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Italian Pages 422 [424] Year 2003
LETTERATURA ITALIANA
Di Giacomo S. Assunta Spina (A. Bisicchia) Fogazzaro A. Piccolo mondo antico (A. Gorini
AA.W. Commedia dall'Arte 1
Santoli)
AA.W. Commedia dall'Arte 2
Foscolo U. Lellere scritta dall'lnghillerra
Alfieri V. Commedie 1 (S. Costa)
Foscolo U. Ultime lettera di Jacopo Drtls-Poe
Alfieri V. Filippo (G. Marzol)
sie
Alfieri V. Mirra (A. Momigliano)
Alighieri D. Vita nuova - Rima
(F. Chiappelli) (F. Chiappelli)
Angiolieri C. Rime (R. Castagnola) Aretino P. Tutta la commedia (G.B. De Sanctis) Aretino P. Ragionamento delle Corti
tra -La putta onorata (G. Geron) Goldoni C. La moglie saggia- La sposa sagace
La buona madre (G. Geron) Goldoni C. La trllogia della villeggiatura (G. Ge
Aretino P. Sal giornale (A. Romano)
(F.
P evere)
Berchet G. Lettera semiserla - Scritti scelll di
critica a di polemica (L. Reina) Berni F. Rima (D. Romei)
Boccaccio G. Decamaron (C. Segre) Boccaccio G. Elegia di madonna Fiammella (M. P. Mussini Sacchi) Boccaccio G. Flloslralo (L. Surdich)
Il Corbaccio (G.
P uppo)
Goldoni C. La donna di garbo- La vedova scal
(V. Branca)
Alighieri D. La Divina Commedia
Boccaccio G.
(M.
Giacosa G. Teatro (G. De Rienzo)
Alfieri V. Saul (E. Mazzali) Alfieri V. Vita
(E.
Sanguineti)
Alfieri V. Commedie 2 (S. Costa)
Natali)
Boccaccio G. Nlnfala fiesolano (P.M. Forni)
(L. Banfi) Carducci G. Rima a ritmi (L. Banfi) Carletti F. Ragionamenti del mio viaggio Intorno
Carducci G. Ddl barbara
al mondo (A. Dei) Castiglione B. li libro del Corteglano (E. Bo nora)
ron) Goldoni C. Le donne gelose - Le donne curiose
La donne de casa soa (G. Geron) Goldoni C. Le femmine puntigliose - La donna
volubile-La donna di testa debole (G. Geron) Goldoni C. L'amante militare -L'Impostore-La
guerra (G. Geron) Goldoni C. La serva amorosa -La cameriera
brillante
·
La donna di governo (G. Geron)
Guicciardini F. Ricordi (G. Masi)
Leonardo da Vinci Scritti (C. Vecce) Leopardi G. Canti (G. Getto,
E. Sanguineti)
Leopardi G. Lettere agli amici di Toscana Spaggiari) Leopardi G. Operette morali (G. Getto.
E.
(W.
San
guineti)
Croce G.C. Bertoldo e Bertoldino -Cacasenno -
Leopardi G. Pensieri (G. Tellini)
Salomone e Marcallo (A. Chiari) Cuneo G. B. Biografia di Giuseppe Garibaldi (G. Spadolini)
Machiavelli N. Il Principe- Scritti politici (L. Fio-
D'Annunzio G. Alcyone (E. M. Bertinotti)
rentino) Machiavelli N. Mandragola- Cllzia
(E. Raimondi)
Manzoni A. l promessi sposi (L. Caretti)
(L. Caretti)
D'Annunzio G. La figlia di loria (G. Giaccone)
Manzoni A. Liriche e tragedie
Notturno (E. M. Bertinotti) Il piacere (M. Biano) Della Casa G. Galateo (B. Maier) Della Valle F. Tragedie (A. Gareffi) De Marchi Demetrio Planalli (F. P ortinari)
Manzoni A. Storia della Colonna lnlame (L. Ca-
D'Annunzio D'Annunzio
G. G.
De Sanctis F. Saggi sul Realismo (S. Giovannuz zi)
retti)
Molza F.M. La Ninfa Tiberina (S. Bianchi) P arini G. Alcune poesia di Rlpano Euplllno
(E.
Bonora)
(segue in terza di copertina)
GUM Nuova serie
Francesco Petrarca
Secretum n mio segreto
Francisci Petrarcae
Secretum
MURSIA
Francesco Petrarca
Il mio segreto A
cura
di
Enrico Fenzi
MURSIA
La sezione di Italianistica di questa collana è diretta da RoBERTO FEDI.
l duitti
di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamen
to totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostati che) sono riservati per tutti i Paesi. L'Editore potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume e comunque non eccedente le
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Riproduzione delle Opere dell'Ingegno (A.I.D.R.O.), via delle Erbe, lano- tel. e fax
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2-20121
Mi
3895/AC ©Copyright 1 992 Gruppo Ugo Mursia Editore S.p.A. Milano - Via Tadino, 29 Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy ISBN 88-425 - 1134-X Edizione
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l. Nel 1378-13 79, il monaco fiorentino Tedalda della Casa ottenne dai superiori del monastero di Santa Croce il permesso di recarsi a Padova. E quz; proprio negli anni in cui Lombardo della Seta e i suoi aiutanti provvedevano al riordinamento e alle prime trascrizioni degli originali del defunto poeta, riusci a entrare nello 'scrittoio' del Petrarca e a trascrivere anch'egli, da autografi o da copie autentiche, con grande /retta ma con grande onestà e rispetto, molte opere: l'Africa, i Rerum memorandarum libri, il Bucolicum carmen, !1tinerarium, il De remediis, le Sine nomi ne, il De sui ipsius et multorum ignorantia, le Invective in medicum e contra Gallum. . . E, certamente dall'autografo, il Secretum. La copia del dialogo di mano di Tedalda è giunta sino a noi, nei 1/. 208-243 di quello che oggi è il codice Laurenziano Santa Croce 26 sin. 9, che raccoglie una serie di opere di Petrarca allora trascritte dal frate. 1 Il quale fu probabilmente il primo ad arrivare al Secretum. Altri dopo di lui trassero copia dell'opera, che via via si ritrova in alcune delle piu importanti miscellanee petrarchesche difine '300 e primi '400, derivate da/ lungo lavoro dei copisti sulle carte padovane, amorosamente conservate dal genero ed erede del poeta, Francescuolo da Brossano, e irrime diabilmente disperse dopo la sua morte. ' Cosi, il dialogo 'segreto' che Petrarca mentre era in vita non aveva voluto far conoscere neppure agli amici piu cari, cessava di essere tale, trasformandosi in opera postuma, o meglio, forse, in opera scritta per i posteri quasi una piu intima e complessa Posteritati, visto che il ritratto morale dell'autore è in definitiva molto piu là che qui, e visto che lo stile è perfettamente congruo a una cosi impegnativa destina zione. Già sapeva dell'esistenza di un non meglio precisato dyalogus (sempre che il sommario appunto si riferisca proprio al Secre1 Per ciò, cfr. soprattutto G. BILLANOVICH, Intr. ai Rerum mem., p. XVII. Qui e in sèguito rinvio alla Nota bibliografica per le indicazioni date in forma abbreviata. l rinvii alle note che accompagnano il testo, posti tra parentesi, con la semplice indicazione del numero del libro e della nota, intendono riportare all'interno della discussione, come parte integrante, gli elementi e le osserva zioni che tali note raccolgono. 2 Preziosi accenni a questa prima fortuna del 5ecretum in G. BILLANOVICII, Petrarca letterato, in particolare pp. 351-355 e Appendice IV, pp. 442-445 (per il ruolo avuto da Francesco Zabarella nella circolazione del dialogo in ambien te padovano: ma v. pure pp. 373 ss., 377-378, 381, ecc.).
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il che non è affatto sicuro) il Boccaccio, nel 1347, quasi certamente informato dall'amico del Petrarca Lello di Pietro Stefano dei Tosetti (Lelio); poz� anche Francesco Netti mostra di sapere dell'esistenza di un dyalogus, nel 1354, ma neanch 'egli pare avesse idea di che cosa si trattasse.' Qualcosa di piu tum,
' La prima testimonianza del Boccaccio è contenuta nell'abbozzo, il cosiddetto Notamentum, del 1347, del De vita et moribus domini Francisci Petrarchi de FloreniÙI: « Composuit quidem usque in hodiernum diem libros, videlicet A/ricam metrice, dyalagum [sic] quendam prosaice et alios »; la se conda, nel testo definitivo della vita, del 1348-1349: Petrarca >, X ( 1955), pp. 656-704 (v. avanti, n. 18). 11 A. E. QuAGLIO, Francesco Petrarca, Milano 1967, in particolare p. Il; R.
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INTRODUZIONE
non solo di crisz; ma di vero e proprio « rinnovamento » spiritua le, raggiunto attraverso un 'intima adesione all'insegnamento agostiniano, parlava nel 193 1 il Calcaterra, cui spetta d'aver enfatizzato all'estremo quella spartizione dell'esperienza petrar chesca cui si accennava. 12 È stato Hans Baron a mettere per la prim(l volta in discussione le vecchie certezze sui tempi di composizione del Secretum, non già con l'intento di sovvertirle, quanto piuttosto con quello di tentare un nuovo approccio alla questione delle correzioni e degli interventi posteriori alla data-base de/ 1342-1343. In altre paro le, in un lungo saggio apparso nel 1 963, Petrarch ' s « Secre tum »: was it revised - and Why? The Draft of 1342-43 and the Later Changes, e ristampato nel 1 968, 11 egli trova non la
traccia di qualche episodico intervento, ma quelle che egli chiama 'aree disturbate', cioè larghe zone del dialogo che sarebbero state modificate in profondità o scritte ex novo, per corrispondere a situazioni e problemi che Petrarca si trovò ad affrontare tra la fine degli anni '40 e i primi anni '50. Queste zone sarebbero essenzialmente tre: nel/. II le due dedicate rispettivamente a/l'a varizia e a/l'accidia; nel /. III quella dedicata al tema delle pere grinationes, là dove Agostino sviluppa il classico tema della fuga quale estremo remedium amoris (III n. 1 75). La data probabile, per lo studioso, in cui Petrarca rifece le parti sull'avaAMATURO, Petrarca, Bari 197 1 (Lett. It. Laterz a, 6), pp. 1 1 5 ss. L'impostazion e domin an te credo sia ben riassun ta n ell'impo rtan te studio di AURELIA BoBBIO, Seneca e la formazione spirituale e culturale del Petrarca, del 194 1 , p. 250: > ): Petrarca 'penitenziale': dai« Salmi" alle« Rime"· in" Lettere Italiane>>, XX ( 1968), pp. 366·382. 2" RICO, Precisazioni di cronologia pelrarchesca, p. 5 1 7. Concorda KENELM FosTER, nella ree. al vol. dello studioso spagnolo, in « Modern Lang. Rev. >> LXXIII ( 1978), pp. 442·444, e nel suo profilo complessivo, Petrarch poel and humanisl, p. 184 (qui, pp. 161 ss., il cap. su1Secretum è dawero eccellente). "- La data tradizionale è stata accanitamente difesa da B. M ARTI N ELLI, in Il" Secretum" conteso, Napoli 1982, e poi nell'ampio intervento Sulla data del "Secretum " del Petrarca. Nova el ve/era, in « Critica Letteraria >>, nn. 48 e 49 ( 1 985 ), pp. 43 1 ·482 e pp. 645·693. Al volume ha risposto il fuco, Sobre la cronologia del "Secretum "· pp. 51·102. Per la recente posizione del Ponte, pur egli favorevole alla vecchia data (non so di altri, oltre a lui e a Martinelli). v. avanti, n. 34. 22 Q uesta esigenza, per es., è assai viva nell'importante recensione del Martellotti (v. sopra, n. 8), il quale si dichiara d'accordo col Rico. Circa i rapporti Secretum . Africa, vedi quanto se ne dirà piu avanti: in ogni caso è su di essi che si basava il Ponte (con altri elementi) per respingere le tesi del Rico, nella citata recensione del 1977, e nel saggio di cui qui appresso si discuterà. 21 Cosi il Foster, nella ree. al vol. del Rico (v. sopra, n. 20), p. 443.
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nuova che segna l'orizzonte entro cui agitare correzioni o dissen si. I quali possono essere soprattutto focalizzati attorno a due questioni di fondo: l) l'affermazione che il Secretum è il risulta to del rifadmento totale o 'rifondazione' de/ 1353, sicché sarebbe quasi impossibile ricostruire quale esso fosse nel 1347 o nel 1349, e sarebbero da escludere correzioni e aggiunte posteriorz;2) l'evidente intenzione dello studioso spagnolo di distinguere nettamente il piano letterario e, in senso lato, ideologico, dal piano biografico-storico (Vita u obra, infatti. . .), onde egli appare particolarmente restio a riferire la tale o tal altra pagina del Secretum, e dunque i modi e i tempi di una vicenda squisita mente intellettuale e morale, a situazioni particolari, a predsi momenti della vita di Petrarca. Ho detto: due questionz; ché tali in effetti appaiono. Ma si tratta poi di una cosa sola, perché è chiaro che il Rico, quando insiste su un Secretum saldamente organizzato entro una trama di richiami interni che gli conferiscono un forte carattere unita rio, e quando riferisce questa compatta tessitura a un'altrettanto compatta riscrittura del testo, quella de/ 1353 (si potrebbe osser vare, al proposito, che almeno la piu antica delle date trascritte da Tedalda, i/ 1347, diventa cosi una sorta di ingombro troppo presto liquidato): è chiaro, dicevo, che il Rico, quando /a questo, rifiuta l'ipotesi opposta, di un Secretum stratificato, fatto di parti inserite, di aggiunte. . . un Secretum, soprattutto, i cui capitoli corrisponderebbero a tensionz; a scelte, a problemi di vita forte mente caratterizzati e altrettanto ben databili. In gioco è dunque il 'vero ' significato dell'opera, tant'è che l'opposizione appena vista (testo unitario/testo stratt/icato) è /ad/mente moltiplicabile. L'i potesi di un testo quale nsultato di un momento unitario di scrittura, infatti, /a necessariamente corpo con un 'ipotesi di lettu ra altrettanto unitaria: quella che vede il Secretum come opera coerentemente organizzata secondo un fine che per brevità di remmo edificante, devota a una verità sovrapersonale, a un'e semplarità morale che attinge a proprio arbitrio nei possibili casi della vita e li trascende - si che sarebbe l'errore peggiore, quello di voler ricavare da queste pagine i 'documenti' o le 'prove' di concrete situazioni via via vissute dall'uomo Petrarca. Tutto quello che si può dire, nel caso, è che « el prindpal va/or biogrà/i co del Secretum consiste en cuanto nos revela sobre el escritor en la época de la redacdòn >> (e doè il 1353): e ciò che essenzial mente d rivela è che lo spirito di Petrarca era allora ossessionato dall'urgenza di una mutatio, di una conversione che lo preparasse
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all'imminente vecchiaia. E l'opera sarebbe appunto questa sorta di apologo che documenta la conquista di un ordine nuovo di valori attraverso l'indi/feribile meditatio mortis, cuore vero di ogni filosofia morale.14 All'opposto, l'ipotesi della strati/icazione nega questa totalizzante finalità d'intenti, o quanto meno la scioglie e la particolarizza facendola corrispondere a spinte diver se e, soprattutto, facendo del dialogo una sorta di 'doppio' ideologico-morale di problemi e scelte ben altrimenti reali e motivati fuori di esso, nella vita di Petrarca. Sicché il Secretum come sermo de conversione scolorisce, dilegua... e resta un'ope ra senz'altro scopo che non sia quello, puntuale, di accompagnare quei problemi e quelle scelte con la riflessione giustificativa, e l'auto-analisi: dalla propria condotta sessuale agli impegni assun ti quale storico e poeta; dal senso e dai limiti dell'amore per Laura alle ambizioni di carriera e alle preoccupazioni economi che; dalla scelta di una nuova dimora a quella di un nuovo protettore. . . E le righe /inali del dialogo, cosi aperte, non fareb bero che confermare questa seconda lettura (e si potrebbe /are, per contro, una istruttiva rassegna dei tentativt; da parte di chi vede il Secretum come un 'opera coerentemente costruita sul tema della 'conversione', di eludere o di spiegare un cosi imba razzante finale). Opposizione tra l'ipotesi di una scrittura com patta, dunque, e quella di una scrittura strati/icata nel tempo. Opposizione tra un testo unitariamente ordinato a uno scopo edificante, a una conversione, e un testo per dir cosi senza scopo, di pura riflessione sui casi della propria vita. E, ancora, opposi zione nel modo di considerare i due personaggi dialoganti: me glio, di considerare il personaggio di Francesco. Nel primo caso Francesco è, piu o meno, la spalla negativa di Agostino, lo si dica con le parole (a parer mio inaccettabili) del Tateo, secondo le quali Francesco non sarebbe affatto pensava a una sorta di diario intimo, in cui, proprio sui fogli di un codice dedicato alla passione erotica piu famosa del medioevo, Petrarca avrebbe annotato la data dei suoi incontri amorosi. Tali date sono ri/eribili a due diversi momenti: una prima serie riguarda aprile, giugno, luglio e agosto del 1344 e luglio e ottobre del « Secretum » , in panicolare pp. 144-147. " La descrizione del codice, con la pubblicazione degli appunti di Petrarca, è in NOLHAC II pp. 217-223; la serie delle date si trova in appendice allo stesso volume nell'Excursus VI, Les mémoriaux intimes de Pétrarque II , pp. 287-292.
" Petrarch 's
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1345; una seconda serie, piu compatta, con cadenza grosso modo settimanale, riguarda i mesi da maggio 1348 a febbraio 1349, e poi ancora da maggio ad agosto di quest'anno. Ora, il Baron osserva preliminarmente che la fede nella vecchia data del Secre tum ha impedito sin qui agli studiosi di utilizzare questo docu mento, e giudica: l) che Petrarca, quando stava per compiere quarant'anni - l'età della svolta nelle sue abitudini sessuali, secondo quanto egli avrebbe desiderato e secondo l'immagine che avrebbe voluto dare di sé (II n. 143) - abbia cominciato a registrare le sue 'cadute' (/a prima data è quella di mercoledi 2 1 aprile 1344); 2) che la vicenda testimoniata dalle date, con la lunga interruzione tra l'ottobre 1345 e il maggio 1348 (/'ultima data sarà poi quella del 2 agosto 1349) sia esattamente quella cui allude il Secretum nelle pagine sulla lussuria, là dove, ripetuta mente, soprattutto con le parole di Francesco, si parla di un presente, grave momento di ncaduta, dopo un periodo di intravvi sta salvezza (II n. 251); 3) che il tono dellepagine del dialogo, che danno ilpeccato come cosa ben presente e sofferta, oltre a stabilire uno stretto rapporto di contemporaneità con la seconda serie delle annotazioni, esclude in maniera perentoria la 'stravagante' ipote si del Rico che esse, insieme al resto dell'opera, siano il risultato di una totale riscrittura del 1353, quando della lussun"a ormai Pe trarca parlerebbe come di cosa allontanata e vinta. Restiamo ai primi due punti (sul terzo, dovremo tornare). È vero che gli studiosi non si sono impegnati ad adoperare quella lista, ma ciò non è forse avvenuto perché quelle date apparivano in ogni'caso lontane dal Secretum, quanto perché il loro signifi cato non è affatto sicuro, e resta soggetto a molte incertezze l'uso che se ne può fare. Che si tratti di incontri amorosi, per la verità lo penso anch 'io, per l'indubbio carattere intimo delle notazionz; e per quel poco che si può ricavare dalle /rasi abbreviate. Persua sivamente il Nolhac ha cosi sciolto la piu lunga di esse: Honera
puppis plurima, sed que in car[ne] excipi potuerint. Heu, heu, heu!, posta in testa alla seconda serie, quella che comincz"a dal
maggio 1348 ('dei molti peccati che gravano la mia barca, quelli carnali avrebbero potuto esserne cacciati fuori, ahimè . . . '). Altre sono d'interpretazione incertissima, ma ugualmente mi pare che si possano ricondurre a quel senso con l'aiuto proprio del Secre tum e dei Psalmi. Per esempio, in un intervallo tra la fine di luglio e i primi di ottobre 1345 e tra i/ 2 e i/ 21 settembre 1348 occorre due volte la nota: Hinc f[irmitas] celitus adhib[ita], che potrebbe alludere a tentazioni represse con l'indispensabile aiuto
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celeste (Il nn. 152 e 153); un 'altra: vi[m] pa[tior], sciolta cosi, potrebbe riferirsi al carattere tirannico del desiderio al quale la volontà del poeta non è in grado di resistere, e trovare dunque la chiave adeguata in una frase dei Psalmi VII 9: « ago cuncta cum fastidio; vim patior, et aliud non licet ». Probabilità non vuole però dire certezza, e, con altre ipotesi in testa, quelle abbreviazio ni potrebbero essere integrate diversamente. H Né si può tacere che resta in ogni caso imbarazzante trovare tra le date 1'8 giugno 1348, domenica di Pentecoste, con la specificazione: die, cioè 'di giorno': allora, Petrarca era a Parma, arcidiacono della cattedra le, e può in effetti parer difficile che in mezzo agli impegni imposti dalla festività religiosa egli abbia voluto trovare il tempo per un furtivo appuntamento. .. Qualche incertezza, insomma, resta. E poi, dando per sicura la natura amorosa di tale registro, cosa occorre pensare dei suoi tempi vuoti? Che Petrarca dal 1345 al 1348 osservasse la castità? Per poi tornare a peccare, per un anno circa, tra il 1348 e il 1349, una volta alla settimana? Se non è facile accordarsi sulle date annotate, meno facile ancora è accordarsi sui silenzz� che devono comunque essere messi in relazione con la disponibilità o meno del codice. Secondo il Nolhac, per quanto fosse un codice piccolo, tascabile, Petrarca non lo portava con sé: esso restò dunque a Parma, per l'arco di tempo che ci interessa, e se pure si volesse pensare che lo portasse con sé a Verona e di li in Provenza, nell'estate-autunno del 1345, e poi di nuovo a Parma nel 1347, resta che le date - con un piccolo dubbio relativo appunto a Verona - si collocano sempre durante il soggiorno parmense. Allora, solo a Parma Petrarca faceva all'amore? E se invece il codice restò a Parma, come possiamo giurare che altrove - in Provenza, innanzi tutto fosse casto? Si potrebbe continuare. Ma il punto è lo stesso: per quanto il caso sia particolarmente propizio, e un insieme di " Lo ha fatto recentemente il Ponte, che crede si tratti di annotazioni relative ad attacchi di scabbia, di cui Petrarca fu tormentato a panire dalla primavera del 1344 (e cosi legge: vi {riliter] pa {tere] . . . ). Del suo contributo si parlerà poco avanti (n. 34); circa la scabbia, dirò solo che l'ipotesi non mi convince affatto. In passato, ha sciolto diversamente alcune abbreviazioni anche il Rizzi, che propone pure una traduzione diversa dalla mia per la frase sopra citata: ); ora però entrambi i problemi paiono risolti: >, ecc. Agostino, nel dialogo, quando ammonisce contro le micidiali recrudescenze della passione amorosa, e sottolinea la pericolosità della solitudine per chi non sia ancora guarito, e infine consiglia la dura medicina della partenza quale premessa per un avvenire piu sereno, non dice nulla di diverso. Mi rendo conto che il richiamo alla lettera del settembre 1353, stringente sul piano dei contenutz; non lo è necessaria mente altrettanto per quanto riguarda i rispettivi tempi di com posizione. Tuttavia tale rapporto s'aggiunge ad altri riscontri (specialmente alle Fam. VIII 2-5), e soprattutto porta con sé il peso di un 'allusione che non può rt/erirsi ad altro che al Secre tum. Direi perciò che sia almeno nell'ordine delle normali pro babilità intendere il limite del 1353 con piu elasticità di quanto faccia il Rico, e che si possa concedere senza troppe difficoltà che nei primi tempi del suo soggiorno milanese Petrarca continuasse a intervenire sul Secretum, spinto, oltre tutto, da ragioni non dissimili da quelle che lo facevano contemporaneamente inter venire sulla primitiva redazione della lettera del 1349 a Luca Cristiani - si che ne risultano (e questo non c'è chi possa negar/o) una serie di punti in comune tra il dialogo e le quattro lettere ricavate dalla vecchia missiva. E una volta superata la barriera del giugno 1353, innalzata dal Rico, si potrà piu facil mente seguire il Baron nel riferire al primo soggiorno milanese anche parte del discorso sull'accidia, non tanto per l'invettiva an/i-avignonese che sembra in ogni caso corretto portare attorno al 1350 - piu verso le Sine nomine che verso le prime colorite descrizioni della confusione cittadina (II n. 231) - quanto per gli indubitabili accenni all'imminente De remediis, cominciato proprio a Milano nel 1354 (!! nn. 246 e 271)!' "' Cfr. P. G. Ricci, in Prose, pp. 1 1 69-1770; E. H WILKINS, Eight Years,
pp. 69-72 (in polemica con K. Heitmann, che sposta l'inizio dell'opera al
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INTRODUZIONE
Fermiamoci un istante, per un. breve riassunto. Secondo quanto abbiamo visto sin qui, hanno buona probabilità di risali re a/ 1353 e oltre le pagine sull'avidità e parte almeno di quelle sull'acczdia, nel l. II. Al 1352-1353, in Provenza, si possono attribuire le pagine sui limiti della gloria terrena e sull'Africa e sul De viris del l. III, mentre la parte sulla lussuria, del l. II, sarebbe del 1349. Delle peregrinationes abbiamo appena detto (1349 o 1353, o piu tardi. . .). Circa la lussuria, per la verità, si potrebbe osservare ancora che la stessa Fam. XVI 14 appena citata con ampiezza mostra come Petrarca presenti come attuali e cogenti i pericoli che essa rappresenta per lui, al punto che proprio tali pericoli l'hanno indotto a lasciare la solitudine di Va/chiusa per Milano. Cosi, l'osservazione già riferita, del Ba ron, secondo la quale il discorso sulla lussuria non sarebbe piu attuale ne/ 1353 perde molta della sua forza, e la perde dunque la deduzione, ancora del Baron, circa l'assurdità di parlare, nel 1353, della necessità di lasciare Va/chiusa per evitare le ricadute d'amore."2 Petrarca; infatti, lo /a. Detto questo, resta tuttavia che i rapporti con i Psalmi penitentiales rendono piu plausibile, per le pagine sulla lussuria, la data del 1348-1349: e per ciò i 'memoriali intimi', come abbiamo visto, possono costituire se non una prova almeno un indizio. Naturalmente, tornando alle empiriche e piu che ragionevoli considerazioni del Baron, è sin troppo ovvio che restiamo liberi di pensare quello che vogliamo di un tale insieme di ragioni e giustificazioni e spiegazioni messo avanti e variamente agitato da Petrarca, specie per quanto riguarda la sua rispondenza con effettive realtà di vita. Ciò che veramente conta non è l'eventuale mistificazione, ma il /atto che questo linguaggio e questo sistema ideale di rz/erimenti sia stato costruito da Petrarca per definire in esso i capisaldi della sua esperienza, ed è lungo questa pista che dobbiamo inseguir/o. Ancora una considerazione. Credo che occorra tener conto del particolare carattere di scelta e ricapito/azione che ha avuto, per tanta parte, il biennio trascorso in Provenza dal 1351 al 1353, 1356); R.!co, p. 235 n. 359. E va aggiunto che - come sottolinea il Rico - la stretta corrispondenza tra vari nuclei del Secretum e altrettanti del De remediis (per esempio il cap. De gratis amoribus, nel I. l ) depone a favore dell'abbassa· mento della data di quello. 62 BARON, Petrarch 's " Secre/um "• p. 97: (Il n. 72 e I n. 12 7). Nel !. I Francesco parla di tutte le lacrime versate per cercare, inutilmente, di lavare i suoi peccati (« sordes meas diluere >>) : alla fine dello stesso libro Agostino risponde, andando alla radice di quell'interiore dissi dio per cui l'anima « dum horret sordes suas ipsa nec diluii » (l nn. 27 e 157). Casi come questi indubbiamente limano lo stacco tra i due personaggr; e introducono una circolarità di giudizi e di espressioni che non può non rafforzare l'effettiva dimensione dialogica dell'opera. Cosi, è importante quanto Francesco insi nua circa i precetti della morale stoica, nella prima parte del !. l: « precepta . . . veritati propinquiora quam usui » (l n. 18). In questi termini, Agostino gli dà facilmente sulla voce, ma nella sostanza è poi egli stesso, nel !. Il, che contrappone moderazione e buon senso all'astratta rigidità di quei precetti, sia per quanto riguarda le condizioni materiali di vita ([[ n. 99) che per il controllo delle passioni (l'ira, nel caso), rispetto alle qualz; piu delle vanterie degli stoicz; sarà da mettere in opera la ragionevo le '' perypateticorum mitigatione » (l[ n. 142). Come le note
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INTRODUZIONE
citate documentano, questa è, fuori del Secretum, la posizione vera di Petrarca, a tratti duramente polemico contro l'estremi smo verbale delle formulazioni stoiche: posizione che è appunto Francesco a introdurre nel dialogo, seppur in modo tra ingenuo e provocatorio, e che sarà Agostino a sviluppare. Il discorso sulle condizioni materiali d'esistenza si muove poi in un àmbito anco ra piu vasto, perché in esso è coinvolto il concreto programma di vita che Petrarca accarezzava in quegli anni, in cui, dopo il distacco dal cardinale Colonna, gli si prospettavano le limitazio ni anche gravi a cui il ritiro di Va/chiusa l'avrebbe costretto: e tutto ciò filtra nel dialogo, attraverso la 'dz/esa' di Francesco come attraverso gli attacchi e le parziali concessioni di Agostino (in particolare, II n. 94). Ancora. Su tutt'altro piano, l'attenzio ne alle parole di Francesco rivela un sottile gioco delle parti. Nel l. I Agostino accenna agli inganni peggiorz; quelli che ci vengono dalle persone piu vicine, daiparenti: >, CLIII ( 1976), pp. 1 2 -59 e 186-229. V. FERA, La revisione petrarchesca dell'« Africa », Messina 1984. ) . V. FLEMING, Reason and the Lover, Princeton (N. ] . ) 1984. A. FORESTI, Aneddoti della vita di Francesco Petrarca, n . ed. a cura di A. Tissoni Benvenuti, Padova 1977 (Studi sul Petrarca 1). K. FosTER, ree. al vol. del Rico, Vzda u obra ... , in « Modern Language Review >>, LXXIII ( 1 978), pp. 442-444. K. FosTER, Petrarch poet and humanist, Edimburgh Univ. Press 1 984. E. GARI N , L'Umanesimo italiano, Bari 1952. P. P. GEROSA, Umanesimo cristiano del Petrarca. Influenza agostinia na, attinenze medievali, Torino 1966. O. GIULI AN I , Allegoria retorica e poetica nel « Secretum '' del Petrarca, Bologna 1977. M. GuGLIELMINETTI, Memoria e scrittura. L'autobiografia da Dante a Ce/lini, Torino 1977, pp. 101 - 158. K. HEITM ANN, Fortuna und Virtus. EineStudie zu Petrarcas Lebensweis· heit, Koln-Graz 1958. K. HEITMANN, Augustinus Lehre in Petrarcas « Secretum '' • in « Bibl. d'Humanisme et Renaissance >>, XXII ( 1 960), pp. 34-53 (in it., L 'in segnamento agost iniano nel « Secretum " del Petrarca, in >, VII, 1 96 1 , pp. 187- 194). N. lLIESCU, Il « Canzoniere " petrarchesco e s. Agostino, Roma, 1962. G. A. LEVI, Pensiero classico e pensiero cristiano nel '' Secretum " e nelle " Familiari " del Petrarca, in Da Dante al Machiavelli, Firenze 1935 , pp. 69-93 . E. LuciANI, Les Confessions de Saint Augustin dans /es lettres de Pétrarque, Paris 1982. H. ) . MARROU, Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1938.
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NOTA AL TESTO In attesa della futura edizione cnttca, si riproduce l'edizione del Secretum curata per la collana dei 'Classici' dell'UTET (Torino 1975) da Antonietta Bufano, che ha ricontrollato sul codice, il Laur. XXVI sin. 9, di mano di Tedalda della Casa, il testo già derivatone dal Carrara, per l'edizione Ricciardi delle Prose, ed ha potuto cosi correg gerne qualche svista. Dopo varie esitazioni, si è rinunciato a dividere il testo in paragrafi numerati: ciò del resto è quasi sempre surrogabile con il rinvio alle note, abbastanza fitte da coprire quasi ogni parte del testo. Poiché sin qui tutti gli studi che gli sono successivi rinviano al testo-base del Carrara, se ne è riportata, tra parentesi quadre, la relativa numerazione delle pagine. Per le note, era indispensabile passare attraverso l'ampia lettura del Rico, che ingloba i contributi precedenti e li arricchisce enormemente, si che i debiti contratti nei suoi confronti vanno ben oltre i pur numerosi rimandi che vengono fatti. Con ciò, è stato costante lo sforzo di non appiattire il lavoro sui suoi risultati, sia sul piano delle fonti, sia sfruttando via via angolazioni di lettura diverse dalle sue e introducen do alcune novità e approfondimenti interpretativi. Per ciò, come è del resto subito evidente, è stato di grande aiuto il volume del Baron, del 1985. Successive a quelle del Rico sono le brevi e puntuali annotazioni del Dotti alla sua traduzione (Milano 198 1 ) , utili in particolare per i numerosi rinvii a Seneca. Ma ancora utile è anche il commento del Ponte, nell'ed. delle Opere di Petrarca, a cura di E. Bigi, Milano, Mursia, 1963. Di altri contributi, daranno conto le note.
SECRETIJM IL MIO SEGRETO
DE SECRETO CONFLICTU CURARUM MEARUM LIBER PRIMUS INCIPIT FELICITER
PROHEMIUM INCIPIT
[22] Attonito michi quidem et sepissime cogitanti qualiter in hanc vitam intrassem, qualiter ve forem egressurus,1 contigit nuper ut non, sicut egros animos solet, somnus opprimeret, sed anxium atque pervigilem 2 mulier quedam inenarrabilis etatis et luminis, formaque non satis ab hominibus intellecta,' incertum quibus viis adiisse videretur. Virginem tamen et habi tus nuntiabat et facies.' Hec igitur me stupentem insuete lucis aspectum et adversus radios, quos oculorum suorum sol fun debat, non audentem oculos attollere,' sic al!oquitur: - Noli trepidare, neu te species nova perturbet. Errores tuos miserata, de longinquo tempestivum tibi auxilium latura descendi." Satis superque satis hactenus terram caligantibus oculis aspexisti; 7 quos si usqueadeo mortalia ista permulcent, quid futurum speras si eos ad eterna sustuleris? 8 - His ego auditis, necdum pavore deposito, maroneum illud tremulo vix ore respondi:
o quam te memorem, virgo? namque baud tibi vultus mortalis, nec vox hominem sonat! - Illa ego sum 10 - inquit - quam tu in Africa nostra curiosa quadam elegantia 11 descripsisti; cui, non segnius quam Amphion ille dirceus, 12 in extremo quidem occidentis summo que Atlantis vertice habitationem clarissimam atque pulcerri mam mirabili artificio ac poeticis, ut proprie dicam, manibus erexisti. Age itaque, iam securus ausculta, neve illius presen tem faciem perhorrescas, quam pridem tibi sat familiariter cognitam arguta circumlocutione testatus es. - Vixdum verba finierat, cum michi cunta versanti nichil aliud occurrebat quam Veritatem ipsam fore que loqueretur. Illius enim me palatium at!anteis iugis descripsisse memineram; 0 at quanam ex regione venisset ignorabam, nisi ce[24]litus tamen venire nequivisse certus eram. ltaque videndi avidus respicio, et ecce lumen
IL SEGRETO CONFLITTO DEI MIEI PENSIERI FELICEMENTE COMINCIA IL PRIMO LIBRO
PROEMIO
Non molto tempo fa ero assorto e pensavo con sgomento, come faccio spessissimo, in che modo fossi entrato in questa vita e come ne sarei dovuto uscire. Non ero però oppresso dal sonno, come succede a chi è spiritualmente debilitato, e mi parve allora di vedere - angosciato e ben desto com'ero una donna di un'epoca e di uno splendore inenarrabili, e d'una bellezza che noi uomini non riusciamo interamente a comprendere. Non sapevo per quali vie fosse giunta sino a me: ma che fosse vergine, me lo dicevano l'abito e il volto. E mentre restavo stupefatto alla vista della sua straordinaria luminosità, e non osavo alzare i miei occhi verso i raggi che emanavano dal sole dei suoi, cosf mi si rivolse: - Non trema re, e non !asciarti turbare dalla mia nuova bellezza. Ho avuto compassione dei tuoi errori, e sono giunta da lontano per portarti sollecito aiuto. Sin qui troppo hai tenuto rivolti a terra gli occhi offuscati: ma se le cose terrene li hanno allettati a tal punto, che mai non potrai aspettarti se li alzerai verso le eterne? A queste parole, senza essere riuscito a liberarmi d'ogni paura, balbettai con labbra tremanti quelle parole di Virgilio: « Come posso chiamarti, o vergine? perché non hai volto mortale, né umana suona la tua voce. . . ». - lo sono colei rispose - che nella nostra Africa tu hai descritto con curiosa eleganza; sono colei per la quale tu, non diversamente dal tebano Anfione, con mirabile artificio e, alla lettera, con mani di poeta, hai eretto nell'estremo occidente e sulla piu alta cima dell'Atlante un palazzo fulgente e bellissimo. Coraggio dun que, ascolta senza timore, e non !asciarti intimidire dalla pre senza di colei che tu stesso hai affermato tempo fa, con indovi nata perifrasi, di conoscere abbastanza intimamente. Aveva appena finito di parlare e già avevo considerato ogni ipotesi, e non vedevo chi altri potesse essere colei che mi parlava se non la Verità. Mi ricordavo di aver descritto il suo palazzo, sui monti di Atlante, ma non sapevo da quale regione venisse, anche se ero certo che non potesse arrivare se non dal cielo. Perciò la fisso meglio, avido di vederla, ma ecco che le
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ethereum acies humana non pertulit. Rursus igitur in terram oculos deicio; quod illa cognoscens, brevis spatii interveniente silentio, iterumque et iterum in verba prorumpens, minutis interrogatiunculis me quoque ut secum multa colloquerer coe git. Duplex bine michi bonum provenisse cognovi: nam, et aliquantulum doctior factus sum, aliquantoque ex ipsa conver satione securior spectare coram posse cepi vultum illum, qui nimio primum me splendore terruerat. Quero postquam sine trepidatione sustinui, dum mira· dulcedine captus inhereo, cir cumspiciensque an quisquam secum afforet, an prorsus inco mitata mee solitudinis abdita penetrasset,14 virum iuxta gran devum ac multa maiestate venerandum video. Non fuit necesse nomen percuntari: religiosus aspectus, frons modesta, graves oculi, sobrius incessus, habitus afer sed romana facundia gloriosissimi patris Augustini quoddam satis apertum indicium referebant. Accedebat dulcior quidam maiorque quam nonnisi hominis affectus, qui me suspicari aliud non sinebat. Nec tamen ideo tacitus mansissem; iam interrogationis verba dictaveram, 11 iamque in extremum oris limen vox egressura processerat, cum subito ex ore Veritatis dulcisonum illud michi nomen auditum est. Ad eum siquidem conversa, ac meditationem ipsius profundissimam interrum pens sic ait: - Care michi ex milibus Augustine; 16 bune tibi devotum 17 nosti, nec te latet quam periculosa et longa egritudi ne tentus sit, que eo propinquior morti est quo eger ipse a proprii morbi cognitione remotior! 18 ltaque nunc vite huius semianimis consulendum est, quod pietatis opus melius quam tu nullus hominum prestare potest. Nam et iste tui semper nominis amantissimus fuit; habet autem hoc omnis doctrina, 19 quod multo facilius in auditorum animum ab amato precepto re transfunditur; et, nisi te presens forte felicitas miseriarum tuarum fecit immemorem, multa tu, dum corporeo carcere claudebaris, buie similia pertulisti.20 Quod cum ita sit, passio num expertarum curator optime, tametsi rerum omnium io cundissima sit taciturna meditatio, silentium tamen istud, ut
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mie umane forze non reggono quella luce celestiale. Getto di nuovo lo sguardo a terra: se ne accorge, e mi concede una breve pausa di silenzio, e poi a poco a poco, ripetutamente, lo rompe con le sue parole e a forza di piccole domande fa si ch'io finisca per parlare a lungo con lei. Mi rendevo conto che me ne veniva un doppio bene: sono diventato infatti un poco piu saggio e, reso piu sicuro da quella stessa conversazione, ho cominciato a poter guardare direttamente in quel volto che a tutta prima mi aveva atterrito con il suo intollerabile splendo re. E dopo aver imparato a sostenerlo senza tremare, e mentre mi stringo a lei tutto preso di straordinaria dolcezza, mi volgo attorno per vedere se con lei ci fosse qualcuno, o se fosse invece entrata da sola nella nascosta intimità della mia solitudi ne: m'accorgo allora d'un vecchio dall'aspetto maestoso e venerando. Non ci fu bisogno che ne chiedessi il nome. L'aspetto sacerdotale, la modestia del volto, la serietà dello sguardo, la dignità del portamento, l'abito africano ma l'eloquenza roma na: tutto indicava a sufficienza che si trattava del gloriosissimo padre Agostino. Si aggiungeva l'espressione dolce e intensa di un affetto piu che umano, che non lasciava ch'io pensassi ad altri. Non sarei rimasto muto, e già mi ero preparato le parole per interrogarlo, e già la voce urgeva alle labbra, per uscirne, quando udii d'un tratto il dolce suono di quel nome dalla bocca stessa della Verità. Rivolta infatti a lui e interrompendo ne la profondissima meditazione, disse: - O Agostino, tu che tra mille e mille mi sei caro ! sai che costui ti è devoto, né ignori di quale pericolosa e lunga malattia sia preda: malattia tanto piu prossima ad essere mortale quanto piu il malato è lontano dalla comprensione del suo male. Occorre dunque provvedere alla vita di questo moribondo, e una tale opera di pietà nessuno tra gli uomini potrebbe prestarla meglio di te. Costui, infatti, ti è sempre stato devotissimo, e ogni dottrina ha la proprietà di trasfondersi molto piu facilmente nell'animo degli studenti, quando essi amino il loro maestro. E anche tu, a meno che la presente beatitudine non ti abbia fatto dimenticare le tue miserie, hai sofferto molte pene simili a quelle di quest'uomo, finché sei stato chiuso nel carcere del corpo. Stando cosi le cose, da ottimo medico qual sei di passioni che hai tu stesso provato, anche se non c'è niente di meglio di una meditazione silenziosa, ti prego tuttavia di rompere questo silenzio con la
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sacra et michi sin[26]gulariter accepta voce discutias oro, tentans si qua ope languores tam graves emollire queas. - Ad hec ille: - Tu michi dux, tu consultrix, tu domina, tu magi stra: " quid igitur me loqui iubes te presente?22 - Illa autem: - Aurem mortalis hominis humana vox feriat; hanc iste feret equanimius. Ut tamen quicquid ex te audiet ex me dictum putet, presens adero. - Parere - inquit - et languentis amor cogit et iubentis autoritas -; simul me benigne intuens pater noque refovens complexu, in secretiorem loci partem23 Verita te previa parumper adduxit; ibi tres pariter consedimus. Tum demum, illa de singulis in silentio iudicante, submotisque pro cui arbitris, ultro citroque sermo longior obortus, atque in diem tertium/' materia protrahente, productus est. Ubi multa licet adversus seculi nostri mores, deque comunibus mortalium piaculis dieta sint, ut non tam michi guam toti humano generi fieri convitium videretur, ea tamen, quibus ipse notatus sum, memorie altius impressi.2' Hoc igitur tam familiare colloquium ne forte dilaberetur, dum scriptis mandare instituo, mensuram libelli huius implevi. Non quem annumerari aliis operibus meis velim, aut unde gloriam petam (maiora quedam mens agitat) 26 sed ut dulcedinem, guam semel ex collocutione percepi, quo tiens libuerit ex lectione percipiam. Tuque ideo, libelle, conventus hominum fugiens, mecum mansisse contentus eris,27 nominis proprii non immemor. Se cretum enim meum 28 es et diceris/9 michique in altioribus occupato, ut unumquodque in abdito dictum meministi, in abdito memorabis. Ego enim ne, ut ait Tullius, « inquam et inquit sepius interponerentur, atque ut coram res agi velut a presentibus videretur » 30 collocutoris egregii measque senten tias, non alio verborum ambitu, sed sola propriorum nominum prescriptione discrevi. Hunc nempe scribendi morem a Cice rone meo didici; at ipse prius a Platone didicerat.31 Ac ne longius vager, his ille me primum verbis aggressus est.
