Religione e futuro 8845916049, 9788845916045

La modernità ha vinto sulla religione, rendendo gli uomini incapaci di credere e di sperare. Contro questa idea della mo

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Religione e futuro
 8845916049, 9788845916045

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I Vangeli della domenica La croce e il nulla La fede sepolta La sconfitta di Dio Mysterium iniquitatis Radici ebraiche del moderno Un commento alla Bibbia

SERGIO QUINZIO

Religione e futuro

ADELPHI EDIZIONI

© 2001

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO ISBN 88-459-1604-9

INDICE

Religione e mondo moderno

11

Frammenti di religione

65

Il Regno

157

Notizia

169

RELIGIONE E FUTURO

RELIGIONE E MONDO MODERNO

LA SCOMPARSA DELLA RELI G IONE

L'aria che respira l'uomo contemporaneo presenta tracce minime di religione. Quando dico « uomo contemporaneo » penso all'uo­ mo che ha modellato e che è stato modellato dalla « civiltà moderna » , il portatore di quella concezione della vita e del mondo che, ap­ punto, è stata chiamata « moderna » . Il fatto che molti fra coloro che ci vivono accanto (il popolo delle campagne, ad esempio) non si inseriscano in questo tipo di cultura, o vi si in­ seriscano solo in parte, non significa molto. La nobiltà francese, alla metà del XVIII seco­ lo, non significava molto: la storia non passava per i suoi castelli . Una parola che potrebbe tranquillamente es­ sere cancellata dai nostri vocabolari , senza che nessuno dei nostri attuali conce tti risultasse per questo inesprimibile , è la parola « Sacro >> . La parola « sacro >> è , invece, la parola che -in nessun modo potrebbe essere cancellata dai vocabolari delle civiltà che ci hanno precedu­ to , senza privarle per ciò stesso della possibi­ lità di esprimere il senso della loro visione del­ la realtà. Per noi non è sacro niente , mentre per gli antichi era sacro, e cioè permeato di valore assoluto, tutto, dal volo degli uccelli al­ la pioggia, dalla nascita alla mort�. Io credo ch e questa perdita del senso del sacro, che re13

gistra attraverso i millenni la scomparsa della « religione » , sia il segno più caratteristico che distingue il mondo contemporaneo dalle anti­ che civiltà, l' unico che potrebbe consentire di individuare una direzione significativa nel cor­ so della storia. Il sacro che abbiamo ereditato dai secoli pas­ sati ci accompagna ancora; come « cristianesi­ mo» avalla ancora con la sua firma istituzioni, leggi, programmi politici, interessi di gruppo. Fa sentire ancora il suo influsso sul costume, ponendo le sue cupole e i suoi campanili co­ me sfondo al paesaggio delle nostre città e dei nostri paesi , facendo battezzare i bambini e seppellire i morti con l' aiuto del prete . Ma chi dovesse scrivere la storia contemporanea po­ trebbe pacificamente ignorare la religione, senza per questo compromettere affatto la chiarezza e l' adeguatezza della sua visione. Il diritto ha abbandonato qualunque pretesa di riferimento al valore assoluto della giusti­ zia, per sostituirlo con un sistema di diritti-do­ veri stabilito in relazione al criterio dell 'utilità sociale. La scienza e la tecnica, che da sole de­ terminano il carattere della nostra epoca, svol­ gono le loro ricerche completamente al di fuori di qualunque accettazione come di qua­ lunque rifiuto di valori religiosi, avendo ormai da tempo definitivamente dimenticato qua­ lunque problema di rapporti tra ragione e re­ ligione, tra scienza e fede. La filosofia è lonta­ na mille miglia dall' attribuire un senso all ' as­ soluto delle antiche metafisiche, o anche sol­ tanto alla sua ricerca. La poesia e le arti da se14

coli ormai non traggono alcun elemento da suggestioni o sentimenti o bisogni o intuizioni del divino. La politica ha amputato alla base i suoi legami con una autorità intesa come valo­ re assoluto, per sostituirli con il criterio della delega e della rappresentanza degli interessi dei consociati. La maggior parte di coloro che fanno battez­ zare i loro figli sono d ' accordo nel pensare che sarebbe molto più logico farli battezzare in età matura, quando potrebbero loro stessi capire , e scegliere di essere o di non essere battezzati. Non vedono invece niente di illogi­ co nel fatto che gli stessi bambini vengano vac­ cinati contro il vaiolo e contro la poliomielite, e non si sognerebbero neppure di pensare che potrebbe essere più logico lasciare che crescano e che optino loro stessi pro o contro la vaccinazione. In realtà, battezzare i neonati è altrettanto logico, o illogico, quanto vacci­ narli, ma la differenza sta tutta nel come le due cose sono viste , sta tutta nel fatto che un uomo del ventesimo secolo non sa riconosce­ re il senso di un rito religioso, sacro, e cioè di collegamento con quell ' assoluto che da secoli è scomparso dal suo orizzonte. La religione, da cosa virile , è diventata cosa ti­ picamente femminile, da donnicciole , e i no­ stri ragazzi considerano un punto d' onore e una prova di maturità disprezzarla. Respirano con l' aria la realtà odierna, e sentono istintiva­ mente il rifiuto al perdurare inerte di vecchi costumi, che è il rifiuto che sta alla base stessa della civiltà moderna. 15

A questo quadro nettamente pessimistico del­ la situazione della religione nel mondo con­ temporaneo si possono certamente muovere delle obiezioni. Ne lascio subito da parte tutta una categoria, che è quella di coloro che si fanno forti delle statistiche sul numero dei battesimi, sull 'affluenza alle messe domenica­ li, sull' attività delle organizzazioni dell ' azione cattolica o sul successo di liste politiche di ispi­ razione cattolica. Come rappresentante tipico di questi facili obiettori citerò il giornalista cattolico francese Joseph Folliet, che nel suo recente libro Le catholicisme mondiale aujour­ d 'hui afferma la rinnovata potenza della spiri­ tualità cattolica sulla base di considerazioni come queste : a Lourdes tutti « s' inginocchia­ no, pregano, cantano davanti alla grotta dove la pastorella ebbe la visione . Il governo france­ se conta sull' affluenza dei pellegrini, e della loro valuta estera, per rinvigorire le finanze della Repubblica >>. Altri vorrebbero con trapporre al definitivo al­ lontanamento della linea di sviluppo della sto­ ria dal cattolicesimo, che resta isolato nella sua agiata vecchiaia e nella sua magnifica ste­ rilità, il diverso rapporto che si avrebbe in altri paesi, nei paesi protestanti ad esempio, o nei popoli orientali eredi delle grandi tradizioni religiose induista, buddhista, islamica. Ma sa­ rebbe facile mostrare che queste grandi tradi­ zioni religiose sono vive, nel migliore dei casi, soltanto là dove non si sono ancora scontrate con la civiltà moderna; come si potrebbe pro­ vare che le confessioni cristiane riformate so16

no state, piuttosto che una religiosità nuova, un rigurgito di medioevo, sotto molti aspetti ancora più angusto e limitato del medioevo cattolico. La sopravvivenza di queste chiese nel mondo contemporaneo è pagata al prezzo della rinuncia alla loro fede , che è stata più o meno ovunque trasformata in generico mora­ lismo liberaleggiante . Uno storico delle reli­ gioni, il protestante americano George Foot Moore , dichiara che « la teologia tanto dei lu­ terani che dei riformati ha molto più in comu­ ne con gli scolastici del medioevo che col pen­ siero moderno >> , e afferma esplicitamente che il , ma che . Oltre alla ostinata negazione e al tentativo di limitare le constatazioni alla situazione del cat­ tolicesimo, fingendo che altrove tutto vada di­ versamente, c'è ancora un modo di ficcare la testa nella sabbia per non vedere che la reli­ gione è morta. Ed è quello che consiste nel parlare di crisi di crescenza, di assestamento ecc. E la posizione, ad esempio, del gesuita francese Daniélou, che urta con tro l ' incontro­ vertibile realtà del sempre crescente allarga­ mento del solco tra cultura contemporanea e religione, mentre in definitiva non offre, con­ tro la concretezza del presente, altro argo­ mento all ' infuori di una ipotesi di comodo sul futuro . L' atteggiamento dell 'uomo contemporaneo 17

nei confronti dei valori « di religione >> è l 'in­ differenza. Poiché non c ' è più la religione non c ' è più neppure l' ateismo. Nei paesi co­ munisti l' ateismo è un programma che è fat­ to oggetto di propaganda e di insegnamento ufficiali, proprio come in altri paesi è un pro­ gramma, che è fatto oggetto di propaganda e di insegnamento ufficiali , la religione. Da una parte, nell 'interesse della conservazione di certe strutture politiche e sociali, ci si sforza di persuadere che Dio non c ' è , e dall ' altra che Dio c ' è . Ma che Dio ci sia o non ci sia è que­ stione scomparsa dalla storia. In epoche re­ mote il problema non esisteva ancora; il perio­ do intermedio è stato quello in cui il proble­ ma (e cioè il dubbio razionale che contrappo­ ne due ideologie opposte , già al di fuori di una religiosità autentica) è stato posto e dibat­ tuto; attualmente il problema non esiste più, non è più sentito, oppure ci si è stancati di sentirlo come insolubile. In tutto il vasto quadro che va dalla irreligio­ sità alla religiosità imposte da un interesse pratico (come l' ossequio alla bandiera conti­ nua ad essere imposto da generali che non credono a soldati che non credono ) , domina uniforme l ' indifferenza. Gli uomini che fanno professione di religione, a meno che non ap­ partengano a minoranze ancora legate a un diverso tipo di cultura, disancorato dalla sto­ ria che l ' ha travolto, sono - anche se non lo sanno - al di fuori della religione. I preti be­ vono in un calice , per significare che non be­ vono davvero, come si beve tutti i giorni, in un 18

bicchiere ; si vestono con mitrie e pianete, per significare che non si vestono davvero, come ci si veste tutti i giorni, in giacca e calzoni; par­ lano latino, per significare che non parlano davvero, come si parla tutti i giorni, italiano o francese o inglese. Sono d'accordo con tutti gli altri che la ragione dei razionalisti e l' espe­ rienza degli empiristi sono le vie per raggiun­ gere la verità, e si sforzano quindi penosamen­ te di conciliare il mondo della religione con il mondo contemporaneo: sarebbero già soddi­ sfatti se riuscissero a dimostrare a se stessi che non è assurdo ammetterne la possibilità. Il lo­ ro stesso linguaggio li tradisce : da molto tem­ po non esiste più una poesia, né una musica, né una danza, né una pittura, né una architet­ tura, né una filosofia, né una teologia che esprimano religione. Tacitamente, sono ormai tutti d' accordo nel­ l'inserire la religione nella universalmente af­ fermata visione di una evoluzione storica, nel­ l ' ambito della quale la religione viene neces­ sariamente a porsi come uno stadio antece­ dente , e per ciò stesso meno evoluto, di quello rappresentato dalla condizione odierna. L' ac­ cettazione di questa prospettiva storica, impo­ sta o subita, è l ' implicita negazione della reli­ gione, la quale, per conservare ancora un sen­ so, deve essere guardata sotto l' aspe tto del suo valore storico, propedeutico, o come trascri­ zione emozionale e popolare di verità più alte , deve cioè essere subordinata alla storia, anzi ad un certo modo moderno di concepire la storia. 19

Che Dio sia uno e trino, che Gesù Cristo sia figlio di Dio, sono affermazioni che non han­ no ormai alcun legame con l'uomo contem­ poraneo: l ' uomo contemporaneo non ha nep­ pure più un linguaggio capace di esprimere concezioni simili. La « verità religiosa » è oggi indicibile. Lo si vede benissimo nelle opere di quegli uomini « di cultura >> che si ostinano a professarsi uomini « di religione >> , alimentan­ do con il loro equivoco fondamentale una fiacca situazione di compromesso, dove le pa­ role prese di peso dalla tradizione religiosa stridono in un contesto che è inevitabilmente quello indotto dalla dominante cultura con­ temporanea. L'onestà e la coerenza obbligano a riconosce­ re che la religione è incompatibile con il mon­ do moderno; che la religione è una categoria scomparsa, trascinando con sé il suo necessa­ rio opposto, l ' ateismo, anche se continuano a passeggiare per il mondo i cadaveri rituali del­ le grandi religioni antiche, anche se qualche diva del cinema si converte al cattolicesimo e se le folle continuano ad adunarsi in piazza San Pietro.

SI PUÒ RISUSCITARE LA RELIGIONE?

I ten tativi di risuscitare la religione sono nu­ merosi e fiacchi. I risultati mancano. Il mo­ vente di questi ten tativi è complesso: com­ prende la pressione esercitata dall ' istinto di 20

conservazione delle vecchie strutture religio­ se; il complesso di colpa di chi, abituato a una certa morale, accusa il disagio di una posizio­ ne inconciliabile con quella; la nostalgia ro­ mantica per un passato intriso della sublimità del « numinoso » ; il rimpianto per l' ordine e la gerarchia assoluti e garantiti dei secoli del me­ dioevo; l ' attaccamento culturale a un patrimo­ nio che non si vorrebbe lasciar disperdere ; e infine , soltanto infine, l ' esigenza di religione. Dalla diversa proporzione di questi e altri si­ mili elementi prendono la loro fisionomia i diversi tentativi. Nell' ambito del cattolicesimo, come nell 'am­ bito delle altre tradizioni, cristiane e no, i ten­ tativi appartengono a due specie opposte. Quelli di conservazione , che si appellano ai valori tradizionali accettati in modo acritico, chiudono la religione in una torre per difen­ derla dagli attacchi della storia: intransigenza, condanna, crociata. Dal Concilio di Trento in poi è stata questa la linea prevalente della Chiesa cattolica. I tentativi di innovazione (dal modernismo all 'attuale umanesimo integrale , per restare nell 'ambito del cattolicesimo) si sforzano di ristabilire il contatto della religio­ ne con la storia, con la storia così come è con­ cepita dalla moderna cultura dominante, e cioè con la storia intesa come superamento della religione. La palese insufficienza di entrambe queste strade , e di tutti i possibili compromessi fra le due , si fa sentire pesantemente su coloro che non si sentono di uscire dal dilemma, che non 21

riescono ad andare oltre , determinandone il palese complesso d' inferiorità, l ' impaccio e la tiepidezza, la contraddizione e la stanchezza, la smania e la rabbia. Nascono da questa situazione i tentativi di uscire, con maggiore o minore decisione, da una certa tradizione religiosa. Ma proprio la prevalente sostanziale indifferenza religiosa non consente alcun tentativo veramente nuo­ vo: da troppo tempo ormai non nasce al mon­ do una religione nuova. I tentativi di uscire da una vecchia tradizione religiosa finiscono quindi tutti in sincretismi di diversa tinteggia­ tura. Da quello di tipo tolstoiano o gandhia­ no, dove confluiscono ascetiche di tipo orien­ tale, un cristianesimo quasi interamente ridot­ to a morale, un moderno idealismo e un so­ cialismo umanitario; agli esoterismi che si ri­ fanno a una supposta occulta tradizione unita­ ria di tutte le religioni, oscillando fra gli estre­ mi grossolani dello spiritismo e della teosofia da una parte e del raffinato tradizionalismo dall' altra. Ma nessun eclettismo, da che mon­ do è mondo, ha mai segnato un inizio; ha sempre e soltanto segnato epiloghi. Resterebbero ancora da indicare altri tentati­ vi. Sono abbastanza numerosi coloro che , re­ stando nel solco di una determinata tradizio­ ne religiosa e volendo nel contempo sfuggire all ' inevitabile dilemma fra conservazione e in­ novazione (due categorie' del vecchio) , evado­ no verso un astratto verticalismo, alzandosi sempre più verso le nuvole di un misticismo che attenua o ignora i contrasti, di un ideali22

smo estremo ed esasperato. L' assoluta sterilità del tentativo si rispecchia nella separazione netta fra la loro speculazione e il loro compor­ tamento quotidiano, che li vede fedeli votato­ ri della lista politica del « meno peggio » , per l' impossibilità di stabilire un qualsiasi auten ti­ co legame fra l'impalpabile nebbia e la pesan­ te terra. Infine, c ' è una certa fioritura, alla periferia delle grandi città, e specie negli ambienti cao­ tici d' oltre oceano dove si mischiano razze e genti diverse , di sette, cristiane e no, che fan­ no proseliti nei ceti esclusi dall 'atmosfera cul­ turale contemporanea. Dai testimoni di Geo­ va ai guaritori mediante l ' applicazione sul cor­ po del volume della Bibbia, dall'esercito della salvezza ai frenetici danzatori negri , è una se­ rie di tentativi informi, che per non avere al­ cun profondo rapporto con la cultura con­ temporanea non hanno alcuna possibilità di risolverla e di superarla. Perché non è affatto vero quel che pensano molti, che vedono in Gesù Cristo e nei suoi primi seguaci degli uo­ mini nuovi, senza radici nella cultura della lo­ ro epoca: Giovanni Battista è l' erede della tra­ dizione profetica, e al suo seguito si sono for­ mati alcuni apostoli; Gesù imposta la sua pre­ dicazione sui testi che sono il fondamento del­ la vita sociale ebraica, interpretandoli in op­ posizione al sacerdozio ufficiale; Paolo è l' ere­ de della tradizione rabbinica; e alcuni aposto­ li hanno vissuto l ' esperienza del movimento zelota, che incarna lo spirito ebraico del loro tempo. 23

Tutto il panorama dei tentativi di religione che si svolgono nel mondo contemporaneo è compreso tra i punti estremi che ho indicato. Per veloci che si muovano, non escono da questo cerchio chiuso, intorno al quale preme vittoriosamente la storia. Il mondo moderno ha vinto la religione: di questa realtà è necessario prendere chiara­ mente coscienza. Il mondo moderno dà una spiegazione del perché la religione è vinta, po­ nendo la religione all ' inizio della catena evo­ lutiva di cui il mondo moderno rappresenta il vertice e riuscendo così a darne una interpre­ tazione e una valutazione, a separarne , secon­ do un certo criterio, gli aspetti positivi dagli aspetti negativi. Ma la religione non dà una spiegazione del perché il mondo moderno è vincitore, non sa spiegare il perché della sua sconfi tta, non può quindi far altro che recri­ minare sul passato, chiudersi in sé, smaniare, protestare . Perché la religione è morta? Questo è il fon­ damentale problema di religione, oggi .

RINUNCIA DEFINITIVA?

Forse non è neppure necessario prendere in considerazione il problema. Forse basta fer­ marsi alla constatazione che la religione è fini­ ta, che è una categoria vuotata dalla storia. Questo, del resto, poteva sembrare pacifico fino a qualche decennio fa, ai tempi del posi24

ttv1smo trionfante. Non c ' è ragione di intro­ durre qualcosa, come la religione, quando si è già in possesso di una formula soddisfacente. Ma due colossali conflitti mondiali e il preme­ re alle porte del terzo, con il poderoso accom­ pagnamento di rivoluzioni e di agitazioni in ogni parte del globo, anche in quelle che da secoli o da millenni erano lontane dal letto di Procuste della storia, ci hanno definitivamen­ te quanto bruscamente svegliati dal sonno po­ sitivistico. L'ottimismo è finito . La solitudine dell' uomo è il tema della filosofia e dell 'arte ai nostri giorni. Il rifiuto, che ieri era un atto di padronanza e di libertà, torna oggi all 'uomo sotto forma di peso, di limitazione, di chiusu­ ra, e l' uomo si sente solo perché gli manca quel che ha rifiutato . Non è questa certamente una buona ragione per riaccettare ciò a cui si era rinunciato; ma è certamente una ragione ottima per rimette­ re in discussione l' accettazione e la rinuncia. Stando così le cose (come sono testimoniate da tutte le serie indagini fenomenologiche sul mondo contemporaneo, che rappresentano forse il prodotto migliore dell 'intelligenza di questo secolo XX) , dinanzi al pauroso vacilla­ re dei princìpi sui quali si fonda il mondo mo­ derno, che comincia palesemente a corrom­ persi dalle fondamenta, è giusto e necessario rimettere in discussione i motivi dei suoi ri­ fiuti e delle sue scelte. Mettere in discussione il mondo moderno significa mettere in discus­ sione la religione, perché il mondo moderno nasce proprio come concezione di un pro25

gresso storico nel quale l ' uomo supera l' anti­ ça misura della religione . E tanto assurdo cercare nuove vie quando s i è certi della bontà di quella che si sta percor­ rendo, quan to è assurdo rifiutare ogni ricerca quando si sta percorrendo una strada che si sente scendere verso l ' abisso . L'imminenza dell' abisso è oggi una verità storica tanto certa quanto cent'anni fa era certa l ' imminenza della vetta. Se la vetta del mondo moderno di­ venta un abisso, l ' abisso in cui è caduta la reli­ gione può diventare la vetta. Per questo ri­ nunciare alla religione, che ieri significava ri­ nunciare al passato, potrebbe significare, og­ gi, rinunciare al futuro. Se è vero quello che dicono gli ottimisti segua­ ci del dogma del progresso, la religione è stata l'infanzia del mondo, ma ora il mondo è di­ ventato adulto, e anziché baloccarsi con miti e con riti ha creato altre forme di conoscenza, altri strumenti di potenza. È andato oltre . Nul­ la sarebbe andato perduto, tutto sarebbe stato riassunto, elaborato, superato in un orizzonte più ampio e più vero. Gli ideali cristiani, che pigramente si rievocano ancora nelle parroc­ chie , avrebbero trovato il loro adeguato svi­ luppo nella moderna coscienza della libertà, della democrazia, della giustizia sociale . La re­ ligione non sarebbe più necessaria perché avremmo ormai qualcosa che è più della reli­ gione, dove ciò che nella religione era ancora mischiato con oscure superstizioni e con con­ fuse favole si è perfezionato e sublimato. La religione non sarebbe altro, quindi , che una 26

verità vestita da favola, buona per il popolo, che come i bambini e come i primitivi è in­ capace di sollevarsi alla luce chiara della ra­ gione. Questa semplicistica spiegazione non è altro che il frutto fuori stagione dei vari progressi­ smi ottocenteschi, mille volte contraddetti dai fatti ma tuttora vivi e vegeti nel bel mezzo del­ la nostra pigrizia. Non so che posto si potreb­ be trovare, in questa rosea concezione della storia, per i sei milioni di ebrei uccisi con il gas e bruciati nei forni; per lo squilibrio psi­ cologico dell ' uomo contemporaneo, che vive nell 'incubo continuo della guerra, della rivo­ luzione, delle radiazioni atomiche, del can­ cro; per il disordine e per lo sbandamento del mondo; per l' enorme stanchezza che ci ha vinti tutti. Troppe cose preziose che erano con tenute nella religione sono andate perdute, anche se l' automatica adesione ad una visione ingenua­ mente evoluzionistica della storia, nella quale siamo stati educati, ci toglie il senso critico ne­ cessario per rendersene conto. Un vecchio rabbino, molti secoli fa, ha detto così: « Quando un uomo passa per la strada, un esercito di angeli lo precede , che gridano: fate largo all ' immagine dell'Altissimo, bene­ detto Egli sia >> . Nego che nell ' attuale sen ti­ mento del doveroso rispetto al prossimo sia contenuta la millesima parte del sentimento che l ' antico rabbino ha messo in queste paro­ le. Noi non vediamo nessuna immagine degna di benedizione e di gloria nel prossimo che 27

pure sappiamo di dover rispettare . Lo rispet­ tiamo per tutt' altra ragione. Così come ricove­ riamo negli ospedali un lebbroso per motivi radicalmente diversi da quelli per i quali san Francesco lo ha abbracciato e baciato. La verità è che ha subìto un crollo terribile la capacità dell ' uomo di credere e di sperare . È questa capacità che era contenuta nella reli­ gione, e che non si è travasata se non in mi­ nima parte nella cultura e nella civiltà moder­ ne. Quella che per Abramo era la visione di una posterità numerosa come la sabbia del mare , per noi è il desiderio di trovare per i no­ stri figli una buona sistemazione economica. Quella che per gli ebrei e per i primi cristiani era la fede in una realtà perfetta, che doveva sopraggiungere in un istante per trasformare il mondo, fino a far pascolare l ' agnello vicino al leone , è per noi la visione di uno sviluppo civile che possa via via migliorare le condizio­ ni di benessere delle masse. Quella che per gli sciamani esquimesi era una potenza assoluta capace di risuscitare un morto, per noi è la bravura di un chirurgo che abilmente sfrutta una possibilità offerta dalla natura. Quello che un tempo era un Dio o un inviato da Dio per rivelare la verità agli uomini, oggi è un im­ piegato dello stato che insegna da una catte­ dra dell ' università. Quella che per Mosè era la > , per noi è un mercato com­ merciale.

