Madre e Madonna. Tra arte e sentimento 8865506555, 9788865506554

Nella storia dell'arte cristiana il tema iconografico della Madonna è il più diffuso: il culto di Maria Vergine e M

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Madre e Madonna. Tra arte e sentimento
 8865506555, 9788865506554

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A Emma

Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti

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Coordinamento editoriale: Piero Ciardella Cura editoriale:     www.pacinifazzi.it [email protected] Printed in Italy Proprietà letteraria riservata  978-88-6550-655-4

Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti Fondata nel 1584 STUDI E TESTI XCIII

RAFFAELE DOMENICI

MADRE E MADONNA Tra arte e sentimento

Lucca 2018

L

a ricchezza dell’attività dell’Accademia si manifesta attraverso il più ampio contributo dei soci sia con conferenze che con pubblicazioni. L’edizione di questo volume del Socio Dott. Raffaele Domenici, che ha per oggetto un vasto e articolato excursus sulla figura delle Madonne del Latte nella tradizione artistica europea, è un ulteriore segno di questa variegata attività. Raffaele Domenici, pediatra di qualificata esperienza, si è avvicinato ad una tematica di confine fra due discipline, dimostrando un amore non solo per argomenti affini alla propria specializzazione professionale di medico pediatra, ma anche per l’approfondimento e l’apertura all’arte, da cui Domenici trae stimoli per l’approccio al tema: un punto di vista privilegiato che rende questo suo contributo un interessante spunto di lettura anche per i non addetti ai lavori. L’introduzione è stata curata da un altro Accademico, lo storico Giovanni Macchia, che aiuta il lettore ad avvicinarsi alle tematiche del libro, stimolando curiosità e interesse. Prof. Raffaello Nardi Presidente Accademia Lucchese di Lettere Scienze e Arti

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Di allattamento mi sono occupato da tanti anni da clinico, di arte solo da appassionato che ha scoperto via via una quantità di opere su questo argomento e che ha cercato di documentarsi e di riunirle secondo un personale filo conduttore. Un ringraziamento di cuore a tutti coloro che, con tanta disponibilità e comprensione, mi hanno supportato in questo percorso con i loro suggerimenti, le loro osservazioni, indicando anche altre Madonne del Latte che non è stato possibile riprodurre in questo testo: Ave Marchi, Francesco Vierucci, Sara Lunardi, Chiara Toti, Patrizia Piegaia, Lorenzo Azzi, Luigi Gagliardi, Rino Agostiniani, Francesca Fazzi, Angelo Parpinelli, Simona Tognetti, Giancarlo Nolledi. E a Lucia, per esserci. R.D.

Giovanni Macchia

Prefazione

Se si supera il diffuso pregiudizio che gli aspetti devozionali della religiosità dell’uomo siano materiale di seconda scelta e come tale non meritino molta attenzione sotto il profilo culturale, ci si può imbattere in giacimenti di fenomeni storici, artistici e religiosi di sorprendente interesse. Le espressioni della devozione, popolare e non, sono in genere caratterizzate da semplicità, ma in molti casi nascondono un retroterra di vaste proporzioni e di notevole complessità, la cui esplorazione può condurre a risultati di prim’ordine e spesso a inaspettate sorprese. L’operazione condotta da Raffaele Domenici in questo libro può essere letta anche come un riuscitissimo tentativo di saggiare valori, significati, contenuti culturali, teologici ed estetici di un filone devozionale che ha attraversato più di un millennio di storia della Chiesa. La prima testimonianza di una Madonna raffigurata nel gesto di allattare il Bambino risale infatti all’arte paleo-cristiana e si trova nelle catacombe di Priscilla (sec. II-III). Seguire il tema della Madonna del Latte lungo i sentieri della storia consente all’Autore di raggiungere una serie di risultati. Primo fra tutti quello di sfatare la concezione, cui si è accennato in apertura, che si tratti di un tema marginale, legato a forme di fede arcaiche e immature. Un altro interessante risultato è quello di suggerire una lettura dell’evoluzione dell’iconografia della Madonna del Latte come un filo rosso che attraversa tutta la storia dell’arte europea, almeno fino al sec. XVII, data oltre la quale il tema, anche per gli effetti della Riforma Tridentina, tende ad esaurirsi. L’accenno alla Riforma Tridentina ci consente di rilevare un ulteriore livello di lettura presente in questa ricerca: il suo approccio, cioè, allo svilupparsi nel tempo della riflessione teologica e ecclesiologica. Ricostruire diacronicamente le vicende della Madonna del Latte si traduce in una avventura di grande spessore culturale, che presuppone il ricorso multidisciplinare ad un ventaglio di ambiti e, come risultato, si risolve in una operazione di elevato valore, tale da consentire uno sguardo d’insieme, da un’angolatura insolita, sulla vicenda artistica e culturale della cristianità dalla tarda età antica fino agli inizi dell’età moderna. Entrando nel merito non si può fare a meno di sottolineare come fin dall’inizio della ricerca l’Autore si sia riferito scrupolosamente alle fonti, innanzitutto a quelle scritturali. Di fronte ad una certa varietà di riferimenti veterotestamentari, nel Nuovo Testamento gli accenni al tema dell’allattamento della Madonna sono pochissimi e per di più fugaci e indiretti. Suppliscono i testi apocrifi, dove invece non mancano le informazioni in merito. È successo, in questo caso, quanto avvenne per i Magi: di fronte alla penuria delle notizie evangeliche, i particolari contenuti negli apocrifi hanno generato creden7

ze, anche molto diffuse e radicate, che hanno in seguito influenzato la devozione e l’iconografia. D’altra parte il tema della Madonna del Latte si presta egregiamente a sollecitare particolari forme di richiesta di intercessione e di grazia. Se è scontata l’implorazione delle mamme nutrici di avere abbondante latte per i loro bambini, meno evidenti, ma non meno consueti, erano altri interventi miracolosi che venivano chiesti alla Madonna del Latte. Ad esempio il latte era sinonimo di vita e quindi, oltre al significato alimentare, la sua abbondanza era invocata anche come nutrimento spirituale. Il latte inoltre era legato alla misericordia divina e la sua concessione era strettamente unita al pentimento, al cambiamento di vita, alla remissione dei peccati. C’era inoltre sicuramente, attraverso la richiesta del latte inteso come simbolo per eccellenza del cibo, il tentativo di allontanare la fame, uno dei flagelli del Medioevo (a peste, fame et bello…). Anche la presenza di tabernacoli con la Madonna del Latte all’ingresso di ospedali per bambini e di orfanotrofi ha un forte valore emblematico: denota infatti il legame con la carità che la Chiesa, attraverso Maria, esercita nei confronti dell’infanzia abbandonata e sofferente. L’excursus che Domenici fa delle varie tipologie iconografiche del tema ci avvicina ai grandi artisti: fra i massimi pittori e scultori della storia dell’arte europea non pochi si sono misurati con questo soggetto. E anche questo dato, magari, per molti sarà una sorpresa. Seguendo le opere di questi artisti di prima grandezza si può anche assistere, per così dire, in diretta all’evoluzione del tema nel senso di una progressiva umanizzazione dei personaggi e dei gesti: un’evoluzione che va di pari passo con l’affermarsi dell’Umanesimo in campo culturale e col sorgere di forme di fede e di devozione che vedevano la Divinità più vicina all’uomo, si direbbe più incarnata. Si deve dare atto a Domenici, pediatra di professione, non solo di aver dimostrato di conoscere e di padroneggiare la strumentazione dell’indagine storica e della critica d’arte, ma anche di non aver indulto ad approfondimenti o a digressioni medicoscientifiche, per le quali la materia gli avrebbe concesso ampie opportunità e che egli stesso ha affrontato in precedenti pubblicazioni. La fisiologia dell’allattamento e la psicodinamica nei rapporti fra madre e poppante entrano nel testo, ma solo in relazione ad una migliore comprensione del fatto artistico o del significato religioso. Si vuole altresì mettere in evidenza che l’arte intuisce e anticipa i caratteri di un rapporto, spiegato in seguito dalla scienza, e che fra i due punti di osservazione, in questo caso, c’è piena sintonia. Con questo studio Domenici aggiunge un importante tassello al vasto panorama della ricerca mariologica. Per molti aspetti si tratta di un contributo originale, che fa compiere un passo in avanti alla preesistente bibliografia sull’argomento. Si deve essere grati a Domenici anche per l’ultimo capitolo del libro che tratta delle Madonne del Latte, in un modo o nell’altro, definite “lucchesi”. Ai cittadini dell’arborato cerchio, come il sottoscritto, la cosa fa molto piacere, anche se dicendolo si rischia di essere accusati di provincialismo, accusa che assolutamente non può essere rivolta a questo libro, che si muove invece su orizzonti molto estesi e affronta l’argomento a tutto campo, risultando praticamente esaustivo. 8

Introduzione

Nella storia dell’arte cristiana il tema iconografico della Madonna è il più diffuso: il culto di Maria Vergine e Madre di Dio cominciò a diffondersi abbastanza rapidamente sin dai primi secoli dopo Cristo e il ruolo materno di Maria è sempre stato molto amato dai fedeli. Tra le tante tipologie di immagine, quella di Maria che allatta o sta per allattare Gesù spicca per la sua particolarità, esprime allo stesso tempo l’umanità e la divinità di Cristo e coinvolge nel profondo ogni fedele. In molti casi le due figure sono rappresentate da sole in una relazione intima e tenera nel momento dell’allattamento, in altri la scena dell’allattamento è inserita in un contesto più ampio che comprende anche altre figure, come nelle opere che rappresentano la Sacra Famiglia, la fuga in Egitto, la Sacra Conversazione; in altre ancora la Madonna viene proposta come mediatrice tra i devoti e Dio in virtù del suo allattamento. È stato proposto che la terminologia di Madonna del Latte venga riservata al primo tipo di iconografia, mentre per le altre rappresentazioni potrebbe essere usata la dizione di Maria Lactans1. Il tema della Madonna del Latte è stato ripreso da grandissimi artisti, autori di capolavori immortali, dalla cosiddetta pittura colta, da anonimi frescanti che hanno realizzato pregevoli affreschi o anche da “semplici untorelli” che hanno dipinto tavole per tabernacoli e edicole, di limitato contenuto artistico, ma di importante valore devozionale e documentativo. Relativamente alla Madonna del Latte, Gianfranco Ravasi sottolinea come «molteplice è il tracciato simbolico, sia a livello iconografico, dal suo germogliare fino al suo tramonto post-tridentino, sia anche nelle sue risonanze letterarie, nei suoi archetipi e persino nelle iridiscenze psicologiche, oggetto di elaborazioni moderne ancorate alla psicoanalisi»2. Cercheremo di sviluppare queste considerazioni, iniziando dalla Madonna del Latte come sopra definita, ma facendo riferimento, in conclusione, anche alle altre tipologie.

1. Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pag. 11. 2. Ravasi G., Una premessa. In: Berruti P. (a cura di), Madonna del latte. La sacralità umanizzata. Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pag. 9.

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L’allattamento di Maria nei Vangeli e nelle Scritture sacre

Nei Vangeli canonici il riferimento all’allattamento di Gesù è uno solo, per di più indiretto, contenuto nel Vangelo di San Luca: accompagnato da apostoli e discepoli Cristo si spostava di villaggio in villaggio predicando, compiendo miracoli, cacciando demoni, raccontando parabole. Un giorno «Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!”. Ma Egli rispose:“Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”» (Luca 11, 27-28)3. A prima vista Gesù sembra non dar risalto all’allattamento al seno con parole che rinforzino quelle della donna e la sua risposta può apparire sbrigativa, addirittura brusca. Sembra quasi voler sminuire il ruolo della madre, sposta l’attenzione dall’allattamento materno e la indirizza piuttosto verso l’ascoltare la parola di Dio4 e il metterla in pratica. Cristo sembra inoltre dirigere l’enfasi verso Dio o verso se stesso, il Figlio: Incarnato di Dio5. In realtà Gesù, rispondendo alla donna, intende sottolineare che anche il fatto di essere stato allattato da sua madre va considerato un atto di ubbidienza al superiore volere divino e che in questo gesto di accettazione e di sottomissione va ricercato il ruolo di Maria. I quattro Vangeli canonici sono piuttosto essenziali nel raccontare la nascita e l’infanzia di Gesù e la figura di Maria non viene mai descritta autonomamente, ma sempre come personaggio che ha la propria ragione di esistere in funzione del farsi uomo di Dio, nell’incarnazione in Gesù Cristo. Nei Vangeli apocrifi la narrazione è ben più estesa, con racconti ricchi di particolari circa la vita di Maria, dei suoi genitori Anna e Gioacchino, sul suo sposalizio con Giuseppe, sulla nascita e infanzia di Gesù, oltreché sulla passione e resurrezione6. Forse perché agli occhi dei fedeli le scarse notizie fornite dagli scritti canonici apparivano insufficienti, nei primi secoli comparvero molti testi dal carattere aneddotico, fantasioso, talora magico e fiabesco, in contrasto con l’asciuttezza e la sobrietà del racconto dei quattro Vangeli canonici.

3. Vangeli e Atti degli Apostoli, EDB, Bologna, 2011, pag. 177. 4. «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio», Giovanni, 1,1, Ibidem, pag. 219. 5. «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità», Giovanni, 1.14, Ibidem, pag. 220. 6. Vangeli Apocrifi. Scelta e commento di Angela Cerinotti, Giunti Demetra, Firenze 2016.

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L’allattamento di Maria nei Vangeli e nelle Scritture sacre

In senso letterale apocrifo sta a significare nascosto, segreto, occulto, ma nell’accezione comune ha assunto il significato di non autentico, inesatto, sbagliato, eretico. Ai Vangeli apocrifi la Chiesa ha negato qualsiasi origine divina, ma essi hanno avuto larga parte nel formarsi dell’immaginario, anche iconografico, che riguarda la figura di Maria e le prime fasi della vita di Gesù. Ad esempio, la localizzazione della nascita di Gesù in una grotta deriva dal Protovangelo di Giacomo, scritto in greco intorno al 200 d.C., mentre la presenza del bue e dell’asinello accanto alla mangiatoia, associata alle raffigurazioni natalizie, deriva dal Protovangelo dello PseudoMatteo, redatto in latino nel VII-VIII secolo. Angela Simonelli afferma che i Vangeli apocrifi sono «stupore e devozione, curiosità e identità, limite e irruzione dell’orizzonte.Vangelo appunto: una notizia buona, un racconto, tanti particolari. Diversamente autorizzato, intrigante; a tratti mistificante, sempre coinvolgente»7. Geno Pampaloni sottolinea come: «Gli Apocrifi sono entrati di diritto nella nostra cultura. Stanno alle nostre spalle con la viva eloquenza delle loro immagini […] sono il tesoro di testimonianze cui non è insensibile la calda fantasia della pietà»8. L’immagine di Gesù stretto al seno di Maria nell’atto di nutrirsi è spesso rappresentata nei Vangeli Apocrifi. Compaiono anche le levatrici, assenti nei Vangeli canonici: Salomè nel Protovangelo di Giacomo, addirittura due, Salomè e Zelomi, nel Protovangelo dello PseudoMatteo. Scenari in cui è descritto l’allattamento di Gesù al seno di Maria compaiono nel ProtoVangelo di Giacomo9, nel ProtoVangelo dello PseudoMatteo10,

7. Simonelli A., Introduzione, in Vangeli Apocrifi. Scelta e commento di Angela Cerinotti, Giunti Demetra, Firenze, 2016, pag. 8. 8. Pampaloni G., La fatica della storia, In Craveri M. (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino, 1990, pag. XIII-XXVIII. 9. «Quando Giuseppe e la levatrice arrivano alla grotta una nuvola di luce l’avvolgeva completamente. Disse la levatrice: ”L’anima mia è stata magnificata, perché i miei occhi hanno visto un prodigio: è nata la salvezza per Israele”. E subito la nuvola incominciò a dissiparsi e apparve nella grotta una grande luce, tale che l’occhio umano non poteva sopportarla. A poco a poco questa luce si attenuava, fino a quando apparve il Bambino che si attaccò al seno della madre Maria. La levatrice allora proruppe in una nuova esclamazione: “Questo è per me davvero un gran giorno, perché ho visto un prodigio straordinario!”». In Vangeli Apocrifi. Scelta e commento di Angela Cerinotti, Giunti Demetra, Firenze, 2016, pag. 52. 10. «Già da un po’ di tempo Giuseppe si era avviato a cercare levatrici e quando ritornò alla grotta, Maria aveva ormai messo al mondo il bambino. Ti ho condotto le levatrici Zelomi e Salomè, disse Giuseppe a Maria, che stanno fuori davanti alla grotta, e non osano entrare qui a causa della troppa luce. Udendo ciò Maria sorrise. Ma Giuseppe le disse: “Non sorridere, ma sii prudente, che non debba per caso aver bisogno di qualche cura”. E volle che una di quelle entrasse con lui. Ed entrata Zelomi disse a Maria: “Lascia che io ti tocchi”. Avendo Maria permesso di essere toccata, la levatrice esclamò a gran voce: “O Signore, o grande Signore, misericordia! Non si è mai sentito dire né potuto immaginare che le mammelle siano piene di latte e sia nato un maschio, lasciando vergine sua madre! Nessuna perdita di sangue si è avuta sul neonato, nessun dolore nella puerpera.Vergine ha concepito,Vergine ha partorito,Vergine è rimasta». In: Craveri M. (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino, 1990, pag. 80-81.

