Metamorfosi. Libri VII-IX. Testo latino a fronte [Vol. 4] 8804604247, 9788804604242

Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classi

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Italian Pages 568 [571] Year 2011

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Metamorfosi. Libri VII-IX. Testo latino a fronte [Vol. 4]
 8804604247, 9788804604242

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Insieme all'Odissea, le Metamorfosi sono il libro più for­ tunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Dante e Shakespeare, pittori e scultori, musicisti e romanzieri di ogni paese e di ogni età lo hanno amato, riscritto, il­ lustrato, dipinto. È il libro che per la sua leggerezza, ra­ pidità, esattezza, visibilità e molteplicità ltalo Calvino affidava al terzo millennio. È la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il co­ smo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle Metamorfosi, le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in se­ quenza velocissima e cangiante. Con il quarto volume dell'opera giungiamo ai libri cen­ trali delle Metamorfosi, quelli che vanno dal VII al IX. Vi incontriamo vicende celeberrime: quella, furibonda, di Giasone e soprattutto di Medea durante e dopo la spedizione degli Argonauti, la prima che abbia solcato il mare; la terribile pestilenza di Egina; le storie tragi­ che di Cefalo e Procri, di Minosse e Scilla, di Ercole e Deianira; ma anche, all'estremo opposto, la favola de­ licatissima e commovente di Filemone e Baud, che gli interpreti del Medioevo cristiano seppero bene come spiegare. I due vecchi sposi ospitano Mercurio e Giove nella loro misera capanna, pronti persino a sacrificare la loro unica oca per sfamare degnamente gli dèi. Men­ tre le case dei loro vicini, che non hanno voluto acco­ gliere le divinità, vengono sommerse dalle acque, la po­ vera capanna è trasformata in un magnifico tempio ed essi stessi, che hanno espresso l'unico desiderio di mo­ rire nel medesimo istante, sono mutati in una quercia e un tiglio. Infine, le avventure e le sventure del più gran­ de architetto, artista e ingegnere del mito antico, Deda­ lo: il Labirinto e, insieme allo sfortunato figlio Icaro, il primo volo- che fa così il paio con la prima nave, Argo.

Ignotas animum dimittit in artes, dice Ovidio delle ali che Dedalo progetta: «si dedica a scienze sconosciute». Sarà l'epigrafe del primo romanzo di James Joyce, quel

Ritratto dell'artista da giovane che narra la formazione di Stephen Daedalus.

EdwardJ. Kenney è stato professore di latino nell'Uni­ versità di Cambridge. È uno dei maggiori studiosi al mondo di Ovidio, del quale ha curato gli Amori (I96I e I995), le Metamorfosi (I985), i Libri XVI-XXI delle Eroidi (I996), le poesie d'amore (I990) e d'esilio (I99Ù Con P. E. Easterling ha curato l'edizione degli Ovidiana Graeca (I965). Ha tradotto e commentato Vasino d'oro di Apuleio e curato l'edizione critica dell'Appendix Ver­ giliana (I966, con W.V. Clausen e altri), del Libro III del De rerum natura di Lucrezio (I97I), e delMoretum at­ tribuito a Virgilio (Ploughman's Lunch, I984). Ha pub­ blicato T he Classical Text: Aspects o/ Editing in the Age o/ the Printed Book (I974, trad. it. I995), e diretto, con W.V. Clausen, la sezione latina della Cambridge History o/ Classica! Literature (I982), che contiene anche nu­ merosi suoi contributi. Gioachino Chiarini insegna letteratura latina e storia del teatro classico all'Università di Siena e dirige il Centro Warburg Italia di Siena. Si occupa di teatro classico (La recita. Plauto, la /arsa, la festa, I98 32, e Introduzione a Plauto, I99I); di storia della cultura classica (Lessing e Plauto, I98 3); di poesia epica e di storia della narrativa (Odisseo. Il labirinto marino, I99I); di mito (l cieli del mito. Letteratura e cosmo da Omero ad Ovidio, 2005). Per la Fondazione Valla ha tradotto i Libri V-VII del­ le Storie contro i pagani di Orosio (I976), gli Atti e Pas­ sioni dei martiri (I987) e le Confessioni di sant'Agosti­ no (I992-97).