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tua sacra voce, che io amo tra tutte in modo cosf speciale, per tentare, se puoi, di alleviare con qualche rimedio un cosf grave stato di prostrazione. - AI che egli: - Sei tu la mia guida, la mia consigliera, la mia padrona, la mia maestra: perché dunque vuoi che sia io a parlare, quando tu stessa sei presente? E Ici: - Sia una voce umana a colpire l'orecchio di un mortale: la riceverà con migliore disposizione d'animo. Ma resterò qui, in modo che tutto quello che sentirà da te possa considerarlo come se l'avessi detto io. - Mi costringe ad obbedire rispose - sia la carità verso costui che langue che l'autorità tua che me lo comanda -, e intanto, guardandomi con affetto e riscaldandomi con un abbraccio paterno, mi accompagnava verso una zona piu appartata, con la Verità che ci precedeva di poco. Qui ci sedemmo tutti e tre, e allora finalmente, lontani da ogni altro testimone, mentre ella giudicava in silenzio ogni singolo punto, nacque tra noi una lunga conversazione che, trascinata dall'argomento, si protrasse per tre giorni. Parlam mo a lungo contro i costumi del nostro tempo e delle colpe comuni a tutti gli uomini, sf che non parve tanto che si formulasse un atto d 'accusa contro di me, quanto piuttosto contro tutto il genere umano: mi si sono ficcate piu profonda mente nella memoria, tuttavia, le cose delle quali io personal mente sono stato accusato. E perché non m 'awenisse poi di dimenticare un colloquio tanto intimo, essendomi proposto di mettcrlo per iscritto, ho riempito tutte queste pagine: non perché voglia annoverarle tra le altre mie opere, o magari per averne gloria (ho qualcosa di piu grande, in mente) , ma per poter risentire, ogni volta che mi piaccia di rileggerle, la stessa dolcezza che già provai nel vivo scambio del dialogo. Tu dunque, libretto, evita d'incontrarti con altri, e statti contento di rimanertene con me, memore del tuo nome. Sei infatti Il mio segreto, e cosf sarai chiamato: e quando io sia impegnato in cose maggiori, cosi come in segreto hai registrato tutto quello che è stato detto, in segreto me lo ricorderai. Per evitare, infine, come dice Cicerone, di introdurre troppi dissi e disse nel discorso, e affinché sembri meglio che la cosa si svolga tra persone presenti, ho distinto le parole del mio eccelso inrerlocutore dalle mie senza alcun giro di frase, ma solo premettendo ad esse i nostri nomi. Ho imparato appunto da Cicerone questo modo di scrivere, ed egli l'aveva a sua volta imparato da Platone. Ma, per non divagare oltre, ecco le prime parole che Agostino mi rivolse. -
INCIPIT LIBER PRIMUS
[28] A. Quid agis, homuncio? quid somnias? quid expectas? miseriarum ne tuarum sic prorsus oblitus es? An non te morta lem esse meministi? ' F. Memini equidem nec unquam sine horrore2 quodam cogi tatio illa subit animum. A. Utinam meminisses, ut dicis, et tibi consuluisses ! etenim et multum michi negotii remisisses, cum sit profecto verissi mum ad contemnendas vite huius illecebras componendum que inter tot mundi procellas animum nichil efficacius reperiri guam memoriam proprie miserie et meditationem martis assi duam; 1 modo non leviter, aut superficietenus serpat, sed in ossibus ipsis ac medullis ' insideat. At multum vereor ne in hac re, quod in multis animadverti, te ipse decipias. F. Qualiter, queso? non enim dare intelligo que narras. A. Atqui omnibus ex conditionibus vestris, o mortales, nul lam magis admiror, nullam magis exhorreo, guam quod mise riis vestris ex industria favetis et impendens periculum ' dissi mulatis agnoscere, considerationemque illam, si ingeratur, ex cluditis. F. Quo pacto ? A. Putas ne quempiam adeo delirare, ut morbo ancipiti cor reptus non summe cupiat sanitatem ? 6 F. Neminem tam dementem arbitrar. A. Quid ergo? putas ne quempiam fore tam pigri remissique animi ut non, quod tota mente desiderat, omni studio consec tetur? F. Ne istud quidem. A. Si hec duo inter me teque conveniunt, tertium quoque conveniat necesse est. F. Quod est tertium hoc? A. Ut, sicut qui se miserum alta et fixa meditatione cognove rit cupiat esse non miser, et qui id optare ceperit sectetur, sic et
COMINCIA IL PRIMO LIBRO
A. Che fai, pover'uomo? che sogni? che aspetti? Ti sei pro prio dimenticato delle tue miserie? O forse non ti ricordi che dovrai morire? F. Certo che me lo ricordo, e si tratta di un pensiero che non mi si insinua mai nell'animo senza un profondo senso di spavento. A. Magari te lo ricordassi cosi come dici, e ti cominciassi a preoccupare di te stesso! Mi risparmieresti una gran parte di fatica, dal momento che è assolutamente vero che non esiste niente di piu efficace della coscienza della propria infelicità e dell'assidua meditazione intorno alla morte per disprezzare le lusinghe di questa vita e per comporre il proprio animo in mezzo alle tante tempeste di questo mondo: a patto che tale pensiero non serpeggi lieve e superficiale, ma penetri invece ben dentro il midollo delle ossa. Ma in quanto a questo ho una gran paura che anche tu inganni te stesso, come ho visto fare a tanti altri. F. In che modo, ti prego? non riesco a capire bene quello che dici. A. Eppure di tutti i vostri atteggiamenti, o mortali, non ce n'è alcuno che mi meravigli di piu e che piu mi ripugni, di questo vostro indulgere a bella posta alle vostre miserie, e di far finta di non conoscere il pericolo che vi sovrasta, oppure di cacciar ne il pensiero, quando per caso vi si presenta. F. Come? A. Credi che esista qualcuno tanto pazzo che, se fosse colpito da una grave malattia, non vorrebbe innanzi tutto ritrovare la salute? F. Non penso che ci sia qualcuno cosi demente. A. E allora? Credi che ci sia qualcuno tanto pigro e imbelle da non inseguire con impegno ciò che desidera con tutto il suo cuore? F. Nemmeno questo. A . Se io e t e siamo d'accordo s u questi due punti, dovremmo accordarci per forza anche sul terzo. F. Qual è, questo terzo? A. Come desidera di non essere infelice chi abbia scoperto attraverso profonda e intensa meditazione la propria infelicità; e come chi ha cominciato a nutrire un simile desiderio cerca di
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qui id sectatus fuerit, possit etiam adipisci. Enimvero tertium huiusmodi sicut nonnisi ex secundi, sic secundum nonnisi ex [30] primi defectu prepediri posse compertum est; ita primum illud ceu radix humane salutis subsistat oportet. Vos autem, insensati, tuque adeo ingeniosus in perniciem propriam, e pectoribus vestris salutiferam hanc radicem omnibus terrena rum blanditiarum laqueis, quod mirari me atque horrere dice bam, extirpare nitimini.' lure igitur et illius avulsione et reli quorum aversione plectimini. F. Hec quidem, ut augurar, longior est querela egensque verborum plurium. Ea ergo, si libet, in tempus aliud dilata, cum certior ad sequentia proficiscar, aliquantisper in prece dentibus immoremur. A. Tarditati tue mos gerendus est, ubicunque igitur visum fuerit pedem fige. F. Consequentiam istam ego non video. A. Quid caliginis 8 intervenit, quid ve nunc dubietatis abori tur? F. Quoniam innumerabilia sunt, que ardenter optamus stu dioseque petimus, ad que tamen nullus labor nulla nos diligen tia aut provexit aut provehet. A. In rebus ceteris id verum esse non inficior, at in eo, quod nunc agitur, contra est. F. Quam ob causam? A. Quia qui miseriam suam cupit exuere, modo id vere pleneque cupiat, nequit a tali desiderio frustrari! F. Pape, quid ego audio! Pauci admodum sunt, qui non multa sibi deesse provideant; quod guam verum sit, quisquis ad se ipsum fuerit conversus, intelliget; atqui in eo se se miseros fateantur consequens est. Siquidem et bonorum cu mulatissimus acervus felices facit, et quicquid inde decesserit pro ea parte necesse est efficiat infelices. 10 Hanc miserie sarci nam omnes quidem deponere voluisse, rarissimos autem po tuisse, notissimum est. Quam multi enim sunt, quos ve! corpo ris adversa valitudo, ve! carorum mors, ve! carcer, ve! exilium, ve! paupertas, perpetuis premit angoribus, aliaque huius gene ris, que sicut enumerare longum est, sic tolerare difficile atque miserrimum; que, quamvis sint patientibus permolesta, tamen,
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realizzarlo, cosf chi cerca di realizzarlo è pure in grado di riuscirei. Ed è evidente che questo terzo punto non può essere impedito che dalla debolezza del secondo, e il secondo a sua volta da null'altro se non dalla debolezza del primo: sicché occorre che proprio in quel primo consista, per dir cosf, la radice dell'umana salute. Ma voi, insensati - e tu cosf incaro gnito nella tua malattia - fate di tutto per strapparvi dal petto questa salutifera radice con la forza di tutte le catene dei piaceri terreni: il che è appunto quello che mi procura insieme meraviglia e ripugnanza, come dicevo. Siete perciò giustamen te puniti, perché estirpate quella radice e abbandonate il resto. F. Per la verità mi pare che questa sia un'accusa alquanto complessa, che richiede molte piu parole. Perciò, se ti va, rimandiamola a un altro momento e fermiamoci un po' sulle premesse, sf che io possa affrontare con maggiore sicurezza le questioni che via via seguiranno. A. Bisogna adattarsi alla tua lentezza: ferma dunque il piede là dove ti pare. F. Non vedo bene quelle tue connessioni. A. È calata la nebbia? Che dubbi ti nascono? r. È che sono innumerevoli le cose che desideriamo con ardore e che cerchiamo di ottenere con ogni impegno, che tuttavia nessuna fatica o arte ci ha mai procurato e mai ci procurerà. A. Non nego che ciò sia vero in tante altre cose, ma per ciò di cui ora si tratta non è cosf. F. Perché mai? A. Perché chi vuole spogliarsi della sua infelicità, purché Io voglia davvero e compiutamente, non può fallire tale obiettivo. F. Suvvia, che mi tocca sentire! Sono veramente pochi quelli che non devono mettere in conto che di molte cose dovranno fare a meno. E quanto sia vero, lo capisce chiunque abbia considerato i casi propri. Ne consegue dunque che almeno in ciò si proclamino infelici. Se un gran mucchio di beni ci rende felici, è inevitabile che tutto quello che da un tal mucchio venga a mancare ci renda, per la sua pane, infelici. Tutti Io sanno, che ogni uomo avrebbe voluto deporre questo peso d'infelicità, ma che solo pochissimi sono riusciti a farlo. Quanti sono, infatti, che soffrono continue pene per le malattie, la morte dei loro cari, il carcere, l'esilio, la povertà e altri mali di tal fatta che sarebbero tanto lunghi da enumerare quanto è difficile e angoscioso sopportarli: e per quanto siano tutti
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ut vides, abiecisse non licet. Dubitari igitur meo iudi[32]cio non potest quin multi quidem inviti nolentesque sint miseri. 1 1 A. Longius retro revocandus es et, quod usu evenit vagis tardioribusque iuvenculis, sepius a primis elementis dicendo rum series retexenda est. Provectioris te quidem ingenii arbi trabar, nec putabam adhuc tam puerilibus admonitionibus indigere. Et profecto si illas philosophorum veras saluberrimas que sententias, quas mecum sepe relegisti, memorie commen dasses; si, ut cum bona venia loqui sinas, tibi non aliis laboras ses, et lectionem tot voluminum ad vite tue regulam, non ad ventosum · vulgi plausum et inanem iactantiam traduxisses, 12 tam insulsa et tam rudia ista non diceres. F. Quid pares ignoro. lam nunc tamen frontem meam rubor invasit, experiorque quod, pedagogis obiurgantibus, pueri so lent. Ut enim illi, antequam admissi criminis nomen audiant, multa se deliquisse memorantes, prima castigatoris voce con funduntur; sic ego, ignorantie et errorum michi conscius mul torum, etsi nondum intelligo quorsum tua pergat oratio, quia tamen nichil michi non obici posse presentio, ante finem ser monis erubui. Fare autem apertius, queso: quid hoc est, quod in me satis mordaciter arguisti? A. Multa post hac; nunc unum illud indignor, quod fieri quenquam ve! esse miserum suspicaris invitum. F. Erubescere desii. Quid enim hoc vero verius excogitari potest? aut quis tam ignarus rerum humanarum tamque ab omni mortalium commercio segregatus est, qui non intelligat egestatem, dolores, ignominiam, denique morbos ac mortem aliaque huius generis, que putantur esse miserrima, invitis accidere plerunque, volentibus autem nunquam? 13 Ex quo verum fit miseriam propriam et novisse et odisse facillimum, depulisse non ita; quod prima duo nostri arbitrii, tertium hoc sit in potestate fortune. 1 ' A. Erroris veniam verecundia merebatur; impudentie autem
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insopportabili a chi li soffre, tuttavia, come ben vedi, non si può liberarsene. A parer mio, dunque, non si può dubitare del fatto che molti siano infelici pur non volendo assolutamente esserlo. A. Devi essere riportato molto indietro, e occorre che la serie delle cose da dire venga ripetuta piu volte, a partire dai primi elementi, come si fa con i ragazzi disattenti e tardi. Per la verità pensavo che tu fossi piu maturo, e che non avessi piu bisogno di ammonizioni cosi puerili. E dawero, se tu avessi imparato a memoria quelle giuste e salutari sentenze dei filosofi che spesso hai riletto con me; se - !asciatelo dire senza che tu t'offenda - avessi studiato per te e non per gli altri, e se avessi indirizza to la lettura di tanti libri a regolare la tua vita e non al sonoro ed effimero plauso del volgo e a una vanitosa ostentazione, non diresti cose cosi sciocche e cosi grossolane. F. Non so cosa tu abbia in mente, e tuttavia mi è già salito il rossore alla fronte, e provo quello che succede ai fanciulli quando i loro maestri li rimproverano. Come loro si confondo no appena sentono la voce di chi li castiga, ancor prima di sapere quale colpa abbiano veramente commesso, poiché ri cordano di averne combinate molte, cosi io sono arrossito prima che tu finissi di parlare, consapevole come sono della mia ignoranza e dei miei molti errori, anche se non capisco ancora dove vada a parare il tuo discorso, dato che so che non c'è nulla che non possa essermi rimproverato. Ma sii piu esplicito, ti prego. Di che precisamente mi rimproveri con tanta asprezza? A. Di molte cose, delle quali parleremo poi. Per ora mi indigna solo questo, che tu sia convinto che uno possa essere o diventare infelice contro la sua volontà. F. Non arrossisco piu. Si può immaginare verità piu vera di questa? E chi mai è cosi ignorante delle vicende umane e cosi privo di rapporti con i suoi simili, che non sappia che la miseria, i dolori, il disonore e infine le malattie e la morte e tutti gli altri mali siffatti, cioè tutti quelli che sono ritenuti i peggiori, colpiscono per lo piu quelli che proprio non li voglio no, e in ogni caso mai per nostra volontà? Dal che risulta innegabile che è molto facile conoscere e odiare la propria infelicità, ma che non lo è altrettanto il liberarsene. Perché le prime due cose dipendono da noi, e la terza è nelle mani della fortuna. A. La vergogna poteva farti perdonare il tuo errore, ma
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irascor gravius guam errori. Quomodo enim, amens, ille tibi philosophice sanctissimeque voces 15 exciderunt: « neminem his, que paulo ante nominabas miserum fieri posse? )). Nam si sola virtus [34] animum felicitar, quod et a Marco Tullio 16 et a multis sepe validissimis rationibus demonstratum est, conse quentissimum est ut nichil quoque nisi virtutis oppositum a felicitate dimoveat, quod quale sit, nisi prorsus obtorpuisti, me licet tacente recordaris. 17 F. Recordor equidem; ad stoicorum precepta me revocas, populorum opinionibus aversa et veritati propinquiora guam usui." A . O te omnium infelicem, si ad veritatis inquisitionem per vulgi deliramenta contendis, 19 aut cecis ducibus20 ad lucem te perventurum esse confidis. Calcatum publice callem fugias oportet et ad altiora suspirans paucissimorum signatum vesti giis iter arripias/' ut poeticum illud audire merearis :
macte nova virtute puer: sic itur ad astra.'' F.
Utinam id michi contingere possit, antequam moriar! Sed perge, queso; neque enim prorsus depuduit, et stoicorum sententias publicis erroribus preferendas esse non dubito. Quid autem hinc persuadere velis, expecto. A. Si hoc imer nos convenit: nisi vitio miserum non esse neque fieri, iam quid verbis opus est? F. Quia multos vidisse michi videor, imer quos et me ipsum, nichil molestius ferentes guam quod vitiorum iugum non lice ret excutere, quamvis ad id per omnem vitam summis viribus niterentur.23 Quam ob rem, stante licet stoicorum sententia,24 tolerari potest multos invitos ac dolentes optantesque contra rium esse miserrimos. A . Aliquantulum evagati sumus, sed iam sensim ad primor dia nostra revertimur, nisi forte unde discesseramus oblitus es. F. Oblivisci ceperam, sed incipio recordari. A. Id agere tecum institueram, ut ostenderem, ad evaden dum huius nostre mortalitatis25 angustias ad tollendumque se se altius, primum veluti gradum obtinere meditationem mortis humaneque miserie; secundum vero desiderium vehemens stu diumque surgendi; quibus exactis ad id, quo vestra suspirat
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dell'impudenza mi adiro piu che dell'errore. Come mai, pazzo che sei, ti sono cadute di mente quelle filosofiche e sante parole: « nessuno può essere reso infelice da quei mali che poco sopra hai nominato » ? Se è vero che solo la virtu fa l'animo felice, come è stato dimostrato piu volte con validissi mi argomenti da Marco Tullio e da molti altri, ne deriva strettamente che solo il contrario della virtu può allontanare dalla felicità. E quale sia questo contrario lo dovresti ricordare senza che io te lo dica, se non ti sei istupidito del tutto. F. Certo che lo ricordo. Mi richiami alle dottrine degli stoici, che si discostano dalle opinioni comuni e sono piu vicini alla verità astratta che alla pratica. A. O infelice tra tutti, se vai in cerca della verità per mezzo i deliri del volgo, o se credi di arrivare alla luce seguendo la guida dei ciechi ! Devi fuggire la via che tutti percorrono e, anelando a maggiori altezze, devi seguire un cammino segnato da rarissime orme, se vuoi essere degno di sentire quel poetico: « Sia lode alla tua nascente virtu, o giovanetto: cosi si sale alle stelle ». F. Magari mi succedesse, prima ch'io muoia! Ma continua, ti_prego: non ho perso ogni vergogna, e non dubito affatto che le sentenze degli stoici siano da preferire agli errori comuni. Aspetto dunque quello che tu vuoi ricavare da tutto ciò. A. Se siamo d'accordo sul fatto che non si è e non si diventa infelici se non a causa dei nostri vizi, che bisogno c'è di parole? F. Per questo, che mi sembra d'aver visto che molti, e io tra questi, soffrono soprattutto di non poter liberarsi dal giogo dei vizi, benché ci provino per tutta la vita, con ogni loro sforzo. Perciò, pur restando ferma la sentenza degli stoici, si può accettare che molti siano infelici pur non volendolo, e soffren done e desiderando il contrario. A. Abbiamo un po' divagato, ma a poco a poco stiamo tornando al punto di partenza, se non ti sei dimenticato da dove ci siamo mossi. F. Cominciavo a dimenticarlo, ma torno a ricordarmelo. A. M'ero proposto di mostrarti come la meditazione della morte e dell'infelicità umana costituisca per cosi dire il primo passo per uscire dalle strettoie della vostra condizione mortale e per sollevarvi piu in alto ; come il secondo passo consista nel veemente desiderio e nell'impegno a salire. E ti promettevo, una volta compiuti questi passi, una facile ascesa verso quelle
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intentio, ascensum facilem pollicebar; nisi tibi forte nunc etiam contrarium videatur. [36] F. Contrarium micbi quidem videri dicere non ausim; ea namque de te ab adolescentia mea mecum crevit opinio ut, siquid aliter micbi visum fuerit quam tibi, aberrasse me no verim. A. Cessent, oro, blanditie. At quoniam non tam iudicio quam reverentia assensum dictis meis prebuisse te video, loquendi tibi, quicquid ex arbitrio tuo fuerit, libertas datur. F. Trepidus quidem adbuc, sed licentia tua uti velim. Atque, ut de reliquis bominibus sileam, testis est micbi bec/6 que cuntis actibus meis semper interfuit, testis tu quoque, quotiens ad conditionis mee miseriam mortemque respexerim, quanti sque cum lacrimis sordes meas diluere nisus sim; 27 verum, id quod sine lacrimis narrare non possum, ut videtis bactenus frustra fuit. Hoc igitur unum est, quod me super ambigenda propositionis tue veritate solicitat, qua conaris astruere nemi nem nisi sponte sua in miseriam corruisse, neminem miserum esse, nisi qui velit; cuius rei contrarium in me tristis experior. A. Vetus est bee et nunquam finem babitura querimonia. Atqui licet idem necquicquam sepe tentaverim, adbuc inculca re non desinam, nec fieri miserum nec esse qui nolit.2" Sed est ut dicere ceperam, in animis bominum perversa quedam et pestilens libido se ipsos fallendi, quo nicbil potest esse fune stius in vita.29 Si enim familiarium dolos iure pertimescitis,30 proptereaquod et fallentium autoritas remedium preripit cau tele, et aures vestras assidue vox eorum blanda circumsonat, quorum utrunque in aliis cessare videatur; quanto magis pro prias fraudes formidare deberetis, ubi et amor et autoritas et familiaritas ingens est, quod se quisque plus extimet quam valeat, plus diligat quam oporteat; nunquam preterea deceptus a deceptore separetur." F. Sepe bis verbis bodie usus es. At ego me ipsum nunquam, quod meminerim, fefelli. Utinam non me alii fefellissent ! A. Nunc te maxime fallis cum nunquam te ipsum fefellisse
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mete che cosi ansiosamente desiderate. A meno che anche in questo caso a te non sembri altrimenti. F. Non oserei mai dire che la penso in tutt'altro modo. Sin dalla mia fanciullezza è cresciuta con me una tale opinione di te, che se in qualcosa avessi giudicato diversamente riconosce rei d'aver sbagliato. A. Lascia stare le adulazioni, ti prego. E invece, visto che hai acconsentito alle mie parole non per convinzione ma per reve renza, eccoti la libertà di dire tutto quello che davvero hai in mente. F. Benché ancora trepidante, vorrei approfittare della libertà che mi concedi. Per tacere degli altri, Costei che fu sempre testimone di tutti i miei atti, come lo sei stato tu, può dire quante volte io mi sia messo dinanzi alla miseria della mia condizione e alla morte, e con quante lacrime abbia cercato di lavare le mie macchie. Ma, come tu e la Verità potete vedere non posso dirlo senza piangere - sin qui è stato tutto invano. Questo dunque è il solo motivo che mi spinge a mettere in dubbio la verità della tua affermazione, con la quale ti sforzi di provare che nessuno è precipitato nell'infelicità se non di sua volontà, e che è infelice solo chi vuoi esserlo. In me, io faccio triste esperienza del contrario. A. È una vecchia lamentela, che non avrà mai fine. Ma anche se l'ho fatto tante volte inutilmente, pure non smetterò di cercare di inculcarti che chi non vuole non diventa e non è infelice. Ma, come avevo cominciato a dirti, c'è nell'animo degli uomini una tale perversa e pestilenziale libidine d'ingan nare se stessi, che non c'è niente di peggio nella vita. Se, con ragione, temete soprattutto gli inganni dei familiari, perché la fiducia di cui godono simili ingannatori fa cadere la barriera della diffidenza, e perché la loro voce avvolge con assidua dolcezza le vostre orecchie - cose entrambe che non si verifi cano con gli estranei -, dovreste allora aver molta piu paura degli inganni che voi tramate contro voi stessi, là dove grande è l'amore e la fiducia e la familiarità, posto che ognuno si stima piu di quello che vale e si ama piu di quello che conviene. E dove, per di piu, l'ingannatore non può essere separato dall' in gannato. F. Oggi hai usato spesso queste parole. Ma io, che mi ricordi, non ho mai ingannato me stesso. Non m'avessero mai inganna to gli altri, invece ! A. Proprio ora imbrogli te stesso, mentre ti vanti di non
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gloriaris. Nec tam tenuis tue indolis spes est michi quin, si animum acriter intenderis, per te ipsum videas neminem in miseriam nisi spante corruere. Super hoc enim a!tercatio no stra fun [JS] data est. Dic enim, oro te - sed cogita priusquam respondeas, atque animum indue non contentionis sed veritatis avidum 12 dic michi: quem hominem putas peccasse coac tum, cum velint sapientes peccatum esse voluntariam actio nem, usque adeo ut si voluntas desit, desinat esse peccatum? H Sine peccato autem nemo fit miser, quod michi iam superius concessisti. '' F. Video me paulatim de proposito excidere, et fateri cogor, quod initium miserie mee ex proprio processit arbitrio ; hoc in me sentio in aliisque conicio.'5 Modo tu michi quoque verum fateare. A. Quid me fateri postulas? F. Ut sicut verum est neminem nisi spante corruere, sic etiam illud verum sit: innumerabiles spante prolapsos non sua tamen spante iacere; quod de me ipso fidenter affirmem. ldque michi datum arbitrar in penam ut, quia dum stare possem nolui, assurgere nequeam dum velim.36 A. Quanquam haud prorsus delirantis opinio ista sit, post quam te tamen in primo errasse recognoscis, idem in secundo fatearis oportebit. F. « Cadere » igitur et « iacere » unum atque idem esse diffi nis? A. Imo vero diversa; « voluisse » tamen et « velle », etsi in tempore differunt, in re ipsa inque animo volentis unum sunt." F. Sentio quibus me nexibus involvas; nec tamen fortior luctator est qui arte sibi victoriam quesivit sed profecto versu tior. A. Coram Veritate loquimur, cui simplicitas omnis amica est, calliditas inimica; quod ut dare videas, cum quanta!ibet dein ceps simplicitate procedamus. F. Nichil possem audire iucundius. Dic ergo, quoniam de me ipso mentio fuerat, quanam michi ratione monstraveris hoc, -
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averlo mai fatto. Non ho tuttavia cosi scarsa considerazione del tuo carattere da disperare che tu riesca a vedere da solo, se riesci a concentrarti intensamente, che tutti precipitano nell'in felicità di loro spoqtanea volontà. La nostra discussione si basa proprio su questo. Dimmi, ti prego, ma rifletti prima di rispon dere e mettiti in una disposizione d'animo che cerchi la verità e non la disputa per la disputa... dimmi dunque, pensi che qualcuno possa commettere peccato per forza? quando i sa pienti hanno stabilito che il peccato è un'azione volontaria, al punto che, se manca la volontà, anche il peccato cessa di esistere. E senza peccato nessuno è infelice, come poco fa mi hai ammesso. F. Mi accorgo che un po' per volta sto cedendo dalle mie posizioni, e sono costretto a riconoscere che il principio della mia infelicità è nato dalla mia stessa volontà: lo constato in me e lo arguisco negli altri. Ma ora ammettimi anche tu un'altra verità. A. Cosa dovrei riconoscere? F. Come è vero che ognuno si perde di sua volontà, cosi è anche vero che moltissimi che volontariamente sono caduti niente affatto volontariamente continuano a giacere: cosa che potrei tranquillamente affermare di me stesso. Anzi, credo che mi sia stato dato come punizione il fatto che, non avendo voluto star diritto quando potevo, non riesco a rialzarmi ora che lo vorrei. A. Benché quest'idea non sia affatto quella di un pazzo, tuttavia, visto che riconosci di aver sbagliato sul primo punto, è giocoforza che tu faccia lo stesso circa il secondo. F. « Cadere » e « giacere » sono dunque per te una sola e medesima cosa? A. No, sono diverse. Ma « aver voluto » e « volere », anche se differiscono nel tempo, nella loro essenza e nell'animo di chi vuole sono una cosa sola. F. Vedo con quali corde mi stai legando. Ma chi ha ottenuto la vittoria con l'artificio non è per questo un lottatore piu forte, ma solo piu astuto. A. Stiamo parlando in presenza della Verità, che ama tutto ciò che è semplice e diretto e odia l'astuzia. Perché tu possa rendertene ben conto, procediamo d'ora in poi con la maggior chiarezza possibile. F. Non potrei sentir niente di piu piacevole. Dimmi dunque, dal momento che si è parlato di me: con quale ragionamento
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quod miser sim - id enim me esse non inficior - nune etiam mee voluntatis existere; cum ego contra sentiam nil me perpeti molestius, nil magis aversum proprie voluntati; sed ultra non valeo. A. Modo conventa serventur ostendam aliis tibi verbis uten dum fore. [ 40] F. Quenam conventa memoras, quibus ve ammones utendum verbis? A. Conventa sunt, ut fallaciarum laqueis reiectis circa verita tis studium pura cum simplicitate versemur. Verba vero, qui bus uti te velim, hec sunt: ut ubi (( ultra te non posse » dixisti (( ultra te nolle » fatearis.Ja F. Nunquam erit finis; nunquam enim hoc fatebor. Scio quidem, et tu testis es michi, quotiens volui nec potui; quot lacrimas fudi, nec profuerint.J• A. Lacrimarum tibi testis sum multarum, voluntatis vero minime. F. Proh superum fidem ! hominem enim scire neminem puro, quid ego passus sim, quantumque voluerim, si licuisset, assurgere. A. Sile! prius celum tellusque miscebitur, prius astra conci dent Averno, et amica nunc invicem elementa pugnabunt,40 quam hec que inter nos diiudicat falli queat. F. Quid ais igitur? A . Lacrimas tibi sepe conscientiam extorsisse, sed proposi tum non mutasse. F. Quotiens dixi me ulterius nequivisse? A. Quotiensque respondi, imo verius noluisse? Nec tamen admiror te in his nunc ambagibus41 obvolutum in quibus olim ego ipse iactatus, dum novam vite viam carpere meditarer. Capillum vulsi, frontem percussi42 digitosque contorsi; deni que complosis genua manibus amplexus amarissimis suspiriis celum aurasque compievi'} largisque gemitibus solum omne madefeci. Et tamen hec inter idem ille qui fueram mansi,44 donec alta tandem meditatio omnem miseriam meam ante oculos congessit." ltaque postquam piene volui, ilicet et potui, ·
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mi dimostrerai che la mia infelicità - non contesto infatti d'essere infelice - dura ancora solo perché io lo voglio? Quando io, all'opposto, sento che non c'è niente di peggio da sopportare, niente di piu contrario alla mia volontà, anche se non sono capace di andare oltre. A. Se restiamo ai patti, ti farò vedere che dovresti usare altre parole. F. A quali patti ti richiami, e quali parole mi esorti ad usare? A. Abbiamo convenuto di non intrappolarci nelle reti delle astuzie verbali, e di dedicarci alla ricerca della verità con schietta sincerità d'animo. Le parole che vorrei tu usassi sono queste: là dove hai detto: « non sono capace di andare oltre » di' piuttosto: « non voglio andare oltre ». F. Non la finiremo mai, perché non potrò mai ammettere una cosa simile. So - me ne sei testimone - quante volte ho voluto e non ho potuto, e quante lacrime ho versato, e non sono servite a nulla. A. Sono testimone di molte lacrime, ma non lo sono della volontà. F. In nome di Dio ! Nessuno può immaginare quello che ho sofferto, e quanto avrei voluto risorgere, se mai mi fosse stato possibile. A. Taci! Il cielo e la terra si mescoleranno e le stelle precipi teranno nell'Averno e gli elementi ora concordi repugneranno tra loro, prima che Costei che si erge giudice tra noi possa sbagliare. F. Ma che dici? A. Che il rimorso ti ha fatto spesso piangere, ma non ha cambiato la tua volontà. F. Quante voke ti ho detto che non sono riuscito a fare di piu? A. Quante volte ti ho risposto che invece, piu esattamente, non hai voluto? Tuttavia non mi meraviglio che tu sia ora immerso in quelle incertezze nelle quali un tempo mi sono dibattuto anch'io, quando cercavo di prendere una nuova strada nella vita. Mi sono strappato i capelli, allora, mi sono battuta la fronte, mi sono torto le dita, e infine, strette le ginocchia tra le mani intrecciate, ho riempito il cielo e l'aria di amarissimi sospiri e ho bagnato di lacrime fluenti il suolo tutt'intorno. Eppure, in mezzo a tutto ciò, sono rimasto quello che ero, finché una profonda meditazione non mi ha messo davanti agli occhi tutta la mia infelicità. E come ho pienamente
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miraque et felicissima celeritate transformatus sum in alterum Augustinum,"' cuius historie seriem, ni fallor, ex Confessioni bus meis nosti. F. Novi equidem, illiusque ficus salutifere, cuius hoc sub umbra contigit miraculum, immemor esse non possum." [42] A. Recte quidem; nec enim mirtus ulla nec hedera, denique dilecta, ut aiunt, Phebo laurea, quamvis ad hanc poetarum chorus omnis afficitur tuque ante alios, qui solus etatis tue contextam eius ex frondibus coronam gestare merui sti,'" gratior esse debet animo tuo, tandem aliquando in por tum ex tam multis tempestatibus revertenti:" quam ficus illius recordatio, per quam tibi correctionis et venie spes certa por tenditur. F. Nichil adversor, sed inceptum perage. A. Hoc inceperam, atque hoc prosequor: contigisse tibi hac tenus quod multis, quibus dici potest versus ille Vergilii:
mens immota manet, lacrime volvuntur inanes.'0 Verum ego, etsi multa congerere poteram, unico tamen eoque domestico exemplo contentus fui. F. Consulte; neque enim aut pluribus res egebat aut aliud quodlibet in pectus hoc profundius descendisset; eo presertim quia, licet per maximis intervallis, quanta inter naufragum et portus tuta tenentem," interque felicem et miserum esse so lent, quale quale tamen inter procellas meas fluctuationis tue vestigium recognosco. Ex quo fit ut, quotiens Con/essionum tuarum libros lego, inter duos contrarios affectus, spem videli cet et metum, letis non sine lacrimis interdum legere me arbitrer non alienam sed propriam mee peregrinationis histo riam.52 Deinceps autem, quoniam omne studium contentionis abieci, ut libuerit perge. Sequi enim, non obstare disposui. A . Haud hoc postulo. Sicut enim quod doctissimus quidam ait:
Nimium altercando veritas amittitur/) sic ad verum multos sepe perducit modesta contentio. Neque igitur, qui pigrioris et torpentis ingenii mos est, passim amni bus acquievisse conveniet, nec rursus comperte veritati studio sius obluctari, quod clarum litigiose mentis inditium est. F. lntelligo et laudo et consilio utar. Perge modo.
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voluto, subito ho potuto, e con miracolosa e felicissima rapidità mi sono trasformato in un altro Agostino, la vicenda del quale, se non sbaglio, tu conosci dalle sue Confessioni. F. Certo che la conosco, e non posso dimenticarmi di quel fico salutifero all'ombra del quale il miracolo è avvenuto. A. Giustamente, perché non il mirto, non l'edera e neppure l'alloro, amato, come dicono, da Apollo - benché attorno ad esso si stringa l'intero coro dei poeti e tu per primo, che unico della tua epoc� hai meritato di portare la corona intrecciata delle sue fronde - devono essere piu cari al tuo cuore, se finalmente sarai tornato in porto dopo tante tempeste, di quanto lo sia il ricordo di quel fico, attraverso il quale ti si offre un sicuro pegno di correzione e di perdono. F. Non ho niente da opporre: continua quello che avevi cominciato. A. Avevo cominciato e continuo: ti è capitata la stessa cosa di tutti quelli ai quali si potrebbe rivolgere il verso di Virgilio : « l'animo resta immutato, le lacrime scorrono vane ». In verità avrei potuto raccogliere molti altri esempi, ma mi sono accon tentato di quest'unico, che ti è familiare. F. Hai fatto bene. Non ne accorrevano di piu, e nessun altro mi sarebbe sceso nel cuore piu profondamente di questo, soprattutto perché mi par di riconoscere nelle mie tempeste un certo qual ricordo dei tuoi ondeggiamenti, sia pure con tutta la differenza che può correre tra il naufrago e chi ha raggiunto la sicurezza del porto, tra chi è felice e chi è infelice. Ne deriva che ogni volta che leggo i libri delle tue Confessioni, preso tra due contrastanti sentimenti di speranza e di timore, piangendo lacrime di dokezza, ho a tratti l'impressione di leggere non la storia d'altri ma quella del mio proprio peregrinare. D'ora innanzi, dunque, poiché ho smesso ogni intenzione polemica, continua come ti piace. Mi sono proposto di seguirti, non di ostacolarti. A. Non chiedo tanto. È vero che un dottissimo scrittore ha detto che « discutendo troppo la verità si perde », ma una moderata polemica spesso aiuta molti a raggiungere la verità. Non bisogna starsene troppo acquiescenti ad ogni cosa, perché ciò è tipico degli spiriti pigri e ottusi, ma non bisogna neppure contrastare con accanimento una verità acquisita, perché ciò è prova evidente di una mentalità litigiosa. F. Capisco e approvo, e userò il tuo consiglio. Ora continua.
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Recognoscis ne igitur veram illam fuisse sententiam gran devumque progressum, ut miseriarum suarum perfecta cogni tio [44] perfectum desiderium pariat assurgendi? Desiderium potentia consequitur. F. lam in animum induxi nichil tibi non credere. A . Sentio aliquid etiam nunc restare quod vellicet. Fare, age, quicquid id est. F. Nichil aliud nisi quod ipse mecum obstupeo, noluisse hactenus quod semper voluisse credideram. A. Adhuc hesitas; atqui, ut bis iantandem sermonibus finis sit, fateor et ipse te voluisse nonnunquam. F. Quid ergo dixisti? A. An non succurrit illud Ovidii:
velle parum est; cupias, ut re potiaris, oportet?'' F. lntelligo, sed et desiderasse putabam. A. Fallebaris. F. Credo. A. Ut certius credas conscientiam ipse tuam consule. llia
optima virtutis interpres, illa infallibilis et verax est operum cogitationumque pensatrix." Illa tibi dicet nunquam te ad salutem qua decuit aspirasse, sed tepidius remissiusque guam periculorum tantorum consideratio requirebat. F. Cepi, guam iubes, conscientiam excutere. A. Quid illic invenis? F. Vera esse que dicis. A. Profecimus aliquantulum; en incipis expergisci. lam me lius tibi erit si, guam male olim erat, agnoveris. F. Si hoc vel nosse satis est, non tantum bene, sed optime, michi propediem esse posse confido. Nichil enim unquam clarius intellexi guam nunquam me satis ardenter optasse li bertatem et miseriarum finem. Nunquid autem post hac optas se sufficiet? A. Quid ni? F. Ut nil amplius agam. A. lmpossibilem proponis conditionem: ut, qui quod assequi potest ardenter cupit, obdormiat.
