Montesquieu a Marsiglia 9788885716483, 9788855290098

Protagonista della pièce è un dono, il più incondizionato possibile, un dono che cela l'identità del donatore per n

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Italian Pages 190 [192] Year 2019

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Table of contents :
Canone europeo
Canone europeo |
Il dono segreto e il segreto del dono
Prefazione
Personaggi
Montesquieu a Marsiglia
Louis-Sébastien Mercier: una poetica della libertà
Nota biografica
Nota bibliografica
Indice
Collana diretta da Andrea Tagliapietra
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Montesquieu a Marsiglia
 9788885716483, 9788855290098

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Louis-Sébastien Mercier Montesquieu a Marsiglia

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C an o n e e u r op eo

Collana diretta da: Andrea Tagliapietra

Comitato scientifico: Giovanni Bonacina, Catherine Douzou, Nicola Gardini, Helmut Karl Kohlenberger, Leonel Ribeiro dos Santos.

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Canone europeo | 4

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Louis-Sébastien Mercier Montesquieu a Marsiglia Traduzione italiana e cura di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione

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Pubblicazione del Centro di Ricerca Interdisciplinare in Storia delle Idee (CRISI) e del Centro Europeo di Ricerca di Storia e Teoria dell’Immagine (ICONE)

Titolo originale Montesquieu à Marseille, 1784

© 2019, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 - 00133 - Roma www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Canone europeo ISSN 2533-1329 n. 4 - aprile 2019 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-85716-48-3 ISBN – E-book: 978-88-5529-009-8 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Gift. © BillionPhotos.com – stock.adobe.com

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Introduzione

Il dono segreto e il segreto del dono di Andrea Tagliapietra

Cinque anni prima della Presa della Bastiglia, Louis-Sébastien Mercier1, drammaturgo e versatile poligrafo alla cui penna si devono circa una quarantina di opere teatrali, numerosi saggi, poesie, romanzi e interventi politici, pubblica a Losanna e Neuchâtel una pièce in tre atti: Montesquieu a Marsiglia2. Mercier, che al giorno d’oggi è un autore dimenticato da tempo, godeva, all’epoca, di una considerevole notorietà, se non di una vera e propria fama. Durante la Rivoluzione francese fu persino eletto deputato alla Convenzione e partecipò, in quegli stessi anni, alla cura della prima edizione completa delle opere di Rousseau stampata in terra di Francia3. Così la commedia

1. Per le informazioni su Mercier e la sua opera rinviamo al saggio di postfazione a cura di Caterina Piccione, vedi infra, pp. 135-164. 2. L.-S. Mercier, Montesquieu à Marseille, J.P. Heubach et comp., Lausanne 1784, et Société typographique, Neuchâtel 1784. 3. Cfr. J.-J. Rousseau, Œuvres complètes, a cura di L.-S. Mercier, G. Brizard, F.H.S. de L’Aulnaye, 39 voll., Poinçot, Paris 1788-1793. La prima edizione delle opere complete di Rousseau uscì a Ginevra, 15 voll., due anni dopo la sua morte (1778), per opera dei depositari dei manoscritti del filosofo: Pierre-Alexandre Du Peyrou, Paul-Claude Moultou e René-Louis de Girardin.

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venne quasi subito tradotta in tedesco con un titolo modificato, che ne svela, anche se solo in parte, il contenuto: Montesquieu o il beneficio anonimo4. Il beneficio anonimo – unbekannt in tedesco significa sia “anonimo” che “sconosciuto” – è un dono di cui non si conosce il donatore e il cui nome, perciò, rimane segreto. L’ignoranza di cui si parla nell’opera di Mercier, quindi, non concerne la natura del dono e la sua percezione cognitiva ed emotiva, ovvero la sua riconoscibilità in quanto tale, che, anzi, vengono enfaticamente sottolineate nel corso di tutta la messa in scena, ma l’ostinata volontà del donatore di celarsi e di restare ignoto. Un titolo più preciso, allora, nel momento in cui si fosse deciso di modificare quello, decisamente più vago, datogli nell’originale francese, sarebbe stato Montesquieu o il benefattore sconosciuto, che tuttavia avrebbe avuto il difetto, rispetto alle intenzioni di Mercier, di svelare in maniera troppo palese il nucleo centrale dell’intreccio della commedia. Essa, infatti, si basava su un episodio, realmente accaduto, della vita dell’autore delle Lettere persiane e dello Spirito delle leggi, che era stato motivo di ispirazione di almeno altre tre opere teatrali precedenti a quella di cui stiamo scrivendo5, Le Bon fils ou la Vertu récompensée, breve dramma in un atto di Villemain d’Abancourt, pubblicato nell’Almanach des enfants nel 1777, il Robert Sciarts della marchesa di Montesson, messo in scena quello stesso anno nel suo teatro privato, con il duca d’Orléans nel ruolo del protagonista principale,

4. L.-S. Mercier, Montesquieu oder die unbekannte Wohltat, Schwan, Mannheim 1789. 5. Cfr. M.-E. Plagnol-Diéval, La bienfaisance de Montesquieu: une série théatrale, in P. Hartmann (a cura di), Le philosophe sur les planches. L’image du philosophe dans le théâtre des Lumières (1680-1815), Presses Universitaires de Strasbourg, Strasbourg 2003, pp. 295-303.

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e Le Bienfait anonyme di Joseph Pilhes6, rappresentato dalla Comédie-­Française nel 1783, ovvero soltanto un anno prima della pubblicazione del Montesquieu a Marsiglia. L’evento rea­ le7, da cui tutte le versioni teatrali appena elencate traevano spunto, e reso noto soltanto nel 1775, vent’anni dopo la morte del filosofo, da «Le Mercure de France»8, consisteva in un atto di magnanimità e di generosità compiuto da Charles-Louis de Secondat di Montesquieu, barone di La Brède, già presidente del parlamento di Bordeaux, nonché uno dei maggiori pensatori illuministi, nei confronti di uno sventurato sconosciuto, ovvero di un mercante marsigliese catturato dai pirati. Nella pièce di Mercier, il mercante, di nome Robert, è stato fatto prigioniero nel corso di una spedizione commerciale nei pressi dello stretto di Gibilterra, perdendo la sua nave, il suo carico e, con essi, tutte le sue fortune. Trattenuto in stato di schiavitù dai pirati nel porto marocchino di Tetuan, Robert potrebbe essere liberato solo se la famiglia riuscisse a raccogliere l’ingente somma del riscatto. Ma ciò sembra impossibile, dato che il fallimento dell’impresa mercantile del capofami-

6. L’opera ebbe anche una traduzione italiana quasi contemporanea: Il Benefattore ignoto, commedia di 3 atti, in prosa, del signor Pilhes, tradotta dal francese da G. B., in Aa. Vv., Nuovo Teatro popolare, Davico, Torino 1796, tomo I. 7. Per una ricostruzione dell’episodio, vedi A. Fabre, Histoire de Marseille, 2 voll., Marius Olive Editeur, Marseille (Librairie De Lacroix, Paris) 1829, vol. II, pp. 367-368. 8. L’Acte de bienfaisance, in «Le Mercure de France», mai 1775, pp. 197-206, a firma di M. Mingard. Nessuno dei testi funebri redatti nel 1755 in occasione della morte di Montesquieu, ovvero l’Éloge historique di de ­Solignac, l’elogio funebre del figlio del filosofo e l’articolo a firma di d ­ ’Alembert, ne fanno menzione. L’articolo del «Mercure» precisa che alcuni uomini d’affari avrebbero ritrovato una nota di 7500 sterline, inviata da Montesquieu al banchiere inglese di Cadice Robert Mayn, che documenta il pagamento del riscatto.

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glia ha gettato la moglie, l’unico figlio maschio di Robert – le due figlie nel frattempo, sono state affidate all’educazione di una conoscente –, assieme alla sua giovane promessa sposa Henriette, sul lastrico, così che i tre hanno a malapena di che sopravvivere. Nel suo Du théâtre ou nouvel essai sur l’art dramatique (1773), tradotto in tedesco su autorevole sollecitazione di Goethe, Mercier si dichiarava fautore di un teatro didascalico, socialmente e politicamente “impegnato”, in cui le interminabili conversazioni politico-filosofiche si impongono sui ritmi della macchina drammaturgica e dell’azione scenica. Il teatro, scrive Mercier, nell’epistola dedicatoria al fratello premessa all’opera, è «il mezzo più efficace in grado di armare in modo invincibile le forze della ragione umana e di infondere in un popolo, immediatamente e in grande quantità, i suoi lumi (une grande masse de lumières)»9. Questo ruolo civile ed educativo del teatro lo possiamo ritrovare teorizzato anche nelle pagine di quella che è, forse, al giorno d’oggi, l’unica opera del nostro autore che gode di una qualche notorietà. Si tratta del romanzo utopico che Mercier pubblica nel 1770, rieditandolo più volte in versioni ampliate fino alla definitiva, in tre volumi, del 1786, ossia L’Anno 2440. In esso il narratore, un uomo del 1740, fa un sogno singolare, che lo porta ad immaginare di aver dormito per settecento anni, risvegliandosi, appunto, nel 2440. Nel quadro della produzione utopica moderna, avviata da Moro, Bacone e Campanella e cresciuta nel corso del Seicento e del primo Settecento, l’opera di Mercier rappresenta un passaggio importante, ponendo un nesso necessario e, d’ora in avanti, non più eludibile, tra utopia e futuro. L’utopia non è più soltanto il non luogo della proiezione

9. L.-S. Mercier, Du Théâtre ou Nouvel Essai sur l’art dramatique, Van ­ arrevelt, Amsterdam 1773, p. V. H

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spaziale di un altro presente parallelo, ma si sposta nell’avvenire, ossia si proietta temporalmente, secondo una modalità storica ormai assolutamente congruente con i concetti di perfettibilità e di progresso elaborati dall’età dei Lumi10. Ciò che colpisce nell’ucronia di Mercier, che dischiude un panorama che ci diventerà fin troppo familiare dalla fine del secolo successivo, ossia con Jules Verne, H.G. Wells e con la nascita del genere letterario della fantascienza, è, tuttavia, la connotazione in termini eminentemente etico-morali di un futuro che non viene ancora identificato con gli sviluppi delle conoscenze della natura e con i prodigi delle tecniche, bensì con quelli dell’organizzazione ideologica della società e delle forme della convivenza civile. Ecco allora che Mercier immagina una città futura in cui le “sale di spettacolo” vengono sostenute economicamente dal governo e hanno una funzione educativa fondamentale: «i nostri autori drammatici hanno come unico scopo la perfezione della natura umana; tutti tendono a elevare, a rinforzare l’anima, a renderla indipendente e virtuosa. I buoni cittadini si mostrano premurosi, assidui a questi capolavori che muovono, interessano, intrattengono nei cuori quell’emozione salutare che dispone alla pietà, carattere distintivo della vera grandezza»11. Sono forse la stessa compassione e la medesima benevolenza che Mercier coglie emblematicamente riassunte nel gesto di

10. Cfr. A. Tagliapietra, Altrove e altrimenti. Ripensare l’utopia, in Aa. Vv., Ringiovanire il mondo. Utopia e nostalgia del futuro, il prato, Saonara (PD) 2015, pp. 5-30. Per questa connessione “forte” tra modernità e utopia si vedano i recenti interventi di M. Cacciari, Grandezza e tramonto dell’utopia, in M. Cacciari - P. Prodi, Occidente senza utopie, il Mulino, Bologna 2016, pp. 61-136 e R. Mordacci, La condizione neomoderna, Einaudi, Torino 2017. 11. L.-S. Mercier, L’An deux mille quatre cent quarante, rêve s’il en fut jamais, Van Harrevelt, Amsterdam 1770; tr. it., L’Anno 2440, a cura di L. ­Tundo, Edizioni Dedalo, Bari 1993, p. 182.

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Montesquieu nei confronti della famiglia del mercante Robert. Fra i pregi della commedia che qui presentiamo c’è l’accuratezza con cui l’atto munifico di Montesquieu viene inserito nel contesto concreto dell’attività commerciale delle banche, dei cambiavalute, delle agenzie d’affari e delle imprese mercantili di uno dei più grandi porti del mondo. Al centro del secolo d’avvio della rivoluzione industriale – Montesquieu morrà poco dopo la metà del Settecento –, l’atto anti-utilitaristico del filosofo12 ha per sfondo il luogo per antonomasia dello scambio delle merci e della massima valorizzazione dell’utile, ovvero del trionfo del mercato, con i suoi successi, ma anche con tutti i rischi dell’avventurosa epopea del commercio marittimo. Del resto, nelle pagine della sua opera maggiore, Lo spirito delle leggi, Montesquieu aveva preso proprio Marsiglia come esempio di città che, sin dalla fondazione greca e poi con la sua lunga tradizione autonomista rispetto al potere dei re di Francia, aveva basato le sue fortune su quel “commercio d’economia”, in cui i mercanti «tenendo d’occhio tutte le nazioni della terra, portano all’una quello che traggono da un’altra» (Esprit des lois XX,4)13. Qui non si tratta, cioè, del commercio di beni voluttuari o di lusso, né dello sfruttamento diretto di materie prime di cui si dispone in abbondanza, come era avvenuto con l’espansione coloniale delle potenze europee della prima modernità e nel quadro dell’azione delle monarchie assolute e delle grandi compagnie monopolistiche, bensì del commercio di generi di necessità, basato sulla legge della domanda e

12. Rinvio in proposito ad A. Tagliapietra, Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino 2009, in cui mi soffermo a lungo (pp. 129-171) sul significato della pièce di Mercier. 13. Montesquieu, Esprit de lois, 2 voll. in-quarto, Barillot et Fils, Genève 1748; tr. it., Lo spirito delle leggi, 2 voll., con un saggio di G. Macchia, intr. e note R. Derathé, tr. it. di B. Boffito Serra, Rizzoli, Milano 1989, vol. II, pp. 651-652.

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dell’offerta e sull’operato di singoli commercianti, favorito dal quadro istituzionale tipico delle repubbliche mercantili. Il commercio concepito in questo modo diviene, allora, il motore primo del progresso della convivenza civile. È, a ben vedere, quella giustificazione ideologica della globalizzazione dei mercati che ci risulta, oggi, fin troppo familiare. Lo scambio delle merci, infatti, avvicina i popoli e determina le condizioni favorevoli per la pace fra le nazioni, la quale – suggerisce il filosofo –, prima che sui grandi ideali, sui valori e sui buoni sentimenti della morale, poggia sul solido presupposto materiale degli interessi condivisi e comuni: «L’effetto naturale del commercio è di portare alla pace. Due nazioni che commerciano insieme si rendono reciprocamente dipendenti: se una ha interesse di acquistare, l’altra ha interesse di vendere; e tutte le unioni sono fondate su bisogni scambievoli» (Esprit des lois XX,2)14. Sotto il dispotismo e la tirannide è difficile che il commercio prosperi, ma, anzi, come accadeva all’epoca di Montesquieu nelle zone d’influenza dell’Impero Ottomano, è probabile che si sviluppino le pratiche della pirateria e dello schiavismo, di cui era caduto vittima Robert. Il dispotismo e la tirannide mantengono i popoli nella barbarie, mentre la funzione storica delle grandi repubbliche mercantili, dalla Tiro dei fenici e dall’Atene dei greci, nell’antichità, fino alla repubblica di Venezia e all’Olanda, nell’età moderna, è stata quella di promuovere i costumi civili. «Marsiglia», scrive il filosofo, tessendone una sorta di breve elogio, «rifugio necessario in mezzo a un mare tempestoso; Marsiglia, questo luogo dove i venti, i banchi marittimi, la disposizione delle coste ordinano di approdare, fu frequentata dalla gente di mare». Indotti dalle caratteristiche geografiche e dalla scarsa fertilità dell’entroterra, i primi abitanti di M ­ arsiglia 14. Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., vol. II, p. 650.

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si videro costretti a dedicarsi al commercio d’economia, così che, prosegue Montesquieu, «fu necessario che fossero labo­ riosi, per supplire alla natura riluttante; che fossero giusti, per vivere fra le nazioni barbare che dovevano formare la loro prosperità; che fossero moderati, perché il loro governo fosse sempre tranquillo; infine, che avessero costumi frugali, onde poter continuare a vivere di un commercio che avrebbero conservato più sicuramente qualora fosse stato meno vantaggioso per loro» (Esprit des lois XX,5)15. La filosofia di Montesquieu è una filosofia dinamica, in cui si analizzano conflitti e campi di forze, dove la realtà si compone di azioni e reazioni, e rispetto a cui la ragione svolge, di volta in volta, il compito strategico di soppesarne e valutarne la portata e l’indirizzo, di scoprirne gli equilibri, per poi produrre tattiche concretamente efficaci, in grado di agire sulla realtà per migliorarla16. È in questo contesto generale che dobbiamo pensare la stessa dottrina politica montesquieana della divisione dei poteri, ossia come il vuoto prodotto dalla loro neutralizzazione reciproca, funzionale all’esercizio concreto della libertà. La libertà non è un presupposto, ma il risultato: è ciò che rimane in seguito alla contrapposizione delle forze. È lo spazio d’azione interstiziale che resta una volta che i poteri si sono dispiegati sul campo della realtà concreta, esercitando reciprocamente le loro sfere d’influenza. La libertà, scrive Starobinski, «ha bisogno di separazioni, d’interposizioni e di intermediari, di poteri molteplici e concorrenti. Esige l’indipendenza del giudice, la forza del governo, la rappresentatività del legislativo. Tutto ciò basterà? Per la verità ci vogliono contropoteri in numero inde-

15. Ivi, p. 653. 16. Si veda, in proposito, il bel saggio di J. Starobinski, Montesquieu, Éditions du Seuil, Paris 1994; tr. it., Montesquieu, Einaudi, Torino 2002.

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finito, affinché gli individui possano trar profitto dalle opposizioni compensate»17. L’ambientazione di Montesquieu a Marsiglia, il suo porsi sul crinale fra l’atto di generosità del dono e quello interessato dello scambio commerciale, assume, allora, un significato che va ben al di là della biografia del filosofo e dell’evento accaduto e finisce per coinvolgere, in misura solo superficialmente intuita da Mercier e dai suoi contemporanei, il nucleo più profondo del pensiero montesquieano, che fonda la possibilità della libertà sulla pluralità, sulla varietà delle condizioni e dei climi, e sullo scontro regolato delle forze e degli interessi. Il nesso fra il dono e la genesi dello spazio economico è posto con evidenza nell’ormai classico lavoro di Marcel Mauss, pubblicato nel 192418. Per Mauss il dono è un “fenomeno sociale totale” in cui, attorno all’apparente libertà racchiusa nell’atto del donare, vediamo all’opera, in realtà, altrettanti obblighi: quello di dare, quello di ricevere e quello di ricambiare. Studiando gli usi e i costumi di alcune popolazioni autoctone del Pacifico e del Nord America, e con significative incursioni nella tradizione del mondo classico greco-romano, Mauss individua nel dono un sistema, a volte assai complesso, per stabilire relazioni fra gruppi e persone. Non solo. Il dono, sostiene lo studioso francese, è la forma pre-economica dell’economia, il meccanismo con cui, prima di ogni mercato, viene regolata e garantita la funzione dello scambio. Inoltre, nel dono Mauss intuisce, al di fuori di ogni retorica della generosità, l’interesse

17. J. Starobinski, Montesquieu, cit., p. 124. 18. M. Mauss, Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques, in «Année sociologique», serie II, 1923-1924, tomo I, poi in Id., Sociologie et anthropologie, PUF, Paris 1950; tr. it., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, in Id., Teoria generale della magia, Einaudi, Torino 2000.

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del donatore, il fatto che ogni dono ricevuto vincola il ricevente, obbligandolo alla reciprocità. L’aspetto del dispendio e della dissipazione prodotta dal dono è un altro punto su cui si sofferma l’analisi di Mauss. Lo studioso francese prende in esame, in particolare, un’usanza degli indigeni della costa occidentale nordamericana chiamata “potlàtch” (in lingua chinook “nutrire”, “consumare”) che tuttavia appare, in forme diverse, in molte altre culture umane. Il potlàtch è un dono agonistico – ma meglio sarebbe descriverlo, forse, come un autosacrificio incrociato – che vede in lizza per la vittoria due donatori. Nel potlàtch, infatti, non si tratta più solo di dare o di ricambiare, bensì soprattutto di distruggere. Tutte le forme di potlàtch, osserva Mauss, dal Nord-ovest americano al Nordest asiatico, «conoscono il tema della distruzione. Si uccidono schiavi, si bruciano oli preziosi, si buttano oggetti di rame in mare, si appicca il fuoco a case principesche, non solo per dare una manifestazione di potenza, di ricchezza e di disinteresse, ma anche per sacrificare agli spiriti e agli dèi, confusi in realtà con le loro incarnazioni viventi, i portatori dei loro titoli, i loro alleati iniziati»19. Vince chi dimostra di essere in grado di “consumare”, ossia annientare, la quantità maggiore di risorse. Il potlàtch ideale è il potlàtch che non può essere ricambiato. Questo particolare, messo in evidenza dalle ricerche di Mauss, fu ripreso con originale declinazione da Georges Bataille nel quadro della sua “economia generale del dispendio”20. Per 19. M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, cit., p. 178. 20. Cfr. G. Bataille, La notion de dépense, in «La Critique sociale», gennaio 1933, n. 7, ora in Id., Œuvres complètes, 12 voll., Gallimard, Paris 19701988, vol. I; tr. it., La nozione di dépense, in Id., La parte maledetta, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 3-22; Id., La part maudite, Les Éditions de Minuit, Paris 1949, ora in Id., Œuvres complètes, 12 voll., Gallimard, Paris 1970-1988, vol. VII; tr. it., La parte maledetta, cit., pp. 23-183; Id., La limite

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Bataille, malgrado la razionalità indichi nell’utilità il movente principale delle azioni umane, le sfere più importanti della nostra esistenza – si pensi all’erotismo, all’arte, alla cultura, alla religione, al pensiero stesso – si reggono sulla nozione di spreco, ossia di consumo improduttivo. Non c’è sfera della vita in cui, all’utile rinvenibile nei mezzi impiegati, non subentri, proiettata nella dimensione del fine, la dissipazione e la spesa. Ogni vivente è, riguardo alla vita che non ha né ritorno né resa, come il sole, che effonde incessante i suoi raggi su ogni cosa. Ecco allora che, per Bataille, il dono ha la facoltà di riflettere la spontaneità, l’eccedenza e l’esuberanza fondamentale della vita. Esso svela la dimensione in cui l’uomo realizza sovranità e godimento. Queste non risiedono, come pensano i grandi e piccoli capitalisti dei giorni nostri, nell’accumulo dell’avere e nell’estenuazione del voler avere di più, né, a livello degli stati, nella piena disponibilità del proprio debito sovrano. Anzi, l’autentica sovranità e il godimento stanno nella libertà di essere e nella pienezza di sé che chi dona cerca di affermare, anche quando non ne è consapevole, anche quando questa assume la forma estrema della distruttività. Proudhon diceva che il dono è il nec plus ultra della proprietà. Se possiedo qualcosa legittimamente, ciò significa che ne posso fare ciò che voglio: «di conseguenza, ho anche il diritto di donarla (j’ai donc aussi le droit de la donner)»21. Ma donando prodigalmente ciò che si ha si mostra anche l’eccedenza irriducibile di ciò che si è. Bataille ricorda il superuomo di Nietzsche, che intende il dono non come la manifestazione dell’ipocrisia altruistica di quell’“amore per il prossimo” che, in realtà, è espressione, secondo il filosofo svevo, del risentimento negatore dei sensi e delle de l’utile (1939-1945), in Id., Œuvres complètes, cit., vol. VI; tr. it., Il limite dell’utile, Adelphi, Milano 2000. 21. P.-J. Proudhon, Qu’est-ce que la propriété? (1840), poi in Id., Œuvres complètes, 26 voll., A. Lacroix, Paris 1873, vol. I, p. 55.

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differenze individuali che caratterizzano la morale del gregge, ma come ricchezza inesauribile di ciò che si è, come sovrabbondanza che si riversa “fuori di sé” per puro “amore di sé”. Amore di sé e amore per il prossimo, interesse e disinteresse si intrecciano nella scena originaria del dono, evocandone tutta l’ambiguità. È questa intrinseca insidiosità del dono che si cela dietro lo stratagemma di Montesquieu, attorno a cui ruota l’intera commedia di Mercier. Forse, dal pericolo insito nel dono si può sfuggire solo rendendo il dono anonimo, ossia disinnescando il riverbero inevitabile dell’amore altruistico nell’amor proprio, vale a dire rinunciando all’eroismo, sempre sottilmente ipocrita, del donatore. Come scriveva il filosofo francese ne Lo spirito delle leggi a proposito del valore effettivo delle “buone intenzioni”: «L’anima gusta delizie tali nel dominare le altre anime, perfino coloro che amano il bene amano tanto se stessi, che non v’è nessuno il quale non si trovi nell’infelice condizione di dover ancora diffidare delle sue buone intenzioni e, in verità, le nostre azioni dipendono da tante cose, che è mille volte più facile fare il bene che farlo bene» (Esprit des lois XXVIII,41)22. Mercier riprenderà significativamente la massima di Montesquieu alla fine della pièce, nella sesta scena del terzo atto, quando, dopo la definitiva fuga del filosofo ormai smascherato innanzi alla famiglia dei suoi beneficiati, l’Abate di Guasco cercherà di spiegarne il comportamento23. Ma cosa significa che è “mille volte più facile fare il bene che farlo bene”? Che anche l’anonimato e la fuga non mettono in salvo il donatore dai riflessi interiori della vanità e dell’amor proprio che trasformano e macchiano la genuinità del gesto altruistico, minandone l’essenziale libertà e incondizionatezza. «Pagando un debito», scriveva Rousseau nelle Passeggiate del 22. Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., vol. II, pp. 920-921. 23. Vedi infra, p. 132.

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sognatore solitario, «è un dovere che io compio; facendo un dono, è a me stesso che regalo un piacere» (Rêveries VI)24. Tuttavia il filosofo ricorda come fosse solito, nel corso delle sue uscite mattutine, imbattersi in un fanciullo grazioso ma sciancato, che sorreggendosi sulle stampelle, chiedeva garbatamente l’elemosina ai passanti. Da principio Jean-Jacques se lo fa amico, consegnandogli ogni giorno una piccola offerta. Eppure, «poco alla volta quel piacere divenne abitudine, per tramutarsi non so come in una specie di dovere, di cui iniziai a provare fastidio». Il dono si è trasformato in una sorta di debito. Non solo il donatore scopre di non essere più libero, a questo punto sentendosi in obbligo di continuare a donare, ma avverte un doppio legame di dipendenza, dal momento che può usare questo legame per soggiogare, per vincolare la libertà degli altri. Montesquieu, incalzato dalle manifestazioni di gratitudine di Robert e della sua famiglia, è in difficoltà non solo perché vede franare lo stratagemma con cui aveva nascosto la sua buona azione, ma perché scopre in se stesso quel sentimento compiaciuto di jouissance délicieuse che mina nel profondo la purezza di un’azione morale che dovrebbe essere senza secondi fini25, senza alcun tratto egoistico ad offuscarne la cristallina trasparenza: un atto di generosità per gli altri in quanto tali, un esempio perfetto di amore per l’umanità. Del resto, il donatore può rimanere sconosciuto agli altri, ma non lo è mai a sé stesso. Quando Jacques Derrida riprenderà la questione del dono posta da Mauss per sovvertirne e decostruirne i termini, suggerirà, allora, un’ulteriore strategia per

24. J.-J. Rousseau, Les Rêveries du promeneur solitaire, in Id., Œuvres complètes, Gallimard, Paris 1959, tomo I, p. 1054; tr. it., Le passeggiate del sognatore solitario, a cura di B. Sebaste, Feltrinelli, Milano 1996, p. 89. 25. Vedi infra, pp. 125-127.

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sottrarre la donazione alle sue insidie: non il donatore, ma il dono dovrà rimanere anonimo, ovvero non si dovrà riconoscere nel dono il gesto del donare. Si disegna così un dono al limite dell’impossibile – anzi, che racchiude in sé la figura stessa dell’impossibilità –, ovvero di un evento assolutamente gratuito, anonimo, incondizionato e unilaterale. Come scrive il filosofo francese, «benché tutte le antropologie o metafisiche del dono abbiano, a giusto titolo e con ragione, trattato insieme, come un sistema, il dono e il debito, il dono e il ciclo della restituzione, il dono e il prestito, il dono e il credito, il dono e il contro-dono»26, bisogna spezzare questa tradizione, pensando l’asimmetria pura, che isola il dono da qualsiasi possibile reciprocità o intenzione di scambio. Non ci può essere una legge del dono. Se la legge richiede la reciprocità e la simmetria della ragione, che regola tutto secondo il principio dell’utilità e della compensazione economica, a cui non sfuggono neppure i sentimenti umani della generosità e della gratitudine, ciò che appare nel fenomeno del dono è, invece, al suo fondo, asimmetrica gratuità, spreco incondizionato, sporgenza inaudita del gesto di spesa su ogni naturalistica e realistica aspettativa di restituzione. Tuttavia, quest’asimmetria perfetta, pur pensabile kantianamente alla stregua di un’illusione trascendentale, è ciò che, secondo Derrida, condanna l’esistenza del dono alla forma del paradosso. È, cioè, pensare al dono come se non ci fosse mai stato il suo gesto: un dono senza alcuna intenzionalità o consapevolezza come movente. L’ideale del dono diviene, allora, il caso, l’accidentalità dell’evento, l’eterogenesi dei fini che si nasconde nell’intenzionalità di gesti rivolti ad altro e compiuti per uno scopo diverso. Pensando alla vicenda messa in scena in Montesquieu a Marsiglia il dono perfetto non potrebbe es26. J. Derrida, Donner le temps. La fausse monnaie, Galilée, Paris 1991; tr. it., Donare il tempo. La falsa moneta, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 15.

