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Italian Pages 165 Year 2020
MATTIA CAR DENAS
NECESSITÀ E STORIA Studi sulpensiero italiano contemporaneo
L a scuola di P itagora editrice
Alla mia Gessica e allepreziose amicizie che Napoli mi ha donato
INDICE
Prefazione di Mauro Visentin
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Introduzione
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I. NECESSITÀ E METAF1SICA Note sulla coscienzialità dell'essere. Rosmini, Carabellese e Moretti-Costanzi Per la metafisica classica. Alberto Boccanegra interprete di Gustavo Bontadini Scaravelli e Gentile. Tra neoparmenidismo e filosofia neoclassica Necessità e impossibilità della metafisica. Neoparmenidismi a confronto
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II. GIUDIZIO E STORIA Il processo del pensiero come atto eterno. Gentile, Garin e il sapere storico in filosofia L'autonoema. Il giudizio tra attualismo e neoparmenidismo
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Il giudizio originario e la molteplicità-unità delle categorie L'interpretare e l'originario. Storia, testimonianza, destino Indice dei nomi
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PREFAZIONE
Il volume di saggi che Mattia Cardenas ha confezionato raccogliendo otto suoi contributi - per lo più già pubblicati su Annali, riviste, volumi collettanei (salvo due, che sono inediti) - non è il frutto della semplice (e abbastanza naturale) volontà, cui, prima o poi, difficilmente uno studioso riesce a sottrarsi, di conferire ad alcuni dei propri scritti sparsi una visibilità maggiore attraverso la loro riunione in un libro: è qualcosa di più. Molto spesso, infatti, in questi casi, è il comparire insieme che conferisce ai testi raccolti la loro unità o, nella migliore delle ipotesi, la fa emergere. Qyi, viceversa, si tratta più che di un'unità tematica (che c'è, indubbiamente, ma non solo) dell'unità di un percorso o di uno svolgimento teorico che spinge fautore, prevalentemente attratto da un problema in particolare: quello della storia della filosofia e del suo rapporto con la teoresi, a sviluppare le proprie riflessioni al riguardo mostrando un'evoluzione che, in un certo senso, lo induce a trascorrere da una posizione decisamente schierata in senso "neoclassico" ad una più complessa, articolata e ricca di suggestioni, nella quale le carte si rimescolano e, complice il passaggio attraverso un contatto più ravvicinato con fipotesi "neopannenidea" nelle sue due versioni - neoeleatica e severiniana - sembra intenzionata a rimettere in gioco proprio quell'attualismo sul quale la proposta neoclassica si era basata per spiccare il salto verso una nuova metafisica.
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È un percorso storicamente tutt'altro che lineare, anche se dotato di una linearità interna e speculativa. Linearità, quest'ultima, che risalta qualora, nell'ambito di ciascuna delle due sezioni che compongono il volume, si riesca ad individuare il percorso logico implicito nell'indice, dal quale la successione dei testi viene definita secondo un criterio, appunto, non cronologico ma tematico, che mescola contributi di taglio diverso. Più storico, alcuni, dedicati a figure che sono state particolarmente significative per il ruolo avuto nello svolgimento e nell'evoluzione filosofica dell'Autore e che lo hanno aiutato a definire il proprio orizzonte intellettuale e speculativo; più teoretico altri, frutto di uno percorso mentale e concettuale comunque espressivo di un quadro di riferimento - rappresentato da quelle figure e personalità - nel cui perimetro esso si è prodotto ed è andato prendendo forma. Cardenas è un giovane studioso, ma l'ambiente filosofico in cui si è formato non è poi molto diverso - per quello che è stato e per molti versi è ancora il tratto più caratteristico di quanto si è venuto producendo, da noi, in questo campo, dopo la fine della guerra e il tramonto dell'idealismo (ossia la contrapposizione fra storicità e speculazione, fra filologia e filosofia, fra storia delle idee o della cultura filosofica e pensiero teoretico) - dall'ambiente in cui ha mosso i suoi primi passi chi scrive, a parte, forse, la maggiore incidenza che ha oggi, un po' dovunque e anche in Italia, la diffusione della filosofia analitica. Il richiamo alla concretezza storica e la repulsione per la metafisica (in senso molto generale e anche generico) è stato l'aspetto più insistito e spiccato della reazione antiidealistica che si è avuta in Italia a conflitto concluso, insieme all'esterofilia: all'attenzione ossessiva e quasi maniacale, nel suo esclusivismo, per tutto ciò che veniva da oltre confine, e che negli anni dell'"egemonia" idealistica aveva avuto, nel nostro Paese, solo qualche debole eco. Ma il problema vero investiva il rapporto tra filosofia e storia della filosofia. Problema che da noi ha una certa tradizione, che