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Riconosci dunque che quella sentenza era vera, e che era un risultato raggiunto da tempo che la perfetta consape volezza della propria infelicità produce un altrettanto perfet to desiderio di risorgere? Ebbene, al desiderio segue la forza di farlo. F. Ormai ho deciso di crederti in tutto. A. Sento tuttavia che c'è ancora qualcosa che non ti soddisfa. Quale che sia, dimmela, su. F. Nient'altro, se non che non riesco a capacitarmi di non avere sin qui voluto quello che ho sempre creduto di volere. A. Esiti ancora ! Bene, per farla finita con questi discorsi ammetto anch'io che tu, qualche volta, hai voluto. F. Che intendevi, allora? A. Non ricordi quel verso di Ovidio: « volere è poco, occorre bramare per raggiungere lo scopo » ? F. Capisco: ma ero appunto convinto di aver bramato. A. T'ingannavi. F. Ci credo. A. Per crederci meglio consulta la tua coscienza. È lei la migliore interprete della virtu, l'infallibile e verace valutatrice delle azioni e dei pensieri. Ti dirà che non hai mai aspirato alla salvezza nel modo che era necessario, ma con meno ardore e voglia di quello che richiedeva la consapevolezza di cosi gravi pericoli. F. Sto cominciando a interrogare la mia coscienza, come mi stai dicendo di fare. A. E che trovi? F. Che quello che dici è vero. A. Abbiamo fatto qualche progresso: ecco che cominci a svegliarti! Riconoscere quanto stavi male è già un migliora mento. F. Se basta rendersi conto di questo, sono sicuro che tra poco starò non bene ma benissimo. Non c'è nulla piu di questo ch'io abbia capito con maggiore chiarezza: che non ho mai desiderato la liberazione e la fine delle mie miserie con sufficiente ardore. Ma, dopo di ciò, basterà forse desiderare? A. A che scopo? F. Per non dover fare poi nient'altro. A. Proponi una condizione impossibile: che chi desidera ardentemente qualcosa che è in grado di ottenere se ne stia inerte.
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Quid igitur ipsum optare profuerit? Nempe per medias difficultates iter pandet. Ad hoc ipsum per se virtutis desiderium pars est magna virtutis.56 [46] F. Magne michi spei materiam prebuisti. A. ldcirco te alloquor ut et sperare doceam et timere. F. Timere quonam modo? A . Imo vero qualiter sperare? F. Quia, cum hactenus non mediocre studium gesserim ne pessimus forem, tu michi viam aperis qua optimus fiam. A . At quam id iter laboriosum 57 sit, fortasse non cogitas. F. Quid novi terroris ingeminas, quid ve tam laboriosum di cis? A. Quia hoc ipsum « optare » verbum unum est, sed quod innumerabilibus consistat ex rebus. F. Terrificas. A. Atqui, ut ea sileam, ex quibus desiderium istud constat, quam multa sunt ex quorum eversione conficitur! F. Quid dicere velis non intelligo. A. Nulli potest desiderium hoc absolute contingere nisi qui omnibus aliis desideriis finem fecit. lam intelligis quam multa et varia sunt que optantur in vita, que prius omnia nichili pendenda sunt, ut sic ad concupiscentiain summe felicitatis ascendas, quam profecto minus amat qui secum aliquid amat, quod non propter ipsam amat. F. Agnosco sententiam.'" A. Quotus ergo fuerit qui omnes cupiditates extinxerit quas ne dicam extinguere sed vel enumerare longum sit; qui animo suo frenum rationis" admoverit; qui dicere audeat: « nil michi iam comune cum corpore; que videntur cunta sordescunt; ad feliciora suspiro » ? ',o F. Rarissimum genus hominum; et nunc difficultatem, quam comminabaris, intelligo. A. His nempe cessantibus, desiderium illud plenum expedi tumque non erit; necesse est enim ut, quantum animus ad celum propria nobilitare subvehitur, tanto mole corporea et
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F. Allora, a che sarà servito il puro e semplice desiderare? A. Ti aprirà la strada in mezzo alle difficoltà. Inoltre, l'aspira
zione alla virtu è di per sé gran parte della virtu. F. Mi hai dato motivo di gran speranza. A. È per questo che ti parlo, per insegnarti a sperare e a temere. F. In che senso temere? A. Come sperare, piuttosto? F. Perché tu mi apri la via perch'io diventi ottimo, mentre sin qm mi sono ingegnato con discreta fatica per non essere pessimo. A. Ma forse non consideri quanto sia faticoso questo cam mino. F. Quali nuove paure vai moltiplicando? Perché lo dici tanto faticoso? A. Perché questo desiderare non è che una parola, la quale implica moltissime cose. F. Mi spaventi. A. Eppure, per tacere di ciò che costituisce positivamente questo desiderio, quante sono le cose che deve distruggere per crescere ! F. Non capisco che vuoi dire. A. Questo desiderio non può vivere pienamente se non in chi abbia messo fine a tutti gli altri desideri. Capisci già quante e quanto varie siano le cose che si desiderano nella vita, e tutte queste devono essere preventivamente disprezzate se vuoi rag giungere il pieno desiderio della felicità suprema: e questa, meno l'ama chi l'ama insieme a qualche altra cosa, perché non l'ama per se stessa. F. Riconosco questa sentenza. A. Quanto saranno dunque rari quelli che saranno riusciti a spegnere tutti quei cattivi desideri: che non dico a spegnerli, ma pur solo a numerarli sarebbe lungo ! E quelli che avranno messo il loro cuore sotto il freno della ragione ! E quelli che potranno dire: « non ho piu niente da spartire con il corpo, ciò che si vede è solo marciume: aspiro a cose piu belle » ! F. Questo tipo d'uomini è rarissimo, e ora intendo bene la difficoltà che mi agitavi davanti. A. Naturalmente non basta che quegli appetiti siano elimina ti perché il desiderio sia pieno e libero. E fatale, infatti, che l'animo quanto piu si eleva al cielo per la sua propria nobiltà, tanto piu sia gravato dal peso del corpo e dalle lusinghe
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terrenis pregravetur illecebris; 61 ita, dum et ascendere et in imis permanere cupitis, neutrum impletis in alterna distracti.62 F. Quid igitur censes esse faciendum, ut integer animus,63 discussis terre compedibus, tollatur ad supera? A. Ad hunc terminum profecto meditatio illa perducit, quam [48] primo loco nominaveram, cum mortalitatis vestre recor datione continua. F. Nisi et hic fallor, nullus hominum crebrius in has revolvi tur curas. A. Nova lis laborque alius. F. Quid ergo? etiam ne hoc mentior? A. Urbanius loqui velim. F. Hanc tamen sententiam. A. Certe non aliam. F. Ergo ego de morte non cogito? A. Ferraro quidem, idque tam segniter, ut in imum calamita tis tue fundum 64 cogitatio ipsa non penetret. F. Contra credideram. A. Non quid credideris, sed quid credere debueris attendo. F. Nunquam post hac me michi crediturum scito, si et hoc falso credidisse monstraveris. A. Monstrabo perfacile, modo bona fide verum confiteri in animum inducas. Utar in hac re teste etiam non longinquo. F. Quonam, queso? A. Conscientia tua.65 F. Illa contrarium dicit. A. Ubi confusa preit interrogatio, certum respondentis testi monium esse vix potest. F. Quid ad rem? . A. Multum sane; quod ut dare pervideas, adverte. Nemo tam demens est, nisi sit idem prorsus insanus, cui non inter dum conditio proprie fragilitatis occurrat; qui non, si interro getur, respondeat se esse mortalem 66 et caducum habitare corpusculum. Id enim et membrorum dolor et febrium tenta menta testantur,67 a quibus prorsus immunem vitam degere quenam Dei unquam indulgentia prestabit? Adde, quod et ex funeribus amicorum, que assidue preter oculos vestros eunt,68
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terrene: cosi, mentre ora volete salire e ora volete restare in basso, tirati di qua e di là non riuscite a fare né una cosa né l'altra. F. Allora, cosa pensi che si debba fare perché l'animo, scosse le catene terrene, si innalzi integro alle cose superiori? A. A questa meta porta senza dubbio quella meditazione che ho ricordato sin da principio, il pensiero continuo che dovrete morire. F. Se di nuovo non mi sbaglio, nessuno si lascia catturare piu di me da tali pensieri. A. Nuova questione, e altra fatica ! F. Che? Sto di nuovo mentendo? A. Vorrei dirtelo piu gentilmente. F. Ma è pur questo il tuo giudizio. A. Non è certo diverso. F. Dunque, io non penserei alla morte? A. Assai raramente, davvero, e in maniera cosi superficiale che questo pensiero non penetra nell'intimità piu profonda della tua miseria. F. Pensavo il contrario. A. Non mi preoccupo di quello che credevi, ma di quello che avresti dovuto credere. F. Se tu mi dimostrerai che anche in questo caso ero convinto del falso, sappi che non crederò mai piu a me stesso. A. Te lo dimostrerò molto facilmente, se ti indurrai a confes sare lealmente il vero. Al proposito userò anche d'un testimo ne che non è lontano. F. Quale, di grazia? A. La Jua coscienza. F. Quella dice il contrario. A. A un interrogatorio confuso difficilmente può seguire una testimonianza sicura da parte di chi deve rispondere. F. Che c'entra? A . Molto, e seguimi attentamente se vuoi rendertene chiara mente conto. Nessuno è cosi stupido - e se lo fosse sarebbe allora completamente pazzo - da non prospettarsi ogni tanto lo stato della propria fragilità; che, interrogato, non risponda di essere mortale e di abitare un corpo destinato a perdersi. Ne fanno fede i dolori delle membra e gli assalti delle febbri - e quale misericordia divina ci concederà mai di trascorrere una vita che ne sia completamente immune? Aggiungi che i funera li degli amici che di continuo avete sotto gli occhi incutono
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spectantium animis terror incutitur; quia, dum equevum quis que comitatur ad sepulcrum, necesse est ipse etiam ad alieni casus precipitium contremiscat, et de se incipiat esse solicitus. Sicut, ubi flagrantia vicinorum tecta conspexeris, de tuis secu rus esse non potes, quoniam, ut ait Flaccus, [50]
ad te post paulum ventura pericula cernis.69 Eo autem vehementius movebitur, qui iuniorem, qui validio rem formosioremque videat repentina morte subtractum.70 Se se enim circumspiciet et dicet: - Securius hic habitare videba tur, et tamen eiectus est, nec etas profuit, nec forma, nec robur.7 1 Michi securitatem quis spopondit? Deus ne, magus ne? mortalis sum profecto! - Quodsi hoc idem imperatoribus regibusque terrarum, si egregiis formidatisque personis evene rit, multo etiam acrius concutientur astantes, quoniam quem ve! alias sternere solitum norant, subito videant, ve! paucarum fortassis horarum anxietate prostratum. Unde enim nisi ex hoc fonte procedunt illa, que in mortibus summorum hominum stupentes faciunt populi, qualia multa, ut te tantisper ad histo rias revocem, in funere I ulii Cesaris meministi? " Hoc est illud comune spectaculum quod mortalium oculos et corda per stringit, fatique sui memoriam ingerit aliena cernentibus. Acce dit belluarum furor atque hominum, rabiesque bellorum; acce dunt et magnarum edium ruine, quas bene quidam ait olim tutelam hominum fuisse, nunc esse periculum. Accedunt sini stro sidere motus aerei, et celi pestilentis afflatus, et tot terre marisque discrimina; 73 quibus undique circumsepti non pote stis oculos advertere, ubi non eis occurrat proprie mortalitatis effigies. 7' F. Indulge, queso: amplius expectare non possum. Nichil enim ad confirmandam rationem meam dici reor efficacius, guam tu multa dixisti: egoque ipse inter audiendum mirabar quid tua vellet oratio aut ubi desineret. A. Nondum quippe desierat cum tu eam precidisti. Hec enim conclusio restabat: quanquam multa vellicantia circum stent (nichil tamen ad interiora penetrare duratis longa consue tudine7' pectoribus miserorum, vetustoque velut callo salutife ris ammonitionibus resistente) 76 paucos invenies sat profunde cogitantes esse sibi necessario moriendum.
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terrore in chi li guarda, perché è inevitabile che chi accompa gna un coetaneo al sepolcro tremi davanti al precipizio in cui un altro è caduto, e cominci ad essere angosciato per se stesso_ Allo stesso modo, non puoi essere sicuro dei tuoi quando hai visto bruciare i tetti dei vicini, perché, come dice Orazio: « scorgi i pericoli che stanno per venire addosso anche a te » . E si commuoverà dunque di piu chi vedrà uno piu giovane, piu sano e piu bello essere rapito da una morte improwisa. Si guarderà attorno e dirà: « Pareva che stesse tanto sicuro qui tra noi e ne è stato cacciato, e non gli ha giovato né l'età né la bellezza né la forza. A me, chi ha dato qualche garanzia? Dio? Un mago? È vero, sono mortale! ». Se poi ciò accade agli imperatori e ai re della terra, a persone illustri e temute, gli astanti ne saranno colpiti con molta piu forza, perché vedran no abbattuto all'improwiso, o forse dopo poche ore d'ango scia, chi sapevano awezzo ad abbattere gli altri. Da dove, se non da qui, muovono gli atti che la popolazione attonita commette in occasione della morte di uomini sommi, come tutti quelli per richiamarti un po' alla storia - che anche tu ricordi, durante il funerale di Giulio Cesare? Questo è il comune spettacolo che stringe a sé gli occhi e i cuori degli uomini e che suscita il ricordo del proprio destino in chi contempla quello degli altri. Aggiungi la furia delle belve e degli uomini e la ferocia delle guerre; aggiungi la rovina dei grandi palazzi, che giustamente qualcuno ha detto esser stati una volta riparo per gli uomini, e ora invece motivo di pericolo. Aggiungi l'aria mossa da stelle maligne e gli influssi pestilenziali del cielo e tutti i pericoli della terra e del mare: accerchiati da tutto ciò, non potete volgere gli occhi che non vi venga incontro l'imma gine della morte che vi è destinata. F. Fermati, ti prego. Non riesco ad aspettare. Non credo si possa dire niente di piu efficace per confermare la mia opinio ne delle molte cose che proprio tu hai detto. E perciò, mentre ti stavo ascoltando, mi chiedevo meravigliato che significasse il tuo discorso e dove andasse a parare. A. Me l'hai interrotto quando non avevo ancora finito. Mi restava da concludere che ne troverai pochi che riflettano con una certa intensità al fatto che dovranno necessariamente mo rire, benché molte cose attorno ve lo suggeriscano continua mente: niente tuttavia che penetri nell'intimo, perché il cuore degli infelici è indurito dalla lunga abitudine, quasi un vecchio callo impermeabile alle esortazioni di salvezza.
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Paucis ergo diffinitio hominis 77 nota est, que tamen omni bus in scolis tam crebro repetitur, ut nedum auditorum aures fatigasse, sed ipsas edificiorum columnas iampridem immi nuisse debuerit? [52] A. lsta quidem dyaleticorum garrulitas 78 nullum finem habitura, et diffinitionum huiuscemodi compendiis scatet et immortalium litigiorum materia gloriatur: plerunque autem, quid ipsum vere sit quod loquuntur, ignorant. ltaque siquem ex eo grege de diffinitione non tantum hominis sed rei alterius interroges, parata responsio est; si ultra progrediate, silentium fiet, aut, si assiduitas disserendi verborum copiam audaciam que pepererit, mores tamen loquentis ostendent veram sibi rei diffinite notitiam non adesse.79 Contra hoc tam fastidiose negli gens tamque supervacuo curiosum genus hominum 80 iuvat invehi: - Quid semper frustra laboratis,81 ah miseri et inani bus tendiculis exercetis ingenium? Quid, obliti rerum, inter verba senescitis, atque inter pueriles ineptias albicantibus co mis et rugosa fronte versamini?82 Vobis utinam solis vestra noceret insania, et non nobilissima sepe adolescentium ingenia corrupisset ! 83 F. Contra id, fateor, studiorum monstrum nichil satis morda citer dici potest. Tu tamen interea, dicendi studio evectus, quod de diffinitione hominis inceperas omisisti. A. Abunde dictum rebar, sed agam expressius. Hominem quidem esse animai, imo vero animalium principem cuntorum, nemo tam durus pastor invenietur ut nesciat; nemo rursus, si interrogetur, aut rationale animai aut mortale negaverit.84 F. lta omnibus diffinitio nota est. A. Imo vero perpaucis. F. Quid ergo? A. Siquem videris adeo ratione pollentem ut secundum eam vitam suam instituerit, ut sibi soli subiecerit appetitus, ut illius freno motus animi coherceat, ut intelligat se se per illam tantum a brutorum animantium feritate distingui, nec nisi quatenus ratione degit nomen hoc ipsum hominis mereri; 8' adeo preterea mortalitatis sue conscium, ut eam cotidie ante oculos habeat, per eam se ipsum temperet, et hec peritura
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Pochi dunque conoscono quella defmizione dell'uomo che pur tuttavia si va ripetendo cosi spesso in ogni scuola, si che non solo dovrebbe aver stancato le orecchie degli studenti, ma pure corroso da tempo persino le colonne degli edifici? A . Questa garrulità dei dialettici che non avrà mai fine so vrabbonda di tali compendiose definizioni e si gloria di offrire materia a dispute eterne: ma per lo piu essi non sanno che sia veramente ciò di cui parlano. Perciò, se ti capita di interrogare qualcuno di quel branco sulla definizione non solo dell'uomo ma di qualsiasi altra cosa, la risposta è pronta: se vuoi andar oltre, è silenzio. Oppure, se l'abitudine alla chiacchiera l'avesse magari dotato di parlantina e di impudenza, i suoi modi tutta via ti mostrerebbero che costui non ha alcuna vera conoscenza di ciò che ha definito. Contro una simile genia di uomini cosi fastidiosamente superficiali e inutilmente petulanti è giusto gridare: >. Se ho potuto dirlo allora, che dirò adesso che ho accumulato esperienza ed età? Tutto quello che vedo, tutto quello che ascolto, tutto quello che sento, tutto quello che penso lo riduco in quel solo punto. Perciò, se i miei pensieri non mi ingannano, resta, di là da tutto, ancora quella domanda: cosa mi trattiene? A. Ringrazia umilmente Iddio che si degna di tenerti a freno con redini tanto salutari e di stimolarti con sproni tanto pun genti. È quasi impossibile che chi ha una cosi quotidiana e pressante dimestichezza con il pensiero della morte sia poi destinato alla morte eterna. Ma poiché senti, a ragione, che c'è ancora qualcosa che ti ostacola, cercherò di chiarire di che si tratti, si che, dopo averlo rimosso con l'aiuto di Dio, tu possa essere all'altezza dei tuoi pensieri e sottratti al vecchio giogo della schiavitu dal quale sei ancora oppresso. F. Volesse il cielo che tu ci riesca, ed io mi scoprissi degno di una cosi grande responsabilità! A. Lo sarai se vorrai: non è impossibile. Ma nelle azioni umane si intrecciano due elementi, e se ne manca uno dei due ogni risultato ne riesce compromesso. La volontà sia dunque vigile e tanto veemente da meritare di chiamarsi desiderio. F. Sarà cosi. A. Sai cos'è che ostacola la tua meditazione?
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Hoc est quod peto, hoc est quod tantopere scire desidero. Audi ergo. Animam quidem tuam, sicut celitus bene insti tutam esse non negaverim, sic ex contagio corporis huius, ubi circumsepta est, multum a primeva nobilitate sua degeneras se 13" ne dubites; nec degenerasse duntaxat, sed longo iam tractu temporis obtorpuisse, factam velut proprie originis ac superni Conditoris immemorem. Nempe passiones ex corpo rea commistione subortas oblivionemque nature melioris, divi nitus videtur attigisse Virgilius, ubi ait:
Igneus est illis vigor et celestis origo seminibus, quantum non noxia corpora tardant terrenique hebetant artus, moribundaque membra. Hinc metuunt cupiuntque dolent gaudentque, neque auras respiàunt, clause tenebris et carcere ceco.139 Discernis ne in verbis poeticis quadriceps illud monstrum nature hominum tam adversum? F. Discerno clarissime quadripartitam animi passionem, que primum quidem, ex presentis futurique temporis respectu, in duas scinditur partes; rursus quelibet in duas alias, ex boni malique opinione, subdistinguitur; ita quattuor velut flatibus aversis humanarum mentium tranquillitas perit. 140 A. Rite discernis, atqui verificatum est in vobis illud apostoli curo: « Corpus, quod corrumpitur, aggravat animam, et depri mit terrena inhabitatio sensum multa cogitantem ». 141 Conglo bantur siquidem species innumere et imagines rerum visibi lium, que corporeis introgresse sensibus, postquam singulariter admisse sunt, catervatim in anime penetralibus densantur; eamque, nec ad id genitam nec tam multorum difformiumque capacem, pregravant atque confundunt. Hinc pestis illa fantasmatum vestros discerpens laceransque cogita tus, meditationibusque clarificis, quibus [66] ad unum solum summumque lumen ascenditur, iter obstruens varietate morti fera.w F. Huius quidem pestis, cum sepe alias, tum in libro De vera religione, cui nichil constat esse repugnantius, preclarissime meministi. 1'3 In quem librum nuper incidi, a philosophorum et poetarum lectione digrediens, itaque cupidissime perlegi: 144 haud aliter guam qui videndi studio peregrinatur a patria, ubi
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F. È quello che chiedo, quello che in ogni modo voglio sapere. A. Allora ascolta: come io non nego che la tua anima sia stata ben formata in cielo, cosi tu convinciti che è molto degradata rispetto alla sua nobiltà originaria, in seguito al contagio di questo corpo del quale è rivestita. Né è solo degradata, ma da tanto tempo ormai si è intorpidita ed è diventata quasi imme more della propria origine e del suo superno creatore. Pare quasi che un'ispirazione divina abbia permesso a Virgilio di cogliere perfettamente come le passioni nascano dalla commi stione con il corpo, e ci si dimentichi cosi della parte piu nobile della nostra natura, là dove dice: « C'è in queste scintille il fuoco della loro origine celeste, finché non sono gravate dalla perniciosa corporeità e ottuse dagli organi terreni, da membra destinate a morire. Onde temono e bramano, soffrono e godo no, né sanno piu guardare il cielo, chiuse nel buio del loro cieco carcere ». Non vedi in queste espressioni poetiche quel mostro a quattro teste tanto nemico della natura umana? F. Vedo come la passione dell'animo sia divisa assai chiara mente in quattro, dopo essersi a tutta prima divisa in due parti, secondo il presente e il futuro, ed essersi queste a loro volta divise in altre due, secondo il concetto del bene e del male. Cosi, travolta quasi da quattro turbini contrari, la serenità d'animo dell'uomo muore. A. Vedi giusto, e cosi trovano conferma in voi quelle parole dell'Apostolo: « II corpo che si corrompe appesantisce l'anima; e la dimora sulla terra deprime Io spirito che tende a molte cose ». Si accumulano, infatti, innumerevoli parvenze e imma gini di cose visibili, le quali entrano attraverso i sensi del corpo e dopo essere state fatte passare una per una si addensano in massa nei penetrali dell'anima e la appesantiscono e la intorbi dano, non essendo essa a ciò creata, né capace di contenerne tante e tanto difformi. Deriva di qui la peste dei fantasmi che rompono e stracciano i vostri pensieri, e con la loro mortifera mutevolezza chiudono la strada a quelle illuminanti meditazio ni con le quali si sale all'unico e sommo bene. F. Di questo pestilenziale malanno tu hai parlato benissimo nel libro De vera religione, e piu volte altrove, come di cosa che piu di ogni altra è contraria alla religione stessa. Mi sono imbattuto recentemente in questo libro, mentre stavo abban donando la lettura dei filosofi e dei poeti, e l'ho dunque letto con avidità: come quello che si mette in viaggio fuori della sua
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ignotum famose cuiuspiam urbis limen ingreditur, nova captus locorum dulcedine passimque subsistens, obvia queque cir cumspicit. 145 A. Atqui licet aliter sonantibus verbis secundum catholice veritatis preceptorem decuit, 146 reperies libri illius magna ex parte philosophicam precipueque platonicam ac socraticam 1 47 fuisse doctrinam. Et nequid tibi subtraham, scito me, ut opus illud inciperem, unum maxime Ciceronis tui verbum induxis se. Affuit Deus incepto, ut ex paucis seminibus messis opima consurgeret. 148 Sed ad propositum revertamur. F. Ut libet, pater optime. Ante tamen unum oro: ne michi abscondas verbum illud, quod tam preclaro operi, ut ais, prebuit materiam. A. Cicero siquidem in quodam loco, iam tunc errores tempo rum perosus, sic ait: « Nichil animo videre poterant, ad oculos omnia referebant; magni autem est ingenii revocare mentem a sensibus et cogitationem a consuetudine abducere ». 1 49 Hec ille. Ego autem hoc velut fundamentum nactus, desuper id quod tibi placuisse dicis opus extruxi. F. Teneo Iocum: in Tusculano est; te autem hoc Ciceronis dieta et illic et alibi in operibus tuis delectari solitum animad verti; nec immerito; est enim ex eorum genere, quibus cum veritate permixtus !epos ac maiestas inest. 1 50 Tu vero iantan dem, ut videtur, ad propositum redi. A. Hec tibi pestis nocuit; hec te, nisi provideas, perditum ire festinat. Siquidem fantasmatibus suis obrutus, mu!tisque et variis ac secum sine pace pugnantibus curis animus fragilis oppressus, 151 cui primum occurrat, quam nutriat, guam peri mat, quam repellat, examinare non potest; vigorque eius omnis ac tempus, [68] parca quod tribuit manus,152 ad tam multa non sufficit. Quod igitur evenire solet in angusto multa serentibus, ut impediant se sata concursu, 1 51 idem tibi contingit, ut in animo nimis occupato nil utile radices agat, nichilque fructife rum coalescat; tuque inops consilii modo huc modo illuc mira fluctuatione volvaris, nusquam integer; nusquam totus.154 Hinc
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patria per desiderio di conoscere, e quando passa le pone mai viste di una qualche famosa città, catturato dal fascino nuovo dei luoghi, guarda con attenzione ciò che gli si para davanti, femandosi continuamente sui suoi passi. A. Eppure, anche se con parole di tono diverso, come conve niva a chi si faceva maestro della verità cattolica, troverai che la dottrina di quel libro è in gran pane di tipo filosofico, e specialmente platonica e socratica. E per non nascondeni niente, sappi che fu una sola parola del tuo Cicerone che soprattutto mi spinse a cominciare quell'opera. Dio aiutò il mio tentativo, si che da pochi semi nacque una ricca messe. Ma torniamo al proposito. F. Come vuoi, padre carissimo. Ma ti chiedo, prima, una sola cosa: non mi tenere nascosta quella parola che - come dicevi - ti ha dato lo spunto per un'opera cosi splendida. A. Ebbene, Cicerone, che già allora detestava gli errori del suo tempo, dice a un ceno punto: « Non riuscivano a vedere nulla con l'animo e ogni cosa la riferivano agli occhi: quando invece è nel carattere di un alto ingegno ritrarre la mente dai sensi e staccare il pensiero dalla pratica comune ». Cosi Cicero ne. E io ho preso le sue parole come il fondamento sul quale erigere l'opera che t'è piaciuta, a quanto dici. F. Conosco quel passo, è nelle Tusculanae: e mi sono anche accorto che nelle tue opere, in questa e altrove, sei tornato spesso con piacere a quel detto di Cicerone. Giustamente, del resto, perché è di quelli che sanno unire la verità del contenuto con il garbo e la nobiltà dell'espressione. Ma torna, se credi, al tuo proposito. A. È quella peste dei fantasmi che ti ha fatto male: è quella che si accanisce a rovinani, se non ci metti rimedio. Il tuo animo fragile, infatti, invaso dalle sue ossessive visioni e trava gliato da turbamenti di vario genere che tra loro combattono senza sosta, non riesce piu a determinare a quale deve badare per primo, quale coltivare, quale spegnere, quale scacciare, e tutta la sua energia e tutto il tempo che una mano avara gli concede non bastano a tanto. A te càpita la stessa cosa che di solito succede a quelli che seminano troppo fittamente in poco spazio: che le pianticelle si danneggiano una con l'altra, tanto sono strette. Cosi, nel tuo animo troppo occupato non mette radici niente di utile, non attecchisce niente di fruttifero. E tu, privo di ogni discernimento, oscillando in modo abnorme, sei trascinato di qua e di là, mai pienamente in nessun luogo, mai
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est ut quotiens ad hanc cogitationem martis aliasque, per quas iri possit ad vitam, generosus, si sinatur, animus accessit, inque altum naturali descendit acumine, 155 stare ibi non valens, turba curarum variarum pellente, resiliat. Ex quo fit ut tam salutare propositum nimia mobilitate fatiscat, oriturque illa intestina discordia de qua multa iam diximus, 156 illaque anime sibi irascentis anxietas, dum horret sordes suas ipsa nec diluit, vias tortuosas agnoscit nec deserit, impendensque periculum me tuit nec declinat. 'n F. Heu mi misero! Nunc profunde manum in vulnus adegi sti. lstic dolor meus inhabitat, istinc mortem metuo. A. Bene habet ! torpor ''" abscessit. Sed quoniam iam satis hodiernum colloquium absque intermissione protulimus, reli quis, si placet, in diem proximum dilatis, nunc aliquantisper in silentio respiremus. F. Peroportuna duo quidem languori meo: quies et silen tium.
Explicit liber primus.
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tutto intero. Per questo, ogni volta che il tuo animo generoso riesce ad arrivare alla meditazione della morte e a tutte quelle riflessioni che possono portare alla vera vita, e con la sua naturale acutezza riesce a toccare il fondo, allora, non essendo capace di restarci, respinto com'è dal coacervo dei suoi con traddittori turbamenti, torna indietro. Onde avviene che quel proposito cosi salutare avvizzisce per eccesso di volubilità, e ne nasce quell'intimo dissidio del quale abbiamo già tanto parla to, e quel rovello dell'anima scontenta di sé, che ha orrore delle sue macchie e non le lava; conosce la tortuosità della strada e non l'abbandona; teme il pericolo incombente e non lo scansa. F. Ah me infelice! Ora hai cacciato la mano ben dentro la piaga. È li il mio tormento, e di li temo la morte. A. Bene! È sparito il tuo torpore! Ma oggi abbiamo parlato abbastanza, e senza soste. Se sei d'accordo, rimandiamo a domani il resto, e adesso riposiamoci un po' in silenzio. F. Quiete e silenzio: per la mia stanchezza, sono le due cose migliori.
Finisce il primo libro.
LIBER INCIPIT SECUNDUS [68] A. Satis ne feriati sumus? 1 F. Ut libet guidem. A . Quid tibi n une animi est guantum ve fidutie? Prefert enim non leve salutis indicium spes languentis.2 F. Quid de me sperem non habeo: spes mea Deus est.3 A. Sapienter. Nunc ad rem redeo. Multa te obsident, multa . circu mstrepunt, tugue ipse guot adhuc aut guam validis hosti bus circumsidearis ignoras. Quod igitur evenire solet ' conden sam pro[70]cul aciem cementi, ut contemptus paucitatis ho stium fallat; guo vero propius accesserint, guogue distinctius subiecte oculis cohortes effulxerint, prestringente oculos ful gore, metus crescat et minus debito timuisse peniteat, idem tibi eventurum reor. Ubi ante oculos tuos hinc illinc prementia tegue circumvallantia, mala coniecero, pudebit te minus do luisse minus ve metuisse guam decuit, parciusgue miraberis animum, tam multis obsessum, per medios hostium cuneos erumpere neguivisse. Videbis profecto cogitatio illa salubris,' ad guam te nitor attollere, guot adversantibus cogitationibus vieta sit. F. Perhorresco graviter; guoniam si periculum meum ma gnum semper agnovi tugue illud tanto super extimationem meam esse ais ut respectu eius quod timere debui nil pene timuerim, guid iam spei religuum est? A. Ultimum malorum omnium desperatio est, ad guam nemo unguam nisi ante tempus accessit; ideogue hoc in primis scias velim : nichil esse desperandum." F. Sciebam, sed memoriam terror abstulerat .' A. N une ad me oculos animumgue converte, et ut familiaris simi tibi vatis verbo utar:
aspice qui coeant populr� que menta clausis ferrum acuant portis in te excidiumque tuorum." Vide guos tibi mundus lagueos tendit! guot inanes spes 10 circumvolant, guot supervacue premunt cure. Primum gui dem, ut inde initium faciam unde ab initio creaturarum om-
COMINCIA IL SECONDO LIBRO
A. Ci siamo riposati abbastanza? F. Quello che vuoi tu, va bene. A. Quanto coraggio, quanta fiducia hai? Perché la speranza,
in chi sta male, è già buon segno di guarigione. Non c'è nulla in me che mi faccia sperare. La mia speranza è Dio. A. Giustamente. E ora torno al punto. Molti mali ti assedia no, molti si accalcano rumorosi attorno a te, e tu però non sai ancora da quanti e quanto potenti nemici sei circondato. Sono convinto che ti capiterà la stessa cosa che di solito succede a chi guarda da lontano un compatto esercito di nemici e s'in ganna, sottovalutandone il numero: ma gli cresce poi la paura e si pente di essersi preoccupato meno del dovuto quando si fanno piu vicini e comincia a distinguere chiaramente, sotto i suoi occhi abbagliati da tanto scintillio, le loro schiere, una per una. Quando anch'io ti avrò messo davanti agli occhi tutti i mali che ti premono e ti circondano da ogni pane, ti vergogne rai di averli detestati e temuti meno di quello che dovevi, e capirai meglio perché il tuo animo cosi fittamente assediato non sia stato capace di aprirsi un varco attraverso le file nemiche. Allora, vedrai da quanti pensieri ostili sia stata vinta quella salutare meditazione alla quale mi sforzo di farti arri vare. F. Sono davvero atterrito ! Se ho sempre riconosciuto che il mio pericolo era grave, e se tu ora mi dici che pure supera di tanto la mia stima, che in proporzione è come se non avessi mai veramente temuto quello che dovevo temere, quale speranza mi resta? A. La disperazione è il peggiore di tutti i mali, e ad essa nessuno è mai arrivato se non troppo presto. Voglio perciò che tu lo sappia subito: non si deve mai disperare di nulla. F. Lo sapevo, ma il terrore me l'ha tolto di mente. A. Ora, guardami bene e prestami attenzione, e « osserva quali popoli si adunino e quali città, chiuse le porte, affilino le armi contro di te e per sterminio dei tuoi », per usare le parole di un poeta che conosci benissimo. Osserva dunque quali lacci ti tende il mondo, quante vane speranze ti volano attorno, quante preoccupazioni superflue ti opprimono. E innanzi tut to, per cominciare di là, quando sin dall'inizio quelli che erano
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nium illi nobilissimi spiritus corruerunt, tibique ne post illos corruas summo opere providendum est. 1 1 Quam multa sunt que animum tuum funestis alis extollunt et sub insite nobilita tis obtentu, totiens experte fragilitatis immemorem fatigant, occupant, circumvolvunt, aliud cogitare non sinunt, super bientem fidentemque suis viribus, et usque ad Creatoris odium placentem sibi! 12 Que, quanquam grandia et qualia tibi fingis essent, non in superbiam tamen sed in humilitatem inducere debuissent, memorantem nullis tuis meritis illa tibi singularia contigisse. n Quid enim ne dicam eterno, sed [72] temporali domino obsequentiores fecerit subiectorum animos, quam in ilio spectata liberalitas nullis suorum meritis excitata? 1' Stu dent enim benefactis subsequi quem prevenire debuerant. Nunc vero facillime licebit quam pusilla sunt, quibus superbis, intelligere. Fidis ingenio et librorum lectione multorum; glo riaris eloquio, et forma morituri corporis delectaris. 15 Enimve ro sentis ingenium in quam multis sepe destituat, quot sunt artium species, in quibus vilissimorum acumen hominum equare non poteris. 16 Minus dixi: animalia ignobilia et pusilla reperies, quorum opera nullo studio queas imitari. 1 7 I nunc, et ingenio gloriare! 1 8 Lectio autem ista quid profuit? Ex multis enim, que legisti, quantum est quod inheserit animo, quod radices egerit, quod fructum proferat tempestivum? 1 9 Excute pectus tuum acriter; 20 invenies cunta que nosti, si ad ignorata referantur, eam proportionem obtinere quam collatus Occea no rivolus estivis siccandus ardoribus.21 Quanquam vel multa nosse quid relevat si, cum celi terreque ambitum, si, cum maris spatium et astrorum cursus herbarumque virtutes ac lapidum et nature secreta didiceritis, vobis estis incogniti? 22 Si, cum rectam virtutis ardue semitam scripturis ducibus agnoveritis, obliquo calle transversos agit furor?21 Si, cum omnis evi claro rum hominum gesta memineritis, quid vos quotidie agitis non curatis ? 24 De eloquio quid dicam, nisi quod tu ipse fateberis; sepe te quidem eius fìdutia fuisse delusum? 25 Quid autem
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gli spiriti piu nobili d'ogni cosa creata precipitarono, dobbia mo sforzarci in ogni modo affinché anche tu non debba preci pitare dietro di loro. Sono davvero tante le cose che con le loro ali funeste sollevano il tuo animo e lo spronano, diventato immemore d'una fragilità tante volte sperimentata, con il pre testo d'una sua naturale eccellenza, e lo riempiono e lo circon dano e non lo lasciano pensare ad altro, presuntuosamente superbo delle sue forze e tanto compiaciuto di sé da spregiare persino il proprio Creatore! Ma fossero pur grandi e quali tu te le immagini, queste tue qualità, dovrebbero indurti non alla superbia ma all'umiltà, ricordando che ti sono toccate in sorte senza tuo merito alcuno. Che c'è, infatti, che renda gli animi dei sudditi piu devoti al loro signore, non dirò l'Eterno ma pure il temporale, della sua manifesta liberalità, che nessun loro merito possa giustificare? Certo, con le loro buone azioni cercheranno di tener dietro a chi avrebbero dovuto prevenire. Cosf, ora riuscirai facilmente a capire quanto siano meschine le cose delle quali vai superbo. Ti fai forte del tuo ingegno e della lettura di molti libri; ti vanti della tua eloquenza e ti compiaci della bellezza di un corpo destinato a morire. Eppure, ti accorgi in quante cose spesso l'ingegno ti abbandoni, e quanti siano i generi di attività in cui non puoi eguagliare l'abilità di uomini umilissimi. Ma ho detto ancora poco: puoi trovare animali infimi, insignificanti, di cui non riuscirai a nessun costo ad imitare le operazioni. Ora va', e vantati dell'ingegno ! E la lettura poi, a che ti ha giovato? Di tutto quello che hai letto quanto ti è rimasto dentro? quanto ha messo radici? quanto ha fruttificato al tempo giusto? Fruga impietosamente dentro di te: troverai che ciò che sai, comparato a ciò che ignori, occupa la stessa proporzione di un rivolo che sta seccando alla calura estiva nei confronti dell'oceano. Ma poi, che importanza ha il sapere sia pure molte cose se, quand'anche abbiate imparato le dimensioni del cielo e della terra e l'estensione del mare e i corsi delle stelle e le virtu delle erbe e delle pietre e i segreti della natura, continuate a non saper nulla di voi stessi? Se la passione vi trascina per una strada sbagliata anche quando avete imparato dai libri a riconoscere la via retta della difficile virtu? Se non vi curate di quello che fate ogni giorno, anche quando avete imparato a memoria le gesta dei grandi uomini di ogni tempo? Dell'eloquenza, che altro posso dire se non la stessa cosa che riconoscevi anche tu : che spesso anche a te è capitato di rimanere deluso nella fiducia che vi riponevi? Che
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attinet audientes forsitan approbasse que diceres, si te iudice damnabantur? 2" Quamvis enim audientium plausus non sper nendus eloquentie fructus esse videatur, si tamen ipsius orato ris ( plausus) interior desit, quantulum voluptatis prestare po test strepitus ille vulgaris? Quomodo autem alios loquendo mulcebis, nisi te primum ipse permulseris? 27 Idcirco sane non nunquam sperata eloquentie gloria frustratus es,28 ut facili cognosceres argumento guam ventosa ineptia superbires.29 Quid enim, queso, puerilius imo vero quid insanius guam, in tanta rerum omnium incuria tantaque segnitie, verborum stu dio tempus impendere et lippis oculis [74] nunquam sua probra cernentem, tantam voluptatem ex sermone percipere, quarundam avicolarum in morem, quas aiunt usque in perni ciem proprii cantus dulcedine delectari? lo Et hoc quidem sepe tibi contigit in rebus quotidianis atque vulgaribus, quo magis erubesceres, quas tuo inferiores arbitrabaris eloquio eas te verbis equare nequivisse.ll Quam multa sunt autem in rerum natura, quibus nominandis proprie voces desunt; l2 quam mul ta preterea que, quanquam suis vocabulis discernantur, tamen ad eorum dignitatem verbis amplectendam ante ullam expe rientiam sentis eloquentiam non pervenire mortalium. Quo tiens ego te querentem audivi, quotiens tacitum indignantem que conspexi, quod que clarissima cognituque facillima essent animo cogitanti, ea nec lingua nec calamus suffìcienter expri meret. Que est igitur ista eloquentia, tam angusta, tam fragilis, que nec cunta complectitur et que fuerit complexa non strin git? Greci vobis, vos vicissim Grecis, verborum penuriam soletis obicere. Seneca quidem illos verbis ditiores extimat; H at M. Tullius in primordio operis quod De bonorum et malorum finibus edidit: « Ego » inquit « satis mirari non queo unde hoc sit tam insolens domesticarum rerum fastidium. Non est omni no hic docendi locus, sed ita sentio et sepe disserui, latinam linguam non modo non inopem, ut vulgo putarent, sed locu pletiorem etiam esse guam grecam ».�< Et idem, cum sepe alias, tum in Tusculano suo disputans exclamavit: « O verborum inops, quibus abundare te semper putas, Grecia ».l5 Dixit hec vir ille fidentissime, ut qui se latine eloquentie principem
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gli ascoltatori abbiano forse approvato quello che dicevi conta forse qualcosa, se il tuo giudizio lo condannava? Anche se l'applauso di chi ascolta sembra un non disprezzabile risultato dell'eloquenza, quanto piacere può dare un siffatto volgare strepito quando l'oratore per primo non applaude intimamen te se stesso? In che modo potrai dar piacere agli altri con le tue parole, se non dai prima piacere a te stesso? Del resto, proprio per questo sei stato qualche volta frustrato nella gloria che speravi dall'eloquenza, proprio perché tu potessi conoscere per prova evidente di quale tronfia sciocchezza andavi super bo. Che c'è, domando, di piu puerile, anzi di piu folle, in mezzo ad un'incuria e a un'apatia cosf generali, che perdere il proprio tempo nello studio delle parole e ricavare tanto piace re dalle chiacchiere, senza mai vedere attraverso gli occhi incrostati i propri difetti? Proprio come fanno certi uccelletti che, si dice, si beano talmente della dolcezza del loro canto da morirne. Nelle faccende quotidiane e volgari ti è poi capitato anche questo, sf da doverne arrossire ancora di piu: che non sei riuscito ad adeguare le tue parole a cose che giudicavi inferiori alla tua eloquenza. Quante cose ci sono nella natura che non hanno un nome specifico con il quale chiamarle ! Quante ancora sono sf distinte dal loro proprio nome, ma si sente che le parole degli uomini che non ne abbiano prima fatta espe rienza non arrivano ad esprimerne compiutamente la nobiltà! E quante volte ho sentito che ti lamentavi, quante volte ti ho visto silenzioso e corrucciato, poiché né la lingua né la penna riuscivano ad esprimere in modo adeguato ciò che, nella tua mente, era chiaro e di immediata comprensione. Cos'è allora questa eloquenza tanto ristretta e tanto debole, che non ab braccia ogni cosa e che quello che abbraccia non riesce a stringerlo? I Greci a voi e voi di rimando ai Greci siete soliti rinfacciare la scarsità di parole. Seneca pensa che siano quelli i piu ricchi di parole, ma Marco Tullio nel principio del suo De finibus afferma: « Non finisco di chiedermi donde venga un cosf smaccato fastidio per le cose di casa nosu a. Non è ceno questo il momento di dare lezioni, ma sono convinto e spesso l'ho dimostrato che la lingua latina non solo non è povera, come comunemente si crede, ma è addirittura piu ricca della greca >>. E discutendone di nuovo nelle Tusculanae, come del resto molte altre volte altrove, ha scritto: « Oh Grecia povera di parole, mentre credi di averne in abbondanza ! >>. Nel dir questo era sicurissimo di sé, sapendo d 'essere il principe dell'e-
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sciret, auderetque de huius rei gloria iam tunc bellum Grecie movere; iuxta id quod ab eodem Seneca, greci sermonis mira tore, in Declamationibus16 scriptum est. « Quicquid habet » inquit « romana facundia, quod insolenti Grecie aut opponat aut preferat, circa Ciceronem effloruit ». Magna laus, sed sine ulla dubitatione verissima. Est ergo, ut vides, de eloquentie principatu non tantum inter nos et Graios, sed inter nostro rum etiam doctissimos magna contentio; inque his castris est qui illis faveat, sicut in illis forsitan qui nobis; quod de Plutarcho, illustri philosopho, quidam [76] referunt. 17 Denique Seneca noster, etsi Ciceroni deferat, ut dixi, coactus maiestate tam predulcis eloqui, in reliquis tamen Grecie palmam defert. Ci ceroni contrarium videtur. Si vero meum his de rebus iudicium expectas, utrunque veridicum pronuntio, et qui Greciam et qui ltaliam verborum dixit inopem. Quod si de his duabus tam famosis regionibus recte dicitur, quid possunt sperare alie? Quatenus tibi preterea in hac re fìdendum viribus tuis sit, ubi toti provincie, cuius perexigua portiuncula es, hanc sermonis vides esse penuriam, tecum ipse considera. Pudebit tantum temporis consumpsisse in eam rem, quam et assequi impossibi le, et assecutam esse vanissimum sit.18 Ut vero iam hinc ad alia pertractanda transgrediar: corporis huius bonis extolleris?