28

CHE COSA NON È LA RELIGIONE

l.a religione non sappiamo più neppure cosa sia. Uomini del nostro tempo, non possiamo muovere che dal nostro tempo, che è un tem­ po senza religione . Anche se crediamo di par­ lare della religione, in realtà parliamo di ciò che la religione è nel nostro tempo, per ciò stesso di ciò che la religione non è. Per noi la religione è , più o meno consciamente, quello ehe risulta dall' immagine della storia che ci propone e ci impone il mondo moderno: è l'infanzia del mondo, destinata a finire e a perdersi come l ' infanzia, irrecuperabile come l'infanzia, dolce e ambigua, suggestiva e vuo­ ta, informe e caotica, strana come l'infanzia. l sacrifici umani, i fedeli aspersi dal sangue del taurobolio, le orge sacre, le ascetiche parados­ sali dell ' Oriente, le guerre san te, le antiche teocrazie , le sanguinose rivolte, la misteriosa presenza del « nume » dovunque , nelle onde e nelle fronde, sono fatti di religione. Ma tut­ te queste cose , per noi, non sono religione, so­ no soltanto assurdità, superstizioni, fanatismi. Quando la religione era ancora viva, era que­ sto l'argomento dei suoi oppositori. Oggi che è morta, questo non è più neppure un argo­ mento; anzi , tutti sono più o meno d' accordo nel riabilitare la religione, perché non sta be­ ne dir male dei morti. Solo chi è vinto e iner­ me può sperare di essere riabilitato dai suoi avversari; infatti non esiste una riabilitazione della realtà, esiste solo una riabilitazione della memoria. 29

Ma è chiaro che i sacrifici umani, i fedeli aspersi dal sangue del taurobolio , le orge sa­ cre , le ascetiche paradossali dell' Oriente, le guerre san te , le antiche teocrazie , le sanguino­ se rivolte, la misteriosa presenza del > dovunque, nelle onde e nelle fronde , devono risultare , guardati dalla parte della religione , da quella parte cioè dalla quale non sappiamo più guardare , cose né assurde, né superstizio­ se , né fanatiche. Proprio come , guardate dalla parte del mondo moderno, non risultano né assurde , né superstiziose , né fanatiche le con­ quiste della tecnica, che pure rivelano o na­ scondono, come tutto ciò che è umano, assur­ dità, superstizioni, fanatismi. Per fare un discorso di religione bisogna an­ zitutto liberarsi dalle debolezze che ha accu­ mulato sul suo corpo la lunga agonia. L' abbia­ mo sempre conosciuta agonizzante, e crediamo che la religione consista nell' agonizzare. La religione non è credere in Dio. Non lo è necessariamente, anche se Dio è stato il nome dato di solito al punto supremo dello sforzo verso l' assolutamente potente, il risolutivo . U­ na grande religione , il buddhismo, nasce sen­ za la fede in Dio; senza Dio, lo sforzo verso il punto supremo vi resta tuttavia intensissimo. Un discorso di religione è dunque un discorso al di qua del discorso sull ' esistenza o meno di Dio. La religione non è credere nell ' anima immor­ tale. L'immortalità dell ' anima è molto più un concetto ereditato dalla filosofia greca che un concetto originariamente religioso. Il mondo 30

ebraico non ha espresso la fede nell 'immorta­ lità dell ' anima. Più che di una certezza nel­ l'immortalità dell ' anima, per sua propria na­ tura incapace di morte, si trattava di fede, o di speranza, nella resurrezione dei corpi, nella totale palingenesi di tutte le cose, non per ef­ fetto della natura loro propria, ma per effetto dell 'instaurazione di una natura diversa, di una realtà perfetta dove i piccoli delle pecore pascolano accanto ai leoni. La religione non è un codice morale . Se mai i codici, morali e giuridici, sono nati dalla re­ ligione nello stesso modo e senso in cui so­ no nati dalla religione la poesia e la filosofia, la scienza e l ' arte , il teatro e la danza. Stori­ camente , sono numerose le religioni che la­ sciano del tutto da parte la morale per far le­ va sulla pura conoscenza (sette gnostiche) , sulla pura fede (protestantesimo) , sul puro ri­ to (brahmanesimo) . Non mancano neppure esperienze religiose che si fondano sul rifiuto aperto di qualunque norma e sull' attingimen­ to pieno di ogni libertà di comportamento. Il cristianesimo stesso nasce come rifiuto della legge, non vi esiste una separazione tra « buo­ ni >> e > , ma piuttosto un capovolgi­ mento di queste categorie, per cui i sacrileghi pubblicani e le amorali prostitute precedono gli scrupolosi osservatori della legge morale, in virtù di un qualcosa che non è certo il com­ portamento morale, ma piuttosto la capacità di avere speranza. La religione non è adesione ad una oggettiva verità rivelata e tramandata. Proprio nel suo 31

nascere , la religione è invece l ' opposto, la ri­ cerca di una verità suprema, incommensura­ bile con la verità rivelata e tramandata. Altri­ menti, nessuna nuova religione sarebbe mai nata. La religione non è il sacerdozio, tramite e in­ terprete dell 'assoluto . Tutti i secoli della tradi­ zione di Israele testimoniano la fondamentale contrapposizione fra l' autentica religione dei profeti e la falsa religione dei sacerdo ti e degli interpreti dei libri sacri , che Gesù Cristo ha chiamato «figli di coloro che hanno ucciso i profeti » . Gesù Cristo, il messia atteso secondo la religione di Mosè, viene crocefisso dai sa­ cerdoti della religione di Mosè. I sacerdoti, di­ ce Gesù Cristo, « seduti sulla cattedra di Mosè , non entrano nel regno dei cieli, ed impedi­ scono agli altri di entrare » , o, secondo un agraphon tratto da un testo scoperto recente­ mente, sono come cani sdraiati nella mangia­ toia del bue , che non mangiano l ' erba, ed im­ pediscono al bue di mangiarla. Ma se la religione non è la fede in Dio e nel­ l ' immortalità dell' anima, se non è la fonte e la garanzia della morale, che sancisce premi e castighi, se non è la tradizionale verità rivelata e tramandata dal sacerdozio, se non è tutto quello che crediamo che sia (o se, perlomeno, è qualcosa più di quello) ; che cos'è dunque la religione? In verità, la religione è qualcosa che il mondo non ha né combattuto né vinto, perché non l ' ha conosciuta. Il mondo moderno ha ucciso una religione agonizzante , ridotta ormai ad es32

sere tutto ciò che religione sostanzialmente non è. Il mondo moderno non subentra al culmine della parabola ascendente della reli­ gione, come un gradino ulteriore , ma suben­ tra piuttosto al fondo della parabola discen­ çlente della religione. E questo itinerario discendente della religio­ ne nella storia che va indagato, e il rappor­ to che con esso ha il sorgere del mondo mo­ derno.

RELIGIONE E STORIA

Attraverso Pitagora e gli orfici la scienza risale alla religione, attraverso il culto le arti risalgo� no alla religione, attraverso i re di Roma il di­ ritto risale alla religione , attraverso i Veda la filosofia risale alla religione. La religione è un fatto delle origini, iniziale, quando ancora l'in­ dividuo e la comunità, il guaritore e il guerrie­ ro, tutto era mischiato in uno; quando politica, {ìlosofia, scienza, arte non si distinguevano. E per questo che un discorso sulla religione assume subito una dimensione globale, per esprimere la quale il nostro analitico linguag­ gio razionale , fatto di distinzioni e di defini­ zioni, non ha parole. La religione, che è o vuole essere il superamen to di ogni categoria, parziale e limitata, non può entrare nel no­ stro discorso, che è un discorso per categorie. Di tan to siamo separati e lontani dalla religio­ ne; e di tan to sono inadeguati i tentativi di 33

«studiare >> la religione in chiave storica, o psi­ cologica, o etnografica, o filosofica, o sociolo­ gica. La religione è lo sforzo vivo delle origini di unificare e di superare il differenziato, il par­ ziale , il molteplice, il relativo. E la realtà sin te­ tica dalla quale via via si svolge , per successive analisi e differenziazioni, il cammino della sto­ ria. La storia è, quindi , il lento e graduale dis­ solversi della religione, il procedere verso il moltiplicarsi degli uomini, delle razze , delle lingue, degli eventi, degli strumenti, delle co­ noscenze . Questo impone la scelta fra due opposte con­ cezioni della storia, una che giudica positivo e l' altra che giudica negativo il diss?lversi della religione in cui consiste la storia. E inevitabile che storicamente si affermi una concezione ottimistica della storia, e che, di conseguenza, i fatti storici vengano interpretati in modo tale da assumere il significato di una evoluzione, adottando, per raggiungere lo scopo, oppor­ tune unità di misura. Ogni storiografia na­ sconde una apologetica della storia. La religione, comunque , si pone come nega­ zione della storia: per questo si trova in una così palese condizione di inferiorità nei con­ fronti del mondo moderno, che è il prodotto della storia. Di qui deriva l ' ambiguità della sua condizione, costretta com 'è a vivere nella sto­ ria che nega. Abbozza un progetto di storia in­ volutiva, dalla creazione per successive emana­ zioni depotenziate della gnosi al peccato origi­ nale del cristianesimo; introduce poi un even34

to (il patto di Abramo, la liberazione di Bud­ dha, il sacrificio di Cristo, l ' egira) come ribal­ tamento della storia. E dal momento che la storia non si ribalta, finisce poi col venerare l ' evento ormai storicizzato, col venerare la storia. Eppure, come tutte le cose , anche la storia ha le sue radici nella religione. L' idea della storia è l' idea di un farsi di ciò che ancora non è, l'i­ dea della possibilità di una mutazione effe tti­ vamente significativa, di un 'opera che superi una condizione inferiore per attingere una condizione superiore . E la religione, dinanzi al parziale e al relativo presenti in qualunque esperienza, è appunto la tensione verso un evento risolutivo, verso la conquista di una po­ tenza e di una realtà diverse , dove nulla è se­ parato, è « altro » , è ignoto, è ostacolo, è nemi­ co. Si contrappongono così due storie: una storia possibile, ideale, che consisterebbe nel risalire oltre ancora lo scarsamente differen­ ziato delle origini religiose , verso l ' « uno >> , il « tutto >> , l ' > ; e una storia effettiva, reale , che consiste nello scendere dallo scarsa­ mente differenziato delle origini religiose ver­ so il sempre più differenziato, la storia di cui abbiamo esperienza. Possiamo esaminare più da vicino i rapporti fra il cristianesimo, colto per quanto è possibi­ le nelle sue esigenze originarie, e la storia. In fondo è del cristianesimo che dobbiamo par­ lare , perché è il cristianesimo la religione che è in rapporto, in complesso rapporto, con il mondo moderno. 35

CRISTIANESIMO E STORIA

Si può dire che l' idea di storia prenda corpo con il cristianesimo . Di fronte alle concezioni del tempo greca ed ebraica, caratterizzate ri­ spettivamente dal sentimento di una vicenda ciclica ripetuta, sempre uguale a se stessa, e dal sentimento di un itinerario lineare e mo­ notono, né ascendente né discendente , già nei profeti d' Israele si ha un diverso concetto del tempo , come di un cammino orientato in una direzione , e precisamente nella direzione che conduce alla vetta culminante della so­ cietà perfetta, del regno messianico. Il cristia­ nesimo è appunto l ' annuncio dell ' imminenza di questo ultimo atto della storia, la «buona notizia >> è questa: «il regno dei cieli si è avvici­ nato >> . Ciò che si richiede è l'adesione del cuore a questa realtà nuova, l ' estrema tensio­ ne verso questo evento risolutivo. Il capovolgimento di prospettiva è totale. La realtà non è più ciò che è, ma ciò che deve es­ sere , ciò che diventa. Il presente è vuotato di contenuto dinanzi al futuro. Tutto ciò che è è vecchio . La natura non è più la magnifica ca­ sa degli dèi e degli uomini , ma qualcosa che deve essere trasformato ( «la stessa natura ge­ me nell ' ansia della redenzione >> dice Paolo) . L'uomo deve essere trasformato, perché . La conoscenza deve essere tra­ sformata, perché ora vediamo soltan to (Paolo) . L' ultimo di­ scorso di Gesù, pronunciato alla vigilia della 36

sua morte , elenca le realtà poderose che stan­ no per farsi: sarà nota « tutta la verità >> , saran­ no note « le cose future >> , Dio sarà manifestato > e non più adombrato > , la gioia > . La realtà vecchia, il mondo, è dominio del « prin­ cipe delle tenebre >> . Gesù Cristo paragona la propria azione nel mondo all ' azione di un uo­ mo potente che vince un altro uomo e depre­ da i suoi beni. Tutta la realtà di cui abbiamo esperienza è negativa e insoddisfacente, ma sta sopraggiungendo la realtà perfetta, quella in cui > . L'Apocalisse è piena di grida di gioia dinanzi ai cieli che si accartocciano come per­ gamene bruciate , dinanzi alla terra che fugge e nessuno la trova più. Ancora Tertulliano ri­ porta in una sua lettera la notizia che nel de­ serto da quaranta giorni, all 'alba, si vede fra le nuvole del cielo la splendida Gerusalemme che sta per discendere sulla terra. Ancora Gioacchino da Fiore, nel Tractatus super qua­ tuor evangelia, vede che > . Il cammino verso il > è l a vera storia. Ma il cammino degli uomini , che gui­ dati dal > si allontana­ no sempre più dal regno, è la storia del mon­ do. Da duemila anni siamo sospesi nell ' enor37

me vuoto fra queste due storie. Il « regno di Dio >> che attendevano i primi cristiani non è venuto. La storia del mondo è continuata, è diventata anzi la storia del cristianesimo, per­ ché il cristianesimo si è imposto al mondo . Storia e cristianesimo si sono identificati, in un fondamentale equivoco. Poiché per i cristiani il regno di Dio doveva ve­ nire, ciò che è venuto non poteva, per i cristia­ ni, non essere il regno di Dio. La Chiesa, con Agostino, diventa infatti il regno di Dio. L' e­ vento risolutivo non è più nel futuro, l ' irrom­ pere del regno, ma nel passato, nel sacrificio redentore del Cristo. Il regno resta completa­ mente isolato, senza nessun legame con la sto­ ria, è il sopraggiungere di qualcosa dato da Dio in modo puramente gratuito, nei con­ fronti del quale qualunque opera è indifferen­ te, qualunque sforzo è indifferente, qualun­ que desiderio e qualunque speranza sono in­ differenti, perché non c ' è nulla che possa ri­ tardarlo né affrettarlo. Ma, ormai, con il cristianesimo l'itinerario umano nel tempo ha acquistato un significa­ to, tende a una meta. Gli uomini hanno impa­ rato a guardare nel futuro, e il loro modo di guardare nel futuro è enormemente più gran­ de del pur grande tentativo della Chiesa di identificare il regno con il passato , obbligata dal fatto palese che il regno che Gesù Cristo aveva annunciato alle porte non era venuto . La storia del cristianesimo è infinitamente più vasta e più profonda della storia della Chiesa: invano sterilizzato dagli interpreti ufficiali, il 38

concetto di regno, di ascesa verso una meta, vive nella storia del mondo.

RIDUZIONE DEL CRISTIANESIMO A STORIA

La complessità del rapporto religione-storia, esasperata e drammatizzata nel rapporto cri­ stianesimo-storia, ha la sua difficoltà più gran­ de nel senso in cui vengono assunti i termi­ ni del confronto. Posta dinanzi alla religione, la parola > , che siamo abituati ad im­ pieg�re in sensi abbastanza precisi, ingiganti­ sce . E inevitabile . Lo si vede già nella tradizio­ nale contrapposizione fra « storia sacra >> e > , che pur nella sua intrinseca de­ bolezza rivela l' esigenza di assumere il termi­ ne « storia >> in prospettive non usuali. Ho parlato di una > e di una > , di una > e di una > , nei confronti delle quali la religione, il cristianesimo in particola­ re, assume rapporti diversi . Prima di procede­ re oltre , è opportuno riassumere e chiarire ta­ li rapporti . Il cristianesimo, fondato sull 'attesa di un mu­ tamento radicale di tutte le cose ( metànoia, ca­ povolgimento) , nella natura e negli uomini, è l' idea di una storia ideale, concepita come un sistema temporalmente chiuso, il cui atto con­ clusivo consiste nel superamento di qualun­ que limitazione e nell ' attingimento di una condizione > . Nei confronti di tale 39

atto conclusivo, tutti gli atti precedenti sono caratterizzati da una fondamentale insuffi­ cienza: Abramo è morto, dice Gesù Cristo, ma chi crede in me vive in eterno. Se l' atto conclusivo annunciato dal Cristo si fosse compiuto, la storia ideale avrebbe coin­ ciso con la storia effettiva. Ma poiché non si è compiuto, noi ci troviamo dinanzi a duemila anni di storia effettiva che non sono la storia ideale . Nasce quindi il problema del senso di questa storia effettiva, e del suo rapporto con la storia ideale . In quanto storia effettiva e non ideale, il suo carattere dovrebbe essere, da un coerente punto di vista cristiano, la fondamentale in­ sufficienza, il mostruoso dominio del « princi­ pe delle tenebre >> . Ma poiché in questa storia effe ttiva si era svolta e affermata la verità cri­ stiana, poiché c ' era stato il Cristo, poiché c ' e­ ra la Chiesa mandata per convertire il mondo, non si poteva negare il valore della storia ef­ fettiva senza negare insieme il valore della ve­ rità cristiana. Questa l'inevitabile ambiguità. Poiché il cristianesimo si è imposto al mondo , la storia del mondo è da duemila anni la storia del cristianesimo. E la fine del cristianesimo è la fine del mondo. Malgrado le grandi diversità che sussistono fra l' insegnamento della Chiesa e quello dei ne­ gatori della Chiesa, fino ai più radicali movi­ menti anticristiani ( « an ti >> , e cioè sempre schiavi dello stesso dilemma) , tutte le filosofie della storia nate in epoca cristiana (e non cre­ do ne siano nate altre ) concordano nel far 40

coincidere la storia dopo Cristo con la storia ideale . Non c' era altra possibilità, dal momen­ to che il cristianesimo è l ' annuncio della sto­ ria ideale e che il cristianesimo si è affermato nel mondo. Bisognava necessariamente o libe­ rarsi in modo totale del cristianesimo (fare co­ me se il cristianesimo non ci fosse mai stato, cosa assurda) , o ammettere che il regno an­ nunciato dal cristianesimo fosse la effettiva storia del mondo. Gli interpreti ufficiali come i negatori erano vincolati a questa scelta inevi­ tabile. I motivi assunti per giustificare l' identificazio­ ne della storia del mondo con il regno sono però diversi . Si collocano fra due limiti oppo­ sti. La storia del mondo è la storia ideale del regno in quanto in essa è ormai entrata la ve­ rità, incarnata nel figlio di Dio che, con il suo sacrificio, la redime, e versa in lei, attraverso i canali della grazia amministrati dal sacerdo­ zio, la luce e la salvezza, sia pure in modo an­ cora non assolutamente palese , ma destinato a diventare palese nel > AL «PRO GRESSO>>

Poiché viviamo da duemila anni in un mondo cristianizzato (sia pure secondo un cristianesi­ mo stravolto, che identifica il mondo con il re­ gno) , non siamo capaci di renderei conto del­ la novità e dell' originalità del cristianesimo di­ nanzi a tutte le ideologie precedenti. Del re­ sto, ci mancano quasi completamente i termi­ ni per un confronto, dal momento che tutto ciò che è antecedente al cristianesimo non ci è attingibile direttamente, ma solo attraverso la sintesi ellenistica, che nel fondamento cri­ stiano ha il punto di unificazione e il criterio di orien tamento e di interpretazione (il che mostra di per sé l'enorme potenza del cristia­ nesimo nella storia) . Se veramente la profonda originalità del mes­ saggio cristiano sta nel concepire e nel vivere concretamente il farsi di una realtà risolutiva e perfetta, le differenze che lo separano dalle al­ tre dottrine di salvazione, a cominciare dal buddhismo, sono incolmabili: non c ' è alcuna profonda analogia tra la liberazione indivi­ duale e negativa da una realtà e la conquista universale e positiva di una realtà diversa. La novità sta nell 'aver posto il regno, la realtà superiore , come meta della storia. Gli in ter43

preti ufficiali - lo abbiamo visto - dovendo sal­ vare almeno la lettera del rifiuto cristiano alla storia effettiva, non risolutiva, sono ricorsi allo sdoppiamento della storia in due piani: da una parte continua una storia « naturale >> , che si presenta come la continuazione della storia prima di Cristo, ma, in realtà, questa apparen­ za nasconderebbe misteriosamente la presen­ za di una storia « soprannaturale >> , nella quale è già operante la verità di Dio e la sua grazia. Per molti secoli, nel lento penetrare della no­ vità cristiana nel mondo , questa interpretazio­ ne ha prevalso. Essa portava con sé un fatale disinteresse per la storia « naturale >> , esteriore, accentrando tutto l'interesse nell 'intrinseco invisibile contenuto di verità e di grazia, consi­ derato, per « mistero >> , più reale della stessa realtà. Ciò, d' altro canto , ha determinato la fuga della religione verso i territori dell 'astrat­ to, dai quali non è più ritornata. Su questo schema di in terpretazione della sto­ ria nasce e vive il medioevo. Ma già nel me­ dioevo il messaggio cristiano non si esaurisce in questa interpretazione. Per molti segni, l ' e­ sigenza originaria di una realtà superiore , non soltanto misteriosamente o simbolicamente superiore, muove le grandi acque dove i po­ poli dai quali doveva nascere il mondo moder­ no si incon trano e si fondono: l' attesa della > , dell ' « età dello spirito >> , in Gioac­ chino da Fiore , che ha dato solide fondazioni al movimento francescano; l ' attesa dan tesca del « veltro >>; il rinnovarsi dello sforzo verso il « regno della pace >> ad opera di Maometto , 44

dall' Oriente venuto in Europa attraverso le crociate; il tendere all 'unificazione nel « sacro romano impero >> ; le sette eretiche, esasperata­ mente dualiste, dei catari , patarini, albigesi, dolciniani, che hanno propaggini lunghissi­ me e profondissime; l ' ansia dell 'anno mille per un evento risolutivo, sia pure corrotta da infinite paure e non più trionfante di pura gioia; il crescente sviluppo dei traffici e dei commerci, la libera espansione dei comuni, la creazione delle città; la ragione speculativa te­ sa a dimostrare la verità cristiana; la spin ta po­ derosa verso l ' Oriente, in gran parte inconscia nelle sue motivazioni; infine, lo sforzo di sin­ tesi con il pensiero antico, al quale è tutt' al­ tro che estraneo il bisogno di tutto congloba­ re e comprendere, perché nulla vada disperso per l' ultimo giorno. Tentativi scarsamente co­ scienti, e spesso contraddittori , in una atmo­ sfera farraginosa, determinata dal confluire di popoli e di esperienze diverse nel rivoluziona­ rio messaggio cristiano. Piuttosto come uscita da un lungo periodo di incubazione che come antitesi e capovolgi­ mento, si apre l ' e tà moderna, dove finalmente i popoli nuovi , acquistata una fisionomia e una coscienza di sé , sen tono nella verità cri­ stiana una forza che non può essere costretta nei limiti della interpretazione ufficiale. L' i­ deale edificio del medioevo, politico e specu­ lativo, rappresentava ormai, dopo la sua len ta cristallizzazione e il suo invecchiamento, uno schema simbolico del regno troppo inferiore a ciò che regno significa nell 'originario mes45

saggio cristiano. Le forze , nella storia, matura­ no lentamente. L' età moderna sorge con una spinta al farsi della storia, al divenire, allo svi­ luppo, al futuro, che è assolutamente nuova nei confronti del mondo antico, dal quale tut­ tavia traeva i suoi esempi, come moduli di an­ titesi alla statica interpretazione prevalente nel medioevo. Con la conoscenza degli antichi, con la scien­ za, le scoperte e le invenzioni, il panorama della storia si dilata enormemente, fino a cul­ minare , attraverso Copernico e Giordano Bru­ no, nelle dimensioni dell ' infinito in movi­ mento che si esprimono nel barocco. Già nel XVI secolo abbiamo, con gli utopisti , un po­ tente tentativo di guardare nel futuro . L' idea­ le società descri tta nella Nuova Atlantide di Francesco Bacone ha il suo carattere più sa­ liente nello sviluppo della scienza e della tec­ nica, che realizzano condizioni di vita incredi­ bilmente nuove e moltiplicano a dismisura la potenza dell 'uomo. La società vi è governata da scienziati che sanno utilizzare le cascate d' acqua come forza motrice e che dispongo­ no di aria condizionata, di microscopi, di tele­ scopi, di condotti capaci di trasmettere i suoni a grande distanza, di sommergibili, di macchi­ ne per volare . Bacone si pone questo proble­ ma grandemente indicativo : gli scienziati deb­ bono o no diffondere e mettere in opera sco­ perte scientifiche capaci di provocare sconvol­ gimenti inauditi nella vita dell ' uomo e dello stesso universo? Simili prospettive , in Bacone, in Campanella, 46