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si può far risalire ad una lontana polemica epistolare fra Croce e Gentile, e che nel dopoguerra, a cavallo tra gli anni '50 e '60 ha conosciuto, sulle pagine del "Giornale Critico della F"tlosofia Italiana" (la rivista fondata e diretta da Gentile, divenuta, dopo la sua tragica morte, "organo" di quanto restava della scuola attualistica) una nuova e rigogliosa stagione grazie alla polemica, promossa e suggerita da Spirito, intorno alle posizioni di Garin (che del "giornale Critico" era un esponente autorevole, avendo fatto parte della direzione che ne aveva preso la guida all'atto della rinascita postbellica e che era anche membro del direttivo della "Fondazione Gentile per gli studi F"tlosofici"), il quale, in nome della storicità concreta, dell'attenzione ai fatti e al particolare (anche quando questi "fatti" erano rappresentati da concetti e da idee) aveva proposto di risolvere la filosofia nella ricostruzione storica e critica dei suoi documenti, accusando la storiografia idealistica, e in particolare attualistica, di anteporre un'idea precostituita dell'evoluzione del pensiero alla ricostruzione storica del suo effettivo processo. Prescindendo dalla difesa, abbastanza scontata, del metodo storiografico di Gentile da parte di coloro che si richiamavano ancora alla sua scuola, è interessante rilevare il fatto che le posizioni di Garin trovassero nella polemica antiidealistica una sponda, non senza distinguo, nella corrente neorazionalista o neoilluminista che si era andata costituendo presso 11Jniversità statale di Milano e che conduceva il suo attacco alle filosofie idealistiche da posizioni fenomenologiche, neopositivistiche, scientistiche. Non è un caso che la discussione sulla storia della filosofia e il suo metodo avviata sulle pagine del "Giornale Critico" alla fine degli anni '50 fosse stata preceduta, fra il 1956 e il 1958, da un analogo dibattito svoltosi su quelle della "Rivista critica di storia della filosofia". L'unico che nel confronto su questo tema si ergesse a difesa della metafisica fu Gustavo Bontadini, la cui impostazione neoclassica si distingueva da quella tipicamente neoscolastica per via del suo atteggiamento nei confronti del pensiero moderno e in
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particolare dell'idealismo gentiliano di cui valutava l'esito problematicistico come rinnovata e più funzionale via d'accesso alla trascendenza costituita da un fondamento metafisico-teologico. Bontadini rappresentava, in questo senso, un unicum all'interno del pensiero cattolico di matrice non spiritualistica, essendo il solo che aveva mantenuto aperto il dialogo con il pensiero laico e con la tradizione idealistica. Ma proprio il progressivo tramonto dell'idealismo aveva finito per determinare una preclusione, implicita e di fatto, da parte laica, anche nei confronti delle sue posizioni, radicalizzando quella frattura tra pensiero laico e pensiero cattolico che si andrà approfondendo nel corso degli anni '60 fino a diventare una sorta di reciproca impermeabilità. Basti pensare che del grande dibattito suscitato sulle colonne della "Rivista di Filosofia Neoscolastica" dalla pubblicazione del Ritornare a Parmenide di Emanuele Severino (che dopo qualche anno portò all'espulsione di quest'ultimo dall'Università Cattolica di Milano) ben pochi o nessun esponente della filosofia laica ebbe una cognizione precisa e dettagliata o anche solo il desiderio, sia pure per semplice curiosità, di procurarsela. O!iesto almeno fino a quando, all'inizio degli anni '80, il pensiero di Severino cominciò a destare interesse - benché dapprima solo fortemente critico e polemico - e poi persino un certo seguito anche nel mondo laico, facendo in qualche modo da "traino" alla ripresa di contatto con i temi e i contenuti del pensiero di Bontadini (che di Severino era stato il maestro) e della sua filosofia "ne o cass1ca l " ". Così, era abbastanza naturale che, per un giovane formatosi nel corso del primo decennio del nuovo secolo in ambiente laico - anche se personalmente di educazione cattolica - e in un'Università nella quale la filosofia era coltivata soprattutto in chiave storica (e comunque non metafisica), come l'Università di Bologna, l'interesse storico ma anche speculativo per i temi della temporalità e del divenire, dell'immutabilità e dell'eternità dovesse necessariamente incontrarsi con il pensiero di Severino e