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L’allattamento di Maria nei Vangeli e nelle Scritture sacre

nel Vangelo dell’Infanzia Arabo Siriaco11, nel Vangelo Armeno dell’Infanzia12. In tutti i brani ricorre il tema della consapevolezza dei presenti di partecipare a un evento straordinario sottolineato dal fulgore intenso della luce dalla quale emerge il Bambino che succhia al seno della madre.Anche i Padri della Chiesa, tra le lodi che intonano a Maria, fanno riferimento alla sua dedizione ad allattare e affermano la consapevolezza che la divinità e l’umanità di Cristo sono espresse proprio nel suo allattamento al seno. Molti di loro hanno approfondito nelle loro riflessioni teologiche il tema dell’allattamento divino. Tertulliano13, il primo teologo sistematico in lingua latina, discutendo a proposito della maternità della Vergine, afferma che Cristo è venuto al mondo “da” e non “attraverso” Maria14 e che si è nutrito al seno di sua madre come ogni essere umano15. Anche Sant’Agostino scrive dell’allattamento di Maria16 e così pure Giovanni Damasceno17,

11. «E così dopo il tramonto del sole, la vecchia giunse alla grotta, e con lei Giuseppe, e ambedue entrarono. Ed ecco, essa era piena di luci, più belle che il fulgore di lucerne e di torce e più splendenti del chiarore solare. Il bambino, avvolto nelle fasce e adagiato nella mangiatoia, succhiava il latte da santa Maria, sua madre». In: Craveri M. (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino, 1990, pag. 114. 12. «Appena ebbe così parlato, Eva, la nostra prima madre, vide che una nube, levandosi dalla grotta, saliva verso il cielo, mentre, d’altra parte, una luce scintillante si era posata davanti alla mangiatoia del bestiame. E il bambino si levò per prendere il seno della madre, si saziò di latte, poi ritornò al suo posto e si mise a sedere». In: Craveri M. (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino, 1990, pag. 165. 13. Tertulliano, vissuto tra il 155 e il 230 d.C. circa, dopo aver esercitato la professione di avvocato prima a Cartagine, sua città natale, e poi a Roma, si convertì al Cristianesimo probabilmente dopo aver osservato il comportamento dei martiri cristiani.Tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo scrisse una serie di testi cristiani in latino, dando origine a una teologia in tale lingua. Una ricerca troppo individuale della verità e le intemperanze del carattere, era un uomo rigoroso, lo condussero gradualmente a lasciare la comunione con la Chiesa e ad aderire alla setta, ritenuta eretica, riconducibile al prete Montano. L’originalità del pensiero e l’efficacia del linguaggio gli assicurarono una posizione di spicco nella letteratura cristiana antica. 14. Perego N., Una Madonna da nascondere. La devozione per la “Madonna del latte” in Brianza, nel Lecchese e nel triangolo Lariano. Cattaneo Editore, Oggiorno, 2005, pag. 27. 15. «Del resto quando si parla anche del seno di sua madre, quello che senza dubbio egli ha succhiato, diano la loro risposta le ostetriche, i medici e gli scienziati circa la natura propria delle mammelle: se cioè è possibile che esse stillino latte se non vi è stata prima la sofferenza genitale della vulva, perché è da lì che le vene sollevano per così dire la sentina del sangue che sta in basso fino alla mammella, e mediante il suo passaggio le vene distillano la materia più nutriente, quella del latte». In Gharib G. e al., Testi mariani del primo millennio, Città Nuova Editrice, Roma,Vol. III, 1988, pag. 70. 16. «Bello è Dio, Verbo presso Dio; bello nel seno della Vergine, dove non perdette la divinità e assunse l’umanità; bello il Verbo nato fanciullo, perché mentre era fanciullo, mentre succhiava il latte, mentre era portato in braccio, i cieli hanno parlato, gli angeli hanno cantato le lodi, la stella ha diretto il cammino dei Magi, è stato adorato nel presepio, cibo per i mansueti». In Gharib G. e al., Testi mariani del primo millennio, Città Nuova Editrice, Roma,Vol. III, 1988, pag. 348. 17. Nato da una ricca famiglia cristiana, Giovanni Damasceno (670 circa - 749 d.C.) ancora giovane assunse la carica di responsabile economico del Califfato della sua città. Insoddisfatto della vita di corte, maturò la scelta monastica, entrando nel Monastero di San Saba, vicino a Gerusalemme. Si dedicò all’ascesi e all’attività letteraria, oltre che pastorale. Restano numerose omelie, in cui cercava di legittimare la venerazione delle immagini sacre, collegando queste al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio nel seno della Vergine Maria.

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L’allattamento di Maria nei Vangeli e nelle Scritture sacre

autore di quattro celebri omelie che onoravano la Vergine. Nella prima appassionata Omelia sulla Natività di Maria, che Giovanni invoca come “sola speranza di gioia protettrice della vita e presso tuo Figlio mediatrice e caparra sicura di salvezza”, ricorda il suo allattamento: «La sua carne dalla tua carne, il suo sangue dal tuo sangue; Dio ha succhiato il latte dalle tue mammelle; e le tue labbra hanno toccato le labbra di Dio»18. L’autore che forse più di ogni altro cantò le lodi della Vergine nel poema In laudem Sanctae Mariae,Venanzio Fortunato19, riconosce la sua peculiarità di madre vergine e ricorda l’allattamento materno di Gesù: «Maria, che partorì il Signore, rimane inviolata. Essa porge immacolata la sua mammella a Dio suo Figlio; e con il nutrimento del latte alimenta il pane del cielo»20. Gianfranco Ravasi ricorda come «nel Vecchio Testamento il latte è una componente dell’esistenza e viene assurto a simbolo di benessere, di bellezza, di amore, di speranza, di pienezza. È su questa scia che il latte si affaccia con un suo rivolo anche nel Nuovo Testamento, riproponendosi secondo nuovi profili metaforici...Il latte diventa il cibo per coloro che sono immaturi, per coloro che sono ancora “carnali”, incapaci di un alimento più ricco e raffinato, proprio come accade ai Corinzi “neonati” nella fede o imperfetti nella loro vita spirituale»21. Ricorda ancora come San Pietro nella sua Prima Lettera introduca il tema della nascita battesimale come evento capitale nell’esperienza cristiana invitando i neobattezzati a desiderare ardentemente il loro latte spirituale per crescere con esso verso la salvezza, così come i neonati si alimentano con il latte della mamma. Il latte viene ad assumere il simbolo di vero cibo spirituale, emblema della beatitudine perfetta della vita eterna riservata al cristiano22. Un parallelo tra la Vergine Madre che allatta Gesù e la Chiesa che allatta e nutre i fedeli con il “Santo latte” della parola e del Corpo di Cristo era stato indicato anche da Clemente Alessandrino nel suo Pedagogo (I,6) nel II secolo23. 18. Gharib G. e al., Testi mariani del primo millennio, Città Nuova Editrice, Roma,Vol. II, 1988, pag. 504. 19. Vissuto tra il 530 e il 607 d.C.,Venanzio Fortunato fu molto noto e apprezzato per i suoi versi e le sue liriche. Autore di inni, saggi, elegie funebri, omelie, poesie dedicate alle vite dei Santi, fu consacrato Vescovo di Poitiers nel 595-597. 20. «…Sara, Rebecca, Rachele, Ester, Giuditta, Anna, Noemi certamente hanno un seggio eccelso tra gli astri; nessuna di esse tuttavia meritò di generare il Creatore del mondo. Maria, che partorì il Signore, rimane inviolata. Essa porge immacolata la sua mammella a Dio suo Figlio; e con il nutrimento del latte alimenta il pane del cielo». In Gharib G. e al., Testi mariani del primo millennio. Città Nuova Editrice, Roma,Vol. III, 1988, pag. 608. 21. Ravasi G., Una premessa. In: Berruti P. (a cura di), Madonna del latte. La sacralità umanizzata. Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pag. 8. 22. Ibidem, pag. 9. 23. Nato probabilmente ad Atene e vissuto all’incirca tra il 150 e il 215 d.C., Clemente Alessandrino ebbe fin da giovane uno spiccato interesse per la filosofia, che fece di lui uno degli alfieri del dialogo tra fede e ragione nella tradizione cristiana. Tra sue opere, il Pedagogo costituisce un manuale di condotta per guidare i fedeli con consigli pratici a vivere quotidianamente secondo la fede.

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L’iconografia di Maria allattante

La più antica effige conosciuta di Maria risale al II-III secolo ed è proprio una Madonna del Latte, situata nella catacomba di Priscilla sulla via Salaria a Roma (Fig. 1). La madre di Dio è affiancata dal profeta Isaia che indica la stella, simbolo dell’incarnazione divina. L’allattamento come tema artistico è antichissimo, l’iconografia risale all’antico Egitto, dove erano molto diffuse le immagini della dea Iside intenta ad allattare il figlio Horus. Il suo culto durerà a lungo, intrecciandosi con il Cristianesimo e furono proprio antiche rappresentazioni di Iside ad essere spesso riutilizzate nelle prime chiese cristiane come icone mariane. «Non può essere casuale che il bisogno di ricordare che ha portato i primi cristiani a fissare passi storici o simbolici nei cimiteri catacombali abbia generato un “ritratto” della Vergine in una situazione così intima e specifica. Il ricordo della Madonna che allatta appare dunque quello più vivo nella memoria dei primi cristiani e il primo ad essere riproposto a conferma della posizione di devozione già sin d’allora in atto nei confronti della Vergine»24. L’inizio ufficiale dell’iconografia mariana si colloca però dopo il Concilio Ecumenico di Efeso del 431 d.C. che sancì il dogma di Maria come Madre di Dio. Il Concilio fu indetto dal Papa Celestino I e dall’imperatore Teodosio II per dirimere la disputa se Maria dovesse essere considerata madre solo di Gesù uomo, tesi sostenuta da Nestorio Patriarca di Costantinopoli, o se la sua maternità riguardasse anche la natura divina di Cristo, tesi proposta da Cirillo Vescovo di Alessandria. Tra i padri conciliari prevalse l’identificazione di Maria Theotokos, Madre di Dio (o più correttamente Colei che partorisce Dio) rispetto a quella di Maria Christotokos madre del Cristo uomo non identificato nel Dio Padre incarnatosi. L’aver definito in termini netti la maternità divina ebbe profonde ripercussioni sul culto e sulla devozione per Maria e, a partire dal V secolo, la sua rappresentazione iconografica poté spaziare in molte forme che la ritraevano insieme al Bambino, raffigurazione sacra del Dio che si era fatto uomo. Questa modalità rappresentativa cominciò a diffondersi nell’arte bizantina, nelle chiese, in particolare nelle absidi, dove spesso Maria era raffigu-

24. Perego N., Una Madonna da nascondere. La devozione per la “Madonna del latte” in Brianza, nel Lecchese e nel triangolo Lariano. Cattaneo Editore, Oggiorno, 2005, pag. 31.

