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Italian Pages 204 Year 2014
QUALITY PAPERBACKS Libri informativi, aggiornati e chiari, per rispondere alle esigenze e alle curiosità culturali di chi studia e di chi ritiene che nella vita non si smetta mai di imparare.
Un paradosso è una contraddizione che non riusciamo a eliminare: un uomo risulta essere vivo e morto, un oggetto sembra esistere e non esistere, una proposizione è vera e falsa contemporaneamente, e non c'è modo di risolvere il problema e prendere una decisione. Che cosa dobbiamo fare di fronte a evidenze di questo tipo? l'autrice suggerisce una risposta, esplorando Le più recenti teorie filosofiche sull'argomento e compiendo una ricognizione ragionata nel territorio dei paradossi oggi più frequentemente studiati. la Lettura non richiede specifiche conoscenze di Logica: ogni formalizzazione è immediatamente tradotta in termini informali e comprensibili per chiunque. Franca D'Agostini insegna Filosofia della scienza al Politecnico
Analitici e continentali (Milano 1997), Breve storia della filosofia nel Novecento (Torino 1999), Logica del nichilismo (Roma-Bari 2000), Disawenture della verità (Torino 2002), Le ali al pensiero. Corso di logica elementare (Torino 2003). Con Carocci editore ha pubblicato Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza. Dieci lezioni sulla filosofia contemporanea (2005).
di Torino. Tra i suoi Libri,
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ISBN 978-88-430-5112-0
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293
Nella stessa collana Le parole della filosofia contemporanea a cura di Luciano Floridi e Gian Paolo Terravecchia Dario Palladino Claudia Palladino
Logiche non classiche. Un'introduzione Achille C. Varzi
Parole, oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica Barbara Giolito
Intelligenza artificiale. Una guida filosofica
l lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Ca rocci editore Corso Vittorio Emanuele Il, 229 00186 Roma, telefono 06 42 81 84 17, fax 06 42 74 79 31
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Franca D'Agostini
PARADOSSI
Carocci editore
3• ristampa, maggio 2014 1• edizione, settembre 2009 ©copyright 2009 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari ISBN
978-88-430-5112-0
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,
è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.
Indice
Introduzione
II
Simboli e altre convenzioni
I3
Parte prima Premesse r.
Che cosa è un paradosso?
19
r.r.
Due definizioni La definizione qui adottata
19 21
2.
Che cosa è una contraddizione?
27
2.r.
Esempi Precisazioni su contrarietà, inconsistenze, autocontraddizioni
27
Contraddizioni irriducibili
33
Neutralizzare le contraddizioni
33
Due tipi di paradossi
37
r.2.
2.2.
3· p. p.
r.2.r.
p.r.
3.2.r.
Esempi l 1.2.2. Una classificazione
Dissoluzione l 3.1.2. Riduzione
Affinità tra le due forme l p.2. Ricapitolazione
29
Parte seconda Quasi-paradossi 4·
Paradossi falsidici
45
4.1.
Paradossi veridici e falsidici
45 7
PARADOSSI
Dalle fallacie ai paradossi Oggetti impossibili?
46 50
5·
Condizionali difettosi
57
p.
5 . 2. H·
La bottega del barbiere e altre illusioni cognitive Le ragioni degli errori Logica e pensiero comune
57 6o 62
6.
Probabilità
67
6.r. 6. 2. 6.3.
I taxi di New York Due tre e tre due La Bella Addormentata
67 69 72
7·
Domande che vincolano la risposta e regole che obbligano a disobbedire
79
{.2. 4-3·
4·3·!. Raffigurare contraddizioni l 4.3.2. Percepire contraddizioni
6.p. Ricostruzione l 6.3.2. Sinossi
7· !. 7.2. 7-3· 7+
Il paradosso della domanda La domanda migliore Domande autoreferenziali e materiali Unexpected hanging
79
8.
Dilemmi
89
8.r. 8. 2.
Forma e origine dei dilemmi La soluzione dei dilemmi e i paradossi
89 93
9·
Prigionieri
99
9·!. 9.2. 9 · 3· 9+
Il dilemma di Newcomb Il dilemma del prigioniero Altri dilemmi dell'azione sociale Dalla morale alla metafisica 8
8o 82 85
99 IO! 104 107
INDICE
IO.
Evidenze paradossali
III
IO.I. I0.2.
La verità e altri concetti Il paradosso della conoscibilità
III II6
Onniscienza e onnificienza Che cosa prova la prova di Fitch?
I20 I22
I0-3IO+
ro. 2.r.
La prova di Fitch-Church l 10.2.2. Strategie
Parte terza Mentitori e soriti II.
Mentitori
127
II.I. II.2. II.3. I1.4.
Varianti Come è fatto il mentitore Dinamica Mentitori senza negazione e senza autoriferimento
129 I3I I33 I37
I2.
Soluzioni
I43
I2.I. I2.2.
La soluzione gerarchica Truth value gap
I43 I46
12.3.
11.4.r. Il paradosso di Curry l 11.4.2. Il paradosso di Yablo l Cattura e rilascio
12.2.r.
Vendette l 12.2.2. Lo schema
T
Truth value glut
n.J.r.
1!.4-3-
Dialeteismo l 12.3.2. Esplosione
l 12-3-3-
151 Il dialeteismo e la
verità 12-4.
Quante contraddizioni?
13.
Soriti
13.1.
Forma e genesi del sorite
13.2.
13-I.I.
13.2.r.
13-3-
Parti e proprietà discrete l IJ. I.2. Il paradosso di Wang
Generalizzazione del problema Tutto è vago? l 13. 2.2. Diagnosi
Supervalutazionismo e logica fuzzy 9
1 68
PARADOSSI
14.
L'importanza pubblica della vaghezza
!77
14.!. 14.2.
Il dualismo oggetti-proprietà Perché è importante il problema della vaghezza
!77 179
Conclusioni
183
Elenco dei paradossi e quasi-paradossi trattati
189
Note
191
Riferimenti bibliografici
197
IO
Introduzione
Nell' analisi dei paradossi la filosofia ha fatto di recente molti passi in avanti. Buona parte della letteratura relativa però è poco nota al largo pubblico e agli studiosi di discipline che non siano strettamente interes sate al tema. Lo scopo di questo libro è offrire una ricognizione ragiona ta nel territorio dei paradossi oggi più frequentemente studiati, cercando di evidenziare che cosa, nei diversi casi, sia rilevante da un punto di vista filosofico generale, ossia comprensibile e interessante per chiunque. TI libro non prevede specifiche conoscenze di logica (e di epistemologia, di metafisica, di analisi del linguaggio) : ogni tipo di formalizzazione è im mediatamente tradotta in termini informali e normalmente comprensibili; i riferimenti a tesi tipiche della filosofia analitica sono resi il più possibile tra sparenti. Nelle pp. 13-6 vengono presentati in sintesi i simboli e le conven zioni terminologiche utilizzati nel seguito, in modo che chi dimenticasse il significato di un termine o un simbolo possa ritrovarlo rapidamente. Ecco in breve i contenuti del libro. La prima parte (CAPP. 1-3) è de dicata ai preliminari teorici generali, utili per orientarsi nei capitoli suc cessivi. Viene suggerita una definizione di "paradosso " , come contrad dizione resistente, ossia difficile da eliminare. Di fronte a un paradosso mi trovo a dover pensare o dire che un oggetto esiste e non esiste, ha e non ha una certa proprietà, o a dover compiere l'azione a e anche l'a zione � . ma non poter compiere l'una e l'altra, oppure mi trovo a dover credere che la proposizione p sia vera e che nello stesso tempo sia vera non-p, e non sembra esserci modo di scegliere o di aggirare il problema. Si esplorano quindi le tecniche comunemente usate per neutralizzare le contraddizioni e le forme in cui si presentano le contraddizioni irriduci bili, ossia i "veri" paradossi. È evidenziata una distinzione molto gene rale tra i paradossi che generano la forma "p se e solo se non-p " , ossia: " se p è vera allora è falsa, e se è falsa è vera" (il mentitore, e in generale le antinomie) e paradossi in cui tanto da una proposizione p quanto dal la sua negazione si deriva una certa conclusione q, che è una contraddi zione, o è falsa, ossia contraddice quel che sappiamo per certo (sono ri conducibili a questa forma gli argomenti noti come soriti) . II
PARADOSSI
Nella seconda parte, che comprende i capitoli dal 4 al w, inizia pro priamente il lavoro di ricognizione e vengono presi in esame argomenti e situazioni quasi-paradossali, ossia casi in cui la contraddizione "resiste" , m a solo fino a un certo punto: fino a quando non s i è capito e dimostrato che il conflitto è solo apparente, per esempio perché si deve a un errore preliminare di valutazione, o è basato su un uso discutibile delle parole, o sull'esistenza di diversi parametri che possono convivere, o più semplice mente perché uno solo dei due termini contraddittori sussiste o è vero. L'ultima parte (CAPP. n-14) riguarda i paradossi più difficili da risol vere: il mentitore e le sue varianti; il sorite e altri casi analoghi. Vedremo la struttura dei due tipi di paradossi e le soluzioni (e interpretazioni) pro poste per entrambi. Si vedrà inoltre che le due forme hanno affinità, ma i problemi in gioco sono diversi: nel caso del mentitore e di altre anti nomie siamo di fronte a problemi di chiusura, o di materialità (il lin guaggio parla di sé stesso) ; nel caso delle contraddizioni del tipo del so rite siamo di fronte a un problema di confini, o di limiti (il punto in cui una cosa cessa di essere o inizia a essere quel che è; inizia ad avere o smet te di avere una certa proprietà) . Un libro di questo tipo si estende in ampiezza più che in profondità. Per ciascun tema trattato in ciascun capitolo si potrebbe scrivere una mo nografia. Lo scopo del volume in effetti è offrire una visione generale, che fornisca il punto di avvio per studi ulteriori. Ciò non toglie che in alcuni casi (quelli che reputo più importanti) l' analisi si sviluppi in modo leg germente più approfondito. Inoltre, i paradossi trattati non sono tutti quelli che sarebbe possibile esaminare: mancano per esempio, tra i casi più classici, i paradossi della conferma ( di Hempel e di Goodman), e manca una trattazione specifica sui paradossi dell'infinito. Questi e altri paradossi (o quasi tali) di cui non si parla nel libro sono stati però ogget to di ampie analisi in anni recenti; dunque un lettore di normali compe tenze non avrà difficoltà a trovare risorse per informarsi ulteriormente. Le conclusioni collocano l'intero discorso all'interno di un quadro culturale più ampio, che riguarda il senso e l'utilità delle teorie sui para dossi negli ultimi decenni. Riconsiderano inoltre i principali risultati del percorso compiuto, cercando di riflettere più in generale su ciò che i pa radossi propriamente "insegnano" . Ringrazio Achille Varzi e l' Istituto di Scienze Umane di Firenze che mi hanno accompagnato e sostenuto in una fase decisiva del lavoro. Sono grata a France sco Berta, Davide Fassio, Elena Ficara ed Elisa Paganini che hanno commenta to parti e versioni diverse del libro. Un ringraziamento particolare va ai miei stu denti del Politecnico di Torino, che hanno discusso con me tutti i paradossi e quasi-paradossi qui citati (e altri) . n libro è dedicato a mia sorella, Alessandra D' Agostini, in memoria. !2
Simboli e altre convenzioni
Enunciatz!proposizionz!credenzelstati di cose
Le lettere p , q, p, a e altre simili stanno per enunciati, come "il gatto è sul divano" o "Dio esiste". Un enunciato è una formulazione linguistica dotata di senso compiuto e che può essere vera o falsa. Nel testo "enunciato" e "proposizione" vengono usati come equiva lenti (salvo in casi di possibile equivocazione), tenendo conto però che una proposizio ne è il contenuto di un enunciato (ossia ciò che propriamente è vero o falso): "it rains" e "piove" sono due enunciati, con una sola proposizione. Si presuppone che un enuncia to esprima una credenza relativa a uno stato di cose. Uno stato di cose è ciò che rende ve ra una proposizione. Dunque a volte parleremo della "credenza a" e dello "stato di co se a". Per esempio se dico "Dio esiste" esprimo la mia credenza che Dio esista, mentre è l'esistenza eventuale di Dio che rende vera la mia proposizione. Ragionamentz!argomentz; validità/correttezza
Un ragionamento è la derivazione (o inferenza) di enunciati-conclusioni da enunciati-pre messe. Un argomento è in senso stretto la versione pubblica, intersoggettiva, di un ragio namento, o anche: un ragionamento rivolto a un interlocutore e destinato a convincerlo della verità della tesi-conclusione. Nel testo i due termini vengono usati come equivalenti. Un argomento o ragionamento è valido se rispetta le regole logiche, è corretto(sound) se oltre a essere valido ha anche premesse vere rispetto al nostro mondo. Per esempio: "Ro ma è la capitale d'Italia, dunque:il tuo aereo non può atterrare a Roma senza atterrare in Italia" e "Mosca è la capitale degli Stati Uniti, dunque: il tuo aereo non può atterrare a Mo sca senza atterrare negli Stati Uniti" sono entrambi validi, ma solo il primo è corretto. Operatori enunciativi A: congiunzione (es. p 1\ q= "il gatto è sul divano e Dio esiste") v: disgiunzione (es. p v q= "il gatto è sul divano o Dio esiste") �: condizionale (es. p� q= "se il gatto è sul divano allora Dio esiste") H: bicondizionale (es. p H q= "il gatto è sul divano se e solo se Dio esiste") -.: negazione (es. -,p= "il gatto non è sul divano") in un condizionale p� q l'enunciato p è detto antecedente e q è detto conseguente;
un bi condizionale equivale a due condizionali con antecedente e conseguente invertiti: p H q
=(p�q)A(q�p) �: segno di inferenza (es. p, q�p
1\ q= da p, q consegue o deriva che p 1\ q) : :indicatore di conclusione (come "dunque") .
13
PARADOSSI
Regole di inferenza
MP: modus ponens(p� q, p �q) MT: modus tollens (p� q, -q� -.p) SI: sillogismo ipotetico(p �q, q� r�p � r) so: sillogismo disgiuntivo (p v q, -.p �q) Agg. oppure !A: regola di aggiunzione, o introduzione di A (p , q�p A q) EA:
eliminazione di A(p A q�p)
Iv: introduzione di v (p�p v q) DeM: regole di De Morgan (-,(p
A q)�-.p
v -.q e -.(p v q) �-.p A -.q)
Nomi e predicati
Le lettere a, b, m, n stanno per nomi, indicanti oggetti(qualsiasi cosa che possa avere pro prietà, ossia possa essere caratterizzato, dunque: cose, persone, proprietà, relazioni, pro posizioni, eventi, entità astratte ecc.). Es. m = Maria, a = la bambina della terza fila P, Q, R stanno per predicati, indicanti proprietà di oggetti Es. P= piangere, Q= essere biondo Pm= Maria piange Qa= la bambina della terza fila è bionda Quanti/icatori x, y, A.: variabili indicanti oggetti \;/: quanti/icatore universale= "tutti i..." ::3: quanti/icatore esistenziale= " qualche ... ", o "c'è almeno un. . . " Es. (tutti) gli uomini sono mortali= \lx(Ux�Mx) (per qualsiasi oggetto x, se x è un uo mo, allora x è mortale) qualche gatto sorride=:lx (Gx A Sx) (c'è qualche oggetto x che è un gatto e sorride) nessun uomo è mortale= \lx(Ux� ---.Mx ) (per qualsiasi oggetto x, se x è un uomo, allo ra x non è mortale) qualche gatto non sorride=:lx (Gx A ---.5x) (c'è qualche oggetto x che è un gatto e non
sorride)
EV: regola di eliminazione di\;/ ( dato \lx (Ux �Mx) posso inferire: Ua �Ma) (dato Ga posso inferire: :lx Gx)
B: regola di introduzione di :l
(jl, = variabili indicanti proposizioni indicanti predicati Es. qualche proposizione è vera=:lqlV(jl; ogni proposizione è vera=VqlVql; se qualche pro posizione è vera, allora qualche proposizione non è vera= ::lql Vql� ::3---. V
, 'P =variabili
Leggi logiche
LNC: legge di non-contraddizione= -.(a A -.a) TE: legge del terzo escluso= a v -.a (bivalenza: Va v fa) Schema T
V "p " H p = la proposizione espressa da "p" è vera se e solo se p (es. "il gatto è sul diva no" è vero se e solo se il gatto è sul divano). Per comodità nel testo le virgolette sono eli minate: ma si intenda che il predicato Vx (x è vero) indica una proprietà di proposizioni o credenze, espresse da enunciati (e non una proprietà di stati di cose) . 14
SIMBOLI E ALTRE CONVENZIONI
Operatori modali ed epistemici op
=è necessario che p (in tutti i mondi possibili sussiste lo stato di cose p) è possibile che p (in alcuni mondi possibili sussiste lo stato di cose p) Kp =so che p oppure: l'agente epistemico sa che p Pp=l'agente epistemico pensa che p Cp =l'agente epistemico crede che p Ap =l'agente epistemico si aspetta che p Op =
Probabilità
P( a): la probabilità che si verifichi l'evento (stato di cose) a; la probabilità che la creden za-proposizione a sia vera. La P(a) (probabilità di a) è data da un numero tra o e I, estremi inclusi, che esprime il rapporto tra la frequenza di a e la totalità dei casi possibili, e conseguentemente la probabilità che la proposizione a sia vera. Se P( a)= o,8 allora a è molto probabilmente vera; se P( a)= 0,2, a è molto probabilmente falsa. P( a A�)= P( a) x P(�) (per eventi incompatibili) P( a v�) =P( a) +P(�) (per eventi indipendenti) P(-,a) =I- P( a), da cui il principio di complementazione P( a) +P(-,a) =I (la probabilità di a + la probabilità di -.a ha valore I) Autocontraddizioni e auto/ondazioni Un'autocontraddizione è un argomento che da a deriva -.a; un'auto/ondazione è un ar gomento che da -,a deriva a CM consequentia mirabilis: (a� -.a) �-.a (se a implica -.a, allora a è falsa) ha� a) � a (se -.a implica a, allora a è vera) -
Riduzioni all'assurdo (RAA)
a� (� 1\ --,�) �-.a (riduzione normale) a� -.a� -.a (riduzione per autocon/utazione) Frecce per indicare in/erenze
A volte la relazione di inferenza è espressa con frecce. Es. : -.a
1\ \1
Parte prima Premesse
I
Che cosa è
un
paradosso?
I. I
Due definizioni
Il termine "paradosso" si usa genericamente per indicare una tesi, una opinione o una teoria, contraria alla doxa, ossia quel che (a torto o a ra gione) è ritenuto vero. Da questo punto di vista è un paradosso qualsia si evidenza contro-intuitiva, qualsiasi teoria bizzarra o insolita. Inten dendo il termine in un senso un po' più tecnico, sono isolabili nella let teratura due principali definizioni di paradosso: un paradosso è un argomento apparentemente corretto (sound) con una con clusione inaccettabile; un paradosso è una domanda con due (o più) risposte, o un problema con due (o più) soluzioni.
