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Italian Pages 218 Year 2019
2019
Manuale di preparazione per il CONCORSO A CATTEDRA tutti i gradi di istruzione
www.centrostudisocrate.net Formia, Via Lavanga 136 tel.0771.21604 ISBN 9788855270151 PREZZO 24,90 €
Prefazione
Vivere la scuola oggi significa cavalcare quotidianamente l’onda del cambiamento e dell’innovazione. I docenti e coloro che si apprestano ad avviarsi verso questa professione, devono tenere presente che, scegliere di fare l’insegnante, significa essere pronti a mettersi in discussione tutti giorni della propria vita lavorativa. Questo, è un compito arduo, in quanto i docenti sono chiamati ad essere i protagonisti in una società che si evolve e in un’organizzazione scolastica che inevitabilmente è co-protagonista di questo cambiamento. Cambia la società, cambiano gli indicatori economici, cambiano le connotazioni familiari, ma la necessità della cultura resta, diventando sempre più importante, in quanto affonda le sue radici nella necessità di una scolarizzazione globale: diffondere cultura significa spargere semi di libertà nel nostro mondo. La scuola italiana è pioniera nell’innovazione e nella cultura pedagogica internazionale e i docenti italiani hanno la responsabilità di portare avanti l’esigenza dell’eccellenza nostrana. Questo manuale, nasce dopo vent’anni di formazione docenti, vent’anni di approfondimenti e nuove sfide: vent’anni di scuola nella scuola! È uno strumento che dovrebbe essere sulla scrivania di ogni docente e di tutti coloro che decidono di accostarsi al mondo scuola, per consentire un approfondimento sulla legislazione, sulla pedagogia, sulla metodologia: è un ottimo strumento di studio per affrontare concorsi o semplicemente per formarsi ulteriormente. È importante però comprendere, che i docenti non sono solo degli studiosi, ma devono essere anche degli ottimi comunicatori. Essere buoni insegnanti non significa infatti essere preparati, ma anche essere ottimi comunicatori. L’approssimazione culturale ed empatica e il mestiere di docente, rappresentano una dicotomia aberrante. Diversi anni fa, ero poco più di una bambina, sono stata catapultata in una realtà magica: ho avuto l’onore di frequentare, per diversi anni, il Conservatorio di Musica non portando però a compimento il percorso di formazione iniziato. Perché vi racconto questo? Perché è un ottimo aneddoto!
1
Ho vissuto per anni in un ambiente socio-culturale privilegiato in cui tutti i giorni ho respirato arte e cultura, e tutto ciò mi riempiva l’anima. Ricordo ancora la calma e la lentezza con la quale attraversavo i lunghi corridoi del Conservatorio e l’attenzione con la quale accostavo le orecchie ad ogni singola porta, per captarne suoni e melodie: dal contrabbasso al pianoforte, dal violino al canto lirico, dalla viola al clarinetto. E poi c’erano loro: i musicisti. Io non mi sentivo certo parte di quella categoria, non ero bizzarra e assorta, non avevo la musica che mi scorreva nelle vene: ma ero una loro grande fan. Come ho detto all’inizio, non ho mai portato a compimento il mio percorso e c’è un perché: ho avuto un grande maestro, un concertista e artista di alto spessore che aveva girato le sale da concerto più belle al mondo: da Mosca alla Cina, dall’Europa all’America. In quella stanza del Conservatorio, avrebbe dovuto dedicarsi a me, alla mia crescita musicale e artistica. Il mio maestro, tuttavia, era un genio, una persona che aveva la musica che gli scorreva nelle vene e che quando prendeva la chitarra in mano, la musica sembrava uscirgli dall’anima e non ce la faceva proprio a capire le mie difficoltà, perché per lui era tutto troppo naturale e tutto troppo scontato per poterlo trasmettere, o semplicemente spiegare: il mio maestro nel suo essere eccezionalmente bravo, aveva un grande problema, non sapeva insegnare. Essere un buon insegnante, pertanto, non significa solo “sapere”, ma anche “saper trasmettere”, “saper aiutare a comprendere”, “saper guidare alla scoperta di sé”: essere insegnanti significa essere dei comunicatori efficaci. Questo manuale ha tuttavia un limite; non vi insegnerà l’empatia, non vi trasmetterà la passione e l’amore con i quali ogni giorno tutti gli autori di questo libro entrano nelle classi, perché l’empatia e l’intelligenza emotiva si apprendono e si insegnano. Terminato di studiare questo manuale, continuate a lavorare su di voi per diventare i docenti che avreste voluto avere! Buono studio Prof.ssa Irene Viola
2
Ringraziamenti Ringrazio i miei genitori, grazie a loro ho potuto creare, dal nulla, quello che mi piace definire “il mio primo figlio”: il Centro Studi Socrate di Formia. Grazie a tutte le persone che negli anni si sono rivolte alla mia scuola per approfondire le proprie conoscenze, perché le loro richieste sono state la spinta verso una personale e continua formazione. Un ringraziamento speciale al gruppo di colleghe con cui sto lavorando per il concorso straordinario 2018: le loro domande, le loro considerazioni, i loro timori e le loro competenze, mi hanno reso una persona migliore. In questo manuale è presente il contributo di ognuna di loro. Grazie a tutte le colleghe che mi hanno aiutato a correggere il manuale perché sono speciali. Infine, ma non ultimo per importanza, un grazie speciale alle colleghe che hanno lavorato per noi e con noi, perché il loro lavoro di ricerca è tutto raccolto in queste pagine e sarà lo strumento attraverso il quale tanti aspiranti docenti riusciranno a realizzare il loro sogno: insegnare!
Autori: Avv. Angela Fleri; Avv. Flora Francesca Graziano; Maestra Maria GabriellaNatale; Prof.ssa Maria Paola Ricca; Prof.re Sebastiano Anello; Ingegnere Antonella Gargiulo; Prof.ssa Irene Viola.
Seconda edizione integrata e approfondita
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All’amore, che è il motore di ogni nostra azione A Raffaele Karol e a Camilla Flavia che sono la luce dei miei occhi
CODICE ISBN 978-88-5527-014-4
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SOMMARIO
PREFAZIONE
1 CAPITOLO PRIMO
Legislazione Scolastica e Governance -
L’evoluzione storica della scuola Italiana
-
La scuola in Italia nella seconda metà dell’Ottocento
9 9 10
la legge Casati del 1859, p.11 - la legge Coppino del 1877, p.11
-
La scuola in Italia nella prima metà del Novecento
12
la legge Orlando del 1904, p.12 - la legge Daneo-Credaro del 1911, p.12 – la riforma Gentile del 1923, p.12 - il Concordato del 1929, p.13 - la riforma fascista di Giuseppe Bottai, p. 14
-
La scuola in Italia nel secondo dopoguerra
14
l’istituzione della scuola media, p.14 - il Sessantotto, p.15 - gli anni Settanta,p.16 - i decreti delegati p.16 – la legge n° 517 del 4 agosto 1977, p.17
-
Le riforme degli anni Novanta
17
Leggi riformatrici, p.18 - Autonomia scolastica, Statuto degli studenti e parità scolastica, p.18
-
Le riforme dal 2000 in poi
19
Riforma Berlinguer,p.18 – la strategia di Lisbona, p.19 - la riforma Moratti, p.19 – il «cacciavite» del Ministro Fioroni, p.21 - il Ministero Gelmini, p.21 - il Ministero Profumo, p.25
-
Mediazione didattica e strategie
29
-
Quadro europeo: competenze chiave
32
-
Programmare e valutare per competenze
35
-
La riforma della «buona scuola»
38
la funzione del docente, p.40 - l’insegnante di sostegno,p. 40 - la valutazione, p. 43 - l’anno di formazione, p. 44 - il comitato per la valutazione dei docenti, p. 45 - criteri di valutazione del merito, p. 46 – titoli di accesso, p. 48 - compiti dello stato delle regioni e degli enti locali, p. 49 - agevolazioni per le famiglie, p. 50
-
Il Ministero Fedeli
50
-
L’Autonomia Scolastica
51
-
La Dirigenza Scolastica
53
-
POF
55
-
PTOF
56 5
-
La scuola dell’autonomia
57
-
Gli ambiti territoriali e gli incarichi triennali ai docenti
59
-
Le reti scuola
59
-
Il sistema nazionale di valutazione: INDIRE, INVALSI e contingente ispettivo
61
-
Lo statuto degli studenti e delle studentesse
62
-
Il patto educativo di corresponsabilità
64
-
La governance della scuola
65
CAPITOLO SECONDO La scuola dell’integrazione -
69
D.P.R. 24 febbraio 1994
70
la diagnosi funzionale, p.70 - il profilo dinamico funzionale, p.70 - il Profilo educativo individualizzato, p. 71
-
GLHO
71
-
GLIP
71
-
INCLUSIONE
71
-
La Legge 170/2010
72
-
BES La legge 104/92
73 72
DSA, p.73 – ADHD, p.74 - Funzionamento cognitivo limite, p.74
-
Legge 5 agosto 2015, N. 134
74
strategie di intervento per i BES, p.77 - svantaggio socioeconomico, linguistico e cultural p.77
CAPITOLO TERZO Competenze pedagogiche
79
Adolphe Ferrière, p.79 - Roger Cousinet, p.81 - Eduard Claparède, p.82 - Ovide Decroly, p.83 - Cèlestin Freinet, p.84 - William Heard Kilpatrick, p.84 - Jacques Maritain, p.85 - Paulo Freire, p.87 - Il comportamentismo, p.88 - Ivan Pavlov, p.88 - Edward Thornodike, p.90 - Burrhus Skinner, p.90 -
-
Teoria dell’Apprendimento sociale: Albert Bandura
91
-
Cognitivismo
92
-
Costruttivismo
93 6
-
Sociocostruttivismo
93
Jean Piaget, p.93 - Jerome Bruner, p.95
-
Costruttivismo culturale
96
Lev Vytgotskij, p.96 - John Dewey p.97
-
L’insegnameno individualizzato
98
Anna Freud e Dorothy Burlingham, p.98 - J.Mayer e P.Salovay, p.102
-
Intelligenze Multiple: Gardner
103
-
Intelligenza emotiva: Goleman
104
-
Joseph LeDoux
105
-
L’empatia
106
-
La creatività
106
-
Il pensiero laterale e verticale: De Bono
108
-
Il pensiero convergente e divergente: Guilford Stili di apprendimento
109 118
stili cognitivi, p.118 - strategie didattiche, p.119
-
La didattica laboratoriale
119
Cooperative learning, p.122 - Il Jigsaw, p.123 - Peer education, p.124 - Il problem solving, p.125 - Mastery Learning, p.126
-
La didattica meta cognitiva
127
Flip teaching, p.129 - Role playing, p.132 - Circle Time, p.132 – Brainstorming,p. 134 - Metodologia CLIL, p. 135 - Lo Storytelling, p.135 – CAA, p.137
-
Adeguamento degli obiettivi didattici
139
-
Didattica inclusiva: Individualizzazione e Personalizzazione
139
-
Legge 170/2010
144
-
Direttiva del 27 dicembre 2012
144
-
Decreto Legislativo 66 del 17 aprile 20017
147
GLIR, p.147 – ICIDH, p.149 – ICF, p.150 - ICF-CY, p.150 – leggere i BES secondo l’ICF, p. 153 – BES: strumenti compensativi e misure dispensative, p.155
-
Il tutoring
161
-
Alunni stranieri
162
-
Deficit delle abilità non verbali
163
-
ADHD
164
-
Deficit di memoria
165
-
Disturbo di ansia generalizzata
165 7
-
Disturbo aspecifico dell’apprendimento
166
-
Borderline Cognitivo
166
-
Disturbi depressivi
166
-
Alunni con BES da svantaggio socio-economico, linguistico e culturale
167
-
I GIFTED Disabilità tutelata dalla L. 104 del 1992
169 172
deficit visivi, p.172 - deficit uditivo, p.173 - sidromi genetiche, p.174 - disabilità intellettive, p.177 sindromen dello spettro autistico, p.180
-
Il ruolo della scuola Stategie di apprendimento
182 185
prompting e fading, p.184 - ll modeling, p.185 - lo shaping, p.185
CAPITOLO QUARTO Linee guida per un’efficace presentazione in power-point
195
-
La progettazione per competenze
196
-
Il curricolo verticale Come costruire una presentazione in power-point: guida tecnica
201 205
Individuazione del contesto di riferimento, p.205 - le competenze dell’insegnante e dell’alunno moderno, p.205 - gli spazi, i tempi egli strumenti dell’apprendimento, p.206 - le metodologie didattiche, p.206 - le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), p.207
-
Fasi della didattica
207
-
La problematizzazione
208
-
Verbalizzazione orale e scritta individuale
208
-
Discussione e confronto di gruppo
209
-
La concettualizzazione
209
-
Il compito di realtà o compito autentico
210
-
Fase della valutazione formativa e autentica: le prove di verifica
211
-
L’interdisciplinarità Narrazioni, mappe di sintesi, autobiografie cognitive
212 213
documentazione dell’alunno, p.213 - documentazione docenti, p.214 - le osservazioni sistematiche, p.214 valutazione e certificazione delle competenze, p.214
RILIEVI CONCLUSIVI
215
8
CAPITOLO PRIMO LEGISLAZIONE SCOLASTICA E GOVERNANCE
L’EVOLUZIONE DELLA SCUOLA ITALIANA
Parlare della Storia della scuola significa parlare di un pezzo significativo della storia italiana. È uno scrigno ricco, una ricerca continua di documenti, fonti storiche di diversa natura, che delineano la fisionomia storica, giuridica della scuola nelle varie epoche. La scuola come riceve l’impronta e l’avviamento dalla società nella quale si origina e vive, così, a sua volta, diffonde correnti di pensiero, informa di sé, anche fatti politici e sociali. La scuola in Italia nella seconda metà dell’Ottocento: •
la legge Casati del 1859;
•
la legge Coppino del 1877;
La scuola in Italia nella prima metà del Novecento: •
la legge Orlando del 1904;
•
la legge Daneo-Credaro del 1911;
•
la riforma Gentile del 1923;
•
il Concordato del 1929;
•
la riforma fascista di Giuseppe Bottai del 1939;
La scuola in Italia nel secondo dopoguerra: •
l’istituzione della scuola media con la legge n. 1859 del 1962;
•
il Sessantotto;
•
gli anni Settanta: i decreti delegati e la legge 517 del 1977.
Le riforme degli anni Novanta
9
•
leggi riformatrici;
•
autonomia scolastica, Statuto di studenti e la parità scolastica;
•
riforma Berlinguer: legge n. 30 del 2000.
La strategia di Lisbona: •
la riforma Moratti;
•
il «cacciavite» del Ministro Fioroni.
Il Ministero Gelmini Il Ministero Profumo La riforma della «buona scuola» Il Ministero Fedeli LA SCUOLA ITALIANA NELLA SECONDA META’ DELL’OTTOCENTO •
All’inizio dell‘800 i problemi dell’educazione e della scuola riguardavano:
•
l’analfabetismo, che all’atto dell’unificazione 1861 si aggirava attornoall’80% della popolazione;
•
il divario tra il nord ed il sud della penisola nel periodo successivo all’unificazione.
La necessità di sottrarre alle istituzioni della Chiesa cattolica l’esclusiva dell’istruzione per affidarla allo Stato.
LA LEGGE CASATI DEL 1859 Promulgata dal Re Vittorio Emanuele II il 13 novembre del 1859 con regio decreto legislativo n. 3725, entrò in vigore nel 1860, per dare un nuovo assetto all’istruzione pubblica in Piemonte e in Lombardia, e gradualmente estesa alle altre regioni dopo l’unità d’Italia, Obbiettivo: •
Combattere l’analfabetismo
•
Scuola pubblica e gratuita
•
Obbligatorietà delle scuole elementari del grado inferiore
•
Togliere l’esclusività dell’istruzione alla Chiesa cattolica 10
Struttura organizzativa: •
Istruzione Primaria e Tecnica
•
Istruzione Secondaria Classica
•
Istruzione Superiore – Università
LA LEGGE COPPINO DEL 1877 La legge Coppino promulgata come legge n° 3961 del 15 luglio 1877 fu la prima riforma varata dal governo della sinistra storica, per sopperire alla incapacità dei comuni di gestire le scuole come previsto dalla legge Casati: Tale legge: •
Innalza di 3 anni l'obbligatorietà scolastica, che in base alla precedente riforma Casati era di soli due, dai 6 agli 8 anni, portando a 5 anni la durata complessiva della istruzione elementare;
•
Introduce la possibilità di ottemperare all’obbligo di istruzione con la frequenza di una scuola privata o con l’insegnamento;
•
L’insegnamento religioso, sostituito dalle «prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino», diviene facoltativo.
LA SCUOLA ITALIANA DELLA PRIMA META’ DEL NOVECENTO LA LEGGE ORLANDO 1904 La legge proposta da Vittorio Emanuele Orlando ed emanata l’ 8 luglio del 1904: •
portava l’obbligo scolastico al dodicesimo anno di età Imponendo: 4 anni di scuola elementare a chi proseguiva gli studi; 5 anni a chi concludeva l’esperienza scolastica con la scuola elementare.
•
Istituiva un «corso popolare» formato dalla classe quinta e sesta, con frequenza di solo 3 ore al giorno per coloro che concludevano l’esperienza scolastica con la scuola elementare, anche per evitare che i ragazzi dovessero abbandonare le loro occupazioni per tutta la giornata. 11
LA LEGGE DANEO-CREDARO DEL 1911 La legge Daneo-Credaro 1911 emanata il 4 giugno del 1911 n°487 introdusse norme importanti per assicurare il diritto allo studio anche nelle aree più povere: •
Le scuole elementari passano alla diretta gestione dello Stato tramite le provincie con facoltà di mantenimento delle autonomie solo per i Comuni Capoluogo e Comuni con numero di analfabeti inferiore al 25%;
•
È fissata la retribuzione minima per i mastri ed istituito il fondo pensione;
•
Diventarono obbligatori i patronati scolastici per fornire assistenza alle famiglie in difficoltà;
•
È istituito il liceo moderno, poi scientifico, in affiancamento al classico.
LA RIFORMA GENTILE DEL 1923 Con la riforma Gentile si è dettato l’intero complesso di norme di sistema che riformarono la scuola italiana tra il 1923 ed il 1928, quando fu emanato il Testo Unico delle leggi sulla Pubblica Istruzione R.D. 877del 5 Febbraio 1928. •
L’istruzione scolastica è resa obbligatoria fino ai 14 anni di età;
•
Ultimata la scuola elementare della durata di 5 anni, l’alunno aveva le seguenti alternative:
Il ginnasio, per all’accesso al Liceo;
L’istituto Tecnico, articolato in un corso inferiore ed uno superiore;
L’istituto Magistrale, articolato in corso inferiore ed uno superiore;
La scuola complementare ad avviamento professionale - tecnico, commerciale ed agrario – della durata di 3 anni per coloro che non proseguivano gli studi
Elementi essenziali della Riforma Gentile: •
Riordinò istruzione Classica che «ha per fine di preparare alle università ed agli istituti superiori»; 12
•
Creò l’istituto magistrale che «ha per fine di preparare gli insegnanti delle scuole elementari»;
•
Riordinò il Liceo scientifico che «ha per fine sviluppare ed approfondire l’istruzione dei giovani che aspirino agli studi universitari nelle facoltà di scienze e di medicina e chirurgia»;
•
Istituì il liceo femminile che «ha per fine di impartire un completamento di cultura generale alle giovinette che non aspirano né agli studi superiori né al conseguimento di un diploma;
•
Articolò l’istituto tecnico in un corso inferiore di 3 anni, seguito o dal liceo scientifico o da un corso di 4 anni superiore tecnico;
•
Istituì l’esame di maturità per l’accesso all’università;
•
Confermò l’insegnamento obbligatori della religione cattolica nelle scuole primarie;
•
Pose il limite di 35 alunni per classe;
•
Istituì scuole speciali per ciechi e sordomuti.
IL CONCORDATO DEL 1929 Il concordato firmato in Laterano l’11 Febbraio del 1929 prevedeva che: •
La religione cattolica fosse insegnata in tutte le scuole non universitarie;
•
l’insegnamento della religione fosse esonerabile a richiesta;
•
gli insegnati di religione fossero riconosciuti dalle autorità ecclesiastiche.
Il concordato del 1929 fu poi rinnovato a seguito dell’accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 Febbraio 1984 e ratificato con la legge del 25 marzo 1985 n° 121.
LA RIFORMA FASCISTA DI GIUSEPPE BOTTAI La riforma Bottai, contenuta nella Carta della scuola del 1939, che rimase inattuata per il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale, prevedeva: •
L’obbligo scolastico per 8 anni;
•
l’introduzione della scuola media unica (di 3 anni), affiancata dalla scuola triennale di avviamento professionale; 13
•
l’obbligatorietà della scuola materna per disciplinare «le prime manifestazioni dell’intelligenza e del carattere dal quarto al sesto anno.
LA SCUOLA ITALIANA NEL SECONDO DOPOGUERRA La Costituzione repubblicana entrata in vigore il 1° Gennaio 1948. Gli articoli riguardanti il settore dell’educazione e dell’istruzione sono: Art. 3 – uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e pieno sviluppo della persona umana; Art.7 – rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica: i Patti Lateranensi; Art. 29 – diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio; Art. 30 – doveri e diritti dei genitori; Art. 31 – sostegno alle famiglie; protezione della maternità dell’infanzia e della gioventù; Art. 33 – libertà di insegnamento, istituzione di scuole; esame di stato; Art. 34 – scuola aperta a tutti; obbligo di istruzione; Art. 35 – formazione professionale dei lavoratori; Art. 117 – competenze regionali e statali in materia di istruzione e formazione* * l’Art. 117 che appartiene al Titolo V è poi stato riformulato con legge n.3/2001.
L’ISTITUZIONE DELLA SCUOLA MEDIA Con la legge n° 1859 del 31 dicembre 1962, riprendendo il filo del discorso della «Carta della scuola di Bottai», si istituì la scuola media unica obbligatoria sostituendo la precedente scuola media Triennale e i paralleli corsi di avviamento e dando così concretezza all’obbligo scolastico di 8 anni previsto dall’art.34 della Costituzione. La legge 1859 e le successive leggi varate nel 1977 interpretavano l’art. 3 della Costituzione, secondo cui: «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È Compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della 14
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
IL SESSANTOTTO Gli anni Sessanta furono gli anni del boom economico, con il passaggio dall’economia agricola a quella industriale. Per la generazione nata dopo la guerra, la scuola fu sempre più intesa come strumento di ascesa sociale. Con una serie di provvedimenti legislativi, si tentò di recepire le legittime istanze sociali e di contenere la rivolta nell’università e nelle scuole superiori e contemporaneamente di sostenere le famiglie: D.L. n° 939 del 15 febbraio 1969 – «Riordinamento degli esami di Stato di maturità»; Legge n°910 del 11 dicembre 1969 – «Provvedimenti Urgenti per l’università»; Legge n° 444 del 18 marzo 1968 – «Ordinamento della scuola materna»; Legge n° 820 del 24 settembre 1971 – «Norme sull’ordinamento della scuola elementare e sulla immissione in ruolo della scuola elementare e della scuola materna statale».
GLI ANNI SETTANTA I DECRETI DELEGATI La legge delega n° 477 del 30 luglio 1973, recante «Delega al governo per l’emanazione di norme di stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica di stato» diede il via alla successiva emanazione da parte del Presidente della Repubblica il 31 maggio del 1974 dei «Decreti Delegati»: •
D.P.R 416/1974: istituisce gli organi collegiali della scuola;
•
D.P.R 417/1974: ridefinisce lo stato giuridico degli insegnanti, del personale direttivo ed ispettivo;
•
D.P.R 420/1974: ridefinisce lo stato giuridico del personale non docente;
•
D.P.R 419/1974: regolamenta l’avvio di sperimentazioni innovative rispetto agli ordinamenti in vigore, in particolare nella scuola superiore.
15
LENTE DI INGRANDIMENTO GLI ORGANI COLLEGIALI Gli organi collegiali sono organismi di governo e di gestione delle attività scolastiche a livello territoriale e di singolo istituto. Sono composti da rappresentanti delle varie componenti interessate e si dividono in organi collegiali territoriali e organi collegiali scolastici. Gli Organi collegiali che (ad esclusione del Collegio dei Docenti) prevedono sempre la rappresentanza dei genitori, sono tra gli strumenti che possono garantire sia il libero confronto fra tutte le componenti scolastiche sia il raccordo tra scuola e territorio, in un contatto significativo con le dinamiche sociali. La Funzione degli Organi Collegiali è Consultiva e propositiva (Consigli di classe)e Deliberativa (Consigli d’istituto). Gli organi collegiali si dividono in Organi collegiali territoriali e in Organi collegiali scolastici. Gli Organi collegiali territoriali sono disciplinati dagli artt. 16-25 del D.lvo 297/94 ma non sono mai entrati in vigore per mancanza dei decreti attuativi. Gli Organi collegiali scolastici sono: Consiglio di classe formato nella scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado DA 4 GENITORI ELETTI IN RAPPRESENTANZA DEI GENITORI DEGLI ALUNNI; DA 2 GENITORI ELETTI E 2 STUDENTI nelle scuole secondarie di secondo grado Collegio dei docenti composto da tutti i docenti in servizio nell’Istituto; vi partecipano anche i supplenti temporanei per il periodo della supplenza Comitato per la valutazione del servizio presieduto dal dirigente scolastico e ne fanno parte 4 docenti come membri effettivi e 2 docenti come membri supplenti Consiglio di Istituto composto da 19 componenti nelle scuole con popolazione scolastica superiore a 500 alunni: Dirigente scolastico (membro di diritto) e 8 genitori eletti dalla componente genitori, 8 docenti eletti dalla componente docenti, 2 A.T.A. eletti dalla componente A.T.A. nelle scuole secondarie superiori invece da 4 genitori e 4 studenti Giunta esecutiva composta da Dirigente scolastico che la presiede, DSGA, 1 docente, 1 A.T.A e 2 genitori Assemblea degli studenti gli studenti hanno diritto di riunirsi nei locali della scuola previa richiesta di autorizzazione al dirigente scolastico, per discutere di problemi che riguardino aspetti di carattere generale della scuola o delle classi da loro frequentate. Alle assemblee possono essere invitati a partecipare il dirigente scolastico e/o i docenti Assemblea dei genitoriI genitori hanno diritto di riunirsi nei locali della scuola previa richiesta di autorizzazione al dirigente scolastico, per discutere di problemi che riguardino aspetti di carattere generale della
16
scuola o delle classi frequentate dai propri figli. Alle assemblee possono essere invitati a partecipare il dirigente scolastico e/o i docenti
La legge n° 517 del 4 agosto 1977: •
Limita «a casi eccezionali» la ripetenza nella scuola elementare;
•
Abolisce gli esami di riparazione nella scuola elementare e media;
•
Introduce i giudizi al posto dei voti nelle scuole elementari e medie;
•
Viene sostituita la pagella con la scheda di valutazione;
•
Integra gli studenti con handicap nelle classi normali con limite a 20 alunni;
•
Introduce nell’equipe di classe l’insegnate di sostegno.
LE RIFORME DEGLI ANNI NOVANTA Gli anni Novanta videro una serie di riforme settoriali, quali la riforma della scuola elementare, l’adozione del Testo Unico delle leggi sulla scuola, la nascita dell’istituto comprensivo, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 10 anni.
LEGGI RIFORMATRICI Legge n. 97/1994: 12.5 – nascita degli istituti comprensivi di scuola materna, elementare e secondaria di primo grado; •
D.Lgs. n. 297/1994: par. 19.2.2 - Adozione del Testo unico delle leggi sulla scuola;
•
D. Lgs n. 253/1995 abolizione gli esami di riparazione nella scuola superiore, sostituiti con gli IDEI, Interventi Didattici ed Educativi Integrativi;
•
Legge n. 9 del 1999: innalzamento dell’obbligo scolastico a 9 anni, di cui solo il primo anno superiore obbligatorio; tale innovazione è da collegare alla riforma di sistema di cui all’art. 3 della l. n. 30 del 2000 che prevedeva la riduzione della “scuola di base a sette anni.
Tuttavia, la legge n. 9 e n. 30, non entreranno mai in vigore perchè cancellate con la riforma Moratti. 17
AUTONOMIA SCOLASTICA, STATUTO DEGLISTUDENTI E PARITA’ SCOLASTICA •
Legge n° 59 del 15 Marzo 1997 – con l’art. 21 viene introdotta l’autonomia scolastica che avrà poi riconoscimento costituzionale con l’art. 117 della successiva legge costituzionale n° 3/2001;
•
D.P.R. n° 249/1998 – Statuto delle studentesse e degli studenti, da esso derivano i regolamenti di disciplina degli istituti di istruzione secondaria;
•
Legge n° 62/2000 – introduce la parità scolastica, in tal modo il sistema pubblico di educazione e istruzione composto dalle scuole statali e da quelle non statali ottengono la parità.
LA RIFORMA BERLINGUER Legge n° 30 del 10 febbraio 2000 «Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione», abrogata dalla Riforma Moratti nel 2003. Viene annullata la suddivisone in elementari, medie e superiori, si introduce una struttura basata sui «cicli»: 7 anni Ciclo Primario- da 6 a 13 anni; 5 anni Ciclo Secondario - da 13 a 18 anni 5 aree: Umanistica; musicale; artistica; scientifica; tecnica. Obbligo di studio fino a 15 anni – obbligo alla formazione professionale fino ai 18 anni. Università 3+2.
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LE RIFORME DAL 2000 IN POI LA STRATEGIA DI LISBONA La strategia di Lisbona voluta dal Consiglio Europeo nell’anno 2000 come programma globale per la crescita e l’occupazione, assegna all’Unione Europea l’obiettivo strategico di diventare «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». Nel 2001 vengono enunciati i tre obiettivi fondamentali: •
aumentare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione dell’U.E.;
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facilitare l’accesso ai sistemi di istruzione e formazione;
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aprire i sistemi di istruzione e di formazione al mondo esterno
LA RIFORMA MORATTI Con la legge n. 53 del 28 marzo 2003, fu approvato un complessivo disegno di riforma del sistema scolastico italiano: la legge delegò il governo ad elaborare i successivi decreti legislativi per il riordino della scuola non universitaria. La difficoltà applicativa della legge n. 30 del 2000, e la necessità di individuare soluzioni adeguate, resero necessario un approfondimento della riforma dei cicli scolastici. L'esigenza di una riconsiderazione complessiva del sistema educativo si pose, inoltre, in termini nuovi a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ridefiniva, attraverso la modifica del titolo V della Costituzione, l'assetto delle competenze dello Stato e delle Regioni. In base alla nuova normativa costituzionale, allo Stato è ora attribuita potestà legislativa esclusiva in materia di “norme generali sull'istruzione” e di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Alle Regioni è attribuita potestà legislativa esclusiva nella materia dell'istruzione e della formazione professionale. Residua poi una serie di materie oggetto di potestà legislativa c.d. concorrente. L’ art. 1 della legge 53 del 2003 afferma la centralità nella scuola della «crescita e valorizzazione della persona umana» in relazione ai tre ambiti:
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Ritmi dell’età evolutiva; Differenze e identità di ciascuno; Scelte educative della famiglia: Possibilità di anticipi e posticipi dell’iscrizione alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria; Possibilità di scegliere tra un tempo scuola minimo obbligatorio e ampliamenti della frequenza sulla base delle adesioni ad attività facoltative e opzionali; Piani di Studio personalizzati; Individuazione di un referente-tutor, all’interno della pluralità dei docenti della classe, per le relazioni scuola-famiglia;
IL «CACCIAVITE» DEL MINISTRO FIORONI Le elezioni del 2006 vennero vinte dalla coalizione di centrosinistra, che diede vita ad un governo che non condivideva la riforma Moratti ma non aveva la forza parlamentare per sostituirla.
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Il Ministro Giuseppe Fioroni apportò modifiche parziali: con il D.M. 31 luglio del 2007 inviò alle scuole Indicazioni per il curricolo, da affiancare a quelle vigenti sulla base del D.Lgs. N. 59 del 2004. Strutturava così percorsi disciplinari unitari, dalla scuola primaria al termine della secondaria di primo grado, prestando così attenzione alla continuità educativa dai 3 ai 14 anni. Visto il crescente fenomeno del bullismo, modificò lo Statuto delle studentesse e degli studenti del 1998 con norme contenute nel D.P.R. 235 del 2007, prevedendo sanzioni disciplinari più gravi. IL MINISTRO GELMINI La riforma Moratti, troppo costosa in termini organici e poco redditizia in termini di consensi, fu archiviata e ne fu preservata solo l’impalcatura. Il sistema scuola rimane strutturato in: Scuola infanzia; Scuola del primo ciclo (primaria e secondaria di primo grado) Scuola del secondo ciclo, articolato su due canali paralleli dell’istruzione (di competenza dello Stato) e dell’«istruzione e formazione professionale» (Ie FP, di competenza delle Regioni). Le basi normative degli interventi sulla scuola furono: •
art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133 - «Piano programmatico di riordino e di sviluppo del sistema scolastico»
•
Legge 169 del 30 ottobre 2008:
reintroduzione del «maestro unico» nella scuola primaria; reintroduzione dei voti da 1 a 10 nelle scuole del primo ciclo per la valutazione dei risultati degli apprendimenti; l’attuazione della disposizione della legge n. 53 del 2003 sulla valutazione del comportamento oltre che dell’apprendimento nonché la certificazione delle competenze Sulla base delle leggi n. 133 e 169 del 2008, furono emanati: •
D.P.R. 20 marzo 2009, n. 81 «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola»; 21
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D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89 «Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione»
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D.P.R. 22 GIUGNO 2009, n. 122 «Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni».
La riforma della scuola secondaria di secondo grado è stata attuata con i seguenti strumenti normativi: •
D.P.R. n. 87 del 15 marzo 2010 «Schema di regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici»;
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D.P.R. n. 88 del 15 marzo 2010 «Schema di regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici»;
•
D.P.R. N. 89 del 15 marzo 2010 «Schema di regolamento recante «Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei».
•
D.P.R. 20 marzo 2009 n. 81 - Revisione degli ordinamenti scolastici: -
Intervento e razionalizzazione dei piani di studio;
-
Revisione delle Indicazioni nazionali relative alla scuola dell’Infanzia e alle scuole del primo ciclo. Si cerca di armonizzare le indicazioni della Moratti con quelle di Fioroni;
-
Revisione piani di studio relativi al sistema dei licei. Si cerca di riesaminarli con l’obiettivo di semplificazione in relazione, anche, alla
riduzione
dei
carichi
orario
previsti
dal
piano
di
razionalizzazione. •
Revisione dei quadri orario dei diversi ordini di scuola -
Scuola dell’infanzia. Vengono confermate le due tipologie organizzative 40 e 25 ore. Reintroduzione degli anticipi previsti dalla riforma Moratti con l’ingresso nella scuola dell’infanzia a partire dai due anni. Confermate le sezioni primavera
-
Scuola primaria. Viene introdotto il maestro unico per un orario di 24 ore settimanali.
•
Il tempo scuola, tenuto conto della domanda delle famiglie e della dotazione organica potrà essere così articolato: -
27 ore, con esclusione delle attività opzionali facoltative;
-
30 ore comprensiva dell’orario opzionale facoltativo e con l’introduzione del maestro prevalente; 22
-
possibilità di estensione delle ore di lezione fino ad un massimo di 10 ore settimanali comprensive della mensa.
•
Relativamente all’insegnante di lingua inglese per la primaria. L’insegnamento sarà affidato ad un insegnante di classe opportunamente formato con corsi della durata di 150/200 ore tenuti da docenti specializzati o della secondaria di I grado.
•
La Scuola secondaria di I grado vede un calo orario da 32 ore settimanali a 29. L’orario effettivo di lavoro di tutti i docenti era di 18 ore. Viene riorganizzato il quadro orario del tempo prolungato con un orario massimo di 36, superando il sistema della compresenza. Per le medie si prevede una rivisitazione delle classi di abilitazione, privilegiando gli insegnamenti di base e le aggregazioni umanistico letterarie, scientifico - tecnologiche e linguistiche.
•
Scuola secondaria di II grado. L’orario per licei classici, linguistici, scientifici e per le scienze umane è pari ad un massimo di 30 ore settimanali. Per i licei artistici, musicali e coreutici di 32 ore. Per gli istituti tecnici e professionali 32 ore
•
Istruzione per adulti. L’obiettivo è di rivedere l’assetto organizzativo didattico e di legare l’autorizzazione dei corsi al monitoraggio degli esiti finali. Gli esuberi non potranno essere utilizzati in attività non ordina mentali
•
Docenti tecnico-pratici. L’obiettivo è una riduzione del 30% delle ore di compresenza con il docente titolare di cattedra, oltre ad una revisione delle funzioni
D.P.R. 20 marzo 2009, n. 81 - Riorganizzazione della rete scolastica •
Accorpamento ad altri istituti o smembramento di 2.600 istituti con un numero di alunni inferiore alle 500 unità. Una operazione che riguarda il 20% delle istituzioni scolastiche.
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Razionalizzazione ed efficiente utilizzo delle risorse umane della scuola -
Il rapporto alunni-classe:
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Scuola primaria: il numero di alunni per classi è definito in min. 15 – max 27;
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per le pluriclassi, min. 8- max 18, nei comuni montani, piccole isole e minoranze non inferiore a 12;
-
Scuola di primo grado: le prime classi sono costituite sempre, di norma, da non più di 27 e non meno di 18 alunni, con la possibilità di 23
ridistribuire le “eccedenze” in non più di una o due alunni e, comunque una prima classe deve essere formata da meno di 29 alunni. Le seconde e terze sono determinate con i rispettivi alunni delle prime classi, sempre che rispettino la media di 20 alunni, 14 alunni minimo, invece la deroga è fissata per le aree di montagna ecc.; per le classi con alunni di corsi diversi, il numero di alunni non potrà superare le 14 unità; •
Istituti e Scuole di secondo grado: le prime classi sono costituite con non meno di 27 alunni per classe, utilizzando il divisore 27, considerato il numero complessivo degli alunni iscritti e la serie storica dei tassi di ripetenza, le “eccedenze” sono distribuite fino a un max di 30 alunni. Per le sezioni staccate e scuole coordinate il numero di alunni minimo è fissato a 25 unità, per le classi articolate in gruppi di diversi indirizzi, le classi dovranno essere costituite con non meno di 27 e il gruppo di minore consistenza con 12 alunni, una deroga a 20 alunni. È ammessa per motivazioni oggettive (limitate dimensioni di aule e laboratori, necessità di utilizzare strumenti tecnici voluminosi o di macchine e materiali pericolosi per l’incolumità fisica degli allievi) una deroga ad un minimo di 22 alunni. Classi intermedie e terminali, sono costituite classi intermedie, in numero pari a quelle inferiori, purché con un numero minimo di 22 alunni; per le classi terminali il limite minimo è di 15 alunni.
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riconduzione a 18 ore di tutte le cattedre di scuola di I e II grado, eliminando la clausola di salvaguardia della titolarità;
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l’organico dei docenti per l’istruzione degli adulti viene definito non in base agli iscritti, ma allo storico degli alunni scrutinati;
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sostegno per l’istruzione a distanza;
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rideterminazione dei posti di sostengo per alunni disabili in base alla legge 24 dicembre 2004 n. 244;
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i docenti inidonei per motivi di salute viene stabilito che saranno impiegati in altre amministrazioni;
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Vengono previsti corsi di riconversione per i docenti di classi di concorso in esubero, per l’inserimento in classi di concorso più ampie;
•
È prevista la revisione degli istituti giuridici che comportano comandi, collocamenti fuori ruolo, utilizzazioni;
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•
Personale ATA: la riduzione del 17% della dotazione organica. Il taglio era previsto in proporzione alla riduzione del numero delle istituzioni scolastiche.
IL MINISTRO PROFUMO Nell’estate del 2012, con le dimissioni del Governo Berlusconi e l’insediamento del un governo «tecnico» di Mario Monti, a reggere il Miur fu chiamato Francesco Profumo. Riattivò la macchina dei concorsi ordinari: con il Decreto n. 82 del 24 settembre 2012 indisse i concorsi a cattedra, per titoli ed esami, per il reclutamento di 11.542 docenti di ogni ordine e scuola. Da grande sostenitore dell’innovazione tecnologica nella Pubblica Amministrazione e nel rapporto fra essa e i cittadini, dispose la «dematerializzazione» degli atti scolastici e, in particolare, che: -
a decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, le pagelle fossero redatte in formato elettronico;
-
I registri degli insegnanti fossero on-line;
-
Le comunicazioni agli alunni e alle famiglie, pagelle incluse, fossero inviate in formato elettronico.
Provvide infine, al termine della sperimentazione triennale che aveva visto la coesistenza delle Indicazioni nazionali - D.Lgs. N. 59/2004, attuativo della Legge Moratti - con le Indicazioni per il curricolo - varate dal ministro Fioroni nel 2007 – ad emanare il definitivo «Regolamento recante Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione» - Decreto del 16 novembre 2012, n. 254.
LENTE DI INGRANDIMENTO: INDICAZIONI NAZIONALI 2018 e AGENDA 2030 Indicazioni Nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione Il 22 febbraio 2018 il MIUR ha presentato le INDICAZIONI NAZIONALI E I NUOVO SCENARI.