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favorire, in questo modo, regressivamente, per l'esigenza di rendersi conto delle radici delle sue paradossali posizioni, un ritorno all'approfondimento delle questioni affrontate da Bontadini e dalla filosofia neoclassica, ma anche al dibattito tra quest'ultimo e Garin (con Gentile sullo sfondo) a proposito della storia della filosofia. Proprio da questo confronto la passione filosofica per la verità poteva trarre alimento e spingere un giovane filosofo che la coltivasse a schierarsi decisamente con Bontadini e per la metafisica, anche perché non era precisamente quello teorico e metodologico il terreno sul quale la personalità di Garin poteva esercitare tutto il fascino che emanava dalla sua immensa cultura. Tuttavia, se il regresso da Severino a Bontadini e al dibattito degli anni '50/60 poteva indurre, chi avesse questa disposizione, ad abbracciare le posizioni neoclassiche, il ritorno da Bontadini a Severino doveva, inevitabilmente, minare alla radice una simile propensione. La rigorizzazione delle posizioni bontadiniane, condotta da Severino sino alle sue ultime e più radicali conseguenze, non poteva, infatti, non spingere a rimettere in discussione l'intero impianto della metafisica tradizionale e con questo le solide ma ancora troppo recentemente acquisite convinzioni a proposito del rapporto fra eternità e divenire, metafisica e storia. Un'ulteriore erosione di queste convinzioni doveva poi essere propiziata dall'incontro con un'altra versione di neoparmenidismo, nella quale venivano drasticamente revocate in dubbio tutte le sicurezze acquisite circa l'immediata certezza fenomenologica della molteplicità e delle differenze nonché il suo indissolubile legame con la verità. Cosa che permetteva la comparsa, nel firmamento filosofico di Cardenas, di una nuova stella, Scaravelli, e la riconsiderazione dell'attualismo gentiliano in una prospettiva presuntivamente inedita. Si tratta di una ricerca ancora in corso: questo volume accoglie e documenta, appunto, il procedere di un cammino di pensiero, con le sue suggestioni, le influenze ricevute, le sollecitazioni rilanciate, i pentimenti e i progressi, che descrivono -
MAURO VISENTIN
mantenendosi, per lo più, discretamente, impliciti - la coerenza (mentale e non necessariamente lineare) di un percorso intrapreso con vocazione e determinazione. Cosa che, senza dubbio, non è certamente l'ultimo dei suoi pregi. MAuRo V1sENTIN
INTRODUZIONE
Avatp&v yàp À&yov u1toµÉ\'st À&yov 1 • Così Aristotele espone la forma, propriamente elenctica, che conviene al lògos e, quindi, alla necessità. Contravvenire al lògos significa presupporlo, sicché la negazione della necessità concerne, in verità, un'autonegazione. Si viene così a esprimere il senso stesso dell'originario come ciò che non è posto da altro, che costituisce, nei termini della filosofia aristotelica, la dimensione anapodittica del sapere, del per sé noto o evidente (pbaneròn). Che la storia coincida con tale senso della necessità e, perciò, della verità, è esattamente quello che la tradizione esclude in quanto la sua negazione non implica contraddizione. La storia è, infatti, dominio del contingente (o più propriamente, e sempre con maggiore chiarezza, del possibile) nella misura in cui viene concepito come il luogo dell'oscillazione ontologica, di ciò che proprio perché può essere non era nemmeno necessario che fosse o che non fosse. La storia è l'orizzonte del possibile (dynat6n) nel senso che non implica la necessità del suo non essere - non è infatti qualcosa di impossibile (adjnaton) - ma non è in alcun modo riconducibile alla dimensione anipotetica che esclude, perentoriamente, la sua negazione. Sebbene l'evento storico assuma una certa facies di necessità proprio in quanto avvenuto, è sul con1
Aristotele, Metaph., r 1006 a26.