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L’iconografia di Maria allattante

rata assisa in trono frontalmente con il Bambino sulle ginocchia, e nelle icone. In queste ultime, a partire dal VI secolo, si differenziarono diverse tipologie di immagine che resero l’iconografia della Madre di Dio ancora più varia rispetto alla iconografia di Cristo25. Tra le immagini più diffuse vi fu la Madonna del Latte, Galaktotrophousa in Oriente, Virgo Lactans in Occidente, che forniva ai credenti l’assicurazione che il Dio attaccato alla mammella di Maria si era davvero fatto uomo e che «Colei che sosteneva il Dio-uomo si era garantita credito in Cielo pur nella sua pochezza»26. Allo stesso tempo, solo chi farà come il Bambino, come questo bimbo che succhia il latte della madre, entrerà nel Regno27. Per la gente comune queste riflessioni erano più accessibili attraverso le immagini che non attraverso le parole, come sottolineava anche Gregorio Magno ricorrendo all’espressione per visibilia ad invisibilia28. Alla Madonna del Latte si arriva nel corso del tempo attraverso un’evoluzione progressiva e alcuni passaggi, che dalle prime raffigurazioni ieratiche, sacrali delle icone orientali portano a rappresentazioni più familiari e intime. In maniera sintetica proviamo a riassumere questo percorso.

25. Alfeev I., L’Icona. Arte, bellezza e mistero, EDB, Bologna 2017, pag. 57. 26. Perego N., Una Madonna da nascondere. La devozione per la “Madonna del latte” in Brianza, nel Lecchese e nel triangolo Lariano, Cattaneo Editore, Oggiorno, 2005, pag. 26. 27. Cacciari M., Generare Dio, Il Mulino, Bologna, 2017, pag. 44. 28. Perego N., Una Madonna da nascondere. La devozione per la “Madonna del latte” in Brianza, nel Lecchese e nel triangolo Lariano, Cattaneo Editore, Oggiorno, 2005, pag. 27.

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L’iconografia di Maria allattante

Fig. 1 Catacombe di Priscilla, II-III secolo, Roma

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Fig. 2 Panaghia, Fig. 3 Orante, Fig. 4 Odighitria, Fig. 5 Nikopoia, Fig. 6 Platytera Fig. 7 Eleousa, Fig. 8 Glicophilousa, Fig. 9 Galaktotrophousa

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Le icone orientali

Paolo Berruti sottolinea che «L’iconografia della Vergine, nel campo della rappresentazione sacra ai fini liturgici e di culto, è tra le più complesse e ricche e affonda le sue radici nella tipologia creata dalla cristianità orientale»29. La chiesa orientale faceva infatti riferimento a una teologia basata sull’immagine. Alle prime rappresentazioni maestose e solenni di Maria fu dato il nome di Panaghia, letteralmente “tutta Santa” (Fig. 2). A seconda dell’atteggiamento che la Madre aveva rispetto al Bambino la Panaghia si poteva ulteriormente distinguere in alcuni sottotipi. Uno dei più diffusi e antichi è l’Orante: la Madre di Dio vi è raffigurata frontalmente con le braccia sollevate (Fig. 3). Una variante dell’Orante fa parte della Deesis, che letteralmente significa supplica, composizione nella quale Cristo è raffigurato al centro, con la Vergine e Giovanni Battista ai lati. La Madre di Dio è raffigurata di regola con le braccia protese, ma non volta frontalmente, bensì di tre quarti verso lo spettatore, mentre il suo volto si rivolge a Cristo. Un altro modello era l’Odighitria (o Odegheitra), letteralmente “Guida, Colei che mostra la via”: la Vergine è presentata frontalmente mentre sorregge il Bambino, sempre raffigurato sul suo braccio sinistro, e lo indica con la mano destra. Anche lo sguardo del Bambino è rivolto allo spettatore; in genere la sua mano destra si alza in un gesto benedicente, la sinistra tiene un rotolo di pergamena, simbolo di sapienza, oppure un libro, un frutto, un globo (Fig. 4). L’Odighitria prende il nome dal monastero degli “hodigoi” (“coloro che indicano la via”) presso Costantinopoli, in cui si venerava fino dal VI secolo il prototipo di questa icona, attribuita dalla tradizione all’evangelista Luca, che quindi non solo aveva scritto il Vangelo, ma anche avrebbe dipinto l’immagine di Maria. L’originale fu poi distrutto dai Turchi nel 1453 a seguito della conquista della città, ma la tipologia è stata ripresa in molte opere successive. Un modello ulteriore è la Nikopoia, letteralmente “Colei che dona la vittoria”, in cui la Vergine è rappresentata frontalmente, seduta in trono, e tiene il bimbo sulle braccia o sulle ginocchia (Fig. 5).

29. Maetzke A.M., Maria,Vergine e Madre di Cristo, al centro della rappresentazione sacra, cit. da Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di) Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 42.

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Una variante è la raffigurazione della Madre di Dio a mezza figura, con il Bambino rappresentato in clipeo; questa immagine appare per la prima volta sui sigilli dell’imperatore Maurizio (582-602 d.C.). Si incontra in particolare negli affreschi del monastero di Sant’Apollonio a Bawit (Egitto) e nella chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma (VIII secolo) come pure negli affreschi absidali di Santa Sofia a Ochrid (circa 1030-1040 d.C.)30. Altro tipo era quello della Platytera, letteralmente “La più ampia dei cieli”: la Madonna guarda direttamente l’osservatore, tiene le braccia alzate e reca sul petto un medaglione all’interno del quale è raffigurato il Bambino Gesù in un gesto di benedizione (Fig. 6). Questo tipo di iconografia era detto anche Blachernitissa, dal nome del quartiere di Blacherne, a Costantinopoli dove questo genere di rappresentazione era particolarmente venerata. Accanto a queste rappresentazioni più classiche cominciarono a diffondersi nei secoli successivi altri tipi di iconografia mariana, riferiti ad atteggiamenti sempre più teneri e affettuosi. Tra questi l’Eleousa, “Madonna della tenerezza”, caratterizzata dalla Vergine e dal Bambino con i volti accostati (Fig. 7). Questo genere si diffonde ampiamente a Bisanzio a partire dal XII secolo. Secondo Lazarev, il modello della Tenerezza si sviluppa dall’Odigitria in seguito al ravvicinamento fra le teste della Madre di Dio e del Bambino, che consente a quest’ultimo di aggrapparsi al collo della mamma, di stringersi alla sua guancia e di accarezzarla in un gesto di profonda dolcezza. Una delle varianti dell’Elousa è il tipo di “Bambino giocoso”, noto a partire dal XII secolo, in cui il Bambino è presentato mentre gioca con la madre. Questa tipologia si riscontra in particolare in un’icona sinaita del XII secolo, nell’affresco della recinzione presbiteriale della chiesa di Nagoricino (Macedonia), dipinto nel 1318, e in molte icone russe. Fu così che cominciò a diffondersi anche il modello della Glycophilousa, ossia “Colei che bacia dolcemente”, dove Maria è rappresentata in atteggiamento molto affettuosoo con Gesù e lo bacia con tenerezza (Fig. 8) e quello della Galactotrophousa ossia “Colei che dona il latte” dove Maria con atteggiamento molto materno allatta al seno il proprio bambino (Fig. 9). Rappresentazioni molto antiche, datate del VI secolo, della Vergine allattante si trovano in Egitto nel Monastero di Santa Caterina del Sinai, nel Monastero di San Geremia a Saqqara (Fig. 10), in una cellula monastica di Banit; in una caverna eremitica del monte Latmos in Asia Minore; in Etiopia; a Cipro dove esiste il Monastero della Vergine Galaktotrophousa. Sono immagini molto stilizzate che alludono più che mostrare. Dall’Egitto copto queste immagini si diffusero largamente nell’arte bizantina e nelle chiese orientali per poi passare anche in Occidente, soprattutto tra il XIII e il XIV secolo. 30. Alfeev I., L’icona. Arte, bellezza, mistero, EDB, Bologna, 2017, pagg. 58-60.

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Fig. 10 Vergine che allatta, affresco, secolo VI, Museo Copto, Saqqara, Il Cairo

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Fig. 11 Pietro Cavallini (attribuito da Vasari), Madonna in trono con Bambino, XIII secolo, Chiesa di Santa Maria in Trastevere, Roma

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A Roma l’iconografia della Madonna allattante fu ripresa nel mosaico raffigurante la Madonna in trono con Bambino sulla facciata della Chiesa di Santa Maria in Trastevere, risalente al XIII secolo, attribuito da Vasari a Pietro Cavallini. Autori moderni fanno però risalire l’opera al restauro cominciato da Innocenzo III verso il 1100. Maria è fiancheggiata da dieci donne che reggono lampade: otto sono accese, due sono invece spente (Fig. 11). Difficile attribuire un significato certo al perché di questa diversità, il riferimento alla parabola delle vergini prudenti e delle vergini stolte non è accettato da tutti. Certamente le due donne che portano le lampade spente sono state oggetto di restauro nel XV secolo, come dimostrato da vari documenti, e i lavori potrebbero forse aver portato a una modifica della versione originaria. L’aspetto stilizzato e poco espressivo dei primi esemplari venne poi abbandonato per assumere un carattere sempre più realistico, tendenza che culminerà tra il XIV e il XV secolo, sotto l’influsso culturale dell’umanesimo, quando le rappresentazioni in alcuni casi diventarono anche assai esplicite. Questa diversa modalità rappresentativa della Madonna del Latte si sviluppò soprattutto nella scuola pittorica toscana, in particolare a Siena, dove Ambrogio Lorenzetti realizzò il suo capolavoro, di cui si tratterà più avanti.

