Richard Wagner a Bayreuth (1876-1976) 8806523732, 9788806523732

Richard Wagner a Bayreuth (1876-1976). ed 1981 in ottime condizioni,copertina con una leggerissima piega all'angolo

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Italian Pages 200 [259] Year 1997

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Richard Wagner a Bayreuth (1876-1976)
 8806523732, 9788806523732

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HANS MAYER

RICHARD WAGNER A BAYREUTH 1876-1976

EINAUDI

«Ho bisogno di un teatro come io so­ lo posso costruirlo. Non è possibile che negli stessi teatri in cui vengono rappre­ sentate le nostre assurdità operistiche inclusi i classici — dove tutto, messinsce­ na, interpretazione, effetto richiesto è in sostanza in contrasto con ciò che esigo per me e per i miei lavori, questi possa­ no trovare un terreno reale». Così scri­ veva Richard Wagner in una lettera del 1861 all’amico Hans von Biilow, il gran­ de direttore d’orchestra da cui lo separe­ ranno in seguito complesse vicende fami­ liari (Wagner sposerà in seconde nozze Cosima, la moglie di von Biilow). Quel progetto, a cui Wagner aveva aspirato tutta la vita, la costruzione di un teatro che celebrasse unicamente la sua opera, fu realizzato finalmente a Bay­ reuth nel 1876. In quell’anno si inaugu­ ra il festival bayreuthiano con la prima esecuzione dell’Anello del Nibelungo al­ la presenza dell’imperatore Guglielmo I, di Franz Liszt e di uno scettico Cajkovskij. Ed è l’inizio di un’avventura irripe­ tibile, documentata e narrata in questo libro di Hans Mayer: la straordinaria simbiosi tra un grande artista e un’inte­ ra città, che fece dire a Nietzsche: «Per­ ché un avvenimento abbia grandezza debbono concorrere due cose: il grande animo di coloro che lo compiono e il grande animo di coloro che lo vivono». Tempio di una nuova religione del­ l’arte, il teatro di Bayreuth, con i suoi cento anni di vita, è la storia di un mo­ narca della musica e degli splendori e miserie della sua dinastia; ma nel libro di Mayer tutto questo si trasforma an-

In sopracoperta: Richard Wagner e Cosima. Bayreuth, Richard Wagner Gedenkstàtte.

che nella storia di una società, quella te­ desca, e di una cultura, di cui il wagnerismo incarnò lo spirito. Dai rovesci fi­ nanziari del primo festival agli eccessi ideologici degli anni del nazionalsocia­ lismo; dalla cacciata, nel dopoguerra, di Winifred, la nuora di Wagner, per la sua amicizia con Hitler, al tentativo fallito di mettere il festival nelle mani di Tho­ mas Mann; dalla nuova interpretazione dei Maestri cantori violentemente con­ testata dal pubblico nel 1956 al rinno­ vamento perseguito da Wieland Wag­ ner, quando sui programmi dei festival si leggevano contributi di Ernst Bloch e Theodor W. Adorno, il binomio Wag­ ner-Bayreuth attraversa la storia tedesca come espressione di un’arte realizzata nell’utopia, come intreccio dialettico tra tradizione e innovazione, «come conflit­ to permanente — scrive Mayer - la cui fine non è prevedibile».

Hans Mayer, nato in Germania nel 1907, studiò nelle università di Colonia, Bonn, Ber­ lino e Ginevra. Emigrò dalla Germania nel 1933: lavorò in Svizzera e negli Stati Uniti, tornando in patria alla fine della guerra. Li ha insegnato sociologia, storia e letteratura tede­ sca in varie università della Repubblica fede­ rale e della Repubblica democratica tedesca; da ultimo si è ritirato a Tubinga. Fra le sue numerose opere, sono state tra­ dotte in italiano: Thomas Mann (Einaudi, 1953), Brecht e la tradizione (Einaudi, 1972), Richard Wagner (Mondadori), Saggi sulla let­ teratura tedesca contemporanea (Mursia) e 1 diversi (Garzanti).

Hans Mayer

Richard Wagner a Bayreuth 1876-1976

Einaudi

Editore

SAGGI

632

Titolo originale

Richard Wagner in Bayreuth 1876-1976

© 1976 by Belser AG fiir Verlagsgeschafte & CoJKG, Stuttgart und Ziirich

Copyright © 1981 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

Traduzione di Mauro Tosti-Croce

Hans Mayer

Richard Wagner a Bayreuth 1876-1976

Giulio Einaudi editore

Indice

P-3

Prologo nietzschiano

ii

Entrata degli dei a Wahnfried, Richard Wagner

i4 24 27 3i

1. li. ni. iv.

4i 47 52

1. Il cammino di Cosima verso la tradizione 11. Bayreuth come forma di vita spirituale in. Fondazione di una dinastia

La festa democratica Il musicante dello stato Il mercoledì delle ceneri Il puro folle

La signora di Bayreuth. Cosima Wagner

Il figlio. Siegfried Wagner 61

^7 75

1. All’ombra della vecchia signora 11. L’arte e la reazione ni. Il direttore del festival

Il crepuscolo degli dei. Winifred Wagner 79 84 90 108

1. 11. ni. iv.

La bambina Tentativo di secolarizzazione Il Festspielhaus e la cancelleria del Reich I festival di guerra

La cacciata e la riconsacrazione della casa. Wieland e Wolfgang Wagner 117 121 127 136

1. 11. ni. iv.

Il giorno desolato L’alternativa Thomas Mann La cacciata I figli

Vili

Indice

p. 145 153 160

v. I maestri cantori fuori dall’ottocento vi. La discesa degli dei nel Walhall vii. Ritratto di Wieland Wagner

Festival come professione. Wolfgang Wagner

183

1. I fratelli 11. Un artista errante di nome Tannhauser in. Alla fine di un secolo

191

Epilogo. Alla luce della nostra esperienza

197

Ringraziamenti

171 176

Elenco delle illustrazioni

i. 2. 3. 4. 5. 6.

Richard Wagner col figlio Siegfried. Cosima Wagner. Richard Wagner. La «dinastia». Cosima Wagner. Friedrich Nietzsche.

Il Festspielhaus. Il tempio del Graal di Paul von Joukowsky nella prima esecuzione del Parsifal (1882). 9. Parsifal e le fanciulle dei fiori (1889). io. Franz Betz nel ruolo di Wotan.

7. 8.

11. 12.

Amalie Materna nel ruolo di Brunilde.

13.

La scena del Venusberg nel Tannhauser del 1891.

14. 15.

Bozzetto di Josef Hoffman per il terzo atto della Valchiria del 1876. Max Lorenz nel ruolo di Sigfrido.

16. 17.

Frida Leider nel ruolo di Isotta. Wieland Wagner.

18.

Cosima Wagner.

19. 20. 21. 22.

Siegfried Wagner e Arturo Toscanini. Winifred Wagner con Wilhelm Furtwangler.

Cosima e Siegfried.

Wolfgang e Wieland con Hans Knappertsbusch. Wieland e Wolfgang Wagner.

Scenografia di Emil Preetorius per il secondo atto dei Maestri cantori del 1933. 24. Bozzetto di Emil Preetorius per l’alcova nuziale nel Lohengrin del 1936.

23.

25. 26.

Maria Miiller nel ruolo di Elsa. Franz Vòlker nel ruolo di Lohengrin.

x

Elenco delle illustrazioni

Il secondo atto dei Maestri cantori nell’allestimento di Wieland Wagner (1956). 28. Birgit Nilsson nel ruolo di Brunilde. 29. Theo Adam nel ruolo di Wotan. 27.

30.

Il tempio del Graal nel Parsifal allestito da Wieland Wagner nel 1956.

Richard Wagner a Bayreuth

Le note a piè di pagina sono del traduttore o redazionali.

Prologo nietzschiano

«Perché un avvenimento abbia grandezza debbono concorre­ re due fattori: il grande animo di coloro che lo compiono e il grande animo di coloro che lo vivono» *. Con questa affermazione Friedrich Nietzsche inizia lo scritto Richard Wagner a Bayreuth, la quarta e ultima delle sue Considerazioni inattuali, concepita, per così dire, come coronamento e vertice supremo delle prece­ denti riflessioni di filosofia della cultura. Il giovane professore di filologia classica dell’università di Basilea era partito dalla nega­ tività, allorché nel 1873 aveva intrapreso una polemica contro 1’accomodante estetica borghese e la filosofia utilitaristica di Da­ vid Friedrich Strauss. Questo scritto, il primo di un progettato ciclo di opere «inattuali», cioè anticonformiste, di critica della cultura, cominciava con la distruzione. Ad esso si aggiunse un anno più tardi (nel 1874) la seconda considerazione, la più gra­ vida di conseguenze, intitolata Sull’utilità e il danno della sto­ ria per la vita. In realtà dell’utilità della storia vi si parlava appe­ na, assai più invece dei pericoli di uno storicismo soporifero. La terza considerazione, intitolata Schopenhauer come educatore, fungeva come passaggio iniziale dal momento distruttivo a quello costruttivo. Lo schopenhaueriano che la scriveva non appariva più del tutto sicuro né di se stesso né del suo maestro. Era ormai innegabile che Nietzsche vedeva in Schopenhauer l’uomo a cui era toccato il compito di essere il precursore di una figura più importante: di essere l’antesignano - certo involontario - di Ri­ chard Wagner. 1 Cfr. f. Nietzsche, Considerazioni inattuali, trad. it. (qui lievemente modificata) di S. Giametta e M. Montinari, Einaudi, Torino 1981, p. 249.

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Prologo nietzschiano

E infatti, proprio di Wagner tratta la quarta e ultima delle Considerazioni inattuali, scritta da Nietzsche nel 1875. Il libro esce un anno dopo, all’inizio del luglio 1876, poche settimane dunque prima dell’apertura del primo festival di Bayreuth. Ha, in un certo senso, la struttura di un preludio filosofico-culturale e rivela come tutti i precedenti scritti di questo pensatore anacro­ nistico avessero segretamente parlato di Wagner e del significato civilizzatore della sua audace impresa. Richard Wagner stesso si mostra commosso quando scrive a Nietzsche: «Amico! Il suo libro è immenso! - Dove ha mai ap­ preso a conoscermi tanto bene? » Solo che Wagner non era poi così sincero; Cosima Wagner annota infatti i diversi tentativi di leggere e meditare il libro del loro amico professor Nietzsche: continue interruzioni e accantonamenti del volume; alla fine sem­ bra che Wagner abbia rinunciato a un’attenta lettura del libro. In effetti, a guardar bene, il conflitto tra Wagner e Nietzsche è già iniziato. All’inquietante perspicacia che sempre contraddistin­ se Wagner ogni volta che gli premeva di determinare il suo rap­ porto con il mondo esterno e con gli altri difficilmente poteva sfuggire, anche a una rapida lettura, la discrepanza tra ciò che egli stesso si aspettava dalla celebrazione bayreuthiana del 1876 e il programma missionario di Nietzsche. Anche Nietzsche sentiva segretamente l’abisso tra la festa bay­ reuthiana e la propria visione di un rinnovamento culturale della Germania e del mondo grazie all’attività di Richard Wagner a Bayreuth. Il professore di Basilea era arrivato nella città del festi­ val il 24 luglio per assistere alle prove. Il i° agosto egli scrive alla sorella: «Voglio andarmene... Ho orrore di tutte queste lunghe serate d’arte... Ne ho davvero abbastanza». Alla vigilia della pri­ ma prova generale fugge a Klingenbrunn nella foresta bavarese e qui pone mano a un trattato ormai assolutamente non wagneria­ no, lavorando al volume Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi. Voleva già allora sfuggire a quella forza risucchiante e rendersi libero? Solo dietro le insistenze della sorella Elisabeth tornò a Bayreuth il 12 agosto: un giorno prima della vera e pro­ pria inaugurazione del festival.

Prologo nietzschiano

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Richard Wagner non sembra aver intuito ciò che si andava preparando. Anche in seguito egli, insieme con Cosima, non ha voluto vedere nell’allontanamento e nel distacco di Nietzsche null’altro che la tragica malattia del suo dotto amico e utile soste­ nitore. È improbabile che a Wagner sia venuto in mente che nella quarta e ultima considerazione nietzscheana, Richard Wagner a Bayreuth, il contrasto tra realtà e possibilità dell’impresa celebra­ tiva era esaminato e formulato per la prima volta con tesi estremamente profetiche. Per la seconda volta la visione nietzscheana di Bayreuth cozzava col gretto pragmatismo di un’impresa che, se fu certamente intesa da Wagner e dai suoi seguaci come un rinnova­ mento politico-culturale, rappresentava però (e di questo Nietz­ sche pareva non curarsi) anche un’impresa finanziaria, un proble­ ma organizzativo di tipo tutto nuovo e non da ultimo un progetto di pubblicità e di propaganda. Che Nietzsche dedicasse scarsa attenzione a questo aspetto lo si era già dovuto constatare il 31 ottobre 1873. Era allora appar­ so chiaro il fallimento del progetto originario di finanziare il fe­ stival con un capitale di trecentomila talleri, grazie alla distribu­ zione di mille attestati di patronato a persone disposte a pagare tali documenti trecento talleri. Il 31 ottobre 1873 si riunì a Bay­ reuth un’assemblea dei delegati di questi «patroni» finanziato­ ri. Per incoraggiare l’assemblea, Nietzsche aveva steso per desi­ derio di Richard Wagner un appello propagandistico ai tedeschi. I delegati però, dopo averne preso brevemente visione, respinse­ ro il testo, come Nietzsche scrive a un amico, «garbatamente, ma in modo deciso». E in effetti cosa si poteva fare di frasi come queste: «Riteniamo nostro dovere rammentare in questo momen­ to il compito di noi tedeschi, proprio ora che dobbiamo esortare a sostenere con tutte le forze una grande opera artistica del genio germanico... In particolare non si inviteranno invano le universi­ tà, le accademie e gli istituti d’arte tedeschi a dichiararsi, isola­ tamente o insieme, all’altezza del sostegno richiesto; e anche i rappresentanti politici della prosperità tedesca nei parlamenti del Reich e degli stati hanno un’importante occasione di riflettere come il popolo tedesco abbia bisogno, oggi piu che mai, di pu­

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Prologo nietzschiano

rificarsi e di consacrarsi attraverso la magia e lo sgomento sublimi della vera arte tedesca...» Già allora si poteva prevedere che niente di simile si sarebbe mai attuato. Né le università né i parlamenti tedeschi, per non parlare del parlamento del Reich appena fondato, si occuparono dell’ambiziosa impresa del discusso compositore Richard Wag­ ner in un oscuro luogo della Franconia. Otto von Bismarck aveva in verità gentilmente ringraziato Richard Wagner di avergli in­ viato la poesia All’esercito tedesco davanti a Parigi, ma tutte le successive richieste di sostegno finanziario per l’impresa di Bay­ reuth rimasero lettera morta. Per Bismarck, principe e cancellie­ re del Reich, a una richiesta del genere non c’era affatto bisogno di rispondere. Due volte, dunque, l’idea nietzscheana di Bayreuth si era scon­ trata con la realtà tedesca: una volta quando l’abbozzo propa­ gandistico era stato respinto, quasi senza essere capito, dai pa­ troni dell’impresa di Bayreuth e rapidamente accantonato anche da Wagner stesso; una seconda quando viene pubblicato lo scrit­ to Richard Wagner a Bayreuth, che non suscita alcuno scalpore, passa quasi inosservato ed evidentemente viene meditato con ben poca serietà dallo stesso Wagner. Eppure non esiste miglior punto di partenza, per interpretare il fenomeno del festival di Bayreuth nella sua complessità di avve­ nimento sociale, politico ed estetico, quanto il rifarsi proprio allo scritto che Nietzsche pubblica nell’anno di fondazione del festival. Richard Wagner a Bayreuth è in effetti un accostamento che va assai più in là della mera unione del nome di un famoso artista a quello di una località geografica. Se si parla di Kafka e Praga, di Dublino e James Joyce, di Thomas Mann e Lubecca, di Holder­ lin e Tubinga, si evoca e si cita di volta in volta una costellazione della storia della cultura. Si esaminano cioè i rapporti fra la vita di un artista e un determinato ambiente circostante. Ma chi pensa a Praga non corre necessariamente subito con il pensiero al Pro­ cesso di Kafka. C’è la realtà irlandese della città di Dublino, e c’è la Dublino dell’UZzsre di Joyce. Diversamente stanno le cose, e ormai da un secolo, nella co­

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scienza del pubblico, quando vengono accostati il nome di Bay­ reuth e quello di un grande artista. La storia di Bayreuth è diven­ tata da allora storia wagneriana, storia del festival, nonché storia delle metastasi politiche del wagnerismo. Lo splendore e la mise­ ria della famiglia Wagner e del festival hanno fatto lo splendore e la miseria di questa cittadina dell’Alta Franconia. Ma c’è di più. Richard Wagner a Bayreuth vuol dire in effetti storia tedesca. Per un osservatore superficiale ciò vale forse in un senso che Nietzsche cento anni fa non poteva sicuramente prevedere, o neppure desi­ derare; ma a un esame più approfondito il secolo che corre dal 1876 al 1976 non sembra aver affatto contraddetto le visioni del filosofo. Già in quel manifesto dell’ottobre 1873 Nietzsche aveva postulato per il popolo tedesco una purificazione e una consacra­ zione «attraverso la magia e lo sgomento sublimi della vera arte tedesca». Nello scritto di Nietzsche Richard Wagner a Bayreuth viene ora evocata la futura comunità dei wagneriani; e basta uno sguardo al futuro per rivelare ciò che potrebbe accadere se l’im­ presa di Bayreuth venisse realizzata come concezione totale. Dalla comunità cautamente definita da Nietzsche degli «inattuali» che nel 1876 si erano riconosciuti in Wagner e riuniti a Bayreuth, na­ sceva una comunità popolare che, grazie all’incontro con i drammi musicali del maestro, si era trasformata e «liberata» in un senso nuovo : « Forse quella generazione apparirà nel complesso perfino peggiore dell’attuale — perché nel bene e nel male sarà più sincera; potrebbe anzi darsi che la sua anima, se un giorno riuscisse a espri­ mersi con suono pieno e libero, arrivasse a scuotere e atterrire le nostre anime come se echeggiasse la voce di un maligno spirito del­ la natura finora rimasto nascosto. Oppure potrebbe produrre un effetto simile a quello che hanno al nostro orecchio frasi come que­ ste: che la passione è migliore dello stoicismo e dell’ipocrisia, che la sincerità anche nel male, vai meglio della perdita di se stessi nel­ la probità della tradizione, che l’uomo libero può essere tanto buo­ no che malvagio, ma l’uomo schiavo è un disonore della natura» . Qui parla già il Nietzsche maturo che si è allontanato da Wag1 Cfr. Nietzsche, Considerazioni inattuali cit,, p. 316.

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Prologo nietzschiano

ner e dalla compassionevole «morale da schiavi» del Parsifal. In realtà si tratta al tempo stesso di una coerente argomentazione che sviscera l’antagonismo Wotan-Sigfrido anche nell’ambito del­ la realtà sociale. Qui il signore dei patti, che a questi deve neces­ sariamente sottostare, custode e garante di una società borghese basata sulla fedeltà agli accordi, sulla maestà del diritto e sulla buona fede; là l’uomo di natura libero e bello, istintivo e fiducio­ so, che risolve i conflitti con la spada, comprende il linguaggio de­ gli uccelli e non quello della paura e della menzogna, cioè il lin­ guaggio di una comunità umana. Il secolo tra il 1876 e il 1976 ha esemplarmente realizzato ambedue i tipi, in Germania e nel mondo intero. Da un lato il concetto di Richard Wagner di un’arte drammatica esclusiva e assolutistica, collocata in un santuario avente la forma di una co­ munità pura animata dagli stessi ideali: una comunità vivente nello spirito dell’arte tedesca, che è superiore a ogni altra forma di espressione artistica e che deve essere difesa tanto dai cattivi piaceri estetici del mondo borghese quanto dalla contaminazione con gli ebrei e con lo spirito ebraico. Tutto questo, che è la quin­ tessenza di ciò che Wagner si aspettava da Bayreuth, è stato realiz­ zato e quindi è oggi pienamente chiaro nelle premesse e negli ef­ fetti. Ma anche la concezione di Nietzsche del 1876, che per mol­ ti aspetti contraddiceva le idee wagneriane, è diventata chiara. L’odio antisemita di Richard Wagner, simile a una ferita incura­ bile, ha durevolmente caratterizzato tutto un secolo di festival bayreuthiani. Ogni volta che emergevano contrasti e ostacoli per l’impresa, il maestro di Bayreuth ne riteneva responsabili gli ebrei. Vero è che chiamò da Monaco il direttore d’orchestra Her­ mann Levi per affidargli la direzione del Parsifal, ma a favore di questo invito parlava non solo la bravura del maestro ebreo, ma anche la minaccia del re di Baviera di non rendere altrimenti disponibile l’orchestra di Monaco. Nelle sue memorie Felix von Weingartner, testimone oculare del festival del 1882, ha affer­ mato quanto segue: «Dirige Hermann Levi, inizialmente rifiuta­ to da Wagner perché ebreo. Il re Luigi II avrebbe vietato all’or­

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chestra di Monaco di esibirsi se Wagner avesse insistito nel suo rifiuto». Eppure durante le prove del Parsifal sotto la direzio­ ne di Levi Cosima annota, il 22 luglio 1882, un’osservazione del marito: «Mi fece notare che come orchestrale non avrebbe volu­ to esser diretto da un ebreo». Nietzsche si è saputo difendere con energia nelle intime con­ vinzioni e negli atteggiamenti esteriori da questo antisemitismo. Ha rotto i rapporti con il marito di sua sorella, l’antisemita For­ ster. Però anche la visione nietzscheana di Bayreuth — l’idea di uomini liberi e sinceri ma cattivi in un avvenire tedesco wagne­ riano — è potuta diventare realtà. Il motto nietzscheano del «vi­ vere pericolosamente» è stato accettato come massima e come prassi in questo secolo di festival bayreuthiani. Il compositore tedesco Adrian Leverkiihn del romanzo di Thomas Mann Doctor Faustus, la cui vita, quarantanni dopo la morte di Nietzsche, è la dimostrazione di ciò che avviene quando l’artista e l’arte si con­ sacrano al demone del disumano, ha un nome singolare: nome proprio romano e cognome tedesco. Una vita audace è però al tempo stesso una vita pericolosa. Adrian Leverkiihn ha a che fare con Nietzsche e non da ultimo con le concezioni nietzscheane sul significato universale dell’unione tra Richard Wagner e Bay­ reuth. Ne è nato un fatto di portata universale. Chi tenta di ac­ costare la storia della famiglia Wagner, la storia del festival e la storia dell’arte dal 1876 fino ai giorni nostri fa al tempo stes­ so storia tedesca e storia universale.

Entrata degli dei a Wahnfried Richard Wagner

Il 30 aprile 1874 Richard Wagner prese possesso della sua casa a Bayreuth, una villa di recente costruzione, il cui giardino, per permesso speciale del re, poteva comunicare attraverso una porticina con il confinante parco della corte. Il 25 maggio il nuovo proprietario scrive al re di Baviera: «Ecco pronta la mia casa: sia resa grazie a Dio! Dovevo darle un nome e l’ho cercato a lungo; finalmente l’ho trovato e ora posso scolpirlo in questi versi: Hier wo mein Wahnen Frieden fand — Wahnfried Sei dieses Haus von mir benannt! » ’.

L’intento di Wagner fu realizzato. Il motto è inciso sul fron­ tone tripartito della principesca dimora di Bayreuth. Wahnfried, il nome della casa, si trova isolato nella parte centrale, sulla porta d’ingresso. Il posto, da allora universalmente noto come Wahn­ fried, ha significato e significa una realtà politico-culturale di grande entità. Cosi Wagner aveva progettato e cosi è stato, grazie alla sua capacità di realizzare ogni suo piano seriamente ideato. Qui, a Wahnfried, egli si edificò una residenza da sovrano: nel giardino della casa si trova la sua tomba. Dal 1930 Cosima Wag­ ner riposa accanto al marito. Chi vuole visitare l’ultima dimora di Wagner percorre il parco della corte ed entra attraverso la por­ ticina nel giardino di Wahnfried. Il visitatore non sa piu che al­ lora (nel 1874) occorsero lunghe trattative e un gesto di favore re1 Qui dove la mia illusione trovò pace - | Wahnfried j sia da me chiamata questa dimora!

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Entrata degli dei a Wahnfried

gale per rendere comunicanti tra loro il parco del monarca e il giar­ dino dell’artista. Wàhnen e Wahn: è sul suono e sul significato di queste parole che Wagner basò il motto degli ultimi anni della sua vita. Sono pa­ role particolari, ambigue, ambivalenti. Se si consulta il vocabola­ rio tedesco dei fratelli Grimm per cercarne il preciso significato, si apprende che la parola Wahn ricorre frequentemente nella lin­ gua tedesca, sia antica che moderna, ma che il suo significato si è molto trasformato. Wahn significa: «attesa, speranza, sospetto, incerta supposizione, illusione». E wàhnen significa: «attendere, sperare, supporre, ritenere falsamente». Wàhnen viene dunque usato per indicare un’attesa, tanto giustificata quanto ingiustifica­ ta, una supposizione tanto fondata quanto illusoria. Wahn signifi­ ca speranza e attesa, ma anche opinione ingannevole e fiducia nell’illusione. Non rende sufficientemente questa ambiguità di significato la spiegazione che ne dà il vocabolario, interpretando­ la come il risultato dell’uso vivo della lingua. Anche negli scritti e nei versi di Richard Wagner Wahn e wàhnen vengono usati tanto nel senso di speranza fondata e attesa sicura, quanto in quello di illusione ingannevole. Dando quel nome alla dimora della sua vec­ chiaia a Bayreuth, Wagner interpreta la sua ansia di un tempo, or­ mai soddisfatta, come speranza fondata e realizzata, come atte­ sa che è stata appagata. Ma conosciamo anche il monologo della follia di Hans Sachs dei Maestri cantori, che inizia con le paro­ le: «Follia, follia! Dappertutto follia!» («Wahn, Wahn! uberall Wahn!»). Qui la parola Wahn è intesa come insensato dolore umano, come tormento esistenziale degli uomini, «in un pazzo e inutile furore». È quella follia che bisogna guarire, quell’illu­ sione che occorre disperdere. Cosi Wagner ha interpretato questa volta la parola Wahn, anche se il suo Hans Sachs non pretende di guarire la follia, vorrebbe soltanto cercare di dominarla. Un motto singolare quello trovato per Wahnfried. Qui si è rea­ lizzata l’attesa e la speranza di un grande artista passionale, osti­ nato ed egocentrico. Qui le speranze sono state coronate. Ma non si sono forse anche seppellite le illusioni? Wahnfried non significa forse al tempo stesso, dal punto di vista del costruttore di quella

Entrata degli dei a Wahnfried

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dimora, chiudere fuori dalla porta ed esiliare il Wàhnen di un tempo, inteso come idee sbagliate, supposizioni fantastiche, illu­ sioni infondate? Bisogna presumerlo, perché Richard Wagner, trasferendosi a Bayreuth dopo il suo ritorno dall’esilio, ottenne qui per la prima volta una fìssa dimora. Gli anni dal 1842 al 1849 trascorsi a Dresda come direttore d’orchestra non avevano signi­ ficato alcuna vera realizzazione dei suoi programmi di vita. Egli non potè nemmeno restare nella casetta sulla collina verdeggiante presso Zurigo, nel giardino della villa Wesendonck (Zurigo, del resto, rappresentava l’esilio), e fu cacciato da Monaco e dalla villa messagli a disposizione da Luigi II nella Brienner Strasse. Posse­ dette infine una casa a Tribschen, presso Lucerna, ma si trattava solo di un terreno preso in affitto - e per giunta ancora all’estero. Solo qui a Wahnfried Richard Wagner trovò una sede stabile in Germania. Tutti i sogni precedenti, tutte le false speranze si dissolsero per far posto alla nuova realtà, alla nuova idea: Richard Wagner a Bayreuth. Il maestro era convinto di aver placato le illu­ sioni di un tempo, le speranze coltivate invano. Anche quelle del rivoluzionario Richard Wagner, il fuggiasco perseguitato da mandati di cattura, che pensava a se stesso quando nella Valchiria faceva dire a Siegmund in risposta a Hunding: Friedmund darf idi niclit heifien; Frohwalt mòcht’ idi wohl sein: doch Wehwalt mufi idi midi nennen ’.

Tutto ciò si era concluso a Bayreuth. Quando nel 1876, due anni dopo l’ingresso di Wagner a Wahnfried, viene inaugurato il primo festival bayreuthiano con L’anello del Nibelungo, Karl Marx parla con indignazione, in una lettera a Engels, di «Wagner musicante dello stato». In queste parole c’è un giudizio sull’ex esule politico, ormai pronto a ricevere — da vero e proprio monar­ ca degli artisti — l’imperatore tedesco Guglielmo I nella veste del piu importante spettatore del suo festival, quello stesso Gugliel1 Friedmund [colui che proteggendo porta la pace] non posso dirmi; | Frohwalt [co­ lui che vive nella gioia] vorrei ben essere: | ma Wehwalt [colui che vive nel dolore] debbo chiamarmi.

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mo di Hohenzollern che nel 1849 aveva soffocato la rivoluzione tedesca, l’odiato «principe-bombarda». Allora, nei giorni della rivolta di Dresda nel maggio del 1849, il rivoluzionario Richard Wagner e il principe Guglielmo di Prussia, braccio armato della controrivoluzione, si erano trovati su opposte barricate. Nel 18 7 6 però il principe-bombarda è diventato imperatore tedesco, e l’au­ tore e diffusore di volantini rivoluzionari ospite dell’imperatore. Richard Wagner a Bayreuth: è d’ora in poi la storia di una vittoria. Rappresenta il culmine nel processo di trasformazione dell’attesa in realtà. La formula che lega Wagner a Bayreuth è paragonabile nella sua portata storica soltanto a quella parallela di Goethe a Weimar. Ma Goethe non ha fondato una dinastia e nemmeno ha avuto l’intenzione di farlo. Gli ultimi decenni della sua vita si sono sempre piu metodicamente stilizzati come oppo­ sizione di una soggettività «incommensurabile» a un mondo esterno che poteva essere considerato il mondo per antonomasia perché la Weimar di Goethe, come si riteneva al Frauenplan1, rappresentava comunque un mondo. Cittadino del mondo e citta­ dino di Weimar. Richard Wagner invece si prefisse sempre di fondare una di­ nastia. L’uomo goethiano è volontariamente incommensurabile: si ostina nella sua personale e inconfondibile soggettività. L’uo­ mo wagneriano invece si integra con piena consapevolezza in una comunità dal carattere gerarchico. Non occorrevano ricerche piene di pallido zelo: il Graal si era stabilito sulle colline della Franconia. Bayreuth era ormai territorio del Graal.

1, La festa democratica. Quando Guglielmo I, imperatore tedesco e re di Prussia, il vecchio antagonista di Richard Wagner durante la rivoluzione sassone del 1849, varcò il 13 agosto 1876 la soglia del Festspielhaus venne salutato, a detta dei giornali dell’epoca, con grande 1 Nome della dimora di Goethe a Weimar.

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entusiasmo. Apparve nel palco imperiale e si inchinò dinanzi a quella comunità degli inattuali evocata per fini propagandistici da Nietzsche. Le signore si sussurrarono incantate — come si può leggere nelle cronache dell’epoca — che il settantanovenne sovra­ no «era ancora un bell’uomo». Non si verificò un confronto tra Guglielmo di Prussia e Luigi di Baviera, cioè tra il vincitore e il vinto del 1866. Re Luigi aveva assistito alle prove generali, per poi ritornare in tutta fretta a Monaco e al lago dei cigni. Erano passati cinque anni dalla proclamazione del Reich av­ venuta il 18 gennaio 1871 nel castello di Versailles. Quando Richard Wagner salutò l’imperatore tedesco, si rivolse a lui non nella veste dell’ex ideologo del crepuscolo degli dei, da inten­ dersi anche come crepuscolo dei principi, ma piuttosto come il compositore di una marcia imperiale. Il Reich da poco fondato, che unificava in una lega i diversi principi tedeschi, viveva in una febbrile euforia di prosperità economica. Avevano cominciato infatti a circolare i cinque miliardi di franchi d’oro, la prescritta riparazione di guerra che doveva essere fornita dalla Francia vin­ ta. Richard Wagner poteva contare sul fatto che una quota ade­ guata sarebbe andata anche alla singolare impresa della prima rap­ presentazione ciclica della tetralogia dell’Anello, nonché della pri­ ma esecuzione del Sigfrido e del Crepuscolo degli dei, mentre il Prologo e la prima giornata dell’Anello del Nibelungo, con disap­ punto di Wagner ma per ordine del re di Baviera, erano già stati messi in scena a Monaco. Si racconta che l’imperatore tedesco si sia congratulato con Wagner, come questi fece subito sapere, osservando in modo sottilmente ironico che lui, il re e imperatore Guglielmo, non aveva mai creduto che Wagner sarebbe riuscito a farcela. Ora anche questo Wàhnen era divenuto realtà, per essere subito sosti­ tuito, dopo un breve attimo d’orgoglio appagato, da una nuova ansia e da un nuovo desiderio. Per i contemporanei dell’estate del 1876, e tanto più per il pubblico delle quattro prime, si realizzò allora il più ambizioso sogno artistico di un’intera epoca. Il culto laicizzato dell’artista

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geniale rientrava nell’ideologia di una borghesia di liberi impren­ ditori e di intermediari liberisti della produzione di merci e del mercato capitalistico. Richard Wagner doveva apparire a tutti loro in una duplice veste e quindi doppiamente degno di stima: genio individuale e brillante imprenditore. Che l’impresa dal pun­ to di vista finanziario non fosse solida era noto a tutti, a questo avevano pensato gli avversari politici e artistici di Richard Wag­ ner. Ma perfino questo fatto sembrò piuttosto rafforzare il pre­ stigio del maestro di Bayreuth. In quegli anni di passaggio dal­ la congiuntura dei Grilnderjahre1 all’imminente crisi economica non era affatto insolita questa contiguità di splendore momenta­ neo e di rapida decadenza. Ma in tali casi i contemporanei si erano anche abituati a contemplare il crollo di una di quelle lu­ minosissime meteore con indifferenza e senza compassione. Fu ciò che Richard Wagner dovette sperimentare immediatamente dopo la chiusura del primo festival e del primo bilancio. L’amarezza che si riscontra nelle lettere e nelle espressioni di Wagner fra il 1876c il 1880 ha senza dubbio radici più profonde di ogni precedente risentimento del geniale creatore, che fino al momento del miracolo del Graal, fino all’arrivo, cioè, del mes­ saggero di re Luigi, dovette certamente sentirsi un fallito. La montagna di debiti del primo festival bayreuthiano fa improv­ visamente capire a Wagner e anche a Cosima che la vittoria è solo apparente e le perdite sono assai alte. Cosima deve essersi resa conto della situazione prima del maestro di Bayreuth. In una lettera del 29 dicembre 1875, dunque nella fase dei prepa­ rativi per la festa inaugurale prevista per l’estate del 1876, si trova questa frase singolare: «Mio marito ha già sacrificato l’idea di dare una festa gratuita per i meno abbienti: tutti i posti ver­ ranno venduti». Qui in effetti il wàhnen di Richard Wagner non aveva trovato pace. La programmata festa democratica non potè aver luogo. Ciò che si verificò, nel momento in cui l’impera­ tore ricevette l’ossequio del pubblico, fu un passo indietro. La 1 «Anni dei fondatori»: il periodo 1871-73, caratterizzato da una febbrile attività economica.

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realtà di Bayreuth poteva davvero essere considerata da Richard Wagner, se egli ripensava alle proprie concezioni di un tempo, come uno splendido disastro, una sconfitta celebrata come vit­ toria. Tra i contemporanei aveva allora suscitato molto scalpore il fatto che Wagner con evidente e sconfinata immodestia avesse preteso un teatro per sé solo, che egli non intendeva dividere con nessun altro musicista, nemmeno con i tanto ammirati Gluck, Beethoven e Weber. In realtà la concezione di questo composito­ re era singolare solo perché Wagner aveva preso cosi sul serio i sogni coltivati da molti grandi musicisti, prima di lui e con lui, da decidere di inseguirli anche nella squallida realtà quotidiana. Per interpretare esattamente le origini dell’idea del festival, senza dedurla in maniera insufficiente dalla psicologia dell’artista Richard Wagner, occorrerà ricostruire la situazione dei teatri d’o­ pera dell’epoca. Nella seconda metà del secolo xix in Germania ci si trovava ancora sotto questo riguardo nel pieno di un feuda­ lesimo rococò e dell’imitazione di Versailles. Era perciò solo ap­ parentemente contraddittorio che i sogni di re Luigi fossero al tempo stesso colmi di visioni medievali tedesco-romantiche e di una immaginazione propria dell’epoca di Luigi XIV. Linderhof e Neuschwanstein appartenevano a questo stesso mondo di so­ gno. Luigi II di Baviera si sentiva un committente assolutistico, non diversamente dai principi del xvn e xvin secolo che man­ tenevano una compagnia operistica per il divertimento della cor­ te, anche se a volte i loro lacchè musicisti si chiamavano Gluck o Mozart. Egli in questo non si differenziava sostanzialmente dagli altri principi tedeschi e dalle loro consuetudini teatrali. Ma Luigi si era maggiormente compromesso con questa nuova arte operistica e con il suo creatore. Cosi doveva recitare a se stesso e a Wagner la commedia mai completamente sincera dell’amici­ zia; un’amicizia costantemente minacciata dagli sfoghi del re, da­ gli ordini e dai divieti. I teatri di corte tedeschi del xix secolo (si trovassero a Berlino o a Dresda, a Monaco o a Meiningen), ai quali si aggiunsero nel se­ gno del generale imborghesimento anche i teatri d’opera comuna-

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li, erano caratterizzati dal gusto e dagli umori delle diverse corti e non dalla concezione estetica di un direttore artistico di profes­ sione. Alla carica di direttore di un teatro di corte erano prede­ stinati quei rampolli dell’aristocrazia che avessero manifestato un po’ di cultura e una certa sensibilità artistica. La vita di un Hans von Biilow è caratterizzata dalla sua lotta accanita e senza speranza contro la trascuratezza e l’impreparazione dei direttori artistici aristocratici. Le lamentele dei grandi compositori del xix secolo sull’incompetenza, la pigrizia e l’indifferenza di costoro nella rappresentazione di capolavori del teatro operistico sono illuminanti. Richard Wagner non costituisce affatto un’eccezio­ ne. A tale proposito si possono citare le descrizioni satiriche di E.T. A. Hoffmann sul modo in cui al teatro prussiano di corte di Berlino venivano maltrattate le opere di un Gluck; il falli­ mento di Franz Liszt come direttore artistico per gli intrighi del teatro della corte granducale di Weimar; i resoconti sarcastici e le esplosioni d’ira di Hector Berlioz; le mene di corte contro Cari Maria von Weber e la prima rappresentazione a Berlino del Franco cacciatore. Lo scandalo parigino intorno al Tannhauser di Wagner nel marzo 1861 non fu dunque un caso isolato. Rientra­ va nella continua lotta dei compositori per una interpretazio­ ne adeguata, cioè fedele alle note e allo spirito, delle loro parti­ ture. Non è un caso che, gettando uno sguardo retrospettivo ai grandi avvenimenti della musica operistica e sinfonica del xix secolo, gli impulsi fondamentali siano partiti da interpreti che erano al tempo stesso illustri compositori: da Cari Maria von Weber e più tardi da Richard Wagner a Dresda, da Felix Mendelssohn-Bartholdy al Gewandhaus di Lipsia, da Franz Liszt a Weimar e infine da Gustav Mahler a Vienna. Richard Wagner si differenzia dai suoi contemporanei non perché denuncia il meschino arbitrio della prassi dei teatri di corte, ma perché riflette con coerenza su quello stato d’abbando­ no e arriva alla conclusione che i teatri lirici stabili non permet­ tono un’adeguata realizzazione del suo nuovo dramma musicale. In una lettera del 17 dicembre 18 61 a Hans von Biilow egli giun­ ge a questa conclusione innanzitutto come negativa conseguenza

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delle proprie personali esperienze. Naturalmente Wagner scrive sotto l’impressione degli incidenti del Tannhàuser del marzo di quell’anno: «Uno sguardo ai nostri teatri mi ha di nuovo mostra­ to in modo chiaro cosa occorre perché la mia arte possa mettere radici e non svanire, completamente fraintesa, come una efemeride. Ho bisogno di un teatro come io solo posso costruirlo. Non è possibile che negli stessi teatri in cui vengono rappresentate le nostre assurdità operistiche — inclusi i classici — dove tutto, mes­ sinscena, interpretazione, effetto richiesto, è in sostanza netta­ mente in contrasto con ciò che esigo per me e per i miei lavo­ ri, questi possano trovare un terreno reale. Mettetemi pure a disposizione il teatro di corte di Vienna e di Berlino, fatemi pa­ drone di tutto ciò che mi occorre, io non riesco a immaginarmi la cosa - anche se con i miei sforzi furiosi riuscissi ad attuare qual­ cosa di valido, tutto crollerebbe subito di nuovo come un castello di carta non appena domani si rappresentasse 11 profeta o anche Il flauto magico o perfino il Fidelio. Non posso sopportare la vicinanza dell’opera se debbo gettare le basi del nuovo dram­ ma musicale». È innanzitutto la pura e semplice negazione. Ma già in essa si annuncia il suo rovesciamento. Due anni più tardi Wagner deli­ nea la nuova visione estetica e scenica. Egli la sviluppa nella prefazione alla prima edizione pubblica del suo poema sui Nibe­ lunghi. Il testo appartiene ai più famosi manifesti wagneriani. Si chiude, come è noto, con la domanda se sia possibile trovare un principe tedesco disposto a destinare una parte del bilancio an­ nuo del suo teatro di corte alle rappresentazioni modello delle opere di Richard Wagner. «Si troverà questo principe? » Richard Wagner chiude lo scritto con la parafrasi biblica, tanto ardita quanto poco filologica, del dottor Faust: «In principio era l’azio­ ne»1. Questo primo sviluppo organico dell’idea di un festival è dominato ancora nel 1863 dalla visione di una festa democratica. Il rivoluzionario del 1849 ha respinto il concetto di un rovescia­ mento materiale e mira d’ora in poi, come diretto erede del­ 1 W. GOETHE, Faust, v. 1237.

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l’idealismo tedesco, all’educazione estetica dei suoi connazionali. Ma per lui il popolo tedesco è ancora una comunità democratica, non un’élite di corte o alto-borghese dagli elevati ideali artistici. Wagner diffida delle grandi città. Conosce per esperienza Dresda, Vienna e Parigi. Il nuovo scandalo di Monaco deve an­ cora venire, ma già ora egli pensa a «una delle città tedesche meno grandi, situata in un punto favorevole e adatta ad accoglie­ re ospiti di riguardo». La seconda condizione fondamentale è altrettanto conseguente: in quella città di media grandezza non deve esserci alcun teatro. Seguono le frasi famose, continuamente citate: «Qui si do­ vrebbe erigere un teatro provvisorio, il più semplice possibile, forse solo in legno, che tenga unicamente conto della funzionalità artistica dello spazio interno; perciò avevo preso in esame con un esperto e geniale architetto un progetto che prevedeva un im­ pianto anfiteatrale per il pubblico e che aveva il grande vantaggio di nascondere l’orchestra. Qui, nei primi mesi della primavera, verrebbero chiamati i più eccellenti cantanti drammatici scelti tra il personale dei teatri lirici tedeschi, per esercitarsi, liberi da ogni altro impegno artistico, nell’opera in più parti da me concepita». Richard Wagner fu sempre un maestro nel concretizzare l’uto­ pia. Il suo progetto era meditato a fondo. Anche la forma dell’e­ dificio teatrale doveva concorrere a realizzare la festa democratica. I teatri di corte tedeschi, risalenti per lo più al xvm secolo, si presentavano come teatri a palchi. Nel xix secolo, con il pro­ gressivo imborghesimento, si era creato un tipo di teatro la cui struttura non era determinata dalla platea, ma dalla prima fila dei palchi. Nel mezzo c’era l’immancabile palco reale, poi — dal cen­ tro verso i lati del teatro — quelli dei dignitari di corte, susseguentisi in ordine d’importanza e di grado nobiliare. La seconda fila dei palchi era riservata agli ufficiali e ai funzionari statali delle varie monarchie, anch’essi per lo più nobili. In platea faceva mostra di sé l’alta borghesia, rappresentante della cultura e della ricchezza, che spingeva l’occhio fino al palco reale e si rallegrava se di tanto in tanto uno degli illustri occupanti di un palco gettava uno sguar­ do, col suo occhialino, caramella, o binocolo, giù nella platea.

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Richard Wagner conosceva bene e odiava questo tipo di tea­ tro che sembrava stabilire un compromesso tra la borghesia e l’aristocrazia. Così come egli poneva in stridente contrasto la sua impresa teatrale bayreuthiana con le consuetudini sceniche dei teatri di corte tedeschi, intendeva anche concepire la struttura architettonica dell’interno di Bayreuth come opposizione non me­ no stridente all’architettura dei palcoscenici di corte. Gli scritti teorici di Wagner del primo periodo di esilio a Zurigo avevano cercato la via del ritorno alla tragedia greca e al teatro dei grandi tragici dell’epoca aurea di Atene. Il teatro dei greci era una festa democratica: in realtà festeggiata solo dai libe­ ri cittadini, con esclusione dei meteci e naturalmente degli schia­ vi. La festa veniva celebrata nell’anfiteatro: come tragedia, dram­ ma satirico o anche come commedia aristofanesca. A tutto questo Wagner intendeva ricollegarsi. L’«impianto anfiteatrale per il pubblico» doveva essere accessibile, come Wagner scrive, a tutti gli amici dell’arte senza distinzioni di rango e condizione. Tutti erano benvenuti, perché già la loro presenza a Bayreuth testimo­ niava la giusta disposizione d’animo. Si doveva sedere gli uni accanto agli altri nelle file gradualmente ascendenti. Nessuna pos­ sibilità di volgere lo sguardo in su o indietro verso i palchi e i loro occupanti, in alto anche esteriormente. E neppure si poteva vol­ gere lo sguardo distratto e curioso giù nell’orchestra, verso il direttore impegnato a battere il tempo: «Perché si realizzi com­ pletamente Belletto di una rappresentazione così predisposta, ri­ terrei soprattutto di grande importanza nascondere l’orchestra, ricorrendo a un’illusione architettonica resa possibile dall’impian­ to anfiteatrale dell’interno». Una festa democratica con un pub­ blico che doveva essere composto da «persone ufficialmente invi­ tate da paesi vicini e lontani». Nell’agosto del 1876 non ebbe luogo questa festa democrati­ ca. Anche se gli dei avevano fatto il loro ingresso a Wahnfried e il motto della casa parlava di desiderio appagato (dietro il quale però si nascondeva a mala pena l’attesa impaziente di nuovi desi­ deri), ciò che si era realizzato sulla collina del festival e veniva ora celebrato si differenziava notevolmente dalla concezione origina­

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ria. E non. solo per la composizione sociale del pubblico delle pri­ me, che non si poteva certo definire rappresentativo di una egua­ glianza democratica. Certo era sorto un anfiteatro, e Wagner era riuscito a conquistarsi anche «il golfo mistico»; ma per il resto gli spettatori di quella prima rappresentazione integrale della tetra­ logia corrispondevano in tutto e per tutto all’immagine abituale di una prima a un teatro di corte. Anche Richard Wagner aveva vissuto un certo cambiamento dai tempi della sua prefazione programmatica del 1863. Non solo per il miracolo del Graal di quel principe che egli aveva visiona­ riamente evocato e che all’improvviso e in modo prodigioso era apparso nella sua vita. Wagner si era trasformato insieme alla sua epoca e tramite essa. Già la guerra franco-tedesca del 1870-71 aveva fatto capire tutto questo. La poesia scritta da Wagner nel gennaio 1871 All’esercito tedesco davanti a Parigi non è soltanto dal punto di vista formale una brutta poesia, ma anche un invito alla conquista sfrenata a spese della Francia. Wagner scrive ora un’insulsa presa in giro dei comunardi della Parigi assediata re­ datta, a suo dire, «nella maniera antica», dunque secondo l’e­ sempio di Aristofane. È una scialba «offenbachiade» che cerca di prendersi gioco anche di Victor Hugo. Degna di nota è però la continuità con le idee fondamentali di Wagner sull’opposizione tra arte tedesca e arte francese, antitesi che emerge già nel Pannhàuser e nei Maestri cantori. Il mondo francese è stato una volta il Venusberg, poi ha scelto come suo rappresentante Beckmesser e ora—nell’operetta non musicata di Wagner—Victor Hugo canta una canzone con cui si rivolge agli assedianti tedeschi: Wir macheti euch hier elegant. Wer fand’ euren Faust appetitlich? Gounod erst machte ihn niedlich: Don Carlos und Wilhelm Teli, denen gerbten wir erst das Fell. Wass wiiKtet ihr von Mignon, machten wir nicht dazu Mirliton? Habt ihr euch den Shakespeare gestammlet, wir schufen goutable erst Hamlet! Doch hattet ihr wirklich Genie,

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den Parisern entging dies nie: Orpheus aus der Unterwelt, ihn haben wir angestellt *.

Sviamento di un patriota tedesco che, esaltato dalla fondazio­ ne del Reich, supera i limiti del buon gusto e dell’umanità? Non soltanto. Il programma bayreuthiano agisce come integrazione di quegli eccessi polemici. Il discorso per la posa della prima pietra del Festspielhaus lo rende evidente. Esso rappresenta una totale rottura con i vecchi programmi wagneriani per la realizzazione del progresso sociale. L’elemento nazionale è qui strettamente imparentato con quello nazionalistico; Wagner, come allievo di Schopenhauer, non ritiene né possibile né augurabile il progresso umano. Soltanto il genio rappresenta il progresso. Molte di que­ ste affermazioni suonano vuote, non sono piu profondamente vissute e sofferte, ma per così dire postulate per autocompiaci­ mento. «Ma è questa l’essenza dello spirito tedesco: costruire dall’interno: il Dio eterno vive davvero in esso prima ancora di costruirsi il tempio dove essere onorato». Il problema del progresso umano Wagner però lo vede or­ mai cosi: «Tutto il mondo oggigiorno crede fermamente convinto nel cosiddetto progresso continuo, assai vivo soprattutto nella no­ stra epoca, e in realtà non si rende conto quale ne sia la direzione e come stiano in genere le cose con questo pro-gredire; mentre a coloro che hanno davvero dato qualcosa di nuovo al mondo non è stato chiesto quali rapporti abbiano avuto con questo ambiente in evoluzione che ha procurato loro solo ostacoli e difficoltà. Ma non vogliamo pensare in questo giorno di festa ai noti lamenti, anzi alla profonda disperazione dei nostri maggiori spiriti, nella cui opera creatrice si annuncia il solo vero progresso possibile». È il programma bayreuthiano di un monarca, non di un ex democratico e socialista. Nelle lettere giovanili a August Róckel, 1 Qui vi rendiamo eleganti. | Chi troverebbe attraente il vostro Faust? | Solo Gou­ nod lo rese grazioso. | Don Carlos e Guglielmo Teli | quelli li abbiamo conciati per le fe­ ste. | E cosa sapreste di Mignon | se non avessimo fatto Mirliton? | Se voi avete balbet­ tato Shakespeare | noi soli abbiamo reso goutable Amleto ! | Se avevate davvero genio, | ai parigini ciò non è mai sfuggito: | Orfeo uscito dagli Inferi, | lui ha trovato lavoro da noi.

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1 alto traditore poi amnistiato del 1849, Wagner aveva voluto giustificare addirittura con rabbia e prepotenza la sua alleanza con il potere e con i re. Ora niente viene piu giustificato; adesso regna l’idea bayreuthiana. Tutto serve a gettare le basi per una nuova religione dell’arte: scrivere la propria autobiografia, fon­ dare i «Bayreuther Blàtter», patrocinare le associazioni Richard Wagner. In tutte queste attività è inequivocabile il segno caratte­ ristico dell’elogio antidemocratico ed elitario della «disuguaglian­ za». Arte e disuguaglianza, arte e religione sono ora i nuovi temi del Wagner teorico. Cosima incoraggia questa evoluzione. La pri­ ma governante di Wahnfried ha raccontato che a Cosima pre­ meva «far conoscere ai figli, nel quadro della storia universa­ le, anche gli Asburgo [...], perché potessero mostrare maggior interesse per l’impero austriaco, se ponessimo piede sul suolo d’Austria».

11. Il musicante dello stato.

Wagner aveva organizzato in quell’agosto 1876 tre rappre­ sentazioni cicliche della sua tetralogia, L’anello del Nibelungo. Si inizio il 13 agosto, una domenica, e si fini il 3 o agosto, di merco­ ledì. Si rappresentarono l’uno dopo l’altro, in tre giorni successi­ vi, L’oro del Reno, La Valchiria e il Sigfrido1 , dopo un giorno di pausa seguì II crepuscolo degli dei. Tra i cicli Wagner aveva inserito anche tre giorni di riposo. Dunque dodici rappresenta­ zioni nel corso di diciotto giorni. Il critico Karl Frenzel ci ha lasciato un resoconto delle prime che spiega dal punto di vista storico-culturale la trasformazione da festa democratica a impresa solenne di un musicante dello stato. «Chi c’era a Bayreuth?» si è domandato il reporter con aria un po’ canzonatoria. A lui che evidentemente non è un am­ miratore di Wagner e delle fatiche bayreuthiane interessa sotto­ lineare i posti rimasti vuoti. Certo era stato possibile vedere du­ rante le prove generali il re di Baviera e alle serate inaugurali l’imperatore tedesco. Ma «non era presente nessuno dei nostri

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grandi statisti e generali». Dunque non c’erano né Bismarck, né Roon, né Moltke. Solo tre parlamentari, che vengono citati per nome, e solo due diplomatici prussiani. A Bayreuth non si presen­ tò nemmeno un deputato borghese-liberale e, cosa che Frenzel constata abbastanza velenosamente, non fecero la loro comparsa neppure i deputati di quel partito cattolico di centro «che tanto amava dipingere il moderno crepuscolo degli dei — la rivoluzione — con le nuvole rosse del cielo, proprio come Wagner». Frenzel — e a favore di ciò può parlare in effetti il testo della tetralogia — sembra continuare a vedere in Wagner un rivoluzionario demo­ cratico, che questa volta però, come musicante dello stato, com­ pone per i suoi oppressori. Certamente Frenzel non può non constatare anche l’assenza dei socialdemocratici, che egli spiega, non senza cogliere nel segno, con la loro protesta per le condizio­ ni d’ammissione, consistenti nell’acquisto di un attestato di patro­ nato di trecento talleri o per lo meno di un «terzo di esso per il valore di trecento marchi». Il reporter e critico possiede sufficien­ te cultura classica per ricordare beffardamente al signor Wagner che nell’antica Atene «il cittadino aveva la possibilità di ascoltare e vedere gratis le Eumenidi di Eschilo e I cavalieri di Aristofa­ ne»! Il che stava a significare che la sola costruzione di un anfi­ teatro non bastava a restaurare l’antica tradizione culturale de­ mocratica. Comunque il giornalista non può negare la luminosa presenza di aristocratici e artisti. I musicisti capeggiati da Franz Liszt. Ma Frenzel non dimentica di notare l’assenza di Brahms, Anton Ru­ binstein, Verdi, Gounod. L’arte figurativa è brillantemente rap­ presentata tanto da Makart e naturalmente da Anton von Wer­ ner, quanto da Lenbach e soprattutto da Adolph von Menzel. Molto negativo il bilancio della letteratura, il che sembra ralle­ grare il pedante giornalista. Con il suo elenco egli ci fornisce al tempo stesso un quadro preciso di ciò che a quell’epoca veniva considerata l’élite letteraria: Gutzkow e Berthold Auerbach, Gustav Freytag e Viktor von Scheffel, Spielhagen e Emanuel Gei­ bel: nessuno di loro si fece vedere a Bayreuth come ospite di Ri­ chard Wagner.