MATTIA CARDENAS
tingente che la storia si fonda e in tal senso, stando soprattutto al plesso della classicità, non può essere scienza (epistimé) giacché alla scienza inerisce il non smentibile, il necessario, ciò che non può non essere. Proprio in quanto esperienza dell'oscillazione ontologica, ambigua e sfuggente, l'orizzonte storico è riconosciuto, dalla tradizione, come quella dimensione la quale, oltre che per essere e per renderne ragione, richiede di essere oltrepassata individuando nella dimensione anipotetica, nella stabilità-necessità dell'essere, il suo proprio fondamento. Il contingente hala sua verità - la sua necessità - ma quale verità di fatto, non come ciò la cui negazione implica l'immediato autotoglimento della negazione. Vi è una verità dell'historia (e nelfhistoria), ma non quella che attiene alla stabilità del sapere ( epistimt) come riconoscimento dell'anipotetico o del per sé evidente e che dunque sta a fondamento del contingente, della storia scandita secondo le sue estasi temporali. Si può dire, stando sempre al plesso aristotelico, che la storia si emancipa sia da quella forma di necessità che è l'impossibilità, sia dalla necessità intesa come dimensione anapodittica. La storia o, per meglio dire, l'essere a cui inerisce la storia, non differisce dalla sua non-necessità, cioè dalla sua possibilità, e, al contempo, non differisce dalla necessità della sua negazione, altrimenti costituirebbe un che di contraddittorio. La storia è il dominio del metaxj, dell'oscillazione ontologica, che in quanto tale può esibire un nesso soltanto fattuale-temporale: la natura del contingente è quella di non essere vincolato né all'essere, se così fosse sarebbe nel senso della necessità stricto sensu, né di essere vincolato al non-essere, altrimenti non sarebbe in alcun modo. Attraverso la mediazione metempirica la tradizione intende radicare o fondare l'esperienza in un'ulteriorità ad essa trascendente, che ne renda ragione sia in senso ontologico che gnoseologico. Poiché il contingente non può render ragione di sé il compito che innerva la metafisica consiste nel mostrare la necessità di oltrepassare l'esperienza dischiudendo l'orizzonte, per dirla sempre con lo Stagirita, dell'essere che è sempre salvo (J>hjsis
INTRODUZIONE
aeì s6mménl]2 e perciò necessario, affinché dunque sia possibile l'intelligibilità dell'esperienza stessa come divenire. È con l'idealismo e, soprattutto, con l'attualismo di Giovanni Gentile che l'antinomia tra necessità e storia sembra trovare una soluzione percorribile indicando nell'esperienza, nella storia concretamente concepita, l'orizzonte che non rinvia ad altro, che riposa su se stesso, in quanto è lo stesso realizzarsi della necessità. La tradizione metafisica, nelle intenzioni di Gentile, viene a tal punto rovesciata, risolvendo nella forma concreta tutte le sue astrazioni e dicotomie, in modo tale da individuare nella necessità e, perciò, nella verità, non più un factum bensì un fieri lo stare incontraddittorio della necessità, di quella necessità oggetto della logica analitica dell'identità e della non-contraddizione, riesce ad essere tale, per Gentile, solo nella misura in cui non è astratta dalla logica dialettica della contraddizione, in quanto cioè non è separata dal suo stesso divenire, dal suo essere storia. L'imporsi della verità non è qualcosa che trascenda l'esperienza al fine di redimerla, ma è la storia medesima, non astrattamente concepita, quale orizzonte trascendentale o attuale e, perciò, già da sempre salvo. È a fronte di questo esito, che riconosce nella dimensione attuale l'unità di necessità e storia, di logica analitica e logica dialettica, in quanto inveramento dell'intera tradizione filosofica, che in questa raccolta di saggi vengono considerate alcune tra le più significative figure, e i rispettivi luoghi teorici, del pensiero italiano contemporaneo. Con "filosofia italiana" qui non si intende evocare un pensiero - o, per meglio dire, una tradizione - che, fin dalle sue origini umanistico-rinascimentali, troverebbe nella «ragione impura», e cioè nella considerazioni dei nessi concreti tra vita, politica e storia, la sua principale vocazione\ opposto, così, 2 Aristotele,