In sopracoperta: Mare Chagall, La caduta di Icaro (part.), 1974·77 Parigi, Musée National d'Art Moderne-Centre G. Pompidou © Collection Centre Pompidou, Dist. RMN/Droits réservés ©by SIAE 2o1r

SCRITTORI GRECI E LATINI

OVIDIO METAMORFOSI a cura di A. Barchiesi

Piano dell'opera Volwnel

Saggio introduttivo di C. Segal LIBRI 1-11 traduzione di L. Koch commento di A. Barchiesi Volwnell LIBRI ID-IV traduzione di L. Koch commento di A. Barchiesi e G. Rosati Volwneill LIBRIV-VI traduzione di G. Chiarini commento di G. Rosati VolwneiV LIBRIVIT-IX traduzione di G. Chiarini commento di E.J. Kenney VolwneV LIBRI X-X II traduzione di G. Chiarini commento diJ.D. Reed VolwneVI LIBRI XIII-XV traduzione di G. Chiarini commento di P. Hardie Testo critico basato sull'edizione oxoniense diR Tarrant

OVIDIO

METAMORFOSI Volume IV (Libri Vll-IX) a cura di Edward J. Kenney T esto critico basato sull'edizione oxoniense di Richard T arrant Traduzione di Gioachino Chiarini

FONDAZIONE LORENZO VALLA ARNOLDO MONDADORI EDITORE

Questo volume è stato pubblicato grazie alla collaborazione della Fondazione Cariplo

This edition repn-nted and translated, with additions, by Fondazione Lorenzo Val/a by a"angement with Ox/ord University Press. First published by Ox/ord University Press in 2004. Richard Ta"ant © 2004 Il commento di Edward J- Kenney è stato tradotto da Ilaria Marchesi

ISBN 978-88-04-60424-2

© Fondauone Lorenzo Valla 2011 I edizione maggzo 2011

www.librirnondadori.it

INDICE

rx XXXIX LXIX

Introduzione Abbreviazioni bibliografiche Nota al testo

TESTO E TRADUZIONE 3

Sigla

9

Libro settimo

77 147

Libro ottavo Libro nono

COMMENTO 209

Libro settimo

306

Libro ottavo Libro nono

394

INTRODUZIONE

Northcote mi chiese che cosa pensassi del Vica­ rio di Wakefield. Gli risposi: lo stesso che tutti. Lui disse che vi trovava quella commistione di

ridicolo e patetico che gli era particolarmente gradita: lo rendeva, infatti, più profondamen­ te simile alla natura. Questo, riteneva, è ciò che permette a Shakespeare di mischiare farsa e tra­ gedia; la vita stessa è una tragicommedia. Non c'è niente di puro; niente tinte unite. Metti di stare andando ad assistere a un'esecuzione e di vedere, per caso, una fruttivendola che si dispe­ ra a morte perché il banchetto le è stato rove­ sciato: come fai a non sorridere? W. Hazlitt,

Conversations o/James Northcote, Esq. RA. (I8Jo)

Una storia è un oggettino di pregio che possiede, come si dice, «preparazione» e «soluzione», mentre la vita è un oggetto rozzo e sfuggente, inconcludente nei periodi e con pessimo senso delle soluzioni. A dire il vero, la morte (una real­ tà dalla durata parecchio incerta) è la sola nota misurata che vi risuona. E persino la morte ha la brutta abitudine di mettere in moto altre cose. Stacy Aumonier, «Them Others», in Up and Down (1929)

I Si potrebbe pensare che, trovandosi al centro del poema, i libri VII­ IX delle Metamorfosi godessero di un qualche statuto speciale, in particolar modo il libro VIIP. Tuttavia, i numerosi tentativi di sco­ prire e misurare il valore letterario della struttura delle Metamor­ fosi non hanno prodotto risultati di rilievo, e, anzi, hanno finito per annullarsi a vicenda2• Analisi critiche di questo tipo, condotte attraverso continue riletture a freddo, finiscono per costruire edi­ fici perfettamente simmetrici di storie contrastanti o complemen­ tari, che a loro volta si sviluppano in costruzioni sempre più impo­ nenti, fino a occupare l'intero poema. Sono costruzioni che fanno bella impressione sulla pagina stampata, ma hanno poco a che fare con l'esperienza di una lettura ininterrotta. Le Metamorfosi sono un perpetuum carmen nel senso più stretto del termine: un poema che trascina senza sforzo i suoi lettori nella corrente di una narra­ zione che è a tratti rapida, a tratti rilassata e che di tanto in tanto si apre in un lago più calmo o in un'ansa pittoresca, solo per riget­ tarsi poi improvvisamente nel corso principale, scivolando verso nuove scene che impongono reazioni emotive e intellettuali sempre nuove. Le Metamorfosi sono, tra le molte altre cose (e questo non è l'ultimo tentativo di fornirne una definizione), un'epica della sor­ presa3. Raramente Ovidio è prevedibile: spesso un'idea apparente­ mente banale si rivela invece ironica o sovversiva. È il caso, p. es., della ripetizione di una similitudine à la Apollonio che, ben !ungi dall'intensificare l'impressione di terrore creata dai famosi tori di