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D’altra parte, cosa che Frenzel non rilevò o non ritenne rile­ vante, era presente anche Pètr Il'ic Cajkovskij. Questi ha scrit­ to una cronaca spiritosa e maligna, trovando tutto noiosissimo, entusiasmandosi per pochi frammenti musicali e riferendo det­ tagliatamente e con molto gusto la disastrosa organizzazione di quel gala in una città provinciale della Franconia, niente affatto preparata a un avvenimento del genere. Dove alloggiare? Come raggiungere in abito lungo il teatro senza possedere una propria vettura, e come ritornare in città? Dove trascorrere il tempo nel­ l’attesa della rappresentazione fissata per il primo pomeriggio? E soprattutto: dove trovare qualcosa da mangiare negli intervalli di un’ora prescritti da Wagner? Se si deve credere a Cajkovskij, il cui resoconto è però confermato da molti altri giornalisti, Bay­ reuth fu teatro di lotte omeriche per panini al burro e salsicce. Accanto a questi «cavalieri dell’ingegno» si metteva in mo­ stra l’aristocrazia di nascita. «Le piu note dame aristocratiche di Berlino, Vienna e Pietroburgo, che costituiscono la vera forza motrice del movimento wagneriano, recitavano il ruolo che spet­ tava loro con cinture alla Valchiria, strizzatine d’occhio e sorrisi. Dietro, i loro cavalieri che volenti o nolenti seguivano la bandiera del profeta... Tutto ciò per caratterizzare l’ambiente in cui ci si muoveva a Bayreuth, nonostante tutte le belle e raffinate signore; e questa società in cui mancavano tutti i grandi nomi tedeschi, tranne poche eccezioni, si aveva l’impudenza di indicare come il fior fiore del popolo tedesco » (Frenzel). Il 16 agosto 1876 compariva sul «Berliner Tageblatt» il reso­ conto del critico Isidor Kastan su Bayreuth. Egli è piu benevolo di Frenzel e non mette tanto in evidenza i vuoti nella carta geo­ grafica sociale del pubblico, quanto l’entrata di Guglielmo I: «Tutte le teste si voltano verso il palco reale. L’imperatore sta entrando in teatro. L’imperatore Guglielmo in borghese rappre­ senta per noi berlinesi e anche per la maggior parte dei tedeschi uno spettacolo certamente singolare. Non ce lo possiamo proprio immaginare altro che in grande uniforme. In effetti passarono al­ cuni secondi prima che il pubblico riconoscesse l’imperatore. Ma d’un tratto nell’ampia sala scrosciò, come un furioso uragano,

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una tempesta di applausi. Viva l’imperatore Guglielmo, viva, vi­ va, viva: l’entusiasmo sembrava non aver mai fine. L’imperatore avanzò fin quasi al parapetto del palco e sorridendo contento si inchinò in tutte le direzioni verso il pubblico. Come cronista coscienzioso non posso fare a meno di notare quanto le fonti di Gastein abbiano ringiovanito il nostro imperatore».

in. Il mercoledì delle ceneri. Come ha vissuto la sua festa l’uomo delle grandi speranze? Anche di questo troviamo testimonianze negli appunti di Cosima e nelle lettere di Richard Wagner. In contrasto con il senso di felicità provato in occasione della prima rappresentazione del Tristano e Isotta e in seguito dei Maestri cantori di Norimberga a Monaco, sotto la guida di Hans von Biilow, sembra che Wag­ ner abbia a volte reagito con impazienza alla direzione di Hans Richter. Durante la prova generale egli sedeva dietro re Luigi che, stupito dai sospiri, dai sussulti e dalle imprecazioni di Wag­ ner, fini col chiedere al maestro se stesse bene. Wagner più tardi spiegò per lettera che durante lo spettacolo aveva provato un continuo senso di insoddisfazione: sia per il timbro dell’orche­ stra, sia per l’interpretazione dei cantanti e la realizzazione sceni­ ca. Albert Niemann gli era caro per essere stato il contestato Tannhauser di Parigi del 1861, ma ora nel ruolo di Siegmund non era in grado di allontanare il traumatico ricordo di Ludwig Schnorr von Carolsfeld, l’indimenticabile Tristano di Monaco, così prematuramente scomparso. Si erano scelti gli artisti miglio­ ri. Il fedele Franz Betz di Berlino, primo splendido Hans Sachs, cantava nella parte di Wotan e del Viandante. Amalie FriedrichMaterna era allora quasi insuperabile nel ruolo di Brunilde. Tut­ tavia non si produsse la grande impressione tragica di un evento teatrale ciclico strutturalmente unitario. Hans Richter eseguì fe­ delmente le indicazioni di Wagner; ma rimase solo il suo assisten­ te: non era un collaboratore autonomo e congeniale come Biilow,

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al quale Wagner, non senza sensi di colpa, non potè fare a meno di pensare in continuazione. Nemmeno a lui sfuggiva il solco tra la sua opera e quel pub­ blico. Era stato impiegato ogni mezzo per organizzare uno spet­ tacolo alternativo, una manifestazione antitetica alla prassi con­ venzionale dei teatri di corte: il «dramma musicale» al posto dell’opera. Ma la tragedia si svolgeva davanti al pubblico con­ venzionale della lirica, che non poteva non comportarsi come tale. I critici giornalistici anche negli anni seguenti continuarono a obiettare che né l’anfiteatro e il golfo mistico, né la regia illusioni­ stica e l’arte del motivo conduttore potevano alcunché contro le consuetudini teatrali tramandate. Durante la rappresentazione si chiacchierò a mezza voce, ci furono fruscii di ventagli, occhiate e puntar di binocoli: il solito teatro nel teatro. Per non parlare poi degli applausi durante lo spettacolo e nei momenti sbagliati. Wie­ land Wagner, che piu tardi cercò di allontanare dalle rappresenta­ zioni del Parsifal l’atmosfera di solennità priva di applausi, accen­ nò allora non senza ironia a come era nato il divieto wagneriano di batter le mani durante il dramma sacro. Richard Wagner non era affatto contrario agli applausi durante le rappresentazioni del Par­ sifal. Ciò che lo disturbava e lo induceva a tali dichiarazioni era veder interrotto lo spettacolo dallo scroscio degli applausi. In­ semina, applausi dopo il rifiuto del puro folle a Kundry o dopo l’incantesimo del Venerdì Santo. Il segretario di corte a Monaco, L. von Burkel, amico e protettore di Wagner, ci ha lasciato degli appunti sulla prima rappresentazione del Parsifal del 1882. «Do­ po il primo atto ci furono applausi, zittiti per non rompere l’at­ mosfera di raccoglimento; dopo il secondo atto tutti per equivoco rimasero tranquilli, tanto che Wagner si chiese: " Ora non so pro­ prio se al pubblico sia piaciuto o no”». Il maestro avrebbe an­ che dichiarato: «Al consiglio di amministrazione sono tutti asi­ ni, proibiscono gli applausi e io non so se al pubblico l’opera sia piaciuta». L’ordine dato dall’amministrazione di Bayreuth doveva invece essere interpretato come reazione al comportamen­ to del pubblico della prima del 1876. Euforia e scontentezza, un’attesa soddisfatta e nello stesso

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tempo dubbi profondi sulla solidità e sulla validità di ciò che si era raggiunto e presentato. In Richard Wagner non c’era solo il conflitto tra la visione della festa democratica e una realtà operi­ stica travestita da dramma musicale. Il maestro di Bayreuth, già durante il primo festival, deve aver meditato con amarezza e preoccupazione sull’univocità e irreperibilità dell’impresa. Come un principe dello spirito e dell’arte aveva tenuto corte a Wahn­ fried. Ma i burocrati bavaresi a Monaco continuavano a segnare ogni spesa, pieni d’invidia. Retrospettivamente e a favore di Wag­ ner, Bùrkel ha esposto le cose con molta obiettività: «Wagner, che non ebbe niente a che fare con l’intera condotta finanziaria e dalla rappresentazione non solo non trasse alcun guadagno, ma anzi soffrì un danno gravissimo, dovuto all’aumento delle spe­ se sostenute per aver mantenuta aperta per tre mesi la casa con un cuoco francese, fu minacciato dall’ufficiale giudiziario. La si­ gnora Cosima, per coprire il deficit, voleva sacrificare quarantamila franchi, sua parte dell’eredità materna». Così erano andate le cose. È vero che i revisori Heckel e Engelsmann il 24 giugno 1876 avevano «confrontato con le ricevute e trovato in regola il bilancio della costruzione del teatro di Bayreuth e dell’allesti­ mento dello spettacolo L’anello del Nibelungo», che era stato chiuso con un attivo di 2060 marchi. Ma lì dietro si nascondeva un passivo spaventoso: 945 000 marchi per la costruzione e l’ar­ redamento del Festspielhaus. Le rappresentazioni erano costate quasi 180 000 marchi. La completa attuazione del piano di finanziamento con gli attestati di patronato non era riuscita, benché si fossero incassati 724 775,32 marchi, oltre a 250 000 marchi circa per diritti di rappresentazione e sovvenzioni volontarie. Ma la cassa del gabinetto reale aveva anticipato più di 216 000 marchi e la sovrintendenza del teatro di corte di Monaco altri 100 000 marchi. Questo deficit doveva essere saldato. I rapporti tra re Luigi e Wagner erano tesi, niente più ricordava i tempi fe­ stosi del 1864. Gli appunti di Bùrkel sulle ingiunzioni e la corri­ spondenza del re sulla questione Wagner tra il 1880 e la morte del musicista non lasciano alcun dubbio sull’atteggiamento irri­ tato e spesso malevolo del re nei confronti di colui che era diven­



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tato il maestro di Bayreuth. Si legge ad esempio: «Sua Maestà non è disposta a sborsare elevate somme di denaro per il signor Wagner e il suo viaggio in Italia» (8 maggio 1880). «Sua Maestà non può affrontare alcuna spesa per l’impresa di Bayreuth di que­ st’anno... In sé e per sé si è fatto già moltissimo per il signor Ri­ chard Wagner» (22 maggio 1882, dunque durante i preparativi per la rappresentazione del Parsifal). E contemporaneamente le continue, imperiose richieste del re di esecuzioni separate del Parsifal a Monaco, che Wagner cerca di stornare con sempre nuo­ vi pretesti. Il re ricatta addirittura Wagner servendosi dell’or­ chestra del teatro d’opera bavarese: dalla sua autorizzazione al­ l’orchestra, diretta dal maestro Levi di Monaco, a intervenire a Bayreuth per il Parsifal senza spese da parte di Wagner dipendono infatti le rappresentazioni dell’opera. C’è poi una comunicazione del 25 febbraio 1883, dunque immediatamente successiva alla morte di Wagner a Venezia, proveniente dalla cerchia degli inti­ mi del sovrano. In essa si fa dire a Luigi che «la famiglia di Wag­ ner ha vissuto disordinatamente e, invece di risparmiare per avere in futuro qualcosa, ha scialacquato tutti i suoi averi. Sua Maestà non ha il benché minimo desiderio di sborsare denaro, e non è d’accordo con tali iniziative. Il padre della signora Wagner è il famoso Liszt ed è lui che deve occuparsi di sua figlia e della prole di questa» (L. Mayr a K. Hesselschwerdt). L. von Biirkel ci ha anche lasciato un appunto sul modo in cui re Luigi ha accolto la notizia della morte di Wagner a Venezia. Biirkel ha evidentemen­ te riferito il fatto sulla base di una comunicazione di Hessel­ schwerdt, confidente del re: «Nel leggere il dispaccio egli escla­ mò: Ah! Mi dispiace e non mi dispiace. Non mi era troppo sim­ patico. Aggiunse solo: Biirkel ne sarà molto addolorato, era en­ tusiasta di lui. Solo poco tempo fa mi ha creato problemi con il Parsifal. — Era del tutto indifferente, tanto da lasciare di stucco Hesselschwerdt ». Già a Tribschen (e tanto piu poi a Bayreuth) Richard Wagner aveva cessato di farsi illusioni sul modo di pensare e di sentire del re. Parlando con Cosima egli riconosceva naturalmente che esistevano motivi di gratitudine; ma nel suo appello del 1863 a

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quel principe tedesco così entusiasta e pronto alle iniziative non aveva davvero immaginato che potesse essere di spirito e di umo­ re così oscillante come Luigi II di Baviera. Si dovette colmare il deficit del 1876. In un appunto persona­ le di Biirkel, probabilmente del io gennaio 1900, si legge: «De­ bito del festival di Bayreuth. La famiglia Wagner continua a pa­ gare per coprire il passivo. Finora sono stati saldati debiti per 120000 marchi, con rate annuali, restano da pagare 100000 marchi». iv. Il puro folle.

«Di amici sinceri Wagner ne ha abbastanza, gli mancano solo amici pronti ad agire e a sacrificarsi. Fanno fare al maestro quasi tutto da solo e si contentano di partecipare al godimento di ciò che egli ha costruito col sudore della fronte... Non esistono spe­ ranze che gli uomini saggi divengano potenti: ma Bayreuth, dove l’arte, almeno finora, può esprimersi nel modo piu grandioso, è il luogo in cui i potenti potrebbero diventare saggi». Sono frasi tratte da un opuscolo intitolato Sovvenzione statale per Bayreuth, fatto stampare nell’aprile 1877 da Martin Pluddemann, intimo amico e collaboratore di Richard Wagner. Era il documento di un’amara delusione sotto le vesti di una fiduciosa speranza. An­ che l’autore sapeva in segreto che nessuno dei potenti del nuovo Reich tedesco, nessun cancelliere o principe regnante, nessun ban­ chiere o grande proprietario terriero sarebbe stato disposto a estinguere la montagna di debiti della famiglia Wagner, tanto più che il famoso mecenate, il re Luigi, non aveva evidentemente mos­ so un dito. Alla fine di quegli anni settanta, Wagner deve aver conosciuto la più amara disperazione. Non era più la miseria consueta e quasi familiare del primo periodo di esilio, a Zurigo, con la sua vita da nomadi, ma un rovescio all’indomani del trionfo: insomma, un passo indietro. Fu allora che Wagner parlò e scrisse dell’eventualità di ab­

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bandonare non solo la Germania ma anche l’Europa, e di passare il resto della sua vita, se avesse potuto ottenere la sicurezza mate­ riale, in America, in un mondo totalmente nuovo e in nuove condizioni. In quei momenti il musicante dello stato si ritrasfor­ mava di colpo nel democratico assetato di libertà e privo di vinco­ li, nell’amico e compagno di lotta di Michail Bakunin. Tali ritorni di fiamma non furono rari. Ancora nell’ultimo periodo della sua vita a Venezia Wagner parlava, come nel 1849, di incendiare i palazzi e della tesi di Proudhon, secondo cui la proprietà non è altro che furto. Il Wàhnen solo apparentemente soddisfatto trovò ancora una volta conforto nel lavoro. Mentre Pluddemann con i patroni di Bayreuth, e il banchiere bayreuthiano Feustel insieme ai pochi amici che Wagner contava tra i burocrati di Monaco, si adopera­ vano per soluzioni finanziarie e giuridiche, il maestro di Bayreuth completava il poema Parsifal. Anche per la nascita del Parsifal fu necessaria una visione liberatoria. Essa risaliva al venerdì santo del 1857, poco prima che egli entrasse nel suo rifugio sulla verde collina. Wagner stava davanti alla sua casetta e guardava il pae­ saggio primaverile del lago di Zurigo. Mattina del venerdì santo e natura in fiore: ecco il germe del futuro dramma sacro, e con esso nasceva anche uno dei vertici musicali della partitura del Parsi­ fal. Wagner, come era sua abitudine, aveva scritto la trama in forma di racconto epico - ancora sotto il titolo di Parzival - ne­ gli ultimi giorni di agosto del 1865. Una volta attuata la sepa­ razione tra Tristano e Parsifal, e dopo l’abbandono del proget­ to del dramma «buddistico» I vincitori, il Parsifal si impose sem­ pre piu chiaramente come l’opera conclusiva da creare. Wag­ ner trovò naturale accingersi, dopo le rappresentazioni di Bay­ reuth del 1876, a quest’ultima fatica. Il 22 luglio 1877 egli riferì al re da Bad Ems che il poema era stato terminato: «Sì, sì! Tutto è doloroso! Ma una cosa ci solleva in continuazione dal caos delle impressioni di volgarità e ripugnanza che riceviamo ogni giorno, anzi, ogni ora: il grande sguardo, che tutto abbraccia, dell’amico da noi eletto che ci irradia la sua compassione. Allora sopraggiun­ gono gli attimi che una dote particolare ci aiuta a prolungare in

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ore solenni, che poi periodicamente possiamo fissare attraverso l’incessante susseguirsi dei giorni. Furono giorni simili che mi suggerirono, fuggendo il disgusto e l’orrore, l’ispirazione di com­ porre il poema del Parsifal. — Eccolo dinanzi a Voi! Possa procu­ rarvi diletto e rafforzarvi nell’idea che forse non è del tutto inu­ tile conservarmi ancora per alcuni anni alla mia arte. | La mia no­ bile sposa, la mia casa e i miei figli salutano umilmente il nostro alto signore. Con imperitura devozione levo lo sguardo alla Vo­ stra sublime maestà. Eternamente Vostro | Richard Wagner». Il pomeriggio del 3 maggio 1879 il re ricevette un telegramma che era stato poco prima spedito da Bayreuth: DritterMai! Holder Mai! Dir sei metti Lob gespendet! Winters Herrschaft ist vorbei und Parsifal vollendet ’.

Dal 1880 diventò di grande aiuto il protettore L. von Bùrkel, che poteva influire, sia pure di poco, sull’umore del re a favore di Wagner e di Bayreuth. Cosima gli scrive il 20 novembre 1880: «Mio marito prova un sentimento di infinito sollievo nel trova­ re, al posto della malevola opinione che prima dominava nei suoi confronti, un’attenta comprensione e un’amichevole bene­ volenza; in questo senso i tempi per noi sono diventati molto migliori». Anche Richard Wagner, una volta programmata la prima rappresentazione del Parsifal per l’estate 1882, si rivolge a Bùrkel con buone speranze. In realtà la lettera del 23 agosto 18 81 è formulata in tono ottimistico perché, in caso di necessità, doveva essere presentata al re: «I preparativi per la rappresenta­ zione del Parsifal del prossimo anno stan seguendo il loro corso, senza fretta e - credo — con buoni risultati. Lavori arretrati mi sembra di non averne. Dato che per me la presenza del mio altis­ simo benefattore è della massima importanza, mi sono preoccu­ pato soprattutto di porre in condizione degna i locali del nostro Festspielhaus con un opportuno ampliamento». 1 Tre di maggio, dolce maggio! | Io ti canto le mie lodi. | Via è il potere dell’inver­ no, | ed il Parsifal compiuto.

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Nei preparativi di questa ultima prima Wagner si dimostra ancora una volta un direttore artistico di grandi capacità organiz­ zative. Le parti principali vengono assegnate a due artisti ciascu­ na, scrive egli a Monaco, «dato che io — per raggiungere incassi considerevoli — debbo mirare al piu alto numero possibile di recite». Infatti nel 1882 il Parsifal venne rappresentato per sedi­ ci volte. Accanto al tenore viennese Hermann Winkelmann can­ tarono anche Ferdinand Jàger e Heinrich Gudehus. Ci furono anche tre Kundry: guidate tutte da Amalie Materna, la Brunilde del 1876. Re Luigi mise a disposizione l’orchestra di Monaco sotto la direzione di Hermann Levi, ma non fu possibile indurlo a inter­ venire personalmente a Bayreuth. Wagner si senti profondamen­ te ferito. Il i° ottobre 1882 egli scrive ancora una volta a Burkel: «Provo un senso di ansia e preoccupazione! L’assenza del mio altissimo benefattore alle rappresentazioni del Parsifal (e pur­ troppo devo considerarla non volontaria!) [...] mi getta nella piu profonda prostrazione». Burkel ci ha anche riferito come andarono le cose durante la prima. Nella pausa tra il secondo e il terzo atto egli potè cenare con i Wagner «in un locale piuttosto provvisorio dalla tappezze­ ria rossa». Wagner sembrava irritato e aggressivo. Poteva farsi vedere solo il direttore amministrativo Gross. Il terzo atto iniziò in ritardo, a quanto sembra, perché Wagner non aveva alcuna voglia di interrompere la conversazione con Burkel. Era eviden­ te il conflitto interiore del pubblico, incerto se davanti a quell’o­ pera dovesse comportarsi come a teatro o come in chiesa. Richard Wagner propendeva per il teatro e gli applausi, anche se non per gli applausi a scena aperta. I suoi fedeli di Bayreuth viceversa desideravano un silenzio reverenziale, come durante una funzio­ ne religiosa. Il successo artistico della prima fu indiscutibile. Franz Liszt il 27 luglio 1882 scrisse a Hans von Wolzogen che l’impressione generale era stata quella «di non riuscire a dire nulla su quest’o­ pera meravigliosa. Si, essa rende muto chi ne è colpito profon­ damente: il suo pendolo solenne oscilla fra l’elevato e il subii-

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me». Tuttavia il giudizio di Liszt, soprattutto sotto l’aspetto mu­ sicale, non fu generalmente condiviso dai fedeli di Wagner. Per la prima volta si mormorò di «una debolezza creativa» del mae­ stro, e altri fedeli dovettero protestare e smentire con tono rassi­ curante. Anche Wagner, in contrasto con la lettera assai sod­ disfatta dell’8 settembre 1882 inviata a re Luigi, in privato trovò molto da ridire sulla rappresentazione. La scena delle fanciulle dei fiori era riuscita male, anzi in alcuni momenti era risultata ridicola. E anche i disegni di Joukowsky per i costumi erano stati troppo approssimativi tanto da risultare quasi inutilizzabili. Fe­ lix von Weingartner ricorda cosi le fanciulle dei fiori: « I loro co­ stumi sono privi di gusto in modo addirittura inconcepibile. Ma il loro canto è superiore a ogni lode ». Questa volta non segui alcun mercoledì delle ceneri. Nel «Bayreuther Tageblatt» del 5 settembre 1882 il creatore del Parsifal potè esprimere la sua gratitudine alla cittadinanza di Bayreuth: «Grazie a tale felice collaborazione, siamo sulla strada di una bel­ la partecipazione della cittadinanza di Bayreuth all’opera d’arte stessa che ora va presentata al mondo; prender atto del significato propizio di questa partecipazione mi sembra un risultato non pri­ vo di valore del festival ora concluso». Il linguaggio di questo scritto di ringraziamento è contorto e tormentato. Deve eludere la domanda non illegittima del modo in cui la cittadinanza di Bay­ reuth poteva effettivamente dimostrare la sua bella partecipazio­ ne al dramma sacro. Neppure il festival del 1882 ebbe nei preparativi e nello svol­ gimento nulla della festa democratica un tempo sperata. Da allora si sono versati fiumi d’inchiostro sul fatto se si deb­ ba considerare il Parsifal come una debole opera senile e come il prodotto di una declinante forza creativa. Sono palesi le riminiscenze di opere precedenti, ma è stato Wagner stesso a volerle. Il preludio in la bemolle maggiore, emergente dal profondo, ricor­ da certo l’inizio della tetralogia, ma anche l’opposta visione del Graal che si inabissa del preludio in la maggiore del Lohengrin. Alla tragedia dell’Anello del Nibelungo è subentrata una rappre­ sentazione sacra che si muove verso una salvezza predestinata.

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Amfortas deve peccate per essere purificato. Nietzsche ha dato li­ bero sfogo alla sua avversione al testo e alla musica del Parsifal in uno stornello che non appartiene ai prodotti migliori di Frie­ drich Nietzsche poeta. Si trova nel libro Al di là del bene e del male (1886) alla fine del capitolo apertosi con un’analisi del pre­ ludio dei Maestri cantori di Norimberga: 1st Das nodi deutsch? Aus deutschem Herzen katn dies schwiile Kreischen? Und deutschen Leibs ist dies Sidi-selbst-Entfleisdien? Deutsch ist dies Priester-Hàndespreizen, Dies weihrauch-diiftelnde Sinne-Reizen? Und deutsch dies Stocken, Stiirzen, Taumeln, Dies ungewisse Bimbambaumeln? Dies Nonnen-Àugeln, Ave-Glocken-Bimmeln, Dies ganze falsch verziickte Himmel-Uberhimmeln? — 1st das noch deutsch? — Erwagt! Noch steht ihr an der Pforte: — Denn, was ihr hórt, ist Rom —, Rom’s Glaube ohne Worte\ '.

Sconcertante è qui solo la strana insistenza di Nietzsche, citta­ dino del mondo, sul germanesimo e sul protestantesimo. Thomas Mann lodò ancora negli ultimi anni di vita il Parsifal, opera d’ar­ te totale, come il capolavoro piu sorprendente di Wagner. Tra i musicisti troviamo un ammiratore al di sopra di qualsiasi sospet­ to, un antiwagneriano convinto per molteplici motivi. Recensen­ do il 6 aprile 1903 un’esecuzione a Parigi, in forma di concerto, del Parsifal, che allora poteva essere eseguito scenicamente solo a Bayreuth, Claude Debussy scrive: «Nel Parsifal, l’ultima prova di forza di un genio dinanzi a cui ci dobbiamo inchinare, Wagner ha tentato di fare meno violenza alla musica; qui essa respira piu liberamente. Qui non c’è più quell’ansito snervante e affannoso 1 « - È ciò ancora tedesco? - | Venne da cuore tedesco questo stridio soffocante? | S’addice a un corpo tedesco questo disincarnarsi? | Tedesco è questo pretesco allargar le mani, | questa d’incenso sofisticata lusinga dei sensi? | E intoppare, cadere, barcol­ lare così è forse tedesco, | questo incerto ciondolare a din don? | Questo occhieggiar mo­ nacale, tinnir di campane dell’ave, | tutto questo spropositato convulso bigottismo ol­ tre tutti i cieli? | - È ciò ancora tedesco? | Pensateci! Siete ancor sulla porta: - | invero quel che voi udite è Roma - fede dì Roma senza parole'. » [trad. it. in f. nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano 1968, p. 174].

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per tener dietro alla morbosa passione di un Tristano, o per ade­ guarsi ai gridi da bestia selvaggia di una Isotta; qui non c’è più nemmeno il magniloquente commento delle inumanità di Wotan. Mai la musica di Wagner raggiunge una così serena bellezza come nel preludio del terzo atto del Parsifal e nell’intera scena dell’in­ cantesimo del venerdì santo, sebbene anche qui la personale con­ cezione wagneriana della natura umana si riveli nel comporta­ mento di determinati personaggi del dramma [...]. Qui si ascol­ tano impasti orchestrali unici e inimitabili, nobili e pieni di forza. È uno dei più bei monumenti sonori che siano mai stati innalzati a imperitura gloria della musica». Che Franz Liszt, nonostante il profondo allontanamento da Wagner, fosse intervenuto alla rappresentazione, rientra in quei compromessi imposti dalla vita, allo stesso modo in cui un anno prima (nel 1881) Cosima si era nuovamente incontrata con Hans von Bùlow per discutere la sorte delle due figlie maggiori. All’ultima recita del Parsifal il compositore diresse l’atto fina­ le. Hermann Levi ci ha riferito come Wagner, arrampicatosi al­ l’improvviso sul podio nel golfo mistico, gli abbia strappato di mano la bacchetta. Levi rimase lì vicino per poter intervenire in caso di necessità, ma non ce ne fu bisogno. Infatti Wagner fin dalla prima battuta fu sotto il potere della sua creazione e ancora una volta incantò i suoi musicisti, come un tempo a Dresda. Poi divenne triste, tutto preso dal presentimento della morte. Nel rapporto conclusivo di Wagner intitolato La sagra sce­ nica del 1882 a Bayreuth, assai singolare, si legge: «Anche il Parsifal ha dovuto la sua nascita e il suo sviluppo solo alla fuga da esso [dal mondo] ! Chi mai può guardare per tutta la vita con animo aperto e cuore libero questo mondo dell’assassinio e della rapina organizzata e legalizzata dalla menzogna, dall’inganno e dall’ipocrisia, senza sentire di tanto in tanto il bisogno di allonta­ narsi da esso con disgusto e orrore? Dove si appunta allora il suo sguardo? Spesso perfino nelle profondità della morte. A chi è chiamato ad altre cose ed è per questo isolato dal destino, la più autentica immagine del mondo appare il monito, annunciatore di redenzione, della sua anima più profonda. Poter dimenticare il

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mondo reale dell’inganno grazie a questa immagine onirica eppur reale sembra allora la ricompensa alla dolorosa verità che gli ave­ va appunto permesso di riconoscere la miseria di quel mondo». Il rapporto conclusivo e il discorso di Wagner agli artisti si concludevano con la speranza di rivedersi e di ripetere il festival nel 1883. Subito dopo Wagner intraprese il suo ultimo viaggio in Italia. Nel palazzo Vendramin a Venezia erano state occupate diciotto stanze di un’ala laterale generalmente messa in affitto. Qui nacquero gli ultimi scritti. Wagner da molto tempo aveva smesso di prender la parola esclusivamente su questioni artisti­ che. La pretesa di un’universale validità e incontestata accetta­ zione dei suoi pensieri lo aveva in effetti portato, fin dall’inizio del suo regno a Bayreuth, a sentenziare su tutti i problemi. Il che non poteva avvenire senza un segreto effetto comico. Lo scritto Religione e arte del 1880 contiene questa stupefacente afferma­ zione: «Tuttavia, per profondi motivi interni, la nostra società statale potrebbe considerare l’odierno socialismo un fenomeno di grande importanza non appena esso entrasse in vera e intima unione con le associazioni sopra menzionate dei vegetariani, dei protettori degli animali e dei moderati». Una lettera aperta a Heinrich von Stein, firmata a Venezia il 31 gennaio 1883, ci mostra un Wagner anche troppo fedele al­ lievo delle teorie razziali di Gobineau. Alle stirpi tedesche viene attribuita, grazie al ritorno alle origini, una capacità che il cosid­ detto mondo latino, completamente semitizzato, avrebbe per­ duto: è l’ultima forma di aspro confronto con gli anni di miseria vissuti a Parigi (1839-42). Wagner ha conservato anche l’idea anarchica. Lo schizzo di una società futura tratteggiato due set­ timane prima della morte introduce «lo stato e la chiesa [...] solo come esempi ammonitori e intimidatori». L’anarchia si collega con la personale teologia wagneriana. Bayreuth non intende sop­ portare accanto a sé un’altra chiesa. Il 13 gennaio, un mese prima della morte del musicista, Liszt lasciò la famiglia Wagner, con cui fino allora aveva trascorso l’in­ verno, per andare a Budapest. Una barcarola di Liszt per piano­ forte, nata in quel periodo, descrive, con toni presaghi, un viag-

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gio funebre. Il pomeriggio del 13 febbraio Richard Wagner fu vittima di un infarto. Sulla sua scrivania si trovava un manoscrit­ to incompiuto Sul femminile nell’umano, concepito come studio conclusivo dei saggi sulla religione e l’arte. Le ultime frasi scritte da Wagner riconducevano agli inizi, al mondo della sensualità della Giovane Germania e dell’emancipazione femminile, al Di­ vieto d’amare-, «Tuttavia il processo dell’emancipazione della donna procede solo tra spasimi estatici. Amore-tragedia». La salma di Wagner fu portata, con scorta solenne e onori regali, dall’Italia in Germania. Al confine bavarese l’incaricato di Luigi II ricevette il corteo funebre per consegnare le corone del re. Anche a Monaco aspettava una folla immensa. Il re non com­ parve. Il corteo funebre fu ricevuto a Bayreuth e condotto a Wahnfried, dove i figli aspettavano il feretro. Cosima non prese parte alle esequie. Nemmeno Franz Liszt era intervenuto. L’intera città onorò il suo concittadino Richard Wagner, ma il direttore del teatro Angelo Neumann scrisse: «Per me era come se ci aves­ se lasciato un dio; mentre quel che si fece allora a Bayreuth avreb­ be potuto andare altrettanto bene per un bravo cittadino di que­ sta città».

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i. Il cammino di Cosima verso la tradizione.

Un’immagine si è impressa nei posteri, di Cosima e Richard Wagner, la giovane moglie e il marito anziano: Cosima siede sul­ la poltrona e guarda in su verso il marito, l’amato e il maestro, Richard Wagner le sta in piedi davanti con lo sguardo rivolto verso il basso, la mano sinistra in quella di lei e la destra appog­ giata sulla spalliera della poltrona: viene così suggerito in modo per così dire rituale un casto abbraccio. La nobile coppia: da al­ lora è stata così interpretata. In Prinzip Hoffnung Ernst Bloch ha meditato sul mito della «nobile coppia». La nobile coppia appartiene per lui all’«utopia del matrimonio»: «La categoria della "nobile coppia” è stata finora scarsamente presa in considerazione, sebbene essa sia sorta immediatamente dopo la società matriarcale. Bachofen l’ha osten­ tatamente elusa e ha sempre posto di volta in volta solo la donna o solo l’uomo all’apice matriarcale o patriarcale. Ma la nobile coppia ha generato l’ideale tipico del matrimonio non solo agli occhi dei partner, ma anche a quelli dei loro spettatori. La donna e l’uomo sono qui rappresentati ognuno come immagine in sé concentrica: l’una di bellezza e di benevola dedizione, l’altra di forza e di benevolo dominio; ma solo l’unione diventa in sé e per sé benedizione. Essa appare come unione di dolcezza e severità, di grazia e forza, perfino di prostituta e profeta... » Nell’immagine della nobile coppia Richard e Cosima Wagner c’è un messaggio di legittimità. Ma la vita di Cosima Liszt, mo­ glie separata del barone Hans von Biilow, la futura signora di Tribschen e di Bayreuth, si presenta per decenni all’opinione

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pubblica dell’epoca come uno scandaloso spettacolo di illegalità e illegittimità unite. Il severo tradizionalismo di Cosima a Bay­ reuth e il suo desiderio di consolidare quanto si era raggiunto e creato fanno intuire come la figlia di Franz Liszt, moglie di Ri­ chard Wagner e madre dei suoi figli, vivesse ancora dominata da un pensiero: evitare di cadere in un nuovo disordine. Il cammino di Cosima verso la tradizione fu difficile. Non le è stata risparmiata quasi nessuna umiliazione: lei, l’illegittima, l’a­ dultera, la seduttrice pronta a mentire a un re e a uno sposo. All’inizio del suo amore per Richard Wagner dovette vedersi co­ me un’Isotta: quando Biilow dirigeva le prove come un giovane re Marco. Il io aprile 1865 venne alla luce la terza figlia di Co­ sima, Isolde Josepha Ludowika. Biilow diresse quello stesso gior­ no la prima prova orchestrale del Tristano e Isotta. Ma quella bambina, Isolde von Biilow, è già figlia di Richard Wagner. Dopo la morte di Wagner, e già nei difficili anni a partire dal­ l’entrata degli dei a Wahnfried, Cosima, che vide nascere il dram­ ma sacro e assistette giorno dopo giorno al progredire del lavo­ ro, dovette forse identificarsi sempre più con la figura di Kundry. Quando Gurnemanz all’inizio del terzo atto sveglia l’irri­ gidita Kundry dal suo sonno di morte, è «scomparso dal viso e dall’atteggiamento [...] il carattere selvaggio. - Ella fissa a lungo Gurnemanz. Poi si alza, si rassetta il vestito e i capelli e si accinge subito a servire come un’ancella». E prima e dopo la redenzione viene da lei pronunciata un’unica parola, rotta e spezzata. La parola: «servire, servire». Cosima, nata il Natale 1837 a Como, visse novantadue anni. Era il secondo frutto della libera relazione amorosa di Franz Liszt con la contessa Marie d’Agoult. Due anni prima era nata a Gi­ nevra sua sorella Blandine, e due anni dopo Cosima nacque a Roma suo fratello Daniel. Sono i figli di un girovago virtuoso della tastiera con una donna di quasi sei anni maggiore di lui, dalla quale egli si separa pochi mesi dopo la nascita del figlio Daniel. I pezzi per pianoforte di Liszt Gli anni di pellegrinaggio fanno capire come egli tentasse di spiegare a se stesso quegli anni come un pellegrinaggio. L’erotismo religioso che tanto contrad­

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distingue la sua vita e la sua arte aveva caratterizzato anche il legame da cui nacque Cosima. La figlia era stata allontanata dalla madre, ma essa non ha mai perdonato nemmeno al padre di averla lasciata sola in gioventù e di essersi ciononostante azzardato ad esprimere la sua disappro­ vazione per l’adulterio commesso ai danni di Hans von Biilow e per l’unione con Wagner. Liszt mori il 31 luglio 1886 durante il festival di Bayreuth, sei giorni dopo la prima rappresentazione del Tristano e Isotta al Festspielhaus. La figlia non era presente quando egli, a mezzanotte, chiuse gli occhi. Cosima aveva dato disposizione di tener nascosta la malattia per non turbare lo svol­ gimento del festival. La biografia di Cosima ricorda in modo straordinario la vita di sua madre. Marie d’Agoult venne alla luce il 31 dicembre 1805, poco dopo la vittoria di Napoleone ad Austerlitz. Era nata da un conte francese e dalla figlia di un banchiere di Francoforte, Johann Philipp Bethmann. La contessa d’Agoult, negli anni del suo legame con Liszt intima amica di George Sand e Chopin, era anche lei scrittrice. Scelse lo pseudonimo di Daniel Stern. Sotto questo nome d’arte scrisse più tardi, dopo che Liszt l’aveva ab­ bandonata, il romanzo del suo amore per l’artista; il protagonista maschile non ne usciva troppo bene. Nel 1844 Liszt si separò definitivamente dalla sua amica. I tre figli Blandine, Cosima e Daniel vengono da lui riconosciuti: vi­ vono a Parigi e ricevono un’accurata educazione di rigida impron­ ta cattolica. Solo nell’ottobre 1853 il padre, dopo nove anni, fa una prima visita ai figli a Parigi. A quel tempo è ancora direttore d’orchestra a Weimar e vive là con la principessa Caroline von Sayn-Wittgenstein, una russa che ha un sempre maggior influsso sull’educazione dei figli di Marie d’Agoult. Il 1 o ottobre 1853 ha luogo a Parigi una « serata in famiglia». Cosima conosce in questa occasione gli amici del padre, i suoi compagni di lotta per una nuova musica: Hector Berlioz e Richard Wagner. Quella sera Wagner legge la conclusione del poema dell’Anello, il terzo atto del Crepuscolo degli dei. Due anni dopo, Liszt desidera che i figli, che a Parigi conti­

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nuavano a essere in contatto con la madre, vengano portati in Germania, prima a Weimar, poi a Berlino. L’8 settembre 1855 Cosima, insieme alla sorella Blandine, giunge a Berlino. Le ra­ gazze vanno a pensione dalla baronessa Franziska von Biilow, madre di Hans von Biilow, pianista e allievo di Liszt. Hans, che insegna al conservatorio Stern di Berlino, diventa anche mae­ stro di pianoforte di Blandine e Cosima Liszt. Il 18 agosto Cosima è unita in matrimonio con Biilow, alla presenza del padre, nella chiesa di Sant’Edvige a Berlino. Il viaggio di nozze, attra­ verso Weimar e Ginevra, li conduce a Zurigo. Là essi si trasferi­ scono da Richard e Minna Wagner nel «rifugio sulla verde colli­ na» che Otto Wesendonck aveva messo a disposizione del com­ positore. Hans von Biilow trascrive l’intero poema Tristano e Isotta. Infine i Biilow ritornano a Berlino. Qui Cosima stringe amicizia con lo scrittore Ernst Dohm, futuro nonno di Katia Pringsheim, moglie di Thomas Mann. In occasione di una nuo­ va visita a Zurigo, i Biilow assistono al punto culminante della crisi tra Richard Wagner e Otto Wesendonck. Il matrimonio di Cosima con Hans von Biilow non è felice. Cosima s’incontra nuo­ vamente con la madre, parte con lei per Ginevra, ha lì una storia d’amore, che, come piu tardi ammette lei stessa, la porta vicino al suicidio. Ma ritorna da Biilow. La prima figlia, Daniela Senta, nasce il 12 ottobre i860. La sorella di Cosima, Blandine, e il fratello Daniel muoiono prematu­ ramente. Alla fine del 1862 la venticinquenne Cosima è sola con la figlioletta: senza genitori, senza fratelli, sposata a un uomo assai pesante, estremamente nervoso e irascibile, ma grande ar­ tista. Il 20 marzo 1863 nasce una seconda figlia, Blandine. Hans von Biilow ottiene grandi successi come magistrale pianista e direttore d’orchestra, soprattutto nelle opere di Beethoven e nel­ la musica contemporanea. Nel 1864 riceve dall’università di Jena la laurea ad honorem. Quando il 3 maggio di quell’anno Richard Wagner viene chiamato a Monaco dal re di Baviera, Cosima von Biilow lo segue alcune settimane dopo con le due figlie sul lago di Starnberg. Poco dopo giunge lì anche Biilow, «con i nervi a pezzi».

Il cammino di Cosima verso la tradizione

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Il resto è noto ed è stato molte volte descritto. La relazione adulterina della baronessa von Biilow con il compositore Ri­ chard Wagner, il costoso favorito del giovane re, eccita gli animi di Monaco, capitale cattolica. Tutti sembrano sapere quello che solo re Marco non vuole capire. Richard Wagner è sposato, poi­ ché Minna Wagner è ancora viva, e Cosima è la moglie di Hans von Biilow. Il primo figlio della futura nobile coppia viene alla luce il io aprile 1865 a Monaco. Esattamente otto mesi dopo, il 1 o dicembre, Richard Wagner deve abbandonare per ordine del re la capitale bavarese, e si reca dapprima a Ginevra. Nel 1866 muore Minna Wagner, che era intanto ritornata a Dresda. L’8 marzo Cosima abbandona suo marito e si reca con Daniela da Wagner a Ginevra. Il 15 aprile Richard Wagner si stabilisce a Tribschen presso Lucerna. Il 12 maggio 1866 Cosima con le tre figliolette si reca da Wagner a Tribschen. Neppure Biilow vuole più. restare a Monaco: parte per Basilea, ma rimane al tempo stes­ so direttore dell’orchestra reale bavarese. In questa qualità dirige il 21 giugno 1868 la prima rappresentazione a Monaco dei Mae­ stri cantori di Norimberga. La rappresentazione fu un trionfo per il compositore, ma la tensione tra Wagner e Biilow durante le prove fu atroce. Il 17 febbraio 1867 era nata Èva Wagner, che però continuava a portare il nome di Èva Maria von Biilow. Occorre continuare a mantenere dinanzi al mondo la finzione del matrimonio tra Co­ sima e Hans von Biilow. Nella primavera e all’inizio dell’esta­ te del 1867 Cosima abita di nuovo da suo marito a Monaco. A Natale Richard Wagner è temporaneamente loro ospite. Solo il 14 ottobre 1868, dopo che ha avuto luogo la prima dei Maestri cantori, i Biilow si separano dopo una spiegazione definitiva. Il 16 novembre Cosima con i quattro figli arriva definitivamente a Tribschen. Il 17 maggio 1869 compare lì per la prima volta il professore di filologia classica a Basilea, Friedrich Nietzsche, che aveva conosciuto Wagner a Lipsia in casa Brockhaus 1’8 novem­ bre 1868. Nietzsche era stato chiamato a Basilea nel febbraio del 1869. Il 6 giugno nasce a Tribschen Siegfried Wagner. La discendenza maschile della dinastia è ora assicurata. Solo adesso

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Cosima chiede la separazione, che Bulow le accorda. Un anno dopo, il 18 luglio 1870, il matrimonio dei Biilow viene sciolto legalmente a Berlino e il 25 agosto Richard e Cosima si sposano nella chiesa protestante di Lucerna; dieci giorni dopo Siegfried riceve il battesimo. Anche in questo caso un Wàhnen aveva trovato pace. La figlia illegittima nata dall’amore di un artista, l’adultera ferocemente insultata a Monaco poteva ora mettere ordine nella sua vita. Ma non completamente. Decenni più tardi, già nel nuovo secolo xx, la signora di Bayreuth, la patriarca venerata da tutti, è costretta a vedere sua figlia Isolde Beidler, nata von Biilow, appellarsi al tribunale del Reich tedesco per dimostrare di essere figlia di Ri­ chard Wagner e non di Hans von Biilow. Il significato di que­ st’azione giudiziaria è evidente: Siegfried Wagner è allora celibe e senza figli. Isolde Beidler ha un figlio; ella vorrebbe quindi aprirgli la successione al trono di Bayreuth, ma non ci riesce. Il 19 luglio 1914 l’azione giudiziaria di Isolde contro la madre, nel cosiddetto «processo Beidler», viene respinta. Questi avveni­ menti sono tenuti il più possibile lontano da Cosima, che dal 1906 andava soggetta a gravi attacchi cardiaci. Ella visse il suo settan­ tesimo compleanno, Natale del 1907, ormai «ai margini», ma l’avvenimento venne solennemente festeggiato nel mondo. Nel 1910, centenario della fondazione dell’università Friedrich-Wil­ helm di Berlino, Cosima Wagner riceve la laurea ad honorem del­ la facoltà di filosofia. Il tempo perduto del disordine e dell’illegalità era stato ritro­ vato sotto le forme del diritto e della legge. Fin dall’infanzia Cosima Liszt aveva dovuto condurre un’esistenza che l’aveva sem­ pre posta in contrasto con la società e con se stessa. Si era salvata dalla solitudine di un’infanzia randagia con un matrimonio da cui aveva dovuto a sua volta salvarsi. Cosima appartiene alle grandi figure femminili del suo secolo. Come quelle di George Eliot in Inghilterra, di George Sand e della russa Lou Andreas-Salomè, anche l’esistenza di Cosima Wagner è un caso esemplare della realtà e delle possibilità aperte a una donna nel borghese Ottocen­ to. Il fatto che Cosima Wagner sapesse trasformare tutte le realtà

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in possibilità la rende, al di là delle leggende e delle idealizzazioni posteriori, una delle grandi contemporanee. Dopo l’insuccesso finanziario del festival di Bayreuth del 18 7 6 Richard Wagner considera la sua impresa effimera e irripetibile; dunque fallita. Dopo il successo del Parsifal del 1882 non osa credere a una continuità, ma a un significato sostitutivo della sua idea del festival. Tuttavia ha certo temuto in segreto che dopo la morte del maestro di Bayreuth tutto sarebbe finito. Il fatto che ci sia un festival anche nel 1976, anno del centenario, è opera di Cosima Wagner, la nomade che riuscì ad arrivare alla posterità come «nobile moglie», nella costellazione della nobile coppia. Per Friedrich Nietzsche essa fu Arianna. E se egli si è separato da Ri­ chard Wagner con odio e sarcasmo, ha però ammirato e amato Cosima fin nelle tenebre della follia.

il. Bayreuth come forma di vita spirituale.

Quando il figlio di Richard Wagner morì improvvisamente durante il festival di Bayreuth del 1930, perché gravemente ma­ lato di cuore come suo padre, la sua vedova Winifred dovette assumere le funzioni di «signora di Bayreuth». Era inevitabile che venisse subito paragonata — e a suo svantaggio — con la mitica figura di quella che un tempo fu l’indimenticabile signora del festival: sua suocera Cosima. Gli avversari della giovane donna non mancarono di accentuare con forza il contrasto. Qui Cosima Wagner, la figlia di Franz Liszt e la geniale compagna del maestro di Bayreuth, là una giovane inglese, adottata dal musicista Karl Klindworth, una giovane moglie vissuta al fianco dell’ormai de­ clinante Siegfried Wagner, madre di quattro figli. Ma lei — così criticavano gli altri membri della famiglia Wagner, soprattutto le cognate Daniela Thode ed Eva Chamberlain - quali conoscenze musicali e esperienza artistica poteva mai avere per dirigere il festival? Con le possibilità di una Cosima questa nuova signora di Bayreuth non poteva essere nemmeno lontanamente parago­ nata.

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Il che era non solo ingiusto, ma ricordava quanto i censori di allora avevano dimenticato da tempo, da quando Cosima era dive­ nuta per i posteri una leggenda, cioè che all’improvvisa morte di Richard Wagner erano emerse le stesse obiezioni. Wagner non aveva lasciato testamento. E per la ristretta cerchia dei suoi allie­ vi non era affatto scontato che spettasse a Cosima dirigere il fe­ stival programmato per il 1883. Per esempio quel Martin Pluddemann che con tanta passione si adoperò per coprire il deficit del 1876, scrive venti anni dopo (nel 1896), dunque in un mo­ mento in cui Cosima era riuscita a far entrare nella prassi abituale di Bayreuth, a eccezione del Vascello fantasma, l’intera opera di Wagner riconosciuta dallo stesso maestro, che la direzione della vedova aveva radicalmente falsato le idee del marito e il concetto nazional-tedesco del festival di Bayreuth. In una lettera a Ludwig Schemann, uno dei più importanti ideologi della dottrina bayreuthiana nazionalistica e antisemita, Plùddemann scrive (il 25 febbraio 1896): «Lo spirito di Cosima — temo — è in fondo la tomba del vero spirito bayreuthiano. La chiave per risolvere que­ sto enigma sta nella laconica osservazione a me fatta dal suo intimo amico Josef Rubinstein: la ritengo completamente priva di senso musicale! — Le opere di Wagner possono essere però comprese ed eseguite compiutamente soltanto partendo dal più profondo dell’indole germanica e della musica tedesca [...]. Da quando C. è alla guida, si fa un gran parlare di effetti teatrali, di miglioramenti scenici, ecc., ma non della musica [...]. Ancor più pericoloso è l’internazionalismo bayreuthiano, cosi come è stato evocato, per la rovina di Bayreuth, dal carattere genuinamente francese, in ogni modo del tutto non tedesco di Cosima! » Gli «stranieri» erano diventati ormai di casa a Bayreuth, tan­ to da infastidire i veri tedeschi. Cinque anni prima il musicista austriaco Friedrich von Hausegger aveva scritto a un altro fer­ vente ideologo bayreuthiano, Hans von Wolzogen: «È impossi­ bile che una donna, sia pure così dotata, [...] cosi attiva, cosi pron­ ta al sacrificio (tutte cose verissime) — possa abbracciare l’ampio orizzonte di un uomo come Wagner [...]. Vorrei sbagliarmi. Ma molti, molti [...] pensano come me» (27 febbraio 1891).

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La successione quindi non fu mai incontestata. Dopo le ese­ quie di Wagner a Bayreuth, molti fedeli wagneriani pensarono che bisognava affidare la conduzione del festival a musicisti di fa­ ma, e nell’ipotesi migliore a un duumvirato formato da Franz Liszt e Hans von Biilow. Che questa soluzione fosse inattuabile, diventò presto evidente. A un ritorno di Hans von Biilow a Bay­ reuth, e dunque a Cosima, non si poteva pensare. Tuttavia quel­ l’alternativa, a cui Cosima si oppose subito con fermezza, rende­ va evidenti i possibili conflitti delle costellazioni. Un prosegui­ mento dell’impresa di Bayreuth da parte di Liszt o di Biilow si­ gnificava sancire il primato della musicalità creativa. In una tale costellazione Bayreuth veniva inteso come esperimento interna­ zionale di una nuova musica, destinato d’ora in poi ad essere pro­ seguito dai compositori cresciuti alla scuola wagneriana e proba­ bilmente un giorno anche da nuovi e audaci musicisti formatisi in contrasto con alcuni principi fondamentali del creatore della tetralogia. In tal caso si sarebbe posto l’accento sull’inquietudine creativa di Richard Wagner, sulla sua insaziabile ricerca di vie nuove e originali. Ma non si imboccò questa via. Probabilmente nel 1883 non c’erano le premesse per una tale soluzione. Liszt e Biilow dovet­ tero ritirarsi per validi motivi. Ma chi allora avrebbe potuto pro­ seguire creativamente l’opera di Richard Wagner? Il dotato gio­ vane di Monaco Richard Strauss, nato nel 1864, era ancora a quell’epoca un convinto «bramino». Insieme al suo modello Johannes Brahms, rifiutava il wagnerismo. Solo l’incontro con Alexander Ritter portò a una svolta decisiva. E nel 1894 Cosima Wagner chiamò proprio Richard Strauss come direttore del Tann­ hauser a Bayreuth. In tal modo Strauss succedeva a Felix Motti, il primo direttore del Tannhàuser bayreuthiano del 1891. Ma Cosima faceva una netta distinzione, come Strauss stesso ha rife­ rito, tra la sua apprezzatissima attività di direttore e il deciso ri­ fiuto da lei opposto alle composizioni del giovane musicista. La decisione di rinunciare a un festival permanente della nuo­ va musica a Bayreuth costituiva al tempo stesso una scelta in sen­ so dinastico. Bayreuth era un’impresa familiare di Wahnfried.

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Con la morte di Wagner a palazzo Vendramin era scomparso lo spirito creatore. Da quel momento era possibile soltanto servire: replicare, conservare, codificare. Il festival di Bayreuth come at­ to creativo di un genio sperimentatore veniva trasformato in un rituale. Secondo le enigmatiche parole di Gurnemanz al puro folle Parsifal anche qui il tempo diventava spazio. Il tempo wagne­ riano veniva d’ora in poi «conservato» nello spazio anfiteatrale del Festspielhaus, dunque non superato in senso dialettico. Tutto questo è opera di Cosima. A differenza di Richard Wagner sem­ bra esserle completamente mancata la curiosità intellettuale. Da ragazza aveva imparato molte cose, come Franz Liszt aveva impe­ riosamente preteso dalle istitutrici prescelte. Certamente suona­ va anche molto bene il pianoforte, in quanto figlia del più grande pianista dell’epoca. Ma Siegfried Wagner ha riferito che potè ascoltare per la prima volta la madre suonare il piano a palazzo Vendramin nel febbraio 1883, mese della morte di Richard Wagner. La vita di Cosima dopo la morte di Wagner appartiene inte­ ramente al rituale dell’eterno ritorno. Il tempo si ferma. Nel giorno della morte di Richard Wagner Cosima interrompe defini­ tivamente la gigantesca impresa del suo diario. Ora non c’è più niente da riferire. Continua a leggere i libri che aveva letto e discusso con Wagner. Al cognato Chamberlain spiega con sem­ plicità: «Le assicuro che i libri che ho letto troverebbero posto su un solo scaffale, e da qualche anno le mie letture consistono in realtà soltanto nel rileggere». È perciò anche storicamente falso, e quindi ingiusto in senso morale, equiparare il sistema del festival di Bayreuth di Cosima Wagner all’ideologia fortemente reazio­ naria dei «Bayreuther Blàtter» e all’attività nazionalistica e anti­ semita di Wolzogen, Schemann, o anche di Chamberlain. Pliiddemann o Schemann non avevano torto quando sospettavano Co­ sima, educata in Francia e cresciuta tra ebrei, liberali e socialisti, di essere in segreto non tedesca e cosmopolita. Probabilmente la vedova di Richard Wagner considerava l’interesse per le teorie razziali del conte Gobineau e per le rapsodie nazional-tedesche scritte dall’orientalista Bòtticher sotto lo pseudonimo di Paul de

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Lagarde, nonché l’appoggio alle concezioni federalistiche di Con­ stantin Frantz un proprio dovere perché quelle idee avevano ali­ mentato la curiosità intellettuale di Wagner e il suo trauma anti­ semitico. In realtà Cosima già nel 1882 aveva lanciato l’idea di far tradurre in tedesco il libro del conte Gobineau sulla disuguaglian­ za delle razze umane e sul predominio degli ariani. Ludwig Schemann pubblicò poi nel 1898 la sua traduzione in tre volumi dello studio di Gobineau sulla disuguaglianza delle razze. Schemann fu anche, insieme con altri membri della «cerchia bayreuthiana», il promotore della fondazione di un’Associazione Gobineau da cui però Cosima già alla fine del secolo si andò sempre più staccando. Il che non era spiegabile solo con sentimenti di concorrenza nei confronti di un culto del conte francese. Cosima non poteva non capire come il germanesimo aggressivo, antisemita e nazionalisti­ co della cerchia di Bayreuth stesse in contrasto con la concezione fondamentale del festival, e quindi naturalmente anche con gli interessi finanziari del Festspielhaus e di Wahnfried. Comunque sotto il segno di Cosima Wagner Bayreuth come forma di vita spirituale fu minacciata in un doppio senso da contrasti interni. In primo luogo dal contrasto tra un’opera d’arte ancora nuova, viva e irritante e la sua divinizzazione progettata e infine attuata. In secondo luogo dal contrasto tra una vedova certamente ben addentro alle simpatie e antipatie del marito morto ma incapace di seguirle appieno per convinzioni e sentimenti personali, e vas­ salli e campioni della pura dottrina bayreuthiana, ben decisi a usa­ re le opere d’arte create da un ex rivoluzionario come arma ideo­ logica della regressione politica e culturale. Ciò provocò conflitti non solo fra gli ideologi di Bayreuth e i cantanti e i musicisti, ma anche fra gli stessi collaboratori del fe­ stival. Nel 1888 Julius Kniese, grazie all’appoggio di Heinrich Porges, assunse la direzione dei cori di Bayreuth, che diresse stabil­ mente fino al 1904. Con lui arrivò a Bayreuth un avversario anti­ semita del direttore del Parsifal, Herman Levi, animato dall’espli­ cito scopo di disgustare e allontanare, con l’aiuto della «cerchia

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di Bayreuth», l’odiato ebreo. Quanto l’ideologia della «cerchia di Bayreuth» possa contagiare tutti coloro che, anche in veste di stu­ diosi, vengono a contatto con quei documenti, lo dimostra il libro di Winfried Schiiler Der Bayreuther Kreis. Wagnerkult und Kulturreform im Geiste volkischer Weltanschauung (Miinster 1971), dove, per caratterizzare Julius Kniese, si scrive con tono disinvolto e con la massima indifferenza per la verità storica: «Inoltre Kniese era un uomo che per la sua spontanea natura di patriota tedesco, per la sua fede luterana e nazionale e per il suo rigoroso antisemitismo sapeva di essere molto gradito a Wahn­ fried». in. Fondazione di una dinastia. Nonostante tutti questi contrasti, la direzione del festival di Bayreuth da parte di Cosima Wagner ebbe pieno successo. El­ la ha istituzionalizzato, secondo i piani, l’eccezionale impresa di Wagner, sia pure a costo della divinizzazione e del ritualismo. Non solo con la decisione di giustificare dinanzi all’opinione pub­ blica l’esclusività bayreuthiana delle rappresentazioni del Parsi­ fal mantenendo fissa quest’opera nel cartellone di Bayreuth, ma anche respingendo la soluzione riduttiva che considerava compito di Bayreuth rappresentare, accanto al Parsifal, solo la tetralogia. Come signora di Bayreuth, Cosima ha potuto realizzare un segreto desiderio di Wagner, quasi impensabile per lo stesso artista negli ultimi anni della sua vita: l’ingresso nel Festspielhaus di tutte le sue opere, a partire dal Vascello fantasma. Cosima Wagner ha proceduto in modo estremamente intelligente e abile: dieci anni dopo il primo festival (nel 1886) ha osato allestire una prima rappresentazione a Bayreuth del Tristano e Isotta secondo il mo­ dello della prima assoluta di Monaco. Tre anni dopo (nel 1889) si aggiunsero al Tristano e al Parsifal, I maestri cantori di Norim­ berga; nel 1891 Cosima fece seguire una nuova esecuzione del Tannhauser, nell’allestimento di Felix Motti, con il regista Anton Fuchs e l’esperto scenografo Max Briickner. Il festival di Bay-

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reuth del 1892 mira innanzitutto a consolidare cautamente quan­ to si era già raggiunto; due anni dopo (nel 1894) si aggiunge il Lohengrin, presentato dalla stessa compagnia che aveva lavorato nel Tannhauser. Solo venti anni dopo il primo festival la vedova di Richard Wagner e signora di Bayreuth intraprende un nuovo allestimen­ to dell’Anello del Nibelungo. L’impresa di mettere in scena tutte e quattro le opere della tetralogia è cosi difficile e dispendiosa da impedire nel festival di quell’anno la rappresentazione di qual­ siasi altra opera, compreso il Parsifal. È nuovamente sul podio Hans Richter, come nel festival del 1876. Questa volta hanno luo­ go cinque repliche della tetralogia. Accanto a Hans Richter com­ pare di nuovo come direttore Felix Motti. Per la prima volta accanto a Richter e a Motti compare un ter­ zo musicista, notevolmente piu giovane e molto meno esperto: Siegfried Wagner. Un giovane di ventisette anni, il figlio, alza ora la bacchetta là dove il padre aveva diretto l’atto conclusivo del­ l’ultima rappresentazione del Parsifal del 1882. Cosima aveva raggiunto tutti i suoi propositi: istituzionalizza­ re il festival a servizio dell’opera completa di Richard Wagner, e inoltre fondare una dinastia. Cosima era molto sensibile. Alla prima rappresentazione del Lohengrin, come lei stessa ha confessato, le vennero le lacrime agli occhi. Nei diari si parla spesso di una comune commozione, perché anche Wagner amava a volte piangere di gioia. Cosima era anche molto dura. La vita l’aveva trattata con du­ rezza. Non soltanto ha fondato una dinastia, ma ha anche saputo tramandare ai posteri, analogamente a Richard Wagner, anche se in modo diverso, un’immagine monumentale di se stessa. Una donna che per anni era stata oltraggiata davanti a tutti come ille­ gittima e illegale ha saputo stilizzarsi a degna personificazione del­ la protagonista femminile di una nobile coppia. Anche gli agget­ tivi usati a partire dalla fine del xix secolo per parlare della signo­ ra di Bayreuth presentano un’analoga stilizzazione. Elevatezza, dignità, nobiltà. Il suo più importante consulente in tutte le que­ stioni amministrative, il futuro consigliere segreto Adolf von

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Gross, si serviva a volte dell’allocuzione epistolare «Mia nobile signora». Insomma tutte le contraddizioni erano state sacrificate a una severa volontà di stile. La francese Cosima Liszt rappresentava un ideale culturale nazionaltedesco. La violatrice della legalità aveva scambi epistolari con principi sui problemi della tradizio­ ne. Che Cosima Liszt possedesse non solo senso pratico e saggez­ za di vita ma anche senso dell’umorismo si è saputo solo molto tempo dopo. La nuora ci ha fatto intuire l’immagine di una vec­ chia signora che a volte di sera si coricava allegra, con un bel bic­ chiere di birra. Il pappagallo conosceva il familiare rumore della bottiglia di birra che si apriva e sapeva imitarlo. È probabile che la figlia di Liszt, educata a Parigi, abbia conosciuto l’uso di pasteg­ giare solo con vino francese. Ma Richard Wagner, nativo di Li­ psia, era un bevitore di birra. A Wahnfried il « Weihenstephan» era un nome familiare. Dopo la morte di Wagner, Cosima ha reso produttive le con­ traddizioni tra la sua natura e lo svolgersi della sua vita. Nei primi giorni, quando si dovette organizzare il trasporto della bara in Germania e Cosima si ritrovò sola a Wahnfried, si sentirono da lei solo queste parole: «Lasciate a me la tomba e il lutto, vo­ gliano gli amici assumersi il compito di diffonderne la fama. Mio marito stesso pensava così e a me sta bene...» Ma già il 23 feb­ braio 1883 Gross può informare Monaco che Cosima era ferma­ mente decisa a far sì che avessero luogo le programmate rap­ presentazioni del Parsifal. Un mese dopo è regolarizzata anche la situazione ereditaria. Dei figli solo Siegfried veniva riconosciuto coerede insieme alla madre. D’ora in poi Cosima e Siegfried di­ ventavano gli eredi in parti uguali del Festspielhaus, di Wahn­ fried, di tutte le opere e i documenti e dei diritti d’autore. Cosima aveva assunto la direzione, al piu tardi, dall’estate del 1883, durante i preparativi per il festival di quell’anno. Le diffi­ coltà erano immense. Naturalmente pesava ancora il deficit del 1876. Nel marzo del 1883 Luigi II medita di sospendere o di ri­ durre notevolmente il «sussidio» per Richard Wagner. Egli non aveva mai perdonato a Cosima i fatti di Monaco. Due anni piu

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tardi (nel 1885) devono essere definiti i contrasti con l’impresario teatrale Angelo Neumann, cui Richard Wagner aveva ceduto i di­ ritti delle rappresentazioni dell’Anello. Mossa felice, perché solo grazie alle tournées di Neumann venne conosciuta anche fuori di Bayreuth quell’opera gigantesca, che si dimostrò perfettamente eseguibile anche al di fuori del Festspielhaus. Ma Neumann era bravo negli affari e aveva concorrenti. Nel 1884 nascono progetti per la creazione di una «fondazione Richard Wagner » che mirano segretamente a spodestare la signora di Bayreuth. Cosima deve difendersi dalle associazioni Richard Wagner, che diffidano aper­ tamente di lei, la francese. Nel gennaio 1885 ella scrive molto freddamente a Glasenapp: «Non c’è alcun bisogno di una nuova fondazione; la cassa per le borse di studio rappresenta la già esi­ stente fondazione Richard Wagner, a cui ha dato vita lo stesso maestro...» Nella medesima lettera ella sviluppa poi il suo pro­ gramma per la creazione di una dinastia: «Quando, grazie all’at­ tività dell’associazione generale Richard Wagner, le rappresen­ tazioni saranno diventate del tutto gratuite (come lo fu una l’anno scorso per una sovvenzione), quando anche solo una parte della gioventù tedesca sarà conquistata e istruita e quando, grazie a re­ golari rappresentazioni, i cantanti si saranno impadroniti dello stile della nuova opera d’arte, allora sarà venuto il momento del solenne sodalizio. Poi - così voglia Iddio - spetterà al figlio del maestro fare e ricevere proposte...» Fin dall’inizio c’è l’intenzione di esautorare le figlie: tanto quelle di Hans von Biilow quanto le due (Isolde e Èva) di Wag­ ner. Per Cosima vale, come per le dinastie classiche, la legge salica della successione maschile. Le «ultime volontà» di Cosima del 13 agosto 1913 stabiliscono: « 1. Della mia eredità fa parte: a) La metà di casa Wahnfried con gli edifici annessi e il terreno circostante, incluso ciò che vi si trova: opere d’arte, manoscritti, biblioteca, tutti gli oggetti di ar­ redamento e in genere tutti gli oggetti mobili. b} La metà del teatro del festival con gli edifici annessi, la

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metà del completo arredamento di questi edifici, dun­ que dell’intero inventario, e la metà del fondo di eserci­ zio del festival per l’anno in corso. c) La metà del capitale e del denaro liquido, incluso il patrimonio da me portato in dote, nonché la metà dei diritti letterari sulle rappresentazioni. 2. Nomino mio figlio Siegfried mio unico erede. Le sue sorel­ le non avranno parte alcuna ai punti la e ib. Del mio re­ stante patrimonio (re) Siegfried deve dare a ciascuna del­ le sorelle un quinto in titoli esistenti e in somme in con­ tanti [...]. 4. Come mio esecutore testamentario nomino qui il consi­ gliere segreto Adolf von Gross e, in caso di suo decesso, il direttore Ernst Beutter... » Cinque anni dopo (2 settembre 1918) la più che ottantenne Cosima dispone in un codicillo al suo testamento: «Sebbene dun­ que della mia eredità faccia parte soltanto la metà del capitale, del denaro liquido e dei diritti d’autore indicati al punto ic del mio te­ stamento del 13 agosto 1913, mio unico erede deve essere mio figlio Siegfried e la concessione di un quinto dell’eredità a ognuna delle sue sorelle vale [...] solo come legato». Questa esclusione delle figlie doveva ripetersi, a danno di Da­ niela Thode e Eva Chamberlain, allora ancora viventi, dopo il 1930, quando Winifred Wagner, in seguito alla morte improvvi­ sa di Siegfried, assunse e proseguì anche da parte sua l’atteggia­ mento di Cosima, governando personalmente in qualità di direttore del festival per nomina testamentaria. Anche gli attacchi ai quali la nuora di Richard e Cosima Wagner fu allora esposta sulle questioni di competenza ricordano le vecchie discussioni su Co­ sima del 18 8 3. Per esempio quel Julius Kniese il cui violento anti­ semitismo era noto a Bayreuth e che considerava suo compito principale eliminare Hermann Levi scrisse già il 22 aprile 1883, prima ancora dell’inizio del primo festival dopo la morte di Wag­ ner: «... I festival—lasciatemelo dire francamente - sono riusciti finché è vissuto il maestro e finché egli in persona ne è stato la for-

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za motrice. Forse quest’anno la cosa andrà ancora, ma dopo non piu. Questo è anche il parere del consiglio di amministrazione. E poi i festival debbono forse diventare una filiale dell’opera di Monaco? » Il riferimento all’opera di Monaco era naturalmente una frecciata sprezzante nei confronti dell’ebreo Levi. Kniese e gli altri avversari ideologici e «aspiranti eredi» di Bayreuth ave­ vano torto. Cosima Wagner ha fatto di Bayreuth la città di Ri­ chard Wagner. L’effimero evento culturale è diventato istituzio­ ne. Cento anni dopo le prime del 1876 il direttore del festival di Bayreuth, nipote di Richard e Cosima, esercita la professio­ ne di organizzatore del festival. Esistono precisi documenti sulla forza di attrazione dei festi­ val diretti da Cosima. Da allora in poi le rappresentazioni sono ge­ neralmente in attivo. Solo il nuovo allestimento della tetralogia del 1896 portò a una perdita di centocinquemila marchi. Il patri­ monio in contanti della famiglia Wagner assommava nel 1901, secondo le indicazioni dell’amministratore Gross, a circa due mi­ lioni duecentocinquantamila marchi. Una grave perdita e un con­ traccolpo finanziario si ebbero nel 1914, quando l’inizio della guerra, nel r° agosto di quell’anno, portò all’interruzione del fe­ stival. Bisognò restituire il denaro dei biglietti venduti per una ci­ fra complessiva di trecentosessantamila marchi. Ne risultò di nuo­ vo una perdita, questa volta dell’entità di centocinquantamila marchi. Inoltre dal 1913 non spettavano piu percentuali sulle rappresentazioni delle opere wagneriane. L’aspetto finanziario dei festival sotto la direzione di Cosima viene descritto con molta obiettività in una lettera di Adolf von Gross a Hans von Wolzogen del 5 dicembre 1895: «Le prime due rappresentazioni del Parsifal del 1882 registrarono il tutto esaurito; ma ciò si riferisce solo allo spazio anfiteatrale; la galle­ ria dei principi e quella superiore non furono occupate. Teatro completamente esaurito e galleria in parte occupata si ebbero per la prima volta nell’agosto 1886, in occasione di una rappresenta­ zione del Parsifal. A partire dal 1888, quasi tutte le esecuzioni del Parsifal registrarono il tutto esaurito e si vendettero sempre trenta-quaranta posti in galleria.