Metaph., A 983 b 13. Circa la filosofia italiana come «filosofia della ragione impura,, cfr. R. Bodei, La differenza italiana. Comunità ed Esilio, «Lo Sguardo•, 15 (Il) (2014), pp. 97-105. 3
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alle ambizioni della "ragion pura" dedita a dischiudere il senso dell'assoluto, della necessità. Il tratto che si intende esaminare, a fronte di alcune specifiche articolazioni del pensiero italiano, che vanno dal recupero della metafisica tradizionale alla sua rigorizzazione nell'ambito della .filosofia neoclassica fino alle diverse declinazioni del neoparmenidismo italiano, concerne piuttosto l'esame delle categorie di necessità e storia alla luce di un pensare, come testimoniano a diverso titolo tutte le personalità e i terni che verranno esaminati, che non abdica affatto alla ragion pura, al rigore del concetto e, quindi, al compito di cimentarsi con la radicalità propria del discorso .filosofico. In virtù di tale ragione le categorie oggetto della raccolta saranno considerate in relazione a un duplice nesso, quello tra necessità e metfljìsica e tra giudizio e storia, venendo a costituire un circolo volto alla tematizzazione del medesimo sotto varie declinazioni, avendo come architrave concettuale proprio l'attualismo di Gentile, a prescindere dal quale, infatti, ogni traccia storico-speculativa seguita sarebbe astratta dal suo costante termine di rapporto. Sicché nella prima parte del volume sarà approfondita la necessità del ripristino, dopo Gentile, della trascendenza metafisica, secondo le distinte modalità della .filosofia d'ispirazione rosminiana indagata attraverso la mediazione dell'ontolog,smo critico di Pantaleo Carabellese e del cristianesimo-filosofia di Teodorico Moretti-Costanzi, e della metafisica neoscolastica soprattutto in virtù della rigorizzazione compiuta dalla filosofia neoclassica di Gustavo Bontadini, mostrando, al contempo, come il quadro della trascendenza metafisica venga radicalmente messo in questione proprio dal senso della necessità che emerge all'interno delle diverse forme del neoparmenid,smo italiano, da Emanuele Severino a Gennaro Sasso e Mauro Visentin, a loro volta maturate in forza di un serratissimo confronto tanto con la logica dell'attualismo gentiliano quanto con quella inerente alla sua crisi interna, di cui espressione emblematica è la riflessione scaravelliana. Nella seconda parte si tematizza la teoria attualistica del giudizio in relazione sia al con-
INTRODUZIONE
cetto di storia (della filosofia), dove la riflessione gentiliana viene rimeditata alla luce delle celebri osservazioni proposte da Eugenio Garin in merito al sapere storico in filosofia, sia in rapporto ai fondamentali rilievi critici che intorno al tema sono emersi, pur nd loro netto distinguersi, nell'ambito del neoparmenidismo italiano, con l'obiettivo, infine, di mostrare la possibilità di un suo riscatto in modo che le categorie di necessità e storia non formino un'antitesi ma, proprio in virtù dd vaglio critico neoparmenideo, siano espressione di un'unità logica inscindibile, cui un rinnovato attualismo può dar testimonianza. All'unità originaria o attuale di necessità e storia, priva di ogni di anticipazione e sottratta alla logica dell'isolamento, allude quindi tutta la raccolta, nella convinzione, che andrà meditata ancor più a fondo adeguando in forma sempre più concreta il rigore del concetto, che l'accadere storico, nel senso proprio del possibile, sia l'esporsi stesso della necessità.
