e il sopra citato trapezio singolo. Nella campo dell’acrobazia equestre, una risposta alla crisi delle dinastie occidentali viene da Mosca. Così come Le Cicogne aveva offerto nuove

prospettive sull’arte del trapezio, un intraprendente cavallerizzo, Tamerlan Nugzarov (n. 1942), crea l’ultima grande pantomima a cavallo del Novecento: La leggenda del Caucaso. Nata già negli ultimi anni ’70, attraverso anni di affinamento è presentata al mondo occidentale nel 1984 a Montecarlo, e poi in varie tournées europee e statunitensi. Dotato di un eccezionale carisma attoriale, Nugzarov è a capo di una troupe di danzatori-cavallerizzi che riescono ad uscire dal folklorismo etnografico catapultando piuttosto lo spettatore nel rigore e nel gusto classicista del melodramma russo. Si può quasi dire che per l’arte equestre Nugzarov stia a Bartabas come Nureyev alla Bausch. 16.9 Animali e domatori negli anni ’80 Nel periodo in cui in tutto il mondo la sensibilità animalista fa sorgere dubbi sull’etica di impiegare animali in spettacoli, il business dei domatori raggiunge una diffusione notevole. I numeri di animali continuano a popolare i tendoni, soprattutto quelli i cui le famiglie di acrobati scarseggiano e le attrazioni russe o cinesi sono troppo costose. L’addestramento di belve feroci prolifera in Russia, Europa e Usa. Se il principio è sempre quello di ottenere risultati di virtuosismo da razze di origini selvatiche, i metodi si avvicinano sempre di più all’etologia e al rispetto del comportamento degli animali. Si cerca di mettere in valore la naturalezza delle creature, abbandonando le esibizioni antropomorfe. Ormai ciascun animale di circo ha una natura di cattività da almeno quattro-cinque generazioni, con scambi e forme di riproduzione tra i vari gruppi addestrati, da un continente all’altro. Il fenomeno commerciale è quello di vere e proprie aziende di addestratori-allevatori che funzionano come un sistema di “scuderie” sportive, producendo numeri da scritturare nei vari circhi del mondo. Il più intraprendente degli anni ’80 è l’inglese James Clubb, legato alla dinastia Chipperfield, che forma una vera e propria “scuola” di addestratori (Emil Smith, Luis Palacios, Larry Allan Dean, Martin Lacey) con leoni, pantere, tigri, orsi distribuiti nei due emisferi. Curiosamente l’iniziativa parte dalla Gran Bretagna in cui i numeri di animali sono ormai banditi dalla sensibilità animalista. Dagli Usa si afferma l’Hawtorne Corporation di John Cuneo, che introduce la grande novità di fine secolo in fatto di animali: un gruppo di tigri bianche. Questi felini, popolarizzati già da qualche anno dai maghi di Las Vegas Siegfried e Roy (con un loro programma di riproduzione), appaiono per la prima volta in gruppo in un circo nel 1984 al Ringling presentati da Wade Burck, per poi sbarcare sotto i tendoni europei con John Campolongo dal 198826. Importante resta il numero di tigri creato dal vecchio maestro Jean Michon per il Circo di Moira Orfei nel 1986, selezionando vari esemplari. È presentato da Massimiliano Nones, primo domatore di belve a vincere il

385

Davio Togni in “Il Florilegio”, 1990 (foto L. Wangermez)

386

Festival di Montecarlo. Una ricerca estetico-interpretativa è tentata a Mosca da Nikolai Pavlenko, che lavora nella stessa logica di selezione di esemplari e addestramento di grandi gruppi: la sua presentazione in frac (ispirato a Sawade), “armato” in gabbia solo di una bacchetta e con movimenti coreografati su musica classica, lo consegna alla storia come il “Karajan delle tigri”. Importante anche lo svizzero Louis Knie, che sulla linea dell’essenzialità di Houcke presenta in modo suggestivo le sue 9 tigri con la gabbia quasi sgombra di accessori. In America, il Ringling-Barnum continua ad offrire grandi mezzi alla superstar Gunther Gebel, le cui presentazioni di tigri restano sontuose e dalla pronunciata teatralità (cfr. 14.1). Tutti questi gruppi di tigri, che negli anni ’80 sembrano sostituire i leoni, sono numerosissimi, e contano spesso fino a venti esemplari. Negli stessi anni Gerd Siemoneit, ultimo glorioso rappresentante di una generazione precedente, compone un importante gruppo “misto” di orsi e felini, mentre vari circhi tedeschi riprendono per alcuni anni la tradizione dei gruppi di orsi polari, oggi scomparsa. L’inglese Emile Smith compone con successo un difficile numero di piccoli felini: giaguari, pantere, leopardi ed un rarissimo “leopardo delle nevi”. La presentazione di elefanti sembra restare una necessità per ogni circo grande o piccolo, sebbene in forma monotona e immutata dal principio del secolo. Punto di riferimento resta in Svizzera la creatività di Knie, che ogni anno rinnova il proprio addestramento; e si fa notare il carisma e il ritmo di Flavio Togni, che nel proprio American Circus ha uno dei maggiori gruppi del mondo, valorizzato con varie idee coreografiche ispirate all’immaginario popolare, dall’universo di Tarzan a quello dei film di fantascienza. Ancora alla famiglia Knie e ai Grüss si deve una vera evoluzione creativa e tecnica nella presentazione dei cavalli in libertà, in cui negli anni ’80 si distinguono tra gli esponenti migliori anche Yasmine Smart, Katja Schumann e, pure in questo campo, i mattatori Gunther Gebel e Flavio Togni. E in generale vari addestratori riescono in tutta una serie di nuovi exploit con quadrupedi selvatici: come il gruppo di quattordici zebre di Sacha Houcke; quello di zebre e antilopi di Stefano Nones; i quattro elefanti più quattro cavalli di Flavio Togni; la tigre sul rinoceronte di Frèdy Knie; il leopardo sul rinoceronte, senza gabbia, di Davio Togni.

387

17. GLI

ANNI ’90 FRA POSTMODERNO E NEOCLASSICO

17.1 La rivoluzione del circo dalla “nuova” Russia al Canada Nel 1990, il Cirque du Soleil debutta con Nouvelle Experience: è uno spettacolo decisivo, che si distacca sempre di più dai riferimenti allo spazio e ai codici del circo classico. Pur continuando a proporre numeri della tradizione, la regia di Dragone si esprime appieno nel forte lavoro sui personaggi, nella visualità surreale dei costumi, nell’atmosfera misteriosa, con un ruolo ormai costruttivo della musica. Ciò crea una distanza definitiva tra il Soleil ed il circo tradizionale, avvicinando forse di più la compagnia canadese alle produzioni in stile Broadway: ormai il Cirque sembra l’erede naturale di Cats piuttosto che di Barnum. Ma pur con la precisione (e forse la freddezza) del musical, Dragone conserva dello spirito circense la natura metateatrale dell’interprete, creando un curioso e inedito scarto tra una ben congegnata architettura della finzione scenica e la consapevolezza del performer di stare in scena. Su questa scia, è da Nouvelle Experience che emerge uno dei segni più originali di Dragone. È quello stile dei personaggi “contemplativi”, per cui l’artista quando non è impegnato nell’exploit resta presente in scena (come sperimentato dallo stesso regista anche in Archaos): quasi un’evoluzione teatrale degli assistenti di pista del circo tradizionale, ma nell’interpretazione di malinconico osservatore; aggiungendo per la prima volta all’immaginario circense un’atmosfera cupa; quasi una poetica della meditazione sulla condizione del sé in un universo, quello di fine secolo, sempre più mutevole e incerto. Ancora più forte sarà la distanza nel 1992 con la creazione di Saltimbanco: è quello che impone un’“estetica Soleil” fatta di calzemaglie colorate, elaborate truccature, vocaliste dal vivo in un tessuto sonoro tra fusion e world music, e la concettualizzazione tematica seppur poco visibile (il tenue tema è l’urbanità). Saltimbanco avrà un’influenza incalcolabile sul mondo circense, quanto dieci anni prima il neoclassico Roncalli. Se l’esempio Soleil impiegherà molto a condizionare il circo di tradizione, stimolerà molti produttori e registi a introdurre produzioni di tipo circense nei mercati mondiali. La rivoluzione del Cirque du Soleil nei primi anni ’90, poggia su importanti pilastri di altre esperienze contemporanee. Uno di essi, a cui devono molto i canadesi, è il rinnovamento del circo sovietico. Nel 1989 la creazione aerea sovietica di Le Cicogne (cfr. 16.8) aveva compiuto il suo primo tour in America rivelando la potenza dell’unione tra danza, poesia e

Part. da manifesto a colori per l’edizione 1999 del Big Apple Circus, Stati Uniti. Coll. dell’autore

389

Il giocoliere Eugeni Pimonienko, una delle creazioni di Valentin Gneushev, il regista russo ispiratore dell’innovazione circense negli anni ’90 (foto C.R. De Lage)

390

acrobazia. Negli stessi anni, dalla scuola sovietica emergeva un regista iconoclasta: Valentin Gneushev (n. 1951)1. Creatore di numeri circensi, Gneushev parte da immagini della pittura o della musica costruendo per gli artisti un tessuto gestuale e coreografico talmente sofisticato da rendere incredibile l’inserimento dell’atto circense con le sue difficoltà. È il caso del suo primo lavoro presentato in un Festival (Parigi 1987): il giocoliere Arlequin Rouge (Vladimir Tsarkov) ispirato a Picasso, in cui i movimenti dell’artista diventano quelli di una marionetta disarticolata, coniugando a questo aspetto mimico-interpretativo i difficili esercizi con i cerchi. Come già per Le Cicogne di Maestrenko, il lavoro di Gneushev rappresenta in circo una rivoluzione estetica paragonata a quella di Picasso in pittura. Altri lavori del regista si basano sulla forza visiva o musicale: l’“angelo” bambino seminu-

do (Alexander Streltzov) che volteggia sull’Ave Maria di Schubert cantata da Nina Hagen; o la versione “macho” dello stesso numero col ginnasta Vladimir Kehaial (a metà tra Michelangelo e i Chippendales). Molta della forza di Gneushev si basa sullo stridore di estetiche e sulla poetica dei contrasti. Il suo capolavoro resta forse il gruppo aereo degli undici atleti sbarristi Carillon, in cui i movimenti degli atleti evocano una cupa e inquietante sinfonia di campane. 17.2 Senza la parola “circo”: le compagnie tradizionali tra Roncalli e Soleil Il giorno di Pasqua del 1990, il centro di Parigi si sveglia improvvisamente inondato di enormi manifesti fluorescenti dagli sgargianti colori. Alcune settimane dopo, nel deserto agonizzante del circo francese, spunta al Bois de Boulogne Il Florilegio. Titolo di spettacolo o nome di luogo? Priva provocatoriamente della definizione “circo”, pur avendo rinoceronti e trapezisti, è un’operazione che senza sponsor né contatti viene dall’Italia, portata da una famiglia totalmente sconosciuta in Francia, i Togni. Ispiratisi negli ultimi anni ’80 al modello familiare di Grüss, all’universo rétro di Roncalli, ma anche al sapore gitano del primo Zingaro, i fratelli Livio, Corrado e Davio Togni, sviluppano le tendenze in un’intuizione propria: uno spettacolo autoironico, senza grandi attrazioni, basato sui tre fratelli come personaggi “reali” e su una prodigiosa quantità di animali presentati in atmosfere oniriche. Spettacolo, ma soprattutto universo totalizzante, è il primo caso di un circo tradizionale di famiglia che riesce a generare surreali immagini oltre la logica dell’esibizione pura: per «Le Monde» è «lontano migliaia di chilometri dai luoghi comuni del circo […], da qualche parte tra Zingaro e Roncalli»; per «Le Figaro» si tratta di «un’opera comica in cui si prendono per mano Goldoni, Nino Rota e Verdi, mentre il canguro salta sui cammelli davanti ai carabinieri in alta uniforme. Con l’autore Raffaele De Ritis, una compagnia che ha saputo dare alla fantasmagoria una sua unità di tono»2. Ma soprattutto Il Florilegio stupisce per una qualità: è uno dei più bei tendoni mai realizzati. Perfettamente rotondo, con un sistema di montaggio rivoluzionario, offre all’interno un impatto difficile da dimenticare: un imponente lampadario domina la platea, guarnita in alto da un giro di palchi di legno scolpito. Una specie di grande teatro d’opera gitano. La critica e il pubblico affollano per settimane il tendone italiano, destinato poi ad una felicissima tournée europea lunga oltre un decennio. Il progetto, che parte dalla tradizione ma costituisce in sé una forma di ricerca sul classico stesso, è “nobilitato” da Festivals d’arte come Avignon e Edimburgo. Ma il ruolo storico principale del Florilegio è quello di ispiratore. Da una parte, sotto l’aspetto tecnico, le sue strutture saranno imitate nei cinque continenti in

391

L’interno di Il Florilegio di Livio, Corrado e Davio Togni. Parigi, 1991 (foto P. Brenzini)

392

centinaia di casi, tanto che lo “chapiteau Florilegio” risulta oggi tra i sistemi di tendone più diffusi nella storia del circo. Lo spirito vivace e creativo dei Togni è stato fondamentale alla grande rinascita del circo francese degli anni ’90: sia nella motivazione del pubblico che nell’ispirazione degli imprenditori. Il caso più felice è quello del circo di Arlette Grüss (nato nell’86), che si avvia verso uno stile proprio a metà dei ’90. Altro nuovo circo è quello creato nel 1987 da Raul Gibault che rileva l’insegna storica Medrano. Molto più vicino al Florilegio è quello minore di Christiane Grüss, nato pochi anni dopo. In Europa, molti circhi di famiglie tradizionali, nati nel decennio precedente, sono alla ricerca di identità: la troveranno nelle migliori espressioni di Florilegio, Roncalli, Grüss, Knie. Questo stile romantico-rétro continua ad avere come leader Roncalli: il pioniere tedesco ha spettacoli sempre più sofisticati, e con un ambiente reso ancor più elegante da uno chapiteau in stile Florilegio. La produzione di Roncalli degli anni ’90 si intitola Commedia dell’Arte ed impiega i più brillanti artisti italiani.

La Germania resta il Paese dove lo stile neoclassico è più diffuso (per l’influenza diretta di Roncalli): ma raramente l’idea supera l’aspetto decorativo delle installazioni. Interessante è in tal senso la Svizzera, dove piccoli circhi di famiglia si rivelano creativi nella costruzione degli spettacoli d’impronta romantica: principalmente il Circo Monti, lo Starlight e poi il Fliegenpilz, che dal 1992 propone uno spettacolo acquatico. Questo stile ormai “neoclassico” è influente anche in Spagna, dove nel ’96 ha vita il “roncalliano” Circo dell’Arte della dinastia Aragon e soprattutto il Circo Raluy, minuscolo ma splendido soprattutto per la cura artigianale delle installazioni rétro. In Italia la strada dello spettacolo rétro-romantico è tentata anche da Nando Orfei (La Pista dei Sogni, 1991-94, e Antico Circo Orfei, 1995-96), da certe atmosfere nella struttura a personaggi del Circo Medrano; e una più forte costruzione registica, velata di romanticismo, si ha anche nelle suggestive strutture a quadri del Circo Americano dei Togni (grazie anche all’estro del clown-regista Elder Miletti), comunque attento verso la modernità. Un’idea minimalista di piccolo circo “romantico” prende piede in Francia, dove nel 1995 nasce il fortunato Cirque Romanés basato sull’idea di una famiglia gitana (tra Zingaro e Florilegio), e dal 2000 il simile Morallés. In Italia, sull’esempio del Cirque Bidon, tale strada sarà seguita negli stessi anni da Circo Maccheroni dei Togni, come costola del Florilegio. Il successo di questa voga “neoclassica” di fine secolo sta forse nella sua insospettata modernità. Non si tratta qui della contemplazione calligrafica di una qualche idea di “tradizione”, ma di un gioco estetico con i suoi simboli. I clown bianchi, i velluti e gli ori, la segatura, vengono “usati” da un gioco di personaggi e di animali che rivela il bisogno di rinnovarsi di una forma d’arte. La realtà è che dopo due secoli questi simboli del circo hanno perso ogni significato sociale e sono solo i pezzi di un vocabolario estetico che è tanto più felice quanto si avvicina all’ironia. Gli animali, i “fenomeni”, l’eleganza, il colonialismo, la suspence appartengono ormai ad altri territori della cultura e dello spettacolo. E allora il circo funziona, quando è specchio cosciente di quello che “era”, di quando dominava la cultura popolare. Oppure quando diventa completamente attuale nelle estetiche, come nel caso del Cirque du Soleil: un modello che anche sul circo tradizionale avrà enorme influenza. Il Soleil risolve questa crisi dei simboli del circo eliminandone alcuni (la pista rotonda, gli animali) o enfatizzandone altri (il tendone, l’integrità dell’idea di numero) e riesce a determinare il nuovo corso di alcuni circhi tradizionali. Episodio rivelatore è nel 1992 la tournée svizzera Knie + Cirque du Soleil, in cui la grande dinastia equestre acquisisce in franchising lo spettacolo Le Cirque

393

394

Reinventé. È l’unico caso in cui il Cirque du Soleil si sia cimentato con elefanti e cavalli. L’intervento, curato registicamente da Guy Caron, è un successo: lo choc dell’incontro tra innovazione e tradizione è solo positivo. Caron si cimenterà in altre esperienze di circo tradizionale, sia per edizioni successive di Knie e poi per il ventennale del Big Apple Circus a New York (1997). Altro esempio perfetto in cui estetiche distanti si incontrano è anche il circo televisivo Cirque du Monde (1996) realizzato dalla Disney, con numeri classici in un assemblaggio “alla Soleil”. Nel frattempo la tendenza all’incrocio tra lo stile neoclassico e forme più moderne continua in Europa: in Svizzera al circo Knie, o in Francia con Arlette Grüss: in spettacoli in cui i numeri più tradizionali sono confezionati con musicisti provenienti dal Cirque du Soleil, sofisticati effetti di luce o costumi e atmosfere surreali che non di rado rasentano il kitsch. In alcune imprese circensi si assiste persino a vere e proprie “riconversioni” verso il sistema Soleil; o alla creazione di circhi viaggianti ex-novo in tale stile. Ma quando sono drastiche, eliminando la parola “circo” queste operazioni, seppur di successo, poco convincono3. Quella dei “titoli” evocativi è una tendenza sterminata (anche nei circhi più classici) che inizia in pratica da quando nel 1992 il Soleil lancia Saltimbanco. Di tutti questi esperimenti, alcuni cercano vaghi territori del “moderno”: come dal 1996 Magic Vision, lo show con cui in Germania viaggia quel che resta del tradizionalissimo Sarrasani, riconvertito in uno show avveniristico di illusionismo, con luci, audio e musicisti da concerto rock, in cui però non si rinuncia a foche o orsi sapienti. Sempre in Germania, dal 1996 il circo Williams-Althoff si trasforma in Pferdepalast, palazzo dei cavalli, con le atmosfere oniriche dello spettacolo Zauberwald, riadattando la pista rotonda alla vecchia e più ampia idea ovale della rehnbahn, tra i primi a intuire un periodo di rinascita dello spettacolo equestre commerciale (v. infra 19.1). In Gran Bretagna Electric Circus (1999) di Cottle e Austen, impresari di provenienza tradizionale, è un altro tentativo di “condire” in modo moderno il circo tradizionale di massa. Persino a Mosca, il Cˇirk Bolshoi tenta un’operazione destinata al pubblico giovanile con il nome di Musical Circus (1993). Altre operazioni sono ancora più drastiche. Nel 1995 Cottle incontra Dr. Haze, artista di strada dell’avanguardia punk, trasformando il proprio circo tradizionale nella geniale intuizione di Circus of Horrors: una rivelazione al Festival di Edimburgo. I numeri del circo classico vengono “vestiti” in un universo che attira un nuovo pubblico e non disdegna esplicite trasgressioni, dalla religione al sesso. L’intervento registico di Pierrot Bidon (leader di Archaos) ne fa un successo commerciale internazionale.

Il Cirque du Soleil in co-produzione con il Circo Knie in Svizzera, 1992

Di tutte queste operazioni di modernizzazione di impianti classici già esistenti, la più compiuta appare quella del circo tedesco Flic-Flac dei fratelli Kastein, due ex-funamboli. Creato nel 1989, Flic-Flac parte su un tono tradizionale, per poi diventare un clone del Soleil fino a strizzare l’occhio all’estetica destroy di Archaos e all’esempio del Circus of Horrors, trovando infine una propria identità dopo il 2000. Lo spettacolo Flic-Flac integra numeri tradizionali di altissima qualità in una costruzione rigorosa da concerto pop. Il gusto segue un’estetica più derisoria che trasgressiva, in cui trovano posto bikers e travestiti, scene da horror prese poco sul serio e atmosfere hard rock. Tra Stephen King e i Monty Python, sotto un tendone nero gli antipodisti sulle moto o il giocoliere con i cd continuano a fare del circo uno spettacolo popolare. Altri circhi itineranti prendono spunto dalle tournées di spettacoli tradizionali di circo cinese, confezionati ora per un pubblico abituato al Soleil o al musical. È il caso della struttura di produzione olandese Stardust (cfr. 17.3), che diffonde in tutta Europa tendoni in cui la suggestione dell’acrobazia orientale è sfruttata con atmosfere oniriche e, ancora una volta, titoli evocativi ad effetto in cui il termine “circo” viene evitato (Yin Yang, 1998; Confucius, 1999; Asiana, 2000; Zen-sation 2001, Ovation, 2002, etc.).

395

396

Un’altra chiave a imporsi negli anni ’90 un po’ in tutto il mondo è quella degli spettacoli a tema. Vari circhi tradizionali tentano di coniugare la nuova teatralità con approcci dichiaratamente narrativi. Come negli Usa i piccoli Flora (dal 1995) e Zoppè; in Francia Joseph Bouglione, che di anno in anno ambienta i propri spettacoli per famiglie sulle atmosfere di personaggi celebri (Beethoven, Shakespeare). In Russia, brillante è nel 1997 al Vecchio Circo di Mosca lo spettacolo Balagan, creato da Gneushev su una lettura moderna e non calligrafica delle tradizioni popolari russe, con le musiche del compositore contemporaneo Mihail Akimian. L’esempio più compiuto di questo “neoclassico-moderno” è a Parigi la ripresa dal 1999 degli spettacoli circensi al Cirque d’Hiver con la quarta generazione dei Bouglione. La riapertura regolare del più antico circo stabile del pianeta è a suo modo un fatto storico. Formatisi nello stesso tempo al rigore del circo familiare, alla precisione estetica di Roncalli e alle tecniche di produzione del Cirque du Soleil e del mondo dei concerti, i Bouglione sono pronti a mettere in scena ogni anno uno spettacolo tradizionale di qualità elevatissima: il loro standard non è tanto quello degli altri circhi ma lo stato dell’arte del teatro commerciale e musicale del proprio tempo. Pur basandosi sui simboli più classici del circo, tra uniformi di alamari e orchestre di ottoni, anche loro rinunciano alla parola circo per titoli evocativi (Salto nel 1999, Piste nel 2000, poi Trapéze, Bravo etc.). In questi anni l’ibridazione delle tendenze forma una nuova scuola di registi circensi: se famiglie come Bouglione, Knie, e Grüss riescono autonomamente nella regia, iniziano ad emergere nuove figure provenienti dall’esterno e da una formazione più teatrale ma con una conoscenza del circo classico, creando un mercato di registi circensi nei maggiori circhi del mondo: in primo luogo Guy Caron (Soleil, Knie, Big Apple), ma anche Pierrot Bidon (Archaos, Bouglione, Circo di Mosca); le citate esperienze di Gneushev; Michel Barette (Soleil, Big Apple), Raffaele De Ritis (Togni, Barnum, Soleil, Big Apple Price). Franco Dragone resta per tutti gli anni ’90 legato al Soleil, mentre Bernhard Paul in Germania continua col suo tocco magico a mettere in scena le proprie produzioni per Roncalli e per i varietà tedeschi. Vi sono poi registi americani, provenienti dalla clownerie (Steve Smith) o dal teatro commerciale (Phil McKinley) che si specializzano in grandi produzioni di circo per Big Apple o Ringling. Stessa specializzazione si ha nella musica, con compositori-arrangiatori per il circo, provenienti sia dal circo di tradizione (G. Pommer, C. D’Angelo, T. Bario, G. Diaz), dalla “scuola” del Soleil (B. Larochelle, G. Bourque, R. Duperè, V. Corradi), o dalla musica colta e commerciale, come il citato russo Ekimian o gli americani Linda Hudes e Michael Valenti.

17.3 Nuovi soggetti e vecchie famiglie: l’industria circense di fine millennio Il protagonista alla soglia del 2000 è ormai il Cirque du Soleil, che si avvia a diventare la più grande impresa mai esistita al mondo nella storia non solo del circo ma dello spettacolo dal vivo. In pochi anni ha saputo ridefinire il mercato itinerante nordamericano; creare il primo modello europeo moderno di tournée circense trasversale alle logiche nazionali o di circuito; sviluppare la domanda in Oceania ed Estremo Oriente; rinnovare il mercato dell’intrattenimento in luoghi fissi; costruire un’imponente rete di merchandising su licenza di prodotti derivati (dall’audiovisivo all’abbigliamento). Nel 1997 l’apertura dell’imponente Studio di creazione del Soleil a Montreal riunisce circa un migliaio di dipendenti in una vera fabbrica del circo4. Il segreto del Soleil è un equilibrio tra creatività, competitività e forte identità. La capacità di rielaborare i simboli di comunicazione del circo e renderli universali ne fa un prodotto d’innovazione sulla base di una forma antica. E per la prima volta dal tempo di Barnum, suoi concorrenti non sono gli altri circhi, ma il mercato intero dello show-business in tutte le sue forme. Dopo il 2000, questa prospettiva supererà ogni previsione (cfr. 19.3). Per anni era stato sottovalutato dall’industria circense l’emergere del Cirque du Soleil, la cui prima incursione europea (Londra e Parigi nel 1999) ha peraltro un successo modesto. Ma quando il Soleil aprirà nel 1995 un quartier generale europeo ad Amsterdam, e due aggressive unità circensi itineranti sul vecchio continente, il confronto tra i modelli diventa decisivo. Alla perfezione teatrale dello spettacolo canadese continueranno ad opporsi, salvo rari casi, leoni stanchi e clown demotivati; al moderno marketing si continuerà a rispondere con le classiche affissioni ai limiti dell’abusivismo. La sfida del circo di tradizione di fine secolo non è solo estetica ma anche produttiva. L’economia del circo itinerante è ormai anacronistica, rispetto anche alle alternative di intrattenimento proposte dalla società; l’immutabilità della forma tradizionale ed i suoi modi di proporsi ne rendono sempre più precaria l’economia. Se si sono ricordati sopra casi di successo nella modernizzazione del circo tradizionale europeo (Knie, Arlette Grüss, Florilegio, Americano-Togni), per la maggior parte i circensi più che per l’innovazione artistica o del marketing paiono concentrarsi più sugli investimenti nelle installazioni (grazie anche alle soluzioni tecniche introdotte da circhi come Florilegio, o alla cura dell’ambiente diffusa da Roncalli). Quello delle strutture è un bene materiale certo, utile per noleggi e introiti paralleli. La logica produttiva degli spettacoli (quando ne esiste una) non prende ad esempio il concetto ormai solido che valorizza personaggi e atmosfere, ma continua ad essere quella di

397

398

scritturare anonimi gruppi di atleti dell’Est senza personalità o di investire su animali ammaestrati che la società accetta sempre meno. Pochi riescono a mantenere credibile ed elevato tale standard tradizionale pur senza affrontare particolari avventure creative: è il caso degli italiani Medrano, Togni e Moira Orfei, o dei tedeschi Krone e Barum. Per il resto, mentre il circo in altri ambiti rinasce, le vecchie famiglie sono confuse dall’evoluzione della società con le polemiche sugli animali, o si ripiegano su sterili quanto pesanti lotte interne per la salvaguardia dell’unico patrimonio che si crede rimasto: le insegne celebri. Negli anni ’90 tocca l’apice in Europa la compravendita dei nomi “falsi”: se in Italia si arriverà a quasi trenta “finti” Orfei, in Francia nel 1996 si contano ventisette circhi Bouglione e quattordici Zavatta, mentre in Germania sorgono dispute sul nome Althoff, e in Austria sulla dinastia (svizzera) Knie. Le false insegne contribuiscono alla crescente fortuna di piccoli circhi con grandi attrezzature, o all’apertura di nuovi da parte di ex artisti o dipendenti. Come negli anni ’80, anche nei ’90 i circhi meno validi continuano a crescere e moltiplicarsi. Quali le ragioni? Le grandi famiglie di artisti diventano troppo costose per i fogli paga: l’investire su un proprio circo è l’unica cosa che credono di saper fare, con speranze di arricchimento. Negli anni ’90 in Italia ci sono almeno centocinquanta circhi di dimensioni notevoli, in Germania forse trecento. Anche in Olanda, Svizzera, Austria, Scandinavia, sono moltissimi i circhi che si moltiplicano o rinnovano le attrezzature senza troppo scostarsi dai metodi tradizionali nel proporre lo spettacolo. Tale saturazione porta a una nuova definizione dei mercati. In Italia, i grandi circhi storici sopravvissuti (Americano, Medrano, Florilegio-Togni, Nando Orfei, Embell-Riva) iniziano a dedicare la maggior parte dell’anno ai mercati esteri, oppure al business dei parchi di divertimento e al noleggio dei loro animali presso circhi stranieri: il pubblico italiano si abituerà a vedere i grandi circhi solo a Natale. Di questi, solo Moira Orfei e Lidia Togni riescono a compiere una tournée tutto l’anno. Di fatto il circo italiano classico di tradizione sembra non esistere più in una forma costante e capillare. Tale clima in Italia porta nella primavera ’98 ad una situazione paradossale: in pochi giorni giungono da una parte un comunicato congiunto dei circhi Togni che dichiarano di “chiudere per sempre”; dall’altra uno “sciopero della fame” di Nando Orfei. Sono gli stessi anni in cui in Italia si assiste ad una saturazione record di trasmissioni televisive sul circo, per le quali i circensi svendono i loro spettacoli banalizzati dalla cultura della tv commerciale all’italiana negli anni del suo apice5. In Francia invece, sullo stimolo parallelo del Florilegio Togni e delle nuove tendenze dell’avanguardia, rinasce una diffusa tradizione di circo classico: segno evidente di vitalità sono le roventi aggressioni di parte dei circen-

La famiglia Casartelli (Circo Medrano) nel 1996 a Montecarlo, dove vince un Clown d’Oro (foto R. Smulders). La stessa famiglia vincerà un secondo Clown d’Oro nel 2007.

399

si verso le tournées in Francia dei circhi italiani. Principale concorrente è il rinato circo Pinder, che con una forte politica commerciale e spettacoli convenzionali per famiglie si afferma come il maggior circo francese di routine. In Germania e in Olanda l’economia circense degli anni ’90 si amplia ad una nuova tendenza: quella delle stagioni invernali, un tempo precluse

Moira Orfei con i figli Lara e Stefano, anni ’90

400

per ragioni climatiche. Grandi circhi “natalizi” si avevano da decenni in qualche palazzo dello sport, come a Berlino, Amsterdam o Rotterdam. Nell’inverno ’87 nella sola Olanda si erano avuti ben dieci “Wintercircus”, con la più alta concentrazione mondiale di artisti in pochi chilometri. In breve la tendenza si estende alla Germania, dove i circhi itineranti si trasformano all’occasione in “circo di Natale” nelle grandi città. Altre operazioni invernali nascono dall’iniziativa di privati, esterni al mondo circense. Il caso più clamoroso è quello del produttore teatrale e musicale Henk Van Der Meyden della Stardust Productions, dall’89 gestore della stagione invernale del Teatro Circo Carré di Amsterdam. Nel ’93 la Stardust dà vita a circhi invernali in numerose città tedesche, dei quali quello di Stuttgart rimane negli anni il più importante programma europeo. La Stardust crea anche i numerosi circhi itineranti con spettacoli orientali a tema, cui si è già accennato (17.2). È l’emergere nel campo circense commerciale della figura del

“produttore”, esterno alla logica e ai circuiti delle famiglie, e ispirato più al Soleil che a Barnum. Del resto in Germania si era già affermato il musical popolare su grande scala, con versioni di Cats o altri classici e l’emergere di un turismo teatrale. Molte imprese tedesche di musical e concerti si avvicinano al circo e ai suoi creatori più fertili, come Andrè Heller e i suoi circhi d’autore a tema orientale. Teatri e clubs tedeschi si distinguono per l’ingaggio regolare di artisti circensi (cfr. 18.2). È in questo contesto di mercato che il Cirque du Soleil sceglie l’Olanda e la Germania per varare la sua prima unità in Europa nel ’95: il suo mercato nei primi due anni sarà per il cinquanta per cento di città tedesche. Lo stesso Roncalli è diventato un’industria dello spettacolo, con affari nel varietà e nella ristorazione d’intrattenimento: nel ’98 ha un giro di venti miliardi di marchi e cinque società di spettacolo. Il Soleil e la Stardust sembrano gli unici a ragionare su una dimensione europea. Le altre imprese circensi restano legate al proprio territorio, se si eccettuano i due casi italiani della famiglia Togni: l’American Circus conosce trionfali successi proprio in Germania, e il Florilegio è forse il circo ad aver visitato in assoluto più nazioni europee, dall’Irlanda al Sud della Francia (senza dimenticare l’enorme rete creata dal Medrano-Casartelli nel bacino Mediterraneo). Altro nuovo produttore è il francese Alain M. Pacherie, con la sua Europeénne des Spectacles: anche qui produzioni invernali a tema, con russi o cinesi. La Francia in inverno dà vita ad un nuovo tipo di mercato: ogni anno a dicembre sulla Pelouse de Reuilly a Parigi si ritrovano fianco a fianco sulla stessa spianata i circhi francesi più grandi, fino a nove, con una vista imponente. L’occasione è quella dei “galas”, ovvero spettacoli venduti alle aziende, al ritmo di anche quattro recite al giorno: se si aggiungono altri circhi sparsi per la capitale nelle stesse settimane, a Parigi in dicembre si ha la più alta concentrazione al mondo di artisti di circo. La nuova dualità fra impresari di tradizione e produttori esterni genera nuovi modelli di gestione e produzione, spesso ibridi, che trasforma ormai i grandi circhi in sistemi polivalenti. Se il circo Medrano dei Casartelli si sdoppia tra unità parallele in Grecia e Italia o in spettacoli per parchi, il tedesco Williams si associa al danese Scott per una parte dell’anno, e Moira Orfei usa un secondo circo per i tour di Holiday on Ice in Italia. 17.4 Il circo statunitense fino al Duemila «I lama sono coordinati come i ballerini di un musical […] ma la vista di queste creature che trottano per impressionarci, difficilmente ci sorprende. Questo non è spettacolo nel modo in cui dovrebbe essere. È spettacolo nel modo in cui era. Il fantasma del circo del passato si materializza e si

401

Veduta esterna del “Barnum’s Kaleidoscape”. Los Angeles, 1999 (coll. dell’autore)

402

genuflette dinanzi a voi». Così Richard Corliss in un lungo saggio per «Time» parlava del Ringling-Barnum, la più antica e “venerabile” istituzione del circo statunitense, opponendolo all’emergere del Cirque du Soleil, che viene definito come «qualcuno che finalmente ha avuto la felice idea che il circo aveva bisogno di un po’ di smalto [in modo da] rapire il pubblico»6. Il circo classico statunitense al termine del secolo è oggetto di profonde trasformazioni produttive ed estetiche. L’evoluzione delle forme di intrattenimento americane mina ancora di più la tradizione circense. Negli Usa rimangono pochissimi, e raramente attraenti, i classici tendoni a tre piste con decine di elefanti: di certo non sono più il divertimento più importante dell’America rurale, ora segnata dai centri commerciali e dalle multisale.

In un mercato americano in cui il Soleil è sempre più importante, ed il Big Apple ha stabilito sulla Est Coast una tradizione di tendone all’europea, la sfida forse più complessa è quella del Ringling-Barnum, che con le sue due unità resta per alcuni anni la maggior impresa del mondo. Con la scomparsa del produttore-proprietario Irvin Feld nel 1984, le redini passano al figlio Kenneth (n. 1950). Ma il suo impero non pare più autosufficiente con le sue due unità circensi. Kenneth Feld per diversificarsi aggiunge al proprio controllo forme parallele para-circensi, trasformando in iniziative di spettacolo dal vivo i successi dell’intrattenimento virtuale. Per Feld è determinante già da 1981 il franchising per produrre ben cinque unità di “Disney on Ice” in cinquanta nazioni, con versioni sul ghiaccio dei maggiori successi dei cartoons; o i tentativi di live-show con George Lucas’ Super Adventure e altre versioni teatral-circensi di fumetti o telefilm. Feld stesso definisce lo standard delle proprie produzioni come «Broadway per bambini di 5 anni». Quando negli anni ’90 Las Vegas conosce un periodo di apertura al turismo familiare, Feld ha successo con la produzione di alcuni shows nei casinò. In questo modo riesce a restare uno degli uomini più ricchi del mondo7, e il marchio circense Ringling Bros. and BarnumBailey la più antica istituzione dello spettacolo americano: nel 1995, nel 125° anniversario, l’azienda è nominata patrimonio nazionale dal presidente Clinton. Feld, pur concentrato sulle redditizie attività parallele, non trascura le proprie due unità circensi del Ringling-Barnum che continuano a riempire in modo capillare i palazzi dello sport. Negli anni ’90 rinnova gli staff di creativi strizzando l’occhio alla nuova Broadway, e cerca di tenere conto dell’imporsi del Soleil pur senza snaturare il più tradizionale degli spettacoli americani, basato rigorosamente su un family brand. La svolta è l’ingaggio dal 1991 del clown italiano David Larible: la forte personalità dell’artista (il primo clown solista in due secoli di storia del circo statunitense) permette la creazione di fili conduttori più teatralizzati e di atmosfere poetiche, prima impensabili negli sterminati palazzi dello sport americani. L’ingaggio di coreografi acrobatici della nuova creatività russa (da Vilen Golovko ad Alla Youdina), brillanti costumisti, registi più teatrali (come Phil McKinley), l’introduzione di nuove tecnologie contribuiscono alla creazione di un universo magico e di spettacoli dalla costruzione fluida: all’incrocio tra il circo poetico europeo, le produzioni russe e la magia del Soleil, ma nel solco perfetto del gigantismo americano. Memorabili in questi anni di Ringling i due quadri coreografici del bosco incantato di Rainforest (1997) e Living Carousel: la “giostra vivente” con centinaia di personaggi, animali e accessori col solo uso di bianco e oro (1999), entrambi disegnati da Pascal Jacob.

403

404

Alla fine degli anni ’90, Feld non è indifferente all’ascesa del Soleil, al rinnovato fascino del tendone e al chiaro profilo di un nuovo pubblico facoltoso per il circo di qualità. Tenta così una carta sorprendente, il ritorno al tendone dopo decenni, con la creazione ex-novo una terza unità a una sola pista: un principio che, nella forma tradizionale, in America era diffuso solo dal Big Apple, e su un mercato limitato. Destinata ad un pubblico urbano di famiglie upscale, di fascia alta, l’ambiziosissima operazione strizza l’occhio da una parte all’evoluzione neoclassica del circo europeo (cfr. 17.2), dall’altra alla modernità teatrale dei nuovi circhi, dieci anni dopo Florilegio e Saltimbanco. Il risultato è nel 1999 il lussuoso Barnum’s Kaleidoscape, senza la parola circo nel titolo: ma è un circo itinerante, creato dal nulla con un investimento di dieci milioni di dollari. Viene composta un’équipe di autori europei, con i servizi dei maggiori talenti creativi di Broadway e un cast di prestigio capeggiato dalla comicità di David Larible. Le infrastrutture sono elegantissime, il design tra i più sofisticati mai concepiti per un circo, il pubblico può sedersi su sofà di velluto, il costo di un biglietto è tra i sessanta e i cento dollari. Kaleidoscape debutta a Los Angeles dinanzi al gotha di Hollywood: per «Variety» è «un trionfo creativo». Al suo arrivo a New York, si scomoda Clive Barnes, severo decano della critica drammatica: «Il regista Raffaele De Ritis e il designer Pascal Jacob hanno compiuto un lavoro superbo. Questo è lo show per il quale Dio ha inventato il circo»8. Ma l’enormità dell’investimento economico costringe la chiusura dopo due anni, pur lasciando forti influenze sul mercato e sull’estetica dei circhi americani ed europei9. Negli stessi anni, Feld continua a rinnovare le due unità a tre piste puntando del Ringling-Barnum. Tenta la carta dell’“interattività con l’animazione “3-ring Adventure” un’ora prima di ogni spettacolo tentando di creare un’atmosfera festosa nei freddi palazzi dello sport; o creando vedettes per il pubblico più giovane: nell’edizione del 2000 una giovane domatrice di tigri europea, Sarah Houcke, è lanciata con una campagna degna di Barbie per mantenere fedele al circo il pubblico teen ager, così come il nuovo clown-stuntman Bello Nock è perfetto come mascotte per prodotti derivati. Del resto giocattoli e souvenir sono il primo introito del Ringling. Poi Feld punta sul coinvolgimento delle etnie americane sia con scelte di cast basate su Russia, Cina e su artisti di colore (come i bambini di strada Chicago Kids, o Jonathan Lee Iverson, il primo presentatore afroamericano della storia del circo). È poi attento a spettacoli speciali per le comunità ebraiche(con snacks kosher); e a strategie mirate per le etnie latine. Nel frattempo, a New York e sulla costa Est, resta immutato il prestigio del Big Apple Circus, che a differenza dell’impero di Feld non è un’impresa privata ma una fondazione. Il direttore artistico del Big Apple, Paul

Binder, negli anni ’90 fa appello a registi esterni per rinnovare lo spirito delle produzioni, sempre più sofisticate nella dimensione teatrale con cui è affrontato l’universo delle atmosfere scelte: memorabili sono per ricchezza visuale e inventiva stilistica gli spettacoli dedicati al carnevale veneziano o all’atmosfera degli anni ’20; e una svolta coraggiosa è la modernizzazione con l’ingaggio di Guy Caron per l’edizione del ventennale10. Nell’inverno del ’99 crea non poca tensione la concorrenza nella “grande mela” di Kaleidoscape, prodotto relativamente simile al Big Apple: ma ciò non fa che esaltare il gusto dei newyorkesi per il circo di qualità. Di identità fortissima è anche l’esperienza statunitense dell’Universoul Circus: circo itinerante nato nel 1994 e basato unicamente su artisti ed estetiche della cultura afroamericana, quasi totalmente destinato al pubblico di tale etnia. Il proletariato ispanico è tra i pubblici più fedeli al circo: compone infatti gran parte del pubblico del Ringling nei palazzi dello sport. Lo dimostrano nel 2001 anche le tournées di numerosi circhi sudamericani negli Usa, e due diverse iniziative imprenditoriali (Circo Fantastico e Circo Mundial) basate su artisti latini. Ringling tenta anche alcune tournées a Città del Messico. Quello del Messico è diventato uno dei più fertili mercati circensi del mondo: famiglie numerosissime di acrobati hanno circhi molto grandi, fabbricati in Italia secondo lo stato dell’arte; la sola famiglia Fuentes-Gasca gestisce otto tendoni. In alcuni periodi dell’anno, la sola Città del Messico può facilmente ospitare dieci circhi nello stesso tempo. Il prodotto più compiuto del Sudamerica è il Circo Tihany, sorta di music-hall itinerante fondato negli anni ’60 dall’illusionista Franz Cszeisler (n. 1916) il cui sfarzo e la cui classe fanno sognare Parigi e Las Vegas a decine di migliaia di spettatori popolari delle classi più modeste da Rio a Buenos Aires. Per la qualità del suo progetto, Cszeisler è considerato il direttore di circo più prestigioso dell’America latina. In Estremo Oriente, continuano a prosperare circhi organizzati da produttori europei e britannici, o tendoni giapponesi. Alla fine degli anni ’90, si potrebbe girare l’intero globo incontrando un mercato fertile, seppur di qualità incostante. 17.5 Il crollo del sistema sovietico tra centralità e indipendenza Nel 1990 il Circo di Stato sovietico, è un colossale patrimonio, il più oneroso del mondo, che con il crollo del comunismo diviene ingestibile11. Il maggior impero circense del mondo non ha strumenti adeguati di marketing o economia per fronteggiare il futuro. Artisti e animali sono costretti alla fame; il livello della Scuola di Mosca, che sforna almeno cinquanta artisti l’anno, è difficile da mantenere. Il glorioso studio di creazione non riesce più ad avere il lusso di lunghi periodi creativi, né il denaro per generare quel-

405

406

le mitiche produzioni che negli anni ’80 erano culminate con i trapezisti de Le Cicogne, i cavallerizzi della Leggenda del Caucaso o le tigri di Pavlenko (cfr. cap. 16). L’ultimo di questi capolavori è la troupe aerea dei Borzovi, nel 1993 (v.17.7), così come una colossale pantomima è ancora Spartacus (1991) di Miecslav Zapachny, con tigri ed elefanti che recitano con attori e acrobati: a metà tra i lion dramas ottocenteschi e i peplum da cinema anni ’60. La prima strategia di sopravvivenza per i russi è quella di cedere numeri ai circhi europei e americani, presentandoli prima nei festival: una politica adottata da Ludmila Yairova, la presidente del nuovo organismo statale post-comunista, ribattezzato Rosgoscyrk nel ’90. Ma il sistema è indebolito dall’indipendenza delle carriere di molti validi artisti che lasciano il gruppo di Stato; nonché da circhi stabili delle varie capitali dell’ex Urss che sfuggono ormai al controllo centrale di Mosca. Tipica della Russia di Yeltsin, la goffa trasformazione di burocrati opportunisti in imprenditori avidi, spesso tentati dalle mafie, soffoca anche il mercato del circo. Il Vecchio Circo di Mosca, il più antico, è privatizzato e ristrutturato dall’ex clown Yuri Nikulin (1921-1997): una leggenda della cultura russa tra circo, cinema e tv, e una figura politicamente prestigiosa. Il figlio Maxim si rivela un capace direttore. Lo stesso accade con l’edificio del Tsirk Bolshoi, il più grande, gestito dall’ex acrobata Leonid Kostiuk, trasformatosi in manager con un proprio collettivo di artisti a disposizione di televisioni italiane, tour giapponesi o circhi statunitensi. Nonostante la crisi, infatti, il prodotto circense russo resta di grande esportabilità, e il mercato estero una fonte sicura. Ma mentre prima le tournées dei “Circhi di Mosca” erano gestite dal potere centrale (con delegazioni di oltre cento persone tra interpreti e spie del Kgb al seguito), negli anni ’90 i circhi russi vanno nel mondo come schegge impazzite, non di rado in concorrenza tra loro: a qualunque artista russo basta mettere insieme qualche collega e vendere un programma come “Circo di Mosca” in combinazione con qualunque tendone occidentale. Ma la qualità non è più sempre quella storica. Di queste compagnie, un buon livello è raggiunto col circo tedesco Williams, che dal 1992 è in pratica ribattezzato Moskauer Cirkus, dopo che nel solo 1990 ben quattro spettacoli concorrenti col nome “Circo di Mosca” agivano in Germania. Lo stesso era accaduto un paio d’anni prima negli Usa, dove nel 1991 una memorabile edizione del Ringling-Barnum ospitava per la prima volta molti artisti ex-sovietici: a New York si era trovato in concomitanza con l’avanguardia russa del programma teatrale “Cirk Valentin” (cfr. 18.1). La gestione centrale di Rosgoscyrk registra (ormai inutilmente) il marchio “Circo di Mosca”, e tenta varie iniziative per rivendicare un inutile prestigio storico e una defunta leadership commerciale. La più clamorosa è nel

Il Circo Americano sulla Piazza Rossa per il “World Festival of Circus Arts”. Mosca, 1996 (foto R. De Ritis)

1996 il colossale Festival di circo sulla Piazza Rossa: per un solo pomeriggio agiscono tredici circhi in contemporanea con imponenti scenografie all’aperto, più un nuovo tendone da cinquemila posti realizzato in Italia dalla famiglia Togni, sotto cui oltre cinquanta numeri da tutto il mondo si alternano per alcuni giorni. È un investimento faraonico (due miliardi di dollari, provenienti in buona parte da Gazprom) con quadri coreografici che sembrano l’ultimo monumento al realismo socialista: sicuramente tra le più imponenti realizzazioni della storia del circo. Malvisto dal pubblico in un’epoca di sacrifici, mentre molti si scandalizzano nel vedere pagliacci e scimmie sfiorare la tomba di Lenin, il festival cela un intreccio tra i manager inadeguati di Rosgoscyrk e politici compiacenti.12 Un anno dopo, Rosgoscyrk con un produttore americano tenta di costruire un circo stabile a Orlando, in Florida, con un buon gruppo di artisti. Il progetto fallisce in miseria. L’unica soluzione valida per la nuova Russia si rivela quella di festivalvetrina biennali, dal 1997 ogni volta in una diversa città, in cui semplicemente si offre ai compratori occidentali il meglio dei nuovi numeri. Ormai i circhi occidentali possono trattare con molte agenzie private, o con i collettivi dei circhi dei vari stati indipendenti, dal Kazahistan al Mar Nero. La qualità si è enormemente abbassata, ma alcuni gruppi mantengono una ricerca artistica sulla qualità: come il Vecchio Circo di Mosca diretto da Nikulin (che per anni ospita

407

lo studio di creazione di Gneushev), il Bolshoi di Kostiuk o creative realtà emergenti come l’universo ucraino di Kiev, ricco di scuole e compagnie di valore. Egualmente in dissoluzione sono gli altri sistemi dell’Est. Scuole e circhi stabili di Praga, Varsavia e Sofia si ridimensionano o diventano indipendenti secondo le economie nazionali. Lo stabile di Budapest si avvia con parsimonia ad una storia gestionale di alto livello con la direzione saggia di Istvan Kristof (che il governo premia al pari di Istvan Szabo), e con una reimpostazione della scuola nazionale. Miserabile è invece in Germania la fine dell’imponente sistema creato negli anni ’50 del Circo di Stato della DDR, i cui numeri e spettacoli erano stati visti nel mondo intero da sessanta milioni di persone. Il grande patrimonio di animali che lo caratterizzava viene disperso tra zoo e circhi europei; la valida scuola finisce il suo ciclo; i tre grandi tendoni itineranti sono privatizzati in modo modesto da famiglie circensi minori13.

408

17.6 Il drago e il leone: il circo cinese contemporaneo Alla fine del millennio, il Cirque du Soleil e Guy Caron scelgono la Cina come fulcro della produzione 1999, Dralion. Non è solo una logica estetica, che si rivela spettacolare nel confronto con la creatività dei canadesi, ma anche la constatazione che i cinesi rappresentano ormai la più ricca e valida realtà del mondo in fatto di arte acrobatica. Già dall’81 esisteva un’associazione di acrobati cinesi (presieduta da Xia Jihua, la celebre ex-acrobata) che coordinava le attività. Con centoquaranta troupes regionali, centinaia di compagnie minori e migliaia di artisti di strada, negli anni ’90 si stimano attorno a cinquantamila gli acrobati in Cina. Il Ministero della Cultura istituisce un “ufficio per l’acrobatica”, destinato soprattutto alla selezione verso i mercati esteri: come nel caso della Russia erano poi iniziate lentamente cessioni di artisti o maestri a circhi selezionati (Grüss, Soleil, Knie, Big Apple, e la splendida tournée con Ringling nel 1991). Se nelle tournées occidentali dei programmi cinesi completi aveva sempre dominato l’approccio folklorico, il Cirque du Soleil non era stato il primo a sviluppare una visione più creativa e teatrale con i cinesi. Già nell’89 il regista austriaco Andre Heller aveva prodotto una tournée con una regia evocativa (vista in Italia nel 1992, con acrobati di Anhui), con trovate scenografiche, poi nel 1991 in un sontuoso tendone “stile Florilegio”: l’Heller-Raum. Un idea che ispirerà il produttore olandese Stardust a creare i circhi “a tema” basati su troupes cinesi in teatri e tendoni (cfr. 17.3). Per il mondo comunista orientale, quello del circo sembra un terreno di confronto e prestigio politico, soprattutto quando in occidente si possono vincere dei premi, o nel corso dei tour farsi fotografare con celebri attori e autorità.

Le equilibriste su lampadine della troupe di Qun Ming (Cina) in “Zen Sation”. Amsterdam, 2001

Espansione parallela a quella cinese si ha in Mongolia, con l’apertura all’occidente del Circo di Stato: prima con l’invio di numeri ai Festivals, poi con troupes complete in Germania e negli Usa con una sgargiante produzione del Ringling-Barnum nel 1992. Notevole è anche il ruolo della Corea del Nord con un grande rilancio delle tecniche circensi, segnato già nell’89 dall’avveniristico nuovo circo stabile di Pyongyang, sebbene ai suoi artisti sia consentito solo qualche passaggio in occidente, limitato a brevi ingaggi o a festivals. Emblematico di questa situazione è nel 1992 il tour tedesco del “Grande Circo delle Asie”, della Stardust, un tendone che raccoglie il meglio dei numeri cinesi, coreani e mongoli. La nazione orientale più creativa e desiderosa di evoluzione artistica resta la Cina. Molto si deve anche all’impiego regolare, già dagli anni ’80, di acrobati cinesi nelle produzioni del Soleil: essi portano a casa video e musiche che stimolano una nuova generazione di creativi. Per la prima volta nascono in Cina circhi stabili sul modello occidentale, modernissimi: a Wu Han (1992), Wu Quiao (1999), Shangai (2000), o anche in Vietnam ad Anhoi (1991). I risultati dell’evoluzione artistica cinese si vedono nei primi festival “interni”, vere e proprie olimpiadi biennali che riuniscono ad ogni edizione una selezione di “appena” mille artisti. Nel 2000 a Da Lian si sono esibiti in

409

410

una settimana sessantotto numeri di quaranta troupes cinesi. Ciascuno di questi eventi è aperto da uno spettacolo a tema che non ha niente da invidiare a Las Vegas: nel 1998 lo show Dreamland a Wu Quiao vede in scena quattrocento acrobati, uno sfarzo poi superato da Cosmic Dream nel 2000 a Wu Quiao. Le atmosfere avveniristiche sembrano archiviare per sempre l’idea soporifera e da cartolina di salti nei cerchi, suoni di cembalo e danze mascherate. La qualità delle troupes-scuole in Cina dipende dal talento dei direttori-coreografi ma anche dai finanziatori. Alcune troupes sono foraggiate da eserciti locali o compagnie ferroviarie. Artisticamente, si assiste ad un fertile sincretismo tra acrobazia tradizionale cinese, introduzione di tecniche occidentali o sovietiche (trapezio, bascule) ed estetiche moderne. Tra i gruppi più creativi vi è la troupe di Shen Yang, forse la più influenzata dallo “stile Soleil”, ma capace di un’estetica suggestiva, come nel caso dei piccoli “bonzi” che scalano le pertiche (1987). Poi c’è l’inventiva Compagnia della Bandiera (quella selezionata dal Soleil per Dralion): vi opera la coreografa Li Xi Ning, cui si devono idee come le ballerine in punta di piedi su un “tappeto” di lampadine accese o, tra i primi casi in Cina, varianti sull’arte del trapezio. Altro gruppo che si dedica ai numeri aerei è quello di Shanghai, il primo in Cina ad affrontare anche i numeri di animali feroci. A Canton l’arte acrobatica raggiunge livelli storicamente inediti con formazioni femminili nei prodigiosi numeri di salti (1995) o alle bascule (1998), o con la solista Di Wen Xia negli equilibri impossibili con centinaia di bicchieri. A Shandong nasce un gruppo di acrobate in bicicletta capace di salti mortali da un velocipede all’altro come nei vecchi numeri di acrobazia a cavallo. La troupe di Wu Han sforna gruppi numerosissimi, adatti a grandi circhi (come per il Ringling-Barnum nel 1998) e con composizioni spettacolari, che vanno dagli equilibri su undici sedie al gruppo di ventidue fanciulle equilibriste-contorsioniste con i piatti. La quantità compositiva è una costante che rende gli acrobati cinesi veri eredi delle coreografie alla Ziegfeld: basta pensare alla troupe di Zheng Zou, in grado di presentare un “ventaglio” di venti ragazze su una sola bicicletta (1998) o un grande gruppo di salti alle corde, quella di Shen Yang con gli incroci di quindici volteggiatori aerei agli elastici (1995). All’alba del 2000 si fanno notare poi la troupe di Guan Dong (detta anche di Chang Zhou) e la China Troupe con sede a Pechino, dopo il 2000 la più prestigiosa e intraprendente sul mercato mondiale. L’ottanta per cento della popolazione acrobatica cinese resta composta da minorenni, con pratiche che spesso danno adito a proteste per la discutibilità della ferrea disciplina.

Per quanto riguarda la Corea del Nord, la partecipazione degli artisti a programmi occidentali è molto più selettiva. Nell’aspetto artistico, creatività e coreografia non sembrano protagoniste in una cultura dove l’exploit fisico è l’interesse maggiore. Ed in effetti, i record coreani dominano nelle acrobazie con le bascule, alla stanga russa, ma soprattutto con le troupes di trapezio volante, i cui protagonisti si ingaggiano negli anni in una gara tra loro in meccanismi impensabili: come la combinazione del trapezio con un trampolino elastico (1991), con la bascula (1992), o con un’altalena che parte dal suolo (1998, da un’idea dei russi Lozovik). Ma l’evento storico è nel 1994, quando la volteggiatrice Pak Yong Suk compie un quadruplo: exploit paragonabile solo a quello della collega Kim Hun He, capace nel 2000 di due tripli consecutivi. È il nucleo delle Flying Girls, che a partire dal 2000 creano un numero aereo con quattro porteurs a vari livelli e difficili esercizi concatenati tra loro. 17.7 Dall’esibizione all’interpretazione: la rivoluzione acrobatica di fine secolo All’alba del 2000, tutti i campi delle discipline circensi classiche raggiungono in pochi anni record impensabili sia nell’exploit fisico che nella completezza creativa. È un circo che passa dall’epoca dei maestri a quella dei registi: ciò si deve principalmente all’impulso creativo di pedagoghi-registi come Gneushev, poi alle creazioni del Cirque du Soleil, ai metodi delle nuove scuole francesi, al rapporto crescente col mondo sportivo, ma anche ad una rinascita occidentale. Nascono nuove tecniche acrobatiche, come raramente in altre epoche: tra esse quella dei fast track, o trampolini in lunghezza (diffuse nei tardi ’80 dalla pantomima”esquimese” dei russi Rubzov), poi ispirazione per Alegria del Soleil; o la riscoperta della “ruota tedesca” in Europa, Cina e Canada14. E ancora, il virtuosismo gioioso dei salti con le corde in gruppo, a partire dal 1983 con i russi Akishin. Diffusione sterminata hanno le sospensioni aeree con gli elastici, versioni coreografiche del bunjee jumping (inventate da Claude Lagemuller per le olimpiadi di Albertville 1989), diffuse subito fino in Cina, e ancor più l’acrobazia in sospensione con le fasce di tessuto15. E si è già detto dei determinanti meccanismi coreani per le evoluzioni aeree. I nuovi circhi francesi, nelle loro ricerche tra i confini artistici, inventano nuovi dispositivi che, come negli anni ’60 a Mosca, sono quasi installazioni scaturite dal gesto acrobatico. La divulgazione della formazione circense e la crisi delle grandi famiglie cambiano la natura delle discipline del circo. È l’ultima generazione di vecchi maestri, molti dei quali hanno occasione di formare allievi esterni alla tradizione che spesso provengono dallo sport. Se il modello sovietico è in decadenza, la sua base di fusione tra atletismo e arti interpretative della scena resta uno standard mondiale.