La prima è la definizione oggi più comunemente usata, e considerata ca nonica nella filosofia analitica; la ritroviamo, con qualche variazione, in Quine (1962) , in Mackie (1973), in Sainsbury (1995), nelle indagini generali e nei repertori. La seconda è meno frequente, ma è più antica, e ha domi nato a lungo nella tradizione. I primi paradossi erano formulati come do mande rivolte a un interlocutore e destinate a metterlo in difficoltà perché ammettevano due risposte contraddittorie. Diogene Laerzio nelle Vi"te dei filosofi (n, ro, ro8) ci dice espressamente che Eubulide, esponente della scuola dei Megarici, creò gli «argomenti dialettici» noti come "il mentito re" , "il velato" , "il calvo", "il cumulo", «presentandoli in forma di doman da». Chi dice di mentire sta mentendo o no? Se un uomo con tre capelli è calvo, anche un uomo con quattro capelli è calvo? E un uomo con cinque? La vittima di Eubulide non poteva rispondere né sì né no, e se rispondeva in un senso o nell'altro diceva il falso o cadeva in contraddizione. Non c'è una vera rivalità tra le due definizioni. Se esaminiamo i pa radossi più classici e noti ci accorgiamo che entrambe funzionano per19
PARADOSSI
fettamente. Per esempio nel caso del paradosso di Achille e la tartaruga 2 la tesi inaccettabile è: Achille non vincerà la corsa e l'argomento che la di fende è: Achille non vince, perché non riuscirà mai a colmare gli infini ti intervalli che compongono il vantaggio della tartaruga (più in genera le: perché chi parte prima non verrà mai raggiunto) . La domanda è in vece: Achille vince?, e abbiamo le due risposte: sì, perché è evidente mente il più veloce; no, per l' argomento di Zenone. Lo stesso vale per il paradosso del mentitore (cfr. PAR. 11.3) e per altri casi paradossali. In ge nerale dunque uno stesso paradosso può essere ricostruito in forma di argomento corretto con conclusione assurda o in forma di domanda in sidiosa, con due risposte. A volte la forma- domanda è più naturale e in tuitiva, altre volte lo è la forma-argomento 3• Ciascuna delle due definizioni individua inoltre un aspetto caratteri stico dei fenomeni di cui ci stiamo occupando. La prima ci dice che un paradosso implica l'obbligo logico di accettare qualcosa che non voglia mo (o non possiamo) accettare. Se un argomento sembra corretto (cioè formalmente valido, e dotato di premesse vere), secondo logica la sua conclusione deve essere accolta come vera, e se non possiamo accettarla, perché ci risulta falsa o insensata, c'è qualcosa che non va (in noi, nell' ar gomento, o nella logica stessa) . La seconda definizione dà conto invece di una conseguenza tipica dei fenomeni paradossali: il fatto che di fronte a un paradosso si generano sempre e quasi meccanicamente ( almeno) due vie, due risposte, due soluzioni, e siamo tipicamente indotti a dire: è co sì, ma anche nel modo opposto; è così, ma nello stesso tempo non è così. Abbiamo allora un eccesso epistemico: troppe risposte a una domanda, troppe soluzioni per un solo problema, e non riusciamo a deciderci. Entrambe le definizioni però sono discutibili, e sono state discusse4• Se ci limitiamo alla prima, non siamo in grado di distinguere tra para dossi e fallacie, ossia argomenti che contengono qualche trappola na scosta, e perciò sembrano corretti, ma non lo sono. Né riusciamo a di stinguere i paradossi dai casi in cui siamo noi a sbagliarci: la conclusio ne è semplicemente vera, per quanto possa sembrare falsa o insensata. Per esempio il "paradosso" del sistema copernicano sembrava tale ma non lo era realmente: erano la Chiesa, e la scienza dominante nel tempo di Galilei, a considerare le sue conclusioni inaccettabili. Come si vedrà, nel primo caso abbiamo quelli che si possono chiamare paradossi "falsi dici", nel secondo abbiamo i paradossi "veridici" , in base a una distin zione suggerita da Quine (cfr. PAR. 4.1). In entrambi i casi però l'effetto paradossale è solo transitorio e apparente. Si tratta di errori: sbaglia l' ar gomento o sbagliamo noi. Quanto alla seconda definizione, le domande con più risposte o i problemi con più soluzioni che ci capita di dover affrontare sono molti 20
I. CHE COSA È UN PARADOSSO?
e di diversi tipi. Per esempio: i dilemmi sono tipicamente problemi con due risposte, ma esiste (o dovrebbe esistere in linea di principio) una dif ferenza tra paradossi e dilemmi (cfr. CAP. 8 ) . Inoltre, quasi tutti i proble mi filosofici fondamentali hanno due o più soluzioni (è ciò che Kant chiamò " antitetica della ragion pura" ) . Per esempio: esistono verità pri me, che fondano tutte le altre e non sono fondate da nessun'altra? I.: an tico dibattito tra fondazionalisti e anti-fondazionalisti ci dice che le ri sposte alla domanda sono (o sembrano essere) più di una. Nel seguito del libro incontreremo fallacie paradossali, paradossi che sono in realtà errori, dilemmi e quasi-paradossi filosofici, e le diffe renze verranno chiarite analiticamente. Ma intanto è necessario misu rarsi con un' altra definizione, che forse individua meglio quale sia il re quisito specifico che rende paradossale un argomento o una domanda. 1.2 La definizione qui adottata
Chiediamoci: quando esattamente una conclusione risulta davvero inac cettabile? Quando avere più risposte a una domanda o più soluzioni per un problema risulta problematico ? La risposta è piuttosto semplice: quando c'è di mezzo una contraddizione. La conclusione di un argomen to è inaccettabile perché contraddice qualcosa che reputiamo vero, op pure perché è essa stessa una contraddizione; le risposte a una doman da, o le soluzioni di un problema, generano un autentico conflitto quan do sono incompatibili, cioè si escludono reciprocamente, e non ci sono altre possibilità (cfr. CAP. 2) . La definizione che tenderemo qui ad adottare è allora la seguente: un paradosso è un argomento, una domanda, una opinione, o anche una situa zione (è indifferente quale sia il punto di partenza) , che genera una contraddi zione resistente, di cui non riusciamo a disfarci.
Più brevemente: un paradosso è una contraddizione resistente.
È questa una definizione che più o meno esplicitamente ispira la lette ratura recente su paradossi e logiche non-classiche5• Ma più in generale, è abbastanza intuitiva l'idea che l' aspetto interessante e caratteristico dei paradossi sia il fatto imbarazzante (e sorprendente) di una contraddi zione che per qualche ragione risulta ineliminabile: le cose stanno così, 2!
PARADOSSI
ma anche nel modo opposto; devo agire in un certo modo, ma anche in modo completamente diverso, devo credere che p sia vera, ma devo an che credere che non lo sia affatto. Scrive Wittgenstein nelle Ricerche fi losofiche (parr. 112-3): «Ma non è cosi! diciamo. Ma deve pur essere cosi! [ . . .] Eppure è cosi! ripeto continuamente a me stesso». Questa terza definizione non esclude le precedenti, si limita a spe cificarle, e anzi, mette d'accordo l'una e l'altra rendendo esplicito ciò che hanno in comune. La presenza di una contraddizione è infatti l'e lemento più problematico (e più "paradossale" ) tanto negli argomenti insidiosi, che sembrano ineccepibili ma hanno conclusioni assurde, quanto nelle questioni insolubili, su cui non riusciamo a prendere una decisione 6•
1.2.1. ESEMPI
Nei CAPP. 2 e 3 chiariremo che cosa sia esattamente una contraddizione e in quali modi possa risultare ineliminabile o difficile da eliminare. Ma prima di procedere è utile iniziare a confrontarsi (e a confrontare le tre de finizioni) con alcuni esempi più e meno noti di paradossi o presunti tali. [r]
Consideriamo queste due asserzioni:
l'asserzione seguente ha lo stesso valore di verità di questa asserzione i cavalli volano Se la prima asserzione è vera, allora anche la seconda è vera, perché deve avere lo stesso valore di verità. Se la prima è falsa, devono avere valore di verità di verso, e perciò la seconda è vera. Dunque necessariamente, inequivocabilmen te: i cavalli volano.
È questa una variante del paradosso di Curry, o di Curry-Lob, di cui par leremo meglio più avanti (cfr. PAR. n+r ) , e si adatta benissimo a tutte e tre le definizioni. Ci troviamo di fronte alla conclusione perlomeno biz zarra di un argomento ineccepibile: dobbiamo riconoscere che i cavalli volano. D'altra parte, se ci chiediamo "i cavalli volano? " dobbiamo ri spondere no, perché sappiamo che non volano, e sì, perché l'enunciato a quanto pare deve essere vero. Ma il vero motivo per cui diciamo para dossale la combinazione delle due asserzioni è il fatto che la seconda è falsa, e siamo di fronte a una contraddizione: i cavalli volano, ma sap piamo bene che non volano affatto. Se la seconda asserzione fosse "2 + " 2 = 4 oppure "Napoleone morì a Sant'Elena" dovremmo comunque ti conoscerla vera, ma il farlo non ci costerebbe molto 7• 22
I. CHE COSA È UN PARADOSSO?
[2] Un anziano professore, illustre studioso ma di salute cagionevole, pro pone a un suo studente, ignorante ma giovane e altetico, di effettuare un tra pianto e scambiarsi i cervelli: il giovane avrà il suo proprio corpo ma con un brillante e dottissimo cervello; il vecchio avrà il proprio cervello, ma con un corpo giovane e in ottima salute . Chi rimarrà però con il corpo vecchio e il cer vello vuoto?
Questo è un quasi-paradosso molto noto, che esiste in moltissime ver sioni8. Non è facile vedere subito all'opera l'argomento con la conclu sione inaccettabile, come è previsto dalla prima definizione. È abba stanza evidente invece che la domanda " chi ci guadagna? " ha due ri sposte: se l'identità di un essere umano risiede nel corpo, cambiando cer vello si acquista un cervello nuovo, dunque ci guadagna lo studente; se risiede nel cervello, trasferendo il proprio cervello si acquista un nuovo corpo: ci guadagna il professore. Abbiamo allora non un argomento, ma due, apparentemente buoni, con conclusioni tra loro incompatibili, e di qui emerge la contraddizione. Naturalmente, tutto sta nel decidersi cir ca la natura dell'identità personale ( cfr. anche PAR. 3 .2), e se e fino a quando non è chiaro quale sia la scelta giusta, è prudente perlomeno non accettare proposte riguardanti i trapianti di cervello. [3] Ci sono tre scatole, e ciascuna contiene due monete . Sappiamo che in una scatola c'è una moneta d'oro e una d'argento, in un' altra ci sono due monete d'argento, nella terza ci sono due monete d'oro: OA
AA
00
2
3
Non si conosce il contenuto delle scatole, ma ciascuna ha due scomparti sepa rati per le due monete, dunque è fatta in modo tale che si possa vedere una mo neta senza vedere l'altra. Supponiamo di scegliere una scatola e di vedere che una delle due monete è d'oro. Quante sono le probabilità che l'altra moneta sia anche d'oro? Sembrerebbe che siano una su due: esclusa la scatola 2, la presen za di una moneta d'oro ci dice che abbiamo scelto r oppure 3 · Ma non è così: le probabilità che si tratti della scatola 3 sono due su tre. La moneta da noi trova ta infatti può essere la prima della scatola 3, o la seconda della scatola 3, o la so la moneta d'oro della scatola r: in un solo caso su tre dunque la scatola prescel ta sarà la r.
È il paradosso delle scatole di Bertrand, escogitato dal matematico J oseph Bertrand nell'Ottocento (cfr. CAP. 6). Sembra rientrare nella prima de finizione perché può risultare inaccettabile la conclusione; e anche nel la seconda, se si ammette che esistono comunque due risposte, ossia rh e 2/3 . Ma non è un vero paradosso: la conclusione finale è in verità 23
PARADOSSI
perfettamente accettabile. Il caso risulta paradossale però nella misu ra in cui e fino a quando la contraddizione resiste, cioè se e fino a quan do non si sia interamente persuasi che la risposta " due su tre" è dav vero quella giusta. [4] I due prigionieri X e Y non possono comunicare tra loro, però si cono scono molto bene e normalmente si comportano nello stesso modo. Vengono posti di fronte al seguente dilemma: se premono il pulsante A, guadagnano r. ooo euro, se premono il pulsante B, non guadagnano niente ma l'altro prigioniero guadagna 10.ooo euro. Che cosa conviene fare? Se X sceglie il pulsante A, si danno due possibilità: se Y fa lo stesso X guadagna r.ooo euro; se invece Y ha scelto diversamente X guadagna n.ooo euro (il risultato in assoluto migliore) . Se X sceglie B, se Y ha scelto A, X non guadagna niente, se Yha scelto E, X guadagna 10.ooo euro. Con viene scegliere A. Ma se X sceglie B, Y farà lo stesso, dunque X guadagnerà 1 0 . ooo euro; se X sceglie A, Y farà lo stesso, dunque X guadagnerà solo r . ooo euro. Conviene sce gliere B.
Questo è invece un dilemma ed è una variante combinata dei dilemmi di Newcomb e del prigioniero (cfr. CAP. 9), che si deve a Graham Priest (2o02) . Vediamo bene i due argomenti che portano a due conclusioni perfettamente legittime e incompatibili, e quindi la domanda con due ri sposte. È facile far rientrare l'esempio tanto nella prima quanto nella se conda definizione. Rispetto alla terza, come vedremo, i dilemmi non ri solvibili sono paradossi, generano cioè contraddizioni resistenti. Dun que il nostro caso 4 è un paradosso, che si presenta nella forma di un con flitto pratico. [5]
Ci sono due errori in in questa frase
Nella frase in realtà c'è un solo errore: la ripetizione di "in " . Ma se c'è un solo errore, allora ce n'è un altro, perché la frase dice invece che gli errori sono due . Dunque ci sono due errori. Ma se gli errori sono due , allora non c'è il secondo errore, perché la frase dice effettivamente che ci sono due errori: dunque l' er rore è uno solo.
È questo un paradosso del tipo del mentitore, ossia, come vedremo, un'antinomia (cfr. CAP. n ) . Come il mentitore e tutti i paradossi analo ghi, rientra perfettamente in tutte e tre le definizioni: c'è l' argomento doppio con le due conclusioni incompatibili, ed è possibile formulare la domanda: " quanti errori in definitiva ci sono ? " , a cui risponderemmo con ottime ragioni tanto " uno" quanto " due " . 24
I. CHE COSA È UN PARADOSSO?
1.2.2. UNA CLASSIFICAZIONE
Questi e molti altri paradossi o quasi-paradossi verranno esaminati det tagliatamente nel seguito. Per ora, tenendo conto della nostra definizio ne, e riflettendo su questi esempi, possiamo riconsiderare brevemente una questione antica e controversa: la classt/icazione dei paradossi. Quanti e quali tipi di paradossi esistono? C'è chi distingue i paradossi in base ai contenuti (della probabilità, dell'economia, della morale, epistemici, logici ecc.), chi li isola in base al le speciali funzioni che mettono in gioco (per esempio sel/-re/erential pa radoxes) e chi si uniforma alla distinzione classica, riconducibile a Ram sey (1925 ) , di paradossi "semantici " e "logici" o meglio set-theoretic. La classificazione che verrà adottata in questo libro è diversa, e si ba sa sull'evidenza più o meno irriducibile della contraddizione. Ci trove remo di fronte a un buon numero di casi semi- o quasi-paradossali, più precisamente: errori che sembrano paradossi (come il caso [3] ) ; dilem mi, ossia paradossi "pratici" (come il [4] ); perplessità filosofiche che ge nerano argomenti con conclusioni incompatibili (come l'esempio [2] ) , In ciascuno di questi casi vedremo che l a contraddizione " resiste" , ma solo fino a un certo punto: fino a quando non si è rivelato l'errore, o la trappola nascosta, o fino a quando non si sono trovate nuove informa zioni che permettono di eliminare il conflitto e prendere una decisione, oppure fino a quando non ci si accorge che è in gioco un uso particola re delle parole, o sono attivi pregiudizi filosofici non del tutto accettabi li; oppure (è questo il caso dei paradossi dell'infinito) quando si scopre che la contraddizione appartiene a un regime speciale, in cui quel che a condizioni normali si giudica contraddittorio non lo è realmente. I veri paradossi, che presentano contraddizioni irriducibili (o presu mibilmente tali), sono poi classificabili in due grandi famiglie, identifi cate sulla base dei modi di resistenza della contraddizione, e a cui ap partengono i paradossi simili al nostro esempio delle due asserzioni (il caso [I] ) e le antinomie, come il caso [5] (su questa classificazione cfr. PAR. 3.2. 2) .
25
2
Che cosa è una contraddizione?
2.1 Esempi
Ecco alcuni esempi di contraddizioni: un oggetto esiste e non esiste, c'è e non c'è, nello stesso tempo; un oggetto ha la proprietà , ma ha anche la proprietà 'f', che esclude ; una proposizione è vera e falsa (ossia: è vera, e la sua negazione è anche vera) ; un individuo sostiene che p e sostiene anche che non-p (dove p sta per un enunciato dichiarativo come " Dio esiste" o "il gatto è sul divano " ) ; devo compiere l'azione a e non posso compierla (per esempio, perché de vo anche compiere �, che toglie le condizioni di a); desidero À., ma non lo desidero affatto (perché non posso o non devo desi derarlo, oppure perché desidero anche y, che esclude À.).
Sui diversi tipi di contraddizioni, e i diversi modi di definirle, esiste una vasta letteratura. Si usa distinguere le contraddizioni antologiche, che ri guardano l'essere o il modo d'essere degli oggetti (l'oggetto À esiste e non esiste, o ha e non ha una stessa proprietà) , dalle contraddizioni epistemi che, che riguardano le conoscenze o credenze (so o ritengo che p e so o ri tengo anche che non-p), dalle contraddizioni logiche, nella forma sintatti ca (p e non-p) e semantica (p è vero ed è vero anche non-p), e da quelle pra tiche (devo e non devo fare l'azione a). (Sui particolari di questa distin zione cfr. Berto, 2006, pp. 21- 5.) Quanto alle definizioni di contraddizione, Grim (2004) ha isolato circa 250 caratterizzazioni diverse, con una stima approssimativa per difetto (cfr. anche le considerazioni di Varzi, 2004) . In generale e per tutti però l'espressione "x contraddice y" indica: una relazione tra termini (in particolare stati di cose, o proposizioni) che sono reciprocamente esclusivi, e congiuntamente esaustivi.
Due termini sono reciprocamente esclusivi quando si escludono a vi cenda: se uno è vero (o sussiste o si verifica) , l'altro è falso (non sussiste,
PARADOSSI
non si verifica) . Due termini sono congiuntamente esaustivi quando non c'è una terza possibilità, ossia non possono essere entrambi non-veri (o non sussistere-verificarsi entrambi) . Per esempio: una porta non può es sere nello stesso tempo aperta e chiusa (esclusività) , e deve essere una co sa o l'altra (esaustività) . Oppure: un uomo è vivo o morto, non può es sere entrambe le cose (esclusività) o nessuna delle due (esaustività). Da questo punto di vista possiamo vedere bene che gli enunciati se guenti: questa rosa è rossa questa rosa è bianca
non si contraddicono anche se si escludono a vicenda. Supponiamo che io dica «la rosa tra i capelli di Maria è rossa» e Giacomo dica «no, la ro sa tra i capelli di Maria è bianca», evidentemente non siamo d'accordo, ma potremmo avere torto entrambi, per esempio se Maria avesse sui ca pelli una rosa gialla. I contenuti dei due enunciati sono mutuamente esclusivi ma non congiuntamente esaustivi: c'è almeno una terza possi bilità. In questo caso si parla di contrarietà più che di contraddizione. In vece tra: questa rosa è rossa questa rosa non è rossa
c'è contraddizione, e se io affermo il primo e Giacomo il secondo i casi sono solo due: ho ragione io, oppure ha ragione Giacomo. (Escludiamo per il momento i casi controversi, in cui per esempio sia in gioco un ros so che non è decisamente rosso, per cui potremmo avere ragione en trambi) '. Si ha allora una contraddizione, C, quando due termini contraddit tori sussistono contemporaneamente, o, se si tratta di proposizioni, sono (risultano essere) entrambe vere. Una rosa è rossa e non-rossa, una por ta è aperta e chiusa, un uomo è vivo e morto. Vediamo subito un inte ressante fenomeno: la C è essa stessa un oggetto contraddittorio, perché è semplicemente la concomitanza o la simultanea presenza di due fatti o fenomeni che per natura, per principio o per definizione non possono essere concomitanti o simultaneamente presenti. Ci limitiamo qui a lavorare sulle C che riguardano proposizioni (o enunciati, o comunque portatori di verità: cfr. supra, Simboli e altre con venzioni, pp . 13-6), come "piove " , oppure "il gatto è sul divano " , "Dio esiste" ecc. Indicando con la lettera p una qualsiasi proposizione, una C è dunque: "p e non-p " , oppure: "p è vera e non- p è anche vera " . Dal mo-
2. CHE COSA È UNA CONTRADDIZIONE?
mento che il falso equivale alla verità della negazione, l'ultima formula zione equivale a: "p è vera e falsa" . 2.2 Precisazioni su contrarietà, inconsistenze, autocontraddizioni
La relazione di contraddizione è espressa normalmente dalla negazione. In alcuni casi è semplice individuarla. In altri, ci possono essere delle perplessità. I. n primo caso da ricordare è la relazione tra proposizioni quanti/icate, ossia che includono espressioni come "tutti i . . . " , oppure " qualche . . . " . Per esempio, la contraddittoria di: "nessun uomo è calvo" non è "tutti gli uo mini sono calvi" . In effetti, entrambe le proposizioni possono essere (e di fatto sono) false. Invece c'è contraddizione tra: "nessun uomo è calvo" e " qualche uomo è calvo" . n " quadrato degli opposti" costruito dai medie vali a partire dal De interpretatione di Aristotele mirava appunto a chiari re le relazioni tra proposizioni quantificate ed era così concepito: 1.
tutti i P sono Q
2.