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sere, allora, che una borsa contenente il denaro del riscatto, abbandonata, forse dimenticata, dal filosofo sulla banchina del porto e ritrovata, per caso, dal figlio del mercante. Ma cosa rimarrebbe dell’amore per l’umanità? È veramente impossibile fare bene il bene? La commedia di Mercier mostra così un finale amaro, che forse va, anche questo, ben al di là delle intenzioni dell’autore, ma che non poteva sfuggire al più acuto fra i suoi lettori settecenteschi, ovvero il giovane Hegel, che vi coglieva lo scacco dell’amore – l’amore cristiano del famoso comandamento che li riassume tutti: «ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,1619) – quale effettivo legame universale fra gli esseri umani. Jacques d’Hondt, a cui dobbiamo la riscoperta del testo di Mercier fra le fonti “segrete” del giovane Hegel e, quindi, fra i materiali originari dell’elaborazione della sua filosofia della storia, così riassume i termini di questa delusione dell’amore come principio unificatore assoluto: «C’è un destino nell’amore, che lo conduce alla sua fine. I rapporti umani si riducono a rapporti di dominio e di sfruttamento. È altrettanto difficile per l’uomo non dominare quanto rifiutare di sottomettersi. Il migliore degli uomini, che compie la migliore delle azioni, non riesce a fondare una comunione dei cuori: egli era spinto dallo slancio dell’amore, e la delusione s’impadronisce di lui quando si accorge delle insufficienze della situazione scaturita dalla sua azione. Ciò che anima la vita sociale è il conflitto»27. Mercier anticipa, in una commedia pubblicata, come si diceva, solo cinque anni prima della Presa della Bastiglia e degli eventi dell’Ottantanove, la delusione storica per il fallimento della fraternità (il terzo e più “volatile” elemento della trinità 27. J. d’Hondt, Hegel secret: recherches sur les sources chachées de la pensée de Hegel, PUF, Paris 1968; tr. it., Hegel segreto: ricerche sulle fonti nascoste del pensiero hegeliano, Guerini, Milano 1989, p. 205.

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rivoluzionaria composta da liberté, égalité e fraternité) e dell’amore illuministico per l’umanità che, nelle prime fasi non violente della Rivoluzione, agli occhi di molti contemporanei, fra cui c’erano senza dubbio Hegel e suoi compagni allo Stift di ­Tubinga Hölderlin e Schelling, pareva poter condurre alla laica realizzazione delle parole di Gesù sulla venuta del Regno di Dio sulla terra e sulla conseguente riconciliazione universale degli uomini. Così, nel momento in cui Hegel, lavorando al progetto, poi rimasto inedito per più di un secolo, de Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1798-1799), affronterà speculativamente lo scacco dell’amore come principio assoluto della storia, ovvero la sua incapacità di superare effettivamente la separazione e la lacerazione degli opposti, attuando la piena e definitiva riconciliazione fra gli uomini, il filosofo si ricorderà del singolare argomento della commedia di Mercier. «Le anime belle», scrive Hegel, «sono infelici, o che esse siano coscienti del loro destino, o che semplicemente non siano soddisfatte nell’intera pienezza del loro amore (tanto sono benefiche!); esse hanno bensì dei bei momenti di godimento, ma anche soltanto dei momenti [nur Momente]; e le lacrime di compassione e di commozione versate su un tale bel comportamento sono lacrime di malinconia [Wehmut] per la sua limitatezza [Beschränktheit]; dello stesso genere è l’ostinato respingere i ringraziamenti che ci vengono offerti, la nascosta magnanimità (di Montesquieu nei confronti di Robert a Marsiglia); un pudore per la manchevolezza della situazione [eine Scham über Mangelhaftigkeit des Zustandes]. Colui che fa del bene è sempre più grande di colui che lo riceve [Der Wohltäter ist immer größer als der Empfangende]» (389 Nohl)28. 28. G.W.F. Hegel, Theologische Jugendschriften, a cura di H. Nohl, Mohr, Tübingen 1907; tr. it., Scritti teologici giovanili, 2 voll., Guida, Napoli 1977, vol. II, pp. 539-540.

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Per Hegel, malgrado il benefattore si sforzi di celare il suo gesto nell’anonimato, come ha tentato di fare Montesquieu nella pièce di Mercier, l’asimmetria tra colui che dona e colui che riceve il dono permane, rimane strutturale e rende impossibile la continuità e la transitività illimitata dell’amore, dal momento che l’«amore vero e proprio ha luogo solo fra viventi che sono uguali in potenza e che, quindi, sono viventi l’uno per l’altro nel modo più completo e per nessun lato l’uno è morto rispetto all’altro» (Nohl 379)29. Se da principio, infatti, l’amore è l’espressione di quel dinamismo vitale, di quella vita che si sdoppia e, sviluppandosi, ritorna in sé stessa e che, pertanto, appare in grado di superare le scissioni fra soggetto e oggetto, servo e padrone, spirito e natura, finito e infinito, manifestando l’unità di fondo che accomuna i viventi fra loro, successivamente l’opposizione, seppur fluidificata, riemerge. Negli incontri fra gli amanti, l’oggettività e la particolarità riaffiorano in quel pudore (Scham) che manifesta «il ricordo del corpo», «la presenza personale», quel «sentire l’individualità» che è «paura “del” mortale, del proprio» (Nohl 380)30, e che non consente l’unione completa, ovvero il pieno compimento dell’amore. Analogamente l’irriducibilità dell’altro si esperisce là dove, come nella sfera pubblica, la «forma giuridica della proprietà» (Nohl 382)31, quale espressione sensibile e reificata dell’isolamento dell’individuo, cioè del principium individuationis, impedisce di realizzare quella comunione dei beni che manifesterebbe, a livello della società e dello stato, il fine dell’amore come unità e pienezza dell’intero. Insomma, per Hegel, il fallimento e la fragilità dell’amore, la sua effimera fugacità, non dipendono da circostanze accidentali, che possono essere modificate mutando il comportamento degli uomini, 29. Ivi, p. 529. 30. Ivi, p. 530. 31. Ivi, p. 532.

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ma sono iscritte nella sua stessa natura. Allora, con il naufragio della fraternità appare compromesso anche l’altro valore della trinità rivoluzionaria, ossia l’uguaglianza. Il più puro atto d’amore, come quello di Gesù sul Golgota, è destinato a scontrarsi con una differenza tanto incolmabile, quanto essenziale. Esso ha la durata sublime dell’istante, ma poi si dilegua, restituendo nel tempo le differenze di partenza. Gesù muore come uomo, ma risorge, nella gloria, come Dio. L’insegnamento dell’amore ha il carattere dell’eccezionalità, riafferma che il Regno di Dio non è di questo mondo, ripropone di nuovo la separazione tra realtà e spirito, tra sensibile e sovrasensibile, tra umano e divino. Esso ottiene, al massimo, la creazione di quella «cerchia di cuori», di quella comunità di “anime belle”, unite «dalla fede e dalla speranza», che appare soltanto un «piccolo regno di Dio» (Nohl 333)32, circoscritto e temporaneo, in fondo settario, come i gruppi apocalittici e le cellule rivoluzionarie, in misero rapporto con la totalità del genere umano e con il senso complessivo della storia. Non sono la virtù né i buoni sentimenti a far girare il mondo e il dono che fonda la comunità – qualsiasi comunità umana – non è il libero gesto donativo di colui che dà, ossia il donum, ma il vincolo del munus che, come scrive Roberto Esposito indagando l’origine e il destino di quella communitas in cui il termine etimologicamente risuona, «è il dono che si dà perché si deve dare e non si può non dare». Nel munus, prosegue il filosofo napoletano, si esprime «un tono di doverosità talmente netto da modificare, e addirittura interrompere, la biunivocità del rapporto tra donatore e donatario: benché generato da un beneficio precedentemente ricevuto, il munus indica solo il dono che si dà, non quello che si riceve. Esso è proiettato tutto nell’atto transitivo del dare. Non implica in nessun modo 32. Ivi, p. 447.

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la stabilità di un possesso – e tanto meno la dinamica acquisitiva di un guadagno – ma perdita, sottrazione, cessione: è un ‘pegno’, o un ‘tributo’, che si paga in forma obbligatoria. Il munus è l’obbligo che si è contratto nei confronti dell’altro e che sollecita una adeguata disobbligazione»33. Questa lettura del significato vincolante, di “debito donativo”, della parola munus apre una prospettiva inedita e sconcertante per l’interpretazione del legame originario che accomuna e tiene uniti i membri di una comunità. Non si tratta di un “qualcosa” di positivo, ovvero di una sostanza, di un interesse, di una qualità, di alcuni aspetti o caratteristiche particolari che possono servire a connotare positivamente l’identità dei membri della comunità spingendoli all’identificazione nel gruppo, bensì di un vuoto da riempire. Communitas, conclude Esposito, «è l’insieme di persone unite non da una ‘proprietà’, ma, appunto, da un dovere o da un debito. Non da un ‘più’, ma da un ‘meno’, da una mancanza, da un limite che si configura come un onere, o addirittura una modalità difettiva, per colui che ne è ‘affetto’, a differenza di colui che ne è, invece, ‘esente’ o ‘esentato’»34. Il munus mette in risalto la simmetria d’obbligo implicita nell’atto di donare e nell’appartenenza alla comunità del dono, vale a dire il loro essere anche la preistoria simbolica di ogni scambio regolato. In questo modo, tuttavia, il munus finisce per esaltare l’impossibilità della reciprocità là dove l’ingente smisuratezza del dono rispecchia e ribadisce l’asimmetria già esistente tra donatore e beneficiato. Ecco allora che il termine im-munis, da cui deriva il concetto giuridico di “immunità”, descrive la condizione di colui che è assolto dal debito del dono,

33. R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998, p. XIV. 34. Ivi, p. XV.

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vuoi nel senso del dovere di ricambiare, ma soprattutto perché il suo status e, quindi, la “smisuratezza” della sua capacità di donare, lo pone “al di fuori” e, in una prospettiva gerarchica, “al di sopra”, del meccanismo obbligante del dare e ricevere. L’immune è così sovrano (“sta sopra”) rispetto a quella che potremmo chiamare la “legge” del dono. A questa superiorità rinvia Starobinski nel suo A piene mani, che prende in esame il dono socialmente asimmetrico, quello della largesse di chi ha nei confronti di chi è in stato di povertà e bisogno35. È questo, sostiene lo studioso svizzero, attraversando con la sua analisi il panorama culturale delle pratiche fastose antiche, dell’elemosina, della carità, della beneficenza, del tributo e dell’omaggio, un dono intrinsecamente perverso, che nasconde appena tutte le sue insidie, rendendo palese l’arroganza e la volontà di potenza del donatore e l’umiliazione del suddito, di colui che riceve. Il dono rivela così quell’essenziale ambiguità che in alcune lingue si è conservata a livello lessicale ed etimologico, e che associa all’idea positiva del dono (il significato del temine inglese gift) quella negativa del veleno (il significato del termine tedesco Gift)36. Quest’ambiguità, che trasforma il donum in damnum e caratterizza il rapporto asimmetrico del suddito nei confronti del potente e del sovrano, non è tuttavia che un caso particolare, se non, anzi, un epifenomeno, dell’asimmetria strutturale che concerne la relazione originaria fra i soggetti e la comunità. 35. Cfr. J. Starobinski, Largesse, Éditions de la Réunion des musées nationaux, Paris 1994; tr. it., A piene mani. Dono fastoso e dono perverso, Einaudi, Torino 1995. 36. Cfr. M. Mauss, gift/Gift, in Aa. Vv., Mélanges offerts à Charles Andlers par ses amis et ses élèves, Istra, Strasbourg 1924; tr. it. in M. Granet M. Mauss, Il linguaggio dei sentimenti, Adelphi, Milano 1975, pp. 67-72, cfr. anche G. Maraniello - S. Risaliti - A. Somaini, Il Dono. Offerta, ospitalità, insidia/The Gift. Generous Offerings Threatening Hospitality, Edizioni Charta, Milano 2001.

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Una relazione massimamente pericolosa, perché sottopone gli individui al dispositivo sacrificale che, per produrre unità e identità, ha bisogno di quell’arcaico meccanismo simbolico che, circoscrivendo la violenza nel sacro37, prevede l’esposizione assoluta degli individui alla comunità, ovvero il loro annullamento in essa. A questa pastorale della paura e della morte ha cercato di rispondere, come suggerisce Esposito, la filosofia politica moderna, mediante l’estensione orizzontale del concetto di immunizzazione38, che libera gli individui moderni dal debito comunitario che li vincolava gli uni agli altri. Per Hobbes la comunità naturale è la condizione dell’homo homini lupus. Ciò che accomuna gli esseri umani allo stato di natura è la loro uccidibilità reciproca, ossia che chiunque può essere ucciso da chiunque altro. Bisogna quindi produrre una soluzione di continuità rispetto alla dimensione originaria del vivere comune dell’“animale sociale”, istituendo al posto del legame naturale del dono e del contro-dono, il legame artificiale del contratto. Hobbes, scrive Esposito, «mostra di cogliere perfettamente il suo potere immunizzante nei confronti della situazione precedente allorché ne definisce lo statuto esattamente attraverso la contrapposizione a quello del dono: contratto è innanzitutto ciò che non è dono, assenza di munus, neutralizzazione dei suoi frutti avvelenati»39. Parimenti la concezione della libertà politica, concepita da Montesquieu mediante la struttura costituzionale della divisione dei poteri, si distilla, dal punto di vista singolare del

37. Cfr. R. Girard, La violence et le sacré, Grasset, Paris 1972; tr. it., La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980. 38. Cfr. R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002. 39. R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, cit., p. XXV.

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cittadino, nel concetto immunitario di sicurezza in rapporto all’applicazione, all’equilibrio e alla correttezza delle leggi penali: «La libertà politica consiste nella sicurezza, o almeno nell’opinione che si ha della propria sicurezza» (Esprit des lois XII,2)40. Nei paesi dispotici, come l’Impero Ottomano o il Sultanato alawita del Marocco nel cui territorio viene tenuto prigioniero il mercante Robert, la mancanza di libertà politica, ossia l’effettiva schiavitù politica dei sudditi, rende più tollerabile quella “schiavitù civile”, come la chiama Montesquieu, che si basa sull’«istituzione di un diritto che fa di un uomo la proprietà di un altro uomo a un punto tale, che questi è il padrone assoluto della vita e dei beni dell’altro» (Esprit des lois XV,1)41. La schiavitù è, quindi, la completa esposizione di un essere umano all’altrui arbitrio, l’assoluta insicurezza che situa colui che la subisce fuori della legge. Non a caso il filosofo insiste in più passi dell’Esprit des lois per riportare le cause della schiavitù, oltre che alla particolare disposizione climatica dei paesi caldi, a quelle situazioni limite in cui la legge viene sospesa, come in guerra, con i soldati fatti prigionieri – e la condizione di Robert, catturato dai pirati, è in qualche modo paragonabile a questi – o quando, in seguito all’insolvenza di un debitore, quest’ultimo viene dato in schiavitù al suo creditore, che può così disporne come fosse una cosa42. Nel libro dodicesimo del suo capolavoro, dedicato alle leggi che determinano la libertà politica nel suo rapporto con la vita del singolo cittadino, Montesquieu stigmatizza l’uso dei greci e dei romani «di vendere i debitori che non erano in grado di pagare» e racconta come, soprattutto a Roma, queste “leggi crudeli” della repubblica,

40. Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cit., vol. I, p. 342. 41. Ivi, p. 401. 42. Cfr. ivi, pp. 402-418.

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già in uso prima della legge delle XII Tavole, fossero difficili da riformare e da abrogare. «Un uomo coperto di piaghe fuggì dalla casa del suo creditore e comparve nel foro. Il popolo fu commosso da quello spettacolo. Altri cittadini, che i loro creditori non osavano più trattenere, uscirono dalla prigionia. Si fecero loro delle promesse, non furono mantenute: il popolo si ritirò sul Monte Sacro. Non ottenne l’abrogazione di quelle leggi» (Esprit des lois XII,21)43. La crudeltà delle leggi riguardo ai debitori, in vigore nelle antiche repubbliche di Atene e Roma, di cui parla Montesquieu, evoca l’arcaica formula protogiuridica del nexum come «l’istituto attraverso cui il debitore insolvente si mette materialmente nelle mani del creditore fin quando il debito non sia stato corrisposto». «In base ad un’antica legge delle XII Tavole», spiega Esposito, «l’addictus o ductus, com’era definito il debitore insolvente sottoposto a giudizio del magistrato, aveva sessanta giorni per restituire il debito o trovare un vindex in grado di rappresentarlo. In mancanza delle quali condizioni, e dopo essere stato esposto per tre volte sul pubblico mercato, era lasciato alla vendetta del creditore che, acquisito possesso del suo corpo, poteva metterlo a morte o venderlo come schiavo al di là del Tevere. Se poi i creditori fossero stati più di uno, essi avevano diritto ciascuno a un frammento del corpo del debitore, fatto letteralmente a pezzi»44. Il nexum ci consente di vedere all’opera un dispositivo giuridico in cui non solo una persona diventa una non-persona, ossia una cosa, come accade per la condizione dello schiavo, ma questo passaggio conserva l’ambivalenza in base alla quale il debitore addictus conserva lo status di persona per il diritto

43. Ivi, p. 359. 44. R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero, Einaudi, Torino 2013, p. 151.

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pubblico, mentre lo perde per il diritto privato: «Schiavo di uno ma libero per tutti gli altri, al punto di poter conservare il proprio nome ed essere arruolato nell’esercito, come di fatto accadde a diversi addicti dopo la sconfitta di Canne. E ancora, il padrone non poteva venderlo perché unico a poter esigere i suoi servizi, ma aveva pieno possesso del suo corpo. Era tenuto a cibarlo, con una libbra di farro al giorno, ma poteva tenerlo in catene e infliggergli le più crudeli torture»45. Se pensiamo alla condizione della vittima di un rapimento, vale a dire di Robert, del quale, nel dramma di Mercier, i pirati chiedono il riscatto, vediamo che essa non è poi così diversa da quella dell’addictus. Anche nel caso del rapito si transita dal patrimonio del corpo, scambiato come cosa in corrispondenza del denaro pagato ai rapitori, a quello della persona che fa da perno giuridico per la traduzione da un ambito all’altro. È difficile allora non cogliere, al di là dell’episodio reale della vita del filosofo che ha ispirato la stesura della pièce sulla cui soglia ci stiamo intrattenendo, le implicazioni profonde che collegano Montesquieu e la sua opera all’insidia comunitaria del dono e alla strategia neutralizzante adottata dal pensiero politico moderno e, in generale, da quella soluzione contrattualista e mercantile di riduzione dell’insieme delle relazioni umane alla forma economica dello scambio che, nel corso della modernità, assumerà l’aspetto della società capitalistica. Già Mauss, nel suo Saggio osservava che l’obbligo di restituire, implicato nel meccanismo del dono, è una forma di perdita della libertà. Il dono è, cioè, un vincolo che si esercita mediante uno scambio in cui entrano in gioco le cose che vengono donate, ricevute e restituite. Ma questo scambio materiale, che serve a legare nella reciprocità del riconoscimento simbolico i contraenti, è asimmetrico, perché chi riceve il dono non è libero, 45. Ivi, pp. 153-154.

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ovvero consegna la sua stessa libertà in pegno al suo donatore. A sua volta, il donatore acquisisce in questo modo potere sul suo beneficiato che, in termini strategici ed ontologici – anzi, teologico-politici –, ossia di originarietà, appare irrisarcibile. Ciò che si verifica nel rapporto dei singoli con la comunità è, come abbiamo visto, qualcosa di analogo. Il riconoscimento ai vari livelli, sociali, etnici, giuridici e morali della “persona” – qui il gioco semantico del termine francese personne, che significa sia “persona” che “nessuno”, è quanto mai rivelativo – presuppone un meccanismo di appartenenza (alla comunità, al popolo, allo stato, all’umanità) che non è basato sulla positività di una qualche identità specifica, vuoi anche quella delle infinite differenze delle singolarità che “si somigliano” tra loro, ma sul “vuoto”, sulla lacuna, sul nulla di un debito strutturalmente inestinguibile46. Insomma, come aveva già intuito Nietzsche nelle pagine della Genealogia della morale e come suggerirà Freud in Totem e tabù, ma senza trarne le più radicali conseguenze – non è il debito che deriva dalla colpa, ma la colpa dal debito47 –, ciò che lega i membri di una comunità è una sorta di senso di colpa collettivo, dove, com’è noto, la lingua tedesca nomina con il termine die Schuld sia la “colpa” che il “debito”. Se il dono rispecchia la «Libertà dell’Inizio»48, il debito verso 46. Per la prospettiva in cui leggere l’idea del nulla cfr. A. Tagliapietra, Il nulla, in C. Bartocci - P. Martin - A. Tagliapietra, Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla, il Mulino, Bologna 2016, pp. 117-173. 47. «Il sentimento della colpa, della nostra personale obbligazione, per riprendere il corso della nostra indagine, ha avuto, come abbiamo visto, la sua origine nel più antico e originario rapporto tra persone che esista, nel rapporto tra compratore e venditore, creditore e debitore: qui, per la prima volta, si fece innanzi persona a persona, qui per la prima volta si misurò persona a persona» (F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrift [1887], II, § 8; tr. it., Genealogia della morale, a cura di G. Colli e M. Montinari, tr. di F. Masini, Mondadori, Milano 1979, p. 53). 48. M. Cacciari, Della cosa ultima, Adelphi, Milano 2004, p. 321.

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la comunità, in quanto strutturalmente originario – prepolitico e, quindi, precontrattuale e “naturale” – mostra che anche il terzo valore della trinità rivoluzionaria, ossia la libertà, non regge innanzi alla dinamica scatenata dall’economia del dono. Si tratta di un’economia intrinsecamente teologica, che conclude nella teologia dell’economia. Ciò significa che, nell’epoca del capitalismo realizzato che stiamo vivendo, l’economia è la forma compiuta della teologia. «Il capitalismo», osservava Walter Benjamin nel prezioso frammento del 1921 dedicato a Kapitalismus als Religion, «è presumibilmente il primo caso di un culto che non espia il peccato, ma crea colpa/debito. In ciò, questo sistema religioso è preso nel gorgo di un movimento spaventoso. Una coscienza spaventosamente colpevole, che non sa come espiare, si afferra al culto, non per espiare in esso questa colpa/debito (Schuld), ma per renderla universale, per conficcarla a forza nella coscienza e, infine e sopra ogni cosa, per implicare Dio stesso in questa colpa/debito, al fine di suscitare in Lui stesso interesse per l’espiazione»49. Il capitalismo è la religione del debito e dell’indebitamento universale. Al contempo esso è la religione della comunità globalizzata del denaro. Il denaro ha l’artificialità totale di un segno che rinvia, da ultimo, solo a se stesso. Di contro ai simboli con cui l’essere umano ha elaborato, nel corso della storia, il suo rapporto mediato con il mondo e che, quindi, implicano tutti, prima o poi, quell’intenzionalità e quella misura della fine di sé e dei corpi che chiamiamo “esperienza”50, il denaro rap49. W. Benjamin, Kapitalismus als Religion (1921), in Id., Gesammelte Schriften, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1972-1999, vol. VI, pp. 100-104; tr. it., Capitalismo come religione, il nuovo melangolo, Genova 2013, pp. 42-43. 50. Mi permetto di rinviare ad A. Tagliapietra, Esperienza. Filosofia e storia di un’idea, Raffaello Cortina, Milano 2017.

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presenta una fuga senza fine, una mistica vertigine inebriante che ci allontana dalle singolarità che siamo, dal mondo e, quindi, da ogni possibile socialità. Come scriveva Marx nei Grundrisse, «il denaro è la comunità e non può tollerare nient’altro sopra di sé»51. Nei paesi occidentali, sempre più salariati e impiegati, nonché la maggioranza dei giovani che non provengono da famiglie ricche e che non possono contare, quindi, su qualche eredità, lavorano per rimborsare i prestiti a interesse che consentono loro di terminare gli studi, avere un tetto sotto cui dormire o pagare i mezzi di trasporto con cui arrivare, ogni giorno, al luogo di lavoro. A livello globale e nei paesi eufemisticamente definiti “in via di sviluppo”, masse di esseri umani chiamati significativamente “migranti” mediante la recente estensione della terminologia naturalistica e zoologica in uso per le popolazioni degli animali non umani, vengono spostate dalla forza del capitale, che funziona ormai come un’immensa e capillare macchina biopolitica finalizzata al risarcimento del debito irrisarcibile della loro stessa nuda vita. L’indebitamento capillare e universale dell’umanità mostra, allora, una situazione che, constatata benjaminianamente la sua radice teologica, appare intrinsecamente escatologica e, in particolare, apocalittica. Come osserva Esposito, «che tutti gli Stati, divisi al proprio interno da una netta ineguaglianza di risorse, risultino adesso indebitati nei confronti di un’entità inafferrabile come la finanza globale fa sì che forse per la prima volta il mondo sperimenti una condizione di comune sofferenza. È come se la scissione fosse divenuta la forma generale dell’unità. Gli uomini sono uniti da un indebitamento che li separa anche da se stessi, sospendendoli a un modello di sviluppo che produce perdita. Essendo tutti inclusi in esso, 51. K. Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (1858); tr. it., Lineamenti di critica dell’economia politica, 2 voll., a cura di G. Backhaus, Einaudi, Torino 1973, vol. I, p. 161.

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ne sono al contempo anche tutti esclusi»52. L’epoca dei debiti sovrani che stiamo vivendo potrebbe concludersi in un’immane apocalisse del debito, in un grande giubileo, una sabbatica remissione e restituzione universale che non solo concepisca la cancellazione del debito e dei debiti – una sorta di riscatto planetario delle vite dei viventi –, ma ne smascheri l’insostenibile struttura simbolica, il terribile senso di colpa e l’angoscioso bisogno di salvezza che ne alimentano il ferreo dispositivo di potere. Infatti, se come suggeriva Benjamin, anche Dio è colpevole e debitore, ovvero, se anche Dio dev’essere salvato – è questo il teologema gnostico del salvatore-salvato che fa del capitalismo la più potente delle eresie cristiane e l’ultima realizzazione della strategia teologico-politica messa in campo sin dal sózein tà phainómena della metafisica greca –, allora, rispondendo ad Heidegger e a Sloterdijk per limitarci ai contemporanei, nemmeno un Dio ci può salvare53. Eppure, se, in effetti, niente avesse bisogno di essere salvato? Se fosse finalmente giunto il momento di prendere congedo dal ricatto di quest’ostinata idea di salvezza e dall’eroismo possente delle schiere di salvatori che così profondamente hanno connotato l’avventura della civiltà occidentale e ora globale, dai greci ai cristiani fino ai moderni, passando per il “grande codice” della Bibbia e per l’ebbrezza delle sue innumerevoli eresie? Se finalmente, guardando nei risvolti e nelle pieghe riposte dell’idea di salvezza vi scoprissimo l’arcano segreto del potere e, quindi, la prospettiva di una sorprendente e insperata via di fuga?

52. R. Esposito, Due, cit., pp. 226-227. 53. Cfr. P. Sloterdijk, Nicht gerettet. Versuche nach Heidegger, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2001; tr. it., Non siamo stati ancora salvati. Saggi dopo Heidegger, Bompiani, Milano 2004.

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Nelle pagine, impolverate dal tempo, del Montesquieu a Marsiglia di Mercier, che qui riproponiamo ai lettori dei nostri giorni, l’indizio di un dono segreto ci mette sulle tracce del segreto del dono. L’apocalisse di questo segreto ci spalanca l’orizzonte affascinante ed enigmatico di un mondo nuovo, vertiginoso e sublime, nel quale, prima o poi, dovremmo avere il coraggio di incamminarci, riuscendo a sopportarne, passo dopo passo, la difficile e inesperita libertà.

Montesquieu a Marsiglia

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Prefazione

Non è il genio di Montesquieu che intendo raccontare, ma la sua generosità. Mostrerò un giorno della sua vita, non la sua vita intera. Per render conto del suo pensiero politico in maniera compiuta, occorrerebbe il suo genio. Se mi azzarderò a dar voce all’autore de “Lo spirito delle leggi”, non sarà che un tentativo di dipingere Montesquieu come uomo sensibile, modesto e generoso. Accostandomi alla vita di questo pensatore, ho avuto conferma di un’impressione che già nutrivo, ossia che l’uomo di genio è anche un essere umano essenzialmente buono. D’altronde, non può esservi alcun accordo tra la forza dei lumi e l’insensatezza della malvagità. Vorrei quantomeno rendere un pubblico omaggio alla memoria di uno dei nostri più illustri scrittori, come ho già fatto per l’inarrivabile Molière1. Benché io non vanti la statura di altri autori, se mi è consentito, credo di saper scegliere i libri da una biblioteca, così come si scelgono gli amici nel mondo. Dove mai

1. Molière è una commedia in cinque atti in cui il drammaturgo viene ritratto nei dettagli più interessanti della sua vita.