411

La francese Isabelle Vaudelle, nella prima presentazione al mondo delle acrobazie sui “tessuti” al Festival du Cirque de Demain, Parigi, gennaio 1995. Foto R. De Ritis

412

Tentiamo di tracciare un rapido panorama delle varie discipline prima del 2000. Acrobazia. Nel campo dell’arte acrobatica, gli esercizi alle bascule sono diventati una prerogativa russa, basati non più sugli arrivi in colonna, ma su cadute nel materasso, spesso con i trampoli: in estetiche più o meno aggiornate del folklore russo si alternano i Privalov, Chernievski, Bondarev, Gurianov, e i New Russians in frac. Nuove troupes emergono anche in Romania (Marinov, Catana). La specialità si estende alla Cina: le ragazze di Canton nel 1998 sono in grado di mostrare un doppio salto mortale su un trampolo ed un quintuplo; quelle di Shangai un arrivo in sesta colonna. La barra russa è un altro settore in cui si alternano record impensabili e una forte estetizzazione: nel classicista numero dei Zemskov, messo in scena da Gneushev, si distingue il formidabile acrobata Igor Boitsov, quasi un ballerino classico capace di salti impensabili con figure che fanno quasi pensare alla purezza di Nijinski; e poi il “triplo” dei Moisseiev; i Kusnetzov, e la versione sui trampoli dei bimbi di Shen Yang. Dell’eccellenza e dei record dei cinesi si è già parlato sopra, mentre gruppi kenyoti di acrobati sostituiscono la popolarità delle troupes marocchine nella ricerca di esotismo. Una vera rinascita si ha per l’acrobazia “al tappeto” senza accessori, che alla fine degli anni ’90 raggiunge il massimo storico sia nel campo dell’exploit atletico che nella presentazione artistica. Nel 1995 sorprendono i salti inediti delle fanciulle di Canton; e nel 1997 il Cirque du Soleil mette insieme atleti ucraini e canadesi per il quadro acrobatico di Quidam: salti ed esercizi prima impensabili ed un’intensità interpretativa unica ne fanno una delle due pietre miliari dell’acrobazia di fine secolo. Equilibristi e contorsionismo. La seconda “pietra miliare” è l’apparizione nel ’98 al festival di Parigi dell’ucraino Anatoli Zalievski: vestito di bianco in una sintesi essenziale di acrobazia, danza ed equilibrismo segna con il suo numero un “prima” e un “dopo” nell’arte circense. Prima di lui, benchè più classico, si era imposto dal 1994 il bravissimo Oleg Izossimov, vedette del music hall con il suo lavoro in verticale, mentre ruota su un solo braccio in abiti bianchi: in pratica il numero di Lev Ossinski (vedette sovietica degli anni ’60), aggiornato dalla trascinante voce di Pavarotti. E non va dimenticato l’equilibrista Veligocha, in un’idea di Gneushev vicina all’universo di Jean Paul Gaultier. Questi artisti sono i più noti in un generale rilancio dei solistiequilibristi di scuola russa, che abbandonano gli stereotipi retorici per una moderna e coinvolgente teatralità, in cui per la prima volta si sottolinea anche una forte componente erotica, tale da rendere queste esibizioni più adatte al music-hall che al circo. È il caso anche per il gentil sesso: splendide artiste sono l’equilibrista Olga Pikienko (vedette prima al Ringling, poi in Quidam del

413

Soleil); Elena Borodina, coperta solo da un velo di tulle nei suoi movimenti, in una regia di Gneushev, autore anche del quadro di hula-hoop Fata Morgana per la seminuda Elena Larkina. E ancora nell’hula-hoop Elena Lev, stella di Alegria; nel contorsionismo creativo Irina Gordeeva che, coreografata da Alexander Grimailo, svolge l’intero numero su una sfera rossa; poi Karima Zaripova; fino all’incredibile Gulnaia Karaeva che svolge il numero in una sfera piena d’acqua. La nuova voga del contorsionismo era stata anticipata nel 1990 dalla rivelazione delle tre bambine canadesi di “Nouvelle

Anatoli Zalievski, 1999

414

Experience” al Cirque du Soleil: ma non cancella la diffusione del contorsionismo cinese classico e quella di un’altra scuola: la Mongolia, che origina splendide artiste, prime fra tutte Tara, Tunga e il Duo Lodoi. Gli acrobati occidentali. Negli anni ’90 si ha un rilancio dell’acrobazia in coppia, con numerose varianti, tra circo e music-hall: dai vari stili della scuola iberica del “mano a mano” (i “macho” Alexis, i Chen in frac, “Tino e Toni” in calzemaglie fin de siécle, i più tradizionali Segura), alla break dance degli Acro-Mecanico, agli “icariani” interattivi col pubblico Scorpions. La troupe russa Kurbanov, con un’idea di Gneushev, presenta gli icariani sul dorso di motociclette. Grande novità degli anni ’90 è la rinascita di una scuola acrobatica italiana (anche grazie all’Accademia del Circo) che, pur senza la fantasia coreo-

grafica della nuova Russia, della Francia o del Québec, riunisce in una solida didattica allievi e maestri provenienti da antiche dinastie, integrati da preparatori russi. È un sincretismo di stili classici che genera coppie di artisti acrobatici di altissimo livello, soprattutto trasferendo in Italia la tradizione russa del “volteggio” acrobatico in coppia (come i fratelli Perez, vedettes stabili del Moulin Rouge, o i Curatola), o generando solisti dell’equilibrio quali Glen Nicolodi. I maestri italiani dell’Accademia rilanciano anche le coppie di icariani, un genere che nel mondo si dava quasi per scomparso: con le coppie dei fratelli Bello (entrati nel Guinness dei Primati, e primi italiani al Soleil con Varekai), dei Guidi, o dei prodigiosi fratelli Errani, pluripremiati e con una folgorante carriera. Del resto l’efficacia dei vecchi maestri si era già vista nel decennio precedente alla scuola Fratellini: vecchie glorie come Claude Victoria hanno sfornato le coppie di equilibristi Eric et Amelie o Sophie et Virgile; a Davis Bogino e Renzo Larible si devono i migliori saltatori ed equilibristi usciti di recente dalla formazione francese; e il glorioso funambolo Manolo dos Santos ha potuto formare un erede di Colleano come Julien Posada. Tra gli acrobati sul filo vanno citati anche gli splendidi Joseph Bouglione, David Dimitri, Molly Saudek e due prodigi cinesi: la gloria nazionale Cong Tian e poi Zhang Ting, in grado di compiere sul filo oscillante figure di equilibrio con un solo braccio; o l’inquietante russo Andrei Ivakhenko, in una coreografia geniale di Gneushev, con un gioco di metafore che rompe con il senso classico della disciplina. I nuovi giocolieri. Gneushev interviene anche nel campo della giocoleria, con il duo Bondarenko, o il pierrot espressionista Eugeni Pimonienko. Ma la vera rivoluzione nella giocoleria si ha da una parte con l’ucraino Victor Kee (la stella di Dralion), quasi un danzatore, dall’altra con il classico Anthony Gatto che nel 1993 supera ogni record possibile: la frontiera dei dodici cerchi e quella delle sette clave. La scuola classica continua a generare talenti di prestigio come i due fratelli messicani Alegria, Wally Eastwood, e figli d’arte spagnoli come Paul Ponce, Picaso jr., Antonio Alvarez; il cecoslovacco Mario Berusek e lo svizzero Claudius Specht, mentre resta in attività il decano Kris Kremo. L’arte equestre. Altro caso imprescindibile dai vecchi maestri è l’esempio dell’acrobazia a cavallo. Gli ultimi dei Caroli formano nelle scuole francesi nuovi artisti, come Bernard Quentin e Manuel Bigarnet, che saranno il fulcro acrobatico di Zingaro. L’acrobazia equestre sembra avere una breve rinascita per qualche anno: tra il 1996 e il 1997 capita che grandi circhi in varie parti d’Europa (Louis Knie, Fredy Knie e Casartelli-Medrano) riuniscano a sé i giovani di varie dinastie equestri per creare nuove troupes europee di acrobazie e piramidi a cavallo. Ma è un’arte difficile e faticosa, basata su investimenti importanti e sulla

415

Frédy Knie, direttore artistico del Circo Nazionale Svizzero Knie, Zurigo, 1999 (foto H. Muytjens).

416

non durevole coesione di grandi gruppi. A riuscirci ancora in permanenza sono i Grüss, o famiglie dell’Est come i russi Ignatov, Sadoev e Zapachny, e gli ungheresi Donnert e Richter. Restano comunque possibili evoluzioni di exploit come la “posta” equestre, che quasi diventa un genere femminile: a partire da Katja Schumann, Martine Grüss, fino alla spettacolare versione a due di Marie-José e Geraldine Knie fino a quella di Maud Grüss, che arriva a diciassette destrieri. Le più diffuse acrobazie equestri degli anni ’90 sembrano però quelle delle ormai decine di spettacolari troupes russe di cosacchi a cavallo, molti dei quali ispirati all’impostazione coreografica dei Nugzarov. La presentazione di cavalli in libertà resta presente in quasi qualunque circo del mondo, ma appare generalmente come una noiosa routine. Restano però alcuni artisti capaci di anno in anno di veri e propri capolavori: a Frédy Knie, Sacha Houcke jr, Alexis Grüss e Lucien Grüss è affidata l’evoluzione di quest’arte con innumerevoli creazioni. I Knie e i Grüss restano anche i più importanti cavallerizzi contemporanei di alta scuola. Un eccellente artigianato equestre permane in Italia tra presentazioni in libertà e alta scuola: con Flavio, Daniele e Cristina Togni al Circo Americano, Vinicio Togni-Canestrelli, e ancora la numerosa famiglia Casartelli, gli eccellenti Lara e Stefano Nones al circo Moira Orfei. In Europa colpisce poi l’inattesa diffusione di spettacoli basati sull’arte equestre, eredi di Zingaro: da forme di ricerca come i gruppi francesi Charivari Equestre (1990-94) di Valerie Fratellini (poi divenuto “O Cirque”), e il Théâtre du Centaure; a forme più commerciali e disparate come il citato

Pferdepalast di Althoff in Germania, i dinner show Arabian Nights in Florida e Buffalo Bill a EuroDisney. Fino al sontuoso Cheval Théâtre itinerante di Gilles St. Croix in Nordamerica nel 2001. Quest’ultimo vero e proprio campionario delle specialità equestri, tra lo stile produttivo sofisticato del Cirque du Soleil e il riferimento essenziale del teatro equestre di Zingaro. Il genere dello spettacolo equestre avrà un ampio sviluppo dopo il 2000 (cfr. 19.1). Le evoluzioni aeree. Nel campo dell’acrobazia aerea si diffonde in questi anni quella che era stata una delle chiavi estetiche del circo sovietico: l’uso dei cavi di sicurezza per enfatizzare le qualità interpretative piuttosto che la ricerca della suspence. Da Mosca, a Montreal a Parigi, tale pratica trasforma molte artiste in sublimi danzatrici. Uno dei grandi maestri resta Victor Fomine. Dopo la rivelazione della Panova, egli forma nuove trapeziste soliste come Natalia Jigalova, Marina Golovinskaja e la francese Aurelia. I cavetti di sicurezza aiutano anche un rinnovamento degli esercizi ginnastici al cerchio aereo, come nel caso di Elena Serafimovich, in un genere che si diffonderà molto in Canada. Altra esibizione aerea che si diffonde è quella con le cinghie: dai solisti già citati di Gneushev a romantiche coppie come i Kurziamov. L’equilibrismo sul filo è oggetto in Russia di nuove sperimentazioni: ispirata dai Voljanski, la solista Marina Ossinskaja diffonde un rivoluzionario sistema di cavi mobili poi ripreso da Gipsy Gruss, da Su Hon Li e in Saltimbanco. Nel Québec il maestro-pedagogo Andrè Simard (cfr. 16.8) nel 1992 prepara per Saltimbanco due gemelle formatesi alla scuola di Montréal: le sorelle Steben, forse uno dei numeri di trapezio più determinanti nella storia del circo, che conservano ancora una parte di suspence. Totale spericolatezza nel vuoto è ancora quella degli Ayak Brothers, o di molti funamboli sudamericani come i Navas, i Guerreros, gli splendidi Quiros. Nel 1994 riemerge negli Usa un antico exploit: la piramide in sette sul filo: è la troupe White Devils, che riunisce eredi di spericolate famiglie (dai Nock ai Wallenda) e ridiffonde la moda nel mondo. Dal Cnac francese emerge il solista sul filo Didier Pasquette, mentre in Russia la troupe Chijov crea un numero impossibile di funambolismo a doppia altezza, su corde che vanno da spalla a spalla di acrobati già sospesi su un cavo. Nel campo delle troupes di trapezio volante, si è detto delle frontiere impensabili raggiunte dai coreani (cfr. 16.8); in occidente la tradizione italiana di trapezisti tende a estinguersi, ma dal Sudamerica continuano a proliferare storiche formazioni (primi tra tutti i Farfans), o ne emergono di nuove (i Navas, i Neves, Pages, i Caballeros con un quadruplo, i Rodogels) non di rado influenzate dalle tecniche coreane. Per la prima volta, troupes di trapezio volante emergono anche in Cina, come i Wu Han Flyers, che lavorano nel 1999 negli Usa per Ringling. Il colosso americano ricorre spesso a

417

maestri internazionali per la formazione di proprie spettacolari troupes con tecniche innovative, che durano giusto il biennio della tournée. Altre eccellenti troupes di volteggiatori aerei si affermano in Russia, dagli Egorov agli Aniskin. Ma la fine del secolo è dominata ancora da Le Cicogne, da Carillon di Gneushev e da quell’incredibile canto del cigno dello Studio di Mosca che è il citato gruppo dei Borzovi: ultima delle creazioni del vecchio Maestrenko, debutta nel 1993 al Festival di Verona, con la rete che si monta magicamente da sola e gli artisti lentamente trasportati verso l’alto per offrire una sintesi inimmaginabile di volteggio aereo, barra russa e “icariani”.

René Strickler. Circo Roncalli, 1992

418

17.8 Un altro circo è possibile? Il circo malato dei suoi animali In Gran Bretagna, negli anni ’90, una famiglia che si recava al circo doveva mettere in conto sputi e lanci di pietre da parte di manifestanti contro gli animali in gabbia. L’imbarazzo delle autorità si trasforma presto in divieti, la stampa si schiera dalla parte del movimento di opinione, e gradualmente i circhi inglesi rinunciano totalmente ai numeri di animali. L’esempio inglese di città che vietano l’ingresso a circhi con animali ha presto emulazione in Italia e altre nazioni. Nei tribunali degli Stati Uniti si diffondono con frequenza i processi chiesti dalle corporazioni ecologiste contro domatori di elefanti per presunti abusi; le televisioni diffondono spesso filmati di guardiani di animali esplicitamente poco sensibili, o di gabbie strette e fatiscenti. Il fenomeno è tutt’altro che contemporaneo. «Il diffondersi di animali ammaestrati come cavalli, maiali, cani etc. deve toccare i sentimenti di ogni cuore umano, quando si sa che i trucchi da loro mostrati sono eseguiti tramite la più crudele tortura». Così scriveva a Londra il «Morning Herald» nel 1785, neanche dopo dieci anni la nascita dell’Astley’s, il primo circo della storia. In età vittoriana, l’ascesa dei domatori era stata accompagnata da simili critiche, così come in ogni momento storico: negli anni ’30, il Circo Sarrasani o il circo Ringling investivano in pubblicazioni per rassicurare il pubblico sui metodi di addestramento e sulle condizioni degli animali. Le critiche agli animali in gabbia, generalmente nate da un atteggiamento emotivo più che scientifico, sono esistite da sempre. E, in effetti, per secoli gli animali di circo hanno subito lo choc della cattura, la detenzione in spazi insostenibili, sistemi di addestramento crudeli, e abbattimenti quando non più sfruttabili.

Paradossalmente, è negli anni ’90, quando i circhi, gli zoo e i domatori raggiungono la civiltà dei metodi etologici, un sano rapporto col mondo scientifico, il massimo nelle strutture di accoglienza e trasporto, e sparisce per legge la cattura di esemplari, che i detrattori degli animali da circo raggiungono forme importanti di protesta organizzata. La sensibilità ecologista è uno dei più rilevanti fenomeni sociali di fine secolo. Tra tutte le forme caratterizzate da un rapporto stretto tra uomo e natura, il circo è di certo tra le più antiche e visibili all’interno della cultura urbana, che si è sviluppata senza il rapporto con gli animali. Il dibattito moderno dei detrattori ha una natura culturale complessa: al di là del problema dei maltrattamenti (ormai comunque divenuti rari), esso si sposta verso una riflessione etica, sull’opportunità o meno di coinvolgere gli animali in contesti diversi dalla loro natura e a fini di lucro. Ma qual è la natura effettiva di tali animali, negli anni di successo dei programmi di riproduzione in cattività? E quale il “lucro” del circo rispetto ad altre forme? Nei secoli, abbiamo scelto per gli animali “nature” nuove, finalizzate a destini diversamentente crudeli e variamente lucrativi: dall’asino legato al pozzo agli allevamenti per la macellazione alimentare o per l’industria della pellicceria, alle sperimentazioni scientifiche. In altri casi, i nostri antenati hanno condannato da generazioni creature un tempo selvatiche ad una quotidianità con l’uomo ai fini del suo divertimento. In alcune, come nella corrida, il rapporto con l’uomo è di sorpresa, nasce nei pochi minuti della drammaturgia di agonia e morte. Nel caso del circo, il ciclo della vita dell’animale è parallelo e quotidiano a quello dell’uomo, in una natura ormai “domestica”, in tutta la complessità etologica dei processi di scambio e comunicazione. In tutte le differenze di crudeltà o complicità, a seconda dei casi. Negli scorsi capitoli si è tentato di tracciare la storia dei domatori prescindendo dal problema, e tentando di ipotizzare un nuovo tipo di lettura, da un punto di vista estetico, legittimando in modo acritico che si tratta comunque di arte: nel senso di un patrimonio di tecniche, sofisticato in dispositivi complessi di sollecitazione dell’immaginario. Dall’Illuminismo abbiamo visto come la maturazione del circo moderno delinea un’utopia di natura animale non più selvaggia: di sicuro “urbana”, in qualche modo “teatrale”. L’animale di spettacolo, un tempo sottratto definitivamente e con violenza al proprio ambiente a tale scopo, in seguito è destinato a ciò anche prima del suo stesso concepimento, e comunque per imposizione e volontà di noi umani. In alcuni casi brutalmente, in altri meno, a seconda della cultura e della coscienza etica dei singoli. Il dibattito attuale si fonda su due interpretazioni etiche opposte, legate a due distinti valori: da una parte un’idea di rispetto per lo stato “naturale” delle cose; dall’altro il rispetto per tradizioni e pratiche antiche, spesso

419

420

legate ai valori di famiglia, su cui si basa l’economia circense. È il confronto tra un amore verso il regno animale (in forme troppo antropomorfe e ideali) da parte chi non lo frequenta; e il circense che da secoli con l’animale in gabbia ha costruito la propria identità e filosofia di vita, che non sa e forse non può mutare. Per gli evocatori dell’arcadia è escluso riflettere sulle ampie possibilità del rapporto tra animale e uomo, e sul fatto che la “natura” dell’animale circense corrisponde ormai alla sua cattività (qual è il reale habitat di una tigre nata in gabbia da dieci generazioni?); per i venditori di emozioni sull’opportunità di perpetrare tradizioni forse anacronistiche in un’epoca in cui l’intervento dell’uomo sull’ambiente è sempre più violento. Il vigore con cui i gruppi protezionisti attaccano il mondo del circo si è accompagnato ad un miglioramento importante delle strutture di ospitalità e trasporto degli animali: è il caso del protocollo italiano tra Ente Circhi e Ente Protezione animali nel 1987 o di una normativa tedesca del 1989. E dal 1973 il commercio mondiale di animali è severamente regolato dalla convenzione di Washington. La crescente sensibilità dei domatori verso l’etologia ed il loro rapporto col mondo veterinario ha migliorato le tecniche di addestramento, ed in qualche modo anche l’estetica di presentazione. Il pubblico familiare ha negli animali ancora la maggior spinta di interesse verso il circo: e l’educazione delle nuove generazioni verso i pericoli di estinzione e la salvaguardia dell’habitat non pongono necessariamente il circo come una cultura negativa; la cattività resta, paradossalmente, una delle sicurezze di conservazione delle specie. Le provocazioni verso il circo mostrano un perfetto parallelismo tra Italia, Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, nella loro crescita costante dai primi anni ’80 al 2000, periodo in cui negli stessi Paesi si moltiplicano le ipotesi legislative, e molte amministrazioni comunali vietano l’accesso ai circhi con animali. Il circo reagisce raramente con strategie adeguate, spesso affidate alle proteste e querele delle varie corporazioni di circensi, la cui immagine è quella di un’attenzione verso il proprio interesse più che verso l’ambiente. In Italia i circhi si affidano all’apprezzamento del Vaticano; in Germania all’opinione di eminenti etologi; in Gran Bretagna all’esito, a sorpresa favorevole, di un’inchiesta governativa. Negli Usa una vera e propria strategia mediatica è quella del Ringling-Barnum: il più grande e antico circo d’America è sia quello con maggiori implicazioni economiche (le sue due unità si basano sugli animali), sia il più visibile e attaccabile per le proteste. Bersagliato da processi e campagne stampa, il Ringling si muove tra lobbysmo politico e stretta collaborazione con le ispezioni governative, fino alla costituzione di un proprio dipartimento per lo studio del benessere animale: con investimenti importanti, che culminano nel 1992 con la costituzione in

Florida di un ranch per la riproduzione di elefanti. Impresa difficilissima, ma ben quindici esemplari vi sono nati fino al 2006. Un’iniziativa di protezione della specie, ma anche una soluzione per rinnovare i cast di pachidermi. Gli esiti del confronto sfociano, all’alba del 2000, in due effetti concreti simili nel mondo: da una parte un relativa stabilità del pubblico affezionato alle esibizioni di animali, di poco convinto dalle motivazioni del movimento animalista; dall’altra una sorta di selezione naturale degli animali nei circhi. Cosa questa dovuta da una parte agli ostacoli politici e al battage mediatico; ma dall’altra anche ai crescenti oneri organizzativi. Così nel 1992 il circo stabile di Blackpool decide di abolire gli animali, in una Gran Bretagna in cui quasi tutti i circhi diventano “umani” per evitare polemiche; negli Usa il Big Apple Circus rinuncia per gli stessi motivi agli elefanti dal 1999, e lo stesso Ringling riduce di molto i propri animali; in Germania il circo Roncalli preferisce dire addio alle belve feroci, come pure il Florilegio Togni in Italia (nonostante la sua leggendaria tradizione di domatori), mentre il circo svizzero Knie, come moltissimi altri, riduce il proprio zoo viaggiante. Negli Usa uno dei pochissimi grandi tendoni rimasti, il Cole Bros., elimina i suoi dieci elefanti: sono troppo costosi, e i blitz animalisti un continuo peso mediatico. Un po’ ovunque nel mondo i grandi gruppi di elefanti si riducono sensibilmente, soprattutto per “vecchiaia” degli esemplari. I costi di mantenimento e la crisi degli spazi fanno il resto, per quanto i maggiori circhi sostituiscano ormai vasti recinti alle anguste gabbie di un tempo. In controcorrente, molti grandi circhi sembrano investire ancora sugli animali nonostante gli ostacoli, per ragioni che forse uniscono orgoglio, convenienza economica, sincera passione e infine troppa estraneità con gli emergenti linguaggi circensi alternativi. È il caso del circo Moira Orfei in Italia con le tigri; dell’enorme gruppo di cinquanta tra tigri e leoni costituito da Pinder in Francia, o di imprese specializzate nella produzione di numeri di belve, come la Clubb-Chipperfield o la famiglia inglese Lacey, che conta decine di leoni e leonesse. In generale, la primaria risorsa culturale e mediatica dei circhi tradizionali resta l’enfasi sulla promessa di animali, anche per chi possiede un solo cammello. L’affermazione dei nuovi tipi di circo basati sull’espressività e sul corpo umano, e la decadenza nei modi di proporsi del circo tradizionale, non fanno che accentuare il dibattito. Un contributo indiretto alla diffidenza verso il circo con animali è dato dalla qualità degli spettacoli del Cirque du Soleil, eletti dai detrattori a simbolo di un altro circo possibile: per quanto la multinazionale canadese non abbia mai giocato la carta “contro”, dichiarando anzi un diplomatico rispetto verso i circhi con animali, e in passato lavoran-

421

Il versatile domatore Flavio Togni, forse il più popolare presso il pubblico internazionale. Circo Americano, 1993. Coll. dell’autore

422

do tra cavalli ed elefanti del circo Knie16. Chi auspica il Soleil come modello del futuro, non considera che una forzata riconversione “umana” dei circhi tradizionali è un’utopia impossibile a causa delle profondissime differenze economiche, culturali e di aspettative del pubblico: il caso inglese ne è la prova. Ciò non toglie che per la società dopo il 2000, gli animali al circo appaiono più una zavorra che un valore artistico. Ma nello stesso tempo rappresentano ancora, in tutta la loro crudezza, uno dei pochissimi casi di rapporto dell’uomo con la natura, e di occasione sensoriale, olfattiva, di choc violento per la nostra umanità in “evoluzione” e per l’infanzia di chi ci darà il cambio su questa terra. Piegare la natura, sottomettere il corpo, imporre comportamenti estremi per stupire, fino al rischio della vita, sono la ragion d’essere di clowns, trapezisti, giocolieri e domatori. L’evoluzione del circo ha plasmato su preci-

se epoche le sue forme, rendendone superate altre. Alla fine sono sempre la selezione naturale, la civiltà, il pubblico, il mercato, l’opportunismo del “mestiere” a cambiare la storia. I numeri di animali degli anni ’90 lasciano lo spettatore sospeso tra un desueto retrogusto del virtuosismo e la nostalgia per una natura perduta e invisibile: come il gruppo di puma, pantere, leopardi e giaguari di Emil Smith o i sempre più diffusi numeri di tigri bianche; la corsa nel buio dei quindici elefanti nel quadro “spaziale” di Flavio Togni in un décalage di natura e estetica; gli esercizi che René Strickler fa compiere assieme a tigri, orsi polari e leoni accorciando le distanze del mondo, unendo i più diversi odori e sguardi felini a pochi centimetri dai nostri occhi; la parata orientale costruita dal Ringling attorno all’enorme elefante King Tusk dalle smisurate zanne; o a Mosca il balletto delle tigri di Zapachny jr sulle sfere semoventi (segretamente animate all’interno da nani) tra meraviglia coreografica e sadismo. Se tutto ciò può alternare nello spettatore seduzione e sensi di colpa, la suggestione di certe immagini non cancella il fastidio del principio antico, forse ormai inconscio, ma oggi sicuramente inutile, di provare la supremazia dell’uomo sul creato. È un paradosso che si vive osservando Zingaro: uno spettacolo la cui estetica appare rivoluzionaria per l’abbandono del “far compiere” esercizi al cavallo, lasciato a una sua teatralità spontanea, equiparato all’uomo, sul principio del centauro e della sua mitologia di fusione; ma per ottenere ciò non può prescindere dalla coercizione con speroni e briglie e dalla cultura equestre della tauromachia. Nel frattempo sono per fortuna sparite le orchestre di scimpanzè con strumenti giocattolo, e si spera di vedere sempre meno i matrimoni di barboncini vestiti di pizzo. Ma in tale controversia di sentimenti, la fine del secolo regala nonostante tutto immagini che possono far pensare ad un evoluzione in senso artistico: come le venti tigri di Nikolai Pavlenko, vestito in frac senza frusta nella regia di Gneushev; la perfezione del gruppo di zebre e antilopi di Stefano Nones; la dignità delle otarie di Roland Duss; l’esibizione di elefante e cane di Wendell Huber, domatore che giunge ad assentarsi dall’azione; l’happening arcaico di Bartabas e del suo cavallo Zingaro; l’universo esotico del Florilegio Togni, in cui giraffa, rinoceronte, ippopotamo, bisonti, canguro, cammelli, zebre, appaiono dal nulla in nuvole di fumo senza compiere evoluzioni: immagini gratuite da un Eden impossibile16.

423

18. IL

CIRCO OLTRE IL CIRCO: NUOVE FORME PER GLI ANNI ’90

18.1 Dalla pista al palcoscenico: incroci tra Mosca, Las Vegas, Montréal e Broadway L’impulso creativo degli anni ’90 fa intuire le possibilità teatrali del circo a molti produttori di teatro, affermando un nuovo “genere” da palcoscenico sulla scia dell’imporsi del Soleil. È il caso del produttore musicale Steven Leber che, dopo aver “scoperto” a Mosca il regista Valentin Gneushev, produce al teatro Gershwin di Broadway Cirk Valentin (1991) uno dei primi esempi moderni di uno spettacolo circense in teatro, sistema poi diffusissimo. È poi il caso del Giappone, dove, in seguito al primo passaggio del Soleil (1992) vari produttori tentavano spettacoli simili con budget elevati e creatori di primo piano: è chiamato Guy Caron per creare un Cirque Merveille; o Gneushev (nel frattempo resosi indipendente dal Circo di Stato) per la regia di un Musical Circus Fantasy (1995). Emerge così una ricetta circense-teatrale a metà tra l’universo onirico del Soleil e l’estetizzazione dell’avanguardia russa. In questo il mercato più fertile sembra quello dei casinò, che trova nel circo moderno un rinnovamento dopo gli anni di sesso e lustrini. Tutto inizia con la rivoluzione del target “per famiglie” di Las Vegas, con gli hotel resorts trasformati in parchi a tema o zoo-safari, e le riviste di illusionisti al posto degli strip-tease. Un produttore circense come Kenneth Feld ha nel ’90 due show “per tutti” nell’ex “città del peccato”: uno dei quali è il top seller, la rivista con belve degli illusionisti Siegfried e Roy all’Hotel Mirage del magnate Steve Winn. Quest’ultimo nel 1992 fiuta un’inusuale iniziativa: invitare un tendone del Cirque du Soleil con una versione di Nouvelle Experience (cfr. 17.1). Un circo a Las Vegas? L’esperienza è il seme che trasformerà radicalmente l’intrattenimento da casinò nel mondo. Winn chiede al Soleil di costruire un vero e proprio teatro fisso: qui nel 1993 debutta l’imponente Mystére, il primo spettacolo circense non destinato ad una tournée, ma studiato con le tecnologie e i confort di un luogo fisso e apposito, non duplicabile (per proporzioni e contesto). Mystére elimina i lustrini da Las Vegas sostituendovi la più teatrale magia evocativa dell’équipe di Dragone, alla quale si aggiunge Pavel Brun, ex braccio destro di Gneushev. Da quel momento il volto dell’intrattenimento a Las Vegas cambia per sempre, con una serie di shows in casinò di tutto il mondo, inventati da chiunque avesse qualche acrobata e una somma da investire1. Tra i primi di questi tentativi stabili c’era stato, nel 1993, lo show Cirque ideato ad Atlantic City da Neil Goldberg. Esso diverrà nel 1997 Cirque Inge-

Il giocoliere ucraino Victor Kee

425

La troupe aerea Perezvony in Carillon, regia di V. Gneushev. Mosca, 1991

426

gneux: pioniere a sua volta di un trend di spettacoli circensi concepiti non per luoghi fissi ma per tournées del circuito delle sale teatrali, nel tentativo in qualche modo di clonare l’estetica del Soleil e impiegando artisti russi di tendenza, “alla Gneushev”. La moda è tale che per un momento il Cirque du Soleil giunge al paradosso linguistico-giuridico di una battaglia legale per impedire l’uso del vocabolo francese “cirque” in tutto il Nordamerica. Nel frattempo la multinazionale canadese sforna ogni due anni una nuova unità da tournées per i propri tendoni: Alegria (1994) aggiorna sempre di più l’estetica del Soleil (ispirandosi in più momenti alle tecniche di Gneushev), e poi Quidam (1997), con una spettacolare visionarietà neo-surrealista e una rivoluzione dello spazio scenico, con i binari aerei che trasportano gli interpreti sulle teste del pubblico. Lo stile del Soleil è ormai inarrivabile dai vari imitatori. La ricetta della compagnia canadese riposa su solidi punti: in primo luogo la fedeltà continua ai principi di una storia aziendale e di un pubblico ormai preciso; la capacità lucida di un regista come Dragone nel saper usare sia la quotidianità che l’immaginario rendendoli universali; la forza di un’équipe creativa nel produrre una qualità visiva e sonora elevatissime. Ma soprattutto l’estetica del Soleil si dimostra vincente in due “pilastri”: da una parte l’integrità dei numeri circensi puri e classici nella loro massima espressione (si rivelano vincenti anche quando, fuori contesto, gareggiano al Festival di Montecarlo confrontati con gruppi di elefanti o ventriloqui da night); dall’altra la capacità di costruire personaggi e filo conduttore ricorrendo a una trama tutt’altro che narrativa. Quella del “filo conduttore”, o della teatralità troppo marcata, si rivelerà invece una trappola per molti imitatori. Il trend della produzione circense in teatro non fa che espandersi, e a volte con risultati molto felici. È il caso di un altro gruppo canadese: il Cirque Eloize, nato nel 1993, che esordisce sui palcoscenici nel 1997 con Excentricus2. Nel 1999 persino il Big Apple Circus intuisce un mercato circense nel teatro e crea un’unità da palcoscenico mettendo in scena Ooops: storia di una troupe shakespeariana alle prese con il circo. Sono gli anni della rinascita di Broadway, con l’ingresso della Disney

nel teatro commerciale, e si punta molto sulla visualità circense. Il più grande successo teatrale del decennio, Lion King di Julie Taymour (1998), si ispira alla visualità del Cirque du Soleil e al teatro acrobatico-clownesco. Uno dei nuovi teatri newyorkesi, il New Victory, si specializza in programmazioni di teatro “circense” internazionale: da gruppi giovani come Eloize a quelli storici come Thierrée-Chaplin, dal circo australiano Oz agli acrobati cinesi, ai nuovi clown russi. Nella seconda metà degli anni ’90, a Broadway appare vivacissima la riscoperta per la fisicità di tipo circense: dai mimi-performers di Blue Man Group al teatro aereo di De La Guarda, ai salti mortali di Crash Test Dummies, al teatro magico di Ricky Jay o Joe Gabriel, al Tony Award assegnato a Fool Moon, dei clown circensi David Shiner e Bill Irwin. I musical della Disney impiegano talenti clowneschi del circo (da Geoff Hoyles a Kenny Raskin). La scena off vede persino una rinascita dei numeri estremi da side-show, con l’enorme successo delle provocazioni sociali dei maghi-comedians Penn and Teller o del ripugnante Jim Rose Circus, che unisce il fachirismo alla cultura grunge; e la popolarità del Bindlestiff Family Circus, tra derisione e baracca da fiera, e di Todd Robbins che rilancia in teatro la cultura dei freaks e del fachirismo da luna-park. Altre compagnie minori di circo teatrale sorgono un po’ ovunque: dal poetico Midnight Circus a Chicago (nel 1999) al canadese Cirque du Tonnerre già dal 1990. Esperienze circensi in palcoscenico trovano un terreno fertile in Francia: dal più tradizionale Medrano (dal 1987), allo storico Archaos, i cui allestimenti avveniristici si spostano sulle scene dei teatri; così come saranno frontali molti spettacoli del “nouveau cirque” francese (cfr. 19.1,5). Un altro settore in cui il circo trova nuove e disparate espressioni artistiche è quello dei parchi a tema: soprattutto dopo che nel 1998 la Disney crea per il Cirque du Soleil un teatro fisso per lo spettacolo in esclusiva La Nouba. Lo stesso Soleil nel 1999 duplica il successo a Las Vegas con un progetto dalle proporzioni wagneriane al costo di ottanta milioni di dollari. Si tratta di “O”, per il quale è fabbricato un teatro acquatico, che ha precedenti solo negli storici hippodromes del primo ’9003. Con “O”, che segna l’apice dell’espressione del regista Dragone, si è davanti ad una sintesi artistica delle principali influenze dello spettacolo dal vivo di fine secolo. Per ricchezza artistica e sofisticazione tecnica, si è raggiunta una delle più imponenti creazioni che l’intera storia dello spettacolo ricordi. La fine del secolo appare fertilissima nei tentativi di innovazione della spettacolarità circense su grandi proporzioni: due anni di preparazione sono necessari a Londra per far debuttare nel 2000, anche se per pochi mesi, a Londra, lo show acrobatico del Millennium Dome, che l’amministrazione

427

Blair affida ad un’equipe creativa capeggiata dalla rockstar Peter Gabriel. Sono esperienze che hanno ormai abbandonato l’estetica circense degli ultimi due secoli, mantenendo come soli punti fissi le conquiste nei campi dell’acrobatica, delle arti aeree, di quelle equestri o della clownerie. All’inizio del nuovo millennio, il circo trascende ormai sé stesso.

428

18.2 Da Berlino a S. Francisco: la rinascita del varietà e il circo-gourmet Negli anni ’50, il maggior mercato alternativo per gli artisti del circo era stato il “giro” dei night-clubs: un genere in rapida decadenza nel corso degli anni ’80, e comunque destinato ad un pubblico con ben poco interesse per ciò che avveniva in scena. Singolare fenomeno degli anni ’90 è la rinascita di un gusto teatrale per il varietà, che diventa occasione di lavoro per migliaia di artisti a cachet elevati. La Germania degli anni ’30 aveva trecento varietà basati su attrazioni circensi e chansonniers, un mercato completamente scomparso nel dopoguerra. Negli anni ’80 sopravviveva solo il secolare Hansa Theater di Amburgo (dal 1894) e poco altro. Per il resto, gli artisti che non avevano fortuna a Las Vegas o a Parigi, potevano trovare un circuito fertile nei night-clubs italiani, dove si alternano peraltro alcune delle maggiori attrazioni del mondo. Lentamente, in Germania il fenomeno rinasce: prima con un’iniziativa stabile di teatro di varietà della municipalità di Stuttgart; poi a Frankfurt, con la creazione nel 1988 del Tigerpalast: un locale destinato ad un pubblico giovane e facoltoso. Il luogo diventa un vero e proprio tempio per la scoperta dell’arte circense legata alla vita notturna di qualità. Chi sfocia nel rinato genere è Bernhard Paul col suo circo Roncalli: nell’inverno 1989 la rivista Varietè Roncalli all’Alte Oper di Frankfurt richiama cinquantamila spettatori, lasciando presagire un decennio in cui un nuovo settore tra circo e teatro sarebbe nato in Germania. Nel 1991 un produttore di concerti, Peter Schwenkow, distribuisce uno spettacolo di Andre Heller dal titolo Winter-Garten, in omaggio al mitico varietà berlinese. Tempo un anno, e con un ambizioso progetto edilizio Schwenkow fa rinascere a Berlino il Wintegarten stesso: riunendo dopo vent’anni Paul ed Heller, i fondatori di Roncalli, per la direzione artistica. Da allora questo varietà-ristorante presenta ogni due mesi un importante allestimento basato su un ricco programma di artisti di prima qualità. Quello di Scwhenkow, in partenariato artistico con Paul, diventa rapidamente un potente network: nel 1994 è inaugurato il Freidrichbau a Stuttgart, nel 1998 l’Apollo a Dusseldorf, ed è ristrutturato il Ronacher di Vienna. Altri soggetti emergono, come il Georg Palast di Hannover, che in pochi anni crea il circuito GOP con varietà in tutta la Germania; poi vi sono tendoni-varietà itineranti in forma circense (come i varietè La Luna o Et Cetera).

I nuovi varietà tedeschi, a differenza delle riviste parigine, sono basati unicamente su un programma di artisti circensi o inusuali, legati da una piccola orchestra e da un animatore-cantante (il conferencier). Una versione più off della formula si ha a Berlino con il trasgressivo Chamaleon dal 1995. Elemento chiave della formula è poi il legame tra spettacolo e ristorazione. Un successo notevole proviene dalla riscoperta di spazi suggestivi, primi tra tutti gli spiegelzelt: strutture circolari smontabili di legno scolpito e specchi, tra liberty e artdéco, che erano usate negli anni ’20 come sale da ballo di provincia tra Belgio e Olanda. Ora si scovano nei fienili e si restaurano, per diventare varietà-ristoranti. Il primo a riscoprirle è lo svizzero Ueli Hirzel con Aladin–Palace aux 1000 Miroirs (1988); poi il concetto è esteso al dinner-show da Bernhard Paul, che affianca il suo circo Roncalli con uno spiegelzelt per il ristorante-spettacolo Panem et Circenses (’91) con lo chef Hans Peter Wodarz: in uno show che unisce cena di alto livello a camerieri-attori e stelle del circo. Wodarz si mette in proprio dal 1994 con Pomp, Duck and Circumstance: arriva fino a New York e alle Olimpiadi di Atlanta, prima di essere associato per alcuni anni con il Cirque du Soleil. In Germania negli anni ’90 esistevano almeno quindici spiegelzelt. L’esempio tedesco colpisce in America Norman Langill, che imita il principio con il Teatro Zin Zanni: un successo ininterrotto dal 1999 con due circhi-ristorante a Seattle e S. Francisco, che ispirerà lo Spiegelzelt Theatre sulla baia sud di Mahnattan con Absinthe dal 2006. La dimensione intima di tali strutture (non oltre trecento posti) e gli elevati prezzi assicurano una clientela di alto livello e salari per attrazioni importanti. Altri tentativi di cena-spettacolo vanno dal Circo di Casanova dei Togni (in Italia e Belgio), al piccolo tendone off del derisorio Cirque Gosh, cabaret folle; o al circo natalizio Conelli a Zurigo, con uno spettacolo classico unito ad una cena sotto il tendone. Il connubio tra circo e cibo prende in America altre forme, a partire dalla tenda “pre-show” di Barnum’s Kaleidoscape del 1999 (un concetto di Raffaele De Ritis e Pascal Jacob): con aperitivi, brevi momenti di spettacolo e piatti gourmet un’ora prima dello spettacolo; un principio che un anno dopo anima tutti gli ambienti di accoglienza del Cirque du Soleil col Tapis Rouge, formula vip di buffet-accoglienza4.

Il dinner-show “Zin Zanni”. S. Francisco, 2001 (coll. dell’autore)

429

Pubblicità per il lancio del clown italiano David Larible negli Stati Uniti, 1991 (coll. dell’autore)

430

18.3 La riscoperta dell’arte clownesca La crisi dei simboli del circo classico, oltre agli animali influenza il clown: dalle ceneri dello stereotipo del clown triste, nasce un nuovo tipo di comicità. Il clown degli anni ’90 sintetizza il virtuosismo multidisciplinare della tradizione circense, le suggestioni dello spettacolo di strada, e la teatralità che penetra attraverso le nuove scuole di circo5. Di sicuro, già dagli anni ’70, la parola clown non era più dominio del circo, ma si è estesa ad una sfera innumerevole di ambiti, dal ricreativo al sociale, quando non a mera icona del ridicolo. Negli Usa il termine clown era diventato addirittura dispregiativo, o sinonimo di intrattenimento da compleanno: il clown più famoso d’America era quello di McDonald’s. Le cose cambiano da quando nel 1991 Kenneth Feld scrittura per il Ringling l’italiano David Larible (cfr. 17.4), facendo di un clown la star mediatica del circo, e imponendolo con i suoi numeri da solista nelle arene da ventimila posti. Al suo esempio segue pochi anni dopo, per la seconda unità del Ringling, lo svizzero Bello Nock, ed il Big Apple a New York punta sulla star Granma (Barry Lubin): il clown, un tempo icona della malinconia, diventa in America una superstar, ispira gadgets e servizi giornalistici e può ambire a salari da cinema6. Il successo di questa tendenza, se rivaluta una teatralità clownesca già innescata negli Usa dal Big Apple o dai Pickle Clowns, rinnova la centralità del clown ormai come definitivo elemento di costruzione dello spettacolo di circo classico. In ciò si recupera quel ruolo di filo conduttore innescato dai sovietici negli anni ’50, poi esaltato in Europa negli ’80 da Knie e Roncalli, fino ad ispirare il Cirque du Soleil. Altro elemento è la voga dell’interazione col pubblico, mutuata dalla strada. Dopo l’approdo al circo di mimi come Shiner o Shub (cfr. 16.1), la clownerie non era ormai più la stessa. Lo sketch del solista si pone ora come l’evoluzione di tutte e tre le tendenze precedenti: l’“entrata” farsesca, la breve “ripresa”, e l’intermezzo parodistico di stampo sovietico. È una lezione che sanno sfruttare nuovi solisti come Corrado Togni o Denis Lacombe; coppie classiche quali Sosman e Gogou; o quelle nuove come i Collins, Jigalov e partner, Adrenaline e Alfredo. Alla pista sembra ora prestarsi una sintesi comica di fine secolo che fa riferimento più al cinema muto, al fumetto, fino al teatro di strada, che non alla filiazione dal comico circense. È uno stile che raggiunge gli estremi nello stile quasi beckettiano della nuova avanguardia russa, che genera gli ucraini KGB, i Mikos formati da Teresa Durova, o i Litsedei. È da questo gruppo che emerge il visionario e a tratti cupo Slava Polunin con le sue tempeste di neve. Dopo la sua partecipazione ad Alegria per il Soleil, crea il proprio recital teatrale, Snowstorm, per anni un successo mondiale. Con una astuta presunzione (dice di ispirarsi a modelli ambi-

431

432

ziosi come Beckett, Wilson, Bausch, Chaplin, ma anche all’icona del circo sovietico Enguibarov), lo spettacolo rimuove addirittura l’elemento di comicità pura, a favore di un surrealismo poetico che comunque affascina il pubblico infantile al pari dei più esigenti critici. Con Snowstorm, Slava è inoltre forse il primo clown o mimo a farsi clonare nei suoi spettacoli da sostitutiassistenti (cosa inconcepibile per Marceau o Grock), tanto forte è l’identificazione tra personaggio e simbolo. Negli Usa, la nuova generazione proviene in gran parte dal Pickle Circus o dal Clown College (chiuso nel 1999), ma le influenze sono più di tipo teatrale o seguono la grande tradizione americana del cartoon o del comedy show. Da S. Francisco emerge anche una nuova scuola clownesca, grazie alla rinascita dei New Pickles (1997), anche centro di formazione come quello newyorkese dei Clown Goofs. Per la prima volta, la tradizione americana dissolve gli eserciti anonimi di stile barnumiano e dà spazio a nuovi solisti (Jeff Gordoon, Tom Dougherty, Geoff Hoyles) o coppie in cui la donna ha un ruolo chiave (Greg e Karen De Santo, Tiffany e Dick Monday, Joel Jeske e partner). Brillante solista clown al femminile è Fanny Kerwich. La potenzialità della donna come personaggio clownesco si diffonde anche in Francia grazie al ruolo carismatico di Annie Fratellini, che prima della sua scomparsa saluta il pubblico nel 1997 con il toccante e memorabile Concerto pour un clown alla Cité de la Musique di Parigi. Sulla sua scia seguono originali donne clown, come Valérie Fratellini, Angelina, le Soeurs Pilliéres. Esponente di una nuova comicità verbale è il francese Mimi, nelle vesti di operaio, mentre Les Nouveaux Nez rinnovano la clownerie musicale nei circuiti del circo d’innovazione francese. Cosa resta del clown classico? La “entrata” farsesca non è più basata sulle famiglie-troupes, onerose quanto quelle di acrobati o cavallerizzi, salvo rare eccezioni di buon livello (Toni Alexis, Toto Chabri, Rossyan, Gotys). L’“entrata” di fine secolo tende a crearsi con gli intrecci di un circuito tra spalle e solisti nei circhi neoclassici (Knie, Roncalli, Arlette Gruss, Kaleidoscape, Bouglione): un po’ come negli anni ’20 parigini. Vecchie glorie come Angelo Muñoz e Francesco Caroli possono così affiancarsi con i più giovani Tino Fratellini, Pipo jr, Pieric, Gaston, Francesco Brunaud, Enrico e Alberto Caroli jr, Eddy Sosman, Petit Gougou. Rinasce inoltre una tradizione di augusto classico con la sorprendente riscoperta della tipologia di inserviente di pista maldestro: lo si deve principalmente all’ambiente rétro del circo Roncalli che “trasforma” in tal senso i numerosi clowns che si alternano in venticinque anni sotto il tendone tedesco: primo fra tutti, il fortunatissimo personaggio dell’allampanato Fumagalli (Gianni Huesca), uno dei solisti migliori di fine secolo.

18.4 La nuova teatralità dell’avanguardia “storica” francese «La teatralità, cercatela al circo! D’altronde, la più bella messa in scena di questo Festival d’Avignon non si trovava, sembra, nel teatro, ma nel favoloso spettacolo di Zingaro»7. Nel 1989, queste parole dell’eminente critico Guy Scarpetta lasciavano presagire il ruolo che il circo d’avanguardia francese stava assumendo a fine ’900 nel rinnovamento non solo del circo stesso, ma dello spettacolo in genere. Zingaro, che da quel momento sarà accomunato come artista a Brook, Mnouckine, o Boulez, abbandona la fascinazione zingaresca dell’itineranza equestre fino ad essere considerato un inventore di nuovi linguaggi drammaturgici. Il suo Opera Equestre (1991), fusione di cavallerizzi con musici e cantori armeni, è la prima delle sofisticate sperimentazioni equestri-musicali a cui seguono Chimère (1994, sulla musica e le suggestioni indiane), e Eclipse (1997, su sonorità e visioni della Corea). Universi onirico-antropologici nei quali il cavallo, esaltato dalle tecniche equestri, diventa specchio dello spirito umano. I massimi festivals d’arte del mondo, da Spoleto a Brooklin, da Tokio a Losanna, diverranno la platea di Bartabas e dei suoi cavalieri. La fabbricazione del teatro equestre ad Aubervilliers, superba cattedrale di legno disegnata da Patrick Bouchain, sarà dal 1991 il potente segno di un successo stabile per sei mesi all’anno, nonostante risulti spesso faticosa e soporifera la fruizione dei forse troppo sofisticati spettacoli. Non solo con Zingaro, in Francia una parte del circo diventa quasi metafisica: un’arte più contemplativa che virtuosistica, alla ricerca di un nuovo pubblico. Le compagnie storiche dell’avanguardia francese subiscono trasformazioni sostanziali: nel senso sia degli spettacoli che della creazione del loro spazio. Come Zingaro, le troupes francesi di avanguardia nate negli anni ’80 (a loro volta da pionieri dei ’70), diventano ormai “storiche” nei ’90, con una matura teatralità. Quando uno dei due fondatori di Zingaro, “Igor”, abbandona Bartabas e i suoi cavalli portandosi dietro lo spirito tzigano per creare la compagnia Dromesko, la visionarietà più che l’esibizione è l’impronta dei nuovi spettacoli: dapprima con La Volière (1991), in cui una decadente cupola trasparente ospita uccelli d’ogni tipo misti a funamboli tra i tavolini e le sedie; poi La Baraque (1996), un fabbricato in legno in cui un non-spettacolo avviene tra fisarmoniche e zuppa di cipolla. Anche Archaos (cfr. 16.5) subisce una trasformazione sostanziale. È per alcuni anni una delle più grandi compagnie del mondo: con due unità tra Francia, Gran Bretagna e Oceania, plasmando di continuo i luoghi di esibizione. Loro spettacoli come Bouinax (1990) o Metal Clown (1991), si svolgono su spazi sterminati (sotto una cupola modulabile è necessaria in ogni città una scenografia creata con una gettata d’asfalto di settanta metri su quindici), riflettendo sempre la realtà suburbana quotidiana, e legandosi anche a gruppi musicali come gli

433

Dietro le quinte di Eclipse. Théâtre Equestre Zingaro, Aubervilliers, 1997 (foto A. Poupel)

434

U2. Quando il fondatore Pierrot Bidon si dedica a progetti sociali in Brasile e Africa, è Guy Carrara a prendere le redini di Archaos che lascia i grandi spazi per i palcoscenici, con creazioni come Game Over (1995) ispirato alla globalizzazione, o In Vitro (1999), sul tema della clonazione: con estetiche ispirate alla Fura dels Baus, tra videoarte e grandi evoluzioni aeree. Altri gruppi storici si dedicano ad una più impegnata drammaturgia, affascinati dal rapporto tra circo e letteratura: per il Cirque Baroque è del ’95 il sodalizio con Mauricio Celedon per Candides, da Voltaire, e del ’98 l’esplorazione dell’universo di Mishima con Ningen, di Omero nel 2001 (Troyes) e in seguito di Mary Shelley (Frankenstein). Un artista storico come Antoine Rigot fonda la propria compagnia di funamboli, Les Colporteurs, affrontando un lavoro di drammaturgia acrobatico-musicale su Calvino in Filao (1997); il gruppo Cahin-Caha si cimenta con Genet, la Compagnie Foraine con astrazioni da Shakespeare (Lear Elephant), fino all’affascinante paradosso del Théâtre du Centaure, con le sue versioni a cavallo di Genet o Shakespeare (Les Bonnes, Macbeth). Il caso più estremo è quello della Compagnie Foraine di Adrienne Larue, che in Et Qui Libre (1999) affida i vari quadri dello spettacolo ad artisti concettuali importanti, come Buren o Hirsch, in una via di mezzo tra spettacolo e installazione. Altrettanto visionarie diventano le creazioni del Cirque Plume, come le ombre per Mélanges (1999). L’apoteosi della ricerca sullo spazio è forse quella de Les Arts Sauts, che con Kayassine (1998) inaugurano la loro “bolla” gigante trasparente, sotto la quale il gruppo di trapezisti si esibisce: l’evoluzione artistica del gesto plasma ancora una volta quella del luogo. Si nota come sia sempre più in atto una tendenza: dopo secoli, il passaggio dalla sequenza di numeri alla monodisciplinarietà. Ciò avviene con vere e proprie pièces di circo basate totalmente su una tecnica specifica: ora sull’arte equestre, ora sul funambolismo, o sul trapezio. È il caso anche di artisti di vecchia scuola, come Jérôme Thomas: che con una sua compagnia dal 1993 crea spettacoli basati sulla giocoleria; o Valérie Fratellini, che dal 1996 anima il gruppo equestre “O Cirque”. Altro animatore storico, Michel Dallaire, dà vita nel 1991 al Cirque Gosh, sorta di cabaret clownesco-acrobatico. La Francia è dunque avviata su un percorso fertilissimo che, unito ad una volontà istituzionale precisa, contribuisce alla nascita del movimento che per alcuni sarà definito “nouveau cirque”. Le origini sono plurime: lo sviluppo delle politiche culturali già in atto; la fertilità delle strutture spontanee di formazione e di quelle ufficiali avviate verso una logica di “scuole d’arte” in campo circense; il desiderio di creare dal nulla un’arte nuova in un territorio dove a secoli di cultura circense ricchissima era seguito il deserto. E poi anche stimoli dall’esterno: la voglia, per un pubblico deluso, di un circo

435

dall’immagine creativa e positiva; la domanda di un circuito culturale in pieno sviluppo e sedotto dalle nuove tendenze della danza di ricerca o di un teatro d’autore fisico e visionario. A trasformare in istituzione una tendenza, sarà decisivo un vero e proprio revisionismo storico nel campo chiave della formazione, la cui convinzione non sempre corrisponde agli esiti, come si leggerà di seguito.

436

18.5 Il grido del camaleonte: l’invenzione del “nouveau cirque” da trasgressione a istituzione Se si considerano le citate esperienze dal Canada alla Russia, dalla Cina agli Usa, sarebbe un errore storico attribuire alla Francia la paternità della rinascita di un linguaggio circense di fine secolo. Ma la concretezza del cosiddetto “nouveau cirque”, e delle strategie istituzionali su cui poggia, fa di certo della Francia un caso storico e un crogiuolo creativo senza pari. L’arrivo dello scultore Bernard Turin come direttore del Cnac nel 1990, inaugura l’utopia dell’“attore di circo”: una politica di rottura con la tradizione e con la logica della creazione di numeri circensi (tale missione, si dice, resta alla scuola Fratellini, privata). Già dalla promozione 1989 del Cnac (guidata da Philippe Goudard) escono artisti polivalenti, addestrati a musica, teatro e danza e comunque ad un approccio creativo-autoriale e di messa in discussione, fino al rifiuto, di un uso classico delle tecniche di circo. Alcuni di questa promozione sono inizialmente assorbiti da Archaos o Plume, prima di divenire essi stessi autori (Didier Pasquette, Jean-Paul Lèfevre). Quella instaurata da Turin è una vera e propria riforma pedagogica: si arriva ad escludere i maestri provenienti dalla tradizione circense. Insegnanti diventano gli ex allievi delle prime esperienze di scuole classiche (formatisi dunque con Grüss o Fratellini), che si affiancano a pedagoghi dello sport o della ricerca coreografica e teatrale. Emblematica l’eliminazione dell’arte equestre dall’istituto. Altra idea di base è l’affidamento del saggio di fine anno ad un coreografo di punta della danza di ricerca e, con molte polemiche, la trasformazione del saggio stesso in uno spettacolo da tournée. Le cri du caméléon, curato da Josep Nadj nel 1995 nel decennale del Cnac, è un po’ il momento culmine di tale via (a Nadj seguiranno creatori di tendenza come Alloucherie, Decouflè, Lattuada). Le Cri, basato sull’idea di “storpiamento”, fa esplodere dall’interno le tecniche del circo e ne distrugge i simboli, in un gusto dell’assurdo kafkiano fino a vedere gli acrobati, da sempre figure eroiche, assimilati ai perdenti di Kantor. Creando fortissime polemiche sullo specifico circense di quello che sembra ormai per alcuni un teatro acrobatico danzato, per altri un puro raggiro intellettuale, il Cnac diventa di fatto il faro di un

nuovo e inclassificabile linguaggio artistico. Questi spettacoli di fine anno, di qualità altalenante, contribuiscono a fondare una nuova idea di circo, certamente di portata non universale ma in grado di attirare un nuovo pubblico, sebbene difficilmente fuori dai confini nazionali se non in limitati appuntamenti culturali d’élite. Il Cnac, non formando numeri per il circuito commerciale istituzionale, crea questi artisti-autori il cui sbocco naturale è quello di dare vita a colletttivi artistici: esempio storico è il costituirsi degli interpreti di Le Cri nella compagnia Anomalie nel 1997. Oppure gli allievi “fondano” compagnie per spettacoli interi formati anche da una sola persona. I casi più emblematici sono quelli di Cirque Ici (1996), del solista Johan Le Guillerm, o Que-Cir-Que (1997): un minuscolo tendone con un palo circolare animato da un trio più vicino alle arti plastiche contemporanee che all’immaginario circense. Altri piccoli gruppi di allievi del Cnac si dedicano ad una ricerca sul clown, con interi recital destinati a circuiti esterni a quello circense: come i derisori acrobati Acrostiches (1995), la compagnia A et O di Joël Colas (1999), Les Cousins e i brillanti Nouveaux Nez: il loro stile avvicina artisti formati alla scuola del circo verso il pubblico del cabaret contemporaneo. Altri solisti si dedicano a visionari e suggestivi recital basati sulla giocoleria, sull’esempio del maestro Thomas: come Ezéc Le Floch dal 1996, la compagnia Non Nova di Philip Ménard e moltissimi altri. Le compagnie “nuove” diventano numerosissime; quelle appena nate dall’influenza e dai corsi del nuovo Cnac, confluiscono nel circuito creato da quelle storiche degli anni ’80. È un nuovo genere, che alla fine degli anni ’90 conta almeno duecento gruppi ma che resta inclassificabile: nouveau cirque, cirque contemporain, arts de la piste sono tra i tentativi di definizione per distinguere questo circo da quello tradizionale e commerciale, verso il quale non vi è comunque opposizione critica, come del resto nel teatro o nella danza dello stesso periodo8. Pur leggibili in un “genere”, le nuove compagnie sono distinte da profonde identità e diversità: nelle decine di creazioni, lontane mille miglia da pailettes e marce roboanti, si alternano mitologia classica e arte povera, surrealismo e filosofia orientale, dadaismo e nonsense, o giochi sull’estetica storica del circo stesso. I riferimenti vanno da Bausch a Beckett, da Artaud a Kantor; e sfiorano il kitsch volontario come il fiabesco. A differenza del mercato tradizionale, queste compagnie funzionano nei circuiti culturali dello spettacolo dal vivo, negli anni in cui i cartelloni delle stagioni francesi puntano sulla multidisciplinarietà e sul métissage di linguaggi e culture. La parola “circo” assume dunque significati nuovi: essa comunque resta indispensabile ai nuovi gruppi per il riconoscimento istituzionale. Sempre di imprese si tratta, sempre più indirizzate verso una loro

437

Compagnia Que-Cir-Que. Parigi, 1997 (foto T. Valés/M. Enguerand)

438

consistenza socio-economica (nel rapporto creatore-distributore-acquirente) e legittimità culturale: i duecento nuovi circhi (per la maggior parte micro-organismi), dal 1987 si strutturano persino in un Syndacat des Nouvelles Formes de Cirque. I dispositivi istituzionali francesi vanno in modo netto verso le nuove forme piuttosto che al sostegno del circo commerciale: a quest’ultimo si ritiene difficile attribuire espressioni creative. Si apre così un dibattito culturale importante (dai margini tanto filosofici quanto economici), sull’inclassificabilità delle nuove forme e le insidiose dicotomie che esse generano (tradizione-modernità, popolare-colto, teatro-circo, commerciale-artistico, massaélite, etc.)9. Di sicuro, nel decennio ’90 le cifre di frequentazione al circo in Francia sono decuplicate: sia grazie alle grandi masse attratte da un circo commerciale in miglioramento; che all’emergere del nouveau cirque che attira almeno un milione di nuovi spettatori non abituati al circo. Nuovi dispositivi sono posti in atto dai governi francesi degli anni ’90. L’organismo para-statale dell’Andac, che distribuiva i fondi armonizzando il circo tradizionale e la ricerca, è sciolto nel 1993 dopo uno scandalo finanziario. Dalle sue ceneri, nasce un meccanismo di sostegno inedito al mondo: esso si snoda in aiuti che privilegiano da una parte la creazione sperimentale di nuovi spettacoli, dall’altra la nascita di centri di residenza o poli regionali. Inoltre, con una struttura apposita nel centro di Parigi, chiamata Hors Les Murs (“fuori le mura”, un nome dai molteplici rimandi), il ministero promuove una struttura di documentazione, diffusione e assistenza professionale che avvicina il circo e le arti di strada. Gran parte del budget statale va poi alla formazione, con il Cnac in testa. La volontà istituzionale di diffusione del nouveau cirque è poderosa, con l’affinità politica e culturale delle principali istituzioni chiave: dal 1997 il Parc de La Villette crea un tendone per un vero e proprio cartellone di spettacoli circensi di ricerca; così come il Festival d’Avignon si apre sempre di più al circo, e il Ministero degli Esteri francese finanzia un’attenta diffusione di alcune produzioni nei festivals artistici del mondo. Iniziative, convegni, pubblicazioni, decine di festivals specifici popolano la Francia spesso in programmazioni ibride col teatro di strada (Nanterre, Obernai, Aurillac). Molto interessante appare lo sviluppo di festivals composti non di “attrazioni” o singoli numeri, ma di veri e propri spettacoli completi di forme innovative di circo (sul modello teatrale o della danza), destinati piuttosto ai programmatori di circuiti culturali. È il modello nato in Francia ad Auch (’88), poi passato per Londra col “New Circus Festival”, giungendo alla “Woodstock circense” di Tollwood in Germania (1996), a “Trapezi” in Catalogna (’98), fino ad Obernai, a Brescia (1999) e in una sezione della Biennale di Venezia nel 2000 e 2001.