Nec que te circumstent deinde pericula cernis?19 Quid autem tuo tibi placet in corpore? robur ne an valitudo prosperior? At nichil imbecillius. Fatigatio ex levibus causis obrepens, et insultus morborum varii, et vermiculorum mor sus, seu levissimus aff!atus, atque huius generis multa conster nant.'0 An forme forsan fulgore deciperis, et proprii vultus colorem seu lineamenta conspiciens, habes cui inhies, quod mireris, quod mulciat, quod delectet? '1 Neque te Narcissi terruit fabella,'2 nec quid esses introrsus virilis consideratio corporee feditatis admonuit? u Exterioris cutis contentus aspectu, oculos mentis ultra non porrigis. Atqui huius quoque caducum fore precipitemque flosculum, etsi alia, que innume· rabilia sunt, argumenta cessarent, ipse tibi etatis irrequietus cursus, per singulos aliquid decerpens dies, luce clarius osten dere debuisset." Etsi forte (quod dicere non audebis) adversus
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loquenza latina e osando fin d'allora far guerra alla Grecia per il primato in questo campo. A ciò va aggiunto quello che scrisse lo stesso Seneca, pur ammiratore della lingua greca, nelle sue Declamazioni: « Tutto ciò che l'eloquenza romana può opporre o preferire alla presunzione della Grecia, fiori attorno a Cicerone ». Lode grande ma certamente verissima! C'è dunque, come vedi, una gran disputa sul primato nell'elo quenza non solo tra noi e i Greci ma anche tra i nostri sapienti, e nel nostro campo c'è chi parteggia per loro, cosf come tra loro c'è chi parteggia per noi: di Plutarco dicono cosf, ed era un filosofo ill ustre. Insomma, il nostro Seneca, anche se dà la palma a Cicerone, come ho detto, costretto dalla solennità di un eloquio cosf armonioso, in ogni altro caso la dà tuttavia ai Greci. Cicerone la pensa nel modo opposto. E se vuoi sapere il mio giudizio sulla questione, dico che hanno ragione entrambi, quelli che dicono che la Grecia è povera di parole e quelli che dicono che lo è l'Italia. E se lo si dice a ragione di questi due paesi cosf famosi, gli altri cosa possono sperare? Al proposito, giudica dunque da te sino a quanto tu possa confidare nelle tue forze, quando vedi che in tutta la regione della quale non sei che una minima particella esiste una tale povertà di linguaggio. E ti vergognerai di aver sprecato tanto tempo per un obiettivo che è impossibile da raggiungere e che, quando pure lo si raggiungesse, sarebbe assolutamente vuoto. Dopo questo, pas siamo a trattare un altro punto. Vai superbo dei beni di questo tuo corpo, « e non scorgi i pericoli che ti circondano? » Che ti piace nel tuo corpo? La forza e la buona salute? Non c'è niente di piu fragile: le distruggono una debolezza che si insinua per cause da poco, l'aggressione delle piu diverse malattie e il morso di qualche vermicello e la piu lieve corrente d'aria e molte altre cose siffatte. O forse ti lasci catturare dallo splendore della bellezza e, contemplando il colore e i linea menti del volto, hai di che restare a bocca aperta e ti ammiri e ti compiaci e gioisci? Non ti ha spaventato la favoletta di Narciso? La coraggiosa considerazione di come sei fatto den tro non ti ha richiamato agli aspetti piu sordidi del corpo? Soddisfatto del superficiale aspetto della pelle, con gli occhi della mente non penetri oltre: eppure, venissero pur meno tutti gli altri innumerevoli argomenti, che questo debole fiorire del corpo sia caduco e pronto a morire avrebbe dovuto mo strartelo piu chiaro della luce lo stesso incessante corso dell'e tà, che ogni giorno strappa via qualcosa. Anche se tu avessi
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etatem et morbos ceteraque formam corporis alterantia tibi ipse videreris indomitus, at illius saltem cunta subruentis ex tremi" non decuit oblivisci, fixumque alta sub mente geri debuit illud satyricum :
. . . Mors sola fatetur quantula sint hominum corpuscula . '6 ..
Hec, nisi fallor, sunt que te superbis flatibus elatum humili tatem conditionis tue considerare prohibent, mortisque remi nisci. Sunt etiam alia, que iam hinc exequi fe1t animus. [78] F. Subsiste paululum, queso, ne tanta mole rerum obru tus nequeam responsurus assurgere. A. Dic age: subsistam libens. F. In admirationem me non modicam coegisti, multa michi obiciens, que nunquam in animum meum descendisse sum conscius. Me ne fisum ais ingenio? At profecto nullum inge nioli mei signum est, nisi hoc unum, nullam me in eo posuisse fidutiam. Ego ne librorum ex lectione superbior fiam, que michi sicut scientie modicum invexit, sic curarum materiam multarum?�' An lingue gloriam �A sectatus dicor qui, ut tu ipse memorasti, nichil magis indigner, quam conceptibus illam meis non posse sufficere? �9 Nisi tentandi propositum tibi sit, scis me parvitatis mee michi conscium semper fuisse, et siquid michi forte visus sum, potuit hoc interdum aliene ruditatis considera tione contingere. Eo enim, quod sepe dicere soleo, perventum est ut, iuxta vulgatum Ciceronis dictum, potius « aliorum im becillitate » quam « nostra virtute valeamus >>. 50 Quid autem, etsi abunde contigissent ista que narras, quid michi tam magni ficum contulissent, ut hinc superbiendum foret ? Non sum tam mei ipsius immemor, neque tam levis, ut his me auris agitan dum prebeam. Quantulum enim vel ingenium vel scientia, vel eloquentia profuerit, nullum lacerantibus animum morbis affe rens remedium ! quam rem in epystola quadam me diligentius questum fuisse commemini.'' Iam quod de corporeis bonis quasi serio dixisti pene in risum excitavit. Me ne in hoc mortali et caduco corpusculo spem posuisse, quotidianas eius ruinas sentientem? Deus meliora. Fuit hec puero, fateor, cura plec-
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immaginato di essere invincibile (ma non avrai il coraggio di dirlo) contro l'età e le malattie e tutto ciò che altera la bellezza del corpo, tuttavia non avresti dovuto dimenticarti di quell'e stremo punto che annienta ogni cosa, e tenere profondamente fisso nella mente quel detto del poeta satirico: « solo la morte rivela quanta poca cosa siano i corpi degli uomini ». Se non sbaglio, sono queste le ragioni che ti sollevano sui venti della superbia e ti impediscono di considerare l'umiltà della tua condizione e di ricordarti della morte. Ma ce ne sono altre, che ora intendo trattare. F. Fermati un momento, ti prego, altrimenti, oppresso dal peso di tanti argomenti, non sarò capace di risollevarmi e rispondere. A. Di' pure, mi fermo volentieri. F. Mi hai meravigliato assai, rinfacciandomi molte colpe che, ne sono sicuro, non mi sono mai scese nell'animo. Dici che presumo del mio ingegno? Ma se del mio poco ingegno non c'è altro segno se non solo questo, che in esso non ho mai riposto alcuna fiducia ! E diventerei sempre piu superbo attraverso la lettura dei libri, dai quali mi venne tanta poca scienza quanto abbondante materia d'affanno? E sono accusato di aver cercato la gloria della lingua proprio io che, come tu stesso hai ricorda to, da nulla sono piu tormentato se non dal fatto che non può bastare ai miei concetti? A meno che tu non abbia intenzione di provocarmi, sai che sono stato sempre consapevole della mia piccolezza, e se per caso mi sono stimato qualcosa, ciò è potuto accadere solo in considerazione della grossolanità altrui. Come vado spesso ripetendo, siamo giunti al punto che, secondo il vulgato detto di Cicerone, ggano l'urto improvviso di un qualsiasi peso, e intanto non smettere di implorare aiuto da chi è in grado di dartelo. Egli ti sarà vicino, forse proprio quando lo credi lontano. Ma abbi sempre e unicamente presente che non devi trascurare la massima di Platone già ricordata: non c'è niente che impedisca la conoscenza della divinità piu degli appetiti carnali e dell' ar dore della libidine. Medita continuamente dentro di te su questa dottrina. Ecco il nocciolo del mio consiglio. F. Perché tu capisca che questa dottrina io l'ho davvero amata, sappi che l'ho avidamente fatta mia non solo mentre stava nella dimora sua propria, ma anche quando era nascosta in selve a lei estranee. E ho fissato nel ricordo il luogo in cui è apparsa ai miei occhi. A. Aspetto di capire quello che vuoi dire. F. Tu sai per quanti pericoli Virgilio abbia condotto il suo eroe, in quell'ultima e orrenda notte dello sterminio dei troiani. A. Lo so: cosa c'è di piu divulgato per ogni scuola? Il poeta fa che sia lo stesso Enea a raccontare i suoi casi: « Chi potrà spiegare a parole la distruzione e le morti di quella notte e versare lacrime adeguate all'angoscia? Cade l'antica città, già per lunghi anni dominatrice; infiniti corpi giacciono inerti dappertutto, per le strade, nelle case e sulle soglie degli edifici sacri. Non sono solo i Troiani a pagare con il loro sangue
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quondam etiam victis redit in precordia virtus, victoresque cadunt Danai, crudelis ubique luctus, ubique pavor et plurima martis imago. 16' F. Atgui guam diu Venere comitame imer hostes et incen dium erravit, apertis licet oculis, offensorum iram numinum videre non potuit, eague ill um alloguente, nil nisi terrenum imellexit. At, postguam illa discessit, guid evenerit nosti; sigui dem mox iratas deorum facies eum vidisse subseguitur, et omne circumstans periculum agnovisse:
apparent dire /acies inimicaque Troie numina magna deum. Ex guibus hoc excerpsi: usum Veneris conspectum divinita tis eripere. 1 66 A. Predare lucem sub nubibus invenisti. Sic nempe poeticis inest veritas figmentis, tenuissimis rimulis adeunda. 167 Sed guo niam rursus ad ista redeundum est, gue restant ad ultimum reservemus. F. Ne ignotis me tramitibus agas, guonam te rediturum polli· ceris? A. Maxima tue mentis vulnera nondum attigi, et consulto dilata res est, ut novissime posita hereant memorie. 168 In illo rum altero appetituum carnalium, de guibus aligua diximus, cumulatior aderit materia. 169 F. Progredere iam ut libet. A. Nisi impudenti pertinacia s1s, nulla deinceps superest contentio. F. Nichil gratius videre possem, guam omnem contentionum [ 106] causam ablatam ex orbe terrarum. Nichil denigue tam dare michi cognitum fuit unguam, ut de eo non invitus alterca rer; guod imer amicos licet orta contentio, asperum guiddam et hostile et amicitiarum moribus adversum habet.170 Sed perge ad hec guibus me statim assensurum putas. A. Habet te funesta guedam pestis animi, guam accidiam moderni, veteres egritudinem dixerunt. 1 7 1 F. lpsum morbi nomen horreo. A. Nimirum, diu per hunc gravitergue vexatus es. F. Fateor, et illud accedit guod omnibus ferme guibus angor, aliguid, licet falsi, dulcoris immixtum est; 172 in hac autem tristitia et aspera et misera et horrenda omnia, apertague sem·
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perché a tratti torna il coraggio anche nel loro cuore di vinti, e i Greci vincitori cadono. Dappertutto morte crudele, dapper tutto terrore e infinite immagini di lutto ». F. Ma Enea, finché errò tra i nemici e gli incendi accompa gnato da Venere, benché avesse gli occhi ben aperti, non poté vedere l'ira degli dei offesi e mentre essa gli parlava non percepf se non aspetti terreni. Come fu partita, sai che avven ne: il racconto continua dicendo che egli vide immediatamente dopo i volti degli dei e riconobbe tutto il pericolo che lo circondava: « appaiono sembianze terribili e le grandi potenze degli dei, nemiche di Troia ». Da questi versi ho tratto che a praticare con Venere ci si preclude la contemplazione della divinità. A. Hai intelligentemente trovato la luce sotto le nuvole: è proprio vero che entro le finzioni poetiche c'è una verità alla quale si deve arrivare per indizi sottilissimi. Ma dal momento che su questo punto dovremo tornare di nuovo, teniamo per ultimo quello che resta da dirne. F. Perché tu non mi faccia andare avanti alla cieca, dimmi dov'è che ti riprometti di tornare. A. Non ho ancora toccato le piaghe peggiori del tuo spirito, e l'ho ritardato apposta perché ti restino impresse meglio le cose dette per ultime. Per il secondo degli appetiti carnali, di cui abbiamo detto qualcosa, avremo allora un maggior numero di elementi. F. Procedi come vuoi. A . D'ora in poi non c i dovrebbero essere divergenze tra noi, a meno che tu non sia sfacciatamente ostinato. F. Niente mi piace di piu che il veder cancellato dal mondo ogni motivo di lite. Non c'è mai stato alcun argomento, per quanto bene lo conoscessi, intorno al quale io mi sia messo a contendere volentieri, perché anche una discussione nata tra amici conserva qualcosa di aspro e di ostile, estraneo agli usi dell'amicizia. Ma affronta pure quei punti sui quali pensi che io sia d'accordo. A. Sei in preda di una tremenda malattia dello spirito, che i moderni chiamano accidia e gli antichi_ aegritudo. F. Solo il nome mi spaventa. A. Non è strano: ne sei stato afflitto a lungo e gravemente. F. È vero. E c'è in piu che mentre in quasi tutti gli altri mali che mi tribolano è mescolato un che di dolce, ancorché falso, in questa tristezza invece tutto è aspro e misero e orribile e la
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per ad desperationem via et quicquid infelices animas urget in interitum. m Ad hec, et reliquarum passionum ut crebros sic breves et momentaneos experior insultus; hec autem pestis tam tenaciter me arripit interdum, ut integros dies noctesque illigatum torqueat, quod michi tempus non lucis aut vite, sed tartaree noctis et acerbissime martis instar est. 174 Et (qui supre mus miseriarum cumulus dici potest) sic lacrimis et doloribus pascor, atra quadam cum voluptate, ut invitus avellar.175 A. Morbum tuum nosti optime; modo causam 1 76 nosces. Dic ergo: quid est quod te adeo contristat ? Temporalium ne di scursus, an corporis dolor, an aliqua fortune durioris iniuria ? m F. Non unum horum aliquod per se tam validum foret. Si singulari certamine tentarer, starem utique; nunc autem toto subruor exercitu. A. Distinctius, quid te urgeat, eloquere. F. Quotiens unum aliquod fortune vulnus infligitur, persisto interritus, memorans sepe me ab ea graviter perculsum abiisse victorem. Si mox illa vulnus ingeminet, titubare parumper incipio; quodsi duobus tertium quartum ve successerit, tunc coactus non quidem fuga precipiti, sed pede sensim relato in arcem rationis evado. 178 Illic si toto circum agmine incubuerit fortuna, meque ad [ 108] expugnandum conditionis humane miserias 179 et laborum preteritorum memoriam futurorumque formidinem congesserit, tum demum pulsatus undique et tan tam malorum congeriem perhorrescens ingemisco. Hinc dolor ille gravis oritur. Veluti siquis IAo ab innumeris hostibus circum clusus, cui nullus pateat egressus, nulla sit misericordie spes nullumque solatium, sed infesta omnia, erecte machine, defossi sub terram cuniculi: tremuntque iam turres, stant scale propu gnaculis admote, herent menibus vinee et ignis tabulata per currit. 181 Undique fulgentes gladios, minantesque vultus ho stium cernens vicinumque cogitans excidium, quidni paveat et lugeat, quando, his licet cessantibus, ipsa libertatis amissio viris fortibus mestissima est? 1 82 A. Quanquam confusius ista percurreris, intelligo tamen opi nionem tibi perversam 183 causam esse malorum omnium, que
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via alla disperazione è sempre apena, e tutto in essa fa si che le anime infelici ne siano sospinte verso la ,iliorte7 Inoltre delle altre malattie sperimento attacchi frequenti ma brevi e quasi momentanei: questo flagello invece mi ghermisce a volte cosi tenacemente da tormentarmi nella sua stretta per giorni e notti intere, e allora per me non è piu tempo di luce e di vita, ma oscurità d'inferno e strazio mortale. E mi nutro a tal punto di lacrime e dolori, con una sorta di disperata voluttà - e questo si può ben definire il massimo delle miserie ! - che me ne stacco a malincuore. A. Conosci bene il tuo male: ora, ne conoscerai le cause. Dimmi, cos'è che ti deprime tanto? La labilità dei beni terreni, o i dolori del corpo, o qualche panicolare_offesa dell'avverso destino? F. Nulla di questo, da solo, è capace di tanto. Se fossi sfidato in uno scontro singolo certo resisterei, ma è un esercito intero che mi travolge! A. Spiega meglio cos'è che ti opprime. F. Ogni volta che subisco qualche colpo dalla fortuna resisto impavido, e mi ricordo che spesso sono riuscito vincitore dopo che essa mi aveva gravemente colpito. Se subito raddoppia il colpo comincio un po' a vacillare, e se ai due se ne aggiunge un terzo o un quano, allora sono costretto a ritirarmi nella rocca della ragione: non però con fuga precipitosa, ma indietreggian do passo passo. Ma se la fortuna mi assedia in forze anche qui, e per espugnarmi mi butta addosso tutte le_ miserie della condizione umana e il ricordo degli affanni passati e il terrore dei futuri, allora, infine, colpito da ogni pane e spaventato da una tale congerie di mali, comincio a lamentarmi. È questa l'origine di quel grave dolore: come se uno fosse circondato da innumerevoli nemici e non avesse alcuna via di fuga, né spe ranze di clemenza, né soccorsi, ma tutto gli fosse contro - le macchine d'assedio sono drizzate, i cunicoli sotto terra sono scavati, le torri oscillano, le scale sono erette e appoggiate ai bastioni, i ponti sono agganciati alle mura e il fuoco serpeggia per i tavolati. Vedendo tutt'intorno il balenio delle spade e i volti minacciosi dei nemici e sentendo prossimo l'eccidio, perché non dovrebbe avere paura e piangere, dal momento che, fosse anche passato il pericolo di mone, la perdita della libertà sarebbe di per sé quasi insopportabile per uomini forti? A. Benché il tuo elenco sia stato alquanto confuso, pure capisco che causa di tutti i tuoi mali è un'opinione perversa,
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innumerabiles olim stravit sternetque. Male tibi esse arbitraris? F. Imo vero pessime. A. Quam ob causam? F. Non unam quidem sed innumeras. A. Idem tibi accidit, quod his qui ob levissimam quamlibet offensam in memoriam redeunt veterum simultatum. F. Nullum in me adeo vetustum vulnus ut oblivione deletum sit; recentia sunt cunta que cruciant. Et siquid tempore potuis set aboleri, tam crebro locum repetiit fortuna, ut hians vulnus nulla unquam cicatrix astrinxerit. 18' Accedit et humane condi tionis odium atque contemptus, quibus omnibus oppressus non mestissimus esse non valeo. 18' Hanc sive egritudinem, sive accidiam, sive quid aliud esse diffinis haud magnifacio; ipsa de re convenit. 186 A. Quoniam, ut video, altis radicibus morbus innititur, su perficietenus hunc sustulisse non sufficiet: repullulabit etenim celeriter; radicitus evellendus est; unde autem incipiam incer tus sum, tam multa me tenent. Sed ut facilior sit distincti operis effectus, discurram per singula. Dic ergo: quid in primis tibi molestum putas? [ l lO]F. Quicquid primum video, quicquid audio, quicquid sentio. A. Pape! nil ne tibi placet ex omnibus? F. Aut nichil aut perpauca quidem. A. Utinam saltem salubriora delectent ! Sed quid apprime displicet? Responde michi, queso. F. lam respondi. A. Totum est hoc eius quam dixi accidie. Tua omnia tibi displicent. F. Aliena non minus. A. Et hoc ex eodem fonte procedit. Ut vero aliquis dicendo rum ordo sit: adeo ne tibi tua displicent, ut ais? F. Desine questiunculis quatere: plus etiam quam dici posset. A. Ergo illa tibi sordescunt, que multis aliis invidiosum fa ciunt. F. Qui misero invidet, necesse est sit ipse miserrimus. 1 87 A. Quid autem magis displicet ex omnibus?
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che ha già distrutto e continua a distruggere innumerevoli altri uomini. Pensi di star male? F. Malissimo. A. Per quale motivo? F. Non per uno. Per infiniti. A. Ti càpita come a quelli che per la minima offesa tornano con la mente ai vecchi contrasti. F. Non ho alcuna ferita cosi vecchia che possa essere cancel lata dalla dimenticanza: tutto quello che fa male è recente. E anche se qualcosa avrebbe potuto sparire, col tempo, la fortuna è tornata cosi spesso a colpire sullo stesso punto che nessuna cicatrice salderà mai la piaga aperta. Mettici anche l'odio e il disprezzo per la condizione umana: sotto il peso di tutte queste cose non riesco a non essere tristissimo. Che tu la chiami aegritudo o accidia o come altrimenti vuoi, non m'importa: sulla sostanza siamo d'accordo. A. Poiché vedo che il male trae forza da radici profonde, non basterà tagliarlo in superficie perché rigermoglierebbe subito. Bisogna strapparlo fin dalle radici, ma non so bene da Jove cominciare, tante sono le cose che ho in mente. Procederò con un argomento per volta, affinché il lavoro, ben ripartito, abbia un effetto piu sicuro. Dimmi, allora: qual è, per te, la cosa peggiore? · F. Tutto quello che vedo attorno, e quello che ascolto e quello che tocco. A. Perbacco! Non ti piace nulla di nulla? F. Niente, o poche cose davvero. A. Ti piaccia almeno quello che ti fa bene! Ma cosa ti spiace di piu? Ti prego, dimmelo. F. Te l'ho già detto. A . Tutto questo è tipico di quella che ho chiamato accidia: le cose tue, ti affliggono tutte. F. Non piu di quelle degli altri. A . Anche questo viene dalla stessa fonte. M a per dare un minimo d 'ordine al discorso: le tue cose ti sono tanto moleste quanto dici? F. Smettila di perseguitarmi con queste domandine: anche di piu di quello che è possibile dire. A. Dunque schifi quelle cose che ti fanno invidiare da molti altri. F. Chi invidia un disgraziato, deve esserlo molto di piu. A. Ma cosa ti spiace piu di tutto?
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F. Nescio. A . Quid? s i ego dinumerem fateberis ne? F. Fatebor ingenue. A. Fortune tue iratus es. F. Quidni oderim superbam violentam cecam et mortalia hec sine discretione volventem? 1 88 A. De comunibus publica est querela: nunc proprias perse quamur iniurias. Quid si iniuste conquereris? Velles ne in gratiam reverti? 1 89 F. Diffìcillima quidem persuasio; si tamen id michi monstra veris, conquiescam. A. Parcius agere tecum extimas fortunam. F. Imo avarissime, imo iniquissime, imo superbissime, imo crudelissime. 190 A. Non unus est apud comicum poetam Querulus, 19 1 innu merabiles sunt. Tu quoque adhuc unus ex multis es. Mallem ex paucis. Ceterum, quia adeo trita materia est ut vix novi quic quam possit afferri, pateris ne morbo veteri vetus remedium adhiberi? F. Ut libet. [ 1 12] A. Age ergo: famem ne an sitim frigus ve perpeti compulit paupertas? 192 F. Nondum eousque fortuna sevit mea. A. At guam multis ista cotidiana sunt. F. Aliud adhibe remedium, si potes; me quoniam ista nil adiuvant. Non ex illis sum, quos in malis suis calamitosorum et circumlugentium delectat exercitus; nec minus interdum alie nis guam propriis miseriis ingemisco.191 A. Nec ego ut delectet, sed ut soletur expecto, doceatque alienas cernentem fortunas suis esse contentum. 19• N eque enim omnes primum tenere locum possunt; alioquin quomodo pri mus erit nisi quem secundus sequitur? 1 95 Bene vobiscum agi tur, mortales, si non in extrema reiecti, de tam multis fortune ludibriis l% tantum mediocria pertulistis: quanquam et extrema perpessis, suis quibusdam acrioribus remediis succurrendum est, quibus in presens eges minime, mediocri lesus asperitate fortune. 1 97 Sed hoc est quod vos in has precipitar erumnas: proprie quilibet sortis oblitus supremum mente locum agitat, quem quoniam, ut dixi, nequeunt omnes apprehendere, elusis
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Non lo so. Se ti faccio un elenco, me lo dirai? F. Sf, sinceramente. A. Provi rabbia verso la tua fortuna? F. Come posso non odiare questa superba, violenta, cieca, capricciosa sovvertitrice delle cose umane? A. Dei mali comuni si lamentano tutti: ora stiamo cercan do quelli specifici. Che succederebbe se tu ti lamentassi senza ragione? Non vorresti allora tornare in pace con la fortuna? F. È troppo difficile persuadermene. Ma se tu me lo dimo· strassi, mi darò pace. A. Tu credi che la fortuna sia troppo avara con te. F. Anzi, avarissima. Anzi, ingiustissima. Anzi, superbissima. Anzi, crudelissima. A. Non esiste solo il Brontolo del poeta comico, ce ne sono un'infinità. E tu finora sei uno dei tanti: preferirei fossi dei pochi. Ad ogni modo, poiché l'argomento è cosf trito che diftcilmente ci si può contribuire con qualcosa di nuovo, permetti che contro una vecchia malattia si adoperi una vec chia medicina? F. Come vuoi. A. Allora dimmi: la povertà ti ha forse costretto a patire la fame o la sete o il freddo? F. Cosi crudele la mia fortuna non lo è mai stata. A. Però per molti queste sono cose d'ogni giorno. F. Usa un altro rimedio, se ci riesci. Questo non mi aiuta per nulla. Non sono di quelli che in mezzo ai propri guai si rallegrano vedendo l'esercito di disgraziati che geme attorno a loro: a volte, delle miserie altrui soffro come delle mie. A. Non voglio che tu ti rallegri ma che ne tragga conforto, e impari ad essere contento della tua sorte vedendo quella degli altri. Non tutti possono occupare il primo posto: altrimenti, chi sarebbe primo se non seguisse un secondo? A voi mortali va ancora bene se non precipitate sino in fondo e se di tan· ti oltraggi della fortuna sopportate solo quelli meno gravi. Del resto, anche chi sopporta i peggiori va aiutato con piu forti rimedi adatti al caso: ma tu per ora non ne hai bisogno, colpito come sei da avversità piuttosto modeste. Anche se è proprio questo che vi getta nell'angoscia: ognuno si dimentica della propria sorte e pensa solo ai primi posti, e poiché non tutti ci possono arrivare, come ho detto, alla frustrazione dei
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conatibus subit indignatio. Quodsi summi status miserias agnoscerent homines, quem exoptant perhorrescerent; idque illorum probatur testimonio, quos ad summa rerum fastigia multis laboribus evectos vidimus et votorum mox suorum nimis facilem exitum exsecrantes.'"s Quod, etsi omnibus no tum esse debeat, tibi tamen precipue, cui longa experientia persuasum est omnem status altissimi laboriosam atque solici tam et prorsus miserabilem esse fortunam. lta fìt ut nullus querimoniis gradus vacet, dum et optata consecuti et repulsi iustam lamentandi causam pre se ferunt: illi se deceptos hi se neglectos extimant. Sequere igitur Senece consilium: > ; "" quotiens vergente ad occasum sole umbras montium crescere conspicis,"' dic: « Nunc vita fugiente umbra mortis extendi tur; iste tamen sol cras idem aderit; hec autem michi dies irreparabiliter effluxit >>."2 Quis pulcerrima spectacula serene noctis enumeret, que, sicut male agentibus peroportuna sic bene agentibus devotissima pars temporis est; "' quamobrem non secus quam magister frigie classis, neque enim tutius fretus navigiis:•� media nocte consurgens
sidera cunta nota tacito labentia celo; "' que, dum ad occidentem festinare circumspicis, scito te cum illis impelli "6 nullamque, nisi in Eo, qui non movetur quique occasum nescit, superesse fidutiam subsistendi."' Ad hec,"8 dum tibi occurrunt quos modo pueros vidisti, ascendentes etatum gradibus, recordare te interim alio calle descendere eoque celerius quo secundiore natura fit omnis gravium ca sus.''9 Vetusta cementi menia succurrat in primis: « Ubi sunt, quorum illa congesserunt manus? ». Recentia tuenti: « Ubi mox futuri sunt? ».'20 ldemque de arboribus, ex quorum ramis sepe fructum non legit ipse, qui coluit ac plantavit."' In multis enim observatum est illud georgicum:
tarda vem't seris /actura nepotibus umbram.'22
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tuisci te a te stesso. Torniamo là donde siamo partiti: comincia a pensare dentro di te alla morte, alla quale a poco a poco ti awicini senza rendertene conto. Strappàti i veli e dissipate le tenebre, fissa in lei gli occhi. Bada che non passi giorno o notte che non ti faccia riflettere al giorno supremo, e solo a questo riporta tutto ciò che nella tua riflessione ti si presenta agli occhi o all'animo. Muta il cielo, la terra, il mare: cosa può sperare l'uomo, fragilissima creatura? La vicenda dei tempi compie i suoi corsi e ricorsi, e non si ferma mai: tu, se credi di poterti fermare, ti sbagli. Come bene dice Orazio: « Le rapide lune riparano i celesti danni; noi, quando cadiamo . . . ». Perciò ogni volta che vedi le messi estive seguire ai fiori di primavera, e il tepore autunnale agli ardori dell'estate, e la neve invernale alle vendemmie dell'autunno, ripeti allora a te stesso: « Tutto que sto passa per tornare piu e piu volte; io invece me ne vado per non tornare mai piu ». E tutte le volte che vedi allungarsi le ombre dei monti quando il sole tramonta, ripeti: >; e un uomo: « È a metà del giorno; è alle quindici » ; e un vecchio decrepito : >) . Ma già nella prima delle canzoni commentate nel Convivto, Voi che 'ntendendo, c'è il ripetuto invito a non aver paura di
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guardare negli occhi la donna-Filosofia. E nel II dell 'Inferno, per contro, là dove Virgilio spiega come e perché sia stato mandato in aiuto di Dante, è ripetutamen te sottolineato l'elemento della necessaria urgenza e tempestività dell'intervento salutifero (v. avanti, nn. 17 e 21). Sui rapporti tra questo proemio e la Commedia ha insistito molto G. MERCURI, in AA.VV., Letteratura Italiana, Storia e Geogra· fia. I. L'età medievale, Torino, Einaudi, 1987, pp. 333 ss. 7 Satis. . . oculis aspexisti: ancora un motivo boeziano (De consola/ione I 2, 6: « quod ut possit, paulisper lumina eius mortalium rerum nube caligantia terga mus »; ibid. I 6, 2 1 , ecc. ), del resto diffusissimo. Cfr. s. AGOSTINO, Conf II 2, 2: « exhalabantur nebulae de limosa concupiscentia carnis ... et obnubilabant atque obfuscabant cor meum, ut non discemeretur serenitas dilectionis a caligine libidinis »; ibid. II 3, 8: « et in omnibus erat caligo intercludens mihi, deus meus, serenitatem veritatis tuae », ecc., e già spesso CICERONE, Tusc. I 19, 45 e 26, 64; V 2, 6, ecc. Cfr. per es. del PETRARCA, Oralio quotzdiana, p. 397: « Aperi oculos meos ... terrenarum sordium nube caligantes » ; De Otto II, p. 802: « quemque nunc etiam caligantes oculos purgaturum spero . . . », e ancora, per il precedente accenno agli 'errori', Fam. XXIV l, 12: ; CXCVlii 5-6: >. Per il concetto, poi piu volte ripetuto, cfr. GUILLAUME DE ST. TIIIERRY, La lettera d'oro 2 1 2 (a cura di C. Leonardi, Firenze 1983, p. 208):
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Qui quando altius est quo nititur, tanto fonioribus exercittorum studiis exercendus est, et quae eum non perfundant, sed intinguant ... ». ' impendens periculum: la mone (come neUe ultime righe di questo stesso libro primo). Piu avanti (v. III n. 86): « horam monis... omnibus locis impen dentem ». Cfr. Testamentum, p. 1342: « mors ipsa . . . semper nobis impendet », e ancora De otio II, p. 7 1 4 ; Fam. VIII 4, 15, ecc., secondo il modeUo di CICERONE, De senectute XIX 67 e XX 74 , e De finibus I 1 8, 60 (Rico). Circa l'autoinganno, la falsa coscienza degli uomini, eh'è tema ricorrente nel dialogo, v. avanti, n. 29, con la cit., in panicolare, di Fam. II 4, 4 . 6 non summe... sanitatem: cfr. SENECA, Ad Lual. LXVII 4: « N o n s u m tam demens ut aegrotare cupiam ... ». Agostino comincia a porre le premesse deUa dimostrazione svolta neUa prima pane del dialogo e condotta sul fondamento deUa morale stoica, per cui solo la vinu produce la felicità, e solo la colpa produce l'infelicità (ancora con le parole di SENECA, Ad Luci/. LXX 15: « nemo nisi vitio suo miser est ))). 7 Vos autem ... nitimini: cfr. De olio II, p. 7 1 4: « Sed inviti homines hec audiunt, quibus natura insitum est animos, quantum possunt, ab amara et mesta cogitatione deflectere, et ea sibi fingere que delectant, non que cru cient. . . Qua in re innumerabiles faUuntur, sive - ut verius dicam - scientes et volentes delectabilem in errorem incidunt, et se se faUendi studio ultro inherent, nec nisi flentes et coacti a placitis, licet falsis, opinionibus eveUun tur. .. IUa maior periculosiorque dementia, quod nec conditione nature nec tot assidue exemplis inducimur ut de mone cogitemus; non credo quia prorsus monalitatis et imbecillitatis obliti simus, sed iuvat oculos avertere. . . >>. E Fam. II 9, 2: > (per l'Apollinis consilium, cioè il >, cfr. Epyst. II 3, 57 ss., ed. RosSETII, II, p. 306; Rer. mem. III 63; Fam. III l , 15). Cfr. avanti, II n. 22. • Quid caliginis: per questa metafora, cfr. proemio n. 7. • Quia qui. . . f rustrari: la discussione che segue, costruita attorno aUa tesi che una 'piena' volontà è in grado di liberare l'uomo daUe proprie miserie e di procurargli la felicità, si basa suUa lunga analisi che s. Agostino fa deUe insufficienze deUa propria volontà nei capp. 8 e 9 del l. VIII deUe Confessioni, e soprattutto suUe Tusculanae di Cicerone, specie nel l. V, ove si discute se la virtu basti da sola a dare la felicità. Sui limiti deUa volontà, e dunque sul fatto che non volendo compiutamente il bene si vuole di fatto il proprio male, è l'intera Fam. XVII 10, che Petrarca scrive il primo di gennaio 1354 a Giovanni d'Arezzo (par. 22: >. E BoEZIO, De consola/ione III 2, l ss.: >. Naturalmente, qui e là, si tratta di una nozione tutta morale di un indiviso 'sommo bene', e si polemizza contro chi l'intende - come fa qui Francesco come un materiale coacervo di singoli beni. 1 1 multi. . . miseri: per la conclusione, e il ragionamento che precede, cfr. CICERONE, Tusc. V IO, 29: > (cfr. ibid. 6, 1 5 - 16). Di nuovo, però, Francesco intende a rovescio (onde la successiva dura reprimen do di Agostino) , perché in tutta questa parte Cicerone mira a sgomberare il campo da una materiale considerazione di ciò che è bene e di ciò che è male: in altre parole, se quelli elencati sono ad ogni effetto dei mali, allora è chiaro che la virtu di per sé non basta a garantire il sommo bene della felicità; ma se la misura del bene e del male sta solo all'interno dell'uomo, non fuori di lui, allora è altrettanto chiaro che solo la virtu dà la felicità, e che il sapiente è, appunto, sempre felice ( Tusc. V 29, 83: , v. avanti, n. 19. 1 1 invitis.. nunquam: cfr. Fam. XXIII 12, l : >. E s. AGOSTINO, Con/ X 2 1 , 3 1 : > (e v. De beata vita II 10). " tertium ... fortune: cfr. CICERONE, Tusc. V 9, 25. " philosophice. . voces: in questo caso, appunto, le parole della morale stoica, fatte proprie dai filosofi cristiani. Cfr. Fam. XVII 10, 4 (già ricordata sopra, n. 9 ) : > (v. anche Fam. XVII 4, 1 3 : « dum animus in tuto si t, qui ut sanctis philosophisque visum est, nisi ipse se leserit ab altero ledi nequit >> : per Crisostomo e le sanctissime voces, v. Rico, p. 54 n. 39). Cfr. ancora s. AGOSTINO, De vera religione XXIII 44: « Quodcirca cum omnis anima rationalis aut peccatis suis misera sit, aut recte factis beata ... nullum malum est naturae universae, sed sua cuique culpa fit malum >>. '" Marco Tullio: Cicerone. Per la tesi stoica che identifica felicità e virtu costante per es. nelle epistole e nei dialoghi di Seneca - si vedano le nn. seguenti. " comequentùsimum.. recordaris: cfr. Fam. XXIII 12, 6: « Et profecto, si unum est bonum virtus et nichil est malum nisi quod oppositum bono est. cum vitium solum opposirum sit virtuti, nichil omnino nisi vitium malum est >> (queste parole seguono alla citazione di CICERONE, Tusc. II 2 5 , 6 1 : ma si veda
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la n. seguente, per il contesto polemico in cui la frase - che puntualizza la dottrina stoica - è inserita. Petrarca in effetti ammira la teoria, ma sperimenta su di sé che la pratica è tutr'altra cosa . .. ). Cfr. ancora Fam. II 4, 1 1 - 1 2; XI 3, 10; XV 7, 21, ecc. 18 ad stoicorum. . . quam usui: v. II nn. 99 e 142. Anche questo spunto, da Tusc. V 5 , 1 3 : « Tu, si quid es facturus, nova aliqua conquiras oportet; ista me minime movent non solum quia pervulgata sunt, sed multo magis, quia, tamquam levia quaedam vina nihil valent in aqua, sic Stoicorum ista magis gustata quam potata delectant >> . Ma si deve notare ancora che questa è ad ogni effetto la posizione vera di Petrarca, atrestato su una linea di moderazione 'peripatetica': si veda un passo di una lettera scritta nel 1353 a Niccolò dei Vetuli, vescovo di Viterbo, allora ammalato: « nec illu d dico quod nobilissimam familiam stoycorum affir mantem audio, dolorem corporis malum non esse; licet enim verbis probent, eo quod malum nichil proprie dicatur nisi quod oppositum sit bono, bonum autem solum virtus, cui non dolorem sed vitium consta t opponi, id tamen rebus probare difficillimum. ltaque vulgarius loqui placet et perypateticos audire qui dolorem malum putant sed non summum ... >> (Fam. XVI 6, 14- 1 5 ) . E, con questo, tutta la prima parte della Fam. XXIII 12 (citata nella n. precedente), diretta nel 1360 al vescovo di Genova Guido Sette, nella quale, a proposito dei dolori di cui quest'ultimo soffriva, Petrarca ricorda le teorie stoiche, e il celebre episodio di Posidonio visitato da Pompeo, raccontato da Cicerone nel secondo delle Tuscula llae. Anche qui si distingue, con esplicita durezza polemica, tra la teoria e la pratica (par. 7 : « Leve est autem, ut dixi, assidentem egro sanum disputare et opinionum angustias argumentorum flexibus ingredi ac sonantia eructare pro blemata ... >>) , e si conclude: « ergo viri constantiam illius [Posidonio] non tam facile assequor quam miror; et ad summam sic me invenio, ut sepe ratio stoica, sensus michi perypatheticus semper sit >> (par. 1 1 , e cfr. anche Fam. XI 3, 10 ss.). Piu avanti (v. II n. 142), sarà Agostino, questa volta, a trovare sufficiente la perypateticorum mitiga/io, con interessante gioco delle parti tra i due personaggi dialoganti, e con migliore definizione complessiva della personale posizione di Petrarca (per questo aspetro, v. l'Introduzione, e ancora II n. 94). 19 per vulgi... contendis: questa del disprezzo delle opinioni e costumi de > (Tr. Eternitatis 49) è una delle costanti piu marcate dell'ideologia petrarchesca. Cfr. per es. Fam. I 8, 22; II 2, 20; III 10, 7; VII 17, 10; X 3, 1 3 - 14; XIV 2, 7; XIV 8, 3 ; XIX 7, 3, ecc. I n Fam. II 4, 12-13 il rigetro delle opinioni volgari è inserito, come qui, in un discorso sul primato della volontà: « Qualis sis in tua potestate est... Eripe animum, discute tenebras errorum popularium >>, mentre in Fam. XIV 2, 7 l'affermazione che « vulgi . . . laus apud doctos infamia est •> (e cosi pure i n Fam. XXIV 12, 3 7 ) s'appoggia a CICERONE, Tusc. IV 3, 7. Ma cfr. anche SENECA, Ad Luàl. VII 1 2 : « !sta, mi Lucili, condenda in animo sunt, ut contemnas voluptatem ex plurium adsensio ne venientem », oppure De vita beata I 2-5: « Nihil ergo magis praestandum est quam ne pecorum ritu sequamur antecedentium gregem, pergentes non quo eundum est sed quo itur ... >>, ecc. Cfr. sopra, n. 12, e II nn. 76 e 201. 20 ceàs ductbus : Matth. XV 14: « caeci sunt et duces caecorum >> (anche in De vita solitaria l, p. 370, e Fam. IV 12, 28). Cfr. DANTE, Purg. XVIII 18: « l'error de' ciechi che si fanno duci >>, e Convivio I 11, 4. 21 Calcatum ... iter arripias: ancora un'eco di Matth. VII 13, esplicitamente citato all'inizio della Fam. VII 17, tutra sul motivo del 'bivio pitagorico', delle due strade, quella di sinistra, calcata e spaziosa, che porta alla perdizione, e quella di destra, stretra e poco percorsa, che porta alla salvezza. Cfr. avanti, con maggiore ampiezza, n. 57 e III n. 98 (e la precedente n. 19, in particolare per la cit. di SENECA, De vita beata I 2-5).