in un santo canonizzato della Chiesa come Tommaso Moro, misurano la novità sorta con il rinascimento dinanzi al modello dell' antico mondo classico. Pochi decenni dopo, la Royal Society di Lon­ dra, le accademie delle scienze di Parigi, di Berlino e di Pietroburgo, l 'Accademia del Ci­ mento di Firenze erano alla guida dello sforzo per la concreta costruzione del mondo ideale degli utopisti, i quali rappresentano così un ponte di passaggio fra mondo antico e mondo moderno di speciale interesse e valore , fino­ ra non sufficientemente indagato, o indagato troppo semplicisticamente in base alla pre­ messa di una corteccia religiosa che avrebbe costituito il polo negativo dell ' ansia di conqui­ sta razionale . Il fatto nuovo al quale approda il mondo mo­ derno è certamente la scienza, intesa come metodo necessario per acquisire conoscenze e capacità operative, in vista del potenziamen­ to dell' uomo e della trasformazione della na­ tura. Di questo possiamo renderei ben con to oggi , ricchi di una prospe ttiva di mezzo mil­ lennio, divenuta particolarmente significativa proprio in questi ultimissimi anni. Veramente il mondo è stato trasformato e sta trasforman­ dosi , in una evoluzione di cui nessuna epoca storica precedente è stata capace. La scienza nel senso moderno, e cioè la scienza in fun­ zione del realizzare tecnico, è la garanzia e lo strumento di quel « progresso>> capace di mol­ tiplicare la potenza dell 'uomo, di accrescere i beni in suo possesso, di dilatare le sue possibi47

lità, che è la trascrizione, maturata attraverso i secoli, della tensione cristiana verso il « re­ gno >> . Attraverso successive interpretazioni, il « regno ,, diventa il > . La natura, più che un re­ gno da conquistare e un territorio da trasfor­ mare , era per gli an tichi un 'armonia da con­ templare , il fare e l'avere erano tenuti radical­ mente separati dal conoscere e dall'essere , in una condizione di netta subordinazione. Il fa­ re e l ' avere erano categorie servili, il conosce­ re e l ' essere categorie padronali. In questo terreno l ' albero della tecnica, strumento del (are e dell ' avere , non poteva attecchire . E stato notato che il sorgere della tecnica si ac48

compagl}a a un atteggiamento di odio per la natura. E certo, comunque, che chi contem­ pla ammirato e venerabondo la natura non può pensare a organizzarla, a dominarla, a tra­ sformarla. Il fondamentale ribaltamento dalla contemplazione alla dominazione che ha de­ terminato il sorgere della tecnica in senso mo­ derno è stato operato, come tutti i profondi mutamenti che hanno cancellato il mondo classico e avviato al sorgere del mondo moder­ no, dal cristianesimo. Il cristianesimo parla di creazione, di redenzione , di giudizio, di fine del mondo, e quindi di una realtà che supera e trasforma la natura. Non è esatto, tuttavia, contrapporre la trasfor­ mazione della realtà nel cristianesimo alla contemplazione della realtà nelle altre religio­ ni. Fin dai primordi, per quanto è possibile ri­ salire in quello che è stato chiamato il > delle origini, la religione propo­ neva una esigenza operativa, di trasformazio­ ne e di dominio sulla realtà. Ma certamente il cristianesimo, ponendo se stesso nella « pie­ nezza dei tempi>> , aveva dinanzi una realtà tal­ mente complessa, una storia talmente lunga, una inerzia talmente pesante , una esperienza talmente dolorosa dell ' alternarsi di vicende vane, una tale carica di delusioni, da esigere in modo perentorio un capovolgimento im­ mediato e totale. In questo può riconoscersi l' originalità e il maggior valore del cristianesi­ mo nei confronti delle precedenti esperienze religiose, e nello stesso tempo l' elemento che l ' ha reso universale, fino a farlo coincidere 49

con la storia che è la totali tà dell' esperienza umana. E in questo senso può anche ricono­ scersi la continuità del cristianesimo nei con­ fronti delle religioni precedenti, continuità che il cristianesimo ha vantato fin dalle origi­ ni, come elemento della sua universalità, per­ ché senza passato non esiste futuro. La tecnica, cuore del mondo moderno, è si può dire la creazione tipica del cristianesimo, il suo punto di approdo, dal quale noi possia­ mo trarre , a posteriori, la sensazione di che cosa il cristianesimo implicava. Nella tecnica come strumento di progresso sono riconosci­ bili molti dei caratteri dell ' annuncio del re­ gno. Un accentuato « realismo>> , nei confron ti dell ' « idealismo>> classico ( per usare gli indica­ tivi termini con i quali Laberthonnière con­ trappone il cristianesimo alla civiltà greca) ; un valore stabilito in relazione ai risultati, al futu­ ro , e non in relazione ai motivi , al passato, co­ me accadeva nella filosofia antica; una opera­ zione , anziché una conoscenza; il superamen­ to dell ' individuo e la necessità di un 'opera co­ mune; l'universalità, al di sopra di qualunque barriera di razza, di casta, di lingua, di nazio­ ne; il valore risolutivo, unico nei confronti di tutti i non risolutivi valori precedenti; la fede cieca nelle sue possibilità; il pessimismo ver­ so la condizione attuale e l ' ottimismo verso la condizione futura; il carattere eroico; il carat­ tere missionario; il carattere di meraviglia e di miracolo; il carattere di privilegiati, di non più schiavi , che assumono i suoi possessori; l ' entu50

siasmo; il disprezzo delle forze critiche e iner­ zianti. Il mondo è veramente unificato, il cristianesi­ mo è stato veramente predicato fino agli estre­ mi confini del mondo. L' uomo va nel più alto dei cieli, e le meraviglie della produttività lo avvicinano finalmente al superamento della pena del lavoro, che è il segno della situazione di caduta per la quale il cristianesimo portava la redenzione . I tentativi della tecnica in dire­ zione della creazione della materia vivente , della conquista del cielo, del superamento della morte, della trasformazione delle sostan­ ze e delle specie hanno, anche nel sapore del­ le parole , un intenso fondo di religione. Nel centro dell 'Asia i deserti producono messi, co­ me avevano annunciato i profeti. Questo è la tecnica, una concezione e una operazione sulla realtà che non ammette co­ de moraleggianti, ten tativi assurdi di fornirle consigli di temperanza, o magari a buon mer­ cato un 'anima docile e senza unghie. Nella potenza e nella novità della tecnica possiamo sentire ancora la novità e la potenza del cri­ stianesimo. Awicinando religione e tecnica, possiamo contrapporle al gioco sottile , astrat­ to e inutile dei le tterati , degli intellettuali, dei filosofi, che rappresenta una opposta posizio­ ne nei confronti della realtà: la contempla­ zione, la descrizione, il vezzeggiamento, l' eva­ siOne . Eppure , tutti sentiamo che c'è un incolmabile abisso tra cristianesimo e tecnica, tra religione 51

e mondo moderno: l'abisso che c ' è fra gli e­ stremi che si toccano.

TECNICA E RELI G I ONE

Certo è difficile definire la differenza, che pu­ �e sentiamo vivissima, fra tecnica e religione . E più facile coglierne la somiglianza. Le inter­ minabili accuse alla tecnica che riempiono i li­ bri dei moralisti, le analisi che protestano con­ tro l ' umanità , le stesse accuse, in definitiva, che i letterati e gli intellettuali, l ' e terna aristocrazia degli epi­ goni, muovono (o muoverebbero, se fosse an­ cora di moda) alla religione: cieca esaltazione, ingenuo ottimismo, assenza di senso critico, di finezza, di delicatezza, schiacciamento dell 'in­ dividuo in una prospettiva unitaria e sover­ chiante, che non tiene conto della qualità, della libera scelta, delle sfumature , del dirit­ to di ciascuno a stare in pace e a fare ciò che vuole . Che cos'è dunque che ci fa sen tire opposte re­ ligione e tecnica, e ci fa dire che nel mondo con temporaneo, dove trionfa la tecnica, non c ' è più religione? Certamente le critiche al mondo della tecni52

ca, condotte in nome della humanitas, pur nel­ la loro fondamentale insufficienza e nella loro fatale inefficacia, hanno moventi plausibili. La tecnica presenta una specie di arida strumen­ talità, un modo dell 'uomo estroverso, impe­ gnato in direzione della « cosa » , una separa­ zione dell 'esteriore dall'interiore (dove anche l ' interiore può essere indagato come esterio­ re) . In effetti si è verificato , tra mondo del­ l ' uomo e mondo della tecnica, uno sdoppia­ mento ormai indagato in tutti i modi possibili . « Letterati » e « scienziati » sono ormai incomu­ nicanti; della gravità eccezionale della cosa si accorgono forse soprattutto uomini di scien­ za, come un Heisenberg e un Wiener (ed è lo­ gico che sia così , perché sono loro, storica­ mente, i veri continuatori della tradizione; gli altri non fanno che recriminare e accusare un mondo che non capiscono) . La separazione è tanto grande e profonda che i caratteri dei due mondi sono fondamentalmente antiteti­ ci. Alla chiarezza, all ' entusiasmo, alla fiducia, alla tensione verso il futuro del mondo della tecnica, si contrappone l ' oscurità, l ' angoscia, la disperazione, il senso del passato perduto che sono le costan ti dell 'odierno mondo del­ l ' arte , della filosofia e delle lettere . L' uomo , in quan to sapiens, vomita il mondo che, in quan­ to Jaber, edifica. Non un poeta è stato capace di esprimere la grande potenza della tecnica, e chi l'ha tentato è naufragato nel ridicolo . Non mancano i ten tativi di considerare questa situazione di separazione, di rottura dell' uo­ mo, come una situazione provvisoria, tipica di 53

un periodo di trapasso. Ma, a parte il fatto che il fosso va palesemente crescendo piuttosto che saldandosi, non ha molto valore un ar­ gomento che si appoggia a una ipoteca sul fu­ turo . I due aspe tti della tensione verso una condi­ zione superiore e del dolore per la condizione attuale, che sono strettamente uniti nella au­ tentica esperienza religiosa, e collegati come motivi a risoluzioni, sono oggi dissociati, e ap­ partengono a due mondi diversi . La tensione verso una condizione superiore è del mondo della tecnica, isolata in sé e strappata dalle sue radici, che appartengono al mondo dell 'uma­ no. Il dolore dell ' uomo non è capace di spe­ ranza, e lo sforzo dell 'uomo è puramente gra­ tuito, non va verso la gioia perché non muove dal dolore. Né le conquiste della tecnica alle­ viano l ' angoscia e la disperazione dell 'uomo, né l ' angoscia e la disperazione spingono con­ sciamente alle conquiste della tecnica. La macchina della tecnica va da sola, la dispera­ zione dell' uomo va da sola. Nella religione l ' uomo fa la realtà che sogna, ma oggi l ' uomo fa nella tecnica quel che non sogna, e sogna nell 'umano quel che non fa nella tecnica. Se la religione è sforzo verso il superamento del­ le opposizioni e dei con trasti, sforzo verso l ' u­ nità, la tecnica non è religione, perché è u­ no sforzo limitato e parziale. C ' è una immen­ sa zona di speranza che la tecnica neppure sfiora, che esclude a priori come irraggiungi­ bile . Il mondo della tecnica non promette la 54

gioia, ma il benessere e la prosperità. Solo Dio prome tte la gioia. Ma c ' è un altro aspetto che manifesta una lon­ tananza ancora maggiore fra la tecnica e la re­ ligione. La religione è la dimensione dell ' im­ mediato e dell'indifferenziato; la tecnica è per eccellenza la mediazione strumentale' e l'esi­ genza della complicazione. Proprio perché me­ diata e complessa la tecnica è im�;mana, vive una sua vita separata dall 'uomo. E il ricorso ad una complicata mediazione , che presuppo­ ne lo scadere della fede in una realizzazione semplice e immediata, come è appun to il riso­ lutivo della religione. Non è un atto assoluta­ mente risolutivo e superante ogni limite quel­ lo che è vincolato a una lunga mediazione strumentale e temporale. Nella tecnica l ' uo­ mo è schiavo del tempo e dello strumento, e cioè di categorie dal superamento delle quali muove l'esigenza di religione. Per il cristiane­ simo delle origini il regno è prope, è « come un lampo che esce dall' oriente e guizza fino al­ l' occidente>> ; per la tecnica il progresso è len­ to, graduale, è una penosa fatica verso il supe­ ramento della pena e della fatica. Se per ipotesi la tecnica realizzasse tutte le tra­ sformazioni che la religione spera, la religione si vuoterebbe di ogn i contenuto. Ma una tec­ nica capace della trasformazione totale della religione non sarebbe più la tecnica, perché otterrebbe qualcosa che certamente non è nei fini che la tecnica si propone. Una trasforma­ zione totale implica una trasformazione delle categorie di causa, di tempo, di spazio, di sog55

getto, di oggetto, di osservabilità, la cui perma­ nenza e costanza sono alla base e rendono pos­ sibile la tecnica.

L' INVOL U Z IONE DELLA STORIA

Dalle remote origini la religione, attraverso il cristianesimo, si trasforma nel mondo moder­ no. Dove non c ' è più la religione proprio per­ ché c ' è la te � nica, che della religione è l ' ulti­ . ma mcarnazwne. Resta da dare un giudizio su questo itinerario, che è l'itinerario della storia. Proprio perché la storia registra il dissolversi della religione, le alternative non sono che due : o la tecnica è il superamento della religione, o la tecnica è u­ na religione depotenziata nelle sue esigenze. Come il mondo moderno non può negarsi po­ nendosi alla fine di un processo involutivo, co­ sì la religione non può negarsi ponendosi al­ l 'inizio di un processo evolutivo. L'unica con­ cezione della storia compatibile con la religio­ ne è quella involutiva, e l ' unica concezione della storia compatibile con il mondo moder­ no è quella evolutiva. Questo se la religione osa porsi di fronte al mondo moderno, an­ ziché tentare di eluderlo o di corteggiarlo ( co­ se che storicamente non può non fare, appun­ to perché, nella storia, è radicalmente scon­ fitta) . Io non faccio nulla per « dimostrare » la vali­ dità di una concezione involutiva della storia, e non faccio nulla per > dei criteri di 56

valore in base ai quali giudicare la storia. Così come non è stato mai fatto nulla per « dimo­ strare » la validità della concezione evolutiva e per « definire » i suoi criteri di valore. Non esi­ ste alcuna possibilità di dimostrare la validità di una certa filosofia della storia. La filosofia della storia è prima della storia, nel senso che l ' i tinerario storico è assolutamente privo di senso se non è giudicato in base a certi criteri di valore , l ' assunzione dei quali non è che l ' af­ fermazione di una certa filosofia della storia. Si parla di rinascimenti, di decadenze, di crisi, indipendentemente dall ' avere precisato in re­ lazione a che cosa si verifichi il progresso o il regresso. Ci si appella, di volta in volta, al fiori­ re delle arti, o alla saldezza dell' edificio socia­ le , o alla capacità di espansione politica, o alla originalità e profondità delle ideologie, o al­ l ' equilibrio delle norme morali e giuridiche, o al livello di vita economica, o al grado di com­ plessità organizzativa. In realtà, la scelta di una certa filosofia della storia (e cioè di certi criteri di valutazione ) , essendo una scelta che si riferisce alla totalità della nostra esperienza (la storia) , non è che il nostro atteggiamento fondamentale nei confronti della realtà, al di qua di qualunque motivazione e precisazione, perché da esso dipendono tutte le nostr� mo­ tivazioni e tutte le nostre precisazioni. E sol­ tanto una grossa tautologia ogni tentativo di dimostrare la validità di una concezio ne della storia definendo i criteri in base ai quali pro­ cede. Di questo, è inevitabile, ci si rende conto soltanto quando una certa concezione comin57

eia a manifestare la sua insufficienza, la sua inadeguatezza: fin quando tutti più o meno concordano, non sorge il problema della criti­ ca dei suoi fondamenti, il che equivale a dire che la concezione appare dimostrata, e i crite­ ri di valore assunti appaiono evidenti. Soltan­ to perché oggi vacilla l ' ancora dominante concezione della storia evolutiva io posso con­ cepire , e posso proporre, una diversa conce­ zione. Posso con trapporre all ' attuale stan­ chezza, delusione , angoscia, noia, alla vec­ chiaia del mondo che ci fa sentire malgrado tutto vuoto il futuro, la capacità di credere , di sperare , di entusiasmarsi che caratterizza le lontane origini religiose, dalla cui intensa vita discendono i millenni della storia. Che la concezione evolutiva della storia co­ minci a rivelare la sua insufficienza è palese. È palese che la tecnica continua nella sua traiet­ toria ascendente sempre più allontanandosi dalla sensibilità dell 'uomo, il quale elabora una « cultura>> sempre più separata dall ' otti­ mismo delle conquiste scientifiche e tecniche. Le manifestazioni « d 'avanguardia > della cul­ tura contemporanea documentano anzi un tentativo di rivalutazione delle origini, che si rivela nello sforzo di rivivere, nel ritmo della musica e della danza, nell 'orgia dei colori, nell ' istintivo contrapposto al razionale , l'in­ tensità primitiva. Che i sostenitori del progres­ so storico rifiutino questa esigenza classifican­ dola come decadentismo è inevitabile, e pro­ prio perché è inevitabile non prova nulla, e tanto meno spiega perché la decadenza si ma58

nifesti nella direzione del ritorno alle origini, mentre altre decadenze non hanno avuto af­ fatto questo carattere . Che una filosofia evolu­ tiva della storia non riesca a rendere conto (se non ipotecando il futuro e parlando gratuita­ mente di crisi di assestamento e di crescita) della condizione attuale del mondo, credo sia ormai evidente. A questa conclusione perven­ gono tutti i più intelligenti tentativi di com­ prendere il senso della nostra epoca. Altrettanto vero è, però, che una concezione involutiva della storia non riesce a rendere conto dell ' enorme spinta ascendente ancora pulsante nella tecnica se continua a rifiutare di spiegarne la forza e il significato, e a negar­ la come pura pazzia. Credo, invece, che assu­ mendo la tecnica come la punta massima del nostro tempo abbia senso considerarla come una specie di religione depotenziata, indican­ do le sue limitazioni non in ciò che ha di ec­ cessivo e di demolitore nei confronti delle mi­ sure classiche e umanistiche, ma in ciò che rende parziale il suo fondamentale atteggia­ mento, nei confronti dell' esigenza di totale immediato cambiamento che è il cuore della religione: la metànoia, il capovolgimento, la « buona notizia>> annunciata da Gesù Cristo .

RELIGIONE E FUTURO

Dire che la storia involve non significa neces­ sariamente vedere una lacrimevole vicenda, 59

che richieda continui rimpianti del buon tem­ po antico e continue recriminazioni sulla cor­ ruzione oggi trionfante . Proprio come una concezione evolutiva della storia non significa necessariamente (anche se significa spesso) giurare in un domani roseo, dove trionferan­ no tutte le belle parole con l ' iniziale maiusco­ la, e ridurre tutto il passato a oscura e cieca bestialità. Anzi, il fatto stesso che il futuro si presenti come un traguardo desolato getta una cappa grigia su tutto il passato, che del fu­ turo è la matrice, di cui il futuro non fa che rendere esplicite le insufficienze e la sostan­ ziale sterilità. Il futuro è il degno figlio del pas­ sato. Nella successione della vicenda temporale non c ' è che un lento ripiegamento verso spe­ ranze sempre meno ardue : dalla gioiosa po­ tenza dell 'unione con il Dio, dalla meraviglia dell 'età messianica, si scende, delusi e sovrac­ caricati di riserve , di dubbi, di limitazioni, di critiche, di precisazioni, di stanchezza, all 'i­ deale del benessere e della prosperità, dove si va al cinema, si fumano ottime sigarette , si è garantiti nella vita e nei beni da poliziotti ad­ destratissimi, si hanno in casa l ' aria condizio­ nata, il frigorifero e la lavatrice automatica. In fondo, la cosa più grave è che alla felicità non crede più nessuno. Tutti sperano soltanto di poter evitare in misura sempre maggiore le fa­ tiche e i pericoli. Significativamente, la stessa parola . A rendere im­ possibile la religione è precisamente il fatto 60

che essa propone una meta risolutiva, perfet­ ta, una speranza troppo più grande di quella che può essere accettata dalla nostra delusa stanchezza. Noi sappiamo per lunga esperien­ za che è già troppo difficile sperare di ottene­ re che chi ha la responsabilità della cosa pub­ blica non rubi esageratamente, figuriamoci se riusciamo a sperare la gloria di Dio che, come dice Habacuc, riempie gli abissi del mare, il trionfo perfetto della giustizia e dell' amore, le nostre lacrime asciugate per l'eternità. In questa condizione, quale può essere il futu­ ro della religione? La religione, nella storia, non può ormai avere un futuro. Ma, in realtà, non lo ha mai potuto avere, come è dimostra­ to dal fatto che non lo ha mai avuto . La posi­ zione della religione di fronte al futuro non è essenzialmente diversa oggi da quan to fosse duemila, o anche diecimila, anni fa. La reli­ gione, oggi come allora, si pone come la nega­ zione di tutto ciò che, nelle premesse come nelle conseguenze, costituisce la realtà di cui abbiamo esperienza, il cerchio chiuso dove ci agitiamo; si pone, oggi quanto allora, come negazione della storia. Il senso della religione sta nella trasformazio­ ne della realtà, e cioè nella trasformazione della storia, nell ' uscire dal cerchio vuoto della nostra vecchia vi ta e della nostra vecchia mor­ te . L' itinerario discendente della storia, assun­ to in un punto qualunque della sua successio­ ne, manifesta una situazione identica. La posi­ zione della religione è la stessa. Non aveva senso sperare in un graduale ma sostanziale 61

miglioramento dell'umanità illuminata due­ mila anni fa dalla verità cristiana, proprio co­ me non ha senso sperarlo ora. Ciò che è gra­ duale non può essere che conforme, omoge­ neo, fatto della stessa pasta, che è la pasta del­ la storia di cui abbiamo esperienza; soltanto il capovolgimento, il salto, è religione . Ho detto, tuttavia, che la religione è la real­ tà delle origini. L' origine e la fine presentano l' identità e la reciproca implicazione degli opposti. Se la condizione fresca e nuova del­ le origini, quando erano facili l ' entusiasmo e la speranza, rendeva possibile la religione, og­ gi la nostra vecchiaia e la nostra tiepidezza, quando sono facili l' abbattimento e la dispe­ razione, la rendono necessaria. Se la capacità di credere spingeva un tempo a credere , oggi l'incapacità di credere rende il credere urgen­ te e indispensabile. Il nostro tempo non può più consentire la vita di una religione storiciz­ zata e ridotta a continuazione del passato, svuotata e svirilizzata, compromessa ed equi­ voca. La necessità di una religione autentica rende impossibile oggi il perdurare di religio­ ni impotenti e agonizzanti. Se qualche centi­ naio d'anni fa le feste cristiane, i riti , i sacra­ menti potevano essere surrogati plausibili del regno, della realtà perfetta, non possono più esserlo oggi che del regno c ' è assoluto spa­ smodico bisogno. I segni di questo bisogno vanno crescendo con la scomparsa sempre più totale della religione dal mondo. La reli­ gione è tanto più difficile oggi quanto più è necessario che sia la religione perfetta e ulti62

ma, la vera e definitiva redenzione e trasfor­ mazione del mondo. Del mondo e della sua storia siamo infinitamente stanchi. Questo non è ancora religione, ma è lo spazio vuoto che deve essere colmato dalla religione.