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potremo essere liberi, nelle opinioni e nelle idee, se non lo siamo nella repubblica delle lettere? Eppure, chi presterà mai fede a questa repubblica, con despoti alteri e intolleranti? Montesquieu, come scrittore, ha qualcosa di singolare ed inafferrabile: precisione, raffinatezza, profondità, celate sotto un velo enigmatico. Il suo pensiero è vasto e la sua scrittura concisa, quasi aforistica. Idee importanti prendono la forma di epigrammi. Egli lima continuamente il suo stile, quasi non fosse un autore colto e brillante. Si riuscirà forse ad imitare Fenelon, Voltaire e Jean-Jacques Rousseau, ma imitare la scrittura di Montesquieu, così vitale, ardita, spigliata, dallo spirito gioioso e dalla sottile ilarità, sarà la sfida disperata di ogni scrittore. Ritengo che, se un poeta drammatico dimostrasse l’immaginazione necessaria a comporre testi teatrali che avessero come protagonisti Corneille, Racine, La Fontaine, Fénelon, La Bruyère, Boileau ed altri personaggi del secolo passato, tratteggiando ciascuno secondo il proprio carattere, nulla vi sarebbe di più appassionante per il suo pubblico. Tutti gli spettatori mediamente colti sarebbero indotti a giudicarne la verosimiglianza e l’autore desterebbe un piacere vivo e profondo, poiché la fisionomia di questi uomini conosciuti, espressa con verità, susciterebbe più interesse di quelle fisionomie ideali, frutto della fantasia, che si mettono in scena solitamente. L’integrità di tali personaggi – ecco già un punto importante  – non permetterebbe al poeta alcun tratto vago. Da ogni pennellata dovrebbe emergere la figura principale, non ci si potrebbe scostare dal modello, senza rischiare di venir corretti da terzi; e, se è vero che l’arte consiste nel velare se stessa, quale più gioioso mezzo avrà a disposizione il poeta per dissimulare il proprio lavoro e mostrare il personaggio in tutta la sua verità? Tali considerazioni non valgono soltanto per la rappresentazione di autori, ma anche di magistrati, uomini di guerra, prelati, donne amabili: Turenne, Vendôme, Catinat, Lamoignon, Ninon

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de Lenclos e altri potrebbero essere rappresentati nei loro tratti veritieri, e non risulterebbero meno interessanti. Tuttavia, poiché gli scrittori, più degli altri, lasciano distintamente impressa la loro anima nelle opere, i loro ritratti offrirebbero diversi spunti di comparazione e i dibattiti che scaturirebbero fra gli spettatori circa la diversa maniera di rappresentarli, contribuirebbero, a mio giudizio, alla conoscenza dell’animo umano e al perfezionamento dell’arte drammatica. Troppo di frequente il talento dei poeti si esercita su un carattere ideale e, giacché si inventa un personaggio che non esiste, la menzogna vi penetra necessariamente. Perché mai i poeti oggi non dovrebbero trarre ispirazione dalle figure reali, animate da nobiltà e piene di vita, che fanno parte, per così dire, della nostra società, dal momento che i loro nomi, le loro opere e i tratti del loro carattere sono strettamente legati al nostro agire quotidiano? Se qualcuno mettesse in scena il buon La Fontaine con la sua aria ingenua, la sua semplicità e le sue distrazioni, chi non ne gioirebbe? Sarebbe forse il più difficile da dipingere, ma ci consegnerebbe il quadro di un uomo il cui nome soltanto basta ad incantare l’anima e stimolare la ragione! Accostatelo al severo Boileau, sempre pensieroso, e vedrete nella loro semplice apparizione tutto il piacere del contrasto. Che grandi opere vedrebbero la luce, se i poeti riuscissero a riprodurre il linguaggio e il carattere di questi personaggi, se mettessero in scena la sensibilità di Fénelon, la nobiltà di Corneille, la risolutezza di La Bruyère, o la finezza dell’autore dell’Andromaca, caustico al fondo dell’apparente tono sentimentale – poiché, di tutti gli epigrammi noti, i più mordaci sono quelli del tenero Racine. Le nostre commedie moderne, piene di convenevoli e di tecnicismi, sono divenute inintelligibili. Un gergo affettato ha sostituito il linguaggio schietto che caratterizzava Molière. Si cercano

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invano idee per dar forma a personaggi poco credibili. Dal momento che il poeta deve riprodurre un carattere, uno stile ed un linguaggio, senza dubbio gli converrebbe avvicinarsi alle fisionomie note e viventi. Il pubblico, chiamato a giudicare l’esatta somiglianza, cercherebbe a sua volta di calarsi nell’animo di un uomo realmente esistito, compiendo così l’opera del poeta e partecipandone con trasporto. Ne risulterebbero, a mio avviso, innumerevoli osservazioni e piaceri delicati, che si provano troppo di rado, poiché i poeti solitamente ci presentano soggetti sconosciuti, che nella nostra immaginazione non riusciamo a raffigurare o raffiguriamo malamente, dei quali ogni cosa è fittizia tranne il nome. Quest’opera non è che una piccola prova, la quale non si propone di inaugurare compiutamente un nuovo genere di commedia, né, tantomeno, di occupare la scena attuale. Tuttavia, essa può essere aggiunta alle mie altre rappresentazioni storiche, composte nella prospettiva di venir prima o poi portate in scena. Non mi scoraggiano due o tre secoli, e il luogo dove accadrà mi è indifferente. Il gusto e la moda di un paese, fortunatamente, non incidono su quelli di un altro. Si recitano con successo all’estero opere rimaste sconosciute o dimenticate in Francia. Ogni volta che un autore avrà rappresentato, senza eccessi, la verità e le virtù in azione, troverà da qualche parte un pubblico pronto ad ascoltarlo.

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Personaggi

Montesquieu L’Abate di Guasco, amico di Montesquieu Signor de Pérouville, mercante Signora de Pérouville Signor de Saine Signora Robert Robert padre Robert figlio Henriette Un commesso Dominique e François, domestici Una donna del popolo Diversi personaggi

La scena si svolge a Marsiglia.

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Montesquieu a Marsiglia Commedia in tre atti (La scena rappresenta un’agenzia d’affari. Due commessi stanno lavorando in un ufficio posto sul lato sinistro del palcoscenico. Il Signor de Pérouville è impegnato a scrivere poco lontano da loro, in un locale separato da una grata)

Atto Primo Il Signor de Pérouville si trova nel suo ufficio, circondato da alcune persone, che subito congeda alzandosi e salutandole. Prende dei fogli e avanza sul palcoscenico assieme al Signor de Saine. Montesquieu è seduto sul lato destro del palcoscenico, su una piccola panca di legno, la schiena rivolta al Signor de P ­ érouville. È vestito semplicemente, con un abito nero; ha l’aria di essersi appena abbandonato a qualche riflessione.

Scena I Signor de Pérouville, Signor de Saine Signor de Pérouville Date la precedenza al carico di questo vascello. Vi raccomando il più grande zelo in questa spedizione. Talvolta l’impegno è

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garanzia della riuscita e nel commercio chi rimanda al domani deve spesso rimproverarsi la perdita subita. Signor de Saine L’assicurazione che avete stipulato ieri su questi tre vascelli sembra a tutti una mossa molto azzardata – è quello che si sente in giro. Si dice che soltanto Voi, a Marsiglia, siete capace di prenderVi un simile rischio. Signor de Pérouville Signor de Saine, se non possedessi altro che un misero capitale, avrei il sano timore di perdere tutto o di rischiare dei fondi senza mezzi sufficienti per risponderne. Ma ormai sono al di sopra delle perdite ordinarie. Bisogna cogliere le grandi occasioni. Ho cominciato con poco; ricordo che allora il mio passo era attento e circospetto: ora gioco per la posta più alta; se perderò, avrò di che consolarmi. D’altronde, non bisogna incoraggiare il commercio? Io stipulo delle assicurazioni. Servo la città che amo. Quanti mercanti ho visto allarmarsi nel momento stesso in cui i loro vascelli entravano in porto! A proposito, si dice che il Marchese de Roux abbia ottenuto dal re il permesso di assumere, per coltivare le sue terre, duecento famiglie di Sassoni espatriate, che attraversano questo paese per andare verso le isole. Signor de Saine Sì, signore; Sua Maestà glielo ha concesso. Egli ha ricevuto delle disposizioni in merito. Signor de Pérouville È sicuro?

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Signor de Saine Certamente, è partito questa mattina per far loro costruire delle case. Si ripromette di fornir tutti i mezzi necessari e di procurar loro un futuro felice. Signor de Pérouville Questa notizia mi riempie di gioia! Ecco l’esempio di un mercante titolato che onora al meglio il suo paese, facendo buon uso delle proprie ricchezze. Questo generoso cittadino è mio amico e il suo spirito civile accende il mio. Un privato cittadino che offre asilo ad un popolo fuggitivo e che rivolge a profitto della patria le devastazioni causate dalle contese tra re! Che esempio! Devo fare del mio meglio per imitarlo! Non perdiamo tempo. (Ad un domestico) Una candela! Ho ancora molte lettere da sigillare. Montesquieu (Sulla panca) Mi trattiene qui e si fa attendere senza curarsi di me. Ma mi piace osservare i movimenti delle agenzie d’affari… più uomini popolano uno stato, più fiorisce il commercio, più aumenta la popolazione. Senza dubbio, questi due fattori si alimentano a vicenda. Il commercio fa sì che i popoli si comunichino le loro idee attraverso le loro merci, le conoscenze umane ci guadagnano, i vecchi pregiudizi decadono e, ovunque vi sia del commercio, spesso si diffonde una mitezza nei costumi. Inoltre, ammiro il modo in cui si è riusciti a far apprezzare a popoli lontani molte cose senza valore, guadagnandoci una grossa somma, senza far loro un torto.

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Scena II Signor de Pérouville, Signora de Pérouville, Montesquieu Signora de Pérouville (Tiene in mano diverse lettere, mentre alcuni bambini giocano intorno a lei) Signor de Pérouville, ecco le mie lettere da spedire… avete già preparato la vostra corrispondenza? Signor de Pérouville Sarà mai possibile finire? Signora de Pérouville Avete ancora tutto il tempo per la posta. Signor de Pérouville Sapete bene che non mi piace essere in ritardo, neanche di due minuti. (Ai bambini che si avvicinano per abbracciare il loro padre) Vi abbraccerò più tardi, miei cari! Signora de Pérouville Non vorrei importunarVi; Vi lascio. (I bambini vagano sulla scena, si avvicinano a Montesquieu e lo osservano; la Signora de Pérouville prende per mano uno di loro) Oh! Signor… signor de Montesquieu! Montesquieu (Si alza e la saluta) Signora.

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Signora de Pérouville Com’è possibile? Voi, signore, che aspettate qui senza farvi notare! Scusateci! Avrete capito che non ci siamo accorti di Voi. Montesquieu Sono lusingato dalla Vostra attenzione, signora; tuttavia, dovreste forse distoglierVi dalle Vostre occupazioni per me anziché per qualcun altro? Ho scelto l’ora più inadatta, perciò mi è stato detto di aspettare. Ho atteso pazientemente e, col Vostro permesso, attenderò ancora con piacere. Signora de Pérouville (Lo fa accomodare e si siede accanto a lui, gioiosa e premurosa) Di certo non Vi ricordate, signore, dove ho avuto il privilegio di conoscerVi… Montesquieu (Osservandola con attenzione) La mia colpa è imperdonabile… Ah, un momento! A casa del signor Desmarre, a Parigi! Signora de Pérouville Sì, signore, a casa di mio cognato! Montesquieu Sì, sì, mi ricordo di averVi notata fra la piacevole compagnia che aveva radunato a casa sua. Ritornavo dall’Inghilterra ed ero in procinto di partire per l’Italia, credo.

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Signora de Pérouville Ebbene, eccovi di ritorno fra noi! Ne sono felice. Voi viaggiate come Licurgo; siete andato a studiare e a giudicare le nazioni, come conviene ad un legislatore… Certamente Vi sorprenderò: una donna che Vi parla della Vostra grande opera! Montesquieu E perché mai dovrei essere sorpreso? Proprio fra le donne si trovano spesso i veri amici dei letterati. Signora de Pérouville Parlare del tempio di Cnido, sarebbe forse un’occupazione più opportuna per me. Montesquieu Oh, non avete bisogno di salvarVi in questo modo1; non ho affatto scordato la buona conversazione con cui avete avuto la grazia di intrattenermi; siete rimasta impressa nella mia memoria: i miei poveri occhi, di primo acchito, non mi servono più granché. Quando ho scritto che “Il tempio di Cnido” conviene a teste ben incipriate ed acconciate, non pretendevo affatto che il mio libro stesse al di sopra dello spirito di una donna come Voi.

1. Una volta, ad una donna che voleva parlare a Montesquieu de Lo spirito delle leggi e che si era confusa, l’autore disse: «Signora, salvateVi con il tempio di Cnido».

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Signora de Pérouville Avendo apprezzato moltissimo le Vostre Lettere Persiane, ho voluto leggere e capire, a tutti i costi, questa Vostra opera immensa e, lo confesso, al di sopra delle mie capacità: nondimeno, è alla mia portata, e a quella di tutti, cogliere lo spirito del cittadino che l’ha dettata, il suo amore per il bene pubblico, il suo desiderio di vedere gli uomini felici: questo sentimento si respira in ogni pagina. (Gesto di modestia di Montesquieu) Dal momento che Vi state trattenendo qui, vorrei conversare con Voi… Vedete che tutti i nostri mercanti sono affaccendati. Montesquieu Fanno bene. Il Provenzale, attivo e pieno di fuoco, è adatto al commercio, alle arti e alla guerra. In ogni campo si distingue. È laborioso e frugale, ha sopperito alla sterilità del territorio sviluppando l’economia. Io ho incontrato qui, più che altrove, genti piene di virtù, che si dedicano ai propri compiti senza piegarvisi e li sopportano come per istinto. Si direbbe che non esercitino le loro qualità consapevolmente. La loro franchezza ha qualcosa di rude. Signora de Pérouville Ecco il ritratto di mio marito… ma che cosa penserete di me? Fare l’elogio del proprio marito è ormai fuori moda; così come un uomo ben educato non dovrebbe mai parlare di sua moglie. Montesquieu Lasciamo queste buone maniere ai cuori insensibili. Un’unione felice, quale mi sembra sia la vostra, dovrebbe stare davanti agli occhi di tutti. Ecco dei bei bambini… non sono mai riuscito a non commuovermi davanti alle dolcezze della vita

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domestica. Sempre nuovi piaceri ricompensano colui che ha prestato ascolto alla voce della natura. I bambini sembrano dire ai celibi: “Sposatevi, e gioirete delle nostre carezze”. Signora de Pérouville Avvicinatevi, bambini miei, guardate bene quest’uomo; baciate le sue mani; rallegratevi di un onore che la vostra giovane età non vi consente ancora di comprendere. Un giorno potrete dire di aver visto l’autore de Lo spirito delle leggi. (I bambini, timidamente, gli prendono le mani) Montesquieu Che aria ingenua! (Li accarezza) Signora, sono un padre di famiglia, e un padre felice. Non c’è niente di più dolce che riposarsi dalle proprie fatiche accanto ai bambini. Ammettete che il matrimonio comporta sofferenze soltanto a coloro che non sono sensibili ai piaceri dell’innocenza? Signora de Pérouville Eppure non ci si sposa più… Montesquieu L’uomo fugge un’unione che lo rende migliore, per vivere quella che lo rende peggiore. Non è tutta colpa dei singoli; se due persone insieme possono vivere comodamente, si sposano; ma l’abitudine al lusso e la rigidità del fisco ostacolano le unioni. Avremmo bisogno di nuove leggi che favoriscano la specie umana.

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Signora de Pérouville Ammetterete però che l’immagine di certi matrimoni contribuisce ad allontanarvisi. Montesquieu Senza dubbio, e l’abuso produce l’abuso. Meno persone sposate, meno fedeltà all’interno del matrimonio. Signora de Pérouville Non resisto al desiderio di porVi una domanda: come avete concepito Lo spirito delle leggi? Che opera! Montesquieu Pressappoco come Newton, se mi è lecito paragonarmi a lui, ha composto il suo sistema: pensandoci per vent’anni, con un grande amore per la verità, che accende i lumi di cui abbiamo bisogno per difenderla. Signora de Pérouville Il pregio di un’opera come la Vostra si vede dal fatto che tanto Voi avete taciuto quanto i critici hanno parlato. Montesquieu AscoltandoVi, Signora, mi rendo conto che è molto più facile essere l’oggetto di una lode che esserne l’autore. Credo che chiunque si veda ammirato, non lo sia mai senza una certa sorpresa.

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Signora de Pérouville Proprio per questo ne è degno. Montesquieu Vi assicuro che non sono riuscito a scrivere tutto ciò che avevo in mente, né a comporre la mia opera nel modo in cui l’avevo concepita. Signora de Pérouville L’amore per la verità non è stato nel Vostro cuore un sentimento freddo e sterile; Voi per primo avete testimoniato la grande verità che avete proposto nella Vostra opera: che i talenti, senza la virtù, recano danno e servono solo ad evidenziare i nostri vizi. Sapete, signore, io sono stata spesso preoccupata per Voi! La calunnia ha cercato di colpirVi. Montesquieu Signora, un tempo coloro che coltivavano le scienze erano accusati di magia; ora queste accuse sono cadute in discredito, e li si chiama sediziosi, ribelli, nemici del principe… si tenta di denigrarli attraverso queste basse accuse, e talvolta vi si riesce. Così l’indivia trova un vile e oscuro sollievo. Ma volete che Vi confidi un segreto? Da ogni calunnia mi consola la verità, il piacere di aver detto il vero. Signora de Pérouville Vedere un tratto di penna immortalato per sempre, così che niente potrà mai cancellarlo, è una grande soddisfazione: così Voi siete mosso da un certo piacere e, se posso permettermi, da un certo orgoglio…

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Montesquieu Sì, ma anche dalla speranza che tale verità sopravviva alla mia morte, benché sia stata rigettata durante la mia vita; questo è lo spirito da cui le mie opere sono animate. Signora de Pérouville Sento talvolta parlare di censori; ne avete conosciuto qualcuno? Montesquieu No, Signora, li ho evitati; consegnare il mio libro alle fiamme o ad un censore sarebbe stata la stessa cosa. Signora de Pérouville Che cosa dite? Quale barbarie! Montesquieu C’è un nuovo dispotismo che vorrebbe assoggettare finanche il nostro modo di pensare; ma la verità gli sfuggirà sempre. Signora de Pérouville La libertà di pensiero e di parola dovrebbe essere inviolabile prerogativa di ogni cittadino. Montesquieu La persecuzione è del tutto inutile, signora. Ho fatto stampare la mia opera all’estero, in un paese dove i lumi di ciascun cittadino sono considerati come raggi che, riunendosi in un centro comune, contribuiscono a formare una luce più intensa.

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Signora de Pérouville Ci vuole un grande animo e un grande amore per la patria per non venir consumati da simili ingiustizie. Montesquieu Solo in pochi paesi è consentito il coraggio di dire la verità; e ancor più rari sono i paesi in cui della verità si può scrivere. È stato un onore per me essere oggetto di lunghe recensioni. Talvolta l’autore ha torto, è vero, ma che cosa accade quando il critico, che lo vuole redarguire, ha un torto più grande? E poi, quale peso bisogna accordare ai capricci e all’ignoranza della gente comune? Poco mancava una volta che mi esiliassi per andare in Inghilterra, alla ricerca di quella tranquillità che nasce dal sentimento profondo della libertà. È terribile dipendere dalla volontà arbitraria di un giudice ignorante o irrazionale. Signora de Pérouville Avete dunque conosciuto dei nemici? Com’è possibile? Che male ha fatto il Vostro libro? Montesquieu I nemici ingiusti, signora, fanno bene. Signora de Pérouville Non capisco. Montesquieu L’animo si rafforza, la penna ne giova e la reputazione non viene scalfita. Ne ho viste fin troppe di assurdità. Giudicate dalla mia felicità.

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Signora de Pérouville Ma tutte le critiche amare, ingiuriose, insolenti… Montesquieu Non dovete stupirVi. Umiliare il merito è sempre stata la più grande felicità degli stolti. Signora de Pérouville Sì… ma non si può non amare la gloria… Montesquieu Lo confesso. L’amore per la gloria non ha alcun valore in quanto scopo, ma è molto prezioso in quanto mezzo. Il desiderio di incontrare il favore altrui è la più forte passione dell’uomo puro; e colui che scrive per la gloria ha più di ogni altro il timore per i posteri. Signora de Pérouville Immagino che gli schiamazzi dell’indivia e le sorde persecuzioni della calunnia, alla lunga debbano essere stancanti. Montesquieu Se non si riesce a disarmare i nemici con la dolcezza, allora li si allontana con il coraggio. Signora de Pérouville Dovete averne molto… Vi accontentate di ridicolizzare coloro che potreste detestare; siete molto generoso, in verità.

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Montesquieu Scrivevo come giurista, hanno voluto fare di me un teologo, mio malgrado. Qualche lega più lontano, ero un ateo. Che cosa hanno scritto contro di me! Ma, da questi scritti, una volta tolte le invettive e le cattive ragioni, non resta alcunché. Signora de Pérouville Intanto Voi avete cominciato a scuotere gli animi; e credo che questo fermento porterà grandi benefici. Forse un giorno il campo delle conoscenze e delle verità sarà tanto esteso quanto lo era in precedenza quello degli errori. Montesquieu È una bella speranza; non siete affatto ingrata nei confronti delle opere del Vostro secolo. Signora, per quanto mi riguarda, Vi ringrazio. Signora de Pérouville Preferisco, lo confesso, i libri pubblicati il secolo scorso… ma non ditelo a nessuno. Io Vi parlo di cose proibite. Montesquieu La maggior parte delle donne non gode che della metà del proprio essere: cionondimeno, le donne il cui sentimento è fine, sono dotate di un grande spirito naturale, più di quanto non lo siano i più spirituali fra gli uomini. Signora de Pérouville Non dubito delle grandi doti che mi attribuite… ma che si direbbe se una donna avesse letto tutte le Vostre opere?

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Montesquieu Ebbene, mettete “Il tempio di Cnido” sul tavolino, e nascondete i libri importanti. Talvolta è così che la filosofia si dimostra educata nei confronti del pregiudizio. Signora de Pérouville Ho ancora una domanda da porVi, ma non oso, in verità… Montesquieu Perché? Signora de Pérouville Sarebbe indiscreto. Montesquieu Tanto meglio. Signora de Pérouville Data la carenza di uomini validi e preparati, come mai Voi, con i Vostri alti lumi, non siete stato chiamato a ricoprire qualche importante incarico pubblico? Montesquieu C’è chi dice che i letterati non sono utili fuori dal loro studio. Come se non fosse possibile esser capaci di gestire gli affari per il solo fatto di essere colti, riflessivi, meditativi… senza vanità, avrei potuto fare il ministro o l’uomo pubblico esattamente come chiunque altro.

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Signora de Pérouville Ero curiosa di sapere se avreste fatto il modesto. Così, avreste consentito ad avvicinarVi al trono… Montesquieu Sì, ma non se ne è fatto niente. I re, in questo momento, sono gli ultimi a leggermi: ciononostante, vi è un re che mi ha letto e vi erano punti sui quali non era d’accordo con me. Signora de Pérouville Deve trattarsi davvero un uomo di ampie vedute. Montesquieu Un re deve leggere in modo completamente diverso da un privato cittadino. Che non sia del nostro parere, lo ammetto senza difficoltà; ma che ci legga, per lo meno. Non leggerci, ecco che cosa è peggio.

Scena III Montesquieu, Signor de Pérouville, Signora de Pérouville, Robert figlio. (Robert figlio resta in disparte, entra nell’ufficio dietro la grata, dove aspetta il Signor de Pérouville) Signor de Pérouville Eccomi da Voi, perdonatemi se Vi ho fatto attendere: nei giorni di corrispondenza, a malapena trovo il tempo di respirare.

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Come passa in fretta il tempo! Ora devo uscire per andare alla Borsa. Signora de Pérouville (A suo marito) È il Signor de Montesquieu! L’autore delle Lettere Persiane… Signor de Pérouville Ah sì, le ho lette e le ho apprezzate… È un’opera molto bella… Vi faccio i miei complimenti, signore… (A sua moglie) È appena arrivato questo ordine di gioielli, bisogna controllare il conto, verificare i pezzi; c’è un giovane uomo là in ufficio che aspetta… Signora de Pérouville Sì, vado a controllare. (A Montesquieu) Signore, possiamo sperare che Vi tratteniate a lungo in questa città? Montesquieu Parto domani. Signora de Pérouville Come? Così presto? Montesquieu Sono spiacente, signora… ma è già parecchio tempo che gli affari domestici reclamano la mia presenza a casa.

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Signora de Pérouville Mi dispiace. A proposito, in città c’è uno straniero del quale mi stavo dimenticando di parlarVi; dice di essere Vostro amico e sembra non sapere che Vi trovate qui. È l’Abate di Guasco. Montesquieu Ah, sì? Che bella sorpresa. È un caro amico, ci siamo conosciuti durante il mio ultimo viaggio in Italia. Da allora ci scriviamo. Dove posso trovarlo? Signora de Pérouville Sarà ospite stasera a cena da noi. Non cercatelo altrove. L’abbiamo accompagnato in campagna questa mattina, dove trascorrerà tutta la giornata, e domani probabilmente partirà per Parigi. Non potete rifiutare. Potrò vantare un tale privilegio? Montesquieu Ne sono molto felice. Non ho più l’abitudine di cenare in città a causa della mia salute; ma questa è una situazione eccezionale. Signora de Pérouville Mi riempite di gioia! A questa sera. (Lo saluta e si ritira verso l’ufficio, dove la si intravede attraverso la grata mentre è occupata con i commessi e il giovane Robert)

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Scena IV Montesquieu, Signor de Pérouville, Signora de Pérouville, Robert figlio. Signor de Pérouville Bene, signore, volete dirmi in cosa posso esserVi utile? Montesquieu Sette mesi fa sono venuto da Voi a domandare di farVi carico del riscatto di uno schiavo a Tetuan; Vi diedi i fondi necessari, e da allora, con la Vostra ultima lettera, mi avete promesso… Signor de Pérouville Mi ricordo. Un certo Robert, di questa città, agente di cambio… Mi avete detto di riscuotere i fondi del Signor Magon de Cadix, vero? Avete raccomandato la massima segretezza? Montesquieu Esattamente. Signor de Pérouville (Va a prendere un registro) Bene, è un affare concluso. Montesquieu Mi rendete molto felice, Vi assicuro. Signor de Pérouville Robert deve essere ormai di ritorno, non tarderà.

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Montesquieu Mi fa molto piacere. Signor de Pérouville Ecco il conto: duemila scudi per il riscatto e cinquanta scudi che gli abbiamo consegnato personalmente, come avete domandato. Fresco d’abiti nuovi, cibo, trasporto e altre spese… il tutto fa seimilaseicentottantatre lire, diciotto soldi, nove denari… Guardate. (Gli mostra l’elenco) Montesquieu (Dopo aver dato uno sguardo al conto, lo piega e lo mette in tasca) Bene, bene, molto bene, sono in gran debito per la Vostra diligenza. Signor de Pérouville Avete fatto bene a rivolgerVi a me per questa faccenda. Ero nell’ufficio qui accanto, ma non Vi avevo riconosciuto subito. Vi siete presentato come Signor Charles, è stata mia moglie a riconoscerVi come Signor de Montesquieu. Montesquieu Fa lo stesso. Abbiamo fatto quel che si doveva fare; tutto è pagato. Signor de Pérouville Sì, tutto è saldato… Ricordo di aver visto una volta questo Robert, un uomo molto onesto, ma poco fortunato, con una famiglia povera.

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Montesquieu Ascoltate, ho dei buoni motivi per non voler essere assolutamente nominato in quest’affare, e Voi mi aiuterete, a Vostra volta, a dimenticare. Signor de Pérouville Come Vi pare… Non ne ho parlato a nessuno, e vado a cancellare la nota, se volete. Montesquieu Sì, che non ne rimanga neppure una traccia. Non se ne parli più. Signor de Pérouville È tutto? Montesquieu Sì, continuate i Vostri affari… Se andate alla Borsa, faremo il cammino insieme. Signor de Pérouville (Prendendo il cappello che è nell’ufficio) Se avessi saputo che avevate solo questo da chiedermi… Ma così sareste sfuggito alla mia signora… Ve la saluto. Non dimenticate che per questa sera abbiamo la Vostra parola! Montesquieu Senza dubbio; ho troppi motivi per non mancare. (Il Signor de Pérouville esce)

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Robert figlio (Esce dalla grata, si dirige verso la porta e dice esitando, con aria inquieta, stupito) Temo di sbagliarmi, sarà lui? Sì, è lui, è lui! (Andando da Montesquieu) Signor… Signor… Montesquieu (Sorpreso, ritraendosi subito) No, no, ragazzo, Vi sbagliate. Robert figlio Mi sbaglio? No, no! Montesquieu (Scappando) Vi sbagliate, Vi dico. Robert figlio (Resta immobile alla porta un istante, voltandosi tristemente verso il luogo da cui Montesquieu è fuggito)

Scena V Signora de Pérouville, Robert figlio Robert figlio La sua andatura… i suoi lineamenti… mi sarò sbagliato? Signora de Pérouville Che cos’avete? Mi sembrate agitato.

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Robert figlio Che cos’ho? Sono confuso… inquieto… l’uomo che sta uscendo in questo momento… Signora de Pérouville Conoscete il Signor de Montesquieu? Robert figlio Avete detto Signor de Montesquieu? Non sapevo il suo nome, ma lo conosco… E Voi, Signora de Pérouville, lo conoscete bene? Signora de Pérouville Ma certo, perché? Robert figlio Ditemi, Vi prego, sapete se è ricco? Signora de Pérouville Mah, sì e no. Robert figlio È un uomo buono, compassionevole e generoso… non è vero, Signora de Pérouville? Signora de Pérouville Si è meritato questa reputazione.