3·
qualche P è Q
4- qualche P non è Q
nessun P è Q
La relazione tra I e 2 è una relazione di contrarietà: possono essere en trambe false. Sostituendo per esempio a P " uomo" e a Q " calvo" abbia mo "tutti gli uomini sono calvi" e "nessun uomo è calvo" : due proposi zioni in contrasto tra loro, ma che come sappiamo sono entrambe false. La relazione tra 3 e 4 fu definita sub-contrarietà, ma si vede bene che tra " qualche uomo è calvo" e " qualche uomo non è calvo" non c'è né con traddizione né contrarietà: sono entrambe vere. La C sussiste solo tra I e 4 e tra 2 e 3, ossia è indicata dalle frecce in diagonale. 2. Una seconda precisazione riguarda la differenza tra inconsistenza e contraddizione. I termini sono considerati a volte intercambiabili, ma più propriamente sono chiamate inconsistenze le contrarietà, le C indi rette (o implicite) , le C a più termini, le C in un sistema o in un insieme di enunciazioni, che emergono in speciali contesti. In tutti questi casi possiamo dire che la C "non c'è", ma volendo e a particolari condizio ni è derivabile. C'è contrarietà ovvero inconsistenza ma non contraddizione tra enun ciati reciprocamente esclusivi ma non congiuntamente esaustivi . Per 29
PARADOSSI
esempio c'è contrarietà tra: "ci sono due gatti sul balcone" e " c'è un gat to sul balcone" . In effetti potrebbero essere falsi entrambi: i gatti in que stione potrebbero essere tre. Una contrarietà però può diventare C a con dizioni speciali. Per esempio, nel caso dei gatti sul balcone, c'è C se i gat ti a disposizione sono solo due, e almeno uno deve essere presente; allo ra le possibilità sono: c'è un solo gatto presente/ci sono tutti e due (que sto è il caso del paradosso dei due errori che sono in realtà uno, e se però sono un solo errore allora sono due: è l'esempio [5] indicato nel PAR. I. 2.r ) . Inoltre, posto che io dica: Giacomo è mio amico, ma mi è antipatico
in realtà non sto realmente contraddicendomi, ma la contraddizione emerge se io ammetto la regola secondo cui " x è amico di y solo se " y non trova antipatico x . Abbiamo in questo caso una inconsistenza pre dicativa, che diventa C in base a certe definizioni dei predicati coinvolti. Dato poi: A è preferibile a B, B è preferibile a C e C è preferibile ad A
abbiamo una collezione di enunciati forse singolarmente accettabili, ma che se presi insieme generano inconsistenza. Qui non c'è tanto la situazione " a e non- a " , perché i termini in gioco sono più di due. An che in questo caso però c'è una C a due termini, ma è di secondo ordi ne: è tra "la relazione di preferibilità è transitiva" e "la relazione di pre feribilità non (sempre) è transitiva" ( cfr. il paradosso di Condorcet, CAP. 9 ) . Si usa il termine "inconsistenza" anche per indicare quelle situazio ni in cui non sono esplicitamente dati i termini contraddittori, ma ci so no le condizioni perché si produca una C. Si parla di "insiemi inconsi stenti di leggi" per indicare una serie di norme che non possono essere rispettate simultaneamente. Per esempio: norma r: le donne devono avere la precedenza norma 2: i più anziani devono avere la precedenza
nel caso in cui si debba stabilire la precedenza tra un uomo di 50 anni e una donna di 40 si determina un conflitto pratico : impossibile ri spettare e far rispettare entrambe le norme (è questo il caso dei dilem mi: cfr. CAP. 8) . 3· In ultimo è utile tenere conto della differenza tra contraddizioni e autocontraddizioni. Un' autocontraddizione è un argomento così fatto : 30
2. CHE COSA È UNA CONTRADDIZIONE?
a partire da p si deriva non-p
assunta una certa tesi come vera, risulta che è vera la sua negazione. Esempi classici di autocontraddizioni sono : niente è vero tutto è relativo
se "niente è vero" è vero, allora qualcosa è vero, se invece non è vero, al lora comunque qualcosa è vero; se "tutto è relativo " è una verità assolu ta, allora non è vero che tutto è relativo, se d'altra parte è una verità re lativa, allora comunque ci sarà qualche verità assoluta, dunque non tut to è relativo (cfr. PAR. ro.r ) . Le tesi autocontraddittorie non comportano propriamente contrad dizioni: possiamo dire che sono semplicemente false, dunque: uno dei due termini può essere eliminato senza rimpianti. Un esempio chiaro è "mai dire mai " , che Rescher ( 20or ) considera un paradosso vero e pro prio, ma non lo è realmente: anzi, come tutte le autocontraddizioni, è un semi-paradosso, o un' antinomia a metà (cfr. PAR. 11.4.3 ) . L a tesi "Mai dire mai " (chiamiamola M) vuoi dire: "nessuna tesi che asserisca che c'è qualcosa che non può mai verificarsi o che non si può mai fare è asseribile veridicamente " . M potrebbe forse sembrare accet tabile (qualcuno potrebbe dire: niente esclude che possano un domani comparire, inesplicabilmente, cose che riteniamo inconcepibili e impos sibili, come quadrati rotondi . . . ) , ma il punto interessante è che ammet tendo che M sia vera ne consegue che: [6] M è vera Una tesi vera è asseribile veridicamente M è asseribile veridicamente (per r e 2) 4 Nessuna tesi che asserisca che c'è qualcosa che non può mai verificarsi o qualcosa che non si può mai fare è asseribile veridicamente (è quanto dice M) 5 M asserisce che c'è qualcosa che non si può mai fare (segnatamente: dire mai) 6 M non è vera (per 4 e 5)
2
Ne risulta che se M è vera, non può essere vera, come è provato da r a 6. L' autocontraddizione è evidente: se M allora non-M. Ma quale necessità abbiamo di accettare la tesi M? In verità nessuna (a meno che M non vo glia dire qualcosa di diverso da quel che di fatto dice) . Un altro esempio interessante è il paradosso di Lycan, presentato nel 1984 da William G. Lycan su "Pacific Philosophical Quarterly" : 31
PARADOSSI
[7]
Sia dato l'enunciato G: la maggior parte delle generalizzazioni sono false
Assumiamo che G sia vero. Se così è, la probabilità di verità di G è minore di 0,5: G è infatti una generalizzazione, e se la maggior parte delle generalizzazio ni sono false, G è molto probabilmente falso. Ma la probabilità che un dato enunciato sia vero, dato quell'enunciato, è I .
Dato G come vero, risulta che G è molto probabilmente faJso 2• Spesso nella letteratura le autocontraddizioni sono scambiate per paradossi, e in effetti può risultare sorprendente il caso di una proposizione che im plica la propria negazione. Ma non c'è alcun obbligo che ci vincoli ad ac cettare M, o G, oppure "niente è vero" : tutte e tre le tesi possono essere scartate in quanto auto- contraddittorie, senza problemi. Nel caso in cui, invece, la tesi di partenza, anche se autocontraddittoria, sembri per qual che ragione e in quaJche misura innegabile, ossia non si possa scartarla, ci troviamo di fronte a una contraddizione ineliminabile, e dunque a un paradosso o più propriamente un' antinomia (cfr. PAR. 3 .2) .
32
3
Contraddizioni irriducibili
3 ·1 Neutralizzare le contraddizioni
In logica, nella scienza e nella vita, se ci si trova di fronte a situazioni in cui un oggetto À sembra esistere e non esistere nello stesso tempo, oppure sembra avere una proprietà e nello stesso tempo non aver la; oppure una proposizione sembra tanto vera quanto falsa; o anche: risulta che devo compiere l' azione � ma non posso compierla, e altri casi simili, la procedura normale è cercare di neutralizzare la con traddizione. Esistono sostanzialmente due procedure per disfarsi di una con traddizione, che possiamo chiamare dissoluzione e riduzione. La disso luzione consiste nel mostrare che la C di fronte a cui ci troviamo non è veramente una C, perché i due termini non sono davvero esclusivi, o non sono davvero esaustivi, oppure sembrano concomitanti o simultanei, ma in realtà appartengono a regimi diversi, o si presentano in tempi diversi. La riduzione invece è il sistema normalmente previsto dalla logica: po sto che la C sia C effettiva, evidentemente c'è qualcosa che non funzio na nelle premesse che l'hanno determinata, c'è un errore, un postulato difettoso, che occorre eliminare. In questo caso abbiamo la riduzione al l'assurdo della premessa sbagliata o difettosa. Le due procedure non sono sempre chiaramente distinte: a volte una dissoluzione può essere interpretata come una riduzione, altre volte una riduzione ha forti componenti dissolutive. Possiamo stabilire che la dif ferenza consiste nel fatto che con la riduzione non si agisce sulla C, ma sulle sue condizioni o premesse, con la dissoluzione si agisce invece di rettamente sulla C. Inoltre, la riduzione implica una rinuncia a qualcosa che consideravamo vero, mentre la dissoluzione non dovrebbe implica re alcuna rinuncia.
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PARADOSSI
3.1.1. DISSOLUZIONE
Il metodo più semplice per dissolvere C è la parametrizzazione. Per esempio date le tesi " Amalia è bionda" e "Amalia non è bionda", si pos sono benissimo accettare entrambe, una volta stabilito che Amalia è bionda secondo il parametro A , mentre risulta non-bionda secondo il parametro B. I parametri possono essere temporali. Dire p e poi -,p può non essere una C se il tempo intercorso è ragionevolmente sufficiente perché io possa aver cambiato idea, o perché le circostanze possano es sere cambiate. Le asserzioni " ci sono mele sull'albero" e "non ci sono mele sull' albero " potrebbero essere entrambe vere, parlando di uno stesso albero in tempi diversi. Nella letteratura sulle logiche paraconsi stenti è familiare il caso dello slow talker, che dice "oggi è lunedì e og gi è martedì " , ma parla così lentamente che nel frattempo il giorno è cambiato. La forma forse più semplice e frequente di parametrizzazione è l'e liminazione dell'ambiguità. Per esempio asserisco: "Dio esiste" , e poi di co "no, Dio non esiste " , ma ho asserito la prima riferendomi alla defini zione di Maria: "Dio è il percorso della storia e dell'evoluzione che ci ha condotto a questo stadio di sviluppo " , e la seconda riferendomi alla de finizione di Giacomo: "Dio è un essere superiore collocato in qualche parte dell'universo, che distribuisce premi e punizioni secondo giusti zia" . In questo caso c'è un' ambiguità definizionale: esiste per me quel l'oggetto-Dio, definito in un certo modo, e non esiste l'altro (nel primo caso, osserva Lewis, 1990, sto pronunciando le parole " Dio esiste" , ma non sto dicendo che Dio esiste) . C'è poi un modo di dissolvere le C che si focalizza sul significato del la " congiunzione", o anche, nel caso in cui i termini della C siano even ti o stati di cose, sulla simultaneità. Che cosa significa "a e non-a " ? Che cosa significa che gli stati di cose indicati da a e non-a sussistono insie me? Potrebbe darsi il caso che sì, " stiano insieme" , ma in modo paralle lo, senza generare davvero quella situazione assurda che è il presentarsi simultaneo di ciò che non può mai essere simultaneamente presente. Le logiche non-aggiuntive (cfr. Berto, 2006, cap . 6) suggeriscono che per quelle che chiamiamo C si verifica questo fenomeno. Le logiche di que sto tipo si possono presentare come logiche paraconsistenti (o debol mente tali), che cioè accettano la contraddizione, ma è un trattamento delle C che può essere catalogato come dissoluzione, visto che si tratta di un espediente simile alla parametrizzazione. L'idea di base degli " approcci non- aggiuntivi" è il rifiuto del princi pio di aggiunzione, che definisce, in modo piuttosto intuitivo, il signifi cato della congiunzione: 34
3· CONTRADDIZIONI IRRIDUCIBILI
(Agg.)
a,
� �aA�
Il principio dice che se ammettiamo la proposizione a (a è vera) e am mettiamo la proposizione p (p è vera) , allora ammettiamo anche la loro congiunzione (a A p è vera) . È abbastanza ovvio: se è vero che Lenin non amava la musica, ed è vero che Lenin ha fondato l'Unione Sovietica, al lora è vero che Lenin non amava la musica e ha fondato l'Unione Sovie tica. Ma questo può non valere in assoluto . Per esempio (cfr. Varzi, 2004) : abbiamo un computer in cui io inserisco a e Giacomo inserisce p, il computer risponderà "sì" se interpellato su a e "sì" se interpellato su p, ma rifiuterà la congiunzione a A p, a meno che io o Giacomo non di chiariamo di accettare anche, rispettivamente, p e a. Ci sono dunque ca si in cui Agg. fallisce. Trasferendo questa intuizione al caso delle C, si può pensare che ter mini contraddittori possano coesistere senza problemi: ammettere a e ammettere -,a non significa di per sé ammettere a A -.a. L' approccio non- aggiuntivo vale soprattutto per le C epistemiche, che riguardano le credenze (cfr. PAR. 12.4) : è legittimo in effetti ricono scere che le credenze di un essere umano costituiscano un sistema aper to e "frammentato " , in cui possono coesistere (più o meno consapevol mente) termini contraddittori (cfr. Lewis, 1982) . Oppure vale per le C discussive, quelle che emergono nelle discussioni, in cui qualcuno dice a e un altro dice non-a, e un osservatore nota che entrambi sembrano aver ragione (è la situazione prevista dalla "logica discussiva" di Stani slaw J askowski ) . In generale gli approcci non aggiuntivi sono posti di fronte al problema di giustificare il rifiuto di Agg . : una congiunzione che non prevede Agg. potrebbe ancora dirsi una congiunzione (cfr. Var zi, 2004, e PAR. 12-4) ?
3.1.2. RIDUZIONE La riduzione all' assurdo (RAA) è il modo più classico e più sicuro di eli minare le contraddizioni. Se da qualche premessa a si ottiene p A -,p (p e non- p), ci sbarazziamo di a. I primi paradossi della tradizione, quelli escogitati da Zenone e dai Megarici, erano concepiti esattamente come riduzioni all'assurdo. Pos siamo ricostruire la vicenda così: Parmenide ed Eraclito avevano "sco perto " (o inventato? ) la nozione di essere (to o n), e subito ci si era accorti che una simile nozione entrava in collisione con altre nozioni, e in parti colare con quelle di "movimento" e "pluralità" . Come sappiamo Eracli35
PARADOSSI
to accettò semplicemente la contraddizione che ne derivava, mentre Par menide volle sbarazzarsene. Il suo discepolo Zenone escogitò a sostegno delle tesi di Parmenide i noti «argomenti dialettici» di Achille e la tarta ruga, dello stadio, della freccia (cfr. Salmon, 1970) . Essi servivano so stanzialmente a mostrare che, se si mantiene che l'essere è unico, ed è identico a sé stesso, ogni concessione fatta al movimento e alla pluralità diventa contraddizione. Per esempio: [8] Un segmento di retta si può dividere all'infinito: lo si dimezza, poi si di mezza la metà che si è ottenuta, e così via, senza fine. Dunque il segmento deve essere formato da un numero infinito di parti. Ma quale è la lunghezza di que ste parti? Se è zero, allora il segmento non ha lunghezza, dunque non esiste; se la lunghezza è superiore a zero, per quanto piccola sia, il segmento avrà una lun ghezza infinita, dunque non sarà un segmento. Di conseguenza: il segmento sarà inesistente , o non sarà un segmento.
La C per Zenone si eliminava, molto semplicemente, eliminando una premessa, cioè suggerendo che il segmento non ha parti, poiché l'essere è unico e indivisibile. Sembra che anche Eubulide, l'inventore dei più classici tra i paradossi della nostra tradizione, avesse gli stessi obiettivi: il suo scopo però non era mostrare che solo certi concetti, come il mo vimento o la pluralità, erano difettosi; si trattava invece di far vedere che tutto il linguaggio comune, espressione della doxa, doveva essere ridotto all'assurdo ' . Certo, s e non s i è d'accordo con l e conclusioni di Zenone e dei Me garici, se non si vuole cioè stabilire che nozioni così utili come il movi mento e la pluralità, o in generale tutto il nostro modo normale di lavo rare con il linguaggio, debbano essere eliminati, la contraddizione rima ne, e richiede interventi di diverso tipo. Il procedimento di riduzione all'assurdo è evidentemente essenziale per distinguere i paradossi da molti casi di C solo apparentemente resi stenti: se possiamo sbarazzarci di qualche premessa, o di qualche con vinzione pregressa, non c'è paradosso. Per esempio abbiamo visto che le autocontraddizioni (per cui da a si inferisce -,a) non sono problemati che, se possiamo disfarci della tesi auto-contraddittoria. Ma la decisione sul funzionamento della reductio non è sempre esente da dubbi e discussioni. Esaminiamo un caso che gli Stoici ama vano citare 2 : Se sai che sei morto allora sei morto, perché "sapere " implica che quel che si sa è vero Se sai che sei morto allora non sei morto, perché "sapere" implica non essere morto.
3· CONTRADDIZIONI IRRIDUCIBILI
Da una stessa tesi a = "sai che sei morto " , deriviamo prima una certa te si � e poi la sua negazione ---., � (ci troviamo di fronte a una circostanza opposta rispetto al nostro esempio [ I ] in cui avevamo che se a allora �. e se -,a allora di nuovo � ) . In questo caso non c'è dubbio, la C è facil mente eliminabile: basta sbarazzarsi di a. In effetti per un significato normale di "sapere" non è possibile sapere di essere morti. Il problema con le riduzioni all' assurdo però è che non sempre si hanno le idee chiare circa chi sia il reale responsabile dell'errore, ossia quale premessa debba essere " ridotta" . Consideriamo la storiella del l'uomo che credeva di essere morto: [9] Un uomo crede fermamente di essere morto e nessuno riesce a convin cerlo del contrario. Viene mandato da un famoso specialista, e l'illustre clinico gli chiede "i morti sanguinano? " , l'uomo risponde "no", allora il medico lo fe risce sul braccio con un bisturi, e il braccio si mette a sanguinare. "Fantastico ! " esclama l'uomo "non credevo che i morti potessero sanguinare" .