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FRAM MENTI DI RELIGIONE

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Noi ci troviamo di fronte, o piuttosto dentro, a una tradizione religiosa, che è quella ebraico­ cristiana. Non possiamo stare alla finestra a guardare indifferentemente tutto il panorama delle varie e diverse tradizioni: una è premi­ nente e determinante. Di questa grande tradi­ zione, che si distende lungo tutto l ' arco della storia, la linea centrale passa per la Chiesa cat­ tolica. Nessuna confessione cristiana può con­ frontarsi, dal punto di vista di un globale giu­ dizio storico, all ' importanza, alla continuità, all' influenza e allo sviluppo della Chiesa ro­ mana. Può darsi che i periferici samaritani del tempo di Gesù, che adoravano Dio sul monte , possedessero una verità religiosa più pura di quella posseduta dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme ; ma questo non infirmerebbe minimamente il fatto che la tradizione religio­ sa ebraica, e poi cristiana, avesse il suo fulcro in Gerusalemme. Così , anche se una determi­ nata confessione cristiana contenesse oggi una verità più viva e più operante di quella posseduta dalla Roma cattolica, ciò non to­ glierebbe nulla al fatto che storicamente la Roma cattolica incarni in modo prevalente la tradizione cristiana. Io riconosco, e credo che non abbia senso non riconoscere , nella Chie­ sa di Roma la strada maestra della tradizione 67

religiosa; una strada che può benissimo essere a precipizio, come era a precipizio, al tempo e agli occhi di _Gesù, la strada del tempio di Ge­ rusalemme . E con la Chiesa cattolica, quando ci poniamo oggi il problema del nostro rap­ porto religioso con il passato , che dobbiamo fare i conti. Non con l' ebraismo, che pure ha dentro di sé un patrimonio ammirevole; non con l' islamismo, che nasce dallo stesso ceppo ma ha avuto una importanza storica e un in­ flusso sull' attuale modo di sentire certamente minori; non con altre confessioni cristiane, sminuzzate dai loro stessi contrasti e alimenta­ te da un individualismo che è la radicale nega­ zione dell 'universale esigenza di religione. Nei confron ti della tradizione cattolica può valere la stessa posizione che la religione di Gesù Cristo ha assunto nei confronti della tra­ dizione ebraica: una posizione cioè di radicale capovolgimento, ma intendendo che il radica­ le capovolgimento del cattolicesimo è il radi­ cale capovolgimento non di qualcosa di estra­ neo a noi , ma di quanto di più valido e di più sostanzioso ha contenuto il nostro passato. Non, dunque, un oblio e una indifferenza per il cattolicesimo, per sostituirlo con altre eti­ chette più o meno suggestive e più o meno esotiche ma sostanzialmente altrettanto vec­ chie, in uno sterile ten tativo di evasione dal nostro passato; ma piuttosto un giudizio e una condanna per il cattolicesimo, che incarna l ' insufficienza stessa del nostro passato. Il rapporto con la Chiesa cattolica è , in modo assolutamente preminente, il rapporto reli68

gioso con il nostro passato. C ' è chi rifiuta que­ sto passato per scegliersene un altro, ad esem­ pio quello della tradizione religiosa indiana. Chi fa così non ha un significato migliore di quello che avrebbe un bramino che idolatras­ se la storia dei papi o la filosofia di Hegel; e non avrebbe una efficacia maggiore di quella che ebbe un ebreo contemporaneo di Gesù convertito al culto di un idolo babilonese. Cia­ scuno ha il suo passato e deve liberarsi dal suo passato; non ha senso adottare il passato degli altri, far finta che il proprio passato non esista, separare il proprio personale passato dal pas­ sato comune. Per grande che sia la tradizione religiosa che va dal brahmanesimo all ' indui­ smo, è una tradizione periferica nella storia dell ' umanità. Quando gli orientali accendo­ no la radio e pilotano l ' aereo documentano, con queste scelte, che la loro tradizione non è più operante , che hanno preso un ' altra stra­ da, che una tradizione più forte li ha sover­ chiati . Questo non significa che elementi delle anti­ che esperienze religiose orientali non conser­ vino un loro valore , ma significa chiaramente che non sono tali elementi a poter costituire oggi il punto di attrazione e di condensazione della nostra esperienza e della nostra esigenza di religione ; sono invece la nostra esperienza e la nostra esigenza di religione che devono servire come punto di attrazione e di conden­ sazione di quegli elementi lontani, sparsi e contraddittori . Se c ' è una cosa che non può essere caratteristica di una nuova religione 69

(come del resto non è stata mai caratteristica di nessuna religione) è l ' eclettismo, il tentati­ vo di fondere in un insieme omogeneo, per­ meato di una vaga religiosità, le religioni anti­ che. Un tentativo del genere è un tipico tenta­ tivo senile, opposto all' entusiasmo e all' imme­ diatezza delle origini religiose , che sono piene di una giovinezza non logorata ancora da nes­ sun atteggiamento di riflessione, di confron­ to, di temperamento, di conciliazione . Con un peso forse maggiore di quello costitui­ to dalla tradizione cristiana ci troviamo sulle spalle la « cultura moderna>> . Bisogna rendersi conto che per noi, oggi, non è meno inerzian­ te il presente del passato. Dal passato, se non altro, ci si difende con l'istintivo allontana­ mento dalle cose tramontate ; ma è facile, inve­ ce, attaccarsi al presente e ridurre troppo sem­ plicisticamente il futuro a uno sviluppo ordi­ nato e coerente delle premesse oggi già acqui­ site, dimenticando che il futuro è il libero ter­ ritorio del possibile. Facile liberarsi dalle dot­ trine del purgatorio e del limbo, ma difficile li­ berarsi, per esempio, dalla teoria della triparti­ zione dei poteri, o dalle suggestioni dell' hege­ lismo e del marxismo. Fino a ieri poteva essere importante tuonare contro i residui del me­ dioevo, ma ormai, anche se i residui del me­ dioevo inceppano con la loro perdurante iner­ zia la nostra vita sociale , dentro di noi è molto più importante eliminare le interpretazioni del presente e le ipoteche sul futuro poste dal­ la predominante « cultura moderna » . Per noi oggi è soprattutto necessario liberarci dell ' an70

gusta categoria del « moderno » . È giusto che i soddisfatti paladini del presente combattano la loro ormai vecchia guerra contro il passato; ma chi pensa al futuro ha una diversa battaglia da combattere, nella quale il passato e il pre­ sente stanno insieme, dalla stessa parte della barricata. Nel secolo scorso la lotta di Marx era una lotta attuale, combattuta insieme contro il passato feudale e contro il presente capitalista. Così , una lotta attuale per noi oggi è una lotta combattuta insieme contro i residui della tra­ dizione religiosa del passato e contro il « mon­ do moderno>> che domina il presente. La « cultura moderna>> ci presenta innanzi tut­ to, come suo fondamento caratteristico, una concezione ottimistica della storia, intesa co­ me un costan te , graduale e indefinito progres­ so. Questo fondamento, del resto acritico, è comune al positivismo come all ' idealismo, al liberalismo come al marxismo. Non è che la trascrizione in termini laici e profani della fe­ de cristiana nel meraviglioso futuro del « re­ gno di Dio>> : una trascrizione depotenziata e diluita, che all ' urgenza di una risoluzione de­ finitiva ha sostituito un mediato itinerario a­ scendente , senza inizio e senza fine, verso il limite di una perfezione mai raggiunta e mai raggiungibile. Le forti scosse che la storia si è recentemente incaricata di dare a questa so­ stanzialmente rosea e piuttosto vaga concezio­ ne del mondo non sono ancora riuscite a farla crollare . L'uomo della strada crede ancora nel mito del progresso, per la buona ragione che non ha altro in cui credere . Ma anche questa 71

fede si è ormai indebolita alle radici, e nessu­ no oggi oserebbe proclamarla nella sua inte­ grità e pienezza. Resta come confuso sottofon­ do, come tacita convenzione ; gli intellettuali brillanti e aggiornati si limitano a girarle in­ torno, volgendo le loro armi stanche contro i rappresentanti delle vecchie fedi religiose e facendo finta di credere che il loro credo sia sostanzialmen te più vivo e più degno di fede. In questa condizione di vuoto interiore , la cul­ tura è decaduta a le tteratura, a corrottissimo gioco della critica, a cronaca, a gazzetta, a spe­ culazione, e in partenza esclude qualunque ri­ sposta e qualunque domanda nella direzione delle esigenze globali dell ' uomo, che sono le sole esigenze veramente umane. La religione tradizionale non si è mai liberata dal suo più che giustificato complesso di infe­ riorità nei confronti della cultura moderna, che era giovane e forte quando la tradizione cristiana era già da secoli debole e vecchia. Ma ormai la cultura moderna dà segni palesi di es­ sersi lasciati alle spalle gli anni della giovinezza e dell 'entusiasmo. Una religione che le si op­ ponesse oggi, le si opporrebbe come ciò che è giovane e vitale si oppone a ciò che è vecchio e stanco. La cultura moderna è ormai un pro­ dotto del passato, perché le idee che oggi si in­ carnano pretenziosamente in istituzioni, in programmi, in partiti più o meno avanguardi­ sti, sembrando per questo vitalissime , non so­ no che le idee di ieri, dell'illuminismo e del ro­ manticismo. Bisogna inventare idee oggi per­ ché si abbia una diversa realtà domani. 72

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Essere al primo o al penultimo dei mille gra­ dini della scala che porta dove si mangia, per chi muore di fame è lo stesso. Senza l'ultimo gradino il cristianesimo non c ' è , e se ci fosse non servirebbe a niente . Il mio cristianesimo è diverso da quello che si predica dai pulpiti e nelle pontificie università, e abbastanza diver­ so anche da quello di molte pagine del Vange­ lo. Il Vangelo dice pochissime delle cose dette da Gesù, che dichiara di averne dette pochissi­ me, tralasciando le molte che > c'è ancora una speranza. Questo dei > è forse il concetto più profondo del cristianesimo, ed è sconosciuto, perché è so­ speso sull' abisso. 8 La delusione non riguarda solo i singoli, ma la storia del mondo. Un uomo, in quanto e per quan to esce dal fatto banale di essere vivo di giorno in giorno, vive nella sua vita la storia del mondo, dalle primitive illusioni alle ulti­ me razionalissime delusioni. Solo per questo il mio e il tuo problema hanno un 'importanza, perché ubbidiscono ad una tragica necessità. Di che cosa non mi sono deluso? E di che cosa non si è delusa la storia? Di dèi di eroi di re di imperi di patrie di libertà di progressi di rina­ scimenti di risorgimenti. Roba nauseabonda, di cani che ritornano al loro vomito. Per vive­ re non possiamo che illuderci e vivendo ci de­ ludiamo. Credo nel giudizio che farà Gesù Cristo. Non esiste nessun altro Dio e nessun altro giudice. Questa è la fede, un giudizio del quale non posso fare a meno. 9

Anche i sacramenti hanno una intrinseca am­ bivalenza, una doppia faccia, come la legge , 76

come tutte le cose formali rituali storiche giu­ risdizionali. Se vado in chiesa mi annoio mi di­ straggo mi ribello, tutto fuorché pregare . Una preghiera pubblica non ha più senso, perché non esiste il popolo ma la fanghiglia: ad impe­ dirla non sono le troppe persone scalze ed af­ famate, ma le troppe persone ben calzate e ben nutrite che siedono negli uffici e circola­ no per le strade, da estirpare come gramigna. lO

Dio non può essere uno che « liberamente si dona perché la creatura rifletta e rifranga l' ombra della sua luce>> ecc. Dio non è un be­ nefico signore che perde il suo tempo per confortare gli uomini. Dio non sa che farsene di questo gregge che va in cerca di pingui pra­ ti di consolazioni. Il Vangelo consola solo chi non lo capisce, a pochissimi altri promette una consolazione che è molto meno dolce della morte . Questo Dio che dà, questo Dio che aspetta, questo Dio che manda la sua gra­ zia e liberamente si dona, che dà la sua luce (non è vero, e si vede) , è una vecchia favola inutile . Qui si gioca al giochetto di Dio che aspetta gli uomini e degli uomini che aspetta­ no Dio. Un poetico gioco che dopo qualche millennio diventa noiosissimo. l l

Bisogna distruggere umiliando (e quindi an­ che umiliandoci , perché siamo troppo simili 77

al mondo) , imprecando e pregando ( sono la stessa parola, la seconda non è che un depo­ tenziamento della prima) , disprezzando e a­ mando (non è possibile una cosa senza l' altra, perché non si può disprezzare se non amando ciò che è diverso da quel che si disprezza. Il di­ sprezzo fonda l ' amore ed evita che si trasfor­ mi in una astrazione ) . 12

La suprema tragedia è nell' attuale impossibi­ lità di fare distinzioni precise , di prendere po­ sizione alla luce del sole . Fin che sussiste la possibilità di una netta separazione, il giusto fra gli ingiusti, l ' illuminato fra i tenebrosi, il bene di fronte al male , siamo nell' epica, non nella tragedia. La tragedia è confusione, tutto è mischiato, e questo miscuglio caotico è il de­ stino che deve esplodere . Se ci fosse una ban­ diera spiegata, fosse pure quella della dispera­ zione o della morte , sarebbe una cosa meravi­ gliosa. Ma oggi che manca tutto, proprio oggi non basta nulla. La suprema unità è di là dalla suprema complicazione.

Quan to all' eucaristia, scrivendo mio corpo mio sangue vita eterna con tutte maiuscole la cosa acquista un grande rilievo. Ma se tutto quello che Cristo può darci da mangiare e da bere è quello che si distribuisce dalle balau­ stre delle parrocchie è molto poco, e lascia le 78

cose maledettamente tali e quali. Dopo due­ mila anni non restano più che i cadaveri ritua­ li di quello che è stato il più grande tentativo di religione. Il sangue e il corpo di Cristo sono quelli che ha consumati sulla croce. L' eucari­ stia è un analgesico, la comunione è con il suo urlo disperato.

Il « sacro >> , Dio è il suo regno, deve essere co­ struito, conquistato, e non contemplato già automaticamente precostituito nell' astratta e inutile perfezione di un Dio lontano. Se non si realizza, non vuoi dire affatto che era im­ possibile, che non c ' era, che non poteva esser­ ci, che non aveva senso, vuoi dire soltanto che abbiamo perso, che siamo sconfitti.

Se un libro dovesse passare alla storia in rela­ zione ai voti favorevoli dei le ttori, la Divina Commedia sarebbe stata e sarebbe messa subito da parte come una somma di ridicole idiozie. Ma le idee, le forze in genere , sono molto più potenti delle opinioni dei singoli, e vanno avan ti, o indietro, per forza propria, come un organismo che cresce o decresce, trasforman­ do quel che trova attorno senza il suo bene­ placito. L' erba, contro ogni suo desiderio, di­ venta vacca, e l' uomo cittadino.

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Le massime religioni negano Dio, come il buddhismo, negano l 'immortalità dell' anima, come l' ebraismo, negano cioè proprio quelle cose nelle quali si fa consistere la religione. N o n esistono « esigenze terrene>> ed « esigen­ ze spirituali>> : le seconde sono soltanto una astratta cristallizzazione del sacro autentico. L'esigenza del regno è, a tutti gli effetti, una esigenza terrena: di vedere di toccare di sape­ re di godere di posseder�, tutte cose concrete, che hanno un nome. E una esigenza sacra perché è totale, assoluta.

Bisogn a demolire le speranze degli uommt con la potenza di una critica intransigente, per mostrare che scavata la troppa sabbia non c ' è altra roccia che l'ultima speranza dell ' as­ surdo regno di Dio.

Noi siamo un popolo che fa raccolta di ossa nei cimiteri dei cappuccini, un popolo che ca­ pisce la vendetta. Solo chi sente la vende tta può sen tire il perdono; che grandezza e che si­ gnificato può mai avere il perdono per chi ignora la vendetta? Con un ' estrema punta, c ' è d a noi chi salva l a verità eterna dalle sterili maschere dell ' uomo moderno, che è civile perché getta la cartaccia negli appositi reciSO

pienti . C ' è chi rifiuta la giustizia come difesa sociale , al di fuori della tensione tra vendetta e perdono, l ' igiene sessuale, al di fuori della tensione tra libidine e castità, la cultura, al di fuori della tensione tra sapienza e ignoranza, l ' assistenza sociale , al di fuori della tensione tra carità ed egoismo, la difesa, al di fuori del­ la tensione tra guerra e pace, la devozione, al di fuori della tensione tra fede e negazione. Non è un ritorno alle cose vecchie, è un la­ sciare il vecchio per l'eterno, ora che non c ' è cosa più vecchia, all 'estrema angoscia che pre­ me alle porte dell ' uomo, degli ingenui miti di progresso dei moderni di ieri. 19

Il teologo protestan te Cullman conclude l ' esa­ me della questione relativa al valore attribuito allo « Stato » nel Nuovo Testamento afferman­ do: > . Ma il problema è questo: che s�nso ha, che va­ lore, questa > ? E una condizio­ ne conforme al disegno di Dio, una fase di preparazione nella quale dallo > , come dalle altre realtà del vecchio eone , ci si può at­ tendere una qualche collaborazione all ' avven­ to del regno di Dio; oppure è un oscuro per­ durare di potenze ostili che tardano ad essere 81

distrutte , contro le quali i santi di Dio, nell'A­ pocalisse, invocano la sua vendetta? Entrambe le risposte sono possibili, entrambe psicologi­ camente comprensibili ma obiettivamente in­ conciliabili. Comunque, se si pone il provvisorio accanto al definitivo, positivi ciascuno nel suo ordine, ciascuno con dei precisi ed invalicabili con­ fini, la tensione che anela al regno viene fer­ mata e cristallizzata, scompare. 20

La scienza conserva ancora, per i più, il posto tutto speciale che occupano le cose nuove: concentra su di sé una enorme attenzione , piena d i entusiasmo e vuota d i senso critico. Più o meno tutti hanno accettato l ' immagine di una scienza che subentra agli ingenui miti dell ' infanzia del mondo con la potenza illumi­ natrice della ragione finalmente libera e ma­ tura. Ma Whitehead, indiscutibilmente un no­ tevole uomo di scienza, scrive : > nell 'ordine della natura. La scienza è partita con la lancia in resta con­ tro il complesso edificio della speculazione teologica e filosofica medioevale . Ha galoppa­ to per qualche secolo per giungere fino a noi, ed è diventata più astratta, piena di simboli e complicata di quanto fosse il pensiero me­ dioevale. La scienza ha perso ormai l'inequi­ vocabile chiarezza che era il vanto della sua 82

adolescenza, è diventata molto più misteriosa e incerta di qualunque religione. Whi tehead scrive ancora: « la scienza è più mutevole della teologia. Nessuno scienziato potrebbe sotto­ scrivere senza riserve le idee di Galileo né quelle di Newton, e neppure le sue personali idee di dieci anni prima » . 21

Quella dell 'impossibilità di possedere lo scibi­ le del nostro tempo (la parola stessa va scom­ parendo) è, all ' apparenza, una affe rmazione innocua. Ma, in realtà, se l'uomo non può unificare in sé la cultura del suo tempo, quella cultura è inumana, lo soverchia e lo distrugge . La cultura, che è l 'insieme delle umane cono­ scenze , diventa, assurdamente, inconoscibile per l'uomo. Allora deve necessariamen te na­ scere e ingigantire la specializzazione, proprio per l' impossibilità di comprendere il tutto. Costruita sulla base della specializzazione, la società contemporanea si presenta insieme come individualista, perché nessuno può rag­ giungere la sintesi, l' universale, e come collet­ tivista, perché non c ' è nessuna libertà e nessu­ na autonomia dove i singoli sono gli anonimi frammenti di !!n insieme che non possono comprendere. E ancora possibile l'uomo, se non è più possibile lo scibile? Che cosa diven­ ta il discorso sul globale destino dell 'uomo, se il discorso non specializzato è diventato im­ possibile , se ciò che è globale è , proprio per questo, incomprensibile? 83

Ma l' impossibilità di abbracciare lo scibile , che talora costituisce, paradossalmente , un ti­ tolo di orgoglio, non è del tutto nuova nella storia, non è così esclusiva, del nostro tempo come potrebbe sembrare . E sufficiente riflet­ tere sulla complessità del mondo ellenistico per convincersi che anche allora sarebbe stato impossibile ad un uomo en trare nel labirinto delle conoscenze filosofiche religiose e scien­ tifiche confluite dalle tradizioni orientali gre­ ca ed ebraica per comprenderne il significa­ to globale. Eppure , di lì a qualche secolo, il patrimonio culturale dell 'ellenismo entrava a far parte dell ' organico insieme costituito dal­ lo scibile medioevale. Roma aveva dato un ca­ po a quel grande corpo: ordinandolo lo aveva reso comprensibile, ne aveva rivelato senso e valore. Anche oggi, è la mancanza di un cen­ tro a fare della cultura del nostro tempo un mostro acefalo, di cui si sa soltanto che è gran­ de , meraviglioso e terribile . L'impossibilità dello scibile non consegue alla vastità né alla difficoltà delle attuali conoscenze, ma piutto­ sto alla loro limitatezza e al loro disordine. 22

Non c ' è secolo, vicino o lontano, in cui non sia stato universalmente venerato qualche grosso errore scientifico. Può darsi che il no­ stro sia il secolo fortunato che dei grossi erro­ ri ha fatto definitivamente giustizia. Ma se un errore dovesse essere per caso rimasto non po­ trebbe essere quello dei milioni di anni delle 84

scoperte paleontologiche , che ballano davanti ai nostri occhi aggiungendosi o togliendosi degli zeri ad ogni nuova zanna di mammut? Ci si potrebbe domandare , anche , se è legitti­ ma una estrapolazione nel tempo così enor­ memente al di là dell' ordine di grandezza e del campo di applicazione di cui abbiamo esperienza. E, infine , ci si potrebbe domanda­ re se nello sforzo di allungare la già lunghissi­ ma catena che sale , anzi scende, verso i nostri ottusi e pelosissimi antenati non ci sia un in­ conscio bisogno di dimostrare a noi stessi la nostra superiorità: se ciò che è più remoto nel tempo è anche più grossolano e primi tivo , noi, quanto più siamo lontani dalle origini, tanto più siamo grandi e civili. 23

Una volta, per commuovere , bastavano tre uo­ mini in mezzo ad una piazza, che recitavano per l' ennesima volta una vicenda semplice e nota a tutti, da guardarsi stando sulla punta dei piedi . Oggi non bastano più neppure le gi­ gantesche macchine per commuovere che co­ stano miliardi, con le loro enormi e coloratis­ sime figure sempre diverse , con le valanghe di parole e di suoni moltiplicati in tutte le dire­ zioni, verso le quali si è sospinti con l ' aiuto del solleticamento sessuale e del brivido, e che si guardano stando comodamente semisdraiati r:_1ella penombra. E invecchiato l ' uomo, che ha perduto l ' infan­ tile mobilità, la giovanile capacità di ridere e 85

di piangere, di sognare, di entusiasmarsi . Una lenta atrofia ci ha fatto scendere via via a tipi di spettacolo intimamente sempre più depo­ tenziati, in cui sempre maggiore è stata la par­ te non sostanziale da aggiungere per forza­ re l ' attenzione e la commozione. Dal teatro ( e , nel teatro, dalla sacra rappresentazione al drammone ottocentesco, dal melodramma del ' 700 a Wagner) al cinema (e, nel cinema, dalla linearità del muto ai colossi in cinemas­ cope) , allo spettacolo a domicilio, che vanta in prim'!: linea tra le sue benemerenze la como­ dità. E l' atrofia della capacità mitica, della po­ tenza cioè ad attingere per occasione e per suggestioni un' altra realtà, ad uscire dal bana­ le quotidiano. 24

Fin quando la filosofia ha potuto offrire agli uomini un discorso sul quale convenire o me­ no, ma un discorso comprensibile , costruito con un linguaggio da tutti accettato, la filo­ sofia ha avuto un posto tra gli uomini. Ci furo­ no tempi in cui i migliori ingegni venivano ac­ clamati , in cui vi era dell 'entusiasmo, una cosa che i filosofi ormai non riescono neppure più a immaginare. Ai nostri giorni, i filosofi parla­ no lingue diverse e non s'intendono fra loro. Uno storicista, come dimostra brillantemente il De Ruggiero, non è in grado di comprende­ re l ' autentico significato delle categorie usate da un esistenzialista; l'esistenzialista impie­ gherà una vita ad approfondire le implicazio86

n i di una « angoscia » che per lo storicista è sol­ tanto una condizione psicologica, teoretica­ mente insignificante . Un neoscolastico argo­ menta di « causa finale » e di « sostanza '' • paro­ le che per un neopositivista sono prive di sen­ so. C ' è chi va alla ricerca della me tafisica, e chi nega che una simile ricerca abbia un senso. Chi ritiene che la logica sia uno strumento per trovare la verità, e chi lo nega. Non si è d' ac­ cordo su cosa cercare né sugli strumenti da adoperare. In queste condizioni filosofare è impossibile, è solo possibile giocare ai profes­ sori di filosofia.