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" macte.. ad astra : VIRGILIO, Aen. IX 64 1 . Cosi Apollo saluta dall'alto Ascanio vittorioso. La cit. parziale del verso anche in Fam. VII 17 , 13, ricorda ta nella n. precedente (ma già in SENECA, Ad Luci!. LXXIII 1 5 ) . Per il motivo, cfr. SENECA ancora, De providentia V 1 1 e De const. sapientis I 2. " quod vitiorum . . . niterentur: questa distinzione tra la volontà e l'effettiva capacità di realizzare ciò che si vorrebbe è argomento della pr. 2 del !. IV del De consolatione (, a sottolineare d a u n lato l a comune condizione umana di partenza, e dall'altro l'attuale condizione di anima beata di Agostino. 26 testis. . . hec: la Verità, la cui muta testimonianza è altre volte invocata (cfr. III nn. 62 e 87). 27 quantisque cum lacrimis . . . sim : nelle ultime battute di questo l. I Agostino riprende a distanza queste parole, avendo spiegato perché l'anima > (v. n. 157). Cfr. Oratio quotidiana, p. 397: > (Rico: suo è il corsivo) . Cfr. R. V.F. CCCLXVI 1 13 - 1 16; Psalm. pent't. II 1 1 - 1 2. Per l'espressione, v. PROPERZIO, III 17, 6: > (e forse, anche per l'analogia con l'azione purificatrice del battesimo, DANTE, In/ XXVII 108 e Purg. XI 34). 28 nec fieri. . . qui noli/: alle citt. già addotte, per tale concisa formulazione s'aggiungano Fam. II 3, 3: . "' perversa quedam . . . in vita: v. sopra, nn. 5 e 7. E Fam. II 4, 4: >; Fam. Il 2, 6: > (sul punto, ancora Fam. XXI 12, 12: > (v. III n. 65 ) . Per l'espressione finale, si può forse ricordare DANTE, Ftore CXVIII 1 4 : > (e CLAUDIANO, De bello Gild. I 383: « prius astra Chaos miscebit Averno >>) . Sul tema, v. P. CAMPORESI, Il tema dell'Adynaton nel Canzoniere del Petrarca, in « Studi Urbinati >> , XXVI ( 1 952), pp. 195 -202 (e R.Ico, p. 62 n. 5 7 ) . " ambagibus: le ambages sono i giri viziosi, gli inutili andirivieni che ripor· tano al punto di partenza, come nel labirinto (VIRGILIO, Aen. VI 29-30: >, e v. ancora OVIDIO, Met. VIII 160- 1 6 1 , e STAZIO, Theb. XII 668, e R. V.F. CCXI 14 e CCXXIV 4 ) . In tal senso, sono analoghe ai devia vite, cioè ai torti sentieri dell'errore e del peccato. " Capillum vulsi, frontem percussi. . . : direttamente da s. AGOSTINO, Con/ VIII 8, 20: « Si volsi capillum, si percossi frontem, si consertis digitis amplexa tus sum genu . . . >>, ecc. Questa stessa citazione è anche in Fam. XVII 10, 15 e, con varianti, in De vita solitaria Il, p. 4 1 6. " amarissimis ... compievi: R. V.F. CCLXXXVI II l : « I' ò pien di sospir' quest'aere tutto �>. " idem.. mansi: parole simili, in un contesto affine, le ripeterà piu avanti Francesco, per se stesso (v. n. 1 1 1 ). " donec.. congessi/: continua la parafrasi/riassunto della conversione di s. Agostino, com'è raccontata nel L VIII delle Confessioni (ibid. 12, 28: « Ubi vero a fundo arcano alta consideratio traxit et congessit totam miseriam meam in conspectu cordis mei. .. » ) . " in alterum Augustinum: cfc. s. AG OSTI NO , De vera religione XXVI 48 e 49, sul « vetus homo, et exterior, et terrenus », la cui vita coincide con quella del corpo, e il « novus homo, et interior, et caelestis >>, che ha saputo rinascere interiormente e vivere di vita tutta spirituale. E v. tutta la prima parte di En. in Psalm. XXV (ove si commenta l'epistola di Paolo agli Efesini), e Con/ VIII 5 , I O cit. avanti, n. 62.
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" Novi equidem . . . non possum: vedi ancora s. AGOSTINO, Con/ VIII 12, 28, ove il santo racconta il momento culminante della sua conversione, nel giardi no della casa di Milano, nell'estate del 386 ( « Ego sub quadam fici arbore stravi me nescio quomodo et dimisi habenas lacrimis . .. >> ) . Le Confessioni erano state donate, in un piccolo volumetto di formato tascabile, da Dionigi da Borgo San Sepolcro al Petrarca probabilmente già nel 1333, a Parigi, ove il frate agostiniano insegnava filosofia e teologia all'Università (a lui Petrarca racconta dell'ascensione sul Ventoso, e come, giunto sulla cima, avesse aperto proprio quella copia delle Confessioni: « visum est michi Confessionum Augu stini librum, caritatis tue munus, inspicere; quem et conditoris et donatoris in memoriam servo habeoque semper i n manibus: pugillare opusculum, perexi gui voluminis sed infinite dulcedinis »: Fam. IV l , 26). Quarant'anni dopo, nel 1374, l'anno stesso della sua morte, Petrarca donava il volumetto a un altro agostiniano, padre Ludovico Marsili, accompagnandolo con la Sen. XV 7 : « Libellum tibi, quem poscis, libens dono donaremque libentius, si esser qualis erat dum eum adolescenti mihi donavit Dyonisius ille... sed ego cum et natura forsitan et aerate lune vagus, quod mihi periucundus et materia et auctore et parvitate sua pugillaris esser atque ad ferendum habilis, saepe per omnem ferme ltaliam Germaniamque circumtuli, ita ut iam prope manus mea at liber unum esse viderentur, sic inseparabiles visu perpetuo facti erant >> (v. NoLIIAC, II, pp. 194-195, da cui il testo è trascritto: nell'ed. di Basilea, il passo è a p. 1039). Sulle Confessioni, v. ancora la Sen. VIII 6, e De olio II, p. 802, ove, secondo fuco, p. 76, si alluderebbe anche al proposito di scrivere il Secretum : >. '" nec enim . . . meruisti: si riferisce all'incoronazione poetica, che ebbe luogo a Roma, in Campidoglio, 1'8 aprile 1 3 4 1 (secondo la data vulgata: ma c'è qualche incertezza circa il giorno), sotto il patrocinio di re Roberto d'Angiò che precedentemente, in Napoli, per tre giorni aveva esaminato Petrarca, giudicandolo infine degno di ricevere la corona d'alloro che gli era stata offerta dal Senato romano (cfr. Fam. IV 2). Il resoconto della giornata è soprattutto in Fam. IV 7 e 8, e nell'Epystola II l, diretta a Giovanni Barrili (in RosSETTI, II, pp. 96-104). Nell'occasione, Petrarca lesse un'orazione preparata da qualche mese, in un passo della quale si accenna, come qui, ai vari tipi di corone poetiche: >, cfr. 1',, amoroso coro >>, cioè il coro dei poeti d'amore, in R. V.F. XCIII 6. Agosti no tornerà piu avanti a parlare dell'incoronazione: per ciò, v. III nn. 139-144. '9 in porlum ... revertenti: cfr. Epysl. I 14, ad seipsum, 1 1 8-1 19: « Vixisti in pelago nimis irrequierus iniquo: l in portu morere ... >> (ma per l'espressione e la sua fonte - Seneca - v. avanti, n. 126). La metafora, di origine classica, è frequentatissima, per non dire continua, in tutto Petrarca, e tornerà qui piu volte, a cominciare, poco sotto, dalla risposta di Francesco (e v. avanti, nn. 123-126). A mero tirolo d'esempio, cfr. R. V.F. LXXX; CLI 2; CLXXXIX 14; CCXXXIV l ss.; CCLXXII 12; CCCLXV IO; Tr. Pudiàtie 5 1 , ecc.; Fam. IV l, 19; IV 12, 30 ss.; VIII l , 9; IX 5, 22 (con rinvio alla fonte: TERENZIO, Andria 480); IX 14, 2; XV 8, 5; XV1 10, 2, ecc., e spessissimo ancora,
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naturalmente, nei versi latini. Per i precedenti, tra le varie occorrenze di Dante, vedi in particolare Convivio IV 28, 2 ss., ove si cita CICERONE, De senectute XIX 7 1 : >. Nelle note al passo del Convivio Vasoli rinvia anche a Gregorio Magno, s. Agostino e Bernardo di Clairvaux. Cfr. ILIESCU, Il Canzoniere petrarchesco, pp. 122- 123; RICO, p. 346 n. 330, e v. avanti, n. 52, con la cit. di s. AGOSTINO, En. in Psalm. LXIV 3, 12-19 (ma qui ancora, LXXVI 20, 29-32, sinteticamen te: « Per similitudinem autem ipsa terra mare est. Quare? Quia gentes omnes maris nomine nuncupantur, quod vita humana amara est et proceUis ac tempe statibus subdita >> ) . E si veda in particolare il saggio di H. Blumenberg citato in II, n. 266. >u mens. . . inanes: VIRGILIO, Aen. IV 449, dove fermo è il proposito di Enea di partire, e inutili le lacrime di Didone e della sorella che cercano di trattener lo. Mentre da qui appare che il Petrarca intendesse che « le vane lacrime fossero dello stesso Enea >> (Carrara) . Ma il R.Jco, p. 66 n. 62, segnala come già nel De civitate Dei IX 4, 3 s. Agostino citasse il verso di Virgilio, interpretan dolo come poi Petrarca. " quanta. . . tenentem: cfr. sopra, n. 49. '2 quale quale. . . peregrinationù historiam: è il momento della massima identi ficazione con Agostino (cfr. proemio nn. 16 e 20). La fluctuatio è termine agostiniano piu volte usato da Petrarca: cfr. De otio II, p. 7 1 8 e p. 802 (citato sopra, n. 47) e Fam. II 9, 17 (e v. avanti, n. 154). In contesto amoroso, il contrasto tra speranza e timore è un luogo comune dei R. V. F. : v. CXXXIV 2; CLXXXII 4 ; CCLIV 4 ; CCLVIII 1 3 , ecc. Per laperegrinationù bistorta, cioè la storia dell'erro re, deUa sofferta e contraddittoria vicenda terrena, cfr. Fam. IV l, 1 3 : « vita guam beatam dicimus, celso loco sita est; arcta, ut aiunt, ad illam ducit via. Multi quoque coUes intereminent et de virtute in virtutem preclaris gradibus ambulan dum est; in summo finis est omnium et vie terminus ad quem peregrinatio nostra disponitur >>. E s. AGOSTINO, En. in Psalm. LXIV 2, 52-58 e 3, 12- 19 (in una con la metafora marinata - v. sopra, · n. 49 - e la fluctuatio dell'anima) : « Iam desiderio ibi sumus [nella Gerusalemme celeste], iam spem in illam terram quasi anchoram praemisimus, ne in isto mari turbati naufragemus. Quemadmodum ergo de navi, guae in anchoris est, recte dicimus quod iam in terris si t, adhuc enim lluctuat, sed in terra quodammodo educta est contra ventos et contra tempesta tes, sic contra tentationes huius peregrinationis nostrae, spes nostra fundata in illa civitate Ierusalem facit nos non abripi in saxa >>. Ancora, ibid. LXXVI l, l ss., e 4, 5-6: « Hic enim amat patriam supernam, ut terrena peregrinatio ipsa sit maxima tribulatio >>; CXVIII 8, l, ecc. (e PETRARCA, Sen. IV 5, p. 872: « Omnes enim exules sumus ac peregrini . . . >>) . " nimium ... amittitur: Fam. I 7 (contra senes dyalecticos), 3: « Cum his [i 'dialettici']. ut dixi, suo more contendere temerarium est, quippe qui summam voluptatem ex contentione percipiunt, quibus non verum invenire propositum est, sed altercati. Atqui Varronis proverbium est: - Nimium altercando veri las amittitur - >>. La Familiare citata è stata scritta nel 1350, vicina dunque al Secretum (e, si può aggiungere, aUe polemiche annotazioni contro i 'dialettici' e gli scolastici del tempo che Petrarca appose con speciale durezza sui margini del suo codice di Quintiliano: v. NOLIIAC, Il, p. 89; BILLANOVICII, Petrarca letterato, pp. 47 - 5 5 , e ora soprattutto l'ed. completa di tali annotazioni a cura di M. ACCAME LANZILLOTIA, in « Quad. petrarcheschi >>, V , 1988, pp. 1-20 1 . E v. avanti, n. 78) . Queste precisazioni cronologiche permettono di porre un pro blema sin qui non risolto: nei Rer. mem. III 91 (e dunque, 1343 - 1 345) e nel
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tardo De sui tpsius et multorum ignorantia, p. 1096 (e dunque, 1 3 6 7 ) . la massima nella lettera e nel Secretum attribuita a Varrone (non può infatti essere altri che lui il doctirsimus del dialogo) è data invece, correttamente, a PubWio Siro, cosi come facevano le fonti: MACROBIO, Sat. Il 7, 10- 1 1 e AuLO GELLIO, Noci. Att. XVII 14. Perché mai Petrarca si sia allontanato da queste fonti dopo il 1344 circa, e perché ad esse sia tornato al tempo del De sui ipsiur. . . , sin qui non si è riusciti a spiegarlo. " velle parum est. . . oportet: Ovmto, Ex Ponto III l , 35. La stessa citazione in Fam. IV l, 13, a proposito della vita beata (v. sopra, n. 52), dopo la quale, rivolgendosi a se stesso, Petrarca continua: � Tu cert e - nisi, ut in multis, in hoc quoque te fallis - non solum vis sed etiam cupis. Quid ergo te retinet? >> , ecc. Cfr. De remediis II 104, p. 193: « Velle non sufficit, desiderio opus est, eoque non modico, sed vehementer >> (MARTINELLI, Il 'Secretum' conteso, p. 39 n. 46). Dopo la parte dedicata con stoica consequenzialità al problema del velle, si torna qui ai contenuti delle prime battute tra Agostino e Francesco, dove già era questione del summe o vere et piene cupere, del lo/a mente desiderare, del desiderium vehemenr, ecc. Ciò comporta (analogamente a quanto già osservato circa il passaggio vitiumlpeccatum: v. sopra, n. 3 3 ) un'inflessione piu decisamente reli giosa, che emergerà meglio nelle pagine seguenti, dedicate alla medita/io martis. In ogni caso, per la differenza che corre tra il piano stoico del velle e quello cristiano del cupere, v. soprattutto Lattanzio, che con gli stoici appunto polemiz za perché � pro cupiditate substituunt voluntatem, quasi vero non multo sit praestabilius bonum ,upere quam velle >> (Divin. lnrt. VI 15, 10; e cfr. IsiDORO, Dt// I 583, in Patr. lat. LXXXIII 67 c: « Inter volo, et opto, et cupio. Volo minus est quam opto, opto minus est quam cupio »: le citt. in MARTINELLI, Il 'Secretum' conteso, p. 39 e nn.). Anche per Agostino una volontà particolarmente veemente meriterà di essere definita come 'desiderio': per ciò, v. avanti, n. 137, e ora, soprattutto, il vol. di R. BonEI, Ordo amoris, Bologna, Il Mulino, 199 1 , parsim . " conràentiam . . . penratrix: è tipicamente agostiniano questo richiamo all'in teriorità della coscienza (De vera religione XXXIX 72: � noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas... >>, ecc.). Cfr. Fam. XIV l, 1 5 : « Verum nota res est non egens testibus procul accitis; quisque dolorum a c laborum suorum conscientiam propriam testern habet ... >>, e Fam. XIX 1 1 , 4 : >. E CICERONE, Tusc. II 26, 64: « nullum theatrum vinuti conscientia maius est >>. Cfr. pure, per il motivo, SENECA, Ad Lual. XXVIII 18: « quantum potes te ipse coargue, inquire in te; accusatoris primum panibus fungere, deinde iudicis . . . >>, e cosi poi IsmORO, Synon. I 34: >, e GutLLAU ME DE ST. THIERRY, La lettera d'oro 107, p. 102, rivolge lo stesso invito ai monaci della certosa di Mont-Dieu: >; ibid. LII 3: « ... et hoc multum est, velle servari >>. Cfr. De remediis I 1 19, p. 120: ( Carrara). Ma il RICO, p. 80 n. 93, preferisce pensare a qualche passo di s. Agostino, là dove afferma che solo Dio va amato per se stesso (De doctrina cristiana I 22, 20; De civitate Dei VIII 8 e XIX l , ecc. ) . In tale senso, la 'sentenza' sarebbe ben speculare all'altra, che condanna l'amore per la creatura e non per il creatore: v. avanti, a proposito dell'amore per Laura, III n. 84. '" frenum rationis: è un'espressione topica che ricorre piu volte (v. avanti, nn. 85, 1 1 6 e 132; II n. 84 e III n. 24) . Cfr. Africa V 197: « rationis spernit habenas »; Fam. VIII 7, IO: ; Fam. XVII 3, 19, con la ci t. di CICERONE, De o//iciis I 26, 90: - l'altro grande motivo: la natura divina della ragione, che fa si che l'uomo, essendone dotato, sia stato creato a immagine di Dio (cosi infatti, con riferimento appunto alla ragione, gli antichi esegeti della Bibbia hanno spiegato Gen. I 26-27). Per ciò, v. Fam. XII 14, 6: > (ma per questa espressione, v. avanti, n. 139). E SENECA, Nat. quaest., praef 14: >. In generale, cfr. ancora s. AGOSTINO, En. in Psalmos XXIX 2 : > (e anche Con/ XIII 32, 47 ) . "" a d illam vitam suspiret: Agostino riprende e precisa l ' « a d feliciora suspi ro >> di Francesco (v. sopra, n. 60). " ratione superauctus: in quanto, liberata dal peso del corpo, la ragione ne sarà potenziata e coinciderà totalmente con la propria essenza divina. "" sed que. . . hereant: cfr. sopra, nn. 4 e 64. S. Agostino, nelle Confessioni, fornisce un esempio personale di una tale superficialità di emozioni, raccon tando come da giovane gli piacesse il teatro tragico: >; CICERONE, De oratore II 87, 3: « acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus esse sensum videndi: quare facillime animo teneri posse ea, guae perciperentur auribus aut cogitatione. si etiam oculorum commendatione animis traderentur >> (e cfr. ibid. III 40, ove il discorso è rifatto a proposito dell'efficacia delle metafore). Cfr. anche Fam. XXIII 10, 5 e De olio II, p. 708, dopo una serie di esempi antichi sul tema della mone: « Sed efficacius animum tangunt exempla que vidimus » (e, infine, s. GEROLAMO, Epist. LXIV 10: " multo . . . plus intellegitur quod oculis videtur, guam quod aure percipitur »l. " que. . inimica est: è motivo frequentissimo in Petrarca. Cfr. Fam. II 10, 3-4; IV 7, 6 ss.; VII 4, 4; VII 14, 4 ; X 4 , 23; XVI 4 , 4; XVIII l , 1 1 ss.; XVIII 5, 4; XVIII 12, l; XXIV 4, 1 1 ; XXIV 6, 2; XXIV 8, 3, ecc.. e la Sen. X 2, tutta su questo tema (in Prose, pp. 1090- 1 1241. V. avanti, II n. 200 e III n. 232. "' il/a consuetudo ... intersint: il fuco, p. 90 n. 126, ricorda le due visite del Petrarca alla certosa di Momrieux. nel 1347 e nel 1353, dov'era il fratello Gherardo, che si era fatto monaco nell'aprile del 1343. Qui egli poté forse
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verificare quello che prescrivevano gli Sta/uta Ordinis Carthusiensis: quando un monaco moriva, tutti avrebbero dovuto presenziare e pregare e cantare, mentre il cadavere veniva lavato e vestito ( « interea defunctus abluitur et induitur >>) . Tale pratica doveva però essere diffusa anche presso altri ordini: per la questione, v. anche MARTINELLI, Il 'Secretum' conteso, p. 177 e nn. Ma le parole del Petrarca possono alludere a qualcosa di piii preciso: nel gennaio o febbraio del 1353 egli scriveva al fratello, raccontandogli come avesse saputo da due monaci certosini del suo eroico comportamento quando la peste aveva colpito anche il suo convento, uccidendo trentaquattro monaci e lasciando lui solo superstite (Fam. XVI 2, 6-7: « Illud addebant te nullo morbi contagio deterritum, astitisse fratribus tuis expirantibus et suprema verba atque oscula excipientem et gelida corpora lavantem, sepe uno die tres plures vel tuis manibus indefesso pietatis obsequio sepelisse et ex portasse tuis humeris . . . >>) . 96 nil morte. . . incertius: Fam. II I 8, 6: >, come in Fam. XXII 12, 12. V. pure De olio II, p. 750; Sen. XVII 3 (la versione latina della novella di Griselda, Decameron X 10), in Opere latine, p. 1 3 14; Testamentum, p. 1342; Sen. X 4, p. 97 1 ; Africa VI 895-897. Dato il contesto, ha probabilmente ragione il Rico quando afferma (p. 91 n. 128) che Petrarca qui non intende rinviare ad alcuna autorità, ma piuttosto all'uso comune di tale formula, che era solita comparire, per es., nei testamenti. 97 Pretervolanl... inszdent: cfr. sopra, n. 4. . 98 Signum tamen ... interblandiar: cfr. Fam. VII 12, 1 -2, piangendo la morte di Franceschino degli Albizzi (v. sopra, n. 70): > . Per l'autoinganno e il compiacimento nel peccato, cfr. Psalm. penz't. VII 15: « Ne quando extollar inconsulte et michi de me mentiar » (ma v. già n. 29), e ibid. I 19: > . Cfr. s. BERNARDO, Sermo XII (cit. sopra, n. 3 ), col. 522: >. 1 06 eaque tam. . . consurgam: cfr. come Petrarca descriva nell' Epyst. I 6, 129 ss. l'irrompere notturno dell'immagine di Laura: >. 107 quid ago. . . reseroat: Francesco riprende le prime parole che Agostino gli ha rivolto all'inizio del dialogo, e il fatto che ora siano diventate parole sue è un efficace segno del percorso che egli ha frattanto compiuto. Cfr. Epyst. I 14, ad seipsum, 1-2: , ecc. V. anche Fam. XXIII 12, 20: >. Ma si vedano soprattutto i vv . 122-137 dell 'Epyst . I 14, ad seipsum, e ancora, per il motivo dell' eripe me, i testi petrarcheschi elencati dal R:tco, p. 100 n. 155 ( Oratio quotidiana, p. 398; Epyst. I 6, 152- 155; Psalm. penit. I 27 e III 7; Sen. XVI 8, p. 106 1 ) . E ancora R. V.F. CCXIV 28-29: >. 1 1 1 nil irta . . . prius: Francesco riprende ancora cose già dette da lui, quan-
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do, nella prima parte del dialogo, aveva dichiarato che tante lacrime versate non gli erano servite a nulla, e da Agostino, che di sé ha detto: « ille qui fueram mansi » (v. sopra, nn. 39 e 44). Ma di nuovo, la ripetizione è fatta (in modo oltre tutto abilissimo) per marcare la distanza tra l'iniziale sordità di Francesco e l'intima compromissione che ora finalmente lo scuote e lo mette in crisi. Per la formula ; Prov. XIV 1 3 : « Risus dolore miscebitur et extrema gaudii luctus occupai ». Cfr. R. V.F. LXXI 87-88: >. Per l'invocato aiuto divino, v. sopra n. 108, e cfr. s. AGOSTINO, En. in Psalm. XXV 4, 28-29: « Evigilante Christo, iam tempestas illa non qu�tiet cor tuum, · non opplebunt fluctus navem tuam ... », ecc. 127 Quis enim. . . statim moriar: anticipa il motivo che sarà ripreso e ampia mente sviluppato nel !. II, sulla base di una citazione di Giovenale (v. II n. 72). Il Rico rimanda a un passo del De remediis, I 90, p. 91, in cui una frase simile va assieme, come qui, alla metafora della vita come tempestosa navigazione. 12" iamiamque presentibus: v. sopra, n. 102. 1 29 loquimur. . . mors est: non c'è lettera o altra opera di Petrarca che conser vi questi versi, che hanno dunque fatto pane di qualche scritto giovanile rifiutato dall'autore. Cfr. ORAZIO, Od. I 1 1 , 7-8: « Dum loquimur, fugerit invida l aetas >> ; OviDIO, Amores I 1 1 , 15: � Dum loquor, hora fugit » (e R V.F. LVI 3 : >. Come si vede, in Cicerone l'ordine della partizione è rovesciato, perché in lui precede la distinzione fatta dal punto di vista del ( presunto) bene e del (presunto) male, onde, con le parole di Virgilio, si avrà da una parte la coppia gaudium l cupiditas, e dall'altra dolor l metus: mentre, rispetto a ciò di cui si gode o si soffre nel presente, oppure si desidera o si teme nel futuro, si avranno le coppie gaudium l dolor e cupiditas l metus. In Petrarca, appunto, questo accoppiamento e distinzione fatto su base temporale occupa invece il primo posto - e ciò è senza dubbio significativo della sua speciale sensibilità. Cfr. pure s. AGOSTINO, Con/ X 14, 22: > (Dotti). Al proposito, l'ILIESCU, Il canzoniere petrarchesco, pp. 76-77, ricorda R. V.F. XXXII l in particolare, I l : . Ma cfr. soprattutto l'ampia ripresa del tema nell'ultima parte della prae/atio al De remedizs, p. 6. '" illud apostolicum . . . multa cogitantem: sono parole bibliche di Sap. IX 15, che Petrarca attribuisce per errore a s. Paolo, forse perché in s. AGOSTINO, De civitate Dei XIV 3, appena prima della citazione virgiliana già considerata (v. n. 139), sono riferite di sèguito a una citazione da II Cor. 5 , l !Carrara ). Nel secondo libro del De olio, p. i20, la citazione è presente, ma questa volta con l'esatta indicazione della fonte l« cum eodem ilio Sapientie tractarore quem Philonem Hebrei opinantur >> ): del resto anche s. Agostino la ripeteva nel De civitate Dei, XIX 4, 2 - ancora in un contesto ricco di rimandi paolini dichiarando questa volta esplicitamente la fonte l« sicut legimus in veraci Libro Sapientiae ... >> : non la dichiara invece nel De vera relr�ione, XXI 4, e in En. in Psalm. XLI I O ) . Questo vistoso lapsus costituisce, per il Marrinelli, la prova piu sicura che il Secretum precede il De olio, e in definitiva che la data tradizionalmente accettata per il dialogo rimane quella giusta, in polemica con le tesi del Rico. Il quale, sul punto, ha però abbondantemente risposto (ma per tutto ciò, v. ]'Introduzione). "2 Congloba ntur ... varie/ate mort1jera: tutto agostiniano è questo motivo dei phantasmata , delle proliferanti immagini terrene che riempiono l'animo e lo agitano e lo tormentano, rendendolo incapace di trovare la via della meditazio ne pura. Cfr. Con/ VII l, l: « Clamabat violenter cor meum adversus omnia phantasmata mea, et hoc uno ictu conabar abigere circumvolantem turbam
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immunditiae ab acie mentis meae; et vix dimota in ictu oculi ecce conglobata rursus aderat et irruebat in aspectum meum et obnubilabat eum . . . » (e ancora per es. Soli!. II 20, 35 ) . Ma al proposito è da vedere soprattutto il De vera religione, che Francesco, infatti, qui appresso subito ricorderà. In questa opera il tema è continuamente presente, si che fitta è la rete dei rimandi possibili, sin dai primi capitoli: v. III 3; X 1 8 (>) ; XXXIV 63 ; XXXV 65 ; XXXVIII 69; XXXIX 73; XLIX 95 (« redeuntibus nobis ad investigandam veritatem, ipsa [phan/asmata] in itinere occurrunt, et transire non sinunt . . . »); L 9 8 ; LI 100; LIV 1 05 ; LV 1 0 7 , ecc. Petrarca coglie assai presto i l motivo, e già nel giugno 1335, neii ' Oratio quotidiana che egli scrive proprio su un foglio del codice di sua proprietà in cui leggeva il De vera religione, l'attuale Par. lat 220 1 , cosi invoca Cristo: « Obrue acies fantasmatum quibus obsideor . . . » (ed. Delisle, p. 398: per il codice, v. avanti, n. 1 44). Ma lo riprende soprattutto dodici anni piu tardi, qui nel Secretum, e, in modi molto simili, nel De olio (l, pp. 584 e 668, e i n particolare Il, pp. 746 ss. ) . S f che i l Rico, che ha ricostruito tutta la vicenda, conclude persuasivamente che « la concentraciòn en el motivo de los phantasmata y la similitud o complementariedad en su tratiamento permiten conjecturar que el Secretum y el De olio religioso . . . responden a un mismo periodo de interés por el De vera relzj,ione: periodo que debe situarse hacia 1347 » ( p. 1 13 ) . '" Huius . . . meministi: v . la n . precedente. '" In quem librum.. cuptdissime perlegi: quanto queste righe affermano non corrisponde a quello che si sa circa l'incontro del Petrarca con il De vera reli[!.ione. Assai presto egli possedette un codice - il citato Par. lat. 2201 che recava il De anima di Cassiodoro e il De vera religione come due parti di un' unica opera di un santo sconosciuto, intitolata De beata vita: e fu proprio Petrarca a distinguerle e ad assegnarle ai loro autori. Il testo porta i segni di questa progressiva acquisizione (il titolo dell'opera agostiniana fu dapprima corretto in De beala vita et de vera religione) e conserva una lunga serie di annotazioni, per lo piu brevi, distribuite negli anni, dal 1335 (quando, abbia mo visto, su quel codice fu trascritta I'Oratio quotidiana) in avanti. Il Rico, che ha ricostruito in maniera esemplare tutta questa vicenda, sottolinea sia nel suo contributo specifico (Petrarca )' el 'De vera religione', pp. 349 ss. ), sia nella 'lettura' del Secretum, pp. 1 1 3 - 1 1 4, la /alsedad di Petrarca (« nuevo testimonio de que no cabe tornar en serio la declaraciòn de ser el Secretum escrito no destina do al publico »), evidente nel voler far credere di essersi imbattuto nel testo di s. Agostino solo negli anni in cui è posta l'azione del dialogo, tra il 1342 e il 1343. In polemica con lui, in alcune pagine dedicate alla questione, il BARON, Petrarch 's 'Secretum', pp. 202-208, nega tale falsità, in nome, da un lato, del tempo che fu necessario al Petrarca per riconoscere nel testo che aveva tra le mani proprio il De vera religione - e si arriverebbe cosi, secondo lo studioso, al 1337- 1338 - , e dall'altro, del valore assai elastico che in Petrarca ha il nuper ( « ... nuper incidi » ) , che può arrivare benissimo a coprire un arco di cinque anni, quanti appunto occorrono tra il '37 e il '42. Ma, se è forse inopportuno parlare di vera e propria falsità, è però vero che qualche forzatura esiste, anche se è probabilmente inevitabile che l' impostazione stessa del dialogo poni Petrarca a rilevare fortemente e a isolare l'incontro con s. Agostino. Ma si tratta di una forzatura programmatica, per dir cosi, e coerente con altre dichiarazioni, perché Petrarca con il passare degli anni ha sempre piu
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sottolineato l'eccezionalità di tale incontro e - con quello di altri padri della Chiesa - la sua contrapposizione a una precedente fase 'classica', anche se ciò è puntualmente smentito non solo dal caso specifico delle Confessioni agosti niane (v. sopra, n. 47), ma an�he da quanto si va apprendendo sulla sua biblioteca giovanile, nella quale i testi patristici furono assai presto presenti, insieme agli altri (ma spesso codici acquistati precocemente paiono essere stati da lui attentamente meditati e postillati piu tardi). Sulla questione, che investe il complesso nodo della scansione intima dell'esperienza petrarchesca, v. per esempio De otio II, pp. 802-804, e le Sen. VIII 6 e XV 7, pp. 928-929, e 1038-1039. Circa i filosofi e i poeti, sembra che Petrarca riprenda qui quanto già aveva serino nel 1336(?), rispondendo a Giacomo Colonna, che dubitava, tra l'altro, della sua infatuazione per le opere di s. Agostino: « Dicis me... Augustinum et eius libros simulata quadam benivolentia complexum, re autem vera a poetis et philosophis non avelli » (Fam. II 9, 8: e piu avanti, nella stessa lettera, è citato proprio il De vera religione). "' baud a/iter... àrcumspiàt: la similitudine riporta alla curiosità con la quale Petrarca dice di essere entrato la prima volta in Parigi, nella primavera del 1 3 3 3 : « Ira enim solicito stupore suspensus et cuncta circumspiciens, vi dendi cupidus explorandique vera ne an fiera essent que de illa civitate audie ram . . . » (Fam. I 4, 4) (Dotti). La fonte di tale immagine è in APULEIO, Met. II 1-2, come ha precisato, a proposito della lettera, S. Rizzo, negli Studi in onore di G. Billanovich, Roma, Ed. di Storia e Lett., 1984, II, pp. 605 ss. Cfr. anche De olio II, p. 804, ove racconta come guidato soprattutto da Agostino, ma pure da Ambrogio e Girolamo e altri padri della Chiesa, egli sia finalmente entrato nel territorio delle Sacre Scritture: « ita hoc pulcerrimo comitatu Scripturarum Sacrarum fines quos ante despexeram venetabundus ingredior et invenio cunta se aliter habere quam credideram », ecc. Ancora, per l'immagine del peregrinare fuori dalla patria attribuito alla lettura di testi sacri, si deve ricordare la famosa lista dei libri mei peculiares, trascritta nel 1335 sull'ultima pagina del codice del De vera religione, il piu volte ricordato Par. Lat. 2201, in testa alla quale figura la frase: « Ad religionem non transfuga, sed explorator, transire soleo » (da SENECA, Ad Luàl. II 4: « Soleo enim et in aliena castra transire, non tamquam transfuga, sed tamquam explorator »). Si ricordi tutta via che ULLMAN, Petrarch 's favourite books ( 1923), ora in Studies . .. , Roma, 1973, pp. 1 1 3 - 1 33, legge reliquos, non religionem. La ripresa, qui, è dunque assai fine, perché punta il dito su uno dei poli dialettici del dialogo e rinvia al suo necessario rovescio, cioè al giusto rapporto tra pensiero classico e pensiero cristiano, e alla 'vera' patria alla quale Agostino richiama Francesco (« Hac iter est in patriam >>, dirà alla fine: v. III n. 432). Ancora per quell'immagine, cfr. Fam. XXII 2, 1 1 : « et legi raptim, propere, nulla nisi ut alienis in finibus moram trahens ». 1 46 Atqui. . . decuit: cfr. De olio l, p. 586 (a proposito di VIRGILIO, Aen. VI 652-65 5 , e di s. AGOSTINO, De vera religione LIV 104): « quam sententiam Augustino, utcumque aliis licet verbis qualia pium et catholicum virum decent, astipulante firmatam cernitis. . . >>. 147 platonicam ac socraticam: proprio all'inizio del De vera religione, infatti (II e III), Socrate e Platone sono ampiamente ricordati come i filosofi che piu si sono avvicinati alla verità del cristianesimo, anche se con gravi riserve, sulle quali Petrarca qui sorvola (per una sorta di matrice platonica del tema di fondo del De vera religione - v. avanti, n. 149 - cfr. per es. De sui ipsius et multorum ignorantia, p. 1098). Il Rtco, p. 1 14, ha messo bene in rilievo questo scambio delle parti, per cui in bocca di Francesco è posta l'esaltazione di un testo sacro, e in quella di Agostino quella dei filosofi pagani, « en que Petrarca
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simbolizaba, dramatizandola en el intercambio de los personajes, la concordia perpetuamente posible de pietas y sapientia >>, ecc. Il che mostra ancora una volta quanto sia abilmente costruito il rapporto di complementarietà che lega i due personaggi del dialogo, e quanto ne guadagnino le loro rispettive 'verità'. 148 ex paucis... consurgeret: questi pochi ma potenti semi si contrappongono ai molti e sterili di poco avanti (v. n. 1 5 3 ) . Per il concetto, v. DANTE, Par. I 34: « Poca favilla gran fiamma seconda ». 149 Nichil.. . abducere: CICERONE, Tusc. I 16, 37-38. In un appunto proemia le sul cod. del De vera religione il Petrarca già aveva scritto, tra il 1335 e il 1337: « Ingredienti libri huius materiam prodesse poterit plurimum sententiam illam habere pre oculis, quam etsi non cristianus, in ceteris tamen magnus et singularis vir, Cicero scripsit in Tusculano, libro I, errores temporum suorum perosus, bis verbis: - Nichil enim animo . . . », ecc. Nel primo libro del De vtla solitaria, dunque attorno al 1346, ripete la citazione, awertendo ancora che Cicerone « Cristum certe non noverat », e allega il De vera religione, che sarebbe appunto tutto dedicato, a parer suo, al tema messo a fuoco nelle Tusculanae ( « cum Augustinus ex hoc maxime librum Vere religionis michi texuisse videatur >> : p. 328). Anche in questo caso sembra che abbia ragione il R.ico, pp. 1 17 ss., nel suggerire un percorso che dall'appunto piu antico passa per il De vzta solitaria e approda all'eccezionale tessitura di questa pagina del Secretum (dove non è p ili il caso di sottolineare che Cicerone parlava in tal modo, pur non essendo cristiano) . Assai tardi, nel 1373, il passo ciceroniano è ricitato ancora nell'Invectiva contra eum qui maledixit ltalie, p. 1 166. Per il motivo del 'vedere con gli occhi della mente' nel De vera religione, cfr. III 3 ; XVI 30; XXX 5 5 ; XXXI 5 7 ss . ; XXXV 65; XXXIX 72, ecc. I>O est enim . . inest: Fam.VI 4, 1 : « Exemplis abundo . . . quibus, nisi fallor, cum delectatione insit autoritas » . '" multisque. . . oppressus: R. V.F. CLII 9- 10: « Non p ò p i u l a vertu &agile et stanca l tante varietati ornai soffrire. . . ». "2 tempus. . . manus: v. il > della virtu contro i vizi di cui parla s. AGOSTINO, De civitate Dei XIX 4, 2-3 (in un passo già ricordato sopra, n. 1 4 1 ). Ma il i. VIII delle Confessioni, insieme alla Fam. XVII I O - testi entrambi già piu volte citati - sarebbero qui da allegare largamente: per ciò, v. R.ico, p. 120 n. 2 15 . Di s. AGOSTINO si veda anche En. in Psalm. CXLIII 5, l ss.: « Hoc enim unum proelium; alterum autem unicuique in seipso. Modo genus hoc belli ex apostolica epistola [Gal. V 17] legebantur: - Caro concupiscit adversus spiritum et spiritus adversus carnem, ut non ea guae vultis faciatis -. Et hoc grave bellum, et quod est molestius, internum >>. '" illaque anime... declinai: in generale, con i testi indicati nelle note prece denti, si può ricordare OVIDIO, Mel. VII 20-2 1 : >, e, meglio, s. PAOLO, Rom. VII 19: « Non enim quod volo bonum, hoc facio: sed quod nolo malum, hoc ago ». In particolare, qui Agosti no usa le stesse parole già impiegate da Francesco, per rimenerlo dinanzi alle sue responsabilità: « quantis ... cum lacrimis sordes meas diluere nisus sim ... >> (v. sopra, n. 27). Cfr. pure la ripresa ovidiana in R. V.F. CCLXIV 134-136: « co la morte a lato l cerco del viver mio novo consiglio, l et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio >>, dove > ripete l'« impendens ... pericu lum >> del Secretum (v. sopra, n. 5 ) . " ' torpor: anche nella cit. Fam. XVII I O , 2 1 l'accento è sul torpor, quale risultato della paralisi di una volontà divisa: « Hinc ille pestifer torpor ac perplexitas animorum, de quibus multa iam diximus, aliud agentium cum aliud velle videantur ... >>, ecc.