I. NECESSITÀ E METAFISICA
NOTE SULLA COSCIENZIALITÀ DELL'ESSERE. ROSMINI, CARABELLESE E MORE1TI-COSTANZI*
Così si esprimeva Giuseppe Buroni a proposito della Teosefìa rosminiana: «l'Opera più poderosa, in fatto di altissima speculazione, che sia comparsa da sei secoli in qua, vale a dire dopo la Somma Teologùa del Dottore d'Aquino» 1• Valutazione certamente appassionata, che oltremodo rispecchia il progetto filosofico che egli intese perseguire, quello di mostrare la congruenza tra il pensiero del Roveretano e dell'Aquinate, ma non eccessiva se ben si considera l'enorme impatto speculativo (e non semplicemente effettuale) che la Teosofia tutt'ora esercita nella filosofia italiana. È a partire proprio dallo studio di quest'opera che si sono sviluppate alcune &a le più acute e stimolanti interpretazioni, passate e presenti, del pensiero rosminiano. Esse, inoltre, permettono di riflettere in via preliminare sulla natura del rapporto tra filosofia e storia della filosofia. A tal proposito è forse utile anteporre alle considerazioni che verranno sviluppate una brevissima nota introduttiva che si potrebbe intendere di sola natura metodologica, ma così non è. • Note sulla cosdmzialità de/ft$sere. &smini, CaralJtllt$t e Moretti-C, Carabellese fece sua la valutazione di Bernardino Varisco, suo maestro, secondo il quale il destino della gnoseologia sarebbe stato quello di eliminare la metafisica, o per lo meno quello di scoprire il vero metodo per costruirla. E dentro questa visione generale, lontana cioè da ogni intendimento metafisico, il giovane filosofo intese considerare la prospettiva rosminiana, alla cui valutazione è bene ora rivolgere l'attenzione. Nella sua disamina storica Carabellese giunse senza troppi indugi alla critica kantiana ed ebbe ad affermare, senza mezzi termini, che «di questa nuova e vera posizione e di questa, se non definitiva, certo feconda soluzione kantiana del problema della conoscenza, non può non tener conto la mente del Rosmini,.7. E, difatti, come per il filosofo tedesco anche per il Roveretano pensare è giudicare e se si vuol dar conto del problema della conoscenza è inevitabile cominciare dall'analisi del giudizio. Ogni giudizio suppone un'idea generale, poiché - prosegue nella sua analisi Carabellese - ogni giudizio consiste nel riportare il soggetto nella classe del predicato e quest'ultimo, il predicato, deve essere sempre un'idea generale. Ma come è possibile scorgere un'idea generale nel nostro spirito? Nel considerare la soluzione rosminiana, il giovane filosofo la riassume evidenziando questa duplice possibilità: è possibile attraverso un'astrazione da qualche idea particolare o mediante un giudizio. Mentre nel primo caso non si trova l'origine prima dell'idea generale, nel secondo si produce un circolo vizioso che costringe Rosmini a concludere favorevolmente per l'innatismo, pena la contraddizione. Qiiella raggiunta dal Roveretano non rappresenta la soluzione del problema critico, ma è la scoperta di un minimo formale della conoscenza, l'idea delfessere. Tuttavia, affinché si dia conoscenza è 6
Cfr. P. Carabellcse, La le