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Teatro esaurito come nel 1882 per la prima rappresentazione del Parsifal ebbero anche tutte le prime delle altre opere wagne­ riane; e mentre nell’86, anno del 'Tristano, alcune recite dell’ope­ ra contarono appena duecento spettatori paganti, tale situazione andò sempre migliorando e 1 maestri cantori ebbero di norma una migliore affluenza di pubblico; nel 1889m tutte le rappresen­ tazioni del Parsifal si ebbe il tutto esaurito, nei Maestri cantori e nel Tristano il quasi esaurito. Nel ’94 due rappresentazioni del Lohengrin e una del Tannhàuser non riempirono completamen­ te il teatro [...] per il Lohengrin l’affluenza fu addirittura mode­ sta, ma le altre rappresentazioni registrarono il tutto esaurito. La conclusione è che finora soltanto per il Parsifal i posti sono stati a piu riprese insufficienti; le altre opere hanno registrato in definitiva un’ottima affluenza di pubblico, ma finora si è sem­ pre potuto trovare un posto per gli ultimi arrivati. Non mi dilun­ gherei oltre sulla cosa e non aggiungerei altro. Se nel prossimo anno l’affluenza risulta così soddisfacente come posso aspettarmi in base alle attuali prenotazioni, si è ottenuta la vittoria defini­ tiva». La speranza espressa nella frase finale sull’affluenza di pubbli­ co per l’anno seguente (1896), come è noto, non si realizzò. Ap­ punto allora si ebbe, come venti anni prima in occasione della prima rappresentazione dell’Anello del Nibelungo, un nuovo deficit. Il principio artistico di Cosima Wagner nella direzione del festival corrispose al ruolo di Kundry che lei stessa si era scel­ to: «Servire, servire». La fondazione della dinastia, intesa come prassi esecutiva, significa perciò fedeltà assoluta: vera e propria conservazione. Così la servizievole signora di Bayreuth non può prendere sul serio il rimprovero di avere, per così dire, mummi­ ficato l’audace impresa sperimentale di Richard Wagner. Essa ha in parte ragione, perché la polemica intorno a Wagner e alla sua arte continuava a restare violenta. Conservare ciò che si era raggiunto nel 1876 e nel 1882, e in seguito includere le altre ope­ re di Wagner, significava lottare per una stabilizzazione dell’arte wagneriana. Cosima intende la cosa soprattutto come stabiliz­ zazione della fama di Richard Wagner; ma assicurarne la fama

Fondazione di una dinastia

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tra i posteri significa al tempo stesso imporne i principi estetici. La signora di Bayreuth può appoggiarsi ancora per un certo tempo sugli artisti che avevano lavorato con Wagner, ma la sua opera consiste anche qui nel fondare una specifica tradizione esecutiva, intesa come esemplare. Direttori come Richter e Levi, e piu tardi Felix Motti e Karl Muck, sanno bene per ricordo personale o per insegnamento come Wagner voleva che la sua opera venisse in­ terpretata. Tutte le testimonianze concordano nell’affermare che anche Cosima, proprio come il maestro di Bayreuth, ha costantemente richiesto la comprensibilità delle parole, dunque l’arte del solfeggio rapido. La tragedia non doveva solo essere vissuta in una sorta di ebbrezza, ma anche esattamente compresa nelle pa­ role e nel significato. Le primissime registrazioni discografiche mostrano in effetti la stupefacente chiarezza della dizione in un tenore drammatico bayreuthiano famoso come Ernst Kraus. Quando Cosima Wagner, dopo il grave attacco cardiaco del 9 settembre 1906, deve ritirarsi dalla direzione del festival, la di­ nastia è fondata. Il 22 giugno 1908, con un nuovo allestimento del Lohengrin, Siegfried Wagner inaugura come direttore del festival la nuova era. Il giorno di Santo Stefano di quello stesso anno Èva Wagner sposa a Wahnfried Houston Stewart Cham­ berlain. Tre anni dopo (nel 1911) Hans Richter si stabilisce defi­ nitivamente a Bayreuth. Anche ciò che era iniziato un giorno a Tribschen, quando Richter aveva trascritto la partitura appena terminata dei Maestri cantori di Norimberga, ed era proseguito con il primo festival del 1876 sotto la direzione dello stesso Rich­ ter, è stato canonizzato e istituzionalizzato. Ma niente ormai ri­ cordava il concetto wagneriano della «festa democratica» con cui tutto aveva avuto inizio.

Il figlio Siegfried Wagner

i. All’ombra della vecchia signora.

Siegfried Wagner mori, come suo nonno Franz Liszt, durante il festival di Bayreuth. Fra i numerosi smacchi nella vita di un uomo apparentemente tanto fortunato e brillante c’è anche il fatto di non poter prendere parte al successo del Tannhàuser nel nuovo allestimento da lui curato e diretto da Arturo Toscanini. Il 16 luglio 1930, durante le prove del Crepuscolo degli dei, il sessantunenne Siegfried Wagner venne colpito da un grave attac­ co cardiaco. La prima del Tannhàuser del 22 dello stesso mese ebbe luogo senza il regista e direttore del festival. Siegfried mori il 4 agosto e fu seppellito il 6 nel cimitero di Bayreuth, mentre il festival proseguiva come già un tempo nel 1886 per la morte di Liszt. Era sopravvissuto soltanto pochi mesi a sua madre Cosima, morta il x° aprile del 1930 a novantadue anni e ormai da molto tempo estranea a qualsiasi realtà che la circondasse. Siegfried la segui nella tomba: ella rimase fino all’ultimo la figura dominante della sua vita e della sua opera.. Quel Tannhàuser doveva rappre­ sentare un atto di liberazione e di indipendenza. E l’esclamazione da lui tante volte ripetuta: «Gente, vedrete quando vi metterò in scena il T'annhàuser! » significava ben più di un nuovo allestimen­ to. Ciò a cui si tendeva, e che fu realizzato con l’aiuto del mae­ stro italiano, rappresentava una svolta: la rottura con una tra­ dizione esecutiva rigida e statica, nel senso dell’adesione alle moderne concezioni del teatro lirico, già altrove tentate e com­ pletamente ignorate dal signore di Bayreuth nei festival del 1927 e del 1928, tanto nell’allestimento del Tristano quanto nella scel­ ta dei direttori.

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Il figlio

Quella volta si mirava davvero a un rinnovamento di Bay­ reuth; anche il progetto di assicurare a Bayreuth Toscanini e Furtwangler, due musicisti sostanzialmente diversi eppure allo stesso modo «difficili», risaliva a Siegfried Wagner. La sua ve­ dova Winifred, che era stata nominata nel testamento erede e di­ rettrice di Bayreuth, agi di conseguenza nel corso del festival del 1931 e durante la preparazione degli allestimenti del 1933, an­ no in cui la «storia mondiale» venne infelicemente a interferire col festival. Bayreuth, alla morte del figlio, era in procinto di diventare il palcoscenico di una drammaturgia e di uno stile musicale moderno, non piu soltanto di uno spirito reverenziale e mummificato. Morendo improvvisamente, il figlio di Richard e Cosima lascia il suo nome legato da un punto di vista retrospet­ tivo, al rigido tradizionalismo e all’ingaggio di direttori mediocri, scelti per la loro devozione e la loro carica di risentimento con­ tro i nuovi tempi e la nuova arte, bollata in blocco, con le parole di Siegfried Wagner, come «bolscevismo culturale». Per il figlio ed erede di Richard Wagner rientravano in questo ambito tanto la Salomè e II cavaliere della rosa quanto la cerchia di Otto Klem­ perer alla Krolloper di Berlino. Cosima Wagner rifiutò fermamente di chiamare sul podio del festival il direttore dell’opera di Vienna Gustav Mahler. Sieg­ fried per la ripresa degli spettacoli del 1924 poteva scegliere tra direttori d’orchestra come Bruno Walter e Erich Kleiber, Otto Klemperer e Leo Blech: si trattava però di ebrei. Questo ostacolo cadeva con Fritz Busch, direttore dell’opera di Dresda, al quale si affidò la nuova edizione dei Maestri cantori del 1924. Tuttavia Busch, come ha raccontato nei suoi ricordi, diresse solo a fatica e in lotta con se stesso le cinque rappresentazioni dell’opera, anche se esse riuscirono musicalmente splendide. Ma lo «spirito di Bay­ reuth», rappresentato da Karl Muck e dagli altri «fedelissimi», lo indusse ad annullare gli obblighi presi per il 1925 e a non ritornare mai più nella città wagneriana. Era dunque fallito il primo tentativo di Siegfried Wagner di chiamare al Festspielhaus un importante musicista della nuova generazione e del nuovo

All’ombra della vecchia signora

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stile. Muck subentrò di nuovo a Busch, e per il nuovo Tristano del 1927 si ricorse al direttore d’orchestra Karl Elmendorff. Fino alla sua morte prematura Siegfried Wagner ha vissuto diviso tra ciò che con ogni probabilità ha «veramente» desidera­ to e ciò che disapprovava, ma a cui non osava opporsi esplicita­ mente. I numerosi elementi di stilizzazione subiti, ma anche adot­ tati, dal figlio di Richard e Cosima rendono difficile capire quale sia stata la sua vera personalità. Un intervistatore del «Neuer Wiener Journal» riceve nel 1911 la seguente impressione: «Ha un tono aristocratico anche la riservatezza di Siegfried Wagner, la sua grande cura di tutti i particolari esteriori. È ricercato nel vestire, misurato nel parlare, e non si tradisce mai». Era cresciuto all’ombra di donne più grandi di lui, che si av­ viavano alla vecchiaia. La potentissima madre; la sorellastra Da­ niela von Biilow, di nove anni maggiore, infelicemente sposata allo storico d’arte Henry Thode; Blandine von Biilow, nata nel 1863, in seguito contessa Gravina e madre di tre bambini, il maggiore dei quali, Manfred diventerà il parente prediletto. Isol­ de von Biilow, nata a Monaco il io aprile 1865, è in realtà già una figlia di Richard e Cosima. A lei Siegfried, di quattro anni minore, si è sentito legato in modo particolarmente stretto, fino alla rottura del 1906 determinata dalla rivalità tra Siegfried e il cognato Franz Beidler, brillante direttore di Bayreuth, che ha per di più un figlio e può perciò minacciare la «successione». In­ fine Èva Wagner, nata a Tribschen il 17 febbraio 1867, quasi due anni prima di Siegfried. Ella diventa, soprattutto dopo il matrimonio con H. St. Chamberlain, la rappresentante di una Bayreuth statica, vincolata una volta per tutte alle vecchie diret­ tive del «maestro». E se già Siegfried aveva dovuto, negli ultimi anni della sua vita, conoscere la latente opposizione di Èva e dei suoi sostenitori della «cerchia» di Bayreuth, per la supposta in­ tenzione di trasformare la solenne ricorrenza in una moderna or­ ganizzazione festivaliera, la vedova Winifred si scontrò subito con le Norme della vecchia Bayreuth, che non erano certo «libe­ rali», ma anzi sclerotiche e incapaci di sopportare senza orrore il pensiero di assistere a una rappresentazione del Parsifal priva

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Il figlio

di quegli scenari del 1862 su cui «gli occhi del maestro avevano indugiato...» Quante sofferenze siano venute a Siegfried Wagner da questo mondo femminile, è possibile dedurlo solo indirettamente, ma con tanta maggiore chiarezza, dai sogni della sua attività di li­ brettista e musicista. Il compositore che scrive una ballata per baritono e orchestra su una «frittella grossa e unta», che, spaven­ tata alla vista di alcune vecchie, salta fuori dalla padella e se la svigna, deve ben aver avuto coscienza di ciò che qui faceva tra­ pelare di sé, pur non avendo l’abitudine di «tradirsi». Il suo biografo Zdenko von Kraft racconta di progetti e schiz­ zi operistici giovanili, fra cui l’abbozzo Guardatevi dalla perfidia femminile. Si tratta naturalmente di una citazione alquanto mo­ dificata dal Flauto magico, che però ben si attaglia all’immagine di un giovane cresciuto senza padre in un ambiente matriarcale. La giovinezza di Siegfried è sotto il segno delle amicizie e non dell’amore per le donne. Non è un caso — fatto che anche Wini­ fred Wagner ha trovato rilevante nei lavori artistici del marito — che Hans Kraft, l’uomo-orso, il giovane soldato della prima opera di Siegfried, — un giovane Siegfried fiabesco e alquanto popola­ reggiante — la spunti alla fine sul diavolo, benché solo con l’aiuto delle «forze superiori» (e non, come in Wagner, spezzando la lancia che simboleggia le gerarchie sociali), mentre i protagoni­ sti maschili delle opere seguenti di Siegfried acquistano sempre piu marcatamente il carattere di eroi passivi: sofferenti, martiri e vittime. Con l’amico inglese Clement Harris, che conosce durante il tentativo giovanile di studiare architettura a Karlsruhe, egli parte nel gennaio 1892 per un lungo viaggio in Estremo Oriente. Al ritorno, la società londinese accoglie il figlio di Richard Wagner. Il 30 gennaio egli riferisce scrivendo a Bayreuth: «Oscar Wilde, che è qui una celebrità, è un arguto conversatore, amante dei paradossi... alquanto poseur, ma molto informato... Ha invitato martedì a casa sua Clement e me... » In seguito Siegfried Wagner non trova parole di disgusto sufficienti per la pièce di Wilde Salome e per l’opera di Richard Strauss. Nel corso degli anni —

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che diventarono sempre piu anni di sconfitta del «figlio» — deve essersi verificata, dietro quell’aspetto esteriore cosi misurato e stilizzato perfino nelle lettere entusiaste e quasi sempre banali scritte alla famiglia, un’incessante autoeducazione alla normalità. Tra l’altro Siegfried Wagner era originariamente mancino, e di­ rigeva come tale, finché non si rieducò. Quando, nel maggio 1913, il mondo festeggia il centenario della nascita di Richard Wagner e «il capoluogo distrettuale di Bayreuth» — come si dice nel documento — concede la cittadinan­ za onoraria «al figlio del maestro di Bayreuth [...] che con inge­ gno e vigore amministra l’eredità del suo illustre padre», e quan­ do il Walhalla presso Regensburg, alla presenza del principe reggente, che aveva fatto interdire re Luigi, riceve dallo stato bavarese un busto in marmo di Wagner, può sembrare che il figlio sia riuscito a imporre l’idea del festival, almeno nel senso in cui si era manifestata dopo il 1876. In realtà tutti coloro che conob­ bero Siegfried in quel periodo descrivono il suo stato di profon­ da amarezza e solitudine. Esistono motivi contingenti: il parla­ mento del Reich non era disposto a modificare a favore di Bay­ reuth la disciplina dei diritti del Parsifal. Il dramma sacro è or­ mai un’opera come le altre e può essere rappresentata in tutti i teatri. Suscitano l’impressione di un grottesco epilogo gli sforzi di Wahnfried nel pieno della seconda guerra mondiale per giun­ gere con l’aiuto del Fiihrer e cancelliere del Reich a una nuova regolamentazione del periodo di proprietà riservata. Col mini­ stro della propaganda si discute se prolungarlo da cinquanta a settant’anni. Siegfried Wagner come musicista non può vantare più dello scontato successo di stima per chi porta un nome famoso. Le sue opere vengono rappresentate ad Amburgo e Karlsruhe, dove la guardia dei direttori di Bayreuth assicura anche al figlio la sua collaborazione nelle persone di Muck e Motti. L’Opera di corte prussiana a Berlino ignora il musicista della seconda generazione; fa altrettanto l’Opera di corte bavarese diretta da Ernst von Possart, il nemico giurato di Cosima. Alla prospettiva di ascoltare a Monaco per il centenario di Wagner un discorso di quel Pos-

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Il figlio

sart, Cosima reagisce per lettera con una citazione da Schopen­ hauer: «La vita è una tragedia che ha l’aspetto di commedia». La stesura e la composizione della «favola della frittella gros­ sa e unta» cadono nell’autunno del 1913, l’anno precedente lo scoppio della guerra. La stanca allegria nasconde solo superficial­ mente il fastidio e il disgusto per la vita. Nell’anno del centena­ rio, Siegfried Wagner è un uomo di quarantaquattro anni. Non è sposato e vede avvicinarsi la fine della dinastia perché Eva Cham­ berlain rimarrà senza figli. Isolde Beidler ha perduto in tribunale il «processo» contro la madre in cui chiedeva il riconoscimento della sua discendenza non da Biilow, ma da Wagner; che però ella in senso stretto appartenga alla famiglia Wagner risulta evi­ dente proprio dalla lotta implacabile e del tutto sleale condotta contro di lei dai Chamberlain. Il figlio di Isolde Beidler, Franz Wilhelm, nipote di Richard e Cosima era nato nel 1901: allo scoppio della guerra del 1914 aveva dodici anni. La guerra del 1914 significò per il festival e quindi per i Wag­ ner una catastrofe finanziaria. Il festival si interrompe il i° agosto con la rappresentazione del Parsifal. Il denaro dei biglietti già prenotati deve essere rimborsato. Siegfried, fedele alla tradizione di Richard Wagner del 1870, compone anch’egli musica patriot­ tica: un Giuramento alla bandiera su parole di Ernst Moritz Arndt, eseguito in autunno alla Filarmonica di Berlino. Nell’estate del 1915 una lettera della sorella Eva Chamberlain raggiunge Siegfried che si appresta ad andare per qualche tempo dai suoi amici a Berlino. La lettera può essere quasi consi­ derata un manifesto. «Considerazioni per il viaggio da parte di tua sorella presto cinquantenne». È una lettera dinastica e tratta della successione al trono. La scrittrice è abile e domina l’odiata arte della psicologia «intellettualistica». Conosce il fratello più giovane e sa che i suoi pensieri, come i suoi libretti rivelano continuamente, non riescono a liberarsi da opposizioni etiche radicali: qui il cavaliere Lohengrin nello splendore delle armi lucenti, lì l’abietta e malvagia Ortrude. Èva lo chiama Lohengrin e il lato perfido e tenebroso (come potrebbe essere altrimenti?) è rappresentato da Isolde Beidler. Da qui l’ammonimento: «Fa’

L’arte e la reazione

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che le inquietanti parole di trionfo di Loldi [Isolde]: "Fidi [Sieg­ fried] non si sposerà di certo! ” non divengano realtà. Tu cosi rendi un servizio troppo grande ai malvagi, a quelli che definiamo "diavoli non tedeschi”». Nel luglio del 1914 era giunto a Bayreuth per le prove genera­ li il pianista Karl Klindworth di Hannover, allievo di Liszt e direttore del conservatorio Klindworth-Scharwenka di Berlino, insieme alla figlia adottiva diciassettenne: Winifred Williams, una giovane inglese rimasta prematuramente orfana. Nel giugno 1915 Siegfried Wagner fa visita a Berlino anche ai Klindworth. Il 6 giugno si fidanza con Winifred; il 22 settembre hanno luogo le nozze a Wahnfried. Fra moglie e marito corrono ventotto anni di differenza. Richard Wagner ne aveva ventiquattro più di Co­ sima, ma la giovane donna, quando si legò a Monaco con Wag­ ner, aveva dieci anni più della giovanissima Winifred. Cosima von Biilow aveva due figli. Winifred fu per Siegfried Wagner e gli altri bayreuthiani la «bambinetta». Sembra che ella lo abbia indotto a staccarsi dall’ombra delle vecchie signore e a rappresentare da allora in poi — anche nel sen­ so genealogico del diritto alla successione — la dinastia. Il 5 gennaio 1917 venne alla luce il primogenito Wieland. Una fotografia mostra Cosima con il nipote. Ella sembra assente, come lo è per lo più dall’epoca dei gravi attacchi cardiaci che l’avevano costretta nel 1906 ad affidare a suo figlio la direzione del festival. Quattro figli, nati tra il 1917 e il 1920, possono cosi conti­ nuare la dinastia: due maschi, Wieland e Wolfgang, e due fem­ mine, Friedelind, il cui nome ricorda il desiderio di pace del 1918, e Verena. Isolde Beidler era morta il 7 febbraio 1919 a Monaco.

11. L’arte e la reazione.

Nella biografia di Siegfried Wagner di Zdenko von Kraft del 1969, scritta in modo cosi «fazioso» da rimproverare ancora a Malwida von Meysenbug di essere stata priva di «istinto razzia­

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Il figlio

le», al contrario del convinto antisemita Siegfried Wagner, viene citata e sottolineata in senso elogiativo una caratterizzazione di Ferdinand Pfohl: «Nella personalità artistica di Siegfried Wag­ ner affascina il modo in cui egli è, nel fondo della sua natura, splendidamente non moderno». L’espressione «non moderno» è vigorosamente sottolineata. Non si può dire meglio: con tale definizione viene formulato in modo molto preciso ciò che differenzia Siegfried Wagner da suo padre. Naturalmente il figlio fin dagli inizi della sua attività di compositore è un wagneriano. La redenzione dell’uomo-orso, vittima del diavolo, per opera dell’incrollabile fedeltà della figlia del borgomastro Luise, riecheggia esplicitamente la situazione del Vascello fantasma, e, partendo da lì, vuole con ogni probabilità tendere a una nuova dimensione: a un epilogo felice, con finali nozze d’obbligo, della tragedia tra Senta e l’Olandese. Natu­ ralmente neppure nel piu frettoloso componimento d’occasio­ ne Richard Wagner avrebbe tollerato, in un punto culminante del libretto, versi come quelli pronunciati dall’uomo-orso Hans Kraft: Leichter Situi lockt Teufelslist! Ihr erliegen menschlich ist *.

Ma non fu il wagnerismo a essere pericoloso per la creatività dell’artista Siegfried Wagner. Egli lo condivideva con il giovane Richard Strauss dell’opera Guntram e con il Pfitzner della Ro­ sa del giardino d’amore. L’uomo-orso, sua opera prima, sembrò perfino, a giudizio dei contemporanei, un produttivo prosegui­ mento del genere favolistico, insomma una continuazione sia de­ gli elementi favolistici del Sigfrido, sia delle opere fiabesche del maestro di composizione di Siegfried, Engelbert Humperdinck. E non fu nemmeno il paragone tra il genio e suo figlio, per molti aspetti dotato di qualità notevoli. Negli anni a cavallo tra i due secoli, quando Siegfried Wagner tentò il successo sui palco­ scenici lirici, numerosi talenti piccoli e medi si logoravano intor1 Una mente sventata attira la malizia del diavolo! | Soggiacerle è umano.

L’arte e la reazione

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no all’ideale artistico irraggiungibile, perché divenuto a poco a poco inattuale, di un dramma in musica fatto di storia e mito, mondo fiabesco e filosofia pessimistica. Lo Jugendstil veniva in­ contro a questo desiderio, ed era in parte spiegabile anche per questo. Nomi come Felix Dràseke sono oggi dimenticati: allora erano ritenuti i prosecutori dell’opera bayreuthiana. Siegfried Wagner possedeva, come tutti loro, buon mestiere, trovate me­ lodiche, senso timbrico e attraente orchestrazione. Nulla di sor­ prendente, ma nulla che dovesse essere rifiutato a priori come mera presunzione. Il figlio ed erede era il sintomo di un’attività artistica che si logorava intorno a Wagner - fatto di cui egli stes­ so non si è mai reso conto. La letteratura scoprì e fece suo il tema del musicista postwagneriano: esso è trattato come tragedia d’ar­ tista nel romanzo Enzio (1911) del giovane Friedrich Huch, am­ mirato e aiutato da Thomas Mann, e con toni taglienti della sati­ ra nel Cantante da camera (1899) di Frank Wedekind. La differenza tra Richard e Siegfried Wagner, al di là di tutte le dimensioni del genio, consiste in questo: tutte le azioni, i ma­ nifesti, le idee di Richard Wagner, dal rifiuto successivo al Rien­ zi della tecnica artistica del «Grand Opera» fino all’inaugura­ zione del festival di Bayreuth, stanno sotto il segno della necessi­ tà. Ognuna delle opere rientra in una particolare combinazione di storia contemporanea ed evoluzione artistica. Retrospettiva­ mente si comprende perché il progetto dei Maestri cantori del 1845 dovesse cedere il passo al Lohengrin e perché un dramma come la Morte di Sigfrido dovesse evolversi nella tetralogia. An­ che gli abbozzi arrivati a buon punto e alla fine abbandonati di Gesù di Nazareth o di Wieland il fabbro e infine dei Vincitori do­ vevano avere fin dall’inizio il valore di un messaggio e di un an­ nuncio universale. Ciò venne compreso rapidamente in tutto il mondo. Le conseguenze furono: sostenitori entusiasti e odio feroce. Tanto più che Richard Wagner, al di fuori di ogni tradi­ zione, aveva l’abitudine di escogitare di volta in volta gli speci­ fici mezzi espressivi. Per esempio le allitterazioni dell "Anello, ideate in modo audace ma coerente, e tanto volentieri derise e parodiate. Wagner osò qui uno «straniamento» del tutto mo­



Il figlio

derno. Miticizzando nella tetralogia il mondo borghese del xix secolo, si creò la necessità di abolire anche la lingua di quel se­ colo, sostituendola con un linguaggio nuovo, apparentemente «mitico». Il lavoro creativo di Siegfried Wagner sta invece sotto il segno della non necessità. A dimostrarlo non è solo la sua drammatur­ gia per lo piu confusa, che chiaramente non rivela una particolare disposizione né a caratterizzare i personaggi principali, né a rag­ giungere un qualsiasi messaggio. Nell'apoteosi finale dell’opera Il regno dei cigni neri del 1918 diventa assai evidente un prin­ cipio fondamentale di questa drammaturgia a effetto, che opera con mezzi puramente teatrali ed è priva di un suo personale mes­ saggio. Hulda è sul rogo come strega, Liebhold si precipita a salvarla, le fiamme avvolgono i due. Segue quindi la didascalia scenica: «Il rogo è completamente consumato. Si vedono le figu­ re di Liebhold c Hukla, illesi dal fuoco, giacere morti, abbraccia­ ti. I tronchi di legno si trasformano in gigli c circondano i due amanti. Il palo a cui era legata Hulda si tramuta in croce. Tra­ monto. Il popolo s’inginocchia». Ancora una volta il figlio non è riuscito a liberarsi dall’apoteo­ si del Vascello fantasma. Qui però agisce una teatralità vuota, che non vuole dire nulla c che anche musicalmente si limita a illustrare le situazioni, ma non rappresenta, come nell’/lw//o del Nìbelungo, un elemento epico contrapposto allo svolgimento drammatico. E l’idea che si tratta di una creazione nata durante la guerra mondiale contribuisce ad accrescere la confusione. Siegfried Wagner non ha mai voluto ammettere che al di là di tutte le possibili e probabili opposizioni (per esempio di Possart a Monaco o anche di Richard Strauss a Berlino) gli insuccessi, che, per la benevola accoglienza di un pubblico conservatore e avverso a ogni «novità» e di una critica ad esso conforme, si presentavano come successi di provincia, risultassero dalla tea­ trale piacevolezza di quelle opere. L’arte un tempo culturalmente rivoluzionaria di Richard Wagner si era sclerotizzata e ridotta a un paio di formule imitabili. «Richard Wagner a Bayreuth» era

i. Richard Wagner cui figlio Siegfried.

a. Cosima Wagner.

I. Richard Wagner.

4. La «dinasti*».

y. Cosima Wagner.

6. Friedrich Nietzsche.

T. li Fcsispicltuus.

8. il tempio del Gnu] ili Paul von Joukowsky nella prima esecuzione del Parafai (1882).

9- Parsifal c le fanciulle dei fiori (1889).

jo.

Franz Bciz nel ruolo di Wotan.

11. Amal i< Mucrna nel ruolo di Brunilde.

12. Cosima e Siegfried.

13, La Mena elei Venusberg nel TtMnfàtacr del 1891-

ij.

Bozzello di Josef 1 iolfnun per il icrzo aito delti Vak bina del 1876.

15

Max Lorenz nel ruolo di Sigfrido.

16. Friib Lcidcr nel ruolo di Imxu.

i8. Comiim Wagner.

19. Siegfried Wagner e Arturo Toscanini.

io. Winifred Wagner con Wilhelm FunwSngkr.

li. Wolfgang c Wìebnd con 1 fans Knappensbuxch.

22. Wieland e Wolfgang Wagner,

23- Sccnojjr aha di Emil Prectoriu* per il secondo ateo dei Maestri eMtori del 193).

24. Bozzetto di Emil Pterion us per Eakwa nuziale nel lotairjròr del 1956.

1J. Maria Mùllcr nel ruolo di EIm.

16. Franz Vólkcr nel molo di Lohengrin.

27. Il wcoodo aito dei Maestri canton nd Talleri men to di Wieland Warner ( 1956K

18. Birgit Nilsson nel ruolo di Brunilde.

29- Theo Adam nel ruolo di VCotan.

30. Il tempio del Gr.ul nd

jIIcmho

cb Wivbnd Wagner nel 1936.

L'arte e la reazione

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un programma ideologico. Siegfried Wagner come autore dram­ matico era inattuale, nel senso di anacronistico. Richard Wagner si era avidamente aperto agli avvenimenti spirituali del suo tempo, pur non comprendendoli sempre con esattezza: il libero pensiero della Giovane Germania già pre­ sente nel Divido d’amare, il «vero socialismo» di Karl Griin e altri, lo sconvolgimento operato da Ludwig Feuerbach, Bakunin e il bakunismo, la filosofia da Feuerbach a Schopenhauer, il con­ fronto con il giovane Nietzsche, infine anche le teorie razziali del conte Gobineau. Un artista che conosce e percorre tutte le strade, anche quelle sbagliate. Siegfried Wagner dà l’impressione di una persona compietamente priva di curiosità. Circondato da wagneriani poco dotati e timorosi della realtà come Hans von Wolzogcn, che nel Natale del 1915 non sa trovare niente di meglio che presentare a Wahn­ fried una farsa tratta dalla favola di Grimm L’ebreo nel roveto (quella favola che Adorno ha interpretato come il trauma che ha suggerito anche a Richard Wagner il modello di Beckmesser e di Mime), e con un cognato assertore deH’idcologia ariana come Chamberlain, allctto fin dalla giovinezza da allergia antisemitica, egli sembra rifiutare per se c per Bayreuth ogni partecipazione allo sviluppo spirituale c culturale contemporaneo. Non c un uomo curioso, ma nel rifiutare e contestare non conosce ciò di cui parla. «Bayreuth c chiuso a certe mode ultramoderne, ciò contra­ sterebbe con lo stile delle opere che non sono scritte e composte in maniera cubista-csprcssionista-dadaista», cosi si legge in tono programmatico per la riapertura del festival nel 1924. Sono frasi vuote, non ci si preoccupa neppure di distinguere quelle correnti culturali. Se si dovesse prendere sul serio quell’affermazione si dovrebbe rappresentare II flauto magico soltanto nello stile di Schikancder. Il figlio non sembra aver capito ciò che il padre aveva messo in pratica a Dresda prima del 1848 per svecchiare il teatro lirico dalle idee e dalla produzione artistica del suo tempo. Neppure Siegfried Wagner riesce a liberarsi, come suo pa­ dre, da un trauma. Wagner, nelle idee, nelle opere e anche nella eccentrica condotta di vita avida di lusso, non si staccò mai dal

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Il figlio

ricordo degli anni di miseria di un «musicista tedesco a Parigi» all’inizio degli anni quaranta, quando dovette fare anticamera da Rothschild e Meyerbeer. Ma il genio trasformò la sofferenza in creatività, oltre che in monologhi teorici a cui perfino il loro au­ tore credeva solo in parte, se non riguardavano la sua opera per­ sonale. È possibile determinare con esattezza di tempo e di luo­ go il trauma vissuto da Siegfried Wagner: il 24 marzo 1901, nel teatro di corte di Monaco. La seconda opera dopo L’uomo-orso, Il duca Falcone, termina con proteste mai prima conosciute a Monaco, che cessano solo alle undici quando si spengono le luci. Secondo tutte le cronache, la generale indignazione venne provo­ cata dall’invadenza della comunità di Wahnfried, un «bel mon­ do» cosi sicuro del fatto suo da voler inscenare già dopo il primo atto, accolto in maniera abbastanza favorevole dal pubblico, un successo colossale, con sventolii di fazzoletti e chiamate alla ri­ balta del compositore-poeta, che si lasciò coinvolgere. Si forma quindi, favorito da un libretto confusamente artificioso, il fronte degli oppositori. Non sono, come più tardi mormorerà la leg­ genda di Bayreuth, né i «non tedeschi» né i «naturalisti» radi­ cali; è piuttosto quel pubblico d’opera appartenente alla buona borghesia a cui era piaciuto L’uomo-orso, ma che rifiuta di farsi spingere all’entusiasmo dall’aristocrazia della corte di Monaco e di Bayreuth. «Nonostante lo sventolio dei fazzoletti, gli entusiastici batti­ mano e il pestare dei piedi della comunità di Bayreuth, che si era presentata al completo per la prima nel teatro di corte, Siegfried Wagner è stato fischiato e zittito a regola d’arte. Tanto come poeta che come compositore Siegfried Wagner si è dimostrato un grossolano dilettante». È quanto si legge nei «Dresdener Neueste Nachrichten». Neppure i critici benevoli, come quello della «Breslauer Zeitung», possono concedere più di un: «Alcu­ ne cose riescono perfino molto gradevoli...» Una cosa è sicura: Siegfried Wagner non comprese nulla di quanto gli accadde quella sera. Cosima aveva assistito allo scan­ dalo; avrebbe dovuto imporsi il paragone con le prime a Monaco del Tristano e dei Maestri cantori. Ella non ne volle sapere e ere­

L’arte e la reazione

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dette insieme al figlio e alla comunità di Bayreuth che qui lo spi­ rito del male avesse trionfato sul genuino spirito tedesco. L’anti­ semitismo dà d’ora in poi a Siegfried Wagner la possibilità di ridurre ogni nuovo insuccesso — soprattutto l’indifferenza della critica e della metropoli di Berlino — alle macchinazioni ebraiche. Se uno dei suoi concerti incontrava buona accoglienza, lodava per lettera il «vero pubblico tedesco». Un successo a Rostock lo porta a scrivere con orgoglio, accanto alle lodi d’obbligo per gli ascoltatori ariani, che egli era «nel Mecklenburg veramente po­ polare! » Evidentemente è stato dimenticato che Gustav Mahler come direttore dell’opera e dell’orchestra di Vienna si era ado­ perato per la rappresentazione deil’U omo-orso. Un artista «non moderno», che alla fine non può non diventa­ re un reazionario nelle idee e nella concezione artistica priva di curiosità. Viene rafforzato in ciò dai consigli di musicisti come Karl Muck. Diventa impossibile abbandonare la repulsione per la Salomè, si ritiene alla lunga inevitabile l’insuccesso del Cavaliere della rosa. Ancora nel 1924, quando Siegfried e Winifred vanno a cercare in America il denaro per il nuovo festival e sono costret­ ti ad ascoltare al Metropolitan II cavaliere della rosa (per lo me­ no i primi due atti), Siegfried pronuncia questa battuta: «Biso­ gna far di tutto per conquistarsi la gente ». Il fatto di essere come compositore d’opera un contempora­ neo e un antagonista di Debussy, Busoni, Ravel, Bartók, de Falla, Janàcek, per non parlare di Schonberg e Berg, sembra non aver quasi preoccupato il figlio di Richard Wagner. Tutto ciò non veniva preso in considerazione e certo non aveva niente in comu­ ne con Bayreuth: cosa che influiva fin nella scelta degli artisti che si invitavano 0 si escludevano dalla collaborazione. Una tale fedeltà a un passato che un tempo era stato audace e nuovo, ma ormai doveva essere difeso con timore dall’attività di tutti gli artisti viventi che desideravano, da parte loro, conti­ nuare creativamente con audacia e modernità l’opera di Richard Wagner, non poteva non avere conseguenze anche in campo po­ litico. Non fu soltanto la «cerchia di Bayreuth», che si professava con intima convinzione fautrice di tutte le correnti «nazionalisti­

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Il figlio

che», oscurantiste e antidemocratiche, a far degenerare il primo festival postbellico del 1924 nell’appello di lotta dei «vecchi camerati», di tutti gli antidemocratici, antisocialisti e militaristi. Quando però nel Festspielhaus si intonò «spontaneamente» l’in­ no nazionale tedesco, Siegfried Wagner scappò via spaventato e bianco come un lenzuolo. Domandò sarcasticamente se poi si vo­ leva cantare anche La guardia al Reno. Le idee di Chamberlain, da parte loro non meditate con profondità e non confortate dal­ l’esperienza, potevano facilmente diventare popolari come «mito del xx secolo». Siegfried Wagner trovava tutto corrispondente al suo animo e ai suoi sentimenti. Il 7 ottobre 1923 Hitler è ospite a Wahnfried e di Chamberlain. Ma, nell’interesse del festi­ val e della sua redditività, bisognava essere un po’ discreti da­ vanti al mondo esterno. Si parteggia per gli autori del putsch del­ la birreria di Monaco del 9 novembre 1923, ma si rifiuta qual­ siasi diretta partecipazione. Quando Hitler nel 1924 scrive a Siegfried Wagner, che evidentemente nutriva gli stessi senti­ menti, la lettera viene addirittura tenuta nascosta a Winifred. Ciò che Siegfried Wagner pensa veramente, lo dichiara pochi mesi prima del festival del 1924, quando, nel marzo di quell’an­ no, di ritorno dagli Stati Uniti, si reca in Italia, dove a Roma vie­ ne ricevuto dal duce e riferisce: «Tutto è volontà, forza, quasi brutalità. Occhi fanatici, ma in essi non c’è alcuna vera forza d’a­ more come in Hitler e Ludendorff. Romani e Germani! Raz­ za magnifica e schietta [,..]. È sconsolante quanto la Germania sia caduta in basso! » Trovare «una forza d’amore» negli occhi di Erich Luden­ dorff, che tutti i testimoni oculari hanno sempre considerato solo un gelido arrivista dello stato maggiore e uno stratega pronto a ritenere le creature viventi mero materiale umano, è quasi in­ comprensibile. Chi afferma questo, vive nel mondo di sogno del­ le sue favole e delle sue ballate raccapriccianti. È un cosmo di giovani uomini forti e spensierati e di donne pronte al sacrificio che, come la Caterinetta della favola musicale relativamente ben riuscita Tutto è colpa del cappellino, sono ritenute di animo sem­ plice finché non fanno e capiscono ciò che nessun intelletto di

Il direttore del festival

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persona ragionevole aveva intuito. Sono numerosi i segni di mal­ vagità nelle figure di borghesi e contadini degli abbozzi scenici di Siegfried Wagner. Quale Germania egli intendeva rinnovare e con chi? Per chi scrisse e cosa volle dire? A tali domande è difficile rispondere. Come spesso nell’ideologia tedesca del xix e xx secolo, inequi­ vocabilmente presente in germe anche in Richard Wagner, si è portati a pensare a una società pre-borghese con autorità pa­ triarcale, sottomessa abnegazione della donna e un’aristocrazia simile a quella del salotto di casa Wahnfried, dove i cantanti conversano con i principi.

in. Il direttore del festival. Niente di piu semplice quindi che dedurre la concezione che Siegfried Wagner ha dei festival da lui diretti tra il 1908 e il 1930 dalle sue idee sulla politica e la società, sull’arte e il teatro. Ma i conti non tornano. Nel carattere di non necessità delle sue azioni, nella casualità della scelta dei temi e dei messaggi, rientra anche la singolare «alcatorietà» delle sue vere tendenze. Vuole diventare architetto, poi rinuncia, e parte con l’amico per un viag­ gio intorno al mondo, durante il quale scopre che piu di ogni altra cosa gli interessano la musica e l’arte tedesca e il paesaggio di Bayreuth. Perfino la sua opera di compositore drammatico dimo­ stra qualcosa di sorprendentemente privato: più gioco infantile di un adulto istruito che realizzazione della propria esistenza. Ha forse ceduto in questo all’ambizione della madre e dei «fedelis­ simi», e avrebbe anche potuto lasciar perdere? Era un bravo, tranquillo direttore d’orchestra, come tutti i critici rilevano, ma non paragonabile a Nikisch e a Weingartner. Lo constata un critico francese assai competente il 2 marzo 1903, dopo un concerto di Siegfried alla guida dell’orchestra Lamou­ reux: in programma la settima di Beethoven, l’idillio di Sigfrido, e musica del direttore tratta dal poco felice Duca Falcone. Il critico dà questo giudizio sul compositore Siegfried Wagner:

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Il figlio

«Musica onesta, ma niente di più: all’incirca come il compito di uno scolaro che ha studiato con Richard Wagner; ma che l’inse­ gnante non teneva in grande considerazione». Firmato Claude Debussy. Si osserva anche questo: «Certamente la volontà del figlio di seguire le orme del padre testimonia una grande venera­ zione. Ma la cosa non è assolutamente così semplice come rileva­ re un negozio di calze». Siegfried Wagner fece il direttore per passione? Anche que­ sto è difficile dirlo. Non si è mai negato che egli conoscesse quel mestiere, che aveva potuto imparare da Richter, Muck e Motti. Da quando, già nel 1896, dunque all’età di ventisette anni — dif­ ficilmente contro il suo desiderio — gli si fece dirigere a Bayreuth l’Anello in alternanza con Hans Richter e Felix Motti (ed egli si permise nell’Oro del Reno un grosso taglio, tanto che a Gustav Mahler, presente in sala, come lui stesso scrisse a Cosima, si fermò quasi il cuore), aveva imparato bene quell’arte ed era in grado di assolvere il suo compito sul podio del Festspielhaus e nei concerti. Richard Wagner e Gustav Mahler, come pure Richard Strauss, furono grandi direttori d’orchestra della loro epoca, lo­ dati anche da chi considerava orribile la loro musica. Di Sieg­ fried Wagner non è stata mai affermata una cosa del genere. Se piaceva, entrava sempre in gioco il merito del grande nome. Non sembra che Siegfried Wagner si sia mai precipitato sul podio senza che fosse necessario, come fece il padre, che durante il Parsifal del 1882 non si trattenne dal dirigere, non visto dal pubblico, per lo meno l’atto conclusivo della sua opera. Siegfried non ha mai diretto a Bayreuth il Trisiano e 1 maestri cantori. Nella seconda parte della sua attività come direttore del festival, dunque tra il 1924 e il 1930, il suo nome apparve in programma soltanto nel 1928, accanto a quello di Franz von Hoesslin, come direttore dell’Anello del Nibelungo. Anche qui la non-necessità. Necessari sono stati per lui solo l’attività e il lavoro dell’uomo di teatro. Regia, scenografia, movimento, colore, interpretazione scenica. Probabilmente quei critici severi che Siegfried, d’accor­ do con i fedelissimi, considerava suoi nemici, davano una valuta­ zione molto più giusta delle possibilità e dei limiti del figlio di

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Richard Wagner e nipote di Liszt. Neppure chi respingeva II du­ ca Falcone e L’allegro compagnone e preferiva scegliere a Bay­ reuth rappresentazioni con Richter e Motti invece che con Sieg­ fried Wagner, non aveva generalmente un atteggiamento di chiu­ sura di fronte agli allestimenti da lui firmati. Con la messinscena del Fannhàuser sotto la direzione di Toscanini, del cui successo non potè godere, egli era riuscito ad aderire, dopo tanto vagare a caso, a una forma non piu «antiquata» di teatro operistico. La nuova politica di esecuzione che qui si annunciava sembrava prendere le distanze dall’ostinato benché sincero provincialismo di un’impresa ideata come universale che troppo a lungo aveva sofferto per la confusione tra Wagner e le associazioni wagne­ riane. Gli anni venti, a partire in larga misura da Berlino, videro un nuovo tentativo di interpretazione musicale e scenica delle opere di Wagner. Se a Wahnfried ci si poteva allontanare disgustati davanti alle nuove interpretazioni di Jurgen Fehling e Otto Klemperer del Vascello fantasma, non dimentiche dell’incriminato espressionismo, era nata una nuova generazione di cantanti, istruita e ispirata da Bruno Walter e Fritz Busch, Erich Kleiber e Otto Klemperer, senza la quale Bayreuth, dove andavano invec­ chiando gli antichi interpreti dei ruoli principali, non poteva con­ tinuare la sua attività. Ma essi non erano disposti a rinunciare al loro consueto livello musicale proprio a Bayreuth. Ancor meno era possibile rinunciare per antisemitismo militante ai grandi interpreti di origini «non pure». Richard Wagner aveva affidato la prima rappresentazione del Parsifal al direttore d’orchestra Hermann Levi. Gli ultimi anni di vita di Siegfried Wagner mo­ strano un direttore del festival che si libera sempre piu dall’osti­ nazione provinciale e dai consigli degli ideologi di Wahnfried. H. St. Chamberlain morì dopo una lunga malattia il 9 gennaio 1927. L’idea del festival — questo non lo si poteva negare — era fallita se si scambiavano le rappresentazioni di Bayreuth per una «festa tedesca» dei nemici della repubblica di Weimar e della realtà moderna. Quando, dopo l’improvvisa morte del marito, Winifred Wag­

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Il figlio

ner assunse la direzione del festival e iniziò le trattative con i «berlinesi», Furtwangler e Heinz Tietjen, sovrintendente dell’Opera di stato, ai quali si doveva poi associare Emil Preeto­ rius, lo scenografo residente a Monaco, amico di Thomas Mann, ella ha espressamente sottolineato che, cosi facendo, attuava i progetti del marito. Ciò è sicuramente esatto. Era infatti in linea tanto con la chiamata di Arturo Toscanini, quanto con l’allesti­ mento del Tannhàuser ad opera dello stesso Siegfried Wagner, ormai prossimo a morire. Molte fotografie e resoconti fanno capire che il figlio, negli ultimi anni di vita, allietato dai suoi successi di direttore del festival, anche se non maestro di pieno diritto, felice nella sua famiglia, non piu oscurato da donne piu anziane, avrebbe potuto raggiungere una nuova e piu libera individualità. Il trauma sem­ brava allontanarsi. A quel punto sopravvenne la morte. Come si sarebbe comportato tre anni dopo, quando ormai governava a Berlino il giovane visitatore di Wahnfried dei primi anni venti, è ozioso domandarselo.

Il crepuscolo degli dei Winifred Wagner

i. La bambina. Nel luglio del 1914 era giunta a Bayreuth con il padre adotti­ vo Karl Klindworth la diciassettenne Winifred Williams. Un an­ no dopo si chiamava signora Wagner. La scomparsa improvvisa di Siegfried il 4 agosto 1930 la rese, pochi mesi dopo la morte di Cosima Wagner, la nuova «signora di Bayreuth». Una giovane donna sui trent’anni, ancora bella. Il «testamento congiunto» che Siegfried e Winifred avevano stipulato in forma valida 1’8 marzo 1929 stabiliva: «La signora Winifred Wagner diventa erede in primo grado dell’intero lascito del signor Siegfried Wag­ ner. Vengono designati come eredi di secondo grado in parti uguali i comuni discendenti dei coniugi Wagner. La successione di secondo grado subentra alla morte o alle nuove nozze della si­ gnora Wagner». In questo testamento è stato inoltre deciso quel­ lo che ha poi acquistato importanza per il destino del festival do­ po il 1945: «Gli eredi, per quel che riguarda il Festspielhaus, hanno il seguente obbligo: il teatro non può essere venduto e deve essere sempre utilizzato per gli scopi a cui lo ha destina­ to il suo costruttore, dunque unicamente per la solenne rappre­ sentazione delle opere di Richard Wagner». Contro questa clausola urtarono fin dall’inizio gli eventuali futuri propositi di Wieland Wagner di far rappresentare sulla collina del festival an­ che altre opere del teatro lirico. Winifred Wagner diventava dun­ que erede solo fino ad eventuali seconde nozze; se contraeva nuo­ vo matrimonio, scattava la successione di secondo grado, per cui, secondo il testamento, assumeva la presidenza il «discendente maggiore del signor Siegfried Wagner». Nel caso specifico Wie­ land Wagner, nato il 5 gennaio 1917.

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Il crepuscolo degli dei

Winifred Wagner non si è risposata. L’impresa di Bayreuth ha avuto la precedenza su tutti i suoi obblighi di donna e di madre. Dopo la morte di Siegfried Wagner è stata l’amministratrice, legalmente chiamata alla direzione del festival, di una gran­ de eredità materiale e artistica. Iniziati di li a poco gli attacchi, tan­ to dei membri della famiglia esclusi quanto di gran parte dell’opi­ nione pubblica, ella ha potuto richiamarsi con diritto al fatto di aver collaborato negli ultimi anni alla gestione dell’impresa, a fianco del marito di salute cagionevole. Una nota di Winifred al dottor Knittel, direttore amministrativo di Bayreuth, del 12 giu­ gno 1929, rivela già il carattere tipico della sua futura linea diret­ tiva. Ha una conoscenza precisa dell’azienda, delega le responsa­ bilità, si preoccupa di possibili risparmi durante il periodo del fe­ stival, pensa a una revisione dei contratti per l’assicurazione con­ tro gli incendi. In questa lettera si trova già una frase, per il momento enigma­ tica, che preannuncia ciò che piu tardi sarebbe avvenuto: «Le questioni sulla proprietà sono attualmente cosi complicate da im­ pedirci di fare qualsiasi cosa. Piu tardi, quando la mia famiglia rimarrà sola, sarà molto più semplice... » Questa frase è stata scrit­ ta quando era ancora in vita Siegfried Wagner. Del resto, in que­ sto primo programma organizzativo di Winifred Wagner era ri­ conoscibile anche la tendenza a esautorare le due cognate che vi­ vevano a Bayreuth, Eva Chamberlain-Wagner e Daniela Thode von Biilow. Distribuendo i compiti la signora Winifred stabili infatti che Karl Muck, come giusto, dovesse avere la massima re­ sponsabilità per quanto concerneva l’orchestra e il famoso diret­ tore del coro Hugo Rudel quella per il complesso corale. Alla si­ gnora Thode viene affidata la responsabilità «per i sarti, le sarte, le guardarobiere, i parrucchieri, le donne delle pulizie...» La vedova di Siegfried Wagner conosceva bene le questioni amministrative e finanziarie. Ma sapeva orientarsi sui problemi specifici, l’arte di Richard Wagner, le correnti operistiche pas­ sate e recenti e in genere sull’inevitabile confronto delle opere di Richard Wagner con le nuove generazioni degli interpreti e degli ascoltatori? La cosa è molto dubbia. Era naturalmente fatale che

La bambina

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Winifred venisse paragonata da tutti i suoi nemici con l’immagi­ ne ufficiale di Cosima Wagner, la famosa e tradizionale signora di Bayreuth. Quando nacquero i contrasti, sia Eva Chamberlain che, del tutto indipendentemente da lei, Wilhelm Furtwangler hanno ricordato, in modo assai meschino, che la signora Winifred Wagner non era «del mestiere», a differenza di Cosima e di Sieg­ fried. Ma forse la nuora è stata sacrificata piuttosto ingiustamen­ te alla suocera. Si è sempre discusso tra gli intimi se Cosima Wag­ ner, pur essendo figlia di Franz Liszt e moglie di Richard Wagner, abbia avuto un’effettiva competenza musicale, al di là natural­ mente della semplice inclinazione al godimento estetico. Josef Rubinstein, uno dei musicisti ebrei, come Hermann Levi e Karl Tausig, che Richard Wagner scelse come satelliti per la sua costel­ lazione, ha apertamente affermato che Cosima era del tutto priva di senso musicale. E Rubinstein se ne intendeva. Il 22 maggio 1880, dunque per il sessantasettesimo compleanno di Richard Wagner, aveva accompagnato al pianoforte a Wahnfried un’e­ secuzione della scena del Graal dal primo atto del Parsifal, sotto la direzione del compositore. Era morto a Lucerna nel settem­ bre del 1883, dunque nello stesso anno di Wagner. Winifred Wagner aveva naturalmente conosciuto fin da pic­ cola in casa del padre adottivo e tutore Karl Klindworth le opere del maestro di Bayreuth. Con il successivo matrimonio con Sieg­ fried si familiarizzò con tutti i problemi esecutivi e interpretati­ vi, e con le difficoltà creative del compositore Siegfried Wag­ ner. Ma Winifred non aveva studiato seriamente né musica, né teatro. Il cosmo estetico si limitava per lei, corrispondentemente all’insegnamento ricevuto, all’opera del maestro, ai lavori di suo marito, forse alle creazioni di qualche amico, come Engelbert Humperdinck. Era cresciuta in una cerchia di fedeli, e aveva rifiutato a priori, a fianco di un artista anacronistico e ostentatamente «non mo­ derno», di occuparsi delle contrastanti idee estetiche e creazioni artistiche del proprio tempo. Ostinato germanesimo e inattualità programmatica facevano parte integrante dell’insegnamento che Winifred aveva dovuto e voluto assorbire. Quello che le anime

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belle dei fedeli wagneriani non esitavano a proclamare, è possibi­ le desumerlo da una circolare che la direzione centrale di Lipsia dell’Associazione generale Richard Wagner aveva indirizzato nel dicembre 1927 ai patroni della Fondazione tedesca del festival di Bayreuth. Vi si leggeva: «Non possiamo infatti abbandonarci all’illusione che sia raggiunta anche solo una piccolissima parte degli alti fini che il maestro di Bayreuth ha indicato nei suoi scritti al popolo tedesco, a cominciare dalla penetrazione della sacra arte tedesca in tutta la vita nazionale per finire a quel grado di elevazione in cui arte e religione diventano una cosa sola. Quasi si dovrebbe dubitare della attuabilità di tali fini, se oggi si vede mettere in scena su cinquanta palcoscenici tedeschi un’ope­ ra in cui un negro alla caccia di donne bianche può avere la sfac­ ciataggine di presentarsi come erede della vecchia Europa, dun­ que anche come erede della civiltà di Bach, Mozart, Beethoven e Richard Wagner! Solo la fiducia nello spirito tedesco, che ha consentito al maestro, a dispetto di tutti gli ostacoli, di costruire Bayreuth, l’opera di tutta la sua vita, ci può far persistere nella speranza che non sia ancora giunto il tramonto spirituale dell’Oc­ cidente». S’indovina qui l’allusione all’opera di Ernst Kfenek Jonny fa musica. Winifred era dunque cresciuta in una cerchia di settari esteti­ ci. Ed era in realtà priva di cultura nel campo della lirica. Ancora piu incerto è se abbia mai compreso giustamente la portata e soprattutto i principi strutturali dell’arte di Richard Wagner. Nei suoi commenti retrospettivi su Bayreuth e la propria vita parlò con disprezzo di uno «smembramento» delle opere d’arte comparso solo con suo figlio Wieland e nel periodo postbellico. Prima, cioè alla sua epoca, si procedeva in modo piu spontaneo e meno intellettualistico. Qui parla il risentimento verso il figlio maggiore. Ma in ciò si esprime anche un profondo fraintendimento dell’arte wagneria­ na. Friedrich Nietzsche, già nel periodo in cui aveva desistito dall’annunciare le glorie wagneriane, aveva parlato della «dupli­ ce ottica» caratteristica di quell’arte. Duplice perché intendeva essere allo stesso tempo un’arte per un gusto e un godimento ge­

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nerale e poco ricercato e una creazione artistica per raffinati in­ tenditori. Se c’era dunque uno «smembratore», questi era Wag­ ner stesso, scaltrito tecnico della scena, pensatore speculativo, tardo romantico sognatore dell’opera d’arte globale. Quando più tardi Wieland Wagner, in un’apprezzabile rap­ presentazione quasi grafica del Parsifal incentrata intorno al sim­ bolo della croce, sottolineò le tensioni dialettiche tra i personag­ gi di quell’opera, non si dedicò all’ozioso smembramento di un tutto artistico non analizzabile, ma mise in evidenza dei rapporti che Wagner aveva inserito nell’opera come parti integranti. Sem­ bra che Winifred non abbia mai capito tutto questo. Aveva dovuto trascorrere i suoi anni di apprendistato a con­ tatto con una produzione artistica inattuale, per non dire decre­ pita, e in un ambiente estetico intriso di risentimenti. Cosima, anche se probabilmente non era molto musicale, crebbe nella cerchia di un’avanguardia intellettuale e artistica. Il suo primo marito Hans von Biilow era un uomo molto interessato alla po­ litica e un artista portato a scoprire con infallibile sensibilità nuovi talenti: non soltanto Richard Wagner, allora messo al ban­ do, ma perfino il giovane e sconosciuto russo Cajkovskij e negli anni seguenti il debuttante bavarese Richard Strauss. Cosima si stancò presto di questa esaltazione intellettuale. Cercava pace e certezze: proprio a fianco di Wagner. Ma l’opera di Bayreuth che ella decise di proseguire dopo la morte del marito, era pur sem­ pre una terra artistica inesplorata. Niente era sicuro o vecchio. Così Cosima poteva trasformarsi per il Nietzsche ottenebrato nella costellazione di Arianna. È dubbio che Winifred Wagner si sia mai data pensiero di quella polarizzazione delle ideologie borghesi che si sarebbe poi concretizzata nello sviluppo diver­ gente di Richard Wagner e Friedrich Nietzsche. Era stata sposata bambina: non solo a Siegfried Wagner, ma a Bayreuth. Doveva continuare la dinastia. Le cognate e i Chamberlain-Wolzogen avevano immaginato che, da sola, non potesse esercitare alcun influsso. Winifred Wagner ha deluso tali spe­ ranze. Ha voluto decidere e operare. Ci è riuscita. E questo non poteva avvenire senza contrasti, alleanze e inimicizie.