SECONDO LIBRO 1 Satis. . . sumus: per questa formula di passaggio, v. s. AGOSTINO, Soli!. II l , 1 : « Satis intermissum est opus nostrum . . . » (Carrara). 2 Pre/ert... languentis: SENECA, Phaedra 249: « pars sanitatis velle sanari » (Rico). Cfr. I n. 56. ' Quzd. . . Deus est: Oralio quotidiana, p. 397: « ne quid de me ipso confisus, spem totam iaciam in te » ; R. V.F. CCCLXV 14: « Tu sai ben che 'n altrui non ò speranza ». E in particolare, Fam . XIX 16, I l , anche per la metafora bellica (v. le nn. seguenti): « Spes prima et ultima Cristus est; Illo opem ferente, et hostes meos vincam . . . >>. Cfr. avanti, n. 152, e III n. 4 17. 4 Quod igitur evenire. . . : l'azione di questa similitudine bellica è, per dir cosi, continuata piu avanti, quando i nemici, che già si sono awicinati, muovono all'assalto e rompono le difese... (v. n. 180). Cfr. Psalm. peni/. VI l : « Circumval larunt me inimici mei, perurgentes me cuspide multiplici ». L'errata valutazione delle forze nemiche rimanda al motivo stoico dell'opinio, il falso giudizio « origine di tutti gli errori teoretici e pratici » (M. POHLENZ, La Stoa, Firenze, 1967, l, p. 166: v. pure I n. 29, e qui avanti, n. 183). Occorre anche ricordare, come spiega R.ico, pp. 125 ss., che questo secondo libro passa dal tema della 'guerra intestina' a quello dei selle peccati capitali - superbia, invidia, avarizia, gola, ira, l ussuria e accidia -, di cui Francesco sarà trovato piu o meno colpevole: e appunto come nemici esterni, che assediano e assaltano, essi erano tradizionalmente rappresentati (v. al proposito De olio I, p. 600: e per un'analisi del sistema dei vizi capitali nel cristianesimo, cfr. E. MOORE, Studies in Dante, Oxford, 1 899, II, pp. 1 5 1 -209). Si vedano ancora le citate pagine del Rico, per l'esame al quale Agostino sottopone Francesco , che potrebbe ricordare i proce dimenti Ulustrati nelle varie summae con/essorum del tempo.
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' CO[!.itatio il/a solubris : la meditazione della morte, alla quale Agostino richiama Francesco sin dalle prime battute del !. I. " Ultimum ma forum . . . desperondum: sentenza che Petrarca ripete altrove. Cfr. Fam. II 3, 25 : « gravissimum malorum omnium, desperationem >>; Fam . II 1 IO, 1 2 : « desperationem ... non laudo » (a proposito di Catone) ; Fam. XX1 9, 20: « nunquam desperatio sera fuit », e De olio 1, p. 626; De remediis II 1 1 8, p. 236, ecc. Tra molti, v. IsmoRO, 5ynon. l 53-54: , ripetuto da s. AGOSTINO, En. in Psalm. CXVIII 13, 3: > . Ma è soprattutto da sottolineare l'osservazione del Rico, p. 134, secondo la quale qui si affronta in modo problematico quanto per contro Petrarca affermava positivamente (e dunque superbamente) di sé: « Ego qui dem, etsi michi fidem etas deroget, teste tamen conscientia, lego non ut eloquentior aut argutior sed ut melior fiam . . . >> (Fam. I 3, 8: anche qui, come nel Secre/um, eloquenza e bellezza sono accomunate entro il discorso sulla brevità della vita e sulla relatività dei suoi valori). Sullo sfondo, fondamentali, le considerazioni di s. AGOSTINO, Con/. IV 16, 28 ss., a proposito della sua precoce cultura filosofica, ossessivamente ritmate dalla domanda: « quid mihi proderat? » (ibid. 30: « Et quid mihi proderat, quod omnes libros artium, quas liberales vocant, tunc nequissimus malarum cupiditatum servus per me ipsum legi et intellexi, quoscumque legere potui? »). 20 Excute ... acriter: cfr. I n. 55. 2 1 rivolus. . . ardoribus: è dunque dal punto di arrivo della morte che va considerato il senso e il limite di ciò che si è appreso, secondo la morale che Agostino non si stanca di ribadire.
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2 2 Quamquam ve/ multa . . . incogniti: ricorda da presso l a frase d i s . AGOSTINO, Con/ X 8, 1 5 : (e De remediis II 102, De eloquel/tÙ? defectu, pp. 2 19-2201 . 1 2 Quam multa . . . desunl: un esempio grazioso, richiamato dal Rico. Neli'E pyst. I 8, 9 ss. il Petrarca descrive un uccellino che gli piace molto, ma non ne conosce il nome ( « verum sibi reddere nomen l nescio >>l : si tratta senza dubbio della capinera « di cui il P. non conosce il nome latino; e non lo conosciamo neppure noi >> tBIANCl ll, ad loc., in Rime, Trionfi e poesie latine, pp. 740-74 1 1 . 1 1 5eneca . . . extimal: si riferisce a A d Luci!. LVIII l ss. : « Quanta verborum nobis paupertas, immo egestas sit, numquam magis quam hodierno die intelle xi. Mille res inciderunt, cum forte de Platone loqueremur, quae nomina desi derarent nec haberent ... ». Sul cod. di Quintiliano, Par. lat. 7720, Petrarca, a X I I IO, 34, annotò: « Paupertas latini eloquii. Concordat Seneca » (v. NOLIIAC, Il, p. 9 1 ; M. AccAME LANZILLOTTA, Le postille, n. 1 860, p. 1931.
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" De finibus: I 3, IO. Ancora sui margini del suo QuiNTILIANO, lnst. XII IO, 27 (v. la nota precedente), Petrarca contrappose il giudizio di Cicerone: « Multum attollit facundiam grecam et prefert nostre, quod est contra mentem Ciceronis pluribus locis » (v. NOLHAC, II p. 90; M. AcCAME LANZILLOTIA, Le postille, n. 1848, p. 192). Cfr. pure Sen. XII 2, p. 1010. La posizione di Cicerone ha però qualche sfumatura in pi(i: per ciò, v. la n. che segue. Si ricordi che Petrarca ha letto il De finibus solo nel 1344: v. R:!co, pp. 140- 1 4 1 , e PoNTE, Nella selva, p. 12. " O verborum.. Grecia: CICERONE, Tusc. II 1 5 , 3 5 . Qui Petrarca, per la verità, modifica il pensiero di Cicerone, che scrive: « O verborum inops inter dum, quibus . . . >>, intendendo cosi limitare un giudizio complessivamente favo revole alla lingua greca. Appena sopra, infatti, ammette qualcosa che suona opposto a ciò che Petrarca fa intendere : « Graeci illi, quorum copiosior est lingua quam nostra ... ». L'infedeltà è tuttavia piu apparente che reale, perché quella di Cicerone è un'ammissione per dir cosi di tipo polemico, perché serve a sottolineare il fatto che, nel caso in questione, la lingua latina è piu ricca: nel Definibus, poi, III 2, 5, si torna a proclamare la superiorità della lingua latina - ma una superiorità in fieri, che va dimostrata e costruita (e in ciò c'è qualcosa che ricorda la questione tra il latino e il volgare, in Dante), mentre in II! 1 5 , 5 1 , in bocca a Catone è messa l'opinione contraria. Ma nel De nat. deorum, I 4, 4, si sostiene ancora che il latino; >. ''' accusa/or .. dixeril: GIOVENALE, Sal . I 1 6 1 (« qui verbum dixerit »). Se· condo Petrarca, Giovenale « profondissime mores hominum novit » (Fam. III 1 5 , l). V. la n. seguente. "' obsequium . . . part"t : TERENZIO, Andria I 68. La citazione di Giovenale e di Terenzio è riferita nello stesso modo nelle Inveclive contra medicum, p. 826, mentre il verso di Terenzio, particolarmente amato da Petrarca, torna in Rer. mem. III 93 , 3 ; Fam . XV 1 2 , 2; XVI 8, 6; XXIV 4, l ; Var. XL, p. 405; Sine nomine, praef., p. 2, ecc. Ma già lo citavano Cicerone, Servio, Cassiodoro, s. Agostino, s. Gerolamo, Lattanzio, ecc. Cfr. A. Rossi, Un inedito del Petrarca: il Terenzio, in . 7 1 alte. . penetrarint: ma altre erano le cose che avrebbero dovuto alte descendere in lui (cfr. I n. 88). 72 sed quo. . vivere fato: GIOVENALE, Sat. XIV 135- 137, cit. anche in De olio II, p. 698 (e v. già I n. 127 ) . In generale, v. pure ORAZIO, Sat. I l , 68 ss. " Credo quù1.. certamen: « Anche questo dell'erede che gode dei beni accumulati dall'avo è motivo oraziano: cfr. per esempio Carm. II 3, 20; 14, 25; Epyst. I 5 , 1 2 ss. >> (Bufano). Cfr. pure Fam. VIII 4, 28, e in particolare, De olio II, pp. 696-698. " lam si. . . esse contentam: SENECA, Ad Luci!. XVI 7-8: « Istuc quoque ab Epicuro dictum est: "si ad naturam vives, numquam eris pauper; si ad opinio nes, numquam eris dives " . Exiguum natura desiderar, opinio immensum ... >> ; ibid. XXV 4: ; ibid. III 3, 19: > (e v. l'Invectiva contra eum qui maledixit Italie, p. 1 188). Il Rtco, p. 155, osserva che qui c'è un incremento del >, e in ispecie dello stoicismo di Seneca. Si può aggiungere che questa esigenza di accordo profon do con la 'natura' è il punto fondamentale di tutta l'etica stoica, com'è ben spiegato da Cicerone: cfr. per esempio De finibus III 6, 20: « Initiis igitur ita constitutis, ut ea, quae secundum naturam sunt, ipsa propter se sumenda sint, contrariaque item reiicienda; primum est oflìcium ... ut se conservet in naturae statu: deinceps ut ea teneat, quae secundum naturam sint, pellatque contraria. Qua inventa selectione et item reiectione, sequitur deinceps cum oflìcio selec tio. Deinde ea perpetua, tum ad extremum constans, consentaneaque naturae: in qua quum primum inesse incipit, intelligit quid sit, quod vere bonum possit dici >>, ecc. Circa il perverso effetto delle opinioni, cfr. I n. 29 e II n. 4. E v. ancora avanti, nn. 76 e 78-79. " vix natus. . . su/ficerent: accenna, qui e poco avanti, alla naturale frugalità di Petrarca, per cui v. soprattutto Fam. VIII 4, 1-6 e XIII 8, 8-9 (v. I n. 122). ;• publicus errar: e poco avanti i populares mores, il vulgus insaniens, il populi plausum, ecc. Cfr. I nn. 12 e 19, e II n. 201 . ; ; victum . . . radiabus herbe: VIRGILIO, Aen. I I I 649-650 (>) . Sono parole del macilento Achemenide, che si fa in contro ai troiani appena sbarcati sull'isola dei Ciclopi.
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" Si ad naturam.. potens: è il motto di Epicuro riferito e illustrato da SENECA, Ad Luci!. XVI 7-8, sopra citato, n. 74. Il passo è riferito e commenta to anche in Rer. mem. III 77, 8. Qui, al generale motivo stoico della obbedien za all� natura s'accoppia quello del rispetto verso la propria, personale natura, per cui cfr. in particolare De vita solitaria I, p. 306 ss. In generale, v. pure Fam. XXI IO, 7: >. Su questa base, il fuco, p. 158 e p. 345, interpre ta che Petrarca, ancora a Valchiusa, nell'aprile del 1353, manifestasse la sua paura di dover restare per �empre ad Avignone. Ma ora il Baron, consapevole che l'interpretazione tradizionale introduce un elemento di dubbio nella sua tesi, propone qualcosa di affatto diverso: solo una volta, egli scrive, Petrarca si trovò nella situazione esattamente definita dall'espressione « sub aliena ferula » (per la quale, v. anche lnvective contra medicum IV, p. 960: « . . . necdum manum ferule subduximus >> ) , e cioè quando, per obbedire alla volontà pater na, fu studente in legge a Bologna, dal 1320 al 1326. E Bologna, nel 1354, faceva parte del dominio di Milano, si che Agostino vorrebbe dire che è forse volontà divina che Francesco debba invecchiare in quel Nord d'Italia dove già fu giovane studente. La proposta del Baron è certo ben trovata (fors'anche troppo ben trovata, anche per chi, come me, crede che sia giusto vedere in questa pagina i riflessi del primo soggiorno milanese), e ad essa non fa diffi coltà che quell'età sia definita come pueritia, dato l'uso elastico del termine: proprio in relazione agli anni bolognesi, per esempio, in Fam. IV l, 19 si dice: ) . Per l'espres sione, cfr. lnvective contra medicum III, pp. 926-928: >; Fam. IX 3, nell'intitolazione: Ad amicos, sepe importunius senectutem agi ubi adolescentia acta est, e in fine, par. 7: > (e ciò è detto manifestando il desiderio di lasciare per sempre Avignone: onde, se si accettasse l 'ipotesi del Baron, avrem mo che il medesimo argomento è usato, nella lettera, per giustificare la parten za da Avignone, e nel Secretum, all'opposto, per deprecare la decisione di stabilirsi a Milano). Le parole « tuis iuris effectus >> si possono intendere bene se riferiti agli anni bolognesi, visto che nel 1326, alla morte del padre, Petrarca, divenuto padrone di se stesso, abbandonò Bologna e gli studi di legge (Posten· tati, p. I O : (cosi DoTTI, Vita, p. 166), ma anche, in generale, allo strappo nei confronti della Curia avignonese, e alla conquistata libertà e responsabilità d'iniziativa circa il futuro assetto della sua vita. E, infine, allude anche - credo - alla libertà che Laura morendo gli ha restituito, come nella canzone CCLXX dei R. V.F., composta tra il 1350 e il 135 1 : « quella che fu mia Donna al ciel è gita, l lasciando trista e libera mia vita >> (w. 107-108). "' cum cuiusdam ... pre/erebas: cfr. Posteri/ati, p. 8 : > (di sé, quando studiava a Bologna) . Questo giudizio sarà
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ampiamente ripreso nel l. III, e sviluppato, i n particolare, auorno a l motivo della 'leuera pitagorica' (v. III n. 98 ss. ) . " mutatis moribur: cfr. Fam. XXI 13, 8- 1 1 : , riferito e commentato da SENECA, De ira II I l , 3 (e ripetuto in De clement. I 19, 5) e da CICERONE, De o/ficiis II 7, 23: >. Il detto è anche in PuBLILIO SIRO, 338, e in SALLUSTIO, Ep. ad Caesarem I 3, 2. 121 Desine ... excutias: è, in generale, motivo oraziano (v. per esempio, Sat. I l, l ss. ), che sembra, nel caso, singolarmente adatto al momento in cui Petrar ca s'appresta a giustificare la sua scelta di stabilirsi a Milano. Cfr. al proposito Fam . XVI 12 e XVII IO, in particolare il par. 28: : e v. già LXXIII 76-78, e la matrice di entrambi in DANTE, lnf. IV 42). In generale, v. ancora XIX 5; LVII 2; XCVI 3; CXL 6, ecc. "" ambiendi.. limina: cfr. V IRGILIO, Georg. II 504: . A tutto ciò si awicina il Secre lum, che si finge appunto scritto nell'imminenza dei quarant'anni, in cui l'autore è si « in antiquas miserias relapsus >> e di nuovo « prostratus >>, ma pure sulla via di una non lontana guarigione. In altre parole, la lettera e il dialogo,
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che si fingono scritti prima, annunciano tale svolta, e la Pos/eritati, scritta dopo, la conferma. Ma le cose vanno diversamente con altre testimonianze. Nella Fam. X 5, 25-29 (giugno 1352), diretta al fratello Gherardo, dice che
solo da poco è riuscito a mettere in pratica il consiglio di praticare la castità, e nella Sen . VIII l, diretta al Boccaccio nel 1366, conferma di aver definitiva mente vinto la lussuria dopo il Giubileo del 1350 (p. 9 1 5 : (Carrara). "' Ila enim . . . menlù experior: questo tema della intrawista salvezza e della ricaduta riporta a tante pagine del l. I (v. per esempio nn. 6 1 -63, 1 10, 156, ecc. ), e richiamano tra l'altro R. V.F. LXXXI, lo son si stanco sol/o 'l fascio antico, che già il Chiòrboli accostava a questo passo del Secretum, e CCLXIV,
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I'vo pensando. Cfr. anche Psalm. penti. I 1 2 :
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« Sepe fugam retentavi, e t vetu stum iugum excutere meditatus sum; sed inheret ossibus »; ibzd. VII IO: >; Fam. II 9, 17: >. 1 75 sic lacrimis. . avellar: cfr. Rer. mem. III 96, 17, per la mone di re Roberto d'Angiò: (sott. mia ) . Ma v. pure s. AGOSTINO, Con/. IV 4, 7 ss., per la molte dell'amico carissimo (ibid. 7, 12: « Horrebant omnia et ipsa lux, et quidquid non erat quod ille erat, inprobum et taediosum erat praeter gemitum et lacrimas . . . >>) . 176 causam: la causa che Petrarca non conosce, visto che l'accidia nel De remediis, Il 93, p. 2 1 1 , è quella >, e in Sen. XVI 9, p. 1064: > (detto proprio a proposito di quel capitolo - De tristitia et miserza - del De remediis) . E in effetti Agostino si sforzerà di ricondurre questo stato d'animo entro un quadro razionalmente motivato di compoltamenti e di espe rienze, ripercorrendo per dir cosi a contro-pelo tutta una serie di punti già toccati - i peccati -, ora soprattutto considerati per la loro capacità di produrre infelicità, quando la coscienza del male non sia di per sé sufficiente a riscattarsene e finisca dunque per marcire su se stessa. Come infatti spiega bene il GIULIANI, Allegoria retorica e poetiCil, p. 1 17 : > (e R. V.F. CVII l e 5 : « Non veggio ove scampar mi possa ormai l . . . l Fuggir vorrei . . . >> . Cfr. III n. 180. 21 1 Vides ... quam ultimo: ancora una variazione sul tema (v. sopra, nn. 195 e
199). "' pudet ... piget . . penitet: non sembra casuale questa serie di verbi, visro
che proprio essi sono la 'marca' che contraddistingue l'accidioso di città, insoddisfatto di sé e della sua vita, malato nello spiritO, secondo De vita solitarza l, p. 356: « . . . quod tedium scilicet non homini tantum homo sed sibi etiam egra mens parit, secum ipsa discordans? Occurrent tibi passim in plateis urbium stultorum greges, quibus nichil sit in ore frequentius quam verba illa grammaticorum: piget, tedet ac penitet; et illud Terrentii: "Ne quid agam scio" [Eun. 73] ». V. III n. 277. 214 fluitem . . . bore: ORAZIO, Epist. I 18, 1 10, già sopra citatO, n. 68. 2" Si bee. . . su/ficiat: Francesco riconosce appieno che Agostino ha ragione, e che è una sorta di distorsione mentale - l'anxietas, come equivalente della perversa opinio - a rovinargli la vita. m 21 7
Qu!d credù. . . volunt di: Epyst. l 18, 106-108. aliù vivo. . ommbus est: è probabile che ci sia una leggera polemica a
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distanza con il « tUI tuns effectus >> di Agostino (v. sopra, n. 87 ), e ceno l'affermazione va qui intesa in senso molto largo - quasi un generalissimo alibi dinanzi alle contestazioni del santo - anche se in essa è coinvolto concretamente il servizio presso i Colonna (cessato nel 1347) e l'insieme dei rapponi e degli impegni 'avignonesi' (ed è questo l'aspetto che Agostino immediatamente raccoglie, nella sua risposta). Altrettanto certamente, su un altro piano, allude al desiderio di cambiare vita, di fondarla su valori piu solidi, affrancata dal giogo dell'approvazione altrui, del successo, della fama: è in questa direzione, infatti, che sarà svolto l'imponante tema del sibi vivere nel corso del dialogo (v. avanti, n. 263, e soprattutto III nn. 406 e 442), sulla base dei precetti di Seneca, il quale in questa formula riassumeva l'ideale dell'auto sufficienza e della perfezione morale del saggio: « Ille solus scit sibi vivere. . . » (Ad Luci!. LV 4: ma v. ancora molti passi del De brev. vitae, per esempio II 3 ss . : « ille illius cultor est, hic illius; suus nemo est », ecc.). In questo senso largo, .fondamentale, va l'esonazione di Fam. II 4, 25: ; ibid. 12: (cfr. CICERONE, Parad. V, Solum sapientem esse liberum, el omnem stultum seroum, e VI, Solum sapientem esse divilem). E Fam. XIX 5, 4: > (cfr. s . AGOSTINO, De beala vita IV 27). "6 al cum. . . /aleor: v. I n. 122. 127 Nichil equidem . . . pregravat: Fam. II 5, 3: « Hec michi nascenti !ex cum corpore data est, ut ex eius consortio multa patiar, aliter non passurus ». Circa
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il 'peso del corpo', v. la cit. di Sap . IX 15 nel l. l : >) . Onde, per tornare al punto, la perfetta liceità del suo esercizio di lettura, come personale auscultazione del testo: . Il Dotti rinvia a CICERONE, Ad Att. II 7, 4: « Nunc vero quum cogar exire de navi, non abiectis sed ereptis gubernaculis, cupio istorum naufragia ex terra inrueri >> . Si ricordi che fu Petrarca stesso a scoprire nella Biblioteca Capitolare di Verona, nel 1345, i sedici libri delle lettere ciceroniane ad Attico, quelle al fratello Quinto, a Bruto, e la leuera apocrifa a Ottaviano: cfr. Fam. XXI 10, 16-17 e XXIV 3. Ma v. soprattutto H. BLUMENBERG, Naufragio con spettatore Paradtgma di una metafora dell'esistenza , Bologna 1985 [ 1979]. che sviluppa il suo saggio auorno alla famosa immagine di LUCREZIO, De rerum natura II 1 -4. 267 atque illud. . arbitrii: Francesco ribadisce di fare solo quello che può . . . Cfr. sopra, n . 94. 2"" Potes ergo.. redire: è una domanda già fatta (v. sopra, n. 189). 269 Nam ut vtdes . . . elia m vocet: « I l confronto tra Omero e Virgilio a proposito della Fonuna è suggerito al Petrarca da MACROBIO, Salurn. V 16, 8: " Fortunam Homerus nescire maluit ... Vergilius non solum novit et meminit, sed omnipoten tiam quoque eidem tribuit" >> (Carrara). Cfr. VIRGILIO, Aen. VIII 334: >, ricordato nella versione gamma di Fam. XIX 9, 4, mentre tutto questo passo torna quasi alla lettera nella Collatio coram Domino ]ohanne (Giovanni II di Valois, re di Francia) , del 1361, p. 1290. 270 Nam et Crispus. .. non timuit: SALLUSTIO, De con. Catilinae VIII l ; CICERONE, Tusc. V 9 , 2 5 , e Pro Mare. I I 7. I n u n lungo passo sulla fortuna, in Contra quendam magni status, p. 998, tornano queste citazioni, compresa quella di Virgilio vista sopra, e queste e altre sono nella Sen. VIII 3, pp. 924-925, dedicata alla questione se sia piu forte l'opinione o la fonuna. "' Ego autem ... dicendi: è un'altra sicura allusione al progetto, non lontano, del De remediis (v. sopra, n. 246). Nel merito, occorre dire che Petrarca, che spesso parla della fortuna, è però restio a compromettersi sull'argomento: v. Fam. VI 5, 1 : « de fortuna deque aliis quibusdam loqui soleo ut vulgus, ne in sermone comuni singularis appaream; si seorsum interroger, responsurus fonas se longe aliter. Sed transeo . . . >> ; Fam. XIX 9, 4, testo gamma: > . Ma cosi pure si veda s. AGOSTINO, Retract. I 2, sul Contra Academicos, cit. dal Rico, p. 245 n. 384: >.
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272 Ego vero... impare gaudet: la cit. da VIRGILIO, Buco/. VIII 75 (e SERVIO, ad loc. : « iuxta Pythagoreos qui ternarium numerum perfectum summo deo
adsignant, a quo initium et medium et finis est »). Qui Petrarca allude alla ricchissima tradizione speculativa attorno al numero perfetto, di origine plato nico-pitagorica (ARISTOTELE, De caelo I 268 a: « Perché, come dicono i Pita gorici, il mondo e tutto ciò che vi è in esso è determinato dal numero tre ... E cosi. . . noi facciamo un nuovo uso del numero tre nella venerazione degli dei »), rinnovata dalla dottrina agostiniana, sviluppata nei Il. IX-XV del De Trinita/e (e si noti come nel passo del Secretum Petrarca paia rendere indiretto omaggio all'autore del De Trinita/e e del De vera religione: >), circa le 'vestigia della Trinità' che il mondo pagano avrebbe panaro in sé, nei suoi riti e nelle sue credenze, come misteriose e imperfette profezie. Si può ricordare, per esempio, Diana, per il soprannome di Trivia e per le tre facce che le attribuisce VIRGILIO, Aen, IV 5 1 1 (« tria virginis ora Dianae »): e scrive ORAZIO, Od. III 22, 3-4: « ter vocata . . . diva triformis », onde nel medioevo venne considerata una dea 'trini taria': v. Ovide moralisé III 635-636, ed. De Boer, 1 9 1 5 : « Dyane, c'est la déité l qui regnoit en la Trinité >>. E si devono ricordare le tre Grazie, nominate non a caso da Petrarca, che ceno conosceva le belle pagine di SENECA, De bene/. I 3, l ss., che in esse simboleggiava l'incessante circolo del bene dato, reso, restituito. Per tutto ciò, v. le ricche pagine di E. WIND, Misteri pagani nel Rinascimento, Milano 197 1 , pp. 47 ss. e 297 ss. Ma si veda pure DANTE, Vita nuova XXVIII 3 (là dove spiega perché il nove sia « cotanto amico » di Beatrice): « Lo numero tre è la radice del nove, però che, sanza numero altro alcuno, per se medesimo fa nove, si come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch'ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade ». E ancora, il commento di Remigio di Auxerre a Marziano Cappella, ed. C. Lutz, I, p. 148: « perfectus est ternarius, quod id est eo quod, prima triplicatio numeri subaudis ternarii, id est novenarius ... ».
TERZO LIBRO 1 2
contentiosumque... deponas: v. I n. 32 e II n. 170. Spero . . . laturum: cfr., anche per la successiva risposta di Francesco, Fam.
XVI 14 (v. già I nn. 85-86), 16: « Ferenda fidelis medici licet asperior ma nus... )), ecc. 1 Nil metuas. . . pati: è Boezio che sottolinea spesso questa opponuna graduali tà di rimedi (v. II n. 197) . Cfr. per es. De consolattone II 3, 3 : « Et illa: "Ira est inquit - haec enim nondum morbi tu i remedia, sed adhuc contumacis adversus curationem doloris fomenta quaedam sunt; nam guae in profundum sese pene trent, cum tempestivum fuerit, ammovebo" »; ibtd. III l, 2: « . . . Itaque remedia, guae paulo acriora esse dicebas, non modo non perhorresco, sed audiendi avidus vehementer efflagito ». Per queste battute del dialogo, v. in generale anche Psalm. penit. VI 10: « Illic vulnus situ putruit . . . illic, Domine, manus tua adhibe velociter »,Sen. IX l, p. 933, con le « medice manus » che punge e unge. Singolari sono poi le corrispondenze verbali di questo passo con Fam. XVI 14, 16 (settembre 1353), per cui vedi Introduzione, p. 42.
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< Duabus ... cogitare: le due catene sono l'amore e la gloria, come Agostino dichiarerà esplicitamente poco avanti. Per quanto riguarda Amore, le catene sono tra i suoi piu tipici strumenti: v. per es. R. V.F. LXXVI IO; LXXXIX IO; CV 54-5 5; Tr. Cupidinis I 87 e 160, e IV 97; Fam. VII 12, 14 (testo gamma ): « amor ipse uncos habet et catenas >>; Epysl. I 6, 44, ecc. (e v. OviDIO, Amores I 2, 30; Remedia 2 1 3 ; Heroides XX 47-48, ecc.). Circa la loro natura adamanti na, v. sotto, n. 6; quanto al fatto che esse impediscano di meditare sulla morte e sulla vita, si tratta di una incisiva ripresa del tema conduttore del !. I, relativo, appunto, alla medita/io mortis (v. pure Il n. 144). 1 solutum ac bberum: per l'espressione, v. l'anima >, cfr. Tr. Cupidinis IV 149 ss. E cfr_ R. V F. LXXVI l ss.; LXXXIX l ss.; CXXXIV 5 ; Tr. Cupidims I 158. ecc. 1 1 non cathenas. . arbitraris : è dunque un caso patente di quella 'perversa opinione' che è causa di tutti i mali (v. I n. 29 e II nn. 4, 183 e 209) e sulla quale, date le premesse, Agostino dovrà insistere ancora molto ( poco avanti, ancora si tratta di 'fàlse opinioni' e 'persuasioni funeste'). Dell'aurea catena del bisogno (« necessitatis auream catenam >>) si parla nella Sen. III l, p. 85 1 , mentre delle catene che c i legano alla fortuna, siano d'oro o d i vile metallo, parla SENECA, De tranq. animi X 3. E cfr. De vr/a solitaria !, p. 294.
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1 2 ipsis ad mortem . . . glorians: anche piu avanti: > , e le donne ancora, « che paiono animai sanza intelletto ,,; il tutto, appunto, in difesa della tradizionale nozione sublimata e nobilitante di amore. Che questa sia la posizione difesa da Francesco e vittoriosamente aggredita da Agostino, comporta che qui Petrarca sottoponga a critica serrata il nodo conce!· tuale piu importante che aveva sorretto la tradizione lirica a lui precedente. 18 Quodsi. . . libertasque iudicandi: cfr. De viris, Romulus 43 : « Et opinionum quidem in rebus ambiguis iudicuque libertas multiplex, veritas una non am plius >>. Per quanto riguarda l'insopprimibile libertà di giudizio, cfr. Rer. mem. IV 3 1 , 2; De vita solitarùt I, p. 3 16; Fam. III 6, 3 e XVIII 14, 6 (Rico). E v. in particolare, per la libertà relativa all'interpretazione dei testi, II n. 256, e,
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ancora, Invective contra medicum III, p. 9 16, con la cit. di s. AGOSTINO, De civitate Dei XI 19: >). L'utilità di credere nell'immor talità dell'anima non è in contraddizione con tutto ciò, tant'è che il saggio è ben consapevole dc;! suo valore strumentale e, nella sua ottica, rovescia la questione: non si è virtuosi perché esiste un al di là, ma immaginare un al di là può aiutare ad essere virtuosi quaggiu, il che, nella concreta società umana, nei casi del vivere civile, è ciò che in ultima analisi conta (considerato anche il fatto, decisivo, che il 'saggio' perfetto non esiste, e che la maggioranza degli uomini, variamente stolti o malvagi, ha bisogno di qualcosa che la introduca sulla via del proprio progresso morale, alla fine del q'!ale, in effetti, di quella fede o ipotesi il vzr bonus potrebbe fare a meno). E tipico di Cicerone il presentare entrambe le alternative - la sopravvivenza dell'anima e il suo annullamento (v. per es. De amicitia IV 14) - e il souolineare che l'esercizio
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della virtu è in ogni caso un dovere verso se stessi, verso chi ci circonda e verso la posterità: > (Tusc. I 38, 9 1 ) . Ma la promessa dell'immortalità, come stimolo a compiere magnanime azioni, resta naturalmente come motivo ricorrente: v. per es. Somnium Scipionis III l , ecc. (e MACROB!O, Comm. I 13, l ss. ) . " pudor e t metus. . . ratto . . . cognitio veritatis: i termini d i questa condanna dell'esperienza amorosa sono gli stessi che tornano, lungamente variati, nei R. V.F. Pudor et metus non sono dunque > . " sententiam ... tenerem: VIRGILIO, Bue. IX 45: >; Sen. I 5, p. 8 19: > (Bufano). Il Rico rimanda all'« orbus senex >> di CICERONE, Paradoxa V 39. " quos... acerbo: VIRGILIO, Aen. VI 428-429. " tarda . . . evo: OviDIO, Mel. XV 868. '" Rapianl.. procelle: ma il vento, invece, porterà via parole diverse, di speranza e desiderio, in R. V.F. CCLXVII 12-14: « Di speranza m'empieste et di desire, l quand'io parti' dal sommo piacer vivo; l ma 'l vento ne portava le parole >> (ibid. CCCXXIX 8: « Quante speranze se ne porta il vento! >>, per cui v. OviDIO, Amores I 6, 52). Cfr. VIRGILIO, Aen. IX 3 12-313, e STAZIO, Achill. II 285: " Irrita ventosae rapiebant verba procellae >>. " O cece : cfr. Tr. Martis I 88: « O ciechi, el tanto affaticar che giova? >>; Tr. Eternitalis 49-5 1 : « Misera la volgare e cieca gente, l che pon qui sue speranze in cose tali l che 'l tempo le ne porta si repente! >>. Cfr. R. V.F. LVI l ; CXLI 14, ecc., e qui avanti, n. 252. " necdum intelligis. . excrucien/: sui disinganni e i tormenti a cui ci si espone amando « cosa mortale >>, v. per es. R. V. F. CCXLVIII 8; CCCLV 1 -2; Tr. Martis I 85-87, e l'intera parte sostenuta dal poeta nel dibattito con Amore, in presenza della Ragione, nella canzone CCCLX, Quel'anliquo mio dolce empzo
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signore, assai strettamente legata a tutta questa parte del Secretum. E qui in particolare si vedano i w. 23-3 1 dell'altra canzone, I' vo pensando (CCLXIV) :
« Prendi partito accortamente, prendi; l e del cor tuo divelli ogni radice l del piacer che felice l noi pò mai fare, et respirar nol lassa. l Se già è gran tempo fastidita et lassa l se' di quel falso dolce fugitivo l che 'l mondo traditor può dare altrui, l a che ripon' piu la speranza in lui, l che d'ogni pace et di fermezza è privo? ». Circa le fonti, in un tema per altro assai diffuso, cfr. BOEZIO, De consolatione Il 4, 12 ss. (già segnalato dalla NOFERI, L'esperienza poetica, p. 265 ) ,. e in particolare due passi di s. ACOSTINO, De vera religione XX 40 e XL 74-75 che Petrarca annotò nel suo codice, rispettivamente, con un Nota vigilanter e un Nota, nota (v. RicO, pp. 281-282). " Siquid... pro/er: anche avanti, cominciando Agostino a discutere della gloria, Francesco ribatterà con sufficienza: « Sed, queso, siquid habes validius profer >> (v. n. 339). " neque enim.. admoneor: sono concetti ripetuti piu volte nei R. V.F. V. CLVI 1 -2 : « I' vidi in terra angelici costumi l et celesti bellezze al mondo sole »; CCXIII 2: " rara vertu, non già d'umana geme » ; CCXLIII 3: « et fa qui de' celesti spirti fede »; CCLXVIII 35-36: > . 6' quod. . . interpres: cfr. I n. 3 L Era detto proverbiale: cfr. WALTHER, n" 20322: « Optimus inrerpres verborum quisque suorum >> ; n" 32247: « Unusquisque sibi pòtissimum amicus est >>. "" Suam. . . meum: « Sono due versi che Cicerone cita (Ad Att. XIV 20, 3 ) come d i Atilio, poeta comico ch'egli giudica durissimus (di qui i l giudizio di Petrarca a plebeio.. poeta) >> (Carrara ) . Si ricordi che Petrarca scopri a Verona le lettere di Cicerone nel maggio 1345 : v. II n. 266. •• qui.. . /ingunt: VIRGILIO, Bue. VIII 108 (sono parole di Alfesibeo, che spera nell'amore di Dafni). Il verso è citato anche in Fam. VII 12, 6 e XII 5, 4; De remediis I 69, in Prose, p. 620, e rifatto in Africa V 680: « Somnia sunt que fingis amans et falleris amens >> (Rico). "" me ... illam esse: cfr. R. V.F. LXXIII 55-56: « et quel poco ch'i' sono l mi fa di loro [gli occhi di Laura] una perpetua norma >>; Framm. VII in Poesie, p. 587: « e quel poco ch'i' son da voi mi regno "· Ma tutto il passo è costruito su espressioni di lode che hanno larghi riscontri nel canzoniere. 6• nec unquam. . . a/ /ectibus coluisset: cfr. R. V.F. CCCLX 88-90 (parla Amo re): « salito in qualche fama l solo per me, che 'l suo intellecto alzai l ov'alzato per sé non fora mai "; ibid. 1 12 - 1 1 4 : « et sf alto salire l i' 'l feci, che tra' caldi ingegni ferve l il suo nome "- E LXXI 102-105: >. DANTE , Par. I 34: , e QUINTO C uRZIO , Hisl. Alex. VI 3, l 1: >. " animum ... amavi: OVIDIO, Amores I 10, 13. "' vernalis: i traduttori - Carrara, Ponte, Dotti, Bufano - sono concordi nell'intendere 'invernale', dal latino tardo hibernalis, e non 'primaverile', se condo il latino classico (da ver, 'primavera'). Non è d'accordo il Rlco, p. 303 n. 179, che preferisce pensare a un qualche maligno vento primaverile, e suggeri sce come questa vernalis aura possa suonare come ironico contrappunto a l'aura l Laura del canzoniere (per cui, v. G. CoNTINI, Préhistoire de l''aura' de Pétrar que, in Varùznli e altra linguistica, pp. 193-199). Su questo secondo punto ha senz'altro ragione, ed io calcherei ancor più la cosa, visto che in tutta questa parte del dialc11o si dice che l'incontro con Laura è stato effettivamente fatale per il giovane Francesco (v. sopra, per es., nn. 77 e 79). Ciò non comporta, però, che vernalis valga 'primaverile', come il Rico vorrebbe. Proprio quel contrappunto potrebbe infatti addirittura esigere che Laura non sia stata quel dolce. soffio primaverile pieno di forza generativa che Francesco s'è voluto immaginare (v. per es. R. V.F. CXCIV ), ma un gelido vento invernale che ha impedito ai precoci germogli del suo animo di sbocciare. % Percurre . . . tacitus: cfr. I n. 55 (e proemto, n. 28) . ., in iclu oculi: per l'espressione, v. R. V. F. LXXIII 75 e CCCXIX 3. Cfr. I Cor. 1 5 , 5 2 : . Anche avanti: v. n. 254. 9' Litere ... doclnnam: si riteneva che la lettera Y fosse stata inventata da Pitagora, e che la sua base diritta rappresentasse la prima parte della vita, mentre dal punto di biforcazione, da collocarsi nell'adolescenza, si sarebbe dipartita, a destra, la via ardua della virtù e della salvezza, e a sinistra la via larga e facile del peccato e della perdizione. Cosi, esattamente, IsmORO, Etym. I 3, 7 : « Y litteram Pythagoras Samius a d exemplum vitae humanae primus formavit; cuius virgula subterior primam aetatem significa!, incertam quippe et guae adhuc se nec vitiis nec virtutibus dedit. Bivium autem, quod superest, ab adolescentia incipit: cuius dextra pars ardua est, sed ad beatam vitam tendens: sinistra facilior, sed ad labem interitumque deducens. De qua sic Persius ait [III 56-51]: "Et tibi qua Samios deduxit littera ramos, l surgentem dextro monstravit limite callem" >>. Cfr. AusONIO, Comm. pro/ burdig. XII 5, e Techn. XIII, De lilleris monosyl!abis 9; s. GEROLAMO, Epist. CVII 6, 3, e
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soprattutto LATTANZIO, Div. inst. VI 3 e 4, che riferisce al proposito i versi di Virgilio che Petrarca cita poco sotto e che parzialmente ripete, tornando in modo diffuso sull' argomento, in Fam. XII 3, 6-7 le v. pure Fam. VII 17, 1-2, con la cit. di Mal/h. VII 13: v. I nn. 2 1 e 571. Naturalmente, accenni ai due opposti cammini non mancano altrove l per es. è in gran parte giocata su una variazione di questo morivo la lettera che racconta dell'ascensione al Ventoso: Fam. IV I l . Cfr. R. V.F. XIII 1 3 ; CCCVI I; CCCLX 9- 10, per la 'via destra', e CCLXXXVI 8 per l'altra, con Bue. carm. Xl 5 3 , e Psalm. peni/. I 2 e 9, ecc. Il motivo è diffusissimo, e la relativa bibliografia assai ricca; in particolare v. E. PANOFSKY, Hercules am Scheidewef!, [Studien der Bibl. Warburg], Lipsia, 1930, e W. HARMS, Homo via/or in bivio, Monaco, 1970; con particolare riferimento a Petrarca, T. E. MOMMSEN, Petrarch and the Story of the Choice of Hercules [ 195 3 1 , in Medieval and Renaùsance 5tudies, Irhaca, 1959, pp. 175- 196; K. HEITMANN, Fortuna und Virtus, pp. 2 1 6-2 1 7 ; A.S. BERNARDO, Petrarch, Scipio and the 'Africa ', pp. 57-61. Altra bibliografia, in RICo, pp. 304-305 e nn. "" Hic focus. . . Tartara militi : VIRGILIO, Aen. VI 540-543 (« ... sub moenia tendit »l. Sono parole della Sibilla, che guida Enea agli Inferi. A proposito di questa parte, in cui Francesco ammette di aver deviato dalla reùa via e di non aver sviluppato le sue migliori qualità, si ricordino le analoghe parole di Agostino, nel l. II (v. II nn. 88-89). 100 expertus sum: piu volte, nel corso del dialogo, è echeggiato il richiamo alla propria personale esperienza da parte di Francesco. Ma circa le difficoltà a resistere alle tentazioni d'amore, anche Agostino ha detto: « Expertus lo quor ... » (cfr. II n. 154). 10 ' Ex lune... /acta confusio: mi par di sentire, in filigrana, l' inizio dell'Infer no dantesco. "" At quanam ... conlif!,erat?: cfr. R. V.F. CCLXIV 120- 1 2 1 : « vo ripensando ov'io !assai 'l viaggio l da la man destra, ch'a buon porto aggiunge >>. '"' Medio. . . fervore: cioè proprio nel momento cruciale della scelta, secondo quanto simboleggiava la 'lettera pitagorica' (v. sopra, n. 98). Cfr. Posteri/ati, pp. 2 e 4: « Adolescentia me fefellit, iuventa corripuit, senecta autem corre xit ... >>; « Amore acerrimo sed unico et honesto in adolescentia laboravi ... ». Si ricordi >. Tale costanza è tanto piu eccezionale in quanto > (e XCIII 14; CCXXIV 10- 1 1 ; CCCLX 72 ss., ecc.). Ma cfr. anche, a proposito dell'accidia, nel l. Il: « sic lacrimis et doloribus pascor, atra quadam cum voluptate . . . >> (v. II nn. 172 ss.). I sintomi denunciati da Agostino sono quelli stessi che il canzoniere elenca, ma qui nel dialogo, e in particolare attraverso le parole del santo, essi assumono un carattere piu radicalmente negativo, che fora, per dir cosi, la sublimata, uniforme evasività del linguaggio lirico. "" cum. . . nomen: cfr. R. V.F. LXXIV 8; CCXVI l ss.; CCXXIII; CCLVI 7-8, ecc., ed Epyst. I 6, 129-138. Cfr. De amore, p. 336: « tollit amor etiam somnum et omni solet hominem privare quiete >>, ecc. "' cum rerum. . . mortis: R. V.F. CCCLX 1 5 : « e 'n odio ebbi la vita >> ; Epyst. I 6, 49 e 105- 106: > . Risulta qui confermato (v. sopra, n. 8 1 ) come Agostino ributti sull'amore per Laura, che Francesco giudica l'unica forza positiva e salvifica della sua vita, la responsabilità di quanto in lui c'è di peggiore, sia in termini di sofferenza personale che di disvalore morale: quanto è riassunto, in una parola, nella sua accidia (v. II nn. 1 7 1 ss. ) . " ' tristis. . . vestigia vitans: i versi sono d i 0MERO, Iliade VI 201 -202, nella traduzione di CICERONE, Tusc. III 26, 63 (« errabat Aleis », 'per le piane di Aleia': ma l'errore di Petrarca deriva dai codici che egli usava). Lo stesso ricordo di Bellerofonte, che, straziato dal dolore per la mone dei figli Isandro e Laodamia, fugge dagli uomini ed erra in solitudine, torna in Sen. III l, p. 854, e XI 5, p. 979, e nelle Invective contra medicum IV. p. 946 (anche in Fam. III 21, 5, ma non in relazione al tema presente). In questi testi è però espresso un giudizio severo verso la disumanità dell'eroe omerico, la cui feroce solitudi ne non assomiglia per nulla a quella vagheggiata e difesa nel De vita solitaria (in particolare, v. M. PASTORE STOCCHI, Divagazioni su due solitari. Bellero/on te e Petrarca, nel vol. mise. Da Dante al Novecento, in onore di G. Getto, Milano, 1970, pp. 6 1 -83 ). Per il motivo, cfr. naturalmente R. V.F. XXXV, Solo et pensoso, e ancora, per es., CXXIX 14- 16, e Fam. VI 3, 69: >, ecc. Cfr. anche PROPERZIO, I 18, l . '" Hinc pallor. . . fingi potest: sono qui elencate l e classiche manifestazioni della 'malattia d'amore', per la cui lunga tradizione v. M. CIAVOLELLA, La 'malattia d'amore ' dall'antichità al medioevo, Roma, 1976. In particolare, cfr.