È questo u n caso di RAA mal riuscita. Di fronte all'evidenza della con traddizione, l'uomo non si sbarazza della premessa "sono morto " , come era augurabile, ma dell' altra premessa: "i morti non sanguinano" (cfr. an che PAR. 10.4) . Questo ci dice che la riduzione richiede sempre un calco lo di opportunità, e non è detto che una scelta a favore della coerenza va da sempre nella giusta direzione: potremmo eliminare la premessa sba gliata. A volte sappiamo che c'è (deve pur esserci) qualche premessa di fettosa, ma non sappiamo, e non riusciamo a sapere, quale sia (in questo caso abbiamo quel che Stephen Schiffer, 2003, ha chiamato unhappy /aced solution dei paradossi: non c'è alcuna identificazione chiara dell'errore, e l'eliminazione di una premessa potrebbe non essere affatto risolutiva) . 3 ·2 Due tipi di paradossi
I paradossi sono situazioni o eventi o argomenti o teorie in cui si genera una C, ma nessuna delle strategie indicate nel paragrafo precedente è o sembra essere adottabile. In altre parole, data la contraddizione � A ---., � , non è possibile la parametrizzazione, non è possibile scegliere � oppure ---., � , né è possibile stabilire che � e ---., � appartengono a regimi, mondi o sistemi diversi coesistenti; non è possibile sbarazzarsi di �. né di ---., � , e neppure dell'eventuale a che ha generato la contraddizione. Quando capitano fenomeni di questo tipo? Quando e come avviene realmente che una cosa c'è e non c'è, oppure ha e non ha una proprietà, 37
PARADOSSI
o un enunciato è vero e falso, o devo fare una cosa e non posso farla, op pure anche: un evento è inevitabile e impossibile? Intuitivamente, mai. Se emerge una contraddizione, c'è qualcosa che non funziona da qual che parte, la contraddizione non può essere vera nel senso di " autenti ca", e pertanto va eliminata, in uno dei modi indicati. Di fatto, la que stione non è così ovvia, e la discussione sulla possibilità di contraddizio ni non "riducibili" è ancora aperta. Certamente, se e fino a quando un paradosso è tale, ossia le riduzioni e dissoluzioni falliscono o sembrano fallire, dobbiamo dire che c'è una C. Nella letteratura sulle logiche non classiche infatti sono sempre i paradossi a fare la parte del leone: ci oc corre una logica non classica perché ci sono i paradossi, ossia si dà il sin golare caso di proposizioni o argomenti o situazioni che generano con traddizioni irriducibili. È comunque evidente che se c'è o sembra esser ci una C, vuol dire che i tentativi di riduzione sono inutili, e si tratta di capire come e perché ciò avvenga. Un primo modo in cui la riduzione fallisce è quello a cui si è già ac cennato: non si riesce a individuare i responsabili; c'è una contraddizio ne � 1\ --,�, ma non sappiamo quale sia l'a difettosa. Parleremo in que sto caso di paradossi in una fase transitoria, o di transizione: dobbiamo ancora scoprire dove stia l'errore, e se vi sia di fatto un errore. Appartengono a questo gruppo i casi analoghi al nostro esempio [ 2] . Abbiamo due argomenti distinti: l' argomento la cui premessa è "l'identità di un essere umano risiede nel corpo " , e la cui conclusione, date le condizioni, è: " ci guadagna lo studente" ; l 'argomento la cui pre messa è "l'identità di un essere umano risiede nel cervello" , e la cui conclusione è " ci guadagna il professore" . Dunque si direbbe: a � 11 e � � -.YJ . A questo punto vediamo che occorre decidersi: dove sta l' er rore? Quale è la premessa sbagliata? La C resiste, ma solo fino a quan do non prendiamo una decisione, o non scopriamo quale sia la pre messa giusta tra a e � Invece, i paradossi i n uno stadio definitivo, che esibiscono u n chia ro fallimento delle riduzioni, sono di due tipi. Il primo è caratteristico dei paradossi che possiamo chiamare antinomie, a cui appartiene il pa radosso del mentitore, che è forse l'esempio più semplice e paradigma tico di "paradosso". [w]
Sia dato l'enunciato Il
1.1,
il quale dice:
è falso
Ora abbiamo che se 11 è vero, deve essere falso, perché così dice di sé stesso, ma se è falso allora è vero, perché dice per l' appunto di essere fai-
3· CONTRADDIZIONI IRRIDUCIBILI
so. Dunque: vll H Fj.l.; oppure: Il H -,Il (la prima forma è detta seman tica, perché coinvolge la verità, la seconda è detta sintattica) . Quel che è interessante qui è il fatto che Il esprime una tesi auto-contraddittoria, dunque a rigore dovremmo dichiararlo falso (cfr. PAR. 2.2) . Ma se lo di chiariamo falso, risulta che è vero: perché è precisamente quel che Il di ce di sé stesso. Il modo in cui la C resiste è dunque piuttosto chiaro: se cerchiamo di liberarci di IJ., salta fuori di nuovo j.l.; se d'altra parte pro viamo ad accettare IJ., dobbiamo riconoscere che --.IJ.. I paradossi considerati nella tradizione più tipicamente "paradossa li" sono strutture cognitive o verbali che producono una forma di que sto genere: oltre al mentitore lo sono per esempio il paradosso di Grel ling-Nelson o quello delle classi di Russell. Ricordiamo il paradosso di Grelling-Nelson : [n] Esistono predicati autologici, che cioè si riferiscono a sé stessi. Per esem pio: "italiano" è visibilmente italiano, "inanimato" è inanimato. Esistono però anche predicati eterologici, che non si riferiscono a sé stessi . Per esempio: "mo nosillabico" non è monosillabico, "infinito " non è infinito. Il predicato "etero logico" è eterologico? Se lo è, non può esserlo (perché si assegna solo a predi cati che non possono riferirsi a sé stessi), ma se non lo è, deve esserlo (perché è appunto un predicato che non si riferisce a sé stesso) .
Il paradosso delle classi di Russell è invece il seguente: [12] Esistono classi che sono membri di sé stesse: per esempio la classe dei concetti è un concetto. Esistono poi classi che non sono membri di sé stesse: la classe delle mucche non è una mucca. La classe di tutte le classi che non sono membri di sé stesse è un membro di sé stessa? Se lo è non può esserlo, perché è la classe delle classi che non sono membri di sé stesse. Se non lo è deve esserlo, perché è la classe di tutte le classi che non sono membri di sé stesse.
In tutti e tre i casi abbiamo la forma: a H -,a. Il secondo modo in cui le procedure di riduzione falliscono è quel lo che si verifica nel nostro esempio (I). C'è una certa tesi a, da cui ri sulta che � è vero. Ma � contraddice quel che sappiamo, dunque a rigo re dovremmo sbarazzarci di a: ma non è possibile farlo, perché dalla ne gazione di a emerge di nuovo �. La/orma dell'argomento è degna di nota: a dà origine a una conse guenza �; poiché sappiamo per certo che ---, � (i cavalli non volano) , non possiamo accettare � 1\ ---, � , dunque ci sbarazziamo di a, e diciamo: --.a. Ma salta fuori che se -,a, allora di nuovo � e dunque ancora ci trovia ' mo da capo, alle prese con � 1\ --.�. In entrambi i casi abbiamo un dop pio tentativo di riduzione all'assurdo, che fallisce. 39
PARADOSSI 3.2.1. AFFINITÀ TRA LE DUE FORME
Lo schema a H -,a è in qualche modo dominante. I casi più tipicamente paradossali del secondo tipo sono infatti riconducibili al primo. Consi deriamo per esempio le contraddizioni che riguardano i soriti. I soriti (cfr. CAP. IJ) sono tra i paradossi più antichi, e ne esistono molte versio ni. Vediamo l'argomento anticamente detto "il calvo " : [13] U n uomo che ha solo dieci capelli può dirsi calvo. M a allora anche quan do avrà undici capelli sarà calvo, e anche quando ne avrà dodici (un solo ca pello che differenza fa? ) . Questo vale per tutti i numeri successivi, dunque: tut ti sono calvi. Se però un uomo con dieci capelli non è calvo, allora nemmeno quando ne avrà nove potrà dirsi calvo (perché dovrebbe esserci una differen za? ) , e nemmeno quando ne avrà otto, e così via per tutti i numeri inferiori: nes suno è calvo.
Non è una situazione molto drammatica, apparentemente. Infatti, la so luzione sembra a portata di mano : occorre stabilire un numero ragione vole anche se convenzionale di capelli tale per cui se il signor X ha n ca pelli è calvo, se ne ha n + I non lo è. Eppure è abbastanza strano il fatto che dobbiamo stabilire un numero n tale per cui se qualcuno ha il valo re n di una certa proprietà (è n-bello, n-buono, n-simpatico, n-alto) si può dire che ha quella proprietà, e se invece ha il valore n - I (è n - I bello, n - I-buono ecc.) non ce l'ha, per cui Amalia è n-bionda, dunque è bionda, mentre Chiara è solo n - I-bionda, dunque non lo è. Inoltre, supponiamo che si stabilisca che tutti e solo i biondi possano godere di certi privilegi: sicuramente gli individui n - I-biondi protesteranno viva mente (cfr. CAP. I4) . Esistono diversi modi di procedere, come si vedrà, e se si prende sul serio il problema del sorite si può essere indotti a con clusioni distruttive, radicalmente nichilistiche. Si può notare che le conclusioni a cui giungiamo sono: "tutti sono calvi" e "nessuno lo è", e queste due tesi contraddicono (cfr. il quadra to degli opposti) un'altra tesi a cui siamo profondamente affezionati, os sia la premessa T] : qualcuno è calvo e qualcuno non lo è.
Da a = "il signor A, dotato di n capelli, è calvo " per successive applica zioni del modus ponens si giunge ad ammettere -.TJ , ossia "tutti sono cal vi" , e poiché non possiamo accettare -.T] , ne concludiamo che -,a, ossia: "il signor A con n capelli non è calvo " . Ma si scopre che anche -,a, in ba se allo stesso procedimento, implica -.T] .
3·
CONTRADDIZIONI IRRIDUCIBILI
Indicando con frecce la relazione di inferenza, possiamo dire che nel caso del mentitore (e delle altre antinomie) abbiamo una sola proposi zione in gioco:
Nel caso del sorite e di molti altri paradossi (come l'esempio 1) si ha in vece la seguente situazione: a
__,..,
1\
11
Da a deriviamo ---,11 , e poiché ---,11 contraddice 11 (che è una premessa ine liminabile) , ne consegue -,a, ma da ---, 1-l di nuovo per RAA si ottiene ---,11 ·
3-2.2. RICAPITOLAZIONE
Riconsiderando i modi di sbarazzarsi delle contraddizioni, possiamo di re che le eventualità sono abbastanza chiare. Data una C, anzitutto pro viamo a dissolverla. Se ci riusciamo, avremo che la credenza (o la tesi o la proposizione) a è vera e non-a è anche vera, ma in definitiva non è proprio la stessa a che viene affermata e negata: c'è qualche ambiguità dei termini, o c'è qualche parametro nascosto; oppure a e -,a non ap partengono entrambe allo stesso "sottoambito" ; o infine tra a e -,a solo 41
PARADOSSI
una delle due è vera. A questo punto diciamo che il paradosso è appa rente (e lo si può definire veridico o falsidico: cfr. PAR. 4.1) . Se invece la dissoluzione fallisce, possiamo tentare la riduzione al l' assurdo di qualche premessa difettosa. In un sistema logico a rigore non ci sono ambiguità o parametri nascosti, e per questo la riduzione è la pro cedura logica per eccellenza. Ma abbiamo due diversi casi di RAA li pri mo è la reductio per auto-confutazione: elimino la tesi a perché da a con segue non-a (dato a � -,a, assumo -,a ) . Il secondo è la reductio nor male: la premessa a genera una C, dunque va negata ( dato a � ( � 1\ --,�), assumo -,a ) . La situazione paradossale si determina per fallimento della riduzio ne. Primo caso: la riduzione fallisce perché non sappiamo quale premes sa sia responsabile della C, ossia, si direbbe: ? � � 1\ --,�. Parliamo allora di paradossi transitori, o in una fase di transizione. Secondo caso: siamo in grado di stabilire la a difettosa, ma accettare -,a è imbarazzante e pro blematico, per esempio perché a è una regola logica fondamentale o una verità analitica, o meglio, e più precisamente, perché accettando -,a si genera di nuovo un'assurdità. Abbiamo allora i paradossi in uno stadio definitivo. Allora come si è visto le possibilità sono due, corrispondenti ai due tipi di RAA Ci risulta che a è una auto-contraddizione, ma negandola si riconferma (cfr. anche PAR. 10.1); dunque: a � -,a, ma anche: -,a � a (mentitore e in generale antinomie) . Oppure abbiamo che a genera una C, ma negando a si genera di nuovo una C (la stessa o un'altra) ; dunque: a � (� 1\ --,�), ma anche: -,a � (� 1\ --,�) (soriti e altri para dossi analoghi) . .
.
42
Parte seconda Quasi-paradossi
4
Paradossi falsidici
4· 1 Paradossi veridici e falsidici
Per molti casi giudicati paradossali nella letteratura possiamo dire che si tratta piuttosto di errori. Le possibilità allora sono due: l'errore è del pa radosso, è nascosto all'interno dell'argomento (o della domanda insi diosa), oppure l'errore è nostro, e consiste nel giudicare paradossale qualcosa che invece è una semplice verità, per quanto strana e apparen temente inaccettabile. In The Ways o/Paradox (1962) Quine chiama i due casi rispettivamente paradossi "falsidici" e "veridici" . In entrambi, par leremmo di paradossi apparenti: la contraddizione non è un'autentica contraddizione; uno solo dei due termini in antagonismo è vero, anche se inizialmente non sappiamo bene quale sia. Un esempio di paradosso falsi dico citato da Quine è l'enunciato "ogni numero è uguale al doppio di sé stesso " , che è una nota fallacia matematica: [14] dato un numero qualsiasi a, e posto x = a, ne consegue: X2 = ax. Sottraen do a2 da entrambi i termini si ottiene X2 - a2 = ax - a>, e dunque: (x + a) (x - a) = a(x - a) . Di nuovo semplificando, il risultato è: x + a = a, ossia a + a = a, da cui: 2a = a. Ma a è un qualsiasi numero: dunque ogni numero è il doppio di sé stesso.
L'errore sta nella semplificazione, ossia la divisione per x - a: poiché x è uguale ad a, è una divisione per zero, che non è legittima (prima della scoperta dello zero però, nota Bunch, 1997, a = 2a era un paradosso ge nuino) . L'esempio di paradosso veridico citato da Quine è l'enunciato "esiste almeno un individuo che al suo quinto compleanno ha 21 anni" . In realtà, è abbastanza facile capire che è vero: l a persona in questione è nata il 29 febbraio. Se l'enunciato sembra falso, o inaccettabile, o sor prendente, è perché non ricordiamo che esistono anni bisestili. Nei paradossi falsi dici l'errore è interno, è nascosto internamente al l' argomento o alla situazione che ci risulta paradossale. Nei paradossi ve45
PARADOSSI
ridici l'errore è esterno: deriva dalle nostre convinzioni errate. Quando l'errore del secondo tipo è sistematico, e condiviso, l' apparenza para dossale è in qualche modo giustificata (visto che un errore radicato e condiviso è difficile da definire come errore) . I paradossi veridici che vengono riconosciuti come tali entrano nelle teorie e cessano di essere paradossali . A volte il risultato è semplicemente una crescita di cono scenza, che determina modifiche e riassestamenti locali; altre volte il pro cesso è catastrofico, ossia implica una riduzione tanto radicale da deter minare una crisi della teoria'. I veri paradossi invece, come vedremo, la sciano l'ipotesi della catastrofe in sospeso, e per questo non sono falsi dici né veridici: o meglio non si sa se siano l'una cosa, o l'altra, o en trambe, o nessuna delle due. In questo capitolo affronteremo alcuni casi paradossali del primo gruppo, nei prossimi due affronteremo i casi più noti del secondo .
4· 2 Dalle fallacie ai paradossi
I paradossi che Quine chiama falsi dici sono anche definibili come falla cie. Nella storia, la teoria dei paradossi ha coinciso a lungo con la teoria delle fallacie. Il primo luogo in cui si parla di "paradossi" (paràdoxa) , usando i l termine come sostantivo, è il libro più antico dell' Organon ari stotelico, le Confutazioni so/istiche, che è anche il primo trattato sugli ar gomenti insidiosi dei Sofisti e dei Megarici (cfr. Boger, 1993). I medievali consideravano i paradossi sophìsmata particolarmente sottili e difficili da smascherare. Il rapporto tra paradossi e fallacie è stato inoltre un tema centrale nelle discussioni sui limiti e le opportunità della logica formale, tra Otto e Novecento (Pareti, De Palma, 1979). Ancora oggi alcuni auto ri tendono ad assimilare paradossi e fallacie, e a concepire la soluzione di un paradosso esclusivamente come scoperta dell'errore. Questo in fondo non è sbagliato: se c'è una C, di solito qualcuno sta sbagliando, e, al limi te, se la C c'è veramente, sbaglia chi crede che non possano esserci C. Una fallacia è un errore argomentativo nascosto (ad arte o inconsa pevolmente) : un argomento sembra corretto, ma in realtà non lo è. Il che vuol dire: le premesse sembrano vere ma non lo sono, e/o l 'inferenza sembra valida ma non lo è. Le fallacie si riconoscono, normalmente, fa cendo riferimento alla teoria che le riguarda. Diceva Aristotele: ci si in ganna perché non si conoscono bene le regole logiche, e quali siano i principali tipi di violazione inapparente che possono subire: dunque a rigore dovrebbe bastare conoscere i tipi di errore per evitarli. La classi-
4· PARADOSSI FALSIDICI
ficazione delle fallacie è però una materia complicata e controversa, è an zi forse il capitolo più discusso della teoria dell'argomentazione, e que sto può spiegare la facilità in cui si producono le fallacie difficili da sma scherare, che sono appunto i paradossi falsidici . Per orientarci, vediamo alcuni fattori strutturali che rendono facile l'equivocazione. r. La prima circostanza da considerare è che non sempre gli errori so no propriamente "falsidici" . Esistono errori fortunati, che producono il vero z. Un esempio caratteristico è la cosiddetta cancellazione anomala: [15] data la frazione 16/64, si semplifica togliendo il 6, e si ottiene Il4, che è il risultato corretto.
Si conoscono altri tre casi di cancellazione anomala, per numeratore e denominatore di due cifre: 98/ 49; 95h9; 65/26. Un altro errore fortuna to è il printer's errar: [I6] il risultato di 25 9' è esattamente 2. 592, e si ottiene anche semplicemente abbassando gli esponenti; altri due casi sono: 34 425 = 34.425; 31' 325 = 312.325.
Negli errori fortunati la C (cioè l'effetto paradossale) è data dalla disso nanza tra procedura e risultato: una giusta procedura dovrebbe produr re risultati corretti, e un risultato corretto è prodotto da una giusta pro cedura. Evidentemente non è sempre così: forse vale il primo asserto (dalla buona procedura al buon risultato) , ma non il secondo: non sem pre un buon risultato è il frutto di una procedura corretta. 2. Un secondo problema è che i metodi (e i criteri di discriminazione del vero e del falso, del giusto e dello sbagliato) non sono del tutto buo ni o cattivi in sé, perché molto dipende dalle circostanze di applicazio ne 3. In effetti le fallacie sono spesso (se non per lo più) il frutto di buo ne regole, usate in contesti impropri. Questo vale in particolare per le fallacie dette informali. L'esempio forse più noto è l' argomento ad vere cundiam, che consiste nel far riferimento al giudizio di qualche autorità per avvalorare una tesi. "Le donne non hanno anima: lo diceva san Tom maso" è un esempio di fallacia d'autorità: il fatto che un santo soste nesse questa tesi perlomeno discutibile non è una buona ragione per considerarla vera. Eppure, il procedimento dell'expertise è del tutto le gittimo, anche se è visibilmente una versione di argomento ad verecun diam: posso dire con ragionevole certezza che i buchi neri esistono, e posso dire ciò anche se non ho alcuna idea sull'argomento e semplice mente appellandomi all' autorità dei fisici. All o stesso modo l'argomen to ad hominem (il riferirsi alle qualità della persona che sostiene una te47
PARADOSSI
si) funziona benissimo quando si tratta di verificare l' attendibilità di una testimonianza. Oppure: l' argomento ad baculum (l'appello alla forza) è di essenziale importanza in una controversia sindacale (cfr. Walton, Krabbe, 1995, pp. ro8-2r ) . 3· L e fallacie formali, che cioè violano l e regole logiche, sono apparen temente le più sicure: se c'è un errore logico, l'argomento è comunque sbagliato perché non valido. Eppure, la questione non è così semplice. Alcune regole basilari, come le regole dei condizionali, a volte vengono violate con buone ragioni (cfr. CAP. s). Le classiche fallacie dei condizio nali sono l'affermazione del conseguente e la negazione dell'antecedente. La prima è per esempio: "se Juliette è francese è europea; Juliette è eu ropea, dunque è francese" (ma Juliette potrebbe essere tedesca) ; la se conda: "se Juliette è francese è europea, ma Juliette non è francese, dun que non è europea" (ma se Juliette fosse tedesca sarebbe comunque eu ropea) . Sono errori abbastanza facili da identificare, ma come si vedrà meglio nel prossimo capitolo i condizionali sono oggetti complessi e am bigui, per esempio "se sei incinta il test è positivo; il test è positivo, dun que sei incinta" sembra un' affermazione del conseguente, ma non è un'inferenza sbagliata. 4· Le fallacie verbali, basate sull'uso del linguaggio, possono essere le gate alle "implicature" , ossia non a ciò che si dice, ma a quel che si im plica nel dire. Si parla allora di fallacie "pragmatiche" , che riguardano gli effetti del discorso sull'interlocutore, più che il discorso stesso (cfr. Bianchi, 2003) . L' aspetto interessante è che un'implicatura fallace non è propria mente un difetto o un errore "interno " , semplicemente perché la re sponsabilità dell'errore non è a carico di chi parla o scrive, ma di chi ascolta o legge. Per esempio: [17] n capitano di una nave, preoccupato perché il secondo ufficiale beve troppo, prende nota sul diario di bordo, ogni giorno: " oggi il secondo è ubria co" . n secondo legge il diario di bordo, e scrive, una sola volta: "oggi il capita no non è ubriaco" .