Ciò che è dawero nuovo nasce sempre in con­ trasto con la cultura ufficiale, e si può senz ' al­ tro stabilire un rapporto diretto fra il pronto riconoscimento e il rapido successo di una idea da una parte e il suo scarso valore dall' al­ tra. La cultura ufficiale , o la cultura sic et sim­ pliciter, perché la gente crede a quel che vedt:., è la strada maestra del banale e del retorico. E autentica nello stesso modo e grado in cui tut­ te le altre realtà munite del crisma dell ' ufficia­ lità sono autentiche: come ciò che è legalmen­ te giusto è autenticamente giusto, come la do­ verosa solidarie tà di cui parlano i banchieri e gli assicuratori è la fraternità cristiana, come la libertà di cui si urla nei comizi è la libertà di Cristo. La cultura ufficiale si risolve senza resi­ dui nel culto del passato , il più sterile dei cul­ ti. La grande eresia è la speranza. Accanto ad 87

una tecnica che evolve rapidissimamente, sus­ sistono così da secoli idee-tabù che non si pos­ sono discutere e che vegetano pigramente senza riuscire a morire, strutture politiche ereditate in blocco e passivamente dal secolo dei lumi . Oggi assai più di ieri la cultura ufficiale uccide in germe le possibilità future . Adempie la fun­ zione che nei tempi passati era affidata alla croce e al rogo . Appollaiata su di un ' alta catte­ dra, rimastica eternamente le vecchie cose grandi, riesuma ignorati cadaveri, ricerca pre­ ziose inutilità, applaude di quando in quando a delle finte novità. Di portatori di idee che nulla avevano a che spartire con la cultura ufficiale del loro tempo, dalla quale anzi furo­ no ignorati, o nel migliore dei casi perseguita­ ti, si esaminano interminabili minuzie, con la pretesa di chiarire e di spiegare. La cristianità ha rifiutato ieri, e continua a rifiutare oggi, la cultura per amore del vec­ chio e per paura del nuovo. Ma il rifiuto vera­ mente cristiano è il rifiuto della cultura uf­ ficiale, della cultura vecchia e cristallizzata, or­ gogliosa delle posizioni di monopolio conse­ guite e congenitamente impotente, come di­ mostra il destino della predicazione di Pao­ lo ad Atene, a comprendere e a sperare la to­ tale novità del regno di Dio. Il rifiuto non è a Platone, ma alla infinita legione di cavillatori che attraverso i secoli setacciano e depotenzia­ no il suo pensiero. C ' è , insomma, un cristiane­ simo nuovo ed eterno che rifiuta la cultura ufficiale, e c ' è una cristianità vecchia che ri88

fiuta la cultura autentica. Fino a ten questa netta distinzione non era possibile : tra la realtà ufficiale e la realtà autentica non si era ancora verificata la totale contrapposizione che si è manifestata oggi, con il definitivo as­ surgere della cultura ufficiale, attraverso l ' or­ ganizzazione la specializzazione e la corruzio­ ne, a paralizzatrice di qualunque iniziativa di valore vitale. Le università, colossali fabbriche di « impiegati>> , non hanno più alcuna paren­ tela con le università che vedevano le dispu­ te fra Abelardo e Guglielmo. Se incertezza po­ teva sussistere allora, e far confondere (non però agli occhi dei primi seguaci di France­ sco ) la teologia e la filosofia delle università con l ' integrale significato del messaggio cri­ stiano, creatore e non indagatore di realtà ul­ teriori, la stessa confusione non dovrebbe più essere possibile oggi, perché è ormai troppo evidente e profondo l ' abisso . I decenni che immediatamente ci precedono hanno compiuto il processo di elevazione del­ la cultura accademica a mito. Anche nella ri­ cerca scientifica, nota il Colerus nella sua Pic­ cola storia della matematica, l ' esigenza di meto­ do e di rigore subentrata alle ricche intuizioni del periodo precedente ha esaurito la sua fun­ zione critica e sistematica approdando a uno sterile, e rigorosissimo, culturismo, ormai pri­ vo di qualunque possibilità che non sia appli­ cativa. I tempi sono dunque maturi per uscire dall 'astratto immobilismo della cultura uffi­ ciale , per un ritorno all' immediato e al con­ creto delle realtà vive , per un nuovo inizio. 89

Come avviene per le grandi istituzioni politi­ che al loro declino, la cultura ufficiale non è mai stata il colosso pesante e inerziante che è oggi. Ma proprio perché siamo giunti a questo estremo è ora possibile il capovolgimento.

Nella fuga dall'incubo della timidezza verso l'o­ stentazione della sicurezza, caratteristica dei nostri tempi, di veramente triste c ' è la corru­ zione dell' idea di forza, che è stata del tutto e­ steriorizzata e falsificata. Un uomo forte può piangere sull 'amico morto , può commuoversi guardando i campi, può avere un brivido di paura, può lasciarsi condurre docilmente a morire sulla croce .

Ci sono critiche giuste e critiche sbagliate , ma non ci sono critiche costruttive e critiche di­ struttive. La critica è necessariamente e inten­ zionalmente distruttiva nei confronti dell' og­ getto sul quale si esercita. Naturalmente si criti­ ca, si demolisce, per costruire, per sostituire a una realtà inadeguata una realtà adeguata. Ma criticare significa demolire. Non c'è nulla di negativo in questo distruggere: quando si de­ molisce si deve demolire radicalmente , con la stessa decisione con la quale quando si costrui­ sce si deve costruire. La formula « critica co­ struttiva>> significa soltanto > , fermarsi a metà strada, non criticare. 90

Il coscientissimo ed evolutissimo > (una specie nuova, con un nome appo­ sito) , uscito dalla minore età, liberatosi dalle te­ nebre dell'ignoranza e raggiunta finalmente una chiara visione e una razionale spiegazione della realtà, eccolo di nuovo, come i suoi lonta­ ni progenitori, prostrato in adorazione davanti a ciò che non capisce: la quarta dimensione, che non gli è più comprensibile del motore im­ mobile degli scolastici; la relatività, che confon­ de con una prudente affermazione della aleato­ rietà delle cose; la fissione nucleare, di cui non riesce neppure a farsi una immagine, magari del tipo ingenuo delle immagini che i medioe­ vali servi della gleba si facevano di Dio. Lonta­ nissimo dal sospettare che anche la scienza ha in sé la sua notte e le sue contraddizioni, in no­ me della scienza, che non capisce, condanna molte altre cose che capisce ancora meno. 29

Non c ' è cosa più vecchia del mondo moderno. Voleva essere il trionfo delle cose chiare evi­ denti funzionali, in contrapposizione all'oscu­ ro al misterioso al mitico delle cose antiche; ed invece la complicazione e la confusione delle idee e dei sentimenti sono giunte al colmo. Vo­ leva essere l'elogio della gioia con tro i pallidi spettri medioevali del peccato e della morte ; e le parole dominanti, latenti e prementi , sono crisi angoscia solitudine paura. Voleva essere il 91

regno dell ' autonomo e incondizionato svilup­ po dell 'uomo; e in nessuna epoca l ' uomo è sta­ to altrettanto vincolato e costretto nelle sue scelte dalle strutture sociali economiche e tec­ niche, che stabiliscono perfino quando deve attraversare la strada, quali documenti deve te­ nere in tasca, che gusti deve avere . Voleva esse­ re l ' awento della sicurezza, fondata sulla razio­ nale organizzazione delle cose; e l ' uomo mo­ derno vive in una perenne situazione di insicu­ rezza, sotto continue minacce di guerre di ri­ voluzioni di catastrofi di malattie. Voleva esse­ re il giorno splendente della ragione che di­ mostra; ed è la notte priva di certezza, la sfidu­ cia di tutti verso tutti, il trionfo della serratura di sicurezza. Voleva essere l 'orgoglio dell'uo­ mo partecipe cosciente di una civiltà e coscien­ te creatore di progresso; e mai come oggi l 'uo­ mo è stato sommerso nell'anonimato, numero fra altri numeri , senza nulla che sia sua opera. Voleva essere, contro l ' antico epidemico anal­ fabetismo, la luce della cultura, che avrebbe il­ luminato il comportamento dell' uomo ren­ dendolo più morale, secondo i canoni di un iperuranico imperativo categorico; e non c'è stato mai un abisso tanto profondo tra le cono­ scenze acquisite dalla società e la capacità dei singoli di assimilarle (una arte che non è senti­ ta, una scienza che non è compresa, una tecni­ ca che soverchia) , e certo l'uomo non è più « morale » oggi di ieri. Voleva essere la creazio­ ne di una comunità tra uomini fraternamente solidali; e l'individualismo e l' isolamento sono all' estremo limite . 92

I pilastri del mondo moderno - fiducia nella ragione , mito del progresso, rifiuto di qualun­ que gerarchia di valori , culto di tutte le libertà (in equilibrio automatico o imposto dal siste­ ma) , fede nell ' « uomo medio>> e nelle sue ope­ re - sono crollati o gravemente incrinati. Da questo punto si deve partire . Ed è invece, nel migliore dei casi, l ' estremo punto di arrivo, giunti al quale si precipita nello sconforto e nella inerzia.

La via ascetica era per altri tempi, quando si poteva supporre che bastasse trascendere il mondo. Ma il mondo non può essere che di­ strutto, e per distruggerlo ci vuole qualcosa di molto più potente dell' ascesi.

Satelliti e voli spaziali, cani trasformati in lune volan ti e bombardamenti sulla luna vecchia. 32

Il buio e il mistero esercitano su di me un grande fascino. Proprio perché li sento come tali, perché li temo e non li fingo, proprio per essere un vero buio e un vero mistero, devono sussistere all ' estremo confine, devono essere una tragica oscurità dopo e malgrado ogni sforzo di luce, non un crepuscolo tranquillo . 93

33

Non c ' è autentica religiosità al di qua d i una sofferta insufficienza della realtà di cui abbia­ mo esperienza, della vita, del mondo . A una valutazione sostanzialmente negativa dell ' hic et nunc possono corrispondere due modi di sentire Dio: Dio liberante o Dio giudicante . Questa realtà, il vecchio dinanzi al nuovo di Dio, può essere sublimata. Basta liberarla, to­ gliere ciò che la forza a essere così come la sperimentiamo, perché possa espandersi tra­ sfigurarsi attingere ciò che potenzialmente è: Dio liberante . Questa realtà non ha colpa, non ha peccato, non è responsabile di essere quello che è, è solo il teatro dove agiscono due forze opposte, una necessitante , la natura, e una liberan te , Dio. Due poli della dialettica del nulla. Sostanzialmente , la visione dell 'eo­ ne vecchio che attende un liberatore è ancora un ottimismo: non c ' è peccato. E la liberazio­ ne è ancora la favola dell 'evoluzione. E Dio che libera è puramente negativo: non porta nulla, non dà nulla, toglie solo le catene. Lo schiavo, senza catene, resta quello che è. Dio è ancora la natura, capovolta. L'insufficienza della realtà non suscita scandali, non è da condannare , non fa urlare, è soltanto triste . La sua apertura al nuovo non è una vittoria, non è una conquista, è un fatto che accade na­ turalmente, non più giustificato e non più giu­ sto dei fatti che accadevano prima. In fondo, il reale deve essere così il dominio della neces94

sità, come dovrà essere in modo diverso quan­ do verrà la libertà. Ma perché Dio non libera oggi, perché non ha liberato ieri, perché libera soltanto doma­ ni? Forse perché è vincolato da qualcosa che lo impedisce? Ma allora, se è necessitato, non può essere liberante. O, se da necessitato di­ venta liberante, è perché si libera. Se si libera combatte e vince, non apre una porta al mon­ do della necessità perché sia libero, ma è lui al di qua della porta insieme a quelli che tenta­ no di aprirla. O c ' è una colpa in questo non voler essere li­ beri (e allora c ' è giudizio) , oppure è una ne­ cessità naturale, e allora è in sostanza buona questa natura che via via fa sì che si voglia es­ sere liberi. Il Dio liberante è il f>iù astratto degli dèi. Non giudica non combatte non vince non soffre non crea non distrugge . Apre sul nulla. Il Dio giudicante muore . Il Dio gil}dican te « con giustizia giudica e guerreggia>> . E un Dio vivente. 34

I congiurati uccidono Cesare, e allora ci sono due storie : una che giudica positivamente il fatto e una che lo giudica negativamente. Ci sono anche infinite posizioni intermedie, cia­ scuna caratterizzata da un suo giudizio su quel fatto. Il fatto rimane al di là, e certo non è an­ cora storia. Di tutte queste storie, in ciascuna società o cultura, una prevale. La storia che 95

prevale è la storia ufficiale. Vi si insegna, oggi, che l'uomo primitivo è un bambinone che pic­ chia la gente con una grossa clava, si passa per le grandi religioni antiche , poi si arriva al pen­ siero greco, al cristianesimo, poi l' oscuranti­ smo medioevale, l ' epoca delle grandi invenzio­ ni e delle grandi scoperte, la ribellione contro i miti antichi, l ' illuminismo, lo spirito del mon­ do a cavallo; infine, dopo la caduta da caval­ lo dello spirito del mondo, un po' meno eufo­ rici, l'umile fatica degli uomini « medi > , avviati a conseguire un sempre maggiore progresso nella pace e nella libertà. Una favola insipida che non ci si stanca di sentir raccontare. Cos'è che consente di fondare le diverse sto­ rie, se tutti i fatti di cui si ha esperienza sono di per sé insignificanti e acquistano un senso solo in relazione a una certa storia? Sono dei valori emergenti, per l ' osservatore, sulla cate­ na dei fatti storici e da lui accettati come crite­ rio di riferimento e di giudizio: per un musul­ mano Maometto, per un ebreo Mosè, per un cristiano Cristo, per un comunista Marx, per uno storicista Hegel, e così via. Nessuno sfugge, perché senza un criterio di giudizio storico non c ' è storia, anche se cia­ scuno è convinto di trattare la storia libera­ mente, criticamente, senza fare eccezioni. > . Reali? E che cosa significa? La > di Gesù per uno storicista non è certo la reale dimensione per me, o per un gesuita, o per un marxista, o per un musulma96

no. Chi ha la formula per ricavare la « reale di­ mensione storica » ? C ' è inevitabilmente, p e r ciascuno , qualcosa al di là della storia, che è sottratto al giudizio sto­ rico perché è la base su cui si fonda il giudizio storico. Per uno la storia raccontata dallo sto­ ricismo, per me Cristo. Cristo racconta una storia che mi convince più di quella che rac­ conta Hegel. 35

Quel che è morto è definitivamente morto: la « nostra civiltà » è morta, per lei non desidero nulla. La fede può cominciare solo qui, o finire. Co­ :rpunque , si articola su questi termini estremi. E possibile che attraverso la fede si giunga al suicidio. La fede è provvisoria, è un istan te di tensione prima di realizzare il tutto o di preci­ pitare nel nulla. Non può durare . Una dispe­ razione al di qua della fede è romanticismo, è nulla. La fede è fede in qualcosa che deve ve­ nire, ma subito, se non viene è inutile anche la fede. La fede è per il dopo, non è la fede che çonta, dunque, ma il dopo. E inutile qualunque tentativo di salvare la « nostra civiltà >> e la « nostra esistenza >> . Non ne varrebbe la pena, del resto: si trascinano nel fango, si mordono la coda, non si alzano di un millimetro da terra, non si redimono, non risuscitano. Dio è Dio del nuovo, dei vi­ venti e non dei morti, tutto quello che è vec­ chio è irredimibile. 97

Sento confusamente tante cose, ma non rie­ sco a distinguerle chiaramente : vorrei dire tut­ to e tutto insieme, e non riesco. Scrivere è già tradire tutto . Una incertezza anche maggiore si ha nelle scelte quotidiane: nessuna mi at­ trae abbastanza, e il non scegliere mi è intolle­ rabile, perché sento che bisogna fare qualco­ sa. Una grande confusione, per l ' impossibilità di essere compresi nel parlare di una cosa qualunque nello scrivere nel piangere nel ri­ dere, sempre, per la solitudine abissale, tanto che devi fingere qualcosa per riempirla, fare e dire qualcosa che non serve, perché non si può stare senza fare e senza dire . Se penso passa il tempo, e il mio pensare non lo cambia affatto, finito di pensare tutto è rimasto come prima. L' attesa del giorno del Signore . Questo del­ l ' attesa è un discorso che non mi soddisfa molto. Credo invece che quel giorno lo si deb­ ba fare, costruire . E, se è così , questo giorno da fare , non da credere , che c ' entra con il no­ stro caos, che c ' entra con noi? Se i momenti migliori del passato non hanno creato nulla, cosa può creare ormai la nostra stanchezza? 37

La vocazione al regno è niente, e il regno è tutto. L'intensa sospensione in cui ci sospende l 'attesa è sempre, in relazione all 'intensità del regno, diluizione. L'attesa senza ciò che si at98

tende non ha senso, è insulsa. Guardata dal basso è qualcosa, guardata dal regno è nul­ la. Non siamo né semplici né concreti, siamo dei cerebrali: riusciamo a nutrirei dell ' attesa mentre l ' attesa dovrebbe farci morire . Finisce che ciò che si attende rende accettabile l ' atte­ sa, che si scambia l' attesa con ciò che si atten­ de. Si finisce per dire che « tutto è grazia » ( Bernanos) .

La poesia, dicono, è « la pagina perfetta >> , , è l' attingimento delle > , è qual­ cosa che ha « estremamente rari i veri lettori » , che non deve essere « oggetto d i critica n é di giudizio >> ma di « ammirazione e di amore >> , è > . La poesia, invece, può benissimo essere tor­ bida oscura disuguale fangosa disordinata, tutt' altro che pagina perfetta. Non c ' è solo Goethe, ma anche Iacopone. Anziché dare lie­ vi segrete misericordiose pacifiche emozioni, può spaventare mordere lanciare al fuoco fa­ natizzare, come si vede nei profeti ebraici, o magari negli epigrammisti latini, dove c ' è po­ co o nulla di lieve di segreto di misericordioso di pacifico. Non è detto neppure che il dialo­ go della poesia sia tra pagina e cuore, può es­ sere benissimo tra pagina ( ma direi parola, 99

perché la pagina è solo una tarda stampella della poesia) e istinto, tra pagina e ragione , come nei tempi in cui la poesia era strumento magico e didascalico. E non è detto che la poesia abbia una particolare parentela con l' « individuale » . Anzi, se una parentela c ' è , c ' è con qualunque forte sentimento universale , perché molti millenni prima che nascesse una lirica c ' è stata un ' epica, una tragedia su ciò che è fatale, un grido della razza o della tri­ bù. Ad allargare lo sguardo sui millenni, si ve­ de che l ' individuo con la sua profondissima atlantide è nato molto tempo dopo la poesia. Non bisogna, insomma, confondere la poesia con il concetto che della poesia hanno i lette­ rati del ventesimo secolo. La poesia non ha bi­ sogno di speciali lettori , muniti di apposito > ( che poi, a conti fat­ ti, sarebbero i letterati) , perché se ha bisogno di questi speciali uomini vuoi dire che è una specializzazione. Non ne ha avuto bisogno in passato , quando con il grido delle Embatèrie di Tirteo combattevano i soldati greci, o quando sui metri di David Israele implorava nel deser­ to il Signore, o quando generazioni e genera­ zioni di indiani venivano educate sui Veda. Se oggi non è più così , è precisamente perché la poesia è diventata un linguaggio speciale , buono per gli specializzati in letteratura. E perché mai la poesia non dovrebbe essere né criticata né giudicata, ma solo ammirata e amata? L' ammirazione e l ' amore devono im­ porsi contro l'esigenza di criticare e di giudi­ care , non si può pretendere una preliminare 1 00

garanzia per l ' ammirazione e per l ' amore . La poesia non è neppure la scala di seta per scen­ dere in noi e per amarci, o, nel migliore dei casi, non è la sola. Forse sono scesi in sé Cam­ pana e Pascoli, e non Buddha, né Paolo, né Maometto, né Spinoza? E poi, resta da spiegare perché oggi , e non ieri, non si è disposti ad ammirare a stupirsi a commuoversi ad amare la poesia, e perché le gazzette letterarie son piene di discorsi su questa incomprensione. E l'uomo che ha cam­ biato il suo cuore , svuotandolo, oppure qual­ cosa è successo anche alla poesia, e l ' impove­ rimento del cuore dell' uomo che legge si è e­ steso anche al cuore dell 'uomo che scrive , per cui della poesia ha ormai egli stesso un con­ ce tto inadeguato particolare insoddisfacente letterario? O solo i poeti sono rimasti puri e perfetti, e solo i non poeti sono diventati cie­ chi e sordi , hanno perso la scala d' oro e la su­ blime atlantide? Poesia è un' idea. Ci sono i poeti e le poetiche. Un grosso equivoco nasce dal chiamare con la stessa parola, poeta, l ' uomo che era tutto nei tempi an tichi , perché diceva delle parole es­ sendo , « scienziato >> (non solo tutte queste cose, ma > ) , e l ' uomo che nei tempi moderni > . Nel poeta-letterato d' oggi c ' è qualche volta u n ver poeta, m a nella sua poe­ tica non c ' è poesia. E una poetica, la sua, che è figlia del tempo , che butta fuori della poesia la teologia di Dante e le maledizioni di Isaia, Iacopone e Campanella, l'Apocalisse e il Cora101

no, Socrate e il Talmud, Buddha e gli anonimi canti di guerra. 39

Non si tratta di ignorare il mondo, ma di giu­ dicarlo. Giudicarlo, e si può giudicare per amore , significa che dovrebbe essere diverso da quello che è, ed esclude quindi un duali­ smo di tipo manicheo.

Gli uomini possono unirsi solo in vista di una meta comune, di qualcosa da fare insieme, non in funzione l'uno dell ' altro, in un cerchio vuoto, ciascuno con le sue riserve mentali, su un piano di cui l' eventuale verniciatura « spiri­ tuale » o « sociale » non è sufficiente a nascon­ dere la sostanza spicciola e mediocre . Non si può entrare in una società senza sapere cosa si deve fare, portando il proprio nulla ed esigen­ do in cambio aiuto o evasione.

Le cose , quando ci si avvicina alla sincerità e alla verità, diventano imbarazzanti urtanti tra­ giche. Reciprocamente l ' imbarazzo la suscetti­ bilità la tragedia sono segni di sincerità e di ve­ rità. Interessandosi del prossimo, è inevitabi­ le disturbarlo, o addirittura danneggiarlo, per­ ché se è un vero interessamento (un solo mo­ mento ogni tanto, nascosto da molta nebbia) 1 02

non può non invadere il suo campo intimo, esaminarlo, criticarlo, giudicarlo. 42

L' atteggiamento critico, per analisi e compa­ razioni, che usano i ricercatori eruditi delle origini del cristianesimo, non è conciliabile con l ' atteggiamento entusiasta intuitivo teso alla sintesi ultima dell 'autentico uomo di reli­ gione . Fra uomo di cultura, volto al passato, e uomo di religione, volto al futuro, c ' è un in­ colmabile abisso. Non si trova, negli uomini autenticamente religiosi de ! passato, nessuna cura dell 'esattezza storica. E la religione che crea la storia e non la storia che crea la reli­ gione. Nell ' antica tradizione indiana non si trovava difficoltà ad adeguare i testi sacri alle mutate esigenze, interpretandoli e ricreandoli liberamente. E gli ebrei non avevano difficoltà ad imprestare a Esdra, o ad altri, libri recenti. Se la religione deve renderei liberi , è un pessi­ mo inizio vincolare la libertà alla necessità del­ l ' esattezza del passato, storica. Il tentativo di ricostruire il puro nucleo della predicazione di Gesù non ha dato nessun frutto: mutato il criterio metodologico è più volte mutata la so­ stanza del messaggio di Cristo . A voler essere estremamente rigorosi ed esatti, scava scava non resta più nulla del messaggio di Gesù, e uomini come Barth non trovano di meglio che « accettare per fede ,, quello che l ' indagi­ ne storic a non può assolutamente né provare né negare . Per questo, non ha molto senso la 1 03

pre tesa di isolare nella sua esattezza storica la « religione di Gesù » da quello che ha aggiun­ to l' ambiente che l'ha accolta. Se la mia non è un 'interpretazione storicamente esatta della alla ricerca di altri liberi tu. Io non predico per riedificare la chiesa, ma perché venga il re­ gno. Ma che la chiesa sia crollata non è un de ttaglio insignificante, è la condizione per il regno. 1 05

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La poesia, resa purissima secondo l ' ideale, del resto recente , dei letterati, muore. Muore di solitudine quando non è più preghiera né di­ vertimento né scienza né magia né insegna­ mento né gara né estasi, quando rifiuta qua­ lunque finalità e qualunque occasione, quan­ do entra nella torre del sublime e si proclama paradigma ideale, anima di tutte le anime, sensibilità prima e ultima. Agonizzando, allo­ ra, inutilmente propone agli uomini di supe­ rare i conflitti e le contraddizioni attingendo un' atmosfera dove qualunque discorso pres­ sante , qualunque problema, qualunque giudi­ zio, qualunque dura separazione perdono si­ gnificato, perché immersi nel grande mare dell' armonia infinita, nel grande silenzio dei mondi. L'infinita armonia, che in atto è solo finzione poetica o tormen tata speranza, passa senza lasciare traccia sul finitissimo e insoluto groviglio di ogni ora della nostra vita, che è fatta di scelte singole urgenti precise. Il poeta adombra per suggestioni una realtà estrema che deve invece farsi: l ' adombrare per suggestioni è in equilibrio instabile tra il sublime e il falso. 45

I problemi nascono sotto forma di dilemma: evoluzione o creazione, perdono o vendetta, guelfi o ghibellini. Quando le questioni sorgo­ no, quando i problemi vengono proposti, tutti 1 06

combattono per l ' uno o per l ' altro corno del dilemma. Passa il tempo, e se il dilemma non è stato risolto né in un senso né nell'altro su­ bentra, dopo tanti conflitti, la stanchezza. La stanchezza fa subito una sensazionale scoper­ ta: scopre che in entrambe le soluzioni c'è un po ' di buono e un po ' di cattivo, e conclude che la cosa migliore è accettarle entrambe , cioè non scegliere . Di queste finte soluzioni con il passare degli anni si è riempita la terra.