1

Ved. Moritz I968; Crabbe I98 1.

2 Ved.le riserve avanzate, a ragione, da Glei 2ooi, p. I6 a proposito dei tentativi di schematizzare gli Argonautica. 3 Cfr. l'indice di Tissol I997, s. u. > a VII 63. Lo stesso gioco di parole a Pont. m 3, 44 Py­ thagorae ... /erunt non nocuisse Numam («dicono che Numa non recò danno aPi­ tagora>>); cfr. Fasti m 1 s 3 siue hoc a Samio doctus ecc. Che Ovidio stesse pensan­ do a Ennio qui è possibile, anche se forse non probabile (Skutsch 1985, pp. 263-4). 2Per una completa disamina, ved. Myers 1994, pp. 133-66. 3 Ved. p. es. XV 153-5; cfr. Coleman 1971, p. 463. 4 Apollonio, I 496- s 11; Virgilio, Aen. I 740-6; cfr. il discorso di Anchise sulla natura dell'anima, Aen. VI 724-51 e Austin 1977, ad loc. 5 Met. XV 255-7; cfr. Lucrezio, I 670-1. 6 Cfr. Otis 1970, pp. 199, z8o; Myers 1994, p. 166. Quanto seriamente dobbiamo considerare l'apoteosi di Augusto, se il comportamento di Giove, con cui l'impe­ ratore è implicitamente identificato, è passato al vaglio nd poema? Cfr. Coleman 1971, p. 476.

INTRODUZIONE

XIX

Giunto ai versi finali, il poema torna su sé stesso: all'inizio l'ani­ mus del poeta lo aveva trasportato tra «cose nuove», che si era­ no rivelate un intero nuovo mondo, creato dal suo genio; adesso è l'anima1, che coincide con la sua creazione2, a essere trasportata in regioni sublimi e a durare quanto la creazione stessa. n terzultimo verso, quaque patet domitis Romana potentia tems, richiama quan­ to Orazio e Virgilio avevano affermato prima di Ovidio, cioè che sarebbero stati letti per tutto il tempo in cui sarebbe durata la po­ tenza di Roma3• Nel suo discorso, tuttavia, Pitagora aveva stabilito che tutte le cose materiali alla fine debbono perire, inclusa Roma, che nella profezia compare all'ultimo posto di una lista di gran­ di potenze che sono, a una a una, entrate in crisi e poi scomparse (XV 418-35). Ovidio, insomma, prevede che lo si leggerà in tut­ ti i luoghi su cui si estendeva in quel momento la dominazione di Roma, il che equivale- secondo la leggenda augustea che apparen­ temente sta propagando- al mondo intero; contemporaneamente, nei Fasti, proclamava che Romanae spatium est Vrbis et orbis idem (> (Wheeler 1999. p. 37). 3 Carm. m 30, 6-9; Aen. IX 446-9. 4 Cfr. Solodow 1988, pp. 221-2.