439

440

18.6 I sistemi della formazione e il “terzo” circo La trasmissione familiare del sapere, autarchico ed esclusivo, vede una sua estinzione principalmente nella crisi delle grandi famiglie occidentali. Esse sono da una parte assorbite nell’apertura o gestione di propri circhi con la speranza di maggior reddito e nello spirito di rivincita nel ribaltare i rapporti padrone-scritturato; dall’altra sopraffatte nel mercato dagli atleti dell’Est. La trasformazione del sistema familiare in un modello pedagogico si ha negli anni ’90 in Italia col consolidarsi dell’esperienza citata dell’Accademia del Circo, dove sia i maestri che gli allievi provengono per la quasi totalità dalle dinastie circensi (cfr. 16.4) È il paradosso di un sistema didattico che ha perso l’itineranza ma è restato chiuso, sebbene tra le rare realtà occidentali in grado di offrire ancora artisti competitivi sul mercato. All’Italia manca ancora una diversificazione sociale nella provenienza di allievi e maestri, che altrove nel mondo è possibile tramite le scuole amatoriali: nel 1999 le scuole di circo francesi arrivano al numero di cinquecento10. Queste sembrano la base ideale per generare vocazioni o per l’accesso ad una formazione più specialistica. Addirittura lo Stato francese certifica quattro centri amatoriali come scuole preparatorie ufficiali per il Cnac e affida a quella di Rosny Sur Bois il biennio iniziale del diploma superiore. A Parigi permane per qualche anno il modello di Annie Fratellini, dedicato alla formazione di numeri classici: ma la scomparsa della fondatrice corrisponde a una nazionalizzazione della scuola come “Académie Fratellini” ed una sua profonda trasformazione. Altre realtà formative emergono nel mondo, ma poche di esse sono riconosciute ufficialmente come diploma o garantiscono una reale formazione professionale. Oltre al Cnac si collocano anche l’Esac di Bruxelles, fondata nel 1999 e riconosciuta come diploma superiore; e il Circus Space di Londra (creato dal 1989, e diploma ufficiale dal 1994), che ha un impulso decisivo come fucina di creazione per il citato Millennium Show. Molte delle scuole dell’Est spariscono. Particolare vigore assume invece la scuola statale di Kiev mentre resta un modello quella di Mosca e rimane fertile la scuola di Budapest. Realtà lontana ma molto grande è quella di una scuola nazionale in Australia, il Nica, nel Victoria, che dal 2000 diventa diploma nazionale. Negli Usa, il Circus Center di S. Francisco è la realtà più vasta: partita da una frequentazione amatoriale, assume una struttura di formazione professionale grazie all’afflusso di investitori, alla sinergia col New Pickle Circus e al coinvolgimento di specialisti “storici” come il maestro cinese Lu Yi e Dominique Jando. In Canada si consolida il valore dell’Ecole Nationale di Montréal. Quest’ultima negli anni ’90 sotto la nuova guida di Jan-Rok Achard si emancipa dal legame culturale e professionale con il Cirque du Soleil (negli anni

’80 Guy Caron era lo stesso direttore sia del Cirque che della scuola) per un’indipendenza stilistica a metà tra la creazione classica di numeri e la formazione attoriale polivalente alla francese. L’arrivo a Montréal del maestro di trapezio Victor Fomine (già a Mosca poi a Parigi) incentiva la creazione dei numeri aerei come un vero marchio di fabbrica canadese. Il successo planetario del Soleil stimola le istituzioni del Québec a sviluppare la formazione circense nelle sue pluralità, favorendo numerosi altri progetti formativi e compagnie: l’organismo En Piste attorno al 1995 riunisce decine di organismi dediti al circo nel Québec. Non minore è il ruolo dello Studio di creazione del Soleil aperto nel 1997: seppur laboratorio aziendale esso si pone di fatto come importante nucleo formativo.

Circus Baobab, 2000 (foto P. Cibille)

441

Michael Christensen, fondatore dei clowndottori e della “Clown Care Unit” del Big Apple Circus. New York, 1986

442

Le scuole nazionali di Montréal, Bruxelles, Londra, il Cnac francese e Kiev, creano anche un accordo per il riconoscimento comune di un biennio. Innumerevoli altri tentativi di approccio professionistico al circo si hanno in seno alle scuole di teatro o in palestre in tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia, si hanno dal 1999 un corso denominato Nouveau cirque presso la scuola di Teatro di Bologna; a Torino la Scuola di Cirko, legata anche all’universo del teatro di strada, e la Scuola di Circo Flik presso la Reale Società Ginnastica, che rinverdisce la tradizione italiana del legame tra circensi e palestranti. Se al sistema tradizionale si è aggiunto il mondo delle nuove scuole e dei nuovi circhi, esiste anche un “terzo circo”: quello legato all’universo non principalmente professionistico, che spazia dalle scuole amatoriali occidentali ai progetti di integrazione sociale dei Paesi in via di sviluppo, a forme spontanee di strada o suburbane, alla rete trasversale della giocoleria fino alle animazioni di circo terapeutico negli ospedali. Si è citata l’estensione del fenomeno di scuole amatoriali in Francia: non è questo l’unico Paese dove la tipologia ha successo. Negli Usa, la formazione più solida sembra restare affidata all’enorme tradizione di circhi giovanili o amatoriali disseminati nei vari stati (Fern Street Circus, Russian American Kids, Circus Smirkus, Phi Gamma, Florida Flyin’High Circus, Circus Juventas), spesso legati ai campus universitari, che alternano corsi ad originali allestimenti di spettacoli a tema, e non di rado rivelano artisti al mondo professionale. La diffusione delle realtà di circo amatoriale, su scala mondiale, è in realtà il segno di un “altro” circo, che nasce dall’interno della società portando nuova linfa all’universo circense. Il fenomeno è diffuso anche in Europa, contribuendo in alcuni casi al recupero della gioventù disagiata11. In Russia nel 1993 si contavano già sessanta circhi “amatoriali”, per i quali esiste addirittura un festival.

Altro fenomeno sterminato è l’emergere di una realtà circense del terzo mondo: se in Sudamerica, Africa, Estremo Oriente si trovano decrepiti tendoni viaggianti con bambini e animali entrambi addestrati con metodi ignoti, il futuro dell’arte acrobatica è affidato a numerosi progetti nelle comunità, che incontrano una già fertile realtà di acrobazia di strada spontanea: in Africa vi è un’esplosione dell’arte circense con il Circo Etiopia, nel Gabon col Cirque de l’Equateur, in Guinea col Cirque Baobab, in Kenia o Marocco con numerosi gruppi di acrobati. A Parigi la rassegna Circafrica, nel 1998, testimonia questa fertile realtà. Spesso i progetti hanno legami con iniziative occidentali: come la scuola di circo aperta in Marocco nel 1999 dall’Académie Fratellini, il rapporto col Kenia della compagnia veneziana Arcipelago, l’intervento del francese Pierrot Bidon nel Gabon con lo splendido camion-foresta per lo spettacolo all’aperto del Cirque Baobab in Europa. Bidon è anche l’artefice in Brasile del Circo da Madrugada, che rivela talenti acrobatici tra i bambini disagiati. Il Brasile è ormai ricco di scuole di circo: i colossi Ringling-Barnum e Soleil vi pescano a piene mani per i loro cast. Il Soleil, con il programma “Cirque du Monde” ha dato vita ad un dipartimento di creazione di progetti sociali di circo in decine di Paesi disagiati del mondo. Ma il circo di fine millennio invade molti altri campi della società: un grande fenomeno in espansione è quello citato dei “clown dottori” (cfr. 16.5): la Clown Care Unit del Big Apple Circus si estende nel mondo. La clownerie da semplice animazione diventa una forma di linguaggio e una terapia riconosciuta. Seguono altre formazioni internazionali come Le Rire Médecin (1991) o Clowns Sans Frontiéres (1994). Il clown e altre discipline del circo diventano un modo diverso di comunicare, e tra tutte domina il boom del juggling: una delle pratiche hobbistiche più diffuse al mondo. Giocolieri di ogni età invadono piazze, strade, palestre, penitenziari, spazi occupati o centri sociali, con federazioni e raduni in tutto il mondo: il primo in Italia è nel 1998 e riunisce già quattrocento persone. All’alba del 2000 il circo ha ormai recuperato in modo diverso la sua dimensione urbana: non più luogo specifico, si apre a forme ibride di aggregazione sociale, tempo libero, sport o proposta professionale, esprimendosi anche nei festivals all’incrocio tra i fenomeni del teatro di strada o dei buskers.

443

19. LE

ARTI CIRCENSI DOPO IL

DUEMILA

19.1 Dal “numero” alle “arti della pista”: le forme monodisciplinari del nuovo millennio Tolto ogni orpello, il colore bianco sembra unificare le star del circo di fine millennio, di ogni provenienza: dal candore dell’equilibrista ucraino Anatoli Zalievski all’universo zen di Zingaro; ai frac bianchi dei funamboli latini Quiros; dal bianco del “passo a due” dei danzatori-acrobati cinesi di Canton a quello del domatore di leoni Lacey; dal bianco dell’ensemble finale del Circo Americano Togni a quello degli ultimi grandi ginnasti aerei russi. I cavalli, le tigri e persino i leoni quando si può sono bianchi. Accantonata, pare, l’epoca dei lustrini: gli accesi colori da circo sono ormai affidati alle calzamaglie aderenti del Cirque du Soleil, mentre quasi sotto forma di citazione teatrale restano le uniformi blu, rosso e oro di Casartelli, Bouglione o Roncalli. Tempo un secolo, si sono lasciati i simboli storici di un circo del passato. L’ostentazione del controllo sulla natura e sul mondo, l’esibizione cruenta del corpo, dell’altro o dell’altrove sono affidati dalla società ad altre forme, che vanno dal reality allo sport estremo, dal colonialismo mediatico all’intrattenimento virtuale. Il circo si scrolla di dosso gli stereotipi, per reinventare i propri eterni significati di esotismo, martirio, erotismo. Il circo ha varcato il ponte dall’esibizione all’interpretazione. Da una prima generazione anni ’70/’80 di operazioni estetiche sul classico (Grüss, Big Apple, Roncalli), ad una seconda in cui nei ’90 tali basi evolvono come specchio sognato del quotidiano (Soleil, Archaos, la nuova Russia), dopo il duemila nasce un circo che, si voglia neoclassico o d’avanguardia, abbiamo visto volentieri abbandonare la stessa parola “circo”. Dopo un secolo di catalogazione delle discipline in una successione di “numeri”, le forme circensi ora implodono e si combinano in una fertilità creativa simile a quelle ottocentesca o sovietica. Un’eco anticipata già dagli anni ’70 con il Prometeo aereo dei Voljanski, i primi a mettere in discussione in modo dirompente il concetto novecentesco di “numero” (cfr. 14.2). Il circo affronta ormai nuove forme combinatorie; spesso monodisciplinari trasversali rispetto alla logica di successione dei “numeri”. La mutazione è tale che per alcuni ha più senso parlare di “arti della pista” che di circo. In effetti, si riescono ad identificare in ciò i cinque macro-generi secolari: l’arte equestre, il clown, la giocoleria, le arti aeree e l’acrobazia, che dal 2000 possono prendere strade autonome in forme compiute.

Il duo Vertical Tango, Stati Uniti, 2004

445

446

Sorprende l’attualità del cavallo nel nuovo millennio1. Negli anni ’90 abbiamo già incontrato la tendenza ad affrontare spettacoli equestri completi (cfr. 17.7). Essi dopo il 2000 sfociano in un vero mercato regolare di tournées: sono circhi puramente equestri affrontati con la logica del musical2. Altro approccio equestre è la frontiera concettuale del nuovo circo francese con varie compagnie (Théâtre du Centaure, O Cirque). Ma in questo vero e proprio genere di “teatro equestre”, i risultati più compiuti restano quelli del pioniere Zingaro. La creazione del suo Tryptik (2001), pone ormai il vocabolario delle tecniche equestri come un corpus evocativo autonomo, in cui per Bartabas è possibile “scrivere” le immagini dei suoi cavallerizzi sulla partitura integrale della Sagra della Primavera di Stravinskij con l’ensemble orchestrale di Boulez; prima del ritorno all’etnico con le fascinazioni mongole di Loungta (2002). Bartabas prende di sorpresa il pubblico quando nel 2006 la sua nuova creazione, Battuta (2006), ribalta il lavoro sulla lentezza a favore di un frenetico moto perpetuo basato sul cerchio, con il ritorno alle origini tzigane, in una successione di visioni giocose di un mondo che ricorda Kusturica. A Bartabas, ormai oggetto di poesie, film, romanzi e quadri, vengono offerti ambiziosi progetti speciali, sempre basati sul rapporto tra cavallo e musica, che egli affronta con il gusto della provocazione: come Entr’Aperçu (2004), in un rapporto minimalista e visionario con la musica cinese, progetto per il quale le scuderie approdano tra le quinte e i cavalli sul palcoscenico di un tempio quale lo Châtelet. O i colossali e sontuosi spettacoli sul grande bacino idrico dei giardini di Versailles con musiche barocche e fuochi d’artificio: Le Cavalier de St. George (2004), spettacolo biografico sulla vita e le imprese del primo cortigiano di colore, e una messa in scena equestre del classico Les Indes Galantes di Rameau. E nelle scuderie di Versailles a Bartabas è affidata la fondazione di una selettiva Académie du Spectacle Equestre, progettata dall’architetto Patrick Bouchain, in cui i cavalieri convivono con scultori, musicisti e poeti. In tutto questo, permane il ruolo di faro nell’arte equestre dei due circhi-famiglia classici che più di ogni altro nel mondo continuano a sviluppare un’intensa ricerca equestre raffinata nell’ambito della creazione del numero singolo classico: la famiglia di Alexis Grüss e quella di Frédy Knie jr Attorno ad essi continuano a svilupparsi due vere e proprie famiglie-accademie, con figli, nipoti ed allievi impegnati tutti i giorni dell’anno nella dedizione artigianale delle prove quotidiane e degli spettacoli serali. Anche in Italia dopo il 2000 alcune famiglie continuano a dedicare gran parte delle loro energie all’arte equestre di alto livello: Flavio Togni e Vinicio Togni preparano continuamente nuovi numeri; il circo Medrano

dà vita a quadri coreografici equestri unici al mondo per energia e ricchezza, oltre al numero di “passo a due” di Brian e Ingrid Casartelli, per difficoltà tecnica una tappa storica (vincitore a Montecarlo nel 2007). Altro campo che vede uno sviluppo monodisciplinare è quello delle arti aeree: se delle grandi produzioni russe restano solo i Borzovi e i Carillon, ambiziose forme complete si diffondono: come in Francia la citata “bolla” de Les Arts Sauts all’interno della quale si assiste a novanta minuti di trapezio volante; alle evoluzioni africane del Cirque Baobab (2000) con il camion-foresta tra veri alberi e trapezi; al poema aereo Echos del canadese André Simard presentato alla Biennale Danza di Venezia (2001); alle pièces dei funamboli-attori Colporteurs, fino agli spettacoli commerciali di attrazioni aeree mozzafiato nei parchi di divertimento. Per non citare le installazioni dell’ormai leggendario Philippe Petit. Ma chi si presta maggiormente allo spettacolo monodisciplinare è il clown. A Broadway trionfano le produzioni di Bill Irwin: il prestigioso Signature Theatre di New York gli dedica, con una rassegna antologica come “autore”, l’intera stagione 2003, considerando la clownerie come un genere legittimo di scrittura drammaturgica. Si è detto del successo planetario di Slava Polunin (esempio seguito dai clowns russi Aga-Boom, a off-Broadway), e vanno citati gli occasionali passaggi sul palcoscenico di David Larible con un’antologia di classici della pista. Innumerevoli sono in Francia gli spettacoli per soli clowns: dai Cousins ai Nouveaux Nez; così come si affermano a off-Broadway giovani del nuovo circo americano come Joel Jeske e Mark Gindick. In Spagna, Monti & co. Anche la giocoleria si presta a produzioni monotematiche. Se negli anni ’20 Enrico Rastelli riusciva a stare in scena quaranta minuti, il suo erede Anthony Gatto ha dopo il 2000 un numero molto lungo, pur sempre all’interno di programmi tradizionali. Molti riescono a dare a quest’arte una struttura drammaturgica: per primo Michael Moschen, che continua a costruire i propri spettacoli su sperimentazioni tra arti plastiche e musica elettronica; poi le creazioni di Jérôme Thomas o di suoi allievi come Philippe Ménard, che sperimenta con il video in Ascenseur, (2003). E poi i nuovi giocolieri-performes francesi (Vincent de Louvenére con Chant de Balles, Ezéc Le Floch, la compagnia Vis à Vis). In una ricerca che parte dal classico, emblematico è il canto del cigno del più grande giocoliere della seconda metà del ’900: Francis Brunn, che sceglie la via della pièce per giocoliere e chitarra flamenca, con Incognito, all’Alte

James Thierrée in La Veillée des Abysses, 2002

447

Il collettivo acrobatico canadese Les 7 Doigts de la Main, 2005

448

Oper di Frankfurt (2001), l’ultimo dei capolavori di una lunga vita. Anche l’arte acrobatica torna dopo secoli a rivelarsi indipendente, in forme compiute e anche fuori del circo, dalle grandi troupes alle più piccole, fino a spettacoli di solisti. Il caso più diffuso è di certo quello dei collettivi nati dal nuovo circo francese: tra questi gruppi, il Collectif AOC, di cui La Syncope du 7 (2001) con le sue installazioni miste di trampolini, trapezi e musica elettronica, ha avuto un buon successo internazionale, come pure la Compagnie 111 (con IJK nel 2000; e Plan B, due anni dopo), o i belgi di Feria Musica (La Vertige du Papillon, 2002), con coreografi d’avanguardia esterni al circo, come Guy Alloucherie o Fatou Traoré. Di intensa suggestione è lo spettacolo acrobatico per il palcoscenico Rizoma di Anatoli Zalievski, per quanto basato sull’identità classica dei singoli numeri del suo collettivo ucraino. Un’efficace via di mezzo, e di alto livello, tra l’insieme di numeri e un tessuto di drammaturgia acrobatica è la nascita in Canada del gruppo Les 7 Doigts de la Main: collettivo di sette allievi della scuola di Montréal, legati anche ad un ambiente fertile come S. Francisco. Di grande interesse anche gli spettacoli degli acrobati solisti, spesso inclassificabili. Nel caso dei nuovi francesi, essi sconfinano nelle suggestioni delle arti plastiche e della danza: come nel caso del circo di oggetti del geniale Joan Le Guillerm, l’artista-icona del nuovo circo, il cui lavoro culmina nello splendido Secret (2005); il suo carisma non è eguagliato dai fin troppo esistenzialisti Mathurin Bolze nella sua stanza-trampolino e Jörg Müller nel suo cilindro d’acqua (2001); o dalla pur originale esplorazione dei rapporti tra videoarte e acrobazia di Jean Baptiste André (2004). Più classico è in Svizzera Circus Factory (2001) di David Dimitri: vero e proprio one-man circus con tanto di chapiteau. Originalissimo negli Usa è il lavoro Typo (2005), di Jamie Adkins, della fertile scuola californiana: una sorta di incubo “burocratico”, tra Kafka e Gilliam, in cui la sottile trama rafforza le trovate di clownerie e acrobazie con scrivanie, lampade da ufficio e macchine da scrivere.

Ma la più grande rivelazione dopo il 2000 è forse un figlio d’arte: James Thierré (n. 1974), a capo di una solida troupe di talento. Acrobata, trapezista, musicista, clown, autore, con le sue tre creazioni (La Symphonie du Hanneton, 1998, La Veillée des Abysses, 2000, Au Revoir Parapluie, 2007), affronta meravigliosi viaggi nell’immaginario con una maestria perfetta delle tecniche del circo, del mimo e della danza verso sconfinati universi kafkiani. La sua profondità drammaturgica di accessibilità non intellettuale sembra porsi in un curioso territorio tra l’immediatezza del proprio nonno Charles Chaplin e la profondità di Pina Bausch. La sua conquista di quattro premi Molière nel 2006 in altrettante categorie del teatro, è la conferma del suo autentico genio. Anche la sorella Aurelia Thierrée crea un proprio spettacolo, Oratorio (dal 2003) scritto con la madre Victoria Chaplin, in cui l’acrobazia si fonde con l’antico stupore surreale delle pantomime d’illusionismo. Si è ricordata già la ricca rinascita di un teatro virtuosistico-circense nel campo della magia (cfr. 18.1): a Broadway il «New Yorker» si scomoda per i trionfi di Ricky Jay e per il sideshow barnumiano del fachiroistrione Todd Robbins. Nel Regno Unito, vecchi stunts da fiera legati al fachirismo e alla telepatia sono portati in scena in chiave moderna dal “mentalista” Derren Brown, che approda persino all’Old Vic. Il genere è frequentato in Italia con la drammaturgia dell’illusionismo e delle pratiche estreme del corpo in Houdini, di Raffaele De Ritis (Biennale di Venezia e Festival di Brescia 2001). È poi planetario il successo del trasformista Arturo Brachetti. Tutti questi spettacoli che abbandonano la pista e il tendone, si inseriscono in una voga di teatro visuale, acrobatico e virtuosistico che in tutto il mondo riavvicinano il pubblico al sapore dell’arte circense: dalle nuove creazioni dei Momix alle acrobazie danzate di Aeros di Daniel Ezralow; dai cuochi-giocolieri giapponesi di Cookin’; agli estremi urbani e teatrali della Fura dels Baus, a creazioni italiane come quelle delle compagnie Kataklò, Kitomb, Farfadais e Valerio Festi, protagoniste tra l’altro della rinascita delle cerimonie sportive o inaugurali, degli eventi urbani di massa e della moda delle “notti bianche”. 19.2 Campionario acrobatico dopo il Duemila L’equilibrio in punta di piedi del duo di Guan Dong (Canton) è nel 2000 l’apice estetico e virtuosistico di un circo cinese dai confini inimmaginabili, spostati di continuo negli anni successivi. È quasi impossibile tener conto di tutte le recenti conquiste cinesi: dal prodigioso ensemble di statue viventi di Fu Jeng, al gruppo di piramidi umane in contor-

449

Wei Boohua e Wu Zhedan: l’”adagio acrobatico” della troupe di Canton (Cina). Festival di Montecarlo, 2002

450

sione di Guang Zhou (2004); gli equilibri con spade delle danzatrici-atlete di Liao Ning sospese ai tessuti aerei, la combinazione tra icariani e bascule di Shanghai, le ventuno equilibriste di Guandong su una bicicletta, le equilibriste sulle lanterne di Wu Quiao. Il talento di solisti, quali l’impressionante piramide di sedie dello scultoreo Zhang Gong Li, o l’equilibrista sul filo Zhang Fan. E poi i due capolavori della China Troupe: l’incantevole gruppo di giocoliere con il diabolo, adornate ciascuna da una lunga piuma di pavone in armoniose coreografie; e i lanci acrobatici delle atlete in nero con in equilibrio sulla fronte pagode di ciotole e rossi ventagli. E poi gli ensemble cinesi impossibili da esportare, che si esprimono nei teatri fissi: l’enorme quadro coreografico a Shanghai con le bascule scenografate come macchine da guerra mitologiche; la combinazione di trampolini a più livelli di Guang Zhou; fino al gruppo di cinquanta ragazze sui monocicli di Dalian. Numeri impossibili altrove. Fertile resta anche la continua diffusione di artisti ucraini, secondo il principio dell’imitazione dei protagonisti: ad esempio nel proliferare di cloni di Anatoli Zalievski o degli ensembles acrobatici delle “banchine” ispirati a Quidam (dagli Atlantis ai Sea World). Prosegue l’affermazione di solisti ucraini dall’estetica ormai raffinatissima, allievi di vedettes dell’ultimo decennio come Anatoli Zalievski o Victor Kee: è il caso dell’equilibrista Dima Shine, o di numerose contorsioniste-equilibriste. La nuova scuola ucraina rigenera anche l’arte eccentrica e comica come nel caso di Hush Ma Hush, con una fisicità da cartoon vivente, i corrosivi Kgb, o la clownerie acrobatica di Konstantin Muraviev. La diffusione di artisti dal Québec, attraverso il potenziamento della scuola di Montréal e la crescita di troupes come Eloize o 7 Doigts, genera solisti creativi come l’equilibrista Samuel Tréteault, gli acrobati duo Symbiose, i giocolieri Patrick Leonard e Emile Carey. Scuole e cabaret statunitensi, all’ombra della nuova scuola californiana, generano numeri acrobatici suggestivi come il duo Vertical Tango. Vi è anche l’affermarsi di una nuova generazione italiana di giovanissimi artisti richiesti nel mondo, tutti eredi di dinastie circensi: al successo crescente di quelli già citati (cfr. 17.7) si accompagnano gli esordi dall’equilibrista Dustin Nicolodi o dei giovani della numerosa famiglia Huesca, icariani o ventriloqui. Ma sopra tutti si affermano in una seconda maturità quelli che erano stati la prima generazione dell’“Accademia del Circo”, tutti coppie di fratelli di famiglie circensi: i Curatola nei migliori circhi e music hall d’Europa; il duo Perez, vedette stabile del Moulin Rouge; gli icariani Bello, stelle di punta in Varekai del Soleil; e il fenomeno dei due Errani, nei maggiori circhi del mondo.

451

I grandi classici dell’acrobazia restano fiorenti. La rinascita della “barra russa” emersa negli anni ’90 culmina con i record della troupe Rodion; le sbarre fisse tornano in voga con i Rokashov o i poetici Iroshnikov; le bascule con nuove trovate coreane o con gli impressionanti voli dei Kovgar, nel loro numero ispirato a Chagall3. Se i coreani continuano a spingere la ricerca del virtuosismo sui trapezi volanti (con le varie versioni delle Flying Girls, tra cui spiccano il quadruplo e i due tripli consecutivi della prodigiosa Kim Hun He), i sudamericani riemergono con i quattro tripli della troupe Tabares-Neves, e l’emergere del giovanissimo Gino Maravilla, in grado di compiere un quadruplo. Non tramonta il gusto del rischio nel circo di tradizione, in casi per i quali l’assenza della rete è un fatto di orgoglio: il colombiano Crazy Wilson spinge come non mai il brivido sulla ruota della morte, come anche i fratelli ecuadoriani Velez; Pedro Carrillo jr. compie un salto mortale sul filo a dodici metri d’altezza; la stessa altezza scelta dalle troupes Navas e DangerCastilla nelle loro evoluzioni sul filo senza protezione, mentre troupes gloriose come i Quiros o Guerreros affrontano variazioni sempre più rischiose. E purtroppo in pochissimi anni, tra il 2000 e il 2007, ben cinque incidenti mortali di atleti dell’aria insanguinano le piste del mondo, in un epoca in cui la grazia e la fantasia di ginnaste aeree canadesi, francesi e cinesi rende desueto il rischio come elemento di fascino.

452

19.3 Espansione e diversificazione: l’era dei produttori e le nuove sfide del Cirque du Soleil Dalle esperienze rudimentali di Astley ai circhi stabili ottocenteschi, fino ai grandi tendoni del ’900, il “direttore del circo” è un incrocio tra proprietario d’impresa, gestore di luogo, organizzatore di compagnia, direttore artistico ed artista lui stesso. Difficilmente ha corrisposto alla figura vera e propria del “produttore”, ed ha trasmesso la propria esperienza in sistemi necessariamente familistici. Dopo i pionieri degli anni ’60 come Arturo Castilla in Europa e Irvin Feld negli Usa, sono stati i “modelli” Big Apple e Roncalli, e poi Soleil a diffondere la nozione teatrale dei processi di produzione, diffusione e marketing di uno spettacolo: e questa forma segna per sempre il circo dopo il 2000. Il Cirque du Soleil nel 2008 è un impero dalle diramazioni ormai inestricabili. Conta ormai quasi tremila dipendenti di cui mille artisti in quindici produzioni principali più una miriade di altri eventi. Dalla sua fondazione nel 1984, cinquanta milioni di spettatori hanno visto nel mondo almeno uno dei suoi show. È il ventiduesimo marchio a maggior impatto globale sul pianeta, a livello di McDonald e Microsoft. Il fondatore Guy Laliberté entra nel

Gulnaia Karaeva in Zumanity, lo show erotico a Las Vegas del Cirque du Soleil, 2003. Foto : Phillip Dixon, Costumi: Thierry Muggler © 2004 Cirque du Soleil Inc.

453

2004 nella classifica degli uomini più ricchi del pianeta4. Il Soleil continua a generare le nuove creazioni biennali da tournée sotto Produzioni passate: Le Grand Tour (1984-85), La Magie Continue (1986-87), 1987-89 Le Cirque Reinventè (1987-89), Nouvelle tendone (Varekai, 2002; Corteo, 2005; Kooza Experience (1990-91), Saltimbanco (1992-2005). 2007), riuscendo contemporaneamente a far girare nel mondo anche i tendoni dei vecchi Produzioni in scena in contemporanea nel 2008 nel mondo(1): Anno di esordio / titolo spettacoli (Saltimbanco, Alegria, Quidam, Spettacoli attualmente itineranti in tendone Dralion): sette circhi, ciascuno dei quali 1994 ALEGRIA regia F. Dragone destinato a visitare nel proprio giro quaran1996 QUIDAM regia F. Dragone ta città del mondo. Inoltre, nel 2006, trenta1999 DRALION regia G. Caron 2002 VAREKAI regia D. Champagne cinque milioni di persone hanno visto gli 2005 CORTEO regia D. Finzi-Pasca altri show nei teatri fissi (4 a Las Vegas, 1 a 2007 KOOZA regia D. Shiner Orlando). Il Soleil è ormai un’icona mondiaSpettacoli attualmente itineranti nei palazzi dello sport le dello spettacolo: «Time» gli dedica la 2006 DELIRIUM 2007 SALTIMBANCO (nuova versione) copertina, l’Academy Award gli affida nel 2007 WINTUK (New York, stagionale) 2002 un mini-show per la notte degli Oscar. Spettacoli attualmente in luoghi fissi appositamente costruiti Per il Soleil la vera acrobazia è resta1993 MYSTERE (Las Vegas) regia F. Dragone re in equilibrio tra gli oneri di un gigante 1998 “O” (Las Vegas) regia F. Dragone 1998 LA NOUBA (Orlando) regia F. Dragone in crescita: controllare i mercati e crearne 2003 ZUMANITY (Las Vegas) regia D. Champagne di nuovi, far fronte alle colossali esigenze 2005 KA (Las Vegas) regia R. Lepage 2006 LOVE (Las Vegas) regia D. Champagne di casting e riserve, rinnovarsi senza com2008 BELIEVE (Las Vegas) regia S. Denoncourt promettere l’identità5. L’impresa Soleil tra2008 Titolo da definire (Macao, Cina) regia G. Maheu scende il circo con tentativi di diversifica2008 Titolo da definire (Tokio) regia F. Girard re i settori e così sfuggire agli imitatori: si Progetti in corso 2009 Elvis Presley Project va dunque dall’idea poi abbandonata di 2009 Macao (secondo spett.perm. a Macao) regia R. Simard complessi edilizi (Complexes Cirques); alle 2009 Unità itinerante regia D. Colker animazioni per navi da crociera; alla pro2010 Spett. permanente (Los Angeles) regia P. Decouflé 2010 Spett. permanente (Dubai) regia G. Caron e M. Curry duzione cinematografica o di formats per serie televisive; a progetti con l’industria Si escludono le produzioni di eventi speciali,i progetti per privati, discografica. La vera forma di diversificale cerimonie sportive e inaugurali, le produzioni musicali e zione è in realtà quella di restare nel televisive, etc. mondo della produzione di spettacoli, pur in percorsi nuovi. È il caso dell’esperienza “a luci rosse” del sexy-cabaret Zumanity a Las Vegas (2003), il cui slogan è «another side of Cirque du Soleil». In questo caso, la ricerca di un nuovo tipo di pubblico (sempre socialmente elevato), la proposta di un prodotto quasi impossibile da descrivere, e l’enorme rischio del marchio d’impresa creano una svolta nel marketing. Il lancio di Zumanity come intrattenimento erotico upscale rivoluziona le strategie promozionali nel campo dello spettacolo live. Con l’uso di internet e la penetrazione del messaggio 454 CIRQUE DU SOLEIL

(1)

in siti chiave della cultura “alta”, il progetto vende trentamila biglietti in tutto il mondo prima ancora del debutto. Ormai la newsletter elettronica del Cirque sfiora il milione di persone. Altro terreno nuovo per il Soleil (in cui ancora una volta si “sfida” Las Vegas sul suo proprio terreno) è quello dello show d’illusionismo, che la compagnia tenta per la prima volta con un progetto messo in studio per il 2008, scegliendo il carismatico mago Chriss Angel come protagonista. Punto d’arrivo quasi logico per il Soleil è l’ambizioso show Ka (2004), anch’esso destinato a Las Vegas. Affidato alla regia di Robert Lepage è forse il più grande spettacolo mai prodotto al mondo, con un budget impensabile: centosessantacinque milioni di dollari (di rado la più onerosa produzione di Broadway supera i dieci), con la fabbircazione di un teatro capace di ogni diavoleria. Il debutto pur trionfale di Ka, le sue proporzioni oltre misura, e la connotazione sempre minore dell’elemento circense puro, aprono ampi interrogativi. L’ultima frontiera del Soleil sembra essere la sinergia con l’industria musicale: con il concert-show per il mercato dei tour da stadio, Delirium (2005) sfruttando l’ormai ricca library di musiche del Cirque; o il sorprendente partenariato con i Beatles per Love a Las Vegas (2006), e quello con la musica di Elvis Presley previsto dal 2008. Sembra si tenti di spingere in grande stile la tendenza recente di Broadway alle revues revivalistiche basate sui Queens, gli Abba o Sinatra. È una strada giusta per il Soleil? Di sicuro per il mega-circo dopo oltre venti anni si afferma una questione di identità, delicata poichè non deve mai contaminare lo spirito d’origine. Ma dove si può andare dopo il trionfo della spettacolarità? Ormai, come si chiede il «New York Times», gli shows permanenti del Soleil sono «costruiti in un ordine di magnitudine e sofisticazione tecnica che trascende facilmente il più imponente musical di Broadway o anche la lirica, che per quattro secoli ha offerto al pubblico spettacoli più imponenti di qualunque altra cosa. Per sostenere l’interesse a ogni costo, c’è bisogno di ben più dello spettacolo: “O” aveva l’acqua; Ka un’elaborata fiaba […]; Zumanity il sesso, e Love ha i Beatles. Ma la spettacolarità predomina sul concerto: è l’epoca dei concerti da stadio e delle cerimonie olimpiche, e i registi di teatro e d’opera sono coinvolti in tali eventi: Robert Lepage ha creato un tour di Peter Gabriel, e La Fura dels Baus l’apertura delle Olimpiadi […]. Ka è il miglior show del Cirque perché lo ha ideato e diretto Lepage […]. Egli usa numeri tradizionali del circo per drammatizzare una storia: acrobazia come combattimento, voli aerei come fuga»6. Franco Dragone si distacca intanto dal Soleil con propri progetti, assorbito da Las Vegas nel paradosso di realizzare nella stessa città prodotti concorrenti al Soleil (e quindi alle proprie stesse creazioni ancora in

455

Il Cirque Eloize, nella produzione “Cirque Orchestra”, 1999

456

scena). Dragone crea nella capitale del gioco lo show stabile di Céline Dion (2001) e lo spettacolo acquatico Le Rêve (2005)7. Grazie al Soleil e ai suoi cloni, se la Las Vegas degli anni ’90 era quella del family entertainment, quella del 2000 si avvicina al teatro e al musical8. Moltissimi emuli del circo in palcoscenico continuano a compiere tentativi nel mondo: da Cirque Dream di Neil Goldberg (2004) e Cirque Eos negli Usa, a Mana dei Farfadais in Europa (2005). Il criterio di produzione del Soleil domina spesso anche nei citati spettacoli di arte equestre nel Nordamerica: sull’esempio di Cheval Théâtre, sorgono Cavalia di Bernard Latourelle ed il sontuoso Avaia. Entrambi ex-Soleil, si legano a produttori e finanziatori creando tendoni in cui sperano di unire il fascino dell’arte equestre diffuso da Zingaro (ormai noto negli Usa) allo sfarzo del colosso canadese. Il progetto più di successo di circo teatrale è quello di Cirque Eloize: del Québec come il Soleil, a differenza di quest’ultimo rifugge il gigantismo e la sofisticazione, ugualmente capace di intensa suggestione visuale; non si allontana dal palcoscenico, pur non perdendo la suggestione tipica del circo; mantiene in contemporanea più di una tournée (Excentricus 1997, Cirque Orchestra 1999, Nomade 2002, Rain 2006). Questo consente al gruppo di creare un circuito incredibilmente ampio, in cui ogni creazione è vista in almeno duecento tappe di venti Paesi in tutti i cinque continenti. Nessuna compagnia teatrale è tanto capillare nel mondo, e per trovare un circo così diffuso bisogna forse tornare ai viaggi di Chiarini di fine ’800. L’idea di un piccolo e agile collettivo, con una qualità artistica elevata, sembra una strada vincente per girare il mondo, come nel caso dei citati Les 7 Doigts o della compagnia di James Thierrée. Il concetto di produzione circense diventa maturo anche in Cina: nel solo 2000 vi vengono creati trenta shows a tema da palcoscenico, in un Paese le cui arti acrobatiche contano ormai centoventidue troupes, con ottomila artisti (e sono solo i dati ufficiali). A Pechino nel 2005 uno showcase teatrale presenta Rêverie, della China Troupe, basato su una selezione di una decina di numeri eccellenti: cambi di scena, luci e suono hi-tech, costumi sontuosi e una colonna sonora continua d’impronta cinematografica: lo spettacolo trionfa subito al Kennedy Center di Washington. Produzione circense e teatrale confluiscono in Cina anche nell’ambizioso progetto del Lago dei Cigni, che unisce una compagnia di danza classica con la troupe acrobatica di Canton. La Cina resta ancora uno dei soggetti principali per i produttori europei: l’olandese Stardust unisce gli artisti cinesi a vedettes russe per spettacoli come Ovation (2002) o Andersen (2004), che rivisita attraverso moderne immagini di circo le favole del celebre novelli-

457

sta. A Parigi battono ogni record d’incasso teatrale la troupe di Canton (2003), Légendes con la China Troupe (2005) e lo show Jungua (2007), per iniziativa del produttore Pacherie. È lui a costruire nel 2001 il Cirque Phénix, il più grande tendone del mondo: completamente sgombro da pali e capace di cinquemilaseicento posti, è destinato a sorgere a Parigi per sole sei settimane ogni inverno, ospitando produzioni circensi a tema, alternando quelle cinesi sopra citate a combinazioni russe come Zar-Le Cirque Imperial de S. Petersbourg (2004) o Jubilèe-Les Etoiles du Cirque de Moscou (2006). In Germania, Bernhard Paul, in qualche modo il “padre” della produzione circense contemporanea, ha fatto dell’impresa Roncalli una piccola multinazionale europea: se il suo circo tenta di sconfinare in grandi capitali europee, la sua rete di teatri di varietà, cabaret-ristoranti e speciali progetti musicali e circensi è ormai vastissima, spesso per il mercato privato dei grandi eventi aziendali. L’ex-socio di Paul, Andre Heller, si specializza in creazioni d’arte acrobatica a sfondo etnico esplorando il Giappone sui palcoscenici (Yume), o in ambiziose installazioni ambientali: come il progetto di circo, musica, arte africani in un’immaginativa struttura apposita (AfrikaAfrika!, 2006), il cui successo sdoppia in due unità. Altri produttori tedeschi fanno del teatro di varietà circense una delle più fertili realtà dello showbusiness in Germania: nel 2006 esistono almeno venti teatri specializzati e altrettanti spiegelzelt mobili, e numerosi produttori specializzati. Sono spettacoli che impiegano giovani registi, avvicinandosi alle logiche e alle estetiche degli show di musica pop, attirando considerevoli investitori, come già fu negli anni ’80 per il musical. L’ultimo caso è nel 2005 la megastruttura per Blue Balance, uno spettacolo basato su due gruppi emblematici del rinnovamento circense di fine secolo: gli innovativi clown moscoviti Mikos e l’ensemble acrobatico ucraino di Anatoli Zalievski. Russia e Ucraina abbondano nei tentativi di moderne produzioni acrobatiche destinate al teatro di varietà: dagli show di Alexander Grimailo, ai giovani ensembles di Kiev come la troupe multidisciplinare Bingo; o anche con una nuova generazione di coreografi-impresari, da Nicolai Chelnokov a Ruslan Ganeyev, che sul modello di Gneushev (ma senza il suo talento e la sua cultura) “producono” numeri da vendere nel mercato mondiale.

458

19.4 Dalla fine del kolossal al circo senza pista: quel che resta del “circo tradizionale” L’avvento dei nuovi sistemi di produzione ha ormai creato nuovi profili di pubblico e nuovi mercati per il circo. La loro capacità mediatica rende ancora più datato il sistema convenzionale dei tendoni, sempre più costretti dal loro immobilismo e dal distacco dai gusti e dall’evoluzio-

ne della società, pur conservando la sicurezza del pubblico infantile e popolare. Il dilemma dei “vecchi” circhi rispetto alle strategie di rinnovamento è proprio basato sul rischio di perdere la sicurezza di questo tipo di spettatori, anche rispetto all’enorme fragilità del sistema itinerante. Ma nell’epoca di massima diversificazione dell’intrattenimento, quel pubblico popolare è garantito solo nei giorni e nei periodi di festa. Tre appaiono le soluzioni: la creazione di un circuito regolare; la ricerca continua di nuovi mercati; l’attività saltuaria. Alcuni sistemi possono permettersi la regolarità di un circuito a cadenza annuale, che può garantire la fedeltà di un pubblico e dunque il rischio sul rinnovamento degli spettacoli. È il caso della Svizzera, in cui i circhi tradizionali mantengono piccole proporzioni e grande originalità creativa, strizzando l’occhio alla modernità (Starlight, Monti, Olympia, Nock); o della Scandinavia, seppur con minor intervento creativo sugli spettacoli ma con un mercato vivace. La regolarità di circuito è anche la soluzione della Francia, dove il Cirque Arlette Grüss può così permettersi investimenti sulla qualità del cast e dei supporti creativi (costumi, luci, regia). E ancor più la famiglia Bouglione, quella che più si avvicina al concetto professionale di produzione grazie anche alla stabilità parigina di circa sei mesi nel proprio Cirque d’Hiver. Le strade francesi sono dominate dal “gigante” commerciale Pinder, che senza scegliere la via della creatività è un successo con i suoi programmi convenzionali e rassicuranti, in una marcia forzata annuale di centosettanta tappe. Risorsa determinante dei circhi francesi resta sempre quella degli spettacoli venduti a ditte private nelle settimane che precedono il Natale, con ingenti guadagni e centinaia di migliaia di spettatori. Nel resto d’Europa continua una forma occasionale di itineranza, sperando nel successo dei sempre più prolungati periodi invernali. In Germania, dove i circhi medio-piccoli si moltiplicano, forme di relativa sicurezza stanno nelle lunghe permanenze nelle metropoli, strategia vincente per i nomi più prestigiosi come il classico Roncalli o il moderno Flic-Flac. Si tenta di rinnovarsi eliminando dalla propria impresa la parola circo, come Sarrasani che diventa Sensation (2003). Archetipi del circo tradizionale tedesco come Barum-Simoneit o il gigante europeo Krone continuano con successo un sistema di itineranza basato su un equilibrio tra grandi numeri di animali e attrazioni classiche. In Italia, i grandi circhi limitano ormai la loro attività al periodo invernale; per il resto dell’anno cedono i loro numeri di animali a circhi stranieri e parchi di divertimento, o si dedicano a tournées estere (v. infra 19.6).

459

460

In conclusione, il circo commerciale di tradizione resta in Europa forse il più frequentato ed apprezzato dal grande pubblico popolare, ma anche il sistema più rischioso, oneroso e incerto. I suoi modi di proporsi restano occasionali e fragili, desueti nei sistemi di propaganda e produzione. Il periodo natalizio resta l’unico momento di soddisfazione economica, tanto che per alcune settimane molti circhi si “sdoppiano”: come Florilegio (Italia e Belgio), Medrano (Italia e Grecia) o le doppie unità di Mundial in Spagna, di Pinder in Francia; o i tre-quattro grandi tendoni Stardust per i “circhi di Natale” in Germania, dei quali quello di Stuttgart si afferma ogni anno come il progamma di numeri circensi forse più importante del mondo intero. Tra le esperienze invernali, durevole in Italia permane l’esperienza romana del Golden Circus natalizio di Liana Orfei, ormai alle soglie del venticinquesimo anno, aperta sia alle novità orientali che all’avanguardia delle scuole occidentali. Negli Stati Uniti scompaiono rapidamente i connotati stilistici e di spazio che avevano segnato l’estetica del circo americano per un secolo: il gigantismo. Dal 1890 a tutto il ’900, la totalità dei circhi alternatisi sul territorio aveva tre piste. Dopo il 2000, vi è una tendenza alla pista singola europea: precursori erano stati Il Big Apple negli anni ’70, e poi il Soleil negli ’80, visti a lungo come un’eccezione. A favorire il processo verso la pista unica era stata anche la popolarità delle tournées di Circhi di Mosca negli anni ’80 nei palazzi dello sport. Poi, quando nel 1999 Ringling aveva creato Kaleidoscape, la scelta di una pista unica nella più antica e grande istituzione americana sembra un evento storico. Il trend diventa abitudine non solo per i citati circhi “d’arte”, ma anche per quelli commerciali. Tra questi ultimi, non solo nascono a pista unica quelli di recente fondazione (Universoul, Chimera, Mundial, Sarasota, Ringling Hometown Unit), ma anche le ultime imprese classiche optano per la soluzione all’europea (Hanneford, Zerbini, Vargas, Cole Bros.). Il CarsonBarnes, che era l’unico circo del mondo a cinque piste, passa a tre. Se nel 1997 negli Usa viaggiavano 87 circhi, nel 2002 ne restano 58. Quel che ormai resta del circo statunitense sotto tendone va verso una riduzione evidente delle proporizioni anche negli aspetti più identitari: se fino al 2000 un circo americano doveva avere una ventina di elefanti, oggi raramente si arriva a dieci. E da tempo sono ormai scomparsi in America i grandi treni che riversavano nelle campagne deserte le loro carovane multicolori: solo una volta l’anno, il 13 luglio a Milwakee, è possibile vedere la ricostruzione dell’arrivo del treno e di una gigantesca parata con le centinaia di antichi vagoni di legno scolpito trainati da cavalli. È una sorta di festa nazionale, che celebra la collezione di veicoli del Circus World

Gran finale di Trapéze (2001) al Cirque d’Hiver di Parigi, il più antico del mondo, riportato alla sua vocazione circense regolare dal 1999 con la famiglia Bouglione.

461

Il “più grande spettacolo del mondo”: dalle tre piste al circo senza pista. La 137esima edizione (2007) del Ringling Bros. and Barnum-Bailey Circus, Stati Uniti. Copyright Feld Entertainment Inc.

462

Museum. Ma le praterie di un tempo pullulano oggi di centri commerciali, che sono ora i luoghi di accoglienza dei circhi, quando non le arene coperte. Il sistema degli spettacoli prevenduti alle associazioni massoniche degli shriners resta ancora la pratica più efficace e diffusa per i circhi degli Usa. Emblematica è l’evoluzione del re degli spettacoli in stadi coperti, Kenneth Feld (cfr. 17.4) . Questi spinge il suo Ringling-Barnum-Bailey Circus a cambiamenti importanti che culminano in alcuni anni nella stessa soluzione degli altri: una ridimensionamento epocale nelle proporzioni del “più grande spettacolo del mondo”. Così come il Soleil cercava nell’industria musicale nuove vie, il Ringling si avvicinava agli stili del tempo libero giovanile per rinnovarsi e mantenere la leadership per il target delle masse popolari e dell’infanzia. Se le due unità del Ringling negli anni ’90 avevano tentato la strada dell’atmosfera teatrale o del filo conduttore (forse cercando di riavvicinare il pubblico attratto dal Soleil), ora puntano decisamente sulla suggestione della quotidianità opposta al divertimento virtuale, scegliendo gli aspetti della fisicità circense più vicina agli sport dei teen-agers: nell’edizione del 2005 lo slogan del Ringling era «All new-All live!» (un ossimoro paradossale per il circo). L’accento era infatti su evoluzioni legate a sport estremi, in cui i trapezisti erano ribattezzati “surfisti del cielo”; le motociclette, i bungee jumping e le BMX abbondavano, sono i protagonisti dello spettacolo e il clown-stuntman Bello Nock è la star. Mentre un programma promozionale di fitness, CircusFit avvicinava il circo Ringling al mondo delle palestre. La più evidente rivoluzione di Kenneth Feld (ora affiancato dalla figlia Nicole) riguarda lo spazio scenico. Le due unità del Ringling già da qualche anno privilegiavano produzioni in cui l’uso dell’ippodromo nella sua totalità sostituiva gradualmente la molteplicità delle tre piste. Poi, nel 2006, crea scalpore la provocazione di rivoluzionare uno dei due show come «il primo al mondo senza pista»: con uno spazio vuoto, uniforme e neutro, e vari megaschermi per evidenziare dettagli dell’azione. Per la stampa statunitense, la trovata ha un’eco enorme che genera dibattiti: poche innovazioni nella storia del circo statunitense hanno avuto tanto scalpore come questo capovolgimento di un’icona identitaria vecchia di un secolo (il circo a tre piste) e consolidata nella cultura americana9: La scelta sembra una sintesi di vari aspetti base per tener conto dell’evoluzione della società: impressione di intimità, interattività col pubblico, diversità etnica, riduzione degli animali, elevata tecnologia e strizzate d’occhio ai videogames. Il pubblico reagisce in modo controverso. Feld tenta anche un’espansione del mercato: nel 2002 è aggiunta una terza unità, la “Ringling hometown edition”, sempre a pista unica, per visitare i palazzi dello sport più piccoli nelle comunità dove i suoi grandi show non arrivano, e privilegiando

463

ancora una volta l’interattività con gli artisti come antidoto al divertimento domestico e tecnologico. Se tali drastiche innovazioni nella facciata propagandistica privilegiano una “scala umana” che si opponga alla freddezza dell’home entertainment, ancor più influiscono decisioni di ordine economico per una forma come il circo “di produzione”: sempre più costosa se si vogliono mantenere gli standard, e sempre più messa a repentaglio dalle molteplici offerte dell’industria del tempo libero. Inoltre le varie “trovate” sono frutto anche della necessità di ridurre sempre di più il parco animali, pena i bersagli della stampa e degli ecologisti. E se Las Vegas, preferendo i prodotti del Soleil, ha abbandonato Feld, questi comunque resta uno dei produttori di spettacoli più ricchi del mondo, e trae ormai i suoi maggiori guadagni dagli shows sul ghiaccio per famiglie e da un nuovo accordo con la Disney nel 2002 per presentare live shows teatrali tratti dai cartoons. Con Ringling e Soleil, l’America resta divisa tra due tipi di circo. Attorno al 2000 erano emersi tentativi di nuove vie ibride: Kaleidoscape aveva tentato di sintetizzare il gusto dell’astrazione teatrale dei canadesi con l’incanto del vecchio tendone, e il Big Apple continuava a teatralizzare con garbo i prodotti per famiglie. In realtà, pubblico e spettacoli statunitensi sembrano semplicemente incontrare blocchi di accessibilità sociale ed economica: da un lato la tendenza dei nuovi shows in palcoscenico o i tendoni d’élite, dall’altra quel che rimane degli ultimi tendoni per il divertimento di massa.

464

19.5 Le frontiere dell’avanguardia e la situazione francese Dopo il 2000, sono facilmente delineabili le culture cui sembra affidata l’avanguardia di una ricerca estetica per il futuro. La più vasta resta la Cina, con la ricchezza e la qualità del suo materiale umano, la fantasia e l’apertura dei nuovi coreografi e la grande disponibilità economica. Di non minor peso è il Québec: la doppia tradizione qui creata negli anni ’80 prima con la Scuola di Montréal e poi col Cirque du Soleil ha creato centinaia di piccole troupes e infrastrutture uniche al mondo. Vi è poi l’Ucraina, con la bellezza dei suoi giovani, la tradizione di versatilità all’acrobatica, il talento e la fantasia dei creatori di numeri, la cultura del varietà e dell’intrattenimento: Kiev ha forse sostituito Mosca come polo creativo dell’Est europeo. Di un certo rilievo anche il fermento di inventiva legato al movimento del nuovo varietà tedesco, e la vivacità di nuove compagnie e scuole statunitensi, capaci di prodotti originali, sia nell’area di New York che in quella di S. Francisco. Infine c’è il caso dell’avanguardia in Francia, dove la volontà istituzionale, concentrata sulla sperimentazione, aveva creato il vasto tessu-

to del “nuovo circo” (cfr. 18.6), in continua crescita10. A differenza delle altre realtà mondiali sopra citate, l’avanguardia francese è estranea al circuito e ai mercati internazionali: non tanto per la messa in discussione del criterio di “numero” (cosa comune anche a molte altre esperienze, e non certo invenzione francese) ma, forse, per due motivi. Da una parte una sorta di rifiuto culturale (e a tratti istituzionale) verso le logiche del circo industriale. Dall’altra una sempre maggiore tendenza (non priva di una sua ricchezza) alla rarefazione delle tecniche di circo, a favore dello sconfinamento tra i linguaggi. La decostruzione quasi totale del vocabolario circense, un minimalismo a volte estremo e un compiacimento concettuale hanno in molti casi trasceso il circo: a volte in modo esaltante, altre in maniera più sterile. Ma, pur rivelando alcune creazioni memorabili, non hanno mostrato nell’insieme una forza tale da conferire seriamente all’estetica circense serie basi per il futuro (a differenza ad esempio del Quebéc, dell’Ucraina, della Cina o persino dei tendoni neoclassici commerciali), né di attirare masse di pubblico consistenti. Le tournés in Francia di circhi cinesi, o di canadesi come Soleil o Eloize rivelano un consenso di valore artistico più ampio e un notevole successo popolare. Le nuove compagnie francesi, incoraggiate da evidenti direttive di politica culturale, sembrano aver creato un allineamento estetico ad una precisa “moda” dello spettacolo europeo che tra danza, teatro e performance art ruota su elementi a volte tanto prevedibili da sfiorare l’autoreferenzialità. È il mondo della scena europea dopo il 2000, dei “figli” un po’ spaesati di Bausch e Kantor: immancabilmente vestiti con abiti di tela da arte povera, scalzi, accompagnati da fisarmoniche e solo raramente sorprendenti nel lavoro gestuale. Nell’universo del “nuovo circo” francese, il Cnac resta il solido faro estetico, incoraggiato dalla volontà governativa del momento nel dettare un modello preciso di arte circense. Anche quando è affidato ad un coreo-

Vita Nova, spettacolo di fine anno del Cnac (Francia), 2000 (foto P. Cibille)

465

466

grafo dall’immaginario ricchissimo come Philippe Decouflè (con Cyrk 13, 2002), il Cnac al tredicesimo anno di vita esce a fatica da un proprio marchio estetico. Se il concettualismo e la dilatazione dei ritmi circensi funzionano sulla potenza lirica di Zingaro e anche su altre compagnie storiche dell’avanguardia (Plume, Baroque), in altri casi il “nuovo circo” rischia di essere “condannato” alla noia e al circuito chiuso di un pubblico ed una critica compiacenti; tutti ben lieti di poter contrapporre una loro identità all’invasione populista del Cirque du Soleil (che nel 2005 sbarca trionfante a Parigi). L’esportabilità dei “difficili” spettacoli francesi ha luogo grazie alle precise strategie quasi coloniali del Ministero degli Esteri, che pone il proprio cirque contemporain nei maggiori appuntamenti culturali del mondo, sino a crearvi un ambizioso programma in Estremo Oriente (Circasia, 2004). Ma il pubblico americano, ad esempio, resta perplesso11. In Francia, dopo appena un decennio, l’estetismo rischia di soffocare la capacità emotiva e la forza di rottura che fu dei “padri” Archaos o del primo Zingaro; inoltre la nuova filosofia politica del circo ha relegato in secondo piano il concetto di “classico” che era stato proprio del metodo didattico Fratellini (gettato alle ortiche), dell’arte accademica di Grüss (privata delle attenzioni di un tempo), dell’altissimo livello tradizionale della famiglia Bouglione (ritenuto “commerciale”) che con le proprie forze ha rilanciato nel ’99 e tiene in vita a Parigi il più antico circo stabile del mondo. Altra carenza del nuovo circo francese, e che invece fu la forza degli stessi Zingaro o Archaos negli anni ’80, è anche il rischio commerciale al di fuori dei circuiti. Non a caso le compagnie esportabili, e dunque universali nell’estetica, sono quelle maggiormente basate sulla spettacolarità acrobatica e sull’impatto visivo: come gli ex-allievi Cnac confluiti nella compagnia Anomalie e legatisi ad un regista come Guy Alloucherie; o della stessa provenienza il Collectiv AOC, o la Compagnie 111. Il più volte citato James Thierrée, completamente indipendente e isolato dalle logiche “culturali” e da qualunque “movimento”, è il francese contemporaneo ad avere il maggior successo mondiale e commerciale in un percorso estetico originalissimo, lontano dalle etichette. Una frangia dell’avanguardia francese riscopre poi il concetto neoclassico di “piccolo circo”, in forme quasi minuscole, nella fusione tra acrobazia, comicità e musica dal vivo: dopo la già citata esperienza spontanea di Romanés, sono molto suggestive le creazioni di Jérôme Thomas (Cirque Lili), del Cirque Trottola, dello splendido e neoclassico Zanzibar di Jeff Odet (ex del Cnac), o del veterano Grand Celeste (L’Homme Canon, 2002), in un fiabesco aperto anche al pubblico infantile.