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Robert figlio Ah, me lo sono lasciato sfuggire… devo ritrovarlo immediatamente… Signora de Pérouville, permettete che io lasci qui questa merce… ma no, farei un torto al mio padrone… non posso andarmene, sono costretto a sopportare questo tormento… Voi non sapete che cosa mi spinge verso quell’uomo… Signora de Pérouville CalmateVi, Vi prego. Non è impossibile che riusciate a rivederlo, se avete una buona ragione per desiderare di incontrarlo tanto ardentemente; questa sera stessa egli tornerà qui all’ora di cena. Robert figlio Vi prego, consentitemi, signora, di incontrarlo. Ricambierò. Signora de Pérouville Farò di più. Mi impegno a farVi parlare con lui, anche in segreto, se quello che avete da dirgli lo esige. Robert figlio Quello che ho da dirgli dovrebbe esser conosciuto dall’universo intero. Devo esprimergli la mia riconoscenza… volete saperne di più? Signora de Pérouville Certamente, tutto ciò che lo riguarda mi interessa moltissimo.

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Robert figlio Sono figlio di un uomo chiamato Robert, sensale di questa città, forse ne avete sentito parlare. Signora de Pérouville Sì, vagamente. Robert figlio Ebbene, disgraziatamente mio padre, virtuoso ma sfortunato, è ridotto in schiavitù, e io non posso ancora liberarlo! Egli si era procurato con i suoi risparmi e con quelli di mia madre nel commercio di moda un interesse su un vascello con un carico per Smirne. Voleva occuparsi in prima persona dello scambio della merce. Ma il vascello venne preso dai pirati e portato a Tetuan, dove mio padre è stato ridotto in schiavitù insieme al resto dell’equipaggio. Mia madre è rimasta sola con due figlie e me, che aspetto il ritorno di mio padre per sposarmi. Prima credevo di poter prendere il posto di mio padre, di poter portare io le sue catene, così da liberarlo. Ero pronto a mettere in atto questo progetto, quando mia madre, che ne è stata informata, non so come, mi ha detto che si trattava di un piano irrealizzabile e chimerico, e ha fatto in modo che tutti i capitani che partivano per il Levante rifiutassero di prendermi a bordo. Allora, non mi è rimasta altra risorsa che lavorare giorno e notte per mettere insieme la somma del suo riscatto. È una somma enorme per noi… duemila scudi… da parte mia, oltre a lavorare alle dipendenze di un gioielliere, cercavo di guadagnare qualcosa durante i giorni festivi trasportando con un piccolo battello le persone che volevano fare un giro sul mare. Ascoltate, signora: una domenica, mentre aspettavo che qualcuno venisse, proprio quest’uomo che ho appena riconosciuto… Ma sì, è lui, è lui sicuramente! Mi dispiace di averlo lasciato andare!

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Signora de Pérouville Ebbene, questo sconosciuto? Continuate. Robert figlio Egli salì sul mio battello, poi scese dicendo che non vedeva il conducente e che quindi ne avrebbe preso un altro. “È mio, signore” gli dissi “Volete uscire dal porto?”. Rispose: “No, non resta che un’ora di luce; vorrei solo fare un giro nel bacino, per approfittare della frescura e della bellezza della serata. Ma Voi non avete l’aria di un marinaio, né il tono di un uomo di tale condizione!”. “È vero, non lo sono, in effetti: faccio questo mestiere i giorni festivi per guadagnare un po’ di denaro in più”. “Oh, così avaro alla Vostra età, non l’avrei mai immaginato dal Vostro aspetto!”. “Ah, signore, se Voi conosceste la mia pena e la ragione che mi spinge a farlo!” Allora egli rispose gentilmente: “Un momento, Vi ho forse offeso? Forse Vi siete espresso male. Facciamo il nostro giro e, intanto, parlatemi delle Vostre sventure”. Egli sembrava interessato e mi ascoltava con attenzione. Mi chiese: “Qual è il nome di Vostro padre a Tetuan?”. “Il suo nome non è cambiato; si chiama Robert, come quando era a Marsiglia”. Egli ripeteva: “Robert, sensale di Marsiglia, schiavo a Tetuan presso l’intendente dei giardini”. “Il Vostro dolore mi tocca” mi disse in seguito “Oserei presagire per Voi una sorte migliore. Ve la auguro sinceramente”. Quindi, cessando di guardarmi, cadde in una sorta di meditazione profonda. Io rispettavo il suo silenzio. Il mare era calmo e la serata molto bella. Restò così, a lungo, in contemplazione, immobile, fissando con gli occhi il cielo. Non ho mai visto un uomo guardare il cielo in quel modo. Il suo sguardo era fermo e brillante, e nella sua estasi talvolta sorrideva, quasi provasse piacere: infine, mi fece segno di attraccare. Si stava facendo notte quando scese dal mio battello. Senza darmi il tempo di attraccare, mi diede in mano una borsa e si allontanò precipitosamente. La sorpresa mi tolse la forza di ringraziarlo. Ho por-

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tato subito la borsa a casa di mia madre. Vi trovammo quindici luigi d’oro e dieci scudi. Immaginate la nostra gioia vedendo, in un solo istante, tale incremento per i nostri risparmi. E ora che incontro di nuovo questo generoso sconosciuto, ora che posso ringraziarlo, stento a riconoscerlo e perdo l’occasione di mostrargli la mia riconoscenza! Signora de Pérouville Dal Vostro racconto emerge la grandissima sensibilità di questo sconosciuto. Vorrei tanto che Voi riconosceste il Vostro benefattore nel Signor de Montesquieu. Robert figlio Chi è dunque questo Signor de Montesquieu, che si sottrae alla più legittima riconoscenza? Signora de Pérouville Prima di abbandonarVi completamente ai sentimenti che Vi animano, penso sia opportuno che Vi accertiate che si tratti della medesima persona. Vi consentirò di farlo questa sera. Robert figlio Mi dispiacerebbe essermi sbagliato; tuttavia non credo. Seguirò il Vostro consiglio, signora, devo stare calmo fino all’incontro che la Vostra bontà mi vuole concedere. Signora de Pérouville Finiamo il conto di questi gioielli. (Guarda i gioielli, prende un foglio, scrive e glielo restituisce) Siete un bravo ragazzo. Il cielo, presto o tardi, ricompenserà un cuore come il Vostro.

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Robert figlio Oh, signora, sapeste quanto i miei cari genitori meriterebbero la felicità! Quanto furono uniti e quanto soffrono ad essere separati! (Si ritira dietro la grata dell’ufficio) Signora de Pérouville (Rimasta sola) Come possono essere amari i rovesci della fortuna!

Scena VI Signora de Pérouville, Signor de Pérouville Signor de Pérouville Signora, vorrei parlarVi un momento. Ditemi, Vi prego, chi è questo Signor de Montesquieu? Gli avete dimostrato grande considerazione. È ricco? Signora de Pérouville Il Signor de Montesquieu possiede diversi titoli significativi, ma mi limito a dirvene uno soltanto: egli è uno scrittore. Signor de Pérouville Uno scrittore! Gli scrittori, per quel che so, non sono rari in questo secolo! Signora de Pérouville Questo è vero.

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Signor de Pérouville Fanno bene. Ci sono tanti libri nelle biblioteche (anche se io non li leggo), e gli annunci settimanali, i giornali e le riviste abbondano di nuovi titoli. Ma perché questo trasporto così vivo, questa premura, da parte Vostra, che siete solitamente riservata? Signora de Pérouville C’è scrittore e scrittore… Signor de Pérouville Ve lo concedo. Signora de Pérouville Costui è l’autore de Lo spirito delle leggi. Signor de Pérouville Lo spirito delle leggi! Di che si tratta? Non l’ho ancora letto. È un bel libro? Signora de Pérouville È un capolavoro! Signor de Pérouville Non ho il tempo di leggere, lo sapete. Mi piacciono molto i libri, ma gli affari vengono prima di tutto… L’anno prossimo, alla fine dell’autunno, quando sarò tranquillo nella casa di campagna, Vi pregherò di prestarmi questo libro. Lo leggerò,

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signora, fidandomi del Vostro giudizio. Lo spirito delle leggi, giusto? Non voglio dimenticarlo. Signora de Pérouville Sì, Lo spirito delle leggi, leggerete l’opera di un uomo il cui nome sarà noto ai posteri. Signor de Pérouville Chi? Quest’uomo vestito di nero? Ha un’aria tanto semplice… Signora de Pérouville Non vi è genio senza semplicità di costumi. Quest’uomo, credetemi, continuerà a fare del bene anche quando non ci sarà più. Signor de Pérouville Tuttavia, non ha l’aria di essere molto allegro, il suo aspetto è un po’ malinconico. Signora de Pérouville La vera gioia, molto spesso, è interiore; egli pensa a questioni a cui nessuno ha mai pensato prima di lui. Signor de Pérouville Per questo, forse, è così distratto; dite che lavora per i posteri? Questa scelta mi sembra un po’ singolare, a dire il vero. Signora de Pérouville Il genere umano, mio caro consorte, trae giovamento dal fatto che vi siano uomini che vogliono continuare a vivere dopo

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la propria morte, uomini che si occupano dell’avvenire tanto da dimenticare il presente. Agli occhi di costoro, i desideri di gloria e di immortalità nascondono le più gravose fatiche. I loro anni e i loro giorni sono segnati dal sacrificio, dall’astinenza dai piaceri, dal disprezzo della ricchezza; sono unicamente preoccupati di coltivare i talenti più preziosi e di esercitare le virtù più rare. Signor de Pérouville Le sue virtù, le conosco bene. Signora de Pérouville Conoscete le sue virtù? E come, se non Vi dispiace? Signor de Pérouville Vi basti sapere che le conosco. E i suoi talenti, che conosco meno, ne devono risentire. Leggerò la sua opera quest’autunno, senza dubbio. Signora de Pérouville Scoprirete che egli ama l’umanità e scrive per la felicità degli uomini, per sottrarli a errori fatali e per proteggerli dalle ingiustizie. Signor de Pérouville Mi affascina sempre ascoltarVi, signora; ne sapete più di me. Sarà un onore ricevere quest’opera da Voi. Non ho tempo di dedicarmi alla letteratura: ma un giorno lo avrò, ne ho l’inclinazione. Ma non è l’inclinazione che ci vuole… gli affari, una

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casa… ma, signora, sarete fiera di me, leggerò quest’opera seguendo il Vostro consiglio, se mi sarà possibile anche prima di quest’autunno, Ve lo prometto.

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Atto Secondo La scena si svolge in una camera che la Signora Robert ha preso in affitto dopo che suo marito è stato ridotto in schiavitù. Sul palcoscenico questa camera è rappresentata senza tappezzeria; al centro c’è un piccolo tavolo con una tovaglia, apparecchiata con tre coperti, un po’ di pane, una brocca d’acqua e una manciata di mandorle secche dentro un piatto.

Scena I Signora Robert, Henriette (Sono sedute sul proscenio, accanto ad un tavolo sul quale sono posati due vestiti che le donne stanno decorando) Signora Robert (A Henriette) Fermiamoci, mia cara Henriette, è dalle quattro del mattino che stiamo lavorando, ora è tempo di cenare… mio figlio tarda ad arrivare oggi! Henriette Sarà stato trattenuto dal suo padrone, come capita spesso… chissà perché, malgrado la fame, mi sento male a mettermi a tavola senza di lui! Egli non arriva che per un istante, nel mezzo della giornata, ma questo solo istante mi rende contenta fino a sera. Signora Robert Vi amate così teneramente! Perché la sfortuna e l’indigenza devono ostacolare un’unione così legittima?

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Henriette Non ci sposeremo fino a quando nostro padre non ci sarà restituito. Riusciremo a mettere insieme quella somma, per cui tanto stiamo faticando, e infine non ci sarà più sofferenza, tutto sarà piacere. Saremo uniti in matrimonio, davanti ai Vostri occhi, con il cuore colmo di gioia per il ricordo lontano delle sventure passate. Signora Robert Che ragazza incantevole! Assomigli tanto a tua madre, che era una mia buona e vecchia amica! Ricordo quando la perdesti e venisti da noi, affidandoci tutta la tua eredità, la tua piccola fortuna. Volevamo aiutarti ad accrescere i tuoi beni, e invece essi sono andati persi insieme ai nostri, sullo stesso vascello. La nostra stella ti ha portato sfortuna! Ma, invece di rimproverarci, tu condividi con noi una vita di fatiche e sacrifici… Come posso guardarti senza sentire rimorso? Henriette Non volete più dunque che io sia Vostra figlia? Mi avete adottato. È per mio padre che lavoro. Suvvia, tutto quello che desidero è vivere con voi. Non ho altra speranza che essere la moglie di Vostro figlio, di amarlo, amarlo per tutta la vita, e di onorarVi fino al mio ultimo respiro. Signora Robert Se c’è qualcosa che può consolarci, è il tuo coraggio, la tua bontà d’animo.

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Henriette Madre mia, permettetemi di chiamarVi così, devo dirVi una cosa. Ho letto un libro che mi ha recato molto dispiacere, che mi ha impedito di dormire per due giorni. Non ho ancora osato parlarVene. Signora Robert Quale libro ti ha causato tanta sofferenza? Henriette Un libro in cui è scritto che bisogna compatire gli schiavi cristiani, poiché sono trattati senza umanità, venduti al mercato come bestie, attaccati ai carri come cavalli… Signora Robert Non credo affatto a simili crudeltà. Henriette Ho letto in questo libro, rabbrividendo, che gli schiavi vengono frustati per la minima inezia, e che il loro cibo, lungi dall’essere adatto a sostentare le loro forze, è appena sufficiente ad impedir loro di morire… lasciatemi finire… ho letto che passano la notte dentro celle spaventose, che coloro che tentano di fuggire sono condannati a orribili tormenti, che viene tagliato loro il naso o le orecchie per farli convertire alla fede musulmana… e nostro padre morirebbe mille volte piuttosto che abiurare il cristianesimo.

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Signora Robert Figlia mia, i racconti esagerano sempre. Gli uomini che lo tengono prigioniero saranno duri, d’accordo, ma non così barbari da tormentare crudelmente gli schiavi che si sottomettono e si rassegnano al loro destino. Vostro padre possiede un grande coraggio, si rimette alla Provvidenza e attende pazientemente che essa lo liberi, poiché Dio conta i sospiri e i gemiti di tutti coloro che soffrono e si umiliano sotto la sua potente mano. Henriette Mi rassicurate… Ma perché dunque scrivere nei libri quelle atrocità? Non osavo parlarVene: ma tutte le notti non sognavo altro che strumenti di supplizio, e il nostro venerabile padre mi appariva pallido, si copriva il volto con le mani, non appena lo guardavo… Signora Robert Sono certa che egli sta bene, almeno per quanto è possibile; il suo padrone è intendente dei giardini del re. Certamente Vostro padre viene trattato con umanità e i lavori ai quali è costretto non eccedono le sue forze. Henriette Sì, ma noi non siamo con lui per consolarlo, per dargli sollievo. Egli è lontano da noi, da una cara sposa e da tre figli che ha sempre amato con tenerezza. Signora Robert Basta, questi discorsi aumentano soltanto le nostre sofferenze… e mio figlio non arriva più! Si starà affaticando…

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Henriette Ah, eccolo!

Scena II Signora Robert, Henriette, Robert figlio Signora Robert Benvenuto, figlio mio. Robert figlio Buongiorno madre mia, buongiorno Henriette. Perdonatemi se ho tardato; perché non vi siete messe a tavola? Signora Robert Senza di te? No, no… hai l’aria stanca. Robert figlio Un po’. (Si mette a tavola) Signora Robert Se tu sapessi come la tua incantevole fidanzata mi aiuta e mi consola! Henriette Ho le mie buone ragioni per lavorare sodo.

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Robert figlio Nessuna gioia è possibile per noi finché nostro padre non sarà libero. Henriette Come possiamo vivere un istante di gioia sapendo che nostro padre langue nelle catene? Egli ha corso dei rischi solo per assicurarci una maggior serenità. Ahimè! Si illudeva di tornare presto ed accrescere la nostra fortuna. Robert figlio Gioia del mio cuore! Adorabile Henriette! Non ci saranno momenti felici per noi fino a quando egli non ci sarà restituito. Siete un angelo disceso sulla terra per alleviare i dolori dell’attesa. Potrebbe il più tenero amore racchiudere tante virtù? A proposito, madre, ecco la mia settimana. (Le porge dei soldi) Mettetela pure col resto. Signora Robert La nostra somma aumenta lentamente, ma aumenta. Henriette Siamo a metà. Spero che non sia necessario altrettanto tempo per raccogliere il resto della somma. Signora Robert Henriette, tu ci illudi. Non pensi che, senza il meraviglioso incontro di quel generoso sconosciuto, la nostra somma sarebbe aumentata ben poco? Non si incontrano due volte questi spiriti magnanimi.

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Henriette Ciò che mi addolora è che non lo conosciamo. Robert non è mai più riuscito a trovarlo. Quanto avrei voluto testimoniargli la mia riconoscenza! Signora Robert Sì, aver ricevuto senza poter ringraziare, senza sapere a chi siamo debitori d’una tale generosità… Robert figlio (Si alza con aria pensosa) Henriette Come? Di già? Signora Robert Non finisci? Robert figlio Madre, ho poco tempo oggi, ho parecchie cose da vedere… devo… a stasera. Signora Robert Hai l’aria più distratta e preoccupata del solito. Robert figlio Non posso ancora dirvi niente… sì, sono in ansia da questa mattina… forse stasera al mio ritorno… forse… spero… ma non voglio illudervi finché non sarò sicuro.

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Henriette (Correndo da lui e fermandolo alla porta) Ma è sempre meglio parlare! Robert figlio No, mia cara Henriette, non ora: mi rivedrete non appena la mia speranza sarà fondata. (Abbraccia la madre e bacia la mano di Henriette)

Scena III Signora Robert, Henriette Signora Robert Cos’avrà voluto dirci? Mi ha fatto preoccupare. Henriette E se avesse ricevuto qualche lieta notizia? Chissà cosa ci riserva la divina Provvidenza! Vi sono stati casi di prigionieri scappati dalla schiavitù… Signora Robert Mio Dio… se fosse possibile… ma durante la fuga avrebbe corso ancora altri pericoli… hai notato che mio figlio aveva l’aria agitata, e non triste: non è vero? Henriette L’ho visto sorridere… e se si avvicinasse il momento di rivedere nostro padre?

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Signora Robert Ho paura di abbandonarmi a questo pensiero… Henriette Se ci apparisse, tutto d’un tratto… Oh, come volerei ad abbracciarlo! Signora Robert Risparmiami questi pensieri, non mi parlare di una felicità tanto grande, ancora lontana. Mi sembra di vederlo… ma non è che la sua ombra… questi discorsi mi fanno male, mia cara Henriette…

Scena IV Signora Robert, Henriette, una vicina La vicina Vicina mia, ho appena sentito qualcuno domandare dove si trova la Vostra dimora. Signora Robert Che cosa domandavano? Che cosa sapete, signora?

La vicina L’ho visto dalla finestra; è un uomo di una certa età.

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Signora Robert Di una certa età! Mi manca il respiro… La vicina Non so se si tratta di Vostro marito, non l’ho mai visto. Siccome gli è stato dato un indirizzo sbagliato, gli ho gridato dalla finestra: “Da questa parte, da questa parte!” Henriette Com’è quest’uomo, ditemi? La vicina Non è troppo robusto, né troppo alto; è vestito con un abito tutto nuovo. Signora Robert Un abito nuovo? Non è lui, non è lui. Henriette No, ahimè… ero emozionata quanto Voi. Signora Robert Quale chimera nasce dall’immaginazione, per una sola parola! Henriette Calmiamoci, calmiamoci.

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La vicina Signora, ho creduto opportuno avvertirVi… eccolo, sento che sale le scale… è lo stesso uomo. (Robert padre appare alla porta) Signora Robert (Grida) Oh, mio Dio, è lui! Henriette (Accorre e si aggiunge ai loro abbracci) La vicina Che cara donna! E suo marito! Oh, è l’amore, la natura! Mi spezza il cuore!

Scena V Robert padre, Signora Robert, Henriette, la vicina (Robert si stacca dalle braccia della moglie, poi vi si abbandona di nuovo. Avanzano entrambi in un muto intenerimento. Si guardano con dolcezza. Vogliono parlare, ma il cuore è troppo stretto. Qui tutto è affidato alla declamazione muta degli attori. Essi devono emettere qualche grido inarticolato che solo loro possono determinare, a seconda di quello che sentono. La vicina prende una sedia per far accomodare Robert, la moglie si china verso di lui e lo tiene stretto a sé; Henriette, in ginocchio, gli bacia le mani)

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Robert padre (Seduto, dopo un lungo silenzio) Sei tu, mia cara Henriette… dov’è mio figlio? Signora Robert Corro a cercarlo. Robert padre (Trattenendo sua moglie per le mani) Fermati: sta bene? Ha avuto cura di sua madre? Signora Robert Tuo figlio è degno di te. Robert padre Che Dio lo benedica! Henriette Come sarà felice rivedendoVi! Signora Robert Vorrei correre da lui, ma non posso lasciarti. La vicina Restate, restate: io so dove lavora. Riuscirò a trovarlo e a portarlo da Voi. (A parte) Che brava gente! Sono intenerita… Non tarderete a vederlo, ve lo prometto, mi metterò a correre, e dovunque sia, per la città, lo prenderò per mano e ve lo porterò.

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Scena VI Robert padre, Signora Robert, Henriette Henriette Non avete bisogno di niente? Signora Robert Non riesco a pensare a niente. Robert padre Solo un bicchiere di vino, per cortesia. (Guarda la camera, mentre le due donne si danno da fare, Henriette porta un bicchiere, la madre prende una bottiglia, e gli servono da bere) E le mie due figlie? Non le vedo. Signora Robert Mio caro marito, sono entrambe a Orange dalla madrina, che ha accettato di farsi carico della loro educazione. È l’unica amica che ci ha offerto il suo aiuto al momento della nostra disgrazia. Come vedete, questa piccola camera ha dato alloggio alla nostra famiglia, che è stata sfortunata, ma da questo istante non lo è più. Robert padre Moglie mia, ma come avete potuto liberarmi così prontamente, e nel modo in cui l’avete fatto? Signora Robert Che cosa state dicendo?

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Robert padre Guardate un po’ come mi avete vestito, tutto a nuovo! Poi, mi hanno consegnato questi cinquanta luigi sul vascello, dove il passaggio e il cibo erano stati pagati in anticipo… ma questa terribile miseria in cui vi siete messi per me? Signora Robert La sorpresa mi toglie la voce! Non posso che abbracciarVi. Henriette (Abbracciandolo) Quale caso fortunato del cielo! Robert padre Il cielo vi ha dunque favorito? Ero in pena, immerso nel dolore e nella fatica, e pensavo a voi, senza la speranza di rivedervi ancora. Un giorno, mentre offrivo le mie sofferenze a Dio, il padrone è venuto verso di me: “siete libero” mi ha detto “hanno appena pagato duemila scudi per il Vostro riscatto, imbarcateVi su questo vascello che fa vela per la Vostra patria”. Non vedevo più, non sentivo più, tanto ero stordito… l’anima si divideva tra la gioia e il timore di un inganno… sedetevi, dovete stare sedute. (Si siedono) Infine, eccomi accanto a Voi. Non è un’illusione! Signora Robert e Henriette No, no, grazie a Dio! Robert padre Dovreste sapere che cosa ho sofferto per comprendere quello che sento in questo momento; bisogna vedersi presi dai barbari, rovinati, spogliati di tutto, venduti; bisogna non esser più se stessi, condannati a languire in catene, lontani da moglie e

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figli… che orribile situazione! Mi tormenta ancora. Non avere più tempo, più azione, se non per volontà di un padrone cui si appartiene… Oh, cielo! Mi sentivo morire… morivo lontano da voi! E invece tornare tutto d’un tratto alla vita, alla libertà, vedermi liberato da questa paura umiliante, servile, insopportabile alla mia età! Rivedermi uomo, sentire ancora il dolce nome di padre! È a voi che devo tanti benefici! Signora Robert No, non a noi. Non a me, per lo meno. Robert padre Chi dunque si sarebbe interessato a me? Rispondete! Henriette Chiedete a Vostro figlio. Robert padre Mio figlio! Henriette (Alla Signora Robert) Ricordate quale speranza lo animava? Ci ha nascosto dei mezzi che avrà saputo procurarsi. Chi altri, se non lui, avrebbe pensato giorno e notte alla Vostra sorte? Chissà a che cosa avrà accettato di esporsi per la Vostra liberazione. Abbiamo dovuto imporci con la forza per evitare che andasse ad offrirsi come schiavo al Vostro posto. Si è dato così tanto da fare per aumentare il guadagno del suo lavoro! Non so in che modo sarà riuscito a procurarsi quella somma, pegno della Vostra preziosa libertà… non lo so: ma, credetemi, il mio cuore mi dice che non può essere stato che lui!

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Scena VII Robert padre, Signora Robert, Henriette, Robert figlio Robert figlio (Passa accanto a Henriette senza guardarla, rovescia tavolo e sedia, gridando) Che felicità, che felicità, padre mio! Robert padre Ti benedico, figlio mio! Robert figlio Che gioia! Henriette Che felicità insperata! Vedete com’è commosso… Robert padre Ah, figlio mio! Robert figlio Non credo a questo momento. Robert padre Ma toglimi dall’inquietudine… tu, mio liberatore… non posso crederci! (Dopo un silenzio in cui si perde all’improvviso, sognante e costernato) Una somma così grande… rispondi… sembri turbato! L’ho visto, hai cambiato colore… oh, Dio! Disgraziato! Cos’hai fatto? Come posso doverti la mia liberazione

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senza rimpiangerla? Perché hai tenuto il segreto con tua madre, se la mia libertà non è stata comprata a prezzo della tua virtù? Alla tua età, figlio di uno sventurato, di uno schiavo, non ci si procura facilmente le risorse di cui avevi bisogno. Rabbrividisco al pensiero che l’amore filiale ti abbia reso colpevole! Rassicurami… sii sincero… moriremo tutti di vergogna se hai dovuto perdere la tua onestà! Robert figlio (Seduto) Oh, cielo! Che sospetto! Tremo come se fossi colpevole… avrò la forza di parlare? Robert padre Torno alle mie catene… non vi è alcuna buona ragione per commettere un crimine; l’onestà prima di tutto. Vado a vendermi e ti farò restituire… Robert figlio (Alzandosi con sforzo) FermateVi… TranquillizzateVi… Abbracciate Vostro figlio; non è indegno di Voi. Io! Venir meno ai Vostri insegnamenti? Non vorrei la Vostra libertà, la Vostra vita, padre mio, al prezzo della mia virtù. Robert padre Mi restituisci la vita. Il grido dell’onore proviene dalla tua anima; sono rassicurato. Robert figlio Sappiate la verità, e dimenticate questi indegni sospetti, come io stesso li dimenticherò.

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Robert padre Parlami allora del mio benefattore! Sono impaziente di conoscerlo. Robert figlio Non posso, padre mio, perché lo ignoro. Ma spero che sia possibile trovarlo. Se avrò questa fortuna, vi porterò tutti ai suoi piedi. Robert padre Qual è dunque questa mano generosa che si nasconde? E perché questo mistero? Robert figlio Madre mia, Vi ricordate quello sconosciuto che mi sorprese per la sua generosità poco comune? Henriette Oh, se l’aveste ritrovato! Sarebbe forse possibile? Robert figlio L’ho visto, ahimè! E l’ho perso improvvisamente; ma lo ritroverò, non mi scapperà più. Se mi dovesse respingere, coprirei i suoi piedi con le mie lacrime, e dovrà riconoscermi. Robert padre Che cosa dice? Di chi parla?

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Robert figlio Padre mio, mia madre Vi racconterà ogni cosa… concedeteVi ora il riposo di cui avete bisogno, non preoccupateVi del Vostro liberatore. Robert padre Come vorrei conoscerlo… Suvvia! Perché mai un benefattore dovrebbe sottrarsi al piacere di ascoltare la parola che deve ricompensarlo? Non si distrugge la metà di una buona azione impedendo a colui che ne ha beneficiato il dovere commovente e sacro della riconoscenza? Robert figlio Se solo ne avessi avuto un segreto presentimento… Robert padre Continua le tue ricerche, figlio mio; la mia felicità non sarà compiuta finché non avrò scoperto questo benefattore nascosto. Lui non può sapere ciò che ha fatto per me, non può sapere ciò che mi ha reso. Bisogna che lo sappia. E che versi con noi le più dolci lacrime di gioia. Robert figlio Sarà l’oggetto delle nostre continue ricerche; ma Voi, padre mio, state tranquillo. Oh, non vorrei riportare i miei pensieri al tempo della Vostra prigionia; so che è passato; eppure è ancora presente per me! Come avete passato quei giorni di dolore?