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il. Tentativo di secolarizzazione. Esistono appunti, probabilmente databili alla fine del 1930, dunque all’anno della morte di Siegfried Wagner, su un collo­ quio tra le cognate Eva Chamberlain e Winifred Wagner. La vedova di H. St. Chamberlain e figlia di Richard Wagner sconsi­ gliò il progetto di istituire una sorta di ufficio stampa per il festi­ val e di fare vera e propria pubblicità all’impresa artistica di Bayreuth. La sorella si rifaceva al fratello morto, che aveva sem­ pre rifiutato una simile sfrontatezza. Bisognava mantenere la vec­ chia abitudine di «prendere benevolmente in considerazione, ca­ so per caso, i giornalisti premurosi e ben disposti». Al contrario «strizzare l’occhio alla stampa» non aveva alcuna probabilità di successo. Eva Chamberlain fa un amaro bilancio del festival del 1930, apparentemente riuscitissimo, in cui furono rappresentati, diretti da Toscanini, il Tannhauser e il Tristano. Ella vede le cose in maniera diversa: «Bayreuth ha vissuto finora orgogliosa e libe­ ra nei confronti della stampa. Dall’estate del 1930 purtroppo non possiamo piu esserlo». Cos’era accaduto? Winifred Wagner sembra aver rapidamen­ te capito, ricollegandosi ancora una volta ai progetti di Siegfried, che la possibilità di aprire Bayreuth al grande pubblico restava strettamente legata alla necessità di rompere con il settarismo politico ed estetico delle associazioni wagneriane e dei fedeli di Bayreuth diventati vecchi. Si era tuttavia dimostrato che l’ingag­ gio del maestro Toscanini ed anche il nuovo allestimento del Tannhauser di Siegfried Wagner erano pensabili solo come il ri­ sultato della decisione di abolire il carattere sacrale dell’attivi­ tà del festival, comunque già logoro per le difficoltà finanziarie e l’inevitabile mecenatismo, e di laicizzare il festival. Decidendo di portare avanti questa idea, Winifred Wagner ha chiaramente agi­ to secondo le idee del marito morto. Ma proprio per questo motivo divenne subito virulento quel contrasto che aveva tormentato gli ultimi anni di vita di Siegfried Wagner. Non si poteva contemporaneamente aderire al naziona­

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lismo politico, ripetere le tirate sulla sublime arte tedesca, il decadimento artistico prodotto dagli ebrei e il bolscevismo cul­ turale — e poi offrire un festival internazionale anche per spetta­ tori non tedeschi, non ariani, magari perfino cultural-bolscevichi, ma paganti. Siegfried Wagner era morto nel momento deci­ sivo in cui avrebbe dovuto prendere posizione. Winifred sembrò aver compreso che era importante, dopo il successo del festival del 1930, elevare le rappresentazioni bayreuthiane all’altezza del­ l’arte lirica del tempo, il che appariva impossibile senza la colla­ borazione di valenti scenografi, registi e direttori della capitale del Reich: Berlino. Nel primo festival postbellico del 1924 i vecchi bayreuthiani erano ancora rapidamente riusciti, in contrasto con i progetti di Siegfried Wagner, ad allontanare e disgustare Fritz Busch, il di­ rettore dei Maestri cantori. Ciò non doveva più ripetersi. Con Toscanini si era chiamato a Bayreuth un grande direttore, ma anche un antifascista. Dalla metà degli anni venti l’Opera di stato prussiana di Berlino, sotto il sovrintendente generale Heinz Tietjen, svolgeva un’opera di completo rinnovamento del repertorio classico operistico nello Stammhaus Unter den Linden, con diret­ tori come Erich Kleiber e Leo Blech. Qui era stata data, con orrore di Siegfried Wagner e dei bayreuthiani, un’opera come il Wozzeck di Alban Berg. Nel secondo teatro d’opera statale di Berlino, la cosiddetta Kroll-Oper, Otto Klemperer aveva creato un’arte lirica diventata storica. Vi avevano lavorato direttori, cantanti, scenografi, registi che dopo il 1933 fissarono, fuori del­ la Germania ma in tutto il resto del mondo, le norme del moder­ no teatro lirico. Qui Otto Klemperer, insieme a Jurgen Fehling, aveva messo in scena un Vascello fantasma in uno stile da «balla­ ta selvaggia», memore dell’esperienza espressionista. Da questo spirito era nato nel gennaio 1933 anche un nuovo Tannhauser. Soltanto la chiusura della Kroll-Oper come conseguenza della cri­ si economica tedesca aveva impedito a Otto Klemperer di portare a termine nel suo teatro, in antitesi con Bayreuth, poco propensa a chiamare quell’artista non ariano come un tempo Gustav Mah­ ler o più tardi Bruno Walter ed Erich Kleiber, una nuova inter-

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prelazione dell’intera opera di Richard Wagner, rappresentati­ va del gusto artistico dell’epoca. Certo Klemperer si era servito, al contrario di Bayreuth, anche degli «smembratoti» filosofici e critico-ideologici. Consigliere scientifico della Kroll-Oper era sta­ to Ernst Bloch, espressamente chiamato dal suo amico Otto Klem­ perer. In accordo con tutti i teatri statali prussiani, ma in aperta concorrenza con la Kroll-Oper e con toni conservatori, Heinz Tietjen intraprese alla Linden oper un rinnovamento del reperto­ rio wagneriano. Per Berlino venne progettato un nuovo Anello del Nibelungo. Heinz Tietjen era un eccellente direttore d’or­ chestra e un bravo ed abile regista operistico. Soprattutto egli si era scelto come collaboratore il grafico, scenografo e professore d’arte a Monaco Emil Preetorius, i cui bozzetti d’opera erano stati accolti con entusiasmo dal pubblico e dalla critica. Al diret­ tore dei concerti della Filarmonica di Berlino, Wilhelm Furtwan­ gler, venne affidato l’incarico di dirigere. Sembra che Winifred Wagner, in conflitto con l’opposizione di Bayreuth, abbia presto capito che, se voleva continuare il lavo­ ro del 1930, poteva trovare aiuto solo a Berlino. Il 18 gennaio 1931, cinque mesi dopo la morte di Siegfried Wagner, viene stretto un accordo tra Winifred, Heinz Tietjen e Wilhelm Furt­ wangler, in cui si stabilisce: «La signora Winifred Wagner ha chiamato alla direzione artistica del festival di Bayreuth, come successore di Siegfried Wagner, Heinz Tietjen e a quella musica­ le Wilhelm Furtwangler. Il ministro prussiano della pubblica istruzione ha concesso a Tietjen la sua autorizzazione ad assu­ mere l’incarico, così come ha dato il suo benestare a Furtwangler. Questo nuovo assetto entra in vigore solo nel 1933, dato che per volontà di Siegfried Wagner il festival di quest’anno avrà luogo in forma immutata. Wilhelm Furtwangler ha però gentilmente accettato di assumere già quest’anno la direzione del Tristano e Isotta». In effetti Furtwangler diresse il Tristano nell’estate del 1931, accanto a Toscanini, che diresse nuovamente il Tannhauser e questa volta subentrò a Karl Muck nella direzione del Parsifal.

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Quella dei due cicli dell’Anello venne lasciata, come si era fatto fino allora, a Karl Elmendorff. Nacque cosi agli occhi del mondo uno splendido duumvirato: Arturo Toscanini e Wilhelm Furtwangler. Ma le beghe e i mezzi scandali non si fecero attendere. In un commento retrospettivo di D. Bergen del 1932 si parla di Bayreuth dopo la morte di Sieg­ fried Wagner1. «La burocrazia ebbe il sopravvento; nessuno piu potè sottrarsi a un senso di spersonalizzazione». Winifred infatti, scrive Bergen, aveva perso la complessiva visione spirituale. In occasione del concerto in memoria di Siegfried Wagner, si arrivò al contrasto. Toscanini, Furtwangler e Elmendorff dovevano al­ ternarsi alla direzione dell’orchestra. Toscanini rifiutò, cosicché Furtwangler potè riscuotere un grande successo con la terza sin­ fonia di Beethoven, fatto che non migliorò l’umore del maestro italiano. Era innegabile l’impossibilità di proseguire questa col­ laborazione. Uno dei due maestri doveva essere sacrificato. Sem­ bra che Winifred si sia decisa a favore di Toscanini contro Furt­ wangler. Il 21 marzo 1932 Wilhelm Furtwangler scrisse a Winifred Wagner: «O lei desidera collaboratori per l’opera di Bayreuth — e come tali a suo tempo ha trattato con me e Tietjen — o vuole semplici consiglieri piu o meno privi di peso al fine di assumere lei stessa la responsabilità, come ho già detto, anche su questioni puramente artistiche. — Poiché questa visione non collima con il concetto che ho del mio compito a Bayreuth, e poiché l’atmosfera di sfiducia che è finora emersa nei miei confronti da tutte le sue espressioni non mi sembra possa costituire il presupposto di una fruttuosa collaborazione, nell’interesse della grande opera bayreuthiana, vorrei lasciare a lei, stando così le cose, la possibilità di restituirmi la parola datale a suo tempo sotto altre premesse e aspettative». Winifred rispose il i° aprile 1932: «Dal no­ stro ultimo colloquio ho dovuto constatare come lei nutra grossi dubbi riguardo al mio diritto di avere l’ultima decisione anche nelle faccende artistiche. Sebbene io non presuma di possedere la preparazione tecnica per esercitare il controllo artistico, debbo tuttavia insistere nel mio già espresso diritto, perché le ultime

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volontà di mio marito stabiliscono che io rivesta la mia carica di direttrice del festival di Bayreuth non solo nominalmente, ma con piena responsabilità per il proseguimento dell’impresa; e deb­ bo inoltre farle notare che in quindici anni di strettissima colla­ borazione con mio marito e sotto gli occhi della signora Cosima Wagner mi sono ben impratichita e addestrata nella direzione generale. Se ho subito scelto dopo la morte di mio marito lei e il signor Tietjen come i collaboratori da me considerati competenti per l’esercizio artistico, credo di aver dimostrato di non presume­ re piu di quello che sono in grado di fare». La risposta di Furtwangler del 18 giugno conferma ancora una volta il suo distacco da Bayreuth. Il carteggio viene pubblicato come materiale giornalistico. Nel 1932, nella fase finale della repubblica di Weimar, il fe­ stival non ha luogo. Come vuole la tradizione, c’è un anno d’in­ tervallo. Ci si preparava per il festival del 1933. Wilhelm Furt­ wangler affrontò ora, dopo il rifiuto definitivo, l’opinione pubbli­ ca. Nell’«Hannoverscher Kurier» del 29 giugno 1932 apparve un articolo polemico Sul futuro di Bayreuth1. «Nessuno se la prenderà certo con la signora Winifred per il fatto che è quel­ la che è e nessuno può pretendere a ragione da lei qualcosa di diverso, ma bisogna dire che non è stata consigliata bene se crede di dover rivendicare, sulla base dell’interpretazione del testamen­ to, qualità che non possiede. E dico "interpretazione” perché al momento di concludere il primo accordo con Tietjen e con me. quel testamento esisteva già. Il principio supremo secondo cui la decisione spetta solo a colui che può assumersene la responsa­ bilità, vale anche per Bayreuth. Presto o tardi anche la signora Winifred non potrà fare a meno di scegliersi, al posto di consi­ glieri privi di responsabilità, collaboratori responsabili». Non manca nemmeno un accenno del famoso direttore sull’incompe­ tenza della vedova di Siegfried Wagner in tutte le questioni mu­ sicali e di interpretazione musicale. Sembra che Tietjen abbia allora fatto di tutto per riavere a Bayreuth il famoso Toscanini; il che non era possibile senza il sacrificio di Wilhelm Furtwangler, che dovette quindi essere ac­

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cettato. Si giunge cosi a un’alleanza singolare e quasi grottesca tra Tietjen e Daniela Thode, dunque tra la Bayreuth della vecchia generazione e la Bayreuth della generazione di mezzo. Per il suo matrimonio con lo storico d’arte Henry Thode, da cui si era però separata, Daniela possedeva buoni legami con la società e gli artisti italiani. Per desiderio del fratellastro Siegfried, aveva con­ dotto le trattative con Toscanini. Toccava ora a lei richiamarlo. D’altro lato si ripetono i rimproveri delle cognate a Winifred. Un appunto di Eva Chamberlain del 7 marzo 1932 biasima «la mancanza di rispetto, di reverenza, di fedeltà alla tradizione tanto in teatro come a casa, la stampa del gruppo Ullstein ecc.». Gli sforzi di Tietjen per rinnovare la regia nelle opere del repertorio corrente non avevano potuto imporsi; chi firmava come respon­ sabile era Alexander Spring, un protetto di Winifred. Eva Cham­ berlain parla, nei suoi appunti, di uno «smisurato dilettantismo nella regia», e certo non a torto. Il 1932, l’anno d’intervallo, non riuscì a minacciare il potere della nuova signora di Bayreuth ed erede di Siegfried Wagner. Ma nel conflitto con Furtwangler e con la sua famiglia era diven­ tato evidente che la direttrice del festival non possedeva una propria concezione spirituale, e quindi dipendeva da nomi di grido come Toscanini e da consiglieri come Tietjen, disposti ad assumere la direzione artistica di Bayreuth nella forma di puro lavoro materiale di regia. Per il 1933 si progettò un rinnovamen­ to completo dell’allestimento dell’Anello del Nibelungo e dei Maestri cantori, ambedue con la collaborazione di Emil Preetorius. Si sperava di avere Toscanini per la direzione dei Maestri cantori e ancora una volta per il Parsifal, che Daniela Thode in­ tendeva rappresentare in forma tradizionale con l’aiuto di alcuni amici di casa. Il 30 gennaio 1933 mise però fine a tutti questi piani. Un austriaco di Braunau, diventato solo da poco cittadino tedesco, venne nominato dal presidente del Reich Paul von Hin­ denburg cancelliere del Reich.

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La nota amicizia, quasi universalmente conosciuta, fra la ve­ dova di Siegfried Wagner e il nuovo cancelliere del Reich ha fatto nascere successivamente, e più che mai nella nostra epoca, l’ipo­ tesi che il risveglio tedesco, un risveglio databile all’inizio del 1933, sia stato accolto a Wahnfried con entusiasmo. I documenti presentano la cosa in modo diverso. Winifred Wagner, a partire da quegli anni e in effetti fin nella vecchiaia, ha perseguito una strana separazione. Da una parte l’amicizia con quel rinnovatore della Germania, da lei conosciuto fin dal suo esordio e al quale si erano inviati da Bayreuth alcuni pacchi-dono nella prigione di Landsberg, dall’altra l’opera amministrativo-artistica del festi­ val di Bayreuth. Pensava che fosse possibile essere una nazista fervente (nel 1926 entrò nel partito perché così desiderava il suo buon amico) e nello stesso tempo dirigere nel solito modo il fe­ stival sulla collina di Bayreuth insieme a Tietjen, Preetorius e Toscanini, anche se senza l’infedele Furtwangler. Idea ingenua e illusoria. È probabile che Winifred Wagner, che ha sempre propugnato la tesi che tale distinzione di piani era possibile, abbia sinceramente creduto alla sua costruzione intel­ lettuale. Non ha mai voluto trarre insegnamento dal corso degli avvenimenti, che andava in senso opposto. I fatti della primavera del 1933, a partire dalla nomina del 30 gennaio, accompagnata da ben organizzati cortei di fiaccole, sono noti. Incendio del Reichstag e misure contro i partiti della repubblica di Weimar; elezioni parlamentari a marzo, il cui risul­ tato è falsato per il fatto che i rappresentanti legalmente eletti del partito comunista, messo fuori legge, non possono espletare il loro mandato; arresti effettuati dai «reparti d’assalto» (SA), ai quali si fece infilare in tutta fretta il bracciale della polizia, atte­ stante una funzione semistatale, cosa da tenere bene a mente. Un giorno a Potsdam nella chiesa della guarnigione, tra suoni d’organo e di campane, col feldmaresciallo e il caporale, il presi­ dente e il cancelliere del Reich che si guardavano profondamente

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negli occhi davanti all’obiettivo. Per il i° aprile 1933 il dottor Joseph Goebbels, germanista e allievo di Gundolf, appena nomi­ nato «ministro del Reich per l’istruzione popolare e la propa­ ganda», fissò una giornata di boicottaggio antisemita. Fu un gran­ de divertimento popolare radunare i commercianti ebrei e tra­ scinarli in giro in carretto o tenerli sequestrati nei loro negozi, dove nessun «buon tedesco» poteva entrare, né avrebbe potuto farlo, perché gli uomini in uniforme bruna sorvegliavano l’in­ gresso. La sera del 31 marzo Goebbels tenne a Berlino uno dei suoi piu abili discorsi a doppia faccia, che soffiavano e gettavano ac­ qua sul fuoco a un tempo. Dinanzi alla folla radunata enumerò in abile crescendo tutte quelle forze del male che intralciavano il passo alla nuova Germania ridestata: i bolscevichi, fra cui natu­ ralmente i bolscevichi della cultura; le mammonistiche demo­ crazie parlamentari in declino dell’occidente; l’ebrea New York. Era ora arrivato al punto cruciale. Dopo aver scaldato il più pos­ sibile il sano sentimento popolare, quando già la desiderata atmo­ sfera da pogrom esigeva l’azione, annunciò il boicottaggio e le beffe agli ebrei del i° aprile. Era l’istigazione liberatoria. Ad essa segui — nello stesso discorso — la rettifica: per il momento le san­ zioni valevano solo per quel giorno: dunque una lezione e un am­ monimento. Il 2 aprile il disciplinato e ridestato popolo tedesco avrebbe lasciato in pace i boicottati. Si è allora davvero pensato a Berlino, nella Wilhelmstrasse, a come sarebbero state accolte queste pagliacciate da un mondo abbastanza abituato alla civiltà e all’umanità, anche se colpito dal 1918 dalla svalutazione, dalla instabilità e dalla disoccupazione? Sulla base delle attuali conoscenze, molti fattori farebbero pen­ sare che il nuovo cancelliere del Reich e i suoi pochi compagni di partito del nuovo governo, insieme al ministro degli interni Frick, al nuovo ministro della propaganda e al primo ministro prussiano Gòring, capo di un potente apparato di polizia, appog­ giati dagli uomini di fiducia conservatori delle forze armate del Reich e della grande industria, come il vicecancelliere ed ex ma­ nager delle acciaierie Krupp Alfred Hugenberg, si orientassero

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solo con titubanza nel gioco reale di forze della politica interna ed estera. Non c’erano da aspettarsi riflessioni piu profonde sul destino del festival di Bayreuth e della giovane amica di casa Wanhfried. Là si cominciavano ad avvertire chiaramente le prime conseguen­ ze di quella «presa di potere politica». Dopo Furtwangler si era ora ritirato anche Arturo Toscanini. Il 28 maggio il maestro scris­ se a Winifred Wagner una lettera in italiano. Il conte Gilbert Gravina, nipote di Cosima e Siegfried Wagner, ha tradotto lo scritto. Vi si leggeva: «I fatti dolorosi che hanno ferito i miei sentimenti di uomo e di artista, non hanno ottenuto finora, con­ tro tutte le mie speranze, alcuna soddisfazione. È pertanto mio dovere rompere oggi il silenzio che mi ero imposto da due mesi e informarla che per la mia tranquillità, per la sua e per quella di tutti è meglio non pensare piu a una mia venuta a Bayreuth...» L’avvocato di Toscanini, per incarico del suo cliente, rese nota la lettera all’opinione pubblica. Il rifiuto fu certo sentito come un grave colpo non solo a Bayreuth, ma anche alla cancelleria di Ber­ lino. Stranamente Toscanini aveva nella cerchia familiare di Bay­ reuth una fedele ammiratrice in Daniela Thode. Ella aveva in­ tanto appianato i malintesi tra Winifred e Toscanini del 1931. Ma Toscanini si era dichiarato in patria, in Italia, antifascista, e non poteva quindi salire sul podio in una Germania fascista e far intonare gli inni dovuti al Fiihrer e al nuovo Reich. Daniela Thode nel 1935 ha cercato di descrivere i retroscena della vicen­ da. Dopo l’azione di Goebbels del r° aprile del 1933 molti artisti ebrei si erano rivolti al maestro per chiedergli la sua solidarietà. Winifred deve aver fatto un tentativo disperato, perché Daniela Thode racconta: «Si era detto al cancelliere del Reich che un suo appello avrebbe fatto cambiare idea nell’interesse di Bayreuth all’artista deciso a ritirarsi, e Hitler gli scrisse in tal senso una bella lettera calda e ossequiosa. Toscanini rispose con estrema cortesia e dignità, ma con fermezza incrollabile». C’è poi, ma senza una data precisa, un appunto di Daniela Thode su un colloquio con Joseph Goebbels intorno al futuro di Bayreuth. L’uomo della propaganda aveva semplicemente inter­

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pretato il rifiuto di Toscanini come il risultato del ricatto ebrai­ co-americano e si era richiamato alla posizione di Richard Wag­ ner nella questione ebraica. Daniela Thode aveva fatto presente la «situazione catastrofica di Bayreuth». Il festival, che negli an­ ni precedenti aveva registrato per lo piu il tutto esaurito, era pre­ notato solo per la metà dei posti disponibili. «La vendita dei bi­ glietti si chiude il i° luglio. Dieci-quindicimila biglietti dovreb­ bero essere comprati nei prossimi otto giorni dai Lànder». Nel­ l’appunto si dice più avanti: «Molte settimane fa Hitler e Go­ ring hanno fatto sperare alla signora Wagner l’acquisto, tramite il Reich e i Lànder, di grandi quantitativi di biglietti, per distri­ buirli ai meritevoli. Il ministro Schemm ha confermato otto gior­ ni fa questa promessa per Bayreuth». Naturalmente nello stesso tempo continuava la propaganda ufficiale: senza tenere conto degli effetti che aveva per il teatro e il festival. Un articolo dei «Monatsblàtter des Bayreuther Bundes der deutschen Jugend», citato con parole favorevoli dal « Volkischer Beobachter» del i° febbraio, si riempie così la bocca: «I nemici dell’ideale bayreuthiano e gli oppositori di Wagner sono dunque quegli ambienti che con ottusità rifiutano quanto vivifica moralmente ed eleva spiritualmente, e hanno un atteggiamento ostile [...] perché non possono sperare alcun vantaggio dalla rina­ scita della Germania. Questo fatto si è rivelato in modo partico­ larmente chiaro quando nel 1924 si riaprirono le porte del Fest­ spielhaus, rimaste chiuse per dodici anni a causa della guerra mondiale e del generale sconvolgimento. Allora la rappresenta­ zione dei drammi di redenzione tedesca si risolse in un grandioso annuncio dell’imminente risveglio dello spirito tedesco. Fu esal­ tante quando, alla fine della prima rappresentazione dei Maestri cantoris gli spettatori, presi dall’entusiasmo, si alzarono per into­ nare l’inno nazionale. Questo avvenimento ebbe sui nuovi dei della Germania un effetto simile a quello del richiamo del corno di Sigfrido sul predatore del " tesoro”. Guizzò come un lampo nel covo di coloro che s’illudevano di tenere eternamente nei loro ar­ tigli la Germania [...]. Sì, le opere di Wagner sono propaganda nazionale. Hanno la funzione di esaltare lo spirito tedesco. Sono,

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secondo la spiegazione del loro creatore, " scritte confidando nel­ lo spirito tedesco ”. La collina del festival deve essere appunto un luogo di pellegrinaggio dei tedeschi...» Winifred Wagner non fu certo soddisfatta nel leggere e nell’ascoltare tali vigorosi giuramenti. Ce lo conferma una singolare fonte storica. Ci sono arrivate le lettere della sua intima collabo­ ratrice Lieselotte Schmidt. La signorina Schmidt era una fedele wagneriana e una nazista convinta. Lieta o triste, ha comunicato ai suoi genitori negli anni dal 1933 al 1937 quanto avveniva nel Festspielhaus e a Wahnfried. Il 19 maggio 1933 informa: «La signora Wagner ha giorni spiacevoli a Berlino. La sobillazione contro Bayreuth - anch’essa in fondo di origine ebraica - non si ritrae dinanzi a nessuna bugia e bassezza». Una settimana dopo entra in particolari: «Le forze delle tenebre sono instancabilmen­ te all’opera e purtroppo con successo: secondo i piani e in modo estremamente raffinato l’intangibile Bayreuth viene privata dei suoi ultimi appoggi, e la cosa piu triste è che si ha l’impressione che al vertice non ci si voglia render conto di questo. Hanno li libero accesso e facoltà di parola persone che non sono degne di tale onore, né hanno la piu pallida idea di Bayreuth. Il fatto piu tragico è che Bayreuth non è mai stata cosi attaccata su tutti i fronti come ora nel Terzo Reich. Siamo in una gelida solitudine, abbandonati da tutti gli spiriti buoni — ci sono fedeli soltanto Knittel e Tietjen, che Dio solo sa in che difficilissima posizione si trovi e in che modo inaudito venga trattato». A metà giugno, dunque già durante le prove per il festival, Lieselotte Schmidt ri­ porta anche le cifre: «Il nostro prevedibile deficit calcolato da Knittel è purtroppo la pura verità! [...]. Abbiamo finora venduto dodici delle ventuno recite; e per passare dall’undicesima alla do­ dicesima si è impiegato piu di un mese. Si è rinunciato — ringra­ ziando Iddio — ai posti a quaranta marchi per le tre recite centrali dei Maestri cantori e li si è fissati a trenta marchi [...]. Gli spet­ tatori del festival ottengono, dietro esibizione del biglietto d’in­ gresso, il 33 per cento di riduzione sui viaggi in treno, come per i biglietti festivi. Per molti questa è una facilitazione essen­ ziale...»

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Il 28 giugno si compie l’atteso miracolo del Graal. Winifred Wagner si reca a Berlino per far visita al suo amico e cancelliere del Reich, che a Wahnfried si faceva chiamare dalla signora di Bayreuth e dai suoi figli col nome di «Wolf». «Dall’altro ieri siamo liberi dai nostri piu gravi pensieri: Wolf [Hitler] ha preso su di sé le nostre preoccupazioni. Ha chiamato a Berlino la signo­ ra W., che è accorsa, e in capo a un quarto d’ora eccoci aiutati — e in che modo! È come abbiamo sempre pensato: egli ignaro di tutto, e nella sua cerchia voci che forse per motivi fin troppo umani non sono affatto bendisposte verso di noi [...]. La Baviera mette a disposizione cinquantamila marchi per comprare biglietti e si sono invitati gli altri Lànder a fare lo stesso. Non è nobile? Ciò è avvenuto martedì [...] e mercoledì è giunta la telefonata li­ beratoria della signora W. Il piu perfetto accordo come sempre, nessun contrasto e nessuna incomprensione tra loro...» La ricostruzione degli avvenimenti rende evidente che Wini­ fred Wagner all’inizio del 1933 non aveva minimamente pensato di attuare, in corrispondenza con il generale « adeguamento » anti­ semita allora organizzato in tutti i settori, un analogo adegua­ mento a Bayreuth. Poiché Bayreuth interpretava comunque l’e­ redità di Richard Wagner come impegno a un’ideologia nazista e antisemita, non c’era bisogno di allontanare dalla direzione i bolscevichi della cultura e la sottospecie ebraica. Mentre squa­ dre d’azione organizzate scacciavano dai grandi teatri lirici i di­ rettori stabili ebrei e dall’opera di stato di Dresda anche il «pu­ ro ariano» Fritz Busch, un tempo direttore a Bayreuth dei Mae­ stri cantori, tali pulizie per il festival del 1933 sembravano su­ perflue. In realtà, dopo il ritiro di Furtwangler e il rifiuto di To­ scanini, si poteva contare solo su Karl Elmendorff per le due re­ pliche dell’Anello del Nibelungo e per la metà delle otto rappre­ sentazioni dei Maestri cantori. Ma Toscanini aveva originaria­ mente accettato di dirigere i Maestri cantori di Norimberga e il Parsifal. Come secondo direttore dei Maestri cantori subentrò Heinz Tietjen. Ma così, a differenza del cast del 1931 con Furt­ wangler e Toscanini, per il grande spettacolo nazionale del festi-

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vai di Bayreuth del 1933 fu possibile presentare solo i nomi dei signori Elmendorff e Tietjen. In questa situazione Tietjen arrivò all’idea di spingere il sessantanovenne Richard Strauss a dirigere il Parsifal al posto del maestro italiano. Strauss era vulnerabile; suo figlio era sposato con una ebrea, il suo librettista Hofmannsthal era un mezzo ebreo e la sua nuova opera La donna silenziosa contaminata da un libretto ebreo di Stefan Zweig. Richard Strauss non era un debuttante a Bayreuth. Ancora giovane vi aveva diretto nel 1894, per invito di Cosima, il Tann­ hauser, e aveva conosciuto in tale occasione la cantante che inter­ pretava il ruolo di Elisabetta, Pauline de Ahna, di li a poco signo­ ra Pauline Strauss. Cosima lo aveva scherzosamente rimprovera­ to: Scriveva musica moderna cosi orribile, ma dirigeva il Tann­ hauser cosi bene... Richard Strauss ha accettato e nell’estate del 1933 ha diretto il Parsifal. Solo con triste riluttanza possiamo leggere oggi una lettera di Strauss a Stefan Zweig, che lo rimproverava per quella decisione, e per aver accettato di dirigere i concerti dell’espulso Bruno Walter. Se Strauss si giustifica — in modo molto brutale — davanti a Stefan Zweig, lo fa senza dubbio per interesse perso­ nale. Si deve impedire che Zweig, per ragioni di paternità arti­ stica, faccia vietare La donna silenziosa. D’altro canto bisogna pur stare dalla parte dei nuovi padroni, per far sì che le opere di Strauss e Hofmannsthal continuino ad essere rappresentate. Il festival si svolge, in tale situazione, nel pieno rispetto del programma. Il popolo aspetta il suo Fuhrer. Winifred fa da pa­ drona di casa ed è salutata col baciamano e con l’appellativo di «nobile signora». Il cancelliere e amico di Wagner aveva proibi­ to, con una comunicazione ufficiale, l’esecuzione dell’inno nazio­ nale tedesco e dell’inno del partito: a Bayreuth cedeva il passo a Richard Wagner. Mentre si verifica tutto questo, Winifred prende la sua deci­ sione. Il 4 agosto 1933 scrive a Heinz Tietjen la seguente lettera di nomina: «Quando con la morte di Siegfried mi è stato affidato l’enorme peso della responsabilità per il proseguimento del festi-

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vai, mi ha occupato giorno e notte questo bruciante interrogati­ vo: "Dove trovare un regista e direttore in grado di approfondi­ re, grazie al totale dominio della partitura, del libretto e delle intenzioni sceniche del maestro, l’anima artistica di Bayreuth? Dove trovare un aiuto disinteressato per poter assolvere il mio compito? ” Lei, caro signor Tietjen, aveva già mostrato in tanti anni di attività artistica di possedere tutte le molteplici capacità per quest’opera, e il primo contatto con lei ha portato alla felice constatazione che ella non solo possiede quelle qualità artistiche, ma ha anche la grandezza umana per mettersi senza riserve al ser­ vizio dell’opera stessa. Lo svolgimento del festival di quest’anno mi ha confermato nell’idea che lei sia il designato. Continui ad aiutarmi con una fedele collaborazione, e conduca gradualmente mio figlio Wieland al compito della sua vita: essere il degno suc­ cessore di suo padre al servizio dell’opera di Bayreuth». Questa è d’ora in poi la costellazione bayreuthiana fino alla nuova guerra mondiale: Winifred Wagner e Heinz Tietjen. Uno stretto legame personale, che forse non viene sanzionato legal­ mente perché altrimenti il testamento congiunto di Siegfried e Winifred Wagner avrebbe imposto un mutamento dei rappor­ ti di potere. È qui la radice del conflitto che si va lentamente acutizzando tra il figlio maggiore Wieland e sua madre: per non parlare del rapporto, dominato dall’odio reciproco, tra Wieland Wagner e Heinz Tietjen. Il festival di Bayreuth del 1933 aveva fatto nascere di fronte al mondo esterno e per un certo periodo di tempo anche all’inter­ no del Festspielhaus una sorta di solidarietà familiare. Ma presto si vide che nessuna delle tensioni precedenti era risolta. Le co­ gnate continuavano a lottare contro la signora del Festspielhaus, protetta dal cancelliere del Reich. Non si aveva niente da ridire intorno al chiasso politico sul Fuhrer e Wagner, ma ci si ritraeva con orrore davanti a un rinnovamento artistico della prassi rap­ presentativa, com’era nelle aspirazioni di Winifred, Tietjen e Preetorius. Sembrava prepararsi qualcosa di spaventoso: un Parsifal rin­ novato, privo dunque di quei vecchissimi scenari del dramma

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sacro, familiari dal 1882 a qualsiasi spettatore di Bayreuth. Nel 1933 si erano ancora presentate le solite scene, utilizzate alla me­ glio da Daniela Thode per un adattamento tradizionale. Quando si sparge la voce che per il 1934 è in preparazione un nuovo allestimento del Parsifal sotto la direzione di Heinz Tiet­ jen, con nuovi scenari e costumi, si arriva ad un ultimo grande confronto tra la vecchia Bayreuth e la Bayreuth di Winifred e Tietjen. La cosiddetta «petizione Parsifal» del settembre 1933, indirizzata alla «direzione del festival di Bayreuth», è un docu­ mento singolare. «Le scene sulle quali si è posato l’occhio del maestro parlano ancor oggi ai nostri sentimenti il loro linguaggio particolare, inimitabile, legato indissolubilmente alla solennità dell’intera opera». Il passo dove si parla degli occhi del maestro è stampato nel testo originale in caratteri spaziati. La petizione si conclude con la seguente richiesta, in forma di ultimatum: «I fir­ matari, vecchi e giovani amici di Bayreuth, indirizzano perciò alla direzione del festival la pressante preghiera di continuare a rappresentare il Parsifal, dramma sacro, in nessun’altra forma sce­ nica se non in quella originaria del 1882, e di erigere cosi nello stesso tempo al maestro di Bayreuth il solo monumento degno di lui, perché rispecchiante in modo vivo la natura sua e della sua arte assolutamente unica e incomparabile». Firmatari sono, co­ me c’era da aspettarsi, Eva Chamberlain e Daniela Thode, nonché naturalmente Hans von Wolzogen e alcuni membri di questa frazione minoritaria. Ha però firmato anche Richard Strauss. Cosa si abbia in mente, non è un segreto. Si vorrebbe annulla­ re la precedente decisione del Reichstag tedesco e ripristinare per decreto del Fiihrer i diritti esclusivi di Bayreuth sul Parsifal. Da qui il tentativo, altrimenti piuttosto ridicolo, di difendere il con­ sacrato apparato scenico originario. Wolfgang Golther, germani­ sta, wagneriano e antisemita, esprime tutto questo con obietti­ vità nelle sue lettere a Eva Chamberlain. Si mira a un «colloquio riservato con il Fiihrer», per «restituire a Bayreuth il Parsifal, imporre ai teatri una percentuale su tutte le rappresentazioni a favore del fondo del festival di Bayreuth e procurare alla cassa

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per le borse di studio una sovvenzione del Reich ». La conseguen­ za? «Allora sarebbe garantito in modo ideale il festival, senza che, come quest’anno, si debba cercare all’ultimo momento sal­ vezza per mezzo del Reich ». Ciò significa naturalmente estromettere Heinz Tietjen ed esautorare la signora Winifred. Tietjen è, come è noto, il sovrin­ tendente dell’opera di stato di Berlino. Ciò che Golther ne pen­ sa, lo rivela alla figlia di Richard Wagner il 29 ottobre 1933: «L’Opera di stato sotto Tietjen è la roccaforte dello spirito non tedesco! E perciò Tietjen è al posto sbagliato [...]. Cosa si deve dire di un teatro dove continuano a dirigere Klemperer e Klei­ ber? » Del resto allora solo a Erich Kleiber e a Leo Blech era an­ cora permesso di salire sul podio dell’Unter den Linden. Otto Klemperer in quel periodo non vi dirigeva più. Sembra che verso la fine del 1933 Winifred e Tietjen abbiano mirato a un compromesso. Rinnovamento del Parsifal come pre­ visto, ma appoggio a tutti gli sforzi volti a ridare a Bayreuth l’esclusiva sull’ultima opera di Richard Wagner. La questione è stata senz’altro trattata alla cancelleria, ma il cancelliere desidera una nuova messinscena e un nuovo allestimento. Fallisce cosi la «petizione». Tietjen scrive trionfante a Daniela Thode (12 gen­ naio 1934): «La decisione di un nuovo allestimento del Parsifal è strettamente connessa con la legge di protezione delle opere di Wagner, che fra breve verrà varata dal governo. Questa decisio­ ne è stata presa dal Fùhrer stesso, e non è quindi soggetta a critiche. Credere che egli si faccia influenzare in qualche modo nelle sue decisioni significa non conoscerlo». Richard Strauss ha perduto ormai interesse ai sacri scenari di un tempo. Lo interessa invece enormemente la modifica della protezione dei diritti d’autore. Del resto allungare il periodo di proprietà riservata significa al tempo stesso adeguare i diritti d’autore tedeschi alle norme internazionali. Il caso del Parsifal è naturalmente anche un precedente per un futuro prolungamento del periodo di proprietà riservata delle opere di Richard Strauss. Strauss ha buoni legami con le alte autorità del partito nazista tedesco, e li mette a frutto. A dicembre s’intrattiene sulla que­

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stione alla cancelleria. A Monaco tenta di guadagnare alla sua causa il dottor Hans Frank. A novembre ha ancora uno scambio epistolare con Joseph Goebbels sulla faccenda dei diritti d’auto­ re. Il 16 dicembre 1934 Strauss scrive anche a Winifred: «I ministri Goebbels e Frank, che da Amburgo ho bombardato an­ cora una volta di lettere, hanno risposto». È evidentemente in progetto una legge sui diritti d’autore con un periodo di proprie­ tà riservata di cinquant’anni. Questo chiaramente non basta al compositore di Salomè. Da qui la domanda alla signora Winifred: «Devo io stesso prendere appuntamento col Fiihrer? » Le obie­ zioni al nuovo allestimento del Parsifal per il festival del 1934 sono evidentemente dimenticate, perché Strauss, accanto al ri­ chiamato direttore Franz von Hoesslin, ha diretto anche alcune rappresentazioni di questo nuovo Parsifal del 1934. Non fu tuttavia Preetorius a disegnare gli scenari. Le quinte su cui si era posato l’occhio di Richard Wagner dovettero far posto ai bozzetti di uno scenografo di grande valore, che però meno di ogni altro ci si sarebbe aspettato a quel posto. Alfred Roller era amico e scenografo di Hugo von Hoffmannsthal e Max Reinhardt. Per loro egli aveva fornito a Dresda le scene e i co­ stumi, in continuazione imitati, del Cavaliere della rosa. Wini­ fred Wagner ha in seguito riferito come si sia giunti all’ingaggio di Roller. Alla cancelleria si era discusso sui possibili scenografi e si era fatto anche il nome di Roller. Il Fiihrer, wagneriano con­ vinto, decise per lui: Roller gli era ben noto dai tempi di Vienna; a quell’epoca egli, solo fra tutti, si era adoperato, come è noto senza successo, per consentire al pittore e disegnatore Adolf Hit­ ler gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Vienna. Ciò che aveva fatto non era stato dimenticato. Una cosa comunque si raggiunse: questo festival del 1934 fu senza scandali e senza un profondo significato artistico. Il mondo fuori del Terzo Reich sembrava essersi rassegnato a quello che sta­ va accadendo. Un mese prima dell’inizio del festival, il 30 giugno, il Fiihrer aveva predisposto un bagno di sangue tra i suoi fedeli vassalli di ieri. Il capo di stato maggiore Ernst Rohm e molti altri furono improvvisamente considerati traditori e rifiuti umani. Su-

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bito dopo ci si recò al Festspielhaus per accogliere con gioia il messaggio wagneriano della pietà nel nuovo allestimento del Par­ sifal. Qui nessuno era diventato sapiente attraverso la pietà. Si cercava davvero invano il puro folle. Riguardo al bilancio finanziario esiste da parte del ministero per l’istruzione popolare e la propaganda una nota non priva d’interesse di un consigliere ministeriale. Ne risulta che il Reich aveva prenotato n 310 biglietti al prezzo normale di trenta e quindici marchi. Inoltre Winifred Wagner aveva distribuito, a sua discrezione, ma a spese del Reich, altri biglietti per un am­ montare superiore ai trentasettemila marchi. «La volontà del Fiihrer — annota il consigliere ministeriale dottor Ott — di salva­ guardare in ogni caso l’opera di Bayreuth e di rendere insieme possibile ai meno abbienti di assistere al festival è stata cosi at­ tuata». Il burocrate fa però rilevare che il festival, come è noto, aveva registrato «il quasi tutto esaurito» e che si erano anche ottenuti quasi centomila marchi per la trasmissione radiofonica dell’Anello. Probabilmente si sarebbe chiuso in attivo. Era lecito chiedersi se lo stato dovesse rimborsare l’intero prezzo dei bi­ glietti che si era riservati. I giuristi, e in primo luogo il professor Cari Schmitt, consi­ gliere statale prussiano e giurista della corona, avevano ampia­ mente giustificato l’uccisione di Rohm e delle altre vittime del 30 giugno, avvenuta senza processo e relativa sentenza, come «lecita» per diritto sovrano del Fiihrer. Ma per le questioni finan­ ziarie nel Terzo Reich non si era evidentemente altrettanto gene­ rosi. Il collaboratore di Joseph Goebbels viene perciò al punto cruciale: «Poiché si deve considerare che la Corte dei conti esi­ gerà un rapporto sui fondi del Reich spesi a tale scopo, e poiché, secondo i principi generali del regolamento del bilancio del Reich, [...] appare necessario che l’amministrazione del festival di Bay­ reuth presenti una documentazione delle entrate e delle uscite, è stato previsto che un rappresentante del ministero abbia l’inca­ rico di parlare personalmente con la signora Wagner sul problema della forma e della necessità di una simile documentazione. Il con­ tatto personale con la signora Wagner è stato particolarmente au­

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spicato dal ministro dottor Goebbels, per evitare qualsiasi equi­ voco da parte della signora». Deve esserci stato un colloquio te­ lefonico con Bayreuth, durante il quale è stato riguardosamente comunicato «che si voleva semplicemente un rapporto somma­ rio e non si pensava a una dettagliata revisione dei conti». Il ministro stava dunque all’erta e aveva capito che sulla collina del festival si governava molto fermamente secondo il Fiihrerprinzip. Dopo il festival si dovette innanzitutto fare i conti con la frazione dei vecchi bayreuthiani riuniti intorno a Daniela Thode e a Eva Chamberlain. Zinsstag di Basilea, settario della vecchia Bayreuth, che ha pubblicato dopo la fine della seconda guerra mondiale la corrispondenza tenuta in quel periodo, scrive 1’8 no­ vembre 1935 a Daniela Thode di essere stato informato di non «azzardarsi a ritornare sul suolo tedesco». Il provvedimento di espulsione è da lui ricondotto all’influsso di Winifred Wagner: «La sua posizione di estrema vicinanza al cancelliere suggerisce il concetto di "lesa maestà”». Tutto questo era stato preceduto da un duro scambio di lettere tra Winifred e Zinsstag. Winifred, che si è servita in questa corrispondenza della formula «Heinz Tiet­ jen e io», afferma: «Lei non ha assolutamente alcun diritto di porre per il popolo tedesco e per il restante mondo culturale richieste perentorie, perché è semplicemente il portavoce di un piccolo gruppo destinato a scomparire, a me ben noto, che si è purtroppo separato dall’antica comunità di Bayreuth e della cui comprensione e appoggio ho dovuto imparare a fare a meno nel mio lavoro». In effetti non si possono dimenticare le parole con cui uno di questi vecchi bayreuthiani (P. Prestisch), firmatario anch’egli di quella petizione-Parsifal, caratterizza in una lettera la vedova di Siegfried Wagner: «È a mio parere soltanto il docile [...] stru­ mento nelle mani del convinto ex comunista Tietjen, che ha con­ tinuamente chiamato in posti chiave collaboratori di origine raz­ ziale sospetta come Preetorius, Palm e altri». Kurt Palm era l’ec­ cellente disegnatore dei costumi di Bayreuth, che dopo la guerra ha collaborato per anni con Wieland e Wolfgang Wagner. Fu del

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resto anche amico intimo e consigliere artistico di Bertolt Brecht nella formazione del Berliner Ensemble a Berlino Est. In quest’atmosfera di intrighi e di lotte per il potere tra il Fest­ spielhaus e la cancelleria del Reich, Daniela Thode ha rifiutato con grande dignità di stare al gioco. Una lettera a Heinz Tietjen del 18 gennaio 1934 è redatta nel linguaggio del vinto. Si è espli­ citamente tenuta lontana la figlia di Cosima da tutte le manifesta­ zioni ufficiali di Wahnfried, cioè della casa paterna. Heinz Tietjen deve perciò leggere nella lettera della figlia di Cosima e Hans von Biilow le seguenti parole: «Lei crede o piuttosto suppone che gli altri possano credere che qui due mondi prendano l’uno il sopravvento sull’altro. È cosi, in senso spirituale, artistico e morale. Chiamiamoli i mondi del xix e xx secolo [...]. Quando però ascolto dalle sue labbra che Wieland viene educato a "go­ vernare”, allora sono presa da vero spavento. A Bayreuth non si è mai "governato”, si è solo "servito” con grande umiltà». Dal punto di vista artistico il festival del 1934 ha lasciato, sotto ogni aspetto, una debole impressione. Al dispiacere dei tradizionalisti per la scomparsa dell’originario allestimento del Parsifal si unì il generale imbarazzo per i nuovi bozzetti di Roller, che negli anni successivi furono in un primo momento modificati da Preetorius e già nel 1937 sostituiti dai nuovi bozzetti di Wie­ land Wagner. Il predicatore Martin di Magdeburgo ha annotato le Impressioni bayreuthiane dell’anno 1934. Egli si compiace del mutamento rispetto ai tempi precedenti: «Come è cambiato il pubblico dagli anni passati! Mancano molti di quei personaggi guardati dai bayreuthiani come uccelli esotici. Al loro posto si vedono in sala parecchi uomini in camicia bruna. Il Fiihrer ha saputo ricompensare Bayreuth perché essa ha creduto in lui an­ che negli anni piu oscuri. È certamente una grande idea del Fiihrer consentire che partecipino al festival persone che senza que­ sto aiuto non avrebbero potuto assistervi. È certamente una gran­ de idea del Fiihrer rendere evidente ai suoi combattenti, attra­ verso l’opera di Bayreuth, il piu profondo significato della loro lotta. Davanti a tale grandezza si dimenticano i piccoli nei che negli anni futuri potranno essere eliminati grazie a una migliore

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preparazione degli spettatori [...]. Forse mai come adesso nel Ter­ zo Reich VAnello di Wagner è stato sentito così poco come godi­ mento e tanto come compito e servizio...» La necessità di questo servizio teatrale delle camice brune viene ideologicamente rafforzata dalle vigorose frasi di Alfred Rosenberg. Ma nonostante una così buona disposizione d’animo, il religioso è costretto ad ammettere: «C’è discordanza di opi­ nioni sul nuovo allestimento del Parsifal». Attenendosi alle paro­ le di Hans Sachs nei Maestri cantori, egli vorrebbe chiamare il popolo a giudice. Si dovrebbero rappresentare a scelta l’uno ac­ canto all’altro il vecchio e il nuovo allestimento... Lo schema finanziario sperimentato nel 1934 rimase in certa misura stabile negli anni in cui Winifred Wagner diresse il festi­ val, dato che Bayreuth non ha naturalmente concesso riduzioni di sorta in considerazione del suo attivo. Nel 1935 il festival non ha avuto luogo. Ne è quindi derivata una perdita di centosessantottomila marchi. Negli anni seguenti, fino al 1939, si è potuta in genere ottenere una sovvenzione da parte della cancelleria di cen­ tomila marchi. La somma proveniva dal conto del cancelliere. Ad essa si aggiungevano i fondi del Reich per l’acquisto dei biglietti e per le registrazioni radiofoniche. (La radio del Reich aveva effet­ tuato per la prima volta nel 1931 una trasmissione in collega­ mento mondiale del Tristano diretto da Furtwangler). Anche durante la guerra venne concessa per il 1941 la sov­ venzione personale del cancelliere. Del resto l’organizzazione Kraft durch Freude ' pagò gran parte delle spese. Nel 1942, quan­ do si potè allestire una sola recita complessiva dell ’Anello e quat­ tro singole rappresentazioni dei Maestri cantori, la sovvenzione totale dell’organizzazione Kraft durch Freude assommò in tutto a un milione e seicentomila marchi. In quegli anni sulla collina del festival il vero signore è Heinz Tietjen a fianco di Winifred Wagner. Egli dirige il festival del 1936, anno delle Olimpiadi di Berlino, nel segno della mobili1 Organizzazione dopolavoristica della Germania nazista, costituita il 28 novem­ bre 1933 dal capo del Fronte del lavoro, Robert Ley.

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tazione generale e dell’incorporamento prima dell’Austria, poi del territorio dei Sudeti, infine dell’intera repubblica cecoslo­ vacca nel «grande Reich » tedesco da edificarsi secondo il Fuhrerprinzip. Nel 1936 Wilhelm Furtwangler, che era stato trattato con durezza dopo il suo intervento a favore di Paul Hindemith, ri­ torna a Bayreuth. L’allestimento del Lohengrin continua appa­ rentemente la linea che Winifred Wagner aveva perseguito nel 1931 con l’aiuto del triumvirato Furtwangler, Tietjen, e Preetorius. Grazie ai dischi possiamo giudicare le prestazioni dei can­ tanti dell’epoca. Erano in coppia Maria Miiller e Franz Vòlker, quasi insuperabili nella padronanza vocale dei ruoli di Lohengrin ed Elsa. La coppia malvagia Ortruda-Telramondo, interpretata da Margarete Klose e Jaro Prohaska, non era da meno. Tuttavia fu qualcosa di più e di diverso della rappresentazione di un’opera romantica al Festspielhaus di Bayreuth. Vi si ascoltò e vi si do­ veva ascoltare qualcos’altro. Si ascoltò quanto re Enrico annun­ ciava ai nobili di Brabante: Nun ist es Zeit, des Reiches Ehr’ zu wahren; oh Ost, ob West, das gelte alien gleich! Was deutsches Land heiBt, stelle Kampfesscharen, dann schmaht wohl niemand mehr das Deutsche Reich! *.

Il cavaliere del cigno e il re tedesco erano unanimi. Lohen­ grin può annunciare poco prima di congedarsi: Doch, groBer Konig, laB’ mich dir weissagen: Dir Reinem ist ein groBer Sieg verliehn. Nach Deutschland sollen noch in fernsten Tagen des Ostens Horden siegreich niemals ziehn!1 2.

Tutto questo venne tenuto ben presente nell’ex palco reale, e anche nelle file del famoso anfiteatro. 1 È tempo di difendere l’onore dell’impero; | a est o a ovest, valga ciò per tutti! | Ogni terra tedesca metta in campo le sue schiere, | e certo piu nessuno spregerà l’impero tedesco! 2 Pure, gran re, lascia ch’io ti predica: | a te, uomo puro, è concessa una grande vit­ toria. | Mai piu, neppure nei giorni piu lontani, | le orde d’Oriente muoveranno verso la Germania vittoriose!

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Gli artisti ebrei avevano potuto collaborare, se non alla dire­ zione artistica, almeno come cantanti, sotto Siegfried Wagner e poi sotto il governo di Winifred, passato ormai a Heinz Tietjen: l’insostituibile Wotan di Friedrich Schorr, Alexander Kipnis e Emanuel List nei grandi ruoli di basso. Frida Leider era sposata a un ebreo. Ma di lì a poco Kipnis e List se ne andarono a canta­ re a New York; la lista dei collaboratori della nuova Bayreuth fu sempre piu chiaramente «arianizzata». È interessante fare un paragone, sulla base del paese d’origine, fra i principali cantanti di allora e il cast dei festival di Bayreuth dal 1951. Come ai tempi di Richard e Cosima, Bayreuth ha potuto ricorrere fino al 1939 agli eminenti cantanti wagneriani dei teatri tedeschi statali e co­ munali. Lohengrin e Tristano, Kundry e Sachs erano cantanti tedeschi che potevano servirsi della loro madre lingua. Al contra­ rio il repertorio wagneriano di un teatro come il Metropolitan di New York, che rappresentava tutte le opere in lingua originale, era allora quasi sempre contestato dai cantanti tedeschi che vi venivano chiamati. Eccezioni ci furono a Bayreuth solo nel 1939, quando il direttore italiano Victor de Sabata diresse il Tristano, mentre nel ruolo di Isotta cantava il soprano parigino Germaine Lubin, che aveva già cantato nel 1938 nel ruolo di Kundry. Dopo il 1944 la cantante a Parigi venne messa al bando dai suoi conna­ zionali come collaborazionista. Il teatro lirico di Tietjen e Preetorius rimase in sostanza tradi­ zionalista. Non si aspirava a una nuova interpretazione delle ope­ re wagneriane. Non ci si dedicava infatti a «smembramenti», ma si voleva custodire un’opera d’arte assoluta e farle assaporare e godere in un luogo illustre. Si mirava a un approfondimento psi­ cologico nell’affiatamento dei cantanti, raggiunto con gusto e abi­ lità. Fu possibile ingaggiare bravi strumenti ad arco. Si realizzò un Wagner splendido, ma in tal modo non si riuscì a istaurare un rapporto tra le opere d’arte e il mondo esterno contemporaneo, che doveva essere riconosciuto come un nuovo periodo d’ante­ guerra. Si giocò un pochino con le associazioni: Mime e Alberico come uomini inferiori, Beckmesser come l’intellettuale ebreo

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beffato, la spada tedesca del Lohengrin e i «maestri tedeschi» del discorso di Hans Sachs. Heinz Tietjen era, pur con tutte le sue molteplici doti, un conformista e un opportunista. In un discorso del 30 gennaio 1936, dunque nell’anniversario della «presa di potere», egli si richiamò a una conversazione avuta con Hitler nell’estate del 1930 a Bayreuth. Questi gli aveva dato la seguente parola d’or­ dine: «tener duro». Ciò era stato necessario «perché la musica di Richard Wagner non era amata nel precedente regime». L’affer­ mazione è quasi incomprensibile sulla bocca di un sovrintenden­ te prussiano che non poteva ignorare le brillanti rappresentazioni wagneriane di Kleiber e Klemperer e che ben sapeva come né il governo del Reich, né il ministro prussiano della pubblica istru­ zione della repubblica di Weimar, che era pur sempre Adolf Grimme, fossero mai arrivati all’idea di esercitare una censura negativa. In quell’«appello» a Berlino il direttore artistico re­ sponsabile di Bayreuth può inoltre comunicare ai suoi seguaci che il Fiihrer, come spettatore, aveva criticato la stonatura del­ l’oboe sfuggita purtroppo al direttore Richard Strauss. Questi discorsi e queste azioni di Tietjen al fianco di Winifred Wagner spiegano la crescente opposizione dei fratelli Wieland e Wolfgang. Comincia qui il contrasto soprattutto di Wieland con sua madre e con Tietjen. C’erano sicuramente in gioco anche i sentimenti e i risentimenti di un principe ereditario che viene tenuto lontano dall’ascesa al trono. Oreste e Amleto: bisognava tener conto anche di questo. Heinz Tietjen come Egisto e Clau­ dio. Ma in un artista significativo come Wieland Wagner non porta troppo avanti la psicologia del profondo che egli piu tar­ di fece spesso entrare fino all’eccesso nelle sue nuove interpre­ tazioni di opere del teatro lirico. Ciò che si preannuncia fin dallo scoppio della guerra del 1939 nel suo comportamento verso Tiet­ jen e quindi anche verso la madre è una crescente amarezza con­ tro un teatro lirico non impegnativo che in fondo non prende più sul serio le opere di Richard Wagner a Bayreuth, che non ela­ bora e non si interroga più in modo nuovo, che insomma non opera in senso problematico. Tietjen presenta un teatro lirico con

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bravi cantanti, buona regia e allestimenti piacevoli, un teatro che potrebbe eseguire in modo ugualmente splendido e brillante an­ che opere del tutto diverse. Il contrasto tra Heinz Tietjen e Wieland Wagner inizia già qui. Tietjen assimila le creazioni di Richard Wagner, non esclusa la sagra scenica, a un teatro lirico gastronomico buono per tutti e privo di qualsiasi messaggio. Wieland Wagner maturo tenta di mettere gradualmente a frutto le esperienze e i risultati di una nuova interpretazione dell’arte wagneriana anche nella realizza­ zione di altre opere del repertorio lirico, in Carmen e Salomè, Wozzeck e Lulu, Verdi e Gluck.