XX

EDWARDJ. KENNEY

IV Che le Metamorfosi siano prima di tutto un poema piacevole a leg­ gersi potrebbe sembrare così ovvio da non doverlo ripetere qui, anche se a volte la ricerca di significati critici può far perdere di vista quanto suggerisce la semplice esperienza di lettura. C'è, però, una domanda che è legittimo porre a questo, come a ogni altro li­ bro: ci fa pensare? Per citare il centurione arruffato di Persio, cur quis non prandeat hoc est?, o, come avrebbe potuto dire Samuel Johnson, «è un poema a cui si può invitare qualcuno?». n piace­ re della lettura è qualcosa che dobbiamo goderci gratuitamente (ammesso e non concesso che questo sia mai possibile), o serve a veicolare un significato? È il miele con cui sono cosparsi i bordi di una tazza che può lasciare in bocca un sapore amaro? A prima vista, le Metamorfosi potrebbero essere etichettate come un'ope­ ra «escapista»1• Dopo tutto, il lettore viene trasportato in quello che (per usare un termine corrente) potremmo chiamare un mon­ do «virtuale»: uno stupendo universo parallelo, pieno di meravi­ glie non meno che di pericoli, in cui tutte le grandi e gravi incer­ tezze dell'esistenza terrena sono portate al limite. È un mondo in cui l'unica costante è il cambiamento, in cui non esistono iden­ tità sicure. n carattere arbitrario della potenza, qualunque essa sia, occulta e imponderabile, che è preposta a questo mondo si rispecchia nel capriccio degli dèi e nell'incostanza della giustizia che amministrano; non mancano i casi in cui sono essi a cader­ ne vittima. Non è un ambiente amichevole. Le vicende si conclu­ dono in modo positivo solo di rado; e quando lo fanno al letto­ re non è mai dato il tempo di assaporarle a lungo. All'immagine idilliaca della religiosità, della fedeltà coniugale e del sereno ap­ pagamento che irradia dalla storia di Filemone e Bauci seguono immediatamente, lacerandola, le scene di follia, sacrilegio e auto­ fagia in quella di Erisittone. n quadretto di felicità maritale su cui si chiude la storia di Ifi (un intermezzo di religiosità premiata, in­ castrato tra due esempi estremi del suo opposto) sfuma in quel­ lo di Imeneo, che si dirige in volo verso un altro matrimonio gra­ vido, questa volta, di presagi funesti immediatamente realizzati. 1 Comunque un'etichetta insoddisfacente e problematica: tutta l'arte offre una via di fuga, se pure temporanea, dalla prigione dell'esistenza quotidiana.

INTRODUZIONE

XXI

L'incantevole fantasia di Pigmalione, nella quale i desideri si av­ verano, sfocia in una vicenda di libido incestuosa da cui si genera una creatura alla quale è riservata una morte tragica e prematura (X 293 sgg.). E questi sono solo alcuni dei molti esempi possibili. Eppure Ovidio riesce, in qualche modo, a far virare quella che a tutti gli effetti dovrebbe essere una visione deprimente della con­ dizione umana in qualcosa di simile a una commedia all'italiana di dimensioni cosmiche. Leggendo le Metamorfosi si è costante­ mente messi di fronte all'aforisma preferito di Horace Walpole, cioè che la vita è una commedia per chi usa la testa, una tragedia per chi usa il cuore. È una reazione, questa, forse un po' superficiale, ma che invita a riflettere. Se è vero che nel teatro è stata la tragedia a fare la par­ te del leone- accaparrandosi la maggior parte dell'attenzione cri­ tica e finendo per essere considerata il veicolo per un'esperienza più nobile ed edificante della commedia- è anche vero che le cose non stanno proprio così nella percezione dei più. Riuscire a con­ servare, nella battaglia quotidiana della vita, una misura di umo­ rismo è almeno altrettanto importante che avere la capacità di ri­ spondere alla tragedia, in qualsiasi modo i critici abbiano deciso che si debba fare. L'ironia e l'umorismo, che non si fa mai troppa fatica a trovare sotto la superficie anche dei più patetici o grotte­ schi tra gli episodi delle Metamorfosi, sono un buon indice di ciò che, in sostanza, è al centro del poema: l'invincibilità dello spirito umano. Di questo, in fondo, trattano tutte le commedie, che siano raffinate o popolari, dal Candide ai fratelli Marx 1• Se l'arte è ciq che gli esseri umani sanno trarre da quanto tocca loro sperimenta­ re e subire, le Metamorfosi sono un'epica del pathos2• li tema che il testo annuncia fin dall'inizio è la metamorfosi, ma quello è sola­ mente lo scenario materiale, la premessa da cui scaturisce l'azione epica, che si gioca, invece, sul piano spirituale. La concezione che Ovidio ha dell'universo e che riversa nella fantasmagoria esagera­ ta dell'azione narrativa è di stampo lucreziano: tanta stat praedi-

1 Ved. il saggio, ormai classico, di George Orwell,