È un buon esempio di come s i possa veicolare il falso dicendo l a verità. La fallacia si deve all'uso eccettuativo di " oggi" , per cui interpretiamo: oggi non è ubriaco, tutti gli altri giorni sì. Ma la vera insidia consiste nel fatto che dell'errore (della falsità) non è responsabile il secondo ufficia le, il quale ha scritto il vero, ma solo chi legge, che ha inteso il falso. Il paradosso del ricatto fa vedere bene come il contesto abbia funzio ni specifiche per determinare tanto la fallacia quanto la sua inafferrabi lità, spostando la responsabilità dell'errore. Eccone una versione:
4·
PARADOSSI FALSIDICI
[18] Maria sa che Giacomo ha rubato, e gli dice: «so che hai rubato, e inten do denunciarti». Poco dopo aggiunge: «ho bisogno di soldi». Giacomo le dà 2.ooo euro, ma Maria dopo qualche giorno lo denuncia. Maria è colpevole di ri catto? Forse no, ma allora di che cosa è colpevole?
Non c'è niente di illegale né di per sé scorretto nel chiedere soldi. Non c'è niente di illegale nel denunciare un crimine: anzi è un gesto di cor rettezza civile. D'altra parte, non sembra sleale il gesto di avvertire un colpevole che si sta per denunciare il suo crimine. Sembra che l'unico colpevole sia Giacomo. Eppure il comportamento di Maria è tutt'altro che esente da critiche. 5· Una "buona" fallacia in molti casi non è davvero un errore, ma piut tosto l'esibizione di una/ragilità/iloso/ica della regola che si suppone vio lata. Quasi tutte le forme fallaci (e come vedremo gli errori sistematici) hanno alla loro base problemi logico-filosofici irrisolti: per questo anche i paradossi falsidici sono importanti in logica e in filosofia. Potremmo fa re molti esempi, ma consideriamo in particolare la fallacia ad ignorantiam. Si tratta dell'argomento che a partire dall'ignoranza di p deduce non-p, o dall'ignoranza di non-p deduce p: "non abbiamo prove che Dio esista, dunque Dio non esiste" ; "non abbiamo prove che Dio non esista, dunque Dio esiste". L'errore sembra abbastanza facile da smascherare, ma alme no in alcuni casi è quasi inevitabile compierlo. Per esempio: "non ci sono prove del fatto che gli OGM siano dannosi, dunque gli OGM non sono dan nosi" . Forse la conclusione è vera, ma la tesi che usiamo per dimostrarla a rigore non dovrebbe essere rilevante. Come potremmo però decidere in un senso o nell'altro? Le due direzioni dell'argomento sono sempre pos sibili ( ''non ci sono prove del fatto che gli OGM non siano dannosi, dun que sono dannosi" ) , e la controversia è destinata a rimanere attiva. Nella pervasività della fallacia ad ignorantiam si esprimono un certo numero di problemi filosofici, tutti più o meno riferibili alla difficoltà di muoversi ai limiti della conoscenza, quando non conosciamo con esat tezza qualcosa, e in fondo non conosciamo neppure i limiti e l'entità del la nostra ignoranza (cfr. Williamson, 2ooob) . Un primo punto di riferi mento utile può essere il problema che David Lewis ha definito elusività della conoscenza (Lewis, 1996) . In breve, l'elusività epistemica può esse re così descritta. Per ogni cosa che so (o credo di sapere) , c'è un gran nu mero di cose che non so, e che potrebbero farmi cambiare idea. Per esem pio: so con certezza che berrò un mojito questa sera, ma non so che un enorme meteorite sta precipitando a tutta velocità sulla terra, e dunque oggi non ci sarà sera, né mojito, né ci sarò io. Si possono scegliere molti altri esempi, anche meno sensazionali, per mostrare che molte proposi zioni per cui ho ottime ragioni giustificative potrebbero essere clamoro49
PARADOSSI
samente false, perché circostanze a me ignote fornirebbero ragioni deci samente migliori a favore della loro negazione (cfr. Hawthorne, 2004; Fumerton, 2006) . Esistono metodi per ovviare alla difficoltà, ma quello che qui interessa notare è che il successo della fallacia dipende da una per plessità filosofica, una specie di super-premessa che giustifica l'errore 4• Tutto questo non significa che le regole logiche, argomentative, me todologiche siano inefficaci, dal momento che le loro violazioni sareb bero inafferrabili, o giustificate dai limiti delle facoltà umane, o addirit tura potenzialmente destinate ad avere successo ("fortunate" ) . Cattani Ù995) ha suggerito un'immagine chiarificante: ci sono "vizi di forma" e "vizi d'uso " ; nel primo caso abbiamo a che fare con una struttura difet tosa, come una scala mezza rotta, e perciò instabile, nel secondo si ha a che fare con buoni strumenti, ma usati in contesti impropri, come una buona solida scala appoggiata a un terreno cedevole. Tra i vizi di forma (o strutturali) c'è sicuramente il fatto che la violazione è giustificata dal l' esistenza latente di un vero paradosso, ossia da perplessità logiche, epi stemiche, metafisiche che non hanno (o non hanno ancora) trovato so luzione e che perciò generano situazioni contraddittorie difficili da " ri durre " . n fatto di conoscere la difficoltà è però, precisamente, il punto di partenza per provvedere miglioramenti (umanamente possibili) delle regole ed evitare il dogmatismo metodologico 5•
4· 3 Oggetti impossibili?
L'uso di includere nei repertori di paradossi immagini di oggetti "im possibili " è stato inaugurato da Hughues e Brecht (1975), seguiti poi da P alletta (1983 ) , e Odifreddi (2001 ) . La maggior parte dei paradossi di que sto tipo (forse tutti) sono illusioni e fallacie visive. I giochi figurali di Escher o di Istvàn Orosz (che è oggi il suo più conseguente erede) non rappresentano vere (effettive) C. Le scale su cui uomini nella stessa di rezione scendono e salgono, oppure le finestre spalancate che in realtà sono chiuse, le colonne che sostengono un soffitto e ne sono sostenute e altri casi analoghi, sembrano contraddizioni reali (de re) : ma sono per lo più figure contraddittorie, non raffigurazioni di contraddizioni. Dunque le C "oggettuali" o "figurali" sono normalmente paradossi falsidici, se condo la terminologia di Quine, e secondo la nostra terminologia: vei colano solo l'apparenza di C. In qualche caso l' apparenza è difficile da sconfiggere. Un esempio abbastanza sorprendente è il paradosso detto della ruota di Aristotele
4·
PARADOSSI FALSIDICI
perché compare in un'opera greca dal titolo Meccanica erroneamente at tribuita ad Aristotele. Consiste nella " dimostrazione" che una ruota ha una circonferenza identica a quella di una ruota che ha il diametro esat tamente della metà. [19] La dimostrazione si ottiene collocando una ruota sullo stesso asse dell' altra e facendole ruotare.
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Quando la ruota più grande avrà compiuto un tratto di percorso pari alla sua circonferenza, anche la più piccola avrà compiuto lo stesso percorso: i due rag gi infatti ruoteranno esattamente nello stesso modo. Dunque: le ruote hanno la stessa circonferenza, pur avendo l'una un diametro doppio dell'altra.
In realtà la ruota più piccola non compie lo stesso percorso della ruota più grande, ma un percorso doppio. L'illusione deriva dall'adozione in tuitiva della procedura di confronto punto per punto, ossia verificando la corrispondenza dei punti stÙ raggio tra le due circonferenze. È un buon metodo, in molti casi, e non è facile capire perché non debba funzionare. Il caso più celebre di paradosso oggettuale è la striscia di Mobius. Si ottiene così: [20] Prendete una striscia di carta lunga circa 50 cm. La striscia ha due lati distinti: infatti è impossibile tracciare una linea continua che passi da un lato al l' altro senza sollevare la matita dal foglio. Ora congiungete i due capi, ma aven do cura di rovesciare la striscia, in modo che il punto B risulti coincidente con C, il punto D con A: A c
�------�
B D
Potete ora disegnare sulla striscia una linea continua. Esterno e interno coincido no e non esistono più i due lati: la linea li percorre entrambi senza interruzioni.
La striscia è davvero un oggetto contradditorio? Oppure evidenzia sol tanto una nostra contraddizione nel descrivere le strisce ad anello in ter mini di "interno" ed " esterno" ? Non è facile rispondere: la striscia in tut ta apparenza veicola una C, ma non è chiaro se la C dipenda dall'ogget to stesso o dal nostro modo di parlarne 6. 51
PARADOSSI
In effetti, la domanda " esistono oggetti contraddittori? " deve fare i conti con tre questioni: la raffigurazione di C, la percezione di C, l'esi stenza effettiva di C. Parleremo più in dettaglio dell'esistenza di con traddizioni (cfr. CAP. 12) ; per adesso consideriamo brevemente le altre due questioni.
4·3-I· RAFFIGURARE CONTRADDIZIONI In un articolo del 2003 dal titolo The Art o/ the Impossible R. A. Soren sen ha offerto un premio di roo dollari per chi gli mostrasse la raffigura zione (in fotografia, disegno o pittura) di una impossibilità logica, ossia di una reale C (cfr. Sorensen, 2003b) . Il premio non è granché, perché chi lo propone non esclude che sia possibile. Si tratterebbe quindi di di segnare, dipingere o fotografare una cosa che c'è e non c'è, e che ha o non ha una certa proprietà. Sorensen fissa alcuni requisiti perché la raf figurazione proposta possa vincere il premio: r. L'immagine deve essere sufficientemente dettagliata da trasmettere la natura dell'impossibilità. Per esempio non vale un'immagine così: che intenda raffigurare un quadrato rotondo visto dall'alto. 2. Non vale il riferimento a sistemi anomali, per esempio geometrie in cui i quadrati sono rotondi, ma occorre un genuino contrasto con la logica. 3· Non vale una figura che sia logicamente impossibile, ma la figura di una autentica impossibilità logica; andrebbe bene per esempio l'imma gine di tutte e solo le immagini che non raffigurano sé stesse. 4· L'inconsistenza deve essere percepibile, non può essere basata su una stipulazione arbitraria (per esempio uno scarabocchio: questa è mia ma dre), o sulla contraddizione tra sistemi diversi: per esempio tra figura e parole, come nel quadro di Magritte: «questa non è una pipa» (cfr. il quadro dal titolo Ma/intitolato, PAR. n.r ) . 5 · L'inconsistenza non deve essere de dieta: un testimone alla polizia dà un resoconto pieno di contraddizioni, ma non dice di essere stato pre sente e non presente nello stesso tempo nello stesso luogo. Si può de scrivere/raffigurare uno stato di cose consistente con descrizione/raffi gurazione inconsistente, ma la figurazione sarebbe contraddittoria, non lo stato di cose. 6. L'inconsistenza non deve essere apparente, ovvero solo relativa al la percezione; per esempio su una banconota da r dollaro il volto di George Washington sembra grigio ma è composto di linee nere su fon52
4·
PARADOSSI FALSIDICI
do bianco, dunque bianco-nero, ma la contraddizione è solo interna al sistema percettivo. 7· Infine, l'ambiguità non è sufficiente; la coerenza delle figure ambi gue è "negoziabile", per esempio la striscia di Mobius presenta una con traddizione che si può risolvere dando adeguate definizioni di "interno " ed "esterno" . L'obiettivo di Sorensen è cercare di portare ragioni all'intuizione che le contraddizioni non sono mai reali, relative alle cose, ma solo epistemi che, relative ai nostri sistemi di descrizione- comprensione della realtà. Per lui l'esperienza è sistematicamente (e necessariamente) inconsistente, ma non può dirsi che lo sia la realtà (cfr. Sorensen, 2001). In questo sen so la proposta di Sorensen si presenta in polemica con Graham Priest, che ritiene vi siano cose e stati di cose contraddittori (cfr. CAP. 12) .
4-3.2. PERCEPIRE CONTRADDIZIONI Priest (20o5a, pp. 125-33 ) racconta il ritrovamento della "scatola di Syl van " (ossia di Richard Routley, suo maestro e amico, che a un certo pun to aveva cambiato nome in Sylvan) . La storia è più o meno così: mentre sta controllando gli scritti inediti di Routley (morto improvvisamente nel 1996) insieme al suo esecutore testamentario, Priest trova una scatola di legno con la scritta "oggetto impossibile" . Aprendola, vede inequivoca bilmente che «la scatola era assolutamente vuota, ma conteneva qualco sa» (ivi, p. 128 ) . Si trattava in altri termini di una "vuotezza piena". Con traddizione. Evidentemente, nota Priest, chi ascolta questa storia avrà ragionevoli dubbi e penserà che la sua percezione fosse fallace: ma po sto che effettivamente non ci fosse errore percettivo («i miei sensi fun zionavano perfettamente, sembravo del tutto normale») , ci troveremmo nella situazione di dover spiegare a un cieco nato la natura del colore ros so. Potrebbe darsi il caso di un tipo di percezione che non abbiamo mai avuto né allo stato d sembra di poter avere? Se sì, allora forse la perce zione di contraddizioni è di questo tipo. Fenomenologicamente, è pos sibile percepire la stationary motion, ossia il movimento di ciò che è fer mo. L'esempio classico è l'effetto cascata: fissate una cascata sufficiente mente a lungo, poi spostate lo sguardo sulla riva, e vedrete le rocce e la montagna muoversi e stare ferme nello stesso tempo. Più difficile sem bra però percepire la vuotezza del pieno 7. In realtà questa scatola non esiste: o meglio esiste come finzione, e non come realtà, il che significa: c'è, ma non esiste. La prospettiva se condo cui ci sono cose che non esistono è tradizionalmente ascritta ad Alexius von Meinong. La variante di meinongismo sostenuta da Routley 53
PARADOSSI
e Priest è detta noneism (nientismo o noneismo) , ed è il tipo di metafisi ca che si ritiene sia adattabile all'idea dell'esistenza di "vere" C. Si tor nerà sulla questione nel CAP. 12, ma per il momento è utile considerare il punto cruciale nel rendiconto di Priest, ossia la percezione di C. La do manda è allora: possiamo percepire contraddizioni, ossia una cosa che è quadrata e rotonda nello stesso tempo, oppure è sferica ma è anche qua drangolare? La risposta di Priest (wo6, pp. 57-64) è semplice: no, le C non si percepiscono. In particolare ciò che non è percepibile della C è la simultaneità, la concomitanza effettiva delle percezioni relative ai due stati di cose con traddittori. Priest fa una serie di esempi. Anzitutto, consideriamo qual cuno che attraversi la soglia di una stanza: c'è sicuramente un istante in cui la persona si trova al tempo stesso dentro la camera, e fuori, ma que sto momento è un istante infinitesimo, e perciò non è percepibile. Inol tre, ci sono certamente illusioni di C, per esempio le cosiddette figure ambigue, come la "griglia di Hermann" : un gruppo di sedici quadrati neri su fondo bianco che può essere anche vista come un reticolo di sei sbarre bianche che si incrociano su uno sfondo nero . Ma non vediamo simultaneamente il reticolo e i quadrati. Un caso forse più disorientante è la figura di Schuster: [21]
Guardando a sinistra si vedono distintamente i tre tubi, mentre a destra l'immagine muta. La figura è coerente ogni volta che ci focalizziamo su un lato. Nota Priest: «non si vede mai una situazione contraddittoria. Si possono vedere parti della situazione, ciascuna delle quali è coerente» (2006, p. 59) . Un caso diverso, in cui effettivamente sembra di vedere una situa zione contraddittoria secondo Priest è la scala di Penrose: 54
4·
PARADOSSI FALSIDICI
[22]
Se si sceglie un qualsiasi gradino, poniamo il più vicino, e si inizia a " sa lire", ci si troverà alla fine sullo stesso gradino (il meccanismo è esatta mente quello delle scale di Escher) . Questo significa che ci troviamo in una situazione contraddittoria, perché "salire" non può significare tro varsi in un punto che è uguale o più basso di quello da cui si è partiti (cfr. le inconsistenze predicative: PAR. 2.2) . Un'obiezione che si può rivolgere alla tesi secondo cui la scala di Penrose sarebbe un caso di contraddizione oggettuale percepibile è le gata alla differenza tra l'azione fisica del salire e la visualizzazione o l'im maginazione di tale azione. In effetti non possiamo fisicamente "salire" su una scala di Escher o di Penrose: possiamo visualizzare o immaginare la procedura, ma non compierla effettivamente ( questo ci conferma che una scala di Escher è un'illusione di C, o se volete "c'è" ma non esiste) . Almeno per ora e limitatamente ai casi a noi noti dunque: non esi stono percezioni di C, non esistono (in senso stretto) paradossi della per cezione. Abbiamo se mai contenuti percettivi contraddittori, oppure il lusioni di contraddizioni (l'effetto cascata o le percezioni distorte dal l'alcol ) . Forse, suggerisce Priest, in futuro la scienza scoprirà C percepì bili e non illusorie. Non è escluso. Scoprirà casi di scatole che non sol tanto sono piene e vuote, ma si possono effettivamente percepire come tali. «La scienza è una strana cosa», scrive Priest, «ma per il momento al meno c'è buona ragione di supporre che il mondo percepibile sia consi stente» ( 2oo6, p. 64) . 55
5
Condizionali difettosi
p
La bottega del barbiere e altre illusioni cognitive
Il paradosso della bottega del barbiere è stato presentato da Lewis C arroli su "Mind" nel 1894, in un articolo dal titolo A Logica! Paradox (cfr. Car roll, 1894) : [23] A, B e F gestiscono una bottega da barbiere. In negozio deve sempre es serci qualcuno, dunque se F esce, allora se esce anche A, B dovrà stare in negozio: (a) F � (A � -,B) (che significa: se F esce, allora se esce A, B non esce) . D'altra parte però A si ri fiuta di uscire senza B, dunque: (b) A � B Che cosa ne consegue? Apparentemente, date le condizioni, F non può mai usci re. Infatti: se F esce, in base alla regola (a ) si determina una certa condizione: che se anche A esce, B non può uscire, e deve stare in negozio; questa condizione però non può mai darsi: non si dà il caso che A esca senza B, dunque: F non può uscire. Il ragionamento però è sbagliato. In base alle condizioni stabilite, solo due eventualità non si verificano: che tutti e tre i personaggi escano, oppure che B resti da solo in negozio. Dunque: quando B è in negozio, che F sia presente o meno, c'è anche A. F è perfettamente libero di uscire.
È un paradosso veridico: la conclusione "F può uscire" è vera, anche se può non essere immediatamente evidente. La contraddizione però " re siste" fino a quando non si sia convinti della soluzione finale. Il caso è stato in effetti al centro di una discussione iniziata già nello stesso nu mero di "Mind" e ripresa una decina di anni dopo. La soluzione, che proponeva lo stesso Carroll, non è stata comunemente accettata che nel 1905, dopo un intervento di Russell '. Il problema coinvolto nel paradosso è l'interpretazione dei condi zionali: una questione centrale in logica. La struttura " se a allora W' , os sia " a � W' (se piove non esco, se Juliette è francese allora è europea, se 57
PARADOSSI
un numero è maggiore di ro allora è maggiore di 5) esprime il fenomeno per cui la verità di certe proposizioni implica la verità di altre, e dunque a certe condizioni esibisce la struttura stessa delle inferenze in generale, ossia del processo per cui da qualche premessa a deriviamo una conclu sione �- Non per nulla la nozione di validità in logica si modella sul si gnificato dell'operatore � : l'espressione " se a allora W' significa: non si può dare il caso che a e non � dunque dato a, inferiamo: allora � (data ' la verità delle premesse, la conclusione è vera). C'è evidentemente una differenza tra l'implicazione a � � ( che in definitiva è un enunciato, benché composto) e il ragionamento o argomento a � �; ma consideran do il processo logico necessario per "trarre" conclusioni (in logica e nel pensiero ordinario) la differenza non è molto decisiva. In effetti da que sto punto di vista possiamo dire che le fallacie condizionali sono gli er rori fondamentali della deduzione, ossia del ragionamento in cui il lega me tra premesse e conclusione è necessario. Il paradosso di Carroll ha molti elementi di similarità con un certo numero di errori sistematici che riguardano i condizionali e che hanno fatto discutere linguisti, scienziati cognitivi, filosofi del linguaggio in an ni molto più recenti 2 • Il capostipite di questi quasi-paradossi è un famo so test predisposto da Peter C. Wason (r966) per controllare la compe tenza logica, il cosiddetto /our cards selection task: [24]
Date le seguenti quattro carte:
e dato l'enunciato (W') "se c'è un A su un lato di una carta, allora sull' altro lato c'è un 3 " s i chiede: quali carte è sufficiente voltare per verificare la verità d i ( W') ?