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Il festival del 1939 presentò cinque recite del Parsifal, sei del Tristano diretto da Victor de Sabata, cinque del Vascello fanta­ sma e due, dirette da Heinz Tietjen, dell’Anello del Nibelungo. Immediatamente dopo la chiusura del festival, ascoltato con la consueta passione, il Fiihrer e cancelliere tedesco provocò un con­ flitto mondiale per la città libera di Danzica. La separazione man­ tenuta ferma da Winifred Wagner tra festival e mondo esterno fu in questo caso stilizzata fino al grottesco. L’amico di casa Wahn­ fried divideva il suo tempo tra le rappresentazioni sulla collina del festival e i preparativi di un comandante supremo, il quale va in guerra ben consapevole che ne potrebbe nascere un conflitto mondiale. Carl J. Burckhardt, allora alto commissario della So­ cietà delle Nazioni per la città libera di Danzica, ha tentato alla fine dell’agosto 1939, all’Obersalzberg, se non di fermare gli av­ venimenti, almeno di chiarirne le conseguenze al suo interlocu­ tore. Naturalmente senza essere ascoltato. Il festival di quell’anno fu un festival prebellico. Almeno dal 1937 non si poteva più parlare di pace. Come fosse impossibile tener lontano il mondo solenne di Bayreuth, quella festa di lu­ glio e agosto, da tutto ciò che era la vita quotidiana, il mondo esterno, il «giorno desolato» di Tristano, Winifred Wagner do­

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vette già allora avvertirlo nella propria casa. Il rovinoso contatto tra il mondo di Hitler e il mondo di Wahnfried è stato in seguito duramente pagato. Se in futuro l’anziana Winifred Wagner ap­ parirà come la parodia involontaria di Madre Coraggio, ella divi­ de comunque con il famoso personaggio di Bertolt Brecht il de­ stino di vedersi togliere i figli, anche se in senso traslato, uno do­ po l’altro. Cominciò già nel 1939, ancora nel periodo prebellico, la figlia maggiore Friedelind Wagner. La secondogenita del matrimonio di Winifred con Siegfried Wagner era venuta al mondo il 29 marzo 1918. Il desiderio di pace nutrito in quell’ultimo anno di guerra aveva influenzato la scelta del nome. Quando nell’estate del 1939 la figlia maggiore di Winifred, da poco maggiorenne, si recò a Lucerna, dove Arturo Toscanini dirigeva l’orchestra del festival svizzero e collaborava con artisti come Bruno Walter, il pianista ebreo Wladimir Horowitz, suo genero, e il violinista Adolf Busch, emigrato dalla Germania, la figlia della signora di Bayreuth compì un gesto dimostrativo e provocatorio: si separò dalla famiglia, da Wahnfried e dal «grande Reich» tedesco del­ l’alto protettore. Nel suo libro The Royal Family of Bayreuth Friedelind ha piu tardi spiegato i fatti e le motivazioni. Le cose non stavano così come la madre le presentava a se stessa e al mondo: cioè che Friedelind aveva sofferto di dover assumere fin dall’inizio il ruolo della non amata davanti al signore della cancel­ leria. Friedelind, come piu tardi risultò chiaro, era legata al padre da un forte vincolo affettivo. Dopo la morte di lui (aveva allora dodici anni) sembra aver riversato il suo affetto sul maestro To­ scanini, che era venuto a Bayreuth, ospite del padre, per trion­ fare anche là. Così gli rimase fedele anche dopo la lettera di rifiuto inviata da Toscanini a Bayreuth nella primavera del 1933. Forse Daniela Thode ha favorito il legame tra Friedelind Wagner e Arturo Toscanini. A Tribschen, sul lago dei Quattro Cantoni, dove era nato Siegfried, la famiglia Wagner aveva ancora diritto di residenza. Fu lì che si recò Friedelind in quell’ultima estate anteguerra. E non è mai più ritornata. Winifred è andata a farle visita, evi­

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dentemente per ordine della cancelleria, come Friedelind raccon­ ta, per riportare a casa, nel Reich, la ribelle, ma senza alcun successo. Neppure le minacce da Berlino di rapirla con la forza, che, com’è noto, furono prese molto sul serio, ebbero alcun ef­ fetto. La vita di Friedelind Wagner somigliò d’allora in poi a una spaventosa peregrinazione. Aveva desiderato sfuggire alla guer­ ra e ai suoi fomentatori, ma venne raggiunta. È vero che ricevette un visto per l’Inghilterra, grazie ai buoni uffici di un giornalista che si riprometteva alcuni articoli sensazionali sui segreti d’alco­ va di casa Wahnfried. Ma quando la nipote di Richard Wagner si rifiutò di rispondere alle domande, venne abbandonata a se stes­ sa. Diventò improvvisamente una straniera nemica in Gran Bre­ tagna e nel 1940 fu internata nell’isola di Man. Quando Arturo Toscanini seppe dell’internamento, venne ancora una volta in suo aiuto. Egli, che dirigeva allora in Argentina, ottenne per Friedelind Wagner un contratto come cantante che la chiamava a Buenos Aires. Le fu concesso di partire: accompagnata da un sergente della polizia inglese. Ma la voce di Friedelind non basta­ va ad aprirle una carriera come solista. Toscanini la chiamò allora da Buenos Aires a New York. Piu tardi ci fu alla Camera bassa di Londra una discussione su Friedelind Wagner, da cui emerse che proprio Winston Churchill aveva concesso alla «enemy alien» l’autorizzazione a partire. A New York ella studiò alla Columbia University tecnica di dizione e drammaturgia. Un altro emigrante tedesco le diede lezioni di canto. Il baritono Herbert Janssen, tra l’altro di origine assolutamente «pura», aveva cantato a Bay­ reuth nel 1937 la parte dell’araldo nel Lohengrin. Era anche ap­ parso nel ruolo di Gunther nell’Anello e in quello di Kothner nei Maestri cantori. Janssen apparteneva alla compagnia di canto di Berlino di Heinz Tietjen, ma era emigrato e ora cantava al Metro­ politan. Durante la guerra, la figlia di Winifred dovette guadagnarsi la vita a New York, in un’America belligerante, come segretaria e ricercatrice di mercato. In compenso, già nel 1946, le riuscì un primo tentativo con ima sua compagnia operistica. Mise in scena

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il 'Tristano e Isotta e si fece fare i bozzetti delle scene dal fratello maggiore Wieland Wagner, con cui aveva sempre mantenuto i rapporti. Lo stretto legame con Wieland, sicuramente rafforzato dal comune contrasto con la madre, determinò nel 1953 il ritor­ no - provvisorio — a Bayreuth. Era naturalmente inevitabile che l’espatrio della figlia e sorel­ la Friedelind accentuasse e acuisse a Wahnfried le tensioni che erano emerse nella famiglia in modo latente da quando Heinz Tietjen si era promosso a direttore effettivo, anche se non forma­ le, del festival. Gli atti imperiosi della signora Winifred e la sua posizione privilegiata alla cancelleria non potevano far dimenti­ care che in tutte le questioni artistiche le era stata tolta da tempo la direzione del festival di Bayreuth. Bayreuth nel Terzo Reich era opera di Heinz Tietjen. Non si conoscono opposizioni da parte di Winifred ai suoi desideri e ai suoi ordini, alla fine culminati nel proposito di essere sulla collina del festival a un tempo il regista e il direttore d’orchestra di se stesso. Ma sta qui il motivo della violenta opposizione, documentabile almeno fin dal 1940, dei due figli Wieland e Wolfgang cóntro il vero signore di Bayreuth. Sembra che il contrasto dei figli nei confronti di Heinz Tiet­ jen, come i documenti fanno intendere, non fosse affatto fonda­ to in primo luogo sul tentativo da parte del sovrintendente berli­ nese di tenere lontani i nipoti di Richard Wagner da ogni colla­ borazione creativa, sebbene si trattasse indubbiamente anche di questo. Era presente piuttosto, in un senso piu profondo, un atteggiamento ostile verso il teatro lirico opportunista di Tietjen. Bayreuth decadeva nella routine. Se la si paragona agli sforzi solidali, dal 1951, dei fratelli Wieland e Wolfgang per un con­ fronto problematico mantenuto in continua tensione dialettica con quelle opere d’arte apparentemente tanto collaudate, diven­ ta evidente come i nipoti di Wagner rimproverassero al maestro di palazzo della madre soprattutto di non prendere sul serio l’o­ pera di Richard Wagner, cioè di non ripensarla in modo nuovo. Dato che la guerra in un primo momento sembra avviarsi positivamente per i tedeschi, anche Heinz Tietjen fa progetti a lunga scadenza. Nel novembre del 1941 manda Wolfgang Wag­

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ner a Berlino con un incarico ben definito. Vuole ottenere dal­ l’autorità suprema l’assicurazione che attualmente non è possibi­ le pensare a nuove scenografie a Bayreuth. Vuole insomma sapere se si deve restare fedeli al principio di quel primo festival bellico, cioè alle idee dell’organizzazione Kraft durch Freude, ovvero se sono pensabili nuovi allestimenti. Il T'annhàuser non era stato piu eseguito a Bayreuth dalle rappresentazioni di Siegfried Wag­ ner e Arturo Toscanini, e a Tietjen è ben noto che Wieland Wagner lavora da tempo al progetto di un allestimento di que­ st’opera romantica. Sembra che il signore della cancelleria abbia risposto che bi­ sognava il piu possibile evitare di proseguire nel principio della Kraft durch Freude. Dovevano essere progettati nuovi allesti­ menti del Parsifal e del Tannhauser. Ma già nell’autunno del 1941 la tensione tra i nipoti di Ri­ chard Wagner e Heinz Tietjen era diventata cosi aperta da co­ stringere quest’ultimo a fissare le posizioni in forma di prome­ moria diretti a casa Wahnfried. In uno di questi testi del 21 agosto 1941 egli deve constatare: «È da notare che l’atteggia­ mento di fondo della gioventù di Wahnfried nei miei confronti è completamente mutato nel corso di questo festival». Ci si era precedentemente accordati perché i due figli di Wagner fossero istruiti in campi separati, «allo scopo comune di poter essi un giorno governare insieme sulla collina»: Wieland soprattutto co­ me artista figurativo, Wolfgang come musicista. D’altro canto a Heinz Tietjen era ben noto che Wolfgang Wagner, come doveva in seguito risultare, era in grado di disegnare bozzetti, allo stesso modo in cui Wieland Wagner aveva ricevuto un’istruzione come direttore d’orchestra. Sembra però che Tietjen, come fa intendere il promemoria, abbia mirato a guadagnar tempo. Egli voleva differire la presa di potere da parte della «gioventù di Wahnfried» al momento della conclusione dei lavori di rinnovamento a Bayreuth; per questo scrive: «Secondo la mia opinione, spesso espressa di fronte a Wolfgang, la signora Wagner e io avremmo allora dovuto lascia­ re la direzione dell’opera, che i due giovani avrebbero assunto in

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modo autonomo e definitivo, iniziando così con il nuovo teatro una nuova era». Ma poiché Tietjen sapeva bene che in periodo di guerra non c’era da pensare a lavori di rinnovamento, in quel promemoria rivelava in realtà indirettamente la sua decisione di tener lontani a tempo indeterminato i nipoti di Wagner allora già di ventiquattro e ventidue anni. Sembra che Wieland Wagner abbia preso una posizione molto violenta contro questo progetto. Egli dice pubblicamente, evi­ dentemente con il desiderio di diffondere la notizia, che egli «in­ tende organizzare le cose proprio come ha voluto suo padre». E che «Tietjen impedisce ai giovani di Bayreuth di imparare e di emergere...» Verso la fine del 1941 — quando il Reich tedesco è già impe­ gnato nella guerra invernale con l’Unione Sovietica e ha dovuto rinunciare al desiderato ingresso spettacolare a Mosca — Wieland il 3 dicembre 1941 scrive in modo brusco alla madre: «Ho otte­ nuto da te [...] d’accordo con Heinz [Tietjen] il compito di prepa­ rare i bozzetti di scena del Tannhauser. Poiché il Tannhauser da dodici anni mi sta a cuore come nessun’altra opera e finalmente avrei potuto dare il mio contributo a Bayreuth nel campo in cui credo di aver raggiunto la stessa maturità del signor Preetorius, mi disponevo con gioia a quest’opera [...]. Determinante per la mia decisione definitiva di non poter assumere l’incarico, è stata per me la notizia [...] del 21 novembre 1941, secondo cui sono stati già spesi dalla direzione del festival sessantamila marchi per la costruzione delle scene di Preetorius [...]. Né tu né io possiamo assumerci la responsabilità che venga spesa senza senso e senza scopo questa somma enorme dopo che per decenni si è dovuto risparmiare il centesimo...» I due figli di Winifred Wagner, come hanno spesso raccontato piu tardi, avevano attribuito a Tietjen, tra loro e nella cerchia familiare, il soprannome di «elfo nero». Heinz Tietjen dunque come Alberico, non come giovane Sigfrido. In effetti le apparenti concessioni di Tietjen alla gioventù di Wahnfried e la contempo-

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ranea imposizione di fatti compiuti fanno intuire ciò che si vo­ leva intendere con quel soprannome. Poco prima di Natale (il 21 dicembre 1941) Tietjen divulga un altro promemoria per chiarire la situazione. Tre vie sembrano delinearsi: «Prima via: I rapporti tra [...] Wahnfried e me ven­ gono subito troncati; abbandono la mia carica con effetto imme­ diato [...]. Per motivi di lealtà comunico di aver registrato con fe­ deltà storica in una lettera di giustificazione al Fuhrer tutti gli av­ venimenti dal 1931, anno base, fino ai fatti piu recenti inclusi; dato che mi può capitare qualcosa finché casa Wahnfried non si è pronunciata da parte sua o poco dopo, la lettera di giustificazione in busta sigillata si trova nelle mani di una personalità che offre la sicura garanzia che tale busta verrà trasmessa al Fiihrer in perso­ na. Seconda via: Wieland Wagner viene a Berlino per una spie­ gazione [...]. Presento l’ampio materiale di prove e d’accusa di Wieland [...] e si giunge a una separazione pacifica; nel senso cioè che non abbandono ufficialmente il mio incarico, ma che, nel caso si debba preparare il prossimo festival, rimango alla condizione, plausibile a tutti, di pregare Wahnfried di mettermi "prov­ visoriamente” (per gli intimi leggi definitivamente) in conge­ do [...]. Terza via: sebbene gli avvenimenti di questa estate mi abbiano tolto la più importante dote che deve possedere il diret­ tore artistico di Bayreuth, e cioè l’entusiasmo, e al suo posto sia subentrata una profonda amarezza, [...] sono pronto a impiegare a tale scopo le ultime riserve fisiche che mi rimangono e [...] a gettare, come spero, le basi di un nuovo entusiasmo. E con ciò mi dichiaro disposto a riconciliarmi [...]. Si passa definitivamente la spugna su tutto e [...] agli estranei non si manifesta altro che l’accordo più completo e profondo tra me e casa Wahnfried nei confronti dell’opera e nelle questioni personali...» Sembra che dei due fratelli, sia stato allora disposto a una riconciliazione e a un temporaneo compromesso Wolfgang Wag­ ner piuttosto che il fratello maggiore Wieland. In realtà era Wie­ land ad essere il più colpito, perché aveva già fornito i bozzetti delle scene e intendeva progettare il rinnovamento scenico delle opere del nonno in modo differente da Emil Preetorius. E sembra

I festival di guerra

anche che egli abbia avuto idee diverse da quelle di Heinz Tietjen sulla direzione musicale delle opere. Ancora all’inizio del 1942 nessuno dei due fratelli ha qualche dubbio sulla possibilità di vincere la guerra. Si discute intorno al «festival della pace» e si spera perfino, come fa intendere una lettera di Wolfgang a sua madre (il 29 gennaio 1942), di realizza­ re questo festival già per il corrente anno 1942. Esiste l’abbozzo di una lettera non inviata di Wieland a Wolf­ gang dell’aprile 1942, dove si comunicano i progetti del Fiihrer di fissare innanzitutto due anni di festival di pace con I maestri cantori, L’anello e il Parsifal. In seguito il Festspielhaus doveva essere completamente trasformato e inaugurato con un nuovo Tannhauser. Wieland Wagner si rifiuta in questo abbozzo di lettera di con­ tinuare a lavorare come aiuto di Tietjen. Egli usa espressioni molto dure ma poi non spedisce la lettera. «In linea generale ritenevo irresponsabile rimandare per tacito accordo ogni rap­ presentazione dell’Anello a dopo i lavori di rinnovamento, a quel­ l’epoca ancora molto lontani e nebulosi, semplicemente perché mamma e Heinz [Tietjen] sono dell’opinione che al di fuori di lui non ci sia in tutta Europa un altro direttore dell’Anello, opera che egli dopo tutti gli incidenti non può ovviamente dirigere di nuovo a Bayreuth. Come ho sentito a Bayreuth, si sarebbe voluto affidarmelo — potrei davvero renderlo nuovo!...» Nel frattempo la seconda guerra mondiale si svolge in un sen­ so che è in netto contrasto con le direttive della cancelleria e con tutti Ì progettati festival della pace. Gli Stati Uniti sono in guer­ ra. Stalingrado e E1 Alamein. Notte dopo notte attacchi aerei contro la Germania. Il 20 luglio 1944 si verifica l’attentato con­ tro il comandante supremo dell’esercito. L’amico di Winifred Wagner, il wagneriano dall’animo artistico dà ordine di appen­ dere ai ganci da macellaio gli attentatori e di filmare la loro ago­ nia. Egli stesso guarda il film. Tutto ciò andava ricapitolato per dare la misura della follia di una lettera di Heinz Tietjen a Winifred Wagner, scritta una set­ timana prima dell’ultimo Natale di guerra (17 dicembre 1944).

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Il crepuscolo degli dei

«Rimarrai stupita che io possa rispondere con un "sì” senza esi­ tazioni alla domanda del Fiihrer se siano possibili spettacoli a Bayreuth nell’estate del 1945 per quanto riguarda l’esecuzione artistica e tecnica. Per questo non sarebbero necessari piu ordini del Fiihrer di quanto ce ne sia stato bisogno finora». Il manager di senso pratico non si smentisce nemmeno ades­ so: ad appena cinque mesi dal suicidio del suddetto Fiihrer e dalla disfatta tedesca. Ha di nuovo a portata di mano e da offrire le sue tre possibilità. Potrebbe perfino osare nuovi allestimenti, perché c’è «sufficiente materiale per scenari e costumi. Sono però dell’opinione che non ci si può assumere ora la responsabilità morale di una tale eventualità». In effetti Tietjen è un po’ scetti­ co e pensa: «Menziono questa possibilità solo nel caso che la situazione muti così radicalmente da spingere il Fiihrer a deside­ rare qualche nuovo allestimento». Scritto in data: dicembre 1944. La seconda via è una ripresa dei Maestri cantori. La com­ pagnia è a disposizione, «farei ugualmente tirar fuori a questo scopo i costumi dalla nostra miniera di salgemma in Turingia». La terza possibilità è di eseguire le opere in forma di concerto. Se si giungerà a una tale decisione «il Fiihrer può stabilire qual­ siasi opera egli desideri». In realtà Heinz Tietjen era un nemico giurato delle registrazioni radiofoniche. «Richard Wagner ha scritto drammi musicali che richiedono il caldo respiro della rap­ presentazione viva, che mai la radio riuscirà a sostituire». Date le circostanze, nell’estate del 1945 non fu possibile spe­ rimentare nessuna delle tre possibilità. A Bayreuth comandava il governo militare americano. La vedova di Siegfried Wagner deve liberare per le forze di occupazione l’ala di Siegfried Wagner di casa Wahnfried, dove ella aveva abitato e dove amava pernottare il suo potente ospite. I rapporti tra la nuora di Richard Wagner e il Fiihrer e cancelliere del Reich erano noti a tutti. Winifred poteva certo protestare — come piu tardi ha fatto — quando gli ufficiali americani hanno considerato la casa di Siegfried Wagner proprietà di Adolf Hitler e l’hanno requisita, ma aveva ragione solo in senso giuridico-formale. Che quella casa fosse proprietà spirituale di quel morto era fuori di ogni dubbio.

La cacciata e la riconsacrazione della casa Wieland e Wolfgang Wagner

i. Il giorno desolato.

Quando giunse il momento per il quale si era previsto solo pochi anni prima un pomposo festival della pace, Bayreuth, città della Franconia, giaceva in rovina. Le bombe erano cadute anche nel luogo dove aveva trovato pace il Wàhnen di Richard Wagner. Motivo di lutto, certo, ma era stato pur sempre l’amico di Wini­ fred Wagner a ordinare per primo la distruzione di intere città, della capitale polacca per esempio, o il bombardamento della cattedrale di Coventry in Inghilterra. Espressioni come «radere al suolo» e «coventryzzare» appartenevano al vocabolario del­ l’uomo spietato. Le cose erano andate come nel finale del Crepuscolo degli dei. L’incendio del Walhall come incendio di Wahnfried. Wieland Wagner, come suo ultimo punto di vista, ha più tardi presentato nell’allestimento della tetralogia del 1965, l’anno precedente la sua morte prematura, un palcoscenico vuoto. La musica di Ri­ chard Wagner aveva l’ultima parola, ma la cosa non sembrava più rivolgersi a creature umane. Nel maggio del 1945 non si po­ teva invece iniziare un nuovo computo del tempo, come alcuni si erano augurati, con un anno zero. Cominciò il giorno desolato: inteso non come la visione che ripugnava a Tristano desideroso di morire, ma come la quotidianità di macerie di tutti coloro che erano riusciti a sopravvivere. Che cosa era morto? Alcuni sembravano pensare, e spesso è stato anche scritto, che nel crollo del Terzo Reich la borghesia te­ desca avesse distrutto se stessa, se non nella realtà, almeno nell’i­ deologia. Seguendo tali considerazioni, la teoria artistica di Wag­ ner e dei suoi eredi si prestava ad essere il modello ideale con cui

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La cacciata e la riconsacrazione della casa

dimostrare tale declino. Mescolanza di razionalità e irrazionalità nell’opera del maestro. Strizzatine d’occhio alle teorie razziali del conte Gobineau; il salotto elitario di Cosima Wagner; i suoi scambi epistolari con principi di sangue e dello spirito. L’attività artistica di Siegfried Wagner nettamente rivolta al passato, che non ha voluto prendere atto neppure una volta delle nuove cor­ renti artistiche. Il nazionalismo e la paura esistenziale della bor­ ghesia di fronte ai «troppi»: ai Nibelunghi soprattutto, che bi­ sogna tener soggetti perché possano creare valori materiali. Il motto di Friedrich Nietzsche «vivere pericolosamente» era stato avidamente recepito a palazzo Venezia e alla cancelleria di Berli­ no. L’ammiratore di Wagner in veste di Fuhrer e cancelliere del Reich credeva di aver compreso l’ideale del giovane Sigfrido, l’audace «uomo nuovo» che rompe i patti e spezza con la spada la lancia fatta col legno del frassino del mondo *, simbolo dei pat­ ti, del diritto, della protezione dei deboli. Sembrava perciò pre­ sentarsi quell’altra simbologia: Wahnfried come Walhall, e la storia della famiglia Wagner come decadenza della borghesia. Insomma, «decadenza di una famiglia» come nei Buddenbrook del wagneriano Thomas Mann. Del resto il sottotitolo del famoso romanzo aveva un doppio senso ironico. Decadenza di una fami­ glia nel senso di una degradazione del vigore e della forza vitale, compensata però dal movimento opposto di una maggiore spiri­ tualizzazione. Hanno Buddenbrook era al tempo stesso assolu­ tamente incapace di vivere e del tutto spiritualizzato. Nessuno affermerà che le cose siano andate cosi anche con Winifred Wagner e i suoi figli. Anche se dopo la fine della guerra si cercò continuamente una tale correlazione simbolica, è impos­ sibile interpretare il comportamento della nobile signora di casa Wahnfried come necessaria conseguenza delle concezioni artisti­ che e delle teorie estetico-politiche del suocero Richard Wagner. Winifred non ha rappresentato in quegli anni la Germania. Le sue azioni e omissioni assomigliano in maniera singolare al modo di agire di una zelante «diversa» desiderosa di uniformarsi. 1 Nella mitologia germanica è il frassino sempreverde, centro e origine del mondo.

Il giorno desolato

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Winifred Wagner era una straniera in Germania. Era un’inglese. L’inglese era la sua lingua madre. Quando arrivò in Germania, prima a Klindworth, poi a Bayreuth e infine come padrona di ca­ sa a Wahnfried, aveva dovuto compiere una quantità di abiure. Aveva negato la sua lingua madre, l’Inghilterra, la propria fami­ glia, la tradizione britannica. Alle domande dei giornalisti dopo la fine del secondo conflitto mondiale ha sempre risposto che la guerra contro l’Inghilterra per lei non aveva significato nulla e che si sentiva tedesca. Si è qui verificato un processo di assimilazione. Gli sforzi as­ sidui per integrarsi in un mondo all’inizio straniero e non fami­ liare possono spiegare molte cose, ma non tutto. Siegfried Wag­ ner, uomo di mondo e segretamente cosmopolita, sentiva nostal­ gia di Bayreuth anche in Estremo Oriente. Il suo destino, come uomo e come artista, era legato alla situazione tedesca. Winifred Williams ha dovuto imparare tutto questo e accet­ tarlo volontariamente. Il suo è un caso di assimilazione, in tutto simile al problema dell’assimilazione degli ebrei alla lingua, al­ la storia, alla civiltà tedesca. Neppure il fenomeno dell’ebreo nazional-tedesco e nazionalista era insolito. Non era ingiustificata l’amara ironia dei sionisti quando rimproveravano ai fautori del­ l’assimilazione ebraico-tedesca che a non far alzare ad alcuni di loro il braccio nel saluto nazista era solo il brutale programma antisemita delle camicie brune. E l’analisi può continuare. An­ che l’austriaco settentrionale di Braunau, artista fallito e uomo senza vera professione, era venuto in Germania come diverso. Il risveglio tedesco era annunciato da un uomo che aveva do­ vuto chiedere la cittadinanza tedesca. Wolf e Winifred a Wahn­ fried: un’allitterazione che significava una comunità di diver­ si. Si è dovuto ripensare a tutto questo nei giorni delle mace­ rie del 1945. In tutto il mondo si facevano paralleli, a favore di essi sembrava parlare l’evidenza: il crollo del Terzo Reich era interpretabile come il crollo del wagnerismo. Ciò che nel Lohen­ grin e nei Maestri cantori di Norimberga si era espresso, in pa­ role e musica, come ostentazione di germanesimo non poteva non essere interpretato come il programma da realizzare in due guer­

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La cacciata e la riconsacrazione della casa

re mondiali, per due volte fallite. Adesso tutto era rinnegato. A nessun direttore di teatro che in uno spazio scenico di fortuna o in un edificio teatrale restaurato alla meno peggio progettasse l’inaugurazione di una stagione lirica sarebbe venuto in mente di iniziare con un’opera del maestro di Bayreuth. Bisognava tener conto della generale repulsione. Non era piu il momento di ascol­ tare pazientemente le profezie di Lohengrin alla spada tedesca o l’elogio dei maestri tedeschi, soprattutto naturalmente di Wag­ ner, da parte di Hans Sachs. Il Fidelio di Beethoven era l’opera della nuova epoca: il dramma dell’ingiustizia e della tirannia, di despoti onnipotenti e della incrollabile opposizione, della fedel­ tà, del decoro umano e della vittoria del «principio speranza», che si annuncia come uno squillo di tromba. Cosi si è rappresen­ tata in quegli anni l’opera liberatoria di Ludwig van Beethoven. Bisognava riconoscere in quelle figure emaciate che uscivano ora alla luce del sole il presente tedesco. Dalla guerra era ritornata una generazione ostile a Wagner. Anche in Germania si faceva l’equazione: Wagner uguale Wahn­ fried uguale arte di stato del Terzo Reich. Un borghese liberale come il primo presidente della repubblica federale tedesca, Theo­ dor Heuss, ha rifiutato con ironia quasi offensiva di partecipare nel 1951 alla riapertura del festival di Bayreuth. E non vi fu quasi nessuno che si sentisse di rimproverarglielo. Con questa situazione doveva fare i conti ognuno che - come uomo politi­ co per ragioni d’ufficio o come ammiratore delle opere di Wagner - si preoccupasse del destino del Festspielhaus di Bayreuth, po­ co danneggiato e riadattato alla meglio. Winifred Wagner come prosecutrice dell’impresa del festival era impensabile. Lei stessa rappresentava un caso difficile per il «tribunale di denazificazio­ ne», istituito per accordo delle quattro potenze d’occupazione. Della formale appartenenza a organizzazioni naziste dovevano rispondere anche la giovane generazione di Wahnfried, non me­ no che valenti direttori wagneriani in Germania, quali ad esem­ pio Herbert von Karajan o Franz Konwitschny. Non era il mo­ mento per un nuovo festival. Si è fatto allora e in seguito un gran parlare (su ciò anche

L’alternativa Thomas Mann

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Winifred Wagner si è espressa con parole beffarde) delle forze d’occupazione americane che avevano usato il Festspielhaus per spettacoli di intrattenimento delle truppe. Si è anche parlato di «profanazione». Ma la profanazione presuppone la consacrazio­ ne. Non era stato forse il concetto wagneriano di arte sacra a de­ generare poi in modo tanto mostruoso? I divertimenti dei sol­ dati americani sulla collina del festival erano piu innocenti delle ore consacrate ai sogni di predominio mondiale tedesco.

il. L’alternativa Thomas Mann.

Tutte le riflessioni per il proseguimento del festival di Bay­ reuth muovevano negli anni immediatamente successivi al 1945 dalla considerazione che era diventata necessaria una rottura. La prosecuzione dell’impresa da parte dei membri superstiti del­ la famiglia Wagner sembrava escludersi da sé. Esiste una let­ tera del fratello minore Wolfgang Wagner al maggiore Wieland (del 5 aprile 1947), dove si dice: «In ogni caso mi è diventa­ to chiarissimo che la nostra famiglia non è piu in grado da parte sua di proseguire il festival [...]. Per quanto mi riguarda, mi è del tutto indifferente in quale rapporto la nostra famiglia venga così a trovarsi con il teatro lassù, dato che io, come ho già detto, ritengo la nostra famiglia inadatta a questo compito...» Si faceva strada l’idea di una fondazione pubblica, o con l’in­ clusione dei membri della famiglia Wagner, ma senza potere de­ cisionale sovrano, o senza alcun riguardo agli interessi di fami­ glia. Contro questa soluzione stava però un ostacolo giuridico: il «testamento congiunto» di Siegfried e Winifred Wagner. Dal punto di vista del diritto privato la signora Winifred continuava a essere la proprietaria del Festspielhaus, di Wahnfried, dell’ar­ chivio, delle opere d’arte. Questo assetto giuridico già all’inizio del xx secolo aveva provocato un violento contrasto. Quando Siegfried Wagner al principio del 1914 parlò della possibilità di inserire l’intera opera bayreuthiana della sua famiglia in una fon­

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dazione per il popolo tedesco, Maximilian Harden gli rispose con parole molto dure: «Dall’opera a cui Lei non ha contribuito nep­ pure in minima parte, gli eredi hanno tratto guadagni quali l’at­ tività di nessun artista ha mai fornito in alcun luogo [...]. Non rimproverate e non giudicate; rallegratevi della ragguardevole impresa di famiglia e del suo onesto lavoro teatrale. Abbando­ nate però una buona volta il tentativo di snaturarlo nel Sion, nel­ la roccaforte, nel santuario che s’innalza al cielo della comunità popolare tedesca, dalla cui vetta parla la volontà del maestro [...]. Non fate nulla che presenti Bayreuth come una istituzione pubblica e la sua tutela come il più importante dovere artistico della Germania. Non avete forse strisciato ai piedi di Cosima e del figlio di Cosima, come se avessero fatto chissà che cosa, men­ tre hanno soltanto cercato, nel senso più stretto, di accrescere con un lavoro onesto e zelante la quantità complessiva del tesoro ereditato? » La proposta di Maximilian Harden mirava a che Siegfried Wagner trasferisse per disposizione testamentaria tutto il patri­ monio di Bayreuth, se non al «popolo tedesco», il che sarebbe parso troppo pomposo, «allo stato federale della Baviera, a cui i Wagner, dai tempi di Ludwig, sono legati da debiti di denaro e di riconoscenza e che potrebbe affidarne l’amministrazione al co­ mune di Bayreuth» («Die Zukunft», Berlino, 27 giugno 1914). Dato che la città di Bayreuth per decisione delle potenze vin­ citrici era stata assegnata alla zona d’occupazione americana, do­ vettero interessarsi della questione il governatore militare della Baviera e poco dopo, insieme a lui, i membri appena installati e infine neoeletti del governo della repubblica della Baviera. In questa difficile impresa, emerse l’idea, sollecitata da proposte di paesi esteri, di adeguarsi alla tradizione di casa Wagner affidando la riorganizzazione del festival a un nipote di Cosima e Richard Wagner: un cittadino svizzero. Il dottor Franz W. Beidler era nato da Isolde von Biilow, figlia di Richard Wagner e di Cosima, e dal direttore bayreuthiano di un tempo Franz Beidler, che si era dimesso dopo un conflitto con il cognato Siegfried. Beidler era nato nel 1901 e dopo la guerra viveva a Zurigo come segreta­

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rio dell’associazione degli scrittori svizzeri. Aveva pubblicato molto, anche opere sulla nonna Cosima. Esiste un progetto di Beidler della fine del 1946: Direttive per un rinnovamento del festival di Bayreuth. Esso propone di creare una fondazione per il festival con sede a Bayreuth. «Si devono espropriare gli attuali proprietari». La presidenza della fondazione dev’essere affidata al sindaco di Bayreuth. Oltre a lui ottengono seggio e diritto di voto «rispettivamente un rappre­ sentante del governo militare americano, della repubblica della Baviera e della Confederazione Elvetica [...]. Un seggio resta riservato al rappresentante di un futuro stato federale tedesco. Il consiglio della fondazione è per il resto formato da studiosi e intenditori d’arte [...] senza riguardo alla loro nazionalità, che abbiano dimestichezza con le concezioni fondamentali delle ope­ re di Richard Wagner e soprattutto con le intenzioni artisticopedagogiche e sociali del creatore del festival. Direttori, cantanti ed esecutori non possono far parte del consiglio della fonda­ zione». Fino a che punto anche questo membro svizzero della famiglia continui a essere bizzarramente attaccato ai concetti fondamenta­ li di Richard Wagner, lo si desume dal paragrafo finale di queste direttive: «Particolare attenzione va rivolta alla preparazione e al significato spirituale del festival. A questo fine va tenuta pre­ sente l’idea di riprendere la pubblicazione dei "Bayreuther Blat­ ter” nello spirito autentico di Wagner, per farne un influente or­ gano internazionale di istruzione popolare in campo artistico». Alcuni giorni dopo, nel nuovo anno, il 3 gennaio 1947, Beidler comincia a proporre qualche nome; egli invita a chiamare Thomas Mann come presidente onorario della fondazione Ri­ chard Wagner; per se stesso propone il posto di primo segretario. Si pensa anche a un trust di cervelli di esperti e consiglieri. La li­ sta si presenta bene: con il famoso musicologo e studioso wagne­ riano Ernest Newman, con Leo Kestenberg, Hans Mersmann e Alfred Einstein. Notevole è inoltre il fatto che Beidler intenda formare il comi­ tato della nuova impresa bayreuthiana con importanti composi­

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tori contemporanei: Schonberg e Hindemith, Honegger e Frank Martin, Tiessen e Karl Amadeus Hartmann. Nella sua lettera di accompagnamento al sindaco di Bayreuth, O. Meyer, il nipote di Cosima spiega la necessità di chiamare proprio Thomas Mann come rappresentante di una nuova Bay­ reuth: «...Riguardo alla proposta di Thomas Mann come pre­ sidente onorario, ci sarebbe da dire che la ritengo indispensabile per molti motivi. Egli è oggi il principale rappresentante in tutto il mondo di quell’ " altra Germania” che noi tutti consideriamo la vera, nonostante le dolorose esperienze contrarie [...]. Con Tho­ mas Mann nominalmente alla testa del consiglio della fondazione si annuncia al mondo che Bayreuth rompe in modo drastico e deci­ so con il suo triste passato e che intende ricollegarsi alla vera tra­ dizione wagneriana [...]. Egli deve essere oggi indicato a buon diritto come il primo e il piu profondo di tutti i wagneriani nel senso positivo della parola». Come Thomas Mann abbia accolto tale proposta, lo troviamo esattamente spiegato nel suo diario sulla genesi del romanzo Doc­ tor Faustus. Era stato a Bayreuth una sola volta, nel 1909, ma per tutta la vita non era mai riuscito a liberarsi di Wagner (e di Nietzsche). La lettera d’invito di Beidler riaprì tutte le ferite. Lo scrittore del diario ammette che la lettera «mi ha dato per giorni e giorni molto da pensare». Erano successe troppe cose. In fin dei conti la conferenza commemorativa Dolore e grandezza di Richard Wagner del 1933 aveva costituito il motivo occasionale della sua forzata emigrazione. Alle proteste di Richard Strauss, Hans Pfitzner e Hans Knappertsbusch per quel discorso su Wag­ ner, si accese una ben organizzata «ira popolare» contro l’autore dei Buddenbrook. «Per cento motivi, spirituali, politici, materiali, tutta l’idea doveva apparirmi utopica, avulsa dalla realtà e pericolosa, in par­ te prematura, in parte obsoleta, sorpassata dal tempo e dalla sto­ ria; non ero in grado di prenderla sul serio. Presi sul serio solo i pensieri, i sentimenti, i ricordi che essa mi suscitò...» Comunque Beidler non è liquidato con un netto rifiuto, ma

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tenuto sulla corda, come ammette lo stesso Thomas Mann. Que­ sti era stato per un attimo indeciso se azzardarsi a essere d’allora in poi il rappresentante di una nuova Bayreuth. Sembrava rea­ lizzarsi un sogno: «Nella tardiva realtà mi era destinato un po­ sto di rappresentante ufficiale nel mito della mia giovinezza». Il sogno si dilegua. Ma ce n’era un altro. Ancora una volta un trauma: Emil Preetorius, un vecchio amico dei giorni di Monaco, aveva fatto causa comune con il Fiihrer e il grande Reich tedesco. Nelle lettere di Thomas Mann del periodo bellico ci si burla di tali attività. La figura dell’ideologo fascistoide Kridwiss nel Doc­ tor Faustus di Thomas Mann è ritratta dal vero, compreso il dia­ letto della città di Darmstadt; cosa che l’autore, quando si instau­ ra di nuovo un legame epistolare con Preetorius, spiega all’«in­ teressato» con tutti i riguardi in una lettera scritta dalla Califor­ nia il 24 aprile 1948. Thomas Mann esprime il 7 settembre 1945 giudizi meno riguardosi nella famosa lettera di risposta a Walter von Molo in cui respinge la richiesta perentoria di ritornare in Germania. Il risentimento che ha nel cuore nei confronti di que­ gli artisti dello stato hitleriano apparentemente cosi apolitici, ma di fatto fiancheggiatori e corresponsabili, trova qui la sua espressione: «A volte mi sono indignato per i vantaggi di cui avete goduto. Vi ho visto una negazione della solidarietà. Se al­ lora la classe intellettuale tedesca, tutti quelli che avevano fama e risonanza mondiale, medici, musicisti, insegnanti, scrittori, ar­ tisti si fossero alzati come un sol uomo contro la vergogna, e aves­ sero dichiarato uno sciopero generale, alcune cose sarebbero for­ se andate diversamente da come andarono. Il singolo, quando per caso non era ebreo, si trovava sempre esposto alla domanda: "Ma perché? Anche gli altri lo fanno. Non può essere tanto pe­ ricoloso”». Nemmeno Emil Preetorius viene risparmiato, anche se non si fa il suo nome. Ma ci si riferisce a lui quando si dice: «Che fosse pensabile un’occupazione piu onorevole che dise­ gnare le scene per una Bayreuth hitleriana — strano, di questo, sembra, non ci si è affatto accorti. Viaggiare con il permesso di Goebbels in Ungheria o in un altro paese europeo di lingua tede­ sca e fare propaganda culturale con abili conferenze per il Terzo

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La cacciata e la riconsacrazione della casa

Reich — non dico che ciò sia stato disonorevole, dico solo che non lo capisco e che temo alcuni incontri». Non si poteva dunque contare in caso di emergenza sul fatto che Thomas Mann avesse una qualsiasi forma di interesse per il progetto Beidler. Tuttavia il nome di Thomas Mann affiora stra­ namente anche in un’altra proposta, formulata pochi mesi dopo il piano Beidler e che senza dubbio presuppone, come indicano i nomi lì riportati, evidentemente ispirati al disegno di Beidler, una conoscenza dei progetti di Zurigo. La cosa piu strana di que­ sto singolare documento è il nome dell’autore. Il progetto è ope­ ra di Heinz Tietjen. Egli aveva spesso dichiarato in tono catego­ rico e perentorio che si sarebbe definitivamente allontanato da Bayreuth. Ora fa progetti per una ripresa. Ma in netto contrasto con Beidler che prevedeva un’estromissione dei Wagner, Tietjen constata: «Per la rinascita del festival mi attengo al punto di vista del fondatore, che il festival deve rappresentare in ogni epoca un’impresa privata della famiglia Wagner. Punto di vista giuridicamente fondato che è stato di nuovo manifestato nel te­ stamento di Siegfried Wagner». Nel caso che ciò non possa at­ tuarsi, anche Tietjen pensa a un comitato internazionale come conseguenza dell’esproprio della famiglia in base al « diritto del vincitore». Anch’egli pensa a Thomas Mann, Newman, Alfred Einstein, Hindemith, Honegger, Ansermet. Ma fa anche il nome di Bruno Walter che manca in Beidler. Nomina pure Victor de Sabata, il direttore bayreuthiano del 1939. E raccomanda per il comitato internazionale di Bayreuth Emil Preetorius. Ancora una frase conclusiva: «La famiglia Wagner dovrebbe essere rappresentata nel comitato dalla generazione piu giovane, cioè da Wolfgang Wagner e dal figlio di Isolde, Franz W. Bei­ dler». Non dunque da Wieland Wagner. Il documento si trova nell’Archivio Heinz Tietjen dell’Accademia delle Arti di Berlino. La giovane generazione di Wahnfried ha pareri discordi. Wolf­ gang era evidentemente scettico riguardo a un’ulteriore conduzio­ ne dell’impresa familiare, nonostante il contenuto del testamento dei suoi genitori. Wieland Wagner abbozza — probabilmente già nel 1946 — il «Progetto per la fondazione di un’impresa del festi-

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vai all’estero». Ha in mente l’organizzazione di tournée di spetta­ coli in paesi stranieri. «Nel caso che la famiglia o i membri della famiglia possano di nuovo assumere la gestione del Festspielhaus, la nuova impresa all’estero verrà attuata in accordo con gli inte­ ressi di Bayreuth...» Wieland non è né uno scettico né un indeciso. Ha passato gli anni successivi alla fine della guerra lontano da Bayreuth, sul lago di Costanza. Là si è realizzato un processo di rinnovamento e aggiornamento spirituale. È facile indovinare alcuni elementi del­ le sue letture grazie alle scene da lui create di li a poco. Sono gli interessi per la psicologia del profondo di Sigmund Freud e per la moderna indagine simbologica sulla scia di C. G. Jung. La ma­ dre lo ha definito senza mezzi termini e abbastanza schiettamente come l’apostata tardivo della fede comune per il Fuhrer e ha volu­ tamente trascurato che l’aspra opposizione della «gioventù di Wahnfried», come Tietjen la chiamava con scherno, doveva es­ sere interpretata già intorno al 1940 come abbandono del dogma ufficiale di Bayreuth. Wieland non era un rinunciatario, ma una persona decisa. Ardeva dal desiderio di dare espressione artistica alle sue nuove esperienze spirituali e renderle fruttuose, natu­ ralmente soprattutto per una nuova interpretazione delle opere di Richard Wagner, ma anche per una concezione sostanzialmente nuova del teatro lirico, di natura così universale che potesse es­ sere parimenti utilizzata per il Fidelio e la Carmen, l’Aida e il Wozzeck. Tra le esperienze musicali di Wieland Wagner c’era da tempo anche l’opera di Carl Orff. Veniva così fornito un pun­ to di partenza che doveva ricondurre i fondatori di un nuovo stile bayreuthiano a quella costellazione primigenia che aveva ispirato anche le riflessioni di Richard Wagner sull’opera e il teatro: la tragedia greca.

in. La cacciata. Ma prima di tutto bisognava «superare» il passato, per usare un’espressione allora in voga. Gli alleati vincitori del Terzo Reich

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avevano emanato il 5 marzo 1946 una «legge per la liberazione dal nazismo e dal militarismo», applicabile a tutti gli abitanti tedeschi del passato Reich, diviso ormai in quattro zone di occu­ pazione. I procedimenti giudiziari tedeschi dovevano aver luogo in ottemperanza a questa legge. Gli ex membri del partito nazio­ nalsocialista tedesco e delle altre organizzazioni naziste dovevano giustificare la propria attività fra il 1933 e il 1945 davanti ai tri­ bunali di denazificazione. Il tribunale decideva sulla maggiore o minore gravità del singolo caso. La legge aveva previsto cinque categorie: colpevoli principali, colpevoli (attivisti), colpevoli mi­ nori, fiancheggiatori, innocenti. Le sanzioni erano commisurate alla gravità della colpa e potevano essere molto dure, come la confisca dei beni, il divieto di esercitare la professione e i lavori forzati. Il 2 luglio 1947 il secondo tribunale di denazificazione di Bay­ reuth decise sul caso della signora Winifred Wagner, direttrice del festival di Bayreuth, nata il 23 giugno 1897 a Hastings, attualmente residente a Oberwarmensteinach n. 32. L’interessa­ ta, a termini dell’articolo 4 comma 2 della legge, fu giudicata ap­ partenente al secondo gruppo (attivisti). Le furono nello stesso tempo comminate dure sanzioni: lavoro speciale a favore della comunità per la durata di quattrocentocinquanta giorni, confisca del 60 per cento dei beni, privazione del diritto di voto, interdi­ zione dai pubblici uffici e perdita dei diritti di rendita e di pen­ sione. Tra l’altro a Winifred Wagner fu anche proibito per la durata di cinque anni di «lavorare come insegnante, predicatrice, redat­ trice, scrittrice e commentatrice radiofonica (!)». Dieci anni do­ po l’«interessata» di allora ha protestato con una certa ironia contro il divieto di esercitare perfino l’ufficio di predicatrice. Ma allora, il 2 luglio 1947, nessuno aveva voglia di fare del­ l’ironia. Una fotografia mostra la madre che con i due figli e le due nuore lascia il palazzo del tribunale. La giovane generazione ha un’aria imperturbabile, mentre Winifred Wagner appare tur­ bata. Sembra non aver ben capito cosa le veniva contestato. In effetti il caso è controverso. E cosi deve averlo sentito anche il

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tribunale, come fanno intendere le motivazioni della sentenza. Apparentemente tutto è molto semplice. Winifred Wagner era entrata nel partito nazista sin dal 1926. Al tempo stesso è incon­ testabile che ella non aveva mai fatto propaganda per il partito del suo amico e Fiihrer né all’interno dell’organizzazione politica né davanti all’opinione pubblica. Sicuramente non dal 1930, quando dovette assumere la direzione del festival. Ma non le era stato forse concesso il distintivo d’oro del par­ tito? In realtà ciò era avvenuto, come si potè dimostrare in mo­ do attendibile, sotto forma di atto burocratico, per via del basso numero d’ordine, cioè per anzianità. Era però rimasta l’accusa «di aver appoggiato la dittatura na­ zista» e di «aver ottenuto benefici» dal Terzo Reich. Il tribu­ nale giunse alla decisione che nel caso di Winifred Wagner si era avuto vero e proprio appoggio al partito di Hitler e al suo sistema: «Secondo il parere del tribunale, la signora Winifred Wagner ha dato un sostegno e appoggio sostanziale al nazismo con la propria amicizia per Hitler e la propria appartenenza al partito fin dal 1926. L’esempio che ella ha dato come amica di Hitler e iscritta al partito la fa senz’altro considerare una soste­ nitrice del nazismo. Il suo esempio ha avuto un’influenza propa­ gandistica soprattutto sulla gente semplice, sebbene ella non ab­ bia esercitato personalmente, come membro del partito, nessuna attività propagandistica. La gente si diceva che se questa donna era entrata nel partito, rimanendogli fedele fino all’ultimo, l’ideo­ logia nazista doveva essere giusta. Ciò riguarda soprattutto Bay­ reuth, che forse è diventata una roccaforte del nazionalsocialismo proprio grazie al suo esempio». Tutto ciò suona comprensibile, ma non regge ugualmente a un’analisi più precisa, come dovette più tardi constatare anche la Corte d’appello. Si trattava comunque, in fondo, di un appoggio dato attraverso la tolleranza. La nuora di Richard Wagner e di­ rettrice del festival di Bayreuth, che parteggiava apertamente per il suo amico e Fiihrer senza entrare in modo specifico in discorsi e azioni a favore del Terzo Reich, sarebbe stata dunque obbliga­ ta, secondo il ragionamento del tribunale di Bayreuth, all’opposi­

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zione attiva, se avesse voluto annullare gli effetti della sua amici­ zia personale. Ma la legge per la liberazione dal nazismo e dal mi­ litarismo non poteva e non intendeva stabilire per i tedeschi l’ob­ bligo alla resistenza. Restava il problema dei benefici: «Per quel che concerne la questione dei benefici (art. 9 della legge) goduti dall’interessata, il tribunale respinge l’accusa. Il beneficio potrebbe esser visto nel fatto che l’interessata ha ricavato vantaggi personali o eco­ nomici dai due casi seguenti: 1) Per ogni nuovo allestimento due rate di cinquantacinquemila marchi ciascuna, in tutto cinquecentocinquantamila marchi fino al 1939; 2) dopo il rilevamento del teatro da parte della Kraft durch Freude l’interessata ha ricevuto da tale organizzazione, che si è assunta l’intera vendita dei biglietti, il rimborso della spesa effettiva di circa un milione - un milione trecentomila marchi per ogni anno di festival. Come guadagno netto le è stato versato dalla Kraft durch Freude il 5 per cento delle spese.

Il tribunale è del parere che l’interessata secondo l’art. 9 com­ ma 1 non ha ricavato questi vantaggi per il proprio tornaconto e che il guadagno del 5 per cento non ha superato il profitto abituale di altre grandi imprese. Il guadagno anche prima del­ l’intervento del Fronte del lavoro si aggirava intorno a questa cifra. L’interessata non viene perciò considerata dal tribunale goditrice di alcun beneficio. Neppure i regali fatti da Hitler alla si­ gnora Winifred Wagner, compresa l’auto Mercedes, sono rite­ nuti dal tribunale donazione nel senso dell’art. 9 della legge. Es­ si inoltre uguagliano all’incirca quelli fatti dalla signora Wagner a Hitler». Ciononostante è giudicata un’attivista e vengono disposte pe­ santi sanzioni nei suoi confronti. Winifred Wagner presentò immediatamente ricorso contro la decisione del tribunale, ma neppure il pubblico ministero si con­

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siderò soddisfatto della sentenza, e chiese che la direttrice del festival di Bayreuth nel Terzo Reich fosse condannata come col­ pevole principale. La Corte d’appello di Ansbach dispose che la nuova udienza avesse luogo davanti alla Corte d’appello di Bay­ reuth. L’8 dicembre 1948, dunque piu di tre anni dopo la fine della guerra, la sentenza respinse l’appello del pubblico ministe­ ro e riformò la sentenza di prima istanza. Winifred Wagner ven­ ne inclusa tra i «colpevoli minori» del terzo gruppo, e il periodo d’interdizione abbassato a due anni e mezzo. Durante questo pe­ riodo le fu vietato di lavorare come imprenditrice indipendente o di svolgere un’attività autonoma all’interno di un’impresa. Le fu di nuovo proibito di svolgere, oltre alle diverse attività di redattrice, scrittrice, insegnante e cosi via, anche quella di predicatrice. Anche la Corte di appello si vede costretta a seguire il ragio­ namento, in certa misura discutibile dal punto di vista logico e giuridico, della prima istanza: «La colpa, o — per dirla nel senso della legge di liberazione — la punibilità di Winifred Wagner va inoltre individuata — e la Corte considera questo fatto decisivo per la valutazione dell’appoggio dato - nella circostanza che ella ha gettato sul piatto della bilancia a favore di Hitler il peso di uno dei nomi più famosi della storia della cultura». Ma l’interessantissima e circostanziata motivazione della sen­ tenza va questa volta ben oltre il caso particolare. Tenta di stabi­ lire rapporti spirituali non solo tra l’ideologia di Richard Wagner e quella della signora Winifred, ma anche tra Adolf Hitler e Ri­ chard Wagner. Viene perfino citata la famosa parodia del Lohen­ grin dal romanzo di Heinrich Mann II suddito, per dimostrare una continuità dell’ubbidienza tedesca alle autorità statali tra impero e nazismo. «Qui, in un Wagner male interpretato perché inteso entro un orizzonte troppo ristretto (un moderno musico­ logo vede per esempio, contro ogni interpretazione tendenziosa, il tema dominante del dramma del Lohengrin nell’amore di Elsa) non dobbiamo vedere solo un anello di congiunzione tra il Reich di Hitler e quello guglielmino, ma anche il punto di partenza dei rapporti di Hitler con Bayreuth. È infatti sintomatico che sia

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stato proprio il Lohengrin l’opera che Hitler vide a Linz a dodici o quattordici anni e che lo soggiogò completamente». La sentenza d’appello si spinge cosi avanti nell’analisi delle motivazioni del wagneriano nativo di Braunau sull’Inn da in­ terpretare la vecchia amicizia dell’uomo politico e artista fallito con la nuora di Richard Wagner come elemento di autoidentifi­ cazione e autoaffermazione. D’altro canto la Corte d’appello non nega che Winifred Wag­ ner abbia contribuito in molti casi a salvare persone minacciate, e che in singole occasioni sia intervenuta, quasi sempre con succes­ so, presso la cancelleria del Reich. Viene anche riconosciuto come incontestabile il fatto che non sia assolutamente arrivata dalla direzione bayreuthiana l’iniziativa dei festival della guerra, par­ tita senza dubbio da Berlino. Né era possibile interpretare quei festival come appoggio sostanziale al Terzo Reich. La Corte arriva invece, con un’analisi assai acuta e in contrasto con le concezioni della prima istanza, alla conclusione che nel problema dei «benefici» non si può separare il vantaggio pri­ vato da quello pubblico. Né nella questione della militanza di Winifred Wagner né nell’esame dei vantaggi ottenuti la Corte è disposta «a fare una distinzione fra una personalità puramente privata e una personalità politica o orientata politicamente». Ta­ le tentativo è espressamente indicato come «azzardato e in sé da respingere». Ma con ciò la Corte non decide solo contro il ricorso di Wini­ fred Wagner davanti al tribunale, ma anche contro la sua conce­ zione reale della vita. Ella aveva in effetti creduto di poter se­ parare nettamente l’una dall’altra la vita privata da quella pub­ blica. Qui l’amicizia con un uomo che stimava e ammirava, là il rifiuto di vedere che quell’uomo intendeva agire come dittatore onnipotente, come signore della vita e della morte. Qui una sim­ patia personale per l’ideologia e la politica dell’amico; là il festi­ val, che possiede la propria tradizione e ideologia e non deve servire altri dei. Non si potevano disconoscere la serietà e dignità delle moti­ vazioni di entrambe le sentenze. Le due corti hanno certo avver­

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tito che stavano giudicando un caso riguardante non tanto una singola persona, quanto tendenze contraddittorie della storia e della cultura tedesca. Il 21 gennaio 1949 Winifred Wagner si assunse il seguente obbligo: «Mi impegno solennemente a rinunciare a prendere una qualsiasi parte all’organizzazione, all’amministrazione e alla direzione del festival di Bayreuth. Secondo un proposito nutrito da parecchio tempo, affiderò ai miei figli Wieland e Wolfgang i compiti indicati e assegnerò loro i corrispondenti poteri. Incari­ co il mio difensore, l’avvocato Fritz Meyer I di Bayreuth, di trasmettere questa dichiarazione al ministero straordinario e, una volta stampata, a tutti i ministeri e uffici competenti». Si andava così incontro in sostanza sia al parere del ministero straordinario della Baviera per i casi della cosiddetta «denazifica­ zione», sia, cosa altrettanto importante, alla lettera del testamen­ to congiunto di Siegfried e Winifred Wagner. Questa decisione rese possibile un proseguimento del festival di Bayreuth da parte dei due figli. A Monaco si sembrava ormai decisi, all’inizio di questo quarto anno postbellico e pochi mesi prima della fondazione della repubblica federale tedesca, a re­ spingere tutti i tentativi di internazionalizzare il festival, con o senza Thomas Mann. Il governo della Baviera condivideva le vecchie idee di Maximilian Harden sull’indissolubilità del le­ game tra lo stato bavarese e l’istituzione di Bayreuth. Con una delibera del 28 febbraio 1949 il ministro bavarese «per le misu­ re straordinarie» Hagenauer pose fine al congelamento del pa­ trimonio, in particolare al blocco «del patrimonio destinato al­ l’impresa del festival di Bayreuth». In tal modo gli eredi Wie­ land e Wolfgang potevano tentare una prima progettazione. Bi­ sognava ancora superare qualche difficoltà, ma le cose stavano diversamente da quell’agosto 1946, quando Wolfgang aveva do­ vuto riferire per lettera al fratello maggiore le dichiarazioni fatte a Bayreuth in occasione del concerto per il settantesimo anniver­ sario del festival. Il borgomastro di Bayreuth, così scrive Wolf­ gang, «ha affermato che gli ultimi vent’anni di storia bayreuthiana vanno cancellati e dimenticati, e che la famiglia ha abusato del

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suo compito e profanato la casa, poiché ha seguito esclusivamen­ te il proprio tornaconto [...]. Butterfly e Tiefland ecc. vengono giustificati con il fatto che il denaro sarebbe servito per la manu­ tenzione della casa, e tante altre belle frottole facilmente con­ futabili...» Il borgomastro Meyer continua tuttavia per la sua strada. Wolfgang comunica al fratello due anni dopo, il 23 maggio 1948, in occasione della manifestazione «La gioventù aderisce alla nuo­ va musica», tenuta nel Festspielhaus, che il borgomastro aveva esortato ad aprire le porte del teatro anche alla musica moderna. Era un progetto in sé ragionevole e possibile. Stava tuttavia in palese contrasto con le ultime volontà di Siegfried Wagner, e al tempo stesso con le concezioni di Richard Wagner a proposito di Bayreuth. Sembra che a Monaco ci sia stata una forte opposizione alla riapertura del festival a opera di membri della famiglia Wagner. Il dottor Dieter Sattler, futuro ambasciatore della repubblica federale, all’inizio del 1949 nutriva ancora la speranza di poter dividere l’opera di Richard Wagner da quella della sua famiglia. Il ministro bavarese della pubblica istruzione, dottor Hundhammer, in una conversazione del 9 aprile 1949 con Wieland e Wolf­ gang Wagner, si faceva tuttavia portavoce dell’opinione che «il Festspielhaus doveva essere esclusivamente al servizio dell’opera di Richard Wagner» e che «restava proprietà della famiglia». D’altra parte il dottor Hundhammer poneva la condizione che si nominasse un comitato «di rappresentanti dello stato, della radio, dell’industria, della città di Bayreuth e di un circolo inter­ nazionale di amatori», al fine di scegliere il direttore del festival. In caso diverso lo stato bavarese non avrebbe accordato nessuna sovvenzione all’impresa del festival. Wieland e Wolfgang anno­ tano: «Questa condizione viene da noi rifiutata sulla base dello stato giuridico e della situazione di Bayreuth, che non è paragona­ bile a una comune gestione teatrale». Quel giorno d’aprile del 1949 si discute per cercare un compromesso. Il dottor Hundham­ mer desidera assolutamente che la sorella esiliata Friedelind Wag­ ner partecipi alla riorganizzazione del festival.