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Le indicazioni del 2018 sono una rilettura di quelle del 2012 non si tratta pertanto di nuove indicazioni, ma è l’invito a rileggere alcuni passaggi e reinterpretarli alla luce degli attuali cambiamenti. Cosa chiedono le indicazioni nazionali del 2018? -
dare una maggiore importanza al tema della cittadinanza (disciplina trasversale a tutte le materie);
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dare un valore sempre più forte alle conoscenze delle lingue;
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puntare sullo sviluppo del pensiero matematico e computazionale in un’ottica di valorizzazione dell’uso delle tecnologie digitali
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valorizzare l’importanza dell’arte. Il compito di realizzare gli obiettivi sopra elencati è affidato proprio a noi docenti che
dobbiamo accompagnare i nostri allievi verso l’acquisizione di conoscenze e competenze adeguate alle esigenze della nostra società. Il docente che entra in classe oggi deve saper padroneggiare forme e metodologie innovative necessarie ad adattarsi alla modernità non trascurando però le competenze di base che sono le fondamenta per il raggiungimento del sapere e del suo “utilizzo”. Al docente di oggi si chiede però un ulteriore sforzo: il docente deve essere un ottimo comunicatore e deve utilizzare con maestria l’empatia CHE È UNA QUALITÀ che DEVE Appartenere necessariamente alla categoria del docente. Attraverso la lettura delle nuove Indicazione sembra di entrare in un nuovo Umanesimo auspicato anche da Morin: la ricongiunzione delle discipline, la collaborazione tra scienze diverse e quindi tra materie diverse, perché il tutto è composto da parti!! Importante in quest’ottica è ricordare anche i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per cambiare il Paese L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione (sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU) per le persone, il pianeta e la prosperità Nel programma troviamo elencati 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile in che si coniugano in 169 traguardi che tutti i paesi dovranno raggiungere entro il 2030. Gli obiettivi sono: -
Eliminare la disparità di genere nell’istruzione e garantire un accesso equo delle categorie protette 26
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Aumentare il numero di persone con competenze specifiche professionali per l’occupazione, aumentare i posti di lavoro
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Garantire a tutti un’istruzione tecnica, professionale e terziaria, anche universitaria che sia vantaggiosa e di qualità
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Garantire a tutti un’istruzione prescolastica
LENTE DI INGRANDIMENTO (DPR n.80 del 2013 art.6) L’acronimo RAV ovvero Rapporto di Autovalutazione è previsto dalla prima fase del procedimento di valutazione, indicato dall’art.6 del DPR n.80 del 2013.E’ una procedura che consente alle scuole di “confrontare la propria situazione con quella di istituzioni scolastiche simili per un più efficace processo di autovalutazione in ciascuna delle aree in cui è articolato il RAV (Circ. n.47, pag.3). Lo scopo non secondario è anche quello di avviare una comparazione tra le diverse realtà scolastiche su particolari aree, per implementare azioni di miglioramento. Tant’è che il suddetto RAV dovrà contenere obiettivi di miglioramento indicati dalle scuole.La circolare dice infatti che “ogni singola scuola, sulla base delle aree forti o deboli, individuerà, in una sezione ad hoc del RAV, le priorità strategiche con i relativi obiettivi di miglioramento. Fondamentali saranno i momenti da dedicare alla ricerca, al confronto e alla condivisione all’interno di ogni realtà scolastica. In questo modo l’autovalutazione diventerà lo strumento attraverso cui ogni scuola individua i dati significativi, li esplicita, li rappresenta, li argomenta e li collega alla sua organizzazione e al suo contesto”. Il RAV è quindi una grande occasione di interlocuzione tra i diversi attori che si muovono a vario titolo all’interno della comunità scolastica, a patto che l’intento partecipativo e condiviso, sotteso al RAV, non sia assoggettato ad una logica di mero adempimento, per scelte interne all’istituzione scolastica o perché così deciso dall’organo dirigenziale. Trattandosi di una autovalutazione interna si corre il rischio che l’autoanalisi di istituto sia del tutto pilotata verso un’autocelebrazione degli aspetti positivi della scuola, sottacendo al contrario le criticità ed i punti di debolezza.
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Il MIUR attraverso la nota n. 7904/201 precisa quindi che il sistema informativo realizzerà in automatico verifiche e controlli per evidenziare possibili incongruenze del RAV (Rapporto di autovalutazione). In seguito all’elaborazione del RAV, sulla base delle azioni miglioramento, individuate dalle scuole, si arriverà alla fase finale di rendicontazione sociale. Il Regolamento n.80 del 2013 parla di “pubblicazione, diffusione dei risultati raggiunti, attraverso indicatori e dati comparabili, sia in una dimensione di trasparenza sia in una dimensione di condivisione e promozione al miglioramento del servizio con la comunità di appartenenza”.Una volta effettuato ciò le istituzioni scolastiche sono tenute a compilare il Piano di miglioramento (PdM) che deve essere congruente con gli obiettivi di miglioramento già presenti nel Rapporto di autovalutazione (RAV). Il piano di miglioramento (PdM) rientra nel Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF – Legge n. 107/2015).Il Piano di miglioramento (PdM) non presenta, a differenza del Rapporto di autovalutazione (RAV) un modello o format fissato a livello centrale. Il piano di miglioramento parte dalla consapevolezza dei punti deboli, ma anche dei punti di forza della realtà scolastica. I primi andranno colmati, i secondi andranno implenentati. E lo strumento gestionale dell’accountability che consente alle organizzazioni di "tradurre" i propri piani strategici (il PTOF) in programmi operativi, a loro volta composti di singoli progetti.
MEDIAZIONE DIDATTICA E STRATEGIE Conoscenze Indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni (fatti, principi, teorie e pratiche, relative ad un ambito disciplinare) attraverso l’apprendimento. Abilità Indicano le capacità di applicare le conoscenze per portare a termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti).
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Competenze Indicano la comprovata capacità di usare in un determinato contesto conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; il complesso delle competenze dà la padronanza in termini di autonomia e responsabilità. Capacità Indicano un corredo ereditario e sottintendono la possibilitàdi fare qualcosa. “La competenza può essere definita come l’insieme delle conoscenze, abilità e atteggiamenti che consentono a un individuo di ottenere risultati utili al proprio adattamento negli ambienti per lui significativi e che si manifesta come capacità di affrontare e padroneggiare i problemi della vita attraverso l’uso di abilità cognitive e sociali”. (Pietro Boscolo) In sintesi, per competenza si intende un sapere combinatorio: intreccio di capacità (caratteristiche individuali) e di conoscenze (oggetti culturali afferenti alle varie aree di sapere). Le competenze trasversali, sono quelle che attraversano tutte le esperienze della vita e tutte le aree della conoscenza (discipline–ricerca; discipline scolastiche); il loro contesto di formazione, potenziamento ed esercizio va, dunque, dalla vita alla scuola, dalla scuola alla vita (intendendo per “vita” il complesso delle esperienze esistenziali di ciascuno). Per questo motivo le competenze trasversali vengono denominate anche “competenze per la vita”. Esse sono infatti strettamente connesse con i valori che caratterizzano la persona nella sua dimensione personale e sociale. La normativa cui la scuola fa riferimento, a livello europeo ma anche a livello nazionale, opera una distinzione fra competenze disciplinari e trasversali, queste ultime sono individuate nelle competenze chiave per la cittadinanza. Le competenze trasversali attraversano le varie discipline nel doppio senso che la padronanza disciplinare le fonda e le rafforza ed anche nel senso che aiutano il conseguimento della padronanza personale (es: saper lavorare per obiettivi, saper lavorare in gruppo, saper pianificare il proprio tempo, essere concreti, essere capaci di imparare e migliorarsi, essere capaci di valorizzarsi, saper gestire le relazioni e comunicare efficacemente, sapersi attenere alle regole, saper gestire l’imprevisto, sentire di appartenere ed essere capaci di partecipare e condividere, ecc.).
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LENTE DI INGRANDIMENTO Scuola delle CONOSCENZE VS scuola delle COMPETENZE Molto spesso leggiamo articoli e ci confrontiamo con due realtà dicotomiche presenti nello “statuto costituzionale” della scuola italiana: da un lato abbiamo coloro che tifano per una scuola della conoscenza e dall’altro invece troviamo coloro che auspicano sempre più ad una scuola che sviluppi competenze. Questa dicotomia si poggia su un corollario di base che riconosce nella scuola basata sulle conoscenze il privilegio di una scuola colta, meglio dire di élite (identificabile nei percorsi liceali) che fornisce saperi di eccezione e di contro nella scuola basata sulle competenze una scuola di serie B che rinuncia alla cultura per qualcosa di prettamente pratico e immediatamente utilizzabile (identificabile nei percorsi professionali).
CONOSCENZE E COMPETENZE Per capire dov’è la verità bisogna partire con il leggere le Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 aprile 2008 – Quadro Europeo delle Qualifiche e dei Titoli che spiegano in modo dettagliato il significato dei due termini: -
“Conoscenze”: indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro; le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche.
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“Competenze” indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termine di responsabilità e autonomia.
FINALITÀ DELLA SCUOLA NEL PROCESSO DI EDUCAZIONE Partendo dall’analisi di queste due definizioni mi sento di definire artefatta la diatriba tra coloro che simpatizzano per le conoscenze e coloro che invece lo fanno per le competenze perché non può esserci separazione tra i due concetti perché nello sviluppo di entrambi si raggiunge l’obiettivo finale della scuola: l’educazione dell’alunno. Le conoscenze vengono prima delle competenze, perché va da sé che non possono risolversi problemi concreti se non abbiamo delle conoscenze sugli stessi. Viceversa se conosco solo i contenuti di qualsiasi disciplina, ma poi non so utilizzarli, la mia cultura resta fine a se stessa e sicuramente non mi consentirà di affrontare le sfide della realtà quotidiana. 30
Pertanto l’assunto è che può esserci conoscenza senza competenza, ma non può esserci competenza senza conoscenza, al massimo si potrebbe parlare solo di abilità.
LA DIDATTICA PER COMPETENZE E IL COMPITO AUTENTICO La didattica per competenze nasce come risposta alle richieste delle sfide contemporanee in cui, nel mondo del lavoro, sono richieste sempre più persone COMPETENTI che abbiano ottime capacità di risoluzione dei problemi (problem solving). L’espressione massima di una didattica per competenze è sicuramente il compito autentico: dopo aver acquisito tutte le conoscenze gli alunni vengono posti di fronte ad una situazione problematica reale, che devono affrontare e che riusciranno ad affrontare solo facendo perno sulle conoscenze acquisite. La didattica per competenze diviene pertanto una didattica che coinvolge direttamente lo studente, lo porta a misurarsi con le sue reali capacità e conoscenze, aiuta L’alunno ad identificare i propri limiti e lo spinge a superarli ed è sicuramente una didattica che pone le sue radici nella necessità dello sviluppo anche delle nostre intelligenze multiple.
CARATTERISTICHE DELLA DIDATTICA PER COMPETENZE La didattica sulle competenze si basa su alcuni aspetti fondamentali: -
la valorizzazione dell’esperienza attiva dell’allievo (lavoriamo su esperienze vissute);
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l’apprendimento induttivo (si parte dal problema per arrivare a conoscere le diverse strategie di risoluzione);
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La valorizzazione dell’apprendimento tra pari e con modalità cooperative;
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l’assunzione di responsabilità di fronte ai compiti assegnati (che possono essere risolti in autonomia o in gruppo);
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la centralità dell’alunno nel processo di apprendimento
Disciplinari-transdisciplinari Nella normativa scolastica (indicazioni) vengono indicate come “traguardi di sviluppo” e riguardano quelle complesse acquisizioni disciplinari in termini di contenuti, strumenti e metodi la cui padronanza è necessaria per l’esercizio di un determinato “saper fare”, indizio di un più
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complesso “saper essere”. Vengono (documento di innalzamento dell’obbligo scolastico) altresì connesse ai 4 assi culturali: - dei linguaggi, - asse matematico, - scientifico tecnologico, - storico geografico.
QUADRO EUROPEO: COMPETENZE CHIAVE 18/12/2006 • Comunicare nella madrelingua • Comunicare nelle lingue straniere • Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia • Competenza digitale • Imparare ad imparare • Competenze interpersonali, interculturali e sociali e competenza civica • Individuare collegamenti e relazioni • Imprenditorialità • Espressione culturale
COMPETENZE CHIAVE D:M: 139/2007 • Imparare ad imparare • progettare • comunicare: comprendere e rappresentare • Agire in modo autonomo e responsabile • Risolvere problemi • Individuare collegamenti e relazioni 32
• Acquisire e interpretare l’informazione
COMPETENZE CHIAVE Il Consiglio dell’Unione Europea adotta una nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente (22 maggio 2018) Il 22/05/2018 il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato una nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente che pone l’accento sul valore della complessità e dello sviluppo sostenibile. Le nuove competenze chiave 1) competenza alfabetica funzionale 2) competenza multilinguistica 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria 4) competenza digitale 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare 6) competenza in materia di cittadinanza 7) competenza imprenditoriale 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali Sono definite le competenze chiave «quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l'occupabilità, l'inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza attiva. Esse si sviluppano in una prospettiva di apprendimento permanente, dalla prima infanzia a tutta la vita adulta, mediante l'apprendimento formale, non formale e informale in tutti i contesti, compresi la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro, il vicinato e altre comunità».
La certificazione delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione, si lega strettamente alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, emanate con DM 16-11-2012, n. 254.
Tale certificazione non costituisce un mero 33
adempimento burocratico, ma va colta come occasione per ripensare l’intera prassi didattica e valutativa al fine di spostare sempre di più l’attenzione sulla maturazione di competenze efficaci che possano sostenere l’alunno nel proseguimento dei suoi studi e nella vita adulta. La certificazione delle competenze, che accompagna il documento di valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli alunni, rappresenta un atto educativo legato ad un processo di lunga durata e aggiunge informazioni utili in senso qualitativo in quanto descrive i risultati del processo formativo, quinquennale e triennale. Con l’atto della certificazione si vuole richiamare l’attenzione sul nuovo costrutto della competenza, che impone alla scuola di ripensare il proprio modo di procedere, suggerendo di utilizzare gli apprendimenti acquisiti nell’ambito delle singole discipline all’interno di un più globale processo di crescita individuale. I singoli contenuti di apprendimento rimangono i mattoni con cui si costruisce la competenza personale. Non ci si può quindi accontentare di accumulare conoscenze, ma occorre trovare il modo di stabilire relazioni tra esse e con il mondo al fine di elaborare soluzioni ai problemi che la vita reale pone quotidianamente. Progettare l’attività didattica in funzione delle competenze e della loro certificazione richiede una professionalità docente rinnovata e attenta alle domande, anche e soprattutto implicite, che possono venire dagli alunni. Per valutare le competenze però, non si possono utilizzare gli strumenti comunemente usati per la rilevazione delle conoscenze: se l’oggetto da valutare è complesso, altrettanto complesso dovrà essere il processo di valutazione, che non si può esaurire in un momento circoscritto e isolato, ma deve prolungarsi nel tempo attraverso una sistematica osservazione degli alunni di fronte alle diverse situazioni che gli si presentano. Si rende, pertanto, necessario ripensare il modo di “fare scuola”, integrando la didattica dei contenuti e dei saperi – riferiti ai nuclei fondanti delle discipline – con modalità interattive e costruttive di apprendimento; fondando il proprio insegnamento su esperienze significative che mettono in gioco contenuti e procedure che consentano di “imparare facendo”, i docenti rendono l’alunno protagonista del processo di acquisizione delle competenze. Una padronanza delle competenze di base richiede la riscoperta dei nuclei fondanti delle discipline e del loro valore formativo, attraverso scelte orientate al potenziamento della motivazione e dell’interesse degli alunni.
34
PROGRAMMARE E VALUTARE PER COMPETENZE
Si richiede agli insegnanti un nuovo modo di architettare il proprio lavoro non più in un sistema rigidamente settoriale ma in un sistema reticolare o meglio trasverzale. Ciò non vuol dire raggiungere semplicemente nuovi traguardi, ma costruire le condizionigenerali per un apprendimento efficace. Nella vita reale, infatti, oltre alle conoscenze di tipo dichiarativo (sapere), procedurale (saper fare) e pragmatico (sapere perché e quando fare), sono necessarie competenze trasverzali ossia competenze comunicative, metacognitive e metaemozionali, personali e sociali. La valutazione diagnostica, è mirata alla rilevazione dell’adeguatezza della preparazione degli alunni in relazione alla programmazione di nuove attività didattiche. In questo tipo di valutazione rientrano quelle prove che vengono chiamate a scuola “test di ingresso” e che di solito vengono proposte nelle classi che iniziano un nuovo ordine di scuola (classi prime della scuola primaria e classi prime della scuola secondaria di 1° grado). È buona norma che ogni insegnate, anche nelle classi intermedie, valuti il livello di preparazione dei ragazzi in relazione ai contenuti da affrontare nel nuovo anno scolastico. Questa valutazione va effettuata anche per accertare il livello di mantenimento, dopo la lunga pausa delle vacanze estive, delle conoscenze e competenze dell’anno scolastico precedente che costituiscono prerequisiti indispensabili per il nuovo anno scolastico. Anche all’inizio delle nuove unità di apprendimento, i docenti devono accertare il possesso da parte degli alunni dei prerequisiti necessari ad affrontare adeguatamente le attività proposte. Rientrano nella valutazione diagnostica molte tipologie di prove che valutano diverse caratteristiche degli alunni: la motivazione scolastica, i livelli di attenzione, gli interessi, le capacità cognitive, gli stili di apprendimento, ecc. Molto utili sono le prove standardizzate che riportano le norme relative a campioni di riferimento nazionale (media, deviazione standard, percentili) perché permettono di rilevare con molta precisione come si colloca la prestazione di ogni classe e di ogni alunno, queste prove sono fondamentali per rilevare la presenza dei disturbi di apprendimento e per evidenziare i progressi degli allievi. 35
La valutazione formativa, si compie in itinere per rilevare come gli alunni recepiscono le nuove conoscenze. Questa tipologia di valutazione deve rispondere, più che ai criteri della validità e della attendibilità, al criterio dell’utilità. Cioè, la valutazione formativa deve essere utile ad aggiustare il tiro, ad adeguare l’attività didattica alle diverse esigenze e caratteristiche degli alunni. Quindi si possono utilizzare diversi tipi di prove che consentano di valutare on-line come gli alunni stanno acquisendo le nuove conoscenze. Molto utili a questo scopo sono la conversazione orientata; brevi interrogazioni orali; il pensiero ad alta voce: in cui l’alunno esplicita il proprio modo di ragionare, le strategie che utilizza; le prove oggettive (soprattutto a scelta multipla); il sistematico controllo delle attività effettuate a scuola e dei compiti a casa. La tipologia delle prove di valutazione formativa varia, naturalmente, anche in rapporto alla struttura epistemologica delle discipline e all’approccio psicopedagogico di riferimento. Le verifiche sommative vanno corrette e “restituite” il più velocemente possibile agli alunni (nello spazio di una settimana, massimo dieci giorni), i risultati devono essere tempestivamente comunicati ai genitori. La “restituzione della verifica” implica la sua correzione in classe, il commento della prestazione degli alunni, un supplemento di attività didattica per quegli alunni che non hanno raggiunto alcuni degli obiettivi didattici previsti. Nella “restituzione” occorre essere molto cauti con gli alunni che hanno ottenuto un risultato negativo, specialmente nei confronti di quelli più sensibili. In questi casi l’alunno va incoraggiato, ripreso e spronato in separata sede, mentre se il risultato è positivo va lodato pubblicamente. Questo atteggiamento è utile per sostenerne l’autostima. Per incoraggiare questi alunni e necessario “premiare” nella valutazione anche piccoli miglioramenti. La valutazione sommativa deve essere assolutamente valida e attendibile. Le prove di verifica sommative per essere valide devono contenere un numero di domande e/o esercizi che coprano gran parte dei contenuti che sono stati proposti nell’unità di apprendimento svolta e delle abilità che sono state sollecitate. Le prove sommative devono essere anche attendibili perché esse concorrono a determinare il voto che gli alunni avranno sulla scheda. Quindi tutti gli alunni di uno stesso ordine di scuola devono essere giudicati con gli stessi criteri e con prove simili (se non uguali) in modo da avere valutazioni comparabili. Per garantire l’attendibilità i docenti della stessa disciplina, appartenenti a classi parallele, dovrebbero accordarsi circa le prove sommative da somministrare, metterle in comune e adottare gli stessi criteri valutativi nella misurazione (assessment) e nella valutazione (evaluation), cioè nel passaggio dal punteggio raggiunto dall’alunno nella prova al voto. 36
Le prove sommative devono essere elaborate in maniera che prevedano difficoltà crescenti, quindi quesiti “facili” accessibili agli alunni in difficoltà e altri “difficili” che possano stimolare e mettere alla prova gli alunni più competenti. Per gli alunni diversamente abili e con DSA le verifiche devono essere corrispondenti a quanto è stato stabilito nella stesura dei PEI e dei PDP. Quindi le loro verifiche devono valutare gli obiettivi personalizzati, devono essere individualizzate anche per quanto riguarda le modalità, i tempi di esecuzione e l’attribuzione delle valutazioni. Anche per gli alunni in fase di alfabetizzazione o per quelli in difficile situazione di apprendimento (anche se non certificati) si devono effettuare verifiche adeguate ai loro Piani di Studio Personalizzati. La valutazione orientativa, ha la funzione di acquisire elementi utili ad indirizzare gli alunni verso scelte successive adeguate alle loro potenzialità. La valutazione orientativa deve andare oltre al criterio della riuscita scolastica, essa deve rilevare altri fattori che possono essere determinati nella riuscita nei successivi indirizzi scolastici. Tali fattori sono rappresentati dalle caratteristiche relative alla personalità dell’alunno e al suo contesto ambientale: - stili cognitivi; - tipo di intelligenza; - tratti temperamentali; - interessi e valori dominati; - abilità extrascolastiche; - atteggiamenti verso sé e gli altri; - lo studio e il lavoro; - rapporti famigliari e sociali. Questo tipo di valutazione comporta anche l’uso di strumenti come i questionari e le interviste. Di solito tale valutazione è implementata attraverso progetti di orientamento che prevedono anche l’intervento di personale esperto che affianca i docenti.
37
LA RIFORMA DELLA BUONA SCUOLA
“I
CAMBIAMENTI
INTRODOTTI
DALLA
LEGGE
RELATIVAMENTE
ALLO
SVOLGIMENTO DELLA FUNZIONE DOCENTE” •
INCARICO NELL’ISTITUTO
•
FORMAZIONE
•
VALUTAZIONE
•
MERITO
Sei regole sull’ambiente di apprendimento 1. Valorizzare le esperienze e le conoscenze degli alunni 2. Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità 3. Favorire l’esplorazione e la scoperta 4. Incoraggiare l’apprendimento collaborativo 5. Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere 6. Realizzare attività didattiche in forma di laboratorio
I compiti dei docenti della Buona Scuola •
Al docente, da tempo, non è più solo richiesto di insegnare
•
Nella scuola i docenti lavorano “diversamente” 38
•
C’è un tempo di lavoro “diverso”
•
C’è un problema di come far emergere il lavoro invisibile
•
Non bastano più le garanzie contrattuali
•
C’è un problema di come valorizzare tutte le attività svolte nella scuola
I compiti formativi •
attività di formazione in servizio
•
attività di ricerca didattica
•
eventuale produzione scientifica
I compiti professionali •
impegni assunti all’interno della propria organizzazione scolastica
•
partecipazione ai dipartimenti, gruppi di progetto, a nuclei di valutazione
•
svolgimento di funzioni di staff, strumentali, di supporto
•
responsabilità di unità operative
Il docente pertanto: •
si prende cura della propria formazione
•
gestisce una didattica efficace, partecipata, collaborativa
•
verifica i risultati dei ragazzi e cura la didattica per migliorarli
•
condivide con i colleghi la progettualità
•
rendiconta il proprio lavoro ed è disponibile alla valutazione
•
si assume la responsabilità dei risultati della propria scuola
Le assunzioni avvengono per concorso pubblico. Cambia la modalità di scelta e di assegnazione della sede. Il docente è assegnato all’istituto. •
Il Dirigente può coprire i costi dell’organico dell’autonomia vanti e disponibili
•
I docenti possono essere utilizzati in classi di concorso diverse per le quali sono abilitati, purchè posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire e purchè non siano disponibili nell’ambito territoriale docenti abilitati in quelle classi di concorso 39
•
Il dirigente scolastico formula la proposta di incarico in coerenza con il piano dell’offerta formativa
•
L’incarico ha durata triennale ed è rinnovato purchè in coerenza con il piano dell’offerta formativa
La formazione dei docenti diviene un obbligo di servizio e si articola (art. 1, cc. 121, 122):
Nella partecipazione a percorsi stabiliti nel Piano dell’Offerta Formativa, nel Rapporto di autovalutazione e nelle priorità indicate dal Ministero(art. 1, c. 124)
Nell’erogazione di un contributo individuale di 500,00€ destinato all’aggiornamento professionale (art. 1, cc. 121, 122)
Bonus docenti Il bonus può essere speso dal docente per:
Acquisto di libri, testi, pubblicazioni, riviste utili al suo aggiornamento
Acquisto di hardware e software
Iscrizioni a corsi di aggiornamento presso enti accreditati da MIUR e università
Iscrizioni a corsi di laurea e post-laurea inerenti alproprio profilo professionale
Partecipazione a rappresentazioni teatrali e cinematografiche
Ingressi a musei, mostre, eventi culturali e spettacoli
Partecipazione a iniziative coerenti con il Piano dell’offerta formativa e il Piano nazionale di formazione
L’obbligo di rendicontazione
LA FUNZIONE DEL DOCENTE L’art. 395 comma 1 del D. Lgs. 297/1994, definisce la funzione del docente come “esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura e di contributo all’elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”. Il profilo professionale del docente è costituito da competenze: - disciplinari 40
- psicopedagogiche e metodologiche-didattiche - organizzativo-relazionali. La funzione del docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale (libertà d’insegnamento), come sancito dalla Costituzione.
L’INSEGNANTE PER IL SOSTEGNO Il passaggio da un’ottica di inserimento ad una di integrazione degli alunni in situazione di svantaggio nella scuola, ha reso necessario ridefinire la figura dell’insegnante per il sostegno, delineando una serie di professionalità, conoscenze, competenze e atteggiamenti propri di un profilo professionale complesso. E’ un facilitatore dell’apprendimento, con competenze pedagogicodidattiche
e
relazionali
finalizzate
all’integrazione
attraverso
la
mediazione.
L’insegnante per il sostegno non è soltanto l’insegnante dell’alunno disabile bensì docente dell’intera classe, che ha il compito di favorire situazioni didattiche, formative e relazionali mirate a realizzare il processo di integrazione in piena contitolarità con gli insegnanti curricolari. “.. è assegnato alla scuola per interventi individualizzati di natura integrativa in favore della generalità degli alunni ed in particolare per coloro che presentano specifiche difficoltà di apprendimento” “…gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità...delle classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e all’elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di classe e dei collegi dei docenti.
Lente di Ingrandiment: IL CCNL LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NAZIONALE ll Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (stipulato tra l’ARAN e le Organizzazioni Sindacali) DISCIPLINA il rapporto di lavoro sia a livello normativo (orario, qualifiche e mansioni, stabilità del rapporto e così via) sia a livello economico (retribuzione, trattamenti di anzianità e così via).Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto Scuola si applica a tutto il personale indipendentemente dalla durata del contratto e si articola in due parti: parte comune 41
(applicabili a tutti i dipendenti del comparto); specifiche sezioni (contenenti le disposizioni applicabili esclusivamente al personale in servizio presso le amministrazioni destinatarie della sezione stessa, che si dividono in: - Istituzioni scolastiche ed educative; - Istituzioni di Alta formazione artistica, musicale e coreutica; - Università e Aziende ospedaliero-universitarie; Istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione). Determina diritti ed obblighi dei lavoratori e ha come scopo l’incremento dell’offerta formativa. Si svolge a livello nazionale tra la delegazione del MiUR e i rappresentanti sidacali per stabilire: mobilità professionale e territoriale; criteri per assegnazioni provvisorie: ripartizione delle risorse per la formazione del personale; permessi sindacali; attribuzione risorse per la scuola; riparto del del fondo per l’istitutuzione scolastica. Si svolge alivello regionale tra il dirigente titolare del potere di rappresentanza nell’ambito dell’ufficio e le organizzazioni sindacali per stabilire: critiri di salubrità dell’ambiente di lavoro; criteri di utilizzo delle risorse provenienti da regioni e enti diversi dal MIUR; criteri e durata delle assemblee territoriali; criteri per la fruizione dei diritti allo studio. Si svolge a livello di isitutzione scolastica, tra il dirigente scolastico, la RSU e i rappresentanti sindacali per stabilire: attuazione della normativa in materia di sicurezza; criteri di ripartizione del fondo di istituto; criteri di attribuzione dei compensi accessori e dei compensi per la volarizzazione al personale; criteri e modalità di applicazione dei diritti sindacali; ripartizione delle risorse per la formazionedel personale; A partire dall’anno scolastico 2018/2019, in base all’Art 30 e 88 del CCNL 2006/2009 integrato dall’Art.40 CCNL 2016/2018 si istitutisce il “Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa”. Le risorse presenti all’interno del Fondo sono: il fondo per l’istituzione scolastica; risorse destinate al compenso per le ore eccedenti del personale insegnante di educazione fisica per l’avvimanento della pratica sportiva; risorse destinate alle funzioni strumentali; risorse per incarichi specifici ATA; risorse per incentavare progetti; risorse destinate alle ore eccedenti; risorse per la valorizzazione del personale docente;
42
LA VALUTAZIONE Sono soggetti a valutazione: 1. I DOCENTI NEOASSUNTI (art. 1, cc. 115 – 120) al fine di ottenere a conferma del Contratto a tempo indeterminato 2. I DOCENTI CHE INTENDONO SOTTOPORSI VOLONTARIAMENTE ALLA VALUTAZIONE (Art. 448 d. l.vo n. 297/1994) al fine dell’inserimento nel proprio curriculum personale. 3. I DOCENTI CHE VOGLIANO OTTENERE LA RIABILITAZIONE A SEGUITO DI UN PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE (Art. 448 d. l.vo n. 297/1994) al fine di annullare le conseguenze del provvedimento per lo sviluppo della carriera.
Il comitato per la valutazione dei docenti nell’anno di formazione (art. 1, c. 129) Dirigente scolastico Presidente 3 docenti 2 scelti dal collegio docenti 1 dal Consiglio di istituto. Sono gli stessi eletti per il comitato di valutazione nella composizione integrale Tutor Scelto dal Dirigente Scolastico Durata 3 anni
L’ANNO DI FORMAZIONE Intreccio tra il periodo di prova e le attività formative: -
servizio prestato per almeno 180 giorni, dei quali almeno 120 per attività didattiche
43
Ruolo del docente – tutor accogliente: -
funzioni di accompagnamento, consulenza, supervisione professionale
-
comunicazione degli elementi istruttori al comitato di valutazione e al dirigente
Emanazione di un decreto di: -
obiettivi di sviluppo professionale e di miglioramento per i docenti neo-assunti
-
caratteristiche del percorso formativo che accompagna il periodo di prova
-
criteri per la valutazione del personale in periodo di prova
Il percorso -
incontri inziali di accoglienza e di presentazione del percorso formativo
-
partecipazione a laboratori formativi specifici di carattere prevalentemente didattico e metodologico sulla base delle esigenze formative manifestate dai docenti
-
momenti di osservazione in classe, in forma “peer to peer” tra docente neo-assunto e docente tutor
-
costruzione di un portfolio di documentazione (piattaforma indire) dove rendicontare:
-
il proprio percorso professionale
-
la rielaborazione di esperienze didattiche
-
la protezione verso azioni di sviluppo formativo
-
la creazione di un proprio bilancio di competenze
Gli esiti: 1. La valutazione del periodo di prova è di competenza del dirigente scolastico, sentito il parere del comitato di valutazione. La pronuncia del Comitato è consultiva. 2. In caso di esito favorevole del docente l’assunzione a tempo indeterminata è confermata. 3. In casi di esito sfavorevole, il docente ripete l’anno di prova e le attività di formazione, al massimo per una sola volta. Elementi di osservazione e valutazione •
Strategie didattiche (strutturazione dell’insegnamento, interazione verbale, sostegno all’apprendimento, feed-back, ecc.);
•
Gestione della classe (gestione del tempo, gestione delle attività, organizzazione degli spazi, ecc.);
44
•
Sostegno personalizzato (supporti, incoraggiamento, attenzione alle differenze, inclusione, BES, ecc.);
•
Contesto (coinvolgimento degli allievi, rapporti interpersonali, uso della voce, gestualità, ecc.);
•
Utilizzo delle risorse didattiche (tecnologie, libro di testo, LIM, altre risorse, ecc.).
IL COMITATO PER LA VALUTAZIONE DEI DOCENTI PER LA VALORIZZAZIONE DEL MERITO •
Dirigente scolastico (presidente)
•
3 docenti
•
(2 scelti dal collegio docenti 1 dal Consiglio di istituto)
•
2 genitori (nella scuola dell’infanzia e del I ciclo)
•
1 genitore e 1 studente (nella scuola secondaria di II grado) scelti dal Consiglio di Istituto
•
1 componente esterno individuato dall’U.S.R. (scelto tra docenti, dirigenti scolastici e tecnici)
La quota assegnata alle scuole •
€200.000.000,00 annui
•
€23.500,00 annui circa a ciascun istituto Importi assegnati tenendo conto di:
-
numero di docenti
-
fattori di complessità organizzativa e gestionale situate in aree a rischio
I CRITERI PER LA VALUTAZIONE DEL MERITO Qualità dell’insegnamento e del contributo -
al miglioramento dell’istituzione scolastica
-
al successo formativo degli studenti
45
Risultati ottenuti dal docente o dal gruppo dei docenti in relazione a: -
Potenziamento delle competenze degli alunni
-
Innovazione didattica e metodologica
-
Collaborazione alla ricerca didattica alla documentazione e alla diffusione delle buone pratiche didattiche
-
Responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico, nella formazione del personale.
DOPO UN TRIENNIO DI SPERIMENTAZIONE IL MIUR EMANERA’ LINEE GUIDA PER L’INDIVIDUAZIONE DEI CRITERI
Valutazione del merito La primalità è orientata lungo i versanti sui quali si articola la professione docente: •
la competenza disciplinare
•
la competenza metodologico – didattica
•
la capacità di collaborazione e di socializzazione delle buone pratiche e delle innovazioni sul piano metodologico – didattico;
•
l’assunzione di responsabilità organizzative
I criteri stabiliti dal Comitato di valutazione possono essere indirizzati verso • singoli docenti • gruppi di docenti
Le deleghe (art. 1., cc. 180) • I provvedimenti previsti dalla legge n. 107/2015 non esauriscono le tematiche connesse con la riforma del sistema di istruzione • Necessità di ulteriori provvedimenti legislativi per modificare norme non coerenti con la legge
46
• Alcuni provvedimenti necessitano di decreti legislativi specifici coordinati con le disposizioni previste nella legge 107 da emanarsi entro 18 mesi.
Le deleghe (art. 1, cc. 181)
•
Redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di Istruzione
Riscrittura del D. L. vo 297/1994 e delle successive fonti normative
•
Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di
accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria Sistema unitario, regolarità concorsi, definizione requisiti per l’accesso, per la formazione iniziale, riordino delle classi di concorso
•
Revisione dei percorsi di istruzione professionale
Le deleghe (art. 1, cc. 181) •
Promozione dell’inclusione degli studenti con disabilità
•
Ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno anche attraverso
l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria •
Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione da 0 fino a 6 anni
•
Definizione dei livelli essenziali delle prestazioni della scuola dell’infanzia e dei
servizi educativi per l’infanzia Sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni Decreto applicativo della Legge n. 107 del 2015
Decreto N. 65 si propone di: • far uscire i servizi educativi per l’infanzia dalla dimensione assistenziale per farli entrare nella sfera educativa 47
• garantire continuità tra i segmenti 0-3 e 0-6 • coprire il 33%della popolazione sotto i 3 anni di età • superare le disparità territoriali nella distribuzione dei servizi per l’infanzia in Italia • Generalizzare la scuola per l’infanzia • Stabilizzare le sezioni primavera superando la fase sperimentale • Introdurre la qualifica universitaria quale titolo di accesso per tutti gli operatori dell’infanzia, migliorando il servizio
TITOLI DI ACCESSO Servizi per l’infnzia •
Laurea in scienze dell’educazione ad indirizzo specifico per educatori dei
servizi per l’infanzia •
Laurea quinquennale in scienze della formazione primaria integrata da un
corso di specializzazione per complessivi 60 CFU Scuola dell’infanzia •
L’accesso resta disciplinato dalla normativa vigente
•
Ridurre gli svantaggi culturali. Sociali, relazionali e favorire l’inclusione
La finalità
attraverso interventi personalizzati e un’adeguata organizzazione di spazi ed attività •
Favorire l’inclusione dei bambini con disabilità o altre condizioni di
diversità attraverso interventi personalizzati •
Sostenere la funzione educativa delle famiglie e favorire la conciliazione
tra i tempi del lavoro e quelli della cura dei figli.
Organizzazione del Sistema integrato •
Asili nido e micronidi (dai 3 ai 36 mesi di età)
•
Sezioni primavera (dai 24 ai 36 mesi), aggregate alle scuole dell’infanzia; 48
•
Servizi integrativi (es. spazio gioco, “tempo per le famiglie”, servizi
domiciliari…) •
Vengono istituiti i Poli per l’infanzia (dai 3 mesi ai 6 anni) che in unico
contesto edilizio – anche presso istituti comprensivi – accolgono diverse tipologie di servizi rivolti all’infanzia
COMPITI DELLO STATO, DELLE REGIONI, DEGLI ENTI LOCALI •
LO STATO assegna le risorse, promuove azioni di formazione, definisce i
criteri per la valutazione e il monitoraggio, assicura la coerenza educativa in relazione alle Indicazioni nazionali per il curricolo. •
LE REGIONI programmano e sviluppano il sistema integrato sulla base di
un piano pluriennale, promuovono coordinamenti territoriali, definiscono gli standard del servizio •
GLI ENTI LOCALI gestiscono in maniera diretta o indiretta i servizi per
l’infanzia, autorizzano i privati verificandone gli standard strutturali e educativi, realizzano attività di formazione del personale, monitorando il funzionamento dei servizi.
AGEVOLAZIONI PER LE FAMIGLIE •
Si definisce per la prima volta la soglia massima di partecipazione delle
famiglie alle spese di funzionamento dei servizi educativi per l’infanzia pubblici e privati, rimandandone la quantificazione ad una determinazione successiva (in sede di Conferenza Unificata Stato – Regioni). •
Gli Enti Locali potranno prevedere agevolazioni tariffarie o gratuità per le
famiglie con disagio economico •
Le aziende pubbliche e private possono erogare un “buono nido” fino a un
valore di 150€
49
Fase transitoria •
Dall’anno scolastico 2018-19 saranno superati gli anticipi di iscrizione nelle
scuole dell’infanzia, purchè siano presenti sul territorio servizi educativi per l’infanzia del sistema integrato. •
Nelle GAE sarà riconosciuto il servizio prestato nelle sezioni primavera
•
Anche alla scuola dell’infanzia viene assegnata una quota di organico di
potenziamento.
IL MINISTRO FEDELI Per dare attuazione, prima delle loro scadenze, alle deleghe contenute nella legge n° 107/2015, vengono emanati 8 decreti legislativi tutti con data 13 aprile 2017: •
N° 59 «Riordini, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria»;
•
N° 60 «Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività»;
•
N° 61 «Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale»;
•
N° 62 «Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato (…)»;
•
N° 63 «Effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente (…)»;
•
N° 64 «Disciplina della scuola italiana all’estero (…)»;
•
N° 65 «Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni (…)»;
50
•
N° 66 «Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (…)»;
Autonomia scolastica e dirigenza - l’autonomia scolastica nella legge n. 59/1997; - il profilo del dirigente scolastico nel D.Lgs. N. 165/2001 e seguenti; - il piano dell’offerta formativa; - l’organico dell’autonomia; - la contropartita dell’autonomia.
L’AUTONOMIA SCOLASTICA
Premessa Negli anni novanta, come reazione della comunità nazionale e delle istituzioni repubblicane al degrado di «tangentopoli», si tentò di ricostruire il rapporto tra Stato e cittadini attraverso una serie di riforme. Nell’ambito della pubblica amministrazione, le principali leggi di riforma sono riconducibili all’allora ministro della funzione pubblica Franco Bassanini. Legge 15 marzo 1997, n. 59 La legge n. 59 del 15 marzo 1997, recante «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa»: attribuisce personalità giuridica, e quindi autonomia, alle scuole opportunamente dimensionate – art. 21, comma 1; comportò lo spostamento dal centralismo ad una prima forma di applicazione del principio di sussidiarietà;
51
le istituzioni autonome furono chiamate a misurarsi con il territorio e il contesto di riferimento.
D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 Art. 1 del D.P.R. 275 del 1999 «Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59»: L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati alo sviluppo della persona umana; Tali interventi sono adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche degli alunni, al fine di garantire il loro successo formativo. I principali provvedimenti attuativi dell’autonomia scolastica •
D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233 «Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per determinazione degli organi funzionali dei singoli istituti (…)»;
•
D.Lgs. 6 marzo 1998, n. 59 «Disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto delle istituzioni scolastiche autonome»;
•
Decreto ministeriale 1° febbraio 2001, n. 44 «Regolamento concernente le «Istruzioni generali amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche».
Il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233 «Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per determinazione degli organi funzionali dei singoli istituti (…)» Il conferimento dell’autonomia scolastica alle scuole comportò la razionalizzazione della loro organizzazione sul territorio, finalizzata al raggiungimento di dimensioni idonee che giustificassero il conferimento della personalità giuridica alle istituzioni scolastiche e il ruolo dirigenziale ai capi d’istituto: -
Gli istituti di istruzione dovevano essere costituiti, di norma, con una popolazione compresa tra i 500 e i 900 alunni; 52
-
Nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche, il parametro fu ridotto a 300 alunni;
-
Il superamento dei parametri normali fu adottato nelle aree ad alta densità demografica. Nel contesto della spending review, la legge 15 luglio 2011, n. 111, modificò, a decorrere
dall’anno scolastico 2011/2012, i parametri precedenti: -
Obbligo di aggregazioni in istituti comprensivi della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado;
-
Gli istituti comprensivi, per acquisire l’autonomia, dovevano essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche. Poiché, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, la competenza di determinare la rete
scolastica sul territorio spetta alle Regioni, la legge 128 del 2013, stabilì che gli accorpamenti scolastici fossero operati dalle Regioni, rispettando il contingente dei dirigenti scolastici - quindi del numero di scuole dotate di autonomia – assegnato al territorio. LA DIRIGENZA SCOLASTICA •
Il D.Lgs. N. 59 del 1998 ha introdotto nel T.U. del pubblico impiego il profilo del dirigente scolastico.
•
L’art. 25 del D.Lgs n. 165/2001, novella la precedente normativa.