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Fig. 12 Madonna del Latte, Grotta del Sacro Latte, Betlemme

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Il culto delle reliquie e il Sacro Latte

A partire dal V-VI secolo si diffuse anche il culto per le reliquie. Poiché la Madonna era Madre di Dio, i credenti desideravano le vestigia della Vergine, ma le sue reliquie corporali non potevano esistere perché il credo cristiano prevede la sua Assunzione in Cielo. Da qui nasce il culto per il suo latte, il Sacro Latte, cui si attribuiva il potere miracoloso di favorire la montata lattea o di restituire il latte alle puerpere che l’avessero perso e le ampolle che lo contenevano erano considerate reliquie molto preziose. La leggenda della Grotta del Latte a Betlemme rende conto dell’origine della devozione per il Sacro Latte: narra che San Giuseppe, quando la Sacra Famiglia era nascosta nella grotta per sfuggire alla strage degli innocenti scatenata da Erode, fu avvertito da un angelo del pericolo che incombeva sul Bambino e della necessità di trasferirsi in Egitto. Si mise subito a fare i preparativi per il viaggio e sollecitò Maria che stava allattando. Maria staccò dal seno Gesù Bambino e nella fretta alcune gocce di latte caddero su una pietra che da rossiccia diventò bianca. La Grotta, situata in una stradina di lato alla Basilica della Natività, fin dal VI secolo fu mèta di pellegrini e già da allora cominciarono a circolare reliquie che provenivano da lì, conosciute come “latte della Vergine”. Si trattava di pezzettini di roccia calcarea friabile o di polvere rocciosa pressata in panetti. Se diluita in acqua formava un liquido bianco come il latte e della stessa consistenza, che veniva bevuto o mescolato agli alimenti nella speranza di facilitare la produzione di latte e di curare la sterilità. La credenza si diffuse non solo nel mondo cristiano, ma anche in quello musulmano, e il commercio della reliquia divenne molto fiorente a partire dal XIII secolo con le Crociate. La Grotta era citata anche in un proclama di Papa Gregorio XI nel 1375. Il continuo scavo nella roccia allargò progressivamente la grotta portando alla formazione di tre vani, sopra e intorno ai quali fu costruita una chiesa sempre molto venerata: la credenza popolare infatti non si è mai spenta e tuttora molte persone, originarie del luogo, ma anche pellegrini, pregano qui la Vergine Maria per ottenere abbondanti quantità di latte per le loro creature. Alcuni dipinti della Madonna del latte sono conservati nella grotta, “sostegno visivo” al culto (Fig. 12). Diverse ampolle contenenti il Sacro Latte arrivarono in Europa, la maggioranza di esse in Italia, Francia, Spagna. In Italia il caso più noto è quello della reliquia conservata presso la Collegiata di San Lorenzo a Montevarchi. Il percorso attraverso il quale il Sacro Latte ha raggiunto la cittadina toscana viene di seguito riassunto. 25

Il culto delle reliquie e il Sacro Latte

Nel 1238 l’Imperatore di Costantinopoli Baldovino II si recò in Francia per richiedere a suo cugino Re Luigi IX, detto il Santo, aiuti economici e militari per sostenere il tentativo di riconquistare l’impero perduto, in particolare Costantinopoli, ad opera dei Veneziani nel corso della IV Crociata. Per ingraziarsi il Re e ottenere il suo aiuto, Baldovino impegnò presso la Corona di Francia la Contea di Namur, e cedette a San Luigi una preziosissima reliquia, la “Sacra Corona di Spine”. Per custodire adeguatamente la reliquia, Luigi IX ordinò la costruzione a Parigi di una apposita cappella, che divenne la Sainte-Chapelle nell’Ile de la Citè. Qualche anno più tardi Baldovino, tornato a chiedere nuovi finanziamenti, consegnò al Re un’altra lunga serie di reliquie cristiane, che finirono tutte nella Sainte-Chapelle: tra queste, si annoveravano alcune fasce nelle quali si diceva fosse stato avvolto Gesù Bambino nella culla, una catena e un collare di ferro con cui si riteneva che Gesù fosse stato legato, un frammento della pietra del sepolcro, la lancia con cui gli venne trafitto il costato, il mantello di porpora con il quale i soldati lo avevano avvolto per deriderlo, la spugna che era stata imbevuta nell’aceto e, infine, il latte della Beata Vergine Maria. Si tramanda che il latte conservato a Montevarchi sia proprio una parte di quello originariamente offerto a San Luigi, che lo stesso Re aveva donato al Conte Guido Guerra di Montevarchi per il contributo dato dalle truppe guelfe nella vittoriosa battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266, quando combatterono al fianco di Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX, contro le truppe ghibelline di Manfredi di Sicilia, riconquistando così il Regno di Napoli e Sicilia. Guido Guerra l’avrebbe poi donato alla comunità di Montevarchi. Per ospitare la reliquia venne commissionata ad Andrea della Robbia la costruzione di un tempietto/altare di terracotte invetriate, capolavoro del Rinascimento, che fu collocato in una cappella laterale della chiesa di San Lorenzo; oggi è custodito nel Museo di Arte Sacra della Collegiata (Fig. 13). Originariamente la reliquia era conservata dietro la grata, attorniata da angeli, al centro del tempietto; nella parte alta e centrale dello stesso era presente una statua modellata a mezzo busto della Madonna che allatta Gesù. Si ritiene che la scultura sia stata eseguita da un ignoto artista attivo nell’ambiente fiorentino tra la fine del Trecento e la prima metà del secolo successivo31. Oggi la reliquia e la statua sono conservate sopra l’altare maggiore della chiesa. Tornando al tempietto: nelle nicchie laterali alla Madonna del Latte si osservano San Giovanni Battista a sinistra, con un velata tristezza nel volto, e San Sebastiano a destra che emana un forte pathos e una profonda spiritualità. Nel paliotto la figura di Cristo profondamente sofferente che emerge dal sepolcro con le brac-

31. Del Vita S., Le invetriate di Andrea Della Robbia per la Prioria di San Lorenzo a Montevarchi. Il Tempietto robbiano, Servizio editoriale Fiesolano, Fiesole, 1997, pag. 15.

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Fig. 13 Andrea Della Robbia,Tempietto del Sacro Latte, Collegiata di San Lorenzo, Montevarchi Fig. 14 Andrea della Robbia, Pannello della donazione del Sacro Latte, Collegiata di San Lorenzo, Montevarchi (particolare)

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cia aperte, sorrette da Maria, che accoglie una mano tra le proprie avvolte in un lembo della veste, mentre San Giovanni Evangelista si dispone a baciare l’altra. Sempre nel Museo è esposto anche il grande pannello, anch’esso opera di Andrea della Robbia, originariamente collocato sulla facciata della chiesa di San Lorenzo (Fig. 14), in cui è rappresentata la consegna della reliquia, che avviene in un ampio spazio presso le mura di Montevarchi. Al centro, sotto il baldacchino giallo il Conte Guido Guerra porge la reliquia al Priore di San Lorenzo. Intorno sacerdoti con le torce accese, nobili, dame, dignitari e una grande folla partecipano all’avvenimento. A sinistra sono raffigurati cavalieri con lance e cavalcature giunti al seguito di Guido Guerra. Il personaggio inginocchiato, avvolto nel mantello con i fiordalisi di Francia, è Carlo d’Angiò. A destra è rappresentata la processione solenne, preceduta da un chierico che solleva uno stendardo giallo e bianco, che si accinge ad entrare dentro le mura di Montevarchi attraverso una porta ad arco per raggiungere la chiesa di San Lorenzo. Il volto di profilo che appare alle spalle del quinto sacerdote a partire da destra è ritenuto l’autoritratto dell’artista. Al di sopra dei personaggi il cielo blu intenso, le mura con merli guelfi, una torre, un campanile, una cupola, una porta di ingresso alla “cospicua, regolare e nobil Terra murata, fra le più belle e più popolate della Toscana”32 del tempo. Non tutti però erano attratti dal culto delle reliquie. San Bernardino da Siena nelle sue prediche, caratterizzate da un tratto molto popolare, immediato, efficace, che si lasciava comprendere da tutti e tutti attraeva33, raccomandava le virtù del latte di Maria, sosteneva che l’ultima goccia “superava tutti i frutti del Paradiso terrestre e del mondo intero”. Tuttavia metteva in guardia contro le false reliquie, l’uso e il commercio che ne veniva fatto e criticava aspramente la loro falsa adulazione. In una predica ebbe a dire: “E sia chi si voglia, io dico che non piacciono a Dio queste tali cose. O, o, del latte della Vergine Maria, o donne, dove siete voi? E anco voi, valenti uomini, vedestene mai? Sapete che si va mostrando per reliquie: non v’aviate fede, ché elli non è vero: elli se ne truova in tanti luoghi! Tenete che elli non è vero. Forse che ella fu una vacca la Vergine Maria, che ella avesse lassato il latte suo, come si lassa delle bestie, che si lassano mugnare? Io ho questa opinione io, ch’io mi credo che ella avesse tanto latte né più né meno, quanto bastava a quella bochina di Cristo Jesu benedetto”34. La presenza nella zona del Valdarno di diverse immagini della Madonna del

32. Repetti E., Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, vol. III, Firenze, 1839, pag. 537. 33. Dinelli L., S. Bernardino da Siena e il suo tempo. Brevi cenni storici con due documenti inediti, Tipografia Baroni, Lucca, 1911. 34. Baldi A. (a cura di), Novellette ed esempi morali di S. Bernardino da Siena, Carabba Editore, Lanciano, 1916, pag. 98.