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Quando ebbe luogo questa conversazione tra il ministro bava­ rese della pubblica istruzione e i nipoti di Richard Wagner, il primo ministro della Baviera Hans Ehard aveva già deciso in favore della famiglia Wagner. Il dottor Hundhammer ne fu in­ fastidito, come informa l’appunto, perché si senti scavalcato. Il 24 febbraio 1949 il primo ministro aveva infatti già deciso in accordo con il nuovo borgomastro di Bayreuth H. Rollwagen «di ridare libertà d’azione alla famiglia Wagner nelle persone dei figli Wieland e Wolfgang». Ci si poteva ora preparare a riconsacrare la casa. Heinz Tietjen era fuori discussione. La cosa era impossibile, considerando i suoi rapporti con la «gioventù di Wahnfried». Aveva anche espres­ samente dichiarato in una lettera del 3 maggio 1947 «di non aver più il desiderio di collaborare attivamente al festival di Bay­ reuth». Del resto non si attenne nemmeno a questa energica affer­ mazione. Dopo aver sperimentato sotto la sovrintendenza di Tiet­ jen ad Amburgo un allestimento del Lohengrin presentato poi a Bayreuth per l’inaugurazione del festival del 1958, Wieland Wagner decise di dissipare con un gesto amichevole le acute tensioni politiche e personali degli anni giovanili. Heinz Tiet­ jen ha diretto il 15, il 19 e il 25 agosto 1959 a Bayreuth il Lohen­ grin nell’allestimento di Wieland Wagner. Ad esser vinto ed eliminato fu Franz W. Beidler. Quando, nell’estate del 1951, ebbe luogo il festival sotto la direzione di Wieland e Wolfgang, il figlio di Isolde Beidler-von Biilow e nipote di Richard Wagner scrisse un saggio intitolato Perples­ sità su Bayreuth, pubblicato sulla rivista, allora edita ad Hei­ delberg dall’Accademia tedesca per la lingua e la poesia, «Das literarische Deutschland». Franz Beidler non contesta l’inno­ cenza politica dei due nipoti, suoi cugini. Ma «è sotto accusa ciò che in settantacinque anni si è consolidato a formare il concet­ to di Bayreuth, con tutto il peso di una sospetta tradizione...» Sarebbe sostanzialmente falso far iniziare la politicizzazione di Bayreuth solo dal 1933: «Dotati della suggestiva forza espres­ siva di Wagner, i festival di Bayreuth, con le loro inevitabili ag­ giunte ideologiche, sono sempre stati un fatto eminentemente

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politico. Nel 1933 sono semplicemente germinati i semi mostruo­ si seminati in precedenza, soprattutto a Bayreuth, per decenni e decenni. Se nel nazismo è contenuta un’ideologia, un pensiero, esso è, in grandissima parte, pensiero bayreuthiano».

iv. I figli.

La dichiarazione di rinuncia del 21 gennaio 1949 diede via libera a nuovi festival bayreuthiani sotto la direzione dei figli Wieland e Wolfgang Wagner. Il 23 aprile ebbe fine l’ammini­ strazione fiduciaria cui era stato fino allora sottoposto il Festspielhaus. Due giorni dopo cominciarono i lavori per il riadat­ tamento provvisorio delle parti non distrutte di casa Wahnfried. Nell’ottobre 1949 Wieland e Gertrud Wagner vanno ad abitar­ vi. Si progetta per il 1950 la riapertura del Festspielhaus. Tra i fratelli si raggiunge un accordo sulla divisione del lavoro; il 23 aprile 1950 si arriva a una intesa contrattuale tra la madre e i due figli. Wolfgang Wagner si occupa per il primo periodo dell’amministrazione, delle finanze, dei contratti con gli artisti ecc. Wieland Wagner, rimpatriato dal lago di Costanza, si inte­ ressa esclusivamente degli studi preliminari per la sua nuova rappresentazione del Parsifal. Lavora a Bayreuth con Kurt Overhoff, suo vecchio insegnante di musica e consigliere spirituale per molti anni. Appare presto chiaro che le difficoltà si possono superare so­ lo lentamente. Non è possibile pensare a un festival nel 1950. Intanto dall’agosto 1949 esiste un’entità politico-statale deno­ minata «repubblica federale tedesca», alla quale in ottobre vie­ ne contrapposta una «repubblica democratica tedesca» nel ter­ ritorio della zona d’occupazione sovietica. Wolfgang Wagner aveva rinunciato a contribuire con un suo allestimento al primo festival postbellico. In compenso il 21-22 settembre 1949 era stata fondata, grazie ai suoi sforzi, una «So­ cietà degli amici di Bayreuth». Era un circolo di gente ricca che si dichiarava disposta a farsi garante di ogni deficit annuale del

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festival. I membri della società facevano elargizioni e prosegui­ vano così la tradizione, praticata fin dai tempi di Richard Wag­ ner, dell’appello ai mecenati — di volta in volta principi, uomini di stato e ormai soprattutto capitalisti. Ciononostante è possi­ bile prevedere una riapertura solo nell’estate del 1951. Che L’anello del Nibelungo debba stare in programma, in un allestimento completamente nuovo, appare ovvio ai nipoti di Wagner. Wieland, affascinato dal Parsifal) vede nella nuova mes­ sinscena, altrettanto inevitabile, del dramma sacro, il suo lavoro piu importante: l’occasione per presentare i nuovi concetti este­ tici. Accanto a queste opere vanno rappresentati 1 maestri cantori di Norimberga. A favore di questa decisione parla non solo la for­ za attrattiva di quell’opera, ma anche l’idea di rappresentare la festa all’aperto, che durante i «festival di guerra» era stata tan­ to spesso e piuttosto schematicamente inscenata, in contrasto tra l’altro con il testo di Wagner, come una sorta di prosegui­ mento delle tirate guerresche del Lohengrin, nuovamente se­ condo la concezione artistica prescritta da Wagner: come scet­ tica esortazione ai contemporanei tedeschi a non dimenticare, rincorrendo sogni di nazionalismo e di potenza statale germa­ nica, che le opere d’arte sono più durature e più preziose di tutte le conquiste e le espansioni. Dato che cade il nome di Wolfgang Wagner come possibile regista dei Ntaestri cantori, i nuovi di­ rettori del festival chiedono al sovrintendente di Monaco Ru­ dolf Otto Hartmann di mettere in scena l’opera. L’architetto Hans Reissinger di Bayreuth, uno zio di Gertrud Wagner, ottie­ ne l’incarico di disegnare le scene per la commedia di Norimber­ ga. I costumi sono forniti dal teatro comunale di Norimberga. Geoffrey Skelton nel suo libro Wieland Wagner. The Positive Sceptic, London 1971, ha descritto dettagliatamente e spesso in modo divertente le difficoltà incontrate da Wieland Wagner nel­ lo scritturare i suoi direttori. Che fosse previsto e anche in misura notevole realizzato un rinnovamento radicale, lo dimostra un ra­ pido paragone tra i nomi dei collaboratori del nuovo festival del 1951 e quelli del periodo 1933-44. Per i due fratelli era di estre­

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ma importanza ottenere finalmente la partecipazione del diret­ tore Hans Knappertsbusch per Bayreuth, da dove era stato sem­ pre tenuto lontano per motivi particolarissimi, sebbene Knap­ pertsbusch poco dopo l’inizio del nuovo secolo fosse stato, gio­ vanissimo, assistente a Bayreuth e, cosa che quasi nessun altro direttore a lui contemporaneo poteva dire di sé, avesse lavo­ rato con Hans Richter. Knappertsbusch nel 1936 fu allontanato dall’opera di Mo­ naco. Non era gradito alla Casa Bruna. Se ne andò quindi all’Opera di stato di Vienna, dove due anni dopo lo sorprese 1’An­ schluss. A Monaco era stato chiamato Clemens Krauss, divenu­ to sospetto a Vienna per motivi politici. Ma da ciò nacque su­ bito per Wieland e Wolfgang Wagner una situazione critica. Da Clemens Krauss ci si poteva aspettare quel timbro orchestrale leggero e pieno di slancio che, in contrasto con il patetismo spes­ so massiccio degli abituali interpreti wagneriani, potevano avere in mente i due fratelli Wieland e Wolfgang, dotati di una per­ fetta educazione musicale. Ma bisognava decidersi. Knapperts­ busch non era disposto a dirigere a Bayreuth insieme al suo an­ tico «successore» a Monaco. Si doveva innanzitutto rinunciare a Krauss. Il famoso allestimento del Parsifal ad opera di Hans Knap­ pertsbusch e Wieland Wagner, che venne subito interpretato — con toni o indignati o affascinati — come il vero e proprio inizio di una nuova era bayreuthiana, ebbe luogo il 30 luglio 1951. Si narra che il sessantatreenne Hans Knappertsbusch, quando quel pomeriggio salì per la prima volta sul podio nel «golfo mistico» di Richard Wagner, fosse profondamente commosso e avesse bi­ sogno di un attimo di indugio prima di poter alzare la bacchetta. A dirigere I maestri cantori di Norimberga era stato chiamato Herbert von Karajan. A lui Wieland Wagner aveva pensato già durante il periodo bellico come un possibile direttore per Bay­ reuth. Ma allora era stato dell’opinione che I maestri cantori di Norimberga non fossero un debutto particolarmente adatto al musicista von Karajan. Karajan si alternò con Knappertsbusch anche nella direzione dell’Anello del Nibelungo.

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Chi vuole organizzare festival a Bayreuth non ha a disposi­ zione né una propria orchestra, né una propria compagnia lirica, né un apparato scenotecnico. L’idea di Richard Wagner era stata quella di celebrare l’evento straordinario di una solenne festività come una summa del meglio e dell’eccelso. Aveva premiato i cantanti piu bravi invitandoli a Bayreuth. Il piu fervido desiderio dei migliori musicisti di tutte le orchestre tedesche, di tutti i teatri di corte e comunali doveva essere quello di lavorare a Bay­ reuth, rinunciando cosi alle proprie settimane di ferie estive. Il primo violino venuto possibilmente come ospite dall’opera di corte di Vienna, il cornista per il richiamo del corno di Sigfrido possibilmente dall’orchestra di Meiningen, allora famosa. Il genio di Wagner e poi, sotto la signora Cosima, il mito di Bayreuth nel Reich tedesco poterono sempre ripetere il mira­ colo secondo i programmi. Durante quelle settimane estive in Franconia si formarono le personalità artistiche per un’orche­ stra veramente degna di un festival. In realtà fino al 1936 si era­ no sempre avute rappresentazioni solo per due anni consecutivi perché ci potesse essere un terzo anno senza spettacoli per gli ingaggi, i preparativi e le prove. Sotto l’egida di Winifred Wagner e Heinz Tietjen, Bayreuth si era potuta appoggiare in larga misura alla compagnia e all’ap­ parato tecnico dell’opera di stato di Berlino. Ma nel 1951 lo stato della Prussia apparteneva al passato ormai morto. I nuovi direttori di Bayreuth erano ormai costretti a cercare la collaborazione di coloro che possedevano tutto ciò di cui Bay­ reuth era sprovvista: orchestra, compagnia di canto e apparato tecnico. Era perciò diventato di vitale importanza il collegamen­ to con i nuovi sovrintendenti dei grandi teatri lirici tedeschi. Un sovrintendente maldisposto a Berlino o a Monaco o a Vienna poteva semplicemente rifiutarsi, con il facile pretesto di prove urgenti nel suo teatro, di lasciar libero per l’estate il desiderato Alberico, Mime o Gurnemanz. Era diventata necessaria la colla­ borazione con i sovrintendenti e le compagnie. Nel caso partico­ lare dell’opera di Berlino Ovest ciò significava per Wieland e

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Wolfgang Wagner l’indispensabile collaborazione con un vec­ chio conoscente: Heinz Tietjen. Le due parti lo hanno rapidamente capito. Si arrivò a un’o­ biettiva collaborazione, che fu proseguita quando Tietjen, suc­ cedendo a Gunther Rennert, in età avanzata, assunse per qual­ che tempo la direzione dell’opera di stato di Amburgo. A Bayreuth era terminata l’era di Emil Preetorius. Ad essa si sarebbero completamente opposte le concezioni registiche di Wieland Wagner. Si cercò invece il legame con Wilhelm Furt­ wangler, ma senza risultato. Furtwangler si era già deciso per il festival di Salisburgo, ma il 29 luglio 1951 accettò l’invito di inaugurare la nuova era con l’esecuzione della Nona sinfonia di Beethoven. Si veniva cosi a saldare il ponte con il 22 maggio 1872, giorno della posa della prima pietra e della solenne esecu­ zione della Nona sotto la direzione di Richard Wagner al teatro lirico del margravio. Furtwangler ha poi diretto ancora una volta la sinfonia beethoveniana il 9 agosto 1954. L’anno prima, l’n agosto 1953, il concerto di gala era stato tenuto da Paul Hinde­ mith, e con lui i nuovi direttori del festival invitarono per la prima volta — e di proposito - un compositore del xx secolo mes­ so al bando dal Terzo Reich. Debuttavano a Bayreuth, come i direttori Knappertsbusch e Karajan, anche i piu importanti cantanti che parteciparono al fe­ stival del 1951. Dopo la rinuncia a una prematura inaugurazio­ ne nel 19.50, si erano potuti fare con tranquillità preparativi e scelte. In questo primo festival erano presenti quasi tutti gli in­ terpreti significativi che nel successivo decennio dovevano conia­ re lo stile della nuova Bayreuth: Martha Mòdi, Astrid Varnay, Wolfgang Windgassen, Josef Greindl e l’americano George Lon­ don. Affidando a interpreti internazionalmente quasi sconosciuti i ruoli di Kundry e Parsifal (Mòdi e Windgassen), Wieland Wag­ ner commise, per propria stessa ammissione, un azzardo. Con questi due cantanti egli si era però assicurato, come venne su­ bito e generalmente riconosciuto dopo la prima del Parsifal, una premessa fondamentale per altre nuove interpretazioni del­ le opere di Richard Wagner nei festival futuri.

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I maestri cantori di Norimberga si presentarono come un tea­ tro wagneriano ben fatto, ma tradizionale, che piacque. Del suo primo allestimento dell’Anello del Nibelungo Wieland Wagner ha più tardi parlato — nel complesso del tutto a torto — solo con orrore e ha adoperato ogni sforzo e una cura quasi poliziesca per far calare l’oblio sui dettagli scenici. Tuttavia erano anche qui già riconoscibili in importanti episodi le linee fondamentali del suo lavoro teatrale. Mancava ancora, come dimostra un paragone con l’allestimento dell’Anello di Wieland Wagner del 1965, una precisa interpretazione drammaturgica della tetralogia e delle sue basi strutturali. Wieland Wagner poteva invece riconoscere senza riserve il nuovo Parsifal. Qui egli presentava il risultato di un lavoro di molti anni di apprendistato e di pellegrinaggio. Si è ripetuta in modo grottesco per questo primo prodotto artistico dell’officina della nuova Bayreuth l’impressione di una definitività palese­ mente raggiunta. Il Parsifal del 1882 nato sotto la guida di Ri­ chard Wagner, con i famosi scenari mobili del pittore Paul von Joukowsky, era stato sentito in modo analogo e per decenni co­ me la soluzione conclusiva. Da qui la strana petizione Parsifal del 1934. Wieland Wagner aveva dato un’interpretazione del dramma sacro che doveva essere intesa come un ripudio di tutte le precedenti concezioni scenografiche, tanto dei disegni di Jou­ kowsky e di Alfred Roller, quanto anche dei suoi stessi bozzetti giovanili per il Parsifal. Quando Wieland Wagner mori il 17 ot­ tobre 1966, fu la Società degli amici di Bayreuth a indurre a con­ siderare definitiva e a porre per cosi dire sotto tutela nazionale quell’allestimento del Parsifal del 1951, fino allora rimasto im­ mutato nella sua struttura fondamentale. A questo ci si oppose al Festspielhaus con motivazioni valide e di carattere pratico. Ma solo nove anni dopo, cioè nel 1975, fu rappresentato un nuovo Parsifal nell’allestimento di Wolfgang Wagner. Come nella ripresa del 1951 ci si ricollegava alla tradizione di Wagner con una solenne esecuzione della nona sinfonia, la stessa cosa si faceva anche con una preparazione per così dire ideologica e perfino critico-ideologica della nuova era. Richard Wagner si

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era incessantemente sforzato di fornire ai suoi contemporanei con manifesti, discorsi, trattati di drammaturgia e filosofìa un aiuto spirituale per la comprensione delle sue innovazioni. Questa tradizione viene proseguita con piena consapevolezza da Wieland Wagner. Per la ripresa del festival si pubblica un Bayreuther Festspielbuch 1951, edito dalla direzione del festi­ val. In esso si trova un articolo firmato « Wieland Wagner, Bay­ reuth». Tratta del tema tradizione e innovazione. Si è voluto vedere in esso, a ragione, un primo scritto programmatico. An­ che Wieland Wagner lo ha inteso cosi. Nel 1952 egli fece pub­ blicare in inglese un opuscolo, Life, Work, Festspielhaus, in cui l’articolo fondamentale del 1951, con il titolo Tradition and In­ novation, costituiva ancora una volta il punto centrale. La concezione del nipote stabilisce una differenza di principio tra le opere create da Richard Wagner e la loro rappresentazione. Egli considera i drammi musicali le costanti, ma tutte le esecu­ zioni come variabili determinate storicamente. Le opere non mu­ tano, ma richiedono una continua reinterpretazione e un’esecu­ zione che tenga consapevolmente conto del cambiamento dei ca­ noni visivi e acustici: «Questo rinnovamento — e solo esso — è soggetto al cambia­ mento. Volergli sfuggire significherebbe trasformare la virtù del­ la fedeltà nel vizio dell’irrigidimento. Ma tale irrigidimento sa­ rebbe fatale. Chi parla in suo favore, opera da becchino. Il passaggio dalla fedeltà al cambiamento è inevitabile. Non c’è niente di " eterno ”. Ciò che intendiamo con questa parolona è solo una durata cosi lunga che non riusciamo ad abbracciarla. Cosi considerato, il cambiamento — in termini moderni — appare per cosi dire solo come una questione di tatto, soltanto la perso­ na avventata è "infedele” nel senso morale della parola». È caratteristico che in questo scritto programmatico di Wie­ land Wagner domini ancora la fantasia di un artista figurativo. L’arte drammatica dell’Anello del Nibelungo e del Parsifal è am­ piamente dominata dalle idee dello scenografo, assai meno da una riflessione sul cambiamento filosofico e storico-sociale attua­ tosi in quei settantacinque anni dalla fondazione del festival di

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Bayreuth. L’autore di questo trattato è affascinato dal cambia­ mento tecnico e quindi da un nuovo canone visivo. Qui il mondo della luce a gas, là il moderno riflettore. Il nipote è convinto che Wagner, instancabile innovatore e rinnovatore, avrebbe adotta­ to per primo nella nostra epoca questi cambiamenti tecnici: «Ciò che aveva a disposizione — anche nella rappresentazione del suo Parsifal del 1882 — era esclusivamente l’illuminazione a gas. Nel­ la sua luce fioca, poco mutevole, ma calda potevano nascere quel­ le impressioni ancora vive nel ricordo di tutti coloro che sono in grado di raccontare quel "prodigio”: la misteriosa semioscurità in cui i colori degli scenari sospesi splendidamente dipinti pote­ vano ottenere quella magica illusione indispensabile per l’opera di Wagner. Qui si era fatta di necessità virtu. La forza tanto mag­ giore della luce elettrica strapperebbe senza pietà i famosi scenari mobili di Joukowsky dal mistero della loro penombra, e noi ci troveremmo davanti nient’altro che una striscia di tela dipinta, che ci riempirebbe al massimo di interesse storico. Questo tipo di scenografia non ci apparirebbe piu davvero credibile». In apparenza si tratta di un’antitesi puramente tecnica, ma Wieland Wagner la intende come contrapposizione di principio tra il passato e il presente. Ciò da cui cerca di tenersi lontano non è tanto la realizzazione scenografica di Wagner e Joukowsky, quan­ to quella di Tietjen e Preetorius. Ad essi rimprovera in segreto, senza far nomi, di aver coltivato instancabilmente per anni du­ rante l’epoca della luce elettrica uno stile di allestimento dei tem­ pi dell’illuminazione a gas. Una frase precisa sottolinea il contra­ sto: «Lo spazio illuminato ha preso il posto dell’immagine illu­ minata». Con questa tesi viene fondata la nuova drammaturgia e la nuova forma teatrale di Bayreuth. Lo spazio illuminato vie­ ne infatti inteso come spazio vuoto. Negli articoli di giornale e nelle interviste seguiti al succes­ so del primo festival, Wieland Wagner ha parlato volentieri di un necessario «repulisti». Un’interpretazione superficiale poteva pensare alla scomparsa degli accessori pseudogermanici, natural­ mente anche all’ariete di Fricka e al destriero da palcoscenico Gra­ ne e perfino a Wotan privo di un occhio, dato che d’ora in poi il

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baritono drammatico che deve interpretare il padre di tutti gli dei guarda con tutti e due gli occhi le diverse vicende del dram­ ma. Anche questo sta in contrasto, come Wieland Wagner sa bene, con le indicazioni registiche del nonno, ma evidentemente egli distingue tra parti essenziali e parti accidentali delle opere. Ma cosi — suo malgrado — deve arrivare alla conclusione che anche queste opere, contrariamente alla sua affermazione sopra riportata, sono meno «costanti» del previsto. L’analisi dell’inte­ razione reciproca tra rinnovamento e tradizione si sforza di arri­ vare a una duplice delimitazione: tanto dai wagneriani conser­ vatori, spaventati da ogni spettacolo inusuale, quanto dagli spe­ rimentalismi alla moda e dall’attualizzazione fittizia dei drammi musicali. Wieland Wagner prende molto sul serio il concetto dello spa­ zio illuminato, ma vuoto. Sottolineando energicamente la premi­ nenza della musica su ogni accessorio scenico, delinea in sostanza una drammaturgia del «teatro invisibile»; propugna anzi questo risultato, civetta persino un po’ con esso, perché fa immediata­ mente seguire al suo testo una citazione tratta da una nota del dia­ rio di Cosima Wagner del 23 settembre 1878, secondo cui Ri­ chard Wagner avrebbe dichiarato: «Ah, mi fa orrore tutto l’ap­ parato di costumi e decorazioni; se penso che personaggi come Kundry debbono essere infagottati, mi vengono subito in mente le disgustose feste degli artisti, e dopo aver creato l’orchestra in­ visibile vorrei anche inventare il teatro invisibile! » In tutti gli allestimenti che in seguito Wieland Wagner ha po­ tuto presentare ad Amburgo e a Stoccarda, a Bruxelles e a Roma, a Parigi e a Vienna, sull’onda delle proprie realizzazioni bayreuthiane, e non solo delle opere di Richard Wagner ma anche di Bee­ thoven e Gluck, di Salomè e Wozzeck, c’è lo spazio vuoto e illu­ minato e la predominanza dell’elemento musicale, vale a dire del­ l’orchestra. Non viene mai costruito intorno ai personaggi uno spazio definito storicamente. In contrasto con l’analisi psicologi­ ca di Tietjen e già prima anche di Siegfried Wagner, Wieland, in questo vero scolaro di Carl Orff, fissa l’azione tragica che si svol­ ge tra i personaggi lirici del dramma sull’isolamento e la separa­

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zione. I personaggi sono messi l’uno in rapporto con l’altro secon­ do la struttura drammaturgica, ma non tramite contatti apparen­ temente umani. Questo vale anche per la famosa nuova interpre­ tazione dei Maestri cantori di Wieland Wagner, cosi violente­ mente contestata alla prima rappresentazione del 24 luglio 1956. Nel saggio programmatico del 1951 era ancora affermato che si poteva lavorare ai Maestri cantori con «un certo naturalismo, come risulta di per sé dalla collocazione geografica e storica del dramma». Nel Parsifal invece si tratterebbe di un’«espressione mistica di condizioni spirituali difficilmente delimitabili che han­ no la loro radice nell’irreale e possono essere capite solo con l’intuizione». Cinque anni dopo, Wieland Wagner sembra aver compreso che anche la presunta necessità del naturalismo dei Maestri can­ tori deve essere sacrificata al «repulisti». Dopo il Parsifal del 1951, I maestri cantori di Norimberga del 1956 diventano la conseguenza delle premesse elaborate in gioventù e delle espe­ rienze nel frattempo acquisite; insieme a una nuova compagnia, a un nuovo stile musicale, e non da ultimo a una nuova riflessione estetica sulle basi spirituali tanto dell’epoca di Richard Wagner quanto di quella dei suoi nipoti. Da ciò nasce il progetto di libe­ rare anche I maestri cantori di Norimberga dal legame tradizio­ nale con l’Ottocento e con la nostalgia borghese per l’« indomi­ to» Rinascimento tedesco.

v.

«I maestri cantori» fuori dall’Ottocento.

Il 24 luglio 1956 avvenne nel Festspielhaus di Bayreuth qual­ cosa di inaudito, addirittura di spaventoso per i pellegrini di Bay­ reuth: ci furono fischi e violente proteste. Oggetto di queste ma­ nifestazioni di dissenso — dove siamo arrivati! — era Wieland Wagner, nipote di Richard e Cosima. Peggio: quando egli si pre­ sentò alla ribalta per esporsi alle proteste del pubblico, non appa­ riva neppure consapevole della propria colpa, ma piuttosto di­ vertito, quasi confermato nel suo intimo. Questa nuova edizione

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dei Maestri cantori di Norimberga, successivamente molto lodata e spesso analizzata, venne poi contrapposta all’interpretazione della stessa opera data da Wieland nel 1963, la quale sembrava ricollegarsi alla vecchia tradizione teatrale di quella commedia. Del resto a torto, perché le due interpretazioni dei Maestri can­ tori di Norimberga da parte del regista e scenografo Wieland Wagner avevano un elemento in comune: esse cercavano di sot­ trarre l’opera dall’ambito d’origine del xix secolo e di integrarla in una nuova totalità spirituale. Nell’esecuzione del 1956 questa totalità era un mondo di sogno surreale, nella rappresentazione del 1963 un tentativo di svincolare la commedia di Richard Wag­ ner dalle concezioni ottocentesche del Rinascimento tedesco, e di evocare direttamente la Germania del xvi secolo. Ancora una volta Wieland Wagner, come già per il Parsifal del 1951, aveva fatto accurati preparativi storici, di cui rese par­ tecipe il suo pubblico. Nel programma del 1956 per I maestri cantori presentò brevi ma succose tesi, intitolate Qui nacque un bambino : citazione dal discorso battesimale di Hans Sachs nella bottega del calzolaio del terzo atto dei Maestri cantori di Norim­ berga. Che Wieland Wagner concepisca la sua interpretazione in modo affatto polemico nei confronti del pubblico e dei critici è evidente. In ciò riproduce la posizione di Richard Wagner, ma va ancora piu in là del nonno. Mentre Wagner aveva voluto colpire come oggetti della propria avversione soprattutto il giudice e quei maestri la cui reazione alla nuova musica di Stolzing era sta­ ta cosi sintetizzata dal presidente della corporazione Fritz Kothner: «Si, di questa roba non ho capito niente», Wieland Wagner nella sua analisi sprezzante risparmia in fondo solo Sachs e la coppia di innamorati. Non lascia immune dalle critiche neppure il guardiano notturno: «E quando mai si sarebbe potuta creare una "nuova maniera” senza "chiasso per le strade”, senza la ter­ ribile confusione della gente assennata, senza le risse notturne degli “ostetrici” attivi e passivi — insomma senza quella "follia”, a cui il cinquantenne filosofo dell’arte Wagner ormai maturo e ricco di conoscenze attribuisce una parte tanto essenziale per la nascita dell’opera artistica? "Guardiani notturni” — contempo-

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ranei che non notano nulla di nulla — aspiranti artisti non dotati, ma tanto più ambiziosi, come il David sempre affamato, e amiche materne fin troppo comprensive come Maddalena completano in modo quasi parodistico il "piccolo teatro d’arte” di Richard Wagner». In una tale interpretazione la figura individuale dei personag­ gi deve essere ridotta al suo presunto valore simbolico. La situa­ zione affascinante e umoristica del guardiano notturno che appa­ re sempre quando non accade nulla e che non intuisce che c’è stato un prima e un dopo viene considerata nell’interpretazione di Wieland Wagner rappresentativa del comportamento di mol­ te persone di fronte a un cambiamento del pensiero e della sen­ sibilità. Si assisteva al Festspielhaus a una sorta di Maestri cantori sen­ za Norimberga, certamente senza il familiare contesto storico. Nel programma il regista aveva pubblicato i documenti accura­ tamente scelti che potevano attestare il dolore esistenziale di Ri­ chard Wagner nella creazione dei Maestri cantori. Era evidente che qui la tragicità doveva emergere dietro la comicità. Mentre lavorava al testo e soprattutto alla musica della sua commedia, Wagner, come è noto, si era occupato del dramma spagnolo di Calderón, cioè di un drammaturgo non certo «gaio», nonostante le sue numerose commedie. La critica, davanti a questa esecuzione, ha coniato il motto di «Maestri cantori cattivi». Il sogno di una notte di San Giovan­ ni: venivano all’improvviso in evidenza tratti inquietanti fino allora ignorati e soppressi. Il modo d’agire degli apprendisti non ricordava più coristi spassosi, ma richiamava a volte alla mente i grotteschi doccioni delle cattedrali gotiche. Chi assisteva a que­ st’opera, non solo intuiva il sottofondo tragico dell’insieme, ma si accorgeva con meraviglia che l’esperienza calderoniana di Wag­ ner non aveva caratterizzato soltanto il Tristano, ma anche 1 mae­ stri cantori. Senonché questa volta molto della sostanza dell’o­ pera andava perduta. Scena e orchestra si dividevano l’una dal­ l’altra: se si vuole, a favore dell’elemento musicale. Non si rea­ lizzava più nemmeno il dialogo accuratamente sottolineato nel­

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la musica dal compositore. Tra Sachs-Stolzing-Beckmesser c’era qualcosa di statuario. Venivano sacrificati i rapporti drammaticomusicali. Assumeva tratti decisamente malvagi quell’Hans Sachs tradi­ zionalmente tanto mite, in apparenza superiore, simile quasi a un Dio padre. Non era affatto detto che egli non accarezzasse l’idea di far sua la piccola Èva. Le villanie della notte di San Giovanni vengono in un certo senso inscenate da lui. Sul groviglio dei corpi dei litiganti, una vera immagine di pogrom, Sachs appare come il macchinatore di tutto, poi giudice di se stesso nella sua bottega di calzolaio. Indimenticabile la scena di questo secondo atto, del tutto priva di paesaggi antico-tedeschi e di reminiscenze storiche. Un’enorme visione di lillà in uno spazio ancora una volta vuoto e illuminato: rilucente in tutti i colori della notte, della libidi­ ne e del desiderio omicida. Maestri cantori cattivi. Anche l’allesti­ mento dei Maestri cantori di Norimberga del 25 luglio 1963 ven­ ne accompagnato da manifestazioni di dissenso, ma fra i critici c’erano ormai due orientamenti, che concordavano solo nella ne­ gazione. Gli uni si richiamavano con nostalgia allo schema regi­ stico praticato per quasi novant’anni dalla prima rappresentazio­ ne a Monaco; gli altri erano accesi sostenitori dell’idea del 1956 e sembravano rimproverare a Wieland Wagner di aver ora rin­ negato se stesso. Non il sogno di una notte di San Giovanni, libe­ ramente ispirato a Shakespeare, come nel 1956, ma un tentativo di teatro shakespeariano dilatato. Questi nuovi Maestri cantori non erano piu allestiti secondo la concezione romantica di No­ rimberga del secolo scorso, meno che mai come anacronistico prolungamento dell’opera di Makart. Wieland non ritornava alla Norimberga di Wagner, ma alla Norimberga reale di Hans Sachs. Si vive in un periodo di transizione tra il medioevo e l’età moder­ na, tra il feudalesimo declinante e l’emancipazione borghese. Lo Junker von Stolzing ha lasciato il suo castello in Franconia, che probabilmente cadeva in rovina. Non è da escludere che i suoi di­ retti antenati fossero dediti, come cavalieri predoni, ad assalire i convogli dei sacelli di pepe di Norimberga. Da loro ci sarebbe

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da aspettarselo, e lo Junker un po’ rude che si installa da mastro Pogner come ospite fa intuire in una certa misura qualcosa del genere. Innanzitutto anche come artista rappresenta un anacro­ nismo. Non lo interessa la letteratura nel frattempo imborghesi­ tasi ed è rimasto fermo a Walther von der Vogelweide. Capita quindi male con i maestri. Essi non amano particolarmente i ca­ valieri predoni, hanno elaborato una letteratura borghese di for­ me umanistiche e considerano lo Junker sotto ogni riguardo co­ me «al posto sbagliato». Del resto sono passati solo pochi anni da quando i principi territoriali, aiutati dai commercianti delle città dell’impero, hanno domato il tentativo di rivolta dei cava­ lieri di Hutten e Sickingen. Anche nella città imperiale di Norimberga si vive in un’epoca di trapasso. Wieland Wagner lo mostra con precisione ed effica­ cia. Durante la messa all’inizio ci sono persone inginocchiate del­ la vecchia tradizione cattolica, ma anche altre in piedi della nuo­ va fede riformata. I maestri vengono dalle botteghe, anche ma­ stro Pogner. Sembrano sculture di Peter Vischer o Adam Krafft. Gli apprendisti con David rappresentano la Norimberga reale: al tempo stesso di allora e di oggi. Gente che conosciamo dai quadri dei maestri del Rinascimento tedesco, ma che siede pur sempre nelle osterie all’ombra di San Lorenzo e San Sebaldo. Questa è Norimberga come sostanza, non come fondale scenico. Beckmesser è rappresentato come un intellettuale molto sti­ mato che gli altri maestri rispettano e temono al tempo stesso. Impressiona con la sua imperturbabile sicurezza; credono di aver­ ne bisogno perché lui solo probabilmente conosce la tradizione umanistica, Apollo e le Muse, che i maestri cantori nel loro sfor­ zo artistico vorrebbero fondere con la fede riformata e con il loro spirito borghese cittadino. Sachs come poeta burlesco e popolare deve difendersi dagli strali di questo arrogante umanista. Già il primo saluto tra i due nella scuola di canto mostra in Sachs un’o­ stilità distaccata, e un po’ di timore, mentre Beckmesser, per lo meno all’esterno, tratta il calzolaio con molta benevolenza. Sachs non è il burbero bonario, padrone del suo destino, ma un uomo passionale cui la rinuncia costa, che ha bisogno di tutta

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la sua forza virile per sopportare Stolzing come poeta e rivale. Un uomo che sta all’erta, in pericolo, e a volte anche pericoloso. Il suo antagonista Beckmesser manca di tragicità. Nessuna scon­ fitta può toccarlo nell’intimo, perché è convinto di saperla più lunga. Forse in momenti segreti considera Sachs un poeta miglio­ re, ma ritiene se stesso più abile nel suono e nella melodia, e quin­ di tutto risulta di nuovo controbilanciato. Nessun motivo di ri­ dicolo, ma anche nessun motivo di tragicità. Da Stolzing trapela quell’atmosfera di cavaliere predone che circonda questo Junker della Franconia. Solo cosi diventa percepibile la violenza del con­ flitto tra Stolzing e i maestri, ma anche tra Stolzing e Sachs. Èva si dà a questo attaccabrighe fin dal primo momento. Non cono­ sce più il padre, né l’amico paterno. Né diritto né nascita, nulla più conta davanti a questo nuovo sentimento. Anche qui, per quel che riguarda il personaggio, ci sono tratti inquietanti. Quando l’amato rifiuta il titolo di maestro, lei sola non vive alcun conflit­ to. Partirebbe con lui comunque vadano le cose. Se Wieland Wagner all’inizio della nuova era, dunque dal 1951, aveva mostrato una certa predilezione per l’interpretazio­ ne psicoanalitica e le costellazioni archetipiche, le sue letture si ricollegano ora sempre più al pensiero dialettico della tradizione di Hegel e di Marx. Nascono legami con Theodor W. Adorno e soprattutto con Ernst Bloch. Un’idea del filosofo dialettico e musicologo Adorno su Wag­ ner viene sperimentata anche nei nuovi allestimenti bayreuthia­ ni. La tesi di Adorno suonava: «Se l’opera di Wagner è in sé davvero ambivalente e frammentaria, le rende giustizia solo una prassi esecutiva che tenga conto di questo e che realizzi le fratture anziché dissimularle». Wieland Wagner aveva considerato im­ portante far conoscere agli spettatori del teatro di Bayreuth e ai lettori del programma il saggio Paradossi e -pastorali in Wagner, abbozzato da Ernst Bloch già negli anni venti e poi da lui rielabo­ rato. L’efietto e il «rispecchiamento» di tali riflessioni si è mo­ strato negli ultimi lavori di Wieland Wagner a Bayreuth: nel nuo­ vo Tristano del 1962,0 nella sua ultima grande opera bayreuthiana, L’anello del Nibelungo del 1965.

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La prima interpretazione del Tristano e Isotta del 23 luglio 195 2 era stata un tentativo. Mancava l’accordo tra Wieland Wag­ ner e Herbert von Karajan. Il direttore del Tristano se ne andò, una volta terminato il lavoro previsto, senza salutare. Chi cono­ sce i successivi allestimenti wagneriani di Karajan capirà che qui non erano emerse animosità personali, ma contrasti estetici di principio. Wieland Wagner, per sua stessa ammissione, non aveva risol­ to tutti i problemi connessi con l’allestimento del Tannhàuser del 1954, i cui germi spirituali risalivano ai primi anni quaranta. Non approvò nemmeno la propria messinscena del 1961. Esistevano irrisolvibili conflitti tra l’edizione musicale di Dresda e quella successiva di Parigi. Di insormontabile difficoltà era anche tro­ vare una rappresentazione esteticamente tollerabile del finale. Il nipote ha citato spesso, durante i suoi sforzi, le parole di Ri­ chard Wagner tramandate da Cosima, risalenti all’ultimo periodo di vita: «Sono ancora debitore al mondo del Tannhauser». Come aveva fatto all’inizio del festival del 1951 con il saggio sul rinnovamento dell’interpretazione, Wieland Wagner, ormai noto in tutto il mondo come il fondatore, insieme al fratello, di un nuovo stile, e dunque creatore, con lui, della «nuova Bay­ reuth», prese ancora una volta posizione nel 1958 con un discor­ so programmatico sulla teoria artistica nel frattempo praticata. La relazione venne tenuta davanti a quella Società degli amici di Bayreuth il cui concetto altoborghese dell’arte fiutava dietro la maggior parte degli allestimenti bayreuthiani un nuovo cripto­ bolscevismo culturale. E, fatto preoccupante, praticato dai nipo­ ti del maestro di Bayreuth. In questa conferenza Wieland Wagner distingue nettamente tra le opere d’arte create da Richard Wagner e la sua instancabile attività di scrittore su tutti i temi della vita sociale. Se la vecchia Bayreuth si era dichiarata intimamente d’accordo con ogni idea e con ogni antipatia del grande artista, nel nipote si legge questa frase piuttosto irriguardosa: «Per il teatro moderno le specula­ zioni tanto tartassate di Wagner non hanno più significato delle sue idee sul vegetarismo o su "l’arte e il clima”. È uno dei fatali

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equivoci a cui Wagner è stato sempre esposto dedurre dalla teo­ ria dell’opera d’arte totale un dogma stilistico per il teatro e ado­ perarlo come artiglieria pesante contro tutti gli allestimenti non disposti a confondere l’idea invadente di romanticismo con il na­ turalismo del xix secolo. Wagner stesso parla più tardi di "ma­ laugurata opera d’arte totale”. Non è dunque un sacrilegio met­ tere oggi da parte questo errore probabilmente necessario del teorico». La deduzione conclusiva suonava cosi: «Le idee dell’opera wagneriana sono valide in tutte le epoche perché eternamente umane. Le indicazioni sceniche e registiche di Wagner valgono esclusivamente per il teatro del xix secolo. Dato che la “fedeltà all’opera” non è mai definitiva, l’unico modo per cercar di rap­ presentare sui palcoscenici della nostra epoca il teatro archetipico di Wagner è ricrearlo in una direzione spirituale che osi risalire alle Madri, cioè all’origine dell’opera. Partendo da questo nucleo, l’opera dovrà essere rappresentata in forma sempre nuova deci­ frando i geroglifici e i segni che Wagner ha lasciato nelle sue par­ titure come compito per le future generazioni...» Nel corso degli anni cinquanta i fratelli Wagner hanno avuto grandi difficoltà con i loro direttori d’orchestra. Knappertsbusch si era dimesso nel 1953, quando Clemens Krauss apparve sul podio a Bayreuth. Ma Krauss mori all’improvviso durante un giro di concerti nel nuovo mondo. Da allora fino alla sua morte Knappertsbusch ha determinato lo stile musicale del Parsifal di Bayreuth del 1951, il cui allestimento egli non potè mai dire di ap­ provare intimamente. Con il fiammingo e francese André Cluytens si era acquistato un maestro elegante e «morbido», che di­ resse il Tannhàuser bayreuthiano, il Lohengrin nell’allestimento in forma di oratorio di Wieland Wagner del 1958 e soprattut­ to i famosi e famigerati Maestri cantori del 1956. Anche Wolf­ gang Sawallisch e Lorin Maazel determinarono per alcuni anni l’interpretazione musicale. Con il nuovo Tristano del 1962 iniziò quell’unione tra interpretazione musicale e scenica nata dalla col­ laborazione tra Wieland Wagner e Karl Bòhm. Con Pierre Bou­ lez era apparso a Bayreuth, dopo la morte di Knappertsbusch, un

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nuovo direttore, rappresentante della musica moderna. La colla­ borazione tra Bayreuth e Karl Bóhm portò a un rinnovamento musicale dei Maestri cantori-, dopo la morte prematura di Wie­ land Wagner, Bòhm assunse ancora per una stagione la direzione del Vascello fantasma. Il successo del musicista Boulez come in­ terprete bayreuthiano del Parsifal fu cosi convincente da indurre Wolfgang Wagner a offrire al compositore e interprete francese, una volta assolti i suoi impegni con la Filarmonica di New York, la direzione dell’Anello del Nibelungo per il centenario del festi­ val del 1976. L’attività musicale di Karl Bòhm culminò a Bay­ reuth con la sua nuova preparazione dell’Anello del Nibelungo nell’allestimento di Wieland Wagner del 1965.

vi. La discesa degli dei nel Walhall.

Se si assiste alla tetralogia di Richard Wagner in unità di tem­ po e di spirito, colpisce come la poderosa costruzione abbia biso­ gno di molti interpreti (eroi, dei, gnomi o giganti), ma si risolva con tre soli oggetti — senza dubbio estremamente significativi. Certo c’è il corno di Sigfrido e il corno del richiamo di Hagen ai vassalli; vengono offerti filtri; l’officina di Mime nel bosco, non lontana dalla grotta dell’invidia di Fafner, è ben attrezzata. Ma importanti per l’azione complessiva sono solo tre oggetti: l’anel­ lo, la lancia di Wotan e la spada Nothung. Il loro rapporto reciproco determina i nessi dell’azione e dun­ que la vera concezione che Wagner ha dell’Anello. Si deve forse parlare in questo caso di valori emblematici? Si esita a farlo per­ ché in realtà ognuno di questi tre oggetti non significa solo se stesso: con esso sono espressi rapporti concettuali estremamente complessi. La tecnica dei motivi conduttori fa sì che essi ven­ gano intesi nella loro simbolicità. La lancia di Wotan sta a si­ gnificare la fedeltà ai patti e l’ordine legale nel mondo umano e divino. Il motivo spiccato, quasi discendente, che illustra nella partitura stessa una sorta di incedere con la lancia abbassata, af­ fiora dovunque si parla di vincoli, di fedeltà ai patti, di ordine

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giuridico: non importa se Wotan sia o no visibile sulla scena con la lancia. Tuttavia la lancia è importante anche nella sua forma concreta e oggettuale. Essa prima di tutto è, e soltanto dopo ha un si­ gnificato. Con la sua creazione comincia il misfatto originario: molto prima del furto dell’oro del Reno da parte di Alberico. Nel prologo del Crepuscolo degli dei le Nome raccontano: Von der Weltesche bradi da Wotan einen Ast; eines Speeres Schaft entschnitt der Starke dem Stamm. In langer Zeiten Lauf zehrte die Wunde den Wald; halb fielen die Blatter, diirr darbte der Baum, traurig versiegte des Quelles Trank '.

Quando Sigfrido spezza la lancia, diventando cosi sapiente, Wotan se ne torna con i resti nel Walhall. Se la lancia fatta col legno del frassino del mondo era servita una volta a sottomettere Loge, il fuoco, ora Loge liberato brucerà la città degli dei e con essa la lancia frantumata. Il frassino morto fornisce la legna per l’incendio. L’anello si è chiuso. La lancia è servita a chiuderlo. C’è appena bisogno di ricordare che anche quell’altro prodot­ to del sacrilegio, l’anello del nibelungo Alberico, «è» e al tempo stesso «ha un significato». Ma la spada che Wotan ha piantato nel frassino di Hunding, per ottenere tramite Siegmund la libertà dai patti conclusi con­ trovoglia e destinati a essere custoditi dalla sua stessa lancia, è in un rapporto singolarmente contrappuntistico con la lancia di Wo­ tan. Questa spezza nelle mani di Siegmund la spada che però, brandita da Sigfrido, spezza a sua volta la lancia. Nell’incendio che distrugge il morto Sigfrido, Brunilde e il mondo degli dei, si fonde anche Nothung, la spada invidiabile. 1 Dal frassino del mondo | Wotan spezzò un ramo; | il forte ritagliò dal tronco | Pasta di una lancia. | Nel lungo scorrere del tempo [ la ferita consumò il bosco; | caddero per metà le foglie, | languì secco Palbero, | si esaurì tristemente | l’acqua della fonte.

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L’anello ritorna alle figlie del Reno, la spada si fonde nell’in­ cendio universale: insieme con la sua antagonista, la lancia, che come ceppo del rogo si è ritrovata con il legno dell’albero da cui derivava. Tre oggetti. Tre portatori dell’azione e del significato. Tre simboli. La forza universale intesa come forza dell’oro. La fedeltà ai patti che nasce dall’originaria infedeltà. La spada che deve procurare la libertà dai patti e con essa la libertà pura e semplice, ma che produce soltanto violenza, illegalità, anche delitto. La for­ za dell’oro, il farsi strada dell’individuo con la violenza, la fedel­ tà ai patti nata dall’infedeltà. Quanto sia stretta e precisa la concatenazione drammatica e musicale dell’opera gigantesca, lo si avverte ascoltando tutta di seguito l’intera creazione. Da ciò nascono per il regista difficoltà sempre nuove. Potrà pure eliminare l’ariete di Fricka e il destrie­ ro Grane, anche se fanno parte della composizione. Non è una perdita. Piu difficile è cercar di mutare l’una rispetto all’altra le costellazioni dei personaggi o rendere indipendente il corso del­ l’azione dalle indicazioni illusionistiche che ha dato il grande uo­ mo di teatro del xix secolo. Si rivela subito una frammentarietà nella costruzione; diventano percepibili delle fratture; in alcuni passi l’opera totale, considerata dal punto di vista del dramma­ turgo e regista moderno, è semplicemente troppo ben elaborata. La seconda difficoltà nasce anch’essa da una divergenza del punto di vista storico; ma essa dipende dalla storia della vita di Wagner. L’anello del Nibelungo è nella sua concezione fonda­ mentale un prodotto del Wagner rivoluzionario del 1848 che aveva stretto amicizia con l’anarchico Bakunin. Il motto di Bakunin, il «piacere di distruggere è un piacere creativo», si collega in modo singolare, nella concezione della tetralogia, con le idee del rousseauismo e del «ritorno alla natu­ ra». Wotan pecca contro la natura priva di scopo e di funzioni quando profana il frassino del mondo per costruire un mondo contrattuale per gli uomini. Alberico profana la natura quando usa l’oro del Reno per scopi diversi da quelli stabiliti. Tutto de­ genera sotto le mani degli dei e degli uomini che aspirano a tra­

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sformare le sostanze naturali in funzioni. Nel finale c’è il ritorno rousseauiano alla natura. L’oro giace di nuovo — privo di funzio­ ni — nelle profondità del Reno: oggetto di contemplazione esteti­ ca per le figlie del Reno. Il vecchio mondo, insieme al frassino e ai legami contrattuali, sprofonda nell’incendio del Walhall. Distruzione al servizio di un nuovo stato di natura. Era que­ sta la visione dell’uomo nuovo — postrivoluzionario — concepi­ ta da Rousseau più Bakunin più Ludwig Feuerbach. Il socia­ lismo utopico del periodo tra il 1840 e il 1848 nella sua forma più pura. Il nuovo mondo nasce dall’incendio del vecchio: come comunità nuova, libera dal dominio dell’oro, che perciò non ha più bisogno neppure di Siegmund e Sigfrido, eroi violenti. Nelle parole finali del Crepuscolo degli dei si può intuire questa conce­ zione fondamentale: «Dalle rovine della sala gli uomini e le don­ ne, in preda alla più viva commozione, guardano il crescente ba­ gliore del fuoco nel cielo». Gli uomini nuovi assistono al tramon­ to dei vecchi rapporti di dominio e di sventura. È questo lo spirito in cui è nata l’opera durante i primi anni d’esilio. Ma essa è stata completata solo a Wahnfried, a Bayreuth. In Richard Wagner e intorno a lui molte cose erano cambiate. Lo si avverte, non solo nell’ambito musicale, ascoltando le prime bat­ tute del preludio del terzo atto del Sigfrido. Come è noto, Wag­ ner, scoraggiato, aveva interrotto la composizione dopo il secon­ do atto. L’opera viene portata a termine solo dopo la fondazio­ ne del Reich e la composizione della «marcia imperiale». La com­ pleta un artista che nel frattempo aveva cominciato a leggere Schopenhauer e che aveva ritrattato dentro di sé il Bakunin e il Feuerbach di un tempo. Il testo è musicato essenzialmente nello spirito dell’anno rivoluzionario: ma da un artista profondamente mutato. Lo si avverte non solo per il fatto che nel terzo atto del Sigfrido ci sono improvvise reminiscenze musicali dei Maestri cantori-, maggiormente avvertibile'è la discrepanza tra l’abbozzo originario del testo e l’interpretazione musicale nel Crepuscolo degli dei. Il Sigfrido dell’ultima giornata non è né un eroe né una figura tragica. L’opera, che era costruita come tragedia, assume i tratti del mistero sacro.

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Anche per questo L’anello del Nibelungo possiede una chiusa triplice, e dunque nessuna. È stata musicata la versione originaria derivante da Bakunin-Rousseau. Ma Wagner ha anche schizzato, in un secondo gruppo di versi non musicati, un finale ispirato a un’umanità utopica. Pubblicando il testo del Crepuscolo degli dei egli rese noto un gruppo di versi nato più tardi, che è puro Schopenhauer: Der Welt-Wanderung Ziel, von Wiedergeburt erlòst *.

Ma Wagner non ha musicato neppure questa interpretazione schopenhaueriana. Tutto ciò dunque si deve rappresentare oggi con tutte le sue fratture e il suo mutamento di prospettiva storica. È ciò che ha fatto Wieland Wagner. Non una rappresentazione dell’Anello come teatro germanico. Insieme alle barbe e alle parrucche bion­ de è caduto l’armamentario cavalleresco medievale che per de­ cenni si ritenne assurdamente indispensabile per quel mondo mi­ tico e astorico. In questo modo la tragedia di Siegmund e Sieglin­ de viene «ripulita». Si assiste al destino di uomini che vivono un amore ineluttabile e colpevole, Siegmund non come vichingo in armi ma come irrequieto fondatore del disordine sociale, che, de­ sideroso di eliminare dappertutto l’ingiustizia, crea il disordine, e che ha il coraggio, per il suo amore e la sua umanità, di rinun­ ciare a Wotan e al Walhall. Altrettanto impossibile d’ora in poi è rappresentare la tetra­ logia come un mito che deve condurre fatalmente dall’inizio fe­ lice alla catastrofe finale: senza che si possa comprendere perché questi splendidi dei che si recano nel magnifico Walhall su un luminoso arcobaleno al suono di una splendida musica di fanfare debbano alla fine andare in rovina. La concezione globale di Wieland Wagner mostra perché que­ sta interpretazione non sia convincente. Perché in Wagner il testo e la musica vanno letti in modo diverso. Il regista ha ideato la costruzione complessiva partendo dal preludio del Crepuscolo 1 Meta del viaggio terreno, | liberata dal ciclo delle nascite.

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degli dei-, dalla scena delle Nome che svela il misfatto originario da cui è nato il mondo contrattuale di Wotan. La scena di Erda nel Sigfrido ha preparato questa spiegazione, che Wagner da abile drammaturgo rivela solo verso la fine della vicenda, per rendere così possibile lo sguardo retrospettivo e la valutazione retroespli­ cativa dello svolgimento drammatico. Occorre perciò allestire l’opera iniziale, L'oro del Reno, partendo da questa situazione drammatica originaria rivelata solo così tardi dal poeta. Quasi tutte le esecuzioni integrali dell’Anello che c’erano sta­ te fino allora avevano messo in scena L'oro del Reno come se il profondo mi bemolle dell’inizio musicale dell’opera potesse nello stesso tempo significare l’inizio della storia drammatica. Ci si comportava come se non esistesse alcuna preistoria, come se sol­ tanto Alberico fosse il peccatore e come se nessuna ombra offu­ scasse lo splendore di Wotan e dei suoi dei, mentre dobbiamo in­ tendere già la prima scena fra le divinità come una somma di forze legate e impotenti, al tempo stesso arroganti e coinvolte nella colpa. L’innocenza della natura era stata distrutta molto prima di Alberico. Con un misfatto è iniziato il cammino di Wotan, con un inganno egli intende continuarlo quale custode dei patti. Sotto tali auspici come si può presentare l’ingresso nel Walhall come una festa luminosa? Il giubilo della musica non è, ad ascoltar bene, del tutto sincero. Wagner si è guardato dall’accordare al­ l’entrata degli dei la tonalità da lui preferita in do maggiore, simbolo della purezza, che concede a Sigfrido e Brunilde. Il dramma dell’Oro del Reno è un dramma cattivo. E così lo ha allestito Wieland Wagner. Il finale opprimeva il pubblico, non lo sollevava come si era sperato. Gli dei scendono in una fortezza chiamata Walhall; Loge resta indietro e prevede il loro inevitabile crollo; Fasolt ucciso giace visibile sul palcoscenico come prima vittima della maledizione. Questo triplice finale è stato messo in scena senza riguardi e con chiarezza. Risultava così sin dall’inizio il legame organico col Crepuscolo degli dei. Tra prologo e giornata conclusiva veniva creata un’unità spirituale che non agisce in senso edificante. Il mondo del denaro è l’odiato

La discesa degli dei nel Walhall

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mondo dei banchieri. Il tesoro dei Nibelunghi come prezzo del riscatto di Freia è presentato da Wieland Wagner come un idolo femminile fatto di blocchi d’oro. In una società mercificata anche l’amore è diventato merce. In questa cornice si svolge — nella Valchiria — l’amore ince­ stuoso dei Wàlsungen Siegmund e Sieglinde con l’impeto di un’antica tragedia. Esso è riproposto una seconda volta dal tragico rapporto tra Wotan e Brunilde, anch’esso non esente dal legame erotico (e la musica lo rivela con chiarezza). Qui si svolge — lon­ tano da tutti i trastulli germanici — un dramma borghese quale Wagner ha dovuto vivere fin troppo spesso in prima persona. Stranamente privo di ogni legame vi sta accanto il Sigfrido. Qui mancano sia la parabola sia la tragedia borghese. Sigfrido con­ duce al mondo della fiaba, l’uomo che parte per imparare cos’è la paura. Ciò produce nel primo atto un affascinante contrappunto spirituale di azione fiabesca e scherzo musicale. Il secondo atto ha il fascino della lirica della natura, la satira corrosiva da speculato­ ri di borsa tra Mime e Alberico, ma il personaggio del candido sciocco (né la musica né la regia possono impedirlo) dà sui nervi. Wagner, artista consumato, spiattella qui l’ingenuità e la roz­ zezza in modo troppo artificioso. Quando Sigfrido, prima dell’abbraccio, culla Brunilde cantan­ do i motivi dell’uccello del bosco e questa gli risponde con il richiamo delle Valchirie, bisogna essere ferventi wagneriani per riuscire a sopportare una cosa del genere. Questo non è un pro­ blema di Wieland Wagner, ma ha a che fare con Richard Wagner. Il mondo dei Gibicungi è un moderno mondo nevrastenico, senza che un solo gesto o costume sia stato modernizzato in senso esteriore. Sigfrido nel colloquio con le figlie del Reno è diventato una figura tragica e sapiente. Il mondo fiabesco lo ha abbandona­ to. La marcia funebre, come Wagner ha voluto, è l’epicedio di un’umanità fallita che aspirava alla libertà. Indimenticabile la scena finale di Hagen tirato giù dalle figlie del Reno. Il finale — come potrebbe essere altrimenti? — rimane ambiguo e problema­ tico. La terraferma nella luce del mattino che diventa visibile per un attimo, quando il Reno è rifluito, significa la nuova utopia,

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come la musica vorrebbe far intendere, o abbiamo assistito all’e­ pilogo? vii.

Ritratto di Wieland Wagner.