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Robert padre Ho sofferto, ma mi son fatto coraggio, mi sono affidato alla Provvidenza. Vivevo con voi e all’improvviso vi avevo perduti, i miei occhi non incontravano più i vostri; ma il mio cuore vi vedeva… ecco cosa mi teneva ancorato alla vita. Robert figlio E noi, padre mio… (Tutti lo abbracciano) Allontaniamo queste tristi immagini! Robert padre Ciò che più mi addolorava durante la schiavitù, ciò che mi divorava il cuore, era questo: stavo per unire in matrimonio mio figlio con una ragazza bella e virtuosa, egli era vicino alla felicità – ora non mi lamento di esser stato colpito dalla sventura, io, alla mia età; ma perché impedire la felicità di mio figlio nei più bei giorni della sua vita? Robert figlio Nessuna felicità era possibile lontano da voi! Ora siamo felici. Robert padre E tu, mia cara Henriette, hai conservato gli stessi sentimenti nei confronti di mio figlio? Henriette Sempre, sempre!

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Robert padre Aggiungi gioia alla mia gioia… Ho dunque tre cuori vicini a me. Signora Robert Henriette non mi ha mai lasciata, mi ha consolata. Henriette Non vi ho forse sempre trattata come foste mia madre? Robert padre Che il cielo vi elargisca ogni benedizione e che la fortuna superi ogni vostra speranza! Io non ho nient’altro da chiedere! Il mio cuore trabocca di gioia. Robert figlio Bisogna che mi allontani. Voi ardete dal desiderio di dar sfogo alla Vostra riconoscenza ed io non sarò contento finché non avrò soddisfatto questo bisogno… non anticipo altro… (Si allontana)

Scena VIII Robert padre, Henriette, Signora Robert Robert padre Nostro figlio se ne va, ma io non ho capito a che cosa faceva cenno.

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Signora Robert Vi faremo un resoconto fedele di tutto ciò che è accaduto durante questa lunga e crudele separazione. Robert padre Sì. Inoltre, è tanto tempo che non abbraccio le mie figlie. Signora Robert PrendeteVi un giorno di riposo; domani partiremo. Henriette Vi accompagno. Ma non stareste meglio sulla Vostra grande poltrona? Robert padre Tutto ciò che volete. Sono così emozionato, così stupito di trovarmi in mezzo a voi… a malapena ho forze sufficienti per sopportare l’emozione. Eccomi dunque qui fra le vostre braccia… non andrò più per mare, non ci lasceremo più. Signora Robert e Henriette (Mentre Henriette aiuta la Signora Robert a camminare) Oh, no, no; non ci separeremo mai più!

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Atto Terzo La scena si svolge in un salone illuminato da lampadari e candelabri.

Scena I François, Dominique François Su, Dominique, andiamo! Il salone non sarà mai pronto in tempo. Chi ti trattiene sulla porta? Dominique È sempre quel ragazzo che si ostina a voler parlare alla signora. François Mandalo a fare un giro! Non si può mica parlare col primo arrivato! Digli che non c’è nessuno. Dominique Sai quante volte è già ritornato? Non so come fare a congedarlo. Rimane sulla porta, è determinato ad aspettare. François E che aspetti! Noi andiamo, su, dobbiamo finire di accendere le luci. Non è il momento di parlare, è sera, staranno tutti per tornare dal teatro! Sbrighiamoci, saranno qui tra un istante; la commedia starà per finire.

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Dominique Manca ancora un’ora.

Scena II Montesquieu, i domestici Montesquieu Sono arrivato troppo presto? Lasciatemi qui, amici, e, se avete qualcosa da fare, fate pure; io starò in quest’angolo a leggere, aspettando che ritorni la Signora de Pérouville. (Si siede ed estrae dalla sua tasca un fascicolo, che comincia a leggere, mentre i domestici continuano il loro lavoro) Un pamphlet contro di me che non conosco ancora! Vediamo… (Dopo una pausa) Ecco che cosa si stampa con l’approvazione del re! Inconcepibile… ma sarà ignoranza? Cattiva fede? Voglia di offendere? Mi astengo dal rispondere. Un autore, talvolta, ha dell’orgoglio: ma che cosa si dovrebbe dire del critico, che assume un tono perentorio, che giudica e che vuole correggere con una sola parola ciò che è costato anni di lavoro… Invettive… Offese… Non fanno che convincermi che sono io ad aver ragione… Arriva il bello, le grandi massime: “L’empietà filosofica, in un sol colpo, vuole rovesciare il trono e l’altare… Essa trionfa!” Non lo sopporto, bisogna riderci su e mettere questo scritto insieme a tutti gli altri. Si formerà un giorno una piccola biblioteca, che sembrerà opera di un nemico segreto della ragione umana.

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Scena III Montesquieu, l’Abate di Guasco Montesquieu Buongiorno, mio caro abate. L’Abate di Guasco Che bella sorpresa! Chi si immaginava di trovarVi qui? Che incontro felice! Montesquieu Nemmeno io sapevo più in quale angolo del mondo Voi Vi trovaste! Come avete lasciato la Vostra bella Italia? L’Abate di Guasco Ci ritornerò. Montesquieu Anch’io, non appena potrò. Avete ricevuto le lettere che Vi ho scritto a Napoli? L’Abate di Guasco No. Montesquieu Come no? Ebbene, ho molte cose da dirVi. Anch’io sono in pista, come Voi. Avete fatto qualche spedizione? Mio caro abate, commerciate sempre bene? Cantate sempre male?

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L’Abate di Guasco Sono sempre impegnato in molte spedizioni, e non mi immagino un’esistenza più piacevole. Montesquieu Ci sono molti che pagano; ma ci sono pochi viaggiatori. Dove andrete prossimamente? L’Abate di Guasco A Parigi. Montesquieu Venite piuttosto al mio castello. È il più bell’angolo di campagna che io conosca. Lì, la natura si presenta in veste da camera, direi quasi in négligé. L’Abate di Guasco Ma come? Siete forse diventato un campagnolo? Montesquieu È là che si va sempre a finire, vi avverto; Voi stesso ci andrete. Ho intenzione di ritirarmi a La Brède. Il mio castello – in stile gotico – è perfetto per ospitare chi ha viaggiato per tutti i paesi. Venite a farmi visita, Vi prego, io sarò là fino a San Martino; studierò, passeggerò, pianterò alberi e coltiverò i prati. L’Abate di Guasco La capitale, mio malgrado, mi chiama. Posso avere la speranza di incontrarVi a Parigi?

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Montesquieu Non vado a Parigi da un anno almeno. Sono troppo povero per vivere in quella città, che si crede procuri grandi piaceri solo perché fa dimenticare la vita. L’Abate di Guasco E la salute? Montesquieu Abbastanza buona. Da quando non sono più affaticato dalle cene della capitale, il mio spirito ne ha guadagnato e il mio stomaco pure. La temperanza, amico mio, è la più sottile e la più delicata delle voluttà… provatela. L’Abate di Guasco Io vengo da lontano e subito riparto. Sapete, amico mio, ovunque si parla della Vostra grande opera. Una celebrità come Voi vive anche laddove non ha mai messo piede. Gli stranieri Vi capiscono meglio dei Vostri compatrioti. In Francia ci si affretta a giudicarVi; bisognerebbe invece studiarVi con un po’ più d’attenzione. Montesquieu Lo credo anch’io, senza vanità. L’Abate di Guasco Il Vostro libro comincia a suscitare una rivoluzione negli spiriti… lo si traduce dappertutto.

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Montesquieu Lo spero! L’argomento è bello e vasto, troppo vasto per me senza dubbio: me ne sono occupato per tutta la vita. Qualcun altro, se ci avesse lavorato quanto me, avrebbe certamente fatto di meglio. Vi confesso che quest’opera ha tentato di uccidermi: i miei capelli sono diventati bianchi. L’Abate di Guasco Ma si sono anche coronati di alloro immortale! Montesquieu Grazie, grazie, amico mio. Ho fatto del mio meglio. L’Abate di Guasco È il mio amore per la verità che Vi parla. Ciò che è inestimabile nella Vostra opera è il fatto che Voi avete evitato le sottigliezze astratte che inquinavano la filosofia antica, oscuravano la politica e non facevano che alimentare eternamente le dispute. L’essenziale è cercare di comprendere, come Voi avete fatto, ciò che è utile o funesto per l’uomo, ciò che lo rende felice o infelice. Montesquieu Il tempo! Amico mio, il tempo! E le buone idee! Bisogna che la pedanteria e il gusto per la minuzia infine cedano il passo. L’Abate di Guasco A partire dalla Vostra opera avrà origine un giorno una nuova legislazione, che diverrà universale. I secoli, scrollandosi di

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dosso gli errori, si perfezioneranno e procederanno verso il meglio; ciò che è giusto e buono si imporrà per la sua semplicità e perverrà, malgrado tutti gli ostacoli, sino al cuore di quelli che hanno il potere di governare. Montesquieu Mi piace pensarlo; la giustizia è una qualità propria dell’essere umano. Ma quando mai ci si renderà conto dei veri interessi dell’uomo? L’Abate di Guasco Perché, dopo il Vostro successo, non andate incontro all’attesa generale, scrivendo la storia dei Vostri viaggi? Montesquieu Vi prometto che metterò in ordine i miei appunti, non appena avrò un po’ più di tempo. L’Abate di Guasco Voi sapete guardare dove altri sono ciechi… Ebbene, che cosa mi dite dell’Inghilterra? Montesquieu Ne sono incantato… io, che non mi entusiasmo quasi mai. L’Abate di Guasco La Vostra opera riflette la bellezza del governo inglese, anche meglio delle pagine degli stessi autori inglesi.

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Montesquieu Oh, ma perché il mio libro è già compiuto? Non ho detto niente di quel che bisognava dire. (Con forza) Il popolo inglese assomiglia all’oceano da cui è circondato, sempre agitato e maestosamente tranquillo; un breve temporale rasserena l’aria e ritorna la calma, che non è mai velata d’insensibilità. Sì, questa nazione può vantarsi di avere la costituzione più conforme alla dignità della natura umana. Le tre parti del governo sono unite, integrate nella maniera più vantaggiosa. Persino i vizi sono utili a conservare l’equilibrio generale. Le fazioni impediscono la corruzione politica. È vero, l’idea dei rappresentanti è un’idea moderna, ma è sublime, ed è il saggio risultato di una lunga esperienza. Credetemi, la libertà è più sicura nelle mani dei rappresentanti che in quelle del popolo stesso. L’Abate di Guasco Mi fa piacere sentirVi parlare così; tutti gli amanti della libertà devono volgere lo sguardo all’Inghilterra. Montesquieu Senza dubbio; l’ammirevole costituzione inglese sarà al contempo un modello per gli altri stati e uno spauracchio per la tirannia. L’ombra di questa augusta repubblica serve ad intimorire il dispotismo fin da lontano2.

2. Ecco le parole di Montesquieu: «In Inghilterra, siccome le leggi non sono fatte per un individuo o per un altro, ognuno deve considerarsi come un monarca. Poiché nessun cittadino ha paura di un altro cittadino, questa nazione deve essere fiera; infatti la fierezza dei re non è fondata che sulla loro indipendenza»: l’espressione è evidentemente esagerata, è ridicolo rappresentare gli inglesi come un “popolo di re”. Tuttavia, malgrado la scelta impropria dell’espressione, si intuisce quel che intende Montesquieu.

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L’Abate di Guasco Siamo d’accordo. Mi auguro che quest’isola conosca sempre la prosperità. Altrove, la potenza del monarca viene bilanciata da un corpo intermedio, indistruttibile, depositario e guardiano delle leggi, ma in Inghilterra il diritto di ogni uomo è rigorosamente stabilito; ecco un altro vantaggio. Montesquieu In Inghilterra gli uomini sono più uomini, e le donne meno donne che altrove. Le leggi inglesi, che costituiscono il baluardo della libertà pubblica, sembrano accelerare il progresso delle arti e delle scienze. Esse sono intimamente legate alla felicità del popolo. L’Abate di Guasco C’è tuttavia un grande inconveniente, il peso delle tasse è considerevole, e gli stessi inglesi se ne lamentano. Montesquieu Vi contraddico: solo i meno illuminati si lamentano. Nella misura in cui decresce la libertà, deve diminuire l’imposta, la quale invece aumenta quando cresce la libertà. Una modica tassazione è un misero compenso per la libertà, mentre, se le tasse sono onerose, lo spirito repubblicano le alleggerisce. Il peggiore dei governi è quello in cui le imposte sono eccessive e la libertà è pressoché nulla. Immaginate un tale governo? L’Abate di Guasco Susciterebbe la pietà dei suoi nemici.

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Montesquieu Con quale piacere guardo all’Inghilterra, alle leghe svizzere, alle provincie unite, alle città anseatiche, a Venezia; è uno spettacolo che rallegra i miei occhi, stanchi di vedere le nazioni oltraggiate e umiliate. L’Abate di Guasco Se i popoli mediteranno sulle Vostre idee, prenderanno le distanze dall’abisso dei vizi e delle sofferenze in cui sono precipitati. Lo spirito del governo crea il genio delle nazioni. Montesquieu Sì, amico mio, sono inorridito dal dispotismo che, in questo secolo, brandisce ancora il suo scettro di ferro su due terzi del globo. Occorrono infiniti espedienti per formare un governo come quello dell’Inghilterra; ma, alla fine, la perfezione dell’intelletto umano, sconfiggendo il potere arbitrario, che è funesto per se stesso, scriverà la teoria delle leggi universali. L’Abate di Guasco Voi siete il primo ad aver scritto e pubblicato questa verità splendente: che la schiavitù non può mai, in nessun senso, essere legittima o utile. Nella storia, soprattutto, questa grande verità rimane impressa. Montesquieu Sì, la storia racchiude le grandi esperienze della natura umana. Amo pensare alla storia quando rifletto sulla politica e sulla società. Vi ritrovo distintamente quello che non sono ancora riuscito a sostenere nelle mie opere: in tutti i tempi, in tutti i luoghi, la natura umana è stata capace di fare miracoli nei mo-

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menti in cui vi era un governo di molti; invece, costretta allo stato passivo, sotto il governo di uno solo, si è sempre deteriorata e ridotta ad uno stato di misero assoggettamento. L’Abate di Guasco Voi avete seguito l’impulso del genio, che Vi ha spinto a cercare la più grande felicità possibile sia per il genere umano sia per i singoli individui; questa grande impresa, grazie al Vostro profondo acume, non si è risolta in un vano azzardo. Il Vostro libro è una vera e propria creazione… però direi che non è del tutto esente da errori. Montesquieu Oh, nessuno lo sa meglio di me! Non vorrei, per niente al mondo, che fosse stato stampato! L’Abate di Guasco Ci sono diversi argomenti su cui non siamo perfettamente d’accordo. Scusatemi se oso approfondire con Voi… Montesquieu Trattandosi di argomenti che influiscono in modo diretto sulle sorti degli uomini, ogni errore è un grande male. Parlate, parlate; la critica di un amico assennato mi lusinga più della sua approvazione. L’Abate di Guasco Non avete forse riservato troppa ammirazione ad un popolo diventato celebre per la sofferenza con cui ha oppresso le altre nazioni, nonostante la felicità che si è procurato? Non capisco come abbiano potuto abbagliarVi le idee di espansione e di

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vana gloria che hanno reso i Romani despoti nei loro paesi, tiranni nelle loro terre, oppressori presso lo straniero, ingiusti verso tutti. La vera filosofia condanna le ingiustizie delle nazioni, come quelle degli individui. Montesquieu Ho voluto parlare solo della grandezza del popolo romano e delle sue virtù; ho generalizzato gli avvenimenti della storia antica allo scopo di osservare i fenomeni politici nella loro totalità. I vizi sono passati, ma la gloria sopravvive, e questa gloria può elevare i nostri animi. L’Abate di Guasco Ma perché lodare tanto questi devastatori dell’universo? Montesquieu Non temete che ai giorni nostri si voglia imitare i romani… Tuttavia, la caduta della repubblica romana sarà sempre per me oggetto di una triste meditazione, perché mi sembra che l’onore del genere umano ne abbia sofferto e perché l’Europa ne ha risentito a lungo gli effetti. La rovina di questo vasto edificio politico è costata al genere umano tanto sangue quanto la sua costruzione. Ecco perché piango la caduta di questo impero magnifico, senza giustificare i mezzi che hanno contribuito alla sua instaurazione. L’Abate di Guasco Passiamo ad un altro argomento. Voi per primo avete scoperto il principio fondamentale dell’influenza del clima sui popoli. Nessuno aveva trovato, né tentato, la soluzione di questo

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problema: cionondimeno, non avete forse dato troppo peso a questo principio? Montesquieu L’esistenza di questo principio fondamentale è evidente, mi sembra infatti che i legislatori più abili abbiano cercato di trarre vantaggi dal clima e di combattere i vizi che esso induce. Essi hanno capito che il clima può predisporre circostanze favorevoli alle loro intenzioni. Mi spiego. Non bisogna, senza dubbio, estendere eccessivamente questo principio, tantomeno si può dimostrare, a mio parere, una sorta di natura locale dell’uomo. Anzi, si dovrebbero contrastare, attraverso la forza delle istituzioni politiche, le legislazioni che sono intrise dei vizi indotti dal clima. Il legislatore non deve mai perdere di vista lo stato e lo spirito generale della nazione che vuole formare; questo spirito è il risultato di tutti gli elementi che compongono la nazione e non bisogna mai dimenticare il carattere nazionale. Lo stato non deve formare il cittadino, ma l’uomo, perciò occorre rispettare l’umanità e godere di tutti i benefici della civiltà. L’Abate di Guasco Avete detto: “La violenza delle leggi, che si impone con la forza, manca il suo bersaglio. Solo servendosi della forza dell’opinione si arriva a buone conclusioni”. Non avete concesso troppo spazio ai corpi della magistratura, che si trovano in ogni caso nell’impossibilità di fare del bene? Non avete esagerato le prerogative di queste figure, le quali possiedono soltanto un’ombra di autorità? Montesquieu Può darsi, ma, nell’attesa di una roccaforte più solida, non ho voluto aggirare l’ostacolo.

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L’Abate di Guasco Infine, si intuisce nel Vostro libro un’apologia della venalità… ci avete mai pensato? Montesquieu Mio caro amico, avete assistito alla rappresentazione de Le procureur arbitre? Sapete ciò che sostiene l’onest’uomo quando indossa il suo abito… Ebbene, io sono nella stessa situazione… mi sono certamente sbagliato: sono preferibili le elezioni. L’Abate di Guasco Le Vostre idee, che attingono più dalla giurisprudenza che dall’alta politica, si discostano un po’ troppo dalle forme tradizionali del governo popolare. Montesquieu Ammetto che tali forme mi spaventano, anche per amore dell’umanità. L’Abate di Guasco Oh, il Vostro cuore non ha bisogno di giustificazioni. Qualsiasi cosa diciate, Voi date da pensare, qui sta il punto. LeggerVi non è cosa da tutti. Montesquieu Pensate che questo sia un pregio? Tanto peggio per me se non possono leggermi tutti. Ogni scoperta è una nuova idea, e ogni idea deve esplicitarsi attraverso la parola; è colpa mia se non possono leggermi tutti, e cercherò di correggermi.

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L’Abate di Guasco Voglio dire che tutto lo studio e tutta l’esperienza possibili non bastano ad autorizzare chiunque a fare proposte sulla legislazione. Montesquieu Non ho trattato nemmeno la ventesima parte degli argomenti che avrei voluto prendere in considerazione! Ritornerò sui miei passi. La mia vita avanza e l’opera arretra, a causa della sua incommensurabilità. L’Abate di Guasco Avete fatto la Vostra parte, siate soddisfatto. È stato necessario cominciare con le speculazioni, ora occorre osservare la morale generale applicata, in Europa, alla legislazione. Ogni verità cammina con il suo passo… lasciate lavorare la storia. Credo che anche noi francesi avremo diritto alla gloria, un giorno, e potremo nutrire la speranza, dolce e lusinghiera, di suscitare nei posteri quel sentimento di ammirazione che non possiamo rifiutare alle virtù dei Greci e dei Romani. Avremo anche noi le nostre virtù, e le opere simili alle Vostre vi contribuiranno notevolmente. Le legislazioni antiche non sono più adatte ai popoli moderni. La scoperta del Nuovo Mondo, la bussola, la stampa, la polvere da sparo, la posta, tutte queste invenzioni esigono degli accorgimenti anche in ambito politico. Se l’obiettivo di tutte le società civili è la felicità pubblica, allora i ragionamenti devono dissolversi di fronte ai fatti, ne converrete. Montesquieu Vi capisco. Considerando la situazione attuale dei popoli, a mio avviso, l’Europa dovrebbe costituirsi come un’unica famiglia.

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Le caratteristiche nazionali, che si sono già profondamente alterate, dovrebbero scomparire del tutto. Agli individui non resterebbe altro che l’amore per la pace e il sentimento dell’uguaglianza. L’impossibilità in cui si trovano i popoli europei di conservare costumi forti, specifici e duraturi, dovrebbe indurli risolutamente ad assumere gli stessi usi, lo stesso spirito, e a non accettare una sorta di civiltà intermedia, che sarebbe la peggiore di tutte. Bisognerebbe che ci si abituasse a guardare con pietà e disprezzo i dibattiti fra i sovrani in nome del patriottismo. Vorrei dunque che le nazioni d’Europa, già unite da alleanze reciproche con il commercio, le arti, i viaggi e la cultura dei lumi, facessero un passo ulteriore, dato che esse da tempo hanno cessato di essere separate. Vorrei che si integrassero reciprocamente, così che la loro religione, i loro costumi e le loro usanze non rappresentassero altro che i tratti puri ed originari della natura umana. L’Abate di Guasco È compito della filosofia istillare questi ideali, nuovi e felici, nell’animo degli uomini, con la prospettiva di compiere la civilizzazione dell’Europa e di stabilire idee di giustizia in maniera definitiva… ma la ragione agisce sui popoli molto lentamente e viene osteggiata. Ai giorni nostri è ancora pericoloso dire la verità. Montesquieu (In collera) Questo mi indigna! Quando un cittadino perde la sua libertà per aver scritto, o parlato, in favore dell’interesse generale, significa che il degrado della corruzione politica è giunto al culmine. Si crede di dover tutto al sovrano e niente alla patria, niente all’umanità. Di questo passo, la virtù si dissolverà ai piedi del trono.

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L’Abate di Guasco È un peccato che la Vostra storia di Luigi XI sia stata bruciata! È una grave perdita. Dipingendo quell’infido tiranno, Voi avete rivelato la natura degli animi che si dedicano ad una politica crudele. Montesquieu Volevo sostenere questa verità troppo poco dibattuta: non è vero che la tirannia di un singolo distrugge il dispotismo dei molti, al contrario, lo sancisce. Inoltre, il dispotismo moderato è il più pericoloso di tutti. Dovrò scrivere un libro al riguardo, un libro importante, e nuovo. L’Abate di Guasco E la Sorbona cerca sempre di attaccarVi? Montesquieu Da due anni ci prova, senza sapere come fare. L’Abate di Guasco Se mai ci riuscirà, non datele tregua. Se io fossi al Vostro posto, vorrei sotterrarla. Si può perdonare un privato cittadino, ma non un’istituzione pubblica. Montesquieu Le assurdità della Sorbona sono note a tutti ormai, questa è la mia vera vendetta. Per non farmi stordire dalle notizie, mi ritiro in campagna e lascio che i teologi mi rimproverino da lontano.

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L’Abate di Guasco A proposito, che cosa farete del Vostro romanzo Arsace, che rappresenta l’amore coniugale in modo così nobile e toccante? Quando lo vedremo pubblicato? Montesquieu Il trionfo dell’amore coniugale è sfortunatamente troppo distante dai nostri costumi perché un testo simile possa essere ben accolto in Francia: ma Vi porterò il manoscritto3 e lo leggeremo insieme. L’Abate di Guasco E il Vostro vino? Spero che non Vi restino le botti fra i piedi. Vi ho scritto a tal proposito. Montesquieu Sì, Vi dirò, mio caro abate, ho ricevuto delle commissioni considerevoli dall’Inghilterra, e da ogni dove. Il successo del mio libro ha contribuito, e non poco, al successo del mio vino. Inoltre, la vastità delle mie terre mi permette di esercitare un certo zelo per l’agricoltura. Mi darete qualche suggerimento? I miei prati sono una Vostra creazione.

3. Questo romanzo è stato pubblicato postumo poco tempo dopo la morte di Montesquieu; è scadente. D’altra parte, l’uomo di genio non sempre crea opere di genio.

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L’Abate di Guasco E Vostro figlio? Parlatemene. Voi non siete affatto come coloro che, non avendo eredi diretti, lavorano per la posterità dell’umanità. (Discutono a voce bassa)

Scena IV Montesquieu e l’Abate di Guasco in un angolo. Signora de Pérouville e Robert figlio sul fondo della scena. Robert figlio Signora, Vi ricordo la Vostra promessa… siamo venuti tutti… lasciateci infine cadere ai suoi piedi. Signora de Pérouville L’avete riconosciuto quando è passato? Robert figlio Oh, sì! Signora de Pérouville Guardatelo bene, di nuovo… non sbagliate… guardate, è la stessa persona? Robert figlio Sì, sì, signora. Come ho potuto dubitare questa mattina? La sua voce, i suoi occhi, la sua aria di bontà; è lui… ho porta-

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to mio padre… permetteteci di avvicinarlo, stiamo morendo dall’impazienza. Signora de Pérouville Ebbene, sarete soddisfatti. Chi potrebbe rifiutare un tale desiderio? Condivido la Vostra gioia. Se è lui, merita davvero gli omaggi della Vostra riconoscenza, e ci uniremo ai Vostri applausi. Robert figlio Ritorno subito! Signora de Pérouville Non riesco a togliermi dalla testa il racconto che mi ha fatto…

Scena V Montesquieu, l’Abate di Guasco, Signora de Pérouville, Signor de Pérouville Signora de Pérouville Signore… Montesquieu Signora, Vi ringrazio molto di aver riunito qui due amici che non si vedevano da tempo.

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Signora de Pérouville Sono lieta di averne avuto l’occasione. Non ci avete raggiunti alla commedia. Eppure, era una pièce di Molière. Montesquieu Mi dispiace, è il mio autore favorito. Amo la sua indole. Nessuno, dopo di lui, ha scritto con altrettanta forza e verità. Signor de Pérouville Vedete, signora, il Signor de Montesquieu è del mio stesso parere. Ve l’ho detto: non capisco una sola parola delle commedie moderne, troppo ricercate, in cui non si ride di quel ridere sincero che parte dall’anima. Ma ogni volta che viene messo in scena Molière, non perdo lo spettacolo. Montesquieu Verrà messo in scena ancora per molto tempo; poiché, nel corso della storia, lo spirito buono prevale sullo spirito bello. Signora de Pérouville Dunque amate il teatro? Montesquieu Certo, signora. Nulla concorre a raffinare i costumi quanto le buone rappresentazioni teatrali. È il trionfo dell’istruzione pubblica. I poeti drammatici sono per me i poeti per eccellenza. Ma non amo affatto i tragici, che eccedono nel linguaggio dello spirito e del cuore, che passano la vita a cercare la natura

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e la mancano sempre, che creano eroi strani quanto i draghi volanti ed i centauri. Signor de Pérouville Signore, Voi la pensate proprio come me; sono incantato dall’ascoltarVi. (Parlano a voce bassa)

Scena VI Montesquieu, L’Abate di Guasco, Signora de Pérouville, Signor de Pérouville, Robert padre, Robert figlio ed ­Henriette, sul fondo della scena, con diversi altri personaggi della compagnia, uomini e donne, che affollano il salone. Un personaggio Ecco il Signor de Montesquieu. Un altro personaggio Chi l’avrebbe detto? Un altro Che semplicità! Una donna Ha lo sguardo dolce, l’aria ingenua, i tratti delicati. Un personaggio Osservandolo bene, si riconosce la sua natura contemplativa.

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Una signora Sì, sembra un po’ triste; ma non ha l’aria di essere un misantropo. Un’altra Né altero, né orgoglioso… Un’altra Oh, è ben lontano da tali vizi… Un’altra Non sembra nemmeno vanitoso, mentre altri, che non valgono quanto lui, si credono importanti. Un’altra Quello è l’aspetto ordinario della mediocrità. Un’altra Il vero merito non ha bisogno di essere ostentato. Signora de Pérouville (Andando verso Robert figlio) Avvicinatevi, avvicinatevi. Robert figlio Sono colpito! Robert padre Tutto ciò mi sembra un sogno!

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Robert figlio Mia cara Henriette! Henriette Devo a lui la gioia più grande che ho mai provato in tutta la vita. Robert padre Figli miei, figli miei. Robert figlio Mi trema la voce. (Precipitandosi verso Montesquieu) Uomo di Dio! Vi prego di riconoscermi! Montesquieu (Girandosi sorpreso, e poi subito riprendendosi) Ancora… Signore, insomma! Che cosa volete da me? Robert figlio Che cosa voglio? (Gettandosi ai suoi piedi) Stringere le Vostre ginocchia! Montesquieu RialzateVi, signore, rialzateVi. Non posso sopportare nessuno in questa posizione davanti a me. Robert figlio Voi non mi scapperete più oramai, Vi tengo.

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Montesquieu (A voce bassa) Pace. Robert figlio Padre mio, venite, accorrete, ho preso il Vostro liberatore… Oh! Non rifiutateci, guardate coloro che avete reso felici! Robert padre (Avvicinandosi) È dunque a Voi che devo la mia riconoscenza! Chi può avermi riservato le Vostre grazie? Ero così infelice, abbandonato… Come posso ricambiare? Montesquieu (A parte) Quale piacere e quale turbamento mi causa tutto ciò… dissimulerò! (Ad alta voce) Vi sbagliate, signore, Ve l’ho già detto, io non Vi conosco affatto e Voi non potete conoscermi, sono straniero a Marsiglia, sono arrivato due giorni fa. Robert figlio Può darsi, ma, ricordate, otto mesi fa siete già stato qui… quella passeggiata al porto, l’interesse rivolto alla nostra sventura, le Vostre domande per chiarire la situazione e avere il quadro necessario ad intervenire… Sì, siete Voi! Non rifiutate almeno la nostra dovuta riconoscenza! Montesquieu Signore, qualche somiglianza Vi induce in errore.