L'uomo contemporaneo, al quale la cultura presenta tutte le possibili soluzioni proposte attraverso i millenni, attentamente analizzate e svuotate da mille e mille eruditi, non può non trovarle tutte transitorie e non risolutive , non può più credere che esistano soluzioni. Si giunge così all 'estrema aberrazione: non c ' è nulla d i disperante nell 'insolubilità dei pro­ blemi. Anzi, la coscienza dell'impossibilità della verità è la base della reciproca tolleran­ za, su cui solo può fondarsi una pacifica convi­ venza tra gli uomini. Anzi , chi possiede, o cre­ de di possedere, una verità è pericoloso, per­ ché tende a convincere, a imporre , violando così la fondamentale libertà dell' uomo (quel­ la di restare nell' errore) . Anzi, voler trovare delle soluzioni è un atteggiamento assurdo, ingenuo, pericolosamente dogmatico. L' uni­ co dogma valido è quello dell ' impossibilità della verità. 107

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L' umanità è vecchia. Il vecchio sa molte più cose del giovane, ma riesce a farne pochissi­ me. Ha troppa esperienza, sa che le difficoltà sono tante , che nessuna scelta è così sicura, che ci vuole prudenza. Sente il fascino della gioventù, la rimpiange , ma quando vede quel che fa il giovane scuote la testa, pensa ai peri­ coli, pensa alle delusioni, sa che nulla è come si desidera e si spera, sa che dopo la giovinez­ za viene la vecchiaia. Se nell ' attuale enorme vuoto del possibile, do­ ve la solitudine dell 'uomo è terribile tanto che non ci si può pensare, potesse entrare ancora una volta la violenza della giovinezza, l' urgen­ za della passione, il bisogno dell' assoluto, la fede, il domani sarebbe tanto nuovo e tanto grande da non potersi paragçmare alla vecchia e stanca sto:r:_ia del mondo. E possibile torna­ re giovani? E possibile « nascere un 'altra vol­ ta?>> . Questo è comunque, possibile o impossi­ bile, il comandamento di Cristo: la metànoia, il capovolgimento.

L' aspetto più tipico della condizione dell ' uo­ mo ai nostri giorni è nella tragedia che si svol­ ge in lui fra il tema solare del progresso del­ l' ordine del benessere della libera e serena espansione della razionale organizzazione e previdenza, e il contrapposto tema tenebroso del rischio dell 'imponderabile dell' angoscia 1 08

del crollo del caos. Tragedia delle possibilità estreme, tragedia per antonomasia. Proprio per questo oscura incerta indefinibile , impos­ sibile a esprimersi compiutamente , a mani­ festarsi con evidenza, a comprendersi , a risol­ versi. L' enorme confusione e i complessi motivi di crisi che rendono impossibile una univoca de­ finizione del mondo contemporaneo posso­ no essere la vigilia di cose che gl! occhi degli uo­ mini non hanno mai veduto . E una delle più rivoluzionarie verità del cristianesimo quella che rivela l ' implicazione degli opposti, la sal­ vezza che nasce dalla gravità della malattia, la redenzione che libera solo chi sente la im­ possibilità di liberarsi, la consolazione che è al di là della miseria e della disperazione, il ca­ povolgimento dei criteri consueti per cui il be­ ne sarebbe attingibile per gradi, per successi­ ve approssimazioni. 49

I sumeri di seimila anni fa avevano non solo un sicuro possesso delle fondamentali pro­ prietà delle figure geometriche e del calcolo aritmetico, ma acutezza ed eleganza nelle so­ luzioni razionali adottate . Contro l' opinione generalmente diffusa, gli antichi scienziati non erano sospinti dall 'esigenza di risolvere i problemi che si incontrano nella vita quotidia­ na, ma da un atteggiamento di ricerca, di eser­ cizio, di esaltazione dello spirito . Gli interessi teorici e scientifici precedono l ' affermarsi de1 09

gli interessi pratici , come insegna la storia del­ la scienza greca, che , nata con i filosofi ionici, ancora al tempo di Platone distingueva netta­ mente dalla matematica speculativa le regole di calcolo, comprese sotto il nome di « logistica » . Tutto questo dovrebbe essere sufficiente per lo meno a far sorgere qualche dubbio circa la legittimità della troppo semplice visione della storia dalla quale i contemporanei ricavano tutti o quasi i titoli che giustificano la loro pre­ sunzione .

I nostri poeti, i nostri filosofi, i nostri scienzia­ ti, e quel che è peggio i nostri mistici , si sono sempre rifatti ai modelli greci. La storia la filosofia l ' arte la poesia la scienza, tutto ha inizio, secondo i manuali scolastici, in Grecia. Le eccezioni sono pochissime, pratica­ mente una soltanto : la religione, che viene da­ gli ebrei. Questa eccezionalità contribuisce non poco a far apparire la religione come qualcosa di separato , di lon tano, di esotico. Anche tra coloro che si dichiarano cristiani è tutt' altro che rara l ' incapacità di comprende­ re il linguaggio biblico, proprio perché si pre­ senta troppo diverso dagli schemi « classici » , troppo lontano dalle auree regole della perfe­ zione greca. Una simile limitazione si riper­ cuote negativamente non soltanto sulla com­ prensione dei valori della religione, ma su tut­ ti gli aspe tti del pensiero, che amputati della 1 10

fondamentale dimensione dell 'assoluto si cor­ rompono nella presunzione razionalistica o nel vuoto estetismo. Il mondo dei profeti è rozzo nudo violento ur­ gente gonfio della cupa disperazione degli uo­ mini forti e del loro, empito di speranza verso la gioia senza fine. E un mondo che, parago­ nato a quello familiare della cultura classica, fatto di umani sforzi e di belle vesti, in bilico fra lo scetticismo e l ' impegno etico o estetico, diventa incomprensibile. Un mondo spropor­ zionato, dinanzi alle magnifiche proporzioni greche, un mondo senza armonia, senza di­ stanza tra la realtà brutale del dolore e della morte e la speranza assoluta, senza sfumature intermedie tra la più alta esigenza dello spiri­ to e la più grave forza della terra. Dove non esiste il mito che attutisce i contorni e sublima le cose, dove c ' è solo il con trasto violento fra il tutto e il nulla, dove non si fa della filosofia al­ l ' ombra del Partenone, di fronte al mare scin­ tillante , ma dove Giobbe , dal mucchio di le ta­ me su cui giace coperto di piaghe, parla con il Dio che i profeti annunciano dalla morta soli­ tudine dei deserti. 51

Fra la grande angoscia cristiana e l ' angoscia '' naturale >> , soltanto umana, il teologo cattoli­ co von Balthasar stabilisce una radicale oppo­ sizione . Impossibile, di conseguenza, un ap­ profondimento dei loro rapporti; e insuf­ ficiente , quindi, la teologia dell ' angoscia del 111

von Balthasar a spiegare l ' angoscia che domi­ na il mondo contemporaneo. Se poniamo a un estremo la risposta teologica di Urs von Balthasar e all ' estremo opposto la risposta filosofica di Guido De Ruggiero , che parla di « torbido senso romanzesco '' • resta in mezzo, non risolta, la realtà ormai universale dell'angoscia. Anziché ricorrere alla comoda identificazione dell ' angoscia con i romanzi gialli degli epigoni dei pigri degli insulsi , è ne­ cessario invece chiarirne il rapporto con que­ sti suoi aspetti deteriori, e, insieme, aprirla al­ la risolutiva « angoscia di Dio » . Non c i sono due o tre o più qualità di ango­ scia, ma un ' unica angoscia, diversa soltanto per intensità. Una intensità che, se ai gradi in­ feriori può placarsi nella passiva accettazione o nel compiacimento masochistico, al grado supremo si apre con forza irrompente al capo­ volgimento nella speranza, alla creazione del nuovo mondo. 52

Né la scienza né la filosofia hanno più certez­ ze. Questo è il vuoto che le analisi acute , le co­ struzioni in bilico, i vocabolari specializzati, i tentativi di autenticazione del linguaggio, le ricerche fenomenologiche e metodologiche non riescono a riempire . Dalle crisi si esce con un nuovo inizio, con una nuova nascita, e non aggiungendo e aprendo e allargando la vita vecchia. C'è chi dà importanza al fatto che la scienza, 112

nata meccanicista, sia ora sospinta ad indiriz­ zarsi verso altri campi, come psicologia psicoa­ nalisi biologia psichiatria. Siccome questi campi includono l ' uomo, con le sue fonda­ mentali esigenze relative al significato dell 'esi­ stere, al dolore ecc . , la scienza si starebbe tra­ sformando , sarebbe mutato « il progetto della scienza>> (Filiasi Carcano) , sarebbe ormai pos­ sibile una « scienza alternativa>> che superi le angustie della scienza moderna tradizionale e ricrei una nuova concezione unitaria, univer­ salmente umana. Il discorso non è convincente. Bisogna inten­ dersi su « scienza » . Se per scienza si intende genericamente uno sforzo di conoscenza, che includa, ad esempio, Pitagora, allora l' unità con la filosofia e, in genere , con l ' « umano>> , c ' è già, e non c ' è problema. Ma se per scienza intendiamo un certo fatto storico caratteristi­ co dell ' e tà moderna non so fino a che punto sia legittimo considerare gli attuali allarga­ menti verso l ' « umano » come uno sviluppo lo­ gico e coerente della scienza, della quale si so­ no persi tutti o quasi i caratteri tipici: determi­ nismo, certezza razionale , univocità ecc. Si tratta, piuttosto, di una estensione più o meno abusiva ad altri campi, nel tentativo di accor­ dare tutto (relazioni umane, cibernetica, me­ dicina psicosomatica, yoga ecc . ) in una di quelle caratteristiche sistematizzaziof!i diluite che accompagnano tutti i tramonti . E strano, infatti , che una scienza che nei campi tradizio­ nali è in crisi, che si àncora a un puro conven­ zionalismo o che cerca un linguaggio autenti1 13

co che ha perduto, si permetta il lusso di mar­ ciare alla conquista di altri domini. La strettoia del metodo equivale alla strettoia dell' oggetto . Allargando entrambi, ecco che si è già fuori dalla scienza moderna. Allargando solo l 'oggetto, ecco che si è degli epigoni. 53

A forza di cercare un linguaggio e dei temi ad­ domesticati, per ten tare di farsi capire dagli addomesticati, si finisce per perdere il lin­ guaggio e i temi autentici, ai quali si ha occa­ sione di riferirsi sempre più raramente . Vivere in mezzo alla stupidità implica una deforma­ zione professionale che coinvolge poi tutta la nostra vita. Tutte cose risapute , circa l ' impossi­ bilità degli « ultimi tempi » . Mi sembra di aver detto quello che potevo, di non poter fare al­ tro, di non poter andare oltre . 54

Per un metallurgico lombardo non ha senso il coro delle prefiche , e per un pastore calabrese non ha senso un consultorio prematrimoniale pieno di gente in camice bianco. Gesù Naza­ reno declamava ritmicamente a gran voce le sue parabole di profeta e guaritore errante , compiva la lavanda ri tuale prima di accingersi al banchetto pasquale, per mangiare lattuga e prezzemolo macerati in acqua salata e aceto e intinti in succo di datteri e fichi. Gesù Cristo appartiene al mondo del mezzogiorno. 1 14

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Gli ideali nascono dalle più forti speranze del­ l ' uomo, ma si allontanano via via dalla concre­ tezza umana per diventare astratti e rarefatti. Lao-tzu ha detto che , insieme ra­ zionalmente coordinato di anonimi diritti da tutelare . Le pene (il termine stesso non è or­ mai rispondente ) non hanno più alcuna esemplarità; la loro applicazione è talmente separata, nel tempo nello spazio e nelle circo­ stanze, dalla colpa, e passa attraverso tanti dia­ frammi successivi, che non ha più alcun si­ gnificato come contropartita della colpa, né come reintegrazione, e tanto meno come trionfo, della giustizia violata. Si moltiplica­ no le > , che sono, in sostanza, dei giudizi non formulati , delle esigenze di giustizia non sod­ disfatte . È accaduto per l' ideale di libertà quel che è ac­ caduto per l' ideale di giustizia. Per uno schia­ vo la libertà era una cosa precisa e concreta. Oggi, per garantire le classiche libertà, è stato creato un grande edificio culturale, che con la sua grande ombra nasconde le libertà concre­ te autentiche quotidiane. Ci siamo talmente al­ lontanati dalle elementari libertà terrestri, co­ me correre o gridare , per occuparci delle con­ sorelle splendide e sublimi, che non ci accor­ giamo neppure più di averle perdute, nascoste come sono, ormai, dalla libertà astratta perfet­ ta ideale, della quale non sembrano degne. 1 16

Eppure sono le libertà primordiali, come muo­ versi e respirare, dimenticando le quali si di­ mentica insensibilmente la vita, per sostituirla con qualcosa di artificioso dove, anziché « vive­ re >> , l'uomo « Si comporta >> . Infatti siamo sempre molto con trollati, ci atte­ niamo discretamente alle regole che ci impe­ discono di vivere. In compenso gli ideali, es­ sendo morti, sono diventati magnifici, hanno acquistato una purezza quintessenziale.

Un « impegno temporale >> , per essere cristia­ no, deve sapere cos'è e a cosa serve . Dice in­ fatti Gesù Cristo che i suoi discepoli non sono servi , che non sanno quel che fa il padrone , ma amici, che sono al corrente dei suoi segre­ ti . Se non è così , allora esistono due regni se­ parati , due ordini di realtà in sé non comuni­ canti, un mondo dove il cristiano deve fare qualcosa che non si sa se serva nei confronti di quel porro unum che gli è stato comandato . Il problema della teologia della storia è invece appun to quello del se e come e perché quel che si fa nella storia del mondo serve per il re­ gno. Il concetto di > ; non ci sarebbe sta­ to quel cristianesimo che due millenni dopo la cultura, verificandolo nell ' esattezza dei suoi « fatti >> , distrugge. La distruzione consegue necessariamente all' atteggiamento di indagi­ ne razionale . Anzi, è la distruzione della reli­ gione che fa nascere l ' indagine razionale. 1 18

Nessun fatto, se resta soltanto un fatto guarda­ to con gli occhi con i quali si guardano i fatti, può costituire il fondamento della fede. Non c ' è una necessità che fondi la libertà; « l 'infini­ to valore dell ' atto » e « la risposta all ' apertu­ ra » , che qualcuno propone come fondamen­ to di una religiosità nuova, non sono, in quan­ to fatti, più provati della resurrezione di Cri­ sto . N é l a libertà d i Dio né i fatti degli uomini so­ no dati a priori da riconoscere e da accettare. Non hanno senso né realtà isolati dal modo in cui vengono sperimentati , sono anzi il modo in cui vengono sperimentati . Si potrebbe di­ scutere all ' infinito su cosa veramente sia un uomo, su cosa veramente sia la sua morte, su cosa veramente sia vedere un risorto . E per fa­ re tutto questo bisognerebbe già considerare le cose da esaminare come separate da tutto il resto, da chi le ha vissute o viste o pensate . I fatti si creano, e sono quello che riusciamo a farli essere . Se Cristo è stato mangiato dai ver­ mi è perché la potenza di Dio non ha trionfa­ to. Domani sarà vero che non è stato mangia­ to dai vermi, se la potenza di Dio riuscirà a trionfare. Duemila anni fa è riuscita solo in qualche cuore, nel quale ha vinto 1:1 necessità. Che differenza c ' è tra dire che « tutti pensano che è vero >> e dire che ? La visione del razionalista è inadeguata a que­ sta dimensione. Ma Dio farà tutte le cose nuo­ ve , anche quelle già passate, proprio perché giudica condanna distrugge crea. Se Dio non può creare un passato nuovo non può nulla. 1 19

Se noi oggi sorridiamo degli egiziani che , per paura di dover lavorare nel regno delle om­ bre, mettevano statuine di artigiani e di con ta­ dini nelle loro tombe, che lavorassero in loro vece, domani si sorriderà delle nostre certezze razionali, perché si vedrà che non sono altro che una delle tante pseudocertezze della sto­ ria del mondo.

La storia del cristianesimo (un modello della storia del mondo) ha visto il passaggio lento ma netto dai temi dell 'impazienza e del giudi­ zio a quelli della pazienza e della misericor­ dia. Per questa ragione il dilemma tra le due possibilità è, sostanzialmente, il problema del significato della storia: accentuare la pazienza e la misericordia significa riconoscere un pro­ gresso nella storia dell ' umanità; accentuare l ' impazienza e il giudizio significa riconoscere una involuzione nella storia dell ' umanità. Se la storia è, per un uomo di religione , la sto­ ria del sacro, allora, poiché il senso del sacro, intensissimo alle origini, si è venuto via via affievolendo attraverso i secoli, la storia risulta inevitabilmente involutiva. « Comprensione >> « calma ,, « tolleranza » > , le quali passano dall 'intolleran te vitalità delle origini alla equi­ librata pazienza della vecchiaia. 59

. Ciascuno deve conservare il suo carattere: « un francese dovrà essere un francese fino al­ la punta dei capelli ed avere delle reazioni che siano reazioni francesi » . La prospettiva non è convincente . Daniélou distingue la parte delle tradizioni pagane che deve essere trasfigurata dal cristianesimo, in relazione al quale ha valore di preparazione , da quella che deve essere distrutta dal cristia­ nesimo, in relazione al quale ha valore di osta­ colo. Ma un criterio di distinzione manca. In pratica la parte da trasfigurare è la quasi tota­ lità. L' awento del regno, invece (le pagine dell 'Apocalisse sono a questo proposito ch ia­ rissime ) , ha un carattere tragico di rottura nei confronti di tutte le realtà precedenti. Il trionfo di Cristo segnerà la sconfitta di tutte le civiltà precedenti, per instaurare una realtà assolutamente nuova. Nella quale ciascuna ci­ viltà salverà quel tanto che meriterà di essere salvato; molto salverà la terribile pazienza de­ gli ebrei, e molto ancora l ' acuto sforzo dei greci; molto meno salveranno le vivaci « rea­ zioni francesi >> e il gretto pragmatismo anglo­ sassone. Cattedrali pagode e grattacieli non sono allineati sullo stesso piano, e l ' indetermi1 23

natezza caratteris tica del pensiero indiano non può stare accanto alla concreta presenza di Gesù Cristo. Ciascuno ha i suoi talenti, ma non tutti nella stessa misura. Non tutte le fac­ ce del prisma si equivalgono, e il « giorno del Signore ,, è il « gior no del giudizio ,, . Resta poi da dire che nella visione della storia del Daniélou si considera coincidente la pro­ fe tata predicazione del Vangelo a tutte le na­ zioni della terra con la loro conversione . Il che è tutt' altro che pacifico. Per chi considera sostanzialmente cristiano il mondo che si pro­ fessa cristiano diventa un grosso problema quello delle nazion i che rifiutano il cristianesi­ mo; ma per chi vede che non ha senso un mondo cristiano è una lieve differenza quella tra chi si dichiara cristiano e chi si dichiara non cristiano.

Gli umanisti che stabilirono il modello dei > sostituisce il clan , il gruppo, via via che il gruppo soddisfa sempre meno l ' uomo e lo obbliga a restringersi in una so­ cietà minima, una piccola società antisociale . Oggi l'esigenza della famiglia è fortissima, perché fortissima è la insufficienza dell 'anoni­ ma struttura sociale; ma non è più possibile soddisfarla, perché non è possibile una auten­ tica società dove non c ' è gerarchia, dove non c ' è un capo, dove tutti sono banalmente ugua­ li. Così vegeta pigramente una famiglia che dura fin che può, perché sono venuti meno i princìpi su cui si fonda: l ' autorità, la distribu­ zione del lavoro , la necessità economica di figli che aiutino nella vecchiaia ecc. 68 Soprattutto mi spaventa una cosa che non spa­ venta nessuno: l' equilibrio, che è la fuga dai rischi estremi. L'esigenza di soluzioni estreme è sempre un segno di tensione di forza di gio­ vinezza. 127

6g Una volta lontana, l ' incontro fra due persone richiedeva un cerimoniale complesso, un len­ to e graduale avvicinarsi alle intenzioni, alla realtà enigmatica dell ' « altro >> . Ne resta anco­ ra qualche memoria, o qualche frammento, nei gesti di inchinarsi, di scoprirsi il capo, di baciare o, di stringere la mano, del resto ormai desueti. E mutato profondamente il modo di concepire il rapporto con « gli altri >> , l' incon­ tro fra due uomini è diventato più semplice perché è stato formalizzato. Gli incontri, co­ me i prodotti della tecnica industriale, sono standardizzati , convenzionali, e sono svelti e facili proprio perché sono automatici ed este­ non. Non soltanto i rapporti tra gli uomini si sono trasformati, si è trasformato radicalmente an­ che il rapporto con la natura. L'unico uomo che ai nostri giorni guardi il sole che tramon­ ta o il mare in tempesta è il turista che li foto­ grafa per portarseli tranquillamente a casa. Gli antichi non dicevano « che bel panora­ ma >> . Trovavano, come si vede in Omero, che il mare era, più che « bello >> o « magnifico >> , > o « mai quieto >> : un giudizio che entra nella natura intima della cosa e ne rivela il carattere unico. Gli antichi in ogni luogo e in ogni circostanza sentivano la presenza di > . L'uomo moderno non sente più, nell' altro uomo o nella natura, la presenza del > , che è lo straordinariamente grande potente sublime . 1 28

Gli uomini che si incontrano e le cose che si vedono, tutto ha perso importanza: si esauri­ sce nel fatto di manifestarsi (immanentismo ) , non nasconde non prome tte non minaccia nulla di veramente commoven te o sorpren­ dente . Ogni fatto accade perché ci sono delle leggi ( ma, ormai, delle leggi senza radici, del­ le tendenze ) , e tutto è, quindi , « normale » . Non c ' è più spazio per il nuovo. Per l ' uomo delle antiche civiltà tutto poteva succedere , per noi succede solo ciò che si prevede razio­ nalmente e si prepara gradualmente. L' uomo moderno è circondato da fatti che accadono, fatti da esaminare e da utilizzare, l' uomo anti­ co era circondato dal meraviglioso che sta al di là di ciò che accade , meraviglioso da intuire e da penetrare. Le parole dell 'uomo antico erano suoni contenenti il senso delle cose, le parole dell' uomo moderno sono segni che de­ signano in modo formale e convenzionale le cose . 70

La grande illusione derivata dal formalismo della società contemporanea è la fiducia che i sistemi le istituzioni l ' organizzazione la strut­ tura il meccanismo dei controlli possano sup­ plire alla mancanza di vita, di convinzione, di entusiasmo. Mentre non possono che respin­ gere più in là, e accumulare, i nodi, per l ' in­ gorgo definitivo .

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Il Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe , il Dio che il Corano chiama « creatore sempre nuovo dei cieli e della terra » , che lotta insie­ me all 'uomo per costruire il futuro, il Dio del­ la promessa, si contrappone al Dio dell ' India, il dio degli immutabili archetipi, dell'eterna ripetizione di cicli, che ama il ritorno fatale in lui di ogni cosa, che ignora il futuro, che non parla agli uomini e non fa promesse .

L'incontro delle tradizioni dei millenni e dei continenti , che alcuni vagheggiano per vie di­ plomatiche sentimentali o accademiche, è le­ gato al destino ultimo del mondo , ha le sue stesse dimensioni apocalittiche. Il solo modo per affrettarlo è capire questo. 73

Gli indagatori della realtà vecchia non posso­ no essere i creatori della realtà nuova. 74

Ogni tempo, dice l ' Ecclesiaste, ha il suo si­ gnificato, e quindi in esso bisogna fare solo ciò che ha quel significato, dopo aver raccolto in una sintesi rapida e viva i significati dei tem­ pi che ci hanno preceduto . I monaci contem­ planti hanno fatto il loro tempo: c ' è stato un 1 30

tempo, quello apostolico, in cui non c ' erano perché non servivano, ed è venuto il tempo il':_l cui non ci saranno perché non serviranno. E venuto il tempo di incendiare la paglia accu­ mulata dai millenni, e se non si fa questo tutto resta, volente o nolente , cultura, passato. A Subiaco è rimasta qualche decina di monaci, per lo più vecchi , che girano tra cose che non capiscono e che molto meno sarebbero in gra­ do di ricreare: passeggiano accanto al loro vecchio pozzo, ma sono utenti dell 'acquedot­ to pubblico. 75

Lo « sforzo per intendersi )) si risolve quasi sempre in « tatto )) e cioè nel tentativo di igno­ rare i punti di divergenza e i motivi di attrito, e finisce quindi per approdare a una in tesa che è finta perché lascia non risolta la realtà che impedisce di fatto l'intesa.