Il dirigente scolastico: ha autonomi poteri di direzione, coordinamento e valutazione delle risorse umane; svolge funzioni di garanzia per l’esercizio nella scuola dei diritti costituzionalmente tutelati: •
libertà di insegnamento;
•
libertà di scelta educativa delle famiglie;
•
diritto all’apprendimento da parte degli alunni;
può individuare i docenti collaboratori nel limite del 10% dell’organico;
53
è coadiuvato dal direttore dei servizi generali e amministrativi - d.s.g.a.- nell’ambito delle direttive a lui impartite; è titolare delle relazioni sindacali nella contrattazione integrativa d’ufficio; ha la responsabilità del datore di lavoro relativamente alla sicurezza sul lavoro; è titolare del trattamento dei dati personali - tutela della privacy -. Il tutto si svolge nel rispetto delle competenze degli organi collegiali. La legge 107 del 2015 si è proposta la finalità di rilanciare l’autonomia scolastica anche tramite il rafforzamento della funzione dirigente. Nuove competenze assegnate al dirigente scolastiche: definire gli indirizzi per le attività della scuola sulla base dei quali il collegio dei docenti elabora il PTOF - piano triennale dell’offerta formativa -; individuare il personale cui attribuire incarichi triennali sull’organico dell’autonomia; assegnare annualmente ai docenti meritevoli, in base ai criteri individuarti dal comitato per la valutazione, il riconoscimento - bonus - derivato dall’apposito fondo ministeriale.
POF – PIANO OFFERTA FORMATIVA L’ art. 3 D.P.R. 275 del 1999: «Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia» La legge chiede alle scuole di definire la propria «identità culturale e progettuale» quale risposta al bisogno di interlocuzione di studenti e famiglie. «il piano dell’offerta formativa è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi determinati a livello nazionale…e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa» (art. 3, comma 2).
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Dal 1° settembre 2000 l’adozione del POF La rivisitazione del POF nella legge 107/2015 •
La legge 107 del 2015 si è proposta di dare piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche, ponendo come finalità:
affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza; innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento; contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale dei diversi gradi di istruzione; realizzare una scuola aperta, quale laboratorio di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva; Garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini. •
La complessità dell’offerta formativa e l’esigenza di stabilità dell’organico funzionale della scuola, ha indotto il legislatore a portare a tre anni l’orizzonte temporale del POF
PTOF – PIANO OFFERTA FORMATIVA TRIENNALE Elaborazione e approvazione del PTOF Art. c. 3, comma 1, l. 107/201, «Ogni istituzione scolastica predispone, con al partecipazione di tutte le sue componenti, il piano dell’offerta formativa». Le componenti interne ed esterne dell’Istituto sono coinvolte nel processo di elaborazione del PTOF: Componenti interne: Collegio dei docenti; Consiglio di istituto;
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Studenti – nel secondo ciclo Componenti esterne: Utenza con le associazioni dei genitori; Gli enti locali; Le associazioni operanti nel territorio; Realtà produttive ed associative delle imprese… - nel secondo ciclo.
Procedura di elaborazione: 1. Il dirigente scolastico definisce gli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione; 2.
Il collegio dei docenti lo elabora;
3. Il consiglio di istituto lo approva.
Progettazione educativa e curricolare del PTOF Scelte educative: •
nell’elaborazione del PTOF l’Istituto deve individuare tra gli obiettivi generali del processo formativo, stabiliti dal Ministero tramite le Indicazioni Nazionali, quelle del territorio in cui opera chiede di perseguire
Obiettivi specifici di apprendimento: •
le conoscenze e le abilità che un alunno deve acquisire al termine di un periodo di istruzione predefinito in una particolare disciplina o in rapporto al Profilo dello studente;
•
è necessario adeguare gli obiettivi indicati a livello nazionale alla situazione dei propri studenti.
LA SCUOLA DELL’AUTONOMIA L’autonomia si esplica all’interno di linee comuni a carattere nazionale:
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•
le discipline e le attività costituenti quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale;
•
l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche;
•
limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo
Autonomia didattica Il D.P.R. n. 275 del 1999, art. 4, chiarisce che l’autonomia didattica si esercita «nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema». L’esercizio dell’autonomia didattica si svolge principalmente nel concretizzare gli «obiettivi nazionali» in percorsi formativi «funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni». Le scuole possono regolamentare autonomamente «i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ia ritmi di apprendimento degli alunni», adottando «tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune». L’autonomia didattica consente la programmazione di percorsi e attività multidisciplinari
L’autonomia organizzativa DPR 275 del 1999, art. 5: «L’autonomia organizzativa è espressione di libertà progettuale», purché sia coerente con gli obbiettivi generali e specifici di ciascun tipo ed indirizzo di studio ed indirizzata al miglioramento dell’offerta formativa. L’autonomia organizzativa si esprime: Nell’adattamento del calendario scolastico Nell’organizzazione flessibile dell’orario del curricolo Nella possibilità di diversificare nelle classi le modalità di impiego dei docenti
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L’autonomia di ricerca sperimentazione e sviluppo DPR 275 del 1999, art. 6: L’autonomia di ricerca sperimentazione e sviluppo consente alle istituzioni scolastiche, «singolarmente o tra loro associate», di corrispondere meglio alle esigenze delle realtà locali. DPR 275 del 1999, art. 11: le istituzioni scolastiche, «singolarmente o tra loro associate», possono proporre al ministero «iniziative finalizzate alle innovazioni» per attuare «modifiche strutturali che vanno oltre la flessibilità curriculare» Organico dell’autonomia L’organico dell’autonomia è costituito da: Posti comuni; Posti per il sostegno; Posti per il potenziamento dell’offerta formativa; Il ministero determina triennalmente con decreto l’organico dell’autonomia su base regionale, il riparto tra le regioni è effettuato sulla base del: Numero delle classi per i posti comuni; Numero degli alunni per i posti del potenziamento; Numero degli alunni disabili per il potenziamento dei posti di sostegno.
Gestione dell’Organico La gestione dell’organico dell’autonomia è una gestione integrata: tutti i docenti assegnati alla scuola fanno parte di un’unica comunità professionale. Diversificazione delle regole di ingaggio: Posti comuni
assegnati in funzione delle
attività di insegnamento curriculare Posti di sostegno
classi con alunni con handicap certificato 58
Posti di Potenziamento
pluralità di utilizzo
Art. 1, c.95 legge n. 107 del 2015 in caso di assenza di durata inferiore a 10 giorni, la sostituzione è possibile solo quando il docente è utilizzato su insegnamenti curriculari, che rientrano cioè nel diritto allo studio.
GLI AMBITI TERRITORIALI E GLI INCARICHI TRIENNALI AI DOCENTI Dall’anno scolastico 2016/2017 i ruoli dei docenti sono divenuti regionali, articolati in ambiti territoriali suddivisi in sezioni separate per gradi di istruzione, classi di concorso e tipologie di posto. Gli USR definiscono gli ambiti territoriali. Il dirigente scolastico formula una proposta rivolta ai docenti assegnati nell’ambito territoriale di riferimento, prioritariamente sui posti comuni e di sostegno, vacanti e disponibili, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi e della precedente assegnazione alla sede. L’incarico si perfeziona con l’accettazione del docente.
LE RETI SCUOLA Le istituzioni scolastiche autonome, in quanto dotate di personalità giuridica, possono essere soggetti di accordi di rete tra scuole e/o con enti di varia natura come: Università, associazioni, enti di formazione anche privata per la migliore attuazione di progetti didattici di ricerca e sviluppo di formazione ed aggiornamento. Le reti negli ambiti territoriali Le reti negli ambiti territoriali ex legge n. 107 sono finalizzate alla gestione dell’organico e rispondono alle necessità di: assicurare l’assegnazione di sede territoriale ai docenti neo-immessi in ruolo ed a quelli che già di ruolo su organico sede perdono il posto ed o chiedono la mobilità;
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costituire l’ambiente di incontro tra le proposte dei dirigenti scolastici del territorio ed i docenti incardinati nell’ambito, al fini di attuare l’offerta formativa delle scuole tramite l’organico potenziato. Il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche Nel contesto della spending review, la legge 15 luglio 2011, n. 111, modificò, a decorrere dall’anno scolastico 2011/2012, i parametri precedenti:
Obbligo di aggregazioni in istituti comprensivi della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado;
Gli istituti comprensivi, per acquisire l’autonomia, dovevano essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche.
Il monitoraggio del sistema A seguito della riforma costituzionale del 2001, sono riservate alla legislazione esclusiva dello Stato ex art 117 della Costituzione: ✓La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – LEP – che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ✓Le norme generali sull’istruzione. Allo Stato compete la verifica sulla fruizione da parte di tutti i cittadini dei livelli essenziali di prestazioni. Alle Istituzioni scolastiche compete la responsabilità della realizzazione dei diritti degli studenti, anzitutto al successo formativo, nell’ambito delle indicazioni ricevute e delle risorse assegnate, elaborando il PTOF e collaborando con l’Amministrazione centrale nella verifica dell’efficienza del sistema.
IL SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE I soggetti che concorrono alla costituzione del sistema nazionale di valutazione – SNV – sono: 60
- INVALSI; - INDIRE; - Contingente ispettivo; Il ministero individua tramite direttiva di periodicità triennale, le priorità della valutazione del SNV. L’INVALSI partecipa alle indagini internazionali ed alle altre iniziative in materia di valutazione in rappresentanza dell’Italia. Le rilevazioni dell’INVALSI sono «attività ordinaria di Istituto» - legge 35 del 4 Aprile 2012
INVALSI L’INVASI istituito con la legge 53 del 2003 è l’istituto di ricerca che effettua la valutazione del sistema dell’istruzione sulla base delle apposite direttive ministeriali, operando quale organo del sistema nazionale di valutazione. Sotto il profilo giuridico è una Agenzia. La valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti di ciascuna scuola avviene mediate la rilevazione a livello nazionale delle conoscenze ed abilità acquisite in determinati momenti del percorso formativo: -
Seconda e quinta classe della scuola primaria;
-
Terza classe della scuola secondaria di primo grado;
-
Seconda e quinta classe della scuola secondaria di secondo grado; Le prove riguardano le aree disciplinari dell’Italiano e della Matematica. A queste si aggiunge l’Inglese nelle classi quinta della primaria, Terza della secondaria di
primo grado e quinta della scuola secondaria di secondo grado.
INDIRE L’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa costituito con il DLgs 258 del 1999 si sostituì alla BDP – Biblioteca di Documentazione Pedagogica. 61
L’Istituto: -
sviluppa azioni di sostegno ai processi di miglioramento della didattica e dei comportamenti professionali del personale della scuola;
-
gestisce programmi e progetti dell’Unione Europea; Il DM 850/2015 ha affidato all’INDIRE il compito di realizzare ed aggiornare la piattaforma
digitale per i docenti neoassunti. Il Corpo Ispettivo Nell’ambito del procedimento di valutazione esterna delle scuole, sono previste visite da parte di nuclei costituiti da un dirigente tecnico – ispettore – o da due esperti scelti dall’elenco appositamente predisposto dall’INVALSI
LO STATUTO DEGLI STUDENTI E DELLE STUDENTESSE DPR 24 giugno 1998, n. 249 Regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (in GU 29 luglio 1998, n. 175) modificato dal DPR 21 novembre 2007, n. 235 Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (in GU 18 dicembre 2007, n. 293) Disciplina i diritti e i doveri degli studenti. I diritti degli studenti a scuola A. Diritto a una formazione qualificata che rispetti l'identità di ognuno e le diverse idee. B. Continuità nell'apprendimento. C. Possibilità di avanzare richieste e realizzare iniziative autonome. D. Solidarietà tra i componenti della comunità scolastica (genitori, studenti, docenti, personale, genitori). E. Diritto alla riservatezza. F. Diritto ad essere informato sulle norme e le decisioni della scuola. G. Diritto alla partecipazione H. Dialogo sulle scelte della scuola, con possibilità di consultazione. I. Diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, quindi ad esempio a conoscere i voti (e le motivazioni per cui vengono dati) delle interrogazioni in tempi brevi
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J. Diritto alla libertà di apprendimento e scelta delle attività integrative e aggiuntive che devono essere organizzate tenendo conto di tempi ed esigenze degli studenti. K. Gli studenti stranieri hanno diritto al rispetto della vita culturale e religiosa di appartenenza. Devono essere promosse iniziative che favoriscano l'integrazione. L. Diritto di riunione e assemblea studentesca. M. Diritto per gli studenti ad associarsi. Per le associazioni studentesche la possibilità di svolgere iniziative a scuola. Promozione delle associazioni di ex studenti.
I doveri degli studenti a scuola A. Frequentare i corsi e portare avanti assiduamente gli impegni di studio. B. Avere rispetto verso il preside, gli insegnati, il personale e gli altri studenti. C. Tenere un comportamento coerente, anche nell'esercizio di diritti e doveri, con quanto previsto dallo Statuto a proposito della Comunità Scolastica. D. Rispettare l'organizzazione e le norme di sicurezza della scuola. E. Utilizzare in modo corretto strutture e materiali della scuola e comportarsi in modo tale da non danneggiarli. F. Condividere la responsabilità di rendere la scuola accogliente e avere cura dell'ambiente scolastico
Gli artt. 4 e 5 dello “Statuto” (sanzioni disciplinari e impugnazioni) sono stati radicalmente modificati dal DPR 235/2007 L’art. 4 del DPR 235/2007 chiarisce preliminarmente che le sanzioni disciplinari “hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti all'interno della comunità scolastica”. Pertanto, accanto alle tradizionali misure, si prevede anche la possibilità di “recuperare lo studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica.” Infatti “allo studente e' sempre offerta la possibilità di convertirle in attività in favore della comunità scolastica.”
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IL PATTO EDUCATIVO DI CORRESPONSABILITA’ Un articolo aggiunto dal DPR 235/2007 all’originario DPR 249/1989, è l’art. 5 bis che istituisce il Patto educativo di corresponsabilità di cui la scuola deve richiedere alla famiglia la sottoscrizione all’atto dell’iscrizione e che è “finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie.” Si tratta di un “patto” che non prevede la contrattazione con le singole famiglie ma è proposto dalla scuola a tutti in maniera indifferenziata. Per garantire, però, l’equilibrio tra le parti contraenti (scuola/famiglia) il Patto è elaborato dal Consiglio di Istituto (in cui sono presenti tutte le componenti della scuola) ed inserito nel Regolamento di Istituto. Comunque, si tenga presente che il Patto non è stato concepito tanto sul piano dell’individuazione formale di responsabilità e di doveri. Piuttosto si tratta di uno strumento per avvicinare la famiglia alla scuola, responsabilizzarla, indurla ad una collaborazione educativa in virtù dell’adesione della famiglia ad un preciso progetto educativo (sintetizzato nel POF di ogni scuola).
LA GOVERNANCE DELLA SCUOLA Consiglio d’Istituto Nelle scuole nelle scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni, è costituito da 14 componenti: dirigente scolastico, 6 rappresentanti dei docenti, 1 del personale ATA, 6 dei genitori (3 genitori e 3 alunni nel secondo ciclo) Nelle scuole con popolazione scolastica superiore a 500 alunni, è costituito da 19 componenti: dirigente scolastico, 8 rappresentanti dei docenti, 2 del personale ATA, 8 dei genitori (4 genitori e 4 alunni nel secondo ciclo). È
presieduto
da
uno
dei
membri,
eletto
tra
i
rappresentanti
dei
genitori.
Gli studenti che non abbiano raggiunto la maggiore età non hanno voto deliberativo sulle materie. I rappresentanti del personale docente sono eletti dal CD nel proprio seno; quelli del personale 64
amministrativo, tecnico ed ausiliario dal corrispondente personale di ruolo o non di ruolo in servizio; quelli dei genitori degli alunni sono eletti dai genitori stessi o da chi ne fa legalmente le veci; quelli degli studenti, ove previsti, dagli studenti dell’istituto. Ai sensi dell’ art. 10 del testo unico n. 297 del 1994 il Consiglio d’Istituto: -
elabora e adotta gli indirizzi generali e determina le forme di autofinanziamento;
-
delibera il bilancio preventivo ed il conto consuntivo;
-
delibera il bilancio preventivo ed il conto consuntivo;
-
all’adozione del regolamento interno dell’istituto;
-
all’acquisto, rinnovo e conservazione delle attrezzature tecnico scientifiche e dei sussidi didattici;
-
all’adattamento del calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali;
-
ai criteri generali per la programmazione educativa;
-
ai criteri per la programmazione delle attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche con particolare riguardo ai corsi di recupero e di sostegno, alle visite guidate, ai viaggi d’istruzione;
-
alla promozione di contatti con altre scuole o istituti al fine di realizzare scambi di informazioni e di esperienze e di intraprendere eventuali iniziative di collaborazione;
-
alla partecipazione dell’istituto ad attività culturali, sportive e ricreative di particolare interesse educativo; - a forme e modalità per lo svolgimento di iniziative assistenziali che possono essere assunte dall’istituto.
Il Collegio dei Docenti ll collegio dei docenti è un organo tecnico-professionale con funzioni attive, consultive e propositive. Esso è disciplinato, sostanzialmente, dall’art.7 del 297/1994 che, al c.1 afferma: “il Collegio dei Docenti è composto dal personale docente di ruolo e non di ruolo in servizio [...] nell’istituto”. Si tratta di organo omogeneo, composto da soli insegnanti; è presieduto dal dirigente scolastico. Si insedia all’inizio di ogni anno scolastico e si riunisce ogni qual volta il dirigente scolastico ne ravvisi la necessità, oppure quando un terzo dei componenti ne faccia richiesta, comunque almeno una volta ogni trimestre o quadrimestre (testo unico n. 297 del 1994). Il collegio dei docenti è organo attivo, consultivo e propositivo. E’ l’organo che delibera, con competenza pressoché esclusiva, sotto l’aspetto del contenuto, in materia didattica: su questa 65
materia, fa valere le sue competenze tecnico-professionali. Esso, tra l’altro, provvede all’elaborazione del piano dell’offerta formativa (POF) sulla base degli indirizzi generali per le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio di circolo o d’istituto. Ha competenza concorrente di tipo propositivo o consultivo: può cioè collaborare, in vari modi, con gli altri organi dell’amministrazione scolastica, ma ad essi si affianca e comunque non decide, potendo solo “proporre” o “consigliare” (ad esempio per la formazione delle classi, per l’assegnazione ad essi dei docenti, per l’attivazione di eventuali borse di studio).
I consigli di classe I consigli di classe costituiscono il luogo ideale di incontro tra le diverse componenti scolastiche, al fine di concordare le finalità da perseguire (nell’ambito degli indirizzi nazionali e di istituto, ovviamente), monitorare “in tempo reale” l’andamento e i risultati dell’azione didattica, ed eventualmente proporre le opportune iniziative al Collegio dei docenti. A ciò si aggiungono finalità di tipo “concomitante”, quali ad esempio la possibilità di proporre valutazioni in ordine alla scelta dei libri di testo e dei sussidi didattici, ovvero – sempre a titolo esemplificativo – alla pianificazione dei viaggi di istruzione. a) L’approvazione della Programmazione educative e didattica della classe (del PEI e del PDP); b) La verifica dell’andanmento didattico e disciplinare della classe; c) L’approvazione di progetti didattici extracurricolari; d) La programmazione delle visite guidate e dei viaggi d’istruzione; e) La realizzazione delle attività alternative all’insegnamento della religione Cattolica; f) La programmazione delle attività di recupero, sostegno e potenziamento; g) Il parere relative alle proposte di adozione dei libri di testo; h) La formulazione dei criteri per l’elaborazione del Documento del Cc (cosiddetto Documento del 15 maggio); i) L’approvazione del Documento; j) L’approvazione della Relazione finale della classe; k) La valutazione intermedia e finale dell’alunno; l) Eventuali provvedimenti disciplinari a carico degli alunni previsti dal regolamento d’istituto.
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Consiglio di classe (scuola secondaria I grado): ne fanno parte tutti i docenti della classe e quattro rappresentanti dei genitori. È presieduto dal dirigente scolastico o da un docente da lui delegato, purchè facente parte del consiglio. Oltre che dei provvedimenti disciplinari nei confronti degli studenti, il consiglio di classe formula proposte al collegio dei docenti, riguardo all’azione educativa e didattica, ed anche eventualmente in ordine ad iniziative di sperimentazione. Consiglio di classe (scuola secondaria II grado): ne fanno parte tutti i docenti della classe, due rappresentanti dei genitori e due rappresentanti degli studenti. È presieduto dal dirigente scolastico o da un docente da lui delegato, purché facente parte del consiglio. Oltre che dei provvedimenti disciplinari nei confronti degli studenti, il consiglio di classe formula proposte al collegio dei docenti, riguardo all’azione educativa e didattica, ed anche eventualmente in ordine ad iniziative di sperimentazione.
I rappresentanti dei genitori - I rappresentanti dei genitori non prendono parte alle sedute di programmazione e valutazione. - Vengono convocati periodicamente per essere informati sull'andamento disciplinare e didattico del gruppo classe e per essere consultati circa la realizzazione di progetti educativi. - Devono estendere agli altri genitori le informazioni ricevute nelle sedute del C. di C. - Possono chiedere al Dirigente scolastico, per motivate esigenze, la convocazione straordinaria del Consiglio di classe
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CAPITOLO SECONDO LA SCUOLA DELL’INTEGRAZIONE
- La legge n. 517 del 4 agosto 1977, abolisce le classi differenziali. Integrare tutti gli alunni nella stessa classe, qualunque sia la loro capacità di apprendimento diventa una vera e propria sfida che il Paese e la sua scuola si danno. E ciò suscita anche l’apprezzamento di tanti Paesi che a quel tempo ancora non avevano adottato provvedimenti di questo tipo. Compare la figura dell’insegnante specializzato e sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap. Di particolare interesse è il passaggio che prevede “iniziative di sostegno, anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni”. - Sentenza della Corte Costituzionale 3 giugno 1987, n. 215, sancisce il pieno diritto degli alunni diversamente abili a frequentare ogni ordine di scuola. - Legge 5 febbraio 1992, n. 104 (legge quadro sull’handicap) consegna lo status di cittadino alla persona con disabilità. “La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società”. Essa affronta le problematiche non solo legate alla scuola, ma a tutti i contesti e durante tutto l’arco della vita. 69
Punti salienti: 1. È garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie. 2. L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione. 3. Ci si sofferma sulla personalizzazione del percorso educativo. 4.Tutti gli alunni con disabilità hanno diritto ad un servizio di supporto psico-sociopedagogico, fornito dall'ASL di residenza o da un altro soggetto convenzionato, che condivide con la Scuola la responsabilità della progettazione educativa, ossia della definizione degli interventi e della loro valutazione.
D.P.R. 24 febbraio 1994 La documentazione specialistica che definisce la situazione e la tipologia dell’intervento individualizzato comprende la Diagnosi funzionale, il Profilo Dinamico Funzionale, il Piano Educativo individualizzato, la Programmazione didattica ed educativa
Individualizzata.
La diagnosi funzionale è la “descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell’alunno handicappato” e deve quindi considerare sia gli aspetti di diagnosi clinica sia gli aspetti dell’ambito psico-sociale. Il Profilo Dinamico Funzionale che coinvolge oltre che l’Unità multidisciplinare della ASL, il consiglio di classe, i genitori, l’insegnante di sostegno e indica non solo le difficoltà ma anche e soprattutto le potenzialità del soggetto in relazione agli assi “cognitivo, affettivo-relazionale, linguistico, sensoriale, motorio-prassico, neuropsicologico, dell’autonomia, dell’apprendimento” ed è la base per la redazione del Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.).
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Il P.E.I. viene redatto da un Gruppo di lavoro per l’Handicap Operativo” (GLHO) di cui fanno parte i docenti del Consiglio di classe, gli operatori della ASL o del Comune specificatamente coinvolti nell’intervento per il singolo alunno, i genitori ed eventuali altri soggetti professionali. Il documento deve contenere, per ogni anno scolastico, “gli interventi finalizzati alla piena realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione e all’integrazione scolastica” (d.P.R. 24/2/1994). In base alle necessità evidenziate nel PEI, l’Ufficio Scolastico Regionale assegna il docente di sostegno e gli eventuali assistenti educativi. Il GLHO può essere affiancato dal GLHI (Gruppo di lavoro per l’handicap di istituto) al quale partecipano docenti, studenti, rappresentanti delle famiglie e degli operatori dei servizi. A livello provinciale abbiamo i GLIP (Gruppi di lavoro interistituzionali provinciali) che hanno compiti di consulenza e proposta al Dirigente scolastico regionale, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le unità sanitarie locali per la conclusione e la verifica dell'esecuzione degli accordi di programma per l'impostazione e l'attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività inerente all'integrazione degli alunni con difficoltà di apprendimento. Vengono individuati gli ambiti su cui si basa tutta la progettualità: affettivo-relazionale, neuropsicologico, sensoriale, linguistico-comunicazioni in maniera che l’alunno possa sviluppare al massimo le sue potenzialità, l’importanza di partire da quello che sa fare e non dalle sue disabilità.
INCLUSIONE Il termine inclusione è entrato da poco nel nostro lessico educativo. L'inclusione è infatti un'estensione del concetto di integrazione che coinvolge non solo gli alunni con disabilità formalmente certificati ma tutti i compagni, con le loro difficoltà e diversità. Si presta particolarmente attenzione agli alunni con Bisogni Educativi Speciali, ossia in generale a coloro che per vari motivi, anche temporanei, non rispondono in maniera attesa alla programmazione della classe richiedono una forma di aiuto aggiuntivo.
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La scuola italiana è passata da una didattica “assimilazionista” (adattamento dell’alunno disabile a un’organizzazione scolastica che è strutturata fondamentalmente in funzione degli alunni «normali», e in cui la progettazione per gli alunni «speciali» svolge ancora un ruolo marginale o residuale), ad una didattica della “valorizzazione delle differenze” (non semplicemente «fare posto» alle differenze - principio di tolleranza della diversità - ma piuttosto affermarle, metterle al centro dell’azione educativa in quanto nucleo generativo dei processi vitali).
LA LEGGE 170/2010 La Legge 170/2010 e le Linee Guida applicative (12 luglio 2011) intervengono in merito al riconoscimento, alla operatività e agli interventi didattici in ordine ai Disturbi Specifici di Apprendimento. La Legge riconosce nei DSA (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia), “disabilità” di origine neurobiologica (e non dunque psicologico-relazionale-ambientale), specifiche, cioè riguardanti solo una funzione delimitata e non le funzioni cognitive generali (l’intelligenza) del soggetto affetto, che richiedono un intervento pedagogico-didattico incentrato sull’adozione di prassi specifiche e generali, basate sull’utilizzo di strumenti dispensativi e compensativi. La legge stabilisce il riconoscimento ufficiale dei DSA e identifica, di fatto, un percorso di gestione del disturbo comprendente diversi passi qualificanti. Un percorso differente viene seguito invece per le situazioni di handicap certificate secondo la legge 104/1992. LA LEGGE 104/1992 è un percorso caratterizzato da: -
Individuazione precoce attraverso osservazione e screening degli insegnanti sin dalla scuola dell’infanzia;
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Interventi di recupero didattico mirato;
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Apposita comunicazione alla famiglia, in caso di persistenti difficoltà;
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Iter diagnostico presso il Servizio Sanitario Nazionale o presso strutture accreditate;
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Diagnosi di pertinenza del Servizio;
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Comunicazione della famiglia alla scuola;
-
Provvedimenti compensativi e dispensativi e una didattica e valutazione personalizzate. Viene dunque assicurato agli alunni affetti da questi disturbi, un trattamento
personalizzato per il raggiungimento del successo formativo. È infatti evidente nella legge, la costruzione di un percorso didattico in cui siano chiaramente stabilite le strategie e gli strumenti da applicare e le dispense da alcune prestazioni non essenziali: ciò dovrebbe portare alla stesura di un vero e proprio Piano Didattico Personalizzato (PDP) da parte dei consigli di classe, condiviso dalla famiglia. Il diritto a un trattamento diversificato riguarda anche le forme di verifica e valutazione, che sono garantire in tutto il percorso scolastico, in forme la cui specificazione è demandata a decreti attuativi.
B.E.S. - NOTA MIUR 27/12/12 Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali
è
necessario
che
le
scuole
offrano
adeguata
e
personalizzata
risposta.
Quest’area dello svantaggio scolastico, che ricomprende problematiche diverse, viene indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali (in altri paesi europei: Special Educational Needs). Vi sono comprese tre grandi sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socio-economico, linguistico, culturale. Per “Disturbi evolutivi specifici” intendiamo, oltre i disturbi specifici dell’apprendimento, anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell’attenzione e dell’iperattività, mentre il funzionamento intellettivo limite può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico. Tutte queste differenti problematiche, ricomprese nei disturbi evolutivi specifici, non vengono o possono non venir certificate ai sensi della legge 104/92.
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DSA È bene precisare che alcune tipologie di disturbi, non esplicitati nella legge 170/2010, danno diritto ad usufruire delle stesse misure ivi previste in quanto presentano problematiche specifiche in presenza di competenze intellettive nella norma. Si tratta, in particolare, dei disturbi con specifiche problematiche nell’area del linguaggio (disturbi specifici del linguaggio, o più in generale, presenza di bassa intelligenza verbale associata ad alta intelligenza non verbale) o al contrario nelle aree non verbali (come nel caso del disturbo della coordinazione motoria, della disprassia, del disturbo non-verbale o di bassa intelligenza non verbale associata ad alta intelligenza verbale, qualora però queste condizioni compromettano sostanzialmente la realizzazione delle potenzialità dell’alunno) o di altre problematiche severe che possono compromettere il percorso scolastico (come per es. un disturbo dello spettro autistico lieve). A.D.H.D. Alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività. Un discorso a parte meritano alunni e studenti con problemi di controllo attentivo e/o dell’attività, spesso definiti con l’acronimo A.D.H.D. (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). L’ADHD si può riscontrare anche spesso associato ad un DSA o ad altre problematiche, ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. Funzionamento cognitivo limite Gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti generalmente come soggetti con funzionamento cognitivo (intellettivo) limite (o borderline), sono bambini o ragazzi il cui QI (quoziente intellettivo) globale risponde a una misura che va dai 70 agli 85 punti e non presenta elementi di specificità. Legge 5 Agosto 2015, N. 134 “Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie”.
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È la prima legge italiana sul tema dello spettro autistico. Aggiorna le Linee guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico in tutte le età della vita sulla base dell'evoluzione delle conoscenze fisiopatologiche e terapeutiche derivanti dalla letteratura scientifica e dalle buone pratiche nazionali ed internazionali. L’autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo che impedisce, a chi ne è affetto, di interagire in maniera adeguata con le persone e con l’ambiente. Si parla di Sindrome dello Spettro Autistico, quando: - Ha esordio nello sviluppo - Si presenta in vario modo (spettro) - Può presentarsi con (più o meno) ritardo mentale secondo il DSM-5 (APA, Diagnostic And Statistical Manual Of Mental Disorder)
Deficit della comunicazione sociale e dell’interazione sociale
Difficoltà nella comprensione e produzione del linguaggio
Difficoltà nella comunicazione non verbale
Difficoltà nella reciprocità socio-emotiva
Difficoltà nello sviluppo e nel mantenimento di relazioni
Comportamenti, interessi e attività ristrette, ripetitive •
Linguaggio, movimenti motori e uso di oggetti stereotipati
•
Eccessiva aderenza alla routine
•
Limitati interessi
•
Iper-reattività e/o ipo-reattività agli stimoli sensoriali Difficoltà ad abituarsi a cambiamenti nella routine Utilizzo inappropriato dei giocattoli Ipersensibilità o scarsa reazione ai rumori 75
Ipersensibilità o indifferenza al tocco
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Strategie di intervento per i BES Occorre elaborare un percorso individualizzato e personalizzato per alunni e studenti con bisogni educativi speciali, anche attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato, individuale o riferito a tutti i bambini della classe con BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti ed abbia la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate. Le scuole – con determinazioni assunte dai Consigli di classe, risultanti dall’esame della documentazione clinica presentata dalle famiglie e sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico – possono avvalersi, per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali, degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalle disposizioni attuative della Legge 170/2010 meglio descritte nelle Linee guida (DM 5669/2011).
Area dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale Per questi alunni, e in particolare per coloro che sperimentano difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana - per esempio alunni di origine straniera di recente immigrazione o che sono entrati nel nostro sistema scolastico nell’ultimo anno è possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati, oltre che adottare strumenti compensativi e misure dispensative (ad esempio la dispensa dalla lettura ad alta voce e le attività ove la lettura è valutata, la scrittura veloce sotto dettatura, ecc.). In ogni caso, non si potrà accedere alla dispensa dalle prove scritte di lingua straniera se non in presenza di uno specifico disturbo clinicamente diagnosticato, secondo quanto previsto dall’art. 6 del DM n. 5669 del 12 luglio 2011 e dalle allegate Linee guida. Fermo restando quanto previsto dall’art. 15 comma 2 della L. 104/92, i compiti del Gruppo di lavoro e di studio d’Istituto (GLHI) si estendono alle problematiche relative a tutti i BES.
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A tale scopo i suoi componenti sono integrati da tutte le risorse specifiche e di coordinamento presenti nella scuola; tale gruppo di lavoro assume la denominazione di Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (in sigla GLI) e svolge le seguenti funzioni: -
Rilevazione dei BES presenti nella scuola;
-
Raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi posti in essere;
-
Focus/controllo sui casi, consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie di gestione delle classi;
-
Rilevazione, monitoraggio e valutazione del livello di inclusività della scuola;
-
Raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli GLH operativi sulla base delle effettive esigenze, ai sensi dell’art. 1, c. 605, lettera b, della legge 296/2006, tradotte in sede di definizione del PEI come stabilito dall’art. 10 comma 5 della Legge 30 luglio 2010 n. 122;
-
Elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l’inclusività riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di Giugno).
NOTA MIUR 27 GIUGNO 2013 SUL P.A.I. Scopo del Piano annuale per l’Inclusività (P.A.I.) è fornire un elemento di riflessione nella predisposizione del POF, di cui il P.A.I. è parte integrante.
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CAPITOLO TERZO
COMPETENZE PEDAGOGICHE
Adolphe Ferrière 1879-1960 FONDATORE DELLA SCUOLA ATTIVA. Il termine scuolattiva indica polemicamente il superamento della scuola tradizionale ritenuta una scuola passiva che obbliga l'allievo a starsene immobile nel suo banco a subire la lezione cattedratica del maestro che impartisce dall'alto i suoi insegnamenti. La scuola tradizionale è una scuola dove prevale l'eteroeducazione e si basa sul metodo della competizione e dell'emulazione in una cultura individualistica. La scuola nuova vuole essere una scuola attiva, una scuola dove l'ordine parte dalla volontà degli alunni che attivamente prendono parte alla formazione, impegnandosi in attività che li interessano.
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La nuova scuola è puerocentrica, cioè si pone dal punto di vista del fanciullo: è il fanciullo che educa se stesso, mentre l'adulto gli porge l'aiuto necessario per quella che deve essere un’autoeducazione. In questa visione l’insegnante assume un ruolo centrale dovendo convogliare gli interessi di ogni adulto, esaltarne le doti individuali, promuovere attività diversificate. Adolphe Ferrière è uno dei più illustri rappresentanti della pedagogia svizzera, oltre che uno dei più convinti assertori della scuola attiva. Auspica una nuova pedagogia che deve avvalersi delle ricerche sulla psicologia del bambino. La scuola attiva prevede che la lezione si strutturino in tre tempi:
1- RACCOLTA DEI DOCUMENTI: sono gli alunni che compiono ricerche su svariati argomenti di loro interesse avvalendoi non solo dell’ausilio dei libri, ma traendo spunti interesanti anche da visite nei luoghi di lavoro o in altre organizzazioni della società.
2- CLASSIFICAZIONE: le notizie così raccolte vengono catalogate e raggruppate in schede per argomento, secondo modalità che consentano la facile consultazione agli altri.
3- ELABORAZIONE: i materiali raccolti vengono confrontati, analizzati e discussi in gruppo. L'insegnante organizza le ricerche tenendo conto degli interessi specifici delle singole età degli alunni e sono gerarchicamente organizzate in base alle specificità psicologiche e genetiche di ogni periodo della vita:
- Fase degli interessi sensoriali (0-3 anni): la scuola attiva però non interviene in questa età. - Fase degli interessi sparsi (4-6 anni): compaiono attività tipiche degli uomini primitivi, attività non finalizzate ad uno scopo preordinato; prevale l’attitudine al gioco.
- Fase degli interessi immediati (7-10 anni): si sviluppa la curiosità e la scuola deve tenerne conto avviando attività di esplorazione e ricerca.
- Fase degli interessi speciali concreti (10-12 anni): cominciano gli studi monografici su argomenti specifici con studio delle singole discipline.
- Fase degli interessi astratti semplici (13-15 anni): si studiano tutte le materie secondo i metodi tradizionali.
- Fase degli interessi astratti complessi (15-18 anni): è l’età giusta per intraprendere studi di filosofia, psicologia, sociologia, diritto ed economia.
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Tra i suoi numerosi scritti ricordiamo
Transformons l'école (1920)
L'éducation dans la famille (1920)
L'autonomie des écoliers (1921)
L'école active (1922)
L'activité spontanée de l'enfant (1922)
Libération de l'homme (1942)
Transformons l'école (1947)
Maisons d'enfants de l'aprés guerre (1949)
Roger Cousinet 1881-1973 Critica i metodi didattici tradizionali. Il suo metodo prevede la formazione di gruppi di lavoro, creati spontaneamente dai bambini, in risposta agli stimoli dell'interesse, in cui le materie di insegnamento si trasformano in attività libere. Esse vengono distinte in due direttrici principali: attività di creazione (lavoro manuale in genere) e di conoscenza (lavoro storico, geografico, linguistico, ecc.). Fondamentale l'importanza data all'attività di socializzazione, tramite cui il bambino riesce a giungere alla maturazione attraverso la spontanea collaborazione con i propri compagni, guidato sempre dalla figura dell’insegnante Fra le opere di Cousinet si ricordano: La vie sociale des enfants (1950) La vie sociale et le travail par groupes (1956).
Eduard Claparède 1873-1940
E’ il fondatore dell’ “Istituto Jean Jacques Rousseau” di Ginevra e autorevole rappresentante del funzionalismo, una delle principali teorie di riferimento della psicologia del XX secolo. 81
Più tardi, intorno all'istituto, si creò la cosiddetta " Scuola di Ginevra " che vedrà impegnati tanti studiosi tra cui Piaget, suo grande allievo. Le sue opere fondamentali sono: Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale (1909); Scuola su misura (1920); L'educazione funzionale (1931). Il presupposto di Claparède consiste nella convinzione che i processi mentali siano delle funzioni, grazie alle quali l’organismo conosce e si adatta alle necessità dell’ambiente, il suo approccio è improntato pertanto al funzionalismo. Lo scopo dell’educazione è di favorire lo sviluppo delle funzioni morali e intellettuali, per far emergere le proprie inclinazioni e per far questo è necessario improntare percorsi scolastici individualizzati. La scuola attiva dunque, a differenza di quella tradizionale, deve riuscire a suscitare, nei ragazzi, un interesse che superi la repulsione dello sforzo. Tale interesse si raggiunge solo inserendo, nei compiti da eseguire, l’attrattiva che suscita il gioco. Per realizzare un percorso educativo funzionale, l’educatore deve quindi individuare le concrete modalità di sviluppo degli interessi e dei bisogni dell’allievo. La scuola deve essere pertanto “a misura di bambino”, in grado di mutare con flessibilità l’organizzazione e i metodi per poter perseguire l’obiettivo dell’individualizzazione. Una scuola individualizzata permette sia di rispettare le diversità dei singoli, sia di provvedere alla selezione dei talenti. Essa può avvalersi: di classi parallele, formate da alunni di capacità omogenee; di classi mobili, in virtù delle quali ogni alunno si sposta per ciascuna materia nella classe corrispondente al proprio livello; di sezioni parallele, che offrono più indirizzi formativi agli alunni; del sistema delle opzioni,che prevede un programma minimo comune, a partire dal quale si apre un’ampia offerta di possibilità di studio. 82
In luogo del tradizionale sistema di esami, per valutare il lavoro individuale, verranno impiegati metodi scientifici di controllo del rendimento e delle capacità mentali come i test.
Ovide Decroly 1871-1932 Il metodo da lui proposto si caratterizza per l’importanza che nella didattica assumono i bisogni naturali del fanciullo, i quali suscitano corrispondenti interessi che di volta in volta vanno posti al “centro” di tutta l’attività scolastica. L’unità della proposta didattica è garantita da un programma di «idee associate», che promuove l’esperienza degli alunni mediante l’osservazione, l’associazione e l’espressione. L’educazione deve favorire l’adattamento del singolo alla società: “la scuola insegna a vivere mediante la vita stessa”. Egli adotta il metodo attivo introducendo il concetto di globalizzazione in cui si parte dal generale per arrivare al particolare, ad Es. il bambino impara la parola nel suo insieme e non più partendo dagli elementi più semplici della parola per arrivare alla parola attraverso la composizione degli elementi stessi. Opere fondamentali: La fonction de globalisation et l'enseignement (1925); L'évolution de l'activité chez l'enfant (1927); Introduction à la pédagogie quantitative (1929).
Célestin Freinet 1896-1966 E’ il “padre” di una pedagogia popolare, basata sui valori della spontaneità, della cooperazione, della cultura popolare e del lavoro collettivo. Per Frèinet occorre una “pedagogia popolare” che riconosca validità culturale agli interessi infantili e popolari, senza pretendere di sostituirli nell’immediato con gli interessi previsiti dalla ricerca teorica e imposti dai programmi ufficiali.
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La formazione del bambino si realizza grazie alle esperienze compiute provando e riprovando, “a tentoni”, in un ambiente creato dall’insegnante: scopo dell’educazione è favorire il processo di adattamento all’ambiente. Frèinet predilige un’istruzione all’aperto, e alle attività scolastiche affianca il lavoro manuale, singolo e di gruppo, per favorire la collaborazione e il gioco. Opere più importanti: Nascita di una pedagogia popolare; La scuola moderna; Le mie tecniche; La scuola del popolo; La scuola del fare. Principi, Metodi e tecniche
William Heard Kilpatrick 1871-1965 Allievo e collaboratore di Dewey, ritiene che la trasformazione della società sia legata all’innovazione didattica e organizzativa della scuola. Secondo Kilpatrick il sapere deve essere soprattutto invenzione, scoperta ed il metodo di insegnamento deve porsi il problema dei valori in gioco e dei fini da perseguire; in questo senso, anche la scelta del metodo di insegnamento, dunque, assume un valore sociale e politico. Per Kilpatrick l’individuo agisce in funzione dei propri fini: ogni azione intenzionale si concretizza in un “progetto”; il metodo di insegnamento migliore pertanto, è un metodo fatto di “progetti”. I progetti individuati da Kilpatrick sono i seguenti: -
progetto del produttore (il cui scopo è produrre qualcosa di pratico e operativo);
-
progetto del consumatore (con il quale si usa qualcosa e se ne gode esteticamente); Progetto di un problema (progetto di tipo intellettuale); 84
-
progetto di apprendimento specifico (il cui proposito è perseguire un qualche tipo di abilità o conoscenza). L’insegnamento deve essere improntato all’ordine «psicologico» – curvato sulle abilità, sugli
interessi, sulle sollecitazioni del contesto – e non a quello «logico» – basato sui criteri “esterni”, rigorosi e scientifici, di ordinamento della disciplina. Kilpatrick propone una didattica per «progetti», in cui l’allievo diventa il protagonista dell’educazione. Secondo questa nuova ottica anche il docente riveste una diversa funzione, dovendo dirigere il progetto, aiutare gli alunni e valutarne i progressi compiuti. Scritti più significativi: The Montessori system examined, New York 1915; The "project method", 1919; Education for a changing civilization, 1926 (trad. it., Firenze 1948); Our educational task, 1930; The educational frontier, 1933; Group education for a democracy, 1940; The learning process, 1948; Philosophy of education, 1951.