L’identità futura del nouveau cirque francese non è evidente. È difficile continuare a definire avanguardia quella che è ormai una normalità. È improbabile ostinarsi a restringere il “contemporaneo” ad un circo che si oppone ad altre e diverse espressioni peculiari del proprio tempo come il Soleil o il neoclassico. Inoltre le risorse pubbliche che avevano garantito le origini e la strutturazione del nouveau cirque, non sembrano in grado di consentirne la continuità, se non vi è un aumento di interesse del pubblico pagante12. E si scopre che in Francia, non solo nel circo, negli ultimi anni le politiche culturali hanno privilegiato settori elitari, mentre «le classi popolari e modeste si trovano dimenticate e non frequentano i luoghi della cultura. La televisione è per essi il rifugio culturale. L’operaio non va più a vedere la danza dal 1970, e va di meno persino al cinema»13. Oltre che in Francia, una fertile realtà di avanguardia continua in Catalogna, che nel 2006 celebra con una serie di eventi il trentennale della propria tradizione di “circo contemporaneo”, tra cui una mostra di grande successo. A questo circuito corrisponde una rete europea di luoghi di programmazione di teatro, musica, danza e circo contemporanei basati sulla trasversalità dei generi: dalla Ferme du Buisson in Francia alle Halles de Schaerbeek in Belgio, all’Auditorium di Roma. Ad alcuni Festivals specifici (La Seyne sur Mer, Aurillac e Auch; Brescia, Trapezi in Catalogna, e naturalmente Avignon e Edimburgo) resta affidato il fascino della sorpresa e della scoperta delle nuove creazioni. 19.6 Sull’incerto futuro del circo in Italia Unica nazione che non è stata in grado di generare un ricambio artistico consistente o un’avanguardia, l’Italia vanta ancora le famiglie più versatili del mondo, che vedono mutare le logiche del circo classico. Qui l’ascesa dei circhi medio-piccoli, la profusione dei falsi Orfei, la pubblicità ingannevole o abusiva di alcuni, la campagna animalista che spesso si lega localmente a logiche amministrative di restrizioni, e la carenza di aree sembrano essere le cause principali del diradarsi di una proposta circense ormai non più regolare. Nonostante una legge dello Stato lo imponga, molte città italiane non riservano aree apposite ai circhi: emblematico il caso di Firenze, dove dal 2003 per il periodo natalizio i circensi si esibiscono nel palazzo dello sport, con grande successo e maggior disponibilità di posti: la soluzione del futuro sarà il modello all’americana con l’abbandono del tendone? In numerosi casi alcune amministrazioni vietano l’ingresso in città ai circhi con animali, che sono la totalità: contravvenen-

467

Stefano Orfei Nones (per due volte Clown d’Argento a Montecarlo) con una delle sue tigri bianche al circo Moira Orfei.

468

do la legge dello Stato e privando i cittadini di uno spettacolo. Talvolta è anche il pubblico a mostrare una disaffezione per un circo che da decenni è l’unica forma artistica italiana a non aver subito alcuna evoluzione. Il mondo circense italiano classico resta concentrato sui problemi di sopravvivenza di un genere sempre più costoso e anacronistico. I risultati artistici restano difficilmente al passo rispetto alla realtà culturale. Anche nella sola sfera dell’intrattenimento commerciale, la crescente qualità di produzione dei grandi musical di massa, dei concerti o della televisione, rende il circo sempre più artigianale e modesto nel proporsi, per quanto vi sia ancora in Italia un margine non trascurabile di spettatori affezionati. I tre tendoni italiani, che nel 2007 si distinguono al livello più alto rispetto alla media (Moira Orfei, Medrano, Americano-Togni), quando trascorrono l’inverno nelle grandi metropoli italiane lasciano ancora soddisfatte decine di migliaia di persone. Il circo Medrano della dinastia Casartelli è il circo animato dalla famiglia più versatile e numerosa, come fino agli anni ’70 ce n’erano in tutto il mondo. Forse casi simili esistono ancora in Sudamerica, ma nessuno con l’eleganza e la cultura del circo classico degli italiani. Lo spettacolo del Medrano è una specie di monumento al circo classico, esaltando al meglio tutti gli elementi della tradizione: dai fastosi quadri orientali, alla quantità di animali esotici, al virtuosismo dei grandi gruppi acrobatici o equestri. Il Circo Americano dei Togni tende al contrario alle suggestioni di coreografie più attuali con ballerini e vocalisti, ed è rimasto in Europa l’unico a sfruttare la variante dell’ampia pista ippodromo, animato dalla personalità di Flavio, Daniele e Cristina Togni, con i loro numeri equestri ed il più numeroso gruppo di elefanti oggi rimasto al mondo. In quanto a Moira Orfei è la sola vedette circense il cui apparire in pista scatena puntuali standing ovations: caso pressochè unico al mondo (basta il suo ritratto sui manifesti per portare la gente al circo) è quello dell’attaccamento affettivo ad un personaggio, dovuto alla fedeltà di Moira al pubblico con programmi di qualità e capacità di sinergie costanti con le logiche televisive degli ultimi decenni14. Gestito dal marito di Moira, Walter Nones, e dal figlio Stefano, quello di Moira Orfei resta il solo grande circo europeo in grado di girare regolarmente tutto l’anno senza pause da decenni (come anche il circo Lidia Togni). Invece per gli altri grandi circhi, le tournées sono ormai brevi: in Italia

sembra finito per sempre il sistema viaggiante regolare, limitando l’attività al solo periodo invernale che consente anche una qualità artistica buona. Poi, passato l’inverno, i più importanti gruppi italiani (il Medrano, l’Americano, il Florilegio-Togni, il Cesare Togni, l’Embell-Riva dei Bellucci) diventano multinazionali di numeri di animali ammaestrati per clienti circensi di tutta Europa; oppure creano doppie unità per gli stabili dell’Est europeo o tournées all’estero: strada questa percorsa regolarmente anche da circhi minori. Dai dati del Ministero dello Spettacolo fino al 2005, il circo è il prodotto artistico maggiormente esportato dall’Italia15. Nel 2004, la crisi di identità e di immagine è evidente nelle insegne dei circhi italiani: ai margini della frode, dei centocinquanta circhi esistenti trenta usano il nome Orfei, quaranta millantano provenienze straniere16. Altro fenomeno equivoco, in un disperato e superficiale tentativo di diversificazione, è l’illusione di abbandono dello stereotipo “circo”. È la voga ad esempio dei “circhi acquatici”: in realtà tendoni-palcoscenico in cui accanto a qualche attrazione vi sono vasche con rettili o pesci predatori, annunciati sui manifesti come voraci squali o piovre giganti, ai limiti della criptozoologia. Dal 2000 circa ne esistono decine: è un’ingenuità disarmante ed anacronistica, inconsapevolmente provocatoria verso la sensibilità crescente nei confronti del mondo marino, anche considerando l’accessibilità di documentazione in merito del pubblico infantile. Ma in alcuni casi, come quello della coraggiosa famiglia BellucciMedini con Voyager, questa forma sa anche affrontare una certa creatività. Tra circhi illegali e “acquatici”, l’Italia è dunque teatro di un fenomeno spiazzante: da un lato la quasi estinzione dei circhi storici dal mercato regolare; dall’altro circhi un tempo piccoli dominano il mercato con attrezzature imponenti e spettacoli modesti. Bisogna però dire che dopo il 2000 vi è in Italia una via di mezzo rappresentata da famiglie emergenti con circhi di proporzioni medio-grandi, che si distinguono per qualità (sia come artisti che imprenditori) e in alcuni casi di volontà nell’aggiornamento artistico, con giovani attenti anche al mondo esterno. È possibile che ad alcune di esse sia affidata una nuova generazione di circo italiano17.

Il Circo Embell-Riva, uno dei più popolari d’Italia. La sua “cavalleria” guidata da Yvet Bellucci, ha vinto il Festival Mondiale di Mosca nel 2007.

469

Foto di scena di Tesoro, compagnia Arcipelago, 2007 (foto M. Chiarenza)

470

Nel nostro Paese un fattore identitario per l’establishment tradizionale resta l’Accademia del Circo, (cfr. 16.4, 18.7) spostata da Cesenatico a Verona nel 2004. Essa resta frequentata per la maggior parte da ragazzi di famiglie circensi: delle quali, del resto, la scuola è emanazione stessa avendo come scopo anche l’alfabetizzazione. Ma i due scopi (scuola del circo e scuola dell’obbligo), sia per il loro onere di tempo e risorse che per i limiti dell’età infantile, escludono la formazione di “persone” artistiche. A differenza che in Europa, gli allievi non sono formati ad una coscienza di interprete o, come sosteneva Annie Fratellini, guidati da una qualche ispirazione. La logica della performance commerciale e quella dell’appartenenenza alle dinastie difficilmente consentono un livello lineare dei risultati: gli ultimi grandi talenti si sono ormai diplomati prima del 2000, e sempre abbandonando l’Italia. L’Accademia rimane guidata dal leggendario fondatore Egidio Palmiri: ultraottuagenario, nel 2008 continua con il suo carisma ad accentrare il triplice controllo gestionale dell’apparato circense italiano: la formazione, l’attività corporativa e quella culturale. Egli oltre a restare presidente della scuola, presiede da mezzo secolo l’Ente Nazionale Circhi, e dirige il mensile “Circo”. Nel 2002 viene creato un “Centro di Documentazione Egidio Palmiri” presso gli stessi uffici in cui si concentrano tutte queste istituzioni, che hanno interessi anche nella gestione di un festival a Latina e nell’assistenza fiscale alle imprese circensi. In questo modo la quasi totalità delle iniziative sovvenzionate di promozione del circo italiano è in mano agli stessi soggetti in una forma familistica, concentrando la maggior parte delle risorse ministeriali, e in una linea culturale di conservatorismo e chiusura alla pluralità delle forme di circo. L’eventuale aggiornamento del sistema italiano non è solo di ordine culturale ma anche di risorse, penalizzato anche dal sistema legislativo di contributi “a pioggia” che la legge attuale concentra più sulla sussistenza delle singole imprese, che su promozione, formazione e ricerca18. La sorprendente elezione a senatore d’opposizione del direttore circense Livio Togni (n. 1950, fondatore del Florilegio) nella legislatura Berlusconi 2002-2006, è stato un caso senza precedenti storici nel mondo. Il suo ruolo istituzionale è stato fondamentale nella sensibilizzazione ai problemi del settore, nell’ideazione di un innovativo disegno di legge, e autorevole nella complessa mediazione in un’epoca in cui non senza tensioni emergevano le nuove forme di circo rispetto all’establishment tradizionale. Se in Italia continua a mancare una politica culturale per il circo, molte iniziative spontanee testimoniano delle esigenze di rinnovamento. Una prima attenzione verso nuovi linguaggi circensi si ha da parte della Biennale di Venezia e della Festa del Circo a Brescia, soprattutto nel campo della programmazione di festival, concentrata massimamente sui prodotti

471

472

francesi. La puntuale visibilità mediatica di Venezia e soprattutto Brescia, senza precedenti per la penisola (la stampa italiana aveva da anni dimenticato il circo), crea tensioni con l’establishment della tradizione: è un paradosso italiano, che trova da una parte un circo tradizionale che si vede escluso dalla vita culturale, ma non vuole legittimare le forme alternative; dall’altra un tentativo di circo contemporaneo celebrato dall’opinione pubblica ma marginalizzato dall’istituzione a favore delle imprese classiche, la cui supremazia è radicata nelle logiche istituzionali19. Il nuovo movimento di energie nell’area contemporanea fa scaturire dal 2000 qualche iniziativa italiana. Da una parte si ha l’esperienza di Giorgio Barberio Corsetti, che nel sodalizio con i francesi Colporteurs ed i propri attori italiani incontra le arti circensi integrandole nella propria identità drammaturgica e teatrale, che pur resta basata su attori recitanti e testo. Corsetti incontra il circo attraverso i grandi temi mitologici (da Metamorfosi nel 2000, agli Argonauti, 2004, al pantheon nordico del Colore Bianco, 2005). Vi è poi l’esordio della compagnia veneziana Arcipelago di amplissima visibilità, anche internazionale: si rivela solida la scelta che unisce l’impianto tradizionale dei numeri circensi di Alessandro Serena alle visioni teatrali essenziali di Marcello Chiarenza (Ombra di Luna, 2001, Creature, 2005, Tesoro, 2007). Anche qui mitologia e letteratura sono punti di partenza (da Gilgamesh a Francesco d’Assisi). L’invenzione delle semplicissime macchine teatrali di Chiarenza, il rapporto con acrobati di altre etnie (Kenia, Cuba), il lavoro controtendenza di rispettare l’integrità del “numero”, esaltano sia il gioco di immagini che il tessuto drammaturgico. Il superamento delle cento date l’anno vendute in Europa, fa di Arcipelago un piccolo caso, trasversale ai vari tipi di pubblico. La percezione del pubblico è ormai quella della pluralità di forme circensi, che culmina con lo storico arrivo in Italia del Cirque du Soleil nel 2004. Avvenimento questo, che peraltro segue le tappe italiane di Zingaro, l’immissione regolare nel nostro mercato di compagnie come Eloize, Slava Polunin o James Thierrée. Nel campo della formazione in Italia, continua a crescere la realtà di iniziative spontanee, amatoriali o professionali (cfr. 18.7) e il proliferare di piccoli progetti di animazione e formazione. Tanto che nel 2007 prende vita un tentativo di federazione italiana delle nuove forme di circo. Tra le nuove realtà, consistenti appaiono entrambe a torino la Scuola Flic e la Scuola di Cirko diretta da Paolo Stratta, collegate alla federazione europea. È una possibilità di formazione contemporanea aperta alle tendenze internazionali, che per il futuro si pone parallela allo spirito più chiuso dell’Accademia del Circo di Verona.

19.7 Istituzioni, formazione, divulgazione Nel 2004, l’area periferica su cui a Montréal sorge il maestoso Studio del Cirque du Soleil ha visto l’inaugurazione di un esteso progetto urbanistico: “Tohu-La Citè des Arts du Cirque”. È un complesso senza precedenti nella storia. Qui, di fianco al laboratorio della più grande compagnia circense del mondo, sorgono la nuova sede della Scuola Nazionale del Circo (forse la più grande del pianeta), un circo stabile, un museo, sedi di compagnie e laboratori, alloggi. È un autentico quartiere suburbano dedicato al circo. Si tratta di un risultato maturato negli anni, che ha visto confluire sensibilità istituzionale, volontà imprenditoriale, esigenza di formazione e coordinamento di una realtà ormai fertile e diffusa come il circo in Québec. Altra presa di coscienza di una crescente cultura del circo era stata nel 2001 in Francia la proclamazione governativa dell’Anno del Circo: non un semplice slogan, ma un sistema articolato di iniziative, interventi e sostegni speciali, e un budget specifico (alzato da quarantacinque a sessanta milioni di Ffrs). Da una parte vi si incoraggiavano facilitazioni per il circo tradizionale, soprattutto favorendo dal governo centrale i loro rapporti con le amministrazioni locali; dall’altra si ribadiva il sostegno e la volontà di diffusione rispetto alle compagnie di ricerca; parallelamente si sviluppa il discorso della formazione ribadendo la centralità del Cnac e riconoscendo a pari livello un ripensamento dell’Académie Fratellini. Il sistema francese si rinnova anche nel dare ordine ai movimenti spontanei delle piccole scuole amatoriali, e alle comunità culturali locali che sempre più coinvolgono il circo nei loro progetti. Sono così riconosciute come ufficiali alcune “scuole preparatorie”, e sono creati undici “poli regionali” per il circo, dedicati alla residenza di compagnie o a progetti formativi. Sono inoltre valorizzate realtà di programmazione come i restanti circhi stabili rimanenti in provincia (Elbeuf, Amiens, Douai) incoraggiati alla polivalenza, o lo spazio chapiteau al Parc La Villette. All’alba del nuovo millennio, la scelta politica della Francia non appare quella di sostenere direttamente l’insieme delle imprese circensi (come ancora in Italia) o gli artisti (come nell’Unione Sovietica o in Cina): il circo viene inteso in senso generale come un’idea di patrimonio pubblico, e non un bene materiale o culturale (i “circhi”), né esclusivo di un dato tipo di tradizione. L’urgenza di un concetto moderno di formazione delle nuove generazioni unisce alcune scuole nel mondo: Montréal, le due realtà ufficiali francesi (Cnac e Fratellini), la Scuola Nazionale di Bruxelles, Circus Space a Londra (cfr. 18.7). La sfida è quella di inventare un progetto pedagogico senza passato: visto che le prime idee di scuola risalgono appena agli

473

ultimi anni ’70. Gli obiettivi sono riassumibili in: 1) una nuova etica della formazione che punta sulla libertà creativa dell’individuo e sulla sua formazione sociale al di fuori di ogni idea precostituita di circo, sia tradizionale che d’avanguardia; 2) lo sviluppo della sicurezza e della “medicina di circo”; 3) la nozione del diritto d’autore nell’opera circense; 4) la formazione di formatori e la “formazione continua” dopo il corso di studi; 5) la continuità culturale tra passato e futuro con iniziative pedagogiche di accesso dei nuovi allievi al patrimonio storico. La sfida del futuro è

L’Académie Fratellini, scuola di circo realizzata a St. Denis (Parigi) nel 2001, un complesso di architettura sostenibile ad alta qualità ambientale su 1100 mq., progettato da Patrick Bouchain. Copyright Académie du Cirque

474

quella della formazione di autori-imprenditori, animatori di proprie compagnie o collettivi in grado di confrontarsi con un mercato moderno e fertile delle arti dal vivo, consci del valore del passato. Più lineare il percorso pedagogico di altre realtà: Cina, Mongolia Russia, Ucraina e (per quel che resta dell’Europa dell’Est) Ungheria continuano ad adottare i sistemi classici di “fabbricazione” di numeri, basati su strutture convittuali e allievi in età infantile. A questi sistemi, più che al nuovo corso occidentale, continua senza dubbio ad assimilarsi l’Accademia del Circo in Italia. Che sopravviva per i suoi numerosi appassionati il circo tradizionale con animali, seppur con difficoltà, o che si diffondano realtà più creative per un nuovo pubblico ancora limitato, di certo il circo è incoraggiato dalle sue diversità.

Nella ricerca di equilibrio tra le diversità del circo di oggi, un esempio inedito in occidente viene dalla Spagna: nel 2007 la città di Madrid ha costruito un sofisticato circo stabile municipale di quasi duemila posti, riprendendo l’antica insegna di Price. La direzione artistica è stata affidata al clown catalano Monti (Juan Muntaynés), forte di una carriera perfettamente equilibrata tra il teatro di ricerca degli anni ’80 e il circo classico europeo di oggi. Strutturato come un teatro pubblico (con officine, sartorie, laboratori, scuderie, moderne tecnologie, un’orchestra stabile, centro di documentazione, strutture di ospitalità per artisti), il nuovo Price è in grado di programmare dieci titoli all’anno di circo, dalla tradizione alla ricerca, di cui un paio di grandi produzioni originali con artisti di prestigio internazionale con creatività e drammaturgia. Il progetto funziona, anche quando nei mesi invernali fino a quattro tendoni sono presenti nella capitale spagnola. La Francia, che sulla diversità ha costruito una pur controversa nuova politica del circo, nel 2004 ha visto dodici milioni di persone affluire agli spettacoli circensi di ogni tipo, facendone la pratica culturale più diffusa del Paese. È evidente che il circo tradizionale ha una superiorità numerica. A Parigi il cartellone d’avanguardia del tendone presso La Villette totalizza trecentomila persone nei venticinque titoli di nouveau cirque programmati in sei anni. Nella stessa città, il tendone natalizio di Pinder ne riunisce duecentomila in sei settimane con la sua proposta commerciale di elefanti e tigri. Ed è comprensibile che l’attenzione dello Stato vada più verso la creatività del primo che la sicurezza del secondo. Ma per quanto tempo potranno durare il consenso di massa verso un circo poco creativo e il conforto statale verso nuove forme troppo fragili? Per dirla con il direttore di circo inglese Gerry Cottle, che nella propria vita ha spaziato in tutte le forme circensi: «Penso che il circo sia ad un terribile incrocio. I tradizionalisti devono togliersi dalla testa che si possa continuare a basarsi sugli animali. E i nuovi circhi cercano troppo di impressionare sé stessi, invece del pubblico».

475

20. CONCLUSIONI

DI INIZIO MILLENNIO

20.1 Il circo, il cinema e lo specchio rotto Pochi numeri sono celebri e antichi come quello dello specchio rotto con i due sosia, sfruttato all’infinito da circo e cinema. Il mondo dello schermo e quello della pista sembrano essere i due sosia di questa vecchia gag: si cercano continuamente per specchiarsi, l’uno non sa se l’altro sia un riflesso, l’uno non può esistere senza cercare ogni tanto l’altro. Il ripercorrere la storia del circo mostra la sua incredibile resistenza attraverso i secoli. Alle soglie del Novecento, l’espandersi dell’immagine riprodotta ha frantumato come uno specchio tutte le forme di divertimento popolare: il vaudeville, la fiera, il music-hall, il teatro d’illusionismo e i divertimenti scientifici, gli zoo, i giardini di piacere e le esposizioni universali. Sono esplosi in frammenti diversi, divorati dal cinema, dalla radio e dalla televisione. Ma non il circo. Il circo ha nutrito e si è nutrito delle forme nuove. Circo e cinema dunque come due gemelli, che cercando sè stessi si rincontrano sempre, in curiose coincidenze. Come quella del prestigiatore Georges Méliès che, a causa di un incendio, scopre al piano superiore del proprio teatro lo studio dei fotografi fratelli Lumière; o del clown Buster Keaton, che recandosi di fretta in teatro si imbatte per caso in un ex collega che gli fa scoprire lo studio cinematografico di Roscoe Arbuckle. E ancora, chissà se l’intuizione di Ejzensˇtejn della teoria del montaggio sarebbe stata uguale senza l’esperienza del circo. O se il linguaggio ed il successo della comicità dello schermo potevano nascere senza la migrazione di massa negli studios di famiglie circensi o clowns in crisi. Il genio di Chaplin è inconcepibile senza il suo background circense, così come quello di Orson Welles senza l’esposizione continua alle strategie di illusionisti e giocolieri. Il gusto di Louis B. Mayer e del giovane Cecil De Mille per le sontuose ambientazioni bibliche non si è pouto formare altrove che nelle pantomime di fine secolo di Barnum, inventando il cinema storico. Pionieri del cartoon, da Winsor McKay allo stesso Walt Disney, furono vittime della più estasiata esposizione ipnotica a colori, forme, animali, assenza di gravità, accumulazione, bizzarria e surrealismo che il circo statunitense sapeva generare al principio del secolo. E quanti interpreti del cinema devono alla provenienza circense nei modi più inaspettati: dalla fisicità spontanea e plastica di Cary Grant a quella di Burt Lancaster. Autori importanti sono giunti a costruire una vera e propria poetica cinematografica parallela a quella circense, come Jacques Tati e ancor più Pierre Etaix, fino a Jerry Lewis e a Maurizio Nichetti.

James Thierrée, pronipote di Charlie Chaplin, nel suo terzo spettacolo Au Revoir Parapluie (2007)

477

Charles Chaplin nei panni del clown in Luci della Ribalta (Limelight, 1952)

478

Di rimando, anche il circo deve moltissimo al mondo dello schermo fin dalla nascita: intere famiglie circensi devono la loro sopravvivenza alle esibizioni fieristiche del pre-cinema, spesso nelle stesse baracche dei serragli animali, o sulle stesse tavole del varietà. I grandi temi del cinema accompagnano l’evoluzione dello spettacolo circense: dai giochi del west, a cui il virtuosismo della pista sembra adattarsi perfettamente, all’universo esotico di animali e popoli “selvaggi”, fino alla fantascienza. Il cinema addirttura si rivela un dispositivo basilare per ridefinire nell’immaginario il circo come icona novecentesca: dal Freaks degli anni ’30, a classici degli anni ’50 come Trapezio o Il più grande spettacolo del mondo, fino a I Clowns di Fellini, sono solo immagini riflesse del circo, ma negli spettatori si impongono con più forza della realtà stessa, quanto il cinema biblico, fino alla loro reiterata esposizione annuale natalizia attraverso la televisione. Quando arrivano i nuovi media, il circo è sempre pronto ad arricchirsi grazie al proprio eterno e fertile parassitismo: lo vediamo fin dal XVII secolo, quando i pionieri dell’arte equestre “rubavano” i sistemi del mondo teatrale; e lo

stesso accade dopo il cinema, con l’arrivo della radio, quando le tournées dei tendoni europei sfuggono alla crisi affiancando alle loro attrazioni le registrazioni dei varietà radiofonici. E infine la televisione: è il matrimonio più difficile col circo. Fellini, con I Clowns, è forse stato l’unico a trovare una chiave efficace scegliendo il corto circuito tra realtà e finzione. Per il resto, le riprese televisive degli spettacoli circensi sono state sempre un’arma a doppio taglio, per un genere più di ogni altro fatto di violenza olfattiva, “abitazione” per lo spettatore di un luogo effimero, estraneo alla norma quotidiana, curiosità morbosa che chiede ben oltre l’osservazione contemplativa del teleschermo. Con la morte del varietà sul piccolo schermo, la sua versione circense ha rappresentato una variante efficace per i produttori televisivi, soprattutto in Italia negli anni decisivi di espansione del mercato dell’etere. E dunque in un’epoca in cui dalla televisione sono scomparsi gli autori e le idee. E così il circo televisivo è spesso diventato una salumeria di “attrazioni”, con la sovrapposizione dei commenti redatti per “veline” straniere, lontane dall’eccitazione per il circo quanto dalla dizione italiana. Ma va anche detto che le trasmissioni circensi hanno investito sui migliori artisti del mondo, e la regolarità coraggiosa dei produttori è stato un fattore determinante per formare nel pubblico un’educazione critica alla qualità del circo attuale. L’elevata audience di queste trasmissioni è in Italia uno dei fattori più preziosi a confermare la voglia che il pubblico conserva per il buon circo, sia classico che contemporaneo. Soluzione interessante sembra poi quella del Cirque du Soleil, che ha sperimentato nuovi linguaggi televisivi specifici al circo, prima con le apposite riprese di spettacoli circensi, poi con formule innovative tra il documentario e la fiction, adatte al boom dei canali tematici. 20.2 Il più grande spettacolo di un mondo sempre più piccolo Le arti del circo, dall’Oriente al Sudamerica, hanno oggi la massima diffusione storica, la più grande diversificazione mai raggiunta e sembrano essere forse la più ricca e vivace pratica di spettacolo dal vivo al mondo. Tra l’emancipazione delle singole arti della pista e la conservazione dei numeri e dei tendoni novecenteschi; dal rilancio dell’arte equestre all’acrobazia spontanea del terzo mondo, dall’esplosione dell’acrobazia cinese ai progetti di circo sociale all’interno delle comunità urbane americane ed europee, all’immissione di prodotti circensi nel mercato teatrale, il circo è una delle culture di arte e comunicazione sociale più solide del mondo. Di sicuro nei prossimi decenni il circo non sarà più quello del secolo precedente: sembra ad esempio in estinzione il predominio della forma dinastica, e di certo anche della centralità delle esibizioni di animali esotici. A questo sistema sempre più fragile, peraltro ancora vivace e ricco nella sua immediatezza di massa, subentrano le figure dei nuovi produttori di prove-

479

Tre dei più grandi clowns viventi nel 2007, riuniti per i trent’anni del Festival di Montecarlo: da sinistra il decano Oleg Popov, David Larible, Gianni “Fumagalli” Huesca

480

nienza esterna, che ne aggiornano i dispositivi di promozione, diffusione, e creazione. A questo mondo si affianca infine il nuovo universo delle compagnie e collettivi di giovani artisti, che con le logiche teatrali offrono il proprio prodotto ai circuiti culturali e dei festivals, alternando i tempi anche lunghi della creazione a quelli della diffusione, così come è in espansione il business del circuito dei varietà o dei cabaret-ristorante. Tra le basi del futuro circense vi è la fondazione dei nuovi dispositivi di trasmissione del sapere: dopo il secolare sistema del rapporto maestroallievo (dalle famiglie alle scuole orientali o classiche) essi ora si basano sulla pluralità di influssi culturali e pedagogici e sul meticciato di forme artistiche (aggiornando in questo l’intuizione dell’estinto modello sovietico). Nelle line estetiche generali, nel circo domina come altrove una rapidissima globalizzazione dei modelli: il Cirque du Soleil è per il momento

l’ispirazione dominante, ma è anche attento lo sguardo verso forme artistiche non circensi. Di certo la simbologia di un circo classico, legata all’immaginario infantile di chi dopo il Duemila ha trenta o quarant’anni, è sempre meno di presa sulle nuove generazioni cresciute con altre influenze. La stessa logica identitaria dello spazio circense è messa in discussione. Se icone primarie come la pista, il tendone e la sua itineranza restano alle basi del circo popolare, e restano un forte fattore connotativo per nuovi soggetti di ricerca, nuovi luoghi e spazi subentrano: dalla nuova frontalità dei circhi su palcoscenico come Eloize o Anomalie, alle strutture dei nuovi circhi monodisciplinari come la bolla aerea degli Arts Sauts, al caos organizzato dei circhi-ristorante. Il paradosso è quello del più importante circo tradizionale del mondo, il Ringling Barnum e Bailey , che sotto le arene americane di cemento non ha ormai più né pista né tendone, demolendo così l’ultimo totem identitario di un circo classico che cambia, ovvero la supremazia di grandezza e spettacolarità assoluta su ogni altra forma. Scrive il «New York Times» a proposito dello stesso Ringling-Barnum, che nel marzo 2005 arriva puntualmente al Madison Square Garden per la centotrentaquattresima primavera consecutiva: «Questo non è più “Il Più Grande Spettacolo del Mondo”, come sta scritto nel marchio di fabbrica. Come potrebbe, essendo la Terra divenuta tanto più piccola e i suoi divertimenti sempre più appariscenti? A Las Vegas, il solo palcoscenico di un solo spettacolo del Soleil, Ka, è il più recente pretendente per l’iperbolico titolo. E ogni giorno, sempre più cose sorprendenti sono mostrate da schermi e teleschermi, slegate dalla conoscenza delle leggi fisiche o dalle nozioni tradizionali di gusto»1. Del resto la stessa colonizzazione di Las Vegas da parte delle arti circensi moderne ribadisce la fluidità e l’adattabilità di una forma universale, e probabilmente per questo eterna. Rispetto alla spesso evocata crisi del circo, le storie di successo abbondano: che siano imperi come quelli del Soleil, di Ringling-Barnum o la capillarità dei nuovi show cinesi; il culto neoclassico europeo di Bouglione o Roncalli; il restyling della tradizione di Arlette Grüss o Knie; l’estetica del rischio degli spericolati artisti dell’aria sudamericani, il minimalismo dei trapezisti francesi o la bellezza degli acrobati ucraini; la tradizione accademica equestre di Grüss o l’universo onirico di Zingaro; la grandeur novecentesca di Krone o l’acrobazia di strada del Kenia; le standing ovations a James Thierrée nei teatri e quelle a Moira Orfei nei parcheggi delle stesse città, nelle stesse serate. Chi dovrà scrivere la storia del circo del prossimo secolo avrà forse davanti a sé uno dei più fertili e multiformi soggetti nella storia del modo di divertirsi e creare arte di questa nostra umanità. 481

ILLUSTRAZIONI

I. Attrazioni circensi alla corte dell’imperatore cinese Xian Zong, nella “Festa delle Lanterne del Nuovo Anno”, periodo Ming, 1485. (part. da un dipinto, Palace Museum, Pechino, Cina). Cfr. cap. 2.2.

II. Il danzatore di corda Le Gagneur. Incisione su rame, 1730 ca. (fondo Jacob-Williams, Tohu, Montréal. Foto C.R. De Lage). Cfr. cap. 3.3.

III. e IV. I due circhi di Londra nei primi anni dell’800: l’Astley’s Amphiteatre (III) e il Royal Circus (IV). Incisioni di A.C. Pugin su disegni di T. Rowlandson. Tavole per R. Ackermann, Microcosm of London, 1808. Cfr. capp. 4 e 5.

V. Il domatore Isaac Van Amburgh ritratto da E. Landseer nel 1839. (Isaac Van Amburgh and his animals, olio su tela. The Royal Collection, H.M. Queen Elizabeth II, Londra). Cfr. cap. 5.6.

VI. Andrew Ducrow nell’interpretazione equestre “The God of Fame”. Stampa inglese, 1830 ca. (coll. privata). Cfr. cap. 5.3.

VII. La compagnia acrobatica Averino (incisione da Costume Bild der Theaterzeitung). Vienna, 1840 ca. Cfr. cap. 6.2.

VIII. Baracca di fiera del secondo ‘800 ritratta in Les Saltimbanques, olio su tela di F. Pelez, 1888 ca. (Musée du Petit Palais, Parigi). Cfr. cap. 6.3.

IX. Una parata del circo ambulante di Adam Forepaugh, Stati Uniti, 1881. (Manifesto litografico. Circus World Museum, Baraboo). Cfr. capp. 7.4 e 10.5.

X. Il circo Ciniselli a S. Pietroburgo nel 1876 (Part. da stampa, Museo del Circo, S. Pietroburgo). Cfr. cap. 9.1.

XI. L’uomo forzuto Holtum all’Hippodrome de l’Alma, Parigi, 1888. Manifesto litografico di Jules Chéret (Musée National ATP, Parigi). Cfr. cap. 9.3.

XII. Il circo Barnum e Bailey in Europa, 1902. (Manifesto litografico, coll. privata). Cfr. capp.10.5 e 12.1.

XIII. Da sinistra: François, Albert e Paul Fratellini in una delle loro numerose “entrate comiche”: La fleur d’amour. Cirque d’Hiver, Parigi, 1925 ca. (foto colorata a mano. Fondo Fratellini, Parigi). Cfr. cap. 11.3.

XIV. La prima produzione del Circo di Stato Sovietico: William Truzzi regista e interprete di Carnevale a Granada, Mosca, 1927 (manifesto, Museo del Circo di S. Pietroburgo). Cfr. cap. 11.4.

XV. Rivista pubblicitaria del circo Sarrasani. Germania, 1929 (coll. dell’autore). Cfr. cap. 12.4.

XVI. L’uomo proiettile Ugo Zacchini arriva in America, 1930 (Manifesto litografico. Coll. privata). Cfr. cap. 12.5.

XVII. Darix Togni negli anni ’60 (foto pubblicitaria, coll. dell’autore). Cfr. capp. 13.4 e 14.3.

XVIII. Il “Circo sul Ghiaccio” di Moira Orfei e Walter Nones (1973). Manifesto di M. Colizzi (coll. dell’autore). Cfr. cap. 14.1.

XIX. Scena dal “Circo delle Mille e Una Notte” dei fratelli Orfei (1974) con i costumi di Danilo Donati realizzati dalla sartoria Farani (foto da programma di sala, coll. dell’autore). Cfr. cap. 14.1.

XX. Manifesto generico per spettacoli del Circo di Stato di Polonia, 1978 ca. Cfr. cap. 14.2.

XXI. La pantomima aerea sovietica Prometeo della troupe Voljanski, Mosca, 1976. Considerata una delle basi per il “nuovo circo”, la produzione sfruttava la tecnologia del Nuovo Circo di Mosca, inaugurato nel 1972. Cfr. cap. 15.2.

XXII. La troupe al trapezio di Choe Bok Nam al teatro-circo di Pyong Yang (Nord Corea), 1985 ca. (coll. dell’autore). Cfr. cap. 16.8.

XXIII. Manifesto del Circus Roncalli (Germania). Bozzetto di R. Casaro, 1993 (coll. dell’autore). Cfr. cap.17.

XXIV. Sur l’air de Marlborough: spettacolo di fine corso del Cnac (Francia), 1996 (foto P. Cibille). Cfr. cap. 18.6

XXV. Manifesto di Dralion, Cirque du Soleil, 1999, regia G. Caron (coll. dell’autore). Cfr. cap. 17.6.

XXVI. Slava Polunin in Snowshow, 2004. Cfr. cap. 18.3.

XXVII. Gli “uomini d’oro” di “Barnum’s Kaleidoscape”. Los Angeles, 1999, regia R. De Ritis (foto C.R. De Lage). Cfr. cap. 17.4.

XXVIII. Manifesto di Carnevale al Big Apple Circus, New York, 2002, regia R. De Ritis (coll. dell’autore). Cfr. cap. 19.4.

XXIX. Manifesto di Cheval Théâtre, Montréal, 2001, regia G.S.te Croix (coll. dell’autore). Cfr. cap. 19.1.

XXX. Bartabas in Opera Equestre. Théâtre Equestre Zingaro, Parigi, 1994 (foto S.Gaudenti/Kipa). Cfr. cap. 18.5.

XXXI. Maud e Gipsy Grüss, Cirque Grüss, Parigi, 2001 (foto C.R. De Lage). Cfr. cap. 19.2.

XXXII. La troupe di giocoleria col “diabolo” della produzione Rêverie, China Troupe, 2004. Cfr. cap. 19.3.

XXXIII. Scena da Corteo, Cirque du Soleil, 2004. Foto: Marie-Reine Mattera Costumi: Dominique Lemieux © 2005 Cirque du Soleil Inc. Cfr. cap. 19.3.

NOTE

INTRODUZIONE 1 AA.VV., Dossier: La troupe et le collectif, in «Arts de la Piste», n.17, 7/2000. 2 Per studi sulla classificazione delle discipline circensi, cfr: CHINDHAL, GUREVITCH, HIPPISLEY, STREHLY; e Burgess H., The Classification of Circus Techniques, in «The Drama Review», n.3/1974; Rémy T., Petite histoire du cirque. Acrobaties spectaculaires et spectacles de curiosités (essai de classification décimale), n. sp. di «Cirques. Les Cahiers de Tristan Rémy», serie «Documents», n. 12, 1961. 3 Sul panorama della formazione contemporanea cfr. Achard, J. R., Péres, maitres et professeurs, in GUY 2001; AA.VV., Dossier: faire école, la formation aux arts du cirque, in «Arts de la Piste» n. 16, 4/2000. 4 Per la diffusione delle scuole di circo nel mondo cfr. SUGARMAN.

PRIMA

PARTE

1. ORIGINI

DI UN MONDO IN MOVIMENTO

1 Kirby, E.T. The Shamanistic Origins of Popular Entertainments in «The Drama

Review», n. 18, 4/1974 2 Per gli affreschi nella tomba di Baqt III presso Beni-Hassan (Egitto), cfr. Decker, W. E., Sports and Games of Ancient Egypt; e McKeague, J., The Mystery of Beni Hassan, in «Magic magazine», n. 3/1997. Inoltre Serena in Serena-Vita; De Ritis 2004. 3 The Tuzuk-i-Jahangiri Or Memoirs Of Jahangir, transl. by H. Beveridge, London 1909. 4 Per i circhi romani cfr.: VERDONE 1970, 1983, LA REGINA, HOPKINS-BEARD. 5 Di Marziale v. anche il primo libro di epigrammi (XIV, XX, XXII, e altri.). 6 Satyricon, XLI, I sec. d.c.. 7 Due incisioni su pietra ritraenti i “cento giochi” sono state rinvenute in due tombe Han a Chengdu, nella provincia del Sichuan. Dello stesso periodo sono statuette di terracotta che riproducono uno di questi spettacoli, ritrovate presso Jinan, nello Shandong. Abbondanti descrizioni esistono nei registri imperiali.

2. LA

Corrado Togni ritratto da Maurizio Buscarino. Circo Darix Togni, 1988. (coll. dell'autore Copyright M. Buscarino)

PIAZZA UNIVERSALE

1 Giovanni Crisostomo (IV-V secolo) nell’omelia Contro i giochi del circo e i teatri riteneva uno scandalo che i cristiani s’interessassero più ai ludi pubblici che a Cristo. La predica ebbe luogo a Costantinopoli il 3 luglio 399, giorno in cui Crisostomo aveva trovato la chiesa semivuota, perché molti se n’erano andati al circo. Il coevo Tertulliano, considerava le rappresentazioni del circo e del teatro manifestazioni idolatriche (De Spectaculis, c. 212); Isidoro di Siviglia (VI-VII secolo) dettava al cristiano un precetto inequivocabile: «Il cristiano non deve avere nulla a che fare con l’insania del circo, l’impudicizia del teatro, la crudeltà dell’anfiteatro, l’atrocità dell’arena, la lussuria del gioco» (Etimologie: XVIII, 59); Alcuino Albino: «Histriones et

485

486

mimos et saltatores…magna immondorum sequitur turba spiritum»; Salviano (Salviano di Marsiglia, Il governo di Dio: 23-26 e 187-189, V sec.): «Spectacula opera sunt diaboli». 2 Per gli affreschi nella tomba di Baqt III presso Beni-Hassan (Egitto), cfr. Decker, W. E, Sports and Games of Ancient Egypt; e McKeague, J., The Mystery of Beni Hassan, in «Magic magazine», n. 3/97. Inoltre Serena in Serena-Vita; De Ritis 2004. 3 Testimonianze in una serie di stampe giapponesi corrispondenti al periodo cinese Tang. 4 GARZONI, p. 560. 5 L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevii, Milano, 1738. 6 Fascicolo promozionale s.a., Wuquiao-Home of Acrobatics in China, Seijizuang, 1987. 7 Italia Illustrata, 1448-53. V.a.: Teseo Spini, Speculum Cerretanorum, 1484-86 in Codice Urbinate Latino 1217 e Codice Vaticano Latino 3486 (c. 1589); Discorso sopra Cerreto del Dottor Giuseppe Tarugi, 1668; Raffaele Frianoro, Il Vagabondo, overo Sferza de Bianti e Vagabondi, 1640-1684. Voci “Caeretum” e “Ceretani” in Carolo Stephanum, Dictionarium historicum, geographicum, poeticum, 1627. 8 Il termine guitti appare nel 1595 in un verbale d’interrogatorio della polizia pontificia: in un elenco di circa venti categorie è al n. 4: «La compagnia delli guitti, che sono quelli che stanno accovacchiati in terra come morti di freddo e chiedono l’elemosina» (cit. in CAMPORESI, p. 95). 9 «Si mascherano, salgono in banco, dicono bugie, ingannano i semplici e vendono mercanzie...». In G.D. Ottonelli, Della Christiana Moderatione del theatro, Firenze, 1652: vol. IV: “Trattato intorno a’ciarlatani”. 10 Le Goff, J., La Civilization de l’Occident Médiéval, Paris, 1965. 11 GARZONI, pp. 741-48. 12 Varie sono le definizioni dell’epoca: Circulus, cirrculo, circulonis, cirlone, ciarlone, ciarlatano (cfr. Menagio, E., Le origini della lingua italiana). V. a.: Menkenius, De charlataneria eruditorum declamationes duae, 1726. 13 Garzoni., pp. 746-48. 14 Interrogatorio a tre saltimbanchi presso Bagnoregio, 15 febbraio 1607, in TAVIANI-SCHINO. 15 V. a.: montambanchi, cantimbanchi, cantimpanchi, cantabanqui, saltambanchi. Altri vedono una più improbabile etimologia in saltambarco o saltimbarco, un tipo di mantello. 16 Dubois, Abbè LA., Manières, Usages et Cérémonies Hindous, Parigi, 1928. 17 Pelsaert, F., Remonstrantie, 1626. 18 Il primo ingresso documentato degli zingari in Italia risale al 1417 (cfr. Colocci, A., Gli Zingari. Storia d’un popolo errante, Torino, 1889). 19 Ottonelli, G.D., Della Christiana Moderatione del Theatro, Firenze, 1652, p. 456. 20 Ib. 21 IN TAVIANI-SCHINO, pp. 145-56. 22 Il termine clown avrebbe origine inizialmente da colonus (contadino) poi trasformatosi nell’accezione negativa di clod (villano). Il primo clown teatrale maturo è attorno al 1560 è William Kemp, poi azionista del teatro Globe e dal 1589 attore dei Chamberlain’s Men, la stessa compagnia di cui era azionista Shakespeare. A Kemp nel 1599 succederà Robert Armin, per il quale il sommo drammaturgo creerà i leggendari clown dei suoi drammi (cfr. oltre 3.4).

Cfr. Wiles, D., Shakespeare’s Clown, Cambridge, 1987; Mullini, R., Il fool in Shakespeare, Roma, 1997. 23 Di Arcangelo Tuccaro (1535-602), nato all’Aquila nell’allora Regno di Napoli, si trova traccia in varie corti europee e anche in varie testimonianze della Commedia dell’Arte [FERRONE 2006]. Entrato a servizio dell’imperatore Massimiliano II, si reca in seguito a Parigi per accompagnare a Parigi la figlia dell’imperatore, Isabella, in sposa a Carlo IX di Francia. Di quest’ultimo Tuccaro diventa istruttore di acrobazia. Il primo dialogo esamina gli esercizi praticati nell’antichità collegandoli alla danza; il secondo è una dettagliata descrizione dei movimenti acrobatici con precisi disegni; il terzo è sul comportamento dinamico del corpo umano e sui benefici dell’esercizio fisico. 24 Il primo trattato equestre moderno al mondo (dopo L’Equitazione di Senofonte, 430 a.C.) è Gli Ordini di Cavalcare del napoletano Federigo Grisone (1550). Ad esso seguono tra gli altri Trattato dell’imbrigliare del Fiaschi (1556), La Gloria del Cauallo di Pasqual Caracciolo (1567), Il Cavallerizzo di Claudio Corte (1573), tutti diffusissimi in Europa. Nel corso del ‘600 la trattatistica si espande a Spagna, Francia, Austria, Inghilterra. 25 Nel 1608, in Piazza S.Croce a Firenze è allestito un “campo” rettangolare per il Ballo e Giostra dei Venti. A Parigi nel 1612 è inaugurata la Place Royale (oggi des Vosges) con un quadrato di cento metri attorno a cui, su gradinate di legno, diecimila spettatori assistono a Le Camp de la Place Royale.

3. FORME

PRIMA DEL CIRCO

1 Iohannis Amos Comenii, Orbis sensualium pictus. Hoc est omnium fundamentalium in mundo rerum et in vita actionum pictura et nomenclatura. Norimberga, 1657. Scritto da un monaco tedesco, avrà grande fortuna come testo scolastico in varie lingue per oltre un secolo. 2 Per Banks e Marocco le più ampie trattazioni sono in JAY 1986 e in Dawes, E., The Great Illusionists, Londra, 1978. Una descrizione del 1601 di Morocco a Parigi, dettagliatissima è nel celebre journal di Pierre de l’Estoile (Journal de Henri IV, 15961601, in vv. ediz.). Cfr. a. TOOLE-STOTT. 3 Per dettagli sulla legislazione del teatro di fiera parigino, cfr. WINTER, l’introduzione di CAMPARDON e la cronologia in CLAIR. 4 A Londra le grandi fiere sono quelle di S.Bartolomeo (1123-1855) e di Southwark (1462-1762), la May Fair e la Frost Fair [cfr. DISHER 1942, FROST 1875 e 1876, MORLEY, MALCOMSON, ALTICK]. 5 Pierrot è probabilmente l’evoluzione popolare francese del Pedrolino di Moliére, dal 1673 circa. Sull’etimologia di paillasse (da pagliaccio), le ipotesi più probabili sono legate a pagliericcio, dormire sulla paglia o cappello di paglia [Cfr. RÉMY 1931, DUCHARTRE, FABBRI-SALLÉE]. Il nome “pagliaccio” emerge in Italia verso il 1570. 6 La prima pantomima in cui risulta documentato il personaggio di “Clown” (assieme a quello di Pierrot) è Perseus and Andromeda (1725). FROW, p. 57. 7 Il primo Grimaldi di cui si trova notizia è Nicolini (sic) Grimaldi detto “gambe di ferro” (soprannome spesso erroneamente attribuito al figlio Giuseppe). Definito “inglese di origine italiana” giungerebbe a Parigi nel 1740 con la troupe Restier alla fiera di St. Laurent come saltatore-danzatore-funambolo interprete di pantomime, per poi passare all’Opéra-Comique (CAMPARDON, p. 385). Sarà il figlio Giuseppe

487

(1716-1788) a trasferirsi a Londra nel 1758, divenendo maestro di ballo e coreografo, collaborando anche al circo Astley (nel 1784, quando questo aggiunge il proscenio). Il figlio di Giuseppe, è il leggendario Joe (1779-1837), che debutta come clown il lunedi di Pasqua del 1800, su iniziativa di Charles Dibdin: diverrà il più celebre clown teatrale di pantomima. Pur senza mai mettere piede nella pista di un circo, il clown circense ne sarà profondamente influenzato, ma solo verso il 1860. Per la storia di Joe Grimaldi cfr. DISHER 1825, DICKENS 1853, FINDLATER, TOOLE-STOTT. 8 Come questo anche i Bagnigge Wells, i New Wells e altri. 9 Dal 1737 era attivo il Theatre Licensing Act che imponeva licenze per “intrattenimenti scenici” (tranne che nei teatri privilegiati di Drury Lane, Covent Garden, King’s-Haymarket) con previo esame di copioni. Il decreto era aggirabile grazie all’uso della musica (l’autorità era preoccupata soprattutto dal potere satirico dei testi). Dunque vi era una certa tolleranza per opere burlesche, burlettas, interludes, in luoghi non teatrali, come i giardini di svago quali Vauxall o Ranelagh. È per questo che tali generi divengono specialità di luoghi come Sadler’s Wells. Nel 1744 il Vagrancy Act regola il vagabondaggio e le attività itineranti. Nel 1752 il Disorderly Houses Act interviene sulle attività malavitose legate alle sale di spettacolo imponendo una licenza a tutti. Queste norme saranno determinanti per il contesto in cui nasceranno i primi circhi pochi decenni dopo. 10 Tentando di riunire le varie fonti, le tracce più rilevanti fino al 1780 sono le seguenti: 1763 Bates a S. Pietroburgo, 1766 in Germania e Olanda, 1767 a Parigi; 1767 Bates a Parigi; 1770 Potts a Vienna; 1770 un anonimo inglese a Bologna; Wolton a Roma; 1770 e ’71 Astley forse a Parigi; 1771 John Sharp e Mr.Faulks in America; 1771 Wolton in Spagna; 1772 Hugues in Europa; 1772 Bates a Philadelphia e nel 1773 a New York, nel 1774 a Parigi; 1773 Astley in Francia, William Wear a Vienna; 1774 e ’75 Hugues a Venezia; 1774 e ’75 Hyam a Parigi e 1777 a Vienna; 1779 Balp a Parigi (Fonti: HALPERSON, DISHER, SPEAIGHT, CAMPARDON, FOURNEL). 11 Nel 1735, a Vienna, presso la Scuola d’Equitazione Spagnola, è costruito il Maneggio d’Inverno (rettangolare). Nonostante gli antichi precedenti a Firenze, Parma e Versailles (cfr.2.6.), si tratta del primo luogo chiuso moderno concepito per spettacoli equestri. 12 In Warwick, W., The London Pleasure Gardens of the XVIII Century, 1896. 13 Tentando un sommario ordine cronologico di questo decennio da fonti incrociate (annunci a stampa e incisioni), la successione dei progenitori del circo equestre nelle varie zone di Londra dovrebbe essere: Bates n.d.; 1758 Thomas Johnson ( al Three Hats Inn di Dingley, Islington); 1763 Johnson (Cromwell’s Garden, Chelsea); 1766 Thomas Price (Three Hats), Sampson (Mile End, Jubilee Garden); 1767 Price (Three Hats); 1767 Sampson (Three Hats), Price (al Bowling Green di Dobney, Islington); 1768 Wolton (Duck and Dog Pub, St.Georges Spaw, Southwark, primo spettacolo a combinare cavalli e numeri d’arte varia.), Astley (Glovers Halfpenny Hatch, Lambeth); 1769 Sampson (Three Hats); 1770 Price (Old Hat’s Pub), Coningham (Mile End); 1772 Coningham con Sampson (Three Hats), Wildman (Dobney’s), Hugues (Blackfriars Bridge); 1773 Hyam (Cromwell’s Garden, poi Dobney’s); 1775 Astley (Westminster, base del primo circo della storia); 1782 Dibdin e Hugues (Royal Circus, St.George’s Field). 488

4. LA

GENESI DEL CIRCO MODERNO

1 Figlio di un falegname di provincia, Astley nel 1759 si era arruolato sotto Giorgio II in una delle sei truppe di un corpo appena aggiunto alla cavalleria Reale: il 15esimo Reggimento dei Dragoni Leggeri, sotto il comando del Col.G.E.Elliott [WYLLY]. Astley diventa subito caporale e presto sergente, e nel 1763 si batte nella Guerra dei Sette Anni, protagonista di rilevanti imprese eroiche. Per la vita di Astley, cfr. ANGELO, BEMROSE, DECASTRO, e ulteriori fonti cit. in TOOLE-STOTT. 2 «Pensavano che il Caporale Astley fosse il demonio in divisa. Potevano naturalmente essere sorpresi nel vedere un uomo lanciato a tutta velocità in piedi sul proprio cavallo, saltarne giù e rimontare senza rallentare il ritmo; ma rimasero sbalorditi, quando un giorno il suo cavallo galoppava intorno ad un cerchio, con Astley sul suo dorso, a testa in giù, e i talloni in aria» [ANGELO]. Il cavalcare in cerchio, difficilmente una trovata di Astley, era fondamentale per la forza centrifuga che permetteva gli equilibri. 3 Il nome deriva dal pedaggio dovuto per una scorciatoia tra i ponti di Westminter e Blackfriars. Lo storico THÉTARD nel 1946 attestava di aver riconosciuto l’area della “culla del circo mondiale” fornendo precise indicazioni, poi avvalorate dall’Alberini. In realtà esse non corrispondono all’attuale assetto della zona. Da comparazioni topografiche e sopralluoghi di chi scrive, riteniamo di poter identificare il sito nell’attuale incrocio tra Roupell Street e Cornwall Road, dove sorge un pub. 4 Tutte le informazioni relative alle vicende di Astley descritte in questo capitolo sono desunte dai documenti conservati in: BLI, BLII, HARVAD; e da: ASTLEY 1775 E 1801, BRAYLEY, DECASTRO, DIBDIN VV., DISHER 1937, FROST 1876, HODACK 2001 E 2004, HODACK-KWINT 2002, KWINT 1995 E 2002, SPEAIGHT 1981. 5 L’area su cui sorge oggi il St.Thomas Hospital. 6 Il Theatre Licensing Act imponeva licenza e esame di copioni. Per il Disorderly Houses Act, ogni luogo pubblico di divertimento in venti miglia dal centro richiedeva una licenza (cosa ottenuta dal Sadlers’ Wells). Inoltre il Vagrancy Act, che regolava il vagabondaggio, non consentiva l’uso di acrobati itineranti. Cfr. n.9, cap. 3. 7 Nel 1774 e 1775 Hughes si esibisce al Carnevale di Venezia, dove probabilmente fu già anche nell’inverno 1773. Non vi sono tracce di Astley in Italia. 8 Nel 1782 Astley è a Bruxelles, Belgrado e dinanzi all’imperatore a Vienna. Nello stesso anno Giorgio III concede ad Astley un brevetto per un metodo di addestramento. La sfilata di incoronazione di Giorgio IV è guidata da Wellington su un destriero appositamente preparato da Astley. 9 L’unica preziosa fonte iconografica è nelle due vedute dipinte attorno al 1820 da William Capon (scenografo del Drury Lane) che ritraggono l’Astley’s Riding School il 31 luglio 1777 (Greater London Record Office, County Hall, London). 10 Il programma comprende sempre più attrazioni disparate non equestri. A solo titolo di esempio: nel 1776 “divertimenti dai Parisian Boulvards” e funamboli; nel 1777 automi e orologi; nel 1778 bal di corda, pirotecnica, e fontane; nel 1780 saltatori con trampolino e una zebra; nel 1784 una scimmia, cani sapienti, un porcellino, una funambola parigina; nel 1785 una caccia alla volpe, un bambino prodigio musicale. 11 I trattati equestri di A. [ASTLEY 1775 e 1802] sono plagiati da un’opera del rivale Hughes [HUGHES 1772], a sua volta saccheggio di opere di Jackson e Thompson [JAY 2005, TOOLE-STOTT]. Anche il trattato di magia [ASTLEY 1785] è frutto di plagio. 12 Il termine Circus è scelto non tanto per riferimenti al mondo classico ma (come

489

490

per il nome Amphiteatre scelto da Astley), per motivi più pratici. Infatti, “circus” designava a Londra già un paio di luoghi dedicati all’equitazione (di cui uno frequentatissimo nel centro di Hyde Park), e soprattutto faceva parte della terminologia toponomastica come indicazione di luogo circolare (es. Picadilly Circus): come nel caso della St.George Square dove appunto sorgeva il teatro equestre di Dibdin. 13 Per le vicende del Royal Circus: BL II, BRAYLEY, CROSS, DECASTRO, DISHER 1937, KWINT 2002, SAXON 1968, TUTTLE, e tutte le opere dei DIBDIN (vecchio e giovane). 14 Quando nel 1787 il Sadler’s Wells chiede l’esclusiva di pantomime e burlette e il monopolio sugli intermezzi, Astley protesta evitando tale monopolio. È emanato così l’Interlude Bill (il cui solo divieto è quello dell’alcool). Il decreto diventa un modo legale che consente all’Asltey’s e al Royal di aggirare i teatri privilegiati con gli stessi diritti. La base non verbale consente comunque la divisione in atti e la struttura narrativa, e in questo modo l’uso della musica favorirà la nascita legale del melodramma. Il Sixty Day Act del 1788 liberalizza ulteriormente i teatri più popolari, con l’espediente di un rinnovo temporaneo per sessanta giorni. 15 Nel 1784, l’anno dopo l’apertura del rivale Royal, Astley cambia insegna in “Amphiteatre and Ambigu Comic”, unendo anche lui l’arena equestre ad un palcoscenico per pantomime alla francese. Due anni dopo chiama l’anfiteatro “Royal Grove”, decorato internamente come un boschetto; nel 1792 diventa “Royal Saloon” e con un palcoscenico ancor più attrezzato: ed è forse la prima volta che la scena è realmente connessa alla pista tramite passerelle per i cavalli. 16 Per i dettagli dei due circhi (Astley e Royal) nel contesto della vita teatrale londinese, e per circhi in altri teatri, cfr. BRAYLEY, LONDINA, MALCOMSON, WEDLAKE. 17 Quattro edifici intermezzati da periodici miglioramenti scenotecnici. Il primo nel 1794 va a fuoco; nel 1795 nasce il secondo come Amphitheatre of Arts; nel 1801 è rifatto come Royal Amphiteatre; nel 1803 brucia; il terzo nel 1804 è fatto in pietra, rinnovato nel 1807 e nel 1817; dopo un altro incendio (1841) nasce nel 1843 un nuovo edificio: il quarto e ultimo, demolito per sempre nel 1893. Inoltre Astley realizza per breve tempo un circo dentro le mura di Westminster (Olympic Pavilion, 1806-1813). Per i dettagli su questi edifici, cfr. LONDINA, PYNE, MALCOMSON, DUPAVILLON 1978. 18 Di F., saltimbanco di nascita italiana, si hanno le prime tracce nel 1772 a Rouen, dove egli tenta di animare arene per combattimenti. Entrato in contatto con Astley, da cui probabilmente apprende le tecniche equestri, lo raggiunge a Parigi (1783) come esibitore di uccelli, per poi compiere varie tournées in Francia ed aprire un proprio anfiteatro a Rouen (1790). Per la storia di Franconi e della sua famiglia, cfr. [Franconi], I, II e spec. III. I più attenti studi sulle intricate attività dei Franconi sono gli articoli di Rémy: alcuni di essi si trovano, assieme ad una esauriente antologia di fonti e ricerche, in in PRETINI 1988. V. a., per un tentativo di sistemazione, SAXON 1968. 19 Franconi annuncia il proprio debutto nell’Amphiteatre “dit” Astley. 20 Dall’occupazione dell’Anfiteatro Astley all’inizio del “Théâtre de l’Equitation” ai Capucines, le tracce sui movimenti della troupe Franconi sono confuse. Lo spostamento del 1802 è necessario, poiché dopo la Pace di Amiens Astley rivendica il proprio anfiteatro, pur poi non usandolo. Il terreno dei Capucines sarà confiscato nel 1806. 21 Solo otto teatri erano permessi a Parigi, ciascuno con un genere assegnato. Tutti gli altri spettacoli, detti “di curiosità”, non dovevano ricordare i generi drammatici, dunque evitando anche trame, temi o personaggi. Gli unici personaggi consentiti erano quelli codificati della Commedia dell’Arte o della tradizione. Altra restrizione

per questi teatri era il divieto ad impiegare attori teatrali, neanche come mimi. 22 Il nome Circus, introdotto da Hughes, era ormai in uso in molti luoghi equestri del Regno Unito. Il termine Olympique potrebbe invece essere ispirato all’Olympic Pavillion che Astley apre solo pochi mesi prima a Londra. 23 Per le vicende del Cirque Olympique, nelle sue varie sedi, cfr: FRANCONI I, II, III, VAUX, DUPAVILLON 1982, GAUTIER, KUSNETZOV, THETARD 1948, SAXON 1968, gli studi di aa. Vv. in PRETINI 1986. 24 Il primo cavallerizzo attestato in America è John Sharp (1771) cui segue Bates (1772). 25 Cfr.: CULHANE; DURANG; JACOB 2006; Jando, D., John Bill Ricketts and the first circus in America (manoscr. inedito, ca. 2000). 26 Nel 1796 Philip Laislon sbarca dalla da Svezia; un altro francese Victor Pepin, sbarca dalla Spagna (1806 ca.). Pepin, associatosi a Jean Brenschard e all’acrobata Cayetano Mariotini, sarà il primo impresario ad avventurarsi a Ovest, oltre gli Appalachi (1814).