Quando Buddha passa attraverso la foresta con i suoi discepoli, dichiara che le cose che inse­ gna sono poche nei confronti di quelle che sa, come le foglie che possono stare in una mano sono poche nei confronti di quelle degli alberi della foresta. Non si può dire tutto. Dire tutto fa parte della tecnica, fa parte della tecnica il « chiarire l ' esporre il dimostrare il sistemare )) . Alcuni buoni saggisti analizzano tutti gli aspet­ ti di un problema di un costume di una so131

cietà, per esempio quella americana d' oggi o quella inglese all 'inizio della industrializzazio­ ne. Sono acuti , riescono a vedere qualcosa che io stesso non vedo; ma il loro lavoro è terribil­ mente insoddisfacente, ha la mortale precisio­ ne della tecnica, vede meglio il piccolo e il lontano che il grande e il vicino . Tentano di comporre il tutto dal parziale. Hanno trop­ pa finezza troppa astuzia, mancano di violenza di rozzezza. Temono sempre di dimenticare qualcosa, hanno una speciale abilità nel co­ gliere i dettagli e le sfumature . In definitiva vanno sempre più verso il minuto il parziale il sottile , il loro punto d 'arrivo è sempre inferio­ re al punto d' inizio del loro movimento. Vo­ gliono esaurire l' esame, vogliono dire tutto esattamente, non trascurare nulla, vogliono arrivare alla prova di quel che dicono: non è più quel che dicono ad avere importanza, ma la prova, la dimostrazione, ossia la necessità che dall ' esterno deve imporre ciò che dicono. Credono che il dire possa esaurire il tutto , ed usano un linguaggio razionale, un linguaggio particolare e convenzionale che è infinita­ mente lontano dal poter esprimere il tutto. Scrivere diventa un gioco di abilità, non ha più alcun rapporto con il fare . Gli an tichi con­ cepivano una parola creatrice. 77

La paternità di Dio non è quella di u n padre di oggi, succube dei figli , ma quella di un pa­ dre-patriarca temibile e autoritario: l ' Islam , 1 32

che ha radici vicine all 'ebraismo, usa, anziché « padre » , la metafora « padrone » ,

Scribi e farisei non sono condannati perché sono malvagi, ma proprio perché sono la reli­ gione ufficiale . Gesù Cristo accusa loro, e non i malvagi soldati, i malvagi contadini, i malvagi commercianti, le malvage mogli. Gesù Cristo non fa discorsi in termini di morale formale, fa un discorso sul fondamentale significato di un atteggiamento: perdona l'adultera e con­ danna il fariseo ipocrita, che dal punto di vista della morale formale sono entrambi peccato­ ri . I sepolcri imbiancati non sono tali per i lo­ ro peccati, ma per il padre dei loro peccati, la trasformazione della religione da cosa del re­ gno a istituzione del mondo. Questo il loro fondamen tale atteggiamento ( idolatrico : il re­ gno accanto al mondo) da riprovare, non i lo­ ro peccati, che sono i peccati di tutti . 79

Lo stile del regno è paradossale, i l buon senso non ha accesso al regno di Dio . Il paradosso non è né un gioco né un accorgimento per rendere più credibile quel che si afferma, il paradosso è una necessità, perché nasce ( que­ sto tipo di paradosso, il linguaggio paradossa­ le ) dall' assurdo inserimento nella logica cor­ rente di una verità che è incredibile . La verità 1 33

è necessariamente incredibile , paradossale, as­ surda agli occhi della falsità. 8o Anziché di resurrezione parlerei piuttosto, co­ me parla Gesù, di nuova creazione, di rifaci­ mento di tutte le cose , per evitare che la resur­ rezione dei morti introduca nel regno un sen­ tore di putredine .

Quando dico che scrivere e pensare non è sufficiente, e che ci vuole l ' azione , intendo di­ re che la potenza che è in me, per avere si­ gnificato, deve distruggere il mondo, altri­ menti non ha senso perché non serve. Con­ dannare e distruggere il mondo è infinita­ mente più grande e più forte che concepirne la insufficienza.

Insisto sul « tramonto degli aspetti di forza >> , malgrado « le carneficine e il sadismo dell' ulti­ ma guerra >> . Carneficine e sadismo sono le ec­ cezioni, una realtà che esplode malgrado gli sforzi degli uomini per affermare il giusto mez­ zo l ' ipocrisia la legge . Nessuno li ha mai appro­ vati , tutti li condannano come il supremo male, proprio perché sono forza, forza deteriore ma forza: nessuno condanna con lo stesso ardore l' ipocrisia la meschinità l'imbroglio incruento. 1 34

Nessuno vuole la guerra, questo è sicuro. È che a un certo punto i compromessi per nasconde­ re il marcio non bastano più, e il marcio esplo­ de in forme visibili, malgrado gli sforzi. Questo suo esplodere è l' unico modo di redenzione, perché porta con sé il dolore. A volere la guer­ ra è il guerriero, un tipo umano ormai scom­ parso: adesso hanno tutti paura del sangue e per questo non possono guardare Cristo.

Gli « intellettuali >> sono il gruppo di coloro che si considerano minoranza qualificata, ari­ stocrazia, perché eredi della « cultura >> , sono il monumento equestre dell 'impotenza. Sono, in sostanza, dei « separati >> che guardano il re­ sto del mondo con una degnazione che finge benevolenza, con un tono di fratelli maggiori che comprendono e soccorrono, confortano e ammoniscono. I fratelli minori li ignorano completamente. Si considerano immuni da colpa, distinguono, sottilmente ma vanamente, le colpe di alcu­ ni intellettuali dalle colpe della cultura che co­ stituisce il loro blasone e alimenta il loro stile sublime . Una cultura alessandrina, che è in­ sieme troppo presuntuosa e troppo scettica, astrusa, analitica, incapace di chiarezza e di giudizio, dove tutto è relativo, dove si lavora con nobile disin teresse a macinare l' acqua. Una cultura che è letteratura e non poesia, critica e non arte , cattedra e non pensiero, ac­ cademia e non creazione, passato e non futu1 35

ro. Gli intellettuali sono in pratica (intendo i veri intellettuali, non il branco degli aggregati che fingono di aver letto quel che non hanno letto) i letterati, gli epigoni, gli eredi di una tradizione chiusa, dalla quale è fuori l' apertu­ ra della mistica, la forza realizzatrice della scienza, la concretezza della tecnica; una ere­ dità che accettano stringendosi e puntellan­ dosi tutti insieme , perché l'intellettuale è so­ prattutto colui che accetta di definirsi con l ' e­ tichetta del gruppo.

Il male si difende proprio con la sua forza inti­ ma, che è di durare , diluito, dissipato , infini­ to. Il male dura perché il durare è male .

Di positivo , oggi, c'è questo, che ogni via per­ corsa è giunta a rivelare le alternative ultime . Siamo di nuovo all ' inizio. La lunga via percor­ sa, di analisi verso il minuto, è una fuga dall 'u­ nità necessaria per sondarla tutta. 86 « Organizzare » ha ormai un senso deteriore . C'è, infatti , un organizzare per uniformità e standardizzazione che è negativo, ma è negati­ vo proprio perché non è vero organizzare . Or­ ganizzare è differenziare e gerarchizzare, op­ porsi cioè al livellamento entropico verso il 1 36

nulla piatto e indifferenziato. La pseudo-orga­ nizzazione burocratica del mondo è orizzonta­ le, affiancamento e circolo vizioso dei control­ li. La organizzazione del regno è verticale, au­ torità e giusto posto di ogni cosa, dopo che ogni cosa ha espresso liberamente il massimo di sé. L' autorità include la libertà. In definitiva, oggi vediamo proprio che la mancanza di autorità determina una infinita serie di minime costrizioni che distruggono l'uomo. Perché l' uomo è l' autorità che ha, e la vera libertà di ciascuno è l' autorità che gli compete.

Una delle più grosse case vuote è il diri tto , do­ po che è stato vuotato dal valore assoluto della giustizia (jas et nefas) e dell' equità a misura di uomo e non di formula, per trasformarlo in un astratto meccanismo convenzionale, com­ plicatissimo e inconoscibile . Il diritto trasfor­ ma i rapporti fra gli uomini e fra le cose in rapporti tra entità astratte (i « diritti >> , i > ) . La superficialità delle soluzioni trova ri­ scontro nelle in terminabili e puerili teorie del nulla costruite dai giuristi. 88 Non soltanto le attuali realizzazioni politiche ma anche le attuali ideologie politiche sono, senza eccezioni , il prodotto di concezioni come l ' illuminismo il liberalismo e l ' idealismo 1 37

- ormai superate dalla successiva indagine cri­ tica. Sono il frutto di una mentalità settecente­ sca o ottocentesca che ha fatto il suo tempo e che non risponde più affatto alle mutate con­ dizioni culturali psicologiche sociali scientifi­ che tecniche economiche. L'inerzia che caratterizza l' attività politica condizionata com 'è da molteplici colossali in­ teressi - ha impedito l' adeguamento ai tempi, facendo sussistere in politica anacronismi pa­ ragonabili a quelli che si avrebbero se in ar­ chitettura si costruissero edifici neoclassici e nella scienza se si continuasse a parlare di flo­ gisto. Superate le concezioni di Montesquieu di Rousseau di Hegel, le ideologie politiche costruite su quegli schemi continuano a pro­ sperare . Lo stesso marxismo, che nei confron­ ti delle società di tipo liberale ha svolto una critica definitiva, ha le sue radici nell ' hegeli­ smo, che a sua volta è stato definitivamente criticato e concretamente travolto dall ' esisten­ zialismo, dal neopositivismo, dal pragmati­ smo, dal fenomenologismo. Dell 'ingenuo rea­ lismo, della fede illimitata nel progresso, del gioco magico della dialettica non resta più nulla; ma il comunismo, costruito su queste basi, è ancora presentato come l' ultima no­ vità. Gli stessi comunisti più vivi sentono del resto che l ' antico entusiasmo è scomparso, oppresso da strutture ormai vecchie e com­ promesse. Un secolo di storia, che ha de termi­ nato colossali cambiamenti in tutti gli aspetti della vita umana, è passato senza portare nulla di veramente nuovo nelle concezioni politi1 38

che: gli esperimenti di allacciamento a parti­ colari correnti di pensiero, come il volontari­ smo tedesco - anch' esso tuttavia legato ancora al romanticismo e all 'ottocento -, tentati dal fascismo e dal nazismo si sono conclusi dimo­ strando in modo tragico la loro insufficien­ za. Si impone dunque l'esigenza di una novità politica del peso e del rilievo della novità scientifica tecnica e psicologica di questi ulti­ mi anni, per superare l'abisso che separa, de­ terminando paurose fratture nella vita dei sin­ goli e delle società, la politica dalla realtà profonda. Una ideologia politica non può prescindere dalla concreta situazione storica alla quale de­ ve applicars}. Qual è dunque l' attuale situazio­ ne storica? E, anzitutto, una situazione di crisi, di confusione, di mancanza di certezze e di speranze, di profondissimo disagio, di sfidu­ cia. I dati di fondo delle critiche operate dai migliori ingegni del secolo, discutibili magari nelle singole affermazioni, costituiscono, nel­ l' insieme , un quadro da assumere come im­ magine della realtà storica attuale: Kafka Nietzsche Sartre Dostoevskij Camus Heideg­ ger Pirandello Spengler Adorno Freud Pound. Ignorare questo significa costruire sul­ le favole dell homo oeconomicus o del buon sel­ vaggio di romantica memoria. La fede dei buoni comunisti nelle strutture non può che far sorridere un secolo di amare esperienze sulla società e sulla storia. In questa situazione storica, popoli vecchi muoiono al nord e all 'occidente e popoli gio'

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vani nascono al sud e all 'oriente . Per len ti che possano essere, questi due processi hanno uno sbocco inevitabile . I popoli nuovi che sor­ gono, tuttavia, non portano una loro civiltà, ma soltanto quella dell' Occidente assorbita nella sua manifestazione dominante, la tecni­ ca. I popoli dell ' Oriente e d'Mrica si stanno ergendo contro l'Occidente non con una idea nuova, e neppure con l'islamismo o il buddhi­ smo o l'induismo , ma con il marxismo e il na­ zionalismo. Si sono messi le scarpe e i calzoni e agitano le bandiere che in Occidente hanno già fatto una cattiva prova. D ' altro canto, l ' Oc­ cidente non 11a altro da offrire, e neppure può attaccarsi con entusiasmo a ideali ai quali, obiettivamente , non può più credere . La soluzione più probabile di un simile scon­ tro di blocchi è nel conflitto armato, che po­ trebbe facilmente portare a un tale grado di distruzione di disordine di stanchezza da do­ ver scrivere (ben oltre il significato dottrinario del termi­ ne) è il tentativo di sostituire alla sostanza la forma, all 'autorità il meccanismo, al rischio il controllo, alla persona la struttura. Un pro­ dotto dell ' , un vestito magico che rende l'uomo incapace di sbaglia­ re o che, per il caso eccezionale che l'uomo sbagli, prevede l ' automatica correzione. L' a­ bolizione delle azioni libere e della responsa­ bilità di ciascuno mediante una grande mac1 42

china autocontrollantesi che trasforma i rap­ porti tra persone e tra forze in rapporti fra en­ ti e fra norme. A tutto c ' è una risposta data a priori. La verità coincide con l ' opinione della maggioranza. La legge crea gli organi e gli or­ gani creano la legge. Fuori dal sistema, natu­ ralmente, c ' è la realtà, c ' è chi crea la legge e gli organi, ci sono gli uomini e le forze che ac­ cettano di stare nel sistema fin che torna utile stare nel sistema. La democrazia abolisce o at­ tutisce i contrasti ideologici ed economici, tut­ ta la vita vi si manifesta e vi si esaurisce nella > che cancelli l ' « autorità di fatto >> (per usare i termini dei sociologi ameri­ cani) . L' autorità come funzione , come imper­ sonale delegazione di diritti, che è l' autorità democratica, è appunto il tentativo di negare l 'autorità come realtà, o, perlomeno, di intor­ bidare le acque a vantaggio di forze soltanto economiche, che in un aperto contrasto ver­ rebbero distrutte da forze più vere e più vive. L' autorità di un uomo su un altro è un fatto e non un diritto: in ogni gruppo, scoprono i so­ ciologi americani, c ' è sempre chi di fatto de­ tiene l ' autorità, anche fra due uomini messi su un ' isola, o che s' incontrano per la strada. L'autorità è un fatto, un rapporto concreto tra forze di diversa intensità. Questo porta ad escludere, è naturale, qualunque sistema di controllo ( tripartizione dei poteri, parlamen­ to ecc . ) non gerarchico, lasciando quindi sus­ sistere pienamente evidente la realtà del ri­ schio che si vorrebbe nascondere nel mecca­ nismo tautologico dei controlli formali . Il po­ tere è unico, non ha nessun senso un potere legislativo che non sia esecutivo e giudiziario. Il potere deve essere, e in pratica sotto i veli delle formule vediamo che è, summa rerum, non limitata da nessuna legge ma fonte di tut­ te le leggi. Rifiutare la realtà significa far trion­ fare, nascosta dall ' artificio, la realtà deteriore . Un problema del tutto fittizio è quello della scelta di chi deve detenere il potere: lo stesso porlo deriva dalla sostituzione della realtà for­ male alla realtà sostanziale . Non c'è, infatti , 1 44

nessuna società priva di autorità, perché il si­ stema politico e le leggi derivano da una auto­ rità, e non viceversa. Non ha senso, quindi, domandarsi come sce­ gliere l ' autorità, dopo aver rifiutato l ' attuale metodo di scelta elettivo. Il metodo elettivo è già qualcosa che è stato scelto da una autorità: bisogna dunque partire dall 'autorità che sce­ glie e non dalla scelta dell' autorità. Essenziale per una nuova e adeguata politica è che ci sia­ no uomini capaci di concepirla e che tali uo­ mini riescano ad assumere il potere , vincendo le forze sostenitrici di concezioni vecchie e su­ perate . Una volta assunto il potere , la conti­ nuazione è automatica, fin quando non inter­ venga una nuova forza ad interromperla. La con tinuazione del potere è sempre un meccanismo. Chi detiene il potere può stabili­ re un meccanismo elettivo o un meccanismo ereditario o un meccanismo assun tivo. Ma, in realtà, anche il meccanismo ele ttivo è sempre assun tivo, nascosto sotto la forma dell 'elezio­ ne di uomini che in effe tti _sono già partecipi delle minoranze al potere . E questa forma che deve essere eliminata, per lasciare il posto ad una chiara e concreta scelta ad personam, scelta che risulterà poi tanto più efficace e valida quanto migliore sarà la forza che inizia la cate­ na assun tiva. C'è sempre il rischio natural­ mente (ma è solo una finzione l'eliminazione del rischio) che la scelta assuntiva sia errata, che non corrisponda ai valori reali. Non c ' è infatti nessuna garanzia, per l'uomo, d i non errare . Ma lo sforzo va esercitato nella direzio1 45

ne che porta ad una maggiore potenza e chia­ rezza di scelta, non in quella che porta ad un più de ttagliato meccanismo di controlli for­ mali, che rifiutino a priori la possibilità del giusto e del vero per limitarsi a cercare rimedi all 'ingiusto e al falso. Se non c ' è fede nel giu­ sto e nel vero ( il giusto e il vero al di là e non al di qua del nulla) non ha senso fare della po­ litica, tutt'al più si possono fare dei compro­ messi fra i diversi interessi, e i frutti sono que­ sti che vediamo, quando sentiamo la profonda vuotezza della nostra vita in comune e la profonda inutilità della nostra azione in una realtà di fango. La politica non è possibile senza una tradizio­ ne. Degli uomini isolati , senza un passato e senza un futuro, non costituiscono una comu­ nità, non hanno una meta e quindi sono nul­ la. La città ha una storia e un destino. Politica è la città dei greci, circondata dai barbari , po­ litica è Abramo che vede le vicende della sua discendenza. Ma oggi la realtà nasce per cia­ scuno con la sua nascita e muore con la sua morte: se l'uomo è questo non ha bisogno di politica, o meglio la sua pseudopolitica è il gioco delle forme di compromesso, queste che vediamo. Una politica (una qualunque attività davvero umana) vuole una tradizione, una storia. L'u­ manità, oggi, ha una sola tradizione, anche se la rifiuta: il cristianesimo . Dal cristianesimo nasce il concetto di storia e di conquista della realtà, che, per successivi depotenziamenti, è la tecnica, il cristianesimo di oggi , ormai diffu1 46

so in tutto il mondo . La conquista della realtà, l ' attuazione dell' assoluto, è decaduta da re­ gno di Dio (la realtà politica perfetta) a tecni­ ca. Ma la vera azione politica (dove la politica non si snatura) è l'azione globale che tende ad attuare la società perfetta. La vitalità di u­ na politica è sempre in funzione di questa esi­ genza. Destino dei tentativi di attuare una società perfetta è nella storia, in quanto non riusciti, di rinnovarsi perdendo via via di intensità. Ec­ co così che gli ideali politici nascono sempre più limitati: l' autorità da cosa divina diventa cosa delegata da Dio, e poi dal sangue, e poi dal ceto, e poi dal denaro; da globale , summa rerum, diventa parziale; da libera diventa sog­ getta alla forma astratta della legge; da sostan­ za diventa funzione; la comunità da popolo di Dio diventa società economica, ordine ammi­ nistrativo ; il giusto ordine da valore assoluto passa a compromesso di interessi. All' esten­ dersi dei compiti assun ti dallo « Stato » fa ri­ scontro, così , il ridursi della loro intensità: Mosè portava alla terra promessa, oggi ci por­ tano al frigorifero per tutti; Dante operava per « perducere homines ad statum felicitatis >> , oggi si opera perché possano girare in auto­ mobile. Questa strada che scende deve essere spezzata per un ultimo tentativo che tenga conto di tutto. Poiché l'azione politica è questo, trova di fronte la Chiesa, se nessuna delle due realtà abdica alla sua natura universale. I ten tativi di compromesso sono millenari, a cominciare 1 47

dai due soli di Dante : il sole è uno, questo è certo. La Chiesa deve finire, « regno di Dio » non è chiesa e non ha chiesa. Ma la Chiesa è una cosa grande, è la tradizione dell'umanità, quella che ci rende uomini, il terreno comu­ ne. Rompere la tradizione deve essere doloro­ so e tragico almeno quanto rompere con il nostro personale passato . La Chiesa deve esse­ re distrutta, e la distruzione del tempio di Ge­ rusalemme è figura della distruzione della Chiesa di Roma. Il destino della Chiesa è, se­ condo la Chiesa stessa, di finire , quando trion­ feranno gli « adoratori in spirito e verità » . L' a­ zione politica è un 'azione contro la Chiesa che parte dall 'interno della Chiesa, l ' azione dei profeti contro il sacerdozio . 8g

Alla potenza che impone viene contrapposta la persuasione che convince. La religione, di­ ce la gente, deve persuadere . Ma se c ' è stata una cosa potente e non persuasiva, intolleran­ te , assoluta, vicina al sangue e alla morte, è proprio la religione. I sacrifici umani sono un fatto di religione. Gesù Cristo parlava « come avente autorità » , parlava con potenza e non con persuasione, voleva conquistare , non con­ vincere . Solo la potenza persuade veramente, come qualcosa di grande che trionfa, come qualcosa che > è diventata l 'oggetto di una ricerca che ha per strumen to la realtà « secon­ daria >> . La psicologia, la psicoanalisi e la psi­ chiatria si applicano al dolore , al desiderio, al­ la paura, al rimorso, all ' odio; in genere , le scienze e le tecniche limitano , classificano, scompongono la realtà originaria. I valori pri­ mordiali erano grandi finestre aperte sul si­ gnificato delle cose; gli attuali valori riflessi, o « culturali >> , sono delle piccole finestre dalle quali si possono vedere, al più, le grandi fine­ stre primordiali. g6 Abituati alle trascrizioni in termini razionali, un linguaggio stanco, abbiamo perso la realtà immediata dei contenuti, forza da dominare e non cosa inerte da indagare . 97

La conquista dello spazio celeste ha sensi che ci portano vicini alla promessa fatta all 'uomo di « giudicare gli angeli >> , di essere « stella del firmamento di Dio >> , di vedere la città ultima e perfetta scendere dal vertice dei cieli di Dio. Queste promesse sono più vicine alla straordi­ naria realtà di oggi di quanto sia vicino il buon senso dell 'uomo che riduce tutto alla sua misura, alle sue regole, all 'utile economi­ co quotidiano. Quel che succede oggi, le mac­ chine degli uomini nei deserti della luna, è

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p iù vicino al cuore dei profeti che hanno visto la potenza dello spirito espandersi per tutti gli universi e la terra fatta sgabello ai piedi di Dio, di quan to sia vicino a chi si fa forte del « giusto mezzo » , del non esagerare , dello stare con i piedi per terra. Dio è potenza. Dio non ci rinfaccia mai la no­ stra potenza, ci rinfaccia la nostra impotenza, quella per cui non osiamo volere che la morte il peccato il tempo e lo spazio siano vinti per sempre, quella che non ci lascia andare oltre una conquista dell 'universo intesa come un attraversarlo con una palla di ferro. g8 « Mondo della cultura » , « settore della cultu­ ra >> , « piano culturale >> , « mestiere dello scrit­ tore >> sono oppressioni recenti , nate quando è nato l ' abisso, quando pensare e comunicare sono diventati una specialità, un « settore >> . E il destino di tutte le specializzazioni, in quanto nascono da esigenze contingen ti, è di finire prima o poi, come tutte le cose contingenti. Oggi sta finendo il « mestiere dello scrittore >> , per trasformarsi senza residui in « mestiere del gazze ttiere >> . L'abisso non è fra « l 'intellettuale >> e « la re­ altà >> (quella fatta di cronaca, di diagrammi, di pettegolezzi) . Anzi, l'intellettuale è anche trop­ po dentro a queste cose . L'abisso è fra il « mestiere dello scrittore >> (o dell ' « artista >> , o del « critico >> , o, in genere , dell' « intellettua­ le >> ) e una realtà che richiede qualcosa di più

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di gente che faccia bene il suo mestiere, per­ ché è giunta a un nodo in cui è priva di parole nuove , di un metro di giudizio e di valore , di una certezza o anche soltanto di una speran­ za. Viviamo in un momento eccezionale , per il quale occorrono risposte e presenze e inven­ zioni eccezionali. Gli intellettuali di oggi sono l ' equivalente dei dotti e impegnati rabbini di­ nanzi alla grande novità di Cristo, o degli au­ tori di minuetti per le corti d 'Europa alla vigi­ lia della rivoluzione francese. L' abisso nasce dalla sostanziale impotenza della « cultura >> degli > o nel pantano delle « polemiche quotidiane >> , disquisendo a non finire su questo o quel cor­ no dell ' inutile dilemma. Si isolano nel subli­ me della poesia e non hanno né capito né let­ to l 'Apocalisse , Rustaveli, Iqbal, giocherellano con i mezzi nomi alla moda, si impegnano nel contingente , e non sono in grado di leggere un elementare trattato di fisica né una formu­ la di matematica. Che senso ha un inserimen­ to nel concre to, che oggi attinge la sua fisio­ nomia principalmente dalla scienza e dalla tecnica, senza avere della scienza una idea che superi i pallidi ricordi degli anni di liceo? I let­ terati non si rendono conto della gravità del fatto che le loro conoscenze scientifiche sono paragonabili alle conoscenze filosofiche e let­ terarie di un bambino di dieci anni (o se ne

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consolano fingendo di ignorare l ' importanza e le dimensioni del mondo della scienza) . Le « umane lettere » sono troppo più deluden­ ti delle macchine che piovono sulla luna. La tecnica è più grande della letteratura, e, al di sopra della tecnica, non viene proposto nulla. 99 La frammentarietà di un testo è certamente una difficoltà per la lettura. D ' altra parte, un testo organico e concluso è una scimmia del regno, del vero ordine e della vera unità, è una falsità, un fingere una armonia che non abbiamo. L'ordine e l ' unità, nei frammenti , si costitui­ scono via via realmente, non sono precostitui­ ti formalmente. Così come avviene nel nostro modo di concepire. La difficoltà, in un testo frammentario (l'autentico frammento è sinte­ tico, manca di tessuto conne ttivo) , è una dif­ ficoltà intensa, contro la difficoltà estesa dei diluiti testi sistematici. 1 00

L'infinità è l ' incomprensibilità. Impossibile comprendere l ' universo, e impossibile com­ prendere la storia, se il tempo è interminabi­ le, se lo spazio si allarga senza avere un centro. 101

Con il cristianesimo si determina la separazio­ ne tra religione e politica, che prima erano

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strettamente congiunte. La religione, come si vede nell' impero romano, era la religione del­ lo stato, dio il dio della patria. Dopo le perse­ cuzioni, con l ' editto di Costantino trova rico­ noscimento il diritto del foro interiore della coscienza di ciascuno, libera nella sua scelta religiosa, nei confronti della religione che fonda la tradizione e la società. C ' è chi fa di questa trasformazione uno dei maggiori meri­ ti del cristianesimo nella storia. In realtà, è la remota origine della separazione delle cose di Dio dalla storia, dell 'introduzione della dop­ pia verità, dell 'individualismo, della riduzione della religione a fatto morale ancorato alla buona fede, e cioè al relativo. Il cristianesimo voleva essere semplicemente la condanna e la distruzione di una certa reli­ gione che si incarna in una certa politica, mondana, aperta al compromesso , fondata sulla mediocrità, per l ' instaurazione di una nuova religione che si incarna in una certa po­ litica, ape[ta alla società perfetta del > . E spaventosa, e misura la negativi tà della storia, la possibilità che un messaggio ha di trasformarsi nel suo opposto, di negarsi, di capovolgersi così radicalmente come mostra la storia del cristianesimo. Un messaggio che nasconde ancora una possibilità di stravolgi­ mento, di diluizione , di compromesso, non è ancora il messaggio definitivo.