L a risposta corretta è "A e i ' , ossia: s i controlla s e dato A su u n lato c'è 3 sull' altro lato, e si controlla se dato non-3 si ha non-A . Le due opera zioni corrispondono alle regole-base dei condizionali: il modus ponens (MP) e il modus tollens (MT) . Dato "se a allora W' , avviene che dato a, consegue � (MP) , e dato non-�, consegue non-a (MT) . I risultati variano in base al tipo di popolazione esaminata, ma Wason calcolò che in una popolazione di studenti universitari occidentali è normale aspettarsi una risposta corretta in meno del ro per cento dei soggetti interpellati. Dal 1966, quando è stato presentato per la prima volta, il test ha ri cevuto una quantità di elaborazioni diverse. Al posto delle carte sono
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CONDIZIONALI DIFETTOSI
state presentate altre situazioni, in cui si trattava di pagare una multa, di minorenni che bevono alcolici o di francobolli su lettere aperte o chiuse. Si è riscontrato con chiarezza che in alcune versioni, specie quel le che mettono in gioco circostanze della vita quotidiana, l'errore ha una frequenza decisamente minore: sembra cioè che il ragionamento ordi nario non sia indifferente al contenuto, come spiega bene Frixione (2007, p. 29) . Il problema per quel che qui ci interessa è però capire s e errori di questo tipo siano dovuti a carenze di competenza logica o alla varietà e contestualità delle inferenze naturali, oppure ancora rivelino qualche co sa di caratteristico circa i condizionali e i paradossi che li riguardano. L'e sempio che segue si deve a Philip N. Johnson-Laird. [25] Si supponga che in un gioco a carte uno dei giocatori, X, formuli a proposito delle carte che ha in mano le seguenti asserzioni: Tr: se tra le mie carte c'è un Re, allora c'è un Asso (R � A) T2: c'è un Re (R) T3: se non c'è un Re, allora c'è un Asso (-,R � A ) . Sappiamo che T2 è vera: X h a u n Re; poi sappiamo che Tr e T 3 non pos sono essere simultaneamente vere, ossia: se Tr è vera, allora T3 deve essere fal sa, e viceversa, e una delle due deve essere vera. Si è portati a concludere che X ha un Asso: ma ciò non può essere vero, per ché se vale quel che sappiamo, si è obbligati ad ammettere che non ci può esse re alcun asso tra le carte del giocatore X.
Le affinità con il paradosso di Carroll sono evidenti: anche in questo ca so si tende semplicemente a pensare che R � A e -R. � A siano non compatibili, dunque si cancella l'ipotesi T3 e si lavora solo con Tr e T2, da cui per modus ponens (dato R, consegue A) si deduce A. Dal punto di vista logico questo però è sbagliato. Un condizionale del tipo " o; � W' è falso solo in un caso: se a è vero e p è falso. Ciò è abbastanza intui tivo: se dico "se a allora P" intendo dire che non si dà il caso che a e al tempo stesso non-p. Applicando il significato di � al test di Johnson Laird abbiamo che R � A e -R. � A , dato A , sono entrambe vere, mentre, dato -A, è vera solo T3 . Poiché non possono essere entrambe vere, è vera solo T3, ed è vero -A . Per capire l'errore possiamo considerare l e situazioni i n cui Tr e T3 possono essere vere, ed escludere quelle compatibili (visto che Tr e T3 si escludono reciprocamente) . Dato Tr, ossia "se X ha un Re ha un Asso " , l e situazioni possibili sono: r. X h a u n Re e un Asso; 2 . non h a R e non ha A; 3· non ha R e ha A. Dato T3, cioè " se X non ha un Re ha un Asso " , l e situazioni possibili sono: 4· non-R e A; 5· R e non-A; 6 . A e R. Ora T2, che sappiamo essere vera, ci dice che c'è un Re, dunque eliminiamo le 59
PARADOSSI
situazioni 2, 3 e 4, che sicuramente non sussistono, e ci restano solo tre possibilità: I, 5, 6. Ma sappiamo che TI e T3 non possono essere entram be vere, perciò dobbiamo eliminare anche I e 6, che sono identiche. Re sta accettabile solo la 5: X ha un Re e non ha un Asso.
5·2 Le ragioni degli errori
Perché ci si sbaglia così frequentemente, riguardo ai condizionali? Gli psicologi del ragionamento hanno fornito diverse ipotesi esplicative (cfr. Evans, Over, 2004) . Una prima spiegazione è che il condizionale ha nel nostro pensiero una natura " camaleontica" , per cui in casi di incertezza tende facilmente a essere sostituito con un doppio condizionale. Il pen siero comune è abituato a questo genere di rapide correzioni. Ciò spie ga l'errore del paradosso di C arroli in un modo interessante: si interpre tano F � (A � --,]3) e A � B come bicondizionali, e si conclude che F non può uscire visto che esce solo se A esce senza B, ma A e B escono sempre insieme 3• Un' altra spiegazione fa appello alla differenza tra forme di pensie ro primitive o evolute. Dal punto di vista evolutivo la forma " se p allo " ra q appare tardivamente. I bambini più piccoli a quanto sembra ten " dono in modo sistematico a interpretarla come "p e q , mentre i più grandi decisamente la traducono in p H q. Si può supporre che un re siduo di questa visione primitiva della condizionalità sopravviva nella valutazione ingenua del paradosso di Carroll. Il condizionale " se esce A allora non esce B" viene interpretato come " esce A e non esce B" e " se A allora B " come "A e B " . Da cui consegue (come nel caso pre cedente e per le stesse ragioni) che la condizione F non si può mai da re: F non esce. L'interpretazione primitiva dei condizionali però non sembra esse re del tutto arbitraria, se si considera la teoria dei condizionali supposi zionali, definiti anche semi-proposizionali o restrittivi4. In base a questa teoria, normalmente il condizionale ordinario ( quello con il verbo al l'indicativo, del tipo: "se è primavera le piante fioriscono " ) esprime an zitutto la verità dell' antecedente. Quando dico "se p allora q " intendo che si dà anzitutto la condizione p e che q ne consegue in qualche mo do. Dunque, nei casi sopra citati non c'è di mezzo realmente un errore, ma piuttosto una particolare interpretazione della struttura p � q. La teoria spiega piuttosto bene il caso apparentemente inesplicabile degli Indios del Sud America, a cui un intervistatore sottopone la seguente 6o
5.
CONDIZIONALI DIFETTOSI
domanda elementare: "se un cacciatore uccide sei orsi al giorno, è vero che ne uccide 42 in una settimana? " . Gli Indios rispondono senza esi tazioni: "no " , pur essendo perfettamente in grado di compiere il calco lo 6 x 7 = 42. Molto semplicemente, perché non si possono uccidere sei orsi al giorno. I condizionali supposizionali equivalgono a situazioni epistemiche in cui stabiliamo per ipotesi che p sia vero e valutiamo che, se così è, ne consegue che q; evidentemente, se sappiamo che p non è ve ro, ci si chiede che senso avrebbe l'intero ragionamento . Nel caso del test di J ohnson-Laird si giustifica allora l'eliminazione rapida dell'ipo tesi ---,R � A , dato R. Ciò rimanda a quel che possiamo chiamare "il pri mato dell'antecedente" nel pensiero comune: in molti casi in un condi " zionale "se p allora q l' antecedente, cioè p, è considerato "più impor tante " . Per il significato logico di p � q non è propriamente così : anzi la falsità dell'antecedente è garanzia della verità del condizionale (se a non è vero, � può essere vero o falso, indifferentemente, e il condizio nale a � � resta vero) . Secondo i teorici dei "modelli mentali" 5, il problema nei casi analo ghi al paradosso di Carroll consisterebbe nella difficoltà, da parte della nostra memoria di lavoro (la memoria a breve termine che usiamo per compiere operazioni logiche immediate) , di tenere a mente tutte le "si tuazioni" possibili individuate dai condizionali e valutarne le relazioni. Nell'ascoltare un enunciato ci formiamo il modello mentale della situa zione di cui l'enunciato dà conto, ma è quasi impossibile formarsi un mo dello mentale di enunciati complessi, come F � (A � --B) . Inoltre gli enunciati negativi sono difficili da simbolizzare: se il modello di "p e q " è una struttura semplice in cui figurano p e q congiuntamente, il model lo di non-p non sembra avere equivalenti figurali. Secondo Evans e Over (2004) la radice degli errori sarebbe da im putarsi piuttosto a una complessità intuitiva della relazione anteceden te-conseguente, di cui i dibattiti filosofici sui condizionali hanno sempre dato conto. Come dire: il concetto di condizionalità ha esso stesso una natura variegata e complessa. Per questo si usa anche dire che il "se . . . al lora" in verità non è un operatore, ma una intera famiglia di operatori concettuali. Inoltre, Evans e Over notano che nell'uso e nella compren sione dei condizionali, e dunque nella scelta del tipo di operatore da ap plicare, agiscono due sistemi separati. Il primo, il sistema r, è istintivo e pragmatico, e per così dire costruisce il quadro concettuale preliminare, isolando le possibilità rilevanti, il secondo, il sistema 2, elabora il condi zionale vero e proprio, ossia la struttura antecedente-conseguente. Tan to nell'elaborazione quanto nella valutazione dei condizionali i due si stemi operano congiuntamente, e a volte uno dei due agisce in modo dis sonante rispetto all'altro. 6r
PARADOSSI
5·3 Logica e pensiero comune
Esistono certamente difformità tra logica e ragionamento naturale6• Ciò non significa necessariamente che la logica (la teoria formale del ragio namento) vada in una direzione e la comprensione intuitiva del mondo vada in una direzione completamente diversa; a volte anzi la consonan za è perfetta. Un buon esempio è il caso del cane ragionatore: [26] Un cane fiuta una pista. Procede speditamente, finché arriva a un bivio. Prende una delle due vie, e con il naso a terra controlla se la preda ha preso quel la direzione. Poi all'improvviso si ferma, torna sui suoi passi, e prende l'altra strada, senza preoccuparsi di controllare la continuità della traccia.
Difficile non vedere nel procedimento del cane il sillogismo disgiuntivo, " ossia la forma logica "p oppure q, ma non-p, dunque q (che tra l'altro equivale al modus ponens, una regola basilare e intuitiva) . Se questo va le per un cane a maggior ragione dovrebbe valere per il ragionamento umano : i processi mentali ordinari dunque fanno uso (possono far uso) di qualcosa di simile a una logica, anche a livelli molto elementari. Ma proprio questo accordo di massima è fonte di confusione, per ché non sempre funziona. A volte, l'accordo fallisce a causa di errori del senso comune: i paradossi veridici di Carroll e di Johnson-Laird sono ca si in cui il ragionamento ordinario ha torto e la logica ha ragione. Ma ci sono anche casi in cui è la logica ad avere torto, o meglio: la logica (clas sica) non riesce a catturare tutti i modi in cui il concetto di condiziona lità trova applicazione nelle circostanze della vita ordinaria. Questa difficoltà, che era già nota ai tempi delle discussioni antiche, dei Megarici e degli Stoici, ha aspetti diversi, ed è alla base delle diverse interpretazioni e dei diversi tipi di analisi dei condizionali elaborate dal la logica moderna, proprio sulla base del riscontro di alcune circostanze paradossali 7. Un primo esempio è la distinzione tra il condizionale detto indicati vo, per esempio: " se prendi un aereo arrivi a Roma in poche ore" e quel lo contro/attuale: "se il ladro fosse entrato dalla finestra ci sarebbero del le impronte nell' aiuola" . L'operatore � è usato per indicare entrambi, e in molti casi la differenza non è logicamente rilevante. Per esempio: "se prendi un aereo arrivi a Roma in poche ore" equivale a: " se prendessi un aereo arriveresti a Roma in poche ore " , se è vero il primo è vero anche il secondo. Ma non è sempre così. Per esempio : "se Oswald non ha ucci so Kennedy, l'ha fatto qualcun altro" non ha le stesse condizioni di ve rità di: "se Oswald non avesse ucciso Kennedy, l'avrebbe fatto qualcun
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CONDIZIONALI DIFETTOSI
altro" . Il primo enunciato è vero, il secondo non lo è ( almeno allo stato delle nostre informazioni) . L a struttura a � �, che significa: "non si d à il caso che a sia vero senza che � sia vero " , è perfettamente adeguata in molti casi: per esem pio, non si può essere francesi senza essere europei, perciò, "se J uliette è francese allora è europea" è vero. Ma l'applicazione incondizionata di questa stessa struttura genera conseguenze problematiche. Per esempio: qualsiasi condizionale "se a allora W' in cui a sia falso è vero, dunque " se Napoleone era giapponese io so volare" è vero, ed è vero "se i cavalli vo lano allora 2 + 2 = 4" . La conseguenza più nota di tutto ciò sono i para dossi dell'implicazione materiale.
Le due derivazioni sono perfettamente valide. La prima ci dice che se una pro posizione è vera, è implicata da qualsiasi altra proposizione; la seconda ci dice che una proposizione falsa implica qualsiasi proposizione.
Altri casi quasi-paradossali rivelano altri aspetti problematici della con figurazione a � � 8 • Primo esempio - L a regola detta del rafforzamento dell'antecedente è l a seguente:
È questa una derivazione valida: sta a significare sostanzialmente che, " dato " se p allora q , per qualsiasi proposizione aggiunta a p consegue sempre q. Perché dovrebbe esserci una differenza? Per esempio : dato " se un numero è maggiore di IO è maggiore di 5 " , vale anche: " se un nu mero è maggiore di IO e minore di IOO è maggiore di 5 " . Ma supponiamo che p = "la pena di morte viene abolita"; q = "sono felice" ; r = "la Terra viene distrutta dai Marziani", abbiamo allora: se la pena di morte viene abolita sono felice; dunque: se la pena di morte viene abolita e la Terra viene distrutta dai Marziani sono felice.
Secondo esempio - La regola di concatenazione (o di transitività, o sillo gismo ipotetico) è del tutto accettabile: se p implica q e q implica r, allo ra p implica r. Dunque la derivazione: -.p � q, r � -.p, � r � q
PARADOSSI
è perfettamente valida. Eppure dato p = "John vince le elezioni" , q . . "]oh n s1 d'a al b usmess , , e r = "] o hn muore , , abb'1amo:
=
se John non vince le elezioni si dà al business; se John muore non vince le ele zioni; dunque: se John muore si dà al business.
Terzo esempio - La negazione di un condizionale equivale all'afferma zione dell' antecedente e negazione del conseguente. Dunque:
La derivazione è valida e il suo significato è del tutto ragionevole. Con siderando che a � B vuol dire: "non si dà il caso che a e non-W' , ne con segue che negare a � B vuol dire "si dà il caso che a e non-W' . Di qui deriva però una nota prova (fallace) dell'esistenza di Dio. [28]
Il seguente enunciato: ( 1' ) Se Dio esiste, allora c'è dolore inutile nel mondo
sembra controintuitivo, e dunque non c'è difficoltà a sostenere che ('') non sia vero. Dunque: --, (Dio esiste � c'è dolore inutile nel mondo) Noi sappiamo però che un condizionale classico significa: non si dà il caso che e non-�. Per cui abbiamo:
a
--, (-,(Dio esiste
1\
non c'è dolore inutile nel mondo) )
Togliendo la doppia negazione: Dio esiste e non c'è dolore inutile nel mondo
La conclusione è rassicurante, ma l' argomento non convince affatto. Si no ti che lo stesso risultato si può ottenere con qualsiasi altro enunciato come conseguente, per esempio: "se Dio esiste allora Parigi è una bella città" . Tutti e tre gli esempi ci parlano d i una inadeguatezza di � rispetto a quel che intendiamo con termini come " condizionale" o "implicazione" 9• In particolare il primo e il secondo fanno vedere che nell'isolare la rela zione antecedente-conseguente "nel mondo" (per usare la terminologia di Evans e Over: nel mettere in opera il sistema I) dobbiamo tenere con to di co-condizioni che possono costituire anti-condizioni: se capita il fat to a sono felice, ma se a capita insieme allo sgradevolissimo fatto B, non lo sono affatto; se capita a allora capita anche B, ma non se insieme ad a si verifica un certo fatto y che toglie le condizioni per B. Naturalmente la
5.