Jacques Maritain 1882-1973 Ritiene che l’educazione contemporanea abbia smarrito il senso dell’integrità umana e che pertanto occorra una nuova pedagogia, ispirata a un «umanesimo integrale», fondato sulla filosofia cristiana e immune dagli «psicologismi» e dai «sociologismi» eccessivi dell’attivismo laico. La scuola legata a questa concezione deve essere «liberale», deve cioè contemplare una formazione umanistica anche per quanti scelgono un curricolo tecnico‐professionale, e dev’essere aperta all’insegnamento della religione per tutti coloro che ne fanno richiesta.
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Nella prima parte dell’ opera “L'educazione al bivio” denuncia i sette errori dell'educazione contemporanea: - il misconoscimento dei fini (Maritain lamenta che le pratiche didattiche siano «amate e coltivati per amore della loro propria perfezione e non soltanto come mezzi», con il risultato di scambiare l'obiettivo-efficienza con le mete educative finali); - le false idee riguardo al fine («l'idea scientifica dell'uomo può procurarci delle informazioni inestimabili e sempre nuove intorno ai metodi e agli strumenti dell'educazione, ma non può fornire essa stessa né le prime fondamenta né le direzioni primordiali dell'educazione, perché essa ha bisogno di conoscere innanzi tutto che cosa è l'uomo, quale è la natura dell'uomo, quale scala dei valori essa implica essenzialmente»); - il pragmatismo («è uno sfortunato errore il definire il pensiero umano un organo di risposta agli stimoli e alle situazioni attuali dell'ambiente...; il pensiero è un'energia vitale di conoscenza e d'intuizione spirituale»); - il sociologismo (ritenere che il condizionamento sociale rappresenti la regola suprema e l'unico motivo dell'educazione: «L'essenza dell'educazione non consiste infatti nell'adattare un futuro cittadino alle condizioni e interazioni della vita sociale, ma prima di tutto nel farne un uomo e, proprio per questo, preparare un cittadino»); - l'intellettualismo (elaborare i programmi in funzione dell'esercizio delle funzioni pratiche e operanti dell'intelligenza con il fine ultimo di preparare più lo specialista che l'uomo nella sua integralità di sapere e volere); - il volontarismo (si tratta dell'errore opposto, ovvero basare l'educazione sulla esclusiva formazione della volontà con il rischio di cadute illiberali ed addirittura totalitaristiche); - ogni cosa può essere insegnata (critica alle forme di eccessivo professionalismo scolastico, dimenticando altre forme di esperienze e conoscenze, come ad esempio quelle etiche e religiose, che non maturano soltanto attraverso l'insegnamento di una disciplina). Nella seconda parte dell'opera si delinea il programma dell'educazione liberale con l'individuazione, in particolare, di quattro principi pedagogici e la definizione della struttura del programma di studi.
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Prima regola: incoraggiare e favorire quelle fondamentali disposizioni che permettono al bambino di svilupparsi nella vita dello spirito. Secondo regola: centrare l’attenzione sull’intima profondità della personalità e del suo cosciente spirituale dinamismo Terza regola: tutto il lavoro dell’educazione e dell’insegnamento deve tendere ad unificare non a disperdere. Quarta regola: conoscenza ed esercizio (mental training e problem solving).
Paulo Freire 1921-1997 Egli si propone di rendere gli oppressi, coscienti della loro condizione e di suscitare in loro la capacità di liberarsi di tale condizione. Il primo passo da compiere è trasformare il rapporto tra insegnante e alunno: deve essere abbandonata la tradizione pedagogica autoritaria di una «narrazione a senso unico», in favore del dialogo, che produce coscientizzazione e di un’alfabetizzazione culturale costruita sull’esame critico delle condizioni storico‐sociali del gruppo. Paulo Freire, ha elaborato un metodo di alfabetizzazione che in sole 40 ore insegn agli adulti non solo a leggere e scrivere, ma soprattutto a capire meglio il mondo. La “pedagogia degli oppressi” e “L’educazione come pratica della libertà”, pubblicati in Italia, contengono la sua riflessione teorica sul tema dell’alfabetizzazione. Partendo dalla premessa che l’uomo non è un essere astratto, ma radicato nel tempo e nello spazio, Freire analizza le varie relazioni che intercorrono tra queste tre componenti a partire dall’esperienza quotidiana. Da questo punto di vista anche le persone più semplici sono in grado di fare una lettura della realtà, scoprendo gli inganni di cui sono vittime e iniziando così un processo di liberazione, chiamato coscientizzazione. A questo tipo di educazione Freire contrappone quella che definisce “educazione depositaria” (l’intervento educativo diventa un atto del depositare secondo la quale le 87
persone si dividono tra coloro che sanno e coloro che non sanno). Egli propone invece la “pedagogia degli oppressi”, che partendo dalla consapevolezza che l’azione di educare è indissolubilmente legata a quella dell’imparare, ambisce non tanto a conoscere, quanto a trasformare la realtà. In questa nuova visione, il docente insegna e impara e il discente impara e insegna, e se entrambi hanno mantenuto la principale caratteristica dell’uomo, cioè la capacità di stupirsi di fronte alle meraviglie della natura e della storia, saranno in grado non solo di interpretare gli avvenimenti, ma anche di produrre dei cambiamenti significativi.
Comportamentismo Detto anche Behaviorismo, dall’inglese behaviour, “comportamento”, nasce nel 1913, anno di pubblicazione dell’articolo di J.B. Watson dal titolo “La psicologia così come la vede il comportamentista”. Secondo questo modello l’oggetto di studio della Psicologia diventa il comportamento, inteso come quello che l’uomo fa di visibile e osservabile. Il comportamento è la risposta (R) che l’uomo produce in presenza di uno stimolo (S) e si basa sui pincipi del condizionamento classico e operante. Considera lo sviluppo come una serie di condizionamenti esercitati dall’ambiente, nel quale pertanto, l’apprendimento, si verifica lentamente attraverso una serie di prove ed errori, che porteranno al consolidamento dei comportamenti più funzionali e all’abbandono di quelli che ottengono rinforzi negativi. Questo tipo di apprendimento forma memorie molto stabili difficili da modificare.
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Ivan Pavlov 1849-1936 Fisiologo russo E’ il principale esponente del condizionamento classico che consiste nell’associare uno stimolo inzialmente neutron a uno stimolo significativo. In presenza di uno stimolo neutro, si verifica una risposta simile a quella che si produrrebbe di fronte allo stimolo significativo. Questa capacità di associare due stimoli, per quanto diversi possano essere, ci aiuta in molte situazioni quotidiane. Egli afferma che uno stimolo incondizionato (SI), (ad es. un pezzo di carne) inserito nella bocca di un cane, produce una risposta incondizionata (RI), (ad es. la salivazione del cane). Se si inserisce uno stimolo neutro, ad esempio il suono di un campanello (neutro perchè non provoca la salivazione del cane), prima di dare la carne al cane per diverse volte, in successione, otterremo che il suono del campanello produrrà la salivazione del cane anche in assenza del cibo. Quindi crea una risposta condizionata (RC) perchè è stata indotta, cioè frutto di un apprendimento. Questo apprendimento che avviene per via associativa.
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Edward Thorndike, psicologo americano (1874-1949) Esponente del condizionamento operante studiò l’apprendimento per prove ed errori. Tale apprendimento si ottiene procedendo per tentativi, fino a quando non si trova il comportamento giusto e poi si tende a ripeterlo. Formulò così la “legge dell’effetto”, secondo la quale si tende a ripetere quei comportamenti che producono un risultato vincente e lo dimostrò mediante l’esperimento della puzzle-box. Presa una gabbia nella quale introdusse un gatto affamato, notò che questo imparava progressivamente, abbassando con una zampa la leva che faceva da maniglia sullo sportello di uscita, a raggiungere il cibo che si trovava all’esterno della gabbia. Secondo Thorndike (e poi Skinner) l’apprendimento avviene quindi, in primo luogo per prove ed errori; da qui la legge dell’Effetto, per cui la connessione tra uno stimolo e una risposta:
diventa attrattiva quando la risposta ha come effetto una conseguenza piacevole o positiva per cui il soggetto tende a ripetere il comportamento
diventa avversiva quando la risposta ha invece come effetto una conseguenza sgradevole o negativa: per cui il soggetto tende ad abbandonarlo
Burrhus Skinner, psicologo americano 1904-1990 “Se la psicologia seguisse il mio orientamento, l’educatore, il medico, il giurista, ecc. potrebbero tutti utilizzare i nostri dati frutto della ricerca sperimentale. Occorre soltanto mettersi al lavoro, partendo dal comportamento e non dalla coscienza. I problemi connessi al controllo del comportamento sono molteplici, al punto che ci legherebbero ad anni di studio e per molte generazioni, senza lasciarci il tempo di pensare alla coscienza in quanto tale" Skinner dimostrò l’influenza dei premi e delle punizioni sul comportamento; definì il premio rinforzo positivo mentre le punizioni rinforzo negativo.
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Con i suoi esperimenti svolti con la “Skinner – box”, capì che i comportamenti tendono verso il procurarsi i premi ed evitare le punizioni; teorizzò inoltre che il rinforzo positivo induce un apprendimento maggiore e più duraturo dell’apprendimento ricevuto attraverso il rinforzo negativo. Infine studiò il fenomeno del modellamento, che consiste nel premiare progressivamente tutti i comportamenti che man mano portano all’acquisizione del comportamento volute; gli alunni imparano di più e più in fretta se lodati e/o premiati ogni volta che seguono bene le indicazioni date dagli insegnanti. Skinner
trasferì
queste
teorie
alla
pratica
dell’insegnamento
dando
vita
alla
macchina per insegnare (skinner machine) ovvero una macchina che presenta agli alunni una serie di problemi (in sequenza randomizzata) e che elargisce un feedback al termine di ogni problema. Questa sarà una delle prime teorie di istruzione programmata che si evolverà con altri autori. In campo educativo l’esperimento di skinner ha dato un grande contributo e ha portato a stabilire alcuni accorgimenti che devono essere utilizzati nel processo di insegnamento: • è necessario iniziare dal punto in cui si trova l’allievo; • rispettare il ritmo personale di apprendimento di ogni singolo studente; • non permettere mai che le risposte sbagliate restino senza correzione, né quelle giuste senza gratificazione.
Albert Bandura 1925 Teoria dell’apprendimento sociale, psicologo canadese Ha dimostrato l’influenza del rinforzo sociale sull’apprendimento in quanto l’apprendimento, secondo lui, non è solo imitazione passiva, ma un processo attivo che comprende l’osservazione di un modello, l’immagazzinamento delle informazioni e la scelta di cosa tradurre in comportamento. Quindi l’apprendimento non avviene solo attraverso esperienze dirette ma anche osservando il comportamento di altre persone considerate come modelli, processo di rinforzo vicariante. La teoria del modeling sottolinea l’importanza dell’apprendimento per imitazione.
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Con
l’esperimento
della
“bambola
Bobo”
Bandura
dimostrò
che
il comportamento aggressivo dei bambini può essere modellato, cioè appreso per imitazione. Bandura formò tre gruppi di bambini in età prescolare:
nel primo gruppo inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrò aggressivo nei confronti di un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo. nel secondo gruppo, quello di confronto, un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività nei confronti di Bobo.
infine, il terzo gruppo, quello di controllo, era formato da bambini che giocavano da soli e liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello. In una fase successiva i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano
giochi neutri (peluche, modellini di camion) e giochi aggressivi (fucili, Bobo, una palla con una faccia dipinta legata ad una corda). Bandura poté verificare che i bambini che avevano osservato l'adulto picchiare Bobo manifestavano un'incidenza maggiore di comportamenti aggressivi, sia rispetto a quelli che avevano visto il modello pacifico sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli.
COGNITIVISMO E’ una corrente della psicologia che studia i processi mentali, considera l’uomo nella sua complessità, sposta definitivamente l’attenzione dal comportamento osservabile ai processi della mente, poichè la mente svolge un ruolo fondamentale nel generare un comportamento. I cognitivisti non considerano il comportamento come semplice risposta a stimoli ambientali, l’uomo viene visto come parte attiva, capace di autostimolarsi e di elaborare comportamenti attraverso i processi cognitivi. Il cognitivismo paragona il funzionamento della mente umana a quello di un computer. Il fondatore del cognitivismo è Ulric Neisser che considera l’apprendimento come un processo dinamico che procede non per accumulazione di conoscenze ma per ristrutturazione. 92
COSTRUTTIVISMO I costruttivisti sostengono che l’essere umano costruisce in modo attivo la sua cononoscenza. Il sapere non è più inteso come come un insieme di nozioni statiche e oggettive ma un processo dinamico in continua evoluzione. Nel corso del processo di formazione, l’individuo acquisisce abilità e conoscenze attraverso l’interaione con gli altri mettendo in campo le sue esperienze passate e il suo modo di rappresentare la realtà esterna.
SOCIOCOSTRUTIVISMO
Jean Piaget 1896-1980 Psicologo svizzero Secondo Piaget lo sviluppo mentale e conoscitivo del bambino sono influenzati da due processi fondamentali: - l’assimilazione, processo in base al quale la mente tende a conoscere la realtà. I dati ricavati dall’esperienza vengono assimilati in schemi mentali preesistenti, senza che avvenga alcuna modifica di essi. - l’accomodamento, processo mediante il quale la mente crea nuove conoscenze. Le nuove informazioni modificano gli schemi preesistenti, adattandoli alle nuove esigenze della realtà. Durante l‘assimilazione la mente apprende la realtà usando gli schemi che ha a disposizione; con l’accomodamento, invece, li trasforma e li modifica in modo che siano più adatti a cogliere la realtà. L’intelligenza quindi, per Piaget, è una forma di adattamento dell’individuo all’ambiente basata sul dinamico equilibrio fra questi due processi. Piaget distingue 4 stadi principali nell’evoluzione del bambino, che vanno dalla nascita all’adolescenza.
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1) Stadio senso-motorio: da 0 a 2 anni. La caratteristica di questo periodo è l’egocentrismo: il bambino è incentrato su di sè e vede gli altri e il mondo in funzione di sè stesso. Conosce il mondo attraverso l’intelligenza senso-motoria (movimento, sensazione, percezione), che gli permette di intervenire sulle cose, percepirne gli effetti e tornare ad agire. Quando il bambino percepisce il successo di un’azione, tenderà a ripeterla. Verso la fine di questo stadio il bambino acquisirà il concetto di permanenza dell’oggetto: un oggetto continua ad esistere anche quando non è percettivamente presente. E’ una conquista fondamentale per la capacità di rappresentazione mentale. 2) Stadio pre-operatorio: dai 2 ai 6/7 anni. In questo stadio il bambino, grazie anche al linguaggio, sviluppa una rappresentazione mentale della realtà. Ne sono esempi il gioco simbolico, l’imitazione, il racconto di esperienze passate e la capacità di prevedere esperienze future. Il bambino mostra ancora un’intelligenza rigida, incapace di tener conto del punto di vista altrui (egocentrismo). 3) Stadio delle operazioni concrete: dai 7 ai 12 anni. In questo periodo il bambino è in grado di compiere operazioni logiche usando i simboli, cioè di immaginare trasformazioni della realtà e di compiere manipolazioni mentali secondo determinate regole. Comprende i meccanismi dei calcoli matematici di base, la logica delle classificazioni e il principio d’inclusione (categorie più piccole comprese in categorie più grandi), inoltre è in grado di prevedere gli effetti di un’operazione e del suo inverso, ciò che viene definita reversibilità. Il bambino però, ancora non riesce ad astrarre dalla realtà e ha bisogno di riferirsi a situazioni concrete per poter operare mentalmente. 4) Stadio delle operazioni formali: dai 12 ai 15 anni. In questa fase il pensiero del preadolescente si sgancia dal dato concreto per operare su ricordi, immagini mentali, idee e concetti astratti. Ragiona per ipotesie, immagina nuove situazioni, può prescindere dall’esperienza e usare la logica del pensiero dedutivo e ipotetico, come gli adulti.
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Riesce, infatti, a proposito di cose su cui non ha esperienza, a formulare ipotesi e ricavare le conseguenze delle premesse. In questo stadio l’intelligenza raggiunge il suo completo sviluppo e il pensiero diventa astratto, cioè formale.
Jerome Bruner 1915-2016 psicologo americano Come Piaget ritiene che i bambini abbiano una capacità innata di adattarsi all’ambiente e come Vytgotskij sostiene che i fattori sociali, in particolare il linguaggio, iano importanti per la crescita cognitiva. Il linguaggio, per Bruner, svolge un ruolo fondamentale nello svipluppo cognitivo perchè rappresenta un mezzo-strumento attraverso il quale la mente acquisisce la realtà e le attribuisce un significato. Valorizza il linguaggio come prodotto della cultura, in cui ognuno trova lo strumento non solo per ordinare e costruire la realtà, ma anche per forgiare attivamente la propria identità personale. Definisce l’intelligenza come la capacità di mettere in atto una serie di strategie utili per risolvere problemi, analizzare le informazioni e codificarle. Attibuisce grande importanza alla situazione, al contesto (fattori sociali) e alla spinta motivazionale (fattori individuali). Lo sviluppo cognitivo per lui è il passaggio da sistemi semplici a sistemi sempre più complessi ed efficaci nell’elaborazione dell’informazione. Tale passaggio avviene attraverso: l’azione, l’immagine e il linguaggio. Al contrario di Piaget queste tre forme non sono in sequenza fissa dove una scompare e l’altra appare ma coesistono e conservano la loro autonomia. Considera l’apprendimento come un processo attivo che si sviluppa con l’aiuto di codici culturali, tradizioni e relazioni sociali; ha pertanto un’origine prettamente sociale. L’azione si riferisce alla pima modalità di conoscenza, corrispondente a ciò che il bambino fa esplorando intenzionalmente l’ambiente, la manipolazione; questo con lo scopo di conoscere l’ambiente e la realtà. 95
L’immagine (fino ai 7 anni) corrisponde alle immagini mentali che il bambino costruisce in base all’esperienza e che costituiscono forme di riorganizzazione della realtà. Il linguaggio fornisce al bambino uno strumento di codifica e decodifica della realtà più complesso.
Nel 1976 tre psicologi, Jerome Bruner, David Wood e Gail Ross utilizzano per la prima volta, in ambito psicologico, il termine "scaffolding" in un articolo pubblicato sul Journal of Child Psychology and Psychiatry. Si tratta di una parola inglese ("scaffold") che, tradotta letteralmente, significa "ponteggio" o "impalcatura". Indica strategia di apprendimento che parte da una persona più esperta e raggiunge una meno esperta. Il primo individuo infatti, crea una sorta di "scaffold", impalcatura per aiutare il secondo nel suo processo di apprendimento. Questa strategia si applica principalmente per aiutare e per sostenere un bambino durante il suo processo di apprendimento. Il tutor non ha solamente il compito di trasmettere informazioni teoriche ma anche di offrire supporto a livello emotivo e cognitivo. Secondo gli psicologi che hanno creato il concetto dello scaffolding, l'impalcatura che l'adulto crea per aiutare l'apprendista è formata essenzialmente da cinque fasi. 1. Reclutamento: il maestro deve motivare l'alunno e spronarlo, soprattutto nei momenti più complessi dell'apprendimento. 2. Riduzione dei gradi di libertà: il maestro ha il dovere di chiarire il compito in semplici passi. 3. Incoraggiamento e sostegno: durante il percorso di apprendimento, il maestro deve mantenere alto non solo il livello di attenzione del bambino ma anche il suo livello di motivazione 4. Messa in evidenza dei punti cruciali: il maestro deve far comprendere all'apprendista quali sono gli aspetti cruciali del compito, in modo tale che l'alunno possa comparare i suoi risultati con quelli che sono realmente necessari per il processo di apprendimento. 5. Dimostrazione (modeling): dopo che l'apprendista ha effettuato i suoi tentativi per risolvere il compito, il tutor mostrerà la sua strategia per arrivare alla soluzione. Il bambino potrà ripetere il modello spiegato dal tutor e migliorarlo attraverso ciò che ha imparato. 96
COSTRUTTIVISMO CULTURALE Lev Vytgotskij 1896-1934 psicologo russo Vytgotskij si dissocia dalla teoria di Piaget affermando che lo sviluppo cognitivo è specificatamente influenzato dal contesto sociale e culturale in cui la persona è inserita. Sostiene che che le relazioni sociali consentono e determinano nell’individuo l’acquisizione di quegli strumenti culturali, materiali e psicologici che sono alla base dello sviluppo. In particolare poichè il bambino nasce in un contesto che gli offre stimoli e strumenti, primo fra tutti il linguaggio, questo viene appreso inizialmente un contesto di comunicazione sociale e successivamante utilizzato per indirizzare i processi mentali interni. Per Vytgotskij dunque il linguaggio precede lo sviluppo cognitivo. Egli intuì che lo sviluppo può procedere secondo una maturazione biologica lineare ma può anche anticipare la sua maturazione avvalendosi di strumenti culturali. Il processo di sviluppo avviene nella “zona di sviluppo prossimale”: è lo sviluppo che il bambino può ottenere con l’aiuto di un contesto familiare e sociale stimolante. Questa zona è rappresentata dalla distanza tra il livello attuale di sviluppo di un bambino, definito effettivo (cioè quello che il bambino già sa fare da solo) e il suo sviluppo potenziale in quel momento. In tal senso Vytgotskij, riconosce un ruolo fondamentale alla famiglia e alla scuola, che devono stimolare le potenzialità cognitive del bambino.
JOHN DEWEY 1859-1952 Filosofo e Pedagogista americano Dewey è ritenuto il padre dello strumentalismo; l’esperienza è alla base dell’educazione, poichè l’essere umano deve adattarsi all’ambiente. Per lui l’educazione è definità come quel processo sociale in virtù del quale l’alunno, assorbe i contenuti culturali e la totalità delle conoscenze e delle tecniche prodotte dalla civiltà a cui appartiene, per questo non possono essere identificati fini educativi precisi. 97
Il processo educativo può favorire il cambiamento della società rendendola democratica e il primo passo è costituito dalla relazione democratica tra docente e discente. La scuola, per Dewey, è il luogo privilegiato in cui riprodurre la vita sociale per preparare i bambini ad affrontare i problemi che incontreranno all’esterno, favorendo la loro integrazione sociale. Propone un modello di educazione progressiva evidenziando l’importanza del lavoro fin dalla scuola primaria, che deve essere svolto in gruppo e tramite il fare: learning by doing. Introduce così i laboratori, in cui gli alunni socializzano, conversano, inventano, scoprono, costruiscono oggetti, interagiscono tra loro e con l’ambiente, imparano “facendo esperienza”. Al centro dell’attenzione pone l’alunno con i propri interessi, le proprie necessità, favorendo la collaborazione tra famiglia, scuola e ambiente sociale. La scuola, per Dewey, è il luogo privilegiato in cui riprodurre la vita sociale per preparare i bambini ad affrontare i problemi che incontreranno all’esterno, favorendo la loro integrazione sociale.
L’INSEGNAMENTO INDIVIDUALIZZATO Anna Freud e Dorothy Burlingham “Annina (Anna Freud) consapevole di non essere sufficientemente femminile o attraente come donna” [Anna Freud: “la 'vestale' della psicoanalisi”, di Nerina Millettesi] è un personaggio particolare che, nel suo essere balorda, decide di diventare diligente in uno studio che la cattura e la coinvolge in maniera viscerale: la psicoanalisi infantile. É da sottolineare che non si è mai laureata ma è stata investita da una serie di lauree honoris causa. Il suo interesse nasce da una sua esigenza personale: nel 1941 per rispondere al bisogno dei figli con problemi e abbandonati in tempo di guerra, Anna Freud istituì insieme a Dorothy Burlingham (che i pettegolezzi identificano come compagna di Anna) un rifugio per 100 bambini rimasti senza tetto a causa dei bombardamenti. Anna Freud mise in pratica con questi bambini le sue teorie, dando per la prima volta vita ai gruppi familiari e cercando, dove possibile, di far intervenire i genitori nella gestione dei rapporti di rottura con i figli. 98
Proprio attraverso questa esperienza pone evidenza sull’importanza della presenza di figure di riferimento costante nella vita dei bambini (potremmo azzardare a dire che è una fautrice indiretta della continuità didattica). Gli studi posti in essere in questo periodo la portano a concludere che la negatività dei rapporti tra genitori e figli, causano seri problemi psicologici e psichiatrici nei bambini. La gestione di figure di riferimento e nel caso specifico di maestre attente ed affettuose nel percorso di crescita non limitano comunque i danni causati dalla negatività dei rapporti con i genitori. In questo periodo istituì un corso di terapia clinica in cui stabilì 4 regole: -
Necessità di rendere accessibile a tutti le terapie cliniche indipendentemente dalla condizione economica
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Necessità di far diventare i bambini soggetti primari nelle terapie di coppia
-
Necessità di adeguare il sistema alle esigenze dei bambini
-
Necessita di porre al centro delle terapie il principio dell’osservazione Anna Freud diede vita alla "Psicologia dell'Io": Il trattamento psicoanalitico deve rinforzare la sfera dell’Io favorendo un adattamento
all’ambiente reale. L’Io è governato dal principio di realtà, che si trova tra l’Es e il Super-io ed è la parte più superficiale dell’apparato psichico (in un iceberg rappresenterebbe la punta). L’Io adotta delle strategie per proteggersi dall’angoscia, dal dolore e da pericoli interni ed esterni, che sono in ognuno di noi ma che possono sfociare in psicopatologie. I meccanismi di difesa posti dall’Io secondo Anna Freud sono: l’Identificazione con l’aggressore, l’Altruismo, l’Ascetismo e l’Intellettualizzazione (Serena Marotta)
Lente di ingrandimento Come insegnare l’Educazione Emotiva a Scuola Empatia significa capacità di immedesimarsi nell'altro. Carl Rogers definiva l'insegnante come un facilitatore d'apprendimento. Le tre caratteristiche che un facilitatore dovrebbe possedere sono: a) l'autenticità; 99
b) la sollecitudine non possessiva, ovvero la fiducia e il rispetto; c) la capacità di ascolto (l'empatia appunto). In termini operativi egli dovrebbe: predisporre un ambiente classe accogliente; fornire il maggior numero possibile di strumenti e di stimoli per l'apprendimento; accettare e valorizzare ogni aspetto emotivo ed intellettuale del gruppo. Rogers propone quindi una didattica che prevede una presentazione dell’argomento da parte del docente, correlata ad una presentazione dei materiali e delle proproste di possibili tecniche di studio. Gli allievi diventano pertanto autonomi nel percorso di studi [l’insegnante può intervenire se richiesto rendendo il raggiungimento dell’obiettivo di apprendimento più semplice] e anche autonomi nel processo di valutazione che diviene pertanto autovalutazione del lavoro compiuto. Sulla base del Pensiero di Rogers è possibile integrare in modo efficace alcune teorie sviluppatesi negli anni ’90. - Nel 1983 H.Gardner con le intelligenze multiple umane - Nel 1990 J.Mayer e P.Salovay con l’intelligenza emozionale - Nel 1995 D.Goleman con la teoria dell’intelligenza emotiva - Nel 1996 J. Ledoux (Psiconeuroimmunologia) con la Descrizione del cervello emotivo. L’Educazione Emotiva si può proporre a scuola attraverso attività didattiche mirate, ad esempio momenti di drammatizzazione di gruppo, oppure in modo armonico e trasversale, attraverso semplici meta-attività come il diario delle emozioni. Tre Percorsi Emotivi in classe consigliati da https://portalebambini.it/educazione-emotivascuola/ Le attività di educazione emotiva si
possono dividere in
due macro-gruppi:
quelle specifiche, il cui obiettivo principale è proprio il lavoro sulle emozioni, che avranno uno spazio riservato, e quelle che si “agganciano” ad altre attività didattiche, introducendo l’emotività tra gli altri obiettivi. Per proporle in modo efficace è meglio avere ben chiaro a mente il concetto di intelligenza emotiva, oltre che la capacità di comprendere e guidare gli stati d’animo. Non c’è nulla di meglio dell’esempio! In questa guida abbiamo proposto tre attività semplici e significative; sono pensate apposta per i ritmi scolastici, soprattutto il diario delle emozioni e l’uso delle storie. Senza richiedere spazi 100
e tempi difficili da trovare, sono piccoli interventi pratici per aiutare i bambini a costruire la propria competenza emotiva. 1) Drammatizzazione: scoprire le emozioni attraverso i personaggi del teatro. In classe viene dato poco spazio alla recitazione, che invece è uno strumento privilegiato per poter sperimentare le emozioni a tuttotondo. Recitare vuol dire fingere, fingere significa immedesimarsi, ci si può immedesimare solo se si è empatici. L’analfabeta emotivo spesso recita in modo piatto, non è in grado di appassionarsi. Un’introduzione al teatro, soprattutto per i bambini più timidi, è l’uso dei burattini: in questo modo l’attore non deve mostrarsi in volto e può proiettarsi in modo più semplice, evitando i blocchi emotivi. Ciascuno può realizzare la propria marionetta e poi, all’interno di uno spazio condiviso, si realizza una breve rappresentazione. La drammatizzazione aiuta a socializzare, a lavorare in gruppo, ad aiutarsi: sono tutti pezzetti di grande importanza per l’educazione emotiva. L’unico svantaggio è che questa attività richiede uno spazio e un tempo appositamente progettati: l’ideale è integrarla alle attività didattiche curricolari. Se nella vostra scuola non fosse possibile, date un’occhiata al diario delle emozioni e alla narrazione. 2) Il Diario delle Emozioni Si chiede ai bambini di annotare su un diario (oppure a margine del proprio diario/quaderno) le emozioni che provano nel corso della giornata. Periodicamente si può creare una vera e propria cartellina delle emozioni, in cui ciascuno descrive le emozioni che prova, le cause che le scatenano, le loro conseguenze; si può lavorare, in questo modo, sul concetto di autocontrollo. Questo diario aiuta a sviluppare la consapevolezza e il controllo di sé; spesso i bambini non sanno gestire le emozioni perché non le riconoscono, perché non sono più abituati a fare i conti con il loro lato emotivo che è diventato, come dice Galimberti, un ospite inquietante. Esempio pratico di consegna: sul diario si annotano, a fine giornata, le emozioni più intense che abbiamo provato, divise in due colonne: positive e negative. L’annotazione prosegue per un mese, poi bisogna fare il punto della situazione: quale emozione
ho
provato
più
spesso?
Cosa
succede
quando
sono
felice/arrabbiato/triste? Quali situazioni mi fanno provare questa emozione? 101
3)Storie e racconti La fiaba è uno dei momenti più importanti per sviluppare la competenza emotiva del bambino. Vi è mai capitato che, durante una storia, vi chiedano: “Perché il drago è cattivo?” “Perché rapisce la principessa?” “Perché la rana è invidiosa del bue?”. Dietro l’apparente ingenuità si rivela un bisogno profondo: quello di scoprire il mondo delle emozioni, affinare l’empatia e trovare rimedio alle emozioni negative. Nessun bambino ama essere in preda alla rabbia, semplicemente gli capita, se non sono sufficientemente forti da controllarla. E allora, anche a scuola, diamo più spazio alla narrazione, ricordiamoci che non dobbiamo esagerare con la complessità e che il divertimento aiuta ad imparare. Facciamo leggere, facciamo scrivere, facciamo pensare! Lasciamo che i bambini esplorino in libertà i loro personaggi preferiti, ma invitiamoli a farsi domande; questa tendenza è innata nei più piccini ma si va perdendo man mano che sperimentano la nostra indifferenza. Non c’è nulla di meglio di una mamma e una maestra paziente per insegnare il valore delle emozioni.
L’intelligenza emozionale J.Mayer e P.Salovay Mayer e Salovay parlano di intelligenza emotiva come “la capacità degli individui di monitorare le sensazioni proprie e degli altri, discriminando tra i vari tipi di emozione, ed usando questa informazione per incanalare pernsieri ed azioni” e successivamente aggiungono a questa descrizione anche la capacità di percepire le emozioni, confrontare emozioni e sensazioni, capire le informazioni che derivano da queste emozioni avendo la capacità di maneggiarle. Secondo i nostri autori l’intelligenza emotiva comprende 5 amibiti: -
Conoscere le proprie emozioni
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Maneggiare le proprie emozioni
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Motivare se stessi
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Riconoscere le emozioni degli altri
-
Utilizzare le competenze sociali nell’interazioni con gli altri
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Va da sé che le emozioni intese in questo modo rendono i processi del pensiero più intelligenti.
INTELLIGENZE MULTIPLE Harold GARDNER 1943 neuropsicologo americano L’intelligenza non è un’abilità monolitica, ma si esplica in forme diverse di intelligenza, quindi è una struttura articolata, scomponibile in elementi che corrispondono a diverse abilità. Gardner afferma, che l’intelligenza non è misurabile attraverso il QI ma che gli uomini possiedono più intelligenze, ognuna delle quali deputata ad una specifica attività cognitiva. Ne individuò inizialmente 7: logico-matematica, linguistica, musicale, spaziale, cinestesica, interpersonale e intrapersonale. Successivamente aggiunse l’intelligenza naturalista ed esistenziale. Intelligenza logico-matematica: individua relazioni tra gli oggetti astratti e concreti. Intelligenza linguistica: abilità di usare linguaggio e parole. Intelligenza musicale: composizione e analisi dei brani musicali, riconoscere suoni, ritmi e timbri. Intelligenza spaziale: capacità di cogliere e raffigurare gli oggetti anche quando non sono presenti. Intelligenza cinestesica: controllo e coordinamento del corpo e di manipolare gli oggetti per scopi espressivi o funzionali. Intelligenza interpersonale: capacità di comprendere le emozioni, le motivazioni, e gli stati d’animo degli altri. Intelligenza intrapersonale: comprendere le proprie emozioni e trasformarlein forme socialmente accettate. Intelligenza naturalistica: riconoscere e classificaregli oggetti della natura cogliendo le relazioni tra esse. 103
Intelligenza esistenziale: appartiene a quei soggetti che possiedono una particolare capacità di riflettere sulle grandi questioni che riguardano l’esistenza In ambito pedagogico-didattico, gli studi di Gardner assumono una grande importanza, perchè consentono di inquadrare il problema educativo sotto una luce nuova: non è importante eccellere in tutto per essere un’eccellenza, basta emergere in un certo ambito. Ciò rinforza la validità e l’efficacia degli interventi individualizzati, che sono funzionali alla nostra società che si connota come altamente specializzata.
Intelligenza EMOTIVA Daniel GOLEMAN psicologo americano (1946) Partendo dagli studi di Gardner sull’intelligenza intra e interpersonale, afferma che l’intelligenza emotiva consiste nella capacità di conoscere e regolare le proprie emozioni e di riconoscere quelle altrui. La consapevolezza di sè e l’empatia quindi, per Goleman, fanno parte dell’intelligenza e condizionano la vita dell’uomo. Può essere sviluppata con uno specifico allenamento rivolto a cogliere i sentimenti e le emozioni e a guidarli in senso costruttivo. L’intelligenza emotiva condiziona l’apprendimento e i processi cognitivi. Gli atteggiamenti dell’insegnante possono essere in armonia con il mondo interiore dell’alunno oppure in conflitto. La disponibilità affettiva dell’insegnante genera, nell’alunno, l’identificazione e il paragone personale con l’insegnante attivando un circuito virtuoso. Ciò perchè l’apprendimento nasce attraverso un processo che è affettivo e cognitivo insieme. Quando l’insegnante realizza una partecipazione affettiva l’apprendimento dell’alunno sarà maggiore e più stabile. L’educazione all’emotività sta diventando una parte indispensabile e trasversale del processo educativo, finalizzato allo sviluppo di personalità equilibrate e capaci di vivere in maniera dialigica e costruttiva nella società. L’intelligenza emotiva consiste: - nella consapevolezza di sè; 104
- nell’autovalutazioneobiettiva delle proprie capacità e dei propri limiti; - nella fiducia in sè stessi; - nell’autocontrollo e nella capacità di gestire le emozioni; - nella capacità di motivarsi; - nella capacità di riuscire a motivarsi anche quando le cose vanno male.
Joseph LeDoux LeDo ux , n euro s ci enzi ato, afferma che l’amigdala (in greco antico “mandorla”), cioè un agglomerato di neuroni che si trova all’interno del cervello, gioca un ruolo primario nel momento in cui si provano emozioni e sostiene che le «reazioni emotive innate, si producono quando l’amigdala viene “accesa” (da inneschi innati o appresi) perché la risposta è cablata nell’amigdala» e arriva alla distinzione tra emozione e affetto: l’emozione viene vista come una reazione fisiologica priva di affetto. Un a d ell e emoz ioni che LeDoux ha anal izz at o in m ani era dett agli at a è l a paura. In “L e n eur os ci enz e dell a paura” s pi ega com e questa em ozi one s i a st ata com pres a in t ermi ni neuro-bi ol ogi ci . Nel cervell o um ano ci sono due am i gdale: una nell ’em is fero dest roe un a i n quello si nis t ro. L’a mi g d al a n ell ’emi sf ero d es tro si attiva di pi ù ri spett o a quell a pres ent e nell ’emis fero si ni st ro quando un ess ere um ano prova una forte emozi on e. Grazi e a quest i s tudi s i è giunt i ad una cocl us ione: le em ozi oni (in parti col are pau ra, rabbia, st res s , ansi a, ecc.) coinvol gono i n parti col ar modo l ’ami gd al a e l ’ami gdal a a s ua volt a fa part e di un ci rcuit o cerebral e che può fare a m eno d el coi nvol gi m ento del l a cort ecci a (s ede dell a cons apevol ezz a). Da ci ò si com pren d e perch é m ol to spess o l e em ozi oni che provi am o non ri us ci amo a ges t i rl e.
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EMPATIA L’empatia è una dimensione dell’intelligenza emotiva. Consiste nel riuscire a “mettersi nei panni degli altri”, cioè immedesimarsi negli stati d’animo degli altri assumendo la loro prospettiva e condividendo i loro sentimenti. La capacità empatica è fondamentale per stabilire una posizione positiva con l’altro, regola la comunicazione, promuove comportamenti prosociali e cooperativi. L’impiego dell’empatia risulta fondamentale nella relazione educativa e didattica, l’insegnante empatico riuscirà a prestare maggior attenzione a quello che l’alunno vuole comunicare e a immedesimarsi nella situazione; evita atteggiamenti di simpatia e antipatia
CREATIVITA’ E’ la capacità di utilizzare le proprie conoscenze riorganizzandole continuamente, per risolvere problemi. Essa quindi, non appartiene solo agli artisti o alle persone “geniali”, ma è presente in misura diversa in tutti gli esseri umani. Questo sottolinea come la creatività non è relegata ad ambiti e contesti specifici, ma è qualcosa che caratterizza la parsona in ogni momento, luogo e fase della sua vita. Essere creativi non significa non avere punti di riferimento per costruire delle risposte, ma lasciare lo spazio a scelte meno automatiche. Ecco che esercizi di pensiero divergente possono diventare lo spunto per affinare lo spirito critico con cui valutare le soluzioni alternative. Ecco che il pensiero divergente crea le basi per usare uno stile di pensiero altamente apprezzato dalla scuola. La maggior parte dei test di intelligenza si concentrano solamente sul pensiero convergente, dato che a ogni item corrisponde un'unica risposta corretta accettabile. Negli ultimi decenni però si stanno studiando test (con soluzioni aperte) e strategie didattiche (come il brainstorming) per valorizzare anche il pensiero divergente. Ciò che Guilford e altri tentarono di dimostrare è che, dando rilievo al pensiero convergente, siamo inclini a trascurare completamente il pensiero divergente e di conseguenza non abbiamo fatto abbastanza per l’insegnamento (o lo sviluppo) della creatività nelle scuole. 106
Tuttavia con questo non si vuole intendere che il pensiero divergente sia superiore a quello convergente, o che sbagliamo nel dedicare a quest'ultimo così tanto tempo nelle scuole. Dovremmo invece considerare il pensiero divergente come complementare a quello convergente, invece di istituire fra i due tipi di pensiero una sorta di competizione.
Come Insegnare la Creatività Spesso ci viene ripetuto quanto sia importante insegnare ai bambini l’essere creativi; pertanto non dobbiamo mai smettere di chiederci, in ogni tappa della loro crescita, cosa possiamo fare per insegnare la creatività ai bambini. La creatività non si limita nell’uso delle arti. Si può essere creativi anche con la tecnologia (esempio Linguaggio di programmazione Scratch), con la robotica, in cucina. Riferendoci ai bambini possiamo parlare di creatività legata al gioco senza lasciarci influenzare dalla presunta esigenza di materiale artistico in un gioco creativo. Spesso si sente l’invito a lasciar giocare il bambino liberamente con i materiali, per favorire lo sviluppo della creatività. C’è un’età in cui questo metodo è formativo, ma in quel caso si parla di favorire l’esplorazione non la creatività. Per essere creativi i bambini hanno bisogno di un primo esempio per imparare a proseguire da soli. 1. Come coltivare la creatività nei bambini? Mostrate esempi per stimolare le idee 2. Incoraggiate i bambini a giocherellare con il materiale (programma, costruzione ecc) 3. Fornite una buona varietà di materiali: principio che richiama il metodo di Reggio Children
Considerazioni Un buon insegnante deve saper comunicare! Le basi di una comunicazione efficace sono: - Possedere un’Intelligenza emotiva, ovvero riuscire ad avere consapevolezza delle emozioni proprie e altrui, utilizzando l’empatia;
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- Saper Ascoltare attivamente, ovvero riuscire a farsi coinvolgere da chi parla, sospendendo giudizi e opinioni ed entrando nelle emozioni dell’altro. - Un buon insegnante deve avere una buona intelligenza emotiva! Daniel Goleman ne ha descritto le cinque componenti fondamentali: - Consapevolezza di sé, ovvero la conoscenza dei propri stati interiori; - Padronanza di sé, ovvero la capacità di dominare i propri stati interiori e regolarne l’espressione; - Motivazione, ovvero la capacità di scoprire il vero e profondo motivo che spinge all’azione; - Empatia, ovvero la capacità di riconoscere le emozioni che provano gli altri; - Abilità sociale, ovvero la capacità di stare insieme agli altri cercando di capire i movimenti che accadono tra le persone. Quando un buon insegnante comunica bene significa pertanto che ha una buona intelligenza emotiva: se si è in grado di essere consapevoli delle proprie emozioni, se si riesce a gestirle e ad esprimerle adeguatamente e se si riescono a prevedere gli effetti emotivi sull’altro di ciò che si comunica si è degli ottimi comunicatori! Fortunatamente l’intelligenza emotiva è un’abilità che può essere insegnata! Possiamo educare i nostri alunni a far crescere la loro intelligenza emotiva! Teniamo anche presente che il successo che avremo nella vita non è proporzionale alla quantità di intelligenza che abbiamo, ma alla sua qualità (Morin docet).