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Fig. 15 Roberto da Montevarchi, Il miracolo di monna Tancia, 1500 circa, Santuario di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Valdarno

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Latte dimostra comunque come nella zona fosse molto stretta la relazione tra tali opere e il culto della reliquia. A testimonianza della devozione per Maria e per il suo latte si ricordano anche gli affreschi della Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno. Rappresentano tre scene che ricordano il miracolo del latte che vide protagonisti Monna Tancia e il nipotino Lorenzo (Fig. 15). L’autore degli affreschi, secondo Vasari, fu un allievo del Perugino, Roberto da Montevarchi, detto appunto il Montevarchi. Nel 1478 si diffuse a San Giovanni, già in guerra contro Arezzo come alleata di Firenze, una epidemia di peste che portò a morte gran parte della popolazione, ed anche Santa e Francesco, i genitori di Lorenzo, un bambino di tre mesi. Il piccolo rimase solo con Monna Tancia, la nonna paterna settantenne che viveva in condizioni di estrema povertà e che non riusciva a trovare per lui nessuna nutrice. Disperata, una sera si inginocchiò di fronte all’immagine della Madonna con il Bambino dipinta su una porta della città, quella di San Lorenzo, implorando Maria: “Provvedi Tu a questa creatura innocente!”. Tornata a casa sfinita, si buttò sul letto accanto al bambino pressoché esanime che si lamentava. Quasi inconsapevolmente, per provare a calmarlo, lo attaccò al proprio seno avvizzito. Il piccino iniziò a succhiare avidamente e un flusso abbondante di latte uscì dal seno della nonna e per molti mesi Lorenzo venne così alimentato. La notizia del miracolo si sparse subito nella regione, i fedeli accorrevano a pregare davanti all’immagine, arrivò a San Giovanni lo stesso Lorenzo dei Medici per rendersi conto dell’accaduto. Attorno all’immagine sacra fu costruita una cappella, che nel corso dei secoli è stata via via trasformata fino a diventare l’attuale Basilica. Il bambino crebbe devotissimo alla Madonna, prese i voti secondo l’Ordine di San Francesco con il nome di Frate Egidio, morì a Madrid in concetto di santità.

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La sacralità umanizzata

Nel primo Trecento l’iconografia della Madonna va incontro a una forte evoluzione, soprattutto in ambito toscano. Le rappresentazioni che si sviluppano contemporaneamente di gravidanza e allattamento esprimono il sentimento e il desiderio di umanizzare la sfera sacra. Da quell’epoca inizia un percorso che porta a una nuova concezione della Madonna vista come donna inserita nel proprio contesto familiare. Dal punto di vista artistico si verifica la rottura definitiva con le proposte paleocristiane e bizantine: alle rappresentazioni sacrali e solenni si sostituiscono le immagini della Madonna raffigurata in un atteggiamento semplice e spontaneo, intimo e molto naturale nella sua funzione materna, resa evidente da una fisicità femminile quasi tangibile e ben diversa dal precedente misticismo35. Questa nuova concezione fu favorita anche dai fermenti sociali e religiosi che si andavano diffondendo nell’epoca e soprattutto dalla predicazione degli ordini mendicanti, promotori di un rapporto diretto e umano con le figure della storia sacra. In particolare la spiritualità francescana enfatizzava l’umanità di Cristo e abbracciava la devozione fervente verso la Madre. Le tipologie rappresentative in cui si articola tale evoluzione sono diverse. Una è costituita dalla Madonna dell’Umiltà: Maria non viene più rappresentata soltanto seduta in trono, «sceglie un prato fiorito, adagia il figlio sull’erba o su un lembo del mantello, siede e si inginocchia sul pavimento o su un semplice cuscino. Grandissima innovazione: Maria diventa sorella di umanità. La bellezza dell’eterno non fa concorrenza all’uomo anche se ne esalta la meno estetica delle virtù: l’umiltà recettiva, la sola capace dell’ultimo abbandono all’Altro…»36 (Figg. 16, 17, 18). In questa tipologia sono rappresentate scene di vita quotidiana e spesso Maria allatta: si consolida così una “straordinaria invenzione”, all’incirca contemporanea, che è l’iconografia della Madonna del Latte, che progressivamente assume una dignità raffigurativa autonoma e indipendente. Però, quando nelle opere iniziali c’era un’associazione tra “umiltà” e “allattamento” nelle denominazioni del quadro prevaleva sempre la prima, come se ci fosse una certa resistenza ad accettare l’idea di Maria che allatta37.

35. Le Madonne del Latte, L’angolo di Hermes, www.angolohermes.com. 36. Cfr. Ronchi E., Iconografia della Madonna del Parto, in La Madonna nell’attesa del parto. Capolavori del patrimonio italiano del ’300 e ’400, Libri Scheiwiller, Milano, 2000, pag. 30. 37. Berruti P., La sacralità umanizzata, in Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pag. 31.

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Fig. 16 Masolino da Panicale, Madonna dell’Umiltà, 1420 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze Fig. 17 Masolino da Panicale, Madonna dell’Umiltà, 1436, Alte Pinakoteke, Monaco Fig. 18 Andrea di Bartolo, Madonna dell’Umiltà, 1394-1415 circa, National Gallery of Art,Washington Fig. 19 Simone Martini, Lippo Memmi, Madonna della Misericordia, 1308-10, Pinacoteca Nazionale, Siena Frg. 20 Piero della Francesca, Madonna della Misericordia, 1448-62, Museo Civico, Sansepolcro

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La posizione di Maria seduta a terra non è quella abituale delle mamme che offrono il seno sedute su una sedia o una poltrona, spesso con le gambe sollevate e i piedi appoggiati su uno sgabello. È una posizione che mette in risalto la sua umanità, come evidenzia anche l’etimologia di umiltà che deriva da humus, terra. Umiltà che secondo i teologi del Medioevo era la “radice” di tutte le virtù. La Madonna dell’Umiltà si legava anche a un diverso modo di interpretare il ruolo della Chiesa, simboleggiata dalla Vergine, che gli ordini mendicanti volevano umile e a livello della gente. Si diffonde anche il modello della Madonna della Misericordia, per la quale Paolo Berruti propone la definizione di Madonna dell’Accoglienza38, con le braccia aperte a sostenere l’ampio mantello protettore sotto le cui ali raccoglie, come “aquila grande”, i suoi nuovi figli (Figg. 19, 20). Compare anche la Madonna del Parto, rappresentazione iconografica autonoma della gravidanza di Maria, non posta in relazione con altri eventi. La tipologia della Madonna in cinta si fa risalire alla icona bizantina della Maria Platytera, già citata, in cui la Madonna appare in piedi con le mani in preghiera, sul petto un clipeo che contiene l’immagine del bambino benedicente a mezzo busto, in posizione assiale con la Madre, senza rapporto organico con essa. La Madonna del Parto però si distacca da questo tipo, perché non mostra il bambino, ma solo una modesta rotondità del ventre accennata dalla cinta che racchiude in alto la veste. L’immagine non scaturisce dalla devozione popolare, ma da ambienti colti. Sembrano innegabili, ad esempio, alcuni riferimenti a San Bernardo, del quale è nota la devozione mariana39. Le Madonne del Parto tengono un libro nella mano sinistra, quella con cui nelle icone la Madonna generalmente tiene il Bambino. Il libro nella maggior parte dei casi è chiuso, spesso appoggiato sul ventre: è simbolo del Verbo ed è chiuso perché la Sapienza non si è ancora manifestata40. La tipologia della Madonna del Parto appare all’inizio del XIV secolo e rimane per lo più circoscritta all’ambiente toscano. La prima immagine conosciuta potrebbe essere quella conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Prato, datata attorno al 1320: Maria ha il manto blu e la veste rossa, tiene il libro appoggiato sul ventre (Fig. 21). Fanno seguito la Madonna del Parto attribuita a Bernardo Daddi, datata verso il 1334, conservata al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze: anch’essa ha il manto blu e la veste rossa, ma il libro posto sul ventre è insolitamente aperto (Fig. 22). 38. Ibidem, pag. 24. 39. Manetti R., Le Madonne del Parto, Edizioni Polistampa, Firenze, 2005, pag. 13. 40. Ibidem, pag. 15.