5. LA

SCENA, LA PISTA, LA GABBIA

1 Per la storia del Boulevard du Crime (1800-64), cfr.: CHRISTOUT, WINTER, GASCAR, GINISTY, HODAK 2000 e Carlson, M., The Golden Age of the Boulevard, in «The Drama Review», n. 1/1974. 2 Jean Gaspard Debureau debutta ai Funambules nel 1825 rimpiazzando Lange Chiarini, dopo una storica lite tra le due famiglie di mimi-funamboli. Il Pierrot di Debureau si ispirerà ai caratteri della Commedia dell’Arte e ai tipi sociali borghesi (soldato, artigiano, poeta, giudice), dando dignità teatrale a un personaggio di fiera, ma anche anticipando i tipi della commedia clownesca circense. (cfr. REMY, 1954.). 3 Il primo Cirque Olympique di Rue Mont-Thabor (eretto nel 1807) è confiscato nel 1817. I Franconi si trasferiscono allora nell’ex-Astley da loro acquistato. Questo secondo Cirque Olympique resta attivo finché nel 1826 un incendio lo distrugge. La terza ed ultima sede (e la più grande), eretta sul Boulevard nel 1827,è attiva fino al 1847; poi l’edificio verrà demolito con l’intero quartiere nel 1862 dal piano urbanistico di Hausmann (cfr. 5.4) 4Il Theatre des Funambules, alla sua apertura poteva presentare solo salti sulla corda: dal 1815 si estende il diritto alle pantomime, rigorosamente mute e con ingressi acrobatici. Stesso vantaggio è conferito al teatro di Madame Saqui. Dal 1830 la libertà è estesa ai “vaudevilles leggeri”, e nel 1864 il decreto finale sulla libertà dei teatri toglierà i confini tra i generi, consentendo la parola ovunque. 5 Derwin, Blinchard, Garthwaeth. 6 Gli studi fondamentali sono: SAXON 1978 E 1988; RUSSELL; Saggi spec.: HODACKKWINT 2002; HODACK 2002, 2004; KWINT 1995, 2001, 2003, 2002. V. a. CROSS. 7 Dramatic Performances Bill 1833 e Theatre Regulation Act 1843: i teatri minori possono rappresentare opere scritte se approvate, oltre a “musica e danza pubblica” e “altri pubblici intrattenimenti di tal specie”. 8 L’Astley’s rimane attivo con la direzione di Batty, poi di Cooke; diventa per alcuni anni teatro (1862-70), torna ad essere circo sotto la direzione di Sanger, infine è demolito nel 1893. 9 V. a. Rémy, T., Louis Dejean, in «Le Cirque dans L’Univers», n.66/1967. 10 Le insegne che si avvicendano sono: Opéra National, poi Theatre National o

491

Théâtre du Cirque. Vi è ormai la libertà per piéces in quattro atti con veri attori e cavalli, precedute da scene nel cerchio. 11 Ménagerie, termine di uso internazionale, indicava più o meno le collezioni di animali al chiuso distinte dai giardini zoologici. Nel ’900, nel gergo americano designa gli zoo annessi ai circhi. La parola è di origine francese (viene da ménage, “controllo”) e designava inizialmente i cortili di fattoria. In Italia fu tradotta con “serraglio”, e più raramente con “menaggeria”. In Gran Bretagna il termine si alternava anche a quello di “beast show”. 12 Il primo elefante esibito a pagamento in una tournée è mostrato dal 1626 al 1631 dall’olandese Sevender. Sempre olandese è un secolo dopo il mostratore del celebre rinoceronte che gira l’Europa per anni (1741-58) ed è ritratto dal Longhi [DIETTRICHRIEKE, 1999]. In America il primo elefante è esibito nel 1796. 13 I divieti subentrano nel Regno Unito nel 1828, in Francia nel 1833. 14 Per la storia delle ménageries e delle origini del commercio ed esibizione di animali, cfr: BARATAY-HARDOUIN, BOSTOCK 1927, HOAGE-DEISS, LOISEL, RIEKE-MÜLLER, SCIGLIANO, THETARD 1930. 15 Altre popolari ménageries inglesi furono Wombwell, Polito, Ballard, Pidckock, Miles. Per le origini delle ménageries nel Regno Unito, cfr. DISHER 1942, FROST 1876, POLACSECK. 16 Cfr.: Thayer, S.,The keeper will enter the cage: Early American Wild Animal Trainers in «Bandwagon», 6/82.; id.: Traveling Menagerie in America, in id., 6/91 e 1/92; id.: Early Menageries (1789-1833), in id., 5/74. 17 Nel 1856 Cooke presenta quattro elefanti, ma il primo gruppo realmente addestrato in un numero, sei esemplari poi portati ad otto, è preparato da John Cooper per il circo Myers pochi anni dopo. 18 Jules Lemaitre, Impressions du théâtre, Parigi, 1889. Dello spettacolo sono testimoni quattro litografie a colori di Fauçonnier (Bibliothèque Nationale). 19 Cfr.: Saxon 1978; Meunier; Thetard 1930. 20 Cfr. Flint, R.W., American Showmen and European Dealers, in Hoage-Deiss. 21 Van Amburgh posa per due noti quadri di Edward Landseer, nel 1839 e 1847. 22 In seguito é probabilmente Carter il primo ad apparire nella pista: pare, infatti, che i Franconi introdussero per una sua esibizione al Cirque Olympique una cage roulante su ruote. Le ricerche su Carter si devono a Tristan Rémy sulla base di documenti conservati negli Archives Nationales. 23 Cfr. Ritvo, H., The Order of Nature, in HOAGE-DEISS. 24 Recensione in “Times”, 1/9/1838. 25 Cfr. PICHOT; VAN AMBURGH; THÉTARD 1930.

6. IL

492

TRIONFO DEL CERCHIO (1825-1850)

1 Cristoph De Bach (1736-1834). La sua è la prima vera compagnia equestre di area germanica, ed è il nucleo di due altre importanti formazioni di pionieri: infatti la vedova sposerà Louis Soullier e la figlia Alessandro Guerra. A De Bach si deve la prima diffusione in Austria e Germania delle pantomime equestri. 2 Il circo è demolito nel 1852, poi sostituito da occasionali strutture di legno per i circhi Carré e Ciniselli. 3 Rinominato Cirque National (1848), sotto Napoleone III Cirque de l’imperatrice (1853), infine Cirque d’Eté (1870), sarà demolito nel 1900. 4 Già un decennio prima, nel 1837, Gautier notava: “Il grande vantaggio del Cirque Olympique è che il dialogo è composto di due sole sillabe: l’hop di M.lle Lucie e il

la di Auriol. Ciò non vale forse meglio […] di tutto il piattume senza stile né spirito sovente esibito negli altri teatri?” [GAUTIER]. 5 Per il fenomeno della critica di circo a Parigi cfr. BASCH, GIRET e Basch S., Barbey D’Aurevilly et la critique de cirque, in WALLON. 6 La prima e più importante è dal 1800 quella del francese Jacques Tourniaire (1772-1829). Allievo parigino di Astley, popolarizza il circo in Germania per poi aprire nel 1827 il primo in Russia, a S. Pietroburgo. Darà vita ad una numerosissima dinastia. Attorno al 1820 emerge la compagnia di Jean-Baptiste Loisset (17951865), formatosi con Tourniaire: istruito, figlio di un ufficiale, scrive di equitazione, introduce importanti principi nell’arte equestre ed è nominato direttore dell’Accademia Equestre da Guglielmo d’Olanda. Louis Soullier nel 1842 “eredita” la compagnia austriaca di De Bach sposandone la vedova, e diffondendo il circo nei paesi balcanici e in Estremo Oriente. Altra compagnia, una dinastia giunta fino ai nostri giorni, è quella del cavallerizzo Didier Gautier, a partire dal 1810 ca. 7 La compagnia di Rudolf Brillof emerge dal 1825. Questi sarà il maestro dei due grandi cavallerizzi-direttori prussiani di metà ’800: Renz e Wollschläger (cfr. 7.1 e 9.1). Tra i primi importanti direttori vi è dal 1830 circa Johann Hinné, il cui figlio Magnus, eccellente cavallerizzo, sarà a fine secolo uno dei pionieri in Scandianavia e Russia. Per il circo tedesco dell’epoca 1830-50, cfr. HALPERSON. 8 Tournaire 1809, De Bach 1820, Gillet 1841, Soullier 1848 [CERVELLATI 1961]. Cfr. a. PRETINI 1988. 9 Genero di De Bach, Guerra non ebbe mai un circo stabile, ma un’importante compagnia nota nei teatri di tutta Europa, creata nel 1826 e attiva fino al 1849. 10 Così come per le ménageries di Van Amburgh e Carter (cfr. 5.6), i cavallerizzi Levi J.North (1838) e “young Hernandez” (’49), la famiglia di acrobati Risley (’43). 11 Sands (’42), Howes & Cushing (’54), Castello ’59), e molti altri. 12 La prima traccia trovata di tendone da circo riguarda John Purdy Brown, che nel 1825 lo erige a Wilmington, Delaware, secondo un ritaglio di giornale. Il diametro era di 36 piedi. L’anno dopo, si hanno prove di una tournée sotto tendone del circo dei fratelli Howes e dell’ex cordaio Aaron Turner: la tenda aveva un diametro di 26 metri. Cfr. Thayer, S., The Development of Tents, in «Bandwagon», 3/76; id. : History of Circus Tents, in id., 5/86. 13 Thayer, S., Investigating George Spalding in «Bandwagon», 6/74.; Id.: Birth of the Blues: Early Circus Seating (1800’s), in id.; 5/85. 14 Una recente scoperta in un dipinto indicherebbe nel circo francese Bouthors, attorno al 1830, la prima prova di un circo europeo con un tendone smontabile [DUPAVILLON, 2004]. 15 Per le origini dell’industria circense americana, cfr.: GREENWOOD, ROBINSON, THAYER (ANNALS, I-III); CULHANE; SLOUT 1997 E 1998, VAIL. 16 cfr. 7.3, 7.4,10.5.

7. DA

UN CONTINENTE ALL’ALTRO (1840-1870)

1 Eduard Wollschläger (1811-74), cavallerizzo allievo di Brillof, dirige un’importante compagnia equestre dal 1842. Per Gaetano Ciniselli, cfr. 9.1. 2 Ernest Jacob Renz (1814-92). Figlio di un danzatore di corda, si forma all’arte equestre con Brillof e De Bach. Rileva la compagnia Brilloff nel 1842 e sarà il massimo protagonista europeo dell’industria nel periodo 1860-90, fondando numerosi

493

494

circhi stabili in Germania, Austria, Russia. Renz sarà tra i primi al mondo a creare grandiosi gruppi di cavalli, e soprattutto a rilanciare un nuovo genere di sfarzosa pantomima circense all’altezza delle grandi produzioni liriche. Cfr. 9.1. 3 Dal 1821 presso la Porta di Brandeburgo esisteva già un circo in legno, in cui si alternavano compagnie francesi (Cuzent-Lejars-Loisset, Gillet, Guerra). 4 Il circo della Freidrichstrasse, occupato da Renz nel 1852, diventa in pietra nel 1885 questa volta sul modello del nuovo Cirque Napoléon di Parigi. Prende il nome di Circo Renz nel 1864, e sarà demolito nel 1876. A quel punto Renz ne erige uno monumentale sulla Sprea (1879-97). Nel suo elegantissimo circo esordiranno alcuni dei primi gruppi di belve in pista e numeri aerei, e per la prima volta al mondo la figura comica dell’“augusto”. Nel 1899 il circo passa a Schumann (cfr. 9.1). 5 Renz nel 1853 vi edifica un imponente circo in pietra, Olympischer Circus di 3500 posti. 6 La zona del Boulevard sarà demolita solo nel 1862. Il vecchio Cirque Olympique vi era ancora attivo sotto altra gestione, e l’opposizione dei teatri all’iniziativa di Dejean era forte. 7 Nel 1870, con la terza repubblica, prenderà il nome definitivo di Cirque d’Hiver. Nel 1907 diviene cinema Pathé e teatro con Gemier e Baty. Nel 1923 il Cirque d’Hiver ritorna circo con la gestione Desprez e la direzione artistica dei Fratellini (dotandosi di pista nautica nel 1933). Nel 1934 è rilevato dalla famiglia Bouglione, che lo gestisce ancora nel 2007 (cfr. 9.1 e 11.1). Cfr.BOUGLIONE. 8 Cfr. CAIN, DUPAVILLON 1982, VAN ROOY, JACOB-POURTOIS, E: DUPAVILLON, c. Histoires de stables, in «Arts de la Piste», n. 34, 2005; Jando D., Le cirque urbain, in id. 9 Jando, D., Les cirques stables dans le New York du XIX siècle, in «Le Cirque dans l’Univers», n. 201, 3/2001. Cfr. A. ALLSTON-BROWN, ODELL. 10 Un primo circo stabile a Bruxelles sorge nel 1846; ad Amsterdam ne erige uno Carré nel 1865; a Madrid è eretto il Teatro Circo Principe Alfonso nel 1861. 11 Fonti fondamentali e ricchissime per il circo pre-sovietico sono DIMITRIEV E KUSNETZOV. 12 A S. Pietroburgo le prime compagnie equestri sono: Tourniaire (1827-8), Foureaux (1828-29), De Bach (1831), Tourniaire (1837-38), Gautier (1840-41), Soullier (1843), Guerra (1845). 13 Dopo l’Imperial, gli altri circhi di S.Pietroburgo sono: il circo di Novossitsev (1857-66), diretto negli anni da Hinné, Carré, Soullier e Renz; quello di Hinné (1867) poi diretto da Ciniselli; e il Circo Ciniselli dal 1877, oggi ancora attivo come “Circo di S.Pietroburgo”. Cfr. d. Jando, D. “Quand le Kirov…était un cirque”, I-II, in «Le Cirque dans l’Univers», nn. 185 e 186/1997. 14 Dopo il successo dell’Hippodrome a l’Etoile di Franconi e Laloue (1845-56), e del successivo Nouvel Hippodrome de la Porte Dauphine (1856-69) di Arnault, sorgeranno: le Grandes Arenes Nationales (poi Imperiales, 1851-58); l’Hippodrome de l’Alma (1877-92); l’Hippo – Expo (1894-1900); l’imponente Hippo-Clichy coperto (1900-07), che sarà diretto: da Albert Schumann col nome Hippo-Palace (1901), dai domatori Bostock (1903-06), e, dopo una trasformazione, da Hippolite Houcke (1905-07), fino a diventare un cinema di Gaumont (cfr. 9.1 e 11.1). 15 Tra le numerosissime opere su Barnum, le fonti più autorevoli e complete sono ADAMS, COOK, DAVIS, REISS, KUNHARDT. Ma sopra tutte,la biografia definitva di Barnum è SAXON ’89.

16 Barnum parla degli altri circhi come di un fastidio per la Caravan [SAXON]. 17 Dan Rice (1823-1900) fu un popolarissimo clown parlatore ed un pioniere dell’imprenditoria di teatro e circo in America. Gli si devono molte invenzioni artistiche e logistiche. Personaggio popolarissimo, uno dei suoi circhi ispira Mark Twain per Huckleberry Finn (1855). Rice, amico di Lincoln, resta celebre per aver concorso alla presidenza degli Stati Uniti. Sulla sua caratteristica barba e sul suo costume a stelle e strisce, l’illustratore Nast disegnerà il personaggio patriottico Uncle Sam [CARLYON].

8. LA CODIFICAZIONE DELLE “DISCIPLINE” CIRCENSI A METÀ ‘800 1 Dopo le generazioni del pioniere Baptiste Loisset e del suo allievo Jacques Tourniaire (cfr. 6.2), è Paul Cuzent (1814-1856) uno dei principali responsabili della diffusione in Europa della scuola classica francese, sia come impresariato di compagnia equestre che come tecnica di numeri con cavalli (cfr. 7.1), ispiratore della grande scuola tedesca del secondo ‘800. A lui si aggiunge dal 1830 ca. Claude Loyal, iniziatore di un’importante dinastia. 2 Tra gli allievi di Baucher: il pioniere Loisset, Théodore Rancy, pioniere del primo vero circo itinerante francese (v.9.7), il citato Cuzent e i direttori Ernesto Gillet e Gaetano Ciniselli (v.9.1). Ma il vero erede di Baucher, continuatore del suo sistema equestre, sarà James Fillis (1834-1912), considerato il padre dell’equitazione circense novecentesca. 3 Per la codificazione dell’arte equestre francese in questi anni, cfr.: BAUCHER, DALSÈME, FILLIS, FRANCONI (VICTOR), HACHET-SOUPLET, KUSNETZOV 1936, MOLIER 1914, LEROUX, VAUX, THÉTARD 1946. 4 Per i pionieri americani dell’acrobazia equestre cfr.: FROST 1876, SLOUT 1997, THAYER (vv.), TURNER 1993 e 2000. 5 L’origine di questa specialità ha tracce imprecise e graduali. Tra le prime testimonianze di evoluzioni di un cavallo danzante in libertà al comando della frusta, c’è quella dell’addestratore Powell nel 1824 a Newcastle. L’intuizione di addestrare un singolo cavallo in una precisa presentazione artistica si deve poco dopo sicuramente a Andrew Ducrow col suo numero “Pegaso” del 1827. Tale idea con un cavallo alato è ripresa a Parigi da Laurent Franconi. Suo nipote Adolphe è tra i primi verso il 1848 a presentare uno o due cavalli coniando il termine en liberté. Ben più tardi, nel 1868, la stampa londinese si stupisce nel vedere quattro cavalli in libertà presentati dalla troupe Carré. 6 Tra le più importanti specialità equestri, tuttora praticate: piramidi equestri, giocoleria a cavallo, passo a due, forze d’ercole, il “postiglione” o “posta”, danza ed equilibri sul panneau, danza senza sella, jockey e salti a cavallo, volteggio à la richard, volteggio alla cosacca, equitazione di alta scuola, alta scuola con le redini, alta scuola di gruppo e caroselli equestri, alta scuola con cavaliere e ballerina, cavalleria in libertà, carousels di cavalli, cavalli saltatori, cavalli sapienti, numeri comici con cavalli. 7 In Germania il personaggio si era già affermato dal 1830 circa: nella compagnia di Brilloff un tipo di comico era conosciuto come bajazzo o pojatz [HALPERSON]. 8 Baudelaire, C., Sur la pantomime anglaise au théâtre des Variétés, in De l’essence du rire, ca. 1855-1857. V. a. Le vieux saltimbanque, s.d. Entrambi in Oeuvres Complétes, Parigi, 1980. 9 Richard Risley Carlisle (1814-74), esordisce come antipodista in circhi ambulanti americani e poi presenta la propria creazione nel 1841 con il figlio John, e in seguito con altri allievi. Nel 1843 sbarca in Europa, dove trionfa in importanti teatri visi-

495

tando anche l’Italia. Alternando la sua carriera teatrale e circense tra Europa e America, si dedica a disparate attività imprenditoriali. Nel 1855 apre un proprio show viaggiante dallo stravagante titolo Vatican & Circus. Il suo circo sarà uno dei pionieri nel visitare Australia, isole del Pacifico sbarcando sino in Giappone (cfr. 10.1). Cfr. Thayer, S., Man in Motion, Richard Risley, in «Bandwagon», 1/1997; e SPEAIGHT, 1981. Sugli “icariani” in generale, v.a.: Denis, D., Icarisme et Icariens: un des mystères du cirque, in «Le Cirque dans l’Univers», n.197/2000. 10 Charivari è termine francese risalente al XIII sec. Designava il corteo grottesco e irriverente che animava le “Feste dei Pazzi” medievali. Ormai nel gergo circense internazionale, indica il quadro d’insieme di saltatori e clowns della compagnia, basato sulla rapidità del ritmo e posto generalmente in apertura di spettacolo. 11 Jean Baptiste Auriol (1806-81). Figlio di funamboli, esordisce nella compagnia Loisset, poi in altri circhi europei, specializzandosi nella “danza sulle bottiglie”; nel 1835 giunge trionfalmente al Cirque Olympique, prima di esibirsi nei più grandi circhi stabili d’Europa degli anni 1850-60. Per la storia di A. cfr. Hamel, C., Jean Baptiste Auriol: las paradojas de la modernidad, in «La Factorìa», 30-31/06. 12 W.Hazlitt, The Indian Jugglers, in «Table Talk», 1821, è il primo saggio esistente sulla giocoleria. V. A. ASSAEL, WHALE. 13 La prima descrizione del cosiddetto “triangolo aereo” è nel 1819 in un trattato di ginnastica di tale Professor Clias [ADRIAN 1988]. 14 Nota all’a. di S.Thayer. 15 Cfr. STREHLY, LÉOTARD, LARTIGUE. 16 Aa. VV., Forains et Saltimbanques, n. speciale di «Le Figaro Illustré», novembre 1897. 17 Nel 1863 sempre all’Hiver, la seconda scoperta, il domatore Crockett (del circo inglese Sanger) si imporrà sul rivale Hermann in concorrenza all’Hippodrome Arnault; è poi la volta di M.me Labarriére (1865); nel 1875 appare al circo Rancy il domatore americano di colore Delmonico, che poi passa sulla scena delle FoliesBergère; qualche anno dopo si vede Cardona al Medrano. 18 E al circo Renz che si deve una delle prima gabbie “costruite” in pista, benché quadrata, e con un tunnel di accesso, per i leoni di Miss Senide nel 1883. 19 Per la storia delle ménageries a fine ’800, cfr BIDEL, FOURNEL, LOISEL, THÉTARD 1928, PY-FERENCZY, e Metenier, O. Dompteurs Célébres, serializz.in «Journal des Voyages», 1888; Viator, Les ménageries foraines, in «Le Cirque dans l’Univers» n.15/1950. Per i primi domatori in pista: THÉTARD (vv.), RAEDER, KUSNETZOV.

9. L’ETÀ D’ORO

496

DEL CIRCO (1870-1900)

1 Nel 1897 il circo Renz sarà rilevato dal cavallerizzo Albert Schumann fino al 1918, quando divenuto teatro, e risistemato dal leggendario architetto Poelzig, ospiterà le regie di Max Reinhardt (cfr. 11.1). 2 Carl T. W. Carré (1817-1873), aveva creato una troupe nel 1853 dalla liquidazione del circo di Wollschläger; Albert Schumann (1857-1939), figlio del braccio destro di Renz, ha una compagnia dal 1855; la compagnia di Albert Salamonski (18391913) emerge nel 1873. 3 Ad Amsterdam un Circo Reale è costruito da Oscar Carrè (1846-1919) nel 1887; a Bruxelles, Wulff edifica il Cirque Royal nel 1878; a Copenhagen ne erige uno Renz nel 1886; a Stoccolma ne costruisce uno Salamonski nel 1892; a Vienna Schumann nello stesso anno.

4 La dinastia Houcke, fondata da Jean-Leonard H. (1808-1863) è tra le più antiche oggi al mondo ancora in attività dall’epoca dell”artistocrazia” del circo stabile classico. Per la dinastia Rancy, più legata al circo itinerante, cfr. 9.7. 5 A Barcelona si alternano l’Alegria (1879-95), il Barcelones (1853-44), il Tivoli 1897-1919, fino all’Olympia (1924-47). Altri a Saragozza, Bilbao, Palma, Albacete, Murcia,Cartagena, Alicante, etc. 6 La numerosa famiglia Guillaume ha spesso combinazioni intricate. Le due compagnie più importanti dopo il 1850 sono quelle dei fratelli Giovanni e Davide (spesso fuse); e quella del loro nipote Emilio, poi proseguita dal figlio Natale. Da questo ramo verranno il grande clown Antonet (Umberto G.) e l’attore di cinema Polidor (Ferdinando G.). Va. 9.7. 7 Le ultime gestioni dell’Astley’s passano da gente di teatro equestre come Ducrow a esibitori di animali da fiera come Batty, Cooke o George Sanger. 8 Gaetano Ciniselli (1815-81). È considerato il più influente animatore della vita circense presovietica. Formatosi come acrobata equestre con Franconi, Guerra e poi con Dejean, sposa la figlia di Hinné dopo aver fondato una compagnia equestre. Nel periodo 1850-55 circa agisce anche nei teatri italiani con successo. Nel 1860 crea il Circo Real a Barcellona. Dopo successi berlinesi e in Europa orientale, Ciniselli giunge a S. Pietroburgo nel 1871, a gestire la compagnia del suocero Hinné, il quale doveva andare ad aprire un circo a Mosca. 9 Completamente ristrutturato dopo la rivoluzione, e dall’arredamento più modesto, l’edificio è oggi ancora attivo come “Circo di S. Pietroburgo”. 10 Il primo cavallerizzo a Mosca era stato Bates nel 1764, e vari circhi temporanei si erano alternati nel primo ‘800. Il primo circo realmente edificato a Mosca, attivo dal 1853, è aperto dal Generale Novossiltszev per la cavallerizza Laura Bassin. Il secondo (1868-96) è fondato da Hinné, poi diretto da Ciniselli, Nikitin e Truzzi; nel 1883 è eretto un Hippodrome dai Nikitin; il terzo circo è nel 1880 quello di Salamonsky sul Boulevard Svetnoi, oggi ancora attivo come “Circo Nikulin”; un quarto circo è eretto nel 1911 da Akim Nikitin ed è diventato Teatro Satirikon nel 1926, come tale ancora oggi esistente. Il “nuovo” circo di Mosca sarà eretto nel 1972. Cfr. Jando D., Les cirques stables de Moscou, in «Le Cirque dans l’Univers», n. 207/2002. 11 Figli dello schiavo affrancato Alexandr (grazie a una legge del 1842), i fratelli Dimitri, Akim e Piotr Nikitin dopo anni nelle baracche di fiera aprono un circo ambulante nel 1873, poi un edificio a Saratov (1876), e a Mosca un ippodromo a tre piste (1883), ed un circo stabile, (1886) per fare concorrenza a Salamonsky. 12 Per le origini del music-hall: FRÉJAVILLE, JANDO 1979, JANSEN]. 13 Tra il 1880 e il 1890 i principali locali inseriti nel giro internazionale delle attrazioni circense sono: a Roma il Gran Esedra e il Gran Circo delle Varietà; a Milano l’Eden-Teatro; a Napoli i varietà Umberto, Eden, Eldorado, Margherita; a Torino l’Eldorado, a Firenze il Trianon. 14 Tra le principali: Alcazar, Ambassadeurs, Ba-Ta-Clan, Cigale, Eldorado, Jardin de Paris, Trianon. 15 Dati dal programma inaugurale della stagione 1880. 16 Un simile impianto per la piscina sarà poi costruito al circo Renz di Berlino (1891), da Rancy a Lyon (id.), al Busch di Berlino (1895), al Tower Circus di Blackpool (1894), all’Hippodrome di Londra (1900) all’Hippodrome di New York (1905), al Sarrasani di Dresda (1912). Pur senza impianto fisso, le pantomime acqua-

497

498

tiche diventano una tradizione anche in Russia dal 1892 al circo Ciniselli a S. Pietroburgo, al Salamonsky a Mosca e nei circhi tedeschi e olandesi di Renz. Dai primi decenni del ‘900 fino ai nostri giorni, le pantomime acquatiche sono innumerevoli anche sotto i tendoni dei circhi viaggianti (cfr, cap. 14, n. 4). 17 Cfr. CLARÉTIE, LE MEN. 18 P.A. Renoir, Les deux jongleuses au Cirque Fernando, 1879 (Art Institute, Chicago); E.Degas, Miss Lala au Cirque Fernando, 1879 (National Gallery, Londra); H. de Tolouse-Lautrec, Au Cirque Fernando, 1888 (Art Institute, Chicago); G.Seurat, Le Cirque, 1890 (Musée d’Orsay, Parigi). 19 Geronimo Medrano detto “Boum-Boum” (1849-1912), fu un celebre clown spagnolo, acrobata e domatore di piccoli animali e régisseur al Nouveau Cirque, prima di diventare proprietario e direttore del circo Fernando, ribattezzandolo appunto Medrano nel 1897. Il Circo Medrano sarà diretto poi dal figlio Jerome Jr. fino alla chiusura nel 1966 (cfr. 11.1). Nel secondo dopoguerra, l’insegna Medrano sarà plagiata dal circo viaggiante delle cavallerizze austriache Swoboda, che dal 1972 la cedono alla famiglia italiana Casartelli. Per la storia del circo Fernando e Medrano, cfr.: GLADIATEUR, MEDRANO, e un saggio inedito di Rémy per l’Union Historiens du Cirque. Uno studio definitivo di D.Jando è al momento in corso. 20 I campioni delle sbarre furono tuttavia rumeni, capeggiati dai Popescu, mentre emergono gli inarrivabili inglesi Hanlon, che vedremo collegati anche alla commedia acrobatica e all’evoluzione del trapezio “volante” (n. 23 e cfr. 9.6). Tra le altre discipline provenienti dalle palestre, vi sono vari tipi di giochi di forza, anche in sospensione, come ad esempio la ginnastica agli anelli, presentata anche in duo o in trio, da gruppi come Donald’s o Nightons. 21 L’inglese J.W. Cragg (1846-31) inizia la carriera circense nel 1862 ed è considerato una delle star del primo music-hall, visitando i cinque continenti. Si è sposato 4 volte lasciando al mondo 21 figli. [TURNER, LEROUX]. 22 Cinquevalli (Paul Braun-Lehmann, 1859-1918) era un ex trapezista infortunato che aveva preso il nome da uno dei direttori di un circo con cui era fuggito da piccolo. La sua carriera mondiale nel varietà sarà tra le più prestigiose del mondo teatrale dell’epoca [cfr. SERENA, HOLLAND, JAY 2005, ZIETHEN] 23 I sei fratelli inglesi Hanlon sono considerati uno dei gruppi di artisti più versatili ed influenti nella storia del circo, del music-hall, della pantomima e dell’illusionismo. Istruiti in tenera età e lanciati dal ginnasta John Lee, compiono dal 1847 un giro del mondo con il loro spettacolo acrobatico. Da 1861 si dedicano anche al trapezio volante. Continuamente tra America e Europa, il loro incrocio con personaggi come il clown teatrale Geo Fox, il giocoliere Agoust e i mimi-funamboli Ravel, influirà in modo decisivo sulla loro fusione tra acrobatica e pantomima. È a quest’ultimo genere che si dedicano con il nome di Hanlon-Lees dopo aver debuttato nel 1872 alle Folies-Bergère [MCKINVEN]. Per la loro influenza sull’arte clownesca cfr. 9.6. 24 Nel 1868 vi sono testimonianze in merito relative sia a Niblo (Thomas Clarke) che a Bob Hanlon. Altre attribuiscono il doppio a Léotard stesso. Ma dalle cronache del tempo è quasi impossibile evincere l’esatta tecnica e il vero tipo di esercizio. 25 La prima prova documentata dell’uso di un porteur sembra essere nel 1870 in un teatro di Londra, per il numero aereo di una tale M.lle de Glorion [SPEAIGHT 1981],

in cui l’artista compie “un volo nelle mani” di un altro ginnasta. Per il primo uso della rete, varie fonti concordano nel numero dei Rizarelli, forse per la loro apparizione all’Holborn di Londra del 1871. 26 La prima esibizione documentata di un proiettile umano è nel 1873 al Niblo’s Garden di New York, con il giovane travestito Lulu, per opera dell’impresario-inventore George Farini (lo stesso creatore di Zaeo), a cui nome esiste un brevetto dell’invenzione del 1871. Cfr. PEACOCK, Pfening, F., Human Cannonballs, Part I. In «Bandwagon», nov. 1976. 27 Tom Belling (1834-1900) era figlio del cavallerizzo americano Thomas Belling il quale, trasferitosi in Europa ai primi dell’800, aveva lavorato in compagnie equestri di pionieri come Hinné, per poi fondare una compagnia di nome “Circus Gymnasticus” con la propria famiglia attorno al 1825, giungendo a Berlino nel 1853. 28 La prima fonte in assoluto a legare Belling con l’origine dell’“augusto” è a nostra conoscenza in [SIGNOR DOMINO], 1888. Un anno dopo, un artista francese racconta di un anonimo garzone di pista al circo Renz (chiaramente l’episodio di Belling) [PERRODIL]. Secondo DOMINO, il direttore Renz avrebbe spinto in pista il Belling in ritardo per il servizio in uniforme: nella fretta l’artista sarebbe uscito senza togliersi una parrucca con cui stava giocando in camerino, scatenando le risa. La fonte indica come “Ajust, ajust!” l’esclamazione con cui il pubblico saluta in pista l’inserviente maldestro. Il termine agoust appare per la prima volta nei programmi del circo Renz nel 1874, effettivamente legato a Belling: che però vi aveva debuttato nel 1869 in un trio comico, ed è già designato come clown nel 1872 [RAEDER]. Su queste basi, avrebbe ragione uno storico [KOBER] nell’indicarci una data dell’esordio di Belling come augusto: il 28 novembre 1873. Secondo altri, il direttore Ernest Renz avrebbe visto a S. Pietroburgo il comico Machheine nella trovata dell’inserviente comico, chiedendo poi a Belling di imitare il ruolo a Berlino [HALPERSON]. Nel 1874, per il suo esordio a Parigi, l’artista è annunciato come “Belling dit augoust”. La prima immagine rimasta di Belling come augusto è probabilmente il disegno a colori (con la parrucca rossa) su un manifesto del primo circo di Hagenbeck nel 1877 (cfr. MALHOTRA), ed una foto è riprodotta in HALPERSON. 29 Altra ipotesi seria è in una corrispondenza di recente scoperta, secondo cui nel 1865 lavorava presso Renz lo sbarrista Augusto Bergonzini (conosciuto anche dallo Zucca). Questi, facendo ridere per un incidente imprevisto durante l’installazione dei propri attrezzi, avrebbe generato l’esclamazione “August” e dato al direttore Renz l’idea del ruolo comico; forse poi da qui affidato a Belling e col nome di “august” [LÉVY 1991]. 30 Curiosamente, il nome di Belling risulta nello stesso programma dell’Hippodrome di Londra del 1901 in cui, nella pantomima finale Cenerentola, debutta Chaplin. 31 L’augusto si diffonde anche in Italia: ma, a differenza di quanto diffuso soprattutto dagli scritti di Federico Fellini, questa espressione non è usata. Nel gergo circense italiano, l’augusto è definito toni: secondo alcuni da un artista inglese, Tony Buton. 32 George Sanger (1827-1911) è stato il più influente direttore di circo ambulante di fine ’800, considerato il pioniere europeo dell’impresa sotto tendone. Apre poi vari circhi stabili inglesi, e nel 1871 compra l’Astley Amphiteatre di Londra, di cui sarà l’ultimo gestore. Nel 1873 presenta il primo di una serie di sontuosi spettacoli all’Agricultural Hall: è qui che Barnum vede e compra da Sanger la prima grande para-

499

ta di circo presentata in America, The Congress of Monarchs (v. 10.5 e 10.6). Cfr. SANGER. 33 Figlio di un danzatore di corda, T. Rancy si era unito inizialmente al circo Bouthors, uno dei primi tendoni esistenti, prima di una specializzazione del massimo livello nell’arte equestre: allievo prima di Baucher, poi di Bastien Franconi, in seguito ingaggiato da Dejean al circo degli Champs-Elysées. 34 È sempre Rancy a fondare numerosi circhi stabili: Amiens (1866), Lille (1869), poi Ginevra e Lione. 35 Nel 1880 Zavatta richiede un permesso per “padiglione con tendone impenetrabile, costruito con il sistema tedesco[?]” [PRETINI 1988].

10. COLONIALISMO

500

ED ESOTISMO

1 Teodoro Sidoli (1830-91), ha una propria compagnia dal 1855. Prima di stabilirsi in Romania visita Grecia, Turchia, Egitto, Russia. Il figlio Cesare viaggerà nei paesi slavi nel primo ’900. 2 Carré a Sofia; Beketov a Budapest, Ciniselli a Varsavia. 3 Da fonti dirette dell’epoca, troviamo C. nel 1848 a Berlino come cavallerizzo con la compagnia Guerra; dal 48 al 51 è nei programmi all’Astley di Londra; nel ’52 giunge a New York al Bowery Theatre come cavallerizzo e al museo Barnum come attore; nel 1853 è direttore equestre dell’Hippodrome Franconi newyorkese; del ’54 è la sua prima società circense con la compagnia Sands e poi con altri (cfr. ODELL, SLOUT, THAYER, TURNER). 4 Unico studio da fonti dirette su C. imprenditore è Sturtevant C. G., Chiarini. Prince of International Showmen, in «The White Tops», 12/1932. Studi definitivi sono in corso da parte dell’a. e di D. Jando. 5 La tournée della compagnia di C. è probabilmente la più lunga della storia del circo. Dalle tracce esistenti (spec. Sturtevant cit., CARDENAS, ST. LEON) la si può ricostruire come segue: Cuba (1854), S. Domingo e Haiti (1859), Cuba (1860), Indie Occidentali, Messico (1864-65), Cuba, Panama, Indie Occidentali (1865-66), New York (1866), New Orleans, Nevada, S. Francisco (1869), Panama, Cile, Argentina (1869), Uruguay, Brasile, Portogallo, Spagna, Cina (1872), Filippine (1874), Brasile (1875), S. Francisco (1879), Australia, Tasmania, Nuova Zelanda (1879), Indonesia, India, S. Francisco, Siam (1882), Nepal, Kashmir, Borneo, Giava, Singapore, Vietnam, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda (1884-85), Giappone (1887), Filippine, S. Francisco, Panama, Messico (1890), Uruguay, Paraguay, Argentina, Patagonia (1890), Cile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Honduras, S. Salvador, Guatemala. A Panama Chiarini muore nel 1897. 6 È il “Royal Circus” di R.A.Radford. Per la storia del circo in Australia, cfr. ST. LEON. 7 Per la storia del circo in Giappone, cfr.: Hajime Miyoshi, Nippon Saakasu Monogatari (The Story of Japanese Circus), Hakusuisha, 1993; Yu Kawazoe, Edo no Misemono (Circus shows in Edo), Iwanamishinsho, 2000. 8 La loro storia è analizzata in Flint, cit. in HOAGE-DEISS. Cfr. JACOB 2006, SALTARINO, COUP. 9 Dalla sterminata bibliografia su H., validi studi critici sono: DIETTRICH 1998, GRETSCHEL, ROTHFELDS. V. A.,: HAGENBECK 1908 E 1955. 10 Il primo grande gruppo visto in Europa è quello dei sei elefanti dell’americano Ephraim Thompson, importato da Hagenbeck. Ma già verso il 1870 si era affermato il gruppo di Coopers, al circo americano Myers in Europa. Il primo gruppo europeo ad apparire era stato nel 1854 quello dei quattro elefanti di Cooke a Parigi (Cirque d’Hiver) e Londra.

11 Cfr. I progammi in MALHOTRA e Zimermann, F., Erinnerung and den Circus Carl Hagenbeck, in «Circus Zeitung», 5/87. 12 Per le origini dell’addestramento moderno presso i fratelli H., cfr.: MEUNIER, ROTHFELS, THIEDE, MALHOTRA, VRIELING. V.a. Zimmerman W.-Kissels R., Carl Hagenbeck’s “Zahme Dressur”, I-V, in «Circus Zeitung» vv. 1987-88.; Malhotra in [Merkert]; Thiede, J. Wilhelm and Willy Hagenbeck, I-II in «King Pole», 120 e 121, 1988. Per Seeth, v. a. SALTARINO. 13 Il primo gruppo di cinque leoni è del 1879, affidato da Wilhelm H. a una domatrice di Ceylon in una gabbia rudimentale in sezioni. Poi un nuovo gruppo di otto leoni è presentato da Seeth nel 1881 [VRIELING], sperimentando grandi carri gabbia ovali telescopici [Zimmermann, cit.], ampi ma poco pratici. Molti circhi stabili in realtà avevano già un’ampia gabbia quadrata smontabile, e il circo Renz aveva già introdotto il “tunnel” per le belve (poi perfezionato da Carl Krone verso il 1910). 14 La prima gabbia circolare della storia è presentata da Wilhelm nel 1889 all’Hippodrome de l’Alma di Parigi, divisa in ventiquattro sezioni. Vi si esibisce il leone cavallerizzo di W.Philadelphia [MALHOTRA, Thiede, e foto in THÉTARD 1949. Nel frattempo, Wilhelm H. e Seeth preparano il primo gruppo al mondo di leoni “in libertà”: debutterà nel 1891 nella grande gabbia appositamente costruita per Néron, sempre all’Alma (cfr. 9.3). Di questi personaggi e vicende non vi è la minima menzione negli scritti di Carl. 15 Negli stessi anni Carl ingaggia Eduard Deyerling (proveniente dai Bostock), che seleziona quattro leoni [BOSTOCK, THIEDE], certo tra i ventuno menzionati nelle memorie. Questi debuttano al Nouveau Cirque di Parigi nel 1890 [THIEDE, e altra foto in THÉTARD 1945]. 16 Già negli anfiteatri dell’antichità romana i mansuetarii e magistri tentavano di ridurre le belve allo stato domestico per esercizi di spettacolo. Nel 1903, Franck Bostock scriveva un manuale di addestramento secondo cui “gli animali hanno caratteri simili a quelli di uomini e donne” [BOSTOCK]. Nel 1869 era già uscito in america il manuale Haney’s Art of training animals , basato sull’eliminazione di punizioni . Nel programma 1903 del “Barnum & Bailey” (in cui non c’erano belve feroci), James Bailey dichiarava che gli animali del proprio circo erano addestrati “solo con dolcezza” e si dichiarava membro della Society for Prevention of Cruelty of Animals. 17 In un’intervista dell’epoca, un collaboratore di H. asserisce che l’intimidazione e la frusta sono comunque imprescindibili, seppur usati con moderazione [in ROTHFELS]. V. a. Stokes, J., ‘Lion Griefs’: the Wild Animal Act as Theatre, in «Cambridge New Theatre Quarterly», vol.XX, n.2/04. 18 In America la gabbia circolare in realtà era stata già introdotta da Daniel Boone e tale Miss Carlotta al circo Forepaugh nel 1891 (n.all’a. di F.Dahlinger). Del 1894 è un manifesto di Barnum & Bailey che ritrae forse il primo numero di belve presentato da questo circo, in cui le immagini ritraggono gli stessi numeri di Chicago e un domatore con le sembianze di Mehrmann. 19 Ad Hagenbeck, che dopo Chicago ha esibito il “circo zoologico” al Madison Square Garden, è commissionata una nuova arena stabile nel 1904 per la fiera di St.Louis. Da qui, nel 1905 prende vita un circo itinerante, il Carl Hagenbeck Circus, su cui H. non avrà alcun profitto. Nel 1907 il circo è venduto a Ben Wallace: è all’Hagenbeck-Wallace Circus (attivo fino al 1938) che si deve realmente la popolarità americana di H. 20 Tale attrazione è all’origine di un’icona circense americana quale la parata per le strade con i sontuosi carri dorati di legno.

501

21 La ditta di Coup e Castello (Barnum Universal Exibition Co.), è liquidata all’asta nel 1875. In seguito Barnum entra in società con una cordata di famosi impresari, che realizza un nuovo assetto societario (J. J. Nathans, G. F. Bailey, A. Smith, L. June) ma che per incomprensioni si scioglie nel 1880: anno in cui subentra J. A. Bailey col proprio socio Hutchinson. 22 Il circo di Bailey e Hutchinson si chiamava “Great London Circus & Sanger’s Royal British Menagerie” in passato di Howes (ex partner di Barnum). 23 Il titolo completo è in questa stagione: “P.T. Barnum’s Greatest Show on Earth, Sanger’s Royal British Menagerie, The Great London Circus & Great International Allied Show”. 24 Le tre piste sono rivendicate nelle memorie di Sanger che le avrebbe usate nel 1856 in Gran Bretagna, ma non esistono prove [SANGER]. 25 Su Buffalo Bill esistono sterminate fonti, anche recenti. Per la parte circense, cfr.: KASSON 2000, BLACKSTONE, RYDELL-KROES. Per le testimonianze dell’epoca, FELLOWS. 26 Bailey porterà lo show di Buffalo Bill per la seconda volta in Europa nel 1903-06, principalmente per sfruttare i treni fabbricati e usati per la tournée europea del BarnumBailey conclusa nel 1902. Il successo sarà inferiore alla prima volta, ma influenza profondamente l’immaginario del nuovo impresariato tedesco e francese (cfr. 12.1 e 2). 27 Kiralfy era un regista-produttore inglese di successo nell’era vittoriana, specializzato in spettacoli di massa celebrativi delle conquista coloniali. È probabile che il suo Nero abbia ispirato due anni dopo Néron all’Hippodrome de l’Alma di Parigi (cfr. 9.3). Per Kiralfy e il rapporto di Barnum con le pantomime storiche cfr. ADAMS, ASSAEL, SAXON e Pfening, F., Spec-Ology of the Circus, Part I, in «Bandwagon», n. 47/2003. 28 Forepaugh, Cole Bros., Sells Bros., Buffalo Bill. 29 La letteratura storica e mitografica sui freaks consta di centinaia di volumi. Negli ultimi decenni, gli studi culturali e accademici americani si sono occupati ampiamente del fenomeno. Per la parte riguardante l’America da metà ’800 ai nostri giorni, e per i legami col circo, cfr.: ADAMS, BOGDAN, HARTZMAN, NICKELL, STENCELL, TAYLOR J., THOMSON. 30 Il primo circo ad usare un side-show annesso è nel 1837 Raymond & Co. Cfr. Pfening, F., Sideshows and Bannerlines, in «Bandwagon» n. 29/1985. 31 Per le esibizioni umane in Europa tra i due secoli e spec. in rif. A. Hagembeck, cfr.: LEMAIRE, ROTHFELS. 32 Giornale pubblicitario della stagione 1884.

SECONDA 11. IL

PARTE

CIRCO URBANO DEL PRIMO

NOVECENTO

1 Cfr. ASTRUC, BIZET, BOST, FRÉJAVILLE, SERGE, MARTIN, VERNE. 2 Il Nouveau Cirque (che dal 1909 è diretto da Jean Houcke) chiude nel 1926; per

502

alcuni anni è sostituito dalla effimera ma gigantesca esperienza del Cirque Métropole, poi “De Paris”, (1926-1930): il più grande mai costruito a Parigi con i suoi seimila posti. Dufrenne e Varna rilevano l’Empire nel ’24. Il Cirque d’Hiver è riaperto nel ’23

dall’ex-acrobata Gaston Desprez che impone i Fratellini come “direttori artistici” e restaura lo stabile, cedendolo poi ai Bouglione (1934); Dufrenne e Varna rilevano l’Empire nel 1924; la direzione del Medrano passa nel ’28 a Jerome Medrano jr. 3 Cfr. MEDRANO e Jando, D., Jerome Medrano. L’homme qui réinventait le cirque, in «Cirque», 4/98. 4 Innumerevoli testimonianze su Mills sono in quasi tutte le fonti classiche. Per memorie più approfondite cfr. i ricordi di TOOLE-STOTT (IV) e MILLS. Studi precisi sono Fort, J., Bertram Mills. L’Olympia de Kensington, in «Le Monde du Cirque», 4/98; e il lavoro definitivo di JAMIESON. 5 L’esempio più vicino alla bascula è testimoniato nell’antichità coreana [SERENAVITA], sebbene in occidente non vi siano tracce fino al Novecento. La prima forma di propulsione rudimentale è testimoniata a Vienna nel 1873 come dispositivo di tale Miss Lulu per raggiungere un trapezio da terra [STREHLY]. La prima esibizione documentata simile alla bascula odierna è attorno al 1900 quella dei tedeschi Walpert e Paulan [THÉTARD 1946]. Secondo testimonianze dirette, il creatore della bascula sarebbe invece tale Fred Lamonte negli Usa al circo Wallace nel 1898 [COUDERc]. 6 La prima esecuzione assoluta del salto triplo si deve nel 1897 in Australia alla ginnasta Lena, ragazza lettone adottata in Russia dalla troupe americana dei Jordans. Creduta a lungo una leggenda, l’esibizione di Lena Jordan appare ora documentata da vari giornali dell’epoca nel corso di tournées in Australia e Sud Africa. 7 L’impulso delle famiglie italiane verso l’acrobazia equestre sembra venire ad un ceppo unico di scuola, che ZUCCA attribuisce a tre maestri: Ranella, Marassi, Travaglia (THÉTARD cita un Marasso. In una lettera a noi inviata, l’artista Gilberto Zavatta ricorda un Marasso come maestro comune di Cristiani e Caroli). 8 Draper, J., Standing riders and their acrobatic art, in «Bandwagon», 3 e 4/1988; De Ritis, R., The Cristiani saga, in «Planet Circus», 2 e 3/99. 9 Per questo genere, cfr FELLOWS, ADRIAN 1967 e Pfening, F., Circus Looping the Loop Acts, in «Bandwagon», n. 3/1969. 10 Cfr. De Ritis, R., La Dinastia Zacchini, in «Circo», 5/99. 11 Per studi specifici: sull’illusionismo cfr. DE RITIS 2003; per la giocoleria SERENA 2002. 12 Detto così poiché cavallerizzi della dinastia Loyal usavano essere direttori equestri nei primi circhi stabili parigini di Dejean: in particolare è al baffuto Theodore Loyal (1829-79) che si deve l’icona del direttore di pista in frac e stivali da cavallerizzo. Ma la messa a punto nel senso di spalla per i comici la si deve a George Loyal, che negli anni ’30 al Medrano assiste i più grandi clowns del tempo. 13 Per la storia dei Fratellini, cfr. LÉVY ’97, FRATELLINI ’55 E ’89, MARIEL, REMY 1945. 14 Giungono a Parigi nell’ordine: 1909 Fratellini, 1910 Rico e Alex Briatore, 1914 Cairoli e Porto, 1916 Fratellini a Medrano (dal 1923 passati all’Hiver), 1918 Dario e Bario, 1920-30 Antonet e Beby, 1922 Rhum, 1925 Boulicot e Recordier, Andreu Rivels, 1926 Charlie e J. M. Cairoli. 15 Il numero di Grock è stato integralmente filmato e occupa la seconda parte del film tedesco Grock di Carl Boese (1931), girato in varie versioni (una in italiano) e distribuito con vari titoli. Per la storia di Grock, cfr. le tre biografie dello stesso GROCK oltre a DIERCKSEN, RÉMY 1945. 16 Per le origini del circo sovietico: Dimitriev, 1963, Cneer, 1979 e 2000; Glagoleva, Gurevich, Hammastrom ’83, Kusnetzov.

503

17 KUSNETZOV, 1930; DIMITRIEV, 1977, ROMANOVSKI. 18 Cfr. DUROV, STRELTSOV, URASOV e Jando D., Une dynastie de cirque russe: les Durov,

in «Le Cirque dans l’Univers», n. 211/’03. 19 Su Lazarenko, la clownerie politica pre-sovietica e il rapporto circo-avanguardie, cfr.: MAKAROV, RUDNITSKY, SCHECHTER 85 e 98. Cfr. A. la raccolta di saggi di AA. Vv., Popular Entertainments and the Avant-Garde, in «The Drama Review», n. 18/1974. 20 Lunacharsky, La missione rinnovata del circo (t.l.), in «Westnik Teatra», n.3/1919. Sempre di L., v. A. Sul Circo (t.l.), in «Cˇirk», n. 1/1925. 21 Decreto del Soviet dei Commissari del Popolo Dell’unificazione dei teatri (t.l.), 26/8/’19; all’art. 23: «I circhi devono essere purificati dai cattivi elementi. La qualità artistica deve essere migliorata». Cfr. RAWITSCH. 22 Il testo completo di Mosca Brucia! è apparso in «The Drama Review», n. 19/1974 nella sezione The Agit Prop and Circus Plays of Vladimir Mayakovsky, a c. di F. Deak. Cfr.: RUDINSKY; De Ritis R. Aux origines de la mise en piste 1935-1975, e Picot-Vallin B., La recherche de l’interpréte complet; entrambi in WALLON. 23 Uno studio specifico sulla regia circense sovietica a partire dagli anni ’20 è NEMCHINSKI. V. a. GLAGOLEVA. 24 Cfr. MAUCLAIR 2002 e De Ritis, R., Belve di Mosca I e II, in «Circo», 9 e 10/’96.

12. L’EPOCA

DEL CIRCO ITINERANTE

1Il tour europeo si svolge dall’ottobre 1897 all’ottobre 1902. Cfr. CONKLIN, GOURARIEV;

504

Denis, D., Barnum & Bailey en France, in «Le Cirque dans l’Univers», n. 205/’02; Pfening, F., The Influence of the Circus on European Armys, in «Bandwagon», jul.aug./’03; Conover, R., Barnum & Bailey European Show Train in «Bandwagon», mar.-apr./’59. 2 Tra i primi tendoni europei, fu fondato nel 1865 dal direttore Pierre Corty (m. 1888), genero di Dejean e suocero di Dominik Althoff (1830-1887). È il figlio di quest’ultimo, Pierre Althoff, a farne un’impresa di qualità nel primo ’900, fino al fallimento nel ’27. 3 Carl Krone (1870-1943), domatore allievo di August Mölker (della “scuola” di Wilhelm Hagenbeck), fonda nel 1892 una propria ménagerie attiva in tutta Europa. Con vari nomi (inizialmente “Ménagerie Continental”, poi “Charles” o “Dompteur Charles Zoologischer Circus”), diventa Circus Charles nel 1905. Nel 1914 prende il nome definitivo di Circus Krone. Nel 2007 è l’unico a esistere dei grandi circhi di quest’epoca, il maggiore d’Europa tra quelli itineranti. 4 Questo modello di spazio scenico modulabile resterà molto popolare in Germania: nel secondo dopoguerra (mentre Krone torna alla pista unica) il rehnban-circus viene rilanciato da Franz Althoff, sul cui esempio sarà adattato in Italia nel 1960 dai fratelli Togni con il circo Heros e l’American Circus (cfr. 13.5). 5 Alexandre (1900-54), Joseph (1904-87), Firmin (1905-80), Sampion N. (1910-67) Bouglione restano tra i più importanti domatori e direttori della storia del circo francese, rendendo il loro cognome il più celebre di tutti. I loro figli hanno oggi dato vita ad una delle dinastie più numerose del secolo. 6 Cfr. BOUGLIONE, COUTET, DENIS, JANDO, JACOB 2002; JANDO; MAUCLAIR 2002 E 2003; PARET; e Paret, P., La storia del circo francese, in «Circo», da 8-11/93 a 1-5/94. 7 Il circo Bureau, diretto dalla famiglia Glasner, è attivo fino al 1953. Da ricordare anche i tentativi di tournées sotto tendone dei due grandi stabili parigini: uno pro-

dotto dal Cirque d’Hiver col nome Cirque Fratellini (1931-32), e l’altro di Medrano (1932-37): due nomi che, si scoprirà, sono sconosciuti oltre Parigi. Circo minore ma longevo e molto popolare fu il Lamy (1836-1952) 8 Il circo Grüss nasce dopo che nel 1854 l’artigiano alsaziano Andrè Gruss si unisce alla troupe Martinetti-Farina. Diverrà un circo di rilievo nel secondo dopoguerra (cfr. 13.3). 9 Il fondatori di questo circo, alla quinta generazione di funamboli, sono i fratelli Louis, Rodolphe, Charles e Eugéne e Fréderic Knie. Ai figli di quest’ultimo, Frédy (1920-2002) e Rolf (1921-2000) si dovrà il prestigio del circo Knie del secondo dopoguerra. Entrambi importanti addestratori, sono considerati tra i più influenti direttori circensi del Novecento. 10 Aristide Togni (1853-1924), borghese fuggito con l’acrobata Teresa De Bianchi, aveva creato nel 1882 il “Circo Vittoria”. 11 Giuseppe Gatti aveva sposato la vedova di Natale Guillaume, e nel 1898 si era associato con Carlo Manetti. L’impresa circense si chiama Rodolfo GuillaumeGiuseppe Gatti fino al 1917, poi Gatti e Manetti. 12 Cfr. GUNTHER, KUSNETZOV, SARRASANI. 13 Nel 1890 il Barnum & Bailey aveva acquistato il circo di Adam Forepaugh (poi chiuso nel 1894), il suo più grande concorrente. Nel 1893 Bailey compra un altro importante circo in crisi, quello dei fratelli Sells, aprendo nel 1896 il circo Forepaugh & Sells. Nel 1894 Bailey diventa proprietario anche dello show di Buffalo Bill. 14 Albert (1852-1916), August (?), Otto (1858-1911), Alfred (1861-1919), Charles (1863-1926), John (1866-1936), e Ida (?) Ringling. Il loro cognome è considerato come una delle massime icone della cultura popolare americana del Novecento. 15 Per Bailey e la sua epoca cfr. BRADNA, CONKLIN, FELLOWS. Appunti e registri di Bailey si trovano al Ringling Museum di Sarasota e nel fondo McCaddon dell’Università di Princeton. 16 E con esso, anche gli altri due grandi circhi di proprietà di Bailey: il Forepaugh & Sells (chiuso nel 1911) e il Buffalo Bill (che continua fino al 1917). 17 Per il primo periodo storico del circo Ringling (1906-1937), cfr.: APPS, BRADNA, MAY, CHINDHAL, CULHANE, DURANT, FOX 1959, JACOB 2006, PLOWDEN 1967. 18 Capeggiata dall’uomo d’affari Jerry Mugivan, la Corporation comprendeva i circhi Sparks, Al G. Barnes, John Robinson, Gollmar, Hagembeck-Wallace, Sells-Floto, a loro volta frutto di precedenti fusioni. Si trattava di un capitale comprendente 4500 dipendenti, 2000 animali e 150 vagoni ferroviari. 19 Un solo colpo d’occhio offre per venti minuti i leoni di Dutch Ricardo, le tigri di Rudolph Mathies, gli orsi polari di Cristian Shroder, le tigri di Mabel Stark. È forse la più ampia presentazione di animali feroci nella storia del circo. 20 Alfred Court (1883-1977) nel 1940 è ingaggiato dal circo Ringling-Barnum, che provvede all’imbarco dalla Francia in America delle sue 60 belve e 14 assistenti. In questi anni crea numerosi gruppi tra i numeri di animali più importanti della storia del circo. 21 Per circo e nazismo, cfr. Das varietè in NS-Zeit IN JANSEN; e Jansen, W.-Putz, K.H., Varietè untem Hakenkreutz, in Aa.Vv., Und abends in die Scala. Berlin, 1991; Gunther in [RONCALLI]; KUSNETZOV. 22 L’insegna Willy Hagenbeck sarà ripresa da altri. Nel 1935 Margarethe Kreiser apre un nuovo circo col nome Barum.