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Robert figlio No, i Vostri tratti sono impressi troppo profondamente nel mio cuore perché io possa confondermi. Montesquieu Tutto ciò mi stanca, e non allevia i Vostri affanni. Tornate alla ragione e, con la Vostra famiglia, andate a godere della tranquillità di cui, mi pare, abbiate bisogno… Robert figlio Che barbarie! E, per giunta, da parte di un benefattore! Perché volete turbare la felicità che dobbiamo soltanto a Voi? Dopo esser stato tanto magnanimo, sareste crudele a rifiutare il tributo che riserviamo alla Vostra sensibilità… Ecco che si agita! Padre mio, si agita, è lui! Montesquieu (A parte) Salvati, Montesquieu, sottraiti alla vanità… resisti alla seduzione di queste tentazioni (Fa per uscire) Robert figlio (Trattenendolo) Fermatevi, per pietà! E voi, miei concittadini, voi tutti qui presenti, non siete inteneriti dall’ansia in cui mi trovo? Unitevi a me, così che l’autore della nostra salvezza possa degnarsi di rallegrarsi delle sue azioni! Signora de Pérouville Bisogna chiarire questa faccenda, Signor de Montesquieu.

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Tutta la compagnia È lui… è lui, è lui! Montesquieu No, no. (A parte) Salviamoci; non posso venir ricompensato da ciò che sento! (Ad alta voce) Abbracciatemi tutti, dunque; applaudo alla Vostra gioia, alla riconoscenza di questo padre virtuoso. Colui che Vi ha salvati dalla schiavitù, amava la libertà. Egli è certamente nemico del dispotismo. Qualsiasi uomo avrebbe potuto compiere una simile azione. Fate dunque a ciascuno il bene che siete in grado di fare, dal momento che anche il più povero degli esseri umani non è dispensato dal poter donare qualcosa agli altri. Robert padre Oh, Dio, siete Voi che, offrendo una somma così grande… Montesquieu La beneficenza, signore, non ha mai rovinato nessuno, credetemi. Robert padre Ricevo i Vostri abbracci, e sono ancora incerto. Ho quasi oltraggiato mio figlio! Mi servirebbe una confessione… Signor de Pérouville Abbracciatelo, stringetelo fra le vostre braccia senza alcun indugio… non oserà contraddire me.

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Montesquieu Come?!… Come?! Signor de Pérouville Vi confermo che costui è il Vostro liberatore. Montesquieu Ma, Signor de Pérouville, che cosa dite? Signor de Pérouville Sì, io voglio, anzi, devo dirvi tutto; la somma del riscatto è passata per le mie mani. Si deve forse arrossire di una simile azione? Sento, con le mie orecchie, dappertutto, gente che si vanta di azioni turpi e che esalta pubblicamente vizi di ogni genere. Perché mai il bene, che è un esempio per tutti, dovrebbe restare velato e dimenticato? Nessuna grazia, nessuna grazia. È far torto all’umanità tacere le sue virtù… Sì, mio caro Robert, è stato proprio lui a pagare il Vostro riscatto; ve lo confermo… Tutta la compagnia Bene, bene, Signor de Pérouville! Signora de Pérouville Grandi libri e grandi azioni! (Montesquieu si libera ed esce) Robert padre Scappa! Mio Dio! Perché fugge da noi?

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Robert figlio (Lanciandosi verso la porta) Corro… L’Abate di Guasco (Trattenendolo) Sarebbe inutile. Non vorrete contrariarlo... Robert figlio Come?! Non lo rivedrò mai più. L’Abate di Guasco (Tenendolo per mano) Calmatevi, e testimoniategli la Vostra riconoscenza sottomettendovi alla sua volontà, altrimenti lo ferireste. Egli è fatto così. Durante i nostri viaggi in Italia, di tutti i servizi che ha reso a coloro che erano stati colpiti dalla sfortuna, non ha mai voluto sentire i ringraziamenti. Al contrario, il minimo plauso è per lui un supplizio. Robert padre Rispettiamolo, figlio mio. Noi gli dobbiamo il sacrificio dei nostri sentimenti più belli, poiché egli stesso lo esige. Accontentiamoci di serbare i suoi tratti nel nostro spirito, non dimentichiamoli più, e che il suo nome sia per sempre benedetto tra noi. L’Abate di Guasco Mi pare che Voi siate animati da una così viva riconoscenza che vorrei farVi un dono. Mi è molto caro, molto prezioso. (Estrae una medaglia) Vi troverete i suoi tratti.

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Robert padre e tutta la famiglia Fateci vedere! (La medaglia passa nelle loro mani ed essi la baciano) L’Abate di Guasco (Alla compagnia) Ho ricevuto questa medaglia dal celebre Dassier, venuto a Londra appositamente per immortalare il suo profilo, che diverrà caro a tutta la posterità. Robert padre (Tenendo la medaglia) Henriette, tra pochi giorni tu diventerai mia figlia. Niente ritarderà più questa unione, che noi tutti desideriamo. (All’Abate di Guasco) Me la date davvero? L’Abate di Guasco Sì. Robert padre (A Henriette) Ricevi questa medaglia per tramandarla ai tuoi figli, affinché ricordino sempre che cosa ha fatto per noi l’uomo che è qui rappresentato. Henriette (Prendendo la medaglia con trasporto dalle mani di Robert padre) La farò benedire ai piedi degli altari, e la porterò sul mio cuore, fino all’ultimo respiro. Robert figlio Henriette! Chi l’avrebbe detto questa mattina?

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(La compagnia li circonda in un abbraccio) Signor de Pérouville Come si è accesa la loro gioia! L’Abate di Guasco Lei sembra dolce e sensibile. Signora de Pérouville È incantevole! L’Abate di Guasco Ecco una coppia felice. Signor de Pérouville E molto interessante. Signora de Pérouville È un piacere vedere tanta generosità, e così ben indirizzata. Signor de Pérouville Ma Montesquieu non rischia la rovina a compiere tanto spesso simili azioni? L’Abate di Guasco Niente affatto. Egli soccorre gli infelici con il frutto dei suoi risparmi. Una vita assai moderata, un’economia molto accorta, lo mettono in condizione di essere, contemporaneamente,

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benefattore e discreto. Non traspare nulla del soccorso che egli dona, è solo il caso a rivelare talvolta la sua identità. Ha voluto mettere in pratica una delle sue massime: è mille volte più facile fare il bene, che farlo bene. Signor de Pérouville Bene! Da domani, nonostante i miei affari, sospenderò ogni occupazione per leggere tutte le sue opere. Mi darete i suoi libri, signora, vi prego? Signora de Pérouville Certamente. Signor de Pérouville Non posso aspettare fino all’autunno prossimo; un uomo tanto magnanimo non può che scrivere libri eccezionali. Ho sentito dire che è il cuore ad ispirare i capolavori. Forse nessuno avrebbe conosciuto la verità di questa buona azione senza di me… avrò fatto bene a denunciarla? Signora de Pérouville Sì, senza dubbio, mio caro sposo… Bisogna rivelare queste azioni a tutto il mondo, e dire: guardate! ecco i vostri modelli! (All’Abate di Guasco) Signore, siate felice di avere Montesquieu come amico! L’Abate di Guasco Signora, se mai dovessi fare un’apologia di me stesso, non direi altro se non che sono un amico di Montesquieu e che ne sono fiero.

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Signora de Pérouville E avreste detto abbastanza… mi dispiace che ci sia sfuggito in questo modo. (A Robert, che si era allontanato con la sua famiglia) Dove andate, mio caro concittadino? Robert padre Mi ritiro… Signor de Pérouville Andiamo, venite ad occupare il suo posto a tavola. Robert padre Io?! Oh, Signore… Signor de Pérouville Venite, venite! (Alla compagnia) Abbiamo perso un convitato che avremmo ospitato con grande piacere, ma questa bella famiglia prenderà meritatamente il suo posto. Che ciascuno di noi accolga qualcuno al suo fianco. Ci stringeremo un po’, ci guadagneremo tutti a far conoscenza. Sono così commosso! Chi non lo sarebbe? Chi, dinanzi all’esempio di quest’uomo, non si sentirebbe nella disposizione di fare del bene? D’altronde, non abbiamo che l’usufrutto dei beni della fortuna. (Si circonda la famiglia Robert e la si accompagna a tavola)

Fine

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Postfazione

Louis-Sébastien Mercier: una poetica della libertà di Caterina Piccione

Egli è un filosofo pratico, come ne ho incontrati di rado; semplice e modesto nell’aspetto, sobrio e privo di desideri che non siano i bisogni naturali; vero, senza artifici e ipocrisie, nella conversazione e nella condotta, così come nei suoi scritti. Benevolo, sommamente tollerante, coraggioso e generoso, tanto che, non appena si presenta l’occasione di far guerra all’ingiustizia, non esita a svelare le verità dissimulate da chi ha interesse a dissimularle. Infine – per terminare questo breve ritratto con una nota bella e vera – è uno dei rari scrittori secondo i quali il progresso dei costumi passa per la diffusione di principi morali autenticamente religiosi. Egli non progetta di edificare l’impero dell’erudizione e delle battute di spirito. Perché quest’uomo, che ha contribuito in maniera determinante presso il suo popolo alla diffusione dei Lumi e alla Rivoluzione, non siede all’Assemblea Nazionale? Ecco una domanda che i francesi si pongono frequentemente. La vera risposta è la seguente: Mercier è un uomo semplice, privo di ambizioni, che, lungi dal mettersi in primo piano, si accontenta del posto che la provvidenza gli ha assegnato.1

1. J.H. Campe, Été 89. Lettres d’un Allemand à Paris, Éditions Du May, Paris 1989, pp. 189-190. (Le traduzioni sono nostre).

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Con queste parole lo scrittore tedesco Joachim Heinrich ­Campe traccia il ritratto di Louis-Sébastien Mercier. Le fonti sono concordi nel descrivere il profilo del drammaturgo francese, il viso tondo, calmo, aperto, lo sguardo franco, la cordialità non cerimoniosa, l’ironia e la curiosità inesauribili. Nato in una famiglia della piccola borghesia parigina, Mercier cresce nella bottega in cui il padre lustra armi bianche – anche per questo ama ripetere che il suo cognome, malgrado sia molto comune, ha un suono incisivo perché rima con “acciaio” (Je rime en acier). Bambino dal temperamento brillante, incline all’osservazione e all’irriverenza, Mercier non ama la scuola. Una volta adolescente, si appassiona alla letteratura antica e moderna tanto da scrivere: «Durante i miei studi, le decadi di Tito Livio mi hanno riempito la testa a tal punto che fu difficile per me ritornare ad essere un cittadino del mio paese e del mio tempo»2. A diciassette anni entra a teatro per la prima volta e ne rimane incantato. In seguito, fonda un’associazione di giovani amanti della letteratura e si riunisce con i compagni al Café Procope, dove incontra personalità di ogni genere discutendo della scena artistica parigina. È in quest’ambiente che Mercier impara a difendere la propria originalità: «Là ho cominciato a dichiararmi un eretico in letteratura: ho letto alcuni scrittori celebri, e non mi sono piaciuti»3. Ecco profilarsi un primo tratto caratteristico della vita e delle opere di Mercier: la costante fedeltà alla sua singolarità, il gusto istintivo per la critica e la provocazione. La libertà di Mercier è tanto un valore sul piano etico quanto una necessità per la poetica. Egli ama esortare gli uomini di lettere ad impegnarsi in un’elaborazione intellettuale libera da idolatrie: «Conversiamo di

2. L.-S. Mercier, Tableau de Paris, 2 voll., S. Fauche, Hamburg-Neuchâtel 1781; nuova edizione ampliata e corretta, 12 voll., Amsterdam 1783-1788, vol. I, p. 242. 3. L.-S. Mercier, Tableau de Paris, cit., vol. X, p. 224.

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letteratura, amici miei; formiamo delle riunioni letterarie, ma non aderiamo mai ad alcuna accademia»4. Mercier cerca di promuovere la fondazione di circoli e assemblee aperte, che accolgano gli entusiasmi e le eterodossie che l’Accademia voleva tenere a freno. A costo della solitudine, il drammaturgo ha sempre difeso la sua creatività da canoni e imposizioni dogmatiche: «Obbedisci alla tua foga, ne sa più delle regole»5. E di foga si può ben parlare guardando all’immensa produzione letteraria di Mercier – egli stesso si definiva volentieri un grafomane. Le sue composizioni esulano dalle classiche ripartizioni fra generi letterari: «La sua fisionomia letteraria è difficile da afferrare. Non si può negarne l’originalità, e persino i suoi paradossi, tanto biasimati, costituiscono una parte dei suoi meriti. Non bisogna disprezzare il paradosso, poiché esso non è che una verità appena abbozzata. Mercier è espansivo, luminoso, inesauribile nella conversazione»6. Tra le fonti d’ispirazione per la sua ricerca poetica vi sono Luciano, Rabelais, Sterne e Montaigne. Mercier stima Diderot, considerandolo un audace innovatore, mentre è insofferente nei confronti di coloro che glorificano Voltaire, Racine e Corneille. Non si può non menzionare la grande influenza delle opere di Rousseau, prima fra tutte La Nouvelle Héloïse7: «Oserei dire che sarei stato infelice senza i testi di Rousseau. Essi mi hanno guarito da un’ambizione inquieta. Dopo aver letto Rousseau, non ho 4. L.-S. Mercier, Tableau de Paris, cit., vol. II, p. 932. 5. L.-S. Mercier, Du théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, Van ­Harrevelt, Amsterdam 1773, p. 38. 6. Marquis de Lange, Paris littéraire, Hamburg an VII, pp. 111-112, già cit. in J.-C. Bonnet, Introduction, in Id., Louis Sébastien Mercier (1740-1814). Un hérétique en littérature, Mercure de France, Paris 1995. 7. Saint-Preux à Wolmar après la mort de Julie, ou dernière lettre du roman de «La Nouvelle Héloïse», 1764. Questa lettera è stata inserita nel tomo IV, alla fine de La Nouvelle Héloïse, nell’edizione delle Œuvres complètes di Rousseau curata, fra gli altri, da Mercier.

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più voluto essere nient’altro che un uomo»8. Mercier è fra i curatori delle sue opere complete9 e deduce dalla sua filosofia l’idea che le inclinazioni naturali sono intrinsecamente buone e devono essere assecondate nella costruzione della società. Agli occhi di Mercier, Rousseau è il pensatore che più di ogni altro amò l’uomo e fu precursore della rivoluzione come avvento di libertà10. Nel 1763 Mercier compone un primo scritto, Le Bonheur des gens de lettres11, che testimonia la sua precoce vocazione di letterato. In queste pagine la vita de “gens de lettres” si delinea come una possibilità concreta di felicità, dal momento che si pone al di sopra della schiavitù dell’opinione corrente, è orientata dal libero pensiero e coltiva l’amore per la verità. Mercier condanna gli intellettuali mercenari e coloro che si perdono in controversie ridicole legate a rivalità fra le varie scuole di pensiero. Un anno dopo Le Bonheur des gens de lettres Mercier pubblica il discorso accademico Sur la lecture12, in cui emerge nuovamente la sua concezione della vita intellettuale. Egli loda la lettura come la più nobile delle attività, giacché nutre l’anima, educa i costumi e solleva lo spirito. Ciononostante, mette in guardia contro i pericoli che potrebbero derivarne: la lettura rischia di divenire un’occupazione inutile e sterile, fine a se stessa o compagna dell’indolenza, se non è i­mmediatamente 8. L.-S. Mercier, De Jean-Jacques Rousseau considéré comme l’un des premiers auteurs de la Révolution, Buisson, Paris 1791, vol. II, p. 165. 9. J.-J. Rousseau, Œuvres complètes, a cura di L.-S. Mercier, G. Brizard e F.H.S. de L’Aulnaye, 39 voll., Poinçot, Paris 1788-1793. Mercier cura quest’edizione delle opere complete, redigendo l’introduzione (pp. 1-56). 10. Si veda in proposito la trattazione in due volumi: L.-S. Mercier, De JeanJacques Rousseau considéré comme l’un des premiers auteurs de la Révolution, cit. 11. L.-S. Mercier, Le bonheur des gens de lettres, Bordeaux 1763; Cailleau, London-Paris 1766. 12. L.-S. Mercier, Discours sur la lecture, Paris 1764.

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r­ ivolta al mondo circostante i libri. Mercier è mosso dalla ferma convinzione che, grazie alle lettere, l’umanità possa progredire in direzione della felicità. Gli intellettuali hanno il dovere di pensare ed agire in vista del progresso del genere umano. Tale concezione delle lettere è animata dallo spirito profondamente illuminista di Mercier.

L’utopia illuminista L’opera in cui l’illuminismo di Mercier si declina nel modo più completo ed originale è L’An 244013, romanzo utopico che si apre con l’epigrafe: «Fondare la felicità pubblica sarebbe un piacere senza pari»14. Quest’opera non costituisce solo un’utopia politica, essa dipinge la natura umana futura rigenerata nella sua interezza con eccezionale entusiasmo e lirismo15. Riformare il mondo conformemente alla ragione è un progetto molto comune al tempo di Mercier, tuttavia l’autore 13. L.-S. Mercier, L’An deux mille quatre cent quarante, rêve s’il en fut jamais, Van Harrevelt, Amsterdam 1770; 2 voll., Fauche, London 1785; L’An deux mille quatre cent quarante, rêve s’il en fut jamais. Suivi de l’Homme de fer, songe, 3 voll., s.l. 1786; 3 voll., Bresson et Carteret, Dugourd et Durand, Paris 1799. 14. Epigrafe del terzo volume de L’ An 2440, edizione del 1786. 15. Per la caratterizzazione dell’utopia di Mercier, facciamo riferimento ai saggi di G. Hofmann La Torre, Vision et construction: Louis-­Sébastien Mercier, «L’an 2440» - Cristoph Martin Wieland, «Le miroir d’or», in H. Hudde - P. Kuon (a cura di), De l’Utopie à l’Ucronie. Formes significations fonctions, Narr, Tübingen 1988, pp. 99-108; H. Hudde, «L’an 2440» de Louis-­Sébastien Mercier, in M. de Gandillac (a cura di), Le discours utopique, Union générale d’Éditions, Paris 1978, pp. 250-258; Id., Luogo letterario e spirito dell’utopia, in A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, Franco Angeli, M ­ ilano 1987, pp. 163-173; Id., L’influence de Mercier sur l’évolution du roman d’anticipation, in H. Hudde - P. Kuon (a cura di), De l’Utopie à l’Ucronie, cit., pp. 109-122.

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dimostra la sua autonomia intellettuale. Infatti L’An 2440 non rappresenta il futuro secondo le previsioni di una scuola filosofica particolare. È vero che nel romanzo del 1770 si sente una forte influenza di Rousseau16, ma la seconda versione dell’opera già ne prende le distanze, quando l’elogio della vita primitiva lascia spazio alla descrizione attenta, piena di partecipazione e fervore, della realtà urbana. Mercier si avvia a divenire poeta della città, come sarà nel Tableau de Paris17, mettendo a punto una poetica originale, capace di riflettere la confusione delle conversazioni, dei commerci e degli incontri eterogenei che affollano l’ambiente urbano. L’utopia di Mercier pecca forse di ingenuità, ma si tratta di uno dei rarissimi futuri possibili in cui l’autore non intende sacrificare alcuna forma di libertà, né nella vita pubblica né in quella privata. L’ideale illuminista del perfezionamento dei costumi è il solo postulato che presiede alla costruzione del mondo migliore. Altri autori a lui contemporanei «non sentono la solennità dell’ignoto che evocano, non scorgono all’orizzonte delle loro meditazioni la lunga strada dei secoli a venire, oggi tenebrosa e deserta, in cui si profileranno un giorno coloro che ancora non esistono; essi non sentono il brivido del mistero. Al contrario, Mercier si pone sul bordo dell’abisso, la sua voce trema, nel suo linguaggio vi è qualcosa di ispirato quando si ferma a considerare la processione fatale delle generazioni umane»18. L’autore immagina di cadere in un sonno profondo, lungo settecento anni, e di risvegliarsi nel 2440, trovando P ­ arigi

16. Prima edizione: L.-S. Mercier, L’An deux mille quatre cent quarante, rêve s’il en fut jamais, Van Harrevelt, Amsterdam 1770. 17. Si fa riferimento alla poderosa opera (in dodici volumi), già citata, dal titolo Tableau de Paris. 18. L. Béclard, Sébastien Mercier. Sa vie, son œuvre, son temps d’après des documents inédits. Avant la Révolution (1740-1789), Champion, Paris 1903; poi ristampato da Georg Olms, New York 1982, p. 87.

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completamente trasformata, migliorata in ogni suo aspetto19. L’urbanistica è riorganizzata con assoluta razionalità, le strade sono larghe e pulite, la miseria non esiste più. Le virtù morali reggono ogni aspetto della vita, le professioni sono esercitate con coscienza e fedeltà, nello spazio pubblico come nello spazio domestico tutto è amministrato con armonia. Non vi sono eccessi nella distribuzione delle ricchezze e, così, sono state eliminate le disparità sociali più inique. Al potere vi è una monarchia moderata e illuminata, immune da rischi di tirannia, ben lontana dalla monarchia che è al governo nel momento storico in cui l’autore scrive. Nel 2440 la schiavitù è abolita e si moltiplicano le conquiste della scienza. La Chiesa non ha più potere temporale, poiché la religione diviene una forma peculiare di deismo, fondata sul sentimento di gratitudine che ciascuno prova nei confronti di Dio per aver ricevuto l’opportunità di una vita felice. Lo scopo dichiarato del romanzo utopico è auspicare la costruzione di un mondo capace di ospitare la piena felicità dell’uomo. L’An 2440 è un’opera che riflette paradigmaticamente l’idea illuminista di progresso poiché guarda al futuro come ricettacolo di possibilità di miglioramento illimitato. Nell’ambito della letteratura dell’utopia, L’An 2440 è significativamente la prima opera che immagina la società ideale lontana nel tempo e non nello spazio. Da Moro a Bacone, l’utopia è situata in uno spazio altro, in un altrove lontano ma contemporaneo. Al contrario, con Mercier la città ideale è la stessa Parigi, proiettata avanti di secoli. È curioso osservare che Varrone nella satira Sexagesis20 19. In proposito, si vedano gli studi di R. Trousson, Introduction, in L.-S. Mercier, L’An 2440. Rêve s’il en fut jamais, Ducros, Paris 1971, pp. 7-73; A. Cloutier, Savoirs de l’uchronie: l’An 2440 (1771-1799) de Louis Sébastien Mercier (1740-1814) ou les lumières en question, tesi di laurea magistrale, Université Laval, 2002. 20. Varrone, Sexagesis, in Menippearum saturarum libri CL, o Saturae Menippeae, 64 a.C.

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abbia utilizzato il medesimo espediente narrativo di Mercier, ribaltandone il senso: il protagonista, un fanciullo romano di dieci anni, si addormenta e si sveglia a sessant’anni, in una Roma invasa dal degrado morale. La differenza fra le società future di L’An 2440 e Sexagesis è emblematica dell’idiosincrasia fra l’ordine del discorso degli antichi, per i quali il passato è riferimento morale assolutamente positivo da imitare per la costruzione del futuro, e quello dei moderni, che immaginano l’avvenire nella direzione del progresso. Il pensiero politico di Mercier ha un carattere non sistematico e si desume più chiaramente dal suo romanzo utopistico che dai suoi scritti politici in età rivoluzionaria. Malgrado ciò, è bene far presente che, mentre L’An 2440 giustifica un ideale regime monarchico con argomentazioni legate alla gestione pratica del potere, negli anni successivi l’autore si fa promotore di una forma governo repubblicana, prendendo a modello il regime rappresentativo inglese e la giovane repubblica americana. Risolutamente contrario al regime di Luigi XIV e XV, fra i rivoluzionari Mercier era vicino alle posizioni della Gironda. Nell’ottobre 1789 diventa direttore degli «Annales patriotiques et littéraires de la France et des affaires politiques de l’Europe»21, dove scrive fino al 1791. Collabora poi con diversi giornali, fra cui «Chronique du mois»22. Malgrado la sua ostilità al re, è importante ricordare il voto negativo di Mercier r­ iguardo 21. «Annales patriotiques et littéraires de la France et des affaires politiques de l’Europe», Journal libre, par une société des Ecrivains Patriotes, diretto da L.-S. Mercier, redattore capo M. Carra e poi M. Salaville, diffuso a Parigi e provincia, 1789-1796. 22. «Chronique du mois ou les Cahiers patriotiques», mensile, fondato da Clavière, Condorcet, Brissot, Mercier, Bonneville e altri autori «de l’imprimerie du Cercle Social». Si veda in proposito il capitolo Condorcet rédacteur de la Chronique du mois, in L. Gallois, L’Histoire des journaux et des journalistes de la Révolution française, Bureau de la Société de l’industrie fraternelle, Paris 1846.

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la sua condanna a morte. Egli resta convinto del fatto che l’esecuzione del sovrano sia una decisione pericolosa, finanche impolitica, ai danni di un ostaggio debole e inoffensivo che piuttosto sarebbe dovuto rimanere prigioniero a vita. Agli occhi di Mercier, la Repubblica poteva vivere senza la morte del re, la cui destituzione non aveva bisogno di macchiarsi di sangue per confermare la propria irreversibilità. Mercier polemizza contro gli eccessi del suo tempo. Strenuo oppositore dei Montagnardi e di Robespierre, viene arrestato il 3 ottobre 1793. Liberato il 24 ottobre 1794 dai termidoriani, non rinnega per questo le sue idee e non entra nei loro ranghi. Viene nominato membro dell’Istituto Nazionale nella classe delle scienze politiche e morali. Tale istituto si propone di sostituire le Accademie (che Mercier aveva contribuito a distruggere come membro del Comitato di istruzione pubblica) con una vera e propria repubblica delle scienze e delle lettere, strettamente legata alle pratiche di governo. Mercier svolge un’attività considerevole nell’Istituto e pronuncia discorsi contro l’elitarismo intellettuale e contro l’innatismo. Progressivamente assume un ruolo marginale nella scena pubblica, fino a quando, pronunciandosi contrario al cesarismo di Bonaparte, si condanna all’esilio politico e all’oblio letterario. Le sue opere vengono definitivamente censurate dal 1802 in poi. La vicenda politica di Mercier è percorsa dal desiderio di impegnarsi in prima persona nella scena pubblica, però egli non viene mai a patti con la linea politica dominante. Mercier accoglie con entusiasmo la rivoluzione, ma senza velleità di farsi capo di partito oppure oratore influente. La libertà della scrittura rimane il suo privilegiato campo d’azione politica23. 23. Sulla visione della rivoluzione di Mercier si vedano gli studi di H. Hofer, Mercier devant la Révolution, in J. Sgard (a cura di), L’Écrivain devant la Révolution, 1780-1800, Presses de l’Université Stendhal de Grenoble, Grenoble 1987, pp. 205-216; Id., Mercier et la Révolution, in P. Viallaneix (a cura di), Le

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Neologia: lingua e realtà La riflessione di Mercier sulla natura della lingua è da inserire nel movimento generale della sua opera letteraria e politica: «La neologia di Mercier deriva più da una poetica che da una teoria del linguaggio, e tale poetica è in se stessa una politica: è anzi la politica stessa, continuata con altri mezzi»24. Mercier non concepiva l’innovazione linguistica come attività tecnica, interna ad un campo specialistico del sapere e volta a supplire ai difetti della lingua. La Néologie ou Vocabulaire de mots nouveaux, à renouveler ou pris dans des acceptions nouvelles è un dizionario originale, che prende in considerazione neologismi, nomi comuni, termini dialettali, parole derivate da lingue straniere, vocaboli maschili femminilizzati e composti ibridi d’ogni sorta25. Mercier vuole indagare la lingua come si parla, come si dovrebbe parlare e come si parlerà. Egli non procede per definizioni, ma per citazioni ed esempi, dato che «una lingua è un fiume che niente può fermare, che si accresce lungo il suo corso, diventa più largo e più maestoso man mano che si allontana dalla fonte. […] Chi non riderebbe di un tribunale che dicesse: io fisserò la lingua?»26. La neologia

Préromantisme. Hypothèque ou hypothèse?, Klincksieck, Paris 1975; J. Sole, L’image de la Révolution française dans le Nouveau Paris de Louis Sébastien Mercier, in M. Vovelle (a cura di), L’Image de la Révolution française. Communications présentées lors du Congrès Mondial pour le Bicentenaire de la Révolution, Sorbonne, Paris, 6-12 juillet 1989, Pergamon Press, Paris-Oxford 1990, pp. 1899-1904. 24. P. Roger, “Libre et despote”: Mercier néologue, in J.-C. Bonnet (a cura di), Louis Sébastien Mercier (1740-1814), cit., p. 341. 25. Cfr. J.-C. Bonnet, La Néologie ou le dernier combat de L.-S. Mercier, in L.-S. Mercier, Néologie, Belin, Paris 2009, pp. I-XXXVII; M. Mormile, La Néologie révolutionnaire de Louis Sébastien Mercier, “Biblioteca di cultura”, Bulzoni Editore, Roma 1973. 26. L.-S. Mercier, Néologie ou Vocabulaire de mots nouveaux, à renouveler ou pris dans des acceptions nouvelles, Moussard, Paris 1801, pp. VII-VIII.