Il pensiero laterale e verticale Edward de Bono scrittore maltese, 1933 De Bono ha elaborato la teoria del pensiero laterale: il pensiero laterale è generativo (nel senso che genera nuove idee e nuovi concetti), esplorativo, può fare salti e consente di essere creativi; il pensiero verticale è logico, selettivo e sequenziale. Il pensiero laterale è una forma strutturata di creatività, che può essere usata in modo sistematico e deliberato, fra le varie tecniche di utilizzo si possono citare:
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la ricerca di alternative; la provocazione, produrre idee sottoforma di provocazione per arrivare a generare punti di vista logici ed innovativi.
Il pensiero convergente e divergente Joy Paul Guilford, 1897-1987 psicologo americano Secondo Guilford, l’intelligenza è un insieme di fattori indipendenti che costituiscono un sistema in cui non c’è un’intelligenza generale. Il pensiero divergente è la capacità di produrre una gamma di possibili soluzioni alternative per una data questione. Questa capacità ha un ruolo fondamentale nell’atto creative; questo perchè più è ampia la gamma di possibilità che siamo in grado di produrre, più alta sarà la probabilità di creare una novità. Il pensiero divergente si basa sulla: - flessibilità - originalità - fluidità (abbondanza di idee prodotte).
Il pensiero convergente si ha quando si converge su un’ unica risposta accettabile. E’ il ragionamento logico-matematico. Spesso è la forma di pensiero più sollecitato dalla scuola. Si basa: - su un procedimento sequenziale e deduttivo - nell’applicazione meccanica di regole - nell’analisi metodica di informazioni.
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Lente di Ingrandimento AMBIENTE DI APPRENDIMENTO Da ora in poi sentiremo spesso parlare di ambiente di apprendimento, ma vediamo nel dettaglio cos’è e come va strutturato.
AMBIENTI DI APPRENDIMENTO L'OCSE definisce gli "spazi educativi" come uno spazio fisico che supporta molteplici programmi di insegnamento e apprendimento e metodi didattici diversi, incluse le attuali tecnologie; che dimostra come edificio di avere caratteristiche funzionali e performanti, con un buon rapporto costo- efficacia nel tempo; che rispetta l'ambiente ed è in armonia con esso; che incoraggia la partecipazione sociale, fornendo un contesto sicuro, comodo e sano e stimolando i suoi occupanti. In senso stretto, un ambiente di apprendimento fisico è visto come un'aula convenzionale mentre, in senso ampio, è inteso come un insieme di contesti educativi formali e informali in cui l'apprendimento si svolge sia all'interno che all'esterno delle scuole (Manninen et al., 2007). Quando si parla di ambiente nel contesto dell’apprendimento si intende lo spazio (fisico o virtuale) che viene creato dal docente per stimolare e per sostenere conoscenze, abilità, motivazioni, atteggiamenti degli alunni, con lo scopo di stimolare apprendimenti mantenendo al centro della didattica una viva attenzione alle dimensioni cognitive, affettive ed emotive, interpersonali e sociali. Un ambiente di apprendimento serena aiuta gli alunni ad apprendere senza avere il timore dell’errore! Nell'ottica costruttivista infatti il docente (che non è colui che insegna, ma colui che guida verso la conoscenza) diventa un progettista di ambienti di apprendimento, costruiti intenzionalmente per consentire percorsi attivi e consapevoli di cultura. Per favorire l’esplorazione e la scoperta, incoraggiare
l’apprendimento
collaborativo,
promuovere
la
propria
consapevolezza
nell’apprendere, è necessario che gli ambienti di apprendimento siano ricchi di materiali di lavoro che stimolino la volontà di fare nuove esperienza e la conoscenza degli alunni. L’ambiente di apprendimento “comprende: a) uno spazio fisico;
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b) un insieme d’attori (studenti, insegnante, istruttore, tutor, esperti, adulti vari) che interagiscono al suo interno; c) un set di comportamenti concordati; d) una serie di regole o vincoli, assegnati o definiti collaborativamente dagli attori, per regolarne i) comportamenti al suo interno; e) pratiche (compiti e attività) assegnate e concordate; f) tempi d’operatività determinati e distribuiti; g) un set di strumenti o artefatti oggetto di osservazione, lettura e argomentazione (testo, illustrazione), manipolazione operatoria (pongo) o cognitiva (progettazione ed editing di un giornalino scolastico, anche online) h) un insieme di relazioni tra gli attori; i) un clima determinato dal tipo di relazioni istauratesi e dalle modalità di svolgimento delle pratiche; l) un insieme di aspettative e interpretazioni concettualmente concordate; m) modi di vedere se stessi (come studenti, insegnanti ecc.); n) sforzi mentali attivati nei processi di apprendimento (Salomon, 1996)”. “Nella didattica on line l’ambiente è il luogo, cognitivo e affettivo, in cui avviene la formazione e ha una struttura che aggrega materiali, processi, relazioni, in modo simile ad alcune applicazioni del web 2.0 [...]. Nell’e-learning le tecnologie divengono la rappresentazione simbolica e incarnano il processo didattico stesso. In altri termini, la struttura dell’ambiente è lo strumento didattico attraverso cui l’équipe di progetto comunica l’organizzazione del percorso, gestisce la relazione educativa, favorisce la costruzione di una comunità di apprendimento. L’ambiente infine, pur contenendo i materiali di studio, è il luogo in cui si veificano le relazioni sociali tra gli attori e in cui la comunità che apprende si confronta e dialoga. Mentre si confronta e dialoga, essa trasforma l’ambiente e lo configura coerentemente con la conoscenza costruita.” [Rossi P.G. (2009). Tecnologia e costruzione di mondi. Post-costruttivismo, linguaggi e ambienti di apprendimento. Roma: Armando Editore, p. 152] 111
Ambiente di apprendimento nelle indicazioni Nazionali per il curricolo (settembre 2012) scuola dell’infanzia L’organizzazione degli spazi e dei tempi diventa elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativo e pertanto deve essere oggetto di esplicita progettazione e verifica. L’ambiente di apprendimento della scuola dell’infanzia deve avere le seguenti caratteristiche: -
Spazio accogliente, caldo e curato
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Tempo disteso
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Stile educativo improntato a osservazione, ascolto e progettualità
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Partecipazione, che sviluppa progettualità ed educazione
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Esperienza e gioco
Ambiente di apprendimento nelle indicazioni nazionali per il curricolo Scuola primo e secondo ciclo «Contesto idoneo a promuovere apprendimenti significativi e a garantire il successo formativo di tutti gli alunni» Le indicazioni nazionali recitano: “L’acquisizione dei saperi richiede un uso flessibile degli spazi, a partire dalla stessa aula scolastica, ma anche la disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla conoscenza per le scienze, la tecnologia, le lingue comunitarie, la produzione musicale, il teatro, le attività pittoriche, la motricità... …Particolare importanza assume la biblioteca scolastica, anche in una prospettiva multimediale, da intendersi come luogo privilegiato per la lettura e la scoperta di una pluralità di libri e di testi, che sostiene lo studio autonomo e l’apprendimento continuo; un luogo pubblico, fra scuola e territorio, che favorisce la partecipazione delle famiglie, agevola i percorsi di integrazione, crea ponti tra lingue, linguaggi, religioni e culture.» Il Manifesto delle avanguardie educative propone sette orizzonti verso cui tendere: -Trasformare il modello trasmissivo della scuola; -Sfruttare le opportunità offerte dalle ICT e dai linguaggi digitali per supportare nuovi modi di insegnare, apprendere e valutare; 112
-Creare nuovi spazi per l’apprendimento; -Riorganizzare il tempo del fare scuola; -Riconnettere i saperi della scuola e i saperi della società della conoscenza; -Investire sul capitale umano ripensando i rapporti; -Promuovere l’innovazione perché sia sostenibile e trasferibile. Un ambiente di apprendimento efficace deve pertanto: - favorire l’esplorazione e la scoperta - Incoraggiare l’apprendimento cooperativo - Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere - Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni - Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità - Realizzare attività didattiche in forma di laboratorio
NUOVI SETTING D’AULA Il movimento delle Avanguardie valorizza esperienze che propongono nuovi setting d’aula ed una differente idea di edificio scolastico, il quale deve essere in grado di garantire l’integrazione, la complementarità e l’interoperabilità dei suoi spazi.
COSA SONO LE AVANGUARDIE EDUCATIVE Il Progetto Avanguardie educative nasce nel 2014 dalla collaborazione tra l’INDIRE e 22 scuole fondatrici che hanno sottoscritto un Manifesto programmatico per l’innovazione costituito da sette macro temi. A distanza di soli 4 anni le scuole di ogni ordine e grado che hanno aderito al progetto sono diventate oltre 800. Ma vediamo in cosa consiste questo progetto. Le scuole che aderiscono al movimento possono sperimentare e utilizzare dei veri e propri percorsi di innovazione metodologica e didattica. Il Movimento si apre alle scuole in 2 direzioni: 113
1. ADOTTA UN IDEA: le scuole possono “sposare” un progetto già strutturato da un’altra scuola attingendo dalle proposte presenti nella «Galleria delle Idee per l’Innovazione»; in questo caso le scuole che aderiscono a una o più “Idee per l’Innovazione” entrano a far parte di un percorso di assistenza online e in presenza, confrontandosi con l’INDIRE e con le scuole capofila per rendere replicabile l’esperienza di innovazione e fornire assistenza in itinere a docenti e dirigenti 2. PROPONI UN’EPERIENA DI INNOVAZIONE: la scuola aderisce a una o più «Idee per l’Innovazione” e ne amplia l’offerta presentando nuove proposte. Naturalmente le nuove proposte devono essere in linea con gli obiettivi del Manifesto. In questo caso, attraverso un lavoro di analisi e ispezioni, l’INDIRE e le scuole proponenti produrranno nuove idee per incrementare la galleria. “La Galleria delle Idee” è la rappresentazione concreta dei principi del Movimento ed è composta da 12 Idee (che trovano riscontro negli obiettivi della legge 107 e nelle azioni del PNSD) a cui se ne sono aggiunte altre 3. Guardiamole nel dettaglio: 1- Aule laboratorio disciplinari le aule sono assegnate in funzione delle discipline che vi si insegneranno, per cui possono essere riprogettate e allestite con un setting funzionale alle specificità della disciplina stessa. Il docente non ha più a disposizione un ambiente indifferenziato da condividere con i colleghi di altre materie, ma può adeguarlo a una didattica attiva di tipo laboratoriale, predisponendo arredi, materiali, libri, strumentazioni, device e software.
2- Bocciato con credito per affrontare il problema della demotivazione degli studenti e del loro insuccesso scolastico, la proposta prevede che tutte le discipline per le quali il giovane ha conseguito un giudizio di sufficienza, vengano registrate come «credito formativo» nel suo curriculum. L’anno successivo, in caso di ripetenza, il Consiglio di Classe prenderà atto degli eventuali risultati positivi raggiunti (nonostante l’esito globale negativo) e li registrerà come punto di partenza della costruzione del curriculum e degli impegni da proporre allo studente.
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3- Compattazione del calendario scolastico consiste in una distribuzione non omogenea del numero di ore annuali di una disciplina nell’arco dell’anno scolastico. Riorganizzare l’orario scolastico sulla base di blocchi temporali più lunghi di quelli tradizionali implica la ricerca di un nuovo modo di insegnare. 4- Debate (Argomentare e Dibattere) consiste in un confronto nel quale due squadre composte da studenti sostengono e controbattono un’affermazione o un argomento dato dall’insegnante, ponendosi in un campo (pro) o nell’altro (contro). Permette di acquisire competenze trasversali («life skills»), smontare alcuni paradigmi tradizionali e favorire il cooperative learning e la peer education non solo tra studenti, ma anche tra docenti e tra docenti e studenti. 5- Spazio flessibile (Aula 3.0) le tecnologie digitali consentono il superamento della stessa dimensione fisica dell’aula e l’accesso ad ambienti di lavoro collocati nello spazio virtuale. Rispetto all’aula tradizionale, l’«Aula 3.0» riconfigura sia la sua organizzazione in termini di apertura verso l’esterno, sia il suo assetto in senso propriamente fisico, tramite modifiche evidenti alla disposizione degli arredi. Il tutto per favorire una didattica innovativa, che privilegia approcci laboratoriali e collaborativi. 6- Spaced learning (Apprendimento intervallato) è una particolare articolazione del tempo della lezione che prevede tre momenti di input e due intervalli. I ragazzi saranno chiamati a dimostrare di aver acquisito il contenuto condiviso nei primi input, applicando le conoscenze in contesti di esercitazione o situazioni-problema. Al termine il docente
verificherà
l’effettiva
comprensione
del
contenuto
della
lezione
tramite
TEAL (Technology Enhanced Active Learning), una metodologia didattica che vede unite lezione frontale, simulazioni e attività laboratoriali su computer, per un’esperienza di apprendimento ricca e basata sulla collaborazione. Prevede un’aula con postazione centrale per il docente; attorno alla postazione sono disposti alcuni tavoli rotondi che ospitano gruppi di studenti in numero dispari. L’aula è dotata di alcuni punti di proiezione sulle pareti ad uso dei gruppi di studenti. 7- Dentro/fuori la scuola attraverso una pluralità di azioni, rilancia la funzione della scuola come ambiente di socializzazione, come agenzia in grado di formare i ragazzi e incentivare l’acquisizione di
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competenze, conoscenze e abilità necessarie per vivere e interagire nella società dell’informazione e della conoscenza. Intende valorizzare le istituzioni scolastiche come comunità attive, aperte al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie, la comunità locale, il terzo settore e le imprese. 8- Didattica per scenari è un approccio che si prefigge di introdurre pratiche didattiche innovative, potenziate da un uso efficace delle nuove tecnologie. Punti di partenza sono gli «scenari», ovvero descrizioni di contesti di insegnamento/apprendimento che incorporano una visione di innovazione pedagogica centrata sull’acquisizione – da parte degli studenti – delle cosiddette «competenze per il XXI secolo». Ogni scenario incorpora una differente visione e fornisce un differente set di indicazioni «learning activities», attraverso le quali il docente e la scuola giungono a scrivere ed implementare un vero e proprio progetto didattico: la «Learning story». La ICT Lab fa riferimento a tre temi tecnologici: artigianato digitale, coding e physical computing. Artigianato digitale è ciò che porta alla creazione di un oggetto attraverso la tecnologia, quindi dal CAD e il disegno 3D, alla stampa 3D. Sono definite attività di coding tutte quelle volte all’acquisizione del pensiero computazionale, e che mettano lo studente nella condizione di istruire la macchina a “fare cose” anziché ricorrere ad altre già create e disponibili. Per Physical computing si intende la possibilità di creare oggetti programmabili che interagiscono con la realtà; il campo di applicazione più noto è quello della robotica. 9- Flipped classroom la lezione diventa compito a casa mentre il tempo in classe è usato per attività collaborative, esperienze, dibattiti e laboratori. In questo contesto, il docente non assume il ruolo di attore protagonista, diventa piuttosto una sorta di facilitatore, il regista dell’azione didattica. Nel tempo a casa viene fatto largo uso di video e altre risorse digitali come contenuti da studiare, mentre in classe gli studenti sperimentano, collaborano, svolgono attività laboratoriali. 10- Integrazione CDD (Contenuti Didattici Digitali) 116
la norma prevede che «a decorrere dall’anno scolastico 2014-2015, gli istituti scolastici possano elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento». La scuola si trasforma in un grande laboratorio dove si apprende il processo di costruzione della conoscenza attraverso la progettazione (a cui partecipano insegnanti e studenti) di libri di testo e materiali didattici che sono insieme strumento e prodotto dei percorsi di formazione. 3 nuove idee si sono aggiunte in quest’ultimo anno: 11- Apprendimento differenziato l’idea, proposta dall’Istituto comprensivo “G. Mariti” di Fauglia, in provincia di Pisa, nasce da un’esperienza consolidata, quella delle “Scuole senza zaino“ con l’obiettivo di garantire agli studenti un percorso di formazione individualizzato e motivante. Lo spazio e il tempo della didattica risultano completamente rivoluzionati per favorire nei ragazzi e nei docenti momenti di condivisione, discussione e riflessione. Gli studenti sono chiamati a svolgere un ruolo attivo nella pianificazione delle loro attività quotidiane e nella partecipazione alle attività della scuola in generale. L’attività in classe si organizza per “tavoli di lavoro”, con compiti diversi, a rotazione. 12- Lavoro autonomo e tutoring è invece l’idea presentata dalla “Scuola Città Pestalozzi” dell’Istituto Comprensivo Centro storico di Firenze, in coerenza con il lavoro condotto sull’educazione affettiva. Il lavoro autonomo prevede un’organizzazione oraria che concede agli studenti uno spazio individuale per affinare la capacità di studio e di approfondimento. Per questa attività, lo studente è affiancato da un tutor che può essere un docente (che non valuta, ma diventa “l’amico grande”) o un compagno che lo aiuta lavorando a stretto contatto con lui. 13- Oltre le discipline È l’Idea proposta dall’IC «Giovanni Falcone» di Copertino, in provincia di Lecce. Con questa proposta si intende superare la rigidità e la frammentarietà delle discipline, allo scopo di potenziare la didattica curricolare per competenze. A questo scopo, la scuola mette in atto quella che indica come la “pacchettizzazione dell’orario”, suddividendo le attività di ogni docente tra quelle relative alle “lezioni tecniche” e quelle dedicate allo sviluppo di competenze su temi trasversali, secondo
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nuclei fondanti delle discipline individuati in fase di programmazione. [descrizioni riprese dal sito INDIRE]
STILI DI APPRENDIMENTO L’apprendimento è l’acquisizione di conoscenze in vista di uno scopo. E’ un processo continuo e progressivo, lungo tutto l’arco della vita. E’ un processo complesso e multifattoriale, che si compone di elementi verbali, emotivi, motori, percettivi e di abilità nella risoluzione di problemi. Nel processo di apprendimento l’insegnante non deve trascurare i fatti legati alla personalità dell’alunno, alla sua modalità d’interazione sociale, alla sua competenza emotiva e agli atteggiamenti. Lo stile di apprendimento può essere sintetico, quando l’alunno predilige la visione d’insieme, o analitico, quando si sofferma sui dettagli. Non esiste uno stile giusto o sbagliato, ma quello più giusto da utilizzare in un determinato compito. Ogni persona, quindi, apprende in maniera diversa elaborando una propria stategia adeguata alla sua personalità e ai suoi bisogni. Quindi, diventa compito dell’insegnante aiutare l’alunno a scegliere e utilizzare quello più adatto in quella determinata sisituazione. La relazione educativa, infatti, deve fondarsi sull’empatia, sull’accettazione, sulla creazione di un clima favorevole e non giudicante. La relazione educativa è produttrice di conoscenze; essa costituisce un incontro che arricchisce tutti i soggetti coinvolti e crea esperienze, cultura, valori e punti di vista che promuovono una continua trasformazione sia dell’alunno che del docente.
Stili cognitivi Modalità di elaborazione dell'informazione che la persona adotta in modo prevalente, che permane nel tempo e si generalizza in compiti diversi (Boscolo, 1981).
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Ciascuno utilizza in maniera diversa tutti gli stili con preferenze specifiche. Gli stili indicano delle propensioni nell'uso delle personali abilità.
Strategie didattiche In tutte le discipline non esiste una strategia valida per tutte le situazioni, ma è sempre necessario ricorrere a strategie diverse a seconda della materia, dell’argomento, della classe e dei singoli alunni. La scelta della metodologia da usare, costituisce quindi parte integrante della programmazione scolastica e va effettuata dopo un’attenta analisi della situazione di partenza della classe.
La didattica laboratoriale La didattica laboratoriale, il problem solving e il lavoro per progetti, vengono indicati nel DPR 88/2010 (riordino degli Istituti Tecnici), come metodologie che valorizzano il metodo scientifico, il pensiero operativo, la capacità di analizzare e risolvere problemi. La didattica laboratoriale si basa sull’apprendimento per scoperta, che incoraggia la curiosità degli alunni (Dewey “learning by doing”, acquisire il sapere con il fare). 119
Consiste in un metodo, adottato nell’intero arco del curricolo ed in momenti definiti, che chiede di passare dall’informazione alla formazione, incoraggiando un atteggiamento attivo degli allievi nei confronti della conoscenza sulla base della curiosità e della sfida. Tale metodo richiede agli insegnanti di reperire nella realtà, in modo selettivo, il materiale su cui svolgere l’opera dell’educazione Nella didattica laboratoriale troviamo i seguenti elementi:
ruolo attivo dello studente;
svolgimento di un’attività di una certa durata e finalizzata alla realizzazione di un prodotto;
avere a disposizione una postazione di lavoro individuale o di gruppo dotata di strumenti da utilizzare a seconda della fase di lavoro;
autonomia nello svolgimento delle attività e l’assunzione di responsabilità per il risultato;
esercizio integrato di abilità operative e cognitive;
utilizzo contestualizzato di conoscenze teoriche per lo svolgimento di attività pratiche;
collaborare con altri compagni nelle diverse fasi del lavoro.
Lente di Ingrandimento Cosa sono le Life Skills Il termine di Life Skills viene generalmente riferito ad una gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali di base, che consentono alle persone di operare con competenza sia sul piano individuale che su quello sociale. In altre parole, sono abilità e capacità che ci permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale possiamo affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana. "... Le Life Skills sono le competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni. Il nucleo fondamentale delle Life Skills identificato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è costituito da 10 competenze Consapevolezza di sé 120
Gestione delle emozioni Gestione dello stress Comunicazione efficace Relazioni efficaci Empatia Pensiero Creativo Pensiero critico Prendere decisioni Risolvere problemi Tali competenze possono essere raggruppate secondo 3 aree: EMOTIVE- consapevolezza di sè, gestione delle emozioni, gestione dello stress RELAZIONALI - empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci COGNITIVE - risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo "... Le Life Skills, così come noi le intendiamo, possono essere insegnate ai giovani come abilità che si acquisiscono attraverso l’apprendimento e l’allenamento. Inevitabilmente, i fattori culturali e sociali determineranno l’esatta natura delle Life Skills. Per esempio, in alcune società, il contatto visivo potrà essere incoraggiato nei ragazzi per una comunicazione efficace, ma non per le ragazze. Le Life Skills rendono la persona capace di trasformare le conoscenze, gli atteggiamenti ed i valori in reali capacità, cioè sapere cosa fare e come farlo. Acquisire e applicare in modo efficace le Life Skills può influenzare il modo in cui ci sentiamo rispetto a noi stessi e agli altri ed il modo in cui noi siamo percepiti dagli altri. Le Life Skills contribuiscono alla nostra percezione di autoefficacia, autostima e fiducia in noi stessi. Le Life Skills, quindi, giocano un ruolo importante nella promozione del benessere mentale.
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La promozione del benessere mentale incrementa la nostra motivazione a prenderci cura di noi stessi e degli altri, alla prevenzione del disagio mentale e dei problemi comportamentali e di salute." Cosa significa promuoverle in ambiente scolastico? Nel contesto scolastico, promuovere le life skills, ha lo scopo di prevenire atteggiamenti antisociali, promuovere autoefficacia e collaborazione tra pari ed indirizzare gli alunni verso un percorso di autoconsapevolezza e responsabilizzazione verso il proprio status di “cittadino, lavoratore responsabile, partecipe alla vita sociale, capace di assumere ruoli e funzioni in modo autonomo, in grado di saper affrontare le vicissitudini dell’esistenza” (OMS).
Cooperative learning “È una modalità di apprendimento in gruppo caratterizzata da una forte interdipendenza positiva fra i membri. Questa condizione non si raggiunge né riunendo semplicemente i membri, né limitandosi a stimolarli alla cooperazione, né richiedendo loro di produrre insieme un qualche prodotto finale. Essa, invece, è frutto della capacità di strutturare in maniera adeguata il compito da assegnare al gruppo, di allestire i materiali necessari per l'apprendimento e di predisporre le attività per educare i membri ai comportamenti sociali richiesti per un’efficace cooperazione” (M. Comoglio e M.A. Cardoso, Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative Learning. LAS Roma 1996) Consiste nel far lavorare gli alunni in piccoli gruppi, in cui il docente assume il ruolo di tutor, favorendo l’integrazione tra gli studenti, stimolando la discussione e facilitando l’apprendimento attraverso l’introduzione di continui stimoli. Questa tecnica favorisce l’apprendimento individuale come risultato di un processo di gruppo, punta al miglioramento dei processi di apprendimento e di socializzazione attraverso la mediazione del gruppo. Il successo di uno sarà il successo di tutti. Perché il lavoro di gruppo si qualifichi come CL devono essere presenti i seguenti elementi, evidenziati da F. Tessaro -
Positiva interdipendenza. I membri del gruppo fanno affidamento gli uni sugli altri per raggiungere lo scopo. Se qualcuno nel gruppo non fa la propria parte, anche gli altri ne 122
subiscono le conseguenze. Gli studenti si devono sentire responsabili del loro personale apprendimento e dell'apprendimento degli altri membri del gruppo. -
Responsabilità individuale. Tutti gli studenti di un gruppo devono rendere conto sia della propria parte di lavoro sia di quanto hanno appreso. Ogni studente, nelle verifiche, dovrà dimostrare personalmente quanto ha imparato.
-
Interazione faccia a faccia. Benché parte del lavoro di gruppo possa essere spartita e svolta individualmente, è necessario che i componenti del gruppo, lavorino in modo interattivo, verificando gli uni con gli altri la catena del ragionamento, le conclusioni, le difficoltà e fornendo un feedback. In questo modo si ottiene anche un altro vantaggio: gli studenti si insegnano a vicenda.
-
Uso appropriato delle abilità nella collaborazione. Gli studenti nel gruppo vengono incoraggiati e aiutati a sviluppare la fiducia nelle proprie capacità, la leadership, la comunicazione, il prendere delle decisioni e il difenderle, la gestione dei conflitti nei rapporti interpersonali (Cfr. F. Tessaro, Metodologie e didattica dell’insegnamento secondario, Armando, Roma, 2002 e approfondimenti sui corsi e i materiali tenuti dal Prof. Tessaro su www.univirtual.it)
LENTE DI INGRANDIMENTO Il Jigsaw Il jigsaw è una specifica tecnica di cooperative learning ideata negli anni '70 in America dal dott. Elliot Aronson. Questa tecnica presenta tutti i punti di forza della metodologia del cooperative learning rendendo però l’allievo ancora più responsabilizzale nel processo di apprendimento sia verso l'insegnante che verso il gruppo base. Questa tecnica di basa su un assunto di base: l’apprendimento non può andare a braccetto con la noia pertanto lo studente diviene l’attore protagonista del suo processo di conoscenza. Jigsaw significa letteralmente puzzle e dobbiamo immaginarlo come un gioco ad incastro: ad ogni allievo viene assegnato un compito che è essenziale al gruppo, senza il quale il gruppo intero ne soffre e viene penalizzato, quindi ogni allievo si sente responsabilizzato a partecipare attivamente all'attività didattica.
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Il raggiungimento dell’obiettivo si avrà solo se tutti gli attori avranno messo al posto giusto il loro pezzo di puzzle. Nella tecnica Jigsaw gli studenti sono dapprima suddivisi in gruppi al fine di approfondire alcune parti del materiale complessivo d'apprendimento, o al fine di svolgere compiti di ricerca. Come si struttura il lavoro: la classe viene divisa in gruppi da 5/6 persone e ad ogni gruppo l’insegnante distribuirà il materiale per la propria ricerca. Quando ogni gruppo avrà svolto la propria ricerca, i gruppi verranno ristrutturati e se ne creeranno dei nuovi, in modo che nei nuovi gruppi vi sia un rappresentante di ciascuno dei vecchi gruppi. Nei nuovi gruppi si condivideranno i risultati della prima esperienza di riscorra. A conclusione si potrà attivare una discussione di gruppo e elaborare un prodotto. Vediamo come strutturare l’intervento: 1- la classe viene divisa in gruppi (eterogenei per competenze, genere, nazionalità...) di 4 o 5 allievi. Questi gruppi li chiameremo "gruppi base". 2- Ad ogni alunno del "gruppo base", viene affidato una competenza specifica. 3- Tutti i ragazzi del gruppo base si incontreranno tra di loro in un nuovo gruppo per individuare procedure univoche e contenuti da considerare e che sono emerse dalla prima fase. questo gruppo chiamato “gruppo tecnico" vedrà ogni alunno diventare competente di quello specifico ambito. 4- Si ritrovano i "gruppi base", in cui adesso ciascun allievo è "esperto" di una fase del lavoro e di questa sua conoscenza e ha il compito di rendere partecipi i compagni delle ricerche svolte, delle conoscenze acquisite e delle competenze raggiunte. Come avete potuto vedere Seguendo questo schema proprio come in un puzzle, ogni pezzo, ogni parte svolta da studente diventa essenziale per la piena comprensione e il completamento del prodotto finale
Peer education La peer education è «un intervento che mette in moto un processo di comunicazione globale, caratterizzato da un’esperienza profonda ed intensa e da un forte atteggiamento di ricerca di autenticità e di sintonia tra i soggetti coinvolti. Questa pratica va oltre la consueta pratica educativa 124
e diviene una vera e propria occasione per il singolo soggetto, il gruppo dei pari o la classe scolastica, per discutere liberamente e sviluppare momenti transferali intensi» (Panzavolta 2004). Letteralmente “educazione tra pari”, è un metodo in base al quale un piccolo gruppo di “pari”, che è parte dello stesso contesto, opera attivamente per informare e inflienzare il resto del gruppo. Questo metodo fa leva sul processo grazie al quale, degli alunni motivati e istruiti, intraprendono atività educative con i loro simili. Il legame di similarità percepito tra i soggetti coinvolti favorisce la credibilità e l’efficacia della comunicazione educativa. Nella peer education, infatti, attraverso la comunicazione tra pari, ossia il trasferimento spontaneo di esperienze, conoscenze tra soggetti appartenenti ad uno stesso gruppo o contesto sociale, i membri di un gruppo diventano soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione, non semplici recettori di contenuti, valori ed esperienze trasferiti da un professionista esperto ovvero l’insegnante. Il Problem solving Questo metodo si basa sull'individuazione di un problema e sulla sua soluzione. E’ un procedimento articolato per la risoluzione dei problemi, traducibile in un modello procedurale adattabile a diverse situazioni Con questa strategia si sviluppano le capacità logiche, di analisi e le capacità creative. Il docente propone una questione da risolvere partendo da elementi noti, mediante il ragionamento. Questa metodologia trae le sue origini dalla pedagogia costruttivista di Vygotsky. Come ribadito dal PISA-OCSE (Programme for International Student Assestment) rapporto 2015, il “problem solving” è una competenza complessa che si sviluppa con una metodologia collaborativa opportunamente organizzata (in termini di ruoli, organizzazione e di visione strategica) che contiene alcuni passaggi chiave identificabili: -
nel porre gli alunni in una situazione problematica
-
rendere loro accessibili le informazioni necessarie
-
accompagnare verso l’identificazione di ipotesi e la loro trasformazione in azioni 125
-
verificare l’efficacia della soluzione ed eventualmente, attraverso la diagnosi dell’errore, ripartire ciclicamente dal punto primo punto. Quando si devono affrontare degli obiettivi, dei problemi, molto spesso lo facciamo in modo
compulsivo senza soffermarci ad analizzare tutte le possibilità e risorse che abbiamo a disposizione. Esistono vari modelli di Problem Solving. Uno di questi è stato creato da Harold Lasswell ed è molto utile per la descrizione iniziale del problem setting. I passaggi da effettuare in questo caso sono più che altro delle domande da porsi (schema delle 5 W) 1. Who? Chi il referente? 2. What? Qual è l’obiettivo? 3. Where? Dove si deve intervenire? 4. When? Quando si deve intervenire? 5. Why? Perché lo si deve fare?
Mastery Learning Letteralmente “apprendimento per la padronanza”, è stato elaborato da Bloom e si basa sul principio che gli studenti possono raggiungere un elevato livello di apprendimento se si considerano le loro caratteristiche individuali, una didattica personalizzata in bae alle loro esigenze e ai loro ritmi di apprendimento quindi. Prima di passare all’UDA successiva tutti gli alunni devono aver acquisito la “padronanza” dell’UDA precedente. L’idea è che la maggior parte degli studenti possa raggiungere un elevato livello di apprendimento se vengono create le condizioni favorevoli, adeguate alle caratteristiche e ai bisogni di ciascuno. Le differenze nell’apprendimento sono considerate un fenomeno che è possibile prevedere, spiegare e modificare, se ricondotto alle condizioni “ambientali”, cioè al sistema di istruzione scolastica e alle sue variabili.
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Il Mastery learning permette agli studenti di assumersi la responsabilità del proprio apprendimento. Gli studenti conducono esperimenti, lavorano su consegne, interagiscono con Moodle in classe (acronimo di Modular Object-Oriented Dynamic Learning Environment, ambiente per l'apprendimento modulare, dinamico, orientato ad oggetti; è una piattaforma di elearning, ovvero uno strumento didattico, che permette al docente di pubblicare e rendere accessibile agli studenti il materiale didattico delle lezioni), hanno colloqui faccia a faccia con il loro insegnante, e sono guidati anche dai loro coetanei.
La didattica metacognitiva Metacognizione significa “oltre la cognizione”, cioè la capacità di riflettere sulle proprie capacità cognitive. Il termine metacognizione, introdotto nel 1976 da John H. Flavell indica l’insieme dei processi sovraordinati dell’attività cognitiva e prevede due aspetti fondamentali: la conoscenza che il soggetto possiede circa i propri processi e contenuti di pensiero e i processi strategici e di controllo, ovvero le modalità attraverso cui esercita un controllo su questi. La metacognizione è sicuramente trasversale ai processi di apprendimento. La “didattica metacognitiva” costituisce un’area rilevante nei contesti di apprendimento ed educativi, andando a potenziare, nell’alunno, la conoscenza e l’utilizzo efficace di strategie per l’acquisizione di contenuti disciplinari e di abilità specifiche. Questo approccio rappresenta una modalità privilegiata per trasmettere contenuti e strategie poichè mira alla costruzione di menti aperte; pone l’attenzione su come l’alunno apprende e non su cosa apprende. Attiva pertanto la propensione a riflettere su sè stessi e le proprie capacità, e l’individuo diviene protagonista attivo del proprio processo di apprendimento. Quali sono le principali strategie didattiche metacognitive? 1. La strategia di selezione «comporta la scelta delle informazioni ritenute rilevanti, sulle quali è importante soffermarsi. 2.
Le strategie organizzative «comportano la connessione fra vari pezzi di informazione che stiamo apprendendo, organizziamo perciò l’informazione in ordine logico.... La mappa
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concettuale è una strategia organizzativa importante per tutti i gesti metacognitivi conclusivi di un percorso di apprendimento». 3. La strategia di elaborazione «comporta il legame della nuova informazione con quanto già si conosce». 4. La strategia di ripetizione «è basata sulla ripetizione nella propria mente (con parole, suoni o immagini) dell’informazione, sino a completa padronanza. La memorizzazione è, dunque, l’evento conclusivo di ripetute evocazioni mentali dell’informazione o della percezione. Il bravo insegnante, in classe, concede spazi temporali adeguati, perché gli allievi possano memorizzare all’istante i concetti. Una volta che è stata identificata la strategia più utile per apprendere, si stabilisce come e quando applicarla. Questo è quello che chiamiamo atto metacognitivo.»[Valitutti
G.,
La
scuola
del
successo
e
la
metacognizione,
in http://educa.univpm.it/strategie/scusumet.html].
Il professor Dario Ianes nel saggio Metacognizione e insegnamento riassume gli elementi costitutivi della didattica metacognitiva: 1) le conoscenze sul funzionamento cognitivo in generale: stili di apprendimento, le intelligenze, il pensiero, ecc. 2) l’autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo (cosa e come sto pensando, cosa e come sto ricordando, cosa mi facilita o cosa mi ostacola, quali sono i miei punti di forza e i deficit, cosa mi può aiutare a comprendere e a ricordare) 3) l’uso di strategie di autoregolazione cognitiva: auto-osservazione, auto-direzione e autovalutazione (come ho fatto, come posso fare, come sono andato) e le strategie di risoluzione di un problema (problem solving) e la pianificazione per apprendere. 4) le variabili psicologiche di mediazione, immagine di sé come persona in grado di imparare: stile di attribuzione (interno o esterno), convinzioni riguardo al proprio uso di strategie, al senso di autoefficacia, all’immagine di sé come studente (sono/non sono capace, in cosa penso di essere/ non essere bravo), alla propria capacità di trovare risorse (ce la posso fare!).
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Conclusioni Con la didattica metacognitiva si punta a favorire, negli studenti, le competenze metacognitive, strategiche e autoregolative nonchè ad aiutarli a migliorare le strategie di studio e di apprendimento, così come a gestire al meglio le emozioni che entrano in gioco nel loro percorso formativo.
Mappa concettuale del Prof.re Baronti
Flip teaching I fondamenti teorici del modello riguardano l’attivismo pedagogico di Dewey (1949) e il pensiero della
Montessori
(1950),
che
trovano continuità
nell’approccio
costruttivista
dell’apprendimento (Maglioni e Biscaro, 2014); il “peer to peer instruction” di Mazur (1997), che suggerisce di spostare le attività di tipo nozionistico e routinario fuori dalla classe, ossia il docente mette a disposizione dei discenti del 129
materiale su un determinato tema da leggere prima dell’incontro in aula dedicato a quel tema, mentre il tempo in aula viene utilizzato per far lavorare attivamente i discenti a partire da quanto hanno letto a casa prima dell’incontro in presenza in aula; il “ribaltamento della lezione” di Lage, Platt e Treglia (2000). Con questa metodologia si attua un capovolgimento della classe, dove gli alunni hanno la responsabilità del processo di insegnamento e l’insegnante ha un ruolo guida. L’insegnante mette a disposizione delle risorse (video, cartacee, etc) su un deteminato argomento. Gli studenti lavorano a casa sul materiale, organizzandolo e ricomponendolo in base alle loro preferenze e successivamente in classe esporranno quanto appreso. In questo modo I ragazzi diventano responsabili del loro apprendimento. Lo studente più bravo potrà limitarsi a studiare il materiale una volta e quello meno bravo potrà studiarlo autonomamente più e più volte.
Immagine di Alessandro Antonino
A differenza della classe tradizionale, nella FC il momento di acquisizione delle informazioni avviene prima del momento d’aula (reverse instruction). La Flipped Classroom stimola gli studenti ad assumersi l’ownership del proprio processo di apprendimento, poiché questo dipende direttamente dalla qualità del loro lavoro. È perciò un’impostazione formativa attiva al cui centro c’è lo studente. L’insegante diventa un facilitatore e ha il compito di orientare gli studenti nella selezione e fruizione dei materiali didattici; stimolare il confronto costruttivo (critical thinking) e il problem-solving nelle attività in-aula.
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“L’apprendimento capovolto è una metodologia didattica nella quale l’insegnamento frontale si sposta dallo spazio di apprendimento di gruppo allo spazio di apprendimento individuale e il conseguente spazio di apprendimento di gruppo si trasforma in un ambiente di apprendimento dinamico ed interattivo in cui l’educatore guida gli studenti nel momento dell’applicazione dei concetti e della partecipazione creativa nella disciplina”. (Flipped Learning Network-2014)
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Imagine della Prof.ssa Giovanna GRECA
Il role playing Il role playing è una tecnica ludico-drammatiche. La messa in scena in classe di ciò che si deve apprendere risponde alla forma dell’ “apprendere facendo”, centrata sullo studente, autentico protagonista del processo educativo. Si richiede all’allievo di simulare comportamenti e atteggiamenti della vita reale con l’biettivo di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di comprendere ciò che il ruolo richiede. La strategia di apprendimento derivante dal gioco di ruolo è utile per capire come esprimere un comportamento, per rendersi conto delle proprie abilità, per mettersi nei panni di un altro nell’ottica di valutare eventuali difficoltà create dal proprio comportamento e per comprendere anche le emozioni.. Nel role-play non si segue una traccia determinata, poiché i soggetti devono inventarsi ciò che devono fare. Per questo può essere un’esperienza molto forte.
Il circle time E’ un gruppo di discussione su argomenti diversi con lo scopo principale di migliorare la comunicazione e far acquisire agli studenti le principali abilità comunicative. Tale metodologia, stimola gli alunni verso l’acquisizione della conoscenza e consapevolezza delle proprie emozoni e di quelle altrui e aiuta a gestire le relazioni sociali. 132
Rappresenta per questo una tecnica di educazione psicoemoiva per il Gruppo classe. L’insegnante è un facilitatore che nella metodologia specifica non ha funzione autoritaria ma ha come obiettivo quello di creare un clima collaborativo e amichevole tra i membri del gruppo classe. Utilizzare il Circle Time consente di -
Sviluppare maggiore consapevolezza negli alunni
-
Favorire la conoscenza reciproca
-
Creare un clima sereno
-
Esperime I propri stati d’aimo e percepire quelli altrui
-
Risolvere I conflitti
-
Promuovere atteggiamenti di cittadinanza in quanto è necessario rispettare le regole della comunicazione Il circle time prevede la disposizione degli alunni e dell’insegnante in cerchio e deve essere
utilizzata con regolarità. Il tema della comunicazione è libero: i bambini possono liberamente parlare di sé, delle proprie esperienze, dei propri sentimenti, dei propri stati d’animo. La competenza “trasversale” oggetto della valutazione da parte del docente in un Circle Time è la “competenza dialogare” che prevede 5 dimensioni (come mostrato in figura 1).