505

13. LA

CRISI D’IDENTITÀ DEL DOPOGUERRA

1 Nel 1946 prende a viaggiare il circo Albert Rancy (dal 1964 “Sabine Rancy”), con

506

tournées in provincia. Nello stesso anno parte il circo Napolèon Rancy, con una costruzione semistabile per lunghe permanenze in grandi città. Per i Grüss cfr. 13.3. 2 I grandi circhi olandesi degli anni ’50 sono: Boltini, Mikkenie, Mullens (a tre piste), Strassburger, Van Bever. Ma resteranno in voga per non più di un decennio. In Belgio: Demuynk, De Jonghe, Semay. In Austria: Rebernigg, Medrano, Belli. 3 Oltre al circo Scott, nato nel 1937, c’erano lo Zoo-Circus di Trolle Rhodin (dal ’41 al 1964), e il circo Scala dei Johnasson (dal 1945 agli anni ’80). Il circo Schumann viaggiava già dal 1916 (fino al 1956). In Danimarca negli anni ’40 acquista importanza il circo Benneweis, ancora attivo nel 2007. 4 La Ddr dal 1951 rileva tre grandi circhi: quello di J. Busch, l’Aeros (nato nel 1941), e il Barlay, rinominato Berolina. 5 Falliscono nell’immediato dopoguerra Gleich (1951), Apollo (1955), e il Carl Hagembeck di Lorenz H. (1953), da tempo operante in Asia. Il nome Willy Hagembeck passa attraverso varie ditte. Altri nomi Hagenbeck sono usati da Adolf Althoff. Il Sarrasani, estintosi in Argentina, è ripreso come insegna da Fritz Mey (1956). Il Barum-Kreiser sopravvive in forma modesta fino al 1968, per poi passare ad altri. Per qualche anno sopravvive un tendone di Paula Busch, orfana dello stabile berlinese, che nel ’63 verrà fuso al circo Roland, fondato nel ’48 da Willi Auderen. 6 Uno dei due rami Althoff si scinde nel 1946 in tre circhi: Williams (di Carola Althoff e Harry Williams), Franz Althoff (entrambi fino al 1968) e quello più modesto di Adolf Althoff (fino al 1967, con varie insegne). Da un altro ramo prende vita nel 1939 il circo di Carl Althoff, con i figli Corty e Giovanni. 7 Su North e i suoi anni di gestione, cfr. CULHANE, ALBRECHT 1989, HAMMASTROM 1992, NORTH, PLOWDEN, TAYLOR 1956. 8 I più importanti motorized circuses tra gli anni ’50 e ’60 sono: Cristiani bros., Kelly-Miller, Clyde Beatty-Cole Bros. 9 Per ricordare solo i titoli più noti: Il più grande spettacolo del mondo di C.B. De Mille, con C. Heston (The Greatest Show on Earth, 1952); Trapezio di Carol Reed, con B. Lancaster , T. Curtis e G. Lollobrigida (Trapeze, 1955); Il circo a tre piste di J. Pevney, con J. Lewis (The 3-ring Circus, 1954); Il principe del circo di M. Kidd, con D. Kaye (Merry Andrew, 1958); Il grande circo di J.M. Newman, con V. Mature (The Big Circus, 1959); La più bella ragazza del mondo di C. Walters, con D. Day e J. Durante (Jumbo, 1962); Il circo e la sua grande avventura di H. Hataway, con J. Wayne e C. Cardinale (Circus World, 1964 ). 10 I tre circhi dal ’53 sono: Circo Fratelli Togni, di Cesare e Oscar Togni (che nel 1956 è chiamato Circo Massimo a 3 piste); il circo della famiglia di Ferdinando Togni con numerose insegne (cfr. 13.5 e spec. n. 16); il circo Darix Togni (di Darix e Wioris). 11 Per alcuni anni il circo ha il nome di “Circo italo-danese Palmiri-Benneweis”, usando animali e domatori del maggior circo danese. 12 La prima è il Circo Fratelli Orfei (Liana Nando, Rinaldo); Moira fonda il proprio circo nel ’62 (dopo una breve società con le sorelle Medrano). Inoltre Miranda Orfei, sorella di Orlando, fonda un circo nel 1968. 13 L’ultima stagione del Medrano nel 1961 avviene in società con Walter Nones per il lancio del primo circo di Moira Orfei; ma soprattutto il nome viene rilevato dalla famiglia Casartelli nel 1972, che ne prolungherà i successi.

14 Cfr. Pandini, R., Circhi italiani tipo esportazione, in «Circo», nn. 6,7,9/1987. 15 Arturo Castilla, dopo studi di belle arti, aveva formato un trio di clown giungen-

do al circo Feijo. Da qui in società con il cognato Manuel Feijo fonda nel 1949 il Circo Americano (nome che il loro comune suocero Mariano Reixach aveva usato negli anni ’20 per un circo stabile a Madrid). Nel 1960 Castilla assume anche la direzione del circo stabile Price di Madrid. Nel 1962 l’impresa Feijo-Castilla lancia un altro tendone, il Circo Monumental, mentre in Germania realizza lo Spanischer National Circus in società con Williams (1962-65). Dal 1963, lega il concetto di Circo Americano alla famiglia Togni tra Italia e Spagna. Nel 1970, in seguito alla demolizione del Price, Castilla crea un tendone “Price” itinerante, e nel periodo invernale una nuova serie del “Festival Mundial del Circo” (1970-80) nei palazzi dello sport di Madrid e Barcellona, oltre ad innumerevoli produzioni di operetta e rivista. Cfr. CASTILLA, ELIAS, HIGUERA; Rocamora, P., Arturo Castilla ou le cirque d’auteur in «Cirque» 3/97; De Ritis, R., Stars and Stripes from Spain, in «De Piste», 12/2007. 16 Il circo di Ferdinando Togni (con i figli Enis, Brino e Willy), dal 1957 effettua tournèes in combinazione col tedesco Williams. Nel 1961 i Togni creano un circoippodromo col nome di Circus Heros, tra Italia, Germania e Olanda, fino al 1969. Nel corso degli anni, l’insegna Heros è alternata sul tendone dei Togni con altre diverse: Circo Americano (dal 1963, in società con Castilla); Circo di Madrid (tra il 1966 e il 1968, con Castilla); Circo di Berlino (tra il ’66 e ’68, con Williams); Circo de Mexico (1971-72); Billy Smart’s (1975). Dal 1976 i Togni utilizzano per sempre l’insegna di Circo Americano, definitivamente ceduta loro da Castilla, e da essi ancora usata nel 2008. 17 Cfr. VARDIAN; GLAGOLEVA; HAMMARSTROM ’95; Orecchia, R., Circo Sovietico, antesignano della perestrojka, in «Circo» 12/88, 1/89, 2/89, 3/89. 18 Cfr. Serena A., 70 anni di scuola russa, in «Circo», 12/97. 19 I circensi si interessano allo spettacolo sul ghiaccio dopo la voga nei palasport europei della rivista americana Holiday on Ice (creata nel 1945 da Morris Chalfen). Nel 1951 il tedesco Hans Thelen aveva creato lo show (non circense) Scala EisRevue sotto un tendone in Germania, Italia e Francia. Il francese Charles Spiessert, proprietario del circo Pinder, sembra il primo circense ad affidargli la realizzazione di una pista di ghiaccio con uno show di pattinaggio da affiancare a quella tradizionale: Pinder on Ice (1953-55). Negli stessi anni, i concorrenti Bouglione presentano sempre in Francia Circus on Ice. Un’edizione di circo sul ghiaccio è proposta poi in Svezia da Throlle Rhodin (Rapsody on Ice, 1954), e in Spagna dal Circo Americano sempre nel 1954 (Skating Circus de Nueva York), e ancora Pinder (’60). Nel 1960 nasce il primo spettacolo in cui i numeri circensi sono realmente adattati al pattinaggio: è Cavalcade sur Glace, al Medrano di Parigi, a cui si ispirano certamente i sovietici. In seguito il più compiuto esempio al mondo si deve a Moira Orfei (Circo sul Ghiaccio, 1969-79), poi ceduto in Spagna ad Angel Cristo (Circo sobre Hielo, 1973), emulato in Germania da Carl Althoff (1974), in Gran Bretagna da Gerry Cottle (1975) e da numerosi altri, fino a Lidia Togni nel 2006. Oggi esistono numerose compagnie russe di circhi sul ghiaccio. 20 Cfr. MAUCLAIR 2002; Serena A., La storia del circo mongolo, in «Circo» 2/99; Günther E., Nicht nur “schlangenmädchen”, in «Circus Zeitung», 10/94. 21 Cfr. Serena, A., La storia del circo coreano, in «Circo», 7/96. 22 Allievo di Art Concello, Fay Alexander doppia Cornel Wilde ne Il più grande

507

spettacolo del mondo, appena prima di riuscire il triplo nel 1952, con il porteur Ed Ward jr. Entrambi doppieranno Tony Curtis e Burt Lancaster in Trapezio, il film che mitizza il “triplo”. Alexander incontrerà un altro grande porteur in Bob Yerkes. Nel 1955, il triplo è nuovamente compiuto da Tony Steele: che riuscirà per primo al mondo il triplo e mezzo nel 1962, nelle braccia di Lee Stath. Quest’ultimo, uno dei più grandi porteur di sempre, aveva a sua volta “preso” nel 1959 il triplo di Roger Rodriguez con la propria troupe, i Marylees. Tra i primi pionieri sudamericani del triplo vi sono Lalo Palacios nel 1958 e Francisco Navas dei Flying Gibsons. L’exploit diventa un must delle grandi troupes. Nel caso della scuola italiana, si distingue più il virtuosismo di stile che il singolo exploit. I primi ad affermarsi nel dopoguerra erano stati i Togni, con i trapezi incrociati con due porteurs, ispirati agli Otaris. Tra essi si distinguono Oscar e Cesare. Dal loro ramo emergono negli anni ‘60 i talenti della famiglia Jarz: sopra tutti, i fenomeni Luciano Jarz ed Enzo Cardona, capaci entrambi di una doppia piroetta e mezzo “di ritorno” dal trapezio, o salti mortali al di sopra del trapezio. 23 Frèdy Knie e Albert Schumann sono considerati i due più grandi addestratori di cavalli del secondo Novecento. Accomunati dalla particolarità degli ingaggi invernali a Londra e dal cambio di programma dei loro rispettivi circhi, si trovano entrambi a creare una quantità impressionate di numeri. Albert Schumann presenta per la prima volta i cavalli in libertà nel 1937 per Mills all’Olympia di Londra (la cui cavalleria, guidata da Mroczowsky, era partita al Ringling in America). Resterà a Londra per quasi tutti gli inverni fino al 1968 (con Mills e poi all’Harringay con Tom Arnold dal ’47 al ’53, poi ancora Mills); in alternanza con le stagioni del circo Schumann in Svezia. In questi decenni la sua cavalleria è considerata la migliore del mondo. La creatività si deve alla moglie Paulina Schumann, per le innovative idee di musiche e costumi, e a Clem Butson, regista dell’Harringay (memorabile Fiesta in Sevilla nel 1952). La tendenza tematica e alla messa in scena delle presentazioni equestri influenza anche Frédy Knie. Questi giunge giovanissimo nel 1930 da Mills all’Olympia di Londra come cavallerizzo di alta scuola, e vi torna nel 1950 con un gruppo di dodici cavalli lipizzani, mentre anima ogni anno i programmi del proprio circo in Svizzera. A differenza di Schumann, che proviene da generazioni di arte equestre, Knie sviluppa quasi da autodidatta un proprio metodo di addestramento, basato sulla ricompensa: suo erede è oggi il figlio Frédy jun. Una terza scuola può considerarsi quella tedesca, che ha come riferimento lo svedese Carl Gustav Adolf Håkansson Petoletti. Questi (proveniente dagli Hagenbeck) era giunto nel 1928 al Circo Krone impostandovi lo stile di addestramento dei cavalli lipizzani. Negli anni ’50 e ‘60 il figlio Fred passerà nei circhi Williams e Togni, influenzandone profondamente le presentazioni equestri.

14. DAL

NEO-GIGANTISMO ALLA ROUTINE

1 Cfr. HAMMASTROM ’99 e De Ritis, R., Affari al Colosseo, in «Circo», 12/97. 2 Cfr. Grosscurth E., Gunther Gebel Williams, in «Circus Zeitung», 11/01; De Ritis R.,

508

Gunther. La leggenda non muore, in «Circo», 10/01; Albrecht E., He Was a Caesar: When Comes Such Another?, in «Spectacle Magazine», n.4/01. 3 Cfr. Pandini, R. La grande stagione del circo italiano, in «Circo», 3,4, 5/87. 4 Per la storia dei circhi sul ghiaccio cfr. la n. 19, cap. 13. Per quanto riguarda il circo acquatico, che come si è visto ha avuto enorme diffusione ovunque per tutto

il XIX sec. (cfr. n.16. cap. 9), ha un rilancio negli anni ’50 con la nascita dei grandi tendoni. Il primo del dopoguerra è probabilmente nel ’51 l’olandese Strassburger. Tale impianto da tournèe è rilevato da Knie in Svizzera (’52), in Svezia da Rhodin (’54). Amar in Francia (1954). Nel 1955, col fallimento in Italia del tedesco Apollo, un impianto acquatico è rilevato da Darix Togni, passando poi a Ferdinando Togni e Cesare Togni negli anni a seguire. E poi Canestrelli Italia (1963-65 ca.), ancora Knie (1969), Darix Togni (1970), Benneweis in Danimarca (1970), Jean Richard in Francia (1976), Arnardo in Norvegia (1985), Knie (1989), Fliegenpilz in Germania (1992), Casartelli (anni ’90) e Gibault-Medrano in Francia (2000), Arena in Danimarca (2006), e regolarmente nei circhi sovietici. In Inghilterra, gli ultimi due circhi stabili sopravvissuti, ancora nel 2007 presentano regolarmente pantomime acquatiche con impianti fissi: il Tower di Blackpool e l’Hippodrome di Great Yarmouth. Senza dimenticare la produzione stabile “O” del Cirque du Soleil, nata a Las Vegas nel 1989. Una piscina funzionante si trova ancora sotto la pista del Cirque d’Hiver a Parigi. 5 Bassano, E., Dalla pista di ghiaccio alla pantomima acquatica, in «Circo», 1/70. 6 Tra gli altri: Cretzu, Malevolti, Parvanovi, Dukovi, Kovatchevi, Oblocki. 7 Precursore ne è la doppia sbarra elastica. Introdotta dai greci alle Olimpiadi di Melbourne nel ’56, è usata in circo per la prima volta nel ’58 dai polacchi Meckners, poi al circo Ringling. Negli anni ’60 la tecnica è esaltata da Vilen Solokin a Mosca, ed in Europa da Eduardo Raspini col suo Trio Rennos. Poco dopo, la prima barra in fibra di vetro è usata per la prima volta al circo dai russi: donde, forse, il nome tecnico barra russa. Cfr. Hamel C., La barre russe, I e II in «Le Cirque dans l’Univers», nn. 183 e 184/97. 8 Donovan Martinez, formatosi con i tre massimi porteurs della vecchia scuola (Bob Yerkes, Armando Farfan, Lee Stath) e poi con Sandro Miletti, riesce come Steele a compiere un triplo e mezzo, e per anni è l’unico al mondo a “girare” un perfetto quadruplo ma mancando il porteur di pochi millimetri. Tra le altre troupes di successo negli anni ’70: Michaels, Terrels-Cavaretta, Caceres, Padillas, Togni-Marilees, Raphaels, Redpaths, Souza, Tabares, Bells, Gibsons-Navas. 9 Tra le migliori famiglie di clowns degli anni ’70 si ricordano gli Ernestos, Forgione, Folco, Alexis, Perez, Brizio, Bentos, French, Chabri, Di Lello, Zacchini. 10 Unico precedente di rinoceronte addestrato in un circo è quello di Dan Rice, negli Usa, nel 1854. In seguito un altro caso di addestramento (pur non circense) è quello del rinoceronte usato per i film di Tarzan sui set della Mgm a Hollywood negli anni ’30. Dagli anni ’40, circhi europei come Krone o Pinder esibivano un rinoceronte nello zoo.

15. IL

CIRCO LIBERATO

1 Popular Entertainments, n. spec. n.18/1974. V.a ALBRECHT 1995, SCHECHTER 1985 e

2003. 2 Cfr. DE MARINIS, SCHECHTER 2003. 3 La prima esperienza al mondo è probabilmente il Flying High Circus alla Florida State University nel 1947, a cui seguono numerose altre in America. 4 Paul, B., programma di sala 2006 per il trentennale del Circus Roncalli. 5 La scelta è ispirata da un personaggio di un racconto di Heller (Sarah Roncalli), a sua volta forse condizionato paradossalmente dal cognome di Papa Giovanni XXIII. 6 Eberstaller, G., Roncalli zum Ersten. In RONCALLI; HELLER.

509

16. LA

SVOLTA DEGLI ANNI ’80

1 I titoli degli anni ’80: The First Circus in America (’85), Carnivals and Mardi Gras

510

(’86), 1001 Nights at Big Apple Circus (’87), The Big Apple Circus Meets the Monkey King (’88), Grandma Goes West (’89). Tutti con la regia di Paul Binder. Cfr. a. JANDO 2002. 2 Per la storia completa di Roncalli, cfr. [RONCALLI], PAUL. V.a. Grosscurth, H., 25 Jahre Circus Roncalli, in «Circus Zeitung», 10/2001, e interv. A B.Paul in id., 3/96. 3 David Shiner è considerato uno dei più influenti clowns di fine ‘900 tra circo e teatro. Lanciato dal Circo Roncalli, trionfa nel ’91 al Cirque du Soleil prima di vincere un Tony Award a Broadway con Fool Moon assieme a Bill Irwin. Nel 2007 Shiner torna al Soleil, questa volta come regista di Kooza. 4 In questo c’è una vera e propria “scuola” di svizzeri: dopo i grandi Dimitri e Emil, emergono Pic (che introduce nel 1980 il numero delle bolle di sapone), il duo Illi e Olli, Trac, Jean Paul. 5 Nel nord d’Italia nell’84 ha vita un tentativo di brevissima durata sul modello di Roncalli: il Clown’s Circus della famiglia Cavedo, su idea di Antonio Giarola. 6 20 jahre Roncalli und die Zukunft des Circus. Intervista a Bernhard Paul in «Circus Zeitung», 3/96. 7 In Janè-Minguet. 8 Cfr. De Ritis, R., La storia del circo inglese, in «Circo», 11/90. 9 In Francia, il circo Amar (Bouglione) si ferma nell’81; nell’82 chiudono i circhi di Bouglione, di Jean Richard e di Rancy. La gestione del Pinder fallisce nell’83 (poi ripresa da altri). Nasce con successo il circo Achille Zavatta, ma sopravvive pochi anni (78-92). 10 Cfr. PARET e Paret, P., Il circo francese sull’orlo del baratro, in Circo, 7/87; De Ritis, R., La storia del circo francese, in id. 6/94. 11 Gli unici circhi a restare integri sono il Circo Americano, Medrano e il Cesare Togni. Gli Orfei si separano nel 1977 (Circo Nando Orfei e Circorama 2000 di Liana e Rinaldo Orfei); Walter Nones dà vita nel 1976 a due diversi circhi (Moira Orfei e, fino all’80, Circo sul Ghiaccio); Livio Togni riprende il nome Darix Togni (1979). 12 Per alcuni anni godono di buon successo alcuni circhi “medi” di cui il migliore è il Miranda Orfei (si ricordano un “falso” Paride Orfei, il circo Wulber “di Berlino” di Vulcanelli, il “Colosseo” della famiglia Zamperla). Il circo Lidia Togni nasce nell’83. 13 Cfr. Pandini R., Circhi italiani tipo esportazione, in «Circo», 6/87. 14 Già nel ’67, mentre in Italia nasceva la prima legge sul circo, un reportage di Dominique Mauclair sul Circo di Mosca spingeva il ministro Duhamel a realizzare un dossier, finito poi lettera morta; è lo stesso ministro che con curiosità ascolta Annie Fratellini e Sylvia Monfort che tra il ’73 e il ’74 danno vita alle le prime due scuole di circo. 15 Il contratto di Grüss era di tipo biennale, e il circo controllato e pagato da un’apposita associazione statale, presieduta da Dominique Mauclair e formata da esperti. 16 Per le nuove forme e le compagnie degli anni ’80 cfr. BEGADI, CIRET, GUY 2001 E 2002, JANÉ-MINGUET 2006, JACOB 2002 [LAROUSSE], MAUCLAIR 2002 E 2003. 17 Il primo nucleo è nel ’76 il provocatorio gruppo Theatre Emportè, in una forma estrema di Commedia dell’Arte. Nel ’79 esso è all’origine del Cirque Aligre, forma parodica della tradizione circense e gitana in cui acquista rilievo il rapporto con i cavalli. 18 In questa scia prende forma l’esperienza del poi celebre medico Hunter “Patch”

Adams (n. 1945). Sull’esperienza di Christensen cfr. Sandell L., Rx for Sick Kids. Send in the Clowns!, in «Biography Magazine», 4/2003. 19 Per le origini del primo C.d.S. cfr.: ALBRECHT 95, BABINSKI, DAVID, BOUDREAULT. 20 In ordine cronologico: Lyon (83), Roma (84), Wu Quiao (87), Wu Han (88), (Liegi (92), Verona (92-94), Gran Premio del Circo (varie sedi italiane, 93-96), Città del Messico (93-94), Massy (93), Stoccolma (95-06), Budapest (96), Mosca (96), Varsavia (96), Enschede (97), Euroclowns-Barcellona (98), Losanna (99), Parigi (01), Grenoble (2003), Anhoi (2003). 21 Premiere Rampe Monte-Carlo (87), Wiesbaden (87), Tournai (87), Verona (89-91), Latina (98). 22 Cfr. Collins, G., A Quadruple for the Flyng Miguel Vasquez, in «The NewYork Times», 11/7/82. V. a. CULHANE.Vazquez eseguirà il quadruplo quasi quotidianamente per oltre dieci anni. In modo più saltuario, negli anni ’90 l’exploit è riuscito anche ad Arturo Padilla, Piotr Serdukov (della troupe Cranes), Reuben Caballero, Gino Maravilla. Le uniche donne a compierlo sono state Jill Page e, seppur con dispositivi diversi da quello classico, alcune volteggiatrici coreane. 23 Cfr. De Ritis, R., Lo scultore dell’aria, in «Circo», 6/94; Collins G., Daring the impossible, in «The New York Times Magazine», 30/12/90. 24 Del ‘78 sono le prime evoluzioni aeree in Corea. Cfr. Hamel C., Les volants coréens, I e II, in «Le Cirque dans l’Univers», nn. 187/97 e 188/98. 25 Cfr. Jando, D., L’évolution di trapeze en ballant, in «Le Cirque dans l’Univers», n. 3/2006. 26 Per la storia delle tigri bianche cfr. «Circus Zeitung», 5/88.

17. GLI

ANNI ’90 FRA POSTMODERNO E NEOCLASSICO

1 Per la storia di Gneushev cfr. ALBRECHT ’89; De Ritis R., Valentin e il circo, in

«Circo», 6/91; Mauclair D., Valentin Gneushev, in «Le Cirque dans l’Univers», n.169/93; Grosscurth, H. Valentin Gneushev, gespracht mit einem circusphilosophen, in «Circus Zeitung», 7/96. Mauclair, D., Valentin Gneuouchev. Un faiseur de Reves, in “Cirque dans l’Univers”, n. 226, 2007. Mauclair, D., Valentin Gneuouchev. Un faiseur de Reves, in “Cirque dans l’Univers”, n. 226, 2007. 2 Quirot, O., L’or de la piste, in «Le Monde», 28/6/90; Richard, J., Togni le magnifique, in «Le Figaro», 30/4/90. Per la riflessione estetica su Florilegio, cfr. Meunier J.P., La coherence et l’image, in Cirque dans l’Univers» n. 174/2004. 3 E’ il caso di Cirque Surreal dell’inglese Circus Gandey (95); dell’olandese-russo Arkadia (96), dello spettacolo di acrobazia mongola Blue Sky (99); dello statunitense Chimera (99), o dell’italiano La principessa delle stelle di Ambra Orfei (98). 4 Alcune cifre sul Cirque du Soleil a fine secolo: nel ’99 i suoi tre tendoni da duemilacinquecento posti ciascuno, e i quattro teatri fissi totalizzano cinquantamila spettatori in un week end. In quindici anni di vita, la compagnia è già stata vista da diciotto milioni di persone in diciotto città del mondo. 5 Cfr. De Ritis R., Circhi italiani: tutti senza rete. Al limite della sopravvivenza, in «Il Giornale dello Spettacolo», 11/4/98; D’Amico, M., Venghino, signori, venghino. Ultimo spettacolo, la guerra del circo, in «La Stampa», 24/4/98. 6 Corliss, R., A Tale of Two Circuses, in «Time», 20/4/2001. 7 La Feld Entertainment è l’unico caso di multinazionale dello spettacolo facente capo ad un unico proprietario. Kenneth Feld giungerà ad occupare nel 2003 il

511

328esimo posto nella classifica Forbes degli uomini più ricchi d’America, con una fortuna personale di 775 milioni di dollari. 8 Barnes C., Escape to family-friendly Kaleidoscape, in «The New York Post», 24/11/2000. Cfr. a. Gunther M., The Greatest Business on Earth, in «Fortune», 8/11/99; Richmond R., Barnum’s Kaleidoscape, in «Variety»», 21/5/99; Collins G., Under the Little Top, a Designer Circus, in «The New York Times», 9/2/99. Per la storia creativa di Kaleidoscape nei dettagli cfr. ALBRECHT ’06. 9 Per il rinnovamento del circo classico americano di fine anni ’90, cfr. ALBRECHT 2006, HAMMASTROM 2007, JACOB 2005. 10 The Golden Age (90), Greetings from Coney Island (91), Goin’Places (92), Carnevale in Venice (93), Granma Meets Mummenschanz (94), Jazzmatazz (95), The Medicine Show (96), 20 Years (97). 11 18.000 dipendenti, di cui 3.300 artisti con 1.200 “numeri”, distribuiti in 100 programmi nel mondo, e nei 65 circhi stabili e 15 tendoni gestiti in patria. Cfr. De Ritis R., Allarme russo, in «Circo», 3/95, e le inchieste in «Circus Zeitung» 12/89, «Cirque dans L’Univers» n. 174/85. 12 Sommers P., Circus on Red Square Embarasses Some Officials, in «The New York Times», 18/10/96; Bollmann, F., Adieu à une ville irréelle, in «Cirque», n.4/96. 13 Cfr. WINKLER; e inchieste su «Circus Zeitung», 1/90 e 3/90; e «Cirque dans l’Univers», n. 192/90. 14 Creata nel 1925 da Otto Fick, la “ruota” diventa un popolare attrezzo ginnico nelle celebrazioni naziste e si diffonde nelle coreografie dei varietà tedeschi. Nel 1980 diventa uno sport ufficiale. È reintrodotta al circo in Francia nel 1989 da Hyacinte Reisch nel saggio di fine anno del Cnac, poi ai circhi Archaos e Que Cirque. Si deve a Wolfgang Bientzler, negli anni ’90, l’evoluzione coreografica e acrobatica con questo dispositivo. 15 I tessuti aerei sono stati inventati tecnicamente da Gerard Fasoli alla scuola francese di Rosny, e presentati per la prima volta in pubblico nel ’95 dall’allieva Isabelle Vaudelle al Festival di Parigi. Per questa stessa artista Andrè Simard concepirà la prima coreografia compiuta con i “tessuti” in Quidam (97) al Cirque du Soleil. 16 «Abbiamo un grande rispetto per chi continua nell’arte di presentare numeri di animali. Perché anche questa per noi è un’arte» (M. Jessner, dir.artistico del Soleil in un’intervista televisiva del 2003 per Raitre). 17 Per la riflessione etica ed estetica su circo e animali, cfr. Mainardi D. intervista in «Circo», 11/95; Ciotta M., s.t., in «Il manifesto» 6/96; De Ritis R. Le Cirque de Noé, in «Arts de la Piste», n. 13/99. Cfr a. Jacob ’02 [Le Cirque] e ’04; HODAK C., 1999, Les Animaux dans la cité: pour une histoire urbaine de la nature, in «Genèses. Sciences sociales et histoire», n. 37, p.156-169. HODAK C., Le bestiaire des pistes, in GUY 2001.

18. IL

CIRCO OLTRE IL CIRCO: NUOVE FORME PER GLI ANNI ’90

1 A Reno, nel Nevada, il creatore delle Cicogne Vilen Golovko è chiamato nel ’98

512

con la sua troupe per creare lo spettacolo aereo Aireus all’Hilton; nel ’99 l’acrobata-produttore Joe Bauer allestisce ad Atlantic City Danger, show di numeri aerei rompicollo. Altre simili imprese ad alto budget si hanno in casinò di tutto il mondo: come nello sfarzoso Sun City in Sudafrica, che nel ’98 produce lo show acrobatico Baletsatsi per la regia di Keith Anderson; o ancora è del ’98 a Blackpool, in Gran Bretagna, lo show aereo Eclipse, che ha come protagonista l’acrobata aereo Vladimir

Kehaial, forgiato da Gneushev, passato al Soleil ed infine una superstar attorniata da un budget degno del Soleil stesso. 2 I fondatori di Eloize sono stati Jeannot Painchaud, Daniel Cyr, Claudette Morin (i primi due, acrobati usciti dalla scuola nazionale di Montreal). 3 Un anno prima, il processo creativo di “O” era stato intercettato a Parigi, nella piscina del Cirque d’Hiver dove va in scena Crescend’O, poi a EuroDisney. Per la creazione di “O” cfr. ALBRECHT ’06 E BABINSKI. 4 Gubernick L., The Circus Gets a Makeover -Under the Big Top, Audiences Sip Champagne, Espresso. Where Are the Elephants? In «The Wall Street Journal», 10/5/2000. 5 Per il rinnovamento del clown negli anni ’90, cfr.: Lèvy, P.r., Le renouveau du clown, in «Le Cirque dans l’Univers» n.176; Grosscurth, H., Schweite Zeiten fur clowns, «Circus Zeitung» 10/2001.; Neue russische clownerie in id., 11/89; De Ritis, R., Vecchia entrata addio? In «Circo», 10/90; Jane J., Pallassos i clowns, in «Avui», 6/9/2004. 6 Crow K., The Power Clown, in «The Wall Street Journal», 12/8/2005. 7 Scarpetta, G., Pourquoi le theatre est-il si ennuyeux?, cit. in GUY 2000. 8 Per il nouveau cirque francese degli anni ’90 e le sue compagnie: CIRET, JACOB 2002 [Larousse] e 2002 [Voyage], MAUCLAIR ’02, GOUBET, GUY ’00, ’01. V. a.: aa.vv. Le Cirque Contemporain, la Piste et la Scène, n. spec. di «Théâtre Aujourd’hui», n. 7/98; Aa.Vv., Cirque(S) aujourd’hui, n.spec. di «Arts de la Piste», n. 21-22/01. 9 Cfr. ROSEMBERG, SERENA-CRISTOFORETTI, GUY 2000, 2001, 2006. 10 Già nell’88, la Federazione francese delle scuole di circo (FNEC) contava 33 organismi: nel ’91 ne saranno 60 coinvolgendo 15mila persone. 11 Come la scuola Chapito di Lisbona, o Carampa a Madrid dal ’94. Così come esistono i circhi giovanili Ellebog ad Amsterdam, il Kindercircus Robinson in Germania, la Piccola Scuola di Circo a Milano dal ’92 e il Ludvika in Svezia.

19. LE

ARTI CIRCENSI DOPO IL

DUEMILA

1 Per considerazioni estetiche sulla nuova attualità dello spettacolo equestre, cfr. Il

dossier di Hovey Burgess in «Spectacle», 4/2004. 2 Il precursore è in Germania Pferdepalast dal ’96. Seguono Appassionata (2004); in Gran Bretagna Spirit of the Horse, (2002); negli Stati Uniti e Canada Cheval Theatre, (’01), Cavalia, 2004, Galop del Circus Flora, (2003), Avaia dei russi-americani Kantemirov (2006); in Ungheria prende vita lo show degli ungheresi Richter, in Italia Cavallomania di Vinicio Togni (2007). 3 Tra i loro record: triplo salto mortale sulla poltrona in equilibrio sul porteur in equilibrio con i trampoli su una sbarra tenuta da altri due. E poi quadruplo salto mortale in plancia. 4 Lalibertè è proprietario al 95 per cento di un impero valutato 1 miliardo e 200 milioni di dollari L’introito annuale del Soleil è ormai di oltre 600 milioni di dollari. Frank S., Le Soleil rises, in «Time», 29/11/2003; Id., Guy Laliberte. Revolution Under the Big Top, in «Time», 26/4/2004. 5 Lord of the rings. Can Cirque du Soleil’s Guy Laliberté keep his circus business fling high?, in «The Economist», 3/2/2005. 6 Rockwell J., Cirque du Soleil: A Beatles Love-In From Las Vegas to Eternity, in «The New York Times», 10/7/2006.

513

7 Cfr. JONES; VASSEUR; Fink J., Entertainment scene shifts, in «Las Vegas Sun», 13/12/2005. 8 Jones C., Is Vegas the New Broadway?, in «The Chicago Tribune», 6/2/2005. 9 Nichols B., Circus leaves lions, 3 rings behind in 21st century, in «USA Today», 7/6/2006. 10 Se in Francia nel 1990 c’erano novantaquattro compagnie, nel 2007 esse sono oltre quattrocento (ma come “compagnie” sono legittimati almeno duecento microorganismi di ricerca). Di queste, poco più di venti sono circhi tradizionali. 11 Cfr. Jando D. in «Spectacle», 6/2002. 12 Boiseau R., Le cirque contemporain appelle à l’aide, in «Le Monde», 15/6/2006. 13 Da un’analisi del Département Etudes et Perspectives – Ministére de la Culture, cit. in «Le Monde», 4/5/2002. 14 Serena, A., L’icona Moira, in «Circo», 6/2002. 15 Nel 2003, sei circhi italiani sono in Grecia, quattro in Spagna, altri in Turchia, Algeria, Slovenia, Croazia. 16 Bianchin, R., Il finto esotico, in «Circo», 11/2003. 17 È il caso ad esempio di circhi divenuti dopo il 2000 d’importanza maggiore, come quelli delle famiglie Errani, Martini, Bizzarro, Dell’Acqua, Carbonari, Coda-Prin, Bellucci, Mavilla, Weber, Zoppis, Zavatta, e altri ancora. È difficile identificare molti di questi circhi con nomi esatti, poiché sono soggetti a frequenti cambi d’insegna. 18 In Italia nel 2006 sono stati stanziati 5.664.652 Milioni di euro sotto la voce circhi, ma la metà è destinata al mondo delle giostre. In Francia, 4.834.341 sono assicurati solo per le scuole di circo e 3.805.000 per le compagnie di ricerca e alcuni progetti tradizionali selezionati. 19 Cristoforetti, G., Il circo ariano e il circo meticcio,in «Juggling», n. 20/2002; De Ritis, R., Pista Nostra, in «Arts de la Piste», 4/2001.

20. CONCLUSIONI

DI INIZIO MILLENNIO

1 Rothstein E., Ringling Brothers and Barnum & Bailey Circus Play Madison Square

Garden, in The New York Times, 26/4/2006.

514

TABELLE

LUOGHI PRE-CIRCENSI OCCIDENTALI

958 1123 1462 1560 1587 1595 1599 1616 1618 1628 1678 1683 1700 1712 1735 1755 1758 1759 1763 1766 1768 1769 1772 1775 1776 1779 1779 1780 1782 1783 1791 1792 1795 1807 1808 1813 1820 1825

516

Spettacolo acrobatico, di varietà o di animali Parigi, Fiera di S.Denis Parigi, Fiera di S.Germain Londra, Fiera di S.Bartolomeo Londra, Fiera di Southwark Londra, arene per spettacoli e combattimenti di tori e cani sul bankside Londra, teatro Rose Parigi, spettacoli di commedia italiana nelle fiere Londra, teatri Swann, Fortune

Spettacolo equestre

Firenze, spettacoli equestri in Piazza S.Croce Parma, Teatro Farnese Norimberga, arena polivalente Fechthaus Parigi, primo teatro di fiera con la compagnia Alard Londra, teatro Sadler’s Wells Londra, prime pantomime al Drury Lane Londra, Vauxhall Gardens Vienna, maneggio della Scuola Spagnola di Equitazione Vienna, Hetz Amphiteater sul modello elisabettiano Londra, pub Three Hats: spettacoli equestri di T.Johnson Parigi, teatro acrobatico di J.B. Nicolet Parigi, fiera di s.Ovide Londra, pub Three Hats: spettacoli equestri di T.Price Londra, arena acrobatica ed equestre di Walton Londra, scuola-arena equestre di Astley Parigi, Ambigu-Comique di Audinot Londra, Riding School di Astley con cavallerizzi e acrobati Londra, arena “British Riding Academy” di Hughes Parigi, Cirque Royal al Jardin de Luxembourg Germania, F.P. Nicolet viaggia con un serraglio Londra, Astley’s Amphitheatre Riding House è il primo circo coperto della storia Barcellona, circo equestre di Balp Vienna, spettacoli circensi di Juan Portè al Mehlmarkt Londra, teatro-circo Royal Circus Parigi, l’anfiteatro di Astley è il primo circo sul continente Rotterdam, fondazione del serraglio Van Aken Philadelphia, l’anfiteatro di J.B.Ricketts è il primo circo in America Danimarca, anfiteatro equestre di Price Parigi, teatro-circo Cirque Olimpique Vienna, Circus Gymnasticus Gran Bretagna, serraglio ambulante Wombwell Nordamerica, primi serragli itineranti Nordamerica, prime fusioni tra serragli e compagnie equestri europee Nordamerica, J.P.Brown usa il primo tendone da circo itinerante

517

1790

1800

1810

1820

1830

1840

1850

1860

1870

1880

1890

1900

1910

1920

1930

1940

1950

1960

1970

Londra ASTLEY’S: I (1779-94 ), II (1795-1803) III (in pietra, 1804-41), IV(1843-93) Londra ROYAL CIRCUS 1782-1810 Parigi ASTLEY (1783-91) (FRANCONI 1791-1802) Parigi OLYMPIQUE I(07-16), II (17-26) III(27 -46) Vienna GYMNASTICUS (1807-52) Parigi CHAMPS- E LYSEES (1841 – 97) S.Pietroburgo IMPERIAL(49-54) Berlino (circo della Friedrichstrasse) ‘50-54 RENZ 54-69 Parigi NAPOLEON (1852) poi CIRQUE D’H IVER Vienna RENZ (1853-1945) Mosca (primo circo di Mosca) 1853-68 68-96 HINNE New York HIPPOTHEATRON BARNUM HIPPODROME MADISON SQUARE GARDEN (64-72) (73-89) 1890S.Pietroburgo HINNE’ CINISELLI 1877-20 CIRCO DI LENINGRADO 1920 (65-76) Amsterdam CARRE’ 1865 Londra HENGLER ’S (71-1910) Parigi FERNANDO(74-97) MEDRANO (98-63) Bruxelles ROYAL (1878) Berlino RENZ (79-97) SCHUMANN (97-18) Mosca (circo del boul.Svetnoi) SALAMONSKY 1880 CIRCO DI MOSCA 1920 NIKULIN 1989 Madrid P RICE (80-1970) Parigi NOUVEAU CIRQUE ( 86-1926) Stoccolma (circo del Djugarden) 1892 SCHUMANN (1919-57) Berlino BUSCH (1895-35) Dresda SARRASANI (1912-45) München KRONE 1919-

1780

PRINCIPALI CIRCHI STABILI (1800-1920) 2005

518 1905

1910

1915

1920

1925

1930

1935

1940

1945

1950

1960

1965

1975

1980

1990

1995

PINDER Edelstein (1983- )

1985

SIEMONEIT-BARUM (1970- )

J.Richard (72-83)

1970

2000

FERDINANDO T OGNI ( W ILLIAMS, HEROS , 56’-65), AMERICANO(63- ) DARIX T OGNI F LORILEGIO (1990- ) CESARE TOGNI (1956-89), POI IN COMBINAZIONE CON ALTRI CIRCHI

1955

CIRCO NAZIONALE KNIE (Svizzera, 1919) COURT (Francia, ‘21-32) MEDRANO (Austria, 1920-68) B OUGLIONE (Francia, 1924-82), poi sola attività stabile a Parigi, Cirque d’Hiver Bouglione AMAR (Francia, 1924-73) M ILLS (G.Bretagna, 1930-64) SCOTT (Svezia, 1937- ) FRANZ ALTHOFF(37-69) FAMIGLIA DOMINIK ALTHOFF W ILLIAMS (CAROLAALTHOFF 46-68) (1905 ca., Germania) ADOLF ALTHOFF (37-67) CORTY ALTHOFF(’74-)

Dinastia KNIE (1807 )

RANCY (Francia, 1856 -1982) SANGER (G.Bretagna, 1860ca.-1920ca.) PINDER (G.Bretagna/Francia, 1854) PINDER Spessardy (1928-72) CORTY -A LTHOFF(Germania, 1853-1927) Tournée di 2ο Tournée di BARNUM E B UFFALO BAILEY B ILL (1897-1902) (1903-06) SARRASANI (Germania, 1902-34) KLUDSKY (VV.Europa, 1903-34) JACOB BUSCH (Germania, 1903-52) KRONE (Germania, 1905 - ) KREISER-BARUM (Germania-1905 ca.) M.KREISER -BARUM (1935-68) W. HAGENBECK(Germania, 1907-33) CARL HAGENBECK (Germania, Asia 1916-52) GLEICH (Germ., ‘19-37) Dinastia TOGNI (1880) CIRCO NAZIONALE T OGNI ( Italia, 1919-56)

1900

PRINCIPALI CIRCHI ITINERANTI EUROPEI DEL XX SECOLO

519

MOIRA O RFEI ’62 ORLANDO O RFEI (60-68) LIANA -NANDO RINALDO NANDO O RFEI (’77(60-77) L IANA-RINALDO (77-87)

GIOVANNI ALTHOFF (’74-) BUSCH-ROLAND (Germania ,1963-)

F EJIO -C ASTILLA (vv.insegne, Spagna,’46-76 ca.) SMART (Gran Bretagna, 46-71) P ALMIRI (Italia, 47-68) ’48-60ca. RADIO CIRCUS CIRQUE A L’ANCIENNE ALEXIS G RUSS (1974 -) 60ca. GRAND CIRQUE DE F RANCE SARRASANI (DIR.MEY, Germania, 1954- ) FAMIGLIA CASARTELLI (1930 ca., Italia) COLISEUM (’58) MEDRANO (72-) J. RICHARD(Francia, 68-82) GERRY COTTLE (G.Bretagna, ’71-98 ca.) JACOBI -A LTHOFF(Austria, ’74-94) RONCALLI (Germania,’76 -) WILLIAMS (Germania, ’77-) ZAVATTA (Francia,’78-’92) ARLETTE G RUSS (Francia,’86 -) F LIC F LAC (Germania, ’86-)

P.B USCH (41-52) ROLAND (’48) BENNEWEIS ( C.1945- ) CHIPPERFIELD(1945-64) CIRCO NAZ.O RFEI‘45 ca.

N.b.: Quando si segnalano dinastie molto antiche,la data di origine di un circo (indicata col cambio di colore) corrisponde all’inizio di una sua importanza nazionale e internazionale. Sono frequentissimi, se non regolari, i passaggi di insegne tra proprietari dopo il fallimento o la chiusura di un circo. Si sono considerati solo i casi più importanti, anche qui indicati col cambio di colore.

DINASTIA GRUSS (1854, Francia)

DINASTIA O RFEI (1880 CA., Italia)

DINASTIA BENNEWEIS (1880 ca., Danimarca) DINASTIA CHIPPERFIELD (1840 ca. Gran Bretagna)

FAMIGLIA RUDOLF ALTHOFF (1900 ca,Germania)

520 1800

1810

PRINCIPALI CIRCHI ITINERANTI NEGLI U.S.A.

1820 1830 1840 1850 1860 1870 1880 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 Invenzione del tendone Inizio del circo a tre piste e diffusione del trasporto ferroviario 1825 -? J.P. Brown ’26 Howes-Turner ’50-75 G.Bailey ’28 Howes (dal ’50 Great London) ’79 J.A.Bailey ’80 Barnum-Coup e J.A.Bailey ’60ca. ’71 Barnume Castello Coup 1916, Ringling Bros and Barnum e Bailey Combined “The Greatest Show On Earth” ’84 Ringling bros. ’34-’76 Yankee.Robinson ’27-77 June-Lewis-Titus-Angevine (Zoological Institute) ’40-’19 John Robinson J.Robinson (-30 ca.) 40-65 Spalding Rogers N.b.: Il colore più 40-67 Van Amburgh ’48-81 Dan Rice ’54-94 Chiarini Royal Italian ’66-96 Forepaugh ’96-1911 Forepaugh- Sells 72-96 Sells bros. ’83 Buffalo Bill 07-13 Pawnee ’84 Wallace 07-38 Hagembeck-Wallace ’90ca.-’31 Sparks ’08-’31 Miller ’06-’32 Sells Floto ’10-28 ’29-38 A.G.Barnes Barnes Sells-Floto ’19 King bros. ’52-66 Cristiani ’71 Cole-Orton ’84 Cole ’06-’48 Cole Bros. ’57 Beatty-Cole 43 C. Beatty ’39 Miller ‘62 Carson-Barnes ‘69 Vargas ‘ 77 Big Apple ’84 Cirque du Soleil ’94 Universoul

N.B.: il colore più chiaro indica le imprese gradualmente assorbite da J.A. Bailey e in seguito dai Ringling bros.

EVOLUZIONE DEL CIRCO CONTEMPORANEO NEL SECONDO NOVECENTO Creazioni circensi 1953 1956 1962 1964 1965 1966 1968

Prima tournèe occidentale del Circo Sovietico Bread and Puppet; S.Francisco Mime Troupe. Odin Teatret di E.Barba. Scuola di mimo di J. Lecoq. Corsi di circo di Hovey Burgess alla New York University Creazione del Ringling Clown College in Florida

1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1979 1980 1981 1982

1984

Larry Pisoni e Paul Binder aderiscono alla Mime Troupe Jean-Baptiste Thierrée e Victoria Chaplin creano Le Cirque Bonjour Aperti a Mosca lo studio di creazione circense e il nuovo circo stabile polivalente. Nascita a Parigi delle scuole di circo e mimo Monfort-Gruss e Etaix-Fratellini. Larry Pisoni crea il Pickle Family Circus a S.Francisco A Bonn nasce il Circo Roncalli. Nasce a New York il Big Apple Circus. Debutto a Mosca della pantomima aerea Prometeo. Il Big Apple Circus integrato nel Lincoln Center. A Montreal, nasce la Scuola di Circo. Il Circo Roncalli inizia regolari tournèes in Germania

Tournèes dello chapiteau di corde di Archaos. Michael Christensen crea i “clown dottori”.

1996 1998 1999 2000 2004

Tanzteather di P.Bausch. Flowers di L.Kemp. Parade di J.Tati. La Classe Morta di T.Kantor. Roadshow europeo di Jango Edwards. Nascita de Els Comedians. Inizi di K. Ohno. Nascita de La Fura dels Baus Nascita dei Momix.

Creazione del Cabaret Equestre Zingaro. A Mosca debutta il poema aereo Le Cicogne. Il mimo di strada David Shiner è scritturato dal circo tedesco Roncalli. A Montreal i creatori della Fete Foraine lanciano il Cirque du Soleil.

1986

1992 1993 1995

Clowns di F.Fellini. Nascita dei Mummenschanz.

Creazione a Londra di Cats.

Nasce in Francia il CNAC, prima scuola statale occidentale.

1991

Paradise Now del Living Theatre, Magic Circus di Savary, Per un teatro povero di J.Grotowski. Orlando Furioso di Ronconi in strada, Les Clowns di A.Mnouckine, Mistero Buffo di D. Fo, Scuola di M. Marceau, Scuola di Mimo in Quebec. Midsummer Night’s Dream di P.Brook.

Il ministero nomina il circo Gruss Cirque National, con innovative regie circensi. Nasce in Quebec la Fête Foraine della Baie St.Paul, kermesse di artisti di strada.

1985

1989 1990

Influenze e riferimenti artistici Aspettando Godot di S.Beckett.

Bernard Turin alla guida del CNAC. Svolta del Soleil con Nouvelle Experience. A Broadway Cirk Valentin in palcoscenico, del regista russo Valentin Gneushev. Saltimbanco del Soleil. A Las Vegas Mystère del Soleil in un teatro permanente. Joseph Nadj crea Le Cri du Camaleon per il CNAC. Nasce in Quebec il Cirque Eloize. Quidam del Soleil. James Thierrré crea La Symphonie du Hanneton. A Las Veg as,O, del Soleil. Tryptik di Zingaro. Rizoma di Anatoli Zalievski. Robert Lepage crea KA per il Soleil a Las Vegas.

Mahabarata di P.Brook. Trilogia dei dragoni di R. Lepage. Creazione a Londra di Phantom of the Opera. P. Decouflè coreografa le Olimpiadi di Albertville. Creazione a Las Vegas di Siegfried and Roy at the Mirage.

Time Rocker di B. Wilson. Julie Taymour dirige a Broadway Lion King.

521

CRONOLOGIA BIBLIOGRAFIA INDICE

DEI NOMI

CRONOLOGIA

2.400 a.C. Primi anfiteatri a Creta. A Cnosso affreschi documentano acrobazie su tori. 2000 a.C. circa Affreschi di giocolieri nella tomba egizia a Beni Hassan. 1500 a.C. Primo ippodromo a El Akathet in Egitto. 1345 a.C. Funamboli in Grecia in occasione delle feste Askolias. 1.180 a.C Dipinto egizio di una contorsionista in costume di spettacolo. 220 a.C. In Cina, La Battaglia dei Corni, prima forma rappresentativa con tecniche circensi. 108 a.C. Sotto la dinastia cinese Han, i “Cento Divertimenti” come primo “varietà” della storia. 80 d.C. Inaugurato a Roma il Colosseo. 350 Presenza in Cina di giocolieri indiani, e in seguito (120 ca.) di acrobati mediterranei. 607 L’imperatore cinese Yang Di erige una “tenda gigante” per intrattenere “il Khan dei Turchi” con uno spettacolo acrobatico. 629 A Parigi sotto il regno di Dagoberto è fondata la Fiera di S. Denis. 750 ca. L’imperatore cinese Xuan Zong (Tang) dà vita al “Giardino dei Peri”, primo progetto di protezione e formazione di artisti.

960-1271 Sotto la dinastia cinese Song sorgono le “scene di balaustra”, primi luoghi pubblici destinati a spettacolo d’arte varia e circense. 1123 A Londra è fondata la fiera di S. Bartolomeo. 1417 Prime apparizioni di zingari in Italia, a Bologna. 1448 Lo storico Flavio Biondo usa il termine “cerretano”. 1545 Primo atto costitutivo di una troupe di Commedia dell’Arte.

Margarita Nazarova, Circo di Stato Sovietico, 1962 (foto Paul De Cordon)

1550 ca. Tracce nelle corti europee della “scuola napolitana” come prima forma di arte equestre. 1560 ca. Nei teatri-arene londinesi, combattimenti di animali e numeri d’arte varia. L’attore Kempe introduce in palcoscenico il personaggio di clown, preso dalla tradizione medioevale. 1580 Alla fiera parigina di S. Laurent, prime tracce della dinastia di mimi e acrobati Chiarini. 1616 Giulio Parigi disegna un anfiteatro in piazza S. Croce a Firenze per Guerra di Bellezza, primo spettacolo equestre moderno. 1618 Firenze: al Giardino di Boboli l’architetto Giulio Parigi realizza il primo anfiteatro moderno per spettacoli equestri. Parma: progetto del Teatro Farnese, con un palcosceni-

525

co annesso all’arena. Milano, Piazza dei Mercanti: prima traccia di spettacolo circense a pagamento per un cavallo sapiente. 1628 A Norimberga, è eretto l’anfiteatro Fechthaus, per spettacoli teatrali, circensi e combattimenti. A Parma è inaugurato il Teatro Farnese. 1677 Il personaggio di Arlecchino (portato a Londra da Fiorilli nel 1575) anima un dramma inglese senza parole, genere pochi anni dopo definito come pantomime. 1678 A Parigi, le troupes Alard e Van der Beek creano il primo vero teatro di fiera in cui Les Forces de l’Amour et de la Magie è la prima commistione compiuta tra commedia dell’arte, acrobazia, musica e pantomima. 1683 A Londra, la taverna all’aperto Sadler’s Wells prende i connotati del primo music-hall dell’era moderna, con forme di teatro musicale alternate a numeri acrobatici e attrazioni da fiera. 1725 Londra, prima apparizione di un personaggio chiamato “Clown” affiancato ad Arlecchino e Pierrot in una pantomima teatrale. 1735 Completata a Vienna la sala per spettacoli equestri per la Scuola Spagnola d’equitazione. 1755 Eretto a Vienna l’Hetz Amphiteater, precursore del circo. 1758 A Londra, Joseph Dingley, gestore a Islington del pub Three Hats Inn, decide di presentare le evoluzioni e i corsi di equitazione del cavallerizzo Johnson. 1763 Alla fiera di S. Germain di Parigi sorge il primo teatro acrobatico dell’ex-burattinaio Jean Baptiste Nicolet.

526

1768 Londra: presso la taverna Duck & Dog, i cavallerizzi-imprenditori coniugi Walton,

pensano per primi al mondo di intervallare il loro programma equestre con acrobati a terra, danzatori sulla corda, clowns. L’exmilitare Philip Astley apre poco distante una scuola di equitazione con dimostrazionispettacolo. 1774 Prima visita a Venezia del cavallerizzo Charles Hughes. 1776 François-Paul Nicolet (fratello di Jean-Baptiste) gira l’Europa con il primo serraglio di animali esotici per il quale introduce il termine ménagerie. 1779 Nasce presso il ponte di Waterloo a Londra il primo circo coperto della storia: “Astley’s Amphiteatre Riding House”. 1780 Il cavallerizzo Juan Portè fonda a Vienna un’arena circense con cavallerizzi, acrobati e clowns. 1782 L’impresario d’opera Dibdin, coinvolgendo il cavallerizzo Hughes, apre a Londra il “Royal Circus. Equestrian and Philarmonic Academy” presso la piazza St.Georges’ Circus. È una combinazione di pista equestre e palcoscenico, e nel nome c’è il primo uso moderno del termine “circo” per un luogo di spettacolo. 1783 Astley, che si esibiva a Parigi già dal 1774, apre qui il primo circo sul continente: l’“Amphiteatre Anglois”. 1785 A Philadelphia, Thomas Poole presenta in America il primo spettacolo con cavalli e clowns. 1791 Dopo la rivoluzione francese, Antonio Franconi occupa il circo parigino di Astley. A Rotterdam fondazione del serraglio Van Aken. 1793 A Philadelphia, John Bill Ricketts costruisce il primo circo in legno in America.

1800 Joe Grimaldi debutta in un ruolo di clown sul palcoscenico del Sadler’s Wells a Londra. 1807 Antonio Franconi fonda a Parigi il Cirque Olympique: teatro-circo con palcoscenico su modello inglese, che dal 1811 ha licenza di teatro secondario. Cristoph De Bach costruisce a Vienna il primo circo realmente rotondo e senza teatro. John Astley mette in scena a Londra il primo ippodramma, The Brave Cossack.

1835 Il clown-acrobata Jean Baptiste Auriol trionfa a Parigi al Cirque Olympique. 1839 François Baucher, padre dell’equitazione moderna, si esibisce nel circo. 1840 Nasce negli Usa il Zoological Institute: primo trust circense di tredici serragli ambulanti con il controllo del territorio.

1809 La compagnia equestre Tourniaire è probabilmente la prima a visitare l’Italia.

1841 Louis Dejean inaugura a Parigi il Cirque des Champs-Elysées, progettato completamente in muratura da Hignace Hittorf. A New York, l’acrobata Richard Risley introduce i “giochi icariani” al Bowery Theatre.

1816 Il Cirque Olympique presenta l’elefante ammaestrato Baba.

1842 Inaugurato a New York il primo “museo” di Phineas Taylor Barnum.

1819 Il custode di belve Henri Martin entra nella gabbia di un leone al serraglio Van Aken.

1845 A Londra l’ippodramma Battle of Alma collega pista e palcoscenico. A Parigi Laurent Franconi inaugura a Place de l’Etoile il primo degli Hippodrome (ispirato all’Arena di Milano), in cui gli spettacoli circensi vengono proposti in una forma ovale con la pista al centro.

1820 Il giocoliere-illusionista indiano Ramo Samee è presentato a Londra. 1825 Col debutto di J.G. Debureau nel ruolo di Pierrot al Théâtre des Funambules, inizia a Parigi la riforma moderna della pantomima. J. Purdy Brown erige in America il primo circo sotto una tenda smontabile. Jacques Gautier esegue un salto mortale a cavallo. 1827 Il terzo Cirque Olympique è aperto sul Boulevard du Temple con un’imponente macchineria. 1828 Il primo giardino zoologico pubblico è aperto a Londra.

1849 A S. Pietroburgo, costruzione del Cirque Imperial: il primo in Russia. 1852 Napoleone III, appena incoronato, inaugura il Cirque Napoleon (poi Cirque d’Hiver) costruito da Dejean con l’architetto Hittorf. 1854 Giuseppe Chiarini crea una compagnia viaggiante in America, poi in giro in tutto il mondo. 1855 Primo circo di Ernest Renz a Berlino.

1829 Sul palcoscenico del secondo Cirque Olympique, è ingaggiato il serraglio del domatore Martin per la pantomima Les Lions de Mysore, primo spettacolo con belve. 1830 Al Cirque Olympique L’Empereur ripercorre la vita e le imprese di Napoleone.

1859 Al Cirque Napoleon, Jules Léotard introduce le evoluzioni al trapezio. Blondin attraversa le cascate del Niagara camminando sulla fune. 1862 Demolizione a Parigi del Boulevard du Temple, compresi i suoi teatri e il Cirque Olympique.

527

1864 A Parigi finisce il divieto per la commedia dialogata. La compagnia di Risley a Yokoama è la prima occidentale in Giappone. Ad Amburgo Carl Hagenbeck inizia l’importazione regolare di animali selvatici. 1871 Prima occasionale esperienza itinerante di Barnum con l’uso di tende. 1872 I fratelli Hanlon presentano alle Folies-Bergère i “trapezi volanti”. 1873 Primo esperimento a Londra di un uomo sparato dal cannone. A Berlino Tom Belling dà vita al personaggio comico dell’august. Barnum inaugura il New York Hippodrome, sul modello francese. 1874 Hagenbeck introduce i volkerschau, esibizioni di popoli esotici nelle esposizioni universali. 1875 Costruzione a Montmartre del Cirque Fernando (poi Medrano). 1877 Parigi: il Nouveau Cirque presenta La Grenouillere, prima pantomima acquatica. 1879 La compagnia di Giuseppe Chiarini giunge a Bombay. 1880 Barnum si associa a James A. Bailey, con il quale introduce lo spettacolo a tre piste. 1881 Il New York Hippodrome fondato da Barnum è trasformato in Madison Square Garden.

528

1889 I fratelli Hagenbeck introducono a Londra e Parigi la gabbia circolare smontabile, con il leone cavallerizzo di W. Philadelphia e il gruppo di leoni di R. Deyerling. 1890 Primo duo clownesco del clown Foottit con l’augusto Chocolat. 1893 Inaugurazione a Londra del varietà Palace. A Chicago la Columbian Exhibition è la più grande esposizione di tutti i tempi. Vi si esibiscono il primo luna park con l’invenzione della ruota panoramica, il primo sideshow di fenomeni umani, e Carl Hagenbeck vi introduce per la prima volta in America i numeri di animali feroci ammaestrati. 1898 Morte di Barnum. Il Circo Barnum e Bailey si imbarca per la Gran Bretagna. 1900 Inaugurazione del London Hippodrome, teatro-circo con piscina. Vi debutta Chaplin bambino. Lo show di Barnum e Bailey gira per il continente europeo. A Berlino, trasformazione in varietà del Wintergarten. 1901 Parigi: i fratelli Frediani compiono una “colonna a tre” sul cavallo. 1902 Hans Stosch crea in Gemania il circo itinerante Sarrasani. 1905 A Mosca i primi agit prop vedono protagonista il clown Lazarenko. In Germania il domatore Carl Krone trasforma il proprio serraglio ambulante in un circo.