Era, come suo padre, il figlio di un uomo maturo e di una giovane donna. Quando Wieland Wagner il 5 gennaio 1917 ven­ ne al mondo a Bayreuth, suo padre aveva quarantotto anni e la madre venti. Alla morte di Siegfried Wagner egli ha tredici anni e poche settimane dopo aver compiuto sedici anni vive la data del 30 gennaio 1933, cioè l’ascesa di un uomo che da anni suscitava l’entusiasmo di casa Wahnfried. In una lettera di Natale di Sieg­ fried Wagner a Rosa Eidam del 25 dicembre 1923, dunque sei settimane dopo il putsch della birreria a Monaco, si leggono que­ ste parole rabbiose: «L’8 e il 9 novembre abbiamo vissuto a Mo­ naco da vicino tutti gli avvenimenti. Con sommo giubilo e pro­ fondo dolore. Un tradimento cosi vergognoso non si è mai veri­ ficato! Certamente uomini cosi puri come Hitler e Ludendorff sono indifesi di fronte a tali bassezze. Il tedesco non può conce­ pire una cosa del genere! E che contrasto nelle file dei naziona­ listi! C’è da disperarsi! Vanità, caparbietà, mai accordo. Hanno la vita facile gli ebrei e i preti». Cosi è cresciuto il nipote maggiore di Richard e Cosima: fra nazionalisti e antisemiti, ideologi del germanesimo e odiatori del­ la democrazia. La costellazione della sua casa paterna lo ha reso inoltre membro di un ceto dominante tedesco che per cosi dire considerava naturale il proprio status e amava darsi una base ideologica servendosi delle tesi di Richard Wagner e anche di Friedrich Nietzsche. Wieland Wagner e Heinrich Boll sono coetanei. La loro con­ trapposizione può evidenziare la singolarità della gioventù di Wieland Wagner. Wieland Wagner ha dovuto considerare il 30 gennaio 1933 come una conferma ufficiale di tutto ciò che nella casa paterna si era desiderato o deprecato. Heinrich Boll ha rac­ contato come ha vissuto quel 30 gennaio, come figlio di un ceto

Ritratto di Wieland Wagner

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medio impoverito dalla crisi economica e dalla disoccupazione. Si hanno debiti, l’apparecchio radio è stato staccato. Heinrich, se­ dicenne, è a letto con l’influenza, la madre sa dal vicino le no­ tizie radio e gliele comunica. Heinrich Boll ha probabilmente sempre disegnato le sue nitide e popolaresche figure femminili basandosi sull’immagine della madre. La vecchia e pia signora quella volta ritornò a casa con la notizia della nomina del nuo­ vo cancelliere del Reich, aggiungendo che ciò significava una nuova guerra. Nel 1927 Wieland Wagner era stato accettato al liceo classi­ co, nel 1936 sostenne l’esame di maturità e prestò per sei mesi il servizio di lavoro obbligatorio. Aveva allora diciannove anni e potè per la prima volta, a Lubecca, disegnare le scene di un’ope­ ra: la prima opera di suo padre, L’uomo-orso. Per il festival egli disegnò, pur nell’ambito della scenografia di Alfred Roller per il Parsifal del 1934, la scena del «prato fiorito». Il 16 ottobre fu richiamato alle armi per un anno. Nel 1936 può disegnare per Bayreuth tutte le scene del Parsifal. La regia è di Heinz Tietjen. Nello stesso anno si presenta per la prima volta davanti a un pubblico straniero, ad Anversa, ancora in un’opera del padre, Il regno dei cigni neri. Nella primavera del 1938 viene concesso a lui e al fratello Wolfgang un viaggio di studio in Italia. Al ritorno inizia a studiare pittura presso il professor Ferdinand Staeger di Monaco; e lì si trasferisce all’inizio del 1939. È esonerato dall’obbligo militare per espresso ordine del Fiihrer, mentre il fra­ tello Wolfgang deve prendere parte alla campagna del 1939 e ritorna dalla Polonia gravemente ferito; un musicista dalla mano invalida. Wieland Wagner comincia nell’agosto del 1940 un in­ tenso studio musicale presso Kurt Overhofl. Sposa (il 12 set­ tembre 1941) Gertrud Reissinger di Bayreuth. Durante la guerra Wieland disegna per la prima volta le scene di alcune opere di Richard Wagner: nel novembre 1942 a Norimberga II vascello fantasma, il i° giugno 1943, sempre a Norimberga, La Valchiria. Questa volta firma anche la regia. Da allora è rimasto fedele al principio di assumersi la responsabilità in tutte le esecuzioni del­ la regia e della scenografia. A Bayreuth però deve limitarsi in quel

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1943 all’allestimento scenico dei Maestri cantori, che vengono rappresentati, a favore dell’associazione Kraft durch Freude e con grande disagio di Wieland Wagner, prima sotto la direzione di Wilhelm Furtwangler e poi di Hermann Abendroth. Il nipote di Richard Wagner assolve il suo fondamentale pe­ riodo d’apprendistato come scenografo e regista nell’ex teatro di corte della cittadina sassone di Altenburg. Qui dall’inizio della stagione del 1943 lavora come primo regista e fino al giugno del 1944 mette per la prima volta in scena l’intero Anello del Nibelungo e inoltre 11 franco cacciatore di Weber. Le rappresenta­ zioni della tetralogia ad Altenburg riscuotono un cosi grande suc­ cesso che Karl Bóhm nel giugno del 1944 commissiona a Wie­ land Wagner i bozzetti per un nuovo allestimento della Valchiria all’Opera di stato di Vienna. I primi modelli vengono eseguiti a Bayreuth. Poi inizia letteralmente la «guerra totale». Tutti i tea­ tri del « grande Reich » tedesco restano chiusi. Wieland Wagner si reca con la moglie e i due figli Iris e Wolf-Siegfried a Bayreuth e lavora come «arruolato» a un istituto di ricerca trasferito in Fran­ conia. Nel febbraio 1945 si giunge ad un ultimo incontro con il cancelliere del Reich. Per il suo cinquantesimo compleanno gli erano state regalate quelle partiture originali di Wagner che il compositore aveva dedicato al suo mecenate Luigi di Baviera. I manoscritti, che facevano parte del «fondo di compensazione di Wittelsbach», diventano per qualche tempo proprietà del cancel­ liere. Wieland in quel colloquio chiese che le partiture originali non fossero custodite nella cancelleria ma depositate in un luogo sicuro, richiesta che venne respinta. Albert Speer ricorda (anno­ tazione del 2 gennaio 1962) come Wieland allora, con disappunto del suo protettore, si mostrasse entusiasta dell’arte « degenerata », fatto che, secondo il Fiihrer, attestava «la decadenza di quella fa­ miglia». La famiglia di Wieland si era ritirata, come la sorella minore Verena, sul lago di Costanza: nella casa estiva della madre a Nuss­ dorf. Il 5 aprile Wahnfried viene parzialmente distrutta in un attacco aereo. Ora anche Wieland si reca sul lago di Costanza. La

Ritratto di Wieland Wagner

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fine della guerra trova la famiglia divisa. Friedelind vive in esilio, la madre insieme con Wolfgang e la moglie di questi Ellen si trova nelle vicinanze di Bayreuth, a Oberwarmensteinach, Wie­ land e Verena abitano sul lago di Costanza. Il 22 aprile 1945 le due famiglie cercano di raggiungere la Svizzera dal territorio del lago di Costanza, ma senza successo. Solo il 13 novembre 1947 Wieland ritorna per la prima volta a Bayreuth. Viene allora istrui­ to davanti al tribunale di denazificazione il processo sul compor­ tamento della famiglia, soprattutto di Winifred Wagner. Subito dopo la fine della guerra erano stati riallacciati i rap­ porti con Friedelind. Wieland disegna per lei le scene per una tournée in America del Tristano e Isotta. Che egli intenda prose­ guire la sua strada come scenografo, non gli appare dubbio in nessun momento, che si voglia o no espropriare il Festspielhaus e sottrarlo all’influsso della famiglia Wagner. Wolfgang vive in quello stesso periodo a Bayreuth come un musicista che ha ripor­ tato gravi danni dalla guerra e dalle sue conseguenze. La corri­ spondenza epistolare tra i due fratelli durante quei primi anni postbellici è fredda, pragmatica, non senza amarezza da ambo le parti. Non meno marcato è il contrasto dei figli nei confronti della madre e dell’eredità di lei e di Tietjen. Agli anni di apprendistato pratico al teatro di Altenburg ne seguirono altri, sul lago di Costanza, non meno intensi, di rifles­ sione e di ricerca della propria identità. Che Wieland Wagner, come molti giovani della sua generazione, abbia avuto grande fiducia nel Fiihrer e cancelliere del Reich, che era allo stesso tempo un amico intimo di famiglia, non lo si potrà negare. Anche nelle lettere di severa critica alla madre durante gli anni di guer­ ra, l’uomo della cancelleria viene risparmiato. Sembra che per lungo tempo anche Wieland Wagner come il suo Fuhrer abbia dato per scontato il compiersi di un miracolo del Graal. Così gli anni sul lago di Costanza diventano necessariamente anche un esame di coscienza e perciò un tentativo, per usare un’espressione di quell’Ernst Bloch piu tardi ammirato da Wieland Wagner, di «trasformarsi per rendersi riconoscibile». Dopo la fine della guerra ciò presupponeva, come nella mag­

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gior parte dei tedeschi della sua generazione, il proposito di co­ noscere tutti quei fenomeni politici, sociali e artistico-spirituali che un divieto aveva reso tabù dal 1933. Se si paragonano i bozzetti di Wieland Wagner risalenti ai tempi del Terzo Reich con i suoi lavori futuri per la nuova Bayreuth, non si potrà parla­ re di netta discontinuità. Lo stile ufficiale monumentalistico del Terzo Reich lascia tracce. Ma presto esso si trova legato a un colore e a una struttura architettonica che si riallacciavano al­ l’espressionismo a lungo bandito e diffamato come arte degenera­ ta. Il periodo d’apprendistato di Wieland sul lago di Costanza, come egli stesso ha continuamente sottolineato, aveva un va­ lore per lo sforzo di conoscere, in un processo di recupero, le correnti e i capolavori in precedenza ignoti dell’arte figurativa del xx secolo. Ma la conseguenza di questo tardivo recupero, neces­ sario dal punto di vista individuale e sociale, fu che nei primi anni dopo il 1951 venne presentata a Bayreuth una nuova arte che era in effetti in grado di fondare un nuovo stile bayreuthiano, ma che nell’evoluzione artistica internazionale appariva già un po’ «invecchiata». Se un merito fondamentale dei fratelli Wieland e Wolfgang Wagner è consistito, a partire dal 1951, nell’aver messo con sem­ pre maggior vigore il festival bayreuthiano in sincronia con lo sviluppo artistico e teatrale contemporaneo, si doveva tuttavia parlare di un sincronismo leggermente «ritardato». Alla sua mor­ te Wieland aveva ricreato il legame tra l’opera di Richard Wag­ ner e il pensiero moderno. Richard Wagner era di nuovo diventa­ to nostro contemporaneo. O piuttosto: ridiventò, come durante la sua vita, lo scandalo produttivo di un artista sempre inattuale. Nei programmi dei festival si leggevano contributi di Ernst Bloch, Theodor W. Adorno, Wolfgang Schadewaldt. Tutto ciò non ave­ va davvero molto a che fare con lo spirito dei «Bayreuther Blat­ ter» di un tempo. Quest’uomo moderno e questo artista insa­ ziabilmente curioso di cui si era soliti ripetere come fosse auto­ ritario e dispotico conosceva al contrario in modo affascinante l’arte dell’ascolto. Stava ben attento quando ascoltava o legge­

Ritratto di Wieland Wagner

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va qualcosa che lo incantava. Poi si dava da fare o partiva per viaggi esplorativi. Non era certo possibile un perfetto accordo con gli altri. Non poteva riuscire, perché neppure l’accordo con se stesso costi­ tuiva il forte di Wieland Wagner. Tipico della sua insaziabile curiosità era la facoltà di vedere le opere ogni volta in modo nuovo, del tutto diverso da come egli stesso le aveva prima intese e interpretate. Egli era un uomo in permanente e produttivo contrasto con se stesso. Cortese quanto astuto, ascoltava attentamente, dava anche ragione a questa o a quello, ma senza garanzie. Musicista e scenografo, uomo di teatro e cultore di scienze morali, aveva fatto sue le opere che intendeva mettere in scena in modo cosi radicale, proprio dalle radici, che esse gli proponevano, invece di frettolose certezze, sempre nuovi enigmi. Wieland Wagner, se la cosa gli stava a cuore, era un maestro nello scrivere lettere di ingaggio. A lui non bastava, come a suo padre, per non parlare del regista Heinz Tietjen, enucleare la cosiddetta «verità di vita» all’interno del dramma musicale. Wie­ land Wagner era un pensatore estremista, non un razionalista borghese. Fu sempre sentito usare la parola «borghese» in tono sprezzante. In una lettera del 20 febbraio i960 (a Karl Miihlberg a Berlino) si è pazientemente occupato delle obiezioni del suo collaboratore nell’allestimento del Tristano. Wieland Wag­ ner ha così replicato: «Purtroppo non posso aderire alla Sua opi­ nione che Isotta speri nella vendetta fino all’affiorare di un certo motivo musicale. Contro una tale idea parlerebbe già la famosa lettera di Richard Wagner a Devrient sul modo di intendere Isot­ ta nel primo atto del Tristano. Non riesco a interpretare le famo­ se battute in termini per così dire "medici”. Anche nel finale l’Isotta wagneriana non può morire di una convenzionale morte clinica, se si considera l’intera opera — cosa che ho tentato di fare — come un dramma sacro, sulla scia dei misteri spagnoli che Wag­ ner studiava quotidianamente proprio all’epoca del Tristano. Te­ sto e musica rappresentano in modo inequivocabile l’esperien­ za dell’unione mistica di Isotta con l’anima di Tristano. La cosid­

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detta morte è sempre in Wagner l’irruzione nel trascendente, l’esperienza dell’eros cosmico. Tristano "muore” in uno stato d’ebbrezza dionisiaca (tempo 5/4), l’Olandese volante, Tannhau­ ser e Sigfrido muoiono come “trasfigurati”. Ho sempre senti­ to come del tutto insoddisfacente la morte fisica di Isotta e ho perciò tentato—posso dire espressamente tentato—di dare una so­ luzione scenica del problema diversa da quanto si è fatto finora». In una conferenza davanti agli studenti americani Sull’Arte del romanzo Thomas Mann nel 1942 afferma che fra i romanzi e i romanzieri tedeschi del xix secolo si potrebbe difficilmente tro­ vare qualcosa di paragonabile alla grande narrativa francese, rus­ sa, inglese o anche americana dello stesso periodo; per contro Richard Wagner, a partire dal Tristano e in particolare con L’a­ nello, costituirebbe l’equivalente tedesco del romanzo borghese realistico e psicologico. La tetralogia è qui intesa come una sorta di teatro epico, nel quale la funzione dell’analisi psicologica del­ l’epica vera e propria viene questa volta affidata all’orchestra, che non sostiene semplicemente le parole o il canto dei personaggi, ma a volte svela anche, con altissima arte, ciò che il personaggio non vuol dire o vorrebbe tacere. Il silenzio di Tristano o le men­ zogne di Mime diventano comprensibili come unità solo grazie al legame di espressione verbale e musicale. Wieland Wagner ha probabilmente conosciuto solo tardi que­ sto scritto di Thomas Mann: quando si era già sviluppato il suo personale stile interpretativo. Ma già nello scritto programmati­ co del 1951 era stato riservato alla musica dell’orchestra wagne­ riana un ruolo dominante. Ciò però significava rinunciare costantemente all’interpreta­ zione mimico-gestuale della musica sul palcoscenico. Appunto per questo negli allestimenti di Wieland Wagner la «recitazione» aveva un valore così poco rilevante da indurre alcuni critici a parlare di stile da oratorio. Ma ci si proponeva qualcosa di com­ pletamente diverso da un concerto in costume. Solo che anche qui valeva, come in tutti i moderni sforzi intorno all’arte, il mot­ to di Franz Kafka: «Per l’ultima volta psicologia». Proprio per­ ché Wieland Wagner era un conoscitore della moderna indagine

Ritratto di Wieland Wagner

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psicologica, doveva sembrargli insopportabile allestire le opere del nonno partendo dalle motivazioni psicologiche del xix secolo. Era così diventata evidente la problematica del moderno ar­ tista esecutivo davanti all’opera wagneriana. I romanzieri del­ la metà del xx secolo rifuggono dal romanzo psicologico e dai narratori onniscenti; il loro realismo diffida dalle certezze di un tempo e procede per lo piu a tastoni e solo per «ipotesi» con la materia da raccontare. Non viene più raggiunta né perseguita la bella tornitura dei grandi romanzi di una volta. Anche Thomas Mann nel romanzo di Giuseppe ha creato una tetralogia, rifiutan­ do consapevolmente la costruzione dell’Anello del Nibelungo. I romanzi odierni restano frammentari, vincolati alla forma aperta. Il teatro ha da tempo rinunciato all’immedesimazione e all’ine­ briante consonanza tra spettatore teatrale e personaggio scenico. Anche senza Brecht si sarebbe arrivati a un’arte teatrale dello straniamento e del distacco. Alla rinuncia di Wieland Wagner a una regia teatrale psicolo­ gistica corrispondeva perciò al tempo stesso la rinuncia a una in­ terpretazione musicale dionisiaca, disposta a sorvolare audace­ mente sui dettagli. Era dunque logico che Wieland Wagner si legasse proprio a Karl Bòhm e Pierre Boulez. Se si analizza il comportamento del figlio maggiore di Sieg­ fried e Winifred, balza agli occhi la discrepanza tra Wieland e suo padre. Siegfried Wagner è raffigurato in tutte le descrizioni di incontri, perfino quelli con persone che respingevano le sue idee politiche e le sue composizioni, come un uomo estremamente amabile, socievole e paziente. La sua opera di regista era utile e capace di immedesimazione, ma soprattutto disposta a «servire» nel senso tramandato da Cosima. Wieland Wagner era osses­ sionato dalle sue visioni e dai suoi progetti, e non sempre le cose si svolgevano senza scontri. Quando in una lettera degli ultimi anni, che è in segreto una lettera d’ingaggio, scritta alla cantante Christa Ludwig, che egli vorrebbe avere stabilmente a Bayreuth, afferma innanzitutto che per molto tempo l’aveva considerata so­ lo una tipica «cantante di camera», e soltanto durante i lavori ave­ va cambiato idea su di lei, si esprime qui un tipo di omaggio al­

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La cacciata e la riconsacrazione della casa

quanto insolito. Era naturale la fedeltà ai cantanti da lui scelti: e veniva contraccambiata dall’ardente fedeltà dei cantanti e dei mu­ sicisti. Ma Wieland Wagner non era un uomo dalla conversazione amichevolmente banale. Se il partner o l’argomento non lo inte­ ressavano, sapeva mostrare apertamente la sua noia e perfino la sua impazienza. D’altra parte era dotato di una curiosità quasi in­ saziabile. Non solo in tutto ciò che riguardava il repertorio e il carattere artistico di Bayreuth, ma in ogni campo dell’arte e della letteratura moderna. Verso la fine della sua vita Wieland Wagner, confrontando la situazione ormai raggiunta con gli inizi nel 1951, poteva contare sul fatto di aver formato una nuova generazione di musicisti e di cantanti con cui la realizzazione delle sue idee sarebbe stata piu facile che con i «cantanti di camera» e i direttori statali di un tempo. Una cantante come Anja Silja, interpreti d’eroi di tipo nuovo come Thomas Stewart o Theo Adam, un compositore e di­ rettore moderno come Pierre Boulez: con loro e con molti altri i fratelli intendevano proseguire il lavoro teatrale. Ma non ci si fa­ ceva alcuna illusione. Che la concezione realizzativa della nuova Bayreuth, insieme a quest’insolita unione personale di scenografo e regista, non potesse essere proseguita senza limiti, era ben noto ad ambedue. Wieland Wagner si era prefisso molte mete. Nelle sue conversazioni emergevano sempre nuovi piani che ruotavano intorno alla regia teatrale. Anche se in tutti i suoi allestimenti per il teatro lirico aveva tralasciato quasi con timore le opere di Mo­ zart, da molto tempo lo occupavano progetti di lavoro per il Don Giovanni. Tutto questo non si è piu realizzato. Nella primavera del 1965 comparvero i primi sintomi di una grave malattia. Wieland Wag­ ner non ha potuto piu prender parte al festival del 1966. Ha dovuto interrompere le prove e recarsi in ospedale. Il pensiero che forse non sarebbe diventato vecchio gli sembrava familiare. Il 3 o aprile 19 6 2 i fratelli Wieland e Wolfgang Wagner concluse­ ro un contratto sociale in cui si stabiliva come si dovessero prose­ guire i festival dopo la morte di uno dei due soci. Il 17 ottobre Wieland Wagner moriva nella clinica universitaria di Monaco:

Ritratto di Wieland Wagner

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quasi tre mesi prima del suo cinquantesimo compleanno. D’allora in poi, secondo il contratto sociale, a condurre il festival doveva essere il fratello più giovane Wolfgang.

Festival come professione Wolfgang Wagner

i. 1 fratelli.

Wieland Wagner dal 1951 fino al 1965 ha potuto allestire al Festspielhaus l’opera complessiva di Richard Wagner a partire dal Vascello fantasma. A Stoccarda si è inoltre cimentato in una nuova messinscena del Rienzi, ma è venuto alla conclusione di continuare a rispettare le disposizioni del nonno e di escludere il Rienzi dal repertorio di Bayreuth. Avevano avuto esito positivo le realizzazioni del Parsifal e del Tristano. Anche le due interpre­ tazioni antitetiche dei Maestri cantori di Norimberga potevano, proprio nella loro estrema formulazione, mettere alla prova le possibilità risultanti da una regia dello spazio illuminato e vuoto. L’allestimento dell’Anello del Nibelungo del 1965 era valido nella concezione, ma irrisolto in molti dettagli. Il regista lo sape­ va e non ne faceva mistero nemmeno nella conversazione. Biso­ gnava continuare a lavorarci. Wieland Wagner, come ha ammes­ so con se stesso e gli altri, non è mai riuscito a risolvere il Tann­ hauser, nonostante i numerosi tentativi e benché fin da giovane e nel pieno della guerra non avesse avuto altro desiderio che con­ trapporre un suo fortunato progetto all’allestimento del Tann­ hauser curato dal padre nel 19 3 o. Il vascello fantasma con la regia di Wieland Wagner è riuscito a raggiungere un arduo ma sor­ prendente equilibrio grazie alla collaborazione del regista con una Senta insolita e in effetti giovanissima: la cantante Anja Silja. L’allestimento del Lohengrin di Wieland Wagner è stato giudi­ cato statico; la messinscena era stata curata da un artista figurati­ vo cui importavano soprattutto i colori e le linee. In poco tempo si era fatto molto lavoro, per non parlare degli allestimenti di Gluck, Mozart, Verdi o Alban Berg e delle traspo­

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Festival come professione

sizioni del modello bayreuthiano nei teatri lirici tedeschi e stra­ nieri. Ancora dieci anni dopo la morte di Wieland Wagner gli allestimenti wagneriani dei grandi teatri lirici sono caratterizzati da lui e dalla nuova estetica di Bayreuth. Ma la cosa non poteva continuare. I fratelli lo hanno intuito dopo i primi dieci anni di lavoro comune. Con ogni nuovo al­ lestimento quel Wàhnen diventava certezza. Anche Wolfgang Wagner fino alla morte del fratello aveva potuto presentare al Festspielhaus la maggior parte delle sue interpretazioni: il Lohen­ grin nel 1953, Il vascello fantasma nel 1955, la tetralogia nel i960. Un anno dopo la morte di Wieland, e dunque nel primo anno delle sue funzioni di direttore unico del festival, egli mise ancora in scena una nuova edizione del Lohengrin, con la dire­ zione musicale di Rudolf Kempe. Poi venne l’allestimento dei Maestri cantori di Norimberga per il centenario della loro prima rappresentazione a Monaco nel 1868. Nel 1970 Wolfgang Wag­ ner ha messo per la seconda volta in scena la tetralogia; cinque anni dopo (nel 1975) si è aggiunto un nuovo allestimento del Parsifal. Wolfgang Wagner non aveva allestito il Tristano per Bayreuth, ma l’aveva piu volte presentato in tournée in Italia: a Venezia (nel 1958) e a Palermo (nel i960). Non si è invece ci­ mentato in una rappresentazione del Tannhàuser a Bayreuth. Ciò era alla lunga difficilmente proseguibile. Fino a che punto tutti gli allestimenti dei due fratelli seguissero un concetto esteti­ co comune, è diventato evidente quando si è esaurita l’intera serie delle opere. Naturalmente c’erano divergenze tra Wieland e Wolfgang Wagner nella concezione fondamentale interpreta­ tiva e rappresentativa dell "Anello’, ma d’altra parte era altrettan­ to difficilmente negabile l’esistenza di principi comuni. Anche Wieland Wagner per il suo allestimento della tetralogia del 1965 si era ricordato di quel «disco del mondo» che aveva caratteriz­ zato come totalità scomponibile in segmenti l’impianto registico di Wolfgang Wagner del i960. Il nuovo stile bayreuthiano si era sviluppato fin dall’inizio dal momento negativo e distruttivo. Il motto di Wieland Wagner del «repulisti» voleva significare ben piu dell’eliminazione di og­

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getti scenici e del rifiuto di fingere sul palcoscenico una qualche «realtà» storica o addirittura mitica. Gli allestimenti dei due fratelli erano espressivi, non realistici. Non era piu l’espressio­ nismo del Vascello fantasma di Otto Klemperer e Jurgen Feh­ ling, ma dietro le decise stilizzazioni si avvertiva la sfiducia dei nipoti di Richard Wagner verso ogni arte teatrale illusionistica. Eppure la ricostruzione che si arrischiava dopo il momento di­ struttivo, dopo un crepuscolo degli dei nella vita e non nel tea­ tro lirico, si presentava come una nuova illusione: come l’illu­ sione di un nuovo espressionismo. A Bayreuth si era superato tan­ to lo stile da teatro comunale quanto il teatro psicologico e pseu­ dorealistico di Tietjen e Preetorius, ma non ci si era arrischiati ad allestire l’opera di Wagner ricorrendo allo straniamento. Nel 1951 si era tentato, dapprima con eccezionale successo, di rag­ giungere il rinnovamento attraverso un’arte teatrale e ancor piu un’arte figurativa che erano ormai già invecchiate: un espressio­ nismo dopo l’espressionismo. Ma, man mano che il tempo pas­ sava, la Bayreuth di Wieland e Wolfgang Wagner correva il pe­ ricolo di trasformarsi essa stessa in un nuovo anacronismo. Su questo, negli ultimi anni di vita di Wieland Wagner, i fratelli hanno continuamente discusso. C’erano, come ovvio, divergenze di carattere e di concezione della teoria estetica e della prassi teatrale. D’altro canto Wieland e Wolfgang Wagner si completavano in modo davvero felice. Non soltanto nel senso che Wieland sin dalla gioventù era tutto dedi­ to ai problemi estetici e si occupava controvoglia delle difficoltà di ordine pratico, mentre Wolfgang Wagner era diventato fin dal primo momento l’uomo dell’amministrazione, delle finan­ ze, dei rapporti giuridici. Era forse più importante, anche se me­ no palese per il mondo esterno, il fatto che Wieland Wagner, con­ formemente a tutta la sua evoluzione e alle sue tendenze, fosse costantemente fedele al primato del visuale, e quindi dell’arte figurativa. Wolfgang Wagner era soprattutto un musicista, cui durante la campagna di Polonia nel settembre 1939 un colpo d’arma da fuoco aveva menomato l’articolazione del polso, impedendogli

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così di suonare qualsiasi strumento. Dopo il suo congedo dalla Wehrmacht nel 1940, è diventato assistente di Heinz Tietjen presso l’Opera di stato prussiana di Berlino, dove ha conosciuto come musicista la vita quotidiana di un grande teatro lirico. Nel 1944 ha curato il suo primo allestimento all’Opera di stato di Berlino. Anche lui ha debuttato, come suo fratello Wieland, in un’opera di suo padre. Il 7 giugno 1944 l’opera di Siegfried Wagner L’allegro compagnone è stata rappresentata, sotto il nuo­ vo titolo di La notte di Sant’Andrea, per il settantacinquesimo an­ niversario della nascita del compositore con la regia del figlio. Nell’agosto di quell’ultimo anno di guerra tutti i teatri rimasero chiusi. Wolfgang Wagner ritornò a Bayreuth: arruolato nell’e­ sercito e assegnato al genio civile della città. Visse lì la fine della guerra. La sua prima attività furono i lavori di sgombro delle macerie di casa Wahnfried. Dato che il fratello minore non era mai stato membro di una organizzazione nazista, non fu presa in esame nel suo caso alcuna limitazione professionale. Quattro an­ ni dopo la fine della guerra ai due fratelli venne affidata la dire­ zione del festival. L’accordo privato tra Wieland e Wolfgang stabiliva che quest’ultimo abbandonasse un allestimento già pro­ gettato per il 1952 per potersi dedicare completamente ai compi­ ti organizzativi. Ma egli diresse insieme a Wieland una tournée del festival di Bayreuth a Napoli comprendente L’oro del Reno e La Valchiria. Tre anni dopo (nel 1955) mise per la prima volta in scena a Braunschweig il Don Giovanni, che rimase l’unico allesti­ mento, a prescindere dal debutto berlinese, in cui egli si spinse lontano dal terreno familiare, oltre il regno del Graal delle opere di Richard Wagner. Dopo la morte di Wieland Wagner, fu chiaro al sopravvissuto che dovevano essere chiamati a Bayreuth nuovi registi e sceno­ grafi. Per quindici anni i fratelli avevano svolto tutti i lavori e sviluppato uno stile che era stato sperimentato fino alle sue estreme possibilità. Ma se Bayreuth, secondo una definizione cara a Wieland Wagner, doveva restare un’«officina», nuove persone dovevano d’ora in poi cimentarsi con nuovi mezzi e mettersi alla prova. Ce lo chiarisce un colloquio di Wolfgang Wagner con

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Martin Gregor-Dellin all’inizio del festival del 1967. Per il 1968 ci sono ancora i progetti elaborati insieme a Wieland. Wolfgang Wagner stesso intende preparare l’allestimento per il centenario dei Maestri cantori. Ma già per il Vascello fantasma del 1969 si deve chiamare un regista che venga da fuori e che non appartenga piu alla famiglia Wagner. (Curò la messinscena August Everding). In quella conversazione Wolfgang Wagner vede il suo compito principale nel continuare a concepire Bayreuth, nello spi­ rito del fratello, «come sede di una forma particolare di teatro lirico sempre rinnovantesi». Un anno dopo (nel 1968), nel collo­ quio con il musicologo bayreuthiano Erich Rappl, egli sviluppa opinioni che divergono in punti sostanziali dalla concezione delVAnello di Wieland Wagner. Dell’allestimento di Wieland del 1965 egli pensa adesso: «Sono certo che se mio fratello vivesse ancora, esso avrebbe già, dopo appena quattro anni, un’impronta completamente diversa. Mio fratello ha allora messo in scena l’opera dal punto di vista dell’elfo nero — da qui anche la predo­ minante oscurità e tetraggine delle scene. Queste scene però per la mia sensibilità sono troppo prepotenti, si pongono troppo in primo piano rispetto a ogni altra percezione. Il linguaggio sce­ nografico di Wagner è troppo stratificato perché lo si possa fissa­ re alla lunga su un’unica interpretazione visiva estrema — per inte­ ressante che sia. Per il futuro credo di poter predire che l’aspetto musicale sarà posto di nuovo molto piu in evidenza e che l’idea puramente figurativa dovrà passare in seconda linea. Del resto mio fratello stesso ha dato al suo allestimento dell 'Anello non piu di cinque anni di vita». Ci furono cambiamenti anche tra i collaboratori del festival. Karl Bóhm, che andava invecchiando, poteva sempre meno im­ pegnarsi a dirigere da solo tutte e quattro le sere della tetralo­ gia. Si raggiunse un accordo transitorio per cui Otmar Suitner avrebbe diretto il prologo e il Sigfrido, mentre Bóhm si sareb­ be riservato la Valchiria e il Crepuscolo degli dei. Bóhm ha di­ retto anche II vascello fantasma del 1969. L’improvvisa morte di Wolfgang Windgassen fece scomparire la costellazione Birgit Nilsson-Wolfgang Windgassen (Tristano e Isotta, Sigfrido e

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Brunilde). Wolfgang Wagner formò metodicamente una nuova compagnia, in base al principio che egli spesso amava formulare in tono alquanto provocatorio di fronte alla stampa, cioè che a Bayreuth non era importante avere nomi famosi. Si cercava piut­ tosto di formare giovani artisti dotati che potessero diventare fa­ mosi a Bayreuth grazie al festival. Wolfgang Wagner aveva svi­ luppato durante il suo periodo di apprendistato all’Opera di Ber­ lino la capacità di scoprire talenti artistici e vocali di giovani can­ tanti. Insieme a Wieland aveva condotto alla fama mondiale gli artisti internazionalmente sconosciuti del primo festival del 1951. Nel decennio successivo alla morte di Wieland Wagner si dovet­ tero mettere alla prova una nuova Isotta-Brunilde (Catarina Ligendza),un nuovo Lohengrin-Stolzing (René Kollo), l’Elsa e l’Èva di Hannelore Bode. Nell’inglese Yvonne Minton Wolfgang Wag­ ner ha chiamato a Bayreuth una nuova Brangàne. Quando Karl Bòhm, fin dall’inizio strettamente legato a Salisburgo, fu sempre meno disposto a dividere le sue fatiche estive tra Bayreuth e la città austriaca, si dovettero sperimentare nuovi direttori. Horst Stein diventò un nuovo direttore stabile a Bayreuth: dapprima per il Parsifal, poi per L’anello del Nibelungo. Silvio Varviso assunse la direzione del Lohengrin e dei Maestri cantori. Nel 1974 apparve per la prima volta sul podio Carlos Kleiber: il figlio di quel Erich Kleiber che Bayreuth non aveva mai voluto chiamare. Ora il figlio ha diretto dal «golfo mistico» l’antico dramma di Tristano e Isotta.

il. Un artista errante di nome Tannhauser. Gli allestimenti del Lohengrin, del Vascello, dei Maestri can­ tori e dell ’Anello del Nibelungo furono in genere accolti dal pubblico di Bayreuth la sera della prima con grandi ovazioni. Ci furono manifestazioni isolate di dissenso, rivolte al direttore, al­ la regia, ad alcuni cantanti, a volte anche a tutto l’insieme; ma questa dissonanza faceva parte integrante dello spettacolo, sem­ brava a volte prevista dalla partitura stessa. Le proteste clamo­

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rose da cui fu così spesso bersagliato Wieland Wagner dal tempo di quei memorabili Maestri cantori non si verificarono piu sotto la direzione di Wolfgang Wagner. Perfino sul nuovo allestimento di Everding del Vascello fantasma il pubblico della prima non ebbe evidentemente nulla da obiettare. Il festival del 1972 è stato inaugurato con una nuova edizione del Tannhauser. Con la «grande opera romantica» di Richard Wagner Siegfried nel 1930 aveva al tempo stesso coronato e terminato il suo lavoro teatrale a Bayreuth. Il figlio Wieland fece due tentativi che non lo soddisfecero. Wolfgang Wagner giunse alla decisione di affidare quest’opera del maestro di Bayreuth, forse la piu difficile da realizzare, a un regista che sembrava essere quanto mai lontano dalla tradizione bayreuthiana. Il regista Gòtz Friedrich, nel momento in cui ottenne l’invito di allestire a Bay­ reuth il nuovo Tannhauser, lavorava alla Komische Oper di Wal­ ter Felsenstein a Berlino Est. Questo fatto rappresentava già un programma: in armonia con Richard Wagner e con la tradizione di Bayreuth, in quanto anche Felsenstein, per considerazioni si­ mili a quelle degli scritti teorici di Wagner, rifiutava, insieme ai suoi scolari, la concezione borghese e cortigiana dell’opera, cui in­ tendeva sostituire il concetto di «teatro musicale». D’altra parte la concezione di Felsenstein si differenziava da quella di Wagner per un netto razionalismo. Alla Komische Oper si rifiutava il nesso circolare mito-razionalità: anche il mito dev’essere sotto­ posto all’interpretazione reale, cioè alla razionalità. Qui c’era conflitto tra i principi estetici della tradizione di Bayreuth e quel­ li del teatro musicale realistico. Felsenstein stesso era abbastanza onesto da escludere dal suo lavoro teatrale l’opera di Wagner: rappresentava Verdi, Offenbach, Mozart, Il franco cacciatore, e molte altre opere ancora, certamente non sempre commedie, ma non Wagner. Fu fatta un’eccezione per II vascello fantasma, ma il fondatore della Komische Oper affidò anche questo lavoro a un suo collaboratore. Egli si negò perfino a quest’opera giovanile. Gòtz Friedrich era stato fin dall’inizio plasmato da Felsenstein, il che non escludeva affatto tensioni tra il maestro e l’allievo. An­ ch’egli era il rappresentante di un teatro della razionalità, che

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prendeva sul serio i grandi libretti, le tensioni sempre nuove tra testo e musica e la tensione tra una concreta opera d’arte del pas­ sato e il pubblico di oggi, non meno concreto. Da qui nascevano divergenze con l’estetica wagneriana. Infat­ ti dal Tannhauser al Parsifal il compositore Richard Wagner ave­ va scritto per il suo tempo, includendo in ciò l’effetto specifico su un pubblico contemporaneo e le particolarità del Festspielhaus di Bayreuth: solo che da quell’attività teatrale era passato quasi un secolo. Ma le esperienze di questo secolo, in maggioranza doloro­ se, non dovevano mai restare fuori dalla scena: questo era un principio fondamentale di Walter Felsenstein e dei suoi collabo­ ratori. Nel lavoro teatrale critico anche l’opera d’arte mitica di un tempo doveva essere interpretata dalla ragione. All’estetica di Bayreuth, che si basava sull’identificazione con gli eventi scenici, veniva contrapposta un’estetica dello straniamento. Non a caso Bertolt Brecht a partire dall’opera Ascesa e rovina della città di Mahagonny (musicata da Kurt Weill) concepì sempre il teatro dello straniamento proprio in contrapposizione all’arte teatrale di Wagner. La prima di questo nuovo Tannh'àuser del 23 luglio 1972 pro­ vocò uno scandalo che superò di parecchio le proteste di un tem­ po contro I maestri cantori di Norimberga di Wieland Wagner. Dissensi già nel primo atto per la brigata dei cacciatori del lan­ gravio; l’ingresso degli ospiti nel Festspielhaus sulla Wartburg che parodiava in modo inequivocabile l’entrata degli spettatori nel Festspielhaus di Bayreuth; la preghiera e la morte di Elisabet­ ta non stilizzate in gradevole metafora. La cantante Gwyneth Jones che nell’allestimento di Gòtz Friedrich cantava anche nel ruolo di Venere, come proiezione delle fantasie erotiche dell’ar­ tista Tannhauser, interpretava in modo realistico la morte di una donna profondamente addolorata e desiderosa di morire. L’indignazione perdurò e non si limitò alla sera della prima. Autorità politiche regionali scrissero lettere alla stampa, deplo­ rando il turbamento arrecato alla «sagra» da un uomo fatto ve­ nire da Berlino Est. Si parlò anche di una sospensione delle sov­ venzioni statali per questo tipo di teatro. Altre lettere ai giornali

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lodarono con entusiasmo questo nuovo Tannhauser bayreuthia­ no. Nella conferenza stampa i cantanti e Wolfgang Wagner si di­ chiararono solidali con il loro regista. Le recite seguenti si svol­ sero senza manifestazioni di disturbo. Quando un anno dopo (nel 1973) apparve di nuovo in programma quell’allestimento, Gótz Friedrich fu entusiasticamente festeggiato dal pubblico. Che cos’era successo? L’interpretazione realistica e straniata della storia di Tannhauser aveva prodotto una contemporaneità tra quell’opera e il pubblico del 1972. Era quanto si voleva. Uno dei «cari cantori» del seguito di un malvagio autocrate e langra­ vio si presentava sulla scena nell’uniforme stilizzata delle SA; il vecchio Biterolf («Se un alto amore m’infiamma l’anima, esso mi tempra le armi nel coraggio...» così canta in Wagner) appare nel cuoio nero di un vestito ugualmente inequivocabile. Costumi ana­ loghi, disegnati, con effetto assai ambivalente, dallo scenografo Jurgen Rose, per il pubblico della festa nel palazzo della Wart­ burg: i turingi «eroi valorosi, tedeschi e saggi, orgoglioso quer­ ceto, superbo, fresco e verde...» in abiti neri tutti uguali: abbi­ gliati al tempo stesso come squadristi neri e come spettatori del festival in abito da passeggio. Le donne «soavi e virtuose», se­ condo la lusinghiera definizione di Wolfram, principe dei poe­ ti, mezze vestite da Uta di Naumburg, mezze da wagneriane del 1876 nello stile di Makart. Si aggiunse il fatto che anche nel Tannhauser di Wagner, co­ me avverrà poi nel Lohengrin, «risuona un grido di giubilo» ben noto: «Heil! Heil! Heil! al principe della Turingia! Protettore dell’arte leggiadra, Heil! Heil! Heil! » Nessuna meraviglia che a quel suono e in quella sala del Festspielhaus di Bayreuth alcuni coristi e nobili della Wartburg abbiano alzato il braccio nel saluto tedesco: purtroppo senza che il regista lo impedisse. Con orrore degli antifascisti militanti presenti alla prima. Si era comunque rovinato alla gente il dramma sacro, come dimostrarono le molte critiche, le lettere ai giornali, i commenti indignati in tutti i toni stilistici. Il Tannhauser dovette aspettare a lungo prima che si potesse sprigionare sul palcoscenico, e proprio a Bayreuth, quanto Wag­

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ner aveva concepito nel periodo ( 1845) precedente la rivoluzione del marzo 1848. Gòtz Friedrich ne aveva fornito una lettura e un allestimento molto precisi, nel senso che in questo Tannhàuser al Festspielhaus non si ascoltava nulla di ciò che Wagner non aveva composto, non si vedeva nulla di ciò che, leggendo il testo, non si doveva considerare come autentico. Non occorreva nessuna ma­ nipolazione da parte del regista. A essere manipolato per decenni era stato quel Tannhauser da teatro comunale. Nello schema del­ la festa solenne, dalla Mosa fino al Njemen, l’atto della Wartburg si svolgeva come una gara di canto in cui il coro a volte sguainava pittorescamente le spade, ma presto si calmava. Comunque è pre­ sente la pia Elisabetta. Cosa Wagner ne pensasse, si trova in una lettera del 1849, l’anno rivoluzionario, riprodotta a ragione sul programma di Bayreuth: «Far gareggiare i cantori con arti vocali, virtuosismi e cadenze avrebbe potuto essere il compito di una tenzone da concerto, non di una lotta drammatica di pensieri e sentimenti [...]. Ho conseguito così il trionfo di conquistare con il pensiero e non semplicemente con il sentimento il nostro pub­ blico dell’opera, cosi disabituato a un fatto del genere». C’è dunque un’antitesi fra i sistemi concettuali e i modi del sentimento in questa «grande opera romantica», che rivela già nel suo singolare sottotitolo l’ambivalenza sociale, perché il Tann­ hauser non è né il grand opéra dell’eredità meyerbeeriana, come pochi anni prima il Rienzi, né il tranquillo proseguimento della tradizione romantico-tedesca del compositore del Franco caccia­ tore ammirato da Wagner. Esso tiene conto di tutte le ricette e gli ingredienti sperimentati. Tieck e Heine per il Venusberg; il racconto serapiontico di E. T. A. Hoffmann La gara dei cantori, letto attentamente da Wagner e anche da Gòtz Friedrich, cosa che difficilmente ha fatto la maggior parte dei critici, perché al­ trimenti avrebbe scoperto che l’ingresso della brigata dei caccia­ tori nel primo atto e l’atteggiamento della guardia del corpo del langravio nel secondo, descritti con precisione da Hoffmann, so­ no stati fedelmente riprodotti nel libretto di Wagner. In Hoff­ mann il langravio parla cosi a Ofterdingen: «Con le vostre insane canzoni avete offeso gravemente me e le nobildonne della mia

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corte. Questa contesa non riguarda dunque soltanto la maestria di voi cantori ma anche il mio onore e l’onore delle dame. [...] Uno dei miei cantori — la sorte deciderà quale — vi verrà posto di fron­ te. L’argomento del canto potrete sceglierlo voi stessi. Ma dietro di voi ci sarà il carnefice con la spada nuda, e il perdente verrà immediatamente giustiziato » *. È quanto si avverte nell’atto della Wartburg nell’allestimento di Friedrich. Soltanto cosi diventa evidente ciò che Wagner in­ tendeva per contrasto tra il pensiero e il sentimento: l’antitesi fra una concezione dell’arte come affermazione o invece come ne­ gazione. Wagner ha cominciato a lavorare a quest’opera romantico-ra­ zionale dopo una delle piu terribili esperienze della sua vita: gli anni di fame nella Parigi della monarchia borghese, del barone Rothschild, dei compositori come fornitori di merce. La sua rea­ zione è stata anche qui, come sempre, ambigua dal punto di vista sociale: il Venusberg è l’inferno, e si trova a Parigi. Alcuni anni dopo concepisce l’incendio del Walhall, secondo le direttive del nuovo amico Bakunin, come incenerimento di Parigi. Ma con­ temporaneamente arrischia nel Tannhauser l’antitesi: paesaggio romantico tedesco con pastori, pifferi, pellegrini devoti e stella vespertina contrapposto alle orgie del «paradiso artificiale» di Venere. Egli non riesce a risolversi. Il Tannhauser è contempo­ raneamente rivolto indietro e di conseguenza in avanti. La no­ stalgia per il medioevo perduto, per la fede infantile distrutta da Ludwig Feuerbach, per gli eroi tedeschi e le donne leggiadre, come nel manoscritto di Heidelberg, dove comparivano Wolfram e Walther1 2. A ciò corrisponde nella musica la struttura cantabile di brani terribilmente popolari, come il coro dei pellegrini, il canto alla stella vespertina, l’entrata degli ospiti, e anche la musi­ ca della marcia militare con cui il compositore tedesco Tannhau­ ser canta Venere. 1 e. T. A. hoffmann, Dìe Serapiansbriìder, 1819 [trad, it. I confratelli di san Serapione, in Romanzi e racconti, Einaudi, Torino 1969, vol. II, p. 271]. 1 Wolfram von Eschenbach e Walther von der Vogelweide; il manoscritto è una rac­ colta di canzoni dei Minnesanger curata da Riidiger Manesse e dal figlio Johannes.

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Ma c’è l’altra faccia del pensiero e del sentimento: quella co­ raggiosa. Richard Wagner, dopo l’esperienza di Parigi, diffidava in segreto della regressione romantica. Alla fine giunse anch’egli alla convinzione di E.T.A. Hoffmann: nella società borghese l’arte non è possibile come mondo ornamentale, ma solo come mondo d’opposizione; non come dramma sacro borghese ma piut­ tosto come creazione artificiale di un mondo antagonistico. Nel­ l’opera Wolfram e Tannhauser stanno uno contro l’altro. Il li­ brettista non prende partito tra il tradizionalismo romantico di Wolfram e l’antiarte aggressiva di Tannhauser. Ma certo lo pren­ de il musicista Wagner: musicalmente il Venusberg trionfa sul coro dei pellegrini. Come si può rappresentare tutto questo, proprio se si prende sul serio l’opera e i suoi conflitti? C’è nel testo e nella musica l’armoniosa simbiosi di morte e trasfigurazione. Wagner, anche qui in modo bifronte, l’ha concepita e nello stesso tempo fatta negare dalla situazione complessiva. Può accettare appagato la conclusione delle tragedie di Tannhauser, Wolfram ed Elisabetta solo il cattolico credente, ma Wagner non era né cattolico né cristiano quando ha scritto il Tannhàuser. Il finale è decorazione religiosa per imbarazzo sociale. Questa incertezza dell’opera si è comunicata a Gòtz Friedrich. Egli per primo ha osato il grande salto nell’anticipazione. Tannhauser è circondato da uomini di una società futura, in cui la sua tragedia d’artista è stata «supera­ ta». Orrore della Wartburg, pardon: degli spettatori del festival di Bayreuth, a quanto pare, allorché apparvero sul palcoscenico nel finale i «lavoratori». Erano coristi in tute da lavoro stilizzate e quasi fuori del tempo. Ciò era preoccupante. Non a causa dei lavoratori, ma per una falsa concretizzazione dell’utopia. In fon­ do, come è noto, in un certo stato oggi esistente di lavoratori e contadini, i conflitti tra l’arte non conformista e la società non sono affatto risolti. È sempre il mondo della Wartburg. Il regista ha poi ritrattato questo finale. Da un punto di vista obiettivo, con ragione. La solitudine di Tannhauser non viene trasfigurata in senso sociale. Egli giace alla fine esanime e non redento sulle nude tavole del palcoscenico illuminate dalla luce di

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ogni giorno. Quel che si canta dopo resta conclusione musicale, non teatrale.

ni. Alla fine di un secolo.

Il festival del 1973 fu inaugurato il 25 luglio con un nuovo allestimento dei l&aestri cantori di Norimberga. Wolfgang Wag­ ner ne ha firmato di nuovo la regia e l’allestimento; la direzione musicale è stata affidata a Silvio Varviso. Sulla prima pagina del programma, in modo per così dire programmatico, si poteva leg­ gere un articolo sulla fondazione Richard Wagner di Bayreuth, commentato da Martin Gregor-Dellin. Si trattava della presenta­ zione autentica, autorizzata dalla direzione del festival, di un evento giuridico che dopo novantasette anni intendeva prosegui­ re in una nuova forma legale l’opera di Bayreuth. Il Festspielhaus di Bayreuth era proprietà privata di Richard Wagner. Nel solco di Cosima e Siegfried, esso era diventato con il testamento congiun­ to di Siegfried e Winifred Wagner proprietà della nuora del com­ positore. Dal 1949 stato di proprietà e direzione del festival si erano separati l’uno dall’altra. Infatti il Festspielhaus, Wahn­ fried e soprattutto l’inestimabile e insostituibile archivio erano rimasti proprietà privata. Ma ormai Wahnfried era distrutta e doveva essere ricostruita, e comunque i festival non si potevano mai realizzare senza sovvenzioni pubbliche. Ogni situazione cri­ tica della vita economica minacciava i programmi artistici. L’idea di una fondazione nazionale aveva occupato Wagner già nel primo anno di vita del festival, il 1876. Il 31 marzo 1880 lamentava in una lettera a re Luigi gli «sforzi vani per ottenere i mezzi necessari per una fondazione stabile che lo stato miserevo­ le della “nazione” tedesca non è in grado di offrire». In relazione alla scadenza del periodo di proprietà riservata per il Parsifal nel 1913 non solo Siegfried Wagner, ma anche i suoi avversari ave­ vano sollevato l’esigenza di trasformare l’impresa familiare in una istituzione nazionale. Maximilian Harden pensava soprattut­ to, come già si è ricordato, alla Baviera. Il musicologo Paul Bek-

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ker scrisse l’n agosto 1912 sulla «Frankfurter Zeitung»; «La pretesa di isolare il Parsifal è insostenibile non solo per mo­ tivi di carattere generale. È destinata a fallire anche per l’in­ conciliabilità della successione dinastica con quella artistica. Co­ me può essere concesso un privilegio a spese della collettività a un’impresa la cui amministrazione e prosecuzione sono affida­ te solo a una famiglia e per sempre legate al destino di quella? [...]. C’era allora [dopo il 1883] la possibilità di un grandioso svi­ luppo per Bayreuth, che le avrebbe dato non solo apparentemen­ te ma anche di fatto un’importanza centrale: la trasformazione in un Festspielhaus nazionale consacrato non soltanto al culto di un singolo, ma a tutta la grande arte...» Il 2 maggio 1973 sono state apposte a Monaco le ultime firme sotto l’atto costitutivo della fondazione Richard Wagner di Bay­ reuth. Hanno firmato Winifred Wagner e i suoi quattro figli o i loro rappresentanti incaricati. Hanno anche firmato gli altri membri di questa fondazione: la Repubblica federale tedesca, la Repubblica di Baviera, la città di Bayreuth, la società degli amici di Bayreuth, la fondazione regionale della Baviera, la fondazione dell’Alta Franconia e il distretto dell’Alta Franconia. Con questo documento i membri della famiglia Wagner hanno gratuitamente affidato alla nuova fondazione «il Festspielhaus di Bayreuth in­ sieme a tutti gli edifici secondari e a tutte le aree edificate che vi appartengono». Casa Wahnfried era stata donata già in prece­ denza alla città di Bayreuth a condizione che questa ricostruisse l’abitazione di Richard Wagner, destinandola a museo wagneria­ no e mettendola «stabilmente a disposizione della fondazione [...] insieme a tutti gli edifici secondari e il parco». Il piu importante bene patrimoniale era naturalmente l’archi­ vio familiare. Gregor-Dellin ha commentato questa parte del nuo­ vo atto di fondazione nel modo seguente: «Questo archivio, che era già a disposizione della ricerca — partiture, originali, prime edizioni, l’intera biblioteca di Richard Wagner, nonché i quadri, i busti, i ricordi commemorativi e il materiale illustrativo fino al 1945 - è per il suo valore il nucleo centrale della fondazione. Per garantire la sua permanenza a Bayreuth, la Repubblica federale

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tedesca, la fondazione regionale della Baviera e la fondazione dell’Alta Franconia hanno acquistato l’archivio prima della nasci­ ta della fondazione stessa. Il prezzo d’acquisto concordato di do­ dici milioni e quattrocentomila marchi pagato dai tre compratori in tre rate annuali alla famiglia Wagner si basa su due stime effet­ tuate dalla biblioteca statale della Baviera e dalla ditta Stargardt. La somma complessiva potrebbe essere molto al di sotto dell’ef­ fettivo valore di mercato degli autografi ed è del tutto giustifica­ bile nei confronti dell’opinione pubblica in rapporto alla perdita che sarebbe derivata alla ricerca da una vendita privata o da una dispersione del patrimonio. L’atto della fondazione prevede che la Repubblica federale, la fondazione regionale della Baviera e la fondazione dell’Alta Franconia mettano stabilmente a disposi­ zione della fondazione l’archivio Richard Wagner, mantenendo cosi accessibile alla pubblica ricerca uno dei piu preziosi archivi privati». Il progetto di finanziamento dei festival futuri corrispondeva in larga misura all’idea di Maximilian Harden e a quella successi­ va degli uomini politici bavaresi del 1949. La Repubblica della Baviera si impegnava con l’accordo del 2 maggio 1973 a conce­ dere «ogni anno ad uso della fondazione determinate sovvenzio­ ni», in modo da «rendere possibile in modo efficace la realizza­ zione degli scopi della fondazione stessa». Si trattava di un im­ pegno esigibile, se necessario, per vie legali; per cui Gregor-Dellin commenta: «Così è anche garantito il proseguimento del fe­ stival. Questa clausola è confermata dall’articolo 3 dello statuto, che definisce espressamente patrimonio della fondazione " i suoi crediti permanenti verso la repubblica bavarese, la città di Bay­ reuth e il distretto dell’Alta Franconia, nella misura fissata dal­ l’atto costitutivo”. La fondazione è di pubblica utilità (artico­ lo io)». Ma fondazione e impresa festivaliera sono giuridicamente di­ vise in modo netto l’una dall’altra. Di conseguenza i membri della fondazione non possono avere alcun influsso sul programma o sulle decisioni artistiche della direzione del festival. D’altra parte la nuova fondazione è interpretabile come il proseguimento delle

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ultime volontà di Siegfried Wagner. Il Festspielhaus di Bayreuth resta anche in futuro «utilizzabile per quegli scopi a cui l’ha destinato il suo fondatore, dunque unicamente alla solenne rap­ presentazione delle opere di Richard Wagner». La nuova fonda­ zione affitta d’ora in poi il Festspielhaus al direttore del festival. Il consiglio della fondazione dovrà decidere anche sul successore dell’attuale direttore del festival, Wolfgang Wagner, essendo sta­ bilito che «di massima» a essere incaricato della direzione sarà un membro della famiglia Wagner. «Si può dire che la sostanza di questo complicato statuto si nasconde in una brevissima frase dell’articolo 8, comma 5: "Il contratto d’affitto assicura al direttore la libertà artistica”. Que­ ste parole hanno quasi un tono commerciale - in sintonia con la positiva rinuncia dei fondatori ad ogni frase retorica e ad ogni atteggiamento nazionalistico. Ma talune utopie, fra cui quella di Wagner, si realizzano appunto solo in modo approssimativo e profano, e se sono ripagate da un proseguimento artisticamente indipendente del festival, dalla sua garanzia materiale e dalla tutela di una preziosa eredità, lo scopo di quell’azione politico­ culturale, alla fin fine assai lungimirante, è certamente raggiunto» (Martin Gregor-Dellin). Il più importante lavoro teatrale di Wolfgang Wagner dalla morte del fratello è stato nell’estate 1975 ima nuova interpreta­ zione del dramma sacro Parsifal. Al contrario di Wieland, il fra­ tello minore aveva generalmente rinunciato a manifesti program­ matici e ad autointerpretazioni. Le numerose interviste che aveva l’abitudine di concedere ad ogni inizio e chiusura dei festival da lui diretti venivano ridotte, a volte senza che gli intervistatori se ne accorgessero, a problemi organizzativi, di cast artistico, di prospettive di lavoro. Ma nel caso del nuovo Parsifal egli ha mes­ so da parte questo atteggiamento di apparente ostilità alla teoria. Nei colloqui con il suo assistente O. G. Bauer sono stati formulati «punti di vista sul Parsifal» che si possono intendere come un progetto contrario all’interpretazione di quell’opera data da Wie­ land Wagner nel 1951. In quella interpretazione, che nel 1951 era stata subito intesa

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come il modello di una nuova Bayreuth, Wieland Wagner si era attenuto come sempre alle antitesi morali, creando un allestimen­ to che parteggiava per l’intatta comunità del Graal e per Titurel e che — ovviamente — avversava il ribelle Klingsor. La rappre­ sentazione grafica di Wieland delle correlazioni spirituali e reli­ giose insisteva su un dualismo manicheo del bene e del male, della purezza e della colpa. L’interpretazione di Wolfgang Wagner non ha fiducia nella comunità dei cavalieri del Graal fondata da Titurel e condotta nel dolore dall’infermo Amfortas. La nuova interpretazione bayreuthiana del 1975 non era solo «più luminosa», come i critici han­ no potuto constatare concordi e soddisfatti, ma soprattutto nella concezione presentava un finale aperto, in contrasto con il movi­ mento circolare di Wieland Wagner, che al termine dell’opera aveva integrato in quella statica comunità di cavalieri anche il nuovo re del Graal, Parsifal. Wolfgang Wagner non ama quel mondo elitario di cavalieri, mentre ha una certa inequivocabile simpatia per lo scacciato Klingsor. Non a torto il nuovo interprete ricorda un’affermazione di Wagner in una lettera del 1859 a Mathilde Wesendonck: « So­ lo da poco ho capito che questo dovrà essere di nuovo un lavoro profondamente cattivo». Queste singolari parole di Richard Wagner diventano com­ prensibili solo se le antitesi morali perdono il loro carattere uni­ voco. E secondo Wolfgang Wagner le cose stanno sempre cosi: «La funzione sociale di ordine della cavalleria viene limitata a favore del desiderio di perfezione personale, che trova la sua espressione più evidente nell’ascesi richiesta da Titurel. I custodi dei simboli della pietà sono essi stessi privi di pietà, incapaci di conquistare per proprio merito la guarigione o la redenzione di Amfortas. La sprezzante espulsione da parte di Titurel di Klingsor che si travaglia intorno all’idea del Graal e l’arroganza di ima lega maschile che scavalca il dualismo uomo-donna mostrano con ogni evidenza lo straniamento dall’idea originaria del Graal. Il male in Klingsor non è un principio originario, nasce dalla mancanza del bene in Titurel. I concetti del bene e del male, an-

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cora chiaramente distinti nell’Anello, sono relativizzati in modo scettico». A ragione Wolfgang Wagner si difende inoltre dall’errata in­ terpretazione del dramma sacro, iniziata con Nietzsche, come ope­ ra di edificazione cristiana. Il Parsifal, come miscuglio di miti e anche come prodotto di una mitologia privata di Richard Wag­ ner, non è né nella sua struttura né nella sua concezione un’ope­ ra d’arte cristiana. Per questo nell’ùltimo atto della nuova inter­ pretazione bayreuthiana non c’è un ritorno alla tradizione della cavalleria: «Il finale non è la restaurazione di una condizione originaria. La polarità del mondo di Titurel e Klingsor, che si condizionano reciprocamente nella loro rigidità e deformazione, viene superata da Parsifal. La sua azione redentrice possiede la forza d’urto necessaria non a decidere la disputa a favore del mon­ do del Graal nella sua vecchia forma, ma ad annullare tesi e anti­ tesi a favore di una speranza utopica. Viene ristabilita la funzione d’ordine del cavaliere trascurata a favore di una forma di vita elitaria. Parsifal tenta di rendere bene generale la sua verità: cioè il rispetto e la pietà per il prossimo. Nello spazio luminoso ed aperto, senza chiusure, i simboli della pietà, il Graal e la lancia, sono accessibili a tutti, devono essere efficaci per tutti. Pietà an­ che come qualità sociale». In contrasto con alcuni giudizi su Wolfgang Wagner come mero uomo pratico e direttore di teatro si avverte nelle riflessioni e nei tentativi d’interpretazione del Parsifal uno sperimentalismo intellettuale che potrebbe giustificare anche in senso piu alto la definizione di «officina» permanente a Bayreuth. Wolfgang Wag­ ner pone espressamente la sua interpretazione del finale sotto il segno del «principio speranza», mostrando con ciò qualcosa di piu della semplice venerazione per il filosofo Ernst Bloch. «Perché un avvenimento abbia grandezza, debbono concorre­ re due fattori: il grande animo di coloro che lo compiono e il grande animo di coloro che lo vivono». Come si deve intendere oggi questa frase di Friedrich Nietzsche del 1876, con cui egli apre la sua «considerazione inattuale» su Richard Wagner a Bay­ reuth? Le persone che dal 1951 si riuniscono ogni anno nell’ulti­

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ma settimana di luglio in Alta Franconia, orgogliose dei biglietti difficilmente conquistati, non sono più da un pezzo la comunità degli inattuali evocata visionariamente da Nietzsche. Sono spet­ tatori borghesi della seconda metà del xx secolo. Anche il pub­ blico della «esecuzione popolare», ormai abitualmente in pro­ gramma, è borghese. Nessuna differenza nel modo di vestire e nel comportamento del pubblico tra l’esecuzione popolare e una nor­ male serata del festival colpirebbe l’osservatore. Il sogno di Ri­ chard Wagner della festa democratica non si è potuto realizzare nemmeno nel corso di un secolo. Tuttavia i festival bayreuthiani restano incomparabili. Chi sbriga rapidamente le prime sulla collina del festival per prose­ guire verso Salisburgo, si rende istintivamente conto della diffe­ renza. Bayreuth si differenzia da tutti gli altri festival tra Edim­ burgo e Baalbek non solo per l’esclusività del programma. Chi viene a Bayreuth ha poca scelta. Viene come sempre per abbando­ narsi alle opere di Richard Wagner. Nel segno di uno sviluppo musicale e anche di un’evoluzione del gusto che vorrebbe esclu­ dere sempre più nettamente la musica romantica e ignorare perfi­ no il passaggio dal classicismo viennese al primo romanticismo a favore di una preferenza per la musica antica o decisamente mo­ derna, la tradizione wagneriana a Bayreuth è diventata «inattua­ le» in un senso completamente diverso da quello pensato da Nietzsche. Chi non ama Wagner, e le ragioni possono essere mol­ teplici, e anche molto valide, non può che rifiutare nettamente l’impresa bayreuthiana come un museo di suoni. Ma l’opera complessiva di Richard Wagner ha resistito. Non in molti suoi dettagli, ancor meno nelle pretese usurpatorie del suo creatore nei confronti del futuro che, come Wagner ha postu­ lato, avrebbe dovuto qui accogliere l’opera d’arte dell’avvenire. La grandezza di Wagner, e quindi anche dell’odierno festival, non può essere individuata nel grande animo del creatore dell’o­ pera, né tanto meno nel grande animo degli spettatori del festi­ val. La grandezza di Bayreuth poggia come sempre solo sulla grandezza delle opere d’arte là rappresentate. La grandezza spe­ cialmente della tetralogia e del dramma sacro si può misurare,

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Festival come professione

per dirla con Wieland Wagner, dal loro dialettico intreccio di tradizione e innovazione. Anche le utopie fallite di Richard Wag­ ner, anche la sua rinuncia alla propria visione della festa demo­ cratica sono l’espressione di contraddizioni che continuano a esi­ stere. Theodor W. Adorno nella sua Ricerca su Wagner ha così formulato la cosa: «Nel mezzo di un’immagine distorta di comu­ nità nasce lo sguardo che coglie senza misericordia il vero volto della società. Anche il mitico intreccio della storia universale nell’Anello non è solo espressione di una metafisica deterministica, ma al tempo stesso svolge una critica del mondo soggetto a un cat­ tivo determinismo» *. Questa è una tesi che resta valida e che rias­ sume come conflitto permanente un secolo di festival bayreuthia­ ni. Come conflitto la cui fine non è prevedibile. 1 Cfr. T. w. adorno, Wagner. Mahler. Due studi, trad. it. Einaudi, Torino 1978, p. 125.