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Fig.1ripresa dalla rivista Progettare
Il Brainstorming Il termine Brainstorming, nasce negli anni Trenta come tecinca pubblicitaria, grazie a Osborne che la propone come un gioco creativo basato sull’associazione di idee: la finalità è fare emergere diverse possibili alternative, in vista della soluzione di un problema o di una scelta da compiere. L’insegnante pone un quesito-problema e lascia liberi gli studenti di fornire le rispostesoluzioni liberamente, senza criticarne nessuna. Il nucleo centrale della tecnica, nella prima fase, è quello di produrre il maggior numero di idee (lista di controllo), che secondo l’autore è più importante della qualità delle stesse, soprattutto perché maggiore sarà il numero delle idee, maggiori saranno le probabilità di trovarne alcune utili. Tali idee servono poi da spunto alla soluzione di problemi e possono essere, successivamente, valutate e ulteriormente elaborate. Come sottolinea G. C. Cocco, la discussione di gruppo citata, che può durare anche per più giorni, ed è suddivisibile sinteticamente nelle seguenti fasi: 1. Fase preliminare di analisi e preparazione effettuata all’esterno della situazione di gruppo;
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2. Fase della scoperta dei dati che caratterizzano il problema posto e ridefinizione dello stesso. 3. Fase della scoperta delle idee per mezzo della produzione di un numero elevato di idee. Tali idee sono poi utilizzabili per risolvere il problema; 4. Fase di spoglio e selezione di tutte le idee emerse per registrare quelle migliori; 5. Fase conclusiva, con la partecipazione di chi ha posto il problema, per scegliere la soluzione. Il processo del brainstorming può essere sintetizzato in quattro punti: idee libere; quantità prima della qualità; nessun diritto d’autore; la critica è proibita (Sintesi del processo di brainstorming - Fonte: G. C. Cocco, op. cit.,1992) La metodologia CLIL Il CLIL è un tipo di percorso educativo, più o meno lungo, caratterizzato da scelte strategiche, strutturali-metodologiche, atte ad assicurare lʼapprendimento integrato duale – lingua e contenuto non-linguistico – da parte di discenti che imparano attraverso una lingua non nativa. (Coonan, Il futuro è CLIL, pag 23). La metodologia CLIL consente di sviluppare la dimensione culturale in quanto è un approccio educativo che supporta la diversità linguistica (4 obiettivo Libro Bianco Cresson) e che consente di sviluppare conoscenze e comprensione interculturale. Allo stesso tempo diconsente di sviluppare la Dimensione linguistica e quindi di sviluppare interessi ed atteggiamenti plurilingui. Lo Storytelling Letteralmente storytelling significa: story “storia” e tell “raccontare”, dunque l’arte del raccontare storie. Attraverso le storie, gli insegnanti possono trasmettere delle conoscenze ai propri studenti in un modo coinvolgente, utilizzando narrazioni, metafore, specifiche parole adatte agli scopi, per coinvolgere studenti e stimolare le loro emozioni e l’immaginazione. Introdurre lo Storytelling nella didattica della scuola primaria e secondaria permette di superare il modello verticale di apprendimento.
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L’evoluzione dello Storytelling in digital Storytelling La narrazione digitale combina la forma tradizionale di storytelling con una varietà di strumenti multimediali, inclusi l’audio, l’animazione, le grafiche e i video. E’ un modo per coinvolgere studenti e insegnanti nello sviluppo di storie. Le storie possono essere create dal l’insegnante o dagli alunni. I vantaggi dell’uso del Digital Storytelling creato dall’insegnante sono: -
le Storie diventano attivatori della motivazione su un tema curricolare
-
le Storie facilitano la comprensione, l’apprendimento e la memorizzazione dei contenuti per gli alunni
-
la Storia diviene un organizzatore didattico, anticipato per presentare nuovi temi in modo accattivante I vantaggi dell’uso del Digital Storytelling creato dagli alunni sono: • Apprendere l’utilizzo di internet per cercare contenuti, selezionandoli ed analizzandoli tra
una vasta scelta; • Sviluppare le capacità comunicative attraverso domande, l’espressione delle opinioni, la preparazione di lavori e la scrittura; • Sviluppare le abilità di utilizzo del computer attraverso software che combinano vari strumenti, tra i quali testi, immagini, audio, video e la pubblicazione sul web. Il Digital Storytelling, specie nella scuola secondaria, stimola pertanto studenti e docenti a costruire nuovi percorsi all’interno dell’istituzione scuola, ridiscutendo in modo positivo e creativo i reciproci ruoli. Favorisce infatti nuove forme di apprendimento e costringe lo studente a un ruolo attivo e partecipativo. Grazie all’uso di questa metodologia si sviluppano: 1. Immaginazione e creatività 2. Empatia 3. Capacità di comunicare utilizzando registri complessi, quale quello corporeo 4. Capacità di trovare soluzioni semplici a situazioni complicate
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LA COMUNICAZIONE AUMENTATIVA E ALTERNATIVA (CAA) Con il termine CAA si intende ogni forma di comunicazione che sostituisce, integra, aumenta il linguaggio verbale e orale (gesti, foto, disegni, immagini). Si dice AUMENTATIVA in quanto incrementa le possibilità e le capacità comunicative naturali della persona e ALTERNATIVA perché è metodo di comunicazione diverso dal linguaggio verbale. La CAA si pone come una metodologia di grande impatto, laddove si lavora in classi con DVA tutoring (è una metodologia che potrebbe essere utilizzata a prescindere dalla presenza di disabilità in classe in quanto è altamnete stimolante). I punti di forza della metodologia CAA sono: • migliora l’immagine e la stima di sè • fornisce motivazione • riduce le frustrazioni e i problemi di comportamento • aumenta la partecipazione nella vita di ogni giorno • facilita l’apprendimento rendendolo un processo interattivo invece che passivo • cambia le aspettative dell’ambiente nei confronti del bambino Lente di Ingrandimento IL PIANO NAZIONALE SCUOLA DIGITALE E L’USO DI NUOVE TECNOLOGIE NEL PRCESSO DI INSEGNAMENTO Il PNSD prevede la realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, il potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche. L’obiettivo è quello di introdurre le nuove tecnologie nelle scuole, diffondere l’idea di apprendimento permanente (life-long learning) ed estendere il concetto di scuola dal luogo fisico allo spazio di apprendimento virtuale utilizzando le risorse economiche previste dalla legge della buona scuola e dai Fondi strutturali Europei (Pon Istruzione 2014-2020). 137
Il documento è articolato in 35 punti. Con il PNSD vengono incentivate le nuove tecnologie: - Le tecnologie entrano in classe con il compito di supportare la didattica - Studenti e i docenti interagiscono con modalità didattiche costruttive e cooperative informatizzate che diventano catalizzatori dell’apprendimento - Le app diventano ambienti o strumenti di apprendimento - La didattica assume una valenza altamente operativa Tra gli scopi del PSND troviamo lo sviluppo del pensiero computazionale, necessario per affrontare le esigenze della società contemporanea e futura. Leggiamo infatti sul PSND “(...) Ed è in questo contesto che va collocata l’introduzione al pensiero logico e computazionale e la familiarizzazione con gli aspetti operativi delle tecnologie informatiche. In questo paradigma, gli studenti devono essere utenti consapevoli di ambienti e strumenti digitali, ma anche produttori, creatori, progettisti.” ll modo più semplice e divertente di sviluppare il pensiero computazionale è attraverso la programmazione (coding) in un contesto di gioco. Il CODING è una pratica (non una metodologia) che consente agli studenti di imparare a programmare partendo dal gioco e in questa ottica si propone come uno strumento di apprendimento. Il coding mette la programmazione al centro di un percorso dove l’apprendimento percorre strade nuove ed è al centro di un progetto che ha come fine ultimo facilitare lo sviluppo del problem solving. Con il coding gli alunni programmano per apprendere. Come fare coding a scuola? Possiamo utilizzare Scratch o Scratch Jr. o ancora i giochi del sito code.org. I bambini giocano e attraverso il gioco devono vincere delle sfide: vincere le sfide significa aver risolto in modo adeguato il problema. In questo “gioco” il bambino inconsapevolmente avrà scritto le righe di un codice informatico: parliamo in questo caso di programmazione a blocchi o programmazione visuale.
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ADEGUAMENTO DEGLI OBIETTIVI DIDATTICI
Nell’ottica di una piena inclusione è importante l’adeguamento degli obiettivi curricolari in presenza di DVA, BES e DSA. Per tale scopo si possono utilizzare le seguenti strategie: - Sostituzione: l’obiettivo curricolare viene reso accessibile attraverso l’utilizzo di altre modalità, ad es. la comprensione di un testo può essere resa accessibile per l’alunno non vedente con materiale Braille, per il Dsa con lettori vocali, per l’alunno straniero mediante immagini. - Facilitazione: queste azioni vengono introdotte in funzione del disagio dell’alunno e riguarda la disposizione degli spazi, dei materiali e degli stimoli. - Semplificazione: semplificare l’obiettivo rispetto al resto della classe, in merito alla comprensione, elaborazione e risposta. - Scomposizione: l’argomento viene scomposto in nuclei fondanti riconducibili ad applicazioni più pratiche. - Partecipazione: tende a far partecipare l’alunno a momenti significativi all’interno del gruppo classe per favorire la coesione del gruppo e facilitare l’inclusione. DIDATTICA INCLUSIVA Tutti gli alunni hanno “bisogni speciali” che tutta la comunità scolastica ha il compito di individuare e soddisfare. Ogni alunno può vivere, in modo permanente o passeggero, una situazione che rende difficoltoso o rallenta il suo apprendimento, precludendo la possibilità di raggiungere il proprio successo formativo. Può trattarsi di una situazione certificata da una diagnosi medica ma anche una situazione personale, familiare, culturale e sociale, che crea all’alunno un disagio. Le metodologie e strategie didattiche per l’inclusione devono essere volte a: - ridurre al minimo i modi tradizionali “di fare scuola” (lezione frontale, completamento di schede che richiedono ripetizione di nozioni o applicazioni di regole memorizzate, successione di spiegazione- studio-interrogazioni…); 139
- favorire attività nelle quali i ragazzi non vengano messi in situazione di conflitto cognitivo con sé stessi e con gli altri; - sfruttare i punti di forza di ciascun alunno, adattando i compiti agli stili di apprendimento degli studenti e dando varietà e opzioni nei materiali e nelle strategie d’insegnamento; - utilizzare mediatori didattici diversificati (mappe*, schemi, immagini). [*] L’uso di MAPPE per lo studio consente di andare incontro alle necessità di tutti gli alunni. L’uso di mappe concettuali favorisce: -
L’analisi del contenuto;
-
L’evidenziazione di parole chiave;
-
L’associazione con immagini;
-
La comprensione di causa ed effetti;
-
I nodi che collegano logicamente le informazioni;
-
La capacità di studio e memorizzazione;
-
La capacità di esposizione;
-
Il lavoro cooperativo;
Lente di Ingrandimento COME ATTIVARE UNA DIDATTICA INCLUSIVA IN CLASSE (alias le 7 dimensioni dell’azione didattica del Centro Studi Erickson) La didattica è la scienza che definisce i metodi e le tecniche per insegnare. Compito della didattica è individuare metodi appropriati per raggiungere le finalità che si pone il processo di insegnamento/apprendimento (leggere, scrivere, comprendere ecc.ecc.).L’inclusione scolastica rispetta le necessità o le esigenze di tutti i soggetti interessati al processo di apprendimento (alunni), progettando ed organizzando gli ambienti di apprendimento e le attività, in modo da permettere a ciascuno di partecipare alla vita di classe ed all’apprendimento, nella maniera più attiva, autonoma ed utile possibile (per sé e per gli altri). La didattica inclusiva pertanto è un modo di insegnare, che coinvolge tutti i docenti (non solo gli insegnanti di sostegno), ed è rivolta a tutti gli alunni (non solo quindi gli alunni BES), che considera le individualità e le peculiarità di ciascuno con il fine di raggiungere gli obiettivi che ci si è posti. 140
Compiti dell’insegnante della didattica inclusiva: • Adottare un modello di insegnamento democratico fatto di strategie e metodologie adeguate ai bisogni di ciascun alunno • Permettere ai propri alunni di esprimere serenamente le loro idee senza paura di sbagliare (perché l’errore non deve essere demonizzato). • Valorizzare la partecipazione degli alunni mostrando loro come utilizzare e generalizzare le varie strategie ponendosi come esperto con il ruolo di mediatore. Il docente inclusivo deve favorire l’instaurarsi di un buon clima di clase, rendendo la propria classe “inclusiva”: in tal modo tutto gli alunni si sentiranno accettati, capiti, valorizzati. Si apprende in un contesto sociale (la classe) e se l’ambiente é inclusivo si apprende in modo sereno e dinamico. A fronte di questo quadro, ecco le 7 dimensioni dell’azione didattica su cui il Centro Studi Erickson indica come leve per incrementare i livelli di inclusione in classe e migliorare le condizioni di apprendimento di tutti gli alunni: 1. La risorsa compagni di classe. L’apprendimento non è mai un processo solitario, ma è profondamente influenzato dalle relazioni, dagli stimoli e dai contesti tra pari. 2. L’adattamento come strategia inclusiva. L’adattamento più funzionale è basato su materiali in grado di attivare molteplici canali di elaborazione delle informazioni, dando aiuti aggiuntivi e attività a difficoltà graduale. L’adattamento di obiettivi e materiali è parte integrante del PEI e del PDP. 3. Strategie logico-visive, mappe, schemi e aiuti visivi. Per attivare dinamiche inclusive è fondamentale potenziare le strategie logico-visive, in particolare grazie all’uso di mappe mentali e mappe concettuali. 4. Processi cognitivi e stili di apprendimento. Processi cognitivi e funzioni esecutive come attenzione, memorizzazione, pianificazione e problem solving consentono lo sviluppo di abilità psicologiche, comportamentali e operative necessarie all’elaborazione delle informazioni e alla costruzione dell’apprendimento. Allo stesso tempo, una didattica realmente inclusiva deve valorizzare i diversi stili cognitivi presenti in classe e le diverse forme di intelligenza, sia per quanto riguarda gli alunni, sia per quanto riguarda le forme di insegnamento.
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5. Metacognizione e metodo di studio. Sviluppare consapevolezza in ogni alunno rispetto ai propri processi cognitivi è obiettivo trasversale a ogni attività didattica. L’insegnante agisce su quattro livelli di azione metacognitiva, per sviluppare strategie di autoregolazione e mediazione cognitiva e emotiva, per strutturare un metodo di studio personalizzato e efficace. 6. Emozioni e variabili psicologiche nell’apprendimento. Le emozioni giocano un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nella partecipazione. L’educazione al riconoscimento e alle gestione delle proprie emozioni e della propria sfera affettiva è indispensabile per sviluppare consapevolezza del proprio sé. 7. Valutazione, verifica e feedback. In una prospettiva inclusiva la valutazione deve essere sempre formativa, finalizzata al miglioramento dei processi di apprendimento e insegnamento. La valutazione deve sviluppare processi metacognitivi nell’alunno e, pertanto, il feedback deve essere continuo, formativo e motivante (ribadiamo, non si demonizzano gli errori)
Lente di ingrandimento PEDAGOGIA DELL’ERRORE
Gianni Rodari diceva che “gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli“. Popper ci dice che mentre Einstein, dinanzi a situazioni nuove e problematiche, fa morire le soluzioni sbagliate invece di morire lui stesso, l’ameba si affeziona tanto alla soluzione prescelta che, continuando ad adottarla, muore insieme ad essa. Maria Montessori lo sottolineava già un secolo fa: “Consideriamo l’errore per sé stesso. E’ necessario ammettere che tutti possiamo sbagliare; è una realtà della vita, cosicché l’ammetterlo è un gran passo verso il progresso. Se dobbiamo percorrere il sentiero della verità e della realtà, dobbiamo ammettere che possiamo tutti sbagliare, altrimenti saremmo tutti perfetti. Così, meglio sarà, avere verso l’errore un atteggiamento amichevole e considerarlo come un compagno che vive con noi ed ha un suo scopo, perché veramente ne ha uno. Molti errori si correggono spontaneamente nel corso della vita”. La pedagogia positiva dell’errore si realizza in due aspetti: -
il primo è portare l’alunno alla riflessione sul suo apprendere; 142
-
il secondo riguarda l’insegnante e il tipo di strategie che deve attivare per favorire il successo nell’apprendimento. L’alunno infine capirà che tutta la sua attenzione non è più focalizzata sull’apprendimento, ma si focalizzerà sulle modalità con le quali apprende e sui processi mentali che compie, trasformando il suo pensiero in “Sapere di Sapere”. Occorre una pedagogia che riscopra l’attenzione per l’essere umano, per la sua creatività,
per la sua ricerca di un ordine "trovato" e non inoculato dall’altra/o è sicuramente quella che ci attende nel futuro che vorremmo. E’ una pedagogia che non teme il dubbio, l’imprevisto, che non guarda l’orologio, che crede nella scuola come luogo di incontro privilegiato per tutte le tipologie di giovani; è una pedagogia che "comincia a ricominciare" da zero ascoltando le parole preziose di chi non ha ancora tutte le parole per esprimere i concetti che va "conoscendo", che non teme l’errore e lo ama perché le svela i percorsi mentali che l’ hanno prodotto (Claudia Fanti) In una pedagogia del cammino l'errore è parte integrante del percorso formativo. Volere evitare l'errore significa frenare e persino inibire l'apprendimento. Per questo dobbiamo cercare di creare un'atmosfera in cui sia permesso sperimentare senza alcun timore. Consiglio di leggere il file http://www.alessandrogrussu.it/txt/Errore.pdf
INDIVIDUALIZZAZIONE “La frequenza di scuole comuni da parte di bambini handicappati non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni. Lo stesso criterio di valutazione dell’esito scolastico, deve perciò fare riferimento al grado di maturazione raggiunto dall’alunno sia globalmente sia a livello degli apprendimenti realizzati, superando il concetto rigido del voto o della pagella.” (dalla Relazione Falcucci)
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La legge 170/2010 Rappresenta un punto di svolta poichè apre un diverso canale di cura educativa, concretizzando i principi di personalizzazione dei percorsi di studio enunciati nella legge 53/2003, nella prospettiva di “presa in carico” dell’alunno con BES, da parte di ciascun docente curricolare e di tutto il team docenti coinvolto, non solo l’insegnante per il sostegno.
Direttiva M. del 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale”, istituisce i GLI (Gruppi di Lavoro per l’Inclusione che nell’art. 15 della legge 104/92 erano Gruppi di Lavoro per l’Integrazione). La finalità è di potenziare la cultura dell’inclusione per realizzare il diritto allo studio di tutti. C.M. n. 8 del 6 marzo 2013: suggerisce azioni a livello di singola istituzione scolastica e costituzione del GLI (Gruppo di Lavoro per l’Inclusione) esteso alle problematiche relative a tutti i BES.
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La legge 107/15 ha dato una delega in bianco al governo in merito all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali. L’inclusione scolastica diventa un tema condiviso. Legge 107/15 comma 56 Piano Nazionale Scuola Digitale e metodologie didattiche che entrano in gioco attraverso l’uso delle TIC Istituito dal comma 56 e seguenti dell'art. 1 della legge 107/2015 (legge della Buona Scuola) prevede come già detto, la realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, il potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche.
LENTE DI INGRANDIMENTO Con il PNSD vengono incentivate le nuove tecnologie: -
le tecnologie entrano in classe con il compito di supportare la didattica
-
studenti e i docenti interagiscono con modalità didattiche costruttive e cooperative informatizzate che diventano catalizzatori dell’apprendimento
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Le app diventano ambienti o strumenti di apprendimento
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La didattica assume una valenza altamente operativa Le metodologie didattiche incentivate dal PSND sono:
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PROBLEM-SOLVING ovvero metodologia che stimola la capacità degli alunni di risolvere problemi, utilizzando le competenze e le conoscenze acquisite attraverso un processo creativo
-
PROJECT WORK è strumento progettuale che si collega alla metodologia “learning by doing” ovvero un apprendimento attivo basato sul fare. Tra GLI SCOPI DEL PSND troviamo lo sviluppo del pensiero computazionale, necessario
per affrontare le esigenze della società contemporanea e futura. Leggiamo infatti sul PSND “(...) Ed è in questo contesto che va collocata l’introduzione al pensiero logico e computazionale e la familiarizzazione con gli aspetti operativi delle tecnologie 145
informatiche. In questo paradigma, gli studenti devono essere utenti consapevoli di ambienti e strumenti digitali, ma anche produttori, creatori, progettisti.” l modo più semplice e divertente di sviluppare il pensiero computazionale è attraverso la programmazione (coding) in un contesto di gioco. Il CODING come già detto, è una pratica (non una metodologia) che consente agli studenti di imparare a programmare partendo dal gioco e in questa ottica si propone come uno trumento di apprendimento. Il coding mette la programmazione al centro di un percorso dove l’apprendimento percorre strade nuove ed è al centro di un progetto che ha come fine ultimo facilitare lo sviluppo del problem solving. Con il coding gli alunni programmano per apprendere. Come fare coding a scuola? Possiamo utilizzare Scratch o Scratch Jr. o gli I giochi del sito code.org. I bambini giocano e attraverso il gioco devono vincere delle sfide: vincere le sfide significa aver risolto in modo adeguato il problema. In questo “gioco” il bambino inconsapevolmente avrà scritto le righe di un codice informatico: parliamo in questo caso di programmazione a blocchi o programmazione visuale. Dopo aver realizzato un un ciclo di apprendimenti il docente chiede agli alunni di realizzare un progetto relativo a “obiettivi prefissati” e a “contesti reali”. - FLIPPED CLASSROOM (classe capovolta) in questa metodologia il docente fornisce agli studenti materiali didattici appositamente selezionati e da qui parte lo studio autonomo degli studenti. - COODING è una metodologia che consente agli studenti di imparare a programmare partendo dal gioco. Grazie a questa metodologia lo studente impara ad usare la logica, a risolvere problemi e a sviluppare il “pensiero computazionale” (capacità di scomporre un problema complesso in diverse parti, per affrontarlo più semplicemente un pezzetto alla volta, così da risolvere il problema generale) - ROLE PLAYING (gioco dei ruoli): questa tecnica ha l’obiettivo di far acquisire la capacità d’ impersonare un ruolo e di comprendere in profondità ciò che il ruolo richiede.
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- COOPERATIVE LEARNING è un metodo didattico-educativo di apprendimento costituito dalla cooperazione fra studenti. Apprendere in gruppo si rivela molto efficace non solo sul piano cognitivo, ma anche per lo sviluppo dei processi socio-relazionali. Attraverso l’uso delle tecnologie e delle metodologie didattiche citate il docente, che assume un ruolo di mediatore e di facilitatore. incoraggia l’apprendimento collaborativo favorendo l’esplorazione, la scoperta e il gusto per la ricerca di nuove conoscenze e privilegiando il problem solving attraverso l’uso delle TIC.
DECRETO LEGISLATIVO n. 66 del 17/04/2017 In attuazione della Delega conferita all’Esecutivo dalla norma di cui all’articolo 1, comma 181, lettera c), della Legge 107/15 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti).
DECRETO MINISTERIALE n. 66 del 17/04/2017 Presso ogni istituzione scolastica è istituito il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI), nominato e presieduto dal dirigente scolastico e composto da docenti di sostegno, curricolari ed eventualmente dal personale ATA, nonché da specialisti dell’ASL. In occasione della definizione ed attuazione del Piano di Inclusione, il GLI si avvale della consulenza di genitori, studenti ed Associazioni del settore. Il Miur indicherà modalità per l’individuazione di “scuole polo” a supporto delle iniziative di sperimentazione di metodologie inclusive.
Gruppi per l’inclusione (art. 9) Presso ogni Ufficio scolastico è istituito il Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale (GLIR), con compiti di consulenza e supporto alle attività di inclusione scolastica. Per ciascun ambito territoriale è istituito il Gruppo per l’Inclusione Territoriale (GIT), che riceve dai dirigenti scolastici le proposte di quantificazione oraria delle risorse di sostegno didattico 147
e formula la relativa proposta all’USR con la quale si dispone la: promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. «si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno, nel rispetto del diritto all'autodeterminazione e all'accomodamento ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità di vita» si dice anche che l’inclusione si realizza nella «definizione e la condivisione del progetto individuale fra scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati, operanti sul territorio», e si esplicita che «è impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica». «promuove la partecipazione della famiglia, nonché delle associazioni di riferimento, quali interlocutori dei processi di inclusione scolastica e sociale». Documentazione per l’inclusione (artt. 5-6-7) Successivamente all’accertamento della condizione di disabilità, viene redatto il Profilo di funzionamento, propedeutico al Progetto individuale ed al Piano Educativo Individualizzato. Il profilo di funzionamento è redatto, secondo i principi dell’ICF, dalla commissione ASL con la collaborazione della famiglia e di un rappresentante dell’amministrazione scolastica (preferibilmente un docente della scuola frequentata) ed aggiornato al passaggio di ogni grado di istruzione, nonché in presenza di nuove condizioni personali. La certificazione ed il profilo di funzionamento costituiscono il riferimento essenziale per la progettazione. Il Profilo di Funzionamento sostituisce la Diagnosi Funzionale ed il Profilo Dinamico Funzionale.
• Diagnosi Funzionale • Profilo Dinamico Funzionale
Profilo di Funzionamento
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DALL’ICIDH (1980): descrizione gli effetti del deficit sulla persona e sulla sua partecipazione sociale ALL’ICF (2011): inclusione dipende dalle capacità integrative della persona disabile e dell’ambiente sociale e comunitario in cui essa vive.
COS’E’ L’ICF •
È uno strumento di classificazione per valutare salute, funzionamento e disabilità
•
International Classification of Functioning, Disability and Health
•
Redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2001 •
Nel 2007 l’OMS ha realizzato la Classificazione
internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute per Bambini e Adolescenti: ICF-CY (Children and Youth Version)
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Scopi dell’ICF: •
Presentare un modello organico, una base scientifica e di ricerca, un protocollo condivisibile tra i vari operatori: i clinici, gli insegnanti, i genitori, gli assistenti sociali.
•
Stimolare lo sviluppo di servizi per migliorare i livelli di partecipazione sociale fra le persone con disabilità.
•
L’ICF-CY offre un modello concettuale di riferimento, un linguaggio e una terminologia comuni per registrare i problemi che emergono nell’infanzia e nell’adolescenza.
•
Permettere il confronto di dati fra differenti nazioni, servizi e sistemi sanitari di cura.
•
Fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari.
•
Raccogliere dati che riguardano i facilitatori e le barriere che limitano o migliorano i livelli di partecipazione in tutte le aree di vita sociale.
Struttura dell’ICF e ICF-CY •
L’ICF è uno strumento in grado di presentare in modo organico le condizioni della salute umana.
•
Non è centrato sulla malattia, ma sulla salute.
•
La disabilità è un aspetto del concetto generale di «salute». La disabilità non concerne solo anormalità fisiologiche e psicologiche (causate da malattie,
disturbi o lesioni) che necessitano di trattamento medico ma anche gli svantaggi causati dall’ambiente fisico e sociale che restringe la vita delle persone con problemi di funzionamento •
Le informazioni fornite dall’ICF non sono una diagnosi, ma la descrizione delle situazioni che riguardano il funzionamento umano e le sue restrizioni (disabilità).
•
L’ICF valuta quattro momenti della salute di un individuo, che riguardano la struttura corporea (es. gli occhi), le funzioni corporee (es. la vista), l’attività e la partecipazione (es. la lettura),i fattori ambientali (es. l’uso del computer).
150
La «condizione» di salute •
È la risultante dell’interazione tra aspetti biomedici e psicologici della persona (funzioni e strutture corporee);
•
aspetti sociali (attività e tipo di partecipazione svolte nella quotidianità);
•
fattori di contesto (fattori ambientali e personali) I fattori personali come l’autostima, la motivazione individuale, sono presi in considerazione
dall’ICF, ma non sono classificati in quanto non facilmente identificabili
Ogni componente della salute di un individuo è codificata con una lettera: s =>struttura; b=>funzioni; d=>attività; e=>ambiente; seguita da numeri che indicano categorie e qualificatori: b 163.2 Funzioni corporee •
Sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, comprese le funzioni psicologiche.
151
•
Le menomazioni sono problemi nella funzione o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o perdita significative.
•
Il qualificatore dopo il punto indica l’estensione o la gravità della menomazione. Abbiamo visto che in b 163.2 le «funzioni cognitive di base» hanno una menomazione media
Attività e Partecipazione L’attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione. La partecipazione è il coinvolgimento in una situazione di vita. La disabilità può comportare limitazioni dell’attività o restrizioni della partecipazione.
Esempio: d1701 «Utilizzare convenzioni grammaticali nei componimenti scritti. Adoperare l’ortografia
standard,
la
punteggiatura
e
le
forme
dei
casi
adeguate»
Le stringhe che cominciano per «d» (attività e partecipazione) hanno due qualificatori:
Fattori ambientali •
Costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza.
•
Il qualificatore indica il grado in cui un fattore rappresenta un facilitatore o una barriera.
Strutture corporee •
Sono le parti anatomiche del corpo
•
Le menomazioni sono problemi nella funzione o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significative. Esempio:
•
s 2302 «strutture adiacenti all’occhio. Sopracciglio»
152
Vantaggi nell’uso di ICF a scuola •
Il sistema ICF fornisce una base scientifica per lo studio della salute, fissa un protocollo di linguaggio comune, fornisce un sistema informatico per indagini statistiche, ricerche, misurazione dei risultati, programmazione dei curricoli e per i progetti di intervento.
•
Questa codifica è sistematica, portabile, traducibile, condivisa.
•
Attenzione alla salute dell’individuo, al concetto di benessere e di qualità di vita
•
Attenzione all’ambiente, al contesto di vita, fattori contestuali e fattori personali
•
Coinvolgimento di tutte le parti
•
Pariteticità degli attori e approccio di rete
•
Possibilità di verifica e confronto fra attori diversi in tempi diversi
•
Proiezione nel tempo dell’azione dello strumento, dunque del progetto che ne scaturisce
•
La descrizione delle capacità e delle limitazioni dello studente diventa più precisa sia per qualità che per approfondimento
•
Ciò permette di conoscere meglio alcune modalità di funzionamento complesse e articolate, come nel caso di persone con compromissione mentale, autismo, limitazione motoria, ecc.
•
Ciò permette anche di declinare al meglio gli obiettivi del lavoro a livello individuale
•
Permette anche di valutare con maggiore oculatezza i risultati ottenuti
Leggere i BES secondo il modello dell’ICF L’ ICF descrive le varie dimensioni che, in modo globale e interconnesso, determinano la salute, non la disabilità o le patologie. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, la situazione di salute e di funzionamento di una persona va letta in modo globale, da diverse prospettive, in modo interconnesso e reciprocamente causale.
153
L’alunno che viene valutato secondo il modello ICF può evidenziare difficoltà specifiche in 7 ambiti principali: Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni cromosomiche particolari, lesioni, ecc. Strutture corporee: mancanza di un arto, di una parte della corteccia cerebrale, ecc. Funzioni corporee: deficit visivi, deficit motori, deficit attentivi, di memoria, ecc. Attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di autonomia, di cura del proprio luogo di vita, ecc Partecipazione sociale: difficoltà a rivestire i ruoli sociali di alunno, a partecipare alle situazioni sociali più tipiche, nei vari ambienti e contesti. Fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa, situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e risorse, ecc. Fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive, scarsa motivazione, comportamenti problema, ecc.
154
Certificati secondo la L. 170/2010: A- Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), Dislessia, Disortografia, Disgrafia, Discalculia B- Disturbo specifico del linguaggio C- Deficit delle abilità non verbali D- ADHD, Disturbo dell’attenzione e iperattività E- Deficit di memoria F- Disturbo da ansia generalizzata G- Disturbo aspecifico dell’apprendimento H- Borderline cognitive I- Disturbo depressive J- Obbligatorio per il Consiglio di classe approntare un PDP. «Il Bisogno Educativo Speciale (Special Educational Need) è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o apprenditivo, espressa in un funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata». (Ianes 2005) Età evolutiva: entro i primi 18 anni. Funzionamento: concetto di funzionamento globale del soggetto secondo una prospettiva bio-psico-sociale (modello ICF dell’OMS). Ambiti: educazione e/o apprendimento.
I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI Il termine BES è entrato in uso in Italia con l’emanazione della Direttiva Miur del 27 dicembre 2012, recante “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Ha ampliato il campo di applicazione di una didattica inclusiva e personalizzata. In particolare inserisce nei BES anche quelle difficoltà di apprendimento che non sono certificabili. Con la C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 sono state, poi, diramate le “Indicazioni operative”. 155
La nuova Direttiva ministeriale definisce le linee del
cambiamento per rafforzare il
paradigma inclusivo attraverso: -
Potenziamento della cultura dell’inclusione
-
Approfondimento delle competenze in materia degli insegnanti curricolari
-
Nuovo modello organizzativo nella gestione del processo di integrazione scolastica e di presa in carico dei BES da parte dei docenti (PDP). Il PdP è necessario per attestare l’applicazione delle garanzie previste dalla Legge 170/2010 e
Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 e dalla Circolare Ministeriale n.8 del 6 marzo 2013. Inoltre: Per costruire la storia scolastica del bambino/ragazzo con DSA/BES A tutela, affinché quel che si è detto, scritto e concordato, venga rispettato in un vero e proprio documento con una sua rintracciabilità Per registrare i progressi Per presentare il ragazzo al presidente di commissione/commissari esterni in sede di esame Non meno importante, a tutela della professionalità del docente. Il C.d.C. individua preventivamente gli alunni con BES. Attiva un progetto temporaneo e reversibile attraverso: Percorso di conoscenza della difficoltà del funzionamento attraverso intervista all’alunno e alla famiglia. Attivazione di risorse: compagni di classe, collaboratori scolastici, famiglia, amici, vicini di casa (r.informali); psicologo, neuropsichiatra, assistente sociale, assistente educatore, mediatore linguistico (r. formali). “Il PDP non può più essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA, è bensì lo strumento in cui si potranno, ad es.,includere progettazionididattico-educative, calibrate sui livelli minimi attesiper le competenze in uscita, di cui moltissimi alunni con BES, privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, necessitano di strumenti programmatici utili in maggior misura, rispetto a compensazioni o dispense, a carattere squisitamente didattico-strumentale. (CM n. 8 6/3/2013)”.
156
L’obbligo di redigere annualmente per gli alunni con DSA un Piano Didattico Personalizzato (PDP) è una delle indicazioni della Legge 170/2010 e del successivo Decreto attuativo DM 5669 del 12 luglio 2011 e annesse Linee Guida. Con la Direttiva MIUR del 27/12/2012 e la Circolare Ministeriale n.8 del 6 marzo 2013 ora anche per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES). Il modulo del P.D.P. deve riportare: · Dati anagrafici · Tipologia del disturbo ed estremi della relativa certificazione (se presente) · Attività didattiche personalizzate · Strumenti compensativi · Misure dispensative · Forme di verifica e valutazione personalizzata · Firma di tutti i docenti del Consiglio di classe, del Dirigente o suo delegato e dei genitori o tutori.
Strumenti compensativi Aiuti che rendono possibili prestazioni che diversamente l’alunno non riuscirebbe a realizzare: - testi facilitati, con caratteri di scrittura chiari, spaziature personalizzate; 157
- Schemi, mappe, formulary; - domande guida per la comprensione, date prima della lettura del testo; - lettura vicariante o sintesi vocale; - tavola pitagorica e/o calcolatrice; - uso dei colori per evidenziare/organizzare il testo; - strumenti tecnologici (PC, tablet, calcolatrice, specifici software); - altro, a seconda delle specifiche esigenze.
Misure dispensative Si esonera del tutto o in parte l’alunno da prestazioni non essenziali che non riuscirebbe a realizzare: - evitare di far leggere a voce alta; - evitare lo studio delle lingue straniere in forma scritta; - non valutare lo scritto; - non pretendere l’uso di vocabolari; - evitare lo studio mnemonico delle tabelline; - evitare verifiche a sorpresa; - preferire le verifiche orali o a scelta multipla; - ridurre il carico del lavoro o concedere più tempo.
1) Strumenti compensativi = mezzi che mettono in grado lo studente di compensare il suo specifico deficit (es. calcolatrice per i discalculici, sintesi vocale per i dislessici).
158
2) Misure dispensative = possibilità di far evitare allo studente le azioni che lo mettono in difficoltà (es. dispensa dalla lettura ad alta voce, dal prendere appunti ecc.).
Le misure dispensative non favoriscono l’acquisizione di autonomia, quindi bisogna limitarne l’uso allo stretto indispensabile.
3) Progettazioni didattico - educative calibrate (es. riduzione di alcune parti di programma, minori difficoltà negli esercizi, tempi aggiuntivi durante le verifiche ecc.). In
159
pratica, qualcosa di molto simile a quello che sono gli ‘obiettivi minimi’ per gli alunni con sostegno
1. LA SOSTITUZIONE: obiettivo uguale, si modifica l’accessibilità (registrazione audio dei testi, cards per alunni con sordità, etc.) 2. LA FACILITAZIONE: uso di tecnologie motivanti (LIM; software) e contesti didattici interattivi (cooperative learning, tutoring*, laboratori…); proposto anche in ambienti reali 3. LA SEMPLIFICAZIONE: modificazione del lessico, riduzione dei concetti, dei criteri di esecuzione del compito (uso calcolatrice, numero di errori più elevato…) 4. SCOMPOSIZIONE IN NUCLEI FONDANTI: identificazione delle attività fondanti (strumentalità di base, lettura e scrittura funzionale, matematica pratica…) 5. PARTECIPAZIONE ALLA CULTURA DEL COMPITO: far sperimentare sfida cognitiva ottimale, elaborazione di un prodotto per aiutare l’alunno a partecipare a momenti significativi. Le metodologie e strategie didattiche devono essere volte a: - stimolare il recupero delle informazioni tramite il brainstorming - collegare l’apprendimento alle esperienze e alle conoscenze pregresse degli studenti - favorire l’utilizzazione immediata e sistematica delle conoscenze e abilità, mediante attività di tipo laboratoriale 160
- sollecitare la rappresentazione di idee sotto forma di mappe da utilizzare come facilitatori procedurali nella produzione di un compito - far leva sulla motivazione ad apprendere.
IL TUTORING Il tutoring può essere definito una metodologia didattica che consente di rafforzare le conoscenze degli alunni utilizzando il modello della cooperazione (non trascurando nello stesso tempo pertanto i rapporti socio affettivi) in un’ottica di aiuto reciproco tra pari. Questa strategia didattica è figlia della didattica contemporanea, che mette al centro lo studente, con i suoi bisogni, le sue predisposizioni, i suoi punti di forza (che diventano un perno) e quelli di debolezza (che sono riconosciuti ma non demonizzati). Gli alunni diventano attori del loro percorso di formazione e di apprendimento e nel cambiare “ruolo” nel percorso di apprendimento acquisiscono competenze diverse allargando i propri orizzonti. Vediamo nel dettaglio in cosa consiste. Nella nostra classe (è consigliabile non utilizzare l’aula ma un luogo all’ esterno in cui è possibile favorire la concentrazione) formeremo tante coppie di studio composte da un tutore e da un allievo: 1-
Il Tutore dovrebbe essere un allievo che solitamente ha delle elevate competenze e che pertanto diventa l’“insegnante” del compagno più debole. Nel processo di insegnamento va da sé che il ragazzo investito da questo ruolo dovrà prima imparare per poi insegnare al compagno;
2-
L’allievo: è colui che ascolta le lezioni del tutor. L’allievo è comunque soggetto attivo del percorso di apprendimento in quanto parteciperà alla stesura delle regole che bisognerà rispettare, per realizzare il lavoro assegnato (le regole verranno definite prima dell’inizio delle attività);
3-
l’insegnante: ha il compito di predisporre il materiale, coordinare il lavoro, osservare e favorire le iniziative degli alunni. Il ruolo dell’insegnate nell’uso di questa metodologia è molto delicato in quanto deve occuparsi della scelta degli obiettivi che devono essere adeguati alle potenzialità dei tutor (i quali devono essere in grado di 161
spiegare ai compagni); deve gestire gli abbinamenti tra gli alunni: sarà infatti necessario non solo tenere conto delle caratteristiche cognitive e dei livelli dei vari alunni ma anche delle affinità relazionali tra i due. Al tutor verrà chiesto di compilare un diario alla fine di ogni incontro nel cui dettagliare ciò che è successo durante ci incontri. Naturalmente anche utilizzando questa metodologia didattica i docenti avranno il compito di valutare. Sono consigliati: - colloqui di verifica con il tutor dopo lo svolgimento delle sedute e dopo la stesura del diario; - riunioni tra alunni investiti dal ruolo di tutor; - riunioni di verifica tra tutor, allievo e insegnanti, nelle quali si considerano gli obiettivi e gli atteggiamenti, si rivalutano le regole.
Questa metodologia presenta diversi vantaggi: 1- aumenta l’autostima dell’alunno tutor 2- favorisce l’apprendimento dell’alunno in quanto l’apprendimento tra pari risulta essere altamente proficuo; 3- favorisce il rispetto delle regole 4- favorisce il problem solving e stimola le capacità relazionali
Per l’autostima dell’alunno più debole invece possiamo organizzare il tutoring a ruoli inversi: utilizzeremo come tutor un alunno con difficoltà, che spiegherà gli argomenti che avrà acquisito meglio, al suo allievo.
162
ALUNNI STRANIERI LINEE GUIDA PER L’ACCOGLIENZA E L’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI STRANIERI Nota MIUR prot. N. 4233 del 19.02.2014 Fa riferimento: -
al documento “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” dell’ottobre 2007 dell’Osservatorio Nazionale MIUR;
-
alle Linee Guida del 2006, di cui costituiscono una revisione alla luce dell’evoluzione sociale e normativa.
Per quanto concerne gli alunni con cittadinanza non italiana necessitano innanzitutto di interventi didattici relativi all’apprendimento della lingua italiana e, solo in via eccezionale, della formalizzazione di un PDP (CM n. 8/2013), soprattutto per alunni con disturbo specifico del linguaggio, o con DSL con linguaggio che caratterizzato da: ritardo nella comparsa e nel successivo sviluppo; errori anomali cioè non tipici dello sviluppo linguistico normale; frequenza anormale di errori (essi compiono gli stessi errori compiuti da bambini normosviluppati nelle fasi più precoci dello sviluppo del linguaggio)
163
I Disturbi specifici del linguaggio sono spesso associati a problemi, quali la difficoltà di lettura e di ortografia, anomalie nei rapporti interpersonali ed emotivi e disturbi comportamentali.