1883 Creazione in America del circuito di varietà Keith-Albee.

1907 Willy Hagenbeck presenta un gruppo di settanta orsi polari all’0ktoberfest di Monaco.

1887 Inaugurazione del Circo Ciniselli a S. Pietroburgo. Primo tour in Europa del Wild West Show di Buffalo Bill.

1908 Richard Sawade, della “scuola” Hagenbeck, presenta un gruppo di cinque tigri ammaestrate.

1888 Wilhelm Hagenbeck inizia ad Amburgo l’addestramento di animali feroci.

1909 I trapezisti Clarke presentano regolarmente il triplo salto mortale.

1910 Enrico Rastelli debutta come giocoliere. 1912 Grock trionfa al Palace di Londra con il suo numero comico musicale. 1916 I clowns Fratellini trionfano a Parigi. Negli Usa, i fratelli Ringling fondono il loro circo con quello rilevato da Barnum e Bailey, diventando il più grande del mondo.

richiesta di Ringling- North, scrivono il balletto per elefanti Circus Polka. 1946 A Torino Darix Togni esordisce come domatore di leoni.

1918 Lunacharski apre a Mosca la serie di dibattiti della “casa del circo”.

1947 Creazione in Italia dell’Ente Nazionale Circhi, prima associazione al mondo di imprenditori circensi. Negli Stati Uniti, alla Florida University creazione del Flying High Circus, primo programma occidentale di formazione alle tecniche acrobatiche.

1919 Stalizzazione dei circhi in Unione Sovietica. La famiglia di funamboli Knie dà vita ad un tendone, il Circo Nazionale Svizzero. In Italia Aristide Togni trasforma il “Circo Vittoria” nel Circo Nazionale Togni.

1950 Creazione in Cina di un’organizzazione statale dello spettacolo acrobatico. In Germania fondazione del circo di Stato della DDR con tre tendoni itineranti e una scuola.

1920 Bertram Mills inizia la tradizone degli spettacoli circensi natalizi all’Olympia di Londra.

1952 Academy Award per il miglior film al Più Grande Spettacolo del Mondo, girato da De Mille sotto il tendone del RinglingBarnum-Bailey.

1924 Krone crea il primo circo europeo a tre piste. Da due serragli di belve nascono in Francia i circhi rivali di Amar e Bouglione. 1926 Primo corso di formazione circense a Mosca. 1928 Il circo Sarrasani introduce il tendone rotondo a quattro alberi centrali, e si converte per primo al trasporto motorizzato su strada. 1930 A Mosca debutta la pantomima circense di V.Maiakovski Mosca Brucia! 1932 Negli Usa il domatore Clyde Beatty è sulla copertina di «Time». 1938 John Ringling -North assume il controllo del Ringling-Barnum, il più grande circo del mondo. 1940 Alexandre Volochin apre la scuola di circo in Mongolia. 1942 I. Stravinski e G. Balanchine, su

1953 Scissione delle famiglie Togni in tre diversi circhi. In Francia il circo Pinder presenta uno spettacolo sul ghiaccio. 1956 In Europa, prima tournée in occidente di una compagnia di circo sovietico, in palazzi dello sport di Bruxelles, Parigi e Londra. 1960 A Mosca Vladimir Doveiko inventa i salti mortali con i trampoli sulle “bascule”. 1962 John Ringling North annuncia la fine delle sue tournées sotto il tendone e l’adattamento del più grande circo del mondo ai palazzi dello sport. Creazione in Italia del circo “Moira Orfei”. Costruzione del Circo Stabile di Pyong Yang in Corea del Nord. 1963 Al palazzo dello sport di Torino, versione a 3 piste del “Circo Americano” di Castilla, in società con Togni e Williams. Negli Usa, prima tournée americana del circo sovietico.

529

1966 Hovey Burgess introduce le tecniche di circo alla New York University. 1967 Irvin Feld acquista da John Ringling North il più grande circo del mondo, che l’anno dopo sdoppia in due grandi unità. 1968 In Italia, prima legge al mondo sulla tutela del circo. Creazione in Francia del circo Jean Richard. 1969 Feld crea in Florida il Ringling Clown College. Jerome Savary in Francia fonde circo, teatro, satira e animazioni urbane nel “Grand Magic Circus”. In Italia, debutto di tre importanti spettacoli: il Circorama a tre piste dei fratelli Orfei; il Circo sul Ghiaccio di Moira Orfei; il Circo nell’Acqua di Darix Togni. In Svizzera Fredy Knie jun. addestra un rinoceronte. 1971 Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thierrée creano il Cirque Bonjour. Jango Edwards crea il suo roadshow clownesco in giro per l’Europa. 1972 Fellini gira I Clowns. A Mosca è aperto lo Studio di creazione per nuovi numeri circensi. In Italia, il Circo Casartelli assume il nome di Medrano. 1973 I fratelli Orfei presentano il Circo delle Mille e una Notte, con cinquecento costumi di Danilo Donati. 1974 Il principe Ranieri III inventa a Montecarlo il Festival International du Cirque. Apertura a Parigi delle prime due scuole circensi (Monfort-Gruss e EtaixFratellini). A New York Philippe Petit attraversa abusivamente su una fune le Twin Towers non ancora inaugurate. 1975 Nasce a S.Francisco il Pickle Family Circus, da esperienze di teatro politico e animazione urbana.

530

1976 A Bonn nasce il Circo Roncalli. Guy Lalibertè parte dal Quebec per fare il man-

giafuoco nelle piazze d’Europa. Alle Tuileries di Parigi i quattro più grandi circhi francesi erigono un tendone per uno spettacolo in combinazione. 1977 A Mosca Vladimir Voljanski crea il primo esempio contemporaneo di contaminazione tra discipline acrobatiche e di opera totale circense, con la pantomima aerea Prometeo. A New York prima rappresentazione del Big Apple Circus. 1978 Fallisce in Francia l’impresa dei circhi di Jean Richard. Il governo francese istituisce un fondo di aiuto per i circhi. 1980 Nasce a Montreal l’Ecole Nationale du Cirque. 1982 A Tucson, Arizona, Miguel Vazquez compie il quadruplo salto mortale al trapezio. In Francia istituzione governativa del Cirque National, affidato alla famiglia Gruss. Fallimenti di numerosi circhi francesi. 1983 Il Big Apple Circus a New York è incorporato nei programmi del Lincoln Center for Performing Arts. A Parigi e Roma prima tournée occidentale del circo della Corea del Nord. 1984 A Bordeaux creazione di Cabaret Equestre di Zingaro. In Quebec, prima tournée del Cirque du Soleil. Prime combinazioni in circhi occidentali di acrobati cinesi sotto i tendoni di Knie in Svizzera e di Gruss a Parigi. Al Festival di Montecarlo la troupe di Tamerlan Nugzarov trionfa con la pantomima equestre Leggenda del Caucaso. Al circo Ringling negli Usa, Wade Burck presenta un gruppo di tigri bianche. 1985 Jack Lang inaugura a Chalons il Cnac, prima scuola occidentale pubblica di circo. A Mosca debutta la pantomima ai trapezi Le Cicogne. Il circo Knie è il primo al mondo ad ospitare artisti sovietici. Negli

Usa il circo Ringling fa scalpore con l’“unicorno vivente”.

2000 La Biennale di Venezia dedica una sezione al circo contemporaneo.

1986 Creazione del circo Archaos in Francia. Michael Christensen fonda a New York la struttura di clown-dottori professionisti Clown Care Unit, come costola del Big Apple Circus.

2004 Inaugurazione a Montreal di Tohu Citè des Arts du Cirque, il più grande complesso della storia per formazione e produzione circense. A Bartabas e alla troupe Zingaro vengono affidate le scuderie della reggia di Versailles per la fondazione dell’Academie du Spectacle Equestre.

1988 Inaugurazione a Verona dell’Accademia del Circo, creata dalle famiglie circensi italiane. 1990 Con il crollo del comunismo, privatizzazione dei circhi di Mosca e delle capitali ex-sovietiche. Al Bois de Boulogne di Parigi, inaugurazione del “Florilegio di Darix Togni”. 1991 Al Gershwin Theatre di Broadway, Cirk Valentin lancia il genere del circo in palcoscenico e rivela il regista Valentin Gneushev. Al Madison Square Garden l’italiano David Larible ingaggiato dal Ringling è il primo clown solista nella storia del circo americano a tre piste. 1993 Al Mirage di Las Vegas per la prima volta al mondo è costruito un luogo stabile concepito per un unico spettacolo circense: Mystere del Cirque du Soleil. 1995 Il Cirque du Soleil apre un dipartimento europeo per regolari tournées. In Quebec primi spettacoli del Cirque Eloize.

2005 Debutta a Las Vegas Ka, il più grande spettacolo dal vivo mai realizzato per repliche regolari, prodotto dal Cirque du Soleil con la regia di Robert Lepage. 2006 In Germania il circo Krone celebra la sua centesima tournée con un importante programma, e il circo Roncalli celebra il suo trentennale scritturando David Larible. Negli Usa la centotretacinquesima edizione del Ringling-Barnum abbandona per la prima volta le tre piste. James Thierrée vince a Parigi quattro premi Moliére per La Veillée des Abysses. 2007 A Madrid su iniziativa municipale viene ricostruito il circo. È il primo esempio al mondo occidentale di circo stabile a gestione pubblica, con regolare programmazione di ospitalità e produzioni proprie di prestigio internazionale.

1996 Al Parc del la Villette di Parigi viene istituito il primo chapiteau per programmazioni regolari di “circo contemporaneo”. 1998 James Thierrée porta in tournée nel mondo il suo primo spettacolo, La Symphonie du Hanneton. 1999 Creazione a Los Angeles del “Barnum’s Kaleidoscape”. Riapertura a Parigi di regolari produzioni di circo classico al Cirque d’Hiver con Salto dei fratelli Bouglione. 531

BIBLIOGRAFIA

Il bibliografo inglese TOOLE-STOOT nel 1962 enumerava quattordicimila volumi esistenti sul circo, dal Rinascimento fino a quel momento. Il numero è oggi di certo aumentato nell’ordine di migliaia. Il fascino iconografico e aneddotico legato al circo è infatti in grado di ispirare qualunque tipo di progetto editoriale: dalla letteratura per l’infanzia al romanzo classico, dall’opera d’illustrazione al saggio sociologico. Se per lo studioso nessuna forma risulta più preziosa dell’articolo di giornale, del programma di sala e dello studio attento di manifesti e vecchie fotografie, esiste comunque una costante tradizione di letteratura storiografica che accompagna da sempre l’evoluzione del circo. Le prime opere di valore storico sulle arti pre-circensi vanno dalle testimonianze letterarie del mondo antico orientale e mediterraneo a racconti di viaggi, con ampie descrizioni di artisti e di spettacoli. Nel Rinascimento, TUCCARO e MERCURIALE sono considerati come i primi trattati specifici sull’arte acrobatica; nella stessa epoca sono innumerevoli i trattati di equitazione di corte. Il circo equestre si codifica dopo il 1770. Le prime opere letterarie a occuparsene sono i trattati di equitazione redatti dai suoi stessi protagonisti, destinati alla vendita al pubblico come introito supplementare: vi si trovano a volte testimonianze sugli spettacoli. La prima di queste opere sembra essere HUGHES, un plagio di due trattati contemporanei, a sua volta plagiato dai ben più celebri scritti di ASTLEY, il primo vero impresario circense. Nello stesso tempo, memorie di attori e impresari sono inestimabili per ampie descrizioni della vita circense, in origine legata al mondo teatrale: in questo senso, la prima storia “cosciente” sulle origini del circo moderno può essere una dettagliata parte della biografia dell’attore londinese DECASTRO, a cui si aggiungano le simili opere di DIBDIN, di DURANG in America e i volumetti sulle vicende di FRANCONI in Francia. I primi decenni di successo del circo culminano sui giornali francesi e inglesi, nella nascita di una critica circense verso il 1820. I nomi sono tra i più autorevoli del mondo letterario, le cui riflessioni spesso sfociano anche in volumi: da DICKENS a GAUTIER e più tardi ai GONCOURT, fino a D’AUREVILLY. È solo dopo il 1860 che iniziano ad apparire veri e propri libri che cercano di trattare la storia del circo, generalmente opera di cronisti del mondo giornalistico. In questi lavori, le vicende dei circhi stabili o itineranti sono sempre collegate al mondo delle fiere. Precursori assoluti sono in Gran Bretagna i due volumi di FROST, prime vere storie del circo. Ad esso seguono in Francia le opere di costume sullo spettacolo urbano minore di FOURNEL e CLARETIE (prototipi parigini del flaneur), mentre il primo sguardo retrospettivo è quello di CAMPARDON con la sua preziosa struttura a dizionario sulle fiere del passato. Le prime due vere storie specifiche in francese del circo sono dopo il 1870 FRICHET e LE ROUX, in belle edizioni con il contributo di pregevoli illustratori e per editori importanti. In entrambe, le parole fiera e circo continuano ad essere accomunate anche nel titolo, e l’approccio è già verso l’internazionalità del fenomeno. Altrettanto preziosi sono DALSÈME e VAUX, mentre PERRODIL è il primo ad investigare sul clown. In Germania, il primo a scrivere storie del circo e della fiera è verso il 1880 SIGNOR DOMINO, mentre l’editore specializzato tedesco SALTARINO diffonde preziosissime opere di riferimento (la vita circense in Germania è a fine ’800 forse la più fertile d’Europa). GREENWOOD scrive negli stessi anni la prima storia del circo americano, quando da poco è stabilito il modello identitario statunitense a tre piste. Poi le

533

534

memorie di COUP e CONKLIN sono i primi documenti fondamentali dell’epoca d’oro d’oltreoceano, nel genere letterario delle memorie di viaggi o d’avventure a struttura aneddotica. Con la diffusione del gusto per gli sport e il tempo libero, in Francia ESCUDIER e DEPPING dopo il 1870 sono i primi a trattare saltimbanchi e acrobati in opere specifiche. Alla chiusura del secolo, due studi ancora oggi considerati di riferimento per la storia dell’acrobazia sono STREHLY e ZUCCA. Tra i due secoli proliferano inoltre le memorie di domatori (che segnaliamo nel corso dei capitoli). All’inizio del ’900, occasionali approcci alla storia del circo e dell’equitazione spettacolare sono tentati dall’appassionato francese MOLIER. Ma la prima storia sistematica, fonte di ogni autore europeo successivo, sarà il tedesco HALPERSON negli anni ’20. Alcuni anni dopo il russo KUSNETZOV scrive un’opera ancor più dettagliata, e modernissima nella metodologia: seppur vi traspare la propaganda sovietica, resterà a lungo l’unica storia “critica” del circo mondiale (ma il lettore occidentale la scoprirà solo in una traduzione tedesca negli anni ’70). Con la nascita del music-hall, si forma a Parigi una generazione di critici appassionati di circo e varietà. Essi ci lasciano opere in cui l’estro del letterato si lega ad importantissime testimonianze: è il caso di BOST, FREJAVILLE, MARTIN, VERNE con alcuni dei volumi più appassionanti mai dedicati a tali generi. Simile è in Germania il valore di KOBER, e in Spagna il genere ispira Gasch (cfr. JANÈ). Nasce negli anni ’30 anche un genere più aneddotico, spesso a metà tra finzione, inchiesta e documento, di ampio successo commerciale, e per la prima volta con belle fotografie: è il caso del tedesco EIPPER (la prima testimonianza sul mondo del circo viaggiante del ‘900, un best-seller tradotto in molte lingue), dell’inglese CLARKE e dello statunitense COOPER. Negli stessi anni iniziano ad apparire biografie di artisti celebri, spesso assistiti da giornalisti, come nel caso di GROCK, DUROV e dei FRATELLINI (e MARIEL). Negli Usa le memorie di FELLOWS e BRADNA sono fondamentali per capire i primi decenni del secolo americano. Dagli anni ’20 fino a tutto il secolo appaiono nei due emisferi centinaia di opere generali o specifiche, biografie e album fotografici sul circo, che sarebbe impossibile considerare. Negli anni ’40, inizia le sue ricerche quello che è forse considerato il più importante storico circense e del teatro popolare francese del ’900: Tristan RÉMY. Autore di numerosi saggi, in un approccio ispirato dalla cultura socialista del dopoguerra, il suo volume più importante è nel 1945 la prima vera storia del clown. Poco dopo appare la prima opera mondiale di riferimento: sono i due volumi del giornalista francese THÉTARD, fondatore del Club du Cirque. È lui a dare origine alla struttura novecentesca di trattazione: prima parte divisa per storie nazionali, la seconda per discipline circensi. L’opera, ricchissima di dati e corredo iconografico, è considerata in tutto il mondo “la bibbia del circo”. Con struttura simile, segue un decennio dopo in Italia il bel lavoro del pittore-scrittore CERVELLATI, con un valore più di libro d’arte celebrativo che di ricerca originale. È illustrato dall’autore stesso, probabilmente ispirato dal francese SERGE che negli anni ’40 aveva diffuso lo stile del beau livre disegnato sul circo. Il successivo lavoro di Cervellati sarà invece una preziosa storia del circo italiano dalle origini agli anni ’60. Si distingue in questi anni il lavoro di HIPPISLEY, autore dell’unica preziosa analisi tecnica delle singole discipline, in seguito eguagliata solo in Urss dall’inestimabile lavoro di GUREVITCH. Caso a sé diventa la storiografia americana, concentrata sulle già ricche vicende di questo continente. Qui storie generali sono scritte negli anni ’30 da MAY, DURANT, e nei ’50 dal più attendibile CHINDHAL, fino agli studi specifici di FOX (splendide storie sul circo in America saranno più tardi CULHANE e JACOB). In Urss DIMITRIEV affronta in dettagli preziosissimi le storie del circo sovietico e presovietico. Negli anni ’70 e ’80 appaiono decine di libri illustrati sul circo in tutto il mondo. Ma di essi due restano alcune delle più importanti storie generali di sempre: JANDO (tradotto

anche in Unione Sovietica, autore a cui si deve anche la prima sistemazione mondiale del music-hall) e l’ambizioso RENEVEY, due volumi in cui i capitoli sono redatti dai maggiori specialisti mondiali del momento. In Gran Bretagna seguono CROFT-COOKE e l’importante SPEAIGHT, il primo a riflettere in modo dettagliato sulle origini inglesi del circo da documenti diretti. La riflessione sul clown è aggiornata in Francia da FABBRI-SALLÉE e LÉVY. Le opere di ADRIAN affrontano le singole discipline. Importantissima è dagli anni ’80 la ricerca sulle origini statunitensi portata avanti da THAYER e SLOUT, così come in Gran Bretagna la sistemazione della fertile epoca vittoriana nelle opere di TURNER. Gli anni ’90 vedono la nascita degli studi accademici e critici sul circo: negli Usa (ALBRECHT, DAVIS, HAMMASTROM, KASSON, REISS, ROBINSON, SCHECHTER, TAIT, JESKINS, GUSTAFSON), in Gran Bretagna (KWINT, STODDART, ASSAEL) e Francia (CLAIR, BASCH, WALLON, HODACK). Nuove storie generali per il grande pubblico sono in lingua inglese LOXTON e in francese MAUCLAIR E JACOB. Negli anni ’90 si è avuta verso il circo un’attenzione nuova da parte del mondo della fotografia: non elencheremo le decine di libri pubblicati da eccellenti fotografi in tutto il mondo, la cui esplorazione spazia dai circhi del terzo mondo ai backstage del Cirque du Soleil. Numerosi sono poi gli studi di riferimento sul fenomeno del “circo contemporaneo”, ma quasi sempre concentrati sul fenomeno francese (GUY, CIRET). In Italia una rinascita sistematica degli studi circensi in volume si deve dagli anni ’80 a PRETINI (fondamentale per i corredi iconografici) e poi a SERENA e VITA. Nota: La bibliografia raccoglie soltanto i principali tra i volumi effettivamente consultati. Esclude inoltre numerose altre opere di riferimento sull’argomento. Non sono inclusi articoli di giornale, saggi di riviste (che vengono invece indicati nelle note del testo) a parte quelli con carattere di importante riferimento generale. Le opere collettive e i cataloghi di mostre o convegni sono classificati sotto il nome del curatore, e non vi sono indicati gli autori dei singoli saggi o capitoli. ADAMS, B., E Pluribus Barnum. The Great Showman and the Making of U.S. Popular Culture, Minneapolis, 1997. ADAMS, R., Sideshow, U.S.A. Freaks and American Cultural Imagination, Chicago, 2001. ADRIAN, P., Histoire illustrée des cirques parisiens d’hier et d’aujourd’hui, Bourg-La-Reine, 1957 ID., Sur les chemins des grands cirques voyageurs, Bourg-La-Reine, 1959. ID., Cascadeurs et casse-cous, Bourg-La-Reine, 1967. ID., En piste les acrobates (Coll. C.s.), Paris, 1973. ID., À vous les jongleurs (Coll. C.s.), Paris, 1977. ID., Ce rire qui vient du cirque (Collection L’encyclopédie du cirque), Paris, 1977. ID., Le cirque commence à cheval (Coll. C.s., II ed.), Paris, 1979. ID., Ils donnent des ailes au cirque (Coll. C.s.). Paris, 1988. ID., Cirque au cinéma–Cinéma au cirque (Coll. C.s.), Paris, 1984. ID., Le sens de l’équilibre (Coll. C.s.), Paris, 1990. ALBRECHT, E., A Ringling by Another Name, Metuchen N.J., 1989. ID., The New American Circus, Miami, 1995. ID., The Contemporary Circus: art of the spectacular, Metuchen N.J., 2007.

535

ALTICK, R., The Shows of London, Cambridge, 1978. ALLSTON BROWN, T., A History of the New York Stage, New York, 1903. ANGELO, H., Remíniscences of Henry Angelo, 2 voll. London, 1828. APPS, J., Ringlingsville, U.S. A. Milwakee, 2004. ARTONI, A., Il teatro degli zanni, Genova, 1996. ARUNDELL , D., The Story of Sadler’s Wells. 1683-1964, London, 1965. ASSAEL, B., The Circus and Victorian Society, London, 2005. ASTLEY, P., The Modern Riding Master: Or, A Key to the Knowledge of the Horse and Horsemanship, with Several Necessary Rules for Young Horseman, London, 1775. ID., Description and Historical Account of the Places Now the Theatre of War in the Low Countries, London, 1794. ID., Remarks on the Profession and Duties of a Soldier. London,1794. ID., Natural Magic: or, phisical amusement revealed. London, 1785. ID., Astley’s system of equestrian education, exhibiting the beauties and defects of the horse. With serious and important advice, on its general excellence, preserving it in health, grooming, & c., London, 1801. ASTRUC, G., Le pavillon des fantômes, Paris 1929. BABINSKI, T., 20 ans sous le soleil, Montréal, 2004. BALSINELLI, R.-NEGRI, L., Guida al mimo e al clown. Milano, 1982. BARNUM, P. T., The humbugs of the world, London 1866. ID., Struggles and triumphs; or, forty years’ recollections of P. T. Barnum; written by himself, Buffalo, 1873. Ried. Aum.: Life of P. T. Barnum; written by himself, including his golden rules for money-making; London 1889. BARRÉ S., Le cirque classique, un spectacle actuel, Paris, 2004. BARTLETT, A.D., Wild animals in captivity: being an account of the habits, food, management and treatment of the beasts and birds at the ‘zoo’, with reminiscences and anecdotes. London, 1899. BASCH, S., Romans de Cirque (saggio introduttivo), Paris, 2002. BAUCHER, F., Dictionnaire raisonné d’équitation, Rouen, 1833. BEAUNOYER, J., Dans les coulisses du Cirque du Soleil, Montréal, 2005. BEGADI B.-ESTOURNET J.-P. -MEUNIER S., L’Autre Cirque, Paris, 1990. 536

BEMROSE, P., Circus genius: a tribute to Philip Astley 1742-1814, Newcastle, 1992. BERNSTEIN G., Sarrasani. Entre la fabula y la epopeya, Buenos Aires, 2000. BIDEL, F., Mémoires d’un dompteur, Paris, ca. 1880. BIZET, R., L’époque du Music-Hall, Paris, 1927. [BL I], Astley’s cuttings from Newspapers, 1768-1856; 3 voll. di ritagli e misc. (Theatre Cuttings 35-37), British Library, London. [BL II], A collection of programmes, cuttings…various circuses from 1772-1858; 2 voll. di ritagli e misc. (Theatre Cuttings 50). British Library, London. BLACKSTONE, S.J., Buckskins, Bullets and Business: a History of Buffalo Bill’s Wild West Show, New York, 1986. BOGDAN R., Freak Shows. Presenting Human Oddities for Amusement and Profit, Chicago, 1988. BOST, P., Le Cirque et le Music-Hall, Paris, 1931. BOSTOCK, E. H., Menageries, circuses and theatres, London, 1927. BOSTOCK, F. C., The training of wild animals, New York, 1903. BOUDREAULT, J., Le Cirque du Soleil, Montréal, 1991. BOUGLIONE, S., Le Cirque d’Hiver, Paris, 2003. BRADNA, F., The big top: my forty years with the Greatest Show on Earth, London, 1952. BRAGAGLIA A.G., Acrobati, in Aa.Vv., La Piazza, Milano, 1959. BRAYLEY, E. W., Historical and Descriptive Accounts of the Theatres of London. London, 1826. BROCKETT, O., Storia del Teatro, Venezia, 1998. BROWN, J.R., Storia del Teatro, Bologna, 1998. BUTTERWORTH, P., Magic on the Early English Stage, Cambridge, 2006. CAIN, G., Anciens Theatres de Paris, Paris, 1906. CAMPARDON, E., Les Spectacles de la Foire, 1595-1791, Paris, 1877. CAMPORESI, P., Il libro dei vagabondi, Torino, 1973. CARLYON, D., Dan Rice. The Most Famous Man You Never Heard of, New York, 2001.

537

CARDENAS, J., La fabulosa historia del circo en México, Ciudad de Mexico, 2002. CERVELLATI A., Storia del clown, Bologna, 1946. ID., Storia del circo, Bologna, 1956. ID., Questa sera grande spettacolo. Storia del circo italiano, Milano, 1961. ID., Il circo e il music-hall, Bologna 1963. CHAMBERS, E.K., The Elizabethian Stage, Oxford, 1967. CHINDAHL, G., History of the Circus in America, Caldwell, 1959. CHRISTOUT, M.F., Le Merveilleux et le théâtre du silence en France à partir du XVII siècle, Paris, 1965. [CIRET] Aa.Vv. , Le cirque au–delà du cercle, (a c. di Ciret, Y.), n. spec. di «ArtPress». n. 20/99. CLAIR, J., (cat. a c. di), La Grande Parade. Portrait de l’Artiste en Clown, Paris, 2004. CLARETIE, J., La Vie à Paris, (21 voll.), Paris, 1880-1913. CNEER, A., Enciclopedie Cyrk, Moskva, 1979. ID. Et al., Cirkovoe iskisstvo Rossie–Enciclopedie, Moskva, 2000. CONKLIN, G., The Ways of the Circus. New York,1921. COOK J.W., The Arts of Deception. Fraud in the Age of Barnum, Harvard, 2001. COUP, W.C., Sawdust & Spangles: Stories & Secrets of the Circus, Washington, 1901. COUDERC, P., Truth of Fiction, Legend or Fact, Serie di 11 saggi in «Bandwagon»: nn.1-3 e 56/64; 1-5/65. COUTET, A., La vie du cirque, Paris-Grenoble, 1948. CROFT-COOKE, R. - COTES, P., Circus: A World History, London,1976. CROSS, J. C., Circusiana; or a Collection of the Most Favorite Ballets, Spectacles; Melodrames, etc. Performed at the Royal Circus, St George’s Fields, 2 voll. London, 1809. CULHANE, J., American Circus: an Illustrated History, New York, 1991. CUNNINGHAM, H., Leisure in the Industrial Revolution, London, 1980. DALSÈME, A.J., Le Cirque à pied et à cheval, Paris, 1888. DAVID, J., Quel Cirque!, Montréal, 2005. DAVIS, J.M., The Circus Age. Culture & Society under the American Big Top, Austin, 2002. 538

DECASTRO, J., The Memoirs of J. Decastro, Comedian. Contains Decastro’s “The History of the Royal Circus”, London 1824. DE GROFT A. (cat. a c. di), John Ringling. Dreamer, Builder, Collector, Sarasota, 1999. DE MARINIS, M., Mimo e mimi nel Novecento, Firenze, 1993. DENIS, D., Le Zoo Circus des fréres Court (2 voll.), Aulnay, 1999. ID, Les Cirques des Fréres Amar, Aulnay, 2006. DENIS D. –DEGELDÉRE, C., Cirques en bois, Cirques en pierre de France (2 voll.), Aulnay, 2002. DENNETT, A.S., Weird and Wonderful. The Dime Museum in America, New York, 1997. DEVAULX, N., Le Cirque à l’Ancienne, Paris, 1977. DEPPING, G., Merveilles de la force et de l’adresse, Paris, 1871. DE RITIS, R., Illusionismi, Viterbo, 2004. ID., Aux origines de la mise en piste (in WALLON, 2002). ID., The Deceptive Body, In Aa. Vv., Con Art. Sheffield, 2002. ID., Gli acrobati folli, Modena, 2003. ID., Il Circo italiano. Un patrimonio nazionale, Roma, 2003. DIBDIN, C. (the Elder), The Professional Life of Mr.Dibdin Writters by Himself (4 voll.), London, 1803. ID., Royal Circus Epitomised, London, 1784. DIBDIN, C. I. M. (the Younger), An Account of the Royal Amphitheatre, Westminster Bridge (1824), in Britton-Pugin, Illustrations of the Public Buildings of London, vol. I., London, 1825-28. ID., Professional and Literary Memoirs, s.d. ed. A c. di G. Speaight. London, 1956. DICKENS, C. “Astley’s” in Sketches by Boz, London, 1836. ID., Memoirs of Joseph Grimaldi; edited by “Boz”. London, 1853. DIMITRIEV, Y., Cˇirk y Rossie, Moskva, 1977. ID., Sovietikij Cˇirk, Moskva, 1963 DISHER, M.W., Clowns and Pantomimes. London, 1925. ID., Greatest Show on Earth: as performed for over a century at Astley’s, London, 1937. ID., Fairs, circuses and Music Halls, London, 1942. DITTRICH, L.- RIEKE-MÜLLER, A., Unterwegs mit wilden Tieren: Wandermenagerien zwischen Belehrung und Kommerz 1750-1850, Marburg, 1999. ID., Carl Hagenbeck: Tierhandel und Schaustellungen in Deutschen Kaiserreich, Frankfurt, 1998. 539

DONVAL, R., Pantomimes du Vieux Cirque, recueillies et publiées par R. Donval, directeur du Nouveau Cirque, Saint-Valery-en-Caux, 1896. DUCHARTRE, P.L., La Comédie Italienne, Paris, 1929. DUPAVILLON, C., Architectures du Cirque des origines à nos jours, Paris, 1982 (nuova ed. 2002). ID., La Tente et le Chapiteau, Paris, 2004. [DURANG] The Memoir of John Durang, American Actor, 1785-1816, ed. by A.S. Downer. S.l., 1966. DURANT, J.–DURANT A., Pictorial History of the American Circus, New York, 1957. DUROV, V., My circus animals, London, 1937. EIPPER, P., Zirkus, 1940. ELIAS, J., Dialogos en el Circo, Barcelona, 1962. ID., 10 Anys de Circ, Barcelona, 1964. ESCUDIER, G., Les Saltimbanques, leur vie, leurs moeurs, Paris, 1875. FABBRI J.- SALLÉE A., Arte del Clown, Roma, 1984. FARASSINO A.-SANGUINETI T., (a c. di), Gli uomini forti, Milano, 1983. FELLOWS, D., This Way to the Big Show, New York, 1936. FERRONE, S., Arlecchino.Vita e avventure di Tristano Martinelli attore, Bari, 2006. FILLIS, J., Principes de dressage et d’equitation, Paris, 1930 ca. FINDLATER, R., Grimaldi, King of Clowns, London, 1955. FORETTE, D., Les Arts de la piste: une activité fragile entre tradition et innovation, rapport au Conseil économique et social, Paris, 1998. FOURNEL, V., Le Vieux Paris. Fétes, jeux et spectacles, Tours, 1887. FOX, C. P., Circus parades, New York, 1953. ID., A Ticket to the Circus: a Pictorial History of the Incredible Ringlings, Seattle 1959. ID., A Pictorial History of Performing Horses, New York, 1960. ID., The Great Circus Street Parade in Pictures, New York, 1978. ID., Circus baggage stock, Boulder, CO, 1983.

540

FOX, C.P.-PARKINSON, T., The Circus in America, Waukesha, WI, 1969. ID., Billers, Banners, and Bombast: the Story of Circus Advertising, Boulder, CO, 1985.

[FRANCONI I] B., Mme, née de V., Les Animaux savants, ou Exercices des de MM. Franconi, du cerf Coco, du cerf Azor, de l’éléphant Baba, des serins hollandais, du singe militaire, etc., etc., Paris, 1816. [FRANCONI II] B., Mme, née de V, Le Cirque Olympique, ou Les Exercices des Chevaux de MM. Franconi, du cerf Coco, du cerf Azor, de l’éléphant Baba, suini du Cheval Adronattle, de M. Testu Brissy, Paris, 1817. [FRANCONI III] An. (E. De Manne), Le Cirque Franconi. Details historiques sur cet établissement hippique et sur ses principaux écuyers. Recuillis par une chambriére en rétraite, Lyon, 1875. FRANCONI, V., Le Cavalier, Paris, s.d. FRATELLINI Albert., Nous les Fratellini, Paris, 1955. FRATELLINI Annie, Destin de Clown, Paris, 1989. FRÉJAVILLE, G., Au Music-Hall, Paris, 1923. FRICHET, H., Le Cirque et les forains, Tours, 1898. FROST, T, The old showmen and the old London Fair, London, 1875 ID., Circus life and Circus Celebrities, London, 1876. FROW, G., “Oh, Yes It is!”: a History of Pantomim, London, 1985. GARNIER, J., Forains d’hier et d’aujourd’hui, Orléans, 1968. ID., Théodore Rancy et son temps, 1818-1892, Orléans, 1975. GARZONI T., La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, 1585. ID., Il Serraglio degli Stupori del Mondo, Venezia, 1613. GARCIN, J., Bartabas, il cavaliere del vento, Milano, 2006. GASCAR, P., Le Boulevard du Crime, Paris, 1980. GAUTIER T., Histoire de l’Art Dramatique en France depuis Vingt-cinq ans (6 voll.), Paris, 1858-1859. GILBERT, D., American Vaudeville, New York, 1940. GINISTY P., Mémoires d’une danseuse de corde, Parigi, 1907. GIRET, N., Les Arts du Cirque au XIX e Siécle, Paris, 2001. GLADIATEUR II [Edouard Cavailhon], Le Cirque Fernando, Paris, 1875. GLAGOLEVA, N. (a c. di), The Soviet Circus: A Collection Of Articles, Moscow, 1967. 541

GONCOURT, E.

E

J. de, Journal, Mémoires de la Vie Littéraire, 1851-1865, Paris, 1989 (ried.).

GOUBET, E., Le Cirque du Mouvement, Paris, 2002. GOURARIEV, Z. (cat. a c. di), Jours de Cirque, Paris, 2002. GREENWOOD, I., The Circus: Its Origins and Growth, New York, 1898. GRETZCHEL, M., Hagenbeck: Tiere, Menschen, Illusionen, Hamburg, 1998. GROCK [Adrian Wettach], Grock ...Raconté par Grock, Neuchatel, 1931. ID., Sans blague! Paris, 1948. ID., Grock, King of Clowns (con E. Konstantin), London, 1957. GRÜSS A., Rêver les yeux ouverts, Paris, 2002. GÜNTHER, E., Sarrasani: wie er wirklich war, Berlin, 1984 (ried. Aum. 1991). ID., Sarrasani. Gesichte und Gesichten, Dresda, 2005. GUSTAFSON D. (cat. a c. di), Images From The World Between. The Circus in 20th Century American Art., Boston, 2001. GUY, J.-M., Les Arts du Cirque dans l’An 2000, Paris, 2000 (ried. 2001). ID., (a c. di), Avant-Garde, Cirque! Les arts de la piste en révolution, «Autrement», n. 209, 2001. ID., Le Cirque, Paris, 2006. GUYOT D., Curiosités physiologiques. Les Hommes-Phénomènes. Force -Agilité-Adresse, Paris, 1885. GUREVITCH, V., O Kanrax Sovieticogo Cirka, Moskva, 1970 e 1984 (ried.). ID., Ekvilibristika. Moskva, 1982. HACHET-SOUPLET, P., Le dressage des animaux, Paris, 1895. HAGENBECK, C., Von Tieren und Menschen: Erlebnisse und Erfahrungen, Berlin, 1908. HAGENBECK, L., Den Tieren Gehort Mein Herz, Hamburg, 1955. HALPERSON, J., Das Buch vom Zirkus. Düsseldorf, 1926. HAMEL C., Caresses fauves, Quistinic, 1998. ID., Les Éléphants au cirque, Quistinic, 2001. HAMMARSTROM, D.L., Circus Rings Around Russia, New York, 1983. ID., Big top boss: John Ringling North and the Circus, Illinois, 1992. ID., Goodbye Barnum: The Vanishing American Circus, Los Angeles, 2007. 542

[HARVARD], Astley’s Scrapbooks, 1769-1880; 4 voll. di ritagli di stampa e misc., Harvard

Theatre Collection, Cambridge, Mass. HARRISON, E., Masks of the Universe, New York,1985. HARTZMAN M., American Sideshow, New York, 2006. HELLER, A., Es werde Zirkus, Wien, 1976. HIPPISLEY-COXE, A.D., A Seat at the Circus, London, 1951. HIRT, F., China and the Roman Orient, Shangai, 1985. HOAGE-DEISS (a c. di), New Worlds, New Animals, Baltimore, 1996. HODAK C., Le Cirque sur le boulevard (in Aa.vv.), Les Grands Boulevards de Paris. Un parcours d’innovation et de modernité du XVIIIe au XXIe siècle), Paris, 2000. ID., L’Histoire des loisirs en Angleterre, ou le renouvellement de l’histoire sociale et culturelle (in Aa.vv., Tendances récentes de l’historiographie britannique), Paris, 2001. ID., Du spectacle d’équitation militaire au théâtre équestre (in AA. Vv., Le Cheval et la guerre XVI-Xxe siècle), Paris, 2002. ID., Du théâtre équestre au cirque:”une entreprise si éminemment nationale”. Commercialisation des loisirs, diffusion des savoirs, théâtralisation de l’histoire en France et en Angleterre c. 1760-1860, Tesi di laurea, Paris, 2004. HODAK, C., - KWINT M., A la recherche d’une identité: le cirque et le théâtre en Angleterre et en France (1768-1864), in «L’Annuaire théâtral», Montréal, n. 32/2002. HODGES, C.W., The Globe restored. A study of the Elizabethian theatre, New York, 1968. HOFFMANN N.- BAVELIER A., Quel cirque! Des écoles à la piste, Paris, 1999. HOH, L.G.-ROUGH, W.H., Step Right up! The Adventure of CIRCUS in America, Crozet, VA, 1990. HOLLAND, C., Strange Feats and Clever Turns, London, 1998. HOPKINS K.-BEARD M., The Colosseum, Cambridge, MA, 2005 HUGHES, C. The compleat horseman; or, the art of riding made easy, London, 1772. JACOB, P., Le ID., ID., ID., ID., ID., ID., ID.,

Cirque. Regards sur les arts de la piste du XVIe à nos jours, Paris, 1996. Le Cirque, un art à la croisée des chemins, Paris, 2001. Les Acrobates, Paris, 2001. Les Clowns, Paris, 2001 Les Ecuyers, Paris, 2001. Les Jongleurs, Paris, 2002. Le Cirque. Du theatre equestre aux arts de la piste, Coll. Larousse, Paris, 2002. La Fabuleuse Histoire du Cirque, Paris, 2002.

543

ID., Le Cirque. Voyage vers les etoiles, Paris, 2002. ID., Bêtes de Cirque, Paris, 2004. ID., Extravaganza. Histoires du cirque américain, Paris, 2005 JACOB P.-POURTOIS C.; Du permanent à l’éphemere. Espaces de cirque, Bruxelles, 2002. JAMIESON, D., The Circus that travelled by rail. Mills Circus, the “quality show”, Buntingford, 2002. JANDO, D. Histoire Mondiale du Cirque, Paris, 1977. ID., Histoire Mondial du Music-Hall, Paris, 1979. ID., Big Apple Circus, 25 Years, New York, 2004. JANÉ, J. – MINGUET, J., Sebastià Gasch. El gust pel circ, Barcelona, 1997. ID., El arte del riesgo. Circ contemporàneo catalàn, Barcelona, 2006. JANÉ, J., Les arts esceniques a Catalunya, Barcelona, 2001. JANSEN W., Das Varieté, Berlin, 1990. JAY, R., Learned Pigs and Fireproof Women, New York, 1986. ID., Extraordinary Exhibitions, New York, 2003. JENKINS, J., Acrobats of the soul, New York, 1987. JOYS, J.C., The Wild Animal Trainer in America, Boulder, CO, 1983. JONES C., Franco Dragone at the Limits of Vegas, Chicago, 2006. KASSON, J, Amusing the Million: Coney Island at the Turn of the Century, New York, 1978. ID., Buffalo Bill Wild West: Celebrity, Memory and Popular History, New York, 2000. KERMODE, F.,The age of Shakesepare, London, 2004. KOBER, E., Die Grosse nummer, Berlin, 1928. ID., Circus Renz, Berlin, 1940. KUNHARDT ,P. –KUNHARDT, B., Barnum, an lllustrated Biography, New York, 1995. KUSNETZOV, J., Cˇ yrk, Moskva, 1930. KUSNETZOV, J.- GUNTHER, E., Der Zirkus der Welt, Berlin,1970.

544

KWINT, M., Astley’s Amphitheatre and the Early Circus in England, 1768-1830, (tesi), Oxford, 1995. ID., The Circus and Nature in Late Georgian England (in Aa. Vv. Histories of Leisure), Oxford, 2001. ID., The Theatre of War, in «History Today», Vol. 53/2003. ID., The Legitimization of the Circus in Late Georgian England, in «Past and Present», Vol. 174/2002.

LA REGINA A., (Cat. a c. di), Sangue e arena, Milano, 2001. LARTIGUE P., La Course aux trapezes, Tolouse, 1980. LAURENDON G.

E

L., La Grande Aventure du Nouveau Cirque, Paris, 2001.

LAURIE, J.R., Vaudeville, New York, 1953 LEMAIRE S. et al. (a c. di), Zoo Umani, Verona, 2003. LE MEN S., Seurat, Chéret. Le peintre, le cirque et l’affiche, Paris, 1994. LÉOTARD, J., Mémoires, Paris, 1860. LE ROUX, H., Les jeux du cirque et la vie foraine, Paris 1889. LEVY, P. R., Les Clowns et la tradition clownesque, Sorvilier, 1991. ID., Trois clowns légendaires. Les Fratellini, Arles, 1997. LITTA-MODIGNANI, A.–MANTOVANI, S., Il circo della memoria, Milano, 2002. LOISEL, G., Histoire des Ménageries des antiquités a nos jours (3 voll.), Paris, 1912. [LONDINA] An., Londina Illustrata, 2 voll., London, 1819-25. LOXTON, H., The Golden Age of the Circus, London, 1997. MAKAROV, S., Sovietikaja Clownada, Moskva, 1986. ID., Mir Cirka. Clowni, Moskva, 1996. MALCOLMSON, R., Popular Recreations in English Society, 1700-1850, Cambridge, 1973. MALHOTRA, R., Manege Frei, Dortmund 1979. MARIEL, P., Les Fratellini: histoire de trois clowns, Paris, 1923. MARTIN, L.L., Le Music–Hall et ses figures, Paris, 1928. MAUCLAIR, D., Un Jour aux cirques, Paris, 1995. ID., Planéte Cirque, Baixas, 2002. ID., Histoire du Cirque, Paris, 2004. MAY, E. C., The Circus from Rome to Ringling, New York, 1932. MCKINVEN, J. A., The Hanlon Brothers, Glenwood, 1998. MÉDRANO J., Une vie de cirque, Paris, 1983. 545

MERKERT, J. (cat. a c. di), Zirkus, Circus, Cirque, Berlin, 1978. MERCURIALE, G., Hieronymi Mercurialis de Arte gymnastica libri sex, Venetiis, 1573 MEUNIER, J.P. et al.; Le Grand Theatre des Fauves, in «Le Cirque dans L’Univers», nn. 189, 192, 193, 194 (1998-99). MILLS C., Bertram Mills Circus. Its Story, London, 1967. MOLIER, E., Le Cirque Molier, 1880-1904. Paris, 1904. ID., L’Équitation et le cheval, Paris, 1914. ID., Le Cirque, l’équitation et l’athlétisme, Paris, 1925. MORLEY, H., Memoirs of Bartholomew Fair, Glasgow, 1892. MOYNET, G., La Machinerie théâtrale: Trucs et décors, Paris, 1893. MOYNET, J., L’Envers du théatre: Machines et décorations, Paris, 1874. NEEDHAM J., Scienza e civiltà in Cina, Torino, 1981. NEMCHINSKI, M., Cirk Rossii, naperegonki so vrenemem, Moskva, 2001. NICKELL J., Secrets of the Sideshows, Lexington, 2006 ODELL G.C.D., Annals of the New York Stage, 15 voll. New York, 1927-49. PARET, P., Le Cirque en France. Erreurs passées, perspectives d’avenir, Sorvilliers, 1993. PAUL, B., Roncalli und seinen artisten, Koln, 1996. PEACOCK, S., The great Farini: the high-wire life of William Hunt, Toronto 1995, PERRODIL, E.

DE,

Monsieur Clown!, Paris, 1889.

PICHOT, P.A., Les Mémoires d’un dompteur rédigés d’après les souvenirs personnels du célébre Martin, Paris, s.d. PYNE, H. – COMBE, W., The Microcosm of London, 3 voll., London, 1808-10 (ried. 1904). POLACSEK, J.F., The Development of the Circus and Menagerie, 1825-1860. s.l., 1974. PLOWDEN G., Those Amazing Ringlings and Their Circus, New York, 1967.

546

PRETINI, G., La Grande Cavalcata, Udine, 1986. ID. (a c. di) Antonio Franconi e la nascita del circo, Udine, 1988. ID., Il circo di carta, Udine, 1989. ID., L’anima del circo, Udine, 1989. ID., (a c. di) Thesaurus Circensis (2 voll.), Udine, 1992.

PY, C.-FERENCZY, C., La fête foraine d’autrefois, Lyon, 1987. QUIBAI Y. (a c. di), The Best of Chinese Acrobatics, Beijing, 1989. QIFENG, F., Chinese Acrobatics Through the Ages, Beijing,1985. [RAEDER, A.], Der Circus Renz in Berlin, 1846-1896, Berlin, 1896/97. RAWITSCH, N. A., Piano quinquennale del circo e varietà nell’URSS. (t. it.), Moskava, 1930. REISS B., The showman and the slave, Harvard, 2001. RINGLING-NORTH, H., The Circus Kings: our Ringling family story, New York, 1960. ROMANOWSKI, D. S., Cyrk Krutikow, Kiew, 1897. [RONCALLI] Aa. Vv., Circus Roncalli. Geschichte einer Legende, Hamburg, 1997. ROSEMBERG, J., Arts du cirque: esthetiques et évaluation, Paris, 2004. ROTHFELS, N., Savages and Beasts. The Birth of Modern Zoo, Baltimore, 2002. RÉMY, T., L’èvolution du costume des clowns [ined. 1931], Sorvilier, 1991. ID., Les Clowns, Paris, 1945. ID., Jean-Gaspard Deburau, Paris, 1954. ID., Entrées clownesques, Paris, 1962 (trad. it. Arrivano i clowns, Milano, 1980). RENEVEY, M. J. (a c. di), Le Grand Livre du Cirque (2 voll.), Genève, 1977. ID., Il circo e il suo mondo, Bari, 1985. ROBINSON, G., Old Wagon Show Days, Cincinnati, 1925. RUDNITSKY, K., Russian and Soviet Theatre, 1905-1932, New York, 1988. RYDELL RW.–KROES R., Buffalo Bill in Bologna, New York, 2005 (trad. it. Buffalo Bill Show. Il west selvaggio, l’Europa, e l’americanizzazione del mondo, Roma, 2006). RUSSELL, G., The Theatres of War: Performance, Politics and Society, 1793-1815, Oxford, 1995. SALTARINO [Otto Waldemar], Pauvres Saltimbanques. Düsseldorf, 1892. ID., Artisten-Lexicon, Düsseldorf, 1895. ID., Fahrend Folk, Leipzig, 1895. ID., Das Artistentum und seine Geschichte, Leipzig, 1910. SANGER, G., Seventy years a showman, London, 1908. [SARRASANI] Aa. Vv., Sarrasani–Mit Sarrasani in Südamerika (7 voll.), Dresda, 1928-31. 547

SAVARESE N., Teatro e spettacolo fra Oriente e Occidente, Roma-Bari, 1992. SAXON, A. H., Enter foot and horse: a history of hippodrama in England and France, London, 1968. ID., The Life and art of Andrew Ducrow, Hamden, Conn., 1978. ID., Selected Letters of P.T. Barnum, New York, 1983. ID., P T, Barnum, the Legend and the Man, New York,1989. SCHECHTER, J., Durov’s Pig. Clowns, Politics and Theatre, New York, 1985. ID., The Congress of Clowns and other Russian circus acts, S. Francisco, 1998. ID., The Pickle Clowns, S. Francisco, 2001. ID., Popular Theatre, A sourcebook, New York, 2003. SAVARY J., Ma vie commence a 20h30, Paris, 1992. SERENA, A.-CRISTOFORETTI, G. (a c. di), Il circo e la scena, Venezia 2001. SERENA A.,-VITA E., Lo spettacolo del corpo, Ravenna, 2000. SERENA, A., Luci della giocoleria, Viterbo, 2002. SERENA, A., Storia del Circo, Milano, 2002. SERGE [Feaudierre, M.], Vive le cirque! Paris, 1930. ID., Le monde du cirque vu par Serge, ivi 1939. ID., Panorama du cirque, ivi 1944. ID., Histoire du cirque, ivi 1947. SIEGEL, L., Net of Magic, Chicago, 1991. SIGNOR DOMINO [Cohfeld, E.], Der Circus und die circuswelt, Berlin, 1889. ID., Wandernde Kunstler. Panorama der Artistenwelt und des Circuslebens, Berlin, 1891. SIMON, P. A., Big Apple Circus. New York, 1978. SLOUT, W.L., Clowns and Cannons: the American Circus during the Civil War, San Bernardino, 1997. ID., Olympians of the Sawdust: a Biographical Dictionary of the 19th Century American Circus, ID., 1998. SNYDER, R.W., The Voice of the City. Vaudeville and Popular Culture in New York, Chicago, 1955. SOBEL, B., A Pictorial History of Vaudeville, New York, 1961. STAROBINSKI J., Portrait de l’artiste en saltimbanque, Ginevra, 1970. 548

STREHLY, G., L’Acrobatie et les acrobates, Paris, 1902.

STRELZOW, F. W., Anatoli Anatoljewitsch Durow, Ishewsk, 1928. SPEAIGHT, G., A history of the circus, London, 1980. ST LEON, M., Spangles and Sawdust: the Circus in Australia, Richmond, Vic., 1983. ID., Index of Australian Show Movements, 1833-1966, ID., 2002. STENCELL A.W., Seeing is Believing. America’s Sideshow, Toronto, 2002. SUGARMAN, R., Circus for Everyone, Shaftsbury, 2001. TAIT, P., Circus Bodies. Cultural identity in aerial performance, New York, 2006. TAVIANI F., SCHINO, M., Il segreto della Commedia dell’Arte, Firenze, 1982. TAYLOR, J., Shocked and Amazed! On and Off the Midway, Guilford, 2002. TAYLOR, R. L., Center Ring: the People of the Circus, New York, 1956 TAYLOR, R. P., The Death ans Resurrection Show: from Shaman to Superstar, Blodn, 1985. TESSARI, R.; Commedia dell’Arte: la maschera e l’ombra. Milano, 1981. THAYER, S., Annals of the American Circus, vol. 1, 1793-1829, Manchester, Mic., 1976. ID., Annals of the American Circus, vol. 2, 1830-1847, Seattle, 1986. ID., Annals of the American Circus, vol. 3, 1848-1860, Seattle, 1992. ID., Traveling Showmen: The American Circus Before the Civil War, Detroit, 1997. THÉTARD, H., Les Dompteurs ou la Ménagerie des origines à nos jours, Paris, 1928. ID., Coulisses et secrets du cirque, Paris, 1934. ID., La Merveilleuse Histoire du Cirque, 3 voll., Paris, 1947. THETARD, H.-DAUVEN, L.R., La Merveilleuse Histoire du Cirque (ried.), suivie de Le cirque depuis la guerre par L.-R. Dauven, Paris, 1978. TOOLE-STOTT, R., Circus and allied arts: a world bibliography, 1500-1957, vol. 1, Derby, 1958; vol. 2, ivi 1959; vol. 3, ivi 1962; vol. 4, ivi 1970; vol. 5, ivi 1982. THOMSON, R. G., Freakery. Cultural Spectacle of the Extraordinary Body, New York, 1996. TREVISAN, A., A Venezia, l’altro teatro, Venezia, 1990. TRUZZI, M., The decline of the American circus: the shrinkage of an institution, in id. (a c. di), Sociology and Everyday Life. Englewood Cliffs, NJ, 1968. TUCCARO A., Trois dialogues de l’exercice de sauter, et voltiger en l’air, Paris, 1599. TURNER, J., Historical Hengler’s Circus, 4 voll. Formby, 1989-90. ID., Victorian Arena. The Performers: A Dictionary of British Circus Biography. Formby, 1993 (Vol. I); ivi 2000 (vol).

549

TUTTLE, G.P., The History of Royal Circus, Equestrian and Philarmonic Academy, 1782-1816 (dissertaz. Inedita), Londra, 1972. VAIL, R., The Early circus in America, 1934. VAN ROOY, M., Eeen circus van steen, Amsterdam, 1996. VARDIAN, F., Sovietski Cirk na Pete Continentak, Moskva, 1977. VASSEUR, Y., Franco Dragone. Une improbable odyssée, Bruxelles, 2002. VAUX, BARON DE, Écuyers et écuyères. Histoire des cirques d’Europe (16801891), Paris, 1893. URASOW, I., Durov, Moskva, 1927. [VAN AMBURGH] A Brief Biographical Sketch of I.A. Van Amburgh …, ca. 1845. VERDONE M., Spettacolo romano, Roma, 1970. ID., Feste e spettacoli a Roma, ID., 1983. VERNE, M. Les usines du plaisir. La vie secrète du music-hall, Paris, 1929. ID., Musées de voluptés: le secret des nuits électriques, ID., 1930 ID., Les amuseurs de Paris, ID., 1932 VITA E., Il teatro delle meraviglie, Ravenna, 1990. VRIELING, D., Van Wilhelm Hagenbeck tot Erie Klant, Amsterdam, 1998. WALSH, R., The spirit of shamanism, Tarcher, 1990. WALLON E. (a c. di), Le cirque au risque de l’art, Paris, 2001. WARREN, L. S., Buffalo Bill’s America: William Cody and the Wild West Show, New York, 2005. WARWICK, W., The London Pleasure Gardens of the XVIII Century, Londra, 1896. WEBER C. W., Panem et circenses, Milano, 1986. WEEKS D.C, Ringling. The Florida Years, 1911-1936. Miami, 1993. WICKHAM G., Storia del teatro, Bologna, 1988. WHALE, J., Indian jugglers: Hazlitt, Romantic orientalism and the difference of view, in FULFORD-KITSON (a c. di), Romanticism and Colonialism: Writing and Empire, 1780-1830, Cambridge, 1998. 550

WEDLAKE, E., Historical and Descriptive Accounts of the Theatres of London, London, 1827.

WINKLER D.–LIESE B., Es kamen 60 milionen…Der staatzirkus in zahlen und fotos, Berlin, 2006. WINTER M.-H., Le Théâtre du merveilleux, Paris, 1962. WYLLY, H.C., XVth (The King’s) Hussars, 1759-1913, London, 1913. ZHENGBAO, W., The Art of Chinese Acrobatics, Beijing, 1982. ZIETHEN, K. H., 4000 Years of Juggling, 2 voll., Cauvigny, 1981. ID., Juggling: the art and its artists, Berlin, 1985, ZUCCA, A., Acrobatica e Atletica, Milano, 1902.