CONDIZIONALI DIFETTOSI
lista delle condizioni concomitanti è aperta e infinita, come ci dice il prin cipio dell'elusività della conoscenza, che si è visto nel precedente capito lo (cfr. PAR. 4.2.2) . Dunque ogni enunciato del tipo "se si verifica a allora si verifica (verificherà) W' è virtualmente falso? In realtà può non essere così. La soluzione si ottiene inserendo nel la logica dei condizionali di questo tipo la clausola ceteris paribus, ossia: " se a, e se ogni altra rilevante circostanza resta invariata, allora W' . Per cui avremo : "se John non vince le elezioni, a parità di condizioni, si dà al business"; " se la pena di morte viene abolita, ceteris paribus, sono feli ce" . Queste considerazioni sono alla base della "logica condizionale" , sviluppata d a Robert Stalnaker e David Lewis 10• Per quel che riguarda poi il terzo esempio, è evidente che l'implica zione che neghiamo nel negare ( �' ) non è del tipo che prevede l' equivalen za tra -, (p � q) e p 1\ -.q. Equivale piuttosto a una implicazione stretta, o a una implicazione rilevante. Un condizionale stretto esprime una relazio ne tra antecedente e conseguente più forte di quella espressa da � ed equivale a "è necessario che se p allora q". Ossia: in tutti i mondi o situa zioni in cui si dà il caso che p, si dà anche il caso che q. Quando neghia mo ( �' ) intendiamo dire che ci possono essere situazioni e mondi in cui Dio esiste ed esiste il dolore inutile, ma ciò non ci autorizza a determi nare nulla di categorico. In altri termini: "non è necessario che (p � q) " significa: è possibile che p e non-q, è possibile che qualcosa chiamato Dio esista e non ci sia dolore, è possibile che Dio esista e Parigi non sia una città particolarmente bella. L'implicazione stretta in verità non elimina tutti i problemi, perché possono verificarsi i paradossi dell'implicazione stretta, che lasciano vedere che se a è impossibile, allora implica stretta mente qualsiasi p; se a è necessario, allora è implicato da qualsiasi p. La nozione di implicazione rilevante mette in gioco una strategia di versa, focalizzata più strettamente sulla natura della relazione tra ante cedente e conseguente. Per i logici della rilevanza 11, dire che a implica p equivale a dire che c'è qualcosa in a che è condiviso da p, c'è un legame specifico e rilevante tra a e p, dovuto alla costituzione dell'uno e dell'al tro. Da questo punto di vista, tanto i paradossi dell'implicazione mate riale classica quanto quelli dell'implicazione stretta sono scongiurati. E in particolare risulta che se nego e') , o un qualsiasi altro enunciato del la forma: "Dio esiste �
ux (nx , cy ) = 4 ux ( cx , ny ) = I > ux (nx , ny ) = 2 Se y confessa, a x conviene confessare (altrimenti dovrà scontare quattro anni) ; se y non confessa, a x conviene comunque confessare (perché co sì sconta solo un anno) . C'è quindi una semplice ed evidente soluzione del dilemma: confes sare. È il cosiddetto "punto di equilibrio di Nash " : per entrambi i gio catori la soluzione " confessare" è la scelta migliore. Si direbbe dunque che il dilemma del prigioniero non è un vero dilemma, visto che c'è una soluzione. In realtà la questione non è così semplice. In una società in cui gli individui si muovono tutti in base all'utilità attesa personale si ottiene l'equilibrio di Nash : tutti confessano e tutti scontano tre anni. Però va notato che in questo modo le soluzioni migliori, ossia un anno e due anni, vengono a priori scartate. Infatti l'equilibrio di Nash non è un ot timo paretiano, ossia tale da sfruttare tutte le risorse a disposizione. L' ottimo pareti ano si raggiunge in una società quando non è più pos sibile un maggiore guadagno di una parte sociale senza perdita corri spettiva di un'altra parte: ciò vuol dire, in altri termini, che non esisto!02
9 . PRIGIONIERI
no risorse non sfruttate. Ma così non è nel caso dei nostri prigionieri: le risorse 2 anni e 1 anno restano inutilizzate. Si presentano allora nuo ve condizioni di analisi : forse la strategia mirante all'equilibrio di Na sh non è davvero la migliore strategia. Se si calcola il guadagno medio in termini di utilità attesa per la col lettività e non per gli individui, il risultato è singolarmente difforme: il guadagno migliore si ha quando entrambi i prigionieri scelgono di non confessare. Considerando l'ordine di preferenza per X in base al van taggio individuale abbiamo: I - (cx , ny ) � I anno 2 - ( n , n ) � 2 anni 3 - (cx� cy ) � 3 anni 4 - ( nx , c) � 4 anni
Considerando invece l'ordine di preferenza in base al vantaggio collettivo: I - ( nx , ny ) � 2 + 2 = 4 anni 2 - (cx , ny ) � I + 4 = 5 anni 2 - ( nx , c) � 4 + I = 5 anni 3 - (cx , cy ) � 3 + 3 = 6 anni
Il massimo vantaggio collettivo coincide con la soluzione "non confes sare", mentre il risultato collettivamente peggiore coincide con " confes sare". Dal punto di vista dell'utile collettivo conviene non confessare. In questo modo il dilemma si trasforma da "gioco non- cooperativo" a " gio co cooperativo" (cfr. Axelrod, 1984) . Nella prospettiva della cooperazio ne, l'equilibrio di Nash non è preferibile. A questo punto emerge però una conseguenza interessante e in qual che misura più problematica. Una società in cui tutti operano per il pro prio vantaggio non è una società ottima dal punto di vista economico, e supponiamo che ciò diventi socialmente evidente. La soluzione "non confessare" viene pubblicamente riconosciuta come preferibile, tutti di ventano consapevoli dei maggiori vantaggi relativi alla scelta solidale. Si produce allora una rivoluzione culturale: gli individui del corpo sociale rinunciano alla soluzione " confessare" e tutti scontano solo due anni. Si potrà chiamare questa società benevola, o dei benevoli. Una società così strutturata però sarà sistematicamente fragile. In fatti se ciascuno sa che tutti gli altri confessano ciascuno sa anche che l'opportunità del massimo vantaggio personale è a portata di mano. Qualche pirata inizierà allora a violare la regola e a confessare, ottenen do il risultato migliore. Si produrrà l'altro tipo di ottimo, e avremo la so103
PARADOSSI
cietà dei pirati, divisa in perdenti e vincenti. I pirati trarranno profitto dalla situazione di benevolenza generalizzata per produrre facilmente la soluzione r + 4, in cui il vantaggio di una parte sociale coincide con la perdita correlativa di un'altra parte sociale. Una terapia prevedibile a questo punto potrebbe essere il ritorno all' equilibrio di N ash : tutti confessano, tutti scontano tre anni e si adat tano a una condizione d i riequilibrata mediocrità. S i determina allora un circolo o meglio un ciclo: dalle società equilibrate a quelle benevo le, da queste alle società di pirati, per tornare all'equilibrio . Abbiamo dunque: società equilibrata ::::} società dei benevoli ::::} società dei pirati ::::} società equilibrata
Da questo punto di vista, il dilemma del prigioniero funziona come un paradigma tragico per le scienze storico-sociali e politiche: lascia vedere molto bene che l'equilibrio è povero e mediocre, la benevolenza è ri schiosa, la pirateria è socialmente distruttiva. Il principio della solida rietà sociale è virtualmente vincente, ma in pratica estremamente fragi le: per funzionare, deve essere sostenuto da una complessa rete di nor mative che proteggano le società benevole dal rischio della pirateria, e forse da una svolta culturale più radicale e profonda di quella generica mente orientata a favorire l'utile collettivo. In altri termini: c'è un pri mato pratico ed economico del bene, ma può trionfare socialmente solo se i benevoli vengono socialmente protetti.
9· 3 Altri dilemmi dell'azione sociale
L'analogia tra il dilemma del prigioniero e quello di Newcomb è stata esplorata da diversi autori ( cfr. anzitutto Lewis, 1979 ) . Il dilemma di Priest ( 2002) , citato nel PAR. r.2 r, è appunto una combinazione tra i due: .
[4] X e Y sono amici, si conoscono molto bene e si assomigliano, tanto che di regola fanno le stesse scelte . Sono prigionieri, in due stanze separate, di fron te a due pulsanti: se un prigioniero preme il pulsante a riceve ro euro, se preme il pulsante � non riceve nulla, ma il compagno riceve roo euro.
Il doppio argomento è questo: r. Se X preme il pulsante a ottiene ro + quel che avrà scelto Y (ossia o oppure roo), se preme � ottiene o + quel che avrà scelto Y (ossia = o op pure roo ) . Conviene scegliere a. 104
9 . PRIGIONIERI
2. Se X sceglie a , anche Y sceglierà a, dunque entrambi riceveranno solo ro euro; se X sceglie � anche Y l'avrà scelto, dunque otterranno en trambi roo euro. Conviene scegliere f3. I principi in conflitto sono: A = guadagno diretto; B = affinità per sonale. In base al guardagno diretto si preferisce il ragionamento I , in ba se all' affinità tra i prigionieri si preferisce 2. Ma esattamente come nel ca so precedente, se X ragiona sulla base dell' affinità con Y si espone all'e ventualità che Y invece, ragionando in base al guadagno diretto, svolga il ragionamento I, e quindi ottenga il massimo possibile: no euro. Non è escluso che Y, conoscendo bene X, e dunque potendo prevedere la sua scelta, ragioni di conseguenza, ma poiché X conosce Y, e fa le stesse scel te, ciò non potrà mai darsi. Ma se ciò non potrà mai darsi, e X e Y ne so no consapevoli, allora . . . Il dilemma del prigioniero nelle diverse varianti suggerisce che l'a zione sociale è sottoposta (o può essere sottoposta) al principio di una morale mereologica (da meros, parte) , che cioè stabilisce relazioni etica mente oltre che economicamente rilevanti tra le proprietà della parte e le proprietà del tutto. Volendo, suggerisce che nell'ambito sociale il tut to ha un primato razionale, ossia in caso di incertezza il suo vantaggio è preferibile, tanto in termini di eticità quanto in termini di utilità attesa, a quello della parte. Si consideri ora il caso degli onesti predoni: [45] C'è una tribù di indigeni pacifici e vegetariani. Ogni giorno si siedono a pranzo intorno a un unico grande tavolo, che raccoglie i cento membri della tribù, e nelle ciotole ciascuno ha esattamente cento chicchi di riso. Un drappel lo di cento predoni armati e affamati giunge nella regione. I predoni fanno ir ruzione nel campo degli indigeni, si accorgono che non c'è molto da prendere, ma con la minaccia delle armi tolgono a ciascun indigeno la sua ciotola, e man giano ciascun pranzo. Nella notte il capo dei predoni ha uno scrupolo morale : hanno agito in mo do riprovevole. Decide allora che il giorno successivo ciascuno dei predoni to glierà a ciascuno degli indigeni solo uno dei chicchi di riso; nessuno dei suoi uo mini avrà la colpa di privare un indigeno della totalità del suo cibo, ma solo di un centesimo: un danno trascurabile.
Se il dilemma del prigioniero mette in questione il rapporto tra interes se collettivo e individuale, questo caso coinvolge il rapporto tra respon sabilità individuale e responsabilità globale o collettiva, suggerendo che una trasgressione tollerabile individualmente può essere intollerabile se estesa alla collettività. La somma di danni tollerabili compiuti dalle par ti determina un danno intollerabile.
PARADOSSI
Le proprietà delle parti di una collettività possono non essere coe renti con le proprietà dell'intera collettività: una collettività P potrebbe essere composta di individui --, p e viceversa. In alcuni casi i due valori possono essere inversamente proporzionali: quanto più P è il tutto, tan to meno P sono gli individui. John Elster (1986) ricorda che una giuria incerta può essere composta di individui certissimi delle proprie opi nioni (e normalmente lo è) . Gli individui del gruppo hanno ciascuno in alto grado la proprietà " essere certi delle proprie opinioni" ; proprio per ciò il gruppo nel suo complesso ha in alto grado la proprietà "non esse re certi delle proprie opinioni" . Una variante classica di contraddizione tra proprietà collettive e pro prietà individuali è il paradosso di Condorcet, isolato da J e an-Antoine-N i colas de Caritat, marchese di Condorcet, all'interno del sistema di voto a doppio turno da lui escogitato (Kenneth Arrow ha generalizzato il ri sultato a tutti i sistemi di voto democratico: per questo si parla anche di "paradosso della democrazia" in senso proprio). [46] Supponiamo che i tre gruppi di cittadini X , Y, Z abbiano le seguenti preferenze: Seconda scelta Prima scelta Terza scelta x
y z
partito A partito B partito C
partito B partito C partito A
partito C partito A partito B
Se ci fosse una votazione a queste condizioni i tre partiti otterrebbero un iden tico numero di voti. Si può notare che individualmente non c'è ciclicità: X pre ferisce A a B e B a C, ma non certo C ad A . Se s i sceglie una votazione a doppio turno, per cui X, Y e Z scelgono prima tra B e C, e chi riceve meno voti si confronta con A, il risultato è paradossale. x
y z
votazione BIC
votazione A/C
votazione BIA
B B c
c c A
A A B
B>C
C>A
A>B
N ella p rim a votazion e , B ottie n e d u e voti su tre , e vin c e , quindi viene escluso dalla votazione successiva, che si svolge tra C e A. O ra si verifica facilmente che C risulta avere un vantaggio di 2 a 1 su A, mentre nella votazione ulteriore , tra A e B, B risulterà perdente .
In altri termini, viene violata la transitività: B è preferito a C e C ad A , m a A è preferito a B. L'ordine d i preferenza non è ciclico nel caso degli individui, ma lo diviene collettivamente. 106
9 . PRIGIONIERI
9· 4 Dalla morale alla metafisica
Nelle circostanze della vita pratica la scelta è in linea di massima possibi le ( cfr. PAR. 8 . 2 ) , a meno che non si sia alle prese con qualche perplessità fondamentale, di tipo logico o metafisica, e cioè con qualche paradosso. Ciò è particolarmente evidente nei dilemmi morali. In questa prospetti va possiamo esaminare la serie di dilemmi proposti da Philippa Foot in un classico della filosofia morale: Killing and Letting Die (Foot, 1985 ) . [47] Poniamo che in un paese del Terzo mondo tutta la popolazione stia mo rendo di fame. Esiste una differenza moralmente rilevante tra non fare nulla, e lasciare che muoiano di fame, e mandare del cibo avariato, che li farà morire avvelenati?
lntuitivamente si direbbe che la prima condotta sia in qualche misura ri provevole, anche se non condannabile, la seconda è lodevole ma con dannabile. Chi ha scelto la seconda via (presumibilmente per sbaglio) è responsabile della morte della popolazione del paese, anche se ha agito moralmente per il meglio . Alcuni autori hanno sostenuto che non c'è nessuna differenza: in definitiva tanto l' azione (sventurata) quanto la non-azione hanno l'identico effetto. Uccidere - spiega invece Foot - si gnifica essere l'agente diretto o indiretto di un delitto mortale, ossia dare inizio alla "sequenza fatale" (SF) che si conclude con la morte di un indi viduo. Mandando cibo avvelenato mi inserisco nella SF, per cui gli abitan ti del paese stanno morendo (la fame) , e creo un percorso alternativo, una specifica SF di cui sono responsabile (l'avvelenamento) . Devo dunque ri spondere della mia azione, anche se le mie intenzioni erano buone. La nozione di SF è un ottimo filo conduttore per esaminare e chiari re altri dilemmi morali. Per esempio: dispongo di sole cinque dosi di una medicina. Cinque persone ammalate potrebbero guarire, se prendessero ciascuna una delle dosi. Una persona avrebbe bisogno invece di tutte e cinque le dosi per poter sopravvivere. Che cosa devo fare? La scelta è piuttosto semplice: lascio morire la persona che avrebbe bisogno delle cinque dosi e somministro la medicina agli altri cinque. "Lasciar morire" non è qui una colpa: io non mi colloco all'inizio della SF che conduce quel la persona alla morte, mentre mi colloco invece all'origine della sequenza salvi/t'ca, che conduce i cinque alla guarigione. L'esempio più noto è il co siddetto esperimento mentale del trolley o del treno: [48] Un treno procede su un tratto di ferrovia ad alta velocità; poco più avan ti c'è uno scambio, il treno potrebbe prendere due direzioni: sul binario di sini-
PARADOSSI
stra ci sono, intrappolati sulle rotaie, cinque bambini; sul binario di destra c'è un solo bambino. Il treno è indirizzato a sinistra, dunque certamente ucciderà i cinque bambini. Non sono in grado di togliere i bambini dalle rotaie, ma mi tro vo all'altezza dello scambio, posso dunque modificare la direzione del treno. Che cosa devo fare?
Qui la scelta è più difficile: l'azione ucciderebbe un bambino anche se ne salverebbe cinque. In base al principio della SF non dovrei deviare il percorso del treno . Si può difendere la scelta a favore della non- azione proponendo il seguente caso. Cinque bambini sono malati e destinati a morire. Sarebbe necessario effettuare dei trapianti: di reni, di cuore, di fegato, di midollo spinale, di pancreas. Non c'è il tempo materiale di tro vare i cinque organi. C'è però un bambino, un solo bambino in perfetta salute, che potrebbe fornire a ciascuno degli altri ciò di cui ha bisogno per vivere. lo, medico, dovrei usare i suoi organi? La scelta è facile: nes suno sceglierebbe di provocare la morte di un bambino sano per curar ne cinque malati. Foot suggerisce di tenere conto dei due scenari seguenti, che chia ma Rescue I e Rescue II: [ 4 9] Rescue I - Sono un ingegnere e mi trovo in viaggio a tutta velocità su una jeep per salvare cento persone che stanno per essere travolte dal crollo di una diga. A un certo punto, vedo una persona che è in pericolo di vita (per esempio sta per precipitare da un burrone) : la persona invoca il mio aiuto. Ma se doves si interrompere il mio viaggio e intraprendere il salvataggio, la marea sommer gerà le cento persone che devo salvare. Che fare? Rescue II - Mi trovo sempre sulla stessa jeep, nella stessa situazione , solo che questa volta la persona in difficoltà si trova legata a terra, in una posizione in cui se io procedessi, la dovrei uccidere. D'altra parte, fermandomi, perderei tempo prezioso, e le persone verrebbero travolte dalle acque. Che cosa devo fare?
Nel primo scenario non dovrei avere esitazioni e dovrei procedere nel mio viaggio, nel secondo invece dovrei fermarmi, rischiando di non sal vare le cento persone in procinto di essere travolte dalle acque, ma evi tando di collocarmi all'inizio della SF che porta alla morte della persona legata a terra. Quali sono le regole in conflitto nei due scenari del salvataggio? La risposta è abbastanza semplice. li precetto A = "occorre salvare il mag gior numero di persone" entra in conflitto con il precetto B = "non si può uccidere" , ossia, nei termini di Foot: "non ci si può collocare vo lontariamente all'origine di una SF " . Secondo l'opinione di Foot, B ha una certa priorità. Questo vale anche nel caso dell'eutanasia o dell'a borto . In particolare, per quel che riguarda l'eutanasia, scrive Foot: «non 108
9 . PRIGIONIERI
toglierei al malato terminale che vuole uccidersi il veleno che intende usare, ma non glielo restituirei se lo perdesse». Posso legittimamente evi tare di togliere il veleno al malato perché posso invocare il mio "diritto di non interferenza" in una SF già avviata, o che so essere in procinto di awiarsi, ma non posso restituirglielo, perché questo mi collocherebbe all'origine della stessa SF, e dunque violerei la regola. Restituire il veleno sarebbe come reindirizzare una freccia che stava uccidendo qualcuno e che è stata deviata. Un' applicazione tipicamente controversa del principio della SF si ha in relazione all'aborto in casi di violenza carnale. n famosissimo esperi mento mentale escogitato da J udith Jarvis Thompson (1971) è più o me no questo: [5o] Una donna viene rapita e narcotizzata. Si sveglia in un letto di ospedale, con gli organi collegati a quelli di un grande violinista, gravemente malato, e che può essere mantenuto in vita solo grazie al suo sangue. È libera di scegliere: se de cide di scollegarsi, il violinista morirà, e lei avrà la responsabilità di averlo priva to della vita, se decide di non scollegarsi, dovrà rimanere legata al violinista, e dun que sarà sottoposta a una limitazione delle proprie condizioni di vita.
L'esperimento servirebbe a spiegare le ragioni per cui il corpo di una don na non può essere messo al servizio di un feto non desiderato. n feto non può avere il diritto di usare il corpo della madre, e il diritto di vivere del la madre, specie nel caso in cui la gravidanza rappresenti per lei un rischio, sarebbe prioritario rispetto al diritto del feto (qualunque sia il suo stato). Foot nota però che l'analogia con il violinista non è appropriata: se la don na si slegasse, il violinista morirebbe forse, ma non per una SF iniziata dal la donna stessa, bensì per un processo iniziato in una fase precedente; nel caso del feto, invece, la madre dovrebbe consapevolmente collocarsi al l' origine di una SF. La discussione non si è fermata qui, ma certamente l'o biezione di Foot discute l' argomento di Thompson alla radice. Ci si può chiedere però se non ci siano ragioni per discutere anche nello stesso modo l'interpretazione di Foot . Si può notare che l'aborto (in casi di violenza carnale) nell'interpretazione di Foot viene a essere equivalente al caso della tortura morale ( due prigionieri, uno dei quali è obbligato a uccidere l'altro). Si tratta in entrambi i casi di trovarsi - per responsabilità altrui - all'inizio possibile di una SF. L'ipotesi di Foot è che la scelta sia relativamente libera, anche se il principio SF dovrebbe esse re prioritario. Ma chiediamoci: è dawero la stessa situazione? In effetti, l'assassinio nel caso della tortura morale ci sembra realmente un assassi nio, mentre nel caso dell' aborto lo sembra meno. In che cosa consiste la differenza?
PARADOSSI
Una prima risposta semplice e intuitiva è che il compagno di prigio nia è un essere umano autonomo, mentre il feto è (allo stato) una parte del corpo della madre. Ciò non vuol dire che non sia in nessun senso un individuo; vuol dire semplicemente che la relazione è diversa: si tratta di una sequenza vitale interna a un'altra sequenza vitale. Ciò comporta si curamente condizioni diverse, sul piano antologico, a prescindere da co me si voglia interpretare la questione sul piano morale (si tornerà sul l' argomento nel CAP. 14) .