DEFICIT DELLE ABILITA’ NON VERBALI Si può trattare di un disturbo della coordinazione motoria, della disprassia, del disturbo non verbale o - più in generale - di bassa intelligenza non verbale associata ad alta intelligenza verbale, qualora però queste condizioni compromettano sostanzialmente la realizzazione delle potenzialità dell’alunno nella coordinazione motoria.
Disturbo da deficit dell’attenzione e dell’iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder o ADHD) è caratterizzato da un livello di attenzione scarso, inadeguato per lo sviluppo, o da aspetti di iperattività e impulsività inappropriati all’età del ragazzo. L’ADHD si può riscontrare anche spesso associato ad un DSA o ad altre problematiche, ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. 164
L'ADHD si accompagna spesso ad uno o più disturbi dell’età evolutiva: disturbo oppositivo provocatorio; disturbo della condotta in adolescenza; disturbi specifici dell'apprendimento e disturbi dell'umore.
Deficit di memoria La memoria a breve termine riveste un ruolo cruciale nell’ apprendimento, la sua compromissione porta a difficoltà di acquisizione di nuove informazioni rendendone problematica la ritenzione e di conseguenza l’apprendimento. Sono comuni in questi ragazzi difficoltà di elaborazione di informazioni visive ed uditive. Le informazioni verbali “entrano da un orecchio ed escono dall’altro”, mentre quelle visive si traducono in errori di copiatura ed omissioni delle ultime sillabe di una parola e delle ultime parole di una frase durante la lettura. L’uso di espressioni verbali e scritte molto semplici, sono un’ulteriore conseguenza di un deficit nella memoria a breve termine. Spesso questo deficit è correlato ad altri disturbi come quelli specifici di apprendimento (DSA) o quelli che riguardano l’attenzione (ADHD). Disturbo di ansia generalizzata. Nel linguaggio comune il termine "ansia" viene spesso usato in modo improprio, riferendosi a generiche condizioni di apprensione, nervosismo e stress, che nulla hanno a che vedere con il disturbo psichiatrico vero e proprio. L'ansia patologica non è un semplice disagio transitorio, ma una reazione abnorme che interferisce seriamente con le prestazioni psico-intellettive, impedendo di fissare la mente su problemi e situazioni specifiche e di elaborarli, limitando la possibilità di svolgere le attività abituali. Si ha così uno stato continuo e persistente di preoccupazione per diversi eventi, che risulta eccessivo in intensità, durata o frequenza rispetto alle reali circostanze, che invece rappresentano eventi temuti dal soggetto. Questo disturbo non insorge necessariamente in risposta a stimoli esterni, anche se eventi stressanti o un ambiente complessivamente sfavorevole possono aggravarne le manifestazioni. 165
Disturbo Aspecifico dell’apprendimento Il Disturbo Aspecifico di Apprendimento riguarda difficoltà di apprendimento in relazione a capacità cognitive al di sotto della media oppure è correlato a patologie di vario tipo: sensoriali, neurologiche, genetiche, organiche e psicologiche. In queste situazioni le difficoltà sono spesso generalizzate, quindi non solo nelle competenze "di base", cioè nella lettura, scrittura, calcolo, ma anche nei processi logici. Spesso le capacità cognitive sono inferiori alla media prevista per l'età del ragazzo anche se non rientrano nei canoni di una disabilità certificata con la legge 104. Inoltre in certi casi il disturbo aspecifico dell’apprendimento può anche essere relativo ad una scarsa stimolazione socio-ambientale.
Borderline cognitivo Il funzionamento intellettivo limite può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico. Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti generalmente con le espressioni di funzionamento cognitivo o intellettivo limite (o borderline), ma anche con altre espressioni (per es. disturbo evolutivo specifico misto, codice F83) richiedono particolare considerazione. Si tratta di ragazzi il cui QI globale (quoziente intellettivo) risponde a una misura che va dai 70 agli 85 punti e non presenta elementi di specificità. Per alcuni di loro il ritardo è legato a fattori neurobiologici ed è frequentemente in comorbilità con altri disturbi. Per altri si tratta soltanto di una forma lieve di difficoltà per cui hanno solo bisogno di essere adeguatamente sostenuti e indirizzati verso i percorsi scolastici più consoni alle loro caratteristiche. Disturbi depressivi. La depressione clinica non è un calo d’umore passeggero: chi ne soffre ha un umore depresso per tutta la giornata, per più giorni di seguito e non riesce a trovare piacere/interesse nelle attività che lo facevano star bene. L’isolamento è cercato, sofferto e spesso inevitabile. La depressione è spesso ricorrente e cronica (cioè tende a dare recidive e durare per molto tempo). Un adolescente depresso che non riesce a studiare ed avere relazioni, non riesce a formare i mattoni su cui costruire il proprio futuro.
166
ALUNNI CON BES DA SVANTAGGIO SOCIO-ECONOMICO, LINGUISTICO E CULTURALE In questa categoria rientrano tutti quei ragazzi che, per diversi motivi, si trovino a vivere, in modo momentaneo o permanente, situazioni di deficit culturale, linguistico, sociale od economico. In questi casi è solo l’osservazione sistematica dei comportamenti e delle prestazioni scolastiche dello studente che fa sospettare con fondatezza il prevalere dei vissuti personali dei ragazzi o dei fattori dell’ambiente di vita quali elementi ostativi all’apprendimento. Per tali alunni non è prevista la stesura di un Piano Didattico Personalizzato visto che non hanno effettiva necessità di strumenti compensativi o dispensativi. È necessario, tuttavia, che il Consiglio di Classe sia informato e si faccia carico della particolare situazione dell’alunno che si trova in difficoltà tali da inficiare la regolare frequenza e partecipazione alle attività scolastiche. In riferimento a questi alunni, il Consiglio di Classe è tenuto a segnalare il caso tramite la compilazione dell’apposito modulo (modulo di segnalazione alunni con BES socio-economico). All’interno dell’Istituto, onde evitare discrepanze di giudizio e forte disomogeneità tra le varie classi e sezioni, vengono dichiarati facenti parte di questa categoria soltanto gli studenti seguiti, singolarmente o insieme alla propria famiglia, dagli assistenti sociali o segnalati alla scuola dal Tribunale per i minori. Per gli alunni stranieri si fa riferimento al Protocollo di accoglienza degli alunni stranieri adottato dalla scuola. LINEE GUIDA PER L’ACCOGLIENZA E L’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI STRANIERI (Nota MIUR prot. N. 1233 del 19.02.2014) Fanno riferimento: - Al documento: “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” dell’ottobre 2017 dell’Osservatorio Nazionale MIUR; - Alle Linee Guida del 2006, di cui costituiscono una revisione alla luce dell’evoluzione sociale e normativa. I minori stranieri sono titolari di diritti e doveri che prescindono dalla loro origine nazionale (Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia). 167
Diritto di accesso a scuola dei minori stranieri: Legge 40/1998 e D. Lgs. N. 286/98 (T.U. immigrazione), Legge 189/2002 (diritto all’accoglienza in qualsiasi momento dell’anno e a prescindere dalla regolarità della documentazione). Legge 53/2003 (personalizzazione). C.M. n. 2/2010 (fissa il limite del 30% di stranieri nelle classi,
derogabile
a
cura
del
Direttore
USR
in
relazione
ai
bisogni
linguistici).
Indicazioni Nazionali per il curricolo I ciclo 2012 (confermano la scelta dell’educazione interculturale, rifiutando sia la logica dell’assimilazione che quella della segregazione in comunità chiuse, a favore del confronto e della pluralità delle esperienze comuni). CHI SONO GLI ALUNNI STRANIERI - Alunni con cittadinanza non italiana (entrambi i genitori di nazionalità non italiana). - Minori non accompagnati (segnalazione all’autorità pubblica per affido/adozione o rimpatrio art. 32 D. L. vo n. 286/1998). - Alunni figli di coppie miste (bilinguismo positivo per l’apprendimento). - Alunni con ambiente familiare non italofono. - Alunni arrivati per adozione internazionale (con bisogni psicologici di alfabetizzazione). - Alunni rom, sinti, caminanti (nomadi). L’INCLUSIONE -
La presenza degli stranieri è strutturale, cresciuta esponenzialmente negli ultimi 20 anni: le scuole devono ripensarsi in chiave inclusiva e multiculturale.
-
La scuola è luogo di formazione e crescita per ciascuno.
-
Garanzia
di
successo
scolastico,
di
pari
opportunità
di
accesso
al
sapere, finalizzato allo sviluppo dell’identità personale e culturale. -
Ricerca il massimo sviluppo possibile di apprendimento per ciascuno.
168
LE BUONE PRATICHE Protocolli di accoglienza. Attenzione
alle
famiglie,
modulistica
plurilingue
e
mediatori
linguistici
e
culturali. Laboratori di italiano L2 per gli alunni, con didattica personalizzata, peer- to-peer, formazione per i docenti sulla didattica interculturale e le pratiche inclusive. Testi semplificati. Curricolo/progetti interculturali e plurilinguismo.
LA VALUTAZIONE La valutazione avviene come per gli alunni italiani, tuttavia, attenzione alla condizione di BES formalizzato (solo eccezionalmente PDP per gli alunni stranieri). Tener conto della specificità della cultura, della storia personale e della competenza in italiano di ciascun alunno: valutazione modulata. Esami sia I che II ciclo: possono usare gli strumenti compensativi (con PDP) ma non possono usufruire delle dispense. Possibile presenza di mediatori se presenti difficoltà comunicative. Nel colloquio orale possono essere valorizzati i contenuti relativi alla cultura e alla lingua d’origine.
I GIFTED “Gli alunni con competenze intellettive nella norma o anche elevate, che – per specifici problemi – possono incontrare difficoltà a Scuola, devono essere aiutati a realizzare pienamente le loro potenzialità” (D.M. 27/12/2012, p.2) Alunni con bisogni educativi speciali. Chiarimenti (NOTA MIUR 03.04.2019, PROT. N. 562) Alunni e studenti ad alto potenziale intellettivo
169
In base alle segnalazioni ricevute dalle scuole e alle comunicazioni scientifiche dei settori accademici di riferimento, emerge come fra la popolazione scolastica siano presenti bambini ad alto potenziale intellettivo, definiti Gifted children in ambito internazionale. A seguito dell'emanazione della Direttiva 27.12.2012, molte istituzioni scolastiche hanno considerato tali alunni e studenti nell'ambito dei Bisogni Educativi Speciali. Tale prassi, assolutamente corretta, attua la prospettiva della personalizzazione degli insegnamenti, la valorizzazione degli stili di apprendimento individuali e il principio di responsabilità educativa. Anche in questo caso la strategia da assumere è rimessa alla decisione dei Consigli di Classe o Team Docenti della primaria, che in presenza di eventuali situazioni di criticità con conseguenti manifestazioni di disagio, possono adottare metodologie didattiche specifiche in un'ottica inclusiva, e a livello individuale. Chi Sono i GIFTED? Si chiamano “Gifted” quei bambini che potremmo definire plusdotati, che hanno un altissimo potenziale cognitivo, ovvero doti intellettive superiori alla norma. Ciò si evidenzia dalla misurazione del QI: il punteggio standard è stato fissato a 100, chi riesce ad ottenere un punteggio superiore a 115 viene considerato un bambino con un lato potenziale, quando si arriva a 130 allora si parla di plusdotazione intellettiva. Secondo gli studi condotti dall’Università di Pavia i bambini “gifted” sarebbero il 2,14% della popolazione scolastica. Un dato particolare è la percentuale di abbandono scolastico degli alunni Gifted che risulta essere pari alla percentuale di abbandono dei coetanei normodotati. Percheè un alunno Gifted dovrebbe abbandonare la scuola? Semplicetne perché la scuola non è adeguatamente preparata ad affrontare la plus dotazione. Per lavorare con gli alunni Gifted ritemiamo indispensabile farvi conoscere il metodo dei 3 anelli del Professor Joseph Renzulli, considerato oggi uno dei massimi esponenti nell’ambito dei Gifted. Secondo questo modello il successo arriva quando esiste la confluenza di tre variabili: motivazione-impegno, capacità e creatività. Le tre variabili costituiscono tre anelli: un individuo può essere considerato ad alto potenziale solo quado esiste la confluenza di queste tre, giusto quelle presenti nei tre anelli.
170
Un modello educativo valido per lavorare con gli alunni Gifted (e non solo) è quello del modello di arricchimento, che propone di partire dall’interesse dell’alunno e prevede che gli insegnanti educhino allo sviluppo di competenze. L’obiettivo del modello è fornire esperienze di apprendimento per tutti gli studenti e sviluppare il talento di tutti i bambini, fornendo esperienze di apprendimento ad un livello avanzato per tutti, e secondo i punti di forza ed gli interessi di ognuno (una perfetta sincronia tra potenzialità e possibilità). Andiamo ad analizzare i tre tipi di arricchimento: Arricchimento di tipo I: si espongono gli studenti ad argomenti nuovi attraverso video, visite guidate, materiale di vario genere. In questa fase un test valuterà la prestazione e il grado di interesse di ogni studente. Si espongono quindi gli studenti a una grande varietà di discipline, argomenti, hobby, luoghi ed eventi che normalmente non verrebbero coperti nella programmazione standard. Nelle scuole che utilizzano questo approccio, un gruppo di genitori, insegnanti e studenti spesso organizzano e pianificano esperienze di questo tipo. Arricchimento di tipo II: include materiali che promuovono lo sviluppo dei processi di pensiero come la creatività, il problem solving, il pensiero critico e i processi affettivi. Arricchimento di tipo III: coinvolge gli studenti che sono interessati ad un determinato ambito e sono disposti ad investire più tempo e ad impegnarsi in quella disciplina. Gli studenti con questo tipo di arricchimento acquisiscono informazioni specifiche sulla metodologia di lavoro e diventano come dei piccoli ricercatori.
171
Lo studente riesce ad avere una conoscenza approfondita del tema e delle tecniche d’indagine. Vengono inoltre rafforzate le capacità di auto- apprendimento (The schoolwide enrichment model: a focus on student strengths &interests, Sally M. Reis & Joseph S. Renzulli).
Disabilità tutelata dalla L. 104 del 1992 -
Deficit visivi;
-
Deficit uditivo;
-
Sindromi genetiche;
-
Disabilità intelletiva grave;
-
Sindrome dello spettro autistico.
Deficit visivo Nell’ambito del sistema visivo, si distinguono: 1.I difettosi visivi: ripristino completo della funzione visiva tramite mezzi ottici o/e ortottici 2.Gli ipovedenti: alterazione dell’apparato visivo non correggibile 3.I non vedenti assoluti: si considera cieco un bambino con acuità visiva inferiore ad 1/10. I residui visivi condizionano l’evoluzione psico-affettiva del bambino. La data della comparsa della cecità ha un ruolo importante. La motricità del bambino piccolo è molto influenzata dalla vista. L’ipovisione è una riduzione significativa della funzione visiva che non può completamente essere corretta da occhiali ordinari, da lenti a contatto, dal trattamento medico e/o dalla chirurgia. L’ipovisione interessa la popolazione di tutte le età. Ha effetto sulle attività quotidiane come la lettura, la scrittura, l’igiene personale, l’autonomia domestica ed altro. DIFFICOLTÀ PSICOLOGICHE DEL BAMBINO CIECO SVILUPPO PSICOMOTORIO - Bambini calmi, passivi - Attività spontanea ridotta, soprattutto agli arti superiori 172
- Afferramento volontario dell’oggetto è acquisito più tardi - Permanenza dell’oggetto oltre il 1° anno di vita - Ritardo dello sviluppo posturale -Il cammino è acquisito verso i 2-3 anni - Disinvestimento delle funzioni.
DIFFICOLTA’ PSICOLOGICHE DEL BAMBINO CIECO SVILUPPO COGNITIVO -
Linguaggio utilizzato come auto-stimolazione;
-
Ritardo dello sviluppo intellettivo a causa del deficit specific del canale sensoriale;
-
Ritardo nell’acquisizione del linguaggio: regression o ristagno nel 2° anno di vita, povertà di vocabolario;
-
Verbalismo: lunghe chiacchierate solitarie, ripetizione di parole o frasi, il cui senso non è sempre compreso.
Il Deficit sensoriale uditivo IPOACUSIA: il bambino ipoacusico è quello la cui acuità uditiva non è sufficiente a permettergli di imparare la sua lingua, di partecipare alle normali attività della sua età, di seguire con profitto l’insegnamento scolastico. La sordità è definita in base alla: • Eziologia • Profondità • Sede di lesione
173
DIFFICOLTA’ PSICOLOGICHE: SVILUPPO COGNITIVO - Intelligenza pratica vicina alla normalità - Assenza o disturbo grave del linguaggio considerato come primo ostacolo per uno sviluppo intellettivo adeguato - Deficit di astrazione e di acquisizione del pensiero simbolico - Persistenza di strategie che difficilmente oltrepassano lo stadio dell’imitazione gestuale - Parificazione delle performances con l’età.
DIFFICOLTÀ PSICOLOGICHE DI SVILUPPO AFFETTIVO - Il bambino sordo è rumoroso, poco disciplinato, impulsivo, intollerante alle frustrazione, facile all’agito aggressivo - Isolamento - Comportamento egocentrico - Difficoltà a riconoscere e comprendere le proprie ed altrui emozioni - Insicurezza -Linguaggio sui generis: rigido, poco sfumato nelle espressioni, difficoltà nel comprendere i giochi di parole.
SINDROMI GENETICHE SINDROME DI DOWN O TRISOMIA 21 Anomalia genetica: presenza di un cromosoma soprannumerario (CR.21) -
Impaccio motorio
-
Disturbi del comportamento
-
Difetti sensoriali: vista e udito
-
Ritardo mentale 174
SINDROME DELL’X FRAGILE Anomalia genetica: mutazione dinamica di porzioni del cromosoma X -
Ritardo sviluppo psicomotorio e del linguaggio
-
Ritardo mentale
-
Dist. del comportamento: irrequietezza, incapacità a fissare l’attenzione, instabilità motoria
NEUROFIBROMATOSI -
Livello intellettivo inferiore alla norma
-
Deficit di memoria, concentrazione
-
Difficoltà di linguaggio, difficoltà di letto-scrittura
SINDROME DI TURNER Anomalia genetica: monosomia del cr. X -
Colpisce il sesso femminile
-
Ritardo capacità motorie e di apprendimento
-
Deficit uditivo
SINDROME DI PRADER-WILLI -
Comportamento compulsivo verso il cibo
-
Ritardo mentale
-
Scarsa capacità di concentrazione
-
Enuresi notturna
-
Difficoltà ad adattarsi a situazioni nuove
175
SINDROME DI WILLIAMS -
Ritardo motorio e impaccio nella motricità fine
-
Ritardo mentale medio o grave
-
Ritardo del linguaggio
-
Scarsa capacità di concentrazione
SINDROME DI KLINEFELTER Anomalia genetica: Trisomia del cr. X -
Colpisce il sesso maschile
-
Statura superiore alla norma
-
Ritardo del linguaggio, della deambulazione
-
Difficoltà di apprendimento e di relazione
-
Deficit nei processi esecutivi e di memoria di lavoro.
DISABILITA’ INTELLETTIVE RITARDO MENTALE LIEVE È rappresentato nel 85% dei soggetti. Ha origini ambientali organiche Q.I.= 55 – 70 Presenta difficoltà di comprensione e vocabolario povero. Adeguatamente sostenuti possono raggiungere un sufficiente grado di autonomia; a livello scolastico sono in grado di svolgere semplici compiti autonomamente.
RITARDO MENTALE MODERATO -
10% dei soggetti
-
Eziologia prettamente organica
-
Q.I. = 35 – 55
-
Discreta capacità comunicativa, sono capaci di svolgere semplici attività quotidiane;
-
Difficoltà nei rapporti interpersonali
-
Scarsa comprensione delle regole sociali 176
-
Le competenze scolastiche corrispondono circa alla prima elementare
RITARDO MENTALE GRAVE -
Colpisce il 45% dei soggetti;
-
Q.I. = 20 – 55;
-
Ha origini organiche;
-
Presentano un eloquio molto povero e ripetitivo;
-
Ridotti livelli di autonomia e da adulti potranno condurre attività sempre con una supervisione.
RITARDO MENTALE PROFONDO (RM) -
1% dei soggetti;
-
Q.I. = < 20;
-
Origine prettamente organica;
-
Livello di funzionamento proprio del periodo senso-motorio;
-
Linguaggio quasi assente;
-
Non autonomia;
-
Necessitano di assistenza e di supervisione costante.
0-6 ANNI -
Rm Lieve: sviluppo motorio sufficiente e ritardo del linguaggio lieve;
-
Rm Moderato: ritardo motorio lieve e linguaggio e funzioni simboliche in lenta maturazione;
-
Rm Grave: ritardo motorio grave, linguaggio molto ridotto;
-
Rm Profondo: ritardo motorio grave, nessuno sviluppo del linguaggio e delle funzioni simboliche
177
6-18 ANNI -
Rm Lieve: apprendimento scolastico discreto nella scuola primaria; difficoltà nella scuola media; autonomia sufficiente;
-
Rm Moderato: acquisizione scolastica iniziali; immaturità espressiva e autonomia sufficiente;
-
Rm Grave: difficoltosi gli apprendimenti scolastici; limitata comunicazione verbale; autonomia scarsa;
-
Rm Profondo: sviluppo senso-motorio limitato; assenza di linguaggio relazionale; nessuna autonomia.
ETÀ ADULTA -
Rm Lieve: fase operatoria concreta; capacità di adattamento sociale e professionale discrete con appropriato addestramento; saltuario bisogno di aiuto;
-
Rm Moderato: discreta autonomia sociale; arresto alla fase delle operazioni concrete; discreta autonomia sociale; bisogno di aiuto in situazioni difficili e/o traumatizzanti;
-
Rm Grave: fase dell’intelligenza pre-operatoria; autonomia parziale; necessita di ambiente protetto;
-
Rm Profondo: arresto alla fase senso-motoria; necessita di assistenza e sorveglianza totale.
SEGNI PREDITTIVI DEL RITARDO MENTALE PRIMA DEI 3 ANNI •
Scarsa iniziativa
•
Attività esplorativa ridotta
•
Difetto di utilizzazione simbolica degli oggetti
•
Scarso sviluppo della comunicazione
•
Ritardo posturale motorio
•
Ritardo linguistico delle espressioni della comunicazione
•
Interazione povera con l’ambiente
178
FUNZIONAMENTO COGNITIVO NEL R.M. Alcuni aspetti caratterizzano, in gradi e con modalità differenti, il funzionamento intellettivo: •
Concretezza: incapacità o difficoltà a raggiungere il pensiero astratto
•
Rigidità: difficoltà a generalizzare le conoscenze
•
Perseverazione
•
Rischiosità
LO SVILUPPO AFFETTIVO NEL R.M. I tratti comportamentali più frequenti sono: •
Iperattività
•
Distraibilità
•
Bassa tolleranza alle frustrazioni
•
Impulsività
•
Disturbi della condotta
•
Tendenza al ritiro
•
Comportamenti compulsivi
•
Dipendenza
•
Perseverazione
I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO Il
DSM
(Diagnostic
and Statistical Manual )
e
l’ICD
(International Classification
of Diseases ) riconducono l’Autismo ad una più ampia categoria diagnostica, quella dei Disturbi generalizzati o Pervasivi dello Sviluppo (APA, 1994; OMS, 1990).
179
•
Autismo infantile (F84.0)
•
Autismo atipico (F84.1)
•
Sindrome di Rett (F84.2)
•
Sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo (F84.3)
•
Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati (F84.4)
•
Sindrome di Asperger (F84.5)
•
Altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico (F84.8)
•
Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico (F84.9).
DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO (ASD) I Disturbi dello Spettro Autistico sono disturbi evolutivi: tutto lo sviluppo ne è influenzato e i sintomi appaiono differenti nel tempo. Si tratta di sindromi comportamentali causati da disordini dello sviluppo, biologicamente determinati, con esordio generalmente nei primi 3 anni di vita. Presentano un pattern riconoscibile di sintomi in tre aree: 1) relazioni sociali e intersoggettività, 2) linguaggio e comunicazione, 3) interessi stereotipati, rigidi e ripetitivi.
180
EVOLUZIONE I Disturbi dello Spettro Autistico sono caratterizzati da modalità di funzionamento neuropsicologico peculiari che accompagnano il soggetto in tutta la sua crescita e per tutta la vita. L’intervento deve valorizzare i punti di forza del bambino e minimizzarne le difficoltà con l’obiettivo primario di migliorarne la qualità di vita nei diversi contesti: scuola, famiglia, comunità. Lo Spettro Autistico: Lo spettro autistico ha un’estensione molto vasta: per livello di funzionamento intellettivo: da RM grave a funzionamento intellettivo nella norma; per capacità linguistiche: da agnosia verbale a linguaggio nella norma; per la gravità delle caratteristiche autistiche (presenza di CP, di comportamenti stereotipati, di alterazioni sensoriali, etc.)
181
Ruolo della scuola •
La scuola ha un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo globale del bambino: cognitivo, emotivo, fisco, relazionale.
•
Considerando l'età, il livello di sviluppo e la natura del problema, l’"ambiente scolastico" rappresenta uno spazio particolarmente utile per “completare” il progetto.
Scuola: ambiente privilegiato di apprendimento La scuola rappresenta uno spazio privilegiato nel progetto terapeutico ed educativo, poiché può consentire la realizzazione del programma generale finalizzato al miglioramento dell’interazione sociale, all’arricchimento della comunicazione funzionale ed alla diversificazione degli interessi e delle attività La presenza dei coetanei, rende l’ambiente scolastico il palcoscenico naturale, in cui il soggetto può generalizzare acquisizioni e competenze, favoriti precedentemente in setting strutturati (intervento strutturato in rapporto uno a uno, logopedia ecc.). Oltre all’apprendimento in sessioni strutturate, la scuola permette quindi importanti occasioni di interazione con gli altri compagni (apprendimento incidentale). Durante lo svolgimento delle attività con il gruppo classe, i compagni fungono da modello di comportamento che può essere imitato dal bambino con autismo. Disponibilità di collaborazione con più figure qualificate che lavorano con il bambino (insegnante di sostegno, educatore, insegnante curricolare); ampia disponibilità di tempo per realizzare sessioni di lavoro strutturato durante le ore del mattino che sono le più produttive per il bambino; possibilità di lavorare in modo consistente su autonomie, durante i momenti del pranzo, della merenda, del bagno, che poi verranno estese anche a casa. Coinvolgimento dei compagni •
Una risorsa che va particolarmente utilizzata è la presenza dei coetanei.
•
Essi, infatti, con la spontaneità che li caratterizza, la “naturalezza” del loro modo di rapportarsi e la capacità di una sintonizzazione empatica, si pongono come figure 182
particolarmente idonee per attivare sequenze di interazione in grado di facilitare la crescita sociale del bambino autistico. INFORMARE I COMPAGNI •
Fornire ai bambini più grandi informazioni circa la natura dell’autismo e le difficoltà specifiche del loro compagno sarà sicuramente d’aiuto ai fini dell’integrazione del bambino stesso.
•
Tali informazioni indicheranno ai compagni il modo in cui attuare delle interazioni di successo con il bambino autistico.
•
Forniranno anche una spiegazione di comportamenti fino a quel momento temuti, o comunque totalmente incomprensibili per loro.
LA CLASSE DEL BAMBINO AUTISTICO •
La presenza del bambino autistico contribuisce positivamente all’esperienza scolastica dell’intera classe.
•
La condivisione delle attività con il bambino autistico costituisce un’opportunità estremamente formativa per tutto il gruppo classe.
COMPORTAMENTO COMPORTAMENTO: tutto ciò che facciamo o diciamo e che può essere osservabile e quantificabile. É importante descrivere esattamente il comportamento e non usare etichette riassuntive. Esempi: Etichette sommarie; Marco non é socievole; Definizioni Operazionali:
183
A ricreazione, Marco tende a stare da una parte guardandosi le mani. Se qualcuno prova a conversare con lui, risponde a monoparole e non replica con una domanda.
PROMPTING E FADING TECNICA DELL’ AIUTO E ATTENUAZIONE DELL’AIUTO
PROMPTING La tecnica dell’ aiuto consiste nel fornire alla persona uno o più stimoli sotto forma di prompt (aiuti). Gli stimoli o aiuti rendono più probabile il verificarsi della performance desiderata. I prompt sono solitamene sintetici, percettivamente evidenti e vengono proposti al momento esatto in cui dovrebbe verificarsi la prestazione. Possono essere suddivisi in: - Suggerimenti verbali - Indicazioni gestuali - Guida fisica I SUGGERIMENTI E ORDINI VERBALI sono aiuti molto naturali e vengono sempre utilizzati allo scopo di facilitare la comprensione del compito. Gli AIUTI GESTUALI consistono in gesti utilizzati per stimolare l’ emissione di comportamenti ricercati o la riduzione di altri ritenuti inadeguati. L’ AIUTO FISICO presuppone un contatto fisico, attraverso il quale si guida il soggetto nell’esecuzione delle prestazioni programmate.
FADING Tale tecnica consiste nella modificazione delle condizioni in cui il comportamento deve avvenire. Il fading ha delle caratteristiche diverse in relazione alla tipologia di prompt a cui si riferisce. 184
Aiuti verbali: -si diminuisce il numero di parole che compongono l’ordine -si abbassa il tono di voce Aiuti gestuali: -si diminuisce l’ampiezza del gesto -si sostituisce con un gesto meno appariscente Prompt fisici: -ridurre l’area del corpo toccata -ridurre la pressione -spostare la presa dalla zona iniziale ad una più distante.
STRATEGIE DI APPRENDIMENTO IMITATIVO: IL MODELLAMENTO (MODELING) La tecnica del modellamento (modeling) consiste nella proposta di esperienze di apprendimento attraverso l’osservazione del comportamento di un soggetto che funge da modello.
In generale il processo di modeling dipende da tre condizioni: -
Le caratteristiche del modellatore
-
Le caratteristiche dell’osservatore
-
Le conseguenze prodotte dal comportamento
MODELLAGGIO (SHAPING) Il modellaggio o schaping è una tecnica attaverso la quale si può ampliare il repertorio di capicità delle persone, facilitando la costruzione di nuove abilità.
185
Si basa essenzialmente sul rinforzo di comportamenti della persona che gradualmente si avvicinano a quello desiderato (comportamento-meta). Tale tecnica viene utilizzata in associazione ad altre e soprattutto al prompting e fanding. Le caratteristiche fondamentali che indirizzano un programma di modellaggio sono: - Individuazione dell’ abilità che si intende costruire e selezione del comportamento iniziale. - Delineazione di una serie di approssimazioni successive - Predisposizione di opportuni programmi di rinforzamento.
LE CONSEGUENZE Si definiscono in base all’effetto che hanno sul comportamento e non a priori. Esistono tre tipi di conseguenze: •
RINFORZATORI – conseguenze che incrementano o mantengono la probabilità che si verifichi un dato un comportamento
•
PUNIZIONI– conseguenze che riducono la probabilità che si verifichi un dato comportamento
•
ESTINZIONE- non consegna del rinforzo che fino ad allora aveva mantenuto il comportamento
RINFORZO POSITIVO -
L’aumento della probabilità di emissione di un comportamento deriva dalla presentazione di un evento piacevole come conseguenza;
-
Es. Il bambino completa l’esercizio di matematica e la mamma gli dà la caramella.
LINEE GUIDA PER L’APPLICAZIONE DEL RINFROZO POSITIVO - Scegliere i potenziali rinforzatori che: devono essere facilmente disponibili
186
- devono essere presentati immediatamente dopo il comportamento desiderato - devono poter essere usati più volte senza causare una rapida saturazione - non devono richiedere molto tempo nel loro consumo - consegnare il rinforzatore in maniera contingente al comportamento - insieme ai rinforzatori selezionati o potenziali rinforzatori selezionati presentare il maggior numero possibile di elogi variandone l’espressione.
RINFORZO NEGATIVO L’aumento della probabilità di emissione di un comportamento deriva dalla rimozione di un evento avversivo •
Es. Quando entra in classe la maestra di matematica il ragazzo inizia a lanciare gli oggetti e la maestra lo manda fuori dalla classe
Rinforzo positivo vs rinforzo negativo • Entrambi producono un aumento nella risposta, o meglio, incrementano la probabilità futura di emissione di quella risposta • Il rinforzo positivo implica uno stimolo che non era presente prima della risposta • Il rinforzo negativo implica invece la terminazione di uno stimolo presente prima della risposta Quando usare la punizione? Un intervento punitivo viene applicato solo quando le procedure basate sul rinforzo e sulla manipolazione degli antecedenti si mostrano inefficaci o quando è necessaria la soppressione immediata del comportamento perché pericoloso per il soggetto e l’ambiente. Rinforzo negativo vs Punizione Spesso confusi tra loro: 187
• RINFORZO NEGATIVO: AUMENTA la probabilità di emissione futura di un comportamento o risposta (negativo non sta per cattiva conseguenza ma per sottrazione) • PUNIZIONE: DIMINUISCE o annulla la probabilità di emissione futura di un dato comportamento o risposta.
RACCOMANDAZIONI Nell’ambito scolastico bisogna evitare un apprendimento di contenuti passivo e puntare su uno sviluppo di capacità di ragionamento, di generalizzazione e gestione delle attività proposte. La scuola deve aiutare a valorizzare i punti di forza dell’alunno e a promuoverne le potenzialità. Il programma deve coinvolgere le differenti figure professionali (sanitarie, scolastiche e terzo settore) ed i familiari. Gli insegnanti devono utilizzare tecniche volte a migliorare il più possibile il livello di autonomia personale. Le tecniche più utili sono il modellamento e il rinforzo. Aquesto proposito è importante: - Lavorare su pochi obiettivi per volta - Utilizzare esperienze personali e di vita quotidiana - Ricorrere a materiale concreto - Non creare situazioni monotone - Non favorire risposte dirette ma aiutare il ragazzo guidandolo verso una situazione autonoma - Ripresentare problemi già risolti per consolidare le acquisizioni - Proporre le stesse situazioni al di fuori del contesto in cui è stato appreso. L’attività didattico-educativa deve promuovere e valorizzare l’operatività spontanea, ponendo alla base di ogni proposta le abilità manipulative e il “saper fare”, prerequisito indispensabile per lo sviluppo psichico.
188
Inoltre l’insegnante deve stimolare l’alunno a pensare per categorie simboliche e astratte, a riflettere sull’esperienza per arrivare a generalizzare le acquisizioni concrete che l’azione educativa produce. Deve inoltre sollecitare continuamente la piena integrazione nel gruppo classe, attraverso il lavoro per piccoli gruppi, senza trascurare il rapporto con i genitori dell’alunno, per una continuità tra impegno educativo scuola-casa.
Il Profilo di Funzionamento (redatto secondo ICF) Identità Documento propedeutico e necessario alla predisposizione del Progetto Individuale e del PEI che definisce anche le competenze professionali e la tipologia delle misure di sostegno e delle risorse strutturali necessarie per l’inclusione. Redazione Redazione a cura dell’UVMD composta da un medico specialista della condizione di salute della persona, da un neuropsichiatra infantile, da un terapista della riabilitazione e da un assistente sociale o da un rappresentante dell’Ente Locale di competenza che ha in carico il soggetto.
Contributi alla redazione Collaborazione dei genitori e di un rappresentante dei docenti della scuola frequentata dall’alunno.
Il Piano Educativo Individualizzato È elaborato e approvato dai docenti contitolari e dal consiglio di classe, con la partecipazione dei genitori , delle figure che ne esercitano la responsabilità, con le figure professionali interne ed esterne coinvolte nell’intervento e con il supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare.
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Piano Educativo Individualizzato Identità Elaborato sulla base della certificazione di disabilità e del profilo di funzionamento - tiene conto della certificazione di disabilità e del Profilo di Funzionamento - individua strumenti, strategie e modalità per costruire un efficace ambiente di apprendimento nelle dimensioni della relazione, della socializzazione, della comunicazione, dell’orientamento e delle autonomie - esplicita le modalità dell’intervento didattico e di valutazione - definisce gli strumenti per lo svolgimento dell’alternanza scuola – lavoro, assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto di inclusione - indica le modalità per il coordinamento degli interventi progettati e per la loro interazione con il Progetto Individuale
Lente di Ingrandimento Come organizzare un Progetto di Alternanza scuola- lavoro Redazione Elaborato e approvato dai docenti contitolari e/o dal consiglio di classe
Contributi alla redazione Partecipazione dei genitori o dei soggetti che esercitano la potestà parentale, delle figure professionali specifiche interne ed esterne alla scuola che interagiscono con la classe e con l’alunno, nonché con il supporto dell’UVMD (Unita’ di valutazione multidimensionale).
190
Tempistica Redazione eAggiornamenti Redatto all’inizio di ogni anno scolastico e aggiornato in presenza di nuove esopravvenute condizioni di funzionamento della persona. Nel passaggio tra i gradi di istruzione e nei casi di trasferimento fra scuole, è assicurata l’interlocuzione tra i docenti della scuola di provenienza e quelli della scuola di destinazione. Verifiche periodiche in corso d’anno finalizzate ad accertare il raggiungimento degli obiettivi programmati e ad apportare eventuali modifiche ed integrazioni.
Nuova procedura di richiesta assegnazione delle risorse per il sostegno didattico (art. 10) La quantificazione delle risorse per il sostegno didattico viene proposta al GIT (Gruppo per l’Inclusione Territoriale) dal dirigente scolastico, sentito il Gruppo di lavoro per l’Inclusione (GLI) e sulla base dei singoli PEI. Il GIT, sulla base del Piano per l’Inclusione, dei Profili di funzionamento, dei Piani Educativi Individualizzati, dei progetti individuali trasmessi, verifica la quantificazione delle risorse e formula una proposta all’USR, che assegna le risorse nell’ambito dell’organico dell’autonomia.
PROGETTO INDIVIDUALE
Il progetto individuale è redatto dall’Ente locale competente in seguito a richiesta, e con la collaborazione dei genitori o delle figure che ne esercitano la responsabilità e della scuola. Il Profilo di funzionamento costituisce il riferimento essenziale per la progettazione.
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Identità Comprende le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all'integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definite le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.
Redazione a cura del competente Ente Locale sulla base del Profilo di funzionamento e su richiesta della famiglia
Contributi alla redazione collaborazione dei genitori o di chi esercita la responsabilità parentale. Le Istituzioni Scolastiche contribuiscono a definire le prestazioni e i servizi da attivare in favore dell’alunno con disabilità.
Piano per l’Inclusione Piano per l’inclusione della scuola (art. 8) Questo importante documento è predisposto nell’ambito della definizione del Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) e indica le scelte della scuola per l’utilizzo efficace delle risorse per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica.
Identità - si inserisce nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa - definisce le modalità per l’utilizzo coordinato delle risorse disponibili
192
- definisce le modalità per il superamento delle barriere e per l’individuazione dei facilitatori -individua gli strumenti di progettazione degli interventi di miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica.
Redazione Elaborato dall’Istituzione Scolastica.
Tempistica redazione e aggiornamenti Secondo quanto previsto per il POF triennale dalla vigente normativa.
La valutazione degli alunni Per la scuola valutare è un dovere istituzionale. La valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione del docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione chiara, trasparente e tempestiva.
Valutazione degli alunni disabili L’art. 16 della L. 104/1992, disciplina la valutazione e le prove d’esame degli alunni in condizione di disabilità. Nel PEI vengono indicate le discipline per le quali sono state adottate particolari criteri didattici, quali attività integrative e di sostegno siano state svolte, e le sostituzioni parziali dei contenuti programmatici delle discipline. Nella scuola secondaria di secondo grado sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per lo svolgimento delle prove scritte e la presenza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione. Sostengono le prove con l’uso degli ausili loro necessari.
193
La valutazione è legata al PEI, così che l’intero consiglio di classe possa prendere in considerazione quali sono le necessità didattiche dell’alunno per ogni disciplina e indicare le strategie da adottare, le attività integrative da svolgere, che devono essere specificatamente calete sull’alunno e le sue potenzialità. Il PEI soprattutto nel momento della valutazione fornisce il piano di lavoro condotto dall’alunno per il raggiungimento del successo formativo, garantisce un’equa valutazione rispettosa della sua persona e valorizza le sue potenzialità. Il Conssiglio di classe può valutare così l’alunno, al pari dei suoi compagni, osservando il processo del suo apprendimento e non la singola performance. Per gli alunni con minorazioni fisiche e sensoriali (che non hanno una valutazione basata sul PEI differenziato) potranno usare gli ausili che gli necessitano, mentre per gli alunni con handicapp psichico (PEI differenziato), la valutazione assume “carattere formativo ed educativo e azione di stimolo nei confronti dell’allievo”. L’alunno con disabilità che ha svolto un percorso didattico con un PEI per obiettivi minimi, conseguirà il Diploma. L’alunno che ha seguito un percorso per obiettivi differenziati, alla conclusione del I ciclo, conseguirà un attestato di credito formativo, spendibile per la frequenza delle classi successive o per i percorsi di istruzione e formazione professionale; alla conclusione del II ciclo, non conseguirà il Diploma ma un Attestato di frequenza. Scuola secondaria di primo grado D.P.R. n. 122/2009 Nello scrutinio finale il Consiglio di classe formula un giudizio di idoneità, espresso in decimi, considerando il percorso scolastico compiuto dall’alunno. La valutazione finale dell’esame di Stato è costituita in base dalla media dei voti ottenuta dalle singole prove, compresa la prova nazionale INVALSI e al colloquio pluridisciplinare. La valutazione degli esami di stato del I Ciclo (D.P.R. n. 122 del 22.6.2009 Art. 9.) Valutazione degli alunni con disabilità -
Riferita al comportamento, alle discipline e alle attività svolte sulla base del piano educativo individualizzato 194
-
Espressa con voto in decimi
-
Prove di esame differenziate, comprensive della prova Invalsi
-
Riferimento agli insegnamenti impartiti
-
Adattamento delle prove al piano educativo individualizzato
-
Valutazione del progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali.
-
Valore equivalente delle prove differenziate per il conseguimento del diploma di licenza.
-
Uso di attrezzature tecniche e sussidi didattici necessari.
-
Voto finale in decimi, senza menzione delle modalità di svolgimento e di differenziazione delle prove.