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è una questione alla moda a partire dagli anni 1770, essendo spesso connessa alla retorica rivoluzionaria. Ma l’opera di Mercier risulta originale perché esclude programmaticamente dal suo repertorio i neologismi strettamente legati alla rivoluzione, sostenendo che si tratta di parole troppo coinvolte nella turbolenza delle vicende storiche a lui contemporanee per poterle esaminare dal punto di vista teorico, tanto che egli stesso ammette di farne un uso per lo più emotivo. È comunque innegabile che la ricerca linguistica di Mercier sia favorita dal suo engagement politico e dal fermento intellettuale del tempo. Nel 1790, Mercier scrive sul giornale «La Bouche de fer»27, a fianco di personalità come l’abate Fauchet, eroe della Bastiglia e grande oratore, e Nicolas de Bonneville, scrittore mistico-politico, la cui predicazione rivoluzionaria è caratterizzata da bizzarri accenti etimologici. Come questi autori, ­Mercier esalta la creatività intrinseca alla lingua, nella convinzione che le parole e le cose contengano una medesima forza vitale: «Arrivare alla radice delle parole significa afferrare la radice delle cose: è la Parola che ha fatto ogni cosa, che ha creato l’ordine nell’universo; è la Parola che purifica, che rigenera, che salva, che ci guarisce, che ci incoraggia, che ci risveglia»28. Nonostante condivida con gli scrittori de «La Bouche de fer» l’idea di una coappartenenza originaria di politica e linguaggio, Mercier mantiene una posizione solitaria e non prende parte ai circoli impegnati nella rifondazione della lingua. La sua neologia è eminentemente privata e reclama un’autonomia radicale. L’autore si contrappone al grammatico, funzionario dell’addomesticamento e dell’immobilizzazione della parola.

27. «La Bouche de fer» è un giornale parigino pubblicato fra ottobre 1790 e luglio 1791. La sua redazione è composta principalmente da Nicolas de Bonneville e Claude Fauchet. «La Bouche de fer» è, di fatto, l’organo de Le Cercle Social e ne divulga le deliberazioni. 28. L.-S. Mercier, in «La Bouche de fer», 1 febbraio 1791.

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Secondo Mercier, non può esservi metodologia dell’inaudito. Egli non insegue forme ingenue di primitivismo, il suo spirito illuminista volge lo sguardo al futuro e preferisce assumere il punto di vista della creazione piuttosto che attingere alle sorgenti originarie della lingua. Nel rifiuto dei modelli dominanti, l’autore inventa un nuovo linguaggio, tanto in letteratura quanto a teatro. Il suo dizionario vuole arricchire la lingua francese e immaginare modi di dire per suggerire modi di stare nel mondo sempre nuovi: «La poesia non consiste nella ripetizione meccanica di parole concatenate fra loro o in figure retoriche cento volte ribattute»29. Di nuovo, il suo obiettivo polemico è l’Accademia, che pretende di fissare i limiti della lingua francese, mentre dappertutto sorgono nuove parole, fra le strade della Parigi rivoluzionaria come fra le pagine delle opere illuministe. Per comporre la lingua a venire, occorre liberarsi di qualsivoglia intellettualismo: «i popoli ancora barbari hanno senza dubbio una precisione più nervosa, un calore più vero»30. I grandi scrittori sono tutti Néologues, demiurghi della lingua, alla ricerca del punto estremo verso cui spingere il significante senza rompere la comunicazione. Contro la tirannia della grammatica, Mercier mette l’accento sulla creatività individuale. In questo quadro lingusitico, la parola è l’unità semantica fondamentale, poiché contiene una possibilità di senso che è pura δύναμις: «lingua di fuoco che fonde ogni cosa, cui niente può resistere»31. La parola ha in se stessa un vitalismo che precede gli schemi linguistici. Si instaura un legame fra linguaggio e mondo per cui l’uno è specchio dell’altro: «con la semplice parola, senza sintassi e senza grammatica, avrete sotto gli

29. L.-S. Mercier, Du théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, cit., p. 207. 30. L.-S. Mercier, De la littérature et des littérateurs, Yverdon 1778, p. 41. 31. J.-C. Bonnet, La Néologie ou le dernier combat de L.-S. Mercier, in L.-S. Mercier, Néologie, cit., p. XX.

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occhi un ritratto sintetico e fedele di tutte le immagini della natura»32. Senza sintassi e senza grammatica la parola non detta legge e si risolve nell’energia della creazione. La lingua di Mercier ha una portata politica priva di qualsivoglia carattere programmatico o ideologico. Essa contiene una possibilità poetica militante che attenta al reale e apre alla creazione: «Per Mercier scrivere è incontestabilmente un’azione politica, è la forma specifica e insostituibile dell’intervento dell’uomo di lettere nella vita della città»33. Così, la scrittura diviene uno strumento per restituire intensivamente lo spazio del mondo che l’autore attraversa.

Pittore di Parigi Mercier dipinge la fisionomia del suo tempo a partire dalle figure viventi che incontra lungo la strada. Nelle sue pagine la realtà concreta irrompe nella letteratura. Così avviene in tutte le sue composizioni, e in particolare ne Tableau de Paris34. Ritrattista di Parigi, Mercier modella la scrittura a immagine e somiglianza della strada. L’autore dimostra una vastissima erudizione, ma soprattutto un’illimitata curiosità. Si interessa alle arti liberali e meccaniche, attinge al metodo dell’inchiesta e del reportage, concede molte pagine alle descrizioni di tecniche artigianali e di mestieri. Egli ama indugiare nell’osservazione di dettagli ordinari e di scene familiari per ricostruire gli usi e costumi della sua epoca, dai più comuni ai più desueti35. 32. Ivi, p. XVIII. 33. M. Dorigny, Du “despotisme vertueux” à la république, in J.-C. Bonnet (a cura di), Louis Sébastien Mercier (1740-1814), cit., p. 246. 34. L.-S. Mercier, Tableau de Paris, cit. 35. Sulla polifonia dei ritratti urbani di Mercier, si rinvia a G. Boucher, Écrire le temps: les tableaux urbains de Louis Sébastien Mercier, Presses de l’Uni-

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È possibile definire Mercier un erede dell’enciclopedismo a causa del suo spirito realista, insofferente nei confronti delle gerarchie e delle poetiche precodificate. Tuttavia, egli è lontano dallo spirito tassonomico alla base dell’impresa enciclopedica. Mercier si contrappone al progetto di anatomizzare la realtà stilando cataloghi e inventari, riducendo la complessità del mondo a grandezze quantificabili, adottando un approccio analitico che tende all’universalizzazione della classificazione. Al contrario, egli coltiva il gusto del particolare, della qualità irriducibile allo schema. Il suo realismo36 non esprime alcuna volontà di padroneggiare il reale, si nutre invece dello stupore per la varietà delle forme di vita possibili. La sua propensione realista si combina con l’immaginazione, il suo sguardo è animato dal «piacere infantile di esprimere il carattere inesauribile del mondo»37. Le descrizioni di Mercier sono mediate da una sensibilità attenta che raccoglie la molteplicità delle impressioni e le restituisce nella narrazione. Il realismo della scrittura nasce nello sguardo dell’autore: «Impegnato ad ascoltare i rumori della strada e a squadrare i passanti con minuzia e passione, egli non obbedisce che a una sola ingiunzione, del tutto nuova: guarda»38. L’occhio è il tramite con cui Mercier versité de Montréal, Montréal 2014; E. Bourguinat, Les Rues de Paris au XVIIIe siècle: le regard de Louis Sébastien Mercier, “Carnavalet-Histoire de Paris”, Paris-Musées, Paris 1999; H. Cussac, Bonheur et Vie matérielle d’après le Tableau de Paris de Louis-Sébastien Mercier, in «Lumen», XIX, 2000, pp. 135-151; E. Kimminich, Louis Sébastien Mercier’s Tableau de Paris. Chaos and Structure, a Pace and a Glimpse, in «Romanistische Zeitschrift für Literaturgeschichte / Cahiers d’histoire des littératures romanes», XVIII, n. 3-4, 1994, pp. 263-282. 36. Per un’analisi del realismo di Mercier, si veda Y. Coste-Rooryck, Le pari fou de Louis-Sébastien Mercier dans le Tableau de Paris (1781-1789) et le Nouveau Paris (1799). Un réalisme militant, Honoré Champion, Paris 2009. 37. J.-C. Bonnet, La littérature et le réel, in J.-C. Bonnet (a cura di), Louis Sébastien Mercier (1740-1814), cit., p. 32. 38. J.-C. Bonnet, Introduction, cit., p. XVII.

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attraversa la città. Nel Tableau egli mette in pratica un motto che amava ripetere: «tutto è ottico»39. Ogni commento intellettuale, in quest’opera, sorge dall’osservazione diretta, con una spontaneità che non avanza pretese dogmatiche o normative. Da una parte, l’imperativo “guarda” è residuo del ritmo vertiginoso della città, che travolge il singolo nell’onda della massa, lasciandogli appena il tempo di vedere che cosa sta accadendo intorno a lui; d’altra parte, guardare è un’attività inattuale, nella città nessuno osserva, tutti sono alle prese di una qualche occupazione, di una forma del fare specifica40. Ecco perché gli occhi di Mercier sono interni al quadro che l’autore dipinge, eppure la posizione stessa dello sguardo è garanzia del suo ruolo di pittore: «Come possono gli occhi, colpiti ininterrottamente da un numero infinito di arti, mestieri, lavori e occupazioni, non aprirsi di buonora e contemplare – in un’epoca in cui nessuno perde tempo a contemplare? Eppure ovunque la scienza chiama e dice: vedete»41. Emerge qui lo spirito squisitamente moderno di Mercier, per cui l’osservazione è il principio della conoscenza, di contro ai richiami alle auctoritates dell’antichità. Talvolta, nel caleidoscopio dello spettacolo urbano, l’occhio si rilassa e perde il controllo, i profili rigidi delle cose si disperdono e prevale l’incanto della fantasticheria. Altre volte, accade che l’occhio detti la fisionomia reale del mondo. La scrittura

39. L.-S. Mercier, Le Nouveau Paris, Fuchs, Paris 1799, p. 878. 40. Un’analisi del regime ottico nella scrittura di Mercier è condotta in A. Cloutier, L’œil mobile: Louis Sébastien Mercier et l’écriture de l’instant, in «Lumen», XXIII, 2004, pp. 75-90; J.-R. Mantion, L’œil: modes d’emploi. Les psychés de Louis Sébastien Mercier, in J.-C. Bonnet (a cura di), Louis Sébastien Mercier (1740-1814), cit., pp. 153-198; S. Trégouët, La poétique du regard dans le Tableau de Paris de Louis Sébastien Mercier, tesi di laurea magistrale, Université de Montréal, 1998. 41. L.-S. Mercier, Tableau de Paris, cit., vol. I, p. 25.

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del Tableau cerca di riflettere lo sguardo senza ridondanti rielaborazioni teoriche: «Non ho scritto un inventario, né un catalogo. […] In quest’opera non ho fatto altro che usare il pennello del pittore e non ho concesso quasi nulla alla riflessione del filosofo. Sarebbe stato facile rendere questo Tableau un libro satirico, ma ho evitato con cura di farlo»42. Malgrado Mercier si dichiari esplicitamente pittore della città, è bene ricordare che egli attacca spesso la pittura, considerandola un’arte volta a pietrificare la natura in un’immagine artificiale. Preoccupandosi di salvaguardare la genuinità dello sguardo, Mercier ammonisce il suo pubblico: «un gusto affettato abitua l’occhio a imitazioni false e arbitrarie»43. D’altronde, l’autore ingaggia una polemica contro tutte le belle arti, sostenendo che gli artisti del suo tempo ripetano modelli sempre uguali, soprattutto di carattere mitologico. Se Platone criticava l’arte in quanto essa si limitava a copiare il reale, Mercier la critica in quanto si riduce a copiare se stessa. L’autore assume persino toni iconoclasti citando l’imperativo “Non ti farai immagine di me” sia nel Tableau44, sia nel Rapport et projet de résolution au nom d’une commission, sur la pétition des peintres, sculpteurs, graveurs, architectes, relativement au droit de patentes45, scritto in occasione della seduta del Consiglio dei Cinquecento del 15 vendemmiaio anno V (6 ottobre 1796). Il verdetto di ­Mercier è definitivo46: «Si dice comunemente che la pittura 42. Ivi, vol. I, pp. 14, 17. 43. Ivi, vol. II, p. 834. 44. Ivi, vol. II, p. 829. 45. L.-S. Mercier, Rapport et projet de résolution, au nom d’une commission, sur la pétition des peintres, sculpteurs, graveurs, architectes, relativement au droit de patentes par L.-S. Mercier, Imp. nationale, Paris 1797. 46. Nel capitolo XXXII de L’An 2440, intitolato Le Salon, vi è un apparente elogio della pittura. In realtà, la descrizione entusiasta del “salone morale” in cui sono esposti i dipinti implica indirettamente il rigetto di tutta la pittura precedente.

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è sorella della poesia. Sorella idiota»47. Svilita la pittura, che prolifera nell’ambiente artistico a lui contemporaneo, Mercier apprezza soltanto il disegno, più vicino alla scrittura, poiché lascia spazio all’immaginazione. Mercier è dunque pittore della città in maniera molto particolare, egli vuole sfuggire al pittoresco, per divenire, nella scrittura, specchio dello spazio che attraversa: «Io sono pittore e ogni dettaglio della vita umana mi appartiene, dalle decisioni dei re fino alla taverna»48. La poetica di Mercier è strettamente legata all’ambiente urbano49, tanto che egli potrebbe essere considerato precursore di tendenze che due secoli più tardi verranno definite psicogeografiche50. L’autore mette in questione l’identità spaziale tradizionale di Parigi, determinata, ad esempio, dai monumenti che celebrano il potere reale, dai luoghi consacrati alle istituzioni politiche e ai riti religiosi. A questa topografia dell’autorità Mercier contrappone il brulichio dei volti e delle arti, il rizoma della strada in cui si confondono tutte le classi. Al pedantismo ossequioso della tradizione, Mercier risponde con lo sguardo libero dell’esperienza, che è sempre singolare. In accordo con la sua passione per la fisiognomica, la strada di Mercier ha un volto, o meglio, raccoglie una moltitudine di volti come profili significanti. 47. L.-S. Mercier, Rapport et projet de résolution, cit., p. 2. 48. L.-S. Mercier, La brouette du vinaigrier, London-Paris 1775, poi ristampato da Nouveaux classiques Larousse, Paris 1972, p. 36. 49. Sul profilo peculiare che assume la città nelle opere di Mercier, rimandiamo a H.D. Hayer, Paris dans les Caractères de La Bruyère et dans le Tableau de Paris de Mercier, in Paris au XIXe siècle. Aspects d’un mythe littéraire, “Littératures et idéologies”, Presses Universitaires de Lyon, Lione 1984, pp. 27-46. 50. Testi fondanti la nozione di psicogeografia sono «Internationale Situationniste», n. 1, Paris 1958, tr. it., Internazionale Situazionista 1958-69, Nautilus, Torino 1994; G. Debord, Théorie de la dérive, in «Les Lèvres nues», n. 9, novembre 1956, Bruxelles.

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Il realismo del Tableau riflette la vocazione concreta della scrittura di Mercier. Infatti, egli è stato, oltre che drammaturgo, romanziere e uomo politico, anche giornalista51. I suoi primi articoli escono sul «Mercure» nel 1761. La passione giornalistica di Mercier rappresenta la sua attenzione al mondo della vita quotidiana: «Io ho il pensiero di ogni giorno, perché ogni giorno ha un punto di vista differente»52. Secondo Mercier, il giornale è lo strumento adatto a riflettere i grandi dibattiti della sua epoca, sia sul piano intellettuale, sia su quello estetico. Si tratta di una comunicazione breve, frammentaria e regolare, ideale per la «poetica del provvisorio»53 di Mercier. La medesima fascinazione del provvisorio sta alla base del rapporto ambivalente dell’autore con la moda. Come scrive Leopardi, la moda è sorella della morte, figlia anch’essa della caducità, disfa continuamente il mondo e rende ogni cosa provvisoria54. Da una parte, la moda è criticata da Mercier come inutile artificio legato all’aristocrazia, che tradizionalmente ama perdersi nella cura eccessiva dell’apparenza. D’altra parte, essa lo affascina giacché coincide con il regno del gusto, fatto di dettagli fantasiosi ed eccentrici. Inoltre, la moda è una delle pratiche culturali che riempiono la quotidianità

51. Sull’esperienza giornalistica di Mercier, F. Basani, Louis-Sébastien Mercier journaliste: un témoin de son temps, in «Recherches et travaux», n. 48, 1995, pp. 67-79; S. Charles, L’écrivain journaliste, in J.-C. Bonnet (a cura di), Louis Sébastien Mercier (1740-1814), cit., pp. 83-120; V. Costa, Le procès des journalistes du Parnasse par Mercier, in «Recherches et travaux», cit., pp. 81-93; P. Roger, Repentirs de plume: l’échec du journalisme révolutionnaire selon Mercier et Louvet, in «Revue d’histoire littéraire de la France», XC, n. 4-5, 1990, pp. 589-598. 52. L.-S. Mercier, Le censeur des journaux, Paris 1797. 53. S. Charles, L’écrivain journaliste, cit., p. 117. 54. Cfr. G. Leopardi, Dialogo della Moda e della Morte, in Id., Operette morali (1824), Einaudi, Torino 1976.

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cittadina: lo scorrere dei vestiti popola le strade di Parigi tanto quanto il rumoreggiare delle botteghe. Mercier si concentra sugli aspetti ordinari e provvisori dell’umanità, dipingendo l’abbigliamento, il cibo, i mestieri, i gesti, i riti, le credenze e i giochi del popolo di Parigi55. La sua opera offre numerosi spunti per una storia delle pratiche culturali popolari: «La descrizione del popolare avviene attraverso una rete lessicale che tenta di afferrare il popolo fra le sue maglie di definizioni, opposizioni, inventari e gerarchie, ma anche attraverso una pluralizzazione delle posture di enunciazione»56. Nelle opere di Mercier il popolo è protagonista ma anche, e soprattutto, destinatario57. Il suo pubblico non coincide con una classe sociale precisa, bensì con la totalità della popolazione. L’autore rivolge particolare attenzione alla sorte delle classi misere, infatti la populace, ovvero la canaglia, è al centro di diversi suoi drammi (ad esempio L’Indigent58). Mercier scrive che «il poeta è l’interprete degli infelici, l’oratore pubblico

55. Il ritratto della vita urbana si sofferma su particolari molto inusuali, come il rumore, l’inquinamento o gli odori dalla città, tratteggiandone i profili in una prospettiva quasi sensistica. In proposito, rinviamo a R. Mortier, Les odeurs de Paris, selon Louis-Sébastien Mercier, in U. Kölving - I. Passeron (a cura di), Sciences, musiques, Lumières. Mélanges offerts à Anne-Marie Chouillet, Centre international d’étude du XVIIIe siècle, Ferney-Voltaire 2002, pp. 343-347; J.-L. Vissière, Pollution et nuisances urbaines d’après le Tableau de Paris de Sébastien Mercier, in Centre aixois d’études et de recherches sur le XVIIIe siècle (a cura di), La Ville au XVIIIe siècle. Colloque d’Aix-en Provence (29 avril - 1er mai 1973), Édisud, Aix-en-Provence 1975, pp. 107-112. 56. P. Frantz, L’usage du peuple, in J.-C. Bonnet (a cura di), Louis Sébastien Mercier (1740-1814), cit., p. 61. 57. Sull’idea di popolo in Mercier, si veda R. Monnier, Tableaux croisés chez Mercier et Rutlidge. Le peuple de Paris et le plébéien anglais, in «Annales historiques de la Révolution française», n. 339, 2005, pp. 1-16. 58. L.-S. Mercier, L’indigent, Le Jay, Paris 1772.

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degli oppressi»59. Il suo teatro è strumento di denuncia delle ingiustizie, resistenza ai soprusi e speranza di emancipazione. Beninteso, Mercier ha coscienza di essere colui che dipinge il popolo, e quindi di occupare una posizione elitaria. Tuttavia, non si pone mai come spettatore comodamente esterno allo spettacolo disgraziato della populace. Lungi dall’indulgere a uno sguardo estetizzante, Mercier non si vergogna di mescolarsi alla canaglia e non si stanca di indignarsi osservando come muoiono d’intorno i suoi simili. L’autore insiste nel condannare le ingiustizie sociali, pur nutrendo la convinzione liberale che, in una certa misura, la disparità sia garanzia del progresso: «L’ineguaglianza è una condizione inevitabile del corpo sociale […] essa è il soffio vivente della grande società, risveglia gli spiriti, incoraggia i talenti, smuove le braccia, schiude la possibilità di comodità e ricchezze; quando l’uomo è ricco, non in modo opulento, egli è migliore»60. Malgrado ciò, per Mercier non è accettabile la miseria di interi strati sociali. La società deve creare ricchezze per tutti e il governo deve intervenire direttamente, all’occorrenza, per garantire ad ogni cittadino il diritto all’esistenza. Fra le pagine di Mercier, la difesa delle classi miserabili prende spesso sfumature cristiane (con inviti alla carità e alla compassione), ma la sua partecipazione alla situazione del popolo non è superficialmente legata ad una morale religiosa, né il suo punto di vista è esclusivamente emotivo. Egli guarda positivamente alla prospettiva di un ribaltamento sociale: «Tutto ciò che mescola i differenti strati della società ed è volto a rompere l’eccessiva ineguaglianza delle condizioni, fonte di tutti i mali, è buono, ­politicamente parlando»61. In

59. L.-S. Mercier, Du Théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, cit., p. 135. 60. L.-S. Mercier, Mon bonnet de nuit, 2 voll., Société typographique, ­Neuchâtel 1784; versione ampliata e corretta, 4 voll., 1784-86, vol. II, p. 357. 61. L.-S. Mercier, La brouette du vinaigrier, cit., p. 32.

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­ roposito, è interessante la fascinazione di Mercier per i mop menti carnevaleschi che mettono in questione le classi e capovolgono l’ordine dei ruoli sociali. D’altronde, la trasgressione e il grottesco sono elementi ben presenti anche nei suoi drammi: per esempio, egli dipinge Luigi XI come un re vigliacco e superstizioso62, Filippo II che si nutre di latte materno63, Carlo II disperso in un bordello64. Il realismo burlesco di Mercier si propone di svuotare di senso l’autorità sacrale del potere assoluto, così come la rigidità delle gerarchie sociali.

L’invenzione del dramma «Mercier rifiuta di essere cattedratico [cathédrant65], di fondare una scuola o di lasciare in eredità una poetica compiuta. Egli preferisce il movimento rapido della scrittura»66. Probabilmente anche per questo il nome di Mercier è pressoché caduto nell’oblio, la sua opera è appena citata nelle storie del teatro e della letteratura. Mentre è in vita questa sorte comincia già a profilarsi, soprattutto in patria, dove la sua originalità gli costa un progressivo isolamento. Alcuni critici sostengono che ­Mercier fosse più noto all’estero che in Francia. È stato molto apprezzato in Germania ed ha avuto una considerevole influenza sullo Sturm und Drang. Diverse opere di Mercier sono state tradotte in tedesco nel corso degli anni 62. L.-S. Mercier, La mort de Louis XI, roi de France, Société typographique, Neuchâtel 1783. 63. L.-S. Mercier, Portrait de Philippe II, roi d’Espagne, Amsterdam 1785. 64. L.-S. Mercier, Charles II, roi d’Angleterre, en certain lieu, Venezia-Paris 1789. 65. Si veda l’articolo Cathédrant, in L.-S. Mercier, Néologie, cit. 66. J.-C. Bonnet, Introduction, cit., p. XVII.

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1770. Conscio di questo successo, Mercier si è sempre sentito legato alla cultura tedesca67. Egli ha cercato di promuovere la diffusione in Francia della filosofia di Kant, insieme a intellettuali come Charles de Villers. Ma la Germania non è il solo interlocutore del drammaturgo al di là dei confini francesi, la sua opera è anzi caratterizzata da un vero e proprio cosmopolitismo culturale. Particolarmente rilevante è il rapporto di Mercier con l’Inghilterra. In particolare, egli ritiene che il teatro inglese racchiuda un repertorio culturale senza pari. Mercier definisce Shakespeare il drammaturgo per eccellenza, i cui capolavori sfuggono alla rigidità delle regole della tradizione: «Shakespeare dimostra in maniera convincente che il poeta è padrone di modificare l’azione a suo piacimento»68. Durante il suo soggiorno a Londra nel 1780, Mercier osserva che le disparità sociali sono meno evidenti in Inghilterra che in Francia. Ad esempio, egli rimane colpito dalla differenza fra i dintorni di Parigi, punteggiati di sfarzosi castelli o ricolmi di case miserabili e insalubri, e i dintorni di Londra, caratterizzati da praterie, edifici molto semplici e palazzi modesti. Negli anni 1780 la scena politica inglese costituisce, agli occhi di Mercier, il paradigma della libertà repubblicana. Poi, durante il periodo

67. Sui legami fra Mercier e la cultura tedesca, si fa riferimento a H. Beriger, Mercier et le «Sturm und Drang», in H. Hofer (a cura di), Louis-­Sébastien Mercier précurseur et sa fortune, Wilhelm Fink Verlag, Monaco 1977, pp. 47-72; H. Hofer, Mercier admirateur de l’Allemagne et ses reflets dans le préclassicisme et le classicisme allemands, in Id. (a cura di), Louis-Sébastien Mercier précurseur et sa fortune, cit., pp. 73-116; E. McInnes, Louis Sébastien M ­ ercier and the Drama of the Sturm und Drang, in «Publications of the English Goethe Society», n. 54, 1985, pp. 76-100; D.A. Streckeisen, Le romantisme allemand et Mercier, in H. Hofer (a cura di), Louis-Sébastien Mercier précurseur et sa fortune, cit., pp. 117-134. 68. L.-S. Mercier, De la littérature et des littérateurs. Suivi d’un Nouvel examen de la tragédie française, Yverdon 1778, p. 123.

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rivoluzionario, questo riferimento politico perde consistenza, dato che in Inghilterra si trovano strenui oppositori della rivoluzione francese e, in generale, il sistema inglese ha sempre conferito grande importanza all’aristocrazia69. Inoltre, Mercier ha avuto grande fortuna in Italia. Le sue opere vengono tradotte e stampate a Venezia, Torino, Firenze e Napoli. Egli è conosciuto da Vittorio Alfieri70 e Carlo Goldoni71. I drammi di Mercier vengono rappresentati nei palazzi e nelle ville degli aristocratici, ma anche in pubblico. Il primo spettacolo italiano di cui si abbia notizia è Il disertore, messo in scena a Venezia nel 1771. La traduttrice della maggior parte delle sue opere è Elisabetta Caminer Turra, la quale contribuisce alla diffusione di Mercier come modello per una nuova drammaturgia in Italia72. Le pièces francesi vengono spesso

69. Sulla visione di Mercier dell’Inghilterra e le sue contraddizioni si veda lo studio di J. Gilet, Le modèle anglais: histoire d’un revirement, in J.-C. Bonnet (a cura di), Louis Sébastien Mercier (1740-1814), cit., pp. 375-396. 70. Sulle relazioni fra Alfieri e Mercier, rimandiamo a C. Cederna, Vittorio Alfieri e Louis-Sébastien Mercier: l’homme de lettres entre déception et néologie, in «Revue des études italiennes», L, n. 1-2, 2004, pp. 201-213. 71. Ecco un passaggio in cui Goldoni cita, con tono ironico e polemico, il Tableau de Paris e il teatro di Mercier: «Questa appunto sarebbe l’occasione di far parola del quadro di Parigi del signor Mercier, ma lo confesso schiettamente, io mi trovo su questo proposito imbrogliatissimo: professo molta simpatia all’autore, ma son poi irritatissimo contro la di lui opera. Nulla sa trovar di bello, di buono, o di soffribile in Parigi; ma si suol dire, che chi prova troppo, non prova nulla; onde siccome il signor Mercier aveva fatto precedentemente piangere il pubblico con la rappresentazione delle sue drammatiche composizioni, è forza credere che gli venisse idea di rallegrarle col curioso mezzo della lettura del suo nuovo libro» (C. Goldoni, Memorie del Signor Carlo Goldoni per servire all’istoria della sua vita e a quella del suo teatro, Bertini, Lucca 1811, tomo III, p. 183). 72. Si veda lo studio R. Unfer Lukoschik, Elisabetta Caminer Turra (17511796). Una letterata per l’Europa, in «Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati», serie VII, vol. VII, A, 1997, pp. 215-251.