110
IO
Evidenze paradossali
IO . I
La verità e altri concetti
Esistono "paradossi" che non sono propriamente falsidici, né veridici, e non presentano neppure vere e proprie contraddizioni, ma sono piutto sto stranezze logiche o epistemiche filosoficamente rilevanti. È anche dubbio che si possano chiamare paradossi. Sono piuttosto risultati sor prendenti, che però sono legati ai significati di alcune parole di comune uso: se si vuole ridurre o eliminare la stranezza, occorre cambiare o pre cisare la definizione delle parole coinvolte. Ma non è facile intervenire su significati consolidati dall'uso (specie quando si tratti di parole filo sofiche) . Abbiamo già visto due casi di questo tipo: il paradosso della do manda [31] , e l'unexpected hanging [33] . Questo genere di argomenti o situazioni epistemiche si possono chiamare "evidenze paradossali" (EP) perché presentano una sorta di forzatura o di obbligo che proviene dal linguaggio, e che ha dunque l'urto di un'evidenza oggettiva, benché si sia riluttanti ad ammettere le conclusioni che vengono imposte. Le EP hanno una particolare importanza nell'analisi dei paradossi. Contengono infatti, come vedremo , alcuni p articolari concetti il cui comportamento semantico (le relazioni di significato che intrattengono con altri concetti) è problematico, e che costituiscono i tipici generatori di C irriducibili. L'idea che i paradossi abbiano origine dal comporta mento anomalo di alcuni concetti, dotati di caratteristiche speciali, si af faccia molto presto nella tradizione filosofica, ed è sempre stata una co stante nell'analisi dei paradossi. Il primo scopritore (o inventore) di pa radossi per la tradizione è Zenone, e i suoi "ragionamenti dialettici" era no basati sulla C che viene a crearsi quando usiamo il concetto di "esse re" in rapporto ad altri concetti, come "movimento" e "pluralità" . Pla tone era ben consapevole del fatto che le idee o forme generano con traddizioni (e questa intuizione era alla base della sua teoria della dia lettica concettuale, esposta nel Parmenide o nel So/ista) . Gli stessi megaIII
PARADOSSI
rici, a quanto sembra, crearono i loro argomenti insidiosi allo scopo di dimostrare che gli universali (l'essenza o idea " uomo" , o " cavallo" , o "bellezza" ) , calati nel linguaggio comune, determinano C di ogni gene re. Aristotele era convinto che i paradossi avessero origine dalla manca ta conoscenza del funzionamento delle categorie e dovessero essere cor retti con adeguate definizioni delle determinazioni concettuali, come "potenza" e " atto", o "sostanziale" e " accidentale" . Anche Kant e Hegel erano della stessa opinione, erano cioè consapevoli del fatto che i para dossi nascono quando si usano in un modo particolare «concetti puri», come "possibile" e "impossibile" , " vero " e "falso " , " quantità" , " qua lità" , "identico " , " differente" , " totale" ecc. Ai nostri tempi, Russell e Tarski ci dicono che i paradossi si generano «per la presenza di qualche parola sistematicamente ambigua rispetto al tipo, come verità,/alsità,/un zione, proprietà, classe, relazione, numero, nome, definizione» (Russell, Whitehead, 1910-13, p. 130) , o a causa di parole che indicano «concetti se mantici», come «verità, designa, significa, soddisfa» (Tarski, 1944, pp. 120-1) . Gupta e Belnap (1993) identificano il problema nell'esistenza di nozioni «definizionalmente circolari», altri parlano di «predicati parziali» o di «concetti difettivi». Infine, per citare un autore tra i più noti del dibatti to attuale, Hartry Field centra la sua analisi (Field, 2008) sul tentativo di irreggimentare in modo nuovo le «proprietà concettuali» che produco no anomalie. Ma quali sono i concetti anomali, o difettosi? Che cosa, nel loro si gnificato, genera contraddizione? Non c'è un'unica risposta a queste do mande. Gli stessi concetti in questione sono chiamati in molti modi di versi: categorie, concetti formali, conceptual properties o anche Ober-Be grz/fe, super- concetti. Le loro proprietà problematiche sono identificate in vario modo: l'iterabilità, la generalizzabilità, la materialità (il fatto che possano essere usati per parlare di parole, cioè di linguaggio) . Forse la loro caratteristica più interessante è la loro inaggirabilità, ossia il fatto che sono strutture di cui ci serviamo necessariamente (non possiamo non servirei) quando ragioniamo, argomentiamo e ci confrontiamo pubbli camente su temi di interesse comune. In altri termini: è impossibile di sfarsi di questi concetti nella scienza, in filosofia, in generale nella vita condivisa (questo ci dice tra l' altro che i paradossi sono fenomeni im portanti, di cui occorre comunque tenere conto). Il primo e il principale concetto di questo genere è quello di verità, che è alla base del mentitore standard e di molti altri paradossi correlati, detti epistemici o semantici o aletici (cfr. CAP. n ) . Il concetto di verità è ti picamente produttore di C; anzi, nel significato più tradizionale e intuiti va, come corrispondenza tra il mondo e quel che si dice del mondo, sem bra essere esso stesso contraddittorio: stabilisce una relazione di confor112
IO. EVIDE:-..: ZE PARADOSSALI
mità tra termini irriducibilmente eterogenei (la realtà e il linguaggio) , uno dei quali (la realtà) è o sembra essere inafferrabile o addirittura inesistente "in sé" . Eppure è impossibile disfarsi del concetto di verità: perché se si dice per esempio "la verità è un concetto inutile" questo enunciato per avere una qualche utilità sul piano argomentativo deve essere vero. Dun que ci ritroviamo alle prese con la verità: la verità è comunque utile a ga rantire l'accettabilità dell'enunciato che asserisce l'inutilità della verità. L'esistenza di proposizioni vere e di proposizioni false è in effetti una verità analitica. Questo vuol dire che la proposizione " qualche proposi zione è vera" è vera, non tanto in base a come è fatto il mondo, ma in ba se al significato stesso della parola "verità" . Ecco dunque l'EP che ri guarda la verità: "la verità esiste" è una proposizione che possiamo con siderare, allo stato delle nostre intuizioni circa il vero e il falso, innega bile o ipergiustt/icata, nel senso che negandola ci si contraddice (cioè la si afferma) . Abbiamo già visto (PAR. 2.2 ) la confutazione del nichilismo, os sia della tesi "niente è vero " ; ora conviene rivedere l' argomento insieme al suo correlato, che dimostra che anche il trivialismo, ossia la tesi "tut to è vero " , non è asseribile senza C. [51]
Confutazione del nichilismo (CN) : niente è vero (nichilismo) è vero che niente è vero dunque: qualcosa è vero I
2
Confutazione del trivialismo (CT) : tutto è vero (trivialismo) è vero anche che qualcosa non è vero dunque: qualcosa non è vero. I
2
Le due confutazioni ' ci dicono che le tesi " qualcosa è vero " e " qual cosa non è vero " sono innegabili: se nego che qualcosa è vero, mi tro vo a dover ammettere che in realtà non è così, perché c'è almeno una proposizione vera (la mia) ; se nego che qualcosa sia non-vero, o anche falso (in questa sede non è rilevante la differenza) , mi trovo a dover ri conos cere che neppure " qualcosa è falso" è falso. I due argomenti esi biscono la forma -,a � a. Ci troviamo dunque di fronte all' esatto complementare delle autocontraddizioni viste nel PAR . 2. 2, ossia gli ar gomenti della forma a � -,a. Le prove del tipo di CT e CN si possono in effetti chiamare ( come suggeris ce Galvan, 1997) " autofondazioni" (AF) . Come un' AC esibisce una tesi necessariamente falsa, così un' AF esibisce una tesi necessariamente vera. Abbiamo dunque i due schemi: ( a � -,a) � -,a e ( -,a � a) � a . Sono due formulazioni, rispettiva113
PARADOSSI
mente negativa e positiva, della regola detta consequentia mirabilis ( cfr. Bellissima, P agli, 1996) . Ora è facile notare che alle origini di questo risultato, se non "mira bile" comunque abbastanza sorprendente, c'è il comportamento se mantico della parola "verità" , e più specificamente il fatto che la verità è ubiqua e dispensabile al tempo stesso. Consideriamo la più comune in tuizione riguardante la parola "verità" , quella fissata da Tarski (1933) nel cosiddetto "schema T" : Vp H p
Ossia: una proposizione p è vera se e solo se p 2• Lo schema esprime in modo semplice e immediato quel che succede quando usiamo "vero" . Quando diciamo "p è vera" intendiamo dire che le cose stanno proprio così come p dice, dunque se diciamo che "la neve è bianca" è vero, in tendiamo dire che la neve è bianca (e viceversa) . Il bicondizionale Vp H p è oggi anche detto "schema di equivalenza" o "bicondizionale tarskia no" , o "regola di intersostitutività". La maggior parte delle teorie della verità sono d' accordo con Tarski nel dire che una buona definizione di verità (e anche in generale l'uso della parola "vero" ) deve tenere conto dello schema, e non funzionerebbe se comportasse qualche violazione di questa semplice condizione di partenza. Notiamo che lo schema T esprime il comportamento semantico di "vero " , fissando i meccanismi della cattura e del rilascio ( cfr. Beali , 2007a) : p � Vp (capture) Vp � p (release)
E ciò è perfettamente fedele all'uso di "vero" . Se dico che il gatto è sul divano, intendo dire che la proposizione (o il pensiero) che il gatto è sul divano è vera: cattura. Se dico d'altra parte che tale proposizione è vera, voglio semplicemente dire che il gatto è sul divano: rilascio. La verità, per così dire, afferra qualsiasi enunciato io proferisca con pretese assertive e lascia andare libero ogni enunciato a cui io premetta "è vero che . . . " . Ora vediamo molto bene che le due confutazioni di cui sopra fun zionano grazie precisamente ai meccanismi del rilascio e della cattura: CN 1 niente è vero 2 è vero che niente è vero (cattura) : qualcosa è vero .
II4
I O . EVIDE:-..: Z E PARADOSSALI
CT I tutto è vero 2 " qualcosa non è vero" è vero :. qualcosa non è vero (rilascio)
Più precisamente, e in formule: I
--,:::l > cfr. Floridi (r996). 6. Sulle situazioni fallaci o quasi paradossali relative a superfici, buchi, "interno " ed "esterno" cfr. Casati, Varzi (1994) e Stroll (r988). La striscia di Miibius è forse l'unico pa radosso oggettuale di cui disponiamo, e senz'altro il più studiato. Nel secolo scorso Jean François Lyotard ha costruito un intero sistema metafisica basandolo sulla striscia di Mii bius (cfr. Lyotard, 1974). 7- In ogni caso, se si accetta una teoria causale della percezione, il vuoto (come in ge nerale ogni fatto negativo, ogni privazione) non è percepibile: cfr. Sorensen (20o8 ).
5 Condizionali difettosi 1. Cfr. Pozzi (1982), che riferisce e commenta tutta la polemica. 2. Più in generale il problema dell'errore tra logica e senso comune ha ricevuto par ticolare attenzione, cfr. Castellani, Montecucco (1998); Greco (1998); Benzi (2005). Per una rassegna di "illusioni cognitive" cfr. Piattelli Palmarini (1993). 3· Cfr. anche il quasi-paradosso suggerito in Varzi (20o5a). 4· Visconti (20oo) ne offre un'analisi approfondita in italiano e in inglese. I condi zionali supposizionali sono al centro di un test noto come "test di Ramsey'' ; cfr. per un'a nalisi sintattica Lycan (20or, in particolare pp. 167-8).
NOTE
5· Cfr. Johnson-Laird (1983) e Johnson-Laird, Byrne ( 2002) ; cfr. anche Girotta (2005). 6. Per un'analisi breve ma esaustiva cfr. Frixione (2007, pp. 25 ss. ). Per una conside razione generale del problema dei condizionali cfr. Sanford (2003). 7· In generale tutte le logiche non classiche, oltre che i progressi nella logica, hanno alle loro radici la scoperta di qualche paradosso: cfr. Palladino, Palladino (2007, p. 67). 8. Cfr. Priest (2001, cap. r), che presenta molti esempi di questo tipo. Cfr. anche Pal ladino, Palladino (2007, capp. 9 e ro). 9· Se si vuole: dimostrano che l'operatore "se ... allora" è intensionale, o semi-inten sionale, ossia non si adatta del tutto al principio della verofunzionalità, o anche è "sensi bile al contenuto" . ro. Stalnaker (r968) ha posto l e basi della teoria, Lewis (r973) l'ha sviluppata i n par ticolare per i condizionali controfattuali. rr. Cfr. Anderson, Belnap (1975) e Anderson, Belnap, Dunn (1982). Su logiche e del la rilevanza e contraddizioni cfr. Berta (2006, cap. 9).
6 Probabilità r. Tversky, Kahneman (1981). Per una analisi dettagliata cfr. Hacking (2oor). Una ver sione dello stesso problema è nota come "paradosso dello xenofobo": cfr. Olin (2003) e Clark (2002). L'analisi di questo genere di paradossi-errori può mettere in gioco la nozio ne di bias, ossia di pregiudizio: ci si sbaglia perché le convinzioni radica te spingono nella direzione dell'errore. 2. Tutti e quattro i casi mettono in questione la probabilità condizionale: la pro babilità che accada un certo evento p , data una certa evidenza E. Questo si esprime con P(p i E ) . Trattiamo qui i quattro casi in modo intuitivo, per altri dettagli cfr. Hacking (20or) . 3· Cfr. anche White (20o6).
7 Domande che vincolano la risposta e regole che obbligano a disobbedire r. In realtà qualsiasi domanda della forma " quale è il. . . . ? " può avere esiti fallimen tari, se nella risposta si usa una descrizione definita non specificante. Per esempio alla domanda: «quale è la proposizione vera che sarebbe per noi più proficuo venire a conoscere?» l'angelo potrebbe rispondere «la proposizione (o la congiunzione di proposizioni) che spiega come si possa risolvere il problema della povertà>>. 2. Varzi (2oora) cita il principio di Belnap e Steel (1976): «ask a foolish question and you get a foolish answer>>. 3· Il paradosso di Berry è basato su questo espediente. Si usa anche parlare di "one stà" e "disonestà" dei numeri, precisamente con riferimento a questo fenomeno: la pro prietà "essere di nove sillabe" è di nove sillabe, e dunque è onesta; tre è onesto perché è di tre lettere, mentre quattro è disonesto, e sei e dieci sono semi -disonesti.
193
PARADOSSI
4· Una completa interpretazione del paradosso nella chiave della teoria delle pro prietà (cfr. PAR. 14-1) potrebbe allora suggerire che i livelli massimali di una proprietà han no (o possono avere) comportamenti particolari rispetto alle sotto-proprietà: il massimo di proprietà potrebbe non coincidere con i livelli massimali di tutte o di alcune delle sottoproprietà di . 5· Come si vedrà meglio (CAP. 12), le C epistemiche (che cioè riguardano appunto de terminazioni come sapere o aspettarsi) non sono "vere" C. 6. Su razionalità e paradossi pragmatici cfr. Koons (1992).
8 Dilemmi r. Sull a discussa questione della forma dei dilemmi cfr. Bagnoli (20o6). In generale i dilemmi si dovrebbero trattare con una logica " deontica" , ossia che riguarda gli operato ri "è obbligatorio" , "è permesso" (anche: "è vietato" , "è indifferente " ) , ma questo tratta mento è discusso, per una serie di difficoltà, tra cui i paradossi della logica deontica (cfr. Palladino, Palladino, 2007, pp. 67-71). Qui ci limitiamo a considerare la forma del ragio namento dilemmatico, cercando di trarne considerazioni sulla struttura dei dilemmi, sui modi possibili di risolverli e sulla loro affinità con i paradossi. 2. La forza degli enunciati è data dalle loro pretese informative: "Roma ha 1.2oo.ooo abitanti" è un enunciato forte, "Roma ha più di 1 milione di abitanti" è un enunciato più debole. La forza dei ragionamenti induttivi cresce con il crescere della forza delle pre messe e della debolezza della conclusione (cfr. Varzi et al. , 2004).
9 Prigionieri r. Cfr. anche il paradosso della lotteria (PAR. 12.4), che è un paradosso veridico: la con dotta apparentemente irrazionale risulta essere epistemicamente consistente. 2. Cfr. Hacking (2001, trad. it. pp. 152-3); cfr. anche Watkins (1997).
IO Evidenze paradossali r. La confutazione del nichilismo avviene anche per generalizzazione: se niente è ve ro, allora non è vero neppure che niente è vero. Su queste diverse forme dell'elenchos del la verità cfr. D' Agostini (2002, 2003). 2. La formtÙazione esatta prevede le virgolette: V "p " H p , per indicare che la pri ma p è l'enunciazione. Le virgolette si intendono qui sottintese. Inoltre l'interpretazione che diamo dello schema è realistica: la seconda p indica lo stato di cose, o "come le cose stanno" . Ma lo schema non ha necessariamente questa implicazione: cfr. in particolare Horwich (1996).
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NOTE
3· Sulla vasta applicabilità delle prove dette elenctiche cfr. Tarca (!993). 4· Per una esposizione dettagliata del dibattito cfr. Brogaard, Salerno (2004).
II Menti tori r. Cfr. per esempio Goldstein (20oo, 2oo6b); Field (2007, 2oo8) ; Priest (2007). 2. È da notare che a condizioni normali (se vale la logica classica) lo schema f.! H -.f.! equivale a f.! A -.f.! (cfr. CAP. 12). 3· Questo procedimento di traduzione del mentitore in termini predicativi è detto da Hofstadter (1979) " quinificazione" . Per tutte le varianti del procedimento cfr. Smullyan (1994). 4· Anche se il predicato di verità è ovunque presupposto, dato che, per cattura, per ogni a si ha Va. 5· Un'esplorazione sistematica di tutti i modi in cui si manifesta questo risultato si trova in un classico della letteratura sui paradossi, Hofstadter (1979); cfr. anche Barwise, Moss (1996). 6. C'è un altro modo di dimostrare il paradosso, ed è basato sulla regola detta di con trazione o di assorbimento: cfr. Berta (2006, pp. ro6-7).
12 Soluzioni r. Poiché la verità è sempre presupposta ( cfr. PAR. ro.1), le soluzioni di questo gene re si intendono valide anche per le antinomie che non coinvolgono direttamente ed espli citamente la verità. 2. Cfr. Tarski (1933). Cfr. anche per quel che segue Tarski (1944). 3· Secondo Church (1976, p. 3or), la soluzione di Russell può essere vista come un ca so speciale di quella di Tarski. Ciò può essere confermato notando che Russell concentra l'attenzione sull' autoriferimento, mentre Tarski prende in considerazione la chiusura in generale. 4· La soluzione di Tarski è identificata da Schiffer (2003) come una happy /aced solu tzon, perché non soltanto identifica il fattore problematico, ma spiega anche, in tale fat tore, che cosa non funziona. 5· Cfr. in particolare Goldstein (20oo, 2003, 20o6a, 2oo6b). 6. Per questa critica cfr. Marconi (2007). È bene ricordare (cfr. nota 2, CAP. 10) che l'interpretazione "realistica" dello schema T non è condivisa da tutti. 7· Anche il "supermentitore" , l'enunciato Sf.! che dice "Sf.! è solo falso" , non sembra suscitare problemi: cfr. Priest (1987, p. 287). La questione però è ancora discussa: cfr. Ber ta (20o8b). 8. Alcuni distinguono tra strong paraconsistency e dialetheism: nel primo caso le C so no reali, ma in qualche mondo possibile; nel secondo le C sono reali, nel mondo attuale: cfr. Berta, Priest (20o8). 9· Cfr. Berta (2oo7b), che spiega anche alcuni problemi relativi a questa teoria. ro. Cfr. Priest (20o6, pp. 103-12, in cui si specificano le eccezioni); cfr. anche Berta (20o7b, 20o8b).
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PARADOSSI
13 So riti r.
Per uno sguardo più ravvicinato in italiano cfr. Paganini (20o8 ). 2. Cfr. anche Varzi (2oo5b). 3· Cfr. per esempio Shapiro (20o6), che specifica: la vaghezza è un fenomeno lingui stico, ma emerge come tale in quanto cerchiamo di parlare del mondo e di come è fatto, in quanto noi stessi siamo "fatti" in un certo modo. 4- Un terzo modo è la verità probabilistica, a cui abbiamo già accennato (cfr. PAR. 12.4) e su cui cfr. Paganini (20o8, pp. 54 ss. ). Le diverse logiche proposte dipendono na turalmente dal tipo di interpretazione della vaghezza, ma si adattano anche a tipi di va ghezza diversi. 5· Non per nulla la logica fuzzy è preferita nel trattamento della vaghezza da quegli autori (cfr. Priest, 2003) che privilegiano il tvglut, mentre il supervalutazionismo o la lo gica probabilistica sono in genere favoriti dai sostenitori del tvgap.
14 L'importanza pubblica della vaghezza r.
Per "proprietà" intendiamo tanto proprietà monadiche quanto relazioni. 2. Cfr. per una presentazione generale Armstrong (1989) e Mellor, Oliver (1997).
Conclusioni r. Il risultato d'incompletezza di Godei viene spesso utilizzato come un argomento a favore di questa diagnosi: per un esame completo della questione cfr. Berto (20o8 ). 2. Cfr. l'analisi critica di Woods (2003) sul rapporto paradossi-postmodernismo. 3· In particolare sulla soluzione dei problemi cfr. Watzlawick, Weakland, Fisch (!973). 4· Ammettendo che gli enunciati esprimano stati di cose, ciò significa che due stati di cose contraddittori sussistono entrambi.
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