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IL REGNO

Il regno è un regno in guerra ( una guerra può sempre essere una sconfitta) con altri regni, ha come tutti i regni un' aurora cruenta, ha un re che governa con scettro di ferro, è essen­ zialmente gloria, è dei pochi (il resto d'Israe­ le) , è terrestre e celeste, si afferma per distru­ zione per vittoria non per evoluzione non per trasformazione, il regno sono gli amici, è il si­ gnificato della storia, è istituzione autorità ge­ rarchia, potenza e non persuasione, società e non individui, il regno ha un popolo che beve il succo della vite con il suo re, il re giudica e guerreggia. Il re è Gesù Cristo. Non c ' è altro Dio. Il re è uno come noi, come condizione la nostra stessa, con gli stessi rischi e le stesse possibilità. Come deve essere un re . Regno è molto più di una metafora. Il regno è nuovo come le soluzioni sono nuo­ ve nei confronti dei problemi. Non c ' è qualcosa del regno che non sia tutto il regno, non c ' è un penetrare nel regno che non sia conquistare il regno tutto insieme su­ bito. Per concepire una realtà perfetta si deve in1 59

tradurre l ' assurdo negare il tempo unire gli spazi moltiplicare la potenza. La conquista del regno, dies Domini magnus et horribilis, è un lampo che esce dall 'oriente e guizza fino all ' occidente. Il lampo, nuovissi­ mo nel suo irrompere, e vecchissimo. Ovun­ que sarà il cadavere del mondo si aduneran­ no le aquile del regno. Il regno è la conquista del regno. La conquista del regno, che è fine del tempo, non può avere uno sviluppo nel tempo. Il re è un padrone che sorprende i servi tradi­ tori, quando la vicenda umana avrà compiuto la sua discesa e palesato la sua colpevole in­ sufficienza. Il regno è soffrire e godere , nello spirito e nel­ la carne, tutto ciò che si può soffrire e godere . L' altra alternativa è la dannazione . Figura dell ' intensità del regno è l ' amore , in­ tenso urgente sconvolgente violento, orga­ smo, hominum divonque voluptas. Come l' abbia­ mo sperato, non come l ' abbiamo sperimen­ tato. Il regno è il superamento per giudizio di tutte le antitesi. In ciascuna, un termine deve vince­ re l ' altro . Fuori del giudizio c ' è la notte dove tutte le vacche sono nere , il nulla a piani, il caos. Il regno non nasce dal sentimento dell ' in­ sufficienza del reale (un dato di fatto, un sen1 60

timento) , ma dalla condanna del reale ( qual­ cosa oltre il dato di fatto, nuovo, il giudizio sul fatto) . Questo tempo dopo Cristo, così come l ' ha fat­ to la nostra tiepidezza, può disfarlo la nostra disperazione e la nostra violenta speranza. La negatività del mondo, assoluta e totale, è nel fatto che il mondo è solo il mondo, che non è né l' assoluto né il tutto. Nel regno trionfa la nostra insoddisfazione il nostro tormento la nostra solitudine. La negatività del mondo nei. confronti del re­ gno non è in relazione alla sua qualità o natu­ ra, ma alla sua quan tità o intensità. La gioia del regno è nella carne nel vino nell ' amicizia nella potenza nel sentirsi giovani . La gioia non è possibile fuori del regno perché si muo­ re si è malati si invecchia non si è potenti ab­ bastanza non si può amare senza sotterfugi e piccinerie non si può parlare forte e chiaro gridare correre . Anche il dolore nel mondo è troppo poco. Tutto ciò che è nel tempo è negativo perché è nel tempo, quello che è positivo è positivo perché nega il tempo, la dilazione . Così per lo spazio. Interminabili spazi separati, sconosciu­ ti e impercorribili. Il passato perduto il futuro vuoto. Fare il regno è strappare dallo spazio­ tempo, comprendere , risolvere , mentre lo spa­ ziotempo non è mai risolutivo perché conti­ nua sempre . L'antiregno è lo spaziotempo. Lo spaziotempo è il dolore . Il dolore è il regno. Il linguaggio rivela inevitabilmente la conce­ zione . A proposito di regno non posso usare 161

le parole struttura, logica, operazione, meto­ dologia, né tecniche di capovolgimento, che sono in definitiva aggiunte allargamenti dop­ pioni della realtà vecchia. Un lavoro sui conte­ nenti. Non si può lavorare con strutture con logiche con operazioni con metodologie con tecniche di capovolgimento sul piangere . Il regno non è capovolgimento né invenzione di categorie perché non ha categorie. Le cate­ gorie sono tutte vecchie . Il regno spezza l ' an­ gustia delle categorie, che sono rigide. Mentre l 'unica rigidezza plausibile è il regno. C'è una vicinanza fra l' assolutamente nuovo e l ' assolutamente primordiale. Perché il pri­ mordiale è nascere, come il regno . C ' è una vi­ cinanza fra l ' assolutamente nuovo e l' assoluta­ mente comune. Perché il comune è semplice, come il regno. Dalla realtà vecchia non si può trarre altro, per il regno, che il dolore, la coscienza della sua insufficienza e parzialità. Nessun altro ma­ teriale. L' altro materiale è già nel regno, co­ me il parziale è nel tutto. Nell 'ultimo giorno finalmente i pochi riusci­ ranno a realizzare la massima tensione verso il regno (per ciò stesso la massima vicinanza al regno che è tensione) , fino a imporre la sepa­ razione tra i due poli, infimo e supremo, della storia. Il senso delle parole è nel regno. Dire tutto è il regno. Il linguaggio che dice tutto è il tutto .

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Il bambino che lungo una strada di �ampagna saluta un ' automobile che passa. E infinita­ mente triste che qualcuno si apra a qualcosa che resta chiuso. Ma se mi fermassi tutto di­ venterebbe ridicolo, anche alla mia apertura risponderebbe una chiusura. Aprirsi ha senso solo nel chiuso del regno. Il più grande nemico del nuovo è l ' operare sul vecchio, il riformare, il trasformare. Il vec­ chio può solo essere distrutto, è l ' edificio del­ la parzialità. Non c'è nessuna strada dal mondo al regno, tutte le ascesi sono ingenuità. Non abbiamo fatto nessuna strada per giungere alla creazio­ ne, ci siamo dentro con un balzo, nessuna strada possiamo fare per giungere al regno ( tutto è strada) , ci saremo dentro con un bal­ zo del nostro dolore, al di qua c ' è una condi­ zione che sta al regno come la vita uterina sta al nascere nel mondo e la solitudine di Dio al­ l ' universo . Il nuovo non è collegato al vec­ chio, non c ' è gradualità, c ' è salto . Non è il vec­ chio che diventa nuovo, che si redime, che si trasforma. Non c ' è un farsi del nuovo, il farsi è movimento divenire diluizione, il nuovo è ab alto. Il suo rapporto con il vecchio è la distru­ zione. Il nuovo non è diverso dal vecchio, di una qualità diversa, che si possa paragonare per analogia o per con trasto . Il nuovo è tutta la quantità, tutta la quantità non può crescere . Le qualità sono tutte vecchie . Il vecchio è il parziale e il nuovo è il totale. Si può distrugge1 63

re il vecchio ma non fare il nuovo. Nuovo è immediato. Nuovo è tutto. Il vero nuovo è definitivo. Non c ' è un dopo il regno. Se c ' è un oltre il nuovo , il nuovo non è mai nuovo, è de­ stinato a invecchiare sempre . L' essere del vec­ chio è estensione diluizione, l'essere del nuo­ vo è intensità tensione. Preparare è una tecni­ ca. Regno è tutta l'intensità. Potenza non di­ luire non attendere non analizzare vivere non spiegare non preparare non indagare. Poten­ za e giudizio. Consolare è la suprema potenza. Non ci si prepara a nascere. Al di qua del na­ scere del creare del vincere c ' è solo la solitudi­ ne il nulla il dolore. Il capovolgimento (ma è più di un capovolgimento, perché il tutto non è un capovolgimento del parziale) avviene dentro a queste cose (la coscienza del nulla è l ' essere ) , non sul piano delle parole che è pos­ sibile dire delle cose che è possibile preparare delle categorie che è possibile inventare . Il re­ gno è il tutto, il tutto, prima di ogni cosa, pri­ ma del prepararlo. La disperazione non pre­ para nulla. A rendere possibile il regno è solo l' impossibilità del mondo. Il regno non ha né circoscrizioni né descrizioni. Non esiste un linguaggio del regno. Il regno è il linguaggio. Il regno non ha durata. La durata è il male , la diluizione. Tutta la durata è nel regno, vinta. Il regno è impreciso. La precisione va verso il minuto, è la tecnica per il piccolo il parziale. La realtà può mutare infinitamente . La solitu­ dine distende la morte sul mondo, la speranza risuscita l' universo . Nessuna mutazione è il re1 64

gno. Il regno è tutte le mutazioni insieme . Io ricordo dei sogni dove le stelle erano vicine, dove la luce della luna aveva una dolcezza sen­ za confini e un senso meravigliosamente nuo­ vo, dove le pietre della terra avevano colori odori forme delicatissime , un intenso senso di giovinezza, il sangue che fluisce ovunque , an­ che nelle stelle . Avere tutto vicino, anche la lontananza. Stellae nautae et fluvii, fluentia ac­

quarum et sideron. Piangere è vicino al regno. La situazione nuova di oggi è che il regno non è più qualcosa che si può fingere ( le an tiche immagini del regno: arte, festa, rito, gioco li­ bero, sacramento) . Gli an tichi vedevano il mare più reale delle onde, il bosco più reale degli alberi, il popolo più reale degli individui. Oggi all ' opposto : il singolo più reale della società (già questo esclude il regno) , ma più reale del singolo è la sua sfera subconscia, e i vari piani di essa più reali della sfera. Più reale dell' onda è la mole­ cola dell 'acqua. Il regno è il tutto, più reale delle parti . Se c ' è , comunque , un oltre il regno , si ha una concezione aperta. Le antiche erano, in gene­ re o prevalentemente, chiuse, compiute, esse­ re e non divenire . Le moderne all' opposto. Quella del regno è una concezione chiusa che include tutto l ' aperto. Io odio l' infinito e l' in­ definito: sono una suggestione per cercare ma vanno distrutti . 1 65

Ci sono segni del regno, sono segni di distru­ zione . Siamo già stati vicinissimi al regno. L' urlo di Cristo. Volere il regno significa volere la fine dello spaziotempo, della diluizione, del parziale. Tempus non erit amplius. La tensione può essere estrema, come nell ' ora della morte sul Calva­ rio, scatena terremoti e scoperchia sepolcri. Può far cadere le stelle dal cielo e oscurare il sole . Ogni sperimentazione ( sentimento idea im­ magine volontà sensazione conscia o subcon­ scia percezione ecc . ) è una certa intensità, un certo grado di partecipazione all ' intensità to­ tale che è il regno, presenza di tutto. Tutta la gioia e tutto il dolore . Tutto il vivere e tutto il morire. Tutto l' essere e tutto il divenire. Tutto il dopo e tutto il prima. Vedere tutto il visibile, conoscere tutto il conoscibile , ascoltare tutto l ' ascoltabile , toccare tutto il toccabile. Tutto ciò che abbiamo sperimentato , tutto, è nel re­ gno, ma il regno è tutto lo sperimentabile, in un punto. Il regno è liberazione da ogni categoria, rea­ lizzazione della pienezza di tutto ciò che in at­ to si manifesta parzialmente. Il regno non è una strada, non è un concetto , non è una ca­ tegoria, non è un mito. È la gerarchia di tutte le strade , tutti i concetti, tutte le categorie, tut­ ti i miti. Il regno è la società perfetta dove ogni cosa ha ciò che è. 1 66

Il regno non è una realtà esoti,ca, evasione da una realtà per un 'altra realtà. E tutta la realtà. Alla realtà vecchia, che ha poco, verrà tolto anche il poco che ha. Una realtà vinta e sog­ giogata. Il regno include l'itineral_:io dal nulla all 'esse­ re, dal mondo al regno. E l'emergere dell 'es­ sere sul nulla, paradossale ed eroico . Regno non è religione. La religione è una parte, simbolo culto magia patto formula mi­ stero categoria. Con la lotta apocalittica, che comincia con gli eserciti congregati in Mesopotamia, fino a porre l ' abominio della desolazione nel luogo santo, sempre più le cose precipi teranno e ve­ dranno la presenza dell' anticristo e di Cristo la lotta e il trionfo. Questo, se è, è vicinissimo. La parabola involutiva della storia non ha di per sé un fondo, è continua, è infinita, è lo spaziotempo. In ogni punto può essere rotta, fatta precipitare , anche se non tutti i punti of­ frono uguale resistenza. Ciò implica la sua sperimentazione totale e reale, non teorica e non individuale. La sperimentazione totale del nulla è l'essere totale. La nostra potenza crea immediatamente. Quel che noi consideriamo tecniche mezzi azioni operazioni sulla realtà sono soltanto una trascrizione nel tempo e nello spazio del­ la potenza che crea la realtà. Gli strumenti so­ no cose vecchie e diluite , non immediate . Spirito e materia, causa ed effe tto, soggetto e oggetto , vita e morte, tempo ed eternità, pas­ sato e futuro, libertà e necessità non hanno

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un senso rigoroso, i termini sfumano l'uno nell ' altro. C'è solo un termine superiore e uno inferiore , intensità più o meno grandi. Così la gioia e il dolore. La distinzione non è separazione fra termini razionali esatti. Non esiste la gioia pura e non esiste il dolore puro. Ci sono infinite sperimentazioni intermedie che partecipano in misura diversa dell'una e dell ' altro. La perfetta gioia include il perfetto dolore . L' intensità assoluta include tutte le possibili intensità, ciascuna nel suo grado. Nell 'istante in cui si ritrova la persona che si credeva perduta c'è insieme gioia e dolore , gioia per la presenza, più intensa della presen­ za abituale e diluita appunto perché vive insie­ me al dolore per l ' assenza, più intensa dell ' as­ senza abituale e diluita. Questo istante è vici­ no al regno, che è la sperimentazione non di­ luita di tutto lo sperimentabile, atto sintetico. Se è sperimentabile una gioia più intensa di ogni dolore, nel regno c'è più gioia che dolo­ re , ma c ' è anche tutto il dolore . Tutta la mise­ ria, tutto l' obbrobrio, la visione di chi muore torturato . Insieme a una gioia ancora più grande .

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NOTIZIA*

Sono nato in Liguria trentaquattro anni fa e vivo a Roma. Conseguita la maturità classica e vissute le tragiche esperienze della guerra e dopo, ho frequentato le facoltà di ingegneria e di filosofia, le accademie militari, i corsi di meccanografia ed elettronica, di guerra ato­ mica biologica e chimica e sono ufficiale in servizio permanente effettivo. Per cinque anni ho diretto un centro meccanografico; ho inse­ gnato statistica metodologica, materie giuridi­ che, elettrotecnica e radiotecnica e, in questo senso, mi considero « un tecnico ,, . Tentati la parola e il linguaggio, ho collabora­ to poi a « L'Ultima >> (dal 1 952) , a « Il Gallo >> ( 1 953) , a « Il Popolo >> (dal 1 958) , a « La Fiera Letteraria >> ( 1 960) , a « Tempo Presente >> (dal 1 960) e ho pubblicato un libro, Diario profetico, presso Guanda, nel 1 958. [ . .] Una dichiarazione intorno ai miei progetti di prossima o remota esecuzione mi sgomenta. .

* L' edizione originale di Religione e futuro riportava in calce questa Notizia di mano dello stesso Autore. Ci è parso opportuno riprodurla qui, in particolare per la di­ chiarazione di inten ti che essa contiene nella seconda parte : chi con osce l' opera di Quinzio può constatare con che lucidità e precisione egli già allora delineasse il > , im­ ponendo, attraverso il frammento, una e­ spressione nuova, libera dai « generi >> e dai « gusti >> , essenziale, immediata, predicante, o­ perante, come forse era il parlare delle origi­ ni. Attraverso questo « modo >> , voglio suscitare un sentimento della realtà come cosa da giudi­ care da fare da dominare da risolvere . Il pro­ getto remoto (ma neanche la parola « re mo­ to >> va bene) è questa azione di giudizio-crea­ zione , di dominio, di risoluzione. « Religione >> dunque (ma, se venisse intesa nel senso cor­ rente , neppure questa voce andrebbe bene ) ; e una « nuova politica >> , certo.

Religione e futuro è composto in tre parti . La prima, « Religione e mondo moderno >> , da pag. 1 1 a pag. 63, è già apparsa in « Tempo Presen te >> del febbraio 1 961 . Anche della seconda parte, « Frammenti di re­ ligione >> , da pag. 65 a pag. 1 56, alcuni brani sono già stati ospitati nella stessa rivista. La terza parte , « Il Regno >> , da pag. 1 57 a pag. 1 68, è inedita. A pag. 1 69, una nota auto-bio-bibliografica.

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390. 391 . 392. 393. 394. 395. 396. 397. 398. 399. 400. 40 l . 402. 403. 404. 405. 406. 407. 408. 409. 410. 41 1 . 412. 413. 414. 415. 416. 417. 418. 419. 420. 421 . 422. 423. 424.

Arthur Schopenhauer, L 'arte di essere felici ( 1 8• ediz . ) Fernando Pessoa, Pagine esoteriche ( 3• ediz . ) Adam Phillips, Monogamia Zvi Kolitz, Yossl Rakover si rivolge a Dio (5• ediz. ) Giorgio Manganelli, Le interviste impossibili (2• ediz . ) C. S. Lewis, Il cristianesimo cosi com 'è Ivan Turgenev, Mumù e altri racconti Antonio Gnoli-Franco Volpi, I prossimi Titani V.S. Naipaul, Una civiltà ferita: l 1ndia Alberto Arbasino, Passeggiando tra i draghi addormentati Leonardo Sciascia, La Sicilia, il suo cuore - Favole della dittatura Lilian Silburn, La ku1J-4alini o L 'energia del profondo Gershom Scholem, Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio ( 4• ediz . ) L a preziosa ghirlanda degli insegnamenti degli uccelli Colette , julie de Cameilhan Elémire Zolla, Che cos 'è la tradizione Martin Heidegger, Il concetto di tempo (5• ediz . ) Henri de Latouche, L 'album perduto Edgardo Franzosini, Bela Lugosi Sergio Quinzio, I Vangeli della domenica (2• ediz . ) Arthur Schopenhauer, L'arte d i farsi rispettare ( I l " ediz. ) Albert Caraco, Breviario del caos ( 3• ediz . ) Ingeborg Bachmann, Il dicibile e l 'indicibile (2• ediz . ) Aleksandr Puskin, L a dama d i picche e altri racconti (2• ediz . ) Re né Daumal, Il lavoro s u d i sé Vladimir Nabokov, L 'occhio (2• ediz . ) Tommaso Landolfi , Tre racconti (2• ediz . ) V.S. Pritchett, A more cieco (5• ediz. ) Alberto Savinio, Infanzia d i Nivasio Dolcemare Alberto Arbasino, Paesaggi italiani con zombi Carissimo Simenon Mon cher Fellini. Carteggio di Federico Fellini e Georges Simenon Leonardo Sciascia, Cronachette Mehmet Gayuk, Il Gineceo Luciano Canfora, Il mistero Tucidide (3• ediz . ) Jeremias Gotthelf, Elsi, la strana serva (2• ediz. ) ·

425 . 426. 427. 428. 429. 430. 43 1 . 432. 433. 434. 435. 436. 437. 438. 439. 440. 441 . 442. 443. 444. 445. 446. 447. 448. 449. 450. 45 1 . 452. 453. 454. 455. 456. 457. 458. 459.

Meister Eckhart, Dell 'uomo nobile (2• ediz . ) Chiara d 'Assisi, Lettere a d Agnese · La visione dello specchio Simone Weil, Lezioni di filosofia (2" ediz . ) James Hillman, Puer aeternus (5• ediz . ) Il libro dei ventiquattro filosofi (2" ediz.) Jakob e Wilhelm Grimm, Fiabe (2" ediz . ) W. Somerset Maugham, In villa (7" ediz . ) Elena Croce, L a patria napoletana Adalbert Stifter, Il sentiero nel bosco ( 4" ediz. ) Arthur Schnitzler, Novella dell'avventuriero (4 • ediz . ) Rudyard Kipling, Il risciò fantasma e altri racconti dell'arcano ( 2• ediz . ) Manlio Sgalambro, Trattato dell 'età (2" ediz . ) Arthur Schopenhauer, L'arte d i insultare (7• ediz . ) V. S. Pritchett, L a donna del Guatemala Mazzino Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche François René de Chateaubriand, Di Buonaparte e dei Borboni, a cura di C. Garboli Alberto Arbasino, Le Muse a Los Angeles Eduard von Keyserling, Afa (2• ediz . ) Salustio, Sugli dèi e i l mondo (2" ediz . ) Bruno Barilli, Il Paese del melodramma Georges Bataille , Il limite dell'utile Tim Parks, Adulterio (2" ediz . ) lvan i l Terribile, Un buon governo nel regno Albert Ehrenstein , Tubutsch Vladimir Dimitrijevié, La vita è un pallone rotondo W ediz . ) Richard P . Feynman , Sei pezzi facili (3" ediz . ) Guido Ceronetti, L a carta è stanca Guido Rossi, Il ratto delle sabine (2" ediz . ) Nina Berberova, Il quaderno nero Tommaso Landolfi, Ottavio di Saint-Vincent Alfred Polgar, Manuale del critico Jamaica Kincaid, Un posto piccolo Arthur Schopenhauer, L'arte di trattare le donne (2• ediz.) Alberto Savinio, Tragedia dell 'infanzia Nicolas G6mez Davila, In margine a un testo implicito

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200 1

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Piccola Biblioteca Adelphi Periodico mensile : N. 460/200 1 Registr. Trib. di Milano N. 1 80 per l ' anno 1 973 Dire ttore responsabile: Roberto Calasso