-
Alunni con disabilità che non conseguono la licenza: attestato di credito formativo per l’accesso ai percorsi integrati di istruzione e formazione.
Scuola secondaria di secondo grado (D.P.R. n. 122/2009) Per l’Esame di Stato conclusivo della scuola secondaria di II grado, nel documento del 15 maggio (redatto dal Consiglio di classe) si deve solo far riferimento alla presenza di un alunno con disabilità, riservando le informazioni più specifiche in una relazione redatta congiuntamente dall’insegnante di sostegno e dal Consiglio di classe, dove sono inserite tutte le informazioni utili affichè la commissione d’esame possa predisporre le prove specifiche per quell’alunno.
La valutazione degli alunni con difficoltà specifica di apprendimento (Art. 10 D.P.R. n. 122/2009) -
Valutazione che tiene conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni.
-
Adozione di strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi.
-
Diploma finale senza menzione delle modalità di svolgimento e di differenziazione delle prove.
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CAPITOLO QUARTO LINEE GUIDA PER UN’EFFICACE PRESENTAZIONE IN POWERPOINT
La progettazione per competenze Le competenze sono imprescindibili per collocarsi positivamente nella società, attesa la loro natura di combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Il presupposto su cui si basa una didattica per competenze è che lo studente apprende meglio quando è protagonista del suo percorso di apprendimento e quando costruisce il suo sapere in modo attivo, attraverso contesti e situazioni di apprendimento che si fondano sull’esperienza. Questo tipo di didattica richiede percorsi in cui gli studenti siano effettivamente messi in condizione di utilizzare il loro bagaglio di conoscenze e abilità, per affrontare problemi e cercare soluzioni, confrontando fra loro più alternative, anche con esperienze di apprendimento cooperativo. Le raccomandazioni europee, sottolineando la centralità delle competenze nei processi formativi e come base per l’innovazione dei sistemi scolastici, assicurano il tono dell’ufficialità legislativa a una lunga serie di studi svolti nel corso degli anni in ambito pedagogico. Inoltre, pur non essendo delle vere e proprie leggi, costituiscono tuttavia un vincolo che deve essere rispettato dai Paesi membri nella definizione delle politiche relative all’istruzione e alla 196
formazione. In questo modo, è stato creato un terreno comune che permette un reale confronto fra i sistemi scolastici e formativi dei diversi Paesi membri. Ed invero, nei documenti dell’Unione Europea, il concetto di competenza incarna un’idea guida per il miglioramento dei sistemi formativi. L’approccio didattico per competenze, ad ogni modo, richiede il superamento del modello di progettazione per obiettivi che ancora circola nelle scuole. Tutte le programmazioni degli insegnanti, in effetti, partono dall’analisi della condizione della classe, indicano poi, sulla base dei risultati di tale analisi, gli obiettivi da raggiungere; selezionano poi i contenuti, le attività e le metodologie e indicano infine i criteri di verifica e di valutazione che saranno adottati per comprendere e rilevare se gli obiettivi prefissati, sono stati raggiunti. Ciò che viene richiesto è il passaggio da un insegnamento inteso come trasmissione frontale ad un insegnamento in cui il docente deve creare e organizzare situazioni di apprendimento tali da mettere in atto tutte le dimensioni dell’intelligenza, da quella cognitiva a quella affettiva. Fondamentale anche la dimensione motivazionale ed emotiva: il coinvolgimento, la motivazione, la affettività sono elementi fondamentali nell’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze. La progettazione di un percorso per la costruzione delle competenze risulta didatticamente più efficace se prevede una programmazione che tenga conto di tre aspetti fondamentali: verso quale obiettivo si è diretti; attraverso quale percorso si raggiunge l’obiettivo; con quali modalità si raggiunge l’obiettivo. Tra i tanti aspetti innovativi proposti dalle Indicazioni Nazionali, il solo che presenta carattere di assoluta novità è senz’altro la presenza dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, assenti nei tradizionali “programmi” precedenti. Essi, infatti, secondo il testo ministeriale, sono riferimenti ineludibili per l’azione didattica, rappresentano i criteri per la valutazione delle competenze e sono prescrittivi, ineludibili per l’azione didattica. Ciò vuol dire che ogni insegnante, nella declinazione delle scelte didattiche quotidiane, non può ignorarli e ciò vale anche per la programmazione, in quanto l’intenzionalità educativa, necessita di un progetto formativo da seguire. La scuola che pone al centro le competenze, dunque, si configura come una scuola dinamica, che abilita i giovani a collocarsi positivamente nella società, fornendo loro gli strumenti necessari
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per affrontare le diverse situazioni, trasformandole in esperienza che implementa a sua volta le conoscenze. Tutto questo si colloca nella visione europea della formazione permanente. Alla prescrittività dei traguardi, è legato peraltro il diritto all’istruzione nella sua accezione più recente; la prescrittività dei traguardi, intende assicurare il diritto all’uguaglianza dei risultati di apprendimento. Il discente dunque, ha diritto a conseguire, in ogni ordine di scuola, i traguardi di competenza indicati per ogni campo di esperienza e per ogni disciplina (al termine della primaria e della secondaria di primo grado), perché tali traguardi sono considerati essenziali e irrinunciabili, strettamente connessi con il diritto all’istruzione, che diversamente verrebbe ad essere vanificato. Tale premessa chiarisce le motivazioni sottese all’irrinunciabile previsione che i docenti, quale primaria operazione della definizione della loro programmazione, definiscano i traguardi di competenza e gli obiettivi di apprendimento, tra quelli previsti dalle Indicazioni Nazionali. In sintesi, i traguardi vanno “definiti” nel senso che vanno ad informare le scelte didattiche per tutta la durata del ciclo scolastico, e a seconda delle potenzialità dei destinatari. Laddove poi per una data disciplina, tutti i traguardi pervisti dovessero risultare pertinenti per ogni classe, allora questi si assumeranno nella loro interezza. Con la stessa modalità si definiscono gli obiettivi di apprendimento, ritenuti strumentali a sviluppare i traguardi di competenza. Gli obiettivi di apprendimento, tuttavia, sono “indicativi”, atteso che il testo ministeriale ne indica una pluralità, all’interno della quale i docenti sono chiamati ad operare una scelta. Dunque se i traguardi di competenza, per la loro natura prescrittiva, non possono essere obliterati, gli obiettivi di apprendimento, si prestano ad una selezione. La definizione dei traguardi di competenze e degli obiettivi di apprendimento, rappresenta le terminalità, le “attese” e il “dover essere” dell’insegnamento e dell’apprendimento. Dopo aver stabilito il quadro delle attese irrinunciabili, è necessario accertare la distanza degli allievi rispetto a tale quadro. Si tratta allora di censire informazioni per valutare la situazione in cui gli allievi si trovano, rispetto a quella che si intende raggiungere; e più gli allievi appaiono distanti dal traguardo che si intende raggiungere, più esprimono un bisogno formativo, inteso quale distanza tra la condizione reale e quella attesa, come discrepanza tra l’essere e il dover essere. Da tale confronto scaturisce e muove la terza fase, deputata alla selezione dei traguardi di competenza e degli obiettivi di apprendimento, in punto di differenziazione degli stessi, al fine di
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colmare la distanza che intercorre tra essi ed un soggetto definito. Qualora tale distanza fosse rilevante, si tratta invero di escogitare strategie e attività che possano permettere al soggetto di ridurre siffatta distanza o, meglio ancora, di annullare la stessa. La personalizzazione si concretizza e si realizza infatti nel processo, e non nelle terminalità attese: offrire dunque di più a chi ha più bisogno, senza intaccare l’ambiziosità della meta. Ove poi la distanza tra il soggetto ed i traguardi comuni fosse realmente incolmabile, nonostante la diversificazione dei mezzi, delle attività e dell’intero percorso, allora, per non essere costrittivi nei confronti del soggetto, si dovranno prevedere delle tappe intermedie che modulino il progressivo avvicinamento alla meta. Quanto poi agli spazi ed alle esperienze di apprendimento, si tratta di di ipotizzare esperienze di apprendimento che indichino lo spazio fisico di realizzazione quale la classe, la scuola, l’extrscuola (visite guidate, viaggi di istruzione, uscite didattiche, ecc.), la dimensione sociale (lavoro individuale, di gruppo e cooperativo), i materiali cui si farà ricorso (libri, materiale cartaceo, materiale digitale, ecc.). In tal misura si costruisce una unità di apprendimento che ha una dimensione più ampia rispetto alla tradizionale unità didattica. Le unità di apprendimento, peraltro, con la loro dimensione più globale e modulare, assumono un grande potenziale personalizzante, in quanto ammettono al loro interno la diversificazione delle attività (e non la riduzione degli obiettivi) a seconda dei bisogni dei singoli allievi. Solo in questo modo si può riuscire a preservare l’omogeneità dei risultati attesi (traguardi di competenza) dagli alunni e prevedere che i percorsi interni per raggiungerli, possano essere diversificati nei tempi, nelle attività e negli strumenti. In conclusione, a livello pedagogico, le esperienze di apprendimento vogliono assicurare che tutti gli alunni possano raggiungere i traguardi di competenza prescrittivi, anche attraverso il ricorso alle relazioni di aiuto, alle azioni di tutoring e di peer education, ad attività opzionali aggiuntive, quali strumenti utili ai suddetti fini. L’ultima fase attiene alla verifica e alla valutazione. Sul punto, è preliminarmente necessario esplicitare la distinzione tra verifica e valutazione. Tali concetti, infatti, non sono sinonimi, ma si differenziano e rispondono a scopi diversi. Segnatamente, la verifica si realizza durante il processo di apprendimento e consiste nella raccolta di informazioni che importano il “verificare” se il processo si sta compiendo correttamente e, in caso di risposta negativa, consentirà di attivare procedure compensative e migliorative: la 199
verifica dunque non ha funzione misurativa, quale momento di attribuzione di livelli o voti, ma funzione informativa, migliorativa e proattiva. La valutazione, invece, avviene all’esito del processo ed è funzionale all’accertamento del livello di possesso degli apprendimenti e delle competenze; essa, dunque, ha funzione misurativa e si esprime con l’attribuzione del livello o del voto. Infine, val bene precisare che l’oggetto della attuale valutazione si è ampliato rispetto al passato e vede i docenti moderni, chiamati a valutare tre, fondamentali aspetti: gli apprendimenti (conoscenze e abilità), il comportamento e le competenze. I criteri e le prove di valutazione dei tre aspetti, sono diversi, e in questa fase devono essere chiaramente esplicitati, per evitare che ci si avvalga delle medesime prove per valutare apprendimenti e competenze, dando luogo ad una contraddizione docimologica, o ancora che il profilo comportamentale sia valutato differentemente dai diversi insegnanti, in ragione di interferenze dettate dal personale sentire. Poiché la competenza presenta varie sfaccettature e coinvolge abilità diverse, è opportuno che la valutazione venga fatta mediante prove il più possibile diversificate fra loro, in modo che diversificati siano anche gli ambiti che rientrano nella valutazione. Per risolvere il compito, qualunque sia la natura del medesimo, lo studente deve compiere una serie di operazioni collegate fra loro, per raggiungere pienamente l’obiettivo. Non si può proporre una griglia di valutazione oggettiva per la valutazione delle competenze; è possibile però fornire una griglia di osservazione esemplificativa, con indicatori che consentano al docente di ricavare dati per valutare il percorso operativo attraverso il quale l’alunno ha portato a compimento il suo compito. A questa griglia va poi affiancato il questionario di autovalutazione in cui l’alunno valuta il prodotto realizzato e il percorso effettuato. Le informazioni ricavate saranno preziose sia per l’alunno, che potrà imparare a conoscersi e ad auto valutarsi, sia per il docente che potrà venire a conoscenza delle dinamiche cognitive, affettive, intenzionali alla base delle scelte operative effettuate dall’alunno. La certificazione delle competenze costituisce l’ultimo passaggio del processo di valutazione ed ha lo scopo di attestare il grado di avvicinamento degli apprendimenti di una persona ad un preciso standard, definito e condiviso, tenendo presente il suo significato e le sue implicazioni a livello di valutazione formativa del percorso di apprendimento dello studente.
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Possiamo dunque affermare che, con lo sviluppo di un curricolo verticale per competenze, partendo dalle competenze chiave europee e l’elaborazione e la sperimentazione di unità di apprendimento e di rubriche valutative coerenti con il curricolo verticale di istituto per competenze, si da luogo ad una progettazione per competenze che favorisce: chiarezza e condivisione degli obiettivi; consapevolezza dei progressi propri e della classe; possibilità di individuare i propri punti deboli e attivarsi in modo mirato per migliorare, di concerto con i docenti; possibilità di individuare i propri punti forti, talenti, abilità, in vista dell’orientamento; possibilità di auto-valutazione per alunno ed insegnante.
LENTE DI INGRANDIMENTO IL CURRICOLO VERTICALE Il curricolo “Il curricolo rappresenta il percorso dell’allievo. Lungo alcuni tratti, nei diversi segmenti del percorso formativo l'allievo sarà accompagnato dagli insegnanti. La partecipazione dello studente alla costruzione del curricolo è determinante; il percorso dovrebbe essere costruito insieme all'allievo” (Tessaro, 2002). “.....Per l’insegnante è uno strumento di lavoro utile per organizzare il percorso formativo” (F. Tessaro, 2015). La costruzione del curricolo è “il processo attraverso il quale si sviluppano e organizzano la ricerca e l’innovazione educativa” quindi è un cammino che pretende il costante miglioramento del processo di insegnamento-apprendimento nell’ambiente scuola. Le Indicazioni nazionali costituiscono il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole, con particolare attenzione alla continuità del percorso educativo dai 3 ai 14 anni: Il curricolo infatti si articola attraverso i campi di esperienza nella scuola dell’infanzia e attraverso le discipline nella scuola del primo ciclo (scuola primaria e secondaria di primo grado). Nelle Indicazioni 2012 leggiamo che alla scuola e agli insegnanti spettano la cura e la costruzione del curricolo, “elaborando specifiche scelte relative a: 1- Contenuti 2- Metodi 201
3- Organizzazione 4- Valutazione coerenti con i traguardi formativi previsti dal documento nazionale”. Caratteri propri del curricolo sono Trasversalita’: discipline e saperi si raccordano orizzontalmente intorno principi di -
formazione cognitiva
-
acquisizione di competenze
-
assimilazione di conoscenze e abilità Verticalità: relativa allo sviluppo del curricolo per gradi di scuola
La progettazione del curricolo verticale L’itinerario scolastico dai tre ai quattordici anni, pur abbracciando tre tipologie di scuola caratterizzate ciascuna da una specifica identità educativa e professionale, è progressivo e continuo. La presenza, sempre più diffusa, degli istituti comprensivi consente la progettazione di un unico curricolo verticale e facilita il raccordo con il secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione. Negli anni dell’infanzia la scuola accoglie, promuove e arricchisce l’esperienza vissuta dei bambini in una prospettiva evolutiva, le attività educative offrono occasioni di crescita all’interno di un contesto educativo orientato al benessere, alle domande di senso e al graduale sviluppo di competenze riferibili alle diverse età, dai tre ai sei anni. Nella scuola del primo ciclo la progettazione didattica, mentre continua a valorizzare le esperienze con approcci educativi attivi, è finalizzata a guidare i ragazzi lungo percorsi di conoscenza progressivamente orientati alle discipline e alla ricerca delle connessioni tra i diversi saperi. ( p. 18, Annali, Continuità e unitarietà del curricolo ) Predisposto sulla base delle Indicazioni Nazionali per il Curricolo 2012, costituisce il punto di riferimento di ogni docente per la progettazione didattica e la valutazione degli alunni; si snoda quindi riassumendo in verticale dalla Scuola dell’Infanzia alla Scuola secondaria di primo grado, articolando in un percorso a spirale di crescente complessità nei tre ordini di scuola:
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- le competenze chiave di cittadinanza, delineate da quelle chiave europee, che s’intende iniziare a costruire e che sono promosse nell’ambito di tutte le attività di apprendimento, utilizzando e finalizzando opportunamente i contributi che ciascuna disciplina può offrire; - i traguardi per lo sviluppo delle competenze relativi ai campi di esperienza e alle discipline da raggiungere in uscita per i tre ordini di scuola; - gli obiettivi d’apprendimento e i contenuti specifici per ogni annualità.
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PERCORSO DI PROGETTAZIONE DI UNA UNITA’ DI APPRENDIMENTO cOM Competenze Riportate nel profilo dello studente- indicazioni per il Curricolo 2012. Altri riferimenti: competenze chiave per l’apprendimento permanente. (Raccomandazioni del Parlamento Europeo 2006) e di cittadinanza (D.M. 139/2007)
COMPE TENZE
COMP ETENZE
TRAG UARDI DI COMPETENZE
COMP ETENZE
TRA GUARDI DI COMPETENZE
TRAG UARDI DI COMPETENZE
TRA GUARDI DI COMPETENZE
TRAGUARDI PER LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE DISCIPLINARI E TRASVERSALI INDICAZIONI PER IL CURRICULO 2012. SELEZIONATI SULLA BASE DI PRIORITA’ E BISOGNI OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO DISCIPLINARI.
Indicazioni per il Curriculo 2012 Selezionati sulla base di priorità e bisogni formativi
ESPERIENZE O ATTIVITA’ DI APPRENDIMENTO Che tengano conto:
Di una adeguata diversificazione della proposta didattica mirando sempre alla problematizzazione e allo sviluppo di processi cognitivi Dei raccordi interdisciplinari Di misure compensative e dispensative Della possibilità di interventi multimediali per l’integrazione di più codici di linguaggi VERIFICA DEGLI APPRENDIMENTI Per rilevare l’acquisizione di conoscenze e abilità disciplinari
VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE Per rilevare il progressivo raggiungimento dei traguardi di competenze
Osserva Compiti Prove strutturate, zioni di realtà semistrutturate , aperte COME COSTUIRE UNA PRESENTAZIONE IN POWER POINT: GUIDA TECNICA. sistematiche
Auto biografia cognitiva
Individuazione del contesto di riferimento: 204
Nella definizione del percorso didattico da trasfondere nell’ambito di una presentazione Power point che ricalchi la declinazione della didattica per competenze, è anzitutto imprescindibile un’attenta ricognizione del contesto in cui si svolge l’esperienza di apprendimento, indicando: • il livello organizzativo nell’ambito della classe: il clima relazionale rilevato tra gli alunni; la tipologia di legami stabiliti, deboli o consolidati; se i bambini hanno margini di autonomia operativa e organizzativa; • la presenza di alunni diversamente abili; • la presenza di alunni stranieri e il grado di conoscenza della lingua italiana; • la presenza di alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento o con Bisogni Educativi Speciali e conseguentemente, strumenti compensativi e/o misure dispensative adottabili; • le eventuali risorse professionali a supporto, operanti nell’ambito della classe; • le eventuali risorse presenti sul territorio: strutture, agenzie, o associazioni che consentono di collaborare e portare avanti un percorso formativo allargato.
Le competenze dell’insegnante e dell’alunno moderno; le competenze europee; prerequisiti dell’alunno; obiettivi didattici e traguardi per lo sviluppo delle competenze. Ad ogni modo, come diffusamente chiarito innanzi, la definizione dei traguardi di competenza e dei relativi obiettivi di apprendimento, stabiliti dallo standard nazionale, è il primo passo nella fase di progettazione, cui segue l’analisi accurata della situazione di partenza per la predisposizione di un percorso contestualizzato, rispondente ai bisogni reali degli alunni. È poi fondamentale tener conto delle “risorse interne” proprie di ogni studente, quindi del bagaglio delle conoscenze concettuali e operative già possedute, delle convinzioni maturate e delle motivazioni messe in campo, per far sì che le stesse vengano attivate di fronte agli stimoli offerti da nuove esperienze formative (prerequisiti). Viene così stimolato un processo di rimodulazione funzionale alla costruzione di nuove conoscenze promuovendo, al contempo, lo sviluppo di schemi logici e cognitivi di tipo percettivo, induttivo, deduttivo, dialettico, mnestico e creativo, all’interno di un ambiente di apprendimento appositamente predisposto.
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La selezione dei traguardi, degli obiettivi specifici e delle esperienze di apprendimento, a dimostrazione dell’intenzionalità educativa propria di un’azione didattica consapevole e finalizzata, apre la via alla realizzazione di un progetto formativo per lo sviluppo integrale di ciascun alunno. Scopo di ogni percorso, è creare i presupposti per il graduale raggiungimento dei traguardi di competenza prescrittivi che sono riportati nelle Indicazioni nazionali. A tal fine è importante che l’insegnante tenga conto non solo degli aspetti squisitamente disciplinari, ma anche della dimensione interdisciplinare e dei raccordi con le competenze trasversali, dello sviluppo di processi di astrazione via via più complessi, così come della sfera socio-affettiva e relazionale: l’integrazione di “sapere”, “saper fare” e “saper essere” attraverso percorsi di costruzione condivisa delle conoscenze è indispensabile per una formazione integrale della persona.
Gli spazi, i tempi e gli strumenti dell’apprendimento Gli spazi, i tempi egli strumenti dell’apprendimento devono favorire negli alunni l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità all’interno di un contesto appositamente predisposto: noi costruiamo conoscenza legandoci al contesto in cui ci troviamo e relazionandoci all’interno di esso in un processo continuo di negoziazione di significati. È importante quindi promuovere lo sviluppo di schemi logici e cognitivi che permettano la mobilitazione di conoscenze e abilità (schemi percettivi, induttivi, deduttivi...) e quindi di una cognizione situata e distribuita all’interno del gruppo di lavoro, riservando grande cura all’organizzazione dell’ambiente di apprendimento. I tempi, ovviamente, vengono definiti sulla base della complessità dell’esperienza programmata ed eventualmente rimodulati nel corso delle attività che, quanto agli spazi, potranno essere svolte in aule, laboratori, strutture presenti nella scuola e nel territorio (agenzie extrascolastiche, formali ed informali) e con l’ausilio di materiali e strumenti la cui scelta considererà, tra l’altro, le risorse presenti nella scuola e nell’ambito del territorio, nonché dei necessari strumenti compensativi e delle misure dispensative in caso di presenza di alunni DSA.
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Le metodologie didattiche La predisposizione dell’ambiente di apprendimento presuppone, tra l’altro, da parte del docente, la scelta delle linee metodologiche più appropriate, l’individuazione degli spazi e degli strumenti funzionali alle attività, nonché la definizione dei tempi necessari per la realizzazione delle diverse fasi del percorso.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in una logica di completa inclusione dei soggetti con bisogni speciali, vengono messe in relazione non solo come ausili specifici o di sostegno, ma anche come strumenti che si rivolgono a tutta la classe, potenziando le competenze di tutti e lavorando, ad esempio, sugli stessi materiali ma a livelli differenti e per rispondere ai diversi stili di apprendimento e ai diversi bisogni educativi presenti nelle classi. Essendo solitamente attraenti per i bambini, stimolano la loro curiosità e ciò può influire sull’incremento della motivazione e di conseguenza sull’attenzione e sull’impegno nel loro utilizzo scolastico. Le Indicazioni Nazionali chiariscono che “il docente deve far utilizzare con dimestichezza e spirito critico le T.I.C, incoraggiando l’apprendimento collaborativo e privilegiando il problem solving”. Le TIC possono offrire infatti allo studente opportunità e modalità diverse, e talvolta anche più efficaci, per il conseguimento di uno specifico obiettivo formativo. Un uso consapevole ed appropriato delle tecnologie può poi migliorare le condizioni di vita dei diversamente abili, in quanto strumenti adattabili alle caratteristiche della persona e facilitanti un proficuo inserimento nella vita sociale e lavorativa; possono inoltre essere considerati come tools, che favoriscono i processi di apprendimento e l’acquisizione di autonomie di base, che accrescono l’attenzione e la motivazione, aspetti questi non trascurabili in alunni con bisogni educativi speciali. Fasi della didattica: La scelta delle modalità con cui dare inizio a una esperienza di apprendimento è fondamentale per avviare il processo di conoscenza e concettualizzazione: sia che venga proposta un’attività di osservazione, sia che si prediliga un momento di ascolto, una lettura di immagini, o una qualunque
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altra situazione motivante, ciò che è importante è porre gli alunni dinanzi a fenomeni, oggetti, elementi di vario tipo e stimolare la loro riflessione, favorendo il ricorso ai canali percettivi come primo approccio alla realtà. La problematizzazione È necessario che l’insegnante non presenti contesti già definiti ma situazioni problematiche cui trovare risposte e soluzioni partendo dalla libera formulazione di ipotesi: è bene che ogni percorso didattico significativo si sviluppi sulla base di fenomenologie che si sperimentino e/o osservino, piuttosto che su fatti raccontati o descritti dall’insegnante oppure appresi da un libro di testo. Verbalizzazione orale e scritta individuale: Dopo un’attività di ascolto, lettura, osservazione, ecc., può essere interessante proporre ai bambini una breve narrazione individuale, in forma orale o scritta o come “conversazione clinica” se gli alunni non sanno ancora leggere. Questo perché prima di tutto, il linguaggio permette una forma di organizzazione del pensiero dando avvio al processo cognitivo e ad una prima individuazione delle relazioni che caratterizzano i fenomeni osservati; in secondo luogo, perché va considerato che, nell’ambito di una classe, ci saranno sempre alunni che partecipano in maniera attiva e propositiva, ed altri che intervengono solo se sollecitati o in maniera sporadica. La richiesta di una verbalizzazione individuale fa sì che l’insegnante possa raccogliere i pensieri, le ipotesi, le osservazioni di tutti gli alunni, compresi coloro che esprimono con più difficoltà le proprie idee, poiché si richiederà di fornire una semplice descrizione di quanto osservato, cogliendo gli aspetti spazio-temporali o eventuali trasformazioni, senza badare alla correttezza formale o a una concettualizzazione adeguata. La lettura delle verbalizzazioni individuali, inoltre, dà al docente la possibilità di cogliere segnali sul modo in cui ogni bambino struttura il proprio pensiero, incamminandosi e procedendo verso la conoscenza. Naturalmente si farà attenzione all’eventuale presenza di alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento: in caso di alunni con dislessia l’utilizzo del computer e di un software di videoscrittura rappresenta un importante strumento compensativo.
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Discussione e confronto di gruppo: Fondamentale è la fase della discussione collettiva, del confronto dialogico; è la fase in cui dagli aspetti pratici si procede verso una costruzione della conoscenza condivisa nell’ambito del gruppo dei pari: è proprio nell’interazione, nello scambio linguistico con gli altri e nella negoziazione di significati che l’alunno si appropria di nuovi cognitivi che gli consentiranno di affinare sempre più quella prima forma di conoscenza che va man mano elaborando. L’insegnante, dopo una prima problematizzazione, avvia il confronto dando inizio ad uno scambio verbale: i bambini, a turno, prendono parte alla discussione integrandosi ma anche contraddicendosi; l’insegnante interviene favorendo la costruzione di connessioni e relazioni tra i pezzi di conoscenza così da evitare frammentazioni; ogni bambino ha l’opportunità di precisare e completare le proprie conoscenze individuando parallelismi, similitudini, analogie. Fondamentale, in questa fase, la regia educativa del docente che non solo pone domande chiare e mirate, che favoriscano l’interazione e la partecipazione di tutti gli alunni, ma farà attenzione a circoscrivere il campo della discussione e a rilevare le forme linguistiche utilizzate dai bambini: queste infatti possono fornire indicazioni utili sui ragionamenti condotti, sul processo di costruzione del pensiero, sull’uso di analogie, similitudini e metafore per dare spiegazioni. L’insegnante, dunque: osserva, ascolta, interagisce per coinvolgere, incoraggia al confronto costruttivo, riduce la difficoltà del compito, riformula a specchio per far evolvere il processo di apprendimento, controlla la frustrazione, indirizza, indica, corregge. Al termine del confronto, l’insegnante e i bambini possono costruire una mappa concettuale. Utile, nel corso delle discussioni, l’uso di una griglia di osservazione sistematica per tutti gli aspetti afferenti la sfera socio-affettiva e relazionale. Inoltre, in un diario di bordo, il docente potrà raccogliere i dati rilevati e al contempo annotare le impressioni e le osservazioni personali in chiave riflessiva, in un percorso volto alla ricerca e all’analisi del proprio “fare”. La concettualizzazione: Il confronto e la discussione nel grande gruppo, sulla base dell’esperienza condivisa, consentono il superamento delle conoscenze pregresse, spontanee o non organizzate e la progressiva sistematizzazione delle nuove informazioni all’interno di quadri organizzati del sapere, nell’ottica di un apprendimento significativo. È questo un processo attivo e collaborativo, centrato 209
su una dimensione dialogica all’interno di un contesto di apprendimento appositamente strutturato, in cui l’alunno sia portato a riflettere sui processi messi in atto e a integrare e costruire reti sempre più complesse di conoscenze. Una fase interessante del percorso può essere quella in cui si arriva a produrre insieme, una verbalizzazione condivisa, che in maniera chiara e corretta, non solo riporti le conoscenze acquisite andando così a realizzare un personale materiale di studio, ma in chiave metacognitiva, rappresenti anche il resoconto del processo di costruzione della conoscenza messo in atto dal gruppo. Tre sono i momenti fondamentali: comprensione – importante per la coordinazione interindividuale; accordo – le idee devono essere accettate e validate da ciascun partecipante; sintesi – può essere assicurata a turno o affidata ad un partecipante più competente. Il compito di realtà o compito autentico: Momento focale dell’esperienza formativa è sempre un’attività stimolante che, facendo leva su diversi aspetti percettivi, porti gli alunni a confrontarsi con situazioni problematiche e a procedere seguendo il criterio delle analogie e delle differenze, ma anche ad esprimere le proprie idee e a relazionarsi attraverso scambi e dialoghi interattivi per pervenire, attraverso una negoziazione continua di significati, a una costruzione condivisa delle competenze. Si rivela in tal misura particolarmente significativo il c.d. compito di realtà, che conduce gli alunni a svolgere in gruppo un’attività contestualizzata e più complessa, in un ambito quanto il più possibile vicino alla realtà. Questo è dunque un fondamentale strumento che consente al docente la rilevazione dei livelli di competenza raggiunti dall’alunno, attraverso compiti di realtà che lo pongano dinanzi alla necessità di utilizzare le conoscenze e le abilità apprese in un contesto nuovo, diverso dalle attività consuete, quanto più possibile vicino a situazioni di vita autentica, le stesse che gli adulti vivono nella realtà quotidiana. È in questo modo che egli può mobilitare tutte le proprie risorse, mettendo in atto il proprio potenziale cognitivo e utilizzando schemi logici sempre più complessi, in un graduale percorso verso l’affinamento dei processi di astrazione. Riteniamo che, come a livello epistemologico il sapere ha una natura disciplinare e interdisciplinare e come a livello didattico l’insegnamento assume la duplice natura, così le prove di valutazione, e in questo caso i compiti di realtà, possono essere sia di natura disciplinare che trasversale.
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Non ha dunque alcuna giustificazione scientifica, didattica e docimologica la pretesa di costruire compiti di realtà necessariamente interdisciplinari. È chiaro che, se una didattica per competenze chiama in causa il costruttivismo sociale e tutte le modalità laboratoriali e attive attraverso cui si perviene all’apprendimento, il far acquisire conoscenze e abilità, attraverso e mediante la risoluzione di compiti di realtà, risulti senza dubbio più efficace, perché l’alunno in questo modo si impadronisce delle procedure attraverso cui si ricercano, si selezionano e si organizzano conoscenze; acquisisce autonomia conoscitiva ed accresce il suo potenziale cognitivo che gli risulterà molto utile nel futuro. In conclusione, un compito di realtà è lo strumento attraverso cui possiamo accertare in che modo l’alunno sa utilizzare le conoscenze già acquisite, ma anche un’attività attraverso cui gli alunni acquisiscono autonomamente, sotto la guida dell’insegnante, conoscenze e abilità che contemporaneamente vengono utilizzate per la risoluzione della situazione problematica. La distribuzione delle funzioni può anche avvenire differenziando le operazioni: ad alcuni si richiede di ricercare su internet le informazioni necessarie, ad altri di effettuare la stessa ricerca intervistando i genitori, ad altri di consultare i libri della biblioteca, ecc. Un’ulteriore modalità di coinvolgimento di tutti i componenti del gruppo può consistere nel richiedere un’alternanza nelle azioni di coordinamento del gruppo: la stesura di un sintetico diario di bordo che riporti le operazioni compiute nei momenti di lavoro, la raccolta della documentazione e altre operazioni possono essere svolte a rotazione in modo da coinvolgere tutti i componenti del gruppo. Da tutte queste considerazioni, però non si può assolutizzare il principio che un compito di realtà debba essere svolto necessariamente a livello collettivo. È preferibile che sia così, ma non si può escludere una risoluzione di un compito di realtà che sia opera squisitamente individuale.
Fase della valutazione formativa e autentica: le prove di verifica Al termine del percorso è fondamentale una valutazione formativa e autentica dei processi messi in atto nel corso dell’attività di insegnamento/apprendimento. Le prove di verifica strutturate, semi-strutturate o aperte, scritte, orali e dunque tradizionali e/o multimediali, consentiranno la rilevazione dell’apprendimento di conoscenze e abilità nell’ambito dei diversi percorsi disciplinari, per una valutazione del profitto conseguito da ciascun alunno.
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LENTE DI INGRANDIMENTO EFFETTI DISTORSIVI NEL PROCESSO DI VALUTAZIONE EFFETTO ALONE: L’effetto alone (che ci ricorda nella definizione una macchia sul vetro che offusca la visione) si ha quando un docente crea dei pregiudizi rispetto ad un alunno. A causa di questi pregiudizi gli insegnanti saranno portati a sviluppare comportamenti eccessivamente indulgenti o eccessivamente sanzionatori in base all’idea che si sono fatti. Come spiega la Dottoressa Iarulli “Esso descrive un fenomeno per cui il docente può provare maggiore o minore simpatia verso l'allievo; nel caso di maggiore simpatia gli errori sono considerati come semplici sbagli dovuti a fattori estemporanei, nel caso di minore simpatia gli errori vengono ascritti a probabili condizioni intellettive, cognitive e comportamentali dello studente, favorendo così atteggiamenti di demotivazione, di sfiducia, di disistima, con conseguente disequilibrio emotivo anche nel sistema familiare” EFFETTO PIGMALIONE: L’effetto Pigmalione è forse il più insidioso e frequente che si manifesta nel processo di insegnamento. Si verifica quando l’insegnante ha, verso gli alunni, delle aspettative
(positive
o
negative)
e
queste
aspettative
finiscono
per
condizionare
(inconsapevolmente) l’atteggiamento dell’insegnante nei confronti dell’alunno (se un insegnante crede che un bambino sia meno intelligente lo tratterà, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino, percependo questo atteggiamento, interiorizzerà il giudizio negativo del docente e adeguerà il suo comportamento al giudizio). EFFETTO STEREOTIPIA: L’effetto stereotipia infine, consiste nel congelare il giudizio su di un alunno partendo dal presupposto e dalla convinzione che la sua situazione non possa né cambiare né migliorare, come invece dovrebbe avvenire grazie agli interventi educativi e didattici del docente. L’interdisciplinarità: Si ritiene opportuno privilegiare tematiche e prove per la cui risoluzione l’alunno debba richiamare, in forma integrata e componendoli autonomamente, più apprendimenti acquisiti. Rilevante è dunque l’individuazione di ambiti disciplinari in raccordo con il tema didattico.
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Narrazioni, mappe di sintesi, autobiografie cognitive: Un’ulteriore fase di fondamentale importanza è data dalla ricognizione dei processi metacognitivi, che porta l’alunno a ricostruire il percorso realizzato così da prendere consapevolezza dei processi messi in atto. In tal modo anche il docente può ricevere importanti informazioni sul modo di procedere di ciascun alunno, sui processi di concettualizzazione, sul senso e sul significato che egli stesso ha attribuito al suo lavoro, sulla dimensione emotiva e sul modo in cui ha vissuto la condivisione con i compagni. Strumenti per sollecitare la riflessione metacognitiva sono • la narrazione o rielaborazione verbale del percorso; • la descrizione orale delle mappe di sintesi; • la rubrica di autovalutazione dell’alunno o autobiografia cognitiva, sulla base di domande guida del docente: – Cosa ho imparato? – Ho saputo organizzare le attività necessarie per lo svolgimento del compito? – Ho incontrato difficoltà? Quali strategie ho messo in atto per superarle? – Ho chiesto aiuto? – Ho apportato cambiamenti? – Ho raggiunto l’obiettivo? – Cosa mi è piaciuto di più? – Cosa non mi è piaciuto? – Cosa vorrei cambiare? Documentazione dell’alunno: • Rielaborazioni delle informazioni raccolte, che possono diventare materiali di studio condivisi all’interno della classe. • Ricostruzione individuale della mappa in cui riunire in sintesi le informazioni acquisite sul tema (è importante porre attenzione all’eventuale presenza di alunni con dislessia, per i quali si può proporre la ricostruzione della mappa utilizzando fotografie e immagini). • Rappresentazioni grafiche e resoconti verbali individuali di fasi dell’esperienza. • Ricostruzione fotografica dell’esperienza con cui descrivere il percorso, narrando le fasi in sequenza, per potenziare i processi metacognitivi. • Raccolta del materiale prodotto in forme diverse di documentazione e realizzate collettivamente, nell’ottica della dimensione sociale dell’apprendimento. 213
• Strumenti di autovalutazione, come le autobiografie cognitive. Documentazione docenti: • Compilazione del diario di bordo – sezione controllo. • Griglie di osservazione sistematica compilate nel corso delle attività, che permettono di rilevare i processi cognitivi attivati dagli alunni, i diversi aspetti afferenti alla sfera socio-affettiva e relazionale, le dinamiche messe in atto nell’ambito del grande e del piccolo gruppo e le diverse forme di coinvolgimento degli alunni con difficoltà nell’ottica di un miglioramento continuo della didattica in chiave inclusiva. • Autobiografie cognitive degli alunni, che rappresentano un’importante documentazione dei processi riflessivi operati da ciascuno. Le osservazioni sistematiche: Le osservazioni sistematiche condotte durante le diverse fasi dell’esperienza, unitamente ai dati raccolti mediante le prove di verifica e i compiti di realtà, oltre che ai diversi indicatori qualitativi in grado di fornire un feedback costante dei processi in atto, consentono all’insegnante di rilevare: -
gli aspetti più specificamente legati al potenziamento cognitivo di ciascun alunno, quindi al “sapere” e al “saper fare”, e al “saper utilizzare” i saperi acquisiti (competenze).
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gli atteggiamenti propri della dimensione personale e relazionale, il “saper essere” nel contesto della classe e del gruppo di lavoro;
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la disposizione di ciascun alunno ad apprendere, il “saper imparare”;
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la motivazione e il senso di autoefficacia emersi nel percorso di costruzione condivisa delle conoscenze.
Valutazione e certificazione delle competenze Sviluppare competenze negli alunni risulta ancora una operazione complessa che richiede la messa in atto di procedure e attività didattiche specifiche e persino diverse da quelle tradizionali, utilizzate per far acquisire agli alunni conoscenze e abilità.
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Sulla scorta di una valutazione di opportunità operabile, si potrà inserire: -
una griglia riassuntiva delle valutazioni riportate dagli allievi nelle eventuali verifiche intermedie, che permette di visualizzare immediatamente i risultati ed individuare i gruppi di livello per interventi di recupero o di altro genere, in vista della personalizzazione;
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una griglia riassuntiva delle valutazioni riportate dagli allievi nella eventuale verifica conclusiva, la quale permette di documentare il livello di conseguimento delle conoscenze/abilità e/o competenze di ciascun allievo nella classe;
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strumenti di lavoro attinenti alla UDA (Unità Didattica Apprendimento) modellati sul percorso della classe o dei singoli allievi, che documentino l’effettiva personalizzazione del PSP (Piano Studio Personalizzato).
RILIEVI CONCLUSIVI: •
La maturazione delle competenze costituisce la finalità essenziale di tutto il curricolo;
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le competenze da certificare sono quelle contenute nel Profilo dello studente;
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le competenze devono essere promosse, rilevate e valutate in base ai traguardi di sviluppo disciplinari e trasversali riportati nelle Indicazioni;
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le competenze sono un costrutto complesso che si compone di conoscenze, abilità, atteggiamenti, emozioni, potenzialità e attitudini personali;
•
le competenze devono essere oggetto di osservazione, documentazione e valutazione;
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solo al termine di tale processo si può giungere alla certificazione delle competenze, che nel corso del primo ciclo va fatta due volte, al termine della scuola primaria e al termine della scuola secondaria di primo grado.
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l’azione didattica deve essere caratterizzata da maggiore trasversalità, facendo ricorso anche a modalità di apprendimento cooperativo e laboratoriale;
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per giungere alla certificazione delle competenze bisogna prima di tutto valutarle e per questo non si possono utilizzare gli strumenti comunemente usati per la rilevazione delle conoscenze: il processo di valutazione deve prolungarsi nel tempo
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attraverso una sistematica osservazione degli alunni di fronte alle diverse situazioni che si presentano loro. •
la modalità più efficace è quella che vede l’apprendimento collocato in un contesto il più possibile reale e ripartito tra più elementi e fattori di comunicazione (materiali cartacei, virtuali, compagni, insegnante, contesti esterni e interni alla scuola, ecc.).
Si rende quindi necessario ripensare il modo di “fare scuola”, integrando la didattica dei contenuti e dei saperi con modalità interattive e costruttive di apprendimento, fondando il proprio insegnamento su esperienze significative che mettono in gioco contenuti e procedure che consentano di “imparare facendo” in cui l’alunno è protagonista del processo di acquisizione delle competenze. È un percorso strutturato di apprendimento che ha lo scopo di costruire competenze attraverso la realizzazione di un prodotto, materiale o immateriale, in un contesto esperienziale. In tale assetto, “la scuola deve essere per i giovani un luogo protetto in cui provare ad allargare le ali, in cui cominciare a vivere in gruppo, imparando a sviluppare le capacità razionali ma anche a gestire l’emozione ed i sentimenti”; in questo senso, essere insegnanti significa rispondere ad una missione: per espletare al meglio questo ruolo è indispensabile essere travolti dalla passione per l’insegnamento, dalla voglia di trasmettere le conoscenze acquisite e permettere agli allievi di godere di questi saperi al fine di arricchire il loro zaino virtuale, quel bagaglio culturale che li accompagnerà nel corso dell’esitenza, unitamente all’acquisizione di quelle competenze indispensabili per affrontare il futuro e quelle capacità che li distingueranno nell’intero percorso di vita.
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