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Fig. 21 Anonimo pittore pratese, Madonna del Parto, XIV secolo, Museo dell’Opera del Duomo, Prato Fig. 22 Bernardo Daddi, Madonna del Parto, XIV secolo, Museo dell’Opera del Duomo, Firenze Fig. 23 Bernardo Daddi, Madonna del Magnificat, XIV secolo, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano Fig. 24 Attribuito a Nando di Cione, Madonna del Parto, XIV secolo, Chiesa di San Lorenzo, Firenze Fig. 25 Attribuito a Taddeo Guidi, Madonna del Parto, XIV secolo, Chiesa di San Francesco di Paola, Firenze

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Fig. 26 Piero della Francesca, Madonna del Parto, XV secolo, Museo della Madonna del Parto, Monterchi

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Poi, a breve distanza di tempo, la cosiddetta Madonna del Magnificat, attribuita anch’essa al Daddi, (Fig. 23), la Madonna del Parto di Nando di Cione, nella chiesa di San Lorenzo a Firenze (Fig. 24), la Madonna di Bellosguardo, nella chiesa di san Francesco di Paola a Firenze (Fig. 25), tutte datate attorno alla metà del Trecento. Questa iconografia comincia ad essere meno rappresentata nel XV secolo, fino al magnifico punto di arrivo costituito dall’affresco di Piero della Francesca per la Chiesa di santa Maria a Momentana a Monterchi presso Sansepolcro (Fig. 26). La Madonna, con regale compostezza, tiene la mano sull’apertura della veste azzurra. I due angeli, disegnati con uno stesso cartone e simmetrici anche nei colori, aprono il baldacchino dalla raffinata decorazione svelando la bellezza di Maria. «La tecnica di Piero è perfetta e in grado di trasferire sulla parete tutta l’idealità intellettuale del suo mondo, l’incanto dei gesti con cui si sbottona la veste, la solennità di una donna divenuta icona nell’essenzialità del colore, nella decisione del disegno, nella morbidezza dell’incarnato. A incrociare lo sguardo dello spettatore non ci sono i suoi occhi, delicatamente abbassati sul destino del Figlio: sono gli angeli a mostrarci il miracolo in atto»41. Infine, la Madonna del Latte, con la rappresentazione di un rapporto sempre più affettuoso ed intimo fra Vergine e Bambino, una nuova iconografia «emblematica di una dimensione religiosa che da una sacralità antica e aulica giunge ad una quotidianità rassicurante che permette ed esprime investimenti affettuosi emergenti, concettualmente sempre presenti, iconograficamente assenti»42. Le opere della Madonna del Latte potevano essere lette a vari livelli. Per i teologi esprimevano l’idea che Cristo si era veramente incarnato; il latte di Maria era l’immagine del nutrimento spirituale portato dalla parola di Dio. Per i devoti indicavano il ruolo fondamentale di Maria nella genesi dell’umanità di Cristo. Il tema dell’allattamento si prestava bene a evidenziare quest’aspetto: Gesù aveva fame e sete come qualunque altro bambino. Per la gente del popolo, per la quale la religiosità si basava in gran parte sulle immagini sacre, sottolineavano il ruolo di Maria come mamma e le donne che allattavano si sentivano confortate, poste sotto la protezione della Vergine. Le donne che non avevano latte pregavano con fervore davanti alle opere che rappresentavano la Madonna del Latte nella speranza di un miracolo43.

41. Cfr. Allegretti P. (a cura di), Piero della Francesca La vita e l’arte, i capolavori. In: I Classici dell’Arte, Rizzoli/ Skira Editori, Milano, 2003, pag. 100. 42. Berruti P., La sacralità umanizzata, in Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pag. 33. 43. Lett D., Moret M.F., Un hystoire de l’allaitment, Editions de la Martiniere, Parigi, 2006.

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Il culto dell’immagine votiva

Il bisogno di protezione è sempre stato vivo, soprattutto quando si trattava di mettere al mondo un figlio, e la Madonna era la figura protettiva per eccellenza. Nel bel libro Vivere nel Medioevo. Donne uomini e soprattutto bambini Chiara Frugoni descrive le condizioni di vita dell’epoca e i rischi legati alle condizioni ambientali e sociali, alla povertà, alle epidemie, responsabili di un’altissima mortalità neonatale e infantile44. A dar valore alla raffigurazione della Vergine che alimentava il suo bambino e ad aumentarne la devozione contribuirono quindi vari fattori come la malnutrizione e le malattie epidemiche che affliggevano tantissimi bambini. Per i loro figli i genitori invocavano e imploravano grazie pregando di fronte ai quadri della Madonna, la cui rappresentazione, anche nel momento dell’allattamento, diventò sempre più popolare45. Non avere latte per il proprio neonato costituiva un rischio per la sopravvivenza stessa del bambino. Alle preghiere e alle richieste di grazie si associava la pratica di fare offerte per avere la possibilità di allattare al seno, e comunque per tutto quanto riguardava la maternità, e di ringraziare la Madonna con un ex-voto affrescato. Tra questi, particolare diffusione ebbero le Madonne del Latte, che venivano affrescate, per lo più su commissione, lungo le pareti delle navate.Virginio Longoni ha parlato a questo proposito di “culto dell’immagine votiva”46: le chiese si riempirono di figure molto amate dalla gente, immagini che non avevano più il compito di raccontare il Vangelo e di visualizzare i misteri della fede, ma quello più umano di testimoniare un’esperienza e di perpetuare i valori di riferimento. L’allattamento era visto in queste opere come un atto prima di tutto spirituale; per questo motivo gli artisti seguivano poco la precisione anatomica, certamente non per imperizia. Il seno della Vergine, innaturalmente piccolo, era in generale collocato troppo in alto, a livello della spalla o sotto la clavicola, o troppo centrale, a livello dello sterno, o anche troppo in basso, a livello addominale o in regione sottoepatica (Figg. 27-35).

44. Frugoni C., Vivere nel Medioevo. Donne uomini e soprattutto bambini. Il Mulino, Bologna, 2017. 45. Miles M., The secolarization of breast.The Virgin’s one bare breast, University of California Press, BerkeleyLos Angeles, 2008, pag. 33. 46. Longoni V., Umanesimo e Rinascimento in Brianza. Studi sul patrimonio culturale, Electa, Milano, 1998, pag. 43.

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Fig. 27 Scuola cretese veneziana, Madonna allattante tra Giovanni Battista e San Rocco, XVI secolo, Abbazia Montecassino, Frosinone Fig. 28 Ignoto emiliano, affresco seconda metà del XVI secolo, Chiesa di Sant’Agostino, Reggio Emilia Fig. 29 Autore ignoto, Santa Maria Incaldana, Secolo XIII-XIV, Seminario di Santa Maria Incaldana, Mondragone, Caserta Fig. 30 Cristoforo Moretti, Madonna con Bambino e due Sante, affresco staccato XV secolo, Basilica di San Calimero, Milano

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Fig. 31 Autore ignoto, Beata Vergine di Bismantova, Affresco XIV secolo, Santuario della Pietra di Bismantova, Castelnuovo ne’ Monti, Reggio Emilia Fig. 32 Scuola Pistoiese,Vergine con Bambino, affresco seconda metà XIV secolo, Chiesa di San Bartolomeo in Pantano, Pistoia Fig. 33 Pseudo Jacopino di Francesco, Madonna con Bambino e un donatore, 1330 circa, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino Fig. 34 Maestro di San Domenico di Bevagna, Madonna del Latte, affresco prima metà del XIV secolo, Chiesa di Santa Giuliana, Perugia Fig. 35 Autore ignoto, Madonna del Latte, affresco secolo XIV, Chiesa della Madonna di Compagna, Verbania Pallanza

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Gesù Bambino era rappresentato spesso molto grande, a sottolineare che era Gesù prima ancora che un bambino. E spesso era anche nudo; i lattanti non erano generalmente nudi, nella cultura tradizionale si aveva consapevolezza della loro grande sensibilità al freddo e si tendeva a proteggerli con fasce e diversi strati di vestiti. Se Gesù era nudo, e qualche volta con i genitali in evidenza, stava a significare il suo essere uomo e non solamente Dio. Anche i gesti di tenerezza di Maria, pur sembrando naturali e realistici, avevano un significato simbolico: quando prendeva nella mano il piedino di Gesù, non era solo per giocare con lui come una mamma desiderosa di sentire sotto le sue dita la delicatezza della pelle del proprio bambino, ma stava ancora una volta a sottolineare la sua umanità, secondo quanto sostenuto da San Cirillo che nel IV secolo dichiarava che in Cristo la testa significava la Divinità, i piedi l’umanità.47 Anche gli oggetti che circondano Maria e Gesù o i piccoli monili che adornano il suo corpo avevano un significato simbolico. La cintura della Vergine significava la sua Verginità, il giglio era considerato simbolo di castità. L’uva rimandava al mistero dell’ultima cena e del sangue versato, come la rosa rossa che raccoglie il sangue di Cristo. Il limone preludeva ai giorni amari della passione; il tarassaco, anch’essa pianta amara, era simbolo del dolore. La mela alludeva al peccato originale, ma in mano a Gesù Bambino era simbolo di salvezza, di redenzione. Il cardellino rappresentava il presagio delle sofferenze del Calvario: la tradizione popolare riteneva che il cardellino, ma anche il fringuello e il pettirosso, avessero provato ad alleviare i dolori della passione di Cristo strappandogli dalla testa le spine della corona e macchiandosi di rosso. A volte era dipinto mentre mangiava acini d’uva, che rimandava al sangue di Cristo. Qualche volte veniva dipinta la rondine, annunciatrice della primavera e simbolo di speranza. Le spighe e i cardi significavano la corona di spine. Il libro era il riferimento alla parola di Dio: la simbologia era legata anche all’apertura e alla chiusura del libro stesso; il libro chiuso indicava la materia vergine, quello aperto la materia fecondata. Di volta in volta potrebbe alludere alla verginità di Maria o alla nascita di Gesù Bambino. Il rotulo, di pergamena o di carta, che Gesù teneva in mano simboleggiava il Vangelo, la parola che da adulto avrebbe annunciato. Il globo, talora sormontato da una croce, era simbolo di sovranità, di richiamo al suo ruolo di Signore, di Salvatore del mondo. La stella emanava la luce che guida il cammino. In alcune opere Gesù era rappresentato con un piccolo monile di corallo rosso, tradizionalmente ritenuto amuleto in grado di proteggere il neonato da ogni male, ma non era certamente questo il motivo per cui veniva dipinto al collo del Bambino. Il corallo, come una goccia di sangue, preludeva al sangue versato da Cristo sulla croce. 47. Lett D., Moret M.F., Un hystoire de l’allaitment, Editions de la Martiniere, Parigi, 2006, pag. 26.