551

INDICE

DEI NOMI

Discipline circensi Acrobazia, 60-3, 66, 74, 83-5, 95, 168-170, 193-94, 209-10, 239 303-05, 320-24, 327, 384, 413-15, 448-52 Arti equestri, 75-7, 90-94, 110-112, 117-21, 161-63 488 279 309-10, 322, 329, 415-17, 446-47, 508 (n.23) Ammaestramento di animali, 60-1, 124- , 174-77, 275-79, 309-10, 329-31, 38587, 418-23, 500-02 Clown, 89, 107-108, 117-112, 163-167, 197200, 244-51, 309, 327-29, 355-56, 430-32, 447, 486 (n.22), 487 (n.5), 499 (n.28) Funambolismo, 83-5, 309, 325-27, 415, 452 Giocoleria, 67, 194, 210, 305-06, 327, 415, 447-48 Trapezio e discipline aeree, 170-74, 192, 195, 197, 306-309, 324-26, 382-84, 417-18, 447, 452, 508 (n.22), 512 (n.15)

Protagonisti e circhi L’indice comprende esclusivamente nomi di personaggi e istituzioni circensi. Pertanto sono esclusi personaggi storici, letterati, attori, cineasti, luoghi, teatri, istituzioni, etc. quando non direttamente coinvolti in avvenimenti circensi peculiari. I nomi di circhi, teatri, compagnie e istituzioni sono in corsivo. Non sono riportati i titoli di singoli spettacoli o film. A et O, compagnia, 437 Academie Fratellini (v. Fratellini, Academie)

Accademia del Circo (anche d’Arte Circense) 49, 368, 414, 415, 440, 451, 471-72, 474 Achard, J.R., 47, 440 acquatici, circhi, 188-89, 497-98 (n.16), 509 (n.4) Acro-Mecanico, duo, 414 Acrostiches, compagnia, 437 Adams, “Patch” H., 511 Adkins, J., 448 Adrenaline-Alfredo, duo, 431 Advinent, B., 125 Aeros, C., 243 Aeros, circo, 506 Aga-Boom, compagnia, 447 Agoust, famiglia, 195, 200, 498 Agoust, H., 199 Aguanitos (Merzari), duo, 309 Ahlers-Krone, I., 261, 277 Akeff, trio, 305 Akishin, troupe, 411 Alard, fratelli, 89 Alberini, M., 295 Albertis (Bricherasio) troupe , 305 Alegria, famiglia, 415 Alegria, S., 383 Alex, 249 Alexander, F., 306, 508 Alexis (Lorador), fratelli, 324, 384, 414 Alexis (Lorador), sorelle, 324 Alexis, clowns, 432, 509 Alfredo, 328 Aligre, circo, 511 Allisons, troupe, 239 Alloucherie, G., 436, 448, 466 Alpi, A., 125 Althoff, A., 506 Althoff, Carl e circo omon., 506, 508 Althoff, Corty e circo omon., 358, 506 553

554

Althoff, D., 504, 506 Althoff, dinastia, 133, 285, 313, 329, 398, 506 Althoff, Franz jr. 313, 358, 417 (v.a. Williams-Althoff, circo) Althoff, Franz sen., e circo omon., 284, 285, 297, 309, 310, 313, 504, 506 Althoff, G., e circo omon., 358, 506 Althoff, P., 504 Althoff-Corty, circo (v. Corty-Althoff) Althoff-Jacobi E., e circo omon., 313, 359 Alvarez, A., 415 Amadori, G., 240 Amar, fratelli e circo omon., 263-64, 277, 279, 281, 283, 290-92, 295, 313, 319, 509, 510, 521 Amato, fratelli, 181 Americano, circo (Italia, v.a.Togni), 297-98, 306, 316, 318, 363-4, 368, 387, 397, 401, 407, 445, 468, 504, 507 Americano, circo (Spagna), 233, 285, 290, 291, 296-98, 507, 522 Amoros, 170, 171 Amoros-Silvestrini, impresa, 285, 358 Anastasini, dinastia, 203 Ancillotti, troupe, 195 Ancillotti, U., 243, 272 Ancillotti-Plége, circo, 264 Anderson, K., 324, 338, 513 André, J.B., 448 Andreu-Rivels, v.Rivels Angel, C., 455 Angelina, 432 Angelo, D., 97, 489 Aniskin, troupe, 417 Annato, P., 162 Anomalie, compagnia, 437, 466, 481 Antonet, v.Guillaume, U. Antonio e Averino, duo, 244 AOC, compagnia, 448 Apollo, circo, 280, 281, 296, 506, 509 Aragon, dinastia, 393 Archaos, circo, 22, 372-73, 389, 394, 395, 396, 427, 433, 435, 436, 445, 466 Arcipelago, compagnia, 443, 470, 472 Arnault, impresario, 151, 494, 496 Arnold, T., 283, 293, 508 Arts Sauts, compagnia, 22, 435, 447, 481 Ashton, famiglia, 207

Asiatic Caravan (Barnum), 158, 218, 225 Astley, J., 98, 106-107, 118 Astley, Patty, 98 Astley, Philip, 23, 97-112, 141, 339, 452, 488-91 Astley’s Amphiteatre, 101, 117-124, 127134, 137, 141, 149, 150, 161, 163, 174, 177,181, 231, 235, 418, 489, 491, 497500 Astley’s Riding School, 97-99 Atayde, A., 207 Atkin, zoo ambulante, 125, 129 Atlantis, troupe, 451 Atlas, troupe, 305 Auderen, W., 506 Audinot, impresario, 87, 110 Aurelia, 417 Auriol, B., 118, 165, 169, 191, 492, 496 Austen, B., e circo omon., 394 Ayak, duo, 417 Ayuche, T., 300 Azelle, 197 Backstreet Flyers, 322 Bagessen, 244, 249 Bailey, J.A.(J. McGinnis) 207, 220-23, 25960, 272-73, 501, 502, 505 Bale, E., 326-27 Balp, cavallerizzo, 112, 488 Banks, ammaestratore, 80 Baobab, circo, 443 Barba, E., 334, 371 Barberio-Corsetti, G., 472 Barbette (V. Clyde), 233, 236, 288 Barette, M., 396 Bario (M. Meschi), 247, 248, 503 Bario, T., 396 Bario, troupe, 283, 309, 328 Barlay, famiglia e circo, 289, 506 Barnes, A.G., e circo omon., 277, 505, Barnum and Bailey, circo, 21, 196, 221-23, 227, 235, 256, 259-63, 267, 271, 279, 288, 372, 477, 501, 502 (v.a.: Ringling bros. and Barnum e Bailey). Barnum, P. T., 20, 21, 25, 145, 150, 152-59, 163, 187, 202, 205, 208, 211, 217-22, 223-28, 494, 499, 502 Barnum’s Kaleidoscape, circo, 402, 404-05, 429, 432, 460, 464, 512

Baroque, circo, 371, 435-36 Bartabas (C. Marty), 43, 77, 369, 370-71, 385, 423, 433, 446 Barum- Kreiser, circo, 262, 280-81, 506 Barum–Siemoneit, circo, 313, 331, 358, 398, 459 Bassano, E., 295, 316 Bassi, L., 337 Bassi, troupe, 305 Bates, J., 92-94, 488, 491, 497 Batiss, clown, 245 Batty, T., 130, 177, 275, 491, 497 Baucher, F., 135, 147, 161, 495, 500, 519 Bauer, E., 310 Bauer, J., 513 Baumann, C., 311 Bausch, P., 348, 371, 385, 432, 438, 449, 465 Beatty – Cole, circo (v.a. Cole), 506 Beatty, C., 274, 275, 278, 521 Bebè, T., 277 Beby (v.Frediani, A.) Bedini, clown, 166 Begbudi, S., 322 Beketov, clown e impresario, 166, 500 Beliakov, troupe, 303 Bell, W., 195 Bellei, dinastia, 203, 266 Belli, circo, 289, 506 Belling, fratelli, 199 Belling, Thomas, 499 Belling, Tom, 199-200, 244-45, 499, 520 Bello, duo, 415, 451 Bells, troupe, 409, 509 Bellucci, famiglia, 266, 360, 362, 469, 514 Bellucci, Y., 469 Bennett, A. e D., 324 Benneweis, famiglia e circo, 295, 359, 506, 509 Bentos, clowns, 509 Bergonzini, A., 193, 499 Bertini, troupe, 321 Berusek, famiglia, 303 Berusek, M., 415 Biasini, dinastia, 203, 266, 322 Bidel, F., 176, 190, 216, 263, 276, Bidon, circo, 336, 373, 393 Bidon, P. (Pierric Pillot), 49, 373, 394, 396, 435, 443 Big Apple Circus, 26-7, 34, 37, 322, 341-42,

346-49, 351-53, 355-56, 369, 374, 378-79, 381, 389, 394, 396, 404-05, 408, 421, 426, 431, 442-43, 445, 452, 460, 464, 510, 522-23, 536, 540 Bigarnet, M., 415 Binder, P., 342-43, 346, 348-49, 352-53, 405, 510 Bindlestiff Family, compagnia, 427 Bingo, troupe, 458 Bisini, R., 265 Bizzarro, famiglia, 203, 266, 514 Blazek, R e J., 190, 224 Blondin (J.F.Gravelet), 151, 172, 173, 190, 519 Blondin “Arsens”, 173 Bogino, D., 415 Bogino, famiglia, 305, 322 Bogino, U., 243 Bogis, troupe, 303 Boitchanovi, troupe, 321 Boitsov, troupe, 413 Bolshoi, circo a Mosca, 27, 394, 406, 408, 497 Boltini, famiglia e circo, 506 Bolton, R., 374 Bolze, M., 448 Bombayo, 244 Bonavita, J., 216 Bondarenko, duo, 415 Bondarev, troupe, 37, 413 Boone, D., 501 Borissovi, troupe, 321 Borodina, E., 31, 414 Borra, 305 Borzovi, troupe, 406, 418, 447 Bostock, dinastia, 174, 211, 213, 215, 216, 232, 279, 494, 501 Boswell (J. Clemens), 165, 166 Böttcher, U., 331 Bouglione, circo, 27, 263-64, 277, 283, 292, 293, 309, 319, 345, 398, 432, 445, 459, 461, 466, 481, 494, 507, 510 (v.a.Cirque d’Hiver) Bouglione, dinastia, 25, 35, 234, 263, 396, 398, 503, 504 Bouglione, E., 329 Bouglione, F., 277 Bouglione, Joseph jr., 415 Bouglione Joseph, circo, 396

555

Boulicot et Recordier, 503 Bourque, G., 396 Bouthors, famiglia e circo, 493, 500 Brachetti, A., 449 Bradna, E., 280 Brazil Jack, circo, 356 Brenn, E., 305 Briatore, A., 246, 503 Briatore, famiglia, 194 Bricherasio, cfr. Albertis Brilloff, 137, 493, 495 Brizio, famigla, 509 Brönett, 267 Brook, P., 335, 343, 378, 379, 433 Brown, D., 449 Brown, J.P., cfr. Purdy Brown Brun, P., 425 Brunn, F., 38-9, 286, 306, 447 Buffalo Bill, v. Cody, W.F. Buffalo Bill’s Wild West Show, 214, 221, 223, 260, 263, 264, 267, 280, 417, 502, 505, 520 Bugrimova, I., 257, 300 Burck, W., 385, 523 Bureau, circo, 264, 289, 505 Burgess, H., 46, 338, 343 Burton, impresario, 207 Busch, circo stabile a Berlino, 189, 232, 234, 237, 252, 497 Busch, J., 261 Busch, Jacob, circo, 261, 262, 277, 281, 506 Busch, Paul, 232 Busch, Paula, 237, 280, 281, 506 Busch-Roland, circo, 358 Buslaev, domatore, 257 Bustric (S. Bini), 336 Butson, C., 283, 508 Byland, P., 337

556

Caballeros, troupe, 409, 417, 411, 511 Caceres, troupe, 509 Cairoli, C., 248, 283, 327, 503 Cairoli, J. M., 249, 503 Campolongo, J., 385 Canestrelli, famiglia, 266, 322, 509 Canestrelli, M., 322 Canestrelli, R., 318, 509 Canestrelli, V. (v. Togni-Canestrelli, V.) Canton, compagnia acrobatica di, 410, 413, 445, 449, 450, 457, 458

Cantoni, impresario, 181 Caratha, M., 84-85 Carbonari, famiglia, 266, 514 Carcellé, J., 285, 293 Cardenas, R., 306 Cardini, 251 Cardona, domatore, 496 Cardona, E., 324, 508 Carey E., 451 Carillon (Perezvony), troupe, 391, 418, 426, 447 Carl, G., 327-28 Caroli, A., 432 Caroli, dinastia, 203, 236, 266, 309-10, 322, 328, 415, 503 Caroli, E., 241-42 Caroli, F., 432 Caroli-Francescos, troupe, 309 Caron, G., 46, 341, 343, 368, 374, 377-8, 394, 396, 405, 408, 425, 441 Carrara, G., 435 Carré A., 309 Carré, C.W., 179, 494 Carré, dinastia e circhi, 179, 279, 492, 494, 495, 500 Carré, O., 181, 232, 494 Carré, teatro-circo ad Amsterdam, 232, 237, 284, 293, 400, 494 Carrillo, P., 325 Carrillo, P., jr., 452 Carson-Barnes, circo, 460 Carter, J., 129-30, 174, 492, 493 Casanova, L., 212 Casaro, R., 313, 317, 318 Casartelli, B., 447 Casartelli, dinastia (v.a. Medrano, circo), 35, 266, 284, 285, 294, 295, 218, 361, 362, 363, 365, 399, 401, 415, 416, 445,468, 498, 507, 509 Casartelli, I., 447 Casartelli, J., 294 Casartelli, Leonida, 294, 361 Casartelli, Liliana, 294 Casartelli, Lucina, 294 Castello, D., 217, 502 Castilla, A., 285, 293, 296-98, 313, 318, 358-59, 452, 507, 522 Castle, H., 244 Castors, troupe, 305, 327

Catana, troupe, 413 Cavalia, compagnia, 457, 513 Cavallini, famiglia, 203 Cavarettas, troupe, 509 Caveagna, dinastia, 266, 322 Cavedo, famiglia, 510 Celedon, M., 435 Centre National des Arts du Cirque, 43, 46, 367-68, 372, 377, 417, 436-40, 442, 465-66, 473, 512, 523 Chabri, clowns, 328, 432, 509 Chadwick, clown, 199, 200 Chalfen, M., 299, 507 Chang, 227 Chaplin, C., 44, 47-78, 117, 198, 200, 231, 245, 247, 249, 251, 299-300, 329, 432, 449, 499, 520 Chaplin, V., 333, 336, 342, 356, 427, 449, 522 Charles, domatore, 174 Chelnokov, N., 458 Chemchour, troupe, 322 Chen, circo, 359 Chen, famiglia, 384, 424 Chéret, J., 176, 183, 189, 199 Cheval Théâtre, 417, 457, 513 Chiarenza, M., 470, 472 Chiarini, dinastia, 35, 74, 83, 86, 141, 205, 491, 517 Chiarini, G., 206-9, 457, 500 Chiarini, L., 92 Chiarini, V., 165 Chicago Kids, 404 Chiesa, troupe, 193, 194 Chijov, troupe, 417 Chimera, circo, 460, 511 China Troupe (o troupe di Pechino), 410, 451, 457, 458 Ching Ling Foo, 208 Chipperfield, D., 331 Chipperfield, dinastia e circo, 284, 289, 313, 330, 360, 385, 421 Christensen, M., 342-43, 346, 352, 374, 442, 511, 523 Christiansen, S., 280 cinese, circo, 17, 33, 47, 54-58, 66-68, 95, 207-08, 296, 300-02, 379, 395, 408-11, 449-51 ( v.a.: Canton, China Troupe, Shanghai, Shen Yang, Shandong)

Ciniselli, circo a S.Pietroburgo, 173, 181, 189, 232, 237, 252, 253, 254, 492, 494, 497, 498, 520 Ciniselli, G., 141, 147, 150, 181, 189, 302, 493, 494, 495, 497, 500 Ciniselli, S., 251 Cinquevalli (P.Braun-Lehmann), 194, 231, 498 Circ Cric, 374 Circo da Madrugada, 443 Circo di Stato Sovietico, 254-257, 299, 406407 Circus Space, scuola a Londra, 374, 440, 473 Cirque des Champs-Elysees ( anche d’Etè e de l’Imperatrice) a Parigi, 133-36, 147, 149, 169, 180, 186, 191, 492, 500 Cirque d’Hiver (v.a. Napoleon) a Parigi, 25, 148, 177, 180, 186, 189, 190, 191, 232, 234-35, 237, 248, 264, 283, 292, 293, 306, 319, 335, 339, 363, 396, 459, 461, 494, 503, 505, 509, 513 Cirque du Soleil, 19, 21, 22, 25, 26, 27, 29, 31, 37-38, 43, 49, 235, 271, 299, 336, 352, 358, 368, 369, 371, 373, 374-79, 381, 389-90, 393-97, 401, 403-04, 408, 409, 410, 411, 413, 414, 415, 417, 421, 425-27, 429, 431, 440, 441, 443, 445, 451, 452-57, 460, 463-67, 472-73, 479-81, 509, 512, 514 Cirque en Kit, 373 Cirque Ici, 437 Cirque Imaginaire / Cirque Invisible, v. Thierrée, J.B. Cirque Imperial a S.Pietroburgo, 150, 458, 519 Cirque Olympique (v. Franconi) Clark, J., 85 Clarke, C. e E., 195, 240, 273, 521 Clarke, T., 498 Clérans, duo, 307 Clerico, fratelli, 305 Clown Care Unit, 341, 374, 442-43, 523 Clown College, 46, 328, 338, 355, 432, 522 Clowns Sans Frontiéres, 443 Cnac (Centre National Arts du Cirque), 43, 46, 367-68, 372, 377, 417, 436-38, 440, 442, 465-66, 473, 512 Cnac, v. Centre National des Arts du Cirque Coda-Prin, famiglia, 514

557

558

Codona, A., 235, 240, 243 Codonas, troupe, 233, 235, 236, 238, 270, 274, 306, 324 Cody, W. F., 221, 502 Colas, J., 437 Cole Bros., circo, 259, 460, 502, 506 Coliseu dos Recreios, circo a Lisbona, 180, 237, 293 Colleano, C., 236, 241, 243, 244, 274, 326, 415 Collien, Kurt, 291 Collins, duo, 431 Colombaioni, famiglia, 203, 334, 337 Colpi, acrobata, 100 Colporteurs, compagnia, 435, 447, 472 Comedians, compagnia, 335, 374 Compagnie 111, 448 Compagnie Foraine, 373 Concello, A., 240, 287, 508 Concello, troupe, 240, 306 Conelli, circo, 429 Coningham, cavallerizzo, 93-94, 99, 488 Conklin, G., 259, 279 Constantenus, G., 224, 190 Cooke, domatore e impresario, 142, 491, 492, 497, 500 Cooper, impresario, 207 Cooper, J., 492, 500 Cordiére, J., 335 Corea del Nord, Circo di Stato, 38, 43, 46, 197, 302, 303, 382, 383, 409, 411, 417, 433, 452, 508, 511 Corradi, V., 393 Corradini, impresario, 181 Corty–Althoff, circo, 237, 260, 262 Corty, P., 504 Cottle, G., e circo omon., 313, 360, 374, 394, 475, 508 Coudoux, 324 Coup, W.C., 211, 217-19, 225, 502 Coupan, J,. 291 Court, A., 236, 278, 286, 311, 331, 505 Court, Zoo-Circus, 263, 277 Cousins, troupe, 437 Craddocks-Fratellini, troupe, 305 Cragg, troupe, 190, 193, 199, 498 Cranes, troupe, v. Golovko Crazy Wilson, 452 Cretzu, troupe, 509

Cristiani, dinastia, 35, 203, 241, 243, 266, 286, 303, 310, 503, 506 Cristiani, L., 241 Cristo, A., 359, 508 Crockett, domatore, 496 Cronin, M., 194 Cszeiler, F., 405 Cuneo, J., 385 Curatola, duo, 415, 451 Cuzent, Paul, 147, 149, 150, 182, 494, 495, 182 Cuzent, Pauline, 161 Cuzent-Léjars-Loisset, compagnia, 147, 149, 182, 494 D’Angelo, C., 393 Dallaire, M., 435 Danger-Castilla, troupe, 452 Dare, L., 189 Dario et Bario, 249, 503 (v.a. Bario) De Bach, C., 91, 112, 133, 137, 182, 492, 493, 494 De Bianchi, dinastia, 35 De Bianchi, T., 505 De Jonghe, circo, 506 De La Broue, cavallerizzo, 75 De La Guarda, compagnia, 427 De La Tour, O., 272 De Louvenére, V., 447 De Massilia, H., 129, 174 De Mille, C.B., 270, 287, 288, 309, 477, 506, 521 De Rocchi, U., 361, 362 De Santo, G. e K., 432 Dean, L.A., 385 Debureau, J.B., 23, 115, 124, 491, 519 Decouflé, P., 466 Decroux, E., 333, 337 Dejean, L., 124, 133, 134, 147-48, 151, 16667, 171, 177, 180, 181, 186, 218, 491, 494, 497, 500, 503, 504 Dell’Acqua, famiglia, 514 Delmonico, domatore, 496 Delpini, C., 88, 89, 108 Demuynk, circo, 506 Denisov, S., 311 Désprez, fratelli, 243 Désprez, G., 234, 264, 494, 503 Dewhurst, clown, 163

Deyerling, E.R., 276, 501, 520 Dhotre, D., Di Lello, famiglia, 509 Diavoli Bianchi, 325 Diavolo, A., 170 Dibdin, C., 23, 102-103, 488-90, 518 Dimitri, 336, 337, 356, 510 Dimitri, D., 415, 448, 510 Dingley, J., 93-94, 488 Dobritch, duo, 322 Docteur Paradi, circo, 373 Dominique, 305 Donati, D., 25, 318, 522 Donati, G., 304, 305 Dondy, R., 328 Dos Santos, M., 415 Dougherty, T., 432 Doval, M., 325 Doveiko V., 303, 521 Dragone, F., 336, 373, 377-78, 389, 396, 425-27, 455, 457 Dromesko, compagnia, 433 Dubois B., 107 Ducrow, A., 117-18, 121-24, 129, 141, 161, 163, 168, 182, 218, 495, 497 Dukovi, troupe, 509 Dungee, A., 85 Duperé, R., 396 Durov, V. L., 166, 190, 252, 253 Durov. A., 251, 252 Durova, T., 374, 383, 431 Duss, R., 423 Dymek, troupe, 322 Eastwood, W., 415 Ecole Nationale du Cirque di Montreal, 28, 341, 440 Eder, B., 257, 276 Edon, G., 325 Edwards, J., 337, 522 Egorov, troupe, 384, 418 Ejzenštein, S., 254, 477 Ella, M. (O. Kingsley), 162 Eloize, circo, 426-27, 451, 456-57, 465, 472, 481, 513, 523 Embell-Riva, circo, 360, 398, 469, Emil (E. Steinberger), 353, 510 Empire di Londra, 184, 231, 234 Empire, teatro-circo a Parigi, 233, 234, 235, 237, 264, 503

Eng e Chang, gemelli, 157, 205, 224 Enguibarov, L., 300, 329, 432 Ente Nazionale Circhi, 362, 366, 368, 420 Eric et Amelie (Varelas E., e Demay, A.), 415 Ermolaev, I., 329 Ernestos, clowns, 509 Errani, duo, 415, 451 Errani, famiglia e circo, 514 Esac (Ecole Superieure des Arts du Cirque di Bruxelles), 48, 440, 473 Etaix, P., 37, 46, 339-46, 366, 477, 522 Ethardo, 194 Evans, M., 236 Ezralow, D., 449 Fabri, N., 248 Faggioni, famiglia, 359 Faimali, U., 151, 174, 176, 211, 275 Faludi, troupe, 303 Farell, duo, 325 Farfadais, compagnia, 449 Farfan, A. e troupe, 325, 417, 509 Farini, G., 173, 499 Fasoli, G., 512 Fattini the Great, 327 Fedotov, A., 257, 276 Feijo, M., 285, 358, 507 Feld, I., 315, 321, 328, 338, 403, 452, 522 Feld, K., 431, 403-04, 425, 430, 452, 463-64, 512 Feld, N., 463-64 Fellini, F., 23, 167, 318, 327, 335, 341-43, 346, 347, 478-79, 499, 522 Feria Musica, compagnia, 448 Ferkos, troupe, 321 Fernando (F. C. Beert), 190 Fernando, circo a Parigi (v.a. Medrano), 19091, 245, 498, 520 Ferroni, T., 252 Festi, V., 336, 449 Festival di Montecarlo, 38, 320-21, 379-81, 383, 385, 387, 399, 426, 447, 450, 468, 480, 511, 522 Festival du Cirque de Demain (Parigi), 341, 355, 379, 381, 412 Fiaschi, C., 75 Fields, W.C., 244 Filatov, famiglia, 252 Filatov, V., 299 Fillis, J., 495

559

560

Flic-Flac, circo, 395, 459 Fliegenpilz, circo, 356, 393, 509 Flik, scuola di circo (Torino), 442 Florilegio, circo (v.Togni Darix, circo) Flying Girls, troupe, 452 Flying High Circus, scuola, 442, 510, 521 Fo, D., 334, 346 Folco, famiglia, 203, 310, 509 Folies-Bergère, teatro, 183, 186, 190, 195, 197, 224, 226, 234, 288, 496, 498, 520 Fomenko, troupe, 299 Fomine, V., 383, 417, 441 Foottit et Chocolat, duo, 189, 245-46, 520 Forepaugh, A., e circo omon., 211-12, 221, 501, 502, 505 Forgie, H., 328 Forgione, famiglia, 509 Forioso, funambolo, 174 Fornasari, famiglia, 322 Fossett, dinastia e circhi, 284 Francesco (F. Brunaud), 432 Francescos, v. Caroli Franco, D., 327 Franconi V., 180 Franconi, Adolphe, 120, 124, 495 Franconi, Antonio, 79, 109-111, 125, 137, 490-91, 497 Franconi, B., 500 Franconi, C., 180, 191 Franconi, Cirque Olympique, 115-124, 129, 133, 134, 150, 166, 188, 492 Franconi, dinastia, 23, 35, 109-111, 115-124, 134, 152, 161, 137, 191, 218, 490-91 Franconi, H., 109, 111, 120 Franconi, L., 124, 150-5, 163, 494-95 Fratellini Academie, 29, 49, 440, 443, 473474 Fratellini, Annie, 37, 46, 339-49, 366-68, 432, 440, 471, 494, 503, 505, 511 Fratellini, T., 432 Fratellini, trio (Albert, Francois, Paul), 44, 231, 233, 234, 244, 246-49, 252, 270, 309, 327, 328 Fratellini, V., 416, 432, 435 Fratellini-Etaix Ecole Nationale du Cirque a Parigi, 37, 339-49, 366-68, 373, 378, 415, 436, 440, 466, 511 Frediani, A. (Beby), 247, 503 Frediani, dinastia, 203

Frediani, trio, 189, 195, 241, 252, 520 French, clowns, 509 Fu You, S., 300 Fuentes-Gasca, famiglia, 405 Fumagalli, v. Huesca, G. Fura dels Baus, 335, 374, 435, 449, 455 Gaertner, fratelli, 166 Gambarutti, famiglia, 266 Gandey, circo, 511 Ganeyev, R., 458 Gaona, T., 324 Garcia, famiglia, 384 Gaston, v., Hani.,G. Gatti e Manetti, circo, 265, 505 Gatti, G., 505 Gatto, A., 44, 415, 447 Gautier, D., 493, 494 Gautier, J., 161 Gautier, T., 121, 130, 169, 191, 492 Gebel-Williams, G., 310, 314-15, 329-30, 331, 387, 509 Gerardi, famiglia, 203, 266 Gerardi, R., 294 Gerry (Geryk), B., e troupe, 309 ghiaccio, circhi sul, 507-08 Giarola, A., 510 Gibadullin, famiglia, 252 Gibault, R., 392, 509 Gibsons, troupe, 508, 509 Gindick, M., 447 Gladilchikov, 257 Glasner, J., 505 Gleich, J., e circo omon., 261-62, 277, 28081, 506 Glinseretti, troupe, 239 Gneushev, V., 390-91, 396, 408, 411, 413-15, 417, 418, 423, 425-26, 458, 511, 513, 523 Gold, R., 309 Goldberg, N., 425, 457 Golden Circus Festival, 362, 460 Gollmar, circo, 505 Golovinskaja, M., 417 Golovko V. e troupe, 37, 382, 403, 513 Goncourt, E., 135, 136, 147, 173, 191 Gontard, C., 117, 166 Gonzales, J.M., 359 Gordeeva, I., 414

Gordon, J., 355, 432 Goscyrk, cfr. Circo di Stato Sovietico Gosh, circo, 429, 435 Goty, duo, 432 Grand Celeste, circo, 373, 466 Grice, T., 166 Griebling, O., 249 Grimailo, A., 414, 458 Grimaldi, G., 89, 103, 108,487-88 Grimaldi, J., 89, 90, 109, 116-17, 488 Griswold, L., 305 Grock (A. Wettach), 37, 233, 235, 243, 246-7, 250-1, 270, 291, 309, 328, 342, 432, 503-4 Grüss, dinastia, 264, 283, 290, 324, 396, 416, 505 Grüss, Alexis jr., 37, 46, 341-42, 345-46, 364, 416 Grüss, Alexis sen., 291, 329, 446 Grüss, Andrè, 291 Grüss Arlette, circo, 392, 394, 396-97, 432, 459, 481 Grüss Christiane, circo, 392 Grüss - Cirque à l’Ancienne (e poi Cirque National), 37, 46, 235, 324, 338, 34149, 351-52, 353, 355, 356, 358, 36468, 369, 371, 374, 377, 378, 379, 387, 391, 392, 396, 408, 463, 445, 466, 511 Grüss, G., 417 Grüss, L., 416 Grüss, Martine, 416 Grüss, Maud, 416 Guan Dong, troupe di, v. Canton Guerra, A., 141, 147, 161, 182, 492, 493, 494, 497, 500 Guerreros, troupe, 417, 452 Guidi, duo, 415 Guillaume, dinastia e circhi, 124, 139, 181, 202, 237, 265, 497 Guillaume, N., 505 Guillaume, R., 505 Guillaume, U. (Antonet), 247, 249, 497, 503 Gumpertz, S., 274, 286 Gurianov, troupe, 413 Guyon, J., 188, 200, 244-45 Hagenbeck C., 211-17, 223-28, 275, 499, 500-01 Hagenbeck Carl, circo, 210, 261, 280, 281, 501, 506

Hagenbeck, H., 261 Hagenbeck, impresa, 188, 210-17, 218, 22328, 256, 257, 273, 275-78, 285, 311, 500-01, 508 Hagenbeck, L., 261 Hagenbeck, Wilhelm, 213-14, 216, 261, 263, 275-77, 504 Hagenbeck, Willy, 276, 281, 295, 311, 504, 506 Hagenbeck-Wallace, circo, 277, 501 Hall, J., 83 Hani, G., 322, 432 Hanlon, B., 498 Hanlon, T., 161 Hanlon, troupe, 141, 194, 498 Hanlon, W., 197 Hanlon-Lees, troupe, 186, 190, 195, 197, 198-200, 231, 498 Hanlon-Volta, troupe, 197 Hanneford, circo, 460 Hanneford, E. (“Poodles”), 273 Hanussen, H.J., 233 Hassani, A., 305 Hatwin, equilibrista, 100 Hayden, B., 166, 200 Heliot, C., 277 Heller, A., 347-48, 353, 401, 408, 428, 458, 510 Hengler’s, circo a Londra, 149, 181, 231 Hermann, domatore, 496 Heros, circo, 297, 504, 507 Heth, J., 153 Hetz Amphitheater a Vienna, 91-92, 133 Hinné, J., 112, 147, 493 Hinné, K.M., 181, 494, 497, 499 Hippodrome de Clichy a Parigi, 216, 232, 494 Hippodrome de l’Alma a Parigi, 187-91, 200, 226, 494, 501, 502 Hippodrome de l’Etoile a Parigi, 150-151, 494, 496 Hippodrome de la Porte Dauphine ( anche Nouvel Hippodrome) a Parigi, 151, 494 Hippodrome Madison Square a New York, 152, 158 (v.a. Madison Square Garden), 225, 500 Hippodrome, teatro-circo a Londra, 231-32, 234, 497, 499 Hippodrome, teatro-circo a New York, 23133, 237, 497

561

Hippotheatron, circo a New York, 149, 219 Hirzel, U., 429 Hittorf, C.I., 134, 147, 519 Hiver,Cirque d’ (v. Cirque d’Hiver) Holborn’s, circo a Londra, 149, 181, 231, 499 Holzmair, W., 331 Horn, R., 306 Horrors, Circus of, 394-95 Hortobagy, troupe, 303 Houcke, dinastia, 180, 181, 279, 281, Houcke, G., 311, 387 Houcke, H., 494 Houcke, J., 503 Houcke, J.L., 497 Houcke, Sacha, jr, 331, 358, 387, 416 Houcke, Sarah, 404 Houdini, H. (E. Weisz), 33, 231, 233, 252, 263 Howe, S., 127 Howes and Cushing, circo, 493 Hoyles, G., 346, 427, 432 Huber, W., 423 Hudes, L., 396 Huesca, famiglia, 322, 451 Huesca, G., 432, 480 Hughes, C., 99-100, 103-109, 112, 149, 489-90 Hush-Ma-Hush, 451 Hyam, cavallerizzo, 100, 488 Ibarra, troupe, 303 Ignatov, S., 327 Ignatov, troupe, 416 Illi e Olli, 510 Ingegnieux, circo, 425 Irwin, B., 339, 346, 427, 447, 510 Isakiaan, S., 311 Ivachenko, A., 415 Iverson J., 404 Izossimov, O., 413

562

Jackson, J., 249 Jacob, P., 403, 404, 429 Jacobs, D., 383 Jacobs, L., 292 Jacobs, T., 278 Jando, D., 352, 440 Jarz, famiglia e circo omon., 266, 285, 295, 307, 324, 359, 508

Jarz, K., 324 Jarz, L., 324, 508 Jay, R., 427 Jean Paul (clown), 510 Jeske, J., 432, 447 Jigalov, A., 431 Jigalova, N., 417 Jimenez, R., 325 Johnasson, famiglia, 506 Johnson, T., 92-94, 488 Jojo, 224 Jones, impresario, 207 Jordan, L., e troupe, 503 Jumbo Super Circus, 318 Juteau, E., 189 Kadir, troupe, 255, 256 Kailicoa, troupe, 322 Kaleidoscape, v. Barnum’s Kaleidoscape Kanewari, troupe, 209 Kantemirov, famiglia, 252, 513 Kara, M., 196, 243, 252 Karaeva, G., 31, 414, 453 Karandash (M. Rumchev), 299, 329 Kaseeva, D., 384 Kastein, fratelli, 395 Kataklò, compagnia, 449 Kay, J., 305 Keaton, B., 44, 235, 251, 369, 477 Kee, V., 415, 424, 451 Kehaial, V., 390, 513 Kehaiovi, troupe, 321 Keith-Albee, circuito teatrale, 185, 520 Kelly, E., 236, 249 Kelly-Miller, circo, 506 Kemp (o Kempe), W., 486 Kemp, L., 333 Kemp, T., 163, 166 Kerwich, F., 432 Kgb, clowns, 431, 451 King Charles, troupe, 322 Kingston, C., 244 Kinoshita T., e circo omon., 210 Kio (E. F. Renard), 257 Kiralfy, I., 222, 502 Kiss, duo, 299, 306 Kitomb, compagnia, 449 Klant, E., 311

Klemendor, 324 Klishnigg, E., 169 Kludsky, K., e circo omon., 261-63, 279, 281, 303 Knie Circo Nazionale Svizzero, 237, 265, 284, 306, 313, 319, 321, 328-30, 331, 351, 352, 353, 356, 359, 365, 374, 37779, 381, 387, 392-98, 408, 421, 431, 432, 481, 505, 509 Knie, dinastia, 236, 265, 416, 505 Knie, C., 358 Knie, Franco, 322 Knie, Frédy jr., 329, 330, 387, 415-16, 446 Knie, Frédy, 280, 310, 505, 508 Knie, G., 416 Knie, L., 331, 387, 415 Knie, M. J., 416 Knie, R., 279, 310, 329 Koch, trio, 299, 301 Komatsu, famiglia, 209 Kordoban, M., 384 Kornilov, A., 257, 330 Kossmayer, 280 Kostiuk, L., 322, 406, 408 Kotsuba, duo, 384 Kovatchevi, troupe, 509 Koziak, L., 322 Kraml, F., 310 Krao, 224 Kreiser, A., 261-62, 280-81 Kreiser, M., 506 Kremo, B., 305 Kremo, K., 327, 415 Kremo, troupe, 192, 194, 239, 252 Kristof, duo, 321, 322 Kristof, I., 408 Krone, C., 261, 501, 504 Krone, circo, 24, 26, 232, 236, 237, 261, 262-3, 271, 276, 277, 280-81, 285, 291, 296, 306, 309, 310, 313, 321, 329, 330, 353, 356, 358, 381, 398, 459, 481, 504, 508, 509 Kubiak, R., 368 Kuklatchev, Y., 329, 356 Kurbanov, troupe, 414 Kurzyamov, duo, 417 Kusnetzov, troupe, 413 La Corse, M., 277 Lacey, famiglia, 421

Lacey, M,, sen., 385 Lacey, M., jr., 445 Lacombe, D.,381, 431 Lagemuller, C., 411 Laliberté, G., 346, 349, 352, 375, 377, 452, 514, 522 Laloue, F., 120, 124, 128, 150, 494 Lamy, circo, 505 Landi, G., 318 Langill, N., 429 Lapiado, famiglia, 252 Larible D.,38, 43-4, 403-04, 431, 447 Larible, A., 305 Larible, dinastia, 203, 294, 303, 309 Larible, E., 309 Larible, R., 309, 415 Larible, S., 305 Larible, V., 383 Larkina, E., 414 La Roche, L., 194 Latourelle, B., 457 Laurent, fratelli, 117 Lazarenko, V.A., 252, 254, 504, 520 Le Floch, E., 437, 447 Le Guillerm, J., 38, 438, 448 Lebreton, Y., 337 Lecoq, J., 334, 336, 337, 341, 355, 356, 378 Lécusson, troupe, 195, 273 Lee, L. jr., 199 Lee, L. sen., 165 Lefévre, J.P., 436 Leigh, duo, 326 Leinert, P., 243 Leitzel, L., 240, 274, 383 Léjars (cfr. Cuzent-Léjars-Loisset, compagnia) Lemoine, J., 328 Léonard, P., 451 Léotard, J., 150, 171-73, 193, 195, 197, 365, 498, 519 Lepage, R., 455, 523 LeTort, ginnasta, 171 Lev, E., 414 Lind, J., 156, 157 Linder, M., 246 Lionel, 224 Lisin, duo, 299, 309 Litsedei, compagnia, 431

563

Little John, 327 Little Tich (H.Ralph), 200, 245 Little Walter, 246 Living Theatre, 333, 371, 403 Lodoi, duo, 414 Loisset, B. e dinastia, 137, 147, 149, 162, 493, 494, 495, 496 (v.a. Cuzent-LéjarsLoisset, compagnia) Lorador, famiglia, 324, 384 (v.a.Alexis) Lorch, troupe, 239 Loyal, C., 495 Loyal, dinastia, 195, 197, 273, 503 Loyal, G., 503 Loyal, James “Gogou”, 244, 245 Loyal, Justino, 241-42, 310 Loyal, T., 503 Loyal-Repensky, troupe, 243, 286, 310 Loyo, C., 161 Lozovik, troupe, 411 Lubin, B., 355, 431 Lubitchenko-Golovko, duo, 379

564

Macaggi, troupe, 303, 322 MacManus, C., 331 MacRoney, 328 MacSovereign, 243 Madison Square Garden a New York, 7, 25, 149, 152, 158, 220, 273, 288, 314, 322, 481, 501 Maestrenko, P., 382, 390, 418 Mahyeu, P., 91, 112, 137 Majakovskij, V.V., 254 Maik, 356 Maiss, 249 Maitrejean, J., 171 Malevolti, troupe, 509 Manetti, C., 505 Mara (M. Papadopulos), 309 Marasso (o Marassi), maestro, 503 Maravilla, G., 452, 511 Marceau, M., 299, 300, 337, 341, 356, 432 Marchevski, A., 329, 356 Margaritis, G., 292 Marinelli, H., 169 Marinov, troupe, 413 Martin, H., 124, 128-30, 216 Martin, J., 328 Martinetti, famiglia, 141, 505 Martinez, D., 325, 509

Martini, famiglia, 514 Marylees, troupe, 508 Marzetti, famiglia, 141 Mascott, duo, 305, 404 Mathies, R., 276, 505 Mauclair, D., 510, 511 Mavilla, famiglia, 514 Mazurier, C.F., 115, 169 McDonald, D., 85 McKinley, P., 403 Meckners, troupe, 509 Medini, dinastia, 35, 303, 469 Medini, I., 306 Medrano, circo stabile a Parigi (v.a. Fernando), 26, 190-91, 231, 234-35, 237, 240, 247, 248, 283, 288, 293, 300, 306, 313, 496, 498, 503, 505, 507 Medrano (Casartelli), circo, 266, 313, 318, 331, 365, 393, 398, 399, 401, 415, 446, 460, 468, 469, 498, 507, 509, 522 (v.a. Casartelli) Medrano (Gibault), circo, 392, 427, 509 Medrano (Swoboda), circo, 296, 498, 506, 507 Medrano, Jérôme, 166, 245, 498 Medrano, Jérôme jr., 234, 498, 503 Mehrmann, E., 214-15, 501 Méliés, G., 190, 477 Melville, J., 337 Ménard, P., 437, 447 Mendez, G., 306, 325 Merrick, D., 224 Merzari, v. Aguanitos Meschi, D., 249 Metcharovi, troupe, 322 Métropole, circo a Parigi, 503 Mey, F., 506 Meyer’hold, V., 254 Michon, J., 385 Midnight Circus, 427 Mikkenie, circo, 506 Mikos, clowns, 431, 458 Miletti, E., 393 Miletti, S., 509 Mills Bertram, circo 25, 235-37, 240, 265, 267, 277, 283, 289, 293, 306, 503, 508 Mills, B., 235, Mimi, 432 Mimile, 248

Mnouckine, A., 334, 345, 433 Moisseiev, troupe, 413 Molier, circo a Parigi, 191 Molier, E., 191 Momix, compagnia, 333, 449 Monday, D. e T., 432 Monfort, S., 37, 338-39, 341-43, 345, 34849, 352, 364-66, 511, 522 Montecarlo, Festival di, cfr. Festival di Montecarlo Monti y Co., clowns, 430-32, (v.a. Muntaynés, J.) Monti, circo, 356, 393, 459 Morallés, circo, 393 Morelli, L., 216 Moriz, troupe, 85 Morton, J., 162 Mosca, “nuovo” circo stabile, v. Bolshoi Mosca, Circo di, v. Circo di Stato Sovietico Mosca, Vecchio Circo, v. Nikulin Moschen, M., 43, 327, 347, 447 Mouvance, duo, 383 Mroczowsky, C., 280, 508 Muchachos, circo, 338 Mugivan, J., 505 Mullens, famiglia e circo, 506 Müller, J., 448 Müller-Kamin, C., 90 Mummenschanz, troupe, 333, 512 Mundial, circo, 359, 460 Munoz, A., 432 Munoz, famiglia, 326 Munoz, L., 326 Muntaynés, J., 474 Muraviev, K., 451 Myers, J., e circo omon., 202, 492, 500 Napoléon, circo stabile a Parigi, (v.a. Cirque d’Hiver), 147-48, 171, 492, 494 Navas, troupe, 382, 417, 452, 508, 509 Nazarova, M., 311 Neves, troupe, 417, 452 New Russian, troupe, 413 Nicolaev, A., 356 Nicolaev, troupe, 303 Nicolet, J. B., 35, 85, 87, 107, 110, 115, 198 Nicolet, P., 125 Nicolodi, D., 451 Nicolodi, G., 415

Nicolodi, troupe, 303, 305, 322 Nicolodi, W., 322 Niemen, troupe, 303 Nikitin, fratelli, 181, 252, 254, 497 Nikulin (o Vecchio Circo) circo a Mosca, 301, 396, 406, 407, 497 Nikulin, Y., 406, 407 Nino (n.Fabri), 248 Nock, B., 431 Nock, dinastia e circo, 417, 459 Nock, P., 325, 327 Noel, P., 330-31 Non Nova, compagnia, 437 Nones, M., 385 Nones, W., 316, 318, 331, 362, 381, 468, 507, 501 Nones-Orfei, S., 387, 416, 423, 468 North, J., v. Ringling-North, J. North, L., 161, 493 Nouveau Cirque de Paris (Fratellini), 345-6, 348 Nouveau Cirque, edificio a Parigi, 44, 187, 188-89, 234, 245, 498, 501, 503, 520 Nouveaux Nez, 432, 438, 447 Nouveaux Nez, troupe, 437 Nugzarov, T., e troupe, 37, 385, 416, 523 O Cirque, compagnia, 416 Oblocki, troupe, 509 Oceanos, troupe, 322 Odet, J., 466 Okabe, troupe, 209 Okuda, famiglia, 209 Olchansky, V., 199 Oller, J., 186, 188, 190, 234 Orfei, dinastia e circhi, 25, 35, 203, 266, 284, 289, 294-95, 316-18, 320, 321, 329, 360-62, 381, 398, 467, 469, 507, 510 Orfei, Ambra, 511 Orfei, Anita, 329 Orfei, F., 266 Orfei, L., 295, 316, 324, 362, 460, 507, 510 Orfei, Miranda, 507, 510 Orfei, Moira, 295, 331, 400, 468 Orfei Moira, circo, 316, 385, 398, 401, 416, 421, 468, 481, 507, 510 Orfei, N., 316, 329, 361, 366, 393, 398, 507, 510

565

Orfei, O., 294, 296, 311, 507, 510 Orfei, P., 266 Orfei, R., 316, 507, 510 Orfei-Nones, S., v. Nones- Orfei Oslers, troupe, 324, 338 Ossinski, L., 413 Otaris, troupe, 241, 508 Oz, circo, 336, 374, 427

566

Pacherie, A.M., 401 Padilla, A., 511 Padillas, troupe, 509 Page, J., 511 Pages, troupe, 417 Palacios, Lalo, e troupe, 307, 508 Palacios, Luis, 385 Palacios, R., 325 Palacy, J., 307, 338, 339 Palmiri, circo, 284, 291, 294-96, 306, 313, 506 Palmiri, E., 294, 368, 471 Palmiri, famiglia, 266, 280 Palmiri, G., 33 Panova, E., 383, 417 Parvanovi, troupe, 509 Pasquette, D., 417, 436 Pastrana, J., 224 Paul, B., 342-49, 352-53, 357, 396, 428-29, 458, v.a. Roncalli. Pavlenko, N., 387, 406, 423 Peale, C.W., 154, 156 Pellegrini, famiglia, 203, 266 Pendakovi, troupe, 321 Perez, clowns, 509 Perez, duo, 415, 451 Perezoff, troupe, 195, 199, 243 Perezvony, v. Carillon Perillos, circo, 374 Pernelet, domatore, 279 Perris, famiglia, 266 Petit, P., 325, 336, 346, 347, 447 Petoletti, C.H., 280, 309, 508 Petoletti, F., 309 Petrovi, troupe, 321 Pézon, J.B., 176, 263, 276 Pferdepalast, cfr. Williams-Althoff Phénix, circo, 25, 458 Philadelphia, W., 213, 276, 501, 520 Pic, 351, 355, 356, 510 Picaso jun., 415

Picaso, 306 Picchiani, troupe, 239 Picinelli, A., 306 Pickle Family, compagnia ( e Pickle Clowns), 37, 336-8, 342, 346, 349, 431, 432, 440, 522 Pierantoni e Saltamontés, duo, 244 Pieric, 432 Pigeon Drops, 337 Pignatelli, cavallerizzo, 75 Pikienko, O., 413 Pimonienko, E., 415 Pinder, circo (v.a. Spiessert), 143, 202, 260, 264, 283, 292, 313, 339, 400, 421, 459, 460, 475, 507, 509, 510, 521 Pinder, G. e W., 143, 202 Pinito del Oro (M. C. Segura), 309 Pipo jr., v. Sosman, P. Pipo, v. Sosman, G. Pisoni, L., 346 Plége, A., 202 Plouvinel, cavallerizzo, 75 Plume, circo, 371, 435-36, 466 Polivka, B., 337 Pollock, C., 305 Poltrona, T. 337 Polunin, S., 431 Pommer, G., 396 Pomp Duck and Circumstance, sala di varietà, 429 Pompoff, troupe, 327 Ponce, P., 415 Poole, T., 112 Popov, O., 299, 300, 329, 356, 379, 480 Porté, J., 91, 112 Portner-Folco, C., 310 Porto, (A. S. Mendés), 247, 248, 503 Posada, J., 415 Powell, A., 244 Price, circo a Madrid, 180, 181, 233, 237, 285, 293, 306, 313, 474, 507 Price, clowns, 166 Price, T., 93-94, 99, 112, 488 Pristipino, P., 362 Privalov, troupe, 413 Purdy Brown, J., 493 Que-Cir-Que, compagnia, 38, 437-38 Quentin, B., 414 Quiros, troupe, 417

Rainat, E., 197 Rainat, trio, 186, 197, 251 Raluy, circo, 393 Rancy, A., 506 Rancy, dinastia e circo omon., 143, 180, 181, 202, 206, 236, 260, 264, 279, 281, 283, 309, 363, 496, 497, 506, 510 Rancy, N., 506 Rancy, S., 310, 506 Rancy, T., 202, 206, 495, 500 Ranella, maestro, 503 Raphaels, troupe, 509 Rappo, C., 168 Raskin, K., 427 Raspini, 305, 509 Rastelli, clowns, 309, 327-8, Rastelli, E., 37, 233, 236, 243, 252, 306, 447, 521 Ravel, dinastia, 83, 498 Ravel, funambolo, 95, 141, 244 Rebernigg, circo, 506 Redpaths, troupe, 509 Reiche, C. e H., 211 Reinhardt, M., 26, 232, 254, 268, 496 Rendall, R., 305, 324 Rennos, troupe, 509 Renz, D., 310 Renz, E., 147, 163, 179-81, 182, 218, 493, 499 Renz, F., 163, 179 Renz, T., 280 Renz, rete di circhi stabili, 147, 162, 165, 167,173, 177, 179-81, 199, 224, 226, 232, 252, 494, 496, 497, 498, 499, 501 Reyes, T., 327 Rhodin, T., e circo omon., 289, 315, 356, 506, 507, 509 Rhum (G.E.Sprocani), 247, 248, 283, 503 Rice, D. 159, 165, 198, 495, 509 Rich, C., 87-89 Richard Jean, circo, 313, 319, 321, 345, 364, 509, 510 Richard, D., 162 Richard, J., 313, 319, 320, 364, Richter, famiglia, 322, 416, 513 Ricketts, J. B., 112, 491 Rico et Alex, v. Briatore Rigot, A., 435

Ringling, dinastia, 271-74, 286, 315, 505 (n.), 508 (n.), 509 (n.). Ringling, J., 243, 273-74, 315 Ringling bros. and Barnum e Bailey, circo, 236, 237, 240, 241, 244, 271-74, 276, 277, 278, 280, 281, 286-88, 293, 29798, 299, 306, 309, 310, 313, 314-16, 318, 321, 322, 325, 326, 328, 329, 331, 338, 353, 356, 379, 381, 385, 387, 389, 396-97, 401-04, 405, 406, 408, 409, 410, 413, 417-23, 420, 429, 431, 443, 460, 462-64, 481, 505 Ringling-North, J., 286-87, 288, 316, 506 Rios, duo, 305 Risley, R.C., 168, 209, 493, 495, 519 Rivel, C. (J. Andreu), 246, 327 Rivel, P., 249 Rivels (o Andreu-Rivels), 233, 236, 246, 328, 503 Rizarelli, troupe, 197, 499 Robbins, T., 427, 449 Roberts, dinastia e circhi Robinson, J., 143, 505 Rodion, troupe, 452 Rodogells, troupe, 417 Rodriguez, R., 508 Rokashov, troupe, 452 Roland, circo, 506 Roleau, P., 336 Romanés, circo, 393, 446 Romanovi, troupe Roncalli, circo, 26, 37, 271, 342, 347-49, 351-56, 357, 358, 369, 371, 374, 37778, 381, 389, 391-93, 396, 397, 401, 418, 421, 428-31, 432, 445, 452, 458, 459, 481 Rose, J., 427 Rosgoscyrk, cfr. Circo di Stato Sovietico Rossetti, famiglia, 322 Rossi, famiglia, 266 Rossyan, troupe, 432 Royal Circus di Londra, 103-09, 118, 121, 133, 488, 490, 500 Rubzov, troupe, 411 Rudi-Llata, clowns, 308, 309, 328 Sadler’s Wells, teatro di Londra, 35, 90, 92, 94, 99, 103, 107-109, 116, 488-90 Sadoev, troupe, 416

567

568

Sainte Croix, G., 336 Salamonski, A., e circhi omon., 179, 181, 496 Salamonski, circo a Mosca, 237, 251, 254 Sali, troupe, 303 Sallai, troupe, 321 Salsbury, N., 221 Salvadori, clowns, 309 Samee, R., 170, 519 Sampson (o Simpson), T., 90, 93-94, 97, 99, 488 San Francisco Mime Troupe, 333, 342, 346 Sanchez - Reixach, M., 233, 507 Sandow, E., 184, 233 Sandry, G., 234 Sanger, G., e circo omon., 142, 143, 181, 201, 202, 218, 220, 260, 491, 496, 497, 499, 502 Sanger, J., 201 Saqui (M.A.Lalane, e teatro omon.), 115, 124, 151, 198, 491 Sarasota, circo, 460 Sarrasani, circo, 231, 234, 237, 256, 261-63, 267-71, 279-81, 285, 291, 295, 358, 394, 418, 459, 497 (n.), 506 (n.), 520 Saudek, M., 415 Saunder, circo, 142 Saunders, B., 108 Savary, J., 334, 335, 346, 348, 522 Sawade, R., 257, 276, 387, 521 Scala, circo, 506 Scala, teatro-circo a Berlino, 234, 237 Schaeffer, troupe, 186, 194, 239 Schevchenko, L.e W., 331 Schneider, A., e circo omon., 236, 262, 263, 277, 280, 281 Schumann, dinastia e circhi, 179, 265, 270, 273, 279, 281, 289, 293, 330, 494, 496, 506 Schumann, A. jr., 310, 330, 508 Schumann, A. sen., 179, 232, 236, 494, 496 Schumann, K., 329, 387, 416 Schumann, M., 232 Schumann, P., 310, 508 Schumann, W., 236 Schumann, circo a Berlino, 232, 494, 496 Schumann, Circo a Copenhagen, 237, 293 Schumann, circo a Stoccolma, 293, 508 Schwenkow, P., 428 Scorpions, troupe, 414

Scott, circo, 237, 266, 359, 381, 401, 506 Scuola di Cirko (Torino), 442, 472 Sea World, troupe, 451 Seeth, J., 190, 213-14, 276, 501 Segura, famiglia, 326, 414 Segura, M. C., v. Pinito del Oro Segura, R. M., 325 Seitz, J., 309, 325 Selbit, T. P., 33 Semay, circo, 506 Sembach, C., 257, 276, 309 Sembach-Krone, C., 329 Semola, circo, 374 Sept Doigts de la Main, compagnia, 448, 451, 457 Serafimovich, E., 417 Serena, A., 472 Sforzi, famiglia, 203 Shandong, compagnia acrobatica di, 410, 485 Shanghai (troupe acrobatica di), 47, 302, 379, 410, 451 Shawn, G., 309 Shen Yang, compagnia acrobatica di, 302, 410, 413 Shine, D., 451 Shiner, D., 354-55, 381, 427, 431, 510 Shub, P., 355, 381, 431 Sidoli, C., 500 Sidoli, T., 141, 206, 302, 500 Siegrist, troupe, 274 Siemoneit, G., 311, 313, 331, 358, 387 Silvan, 305 Silvestrini (cfr. Amoros-Silvestrini) Simard, A., 383, 417, 447, 512 Sinekos, troupe, 324 Slava, v. Polunin Slavovi, troupe, 322 Slezak, C., 161 Smart, B., e circo omon., 284, 313, 507 Smart, Y., 387 Smirkus, circo-scuola, 442 Smith, A., 502 Smith, E., 385, 387, 423 Smith, famiglia, 331 Smith, S., 396 Soeurs Pilléres, 432 Sokolov, A., 329 Soleil, Cirque du (v. Cirque du Soleil) Solokin, V., 509

Sophie et Virgile, 415 Sosman e Gougou (E.Sosman e A.Andrè) duo, 431 Sosman, G.,(Pipo), 249 Sosman, P. (Pipo jr.), 430, 432 Soullier, L., 137, 163, 206, 209, 302, 492, 493, 494 Souza, troupe, 509 Soyusgoscyrk, cfr. Circo di Stato Sovietico Spadoni, P., 254 Spalding, G., 142, 145, 493 Sparks, circo, 505 Specht, C., 414 Spelterini, M., 173 Spessardy, v. Spiessert Spiessert, C., 263, 264, 278, 283, 507 Spinacuta, addestratore, 85 Star Lords, troupe, 324 Stardust Productions, 395, 400-01, 408-09, 457, 460 Stark, M., 278, 505 Starlight (Gasser), circo, 393, 459 Stath, L., 508, 509 Stauberti, troupe, 322 Steben, duo, 417 Steele, T., 307, 508, 509 Stokes, W., 90 Stosch, H. jr., 271 Stosch, H.(v.a. Sarrasani), 261-63, 267-71 Strassburger, dinastia e circo omon., 261-62, 280-81, 309, 506, 509 Strassburger, E., 310 Stratta, P., 472 Stréhly, G., 193 Streltzov, A., 390 Strickler, R., 418, 423 Sturla, troupe, 193 Suarez, fratelli, 207 Sullivan, E., 305, 306 Symbiose, duo, 451 Tabares-Neves, troupe, 452, 509 Taguet, C., 335 Tanger, troupe, 305 Tara, 379 Tati, J., 233, 339, 477 Terrels, troupe, 509 Théâtre du Centaure, 22, 416, 435, 446 Thierrée, A., 449

Thierrée, J., 43, 447, 449, 457, 466, 472, 477, 481, 523 Thierrée, J.B., 333, 336, 342, 356, 427, 522 Thomas, J., 38, 435, 437, 447, 466 Thompson, F., 231 Thumb T. (C. Stratton), 157 Tian, C., 415 Tigerpalast, 428 Tihany, circo, 405 Ting, Z., 415 Titus-June-Angevine, impresa, 127 Togare, 252, 257, 276, 278 Togni Americano, circo, v. Americano Togni, dinastia, 25, 35, 37, 203, 265-66, 284, 285, 289, 294, 295, 296, 297, 316, 318, 320, 321, 329, 362, 381, 398, 407, 508, 509 Togni, A., 505 Togni, B., 329, 507 Togni, Cesare, 306, 318, 360, 365, 469, 506, 508, 509, 510 Togni, Corrado, 391, 484 Togni, Cristina, 416, 468 Togni, Darix, 277, 295, 310, 311, 316, 506, 509 Togni Darix, circo (poi Florilegio di Darix Togni), 316, 356, 358, 391-92, 393, 396, 398, 401, 421, 423, 429, 469, 510 Togni, Davio, 43, 386, 387, 391 Togni, Divier, 362 Togni, Enis, 297, 318, 362, 507 (n.) Togni, Ercole, 294 Togni, Ferdinando, 280, 294, 296, 297, 309, 506, 507 Togni, Flavio, 330, 387, 422, 423, 446 Togni, H., 361 Togni Lidia, circo, 398, 468, 508, 510 Togni, Livio, 37, 318, 363, 391, 471, 510 Togni, O., 506, 508 Togni, U., 294 Togni, Willy, 310, 507 Togni, Wioris, 506 Togni-Canestrelli, V., 416, 446, 510 Tohu-Cité des Arts du Cirque di Montreal, 29, 93, 206, 473, 523 Tokai, troupe, 303 Tomkinson, saltatore, 168 Tonetti, clowns, 285 Tonitos, famiglia, 326

569

Torakichi, H., 209 Torikata, troupe, 209 Tourniaire, J., 125, 137, 182, 493, 494, 495, 519 Trac, 510 Travaglia, famiglia, 203, 503 Tréteault, S., 451 Trubka, V., 311 Truzzi, famiglia, 203, 252, Truzzi, M., 286, 306 Truzzi, W., 232, 254, 255, 497 Tsarkov, V., 390 Tuccaro, A., 74, 86, 487 (n.23) Tuganov, M. e sua troupe, 255, 256 Tunga, 414 Turin B., 46, 47, 369, 436 Turner, A., 493 Universoul, circo, 405, 460 Unus (F. Furtner), 286, 288 Valenti, M., 393 Van Aken, A., 124, 127, 129, 176 Van Amburgh, I., 115, 129-30, 174, 218, 492, 493 Van Bever, circo, 506 Van Der Meyden, H., 400 (v.a. Stardust Productions) Van Embden, M., 251 Vargas, circo, 460 Vasquez, M., 382, 511 Vasserot, A., 309 Velez, troupe, 452 Veligocha, 413 Vertical Tango, 451 Vicaire, C., 249 Victoria, C., 415 Violante, funambolo, 83 Vis à Vis, compagnia, 447 Voljanski, V., e troupe, 37, 325, 339, 417, 445, 522 Volo the Volitant, 243, 272 Volochin, A. M., 46, 300, 302, 521 Vulcanelli, famiglia, 510

570

Wacker, E., 280 Wall, domatore, 279 Wallace, B.,501 Wallenda, funamboli, 33, 244, 274, 309, 417

Wallenda, C., e sua troupe, 33, 244, 274, 309, 417 Wallett, W., 165 Walpert and Paulan, 503 Ward, troupe, 240, 508 Washington, H.K., 194 Webb, fratelli, 166 Weber, famiglia, 514 White Devils, troupe, 417 Widdicombe, J.E., 163, 199 Wildman, D., 93, 99-100, 488 Williams, C., 296, 297 Williams, circo, 295, 297, 298, 309, 310, 313, 315, 506, 507, 508 Williams, H., 506 Williams, J.,80 Williams-Althoff, circo 313, 356, 358, 381, 394, 401, 406 Wintergarten a Berlino, 185, 200, 231, 233, 237, 238, 428, 520 Wirth, dinastia, 207 Wollschlager, E., e compagnia omon., 147, 493, 496 Wolton, impresari, 94, 97-98, 488 Wombwell, dinastia, 125, 130, 174, 211, 213, 492 Wombwell, G., 127, 174 Woodcock, famiglia, 310 Wu Han, compagnia acrobatica di, 53, 381, 410, 417 Wulber, circo, 510 Wulff, E., e compagnia omon., 163, 179, 196 Yacoppi, troupe, 239 Yairova, L., 406 Yamamoto, troupe, 209 Yerkes, B., 508, 509 Yokoi, L., 305 Yong, duo, 324 Youdina, A., 403 Zacchini, dinastia, 33, 203, 243, 266 Zacchini, T., 509 Zacchini, U., 243, 274 Zaeo, 197, 499 Zalewski, duo, 322 Zalievski, A., 413-14, 445, 448, 451, 458 Zamperla, dinastia, 141, 266, 322, 510 Zanzibar, circo, 466

Zapachny, famiglia, 310, 322, 416, 423 Zapachny, M., 37, 331, 406 Zapachny, W., 331 Zaripova, K., 414 Zavatta dinastia 35, 202, 203, 241, 266, 393, 500, 514 Zavatta, A., e circo, 283, 398, 510 Zavatta, E., 243 Zazel, 197 Zemskov, troupe, 413 Zerbini, circo, 460

Zerbini, famiglia, 203 Ziedler, C., 186 Zingaro, compagnia, 19, 26, 30, 77, 336, 369-73, 391, 393, 415-17, 423, 43334, 445, 446, 457, 466, 472, 481 Zin-Zanni, teatro, 429 Zohra, F., 305, 324 Zoppé, famiglia, 241, 266, 310, 396 Zoppis, famiglia, 514 Zovkra, troupe, 299 Zucca, A., 193, 499, 503, 526

571

Finito di stampare nel mese di luglio 2008 da IRIPRINT Coordinamento tecnico CENTRO STAMPA di Meucci Roberto CITTÀ DI CASTELLO (PG)