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rappresentate con piccole modifiche, molto comuni al tempo, ad esempio il lieto fine obbligatorio e l’introduzione di scene comiche. Nonostante questi rimaneggiamenti, le opere di Mercier si pongono in controtendenza rispetto alla commedia all’italiana volta al puro intrattenimento. Il “dramma serio” di Mercier, secondo Elisabetta Caminer Turra, può colmare il vuoto lasciato dal declino della Commedia dell’arte. Secondo la traduttrice, si tratta di «opere di nuovo genere, che non possono assolutamente chiamarsi triviali, dato che le virtù e le passioni nobili non sono affatto triviali, ma d’altro canto non appartengono al genere tragico comunemente inteso, denominato sublime, dal momento che non sono messi in scena eroi o principi»73. I drammi di Mercier tracciano una terza via fra la commedia e la tragedia, configurandosi come un nuovo genere di teatro. Nell’opera Du théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, pubblicata nel 1773, Mercier disegna i contorni di un teatro intimamente connesso alla filosofia. L’interpretazione prevalente della sua drammaturgia, derivata dall’accurata analisi di Béclard, tende a mettere l’accento sul carattere moralista del teatro di Mercier, come se l’autore avesse «eretto il suo teatro alla maniera di una tribuna filosofica»74. Secondo Béclard, la scena di Mercier costituisce una vera e propria scuola delle virtù e dei doveri del cittadino, dove il poeta si fa istitutore dei costumi pubblici e privati. In realtà, è possibile ridimensionare quest’interpretazione considerando una declinazione del binomio filosofia-teatro in termini non esclusivamente moralistici. Innanzitutto, il profondo intreccio fra teatro e filosofia nelle opere di Mercier è legato alla situazione storica in cui egli

73. E.C. Turra, Composizioni teatrali moderne, 4 voll., Savioni, Venezia 1772, vol. 1, p. V. 74. L. Béclard, Sébastien Mercier, cit., p. VII.

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scrive. Mentre la censura tiene sotto controllo tutte le forme di comunicazione (in primis i giornali), la corte ha interesse ad incoraggiare il teatro, reputandolo un mezzo per divertire e distrarre i sudditi. Progressivamente i drammaturghi approfittano di questa possibilità ed il teatro diviene uno strumento di divulgazione per il pensiero libero, scagliandosi contro il fanatismo e la tirannia e offrendo lezioni di tolleranza, di fraternità e di impegno civile. La filosofia dei Lumi ha bisogno del teatro per comunicare con il popolo. In questo modo, vengono concepiti i drammi di Grimm, La Chaussée, Beaumarchais. Come questi autori, Mercier denuncia le convenzioni che paralizzano il teatro moderno e gli artifici inutili che inaridiscono gli intrecci. Infatti, gli autori non utilizzano il teatro come un semplice mezzo di comunicazione, ma ridiscutono, a partire dalle verità illuministe, le finalità degli spettacoli teatrali75. Mercier concepisce i suoi drammi sulla base della sua intensa avventura personale nella vita teatrale del tempo, con la volontà di mettere in discussione i rigidi schemi della tradizione. Egli prende le distanze dalle regole aristoteliche di unità di tempo, luogo ed azione, tramandate in maniera quasi sacramentale, e dagli espedienti utilizzati per far ridere o piangere

75. Al riguardo, è celebre il dibattito fra Rousseau e D’Alembert, che trova forma compiuta nella Lettres à M. D’Alembert sur les spectacles s­ critta da Jean-Jacques Rousseau nel 1758 in polemica con l’articolo Genève di D’Alembert, pubblicato nel tomo VII dell’Encyclopédie. Nell’articolo D’Alembert proponeva la costruzione di un teatro a Ginevra, città natale di Rousseau, nota per il calvinismo e il rigorismo in materia morale. Secondo D’Alembert, la presenza di un teatro avrebbe potuto lenire l’austerità dei costumi. Rousseau si oppone con forza a tale proposta, denunciando l’inutilità dei divertissements teatrali, contrapponendosi all’idea di catarsi aristotelica e sostenendo che gli spettacoli altro non sono che forme di illusione sul piano etico, apparenze in senso ontologico e sintomi di decadenza in ambito politico.

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in modo stereotipato. Tutto ciò costituisce, agli occhi del drammaturgo, un’eredità ingombrante di cui sbarazzarsi. Fra le pagine de Du Théâtre, il dramma si delinea innanzitutto per sottrazione, come un genere che sfugge ai modelli di teatro preesistenti. Nel dramma non vi è una linea tematica prevalente, si mescolano soggetti e materie differenti, di natura economica, sociale, morale, estetica, aneddotica. Mercier si propone di ridiscutere le codificazioni che separano i generi tradizionali. Se Diderot aveva denunciato l’insufficienza della dicotomia comico-drammatico, introducendo il “serio” come genere intermedio e rinvenendo un’estremizzazione del tragico nel “meraviglioso” e un’estremizzazione del comico nel “grottesco”76, Mercier arriva a disfare le pretese di verità dei generi stessi. Secondo l’autore, la tragedia antica contribuiva alla creazione di un immaginario collettivo, poiché rappresentava vicende strettamente legate alla vita pubblica della città. La tragedia parlava la lingua del popolo. Ma continuando a riprodurre le medesime tragedie in età moderna, esse non possono non assumere un aspetto caricaturale e apertamente artificiale. Mentre per gli antichi i personaggi tragici avevano una fisionomia familiare e un significato vivente, essi sono estranei alla modernità. Occorre smettere di copiare pedissequamente i classici e tentare, piuttosto, di ereditarne lo spirito. Tanto nella tragedia quanto nella commedia, l’assenza di verità risulta dalla ripetizione asfissiante dei medesimi tipi caratteriali, colpi di scena e intrighi. Per quanto riguarda la commedia, ­Mercier non si limita a constatare la differenza fra l’immaginario ­degli antichi e dei moderni, ma porta avanti una critica serrata ai personaggi comici, per lo più concepiti come soggetti uni­

76. Per la teoria del teatro di Diderot, facciamo riferimento in particolare alle tre Entretiens sur Le fils naturel (1757) e al Discours sur la poésie dramatique (1758).

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dimensionali, grotteschi e inverosimili. Il giudizio sulle pièce comiche del suo tempo è molto severo: La commedia in cui domina un carattere e tutti gli altri ne sono subordinati è senz’arte né verità; i personaggi non fanno che servire all’impalcatura narrativa e l’intrigo viene facilmente allo scoperto, se non riproduce il corso naturale degli eventi. Fra gli autori moderni, nessun difetto è più comune di questo: tracciare i caratteri drammatici a partire da un’idea astratta e credere che alcune idee personificate possano essere personaggi capaci di agire realmente in scena.77

La rappresentazione esasperata di un vizio o di una virtù fa dimenticare le luci e le ombre di un carattere. Questo tipo di personaggio si limita a riflettere una passione astratta. Nel panorama moderno, il commediografo di riferimento è M ­ olière, il quale, da una parte, viene biasimato da Mercier perché talvolta ha ceduto alla tentazione di mettere in scena soggetti caricaturali, ma, d’altra parte, viene lodato come grande uomo ed autore eccellente, che ha scelto di «lavorare su caratteri viventi e non sui libri, donde la grande somiglianza con gli uomini che tutti conosciamo»78. Il dramma di Mercier si differenzia tanto dalla tragedia quanto dalla commedia. I suoi personaggi non sono nobili eroi, né maschere buffe. Mercier si propone di ritrarre l’essere umano nell’eterogeneità della sua esperienza, che non si può ridurre al solo dolore o alle sole risate. L’autore mette in scena l’umanità ordinaria con l’intento di scoprirne sfaccettature impre-

77. L.-S. Mercier, Mon bonnet de nuit, cit., vol. III, p. 290. 78. L.-S. Mercier, Prefazione a Molière, in Id., Théâtre complet de M. Mercier, 4 voll., B. Vlam, Amsterdam, e J. Murray, Leida 1778-1784: I. Jenneval, Le déserteur, Olinde et Sophronie, L’indigent, Nathalie; II. Le juge, Le faux ami, Childeric I, Jean Hennuyer; III. L’indigent, La brouette du vinaigrier, Molière; IV. La destruction de la Ligue, Zoé, Les tombeaux de Vérone, qui vol. III, p. 222.

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vedibili: «È raro che un osservatore attento rivolga lo sguardo a coloro che gli sono più vicini. Ci sono uomini che vivono insieme per anni senza conoscersi, senza far attenzione a tratti caratteristici che colpirebbero immediatamente uno sguardo esterno»79. I drammi di Mercier abbracciano l’esperienza quotidiana nei suoi aspetti più alti e più bassi, rappresentando ogni classe sociale e ogni sentimento dell’animo umano a partire dall’osservazione vivente e partecipata del mondo. L’autore non si pone alcuna limitazione nella scelta dei soggetti, nel suo teatro vi è spazio sia per il tragico sia per il comico. Il termine “dramma”, dal greco δράω, significa letteralmente azione, e risulta particolarmente adeguato a designare il teatro di Mercier, per due motivi. In primo luogo, il “dramma” indica un genere abbastanza vasto da poter comprendere le differenti sfumature dell’umano che l’autore mette in scena, al di là delle demarcazioni arbitrarie che separano i generi tradizionali. In secondo luogo, Mercier esige che il suo dramma sia un’azione, ovvero che agisca sugli spettatori in maniera efficace, producendo degli effetti di verità nelle condotte, dando voce a forma di vita possibili. Il programma poetico di Mercier è anche un programma politico. La finalità fondamentale del dramma è la comunicazione con il pubblico, pertanto la declinazione politica del teatro coincide con la sua funzione pubblica: «Il linguaggio del tea­ tro è il solo che convenga alla moltitudine»80. Il pubblico di Mercier è il popolo, il quale, sebbene talvolta sia poco istruito, è dotato di una sensibilità indiscutibile ed è chiamato in causa dai temi rappresentati che toccano l’esperienza comune. Mercier prende a modello il teatro di Shakespeare, che realizza il miracolo di una comunione di intelligenza fra il poeta e il 79. L.-S. Mercier, Du Théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, cit., p. 177. 80. L.-S. Mercier, Mon bonnet de nuit, cit., vol. IV, p. 100.

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pubblico. Il popolo è pronto ad accogliere gli spunti offerti dal dramma senza pregiudizi intellettuali: «Quante volte la platea ha dimostrato di avere più spirito dell’autore!»81, ed il suo giudizio è il solo da tenere in considerazione: «Se mi si dirà che il popolo non capisce nulla di una pièce, allora risponderò che la pièce è imperfetta»82. A tal scopo, gli autori devono astenersi dall’utilizzare un idioma convenzionale, comprensibile solo dagli specialisti; al contrario, essi devono sforzarsi di trovare un linguaggio universalmente intellegibile: «Se gli intellettuali hanno acquisito conoscenze grazie a lunghi periodi di studio, se hanno perfezionato l’arte di sentire con l’abitudine di leggere, credono forse per questo di potersi erigere alla statura di giudici assoluti e approvare solo ciò che conviene loro? Essi non sono che la millesima parte del genere umano»83. I drammaturghi devono spogliarsi di qualsivoglia intellettualismo, per rendere le loro pièces parte integrante del mondo contemporaneo. Mercier dipinge l’umanità ordinaria in momenti di particolare intensità etica. Anche quando mette in scena le biografie di uomini illustri, come accade ad esempio in Molière84, La casa di Socrate85 e Montesquieu a Marsiglia86, l’autore rappresenta un paradigma di condotta all’interno di una cornice quotidiana.

81. L.-S. Mercier, Du Théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, cit., p. 202. 82. Ivi, p. 211. 83. Ivi, p. 210. 84. L.-S. Mercier, Molière, Amsterdam-Paris 1776. 85. L.-S. Mercier, La Maison de Socrate le sage, Duminil-Lesueur, Paris 1809. 86. L.-S. Mercier, Montesquieu à Marseille, J.P. Heubach et comp., ­Lausanne 1784, et Société typographique, Neuchâtel 1784. Per l’analisi di quest’opera rinviamo al saggio di introduzione a cura di A. Tagliapietra, Il dono segreto e il segreto del dono, vedi supra, pp. 9-37.

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Lungi dall’idea classica di eroismo, il modello etico ha la fisionomia di un soggetto reale, finanche di un uomo qualsiasi, che si rivela al contempo un grande uomo. Alla base delle pièces di Mercier vi sono spesso fatti storici realmente accaduti, che in scena rappresentano messaggi filosofici non didascalici, né mediati dalla distanza del sistema, ma incarnati immediatamente in una molteplicità multiforme di esempi viventi. Mettendo al centro dell’attenzione drammatica le qualità umane dei personaggi, Mercier introduce i valori filosofici solo in un secondo momento, così che la biografia diviene un veicolo per ispirare possibilità etiche ed estetiche. La scrittura di Mercier, attraverso un intreccio inedito fra vita, teatro e filosofia, apre orizzonti di senso a venire, restando sempre fedele ad una poetica della libertà.

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Nota biografica

1740. Louis-Sébastien Mercier nasce a Parigi, in quai de l’École, fra Pont-Neuf e Rue du Louvre, dove il padre JeanLouis Mercier possiede una bottega. 1743. Morte della madre. 1749. Frequenta il Collège des Quatre-Nations. 1760. Pubblica alcune eroidi in versi. 1763. È chiamato a Bordeaux per insegnare presso il Collège de la Madeleine. Pubblica alcune poesie e l’opera in prosa Le Bonheur des gens de lettres, seguita da Discours sur la lecture, composto nel 1764. 1765. Di ritorno a Parigi, Mercier progetta di partire per San Pietroburgo, ma non ottiene il passaporto. Compone alcuni elogi e racconti morali. 1769. Morte del padre. 1772. Primi successi grazie ai drammi Le Déserteur e L’Indigent, oltre che al romanzo L’ An 2440. Una versione successiva dell’opera verrà pubblicata nel 1786 in tre volumi.

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1773. Con lo scritto Du théâtre ou Nouvel Essai sur l’art dramatique, Mercier si inserisce nel dibattito teatrale contemporaneo e si confronta con le critiche dei giornali e dell’Accademia. Il libro appare come una dichiarazione di guerra nei confronti dei Comédiens-Français. 1775-1777. Diventa direttore del «Journal des dames», dove pubblica i primi testi su Parigi che saranno poi ripresi nel ­Tableau de Paris. 1778. Pubblicazione del saggio De la littérature et des littérateurs. Suivi d’un Nouvel examen de la tragédie française. 1780. Il giorno di Pasqua parte per Londra. Durante il soggiorno inglese prende appunti per il suo Parallèle de Paris et de Londres, pubblicato postumo. 1781. Appare la prima edizione del Tableau de Paris, in due volumi, edita dalla Société typographique di Neuchâtel. Per lavorare ad una versione più lunga del libro, Mercier lascia Parigi e si installa presso l’editore Fauche a Neuchâtel. 1783. Pubblicazione di altri volumi del Tableau de Paris e dei Portraits des rois de France. 1784. La Société typographique pubblica i primi due volumi di Mon bonnet de nuit, presentando l’opera come il seguito del Tableau de Paris. Il 31 maggio Mercier entra nella Compagnia dei Moschettieri di Neuchâtel. Il 24 luglio Enrico di Prussia lo riceve a Losanna. Coglie l’occasione per visitare Berna, Lucerna, Soletta e Zurigo. Nello stesso anno, pubblica Montesquieu à Marseille. 1786. L’edizione de Les Entretiens du Palais-Royal avviene a Parigi, dove Mercier è tornato definitivamente dalla primavera 1785.

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1787. Con la pubblicazione di Notions claires sur les gouvernements, per la prima volta, Mercier si pronuncia esplicitamente in questioni di teoria politica. Trascorre un soggiorno in ­Germania, dove assiste alla rappresentazione de I masnadieri di Schiller. 1789. Fonda gli «Annales patriotiques et littéraires de la France», dove scrive fino al 1791. 1791. Collabora con diversi giornali, fra cui «Chronique du mois», stampato al Cercle Social. Pubblica De Jean-Jacques Rousseau considéré comme l’un des premiers auteurs de la Révolution. Egli sarà fra i curatori, con l’abate Brizard, dell’edizione delle opere complete di Rousseau (1788-1793, trentasette volumi). Inizia a convivere con Louise Machard. 1792. Mercier viene eletto come deputato di Seine-et-Oise alla Convenzione. La sua linea politica è vicina alla Gironda. È membro del comitato di istruzione pubblica. Pubblica Fragments de politique et d’histoire e Fictions morales. 1793-1794. Il 7 gennaio tiene un discorso alla Convenzione in cui si pronuncia contrario alla condanna a morte di Luigi XVI. Il 18 giugno ha un’accesa discussione con Robespierre e, dopo aver firmato una petizione in favore dei Girondini, viene arrestato. Resta in carcere fino al 24 ottobre 1794. 1795. Mercier diventa membro dei Consiglio dei Cinquecento, dove siederà fino al 1797. Pronuncia una serie di discorsi a proposito della lotteria, dei mestieri e delle arti, delle sepolture private, della filosofia di Descartes. In polemica con gli Idéologues, cerca di diffondere i principi della filosofia kantiana. Viene nominato membro dell’Istituto e professore all’École Centrale. 1798. Esce Le Nouveau Paris, in sei volumi.

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1801. Pubblicazione della Néologie. 1803. Scrive Satires contre les astronomes. Pubblica inoltre un’opera polemica contro Copernico e Newton (1806) e Satires contre Racine et Boileau (1808). 1814. Mercier sposa Louise Machard e fa testamento in suo favore il 10 aprile. Muore il 25 aprile in Rue de Seine.

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Nota bibliografica

Opere di poesia Hécube et Pyrrhus, s.l. 1760. Philoctète à Péan, son père, s.l. 1762. Canacé à Macarée et Hypermnestre à Lyncée, héroïdes nouvelles par l’auteur d’Hécube, s.l. 1762. Hypermnestre à Lyncée, s.l. 1762. Médée à Jason, après le meurtre de ses enfants, s.l. 1763. Epître d’Héloïse à Abailard, London 1763. Sénèque mourant à Néron, Paris 1763. Crizéas et Zelmide, s.l. 1763. Elégies et Idylles, s.l. 1764. La boucle de cheveux enlevée, Amsterdam 1764. Héroïdes et autres pièces de poésie, Paris 1764. Calas sur l’échafaud, à ses juges, s.l. 1765. Le génie, London (Vve Duchesne, Paris) 1766.

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Lettre de Dulis à son ami, London (Vve Duchesne, Paris) 1767. Que notre âme peut se suffire à elle-même, London 1768. Les cerises, Le Jay, Paris 1769. Le chien après les moines, s.l. (Amsterdam) 1784. Les hospices, s.l. 1784. Philidor et Prothumie, seguito da La Sympathie, Paris 1793. Satires contre les astronomes, Terrelonge, Paris 1803. Satyres contre Racine et Boileau, Hénée, Paris 1808.

Opere di teatro Virginie, Vve Duchesne, Rennes-Paris 1767. Jenneval, ou le Barnevelt français, Le Jay, Paris 1769. Le déserteur, Le Jay, Paris 1770. Olinde et Sophronie, Le Jay, Paris 1770. Le faux ami, Le Jay, Paris 1772. L’indigent, Le Jay, Paris 1772. Œuvres dramatiques de M. Mercier, Le Jay, Paris 1772 (­Jenneval, Le déserteur, Olinde et Sophronie, L’indigent, Le faux ami). Jean Hennuyer évêque de Lizieux, London 1772. Childéric premier roi de France, Ruault, Paris 1774. Le juge, Ruault, Paris 1774. Nathalie, London (Ruault, Paris) 1775. La brouette du vinaigrier, London-Paris 1775.

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Molière, Amsterdam (Paris) 1776. Les comédiens, ou le foyer, Vve Duchesne Paris 1777. Le campagnard, ou le riche désabusé, Den Haag 1779. La demande imprévue, Vve Ballard et fils, Paris 1780. Le charlatan, ou le docteur Sacroton, Den Haag (Vve Ballard et fils, Paris) 1781. Le gentillâtre, Amsterdam (Vve Ballard et fils, Paris) 1781. L’homme de ma connaissance, Amsterdam (Vve Ballard et fils, Paris) 1781. La destruction de la Ligue, ou La réduction de Paris, Amsterdam 1782. L’habitant de la Guadeloupe, Société typographique, Neuchâtel 1782. Les tombeaux de Vérone, Société typographique, Neuchâtel 1782. Zoé, Société typographique, Neuchâtel 1782. La mort de Louis XI, roi de France, Société typographique, Neuchâtel 1783. Théâtre complet de M. Mercier, B. Vlam, Amsterdam, J. ­Murray, Leida 1778-1784, 4 voll.: I. Jenneval, Le déserteur, Olinde et Sophronie, L’indigent, Nathalie; II. Le juge, Le faux ami, Childeric I, Jean Hennuyer; III. L’indigent, La brouette du vinaigrier, Molière; IV. La destruction de la Ligue, Zoé, Les tombeaux de Vérone. Montesquieu à Marseille, J.P. Heubach et comp., Lausanne 1784 et Société typographique, Neuchâtel 1784. Portrait de Philippe II, roi d’Espagne, Amsterdam 1785.

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Histoire du despotisme et des cruautés horribles de Philippe II, roi d’Espagne, Amsterdam 1786. La maison de Molière, Guillot, Paris 1788. Le Nouveau Doyen de Killerine, Paris 1788. Charles II, roi d’Angleterre, en certain lieu, Venezia (Paris) 1789. Les crimes de Philippe II, roi d’Espagne, s.l. 1792. Le ci-devant noble, Imp. Du Cercle Social, Paris 1792. Le vieillard et ses trois filles, Imp. Du Cercle Social, Paris 1792. Fénelon dans son diocèse, Marchands de nouveautés, Paris 1794. Timon d’Athènes, T. Gérard, Paris 1794. Le libérateur, Imp. Du Cercle Social, Paris 1797. Hortense et d’Artamon, Imp. Du Cercle Social, Paris 1797. La Maison de Socrate le sage, Duminil-Lesueur, Paris 1809.

Memorie contro le compagnie teatrali, scritte in collaborazione Requête au roi pour le Sr. Mercier, défendeur, contre M.M. les premiers gentilhommes de la chambre de Sa Majesté, demandeurs. Question : la législation et la police des spectacles appartiennent-elles exclusivement à M.M. les premiers gentilhommes de la chambre du roi? (a firma Henrion), Vve Hérissant, Paris 1775. Premier mémoire pour le sieur Mercier contre la troupe des Comédiens François (a firma Henrion de Pansey), Vve Hérissant, Paris 1775.

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Mémoire à consulter et consultation pour le sieur Mercier contre la troupe des comédiens François ordinaires du roi (a firma Henrion de Pansey), Clousier, Paris 1775.

Opere di letteratura, storia, filosofia e altro Le bonheur des gens de lettres, Bordeaux 1763; London (Cailleau, Paris) 1766. Discours sur la lecture, Paris 1764. Saint-Preux à Wolmar après la mort de Julie, ou dernière lettre du roman de «La Nouvelle Héloïse», 1764 (questa lettera è stata inserita nell’edizione delle Œuvres complètes di Rousseau curata da Mercier, Paris 1788-93, tomo IV, alla fine de La Nouvelle Héloïse). Eloge de René Descartes par M. Mercier, Genève (Vve Pierres, Paris) 1765. Histoire d’Izerben, poète arabe, L. Cellot, Paris 1766. Des malheurs de la guerre et des avantages de la paix, L. ­Cellot, Paris 1767. La sympathie, Amsterdam 1767. Eloge de Charles V, roi de France, surnommé le Sage, Amsterdam 1767. L’homme sauvage, Vve Duchesne, Paris 1767. Zambeddin, histoire orientale, Amsterdam (Delalain, Paris) 1768. Songes philosophiques, Le Jay, London e Paris 1768. L’An deux mille quatre cent quarante, rêve s’il en fut jamais, Van Harrevelt, Amsterdam 1770; London 1785, 2 voll.;

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L’An deux mille quatre cent quarante, rêve s’il en fut jamais. Suivi de l’Homme de fer, songe, s.l. 1786, 3 voll.; Bresson et Carteret, Dugourd et Durand, Paris 1799, 3 voll. Songes d’un ermite, Hardy, Paris 1770. Du théâtre ou Nouvel essai sur l’art dramatique, Van Harrevelt, Amsterdam 1773. Jezennemours, Neuchâtel (Durand, Paris) 1776. Eloges et discours philosophiques qui ont concouru pour le prix de l’Académie française et de plusieurs autres académies, Van Harrevelt, Amsterdam 1776. Les hommes comme il y en a peu, et les génies comme il n’y en a point, contes moraux orientaux, persans, arabes, turcs, anglois, françois etc., les uns pour rire, les autres à dormir debout, Société typographique, Bouillon 1776. La vertu chancelante ou la vie de Mlle d’Amincourt, Liège (Moureau, Paris) 1778. De la littérature et des littérateurs. Suivi d’un Nouvel examen de la tragédie française, Yverdon 1778. Tableau de Paris, S. Fauche, Amburgo e Neuchâtel 1781, 2 voll.; nuova edizione ampliata e corretta, Amsterdam 17831788, 12 voll. Portraits des rois de France, Société typographique, Neuchâtel 1783. L’Homme sauvage, suivi de Les amours de Chérale, Société typographique, Neuchâtel 1784. Mon bonnet de nuit, Société typographique, Neuchâtel 1784, 2 voll.; versione ampliata e corretta 1784-86, 4 voll. L’Observateur de Paris et du royaume, ou Mémoires historiques et politiques, London 1785.

175

Histoire d’une jeune luthérienne, J. Witel, Neuchâtel 1785. Les entretiens du Palais-Royal de Paris, Buisson, Paris 1786. Mon bonnet du matin, J.-P. Heubach, Lausanne 1787. Notions claires sur les gouvernements, Amsterdam 1787. Tableau des empires ou Notions sur les gouvernements, Amsterdam 1788. Les entretiens du Jardin des Tuileries de Paris, Buisson, Paris 1788. Lettre au Roi, contenant un projet pour liquider en peu d’années toutes les dettes de l’Etat, soulageant […] le peuple du fardeau des impositions, Amsterdam-Paris 1789. Adieu à l’année 1789, s.l., s.d. Adresse de l’agriculture à M.M. de l’Assemblée nationale, régénératrice de l’empire français, Perlet, Paris 1791. De Jean-Jacques Rousseau considéré comme l’un des premiers auteurs de la Révolution, Buisson, Paris 1791, 2 voll. Réflexions d’un patriote: sur les assignats, sur les craintes d’une banqueroute nationale, sur les causes de la baisse des changes étrangers, sur l’organisation de la garde nationale, sur les finances et impositions, sur les assemblées primaires, sur les droits de patentes, avec une Adresse aux François, H.-J. Jansen, Paris 1792. Fictions morales, Imp. du Cercle Social, Paris 1792, 3 voll. Fragments de politique et d’histoire, Buisson, Paris 1792, 3 voll.  Le nouveau Paris, Fuchs, Paris 1798, 6 voll. Memorie diverse presentate a l’Institut in Mémoires de l’Institut, anno IX e X (1801-1802).

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Néologie ou Vocabulaire de mots nouveaux, à renouveler ou pris dans des acceptions nouvelles, Moussard, Paris 1801. Histoire de France, depuis Clovis jusqu’au règne de Louis XVI, Cérioux et Lepetit jeune, Paris 1802. Satires contre les astronomes, Terrelonge, Paris 1803. De l’impossibilité du système astronomique de Copernic et de Newton, Dentu, Paris 1806. L’Apollon pythique, ou des Arts matériellement imitatifs, Paris 1806. Satires contre Racine et Boileau, Hénée, Paris 1808.

Interventi politici relativi all’attività parlamentare Opinion de L.-S. Mercier, député du département de SeineOise à la Convention nationale sur Louis Capet etc., Restif, Paris 1793. Discours de L.-S. Mercier, prononcé le 18 floréal, sur René Descartes, Imp. nationale, Paris, an IV (1796). Rapport fait par L.-S. Mercier, fait au nom d’une commission spéciale, sur l’enseignement des langues vivantes, Imp. nationale, Paris an IV (1796). Second rapport de L.-S. Mercier, fait au nom d’une commission spéciale, sur l’enseignement des langues vivantes, Imp. nationale, Paris an V (1797). Rapport et projet de résolution, au nom d’une commission, sur la pétition des peintres, sculpteurs, graveurs, architectes, relativement au droit de patentes par L.-S. Mercier, Imp. nationale, Paris an V (1797).

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Motion d’ordre et discours, par L.-S. Mercier, sur le rétablissement d’une loterie nationale, Imp. nationale, Paris an V (1797). Opinion de Mercier sur le message du Directoire, converti en motion, tendant à astreindre les électeurs au serment décrété pour les fonctionnaires publics, Bertrand-Quinquet, Paris an V (1797).

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Indice

Introduzione Il dono segreto e il segreto del dono di Andrea Tagliapietra

p. 9

Montesquieu a Marsiglia Prefazione

p. 41

Personaggi

p. 45

Atto Primo

p. 47

Atto Secondo

p. 79

Atto Terzo

p. 101

Postfazione Louis-Sébastien Mercier: una poetica della libertà di Caterina Piccione

p. 135

Nota biografica

p. 165

Nota bibliografica

p. 169

Canone europeo | 4

Collana diretta da Andrea Tagliapietra Protagonista della pièce è un dono, il più incondizionato possibile, un dono che cela l’identità del donatore per non poter essere contraccambiato. L’accadimento narrato ha basi storiche reali: Montesquieu, durante un soggiorno a Marsiglia, viene a conoscenza della disgrazia che ha colpito una famiglia onesta e decide di riscattare il loro destino, mantenendo tuttavia segreta la propria identità. Comincia allora una sorta di giallo, alla ricerca di colui che ha salvato le sorti della famiglia, laddove la generosità di Montesquieu fugge (letteralmente!) ogni forma di riconoscenza e riconoscimento. Mettendo al centro dell’attenzione drammatica le qualità umane di Montesquieu, Mercier introduce la sua teoria politica solo in un secondo momento, così che la biografia si tratteggia come presupposto della sua filosofia. Nella scrittura di Mercier il gesto generoso di Montesquieu è un paradigma etico che, in maniera del tutto inedita, intreccia vita, teatro e filosofia.

ISBN EBOOK 9788855290098

€ 9,00