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l'imitatissima descrizione di SENECA, Phaedra 362-382: « Torretur aestu tacito et inclusus quoque, l quamvis tegatur, proditur vultu furor; l erumpit oculis ignis et lassae genae l lucem recusant; nil idem dubiae placet, l artusque varie iactat incertus dolor. l Nunc ut soluro Iabitur moriens gradu l et vix labante sustinet collo caput, l nunc se quieti reddit, et, somni immemor, l noctem querelis ducit; auolli iubet l iterumque poni corpus et solvi comas l rursusque fingi: semper impaliens sui l mutatur habitus. Nulla iam Cereris subit l cura aut salutis; vadit incerto pede, l iam viribus defecta: non idem vigor, l non ora tinguens nitida purpureus rubor; l populatur artus cura, iam gressus tremunt, l tenerque nitidi corporis cecidit decor. l Et qui ferebant signa Phoebeae facis l oculi nihil gentile nec patrium micant. l Lacrimae cadunt per ora et assiduo genae l rore irrigantur... >>, e la parte della reprobatio amoris nel De amore del CAPELLANO, pp. 335-337, dedicata al deperimento fisico: ; CCCLX 61 -64; CCCXXXII 3 1 -33: >, ecc. Per « Illa adveniente sol illuxit >>, si può forse ricordare CATULLO, VIII 3 -4: >. '" Illius. . . /actus es: un'eco di DANTE, Rime dubbie VIII 10: « e 'l non mutato amor mutata serba >>? Per il concetto, cfr. R. V.F. LXXII 3 1 -35 : , ripresa e variata in Bue. carm. X 368-3 7 1 : > (e ripetuta ad altro proposito in Fam. IV l , 6: e v. ancora Fam . II 9, 18, cit. nella n. precedente, e IV 6, 7). Nella Col/atto è anche un accenno alle qualità del proprio ingegno, IX l, p. 1268: « quo in colluctamine [la lotta contro le difficoltà] agilitatem quandam ingenii affuisse michi non inficior, quam ex alto michi tribuit dator bonorum omnium Deus >> (e « Ingenio fui equo potius quam acuto >>, nella Posteri/ati, p. 6). È forse il caso di aggiungere che non risulta che Petrarca abbia anche lontanamente immaginato di poter abbracciare la carriera militare, si che Agostino, conside rando per un attimo un'ipotesi di cui pure denuncia immediatamente l'assurdi tà, noQ fa che sottolineare con efficacia il carattere per dir cosi vuoto, astratto, del desiderio di gloria che travaglia Francesco, e si prepara a combattere piu avanti tale desiderio rovesciando i termini della questione: non bisogna amare una gloria che in sé non esiste, che non ha contenuto ... 1.., et adhuc. . video: per un atteggiamento simile di Francesco, v. proemio n. 15. 1 " ab annis puerilibus: in Rer. mem. I 37, 14 Petrarca confessa di aver desiderato l'incoronazione . '" per terras... traxisset: il Rico ricorda come Petrarca si scusi con re Rober to, per aver tardato a visitarlo, avendolo impedito: « terre marisque pericula necnon et impedimenta fortune varia » (Rer. mem. I 37, 9). '" quod... adeptus es: la corona poetica (v. I n. 48 e III n. 139). '" pretereo: è una preterizione, appunto, come quella, famosa, che è in Italia mia, R. V.F. CXXVIII 49: : si tratta del consiglio di Polidoro ad Enea). Il verso è citato fedelmente in Fam. V 6, 6, e riecheggiato in Fam . XI 6, 8. Cfr. Epysl. 11 7, 1 4 - 1 5 (in RosSETTI, II, p. 14): l . Cfr. Fam. IX 3, 7: > (allude al desiderio di lasciare Avignone), e XXI 13, 8 ss.: ; Posteri/ali, p. 18: > (in generale, sull'irrequietez za che lo spinge a mutare continuamente di luogo, cfr. Fam. XV 4, Ad
Andream Dandulo ducem venelorum, excusatio crebri motus). "" Quotiens ... /ugam retentavi: Psalm. penit. I 12: « Sepe fugam retentavi, et
vetustum iugum excutere meditatus sum, sed inheret ossibus >>. Anche questo è motivo costante nella prima parte del canzoniere: v. la vana fuga di cui si parla in R. V. F. LXIX 9- 14, in LXXXIX l ss . , in XCIII 6 (è Amore, che dice al poeta: . Si noti che non s'allude solo ai viaggi l per cui v. la n. seguente), ma pure alle ruslicationes, cioè ai soggiorni in Valchiusa, a partire dall'estate-autunno del 1337, che furono senz'altro, seppur in altro sen;o, una scelta di libertà. Cfr. R. V.F. CCCXXXI l ss.: >, e CCCLX 46-50: > , ed Epyst. I 6, 1 0 1 - 102: > , riferito all'amore per Laura. Sarcina, come 'peso del corpo', è vocabolo tipicamente agostiniano: v. M. }OURJON, in « Recherches de science religieuse >>, XLIII ( 195 5 ) , pp. 258-262, e LuCIANI, Les Con/essions, in particolare p. 1 9 1 . Per il concetto (occorre prima alleggerirsi dei vecchi pesi, e poi partire), v. SENECA, Ad Luci/. XXVIII 2 : « Onus animi deponendum est: non ante tibi ullus placebit locus >>. 187 semper . . . cu"unt: ORAZIO, Epùt. I 1 1 , 27, cit. anche in Fam. XIII 4, 4 (e SENECA, nella citata epistola XXVIII 1 : « Animum debes mutare, non cae lum >>) . Cfr. pure ORAZIO, Od. Il 16, 18 ss.: « Quid terras alio calentes l sole mutamus? Patriae quis exul l se quoque fugit? ». 188 At si neutrum ... iactatio': ripropone il concetto già espresso mediante l'immagine virgiliana del cervo ferito (v. sopra, n. 184): muoversi quando si ha il ferro confitto nel fianco può solo aumentare il dolore. Cfr. SENECA, Ad Luci/. XXVIII 3-4: « Quidquid facis, contra te facis et motu ipso noces tibi; aegrum enim concutis. At cum istuc exemeris malum, omnis mutatio loci iucunda fiet >>. 1119 ratio. . . aufert : ORAZIO, Epùt. I 1 1 , 25-26. 190 Ubicunque.. videbis: legato al tema dell'impossibile fuga (v. sopra, n. 180), è un altro dei piu intensi motivi del canzoniere. Cfr. R. V.F. XXX 5-6: « i' l'ò dinanzi agli occhi, l ed avrò sempre, ov'io sia, in poggio o 'n riva »; LXVII 1-4; LXIX 9-14; CXXIX (la canzone Di pensier in pensier, composta a Selva piana, presso Parma, probabilmente nel 1345) 1 7 - 1 8 : « A ciascun passo nasce un penser novo l de la mia donna ... >> ; 27-28: « Ove porge ombra un pino alto od un colle l talor m'arresto, et pur nel primo sasso l disegno co la mente il suo bel viso >>; 40 ss.: « I' l'ò piu volte (or chi fia che mi 'l creda?) l ne l'acqua chiara et sopra l'erba verde l veduta viva, et nel tronchon d'un faggio l e 'n bianca nube ... >>; CXXX , dello stesso tempo della precedente; CLXXVI, per la traversata della selva d'Ardenna, durante il viaggio del 1333, 7- 1 1 : « ch'i' l'ò negli occhi, et veder seco parme l donne et donzelle, et sono abeti et faggi. l Parme d'udirla, udendo i rami et l'òre l et le frondi, et gli augei lagnarsi, et l'acque l mormorando fuggir per l'erba verde » (v. D. DE ROBERTIS, La traversata delle Ardenne. Sonetti CLXXVI e CLXXVII, in Lectura Petrarce, VI , 1986, pp. 209-23 1 ) . Nella frase del dialogo c'è un'indiretta citazione, da VIRGI· LIO, Aen. IV 83, delle parole riferite a Didone ossessivamente turbata dall'im magine di Enea: « illum absens absentem auditque videtque >>. Il verso è citato in Fam. Il 6, 4 (e si continua: « Ergo insanus et obscenus amor hoc poterit, pius ac sobrius non poterit? >>) ; VII 12, 5 , testo gamma (ed. Rossi, Il, p. 140), e in XII 4, 8, indirettamente ( « insigni quodam et vulgata amantum privilegio absentem absens audisque videsque - imo vero ubilibet presens es >>) . In altro senso, v. il « privilegio degli amanti » di R. V.F. XV 1 3 . 1 9 1 Hinc. . . vilescant: cosi Ov iDIO, Ars amandi I l 349-358: « C u m tibi maior erit fiducia, posse requiri, l cum procul absenti cura futurus eris, l da requiem. . . sed mora tuta brevis: lentescunt tempore curae l vanescitque absens e t novus intrat amor >> (e ancora ibid. III 473-474 e 580, e Amores 11 19: ma qui si tratta di ripulse momentanee, gelosie e difficoltà, piu che di assenze) .
NOTE
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'" Quodsi ... effugeres: concetti affini nel De vita so!ttaria I, p. 300, con citazioni da SENECA, Ad Luci!. LI 4, ripetute in Sine nomine XIV, p. 152. Per l'agg. irrediturus, v. avanti n. 4 1 0. "' Hoc utique. . . multi suni: perché, come ha spiegato nel l. I, la radice del male mo�ale sta tutta nella volontà, e con la volontà la si può estirpare. Cfr. CICERONE, Tusc. III 3, 5: (v. sopra, n. 184). �., Agnosco.. instdtas: VIRGILIO, Aen. IV 23: « Agnosco veteris vestigia flammae >> (Didone, alla sorella Anna ). E DANTE, Purg . XXX 48. "'' reliquie . . . habitanl: espressione drastica ed efficace, secondo una linea di durezza già vista, in Agostino (v. sopra, n. 80). Francesco è guarito « magna ex parte >> ; e quel che manca - e dunque quanto di pericolo monale avanza sta tutto li, per quelle strade e per quei luoghi che vedono la presenza di Laura, pronto a riafferrarlo. Per la situazione, v. R. V.F. CCXXI l ss.: « Qual mio destin, qual forza o qual inganno l mi riconduce disarmato al campo, l là 've sempre son vinto? ... Sento i messi di Morte, ove apparire l veggio i belli occhi, et folgorar da lunge >> (sonetto scritto probabilmente nella primavera del 1346, dopo il ritorno in Provenza, dall'Italia) .
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�'' cuius dominus... disponens: è tipico d'Amore questo disporre lacci (R. V.F. CC 5 : « Lacci Amor mille, et nesun tende invano », e cfr. LV 1 3 - 1 7 in
cui è delineata appunto una situazione di 'ricaduta', come in LXXVI l ss.: « Amor con sue promesse lusingando l mi ricondusse a la prigione antica... >> , e v. ancora LIX 4-5; LXXXIX l ss.; CXXXIV 5-8; CCLXXI 5-6. ecc. ). Cfr. Psalm. peni/. I 1 8 : « Retia michi disposuit hostis, quacumque ibam; et pedibus meis laqueos tetendit ». '"' cuius omni.. Ditis: i w., da VIRGILIO, Aen. VI 126-127 (cit. a diverso proposito anche in Fam. VII 7, 3 ) . Cfr. in particolare la prigione d'Amore in Tr. Cupzdinis IV 149- 1 5 1 : « carcer ove si vèn per strade aperte, l onde per stcette a gran pena si migra, l ratte scese a l'entrare, a l'uscir erte >>. "� sed. . . meditantur: '' Ei qui amorem exuere conatur . . . », nelle parole che Francesco ha poco sopra citato (v. n. 195 ). Sull'inutilità di ammonire coloro che sono al colmo della passione, v. Ov iDIO , Remedza 1 19- 134 (« Dum furor in cursu est, currenti cede furori ... »). IOl Quam minima ... reimpellunt: nuova esemplificazione di un principio già enunciato (v. sopra, n. 93 ). Cfr. OviDIO, Remedza 729-732: « vulnusque nova rum l scinditur: infirmis culpa pusilla nocet. l Ut, paene extinctum cinerem si sulphure tangas, l vivet et e minimo maximus ignis erit » . '"" Conspecta . . excitat: cfr. S EN ECA, A d Luci!. LXIX 4 (sono le righe che immediatamente seguono la cit. vista sopra, n. 1 95 ) : « ita qui deponere vult desideria rerum omnium quarum cupiditate flagravit et oculos et aures ab iis quae reliquit avertat. Cito rebellat adfectus. Quocumque se verterit, pretium aliquod praesens occupationis su�e aspiciet. Nullum sine auctoramento malum est: avaritia pecuniam promittit, luxuria multas ac varias voluptates, ambitio purpuram et plausum et ex hoc potentiam et quidquid potest potentia » (Rico e Dotti). '"7 iter: come puntualizza il RICo, p. 339 n. 299, Petrarca allude all'iter di Amore attraverso gli occhi, secondo la piu tipica fenomenologia amorosa, dagli stilnovisti a Dante. Cfr. R. V.F. III IO; XXXIII I O ; XXXVII 79-80; LXXXIV 5-6; XCIV l, ecc. 108 focus pestz/er: v. sopra, n. 192. "" cum Orpheo ... Euridicem: il mito, in VIRGILIO, Georg. IV 457-503. 210 Hec. . . est: con le stesse parole Agostino, nel l. Il, concludeva l'appello contro la lussuria, invitando Francesco a tener sempre presente al proposito la dottrina di Platone. "' sed quo . . . sum: cfr. Fam. XV 8, 14: « incertus quo potissimum vela dem ». Per le possibili implicazioni di questo riscontro, v. avanti, nn. 2 1 5 -2 1 6. 2 11 Multe tibi. . . pinguis arenis: i w . , da VIRGILIO, Georg. II 136-139 (« sed neque . . . turz/eris Panchaia »). L'Ermo, fiume della Lidia che sfocia nel golfo di Smirne; in esso affluisce il Pattolo, celebre per le sue sabbie aurifere. Battra era la capitale della Bactriana, regione dell'impero persiano, oggi Balkh, in Afgha nistan. La Pancaia era un' isola favolosa del Mar Rosso, considerata terra dell'incenso (cfr. CLAUDIANO, De raptu Pros. II 8 1 )_ Si apre qui una parte del dialogo che riflette lo stato d'animo di Petrarca, che sogna il suo definitivo ritorno in Italia (il « portus » cui spesso alludono le lettere degli ultimi anni '40 e dei primi '50): nel 1349, secondo Baron; nel 1353, secondo Rico (v. avanti, n. 215). "' nuper. . . extendisti: s i riferisce all'Epyst. III 25 ( i n RosSE'ITI, I l , pp. 68-75 ) , diretta a Ildebrandino Conti, nella quale, con esplicito rinvio a Virgilio, si celebrano i pregi dell'Italia nei confronti degli altri paesi, in ispecie Francia, Germania, Inghilterra, Fiandra. Ildebrandino Conti, vescovo di Padova dal 13 19, risiedette in Avignone dal 1332 al 1342, e negli anni successivi svolse
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varie missioni diplomatiche per l'Europa, sino al 1347, quando tornò definiti vamente a Padova, ove mori il 2 novembre 1352 (cfr. Fam. XV 14). L'epistola petrarchesca gli è stata appunto indirizzata dopo i suoi viaggi, nel corso del 1349, nella sua qualità di diretto testimone della realtà di quei paesi (cfr. P. SAMBIN, Note sull'attività politico-diplomatica di Ildebrandino Conti amico del Petrarca, in « Ateneo Veneto », XLVI-XLVII, 1950, pp. 16-44). "' Italiam. . . futura sit : il testo esemplare per l'entusiasmo e la speranza con cui Petrarca visse il suo ritorno in Italia è certamente costituito dall'Epyst. III 24, Ad ltalù1m (« Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve ... »), composta nel maggio 1353, passando il Monginevro. Ma i testi che testimoniano di questo suo amore sono naturalmente moltissimi: v. per esempio Fam. IV l, 18; VIII 2-5, testo gamma; XII 1 1 , 7-8; XIII 8, 1 3 - 16; XIX l , 3 ; XXIII 2, 6, ecc.; Sen. VII l, a Urbano V, in particolare pp. 903 ss. ( del 1366, costituisce da sola il corrispondente libro della raccolta), e almeno R. V.F. CXXVIII, Italia mia. '" Ad unum .. contende: nel corso degli anni '40 piu d'una volta Petrarca manifestò il desiderio di risiedere stabilmente in Italia. Nel 1344, per esempio, mentre era a Parma, ospite dei da Correggio (v. Epysl. III 27, in RosSETTI, II, pp. 136- 143 ) ; nel 1347, nell'estate, prima del suo viaggio in Italia (v. Bue. carm ., VIII, Divortium, importante documento della sua rottura con il cardinale Colonna: per l'elogio dell'Italia, ove l'attende ospitale Azzo da Correggio, v. in particolare w. 52-60 ) ; nel 1349, infine, mentre risiedeva soprattutto a Parma e a Padova. In Padova, il l8 aprile, Petrarca aveva preso possesso del canonicato che gli era stato assegnato per intervento del signore della città, Iacopo da Carrara, si che, mentre si andavano guastando i rapporti con il vescovo di Parma, Ugolino Rossi, aveva davanti a sé un'alternativa concreta: in Parma aveva acquistato una casa, nel 1344, ma ora il nuovo canonicato padovano gli dava diritto a una residenza in città, nei pressi della cattedrale. E dunque da questa data che, secondo Bacon, Petrarca può dire di non essere costretto in un angolo solo d'Italia: e queste frasi del Secretum rifletterebbero proprio tale situazione di maggiore libertà, quale quella che il poeta stesso suggestivamente delinea a Luca Cristiani, quando, in una lettera del 19 maggio, lo invita, con Mainardo A"cursio e Ludovico di Beringen (Socrate) a vivere con lui, a Parma, se cosi vorranno, oppure altrove, e in ogni caso spostandosi a piacere tra le città del nord: a Bologna, a Piacenza, a Milano, a Genova e lungo la riviera, e a Padova, a Venezia, a Treviso ... La lettera è quella che sarà rielaborata piu tardi, a formare le attuali 2-5 del l. VIII, ed è alla stesura originale nel suo complesso (il passo sopra riassunto, nell'ed. Rossi, II, pp. 201 -203 : e v. in generale II n. 94) che il Baron rimanda, insieme alla Epysl. III 25 citata sopra, n. 2 12 . Cosi, già in From Petrarch, p. 90, e poi, con dettagliato riesame della questione, in Petrarch 's 'Secretum', pp. 90- 103, ove tiene ferme le vecchie con clusioni, e rifiuta le nuove proposte del Rico. Il quale (pp. 340 ss.) ritiene che anche nel 1349, all'epoca della lettera a Luca Cristiani, Parma continuasse ad essere l'unico vero possibile approdo di Petrarca, e preferisce dunque riporta re l' invito di Agostino a un momento successivo: precisamente, quando Petrar ca, per l'ultima volta in Provenza, dal giugno 135 1 alla primavera 1353, non fa che arrovellarsi attorno al progetto di tornare in Italia, dove che sia, ma certo • non piu a Parma, visto l'irrimediabile peggioràmento dei suoi rapporti con il vescovo. Questa tesi fa tutt'uno con l'altra, piu generale, secondo la quale il Secretum sarebbe stato interamente rivisto proprio negli anni in questione, a ridosso della partenza per l'Italia, e questo passo di tale revisione sarebbe appunto frutto e testimonianza privilegiata. A sostegno di questa ipotesi, il Rico porta alcuni riscontri, in particolare con la Fam. XV 8, del 24 aprile 1352: uno di questi, riferito sopra (n. 2 1 1 ) , riguarda l' incertezza di Petrarca, che non
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sa a quale invito accondiscendere - Napoli, Parigi, Parma, Avignone stessa. . . - , e che tutto sommato non rifiuta ancora l'idea di restare definitivamente in Valchiusa; un altro, che pare di maggior peso (ma il Baro n è drastico nel ritenerli tutti irrilevanti), è citato nella n. seguente. Cosa concludere? Intanto, che sarebbe già qualcosa poter limitare l'incertezza al 1349 e al 1352-1353. Poi, che non è facile scegliere tra le due ipotesi, anche perché - a mio parere non è risolutiva, in assenza di prove certe, la maggiore o minore consonanza del passo in questione con altri testi. Direi in ogni caso che sta a favore del Baron il tono del passo, in cui l'elogio dell'Italia va assieme al trepido entusia smo per la propria nuova libertà, dopo il distacco dal Colonna: in effetti, il Secre/um qui fa benissimo catena con l'egloga Divortium, con l'Epyst. III 25 al Comi e con il primo nucleo di Fa m. VIII 2-5. E sta a favore del Rico il fatto che nel 1349 Petrarca già era in Italia - a Parma e, meno, a Padova - e si muoveva tutto sommato in un quadro di possibilità ben definite e conosciute, mentre un azzardo più radicale e impregiudicato, testimoniato anche dalle perplessità che accompagnarono la decisione finale, fu quello della primavera del 1353, tant'è vero che la scelta di fermarsi a Milano cosriruf una sorpresa per tutti. Ma voglio aggiungere, per quel che vale, un'altra breve considerazio ne, e un dubbio. Qui Agostino autorizza Francesco a cambiare, a non voltarsi indietro, ad andare dove più gli aggrada . . . ; nel l. II lo aveva rimproverato di aver lasciato il suo ritiro campestre I Valchiusa) per la città (Milano, ha spiegato il Baron, ed io sono d'accordo con lui: v. II n. 85 ) . Non può darsi che i due passi siano legati? Nel senso che lo stesso Agostino da accusatore diventa, sul punto, con una di quelle sottili capriole alle quali Petrarca ci ha abituati, il principale teste a discarico' A cose fatte, una volta già a Milano, le parole di Agostino non potrebbero, insomma, essere una sorta di salvacondotto, un generalissimo alibi messo avanti per difendere una scelta che fu, allora, conte statissima? 'Sii libero, vai dove vuoi, purché tu sia felice. . . ': non potrebbe essere,. questo, un mettere in bocca ad Agostino proprio quelle parole che gli amici gli negavano, per criticarlo, apche duramente, a cominciare dal Boccac cio? Non gliele negò però il Nelli, che nel 1353 gli scriveva, appunto: « Age quod lubet et libere », distinguendosi dal coro delle critiche dei fiorentini. Ed è curioso che nello stesso passo ripeta al Petrarca un suo verso: >, del 13�8. passato dall'Epvst. II 14, 273 alla Fam. VII 7, 5 -6, all'Africa VII 292 e infine qui, al Secretum: v. avanti n. 27 1 (la lettera del Nelli, in CoCiliN, Un amico di F. Petrarca, Firenze 190 1 , ep. X p. 63: e v. fORESTI, Aneddoti, pp. 307-308 n. 3 ) . Ancora, si osservi come. poco avanti, con la scusa del remedium amoris , Agostino arrivi a prescrivere la città, contro la campagna e la vita solitaria.. Di un tale gioco delle parti mi basta suggerire l'ipotesi, senza appesantirla di certezze che non ho: un'ipotesi, però, che cerca almeno di comporre entro una sottile pratica dialettica tipicamente petrarchesca due passi del dialogo tanto importanti quanto diversamente orientati - dove questa diversità, paradossalmente, suonerebbe come la mi glior prova del loro legame. "" Nimis diu ... predonibus: l' autocitazione, da Psalm. penit. III IO (v. anche avanti, n. 4 1 3 ) ; per il motivo del 'tornare a se stesso', v. II nn. 87 e 217, e III n. 406. Poiché i Psalmi penill'llltales sono stati composti nel 1348 come ormai da tutti si ammette, il Baron ne ritiene confermata la sua tesi - che tutto il passo, cioè, sia stato composto nel 1349. Il Rico, invece, richiama ancora la Fam. XV 8, IO, dell'aprile 1352, per ribadire la sua lv. la n. precedente) : « Satis diu peregrinati ne dicam iactati sumus; tempus est ad vesperam subsistendi figen dique anchoram, ne nox deprehendat errantes » . '" cavendam ... sci/o: v. avanti, n . 221.
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"' Ubi. . . memorasti: v. sopra, n. 181. ,., in rure. . . reposto: v. sopra, n. 132. Si notino, in queste righe, le allittera zioni, sottolineate dal Rico: « profuisse memorasti, minime mirari decuit. Quid remedii, queso, in rure solitario ac reposto reperire crederes? ». 22" letheam.. caliginem: l'oblio, procurato dalle acque infernali del Lete. Cfr. VIRGILIO, Aen. V 854-856, e VI 7 14-7 1 5 e 749-750. Ma ha agito anche OviDIO, Remedia 549 ss.: >. 22 1 Quirquis.. potes: OviDIO, Remedza 579-580. Cfr. R. V.F. CCXXXIV 12- 14: !Fam. VIII 3, testo gamma, in RoSSI, Il, p. 198; è la lettera al Cristiani della quale più volte s'è parlato: v. sopra, n. 2 1 5 ). E ancora Fam. XVI 7, con il caso concreto d'un conoscente (par. 5: « mesto animo male committitur solitudo >>) e Fam. XVI 14, 1 5 , di nuovo riferita a se stesso: le v. ibzd. li, p. 500). Sulla natura 'divina' dell' ispirazione poetica, v. ancora, per esempio, lnvective contra medicum l, p. 836, con la cit. di CICERO· NE, Pro Archza VIII 18, già allo stesso proposito in Colla tio II 6-7, p. 1258 l « cum in ceteris anibus studio et labore possit ad terminum perveniri, in arte poetica secus est, in qua nil agitur sine interna quadam et divinitus in animum vatis infusa vi . . . )), ecc.).