Epilogo. Alla luce della nostra esperienza

«Alla luce della nostra esperienza». Thomas Mann ha escogi­ tato questa formula singolare nel 1947 quando ha tenuto la so­ lenne conferenza nel primo congresso postbellico del PEN-club a Zurigo. Aveva portato a termine il gigantesco lavoro del suo ro­ manzo sul compositore tedesco Adrian Leverkiihn che per amo­ re dell’arte stringe un patto col diavolo. In questo Doctor Faustus circola anche lo spirito di Friedrich Nietzsche. Il saggio di Tho­ mas Mann La Germania e i tedeschi e appunto questo discorso di Zurigo sulla Filosofia di Nietzsche alla luce della nostra espe­ rienza appartenevano direttamente come testi critici e contributi interpretativi alla sostanza del romanzo di Faustus. La filosofia di Nietzsche è confrontata con i suoi effetti storici: «In piu di un senso Nietzsche è diventato storico. Ha fatto sto­ ria, storia terribile, e non esagerava quando si definiva "una scia­ gura”. Ha esagerato in senso estetico la sua solitudine». L’oratore Thomas Mann viene poi a parlare della colpa origi­ naria del filosofo Nietzsche: l’estetizzazione del male. Qui in ef­ fetti parlano le esperienze dei contemporanei del 1947, ostili a ogni gioco con le belle infamie. «L’abbiamo conosciuta in tutta la sua miseria, — ha detto Thomas Mann di questa cattiveria roman­ tica, — e non siamo più abbastanza esteti per aver paura di pro­ fessare il bene, per vergognarci di concetti e modelli banali come verità, libertà, giustizia [...]. Una concezione estetica del mondo è del tutto incapace di affrontare i problemi che dobbiamo risol­ vere, — per quanto il genio di Nietzsche abbia contribuito a creare la nuova atmosfera». La considerazione di Nietzsche Richard Wagner a Bayreuth

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Epilogo

appartiene insieme al suo oggetto, il festival creato da Wagner, a un’esperienza che si potrebbe indicare solo con riluttanza come «tesoro di esperienze». Anche Richard Wagner aveva disprez­ zato nella vita e nel pensiero, ed infine nelle sue produzioni arti­ stiche, il giorno desolato con le sue banali antitesi di bene e male, giustizia e ingiustizia: per amore dell’incommensurabile opera d’arte. Lo affascinava Sigfrido, uomo libero che si fa strada da sé, risolve i conflitti con l’aiuto della spada Nothung e spezza la lan­ cia, simbolo della fedeltà umana agli accordi. Anche il puro folle Parsifal sta al di là delle norme di una comunità umana. Il suo sa­ pere nato dalla pietà, che rifiuta di farsi guidare da Gurnemanz, è l’immagine rovesciata del sapere di Sigfrido, nato da un istinto apparentemente «naturale». Il primo Nietzsche era entusiasta del giovane Sigfrido, che parte per conoscere la paura: cioè la vita in una comunità, che non può esistere senza paura. Egli ha invece schernito con violenza il puro folle Parsifal. A torto, perché i due sono affini: proprio come la futura filosofia di Nietzsche non è mai riuscita a liberarsi da Richard Wagner. Ma questo lui stesso lo sa­ peva fin troppo bene. Anche Sigfrido, Parsifal e Zarathustra sono affini. Erano in­ nanzitutto i sogni d’artista dell’ottocento borghese, intesi come provocazione estetica e come antitesi al mondo della borghesia. Alla «luce della nostra esperienza» ne è scaturita un’ideologia inequivocabilmente borghese. I concetti estetici tanto di Wagner quanto di Nietzsche sono stati subito utilizzati in modo politico, quando la società borghese si è sentita minacciata. Ciò vale tanto per l’abuso della formula nietzscheana del «vivere pericolosamen­ te» quanto per i sogni politici coltivati a Wahnfried. Esiste uno scritto, Ideali politici, di Houston Stewart Cham­ berlain dell’anno di guerra 1915. Esso ha allora avuto molto successo e ha tentato di delineare, partendo dall’ideologia di Bay­ reuth, un rinnovamento politico della Germania. Che il parla­ mentarismo e l’opinione pubblica borghese dovessero essere eli­ minati, è cosa scontata per il genero di Richard Wagner. Sono qualcosa di piu di semplici parole quando Chamberlain decreta: «Nella nuova Germania non ci deve essere politica nel senso

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odierno; al suo posto subentra l’arte di stato. E si farà bene a riprendere la geniale proposta di Napoleone e prendere tutte le decisioni a porte chiuse». «Arte» di stato al posto della politica; esclusione dell’opinione pubblica a favore di un intrigo politico segreto e dunque sottratto a ogni responsabilità. Naturalmente anche questa è un’estetizzazione della politica, ma assai gradita, che assolse compiti molto concreti. Chamberlain non era un ec­ centrico isolato, ma il rappresentante di un’ideologia. Non ha per­ vertito l’«idea» di Bayreuth, ma rivelato ciò che era presente già in Wagner come potenzialità. Anche questo appartiene al fenomeno nevralgico e meritevo­ le di attenzione che si chiama «Richard Wagner a Bayreuth». Chi si occupa di esso, cento anni dopo la fondazione del festival di Bayreuth, e duecento anni dopo la nascita di quegli Stati Uniti in onore dei quali Wagner proprio nel 1876, dietro un compenso di cinquemila dollari, aveva composto la Marcia solenne per la ce­ lebrazione del centenario dell’indipendenza americana, deve ri­ flettere sulle sue conseguenze e possibilità. Un secolo di festival si presenta innanzitutto a uno sguardo retrospettivo come ebrezza artistica borghese e religione secolarizzata. Era quanto Wagner aveva voluto e calcolato. Ma certo non desiderato era l’effetto secondario per cui dovevano vanificarsi nell’inebriante godimen­ to i contorni delle opere. L’opera cui ci si abbandonava con la sensibilità non era più, proprio per questo, interrogata né presa sul serio. L’estetizzazione si era innanzitutto posta come culto del genio contrapposto alla politica, per esercitare poi a sua volta un influsso politico. Alla fine si ebbe «il crepuscolo degli dei» nella vita quotidiana. Gli dei erano entrati un tempo a Wahnfried. Ora Wahnfried bruciava come Walhall. Anche le opere d’arte che Wagner ha creato si sono trasforma­ te alla luce della nostra esperienza. Alcune di esse hanno riper­ corso all’indietro la strada dal dramma musicale all’opera. Esse sono ormai diventate repertorio dei teatri lirici, come il Don Giovanni, il Franco cacciatore o anche la Tosca di Puccini. Ciò vale per il Vascello fantasma, per il Lohengrin, e anche per I mae­ stri cantori di Norimberga.

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Lo sviluppo della musica del xx secolo si è ispirato al Tristano e al Parsifal. Chi riascolta queste opere, le vive — all’ascolto — come contemporanee dei musicisti della nostra epoca. Sono ri­ masti enigmatici il Tannhauser e L’anello del Nibelungo. Non si è potuto ricondurli al repertorio operistico convenzionale, per cui l’interpretazione di queste opere wagneriane è continuamente ridiscussa e dunque presa sul serio. Ciò si può probabilmente spie­ gare con il loro legame programmatico con i conflitti sociali del periodo storico in cui sono nate. L’artista errante Tannhauser di­ ceva il vero su un’epoca di crescente straniamento dell’arte da una società in cui essa doveva operare. L’anello del Nibelungo era nato come concezione di un artista socialista-utopistico nel processo rivoluzionario degli anni 1848-49. Il furto dell’oro, la maledizione e l’incendio del Walhall andavano interpretati come miti della quotidianità borghese. Non si cominciava con un fia­ besco e astorico «c’era una volta». Chi interpreta oggi la tetra­ logia, porta come sempre sul palcoscenico il presente. Da tempo lo si è capito: alla luce della nostra esperienza. Per questo non ha molto senso dividere la gigantesca opera di Wagner, con un nuovo processo di straniamento, in una parte ri­ masta valida e in una ormai superata. Qui la bella musica, là il testo legato all’epoca con le sue allitterazioni, i cavalieri del Graal, i santi e le donzelle. Chi procede così ha frainteso tutto. La giovanile protesta di Wieland Wagner contro un gradevole alle­ stimento delle opere come normale repertorio operistico è rima­ sta valida. Che Bayreuth, come fondazione, organizzi i festival in modo professionale è certamente inevitabile. Non si va piu a Bay­ reuth come se si trattasse di trovare il cammino per il Graal. Ma «Richard Wagner a Bayreuth» è ancora, dopo un secolo, inter­ pretazione di ciò che è stato allora creato. Quando Wagner ha ripreso a lavorare al Crepuscolo degli dei ha esitato a lungo davanti alla scena delle Nome e il 5 maggio 1870 ha scritto a Tribschen a re Luigi: «Con orrore e paura ho intrecciato alla fine la corda che, non appena mi è stata davanti nella sua trama sapiente, mi ha dato una gioia strana, esaltante: una cosa del genere nessuno l’ha ancora intessuta—così mi dico, e

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penso che così un giorno ognuno mi dirà». Il colloquio delle Nome gira però intorno all’ambiguità del sapere. Sai ciò che fu? E: sai ciò che ne verrà? Poi si spezza la corda che aveva tenuto insieme il mondo. Le Nome piangono: «È finito l’eterno sapere! Le melodie non annunciano piu nulla al mondo». Ma la rappre­ sentazione da parte di Wagner di questo crollo del sapere doveva procurare nuovo sapere. È questo che Wagner ha voluto. Ed è questo che ha sempre dato senso ai festival di Bayreuth.

Ringraziamenti. L’autore e l’editore desiderano ringraziare vivamente la direzione del festival di Bayreuth e dell’Archivio Richard Wagner per il sostegno dato al presente lavoro. Wolfgang Wagner, in particolare, ci ha aiutato con il pensiero e l’azione. Delle sue osservazioni critiche e di singole informazioni ci siamo valsi, e gliene siamo grati, anche quando la stesura del libro era terminata. Martin Gregor-Dellin di Monaco, curatore dei diari di Cosima Wagner, ha aiutato il nostro lavoro rispondendo alle domande dell’autore e deli­ neando la tendenza complessiva dei diari, di prossima pubblicazione. Le due antologie a cura di Herbert Barth e Dietrich Mach, Der Festspielhugel (Munchen 1973) e Wagner. Sein Leben, sein Werk und seine Welt in zeitgenossischen Bildern und Texten (Wien 1975) sono state consultate con grande utilità. Le principali informazioni su Siegfried Wagner sono state trovate nei testi pubblicati nel volume Der Sohn. Siegfried Wagners Leben und Dmwelt (Graz-Stuttgart 1969) di Zdenko von Kraft. Per il ca­ pitolo su Wieland Wagner, oltre alle personali esperienze ed impressioni dell’autore, sono stati soprattutto utilizzati i libri di Walter Panofsky ( Wie­ land Wagner, Bremen 1964) e di Geoffrey Skelton {Wieland Wagner. The Positive Sceptic, London 1971). Anche le conversazioni di Antoine Goléa con Wieland Wagner e le fonti elencate nella prima bibliografia di Wieland Wagner (Bayreuth 1966) sono state un prezioso aiuto nel tentativo di schiz­ zare un ritratto di Wieland Wagner. La documentazione del presente volume (testi e fotografie) è stata for* nita da Gottfried Wagner. La documentazione raccolta da Michael Karbaum nel suo libro Hundert Jahre Bayreuth (Regensburg 1976) è stata esa­ minata e utilizzata.

Stoccarda, maggio 1976.

Finito di stampare il 4 luglio 1981 per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a. presso VOfficina Grafica Artigiana U. Panelli, Torino c.l. 5237-3

Saggi

i raimondo craveri, Voltaire politico del­ l’illuminismo. 2 paolo treves, Biografia di un poeta. Mau­ rice de Guérin. 3 Zino Zini, I fratelli nemici. Dialoghi e mi­ ti moderni. 4 Pier silverio leicht, Corporazioni roma­ ne e arti medievali. 5 johan Huizinga, La crisi della civiltà. 6 Ettore ciccotti, Profilo di Augusto. 7 Angelina la piana, La cultura americana e l’Italia. 8 gertrude stein, Autobiografia di Alice Toklas. 9 niccolò tommaseo, Diario intimo. io Rudyard kipling, Qualcosa di me. Per i miei amici noti e ignoti. li gregorio maranón, Amiel, o della timi­ dezza. 12 cesare de lollis, Scrittori francesi dell’Ottocento. 13 egmont colerus, Piccola storia della ma­ tematica da Pitagora a Hilbert. 14 Tommaso parodi, Giosuè Carducci e la letteratura della nuova Italia. 1^ luigi Salvatorelli, Pio XI e la sua ere­ dità pontificale. 16 Siro Attilio nulli, I processi delle stre­ ghe. 17 Pietro pancrazi, Studi sul D’Annunzio. 18 niccolò tommaseo, Cronichetta del'Sessantasei. 19 augusto rostagni, Classicità e spirito mo­ derno. 20 Bernard faV, La massoneria e la rivolu­ zione intellettuale del secolo xyin. 21 Walter pater, Mario l’epicureo. 22 GEORGE MACAULAY TREVELYAN, La rivolu­ zione inglese del 1688-89. 23 Adolfo OMODEO, La leggenda di Carlo Al­ berto nella recente storiografia..

24 aldo MAUTINO, La formazione della filo­ sofia politica di Benedetto Croce. 25 frank Thiess, Tsushima. Il romanzo di una guerra navale. 26 johan Huizinga, Erasmo. 27 futabatei sciMEi, Mediocrità. 28 Adolfo omodeo, Vincenzo Gioberti 'e la sua evoluzione politica. 29 Giacomo savarese, Tra rivoluzioni e rea­ zioni. Ricordi su Giuseppe Zurlo (17591828).. 30 sven Hedin, Il lago errante. 31 e. r. hughes, La Cina e il mondo occiden­ tale. 32 carlo cattaneo, L’insurrection de Milan e le Considerazioni sul 1848. 33 carlo pisacane, Saggio su la Rivoluzione. 34 j. hersch, L’illusione della filosofia. 35 will winker, Lugger il ricco. 36 madame de rémusat, Memorie. 37 PAOLO SERINI, Pascal. 38 carl Gustav Jung, Il problema dell’in­ conscio nella psicologia moderna. 39 luigi Bandini, Uomo e valore. 40 Mario Praz, La carne, la morte e il dia­ volo nella letteratura romantica. 41 cesare de LAUGJER, Concisi ricordi di un soldato napoleonico. 42 pierò martinetti, Ragione e fede. Saggi religiosi. 43 lev tolstòj, Carteggio confidenziale con Aleksandra Andréjevna Tolstàja. 44 luigi Salvatorelli, Pensiero e. azione del Risorgimento. 45 fjòdor dostojevskij, Diario di uno scrit­ tore (1873). 46 Bernhard bavink, La scienza naturale sul­ la via della religione. 47 Charles de Montesquieu, Riflessioni e pensieri inediti (1716-17^5) •

48 clemens von Metternich, Memorie. 49 emilio lussu, Marcia su Roma e din­ torni. 50 Giacomo perticone, Due tempi. Note e ricordi di un contemporaneo. 5i Werner Heisenberg, Mutamenti nelle ba­ si della scienza. 52 nikolàj berdjàjev, La concezione di Dostojevskij. 53 h. w. rùssel, Profilo d'un umanesimo cristiano. 54 bruno zévi, Verso un*architettura organi­ ca. Saggio sullo sviluppo del pensiero ar­ chitettonico negli ultimi cinquantanni. 55 carlo levi, Cristo si è fermato a Eboli. 56 Alexander Werth, Leningrado. 57 felice balbo, L'uomo senza miti. 58 cesare pavese, Dialoghi con Leucò. 59 emilio lussu, Un anno Sull'Altipiano. 6o julien benda, Le democrazie alla prova. Saggio sui principi democratici. 6i mario praz, Motivi e figure. 62 BERNHARD PAUMGARTNER, Mozart. 63 augusto monti, Realtà del Partito d'Azione. 64 carlo sforza, Panorama europeo. Appa­ renze politiche e realtà psicologiche. 65 harold j. Laski, Lede, ragione e civiltà. Saggio di analisi storica. 66 mario soldati, America primo amore. 67 norman cousins, L'uomo moderno è an­ tico. 68 Lucio lombardo-radice, Fascismo e anti­ comunismo. Appunti e ricordi 1935-1945. 69 Walter lippmann, La giusta società. 70 ykwl hazard, La crisi della coscienza eu­ ropea. 71 Filippo Buonarroti, Congiura per l'egua­ glianza o di Babeuf. 72 carlo levi, Paura della libertà. 73 luigi sturzo, L'Italia e l'ordine interna­ zionale. 74 thomas babington macaulay, La con­ quista dell'india. 75 Wilhelm rópke, La crisi sociale del no­ stro tempo. 76 emilio sereni, Il capitalismo nelle cam­ pagne (1860-1900). 77 samuel bernstein, Filippo Buonarroti. 78 w. GOETHE e f. schiller, Carteggio. 79 ROBERT g. VANSITTART, Insegnamenti del­ la mia vita. 80 Adolfo OMODEO, Aspetti del cattolicesimo della Restaurazione. 81 felice balbo, Il laboratorio dell'uomo. 82 matthew Arnold, Cultura e anarchia. 83 johan huizinga, Homo ludens.

84 kurt Hildebrandt, Platone. La lotta del­ lo spirito per la potenza. 85 iljà ile e evghénij petròv, Il paese di Dio. 86 sherwood Anderson, Storia di me e dei miei racconti. 87 aldo garosci, Storia della Francia mo­ derna (1870-1946).. 88 ernest Hemingway, Morte nel pomerig­ gio. 89 0. MAENCHEN-HELFEN e B. NICOLAJEVSKI, Karl Marx. 90 barbara wootton, Libertà e pianifica­ zione. 91 GioviTA scalvini, Foscolo Manzoni Goe­ the. Scritti editi e inediti. 92 Pierre lecomte du noììy, L'avvenire del­ lo spirito. 93 ruggEro zangrandi, Il lungo viaggio. Con­ tributo alla storia di una generazione. 94 gustavo a. wetter s. j., Il materialismo dialettico sovietico. 95 LEONE GINZBURG, Scrittori russi. 96 bruno zevi, Saper vedere l'architettura. Saggio sull'interpretazione spaziale del­ l'architettura. 97 peter viereck, Dai romantici a Hitler. 98 franco venturi, lean Jaurès e altri sto­ rici della Rivoluzione francese. 99 max weber, Il lavoro intellettuale come professione. 100 karl marx e Friedrich engels, Manife­ sto del Partito Comunista. 101 Igor MARKEvircH, Made in Italy. 102 Silvio guarnieri, Carattere degli italiani. 103 marcel Raymond, Da Baudelaire al sur­ realismo. 104 josif stalin, Il marxismo e la questione nazionale e coloniale. 105 emmanuel mounier, Che cos'è il perso­ nalismo? 106 Thorstein veblen, La teoria della classe agiata. Studio economico sulle istituzioni. 107 Aleksàndr i. herzen, Passato e pensieri. 108 henri lefebvre, Il materialismo dialet­ tico. 109 Christopher caudwell, La fine di una cultura. no p. m. s. blackett, Conseguenze politiche e militari dell'energia atomica. ni luigi russo, De vera religione. Noterelle e schermaglie, 1943-1948. 112 Silvio spaventa, La giustizia nell'ammi­ nistrazione. 113 massimo d’AZEglio, I miei ricordi. 114 Georges lefebvre, L'Ottantanove. 115 Filippo, turati e Anna KULisciOFF, Car­ teggio, vol. I. Maggio 1898 - giugno 1899.

Il6 EISENSTEIN, BLEIMAN,. KOSINZEV, IUTKEvic, La figura e Parte di Charlie Chaplin. VL7 marcello soleri,.Memorie. ix8 Georges friedmann, Problemi umani del macchinismo industriale. 119 george Thomson, Eschilo e Atene. 120 Christopher caùdwèlL, Illusione é real? tà. Saggio sulle origini della poesia. 121 massimo mila, L'esperienza musicale e l'estetica. 122 bertrand rusSell, Storia delle idee del secolo xix. 123 GiAiME piNTOR, Il sangue d'Europa (19391943). 124 hector berlioz, L'Europa musicale da Gluck a Wagner. 125 hugh j. schonfield, Il Giudeo di Tarso. Ritratto eterodosso di Paolo. 126 CARLO levi, L'Orologio. 127 gyòrgy lukAcs, Saggi sul realismo: 128 s. m. eisenstein, Tecnica del cinema. 129 etienne gilson, Eloisa e Abelardo. 130 Enrico falqui. Prosatori e narratori del Novecento italiano. 131 aldo Capitini, Nuova* socialità e riforma religiosa. 132 pierò gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia. 133 Giuseppe SQUARCIAPINO, Roma bizantina. Società e letteratura ai tempi di Angelo Sommarugà. 134 Arrigo cajumi, Pensieri di un libertino. 135 erick eyck, Bismarck. 136 bruno zevi, Storia dell'architettura mo­ derna . 137 marc bloch, Apologia della storia. 138 Andre gide, Viaggio al Congo e Ritorno dal Ciad. 139 pierò gobetti, Coscienza liberale e classe operaia. 140 gaston baty e rené chavance, Breve sto­ ria del teatro. 141 barrows dunham, Miti e pregiudizi del nostro tempo. 142 ernest hemingway, Torrenti di primave­ ra. Storia romantica in onore di una gran­ de razza al tramonto. 143 john maynard keynes, Politici ed econo­ misti. 144 guido aristarco, Storia delle teoriche del film. 145 beniamino dal fabbro, Crepuscolo del pianoforte. 146 bruno snell,- La cultura greca e le origini del pensiero europeo e altri saggi. 147 Georges Sadoul, Storia del cinema. 148 cesare pavese, La letteratura americana e altri saggi.

149 benjamin farrington, Erancesco Bacone filosofo dell'età industriale. X5° Lettere di condannati a morte della Re­ sistenza italiana (8 settembre 1943 - 25 aprile 1943). 151 carlo l. ragghianti, Cinema arte figura­ tiva. 132 louis de saint-just, frammenti sulle Istituzioni repubblicane seguito, da testi inediti. IJ53 Giovanni GiOLiTTi, Discorsi extraparlamen­ tari. 154 Giorgio graziosi, L'interpretazione musi­ cale. 155 Arnold rose, I negri in America. 156 lewis jacobs, L'avventurosa storia del ci­ nema americano. 157 cesare- pavese, Il mestiere di vivere (Diario 1933-1950). 158 morelly, Codice della Natura. 139 béla balàzs, Il film. Evoluzione ed es­ senza di un'arte nuova. 160 aneurin bevan, Il socialismo e la crisi in­ ternazionale. 161 c. w. ceram, Civiltà sepolte. Il romanzo dell'archeologia. 162 estes kefauver, Il gangsterismo in Ame­ rica. 163 john Middleton Murry, Shakespeare. 164 Antonina Vallentin, Il romanzo di Goya. 165 Roberto battaglia, Storia della Resisten­ za.italiana (8 settembre 1943-25 aprile 1943) • 166 IVANOE BONOMi, La politica italiana dopo Vittorio Veneto. 167 Filippo turati e ANNA KULisciOFF, Car­ teggiot vol. V. Dopoguerra e fascismo (1919-22). 168 Lettere dei Macchiaioli. 169 gyòrgy lukàcs, Il marxismo e la critica letteraria. 170 Raffaele ciampini, Gian Pietro Vieusseux. I suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici. 171 LUDOVICO GEYMONAT, Saggi di filosofia neorazionalistica. 172 dina bertoni jovine, Storia della scuola popolare in Italia. 173 luigi rognoni, Espressionismo e dodeca­ fonia. 174 ìhMES boswell, Diario londinese (17621763). 175 Il diario di Anna Erank. 176 Robert jungk, Il futuro è già cominciato. 177 F. 0. matthiessen, Rinascimento ameri­ cano. Arte ed espressióne nell'età di Emer­ son e Whitman. 178.. Lettere di condannati a morte della Re­ sistenza europea.

179 eugène delacroix, Diario (1804-1863). i8ò d. Livio bianco, Guerra partigiana. 181 franco venturi, Saggi sull’Europa illu­ minista. I. Alberto Radicati di Passerano. 182 isacco ed ernesto artom, Iniziative neutralistiche della diplomazia italiana nel 1870 e nel 1915. 183 Theodor w. adorno, Minima moralia. 184 Roberto cessi, Martin Lutero. 185 henry Francis Taylor, Artisti, principi e mercanti. Storia del collezionismo da Ramsete a Napoleone. 186 luigi preti, Le lotte agrarie nella valle padana. 187 léon poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli Ebrei. 188 max j, friedlander, Il conoscitore d’arte. 189 Siro Attilio nulli, Erasmo e il Rinasci­ mento. 190 hans mayer, Thomas Mann. 191 ALESSANDRO PASSERIN D’ENTRÈVES, Dante politico e altri saggi. 192 Norberto bobbio, Politica e cultura. 193 roman vlad, Modernità e tradizione nel­ la musica contemporanea. 194 Mario untersteiner, Le origini della tragedia e del tragico. Dalla preistoria a Eschilo. 195 Tommaso fiore, Il cafone all’inferno. 196 carlo levi, Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia. 197 c. w. ceram, Il libro delle rupi. Alla sco­ perta dell’impero degli Ittiti. 198 gyorgy lukàcs, Breve storia della lettera­ tura tedesca dal Settecento ad oggi. 199 erich auerbach, .Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale. .200 Tibor mende, Conversazioni con Nebru. 201 franco fortini, Asia Maggiore. Viaggio in Cina. 202 ada gobetti, Diario partigiano. 203 angelos ANGELOPOULOS, L’atomo unirà il mondo? 204 franco venturi, Il moto decabrista e i fratelli Poggio. 205 Cristoforo m. negri, I lunghi fucili. Ri­ cordi della ritirata di Russia. 206 carlo falconi, La Chiesa e le organizza­ zioni cattoliche in Italia (1945-1955). 207 carlo levi, Il futuro ha un cuore antico. Viaggio nell’Dnione Sovietica. 208 Giovanni ferretti, Scuola e democrazia. 209 carlo casalegno, La regina Margherita. 210 Frederick pollock, Automazione. 211 pasquale jannaccone, Scritti e discorsi opportuni e importuni (1947-1933). 212 Adolfo venturi, Epoche e maestri dell’ar­ te italiana.

213 morus, Gli animali nella storia della ci­ viltà. 214 Roberto guiducci, Socialismo e verità. 213 cesare brandi, Elicona III-IV. Arcadio o della Scultura. Eliante o dell’Architet­ tura. 216 No al fascismo a cura di ernesto rossi. 217 felice del vecchio, La chiesa di Can­ neto. 218 franqois fejtò, Ungheria 1943-1957. 219 Pierre francastel, Lo spazio figurativo dal Rinascimento al Cubismo. 220 Leonard woolley, Il mestiere dell’archeo­ logo. 221 Danilo dolci, Inchiesta a Palermo. 222 guido Calogero, Scuola sotto inchiesta. Saggi e polemiche sulla scuola italiana. 223 cesare brandi, Elicona II. Celso o della Poesia. 224 Manlio dazzi, Carlo Goldoni e la sua poetica sociale. 223 armando gavagnin, Veni’anni di resisten­ za al fascismo. 226 egon corti, Ercolano .e Pompei. Morte e rinascita di due città. 227 PIETRO SECCHIA e CINO MOSCATELLI II Monte Rosa è sceso a Milano. La resisten­ za nel Biellese} nella Valsesia e nella Valdossola. 228 Ultime lettere da Stalingrado. 229 Edmund Wilson, I manoscritti del Mar Morto. 230 robert jungk, Gli apprendisti stregoni. 231 roman vlad, Strawinsky. 232 primo levi, Se questo è un uomo. 233 Alberto nirenstajn, Ricorda cosa ti ha fatto Amalek. 234 marcus Cunliffe, Storia della letteratu­ ra americana. 233 vance Packard, I persuasori occulti. 236 Alexander werth, Storia della Quarta Repubblica. 237 marcel proust, Giornate di lettura. Scritti critici e letterari. 238 Mario tosino, Passione per l’Italia. 239 william h. prescott, La Conquista del Messico. 240 ernesto N. rogers, Esperienza dell’archi♦ tettura. 241 Leonard woolley, Ur dei Caldei. 242 Eugenio levi, Il comico di carattere da Teofrusto a Pirandello. 243 gillo dorfles, Il divenire delle arti. 244 leo Spitzer, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna. 245 theodor w. adorno, Filosofia della musi­ ca moderna.

246 FILIPPO TURATI e ANNA KULISCIOFF, Car­ teggio, vol. VI. Il delitto Matteotti e VAventino (1923-25). 247 j. j. lador-lederer, Capitalismo mondia­ le e cartelli tedeschi tra le due guerre. 248 ANGELO MARIA RIPELLINO, Majakovskiì e il teatro russo d’avanguardia. 249 arturo Carlo jemolo, Società civile e so­ cietà religiosa (1955-1958). 250 carlo levi. La doppia notte dei tigli. 251 Ambroise vollard, Quadri in vetrina. 252 Gaetano salvemini, Italia scombinata. 255 mario einaudi, La rivoluzione di Roose­ velt, 1932-1952. . 254 aldo GAROSCi, Gli intellettuali e la guerra di Spagna. 255 Alois riegl, Arte tardoromana. 256 jean rostand, L’uomo artificiale. 257 carl Gustav jung, La simbolica dello spi­ rito. Studi sulla fenomenologia psichica con un contributo di Riwkah Schàrf. 258 massimo mila, Cronache musicali 19551959. 259 john chadwick, Lineare B. L’enigma del­ la scrittura micenea. 260 Frederick antal, La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento. 261 william h. whyte jr, L’uomo dell’orga­ nizzazione. 262 La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. I. «Leonardo», «Hermes», «Il Regno». 263 Erwin piscATOR, Il teatro politico. 264 Eugenio battisti, Rinascimento e Ba­ rocco. 265 Walter BiNNi, Carducci e altri saggi. 266 La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. III. «La Voce» (1908-1914). 267 luigi Salvatorelli, Leggenda e realtà di Napoleone. 268 Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Hoss. 269 Ladislao mittner, La letteratura tedesca del Novecento e altri saggi. 270 danilo dolci, Spreco. Documenti e in­ chieste su alcuni aspetti dello spreco nel­ la Sicilia occidentale. 271 Alberto caracciolo, Stato e società civi­ le. Problemi dell’unificazione italiana. 272 robert jungk, Hiroshima, il giorno dopo. 273 renato birolli, Taccuini (1936-1959). 274 Corrado maltese, Storia dell’arte in Ita­ lia 1785-1943. 275 Adolfo omodeo, Libertà e storia. Scritti e discorsi politici. 276 h. h. stuckenschmidt, La musica mo­ derna.

277 massimo l. salvadori, Il mito del buon­ governo. La questione meridionale da Ca­ vour a Gramsci. 278 Theodor h. gaster, Le piu antiche storie del mondo. 279 II diario di David Rubinowicz. 280 Geoffrey Bibby, Le navi dei Vichinghi e altre avventure archeologiche nell’Europa preistorica. 281 FERDINANDO SALAMON, Il conoscitore di stampe. 282 Antonina Vallentin, Storia di Picasso. 283 La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. IV. «Lacerba», «La Voce» (1914-1916). 284 Federico zeri, Due dipinti, la filologia e un nome. Il Maestro delle Tavole Barbe­ rini. 285 ingmar bergman, Quattro film-. Sorrisi di una notte d’estate, Il settimo sigillo, Il posto delle fragole, Il volto. 286 1. a. richards, I fondamenti della critica letteraria. . 287 raffaello giolli, La disfatta dell’Ottocento. 288 Ippolito NiEVO, Lettere garibaldine. 289 Julius von schlosser, L’arte del Medio­ evo. 290 gunther anders, Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki. 291 luigi Salvatorelli, Unità d’Italia. Saggi storici. 292 lanfranco GARETTI, Ariosto e Tasso. 293 vance Packard, I cacciatori di prestigio. 294 p. m. s. blackett, Le. armi atomiche e i rapporti fra Est e Ovest. 295 Trentanni di storia italiana (19x5-1945). Dall’antifascismo alla Resistenza. 296 Alfredo parente, Castità della musica. 297 nikolàj lébedev, Il cinema mulo sovie­ tico. 298 lev trotskij, Scritti 1929-1936. 299 cesare brandi, Carmine 0 della Pittura. 300 Gioachino belli, Lettere Giornali Zibal­ done. 301 nuto revelli, La guerra dei poveri. 302 Alfredo TODisco, Viaggio in India. 303 Gillo, dorfles, Simbolo comunicazione consumo. 304 danilo dolci, Conversazioni. 305 harold acton, Gli ultimi Medici. 306 La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. V. «L’Unità», «La Voce po­ litica» (1915). 307 Racconti di bambini d’Algeria. 308 Lionel trilling, La letteratura e le idee. 309 walter benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti.

3io Erwin panofSky, Il significato nelle arti visive. 311 peter szoNDi, Teoria del dramma mo­ derno. 312 Giorgio pano, Seggio sulle origini del lin­ guaggio. 313 Heinrich schliemann, La scoperta di Troia. 314 bertolt brecht, Scritti teatrali. 315 natalia ginzburg, Le piccole virtù. 316 william gaunt, L'avventura estetica. 317 Enrico CASTELNUovo, pittore italiano alla corte di Avignone. ' Matteo Giovan­ net ti e la pittura in Provenza nel seco­ lo XIV. 318 Attilio Milano, Storia degli ebrei in Ita­ lia. 319 john golding, Storia del cubismo (19071914). 320 Lettere della Rivoluzione algerina. 321 p. a. quarantotti gambini, Sotto il cielo di Russia. 322 fred k. prieberg, Musica ex machina. 323 mortimer wheeler, La civiltà romana oltre i confini dell'impero. 324 La cultura italiana del '900 attraverso le rivistet vol. VI. «L'Ordine Nuovo» (1919-1920). 325 Giorgio MELCHiORi, I funamboli. Il ma­ nierismo nella letteratura inglese contem­ poranea. 326 Claudio magris. Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna. 327 michele ranchetti, Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo. 328 Konstantin s. STANisLAVSKij, La mia vi­ ta nell'arte. 329 cesare cases, Saggi e note di letteratura tedesca. 330 rosario romeo, Dal Piemonte sabaudo al­ l'Italia liberale. 331 frank lloyd. Wright, Testamento. 332 Antonio la penna, Orazio e l'ideologia del principato. 333 benvenuto Terracini, Lingua libera e li­ bertà linguistica. Introduzione alla lingui­ stica storica. 334 Adolfo omòdeo, Lèttere 1910-1946. 335 franca pieroni bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia (18481892). 336 Roberto GiAMMANCO, Dialogo sulla socie­ tà americana. 337 Herbert marcuse, Eros e civiltà. 338 leone ginzburg, Scritti. 339 paolo .spaimo,/L'occupazione delle fab­ briche. Settembre-1920. 340 victor w. von HAGENj La Grande -Strada del Sole.

341 paul Goodman, La gioventù assurda.. 342 Tristan tzara, Manifesti del dadaismo e Lampisterie. 343 Giovanni preVitali, La fortuna dei primi­ tivi: Dal Vasari ai neoclassici. 344 vance Packard, Gli arrampicatori azien­ dali. 345 danilo dolci, Verso un mondo nuovo. 346 Sergej m. ejzenstejn, Torma e tecnica del film e lezioni di regia. 347 Vittorio lugli, Paginè ritrovate. Memo­ rie fantasie e letture: 348 Mario GiovANA, Resistenza nel Cuneese. Storia di una formazione partigiana. 349 PAUL ROTHA e RICHARD GRIFFITH, Storia del cinema., 350 Lamberto vitali, L'opera grafica di Gior­ gio Morandi. 35* MICHELANGELO ANTONIONI, Sei film. 352 luigi Salvatorelli, Miti e storia: 353 Carlo levi, Tutto il miele è finito. 354 Ernst h. gombrich, Arte e illusione. Stu­ dio sulla psicologia della rappresentazione pittorica. 355 glovmwl màcchia, Il mito di Parigi. Sag­ gi e motivi francesi. 356 angelo maria ripellino, Il trucco e l'a­ nima. I maestri della regia.nel teatro rus­ so del Novecento. 357 gillo dorfles, Nuovi riti, nuovi miti. 358 Mario silvestri, Isonzo 1917. 359 Giuseppe galasso, Mezzogiorno medieva­ le e moderno. 360 augusto monti, I miei conti .con la scuola. 361 eugène ionesco, Note e. contronote. Scrit­ ti sul teatro. 362 j. Christopher herold, Bonaparte in Egitto. 363 Giorgio GUAZzoTTi, Teoria e realtà del Piccolo Teatro di Milano. 364 Antonio cederna, Mirabilia Urbis. Crona­ che, romane 1957-1965. 365 claire-éliane engel, Storia dell'alpini­ smo. In appendice Cento anni di alpini­ smo italiano di Massimo Mila. 366 Leonard woolley, Un regno dimenticato. Storia di una scoperta archeologica. 367 barry ulanòv, Storia del jazz in America. 368 Vladimir ja. propp, I canti popolari russi. Con una scelta di canti a cura di Gigliola Venturi. 369 Sergio DONADONi, Arte egizia. 370 ROLAND BARTHES, Saggi critici. 371 Frank lloyd Wright, La città vivente. 372 Studi e documenti del tempo fascista: klberto aquarone, L'organizzazione delloStato totalitario.

373 Charles f. delzell, I nemici di Mussolini. 374 Giulio Carlo argan, Walter Gropius e la Bauhaus. 373 nuto revelli, La strada del danai. 376 Theodor w. adorno, Wagner. Mahler. 377 Edward h. carr, Sei lezioni sulla storia. 378 erich kuby, I russi a Berlino. La fine del Terzo Reich. 379 Geoffrey Bibby, Quattrottila anni fa. Un quadro della vita nel mondo durante il se­ condo millennio a. C. 380 F. w. deakin e g. R. storry, Il caso Sorge. 381 Giorgio b as sani, Le parole preparate e al­ tri scritti di letteratura. 382 gar alperovitz, Un asso nella manica. La. diplomazia atòmica americana: Potsdam e Hiroshima. 383 luigi rognoni, La scuola musicale di Vienna. Espressionismo e dodecafonia. 384 G. Francesco malipiero, Il filo d’Arian­ na. Saggi e fantasie. 385 karl Lowith, Saggi su Heidegger. 386 e. j. hobsbawm, I ribelli. Forme primiti­ ve di rivolta sociale. 387 Bonaventura tecchi, Goethe scrittore di fiabe. 388 andré breton, Manifesti del Surrealismo. 389 Emilio sarzi amadé, Rapporto dal Viet­ nam. 390 Danilo dolci, Chi gioca solo. 391 Mario tronti, Operai e capitale. 392 Edoardo sanguineti, Guido Gozzano. In­ dagini e letture. 393 Umberto saba, Lettere a un'amica. 394 michele pantaleone, Mafia e droga. 393 edgar snow, L'altra riva del fiume. La Ci­ na oggi. 396 La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich. 397 lev TROTSKij, La rivoluzione permanente. .398 serge mallet, La nuova classe operaia. 399 augusto illuminati, Sociologia e classi sociali. 400 john beckwith, L'arte di Costantinopoli. Introduzione all'arte bizantina (330-1433). 401 garrett mattingly, L'invincibile Armada. ' 402 Vance Packard, La società nuda. 403 Autobiografia di Malcolm X. 404 william l. shirer, Diario di Berlino (1934-1947). 405 boris pasternak, Lettere agli amici geor­ giani. 406 albert ducrocq, Cibernetica e universo. Il romanzo della materia.

407 carl th. dreyer, Cinqiie filmy La. Passio­ ne di Giovanna d'Arco, Vampiro, Dies irae, Ordet, Gertrud, seguiti da tutti gli scritti sul cinema. 408 Maurice blanchot, Lo spazio letterario. 409 carlo DioNisoTTi, Geografia e storia della letteratura italiana. 410 anouar abdel-malek, Esercito e società in Egitto 1932-1967. 411 johan Huizinga, La civiltà olandese del Seicento. 412 victor serge, L'Anno primo della rivolu­ zione russa. 413 Antonio GiOLiTTi, Un socialismo possibile. 414 luigi capello, Caporetto, perché? La 2a armata e gli avvenimenti dell'ottobre 1917. 415 Antonio ghirelli, Storia del calcio in Italia. 416 cesare brandi, Struttura e architettura. 417 Richard hofstadter, Società e intellettua­ li in America. 418 RUDOLF e MARGOT WITTKOWER, Nati sotto Saturno. La figura dell'artista dall'Anti­ chità alla Rivoluzione francese. 419 gyorgy lukàcs, Marxismo e politica cul­ turale. 420 john Kenneth Galbraith,. Come uscire dal Viet Nam. Una soluzione realistica del più grave problema del nostro tempo. 421 william sheridan Allen, Come si diven­ ta nazisti. Storia di una piccola città 1930*933422 Augusto monti, Scuola classica e vita mo­ derna. 423 john kénneth galbraith, Il nuovo Stato industrialè. 424 Giorgio fano, Neopositivismo, analisi del linguaggio e cibernetica. 425 .robert jungk, La grande màcchina. I nuo­ vi scienziati atomici. 426 Gillo dorfles, Artificio e natura. 427 miguel barnet, Autobiografia di uno schiavo. 428 Antonin artaud, II teatro e il suo dop­ pio. Con altri scritti teatrali e la tragedia «I Cenci». 429 Mario silvestri, Il costo della menzo­ gna. Italia nucleare 1943-1968. 430 PIERRE BOULEZ, Note di apprendistato. 431 Adolfo omodeo. Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle lettere dei caduti 1913-1918. 432 ernesto N, rogers, Editoriali di architet­ tura. 433 c. w. ceram, I detectives dell'archeologia.. Le grandi scoperte archeologiche nel rac­ conto dei protagonisti.

434 Lamberto vitali, U« fotografo fin de siècle. Il conte Primoli. 435 laurence Thompson, 1940: Londra bru­ cia. 436 ved mehta, Teologi senza Dio. 437 Raffaele amaturo, Congetture sulla «Notte» del Par ini. In appendice i ma­ noscritti ambrosiani criticamente ordinati, 43.8 FERDINANDO BOLOGNA, Novità SU Giotto. Giotto al tempo della cappella Peruzzi. 439 theodor w. adorno, Il fido maestro sosti­ tuto. Studi sulla comunicazione della mu­ sica. 440 michele pantaleone, Antimafia: occasio­ ne mancata. 44i gisela M. A. richter, L'arte greca. 442 Arnold Hauser, Le teorie dell'arte. Ten­ denze e metodi della critica moderna. 443 william hinton, Fanshen. Uh villaggio cinese nella rivoluzione. 444 Vittorio strada, Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa. 445 mario bortolotto, Fase seconda. Studi sulla Nuova Musica. 446 Jacques M. verges, Strategia del. proces­ so politico. 447 nikolaus pevsner, L'architettura moder­ na e il design. Da William Morris alla Bauhaus. 448 carl th. dreyer, Gesù. Racconto di un film. 449 paul rozenberg, Vivere in maggio. 450 jane jacobs, Vita e morte delle grandi cit­ tà-. Saggio sulle metropoli americane. 45i norman cohn, Licenza per un genocidio. I «Protocolli degli Anziani di Sion»: sto­ ria di un falso. 452 Maurice blanchot, Il libro a venire. 453 Gian Carlo ROSCiONi, La disannonia pre­ stabilita. Studio su Gadda. 454 Leonard R. palmer, Minoici e micenei. L'antica civiltà egea dopo la decifrazione della lineare B. 455 michele pantaleone, Mafia e politica 1943-1962. 456 paul philippot, Pittura fiamminga e Ri­ nascimento italiano. 457 George c. vaillant, La civiltà azteca. Nuova edizione riveduta a cura di Susan­ nah B. Vaillant. 458 Giovanni romano, Casalesi del Cinque­ cento. L’avvento del manierismo in una città padana. 459 vance Packard, Il sesso selvaggio. I rap­ porti sessuali oggi. 460 massimo l. salvadori, Gramsci e il pro­ blema storico della democrazia.

461 frank Popper, L'arte cinetica. L'immagi­ ne del movimento nelle arti figurative. 462 denis bablet, La scena e l'immagine. Saggio su Josef Svoboda. 463 j. eric s. Thompson, La civiltà maya. 464 Ezio raimondi, Metafora e storia. Stùdi su Dante e Petrarca. 463 louis a. christophe, Abu Simbel. L'epo­ pea di una scoperta archeologica. 466 lev trotskij, I problemi^ della rivoluzio­ ne cinese e altri scritti su questioni in­ ternazionali 1924-1940. 467 lionelló venturi, La via dell'impressio­ nismo. Da Manet a Cézanne. ' 468 Leonardo sciascia, La cordapazza. Scrit­ tori e cose della Sicilia. 469 Ernst h. gombrich, A cavallo di un ma­ nico di scopa. Saggi di teoria dell’arte. 470 Enrico FUBiNi, Gli enciclopedisti e la mu­ sica. 471 nuto revelli, L’ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale. 472 danilo montaldi, Militanti politici di base. 473 I fratelli di Soledad. Lettere dal carcere - di George Jackson. 474 bruno zevi, Saper vedere l'urbanistica. Ferrara di Biagio Rossetti, la prima, città moderna europea. 475 karol górski, L'Ordine teutonico.. Alle origini dello stato prussiano. 476 Frederick antal, Studi su Fuseli. 477 robert havemann, Domande .Risposte Domande. Autobiografia di uno scienzia­ to marxista. 478 paolo fossati, L'immagine sospesa. Pit­ tura e scultura astratte in Italia, 1934-40. 479 simone de beauvoir, La terza età. 480 felix klee, Vita e opera di Paul Klee. 481 Claudio magris, Lontano da dove. Jo­ seph Roth e la tradizione ebraico-orien­ tale. 482 bobby seale, Cogliere l'occasione! La sto­ ria del Black Panther Party e di Fluey P. Newton. 483 alan gardiner, La civiltà egizia,. 484 Vincenzo di benedetto, Euripide: teatro e società. 485 franco corderò, L’Epistola ai Romani. .Antropologia del cristianesimo paolino. 486 philippe jullian, Oscar Wilde. 487 Frances A. yates, L’arte della memoria. 488 roman ghirshman, La civiltà persiana an­ tica. 489 v. gordón childe, L’alba della civiltà eu­ ropea.

519 Andreina griseri e Roberto gabetti, Ar­ 490 L. N. Gumilev, Gli Unni. Un impero di chitettura dell’eclettismo. Un saggio su G. nomadi antagonista dell’antica Cina. B. Scheilino. 491 Allen Ginsberg, Testimonianza per il 520 ugo duse,.Gustav Mahler. processo di Chicago, 1969. 521 mis .bunuèl, Sette film: L’età dell’oro, 492 jean-luc godard, Cinque film: Fino al­ Nazarin, Viridiana, L’angelo sterminatol’ultimo respiro, Questa è la. mia vita, re, Simone del deserto, La via lattea, Il Una donna sposata, Due 0 tre cose che so fascino discreto della borghesia. di lei, La Cinese. 522 Luciano bellosi, Buffalmacco e il Trion­ 493 Vittorio lugli, La cortigiana innamorata fo della Morte. e altri saggi. 323 c. p. fitzgerald, La civiltà cinese. 494 f. w. d. deakiNj La montagna piu alta. L’epopea dell’esercito partigiano jugo­ 324 cesare brandi, Teoria generale della cri­ slavo. tica. 493 william Hinton, Puoi di ferro. La rivo­ 325 Sergio solmi, Saggio su Rimbaud. luzióne nell’agricoltura, cinese. 326 Giuseppe galasso, Potere e istituzioni in 496 basil davidson, La civiltà africana. Intro­ Italia. Dalla caduta dell’impero romano a duzione a una storia culturale dell’Africa. oggi. 497 fràncis donald klingender, Arte e rivo­ 527 elaine Morgan, L’origine della donna. luzione industriale.. 328 H. R. hays, Dalla scimmia all’angelo. Due 498 bjòrn kurtén, Non dalle scimmie. secoli di antropologia. 499 Antonio faéti, Guardare le figure. Gli il­ .329 tomàs maldonado, Avanguardia e razio­ lustratori italiani dei libri per. l’infanzia. nalità. Articoli, saggi, pamphlets, 1946500 c. w. ceram, Il primo americano. Archeo­ 1974’ logia e preistoria del Nordamerica. 330 vance Packard, Una nazione di estranei. 501 lionello venturi, Il gusto dei primitivi. 331 arturo schwarz, La Sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche. 302 paolo fossati, Il design in Italia 1945332 Arnold schoenberg, Analisi e pratica mu­ 1972. sicale. Scritti 1909-195°’ 503 samuel mines, Gli ultimi giorni dell’u­ 333 Federico fellini, Quattro film: I Vitel­ manità. Sopravvivenza ecologica o estin­ loni, Là dolce vita, 8’/2, Giulietta degli zione. spiriti. 504 ernst h. GOMBRiCH, Norma e forma. Stu­ 334 Gianni rondolino, Storia del cinema d’a­ di sull’arte del Rinascimento. nimazione. 505 Vladimir markov, Storia del futurismo 535 Frances fitzgerald, Il lago in fiamme. russo. 536 j. innes miller, Roma e la via delle spe­ 906 edgar snow, La lunga rivoluzione. zie. Dal 29 a. C. al 641 d. C. $07 aldo POMiNi, Il ballo dei pescicani. Sto­ 337 Wilfrid mellers, Musica nel Nuovo Mon­ ria di un forzato. do. Storia della musica americana. 508 Danilo dolci, Chissà se i pesci piangono. 338 gustave glotz, La civiltà egea. Documentazione di un’esperienza educa­ tiva. bertolt brecht, Scritti teatrali. 509 Alexander werth, L’Unione Sovietica nel 539 1. Teoria e tecnica dello spettacolo 1918dopoguerra 1945-1948. 1942. 340 li. «L’acquisto dell’ottone», «Breviario 510 bruno zevi, Spazi dell’architettura mo­ di estetica teatrale» e altre riflessioni derna. 1937-1956. 511 luigi Salvatorelli, Vita dì san France­ 341 in. Note ai drammi e alle regie. sco d’Assisi. 342 Robert jungk, L’uomo del millennio. 512 gùnter grass, Viaggio elettorale. Discor­ si politici di uno scrittore. 343 P. A. allum, Potere e società a Napoli 513 gustave glotz, La Città greca. nel dopoguerra. 344 Julian beck, La vita del teatro. L’artista 314 angelo maria ripellino, Praga magica. e la lotta del popolo. 57.5 Antonio ghirelli, Storia di Napoli. 343 william hinton, La guerra dei cento 516 bertolt brecht, Scritti sulla letteratura giorni. Rivoluzione culturale e studenti e sull’arte. in Cina. 317 gillo dorfles, Dal significato alle scelte. carlo ragghianti, Arti della visione. .518 Nadar. Testi di Nadar, Jean Prinet e An­ 346 1. Cinema. toinette Dilasser, Lamberto Vitali. Con 547 il. Spettacolo. 100 fotografìe di Nadar e altri documenti.

548 Gian carlo Ferretti, «Officina». Cultu­

ra, letteratura e politica negli anni cin­ quanta. 549 Erwin panofsky, Studi di iconologia. I te­ mi umanistici nell’arte del Rinascimento. 550 luigi magnani, Beethoven nei suoi qua­ derni di conversazione. 551 susan sontag, Interpretazioni tendenzio­ se. Dodici temi culturali. 552 Frederick antal, Classicismo e romanti­ cismo. 333 lalla romano, Lettura di un’immagine. 554 lionello venturi, Come si comprende la pittura. Da Giotto a Chagall. 333 ROBERTO GABETTI e CARLO OLMO, Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau ». 336 nino PiRROTTA, Li due Orlei. Da Polizia­ no a Monteverdi. 337 folco PORTiNARi, Le parabole del reale: Romanzi italiani dell’ottocento. 558 Michail alpatov. Le icone russe. Proble­ mi di storia e d’interpretazione artistica. 339 EDOARDO SANGUINETI, GiomalblO 1973Ì975560 romano bilenchi, Amici. Vittorini, Rosai e altri incontri. 561 Nicola chiaromonte, Scritti sul teatro. 362 Marco Cavallo. A cura di Giuliano Scabia. Dna esperienza di animazione in un ospe­ dale psichiatrico. 563 Gillo dorfles, Il divenire della critica. 564 luigi aurigemma, Il segno zodiacale del­ lo Scorpione nelle tradizioni occidentali dall'antichità greco-latina al Rinascimento. 565 roger gentis, Guarire la vita. 566 albert ducrocq, Il romanzo della vita. 567 johannes brondsted, I Vichinghi. 568 c. a. burlano, Montezuma signore degli Aztechi. 369 r. w. Hutchinson, L’antica civiltà cretese. 570 cesare brandi, Scritti sull’arte .contempo­ ranea. 571 luigi magnani, Goethe, Beethoven e il demonico. 572 Federico zeri, Diari di lavoro 2. 573 edgar snow, La mia vita di giornalista. Un viaggio attraverso la storia contempo­ ranea. 574 Francesco arcangeli, Dal romanticismo all’informale. I. Dallo «spazio romantico» al primo Novecento. li. Il secondo dopoguerra. 575 II melodramma italiano dell’ottocento. Studi e ricerche per Massimo Mila. 376 igor' Stravinsky e robert craft, Collo­ qui con Stravinsky.

577 Mario mieli, Elementi di critica omoses­

suale.

578 Mario isnenghi, Giornali di trincea (1913-

1918). 579 Giorgio agamben, Stanze. La parola e il

fantasma nella cultura occidentale.

580 YVONNE KAPP, Eleanor Marx.

i.

Vita famigliare (1833-1883).

11. Gli anni dell'impegno (1884-1898).

58i Georges 582

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duby, La domenica di Bouvines. 27 luglio 1214. luigi longo, Continuità della Resistenza. Arnold Hauser, Sociologia dell’arte. 1. Teoria generale. 11. Dialettica del creare e del fruire. ih. Arte popolare, di massa e d’avanguar­ dia. aline b. saarinen, I grandi collezionisti americani. Antonio ghirelli, Napoli italiana. ykom) matthiae, Ebla. Un impero ritro­ vato. Ludovico zoRZi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana. Sergio solmi, Saggi sul Fantastico. Dal­ l’antichità alle prospettive del futuro. Ernst h. gombrich, Immagini simboliche. Studi sull'arte nel rinascimento. salvatore settis, La «Tempesta» inter­ pretata. Giorgione, i committenti, il sog­ getto. BERNHARD PAUMGARTNER, Mozart. albe steiner, Il mestiere di grafico. angelo maria RIBELLINO, Saggi in forma di ballate. Divagazioni su temi di lettera­ tura russa, ceca e polacca. luigi magnani, La musica in Proust. Giovanni previtali, La pittura del Cin­ quecento a Napoli e nel vicereame. Uno sguardo privato. Memorie fotogra­ fiche di Francesco Chigi. A cura di Èva

Paola Amendola. 597 jean-paul ARON, La Francia a tavola dal-

l’Ottocenlo alla Belle Epoque.

598 anacleto Verrecchia, La catastrofe di

Nietzsche a Torino. 599 félix guattari, La rivoluzione moleco­

lare.

600 timothy j. Clark, Immagine del popolo.

Gustave Courbet e la rivoluzione del ’48. 601 sarah b. pomeroy, Donne in Atene e

Roma. 602 FRANK WILLETT, Arte africana. 603 robert jungk, Lo stato atomico. 604 Rosita levi pisetzky, Il costume e la

moda nella società italiana. 605 mauro cristofani, L’arte degli Etruschi.

Produzione e consumo.

606 Ingmar bergman, Sei film: Luci d’inverno. Come in uno specchio. Il silenzio. Il rito. Sussurri e grida. Persona. 607 Ottavia Niccoli, I sacerdoti, i guerrieri, i contadini. 608 Gian carlo ferretti, Il mercato delle let­ tere. Industria culturale e lavoro critico in Italia dagli anni cinquanta a oggi. 609 linda NOCHLiN, Realismo. La pittura in Europa nel xix secolo. 610 cesare brandi, Scritti sull’arte contempo­ ranea. II. 611 carlo levi, Quaderno a cancelli. Con una testimonianza di Linuccia Saba e una nota di Aldo Marcovecchio. 612 Edoardo sanguineti, Giornalino secondo

1976-1977. 613 LAMBERTO vitali, Il Risorgimento nella

fotografia. 614 Antonia mulas, San Pietro.

615 carlo ragghi anti, Arti della visione. ih. Il linguaggio artistico. 616 aaron scharf, Arte e fotografia. 617 Manlio brusatin, Venezia nel Settecen­ to: stato, architettura, territorio. 618 franco mancini, L’illusione alternativa. 619 hugh trevor-roper, Principi e artisti. Mecenatismo e ideologia in quattro corti degli Asburgo (1517-1633). 620 Manfredo tafuri, La sfera e il labirin­ to. Avanguardie e architettura da Piranesi agli anni ’70. 621 maria calI, Da Michelangelo all’Escorial. Momenti del dibattito religioso nell’arte del Cinquecento. 622 Gillo dorfles, L’intervallo perduto. 623 luigi magnani, L’idea della Chartreuse. Saggi stendhaliani. 624 Vittorio foa, Per una storia del movi­ mento operaio. 625 hugh honour, Neoclassicismo. 626 cesare brandi, Disegno della pittura ita­ liana. 627 massimo mila, L’arte di Verdi. 628 Villaggi operai in Italia. La Val Padana e Crespi d’Adda. 629 Francesco arcangeli, Giorgio Morandi. 630 Giorgio avigdor, Mario Gabinio fotografo. 631 NIKOLAUS PEVSNER, JOHN FLEMING, HUGH honour, Dizionario di architettura. 632 hans mayer, Richard Wagner a Bayreuth (1876-1976).

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I cento e più anni del celeberrimo santuario dell’arte attra­ verso i protagonisti.

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