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126 Omnia.. consulentis est: cfr Fam. IX 4, 14: « Multa enim de amore tecum agere supervacue ostentationis fuerit ... » (si tratta di una revocatio amici a periculosis amortbus le cui pagine, come segnala il Rico, hanno varie affinità con queste del 5ecretum: per ciò, v. avanti, n. 228). '" ut ait Seneca ... tentantur: Ad Lual. II 3 (>). V. sopra, nn. 170 e 197. "' satietas, pudor, cogita/io: cfr. CICERONE, Tusc. IV 35, 76 (è una parte dell'opera alla quale Petrarca, per i remedia, già ha ricorso: v. sopra, nn. 160 e 162). Nella Fam. IX 4 la dissuasione (v. sopra, n. 226) si articola attraverso il pudor, la satietas e infine la cogita/io (par. 20: > . "' Nescio .. solebat: cfr. Fam. IV 3, 3 3 : oggi gli uomini « senescunt solito citius. Nec id forsan usquequaque verum est; sed, quod incunctanter affir mem, solito citius canescunt >>. Queste parole seguono a un discorso sull'inca nutimento precoce, con esempi, per cui v. avanti. n. 240. Per il motivo tradi zionale della senectus mundi, cfr. Fam. XX l, 3: « Sic mundus in dies ad extrema precipitans secum omnia in deterius trahit >> ; Sen. XII l , p. 998: « dum repeto quos amicos et quos viros qualesve premiserim, et qua nichil hic sit nisi idem hodie quod heri quotidieque peius aliquid ... >> . "' Concussit. . . mutavi!: è cosi ribadita, lapidariamente, l'opposizione tra tempo 'interno' e tempo 'esterno', nel caso tempo fisico, biologico (al proposi to, v. I n. 3 7 ) . Si ricordi R. V.F. CLXVIII 1 3 : > (e già I n. 12; Il nn. 19 e �44; III nn. 1 6 1 e 222). 2 75 ignorantie clipeum: v. sopra, n. 247. 276 Nonne. . . allulisse?: ribatte il chiodo (v. sopra, nn. 239 e 264). Cfr. Bue. carm. VIII 76-78: > ; Fam. VIII 4, 13, testo alfa: >, e R. V.F. CXXII 5-7; CXCV 1-2; CCLXIV 1 15 - 1 16; CCCXV,' CCCXVI e CCCXVII, ecc. (v. R.!co, p. 367 n. 404). 277 Pudet, pigel el peni/e/: v. II n. 2 13 . " ' Inhesit. . . senescent: l'aneddoto è raccontato da MACROBIO, Sal. I l 5 , 6, ed è ripreso da Petrarca in Rer. mem. Il 50, 3 (Fam. II 15, l, dà come caratteristiche di Giulia « facetias et eloquentiam muliebrem >> ; per la serietà di Livia, v. sopra, n. 32). 279 Sed queso ... materia: è un'altra dura e persino sarcastica affermazione di Agostino (v. sopra, nn. 46 e 57), che pare avere di mira l'immagine sublimata dell'amore senile a cui sono particolarmente dedicati i sonn. CCCXV, CCCXVI e CCCXVII dei R. V.F. 280 Pudeal . . . assidue: v. sopra, n. 276. 2"1 ut Ciceroni piace/: CICERONE, Tusc. Il 2 1 , 48: >. '"' quam ex trzbus... collocavi: i tre 'rimedi' ciceroniani erano infatti, nell'or dine, satietas, pudor e cogita/io (v. sopra, n. 228). '"' Nunc au/em ... diceris: comincia qui una sorta di fitta ricapitolazione di motivi affrontati in particolare nel !. I del dialogo. Per la 'rocca' della ragione, v. Il n. 178; per la ragione che distingue l'uomo dall'animale, v. l n. 85. "'' animi nobilitalem: v. I nn. 138 e 139. Il Dotti rinvia a SENECA, Ad Luci!. VIII 5 , e a Fam. IV l , 28. "' feditalem corporum: v. Il n. 43, e qui avanti, n. 300. 2"" Cogita brevilalem vile. . Cogita fuga m lemporzs: il tema sarà ripreso e approfondito nelle ultime pagine del dialogo, a chiudere il cerchio aperto all'inizio (v. l n. 3, ecc.). Cfr. Fam. VIII 4, 10, testo alfa, e XXIV l, De inextimabilifuga temporis. Circa i libri �ull'argomento, si ricordi per esempio il De brevi/a/e vitae di Seneca. 2"' Cogita mortem. . . impendentem: v. I n. 5 e nn. 70 ss. e 96. 288 Nemo enim. . . respondeat: v. I n. 66. 289 ne te .. ludat: v. I n. 122, con la cit., tra l'altro, di Fam. IX 14, 5 . 190 omnem. . . supremum: ORAZIO, Epist. I 4 , 13. 2'll quam turpe ... conversum: circa l'essere vulgi fabula, v. sopra, n. 268. E, per l'esser mostrato a dito, cfr. Fam. X 3, 15, con cit. di PERSIO, Sat. I 28; R. V.F. CV 84; Tr. Eternitatis 93-94: « e vedrassi ove, Amor, tu mi legasti, l ond'io a dito ne sarò mostrato >> ; De remediù I 69, in Prose, p. 630: > (come nel 5ecretum, e come neii 'Epyst . l ll 27, 24, cit. sopra, n. 268 ), e ancora De vita solitaria II, p. 562; Sine nomine I, pp. 12-14. 292 pro/essio : come precisa il R:!co, p. 3ì0 n. 418 , qui la parola ha lo stesso valore che ha nella Collatio II 5 e IX 4, pp. 1258 e 1270, cioè quello di « poete officium atque professionem >> lv. III nn. 161 e 374). m Cogita.. neglectus sis: per questa parte della reprimenda di Agostino, cfr. in particolare la piu volte citata canzone CCCLX, Quel'antiquo mio dolce empio signore (w. 1 1 - 12: « ond'altro ch'ira et sdegno l non ebbi mai ... >> ). 2" Cogita ... lacrimas: cfr. R. V.F. CCCLXVI 79-8 1 : « quante lagrime ò già sparte, l quante lusinghe et quanti preghi indarno, l por per mia pena et per mio grave danno! >> . "' Cogita ... mobilius: circa la variabilità degli atteggiamenti di Laura, v. sopra n. 1 3 5 . Per l'espressione, il Rico rimanda a SENECA, Ad Luci!. CXXIII 16: >, ma c'è qui l'eco del tradizionale motivo misogino: > !R. V.F. CLXXXIII 12), per cui v. sopra n. 1 18. Nel secondo capitolo del Tr. martis Laura riassume e giustifica i suoi comportamenti: cfr. w. 100 ss.: >, ecc. '"" Cogita quantum ... negligens fuerit : Petrarca accenna spesso alla fama che i suoi versi procurano a Laura. Cfr. per esempio R. V.F. LXI 1 2- 1 3 : > ; XCVII 10- 1 1 ; CXLVI 9- 1 1 ; CLXXXVI; CCXCVII 12- 14; CCCXXVII 12-14, ecc. Ma Amore ribalta la co_§a, in CCCLX 88-89: tu sei >. E ancora Tr. Martis II 130- 1 3 1 : di DANTE, Purg . XIX ì-33 le v. ora, per questo violento motivo misogino e la sua tradizione, F. BRUNI, Boccaccio. L'invenzione della letteratura mezzana, pp. 455-456). Nat uralmente, l'esortazione di Agostino è intimamente legata alla prima e fondamentale delle sue contestazioni: > (v. sopra, n. 30). "" Pelle . . . allide: per questo aspetto delle esortazioni di Agostino, v. sopra, nn. 195 ss. Le ultime parole sono citazione di Psalm. CXXXVI 9: (sull'autorità di CICERONE, Tusc. I 1 5 , 33 ss. 1 . Ma piu tardi, dopo la Colla tio, la meditazione si allarga e si fa piu problematica, anticipando la riflessione/discussione svolta qui nel dialogo: v. per esempio la canzone CXIX dei R. V.F.. Una donna piu bella assai che 'l sole, e la Fam. V 17, a Guido Sette, per la quale v. avanti n. 405 . Per ciò, nonostante le sfasature dovute alla vecchia datazione del Secretum , v. E. FENZI, Dall'Africa al Secretum, in particolare pp. 70 ss. In ogni caso. Francesco ribadirà proprio in fine quanto qui afferma: « desiderium frenare non valeo >> (v. avanti, n. 4461. '''' inanis . . . iter: questa distinzione tra l ' inanis e la vera immortalità anticipa la discussione che seguirà, intesa appunto a distinguere tra 'falsa' e 'vera' gloria. w; Nullum.. noveris: Agostino corregge subito Francesco, che ha appena ammesso i rischi ma ha minimizzato la causa. spacciando per 'piu gravi' le altre sue malattie. ''� At ea.. tibi': secondo il Rico , la domanda rinvia in particolare a s. AGOSTINO, De civitate Dà VI J.l - 1 5 , e In lohannis Eva/l[!, . C l ss. '"' illustrem . . . visum est: CICERONE. Pro Mare. VIII 26. "" /requentem . . . idem: non CICERONE. Tusc. III 2. 3. come dubbiosamente propose il Carrara, ma De in ventione II 166. come ha precisato il Rico, p. 3 8 1 n . 459. " 1 Non occurrit.. malucrim : per questo atteggiamento di cautela, v. in
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panicolare quanto Petrarca dice di sé, in De vita solitaria II, p. 562: « Cuius [della verità] quidem non assertor adhuc magis audax, quam solicitus inquisi tor sim . . . �>. ecc. "' non tam.. allendendum est: una delle tante versioni del proverbiale Nulli /acuisse noce/, noce/ esse locutum, per cui v. Rer. mem. III 79 le VALERIO MASSIMO, VII 2 ex/. 6) (Rico). ' " Scito igitur. . . multorum: sopra, Agostino ha già ridotto la gloria alla /ama, e ora, accentuando il processo di tale intenzionale banalizzazione, riduce la fama a una mera questione di parole: « sermonem ... vulgatum ac sparsum ». Un sermo che appena sotto diventerà a sua volta un /lotus, e che ci rimanda a quella vana gloria « in hominum fondata sermunculis •• !Fam. V 17, 2 ) , e, indietro, a BOEZIO, De consolatione II 7, 19: >, e a CICERONE, Somn. Scipionis VII 5: « neque te sermonibus volgi dedideris nec in praemiis humanis spem posueris rerum tuarum . . . >> (e queste pagine di Cicerone e Boezio sono in ogni caso fondamentali per tutta la pane che segue, come le note cercheranno di dimostrare). Circa la definizione, RICO, p. 382 n. 46 1 , nota una risonanza del >, dell'iscri zione dettata da Ennio per il suo sepolcro, riferita da CICERONE, Tusc. I 1 5 , 34 e De senectute XX 73, e ripetuta da VIRGILIO, Georg. III 9. Cfr. Fam. I 9, l ; X 6, l; XIII 5, 14; XXIV 12, 37, ed Epyst. III 17, 15- 16; Africa II 140 - 1 4 1 (v. G. VELLI, in >, VIII, 1965, p. 329). ' " Est igitur... p!urimorum: cfr. almeno Fam. I 2, 29: >; Fam. IX l, 1-2 (la fama è « volucre monstrum >>) ; Fam. X 6, l; Fam. XXII 14, 7: ; Tr. Temporis 109 ss., ecc. e v. VIRGILIO, Aen. VII 646: >; IsiDORO, Synon. II 42: >, ecc., e infine DANTE, Purg. XI 100- 1 0 1 : ) . "" Vide nunc.. de!ectarzs: cfr. Fam. XIV 4, 2-3 : « ego in hoc occupatissi mus semper fui ut volgo dissimillimus evaderem ... Quomodo igitur placerem illis quibus ut displiceam sommo semper studio nisus sum ... ? >>. E cfr. SENECA, Ad Luci!. LII I l : >. Vedi S. AGOSTINO, Con/ IV 14, 22. m bine poematum... demuleeres: questo trascegliere fior da fiore per esibi zionismo e brama di successo è il contrario di ciò che Agostino consigliava nel l. II (v. ivi nn. 245, con la cit., in particolare, di Fam. XXIV l, 9 ss., e 246). m Nunquam.. deleetatus sum: con queste parole pare che Francesco alzi l'obiettivo della polemica e lo devii da sé, spostandolo dal piano dei flosculi eloquentie a quello dei /losculi scientiarum - piano ove staranno quegli esempi di enciclopedismo raffazzonato che Petrarca tanto detestava. Per non ricordare che un caso esemplare, si vedano le famose pagine del De lui ipsius et multorum ignorantia, P• 1038 ss., ov'è anche un rinvio a CiCERONE, Tuse. II 4, 12, che per qualche aspetto mi pare adatto anche a questo contesto. Ancora, con questa risentita risposta Francesco riafferma in re il valore positivo del proprio modo di operare, in armonia con i consigli del santo, citando, a mo' di flosculi rettamente intesi, appunto, i dieta memorabili arpionati al proposito dalle pagine di Cicerone e Seneca. Ma Agostino non si lascia sviare, e ne trae anzi motivo per precisare il punto esatto attorno al quale vette l'accusa. m a Cicerone dieta: il R.tco, p. 385 n. 473, cita, pur senza esserne del tutto pago, Pro P. Sestio LVI 1 1 9: " Non sum. . . tam insolens in dicendo, ut omni ex genere orationem aucuper et omnes undique flosculos carpam atque deli bem ». lo proporrei invece, proprio contro i laeeratores delle opere altrui, De oratore III 6: " Sed quoniam oppressi iam sumus opinionibus, non modo vulgi verum etiam hominum leviter eruditorum qui, quae complecti tota nequeunt, haec facilius divulsa et quasi discerpta contrectant et qui, tamquam ab animo corpus, sic a sententiis verba seiungunt, quorum sine interitu fieri neutrum potest >>. Questo richiamo a rispettare l'unità e la coerenza dell'opera è anche nell'epistola di Seneca che Francesco cita subito appresso. '24 Viro... stare: Ad Luci/. XXXI II 7 (« et fulcire se notissimis ac paucissimis vocibus . .. >>, ecc.). Ma tutta la lettera ha attinenza con quanto si dice qui. La citazione, in forma indiretta ma esplicita, torna ancora nelle lettere, ov'è unito ciò che nel Secretum è dialetticamente spanito tra Francesco e Agostino. Quella di appuntare ed eventualmente trascrivere sentenze o pensieri o giudizi in ciò che leggeva era pratica naturale in Petrarca, che qui nel dialogo se la fa addirittura consigliare da Agostino (v. II n. 245 ) ; nello stesso tempo egli era ben cosciente del tipo eli rischi a cui poteva andare incontro, se avesse assolutiz zato un tal modo di procedere, trasformandolo in una sorta di indiscriminato saccheggio, buono soprattutto per fare bella figura. Ecco cosi che nella Fam. IV 15, Contra ostentatores scientie non sue ae flosculorum deeerptores, !4 ss., rimprovera il noto canonista Giovanni di Andrea d'una siffatta debolezza e vanità: > ecc., ricordando appunto le parole di Seneca, cosi come le ricorda in Fam. I 3, 4 (qui parla di sé, e difende le sue abitudini di lettore l scrittore): " N eque vero me talia summis labiis locutum putes, quique coetaneis meis est mos, per auctorum vireta captare flosculos. Quod viro turpe ait Seneca, nobis ita permissum putant, ut nichil videatur in adolescente formosius. Ego me non nego flosculos
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imerdum legere, quibus imer seniorum choros, si res tulerit, uti queam; sed ita ad optatam senectutem merita cum laude perveniam , ut ego magis omnia ad vitam extimo, quam ad eloquemiam referenda >>, ecc. Allo stesso modo si difen derà nella Fam. XXIV l, che nella prima parte è costituita da un centone di citazioni relative al motivo del tempo che fugge, concluso da una difesa quale quella già vista: 'io trasceglievo tali sentenze non per avere flosculi da ostenta re, ma per ricavarne una norma per la mia vita presente e futura' (par. 9 ss., per cui v. II n. 245 ) . Ha invece altro valore il caso di Fam. I 8, 24. m Nec ego . . . lenocinium est: dopo la difesa di Francesco, Agostino precisa l'accusa. In discussione non è tanto quella pratica in sé, ma il suo uso: non tanto flosculos carpere, ma farlo per aures audientium demulcere. Non si tratta di generici ascoltatori, ma di soda!i, di amici, ceno non 'volgari', ma pur sempre costituiti come pubblico, dunque come punto di riferimento obbligato del proprio successo e della propria gloria. Ed ecco allora che i 'fiori' non hanno piu una misura interna, personale, come riserva di remedia per il proprio spirito (e come tali giustificati: .v. II n. 246), ma diventano qualcosa che assomiglia a una scorta di merci, q!Ìplcosa da spacciare ad altri, ruffiane scamente, per averne in cambio il successo ( « velut ex ingenti acervo . . . >> ) . Il testo è dunque lavorato assai finemente, anche nel caso del breve accenno alle 'angustie della memoria', che può essere illuminato con il rinvio alla stessa epistola di Seneca che Francesco poco sopra ha citato: « aliud ... est meminisse, aliud scire. Meminisse est rem commissam memoriae custodire; at contra scire est et sua facere quaeque nec ad exemplar pendere. . . >> (Ad Luci!. XXXI II 8). Donde si ricava che il tema profondo del trasformare in actum ciò che si apprende si configura adesso, a questo punto del dialogo, come una sona di bivio pitagorico: di là l'interiorizzazione, il 'sapere'; di qua l'esteriorizzazione, la gloria ... Non è il caso di precisare troppo a quali opere Agostino alluda: l'accenno agli amici evoca il canzoniere, ma il contesto porta, semmai, ai Rerum memorandarum libri, come suggerisce anche il Rico. "" manum ad maiora . . . aggressus es: si tratta del De viris illustribus, concepi to nel 1339 come una serie di 'vite' di grandi romani, da Romolo a Tito ( come qui si dice). Nel 1343 ne erano state composte ventitré, tra cui quella di Scipione l'Africano ( che ha però una storia redazionale sua propria) , sino a Catone il Censore. Durante l'ultima residenza a Valchiusa, nel 135 1 - 1 3 5 3 , Petrarca ampliò il progetto iniziale, comprendendovi uomini famosi di ogni epoca, a cominciare da Adamo: con la nuova prefazione all'opera intera, le vite allora composte furono dodici ( nell'ordine, Adamo, Noè, Nembro!, Nino, Semiramide, Abramo, !sacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Giasone, Ercole quest'ultima non compiuta) . Molto piu tardi, intorno al 1370, a Padova, Petrarca cercò di dare forma prowisoria alle vite romane, e insieme cominciò una versione abbreviata di queste, ma la morte interruppe l'una e l'altra opera, ed entrambe furono portate a termine da Lombardo della Seta (v. G. MARTEL LOTn, Epitome e Compendio, in Scritti petrarcheschi, pp. 50-66). Qui non inte ressa questa ultima fase di lavoro (di cui fa parte una nuova redazione della vita di Scipione, e il De gestis Cesaris, ch'è l'unica nuova vita composta dopo le due grosse fasi di lavoro precedenti), ma le prime due: cioè, il De viris 'romano' dei primi anni '40, e il De viris 'universale' dei primi anni '50. Il problema nasce dal fatto che nel !. II del dialogo si allude, come abbiamo visto, a questo secondo De vins (v. II n. 24 1 , mentre qui, nel !. III, il De viris è ancora e solo quello romano. Come mai? Come mai, cioè, proprio in questo libro, composto a Valchiusa nello stesso volger d'anni in cui progettava e in parte realizzava la versione 'universale', Petrarca di questa non parla, ma addirittura dà come unica e definitiva la prima versione? Il Rico, che affronta la questione
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in una lunga nota (pp. 386-388 n. 478) immagina che Petrarca fosse variamen te insoddisfatto e frustrato del nuovo progetto, forse già in via di abbandono, si che, pur dopo la rapida allusione del l. II, nel momento di definire con maggior precisione la propria opera, sarebbe tornato a considerarla per quello che avrebbe voluto essere e in gran parte era stata quando l'aveva cominciata. Con ciò, tra l'altro, era evitato ogni anacronismo, visto che proprio quello era il De viris del tempo in cui è posta l'azione del dialogo (e a ciò, per es .. si ferma il Baron, Petrarch 's 'Secretum', pp. 1 5 1 - 1 5 2 n. 72, che, in parziale polemica col Rico, non vede che ci siano qui particolari problemi). Il Rico stesso conclude riconoscendo che esiste spazio per altre ipotesi, e di ciò vorrei approfittare, molto brevemente. Non mi soddisfa, innanzi tutto, l'idea della 'frustrazione' (nella versione alfa di Fam . VIII 3, 12, databile tra il 1353 e il 1356, per es., si parla con piena adesione proprio del De viris universale: « ex omnibus terris ac seculis illustres viros in unum contrahendi illa michi solitudo dedit ani mum ... » ) , si che preferirei, piuttosto, rovesciare il rapporto: l'idea del nuovo De viris era ancora cosi vaga da legittimare la leggera allusione del !. II (ove non fosse stata colta, il senso generale del passo non ne avrebbe sofferto) , non una precisa nuova definizione dell'opera stessa. Ma non è questo il punto sul quale credo si possa insistere. Vorrei sottolineare, invece, altre cose, e preliminarmen te il fatto che, a parer mio, il problema esiste. Intanto, il progetto ultimo e piu ampio era proprio quello che piu prestava il fianco all'accusa di smodata ambizione, quasi di megalomania, con l'indefinita enormità dei suoi confini, rispetto alla versione iniziale, ben delimitata e in buona parte già realizzata; poi, Agostino puntualizza che ora Francesco è tutto assorbito da questa gigan tesca impresa - la quale in effetti non può essere, per quanto ormai crediamo di sapere, che il De viris universale, proprio quello di cui, curiosamente, si evita di parlare ... Per uscime, credo che occorra partire dalla considerazione che in tutte queste pagine finali del Secretum, nel discorso attorno alla gloria, l'obiettivo interno è costituito dallo stretto binomio De viris-Africa. Dunque, di necessità, dal De viris del 1343, non da altri: da quel De viris nato insieme al poema, in parte come opera sussidiaria ad esso, dedicato ai grandi romani, in cui agisce come discriminante una nozione di fama e di grandezza che fa abbondantemente aggio su quella di virni Abbiamo già accennato, nell'Intro duzione, alle ragioni che possono aver indotto Petrarca a porre l'azione del dialogo proprio nel 1342: tra queste, fondamentale credo sia stato l'obiettivo di fissare e criticare un momento esemplare della propria carriera - il mo mento che quelle due opere, insieme, perfettamente rappresentavano. La cura di non cadere in anacronismo (di non attribuire al 1342 un progetto di un decennio successivo) non è qui mero scrupolo di fedeltà storica: altrove, infatti, tale cura non c'è. In questo caso, è qualcosa di sostanziale, di costituti vo, nell' ideazione e nella struttura logica del dialogo . Allora, con il De viris e con l'Africa (certamente non cosi piu tardi, con i Rerum memorandarum libri, e tanto meno con il De vita solitaria e il De olio religioso), Petrarca giocò la sua grande scommessa 'romana'. ed è questa scommessa, e la corrispondente immagine di sé come grande storico e grande poeta epico che ora Petrarca lucidamente rimedita, con essenziale rispetto dei tempi forti della propria esperienza. De viris-Africa : una volta posto come centrale questo binomio, che in effetti centrale era stato, solo il primo De viris poteva essere quello che interessava. Ma per ciò, v. le ipotesi di sistemazione generale tentate nell'Intro duzione. Per finire, altri cenni al De viris sono in Fam. VIII 7, 5; IX 15, l ; X 4, 34; XIX 3, 1 2 - 1 3 ; XX 8, I l , ecc. '" Eoque nondum ... relinquas: la composizione dell'Africa, cominciata nel 1338- 1339, che nei primi anni '40 andò in parallelo col De viris (e in panicola-
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re con la vita di Scipione) occupò Petrarca soprattutto durante il primo soggiorno parmense, dalla primavera del 1 34 1 al gennaio del 1342, e quasi certamente anche durante il secondo, tra la fine del 1343 e il principio del 1345. In sèguito egli tornò sul poema, in modo anche molto intenso, ma di questa fase tarda del suo lavoro - diciamo, dopo il 13.:15 - non si sa molto (contributi importanti si attendono da Vincenzo Fera, che sta curando la nuova ed. critica del poema per l'Ed. Nazionale). In ogni caso, questo « nunc ... incumbis » è troppo preciso, specie se posto in relazione con espres· sioni analoghe che torneranno piu avanti, per non testimoniare di una fase di lavoro che ha visto strettamente intrecciata una parte del poema e questa parte, almeno, del Secretum (di nuovo, v. l'Introduzione, e avanti, nn. 376 e 402 ). Il gioco di parole su 'Africa' è ripetuto anche avanti: v. nn. 333 e 405 , e cfr. Fam. XIII 12, 5 . ' " preciosissime . . . rei: i l tempo. Cfr. Fam. X l , 6: . V. pure, in generale, la piii volte citata Fam. XXI 12, su come si possa allungare la brevità del tempo e fermare la vita che fugge, e De vita solitaria I, p. 372. m tibi vero ... crastini?: cfr. SENECA, De brev. vitae III 5: >, etc. "' moriendum . . . die: cfr. I n. 96, con la cit. di CICERONE, De senectute XX 74 ( anche in Sen. XIV l, p. 434). '" cui... venturum: ancora CICERONE, De senectute XIX 67 ( > (Rico). '" At ... promittentium: Agostino risponde riferendosi a un altro passo del De senectute, XIX 67-68.
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"9 quanta tibi .. reservare: v. sopra, n. 350, con la citazione da SENECA, De brro. vitae III 5 . '"" mortalium rerum. . sit cura: riprende, variando, il concetto già espresso sopra (v. n. 340). '"' ordinatissimus progressus: come il fuco, pp. 397-398, spiega bene, sia nella prima che nella seconda parte di questo l. III si instaura una particolare tensione tra mortalia ed eterna che, nei due casi dell'amore e della gloria, Francesco tenta
di ridurre vagheggiando una soluzione indolore, un passaggio 'naturale' da un ordine all'altro. Eccolo perciò, là, aggrappato a un ipotetico immutabile 'ordine naturale' che regolerebbe la successione delle morti (v. sopra, n. 40), e che permette a lui, Francesco, di non affrontare i problemi che pone l'amare un 'oggetto mortale' (credere che Laura morirà per forza dopo di lui, significa poter fingere di credere che lei, per quanto lo riguarda, sia immortale ... ). Ed eccolo immaginare, qui, un 'percorso ordinatissimo' che senza salti e rotture, lasciando ogni cosa al suo posto, gli permetta di salvare tutto quanto gli sta a cuore, di non rinunciare a nulla. Ma qua e là, a scompigliare le carte, a mostrare la futilità di tali tentativi, c'è la morte, il cui pensiero, ricordiamo, « totius nostri colloquii finis est » (v. sopra, n. 241, ma anche, per es., nn. 287-290, e infine tutta la parte dedicata alla brevità della vita e alla morte che conclude il dibattito sull'amore, ove sono ampiamente ripresi temi già discussi nel l. l ) . '"' homunao: v . I n . l . '"' tibiJingis: è qualcosa d i diverso e piu grave del semplice sperare che cosi awenga. E, appunto, una finzione, un volontario inganno, un'opinione perver sa (dunque qualcosa che è intimamente legato ai temi subito affrontati: v. l nn. 5, 7, 29, ecc.). Di tante possibili citazioni, v. De remediis I 108, p. 1 10, ove &tio spiega quanto valga una speranza di felicità fondata su tali finzioni: > : Comm. II 9, 8). 170 an ea que.. incoli: Petrarca va all'essenziale semplificando alquanto le fonti. Basti dunque quello che egli qui fa dire ad Agostino con la massima chiarezza: la sfera terrestre ha una fascia centrale, equatoriale (la zona perusta di Macrobio), inadatta alla vita perché troppo calda, e due zone polari pari menti inadatte perché troppo fredde. Tra quella e queste, delimitare dai Tropi ci e dal circolo polare, ci sono le due zone temperate abitabili (la zona tempera la nostra e la zona temperata anloecorum, cioè quella degli 'antipodi'): esse sono disposte 'a destra e a sinistra', e non, come ci si aspetterebbe, a nord e a sud, o in alto e in basso, perché le carte medioevali tracciavano l'equatore verticalmente, rispetto all'osservatore. Per un'ulteriore divisione in due parti delle zone abitabili, v. sotto, n. 372. Per le singole espressioni soccorrono vari riscontri, dal Somnium Scipionis VI 1 -3 a MACROBIO, Comm. II 5 -9, a VIRGI LIO, Georg . I 233-238, il quale parla, però, di 'zone' celesti (ma Macrobio si preoccupa di mostrare l' accordo delle sue 'zone' con le 'fasce' di Cicerone, in Comm. II 7, e Petrarca ne trascrive in parte le parole in margine ai versi virgiliani, al / 2 1 del codice Ambrosiano), a PLINIO, Nat. hist. Il 172. Per brevità, e per il suo valore primario, mi limito a trascrivere qui parte del passo ciceroniano, VI 2-3 (com'è noto, è l'Africano che nel corso del somnium mostra al nipote adottivo, dall'alto del cielo, la terra, per ammonirlo sulla limitatezza della gloria terrena) : « Cernis autem eandem Terram quasi quibus dam redimitam et circumdatam cingulis, e quibus duos maxime imer se diversos et caeli verticibus ipsis ex utraque parte subnixos obriguisse pruina vides, medium autem illum et maximum Solis ardore torreri. Duo sunt habita biles, quorum australis ille, in quo qui insistunt adversa vobis urgent vestigia, nihil ad vestrum genus; hic autem alter subiectus aquiloni quem incolitis, cerne quam tenui vos pane contingat >>. Si noti che, con le ultime parole che Petrarca fa pronunciare ad Agostino (>) , si afferma proprio ciò che, nella frase che segue, il santo metterà in discussione. "' An ea que. . . non dubito: c'è un po' di confusione, perché pareva già scontato - abbiamo visto - che le due porzioni di terra abitabile, situata evidentemente nei due opposti emisferi, fossero effettivamente abitate entram be. Il problema, in ogni caso, era appunto duplice: esiste una zona abitabile nell'emisfero australe, simmetrica alla nostra, stretta tra la zona torrida e quella polare? Tale zona è, come la nostra, abitata? Per il primo punto, la cosa è pacifica, e lo stesso Petrarca, infatti, restringe la controversia alla seconda questione. Accettando lo schema proposto dal Somnium Scipionis, non si può negare quella simmetria: , come afferma MACROBIO, Comm. II 8, 4. Ma occorre anche sottolineare, prima di procedere, un ulteriore fatto, dato allora per indiscutibile: i due emisferi, o
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meglio, le rispenive zone temperate, sono totalmente isolate una dall'altra, divise insieme dall'invalicabile Oceano e dalla torrida zona equatoriale. Macra bio si diffonde in proposito (Comm. II 5, 17 e 31 ss.; 8, 3; 9, 5: ma v. l� nota seguente), e gli altri lo seguono. Cfr. PLI N I O , Nat. hist . II 172: « Circa duae tantum imer exustam et rigentes temperantur, eaeque ipsae imer se non per viae propter incendium siderum >>; lsiDORO, Etym. XIV 5, 17: « quarta pars trans Oceanum interior est in meridie, quae solis ardore incognita nobis est; in cuius finibus Antipodes fabulose inhabitare produntur "• e in particolare, chiarissimamente, Petrarca, qui nel dialogo e nella versione del somnium di Scip ione nell'Africa, II 387 · 392: « mediam vetitum est attingere zonam [la zona equatorzale], l etheris hinc etenim vos inclememia longe l summovet; at circum flammis permixta tepescunt l frigora [le zone polan] ; sic gemina monales sede [le due zone temperate] fruuntur. l Altera sed vobis est invia: separat illam l et calar et pelagus " · Da tutto ciò deriva che dell'esistenza della zona temperata australe e dei suoi eventuali abitanti, gli 'antipodi', si può avere una certezza razionale, non una prova concreta. In ogni caso, Cicerone dà per certe entram be le cose, come Plinio (v. Nat. hist. II 1 6 1 ) e come il padre di Scipione (non Petrarca: la distinzione è importante) nell'Africa (> l che non ha l'appoggio di ulteriori conferme. In una nota sul codice di Plinio, il Par. lat. 6802 (acquistato nel 1350: e il Rico, p. 403 n. 520, non perde occasione di vederne riconfermata la cronologia ch'egli propone per il dialogo) annota, a proposito di Nat. hist. II 1 6 1 : « lngens hic pugna litterarum contraque volgi circumfudi terrae undique homines conversisque imer se pedibus stare . . . >>, > INOLI IAC, Il, p. 801: cosi, da un lato rileva l'unanime concordanza delle fonti classiche, e dall'altro riconosce il peso dell'obiezione di s. Agostino. Anche altrove, la cosa resta incerta, bloccata dal 'veto' del santo. Nel Virgilio Ambrosiano, /. 140, ad Acn. VI 532, ricorda a proposito degli 'antipodi' Georg . I 243, e copia MACROB!O, Comm. II 5, 22-27, in cui se ne difende l'esistenza, aggiungendo in "fine: > lv. RicO, p. 402 n. 5 191. Cfr. ancora R. V.F. XXII 13-14: « Quando . . . le tenebre nostre altrui fanno alba >> ; L 2-3: « 'l di nostro vola l a geme che di là forse l'aspetta »; Fam. IX 13, 9: >, il cui tono complessivo sembra di sostanziale accettazione dell'ipotesi. Direi invece diverso il caso di Fam. XX l, 12, e Africa VIII 1-3, ove la menzione degli antipodi è chiaramente di tipo iperbolico l il sole sprona i cavalli per correre a riferire agli antipodi ciò che ha visto nel nostro emisfero; c'è da credere che i nostri vizi siano arrivati sino agli antipodi) . Concludendo, forse non si può dire, con il Lo PARCO, Il Petrarca e gli antipodi etnof!.ra/ici, in >, XXXVIII ( 1908), pp. 337-357, che Petrarca credesse senz'altro agli antipodi, ma ancor meno si può dire il contrario, perché certamente contemplava la possibilità che quelli esistessero, e solo s. Agostino gli imponeva una cautela che altrimenti non avrebbe avu10. '" Alteram.. interdici/: si riferisce a una specificazione ulteriore, che è Macrobio ad illustrare (v. in particolare Comm. II 9, l ss.). I due emisferi, il boreale e l'australe, sono infatti divisi in due parti, corrispondenti grosso modo a quarti di sfera (si ricordi come per Dame la terra emersa corrisponda a un simile quarto di sfera: > , in Quaestio 5, e cfr. Convivio I II 5, 12 con la nota ad loc. del Vasoli, neUa /quale si citano Alberto Magno e Restoro d'Arezzo, e In/. XXVI 1 14 - 1 1 7 e XXXIV 1 1 3 - 1 14 1 . Questo perché l'Oceano principale, che corre lungo la fascia equatoriale e divide i due emisferi, forma deUe correnti che cerchiano a loro volta la terra passando per i poli. Da tutto questo immenso incrociarsi e scorrere di acque lche spiegherebbe le maree) restano delimitate quattro 'isole', due per emisfero, reciprocamente inaccessi bili, ognuna delle quali comprende una parte temperata abitata l s[ che il problema poligenetico riguarda in realtà non due, ma quattro stirpi umane: v. la nota precedente, e MACROBIO, Comm. II 5, in particolare 28-361. DaU'altra parte abitabile del nostro emisfero noi siamo divisi dall'Oceano e dai ghiacci del settentrione, come ancora Macrobio ripete piu volte. Al proposito, cfr. Fam. III l , 8, sull'ubicazione deUa favolosa isola di Tule, nascosta >. E s. A G OSTI NO , De civitate Dei XII 12: « omnia saeculorum spatia
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detinita, si aeternitati interminatae comparentur, non exigua existimanda esse, sed nulla ». Cfr. avanti, n. 382. "" Non e!!, O le... su111 pro/ecto: si riferisce alle teorie antiche che spiegavano come l'umanità fosse ricorrentemente ridotta ai minimi termini o addirittura distrutta da incendi e alluvioni, e come ogni volta ripanisse un lento e faticoso processo di civilizzazione, destinato a sua volta, ciclicamente, ad essere annul lato. Cfr. il Timeo, nella traduzione di Calcidio, ed. Wrobel, 22 c, p. 14: « mu!tae quippe neces hominum partim conflagratione panim inundationibus vastantibus acciderunt », e soprattutto CICERONE, Somnium Scipionis VII l, eh' è il passo al quale Agostino qui precisamente rimanda: « Quin etiam si cupiat proles futurorum hominum deinceps laudes uniuscuiusque nostrum acceptas a patribus posteris prodere, tamen propter eluviones exustionesque terrarum, quas accidere tempore certo necesse est, non modo non aeternam sed ne diuturnam quidem gloriam adsequi possumus » (e cfr. De natura deo rum II 1 18, e SENECA, Nat. quaesl. III 27 ss., mentre anche MACROBIO, Comm . II IO, 14, ricorda al proposito il Tàneo) . La polemica di Agostino contro una tale visione ciclica delle vicende umane e del tempo stesso (> . Si deve ancora osservare che questo puntuale richiamo all'ortodossia da parte di Agostino fa il paio con quello - per la verità piu sfumato - che abbiamo già visto, relativo agli abitanti dell'emisfero australe, gli 'antipodi' (v. sopra, n. 3 7 1 ) , sf che appare chiaro come Petrarca, nel momento in cui torna al Somnium Scipionis e in panicolare utilizza la parafrasi che già ne aveva fatto nell'Africa, si preoccupa contestualmente di prendere qualche distanza dall'uno e dall'altra, e dunque di segnare, anche, i possibili termini di un diverso modo di lettura dei classici, sottoposti al va glio della 'vera religione' che ora 1 pretende, attraverso Agostino, l'ultima parola. '" diuturnitalem . . . eternitalem: le stesse parole in Somnium Scipionis VII l , cit. nella nota precedente. Cfr. pure MACROBIO, Comm. II 10, 4 ; BOEZIO, De consola/ione II 7, 1 5 ; s. AGOSTINO, De civitate Dei XII 12. '"' Mors... /ransacta esi: non proprio cosi CICERONE, Somnium Scipionis VI 4: ; IX 5, 18 e 44: « Vere autem satius multo est Achillis cum invidia vinutem guam absque invidia Thersitis ignaviam imitari. At qui procul ab invidia vitam agere instituit, ea sola ut arbitrar via est, ut a studio virtutis abscedat >> ; IX 14, l ; XII 2, l: >; XIV l, 36 ss.: >. Cfr. avanti, n. 395, e lsiDORO, Synon. II 90: >. Cfr. ora C. Pou·ro, in > ) . "' ut Terrentius... prius: Eunuc. I 4 1 , citato anche in Fam. III 4, 3, con Ecc!. 10: « Nichil sub sole novum >>.
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loquenlis autorilas: v. II n. 148. Ceterum ... velim: il padre dell'Africano al figlio, sull'identica questione: « Quenam igitur queres mea sit sententia » (Africa II 496: v. R.!co, p. 4 1 1 n. 393
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,... Ut inglorius.. consulam: per il passaggio, che segna un'ulteriore svolta nella discussione, cfr. II n. 96. E Fam. XIII 4, 19 ( 10 giugno 1352): « Quid sibi velit hec exemplorum copia expectas ? ignavum ne fieri iubeam ut tranquille vivas? Absit; optabilior est enim non modo labor sed mors quoque cum gloria quam quies ingloria . . . ». Un po' diversamente, ma con analoga mossa, anche Publio Cornelio Scipione finisce per concedere al figlio ciò che sino a quel punto gli ha negato: « Quod si dulcedine fame l tangeris, et stimulis etiam nunc pungeris istis, l quod predara tuo stat gloria fixa labori l polliceor. . . » (Africa II 482 ss.). '"' Nosti enim. . gloriam non parere: tutta questa parte del discorso di Agostino è costruita sull'immagine della gloria come umbra virtutis, ricavata da CICERONE, Tusc. I 45, 109: « Etsi enim nihil habet in se gloria cur expetatur, tamen virtutem tamquam umbra sequitur », e da SENECA, Ad Luàl. LXXIX 1 3 (con un accenno all'invidia che Petrarca h a ceno tenuto presente: v . sopra, n. 383): « Gloria umbra vinutis est: etiam invitam comitabitur. Sed quemadmo dum aliquando umbra antecedit, aliquando sequitur ve! a tergo est, ita gloria aliquando ante nos est visendamque se praebet, aliquando in aversa est maior que qua serior, ubi invidia secessit » (e cfr. De vita beata XIV 1 : >. 396 veram gloriam: l 'aggettivo è pregnante, e definisce quel tipo di gloria che inevitabilmente vien dietro alla pratica della virtu. Altri tipi, come è detro piu avanti, non sono neppure degni del nome di gloria ... 397 qua sublata ... amor es/: senza la 'vinu' l'uomo è una bestia. Cfr. I n. 85 con la citazione, obbligata, di DANTE, Inf XXVI 1 1 8- 120. Benché la frase componi solo la soppressione della virtu (« qua sublata . . . »), non c'è tuttavia dubbio che si debba intendere che anche la soppressione della gloria - la 'vera' gloria - precipiti l' uomo in una condizione bestiale. Cosi, con opportu ne precisazioni, Agostino finisce per riconoscere la nobiltà del desiderio di gloria insito nell'uomo, come insegnavano gli antichi, a cominciare da Cicerone, e come, in effetti, opponeva Francesco, all'inizio di questo l. III, difendendo, appunto, i suoi « nobilissimos ... affectus >> (e v. soprattutto Collatio VII 2, p. 1266: « Hoc unum dixisse sufficiat: glorie appetitum non salurn communi.bus hominibus, sed maxime sapientibus et excellentibus viris insitum >>, ecc.). E in questo quadro che va riportata la citazione da SALLUSTIO, Catilina I 1 -3 , allegata dal R.!co, p. 4 1 2 n. 548: « Omnes homines, qui sese student praestare ceteris
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animalibus, ope niti decet, ne viram silemio rranseanr veluri pecora, guae natura prona argue ventri oboedientia fin xi r. Sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est; animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, a!terum cum beluis commune est. Qua mihi rectius videtur ingenii guam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa qua fru imur brevis est, memoriam nostri guam maxume longam efficere » (e v. pure CICERONE, Pro Archia XI 28). "' illam . . . assequeris: cfr. SALLUSTIO, Catilina LIV 6, citato da s. AGOSTI NO, De civitate Dei V 12, 4: « Melius laudarus est Caro. De ilio quippe [Sallustio] ait: "Qua minus petebat gloriam, eo illum magis sequebatur" ». Cfr. Fam. XV 14, 26: > (una natura tutta femmi nile, dunque, quale sarà sintetizzata dal PoLIZIANO, Stanze I 14, 7: « segue chi fugge, a chi la vuoi s'asconde >>) . Il Rico allega il proverbiale: « Gloria spernen tem fovet, adversatur amamem », in W ALTIIER, n" 10.336 b. ''" il/a . . sequetur: Africa II 486. I versi che seguono sono citati sopra, n. 395 . .
"'" lnsanus .. 11011 desert't : tutto da Africa II 490-500: « Sed numquid inep· tum l dixeris arenti gradientem in pulvere, ut umbram l aspiciet post terga suam? Non sanior ille est l qui terit etatem frustra corpusque fatigat, l aut animum curis onerat, nichil inde reposcens l ni laudem et vanos populi per compita ventos. l Dicam. Ille eat ut metam teneat, licet imer eundum l umbra sequatur iter; virtutis amore laboret l hic alius, celumque sibi sit terminus, et non l gloria, que meritos sequitur, vel spreta, labores » (qui il Rico allega LIVIO, I 2, 47: « spreta in tempore gloria imerdum cumulatior rediit »). '"1 l/la vero.. dt?,na est: la gloria ottenuta con altro, che non sia il puro, disinteressato esercizio della virtu. Qui, l'« humana curiositas » mantiene la connotazione fortementç negativa che già abbiamo visto (v. I n. ·so, e aggiungi il lungo passo relativo a quella curiositas che ispira le varie azioni degli uomini, in Fam. X 5, 1 3 ) , e corrisponde all ' inane ingenium di Afrrca II 456-457, riferito poco sopra nel dialogo: v. n. 389, con la cit. di Fam. XXIV 12, 1 1 , ov'è un'altra espressione equivalente: ceca industria, che rinvia, per il concetto, a Tr. Martis I 88 e Tr. Eternitatis 107 (l'Ariani, ad loc. , rinvia a Isaia XLIX 4 e Ecc!. V 1 5 ) . La coppia « sive corporis sive ingenii artibus » è stata suggerita, secon do il Rico, dal passo di SALLUSTIO, Catilina I 1-3. citato sopra, n. 397. "12 ltaque tu.. dilabitur: Agostino ora specifica quale sia l'attività a cui vanamente si applica la curiositas o l'ind11stria o l'ingenium di Francesco, il quale sciupa cosi il tempo breve della vita. Si tratta della sua attività di storico e di poeta, come autore del De viris e dell'Africa, opere sulle quali Agostino ha già fatto calare la sua condanna morale, anticipando quanto qui ripete: 'spre chi il tuo tempo per gli altri, e ti dimentichi di te stesso .. .': « lta totam vitam ... prodigus preciosissime irreparabilisque rei tribuis, deque aliis scribens, tui ipsius oblivisceris » (v. sopra, n. 329 e Fam. XIII 4, 7 del giugno 1352). Che cosa comporti questo giudizio, sarà piu chiaro poche righe avanti, quando il santo comincerà il suo ultimo, lungo discorso, prima delle battute finali del dialogo. A proposito di queste righe, il Rtco, p. 413 n. 554, ricorda R. V.F. CCLXIV, I' vo pensando 75-76: : Fam. I l, 8), segnata da tutti i limiti che la gloria terrena patisce e però, a questo punto, unica morale 'interna' del suo lavoro, unica giustificazione . . . Ecco dunque la radice di quel vivere 'fuori di sé', dimenticando di fondare su valori stabili la propria vita, che Agostino ripetutamente denuncia. Illuminante al proposito è il passo di Fam. V 17, 1 ·2 , che è bene trascrivere per intero (i corsivi sono miei): >. La lettera, indirizzata a Guido Sette, si fa risalire normalmente al 13421343, seguendo il FoRESTI, Aneddoti, pp. 148-150, il quale ne nota la stretta
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parentela con le pagine del Secretum, dato allora per composto proprio in quell'inverno. Ma proprio per questo - e per le auctoritates che la nutrono: BoEZIO, De consola/ione II 7 e III 6; MACROBIO, Comm. II IO, 2; CICERONE, Somnium Scipionis VII 5, e che I'awicinano pure al somnium dell'A/rtca sono convinto che la sua attuale stesura debba essere riportata agli anni '50. Per un altro contatto con il Secretum, v. proemio n. 25 (e può interessare questo discorso il fatto che nella Familiare successiva, sempre indirizzata a Guido Sette, compaia una citazione che è nel Secretum e in altri testi non anteriori al 1350: per ciò, v. II n. 53). '"" His igitur... cogitare: una riflessione che « totius nostri colloquii finis est » , come Agostino ha già detto (v. sopra, n. 24 1 ) , riassumendo il tema centrale del L I, sin dalle sue primissime righe. Per il motivo senechiano e agostiniano del 'tornare a sé', del 'vivere per se stessi' e per le sue concrete implicazioni, v. già II nn. 87, 217 e 263, e III nn. 2 16 e 442, qui con ulteriori rinvii. E cfr. ancora, in particolare, una pagina delle Invective contra medicum, IV, p. 952: « Intus in anima est quod felicem et quod miserum facit . Hinc illud poet icum digne laudatur: "nec te quesieris extra" [PERSIO, Sat. I 7]. Constat autem nunquam melius esse anime quam dum, amotis obstaculis viteque com pedibus, in Deum atque in se ipsam libera tandem et expedita convertitur >>. Di s. AGOSTINO cfr. almeno Soli!. II 19, 33: « A vertere ab umbra tua, revertere in te. . . >>, e De vera religione XXIX 72, 202: « Noli foras ire, in te ipsum redi: in interiore homine habitat veritas » (e Con! I 13, 20). '07 Cave. . . re/er: per la verità, Francesco ha già assicurato Agostino al proposito: « Quicquid video, quicquid audio, quicquid sentio, quicquid cogito ad hoc unum refero >> (v. I n. 130). >, e Rer. mem. III 80, 4. "'' damna . . . decidimus: ORAZIO, Od. IV 7, 13- 14. Nota il R.Jco, p. 427 n. 591: . E De vùa solitarù; I, p. 296: « Atqui dure dicimus conditionis agricolam, qui cum labore serit arborem cuius fructum nunquam sit visurus . . . >> . V. anche la n. seguente.
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"' tarde ... umbram: VIRGILIO, Georg. II 58. Cita il verso anche SENECA, Ad Luci!. LXXXVI 14-15: « ... quamvis vetus arbustum posse transferri. Hoc nobis
senibus discere necessarium est, quorum nemo non olivetum alteri ponit, quod vidi illud arborum trimum et quadrimum fastidiendi fructus aut deponete. Te quoque proteget illa quae: tarda veniet seris factura nepotibus umbram, ut ait Vergilius noster ». Nel Virgilio Ambrosiano, f 26 V, Petrarca annota il verso delle Georgiche riportando parte del testo di Seneca. "' Fluminaque ... abit vite: Epyst. I 4, 9 ! -92. Cfr. SENECA, Ad Luci!. LVIII 22-23: « Corpora nostra rapiuntur fluminum more. Quidquid vides currit cum tempore... Hoc in amne manifestius est quam in homine; sed nos quoque non minus velox cursus praetervehit >> , citato in Fam . XXIV l, 8; nel De olio II, p. 702, e ripreso in Rer. mem. II 80, commentando la sentenza di Eraclito: « In ipsum flumen bis descendimus et non descendimus » (« Fugit enim (la vita] non fluminis tantum more, sed fulminis ... »). L'Epyst., dopo i versi citati nel testo (sono le riflessioni di re Roberto, sulle rive del Sorga), cosi continua: « Superant tamen illa per evum l de scatebris renovata suis; nos vita relinquens l quo fugit? unde unquam posthac reditura fuisset ... ». "' Nec te fallat. .. v!X integri: cfr. Fam. IX 14, 5 : « Non nos fallat longioris vite spes ... » (cit. in I n. 122). E, per l'« operosa distinctio » del tempo umano, v. sopra, n. 253, con la cit. di Fam. XXIV l, 28-29 (« tota vita hominis dies unus est ... »). Cfr. Tr. Temporis 6 1 : . Giunti a questo punto - ché qui è la conclusione 'pratica' del dialogo, certo non positiva come quella che potremmo chiamare conclusione 'morale', per la quale v. sopra, n. 442 - occorre ammettere, pur senza caricare le tinte, che Francesco rinvia l'applicazione del modello di vita che per tutto il dialogo Agostino ha teso ad imporgli, e che tale rinvio non può non riproporre i temi affrontati sin dalla prima giornata del dialogo, dall'insufficienza della volontà al