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La presenza delle immagini della Madonna del Latte affrescate o raffigurate nelle pale d’altare delle chiese è diffusa un po’ dovunque nelle varie regioni italiane. In Lombardia il culto devozionale per La Madonna del Latte era particolarmente sentito, tra Lecco e Como, in Brianza come documentato nello studio etnografico di Natale Perego. A Garbagnate Monastero, nell’Oratorio dei Santi Nazaro e Celso, una Madonna del latte datata 1526, giunta fino ad oggi in ottimo stato, è un classico esempio di ex-voto, che ha costituito un riferimento devozionale per le partorienti del paese. Le donne andavano, dopo aver partorito, a ricevere la benedizione riservata alle puerpere, recitando una preghiera particolare48. A volte si ricorreva a pratiche che potevano sfociare anche nella superstizione, come toccare o grattare gli affreschi per avere più latte. Nella cripta della Basilica di San Vincenzo a Galliano, dove tutt’oggi viene venerata una Madonna del Latte, un tempo le donne bevevano l’acqua di un pozzo sottostante per favorire l’allattamento materno e facevano abluzioni sul petto. Spesso la richiesta era accompagnata da un’offerta. Natale Perego riporta che in Brianza le offerte, ad esempio camicie o salviette ricamate a mano, venivano attaccate a chiodi posti su supporti di legno a fianco dell’immagine. Se qualche devoto voleva donare oggetti di maggior valore, come catenine o orecchini d’oro, consegnava l’offerta direttamente al prevosto. Il pomeriggio del 15 agosto, festa dell’Assunta, tutti i donativi di un intero anno venivano messi all’asta e c’era chi mirava a ricomprarsi quanto donato a un prezzo superiore, lasciando un contributo maggiore alla chiesa49. Le Madonne del Latte sono numerose anche in Piemonte, in Veneto, nelle Marche, in Toscana, in Umbria, nel Lazio, in Campania, in Basilicata, in Sicilia50. Alessandro Saccardi51 cataloga nella sua ricerca 519 Madonne del Latte e sottolinea come il numero sia sicuramente superiore, sparse come sono tra tabernacoli lungo le strade di campagna, piccole chiese, conventi, musei, palazzi. Numerosis-

48. Perego N., Una Madonna da nascondere. La devozione per a “Madonna del latte” in Brianza, nel Lecchese e nel triangolo Lariano, Cattaneo Editore, Oggiorno, 2005, pag. 91. 49. Ibidem, pag. 83. 50. Cfr. Massara G.G., Lactatio Virginis, in Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pagg. 55-69; Berzani L., Cavallino M.G., Le Madonne del latte astigiane. Affreschi e contesto storicomedioevale, https://liberami.files.wordpress.com, Le Madonne del Latte, https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/p/la-madonna-del-latte.html, Bonicalzi L. et al, Il Latte della vita. Alla scoperta della Madonna del Latte tra Varesotto e Canton Ticino, Macchione Editore, Varese, 2015; Di Botol Mel E. (a cura di), Maria Lactans. La Madonna del Latte in Friuli, Leonardo, Pasian di Prato, 2009; Di Meo V. (a cura di), La Madonna del Latte di Castellina in Chianti. Storia, studio, restauri, Press&Archeos, Firenze, 2018; Maraschio W., La Madonna del Latte in Abruzzo, Carabba Editore, Lanciano, 2011. 51. Saccardi A., Ricerca iconografica delle Madonne Allattanti, digilander.libero.it/madonneallattanti.

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sime sono anche quelle riferite da Riccardo Brunetti52.Tommaso Claudio Mineo nel libro Imago Virginis, la spada e il latte53 pubblica una vastissima raccolta iconografica di Maria allattante. Natale Perego nel suo studio etnografico cataloga 54 opere in Brianza, tra Lecco e Como, dove il culto devozionale per la Madonna del Latte era particolarmente sentito54. Nell’impossibilità di ricordarle tutte, in questa sede se ne indicano alcune che, tra le altre, hanno rappresentato un interesse e un coinvolgimento particolari. In Umbria una Madonna del Latte è scolpita nella lunetta della facciata della cattedrale di San Rufino ad Assisi: nella lunetta sono rappresentati Cristo in trono entro un clipeo, tra San Rufino, la Madonna che allatta, il sole, la luna. Nel Lazio si ricorda l’affresco di Greccio, nella Cappella del Presepio, edificata nel 1228 su una piccola grotta scavata nella roccia dove la notte di Natale del 1223 San Francesco, con l’aiuto di Messer Giovanni Velita, signore di Greccio, rappresentò, previa autorizzazione papale, per la prima volta nella storia del cristianesimo la nascita di Gesù con personaggi viventi. Sotto la mensa moderna dell’altare, la roccia viva dove San Francesco depose il simulacro di Gesù Bambino; sulla parete retrostante il pregevole affresco di scuola giottesca attribuito al Maestro di Narni (Giovanni di Giovannello di Paulello) tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento (Fig. 36), rappresenta in due scene il presepio di Greccio e la Natività di Betlemme. Nella parte destra è rappresentata la Vergine nella grotta che allatta il Bambino sotto lo sguardo di San Giuseppe. Dietro, il bue, l’asino e un pastore con il suo gregge. In alto, un sacerdote officia la messa. Nella parte sinistra San Francesco in abito diaconale inginocchiato adora il Bambino. Dietro di lui sono raffigurati il popolo di Greccio e in primo piano, vestito con una lunga tunica rossa, Giovanni Velita con sua moglie Alticama Castelli. All’estremità della lunetta, è raffigurata la Maddalena inginocchiata, protettrice degli eremiti. In Campania la Madonna del Latte, di autore ignoto del XIII-XIV secolo, è conservata nel Santuario di Maria Santissima Incaldana a Mondragone, riprodotta anche in un francobollo delle Poste Italiane del 2006 (Fig. 37). Una antica Madonna del Latte, risalente al XII-XIII secolo, è affrescata nella chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve a Matera, città mariana. Il culto e la devozione sono tuttora molto sentiti in Sicilia, dove famosissima è la Madonna di Custonaci, attribuita alla scuola di Antonello da Messina, conser-

52. Brunetti R., Madonne allattanti, www.riccardobrunetti.it/madallattanti.htm. 53. Mineo T.C., Imago Virginis, La spada e il Latte, San Giorgio Editrice, Genova, 2008. 54. Perego N., Una Madonna da nascondere. La devozione per la “Madonna del latte” in Brianza, nel Lecchese e nel triangolo Lariano. Cattaneo Editore, Oggiorno, 2005.

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Fig. 36 Giovanni di Giovannello di Paulello, Il presepio di Greccio, XIV-XV secolo, Santuario Francescano del presepe, Greccio Fig. 37 Francobollo riproducente la Madonna del Latte di Mondragone

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vata nel Santuario di Maria Santissima, ma poi riprodotta in molte altre chiese di Erice e della Valderice, con qualche piccola diversità, ad esempio nelle decorazioni del mantello. La naturalezza della posa, la vivacità dei colori, il volto semplice e pulito, il sorriso appena accennato ne sottolineano la giovinezza e la freschezza oltreché la fierezza di essere madre. Una coppia di angeli colorati a note leggere sovrasta la figura incoronandola. Il manto è arricchito da anfore con fiori e spighe di frumento. Un suggestiva raffigurazione si trova anche nella chiesa di Santa Maria dei Greci ad Agrigento. Sculture lignee della Madonna del Latte, risalenti al XV secolo, sono conservate nel Museo Diocesano di Bressanone55.

55. Kronbickler J., Museo Diocesano Hofburg di Bressanone, Schnell-Steiner, Ratisbona, 2016.

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La fame spirituale

Per comprendere la popolarità della Madonna del Latte nel Medioevo, Cecelia Dorger propone anche un’altra interpretazione, quella di una “fame spirituale” determinata da un decreto del IV Concilio Lateranense del 1215 che portò a una minor frequenza nell’assunzione dell’Eucarestia56. La legislazione sinodale ne raccomandò l’assunzione tre volte l’anno: a Pasqua, a Pentecoste e a Natale, ritenendo i teologi che ricevere spesso la Comunione favorisse familiarità e quindi indifferenza verso il Sacramento. Come conseguenza fu iniziata una pratica, definita Comunione spirituale, per la quale vedere l’ostia era equivalente ad assumerla. Il Concilio Lateranense57 sancì che Cristo era presente nell’Eucarestia come carne e sangue e fu affermata la sua presenza reale sotto l’aspetto di pane e di vino. La preghiera di fronte all’immagine dell’ostia e del calice elevati sull’altare durante la Messa era percepita come un Sacramento e possedeva impatto e forza analoghi all’Eucarestia stessa. La dottrina eucaristica ratificata nel decreto lateranense influenzò la percezione medioevale della presenza divina in un oggetto o in un’immagine: se sostanze semplici come il pane e il vino potevano diventare il corpo e il sangue di Cristo, anche un’immagine poteva essa stessa diventare sacra e non solo rappresentare il suo prototipo58. Peraltro, già Plotino sosteneva che la tendenza a considerare la presenza del divino in una immagine o in un oggetto era parte della nostra natura59. Tra le tante rappresentazioni sacre, i devoti si nutrivano e saziavano la loro fame spirituale anche con l’immagine simbolica della Madonna del Latte, tra le più amate, raffigurata nelle pale d’altare usate come fondale, per focalizzare l’attenzione dei fedeli, durante la Messa, nei quadri e negli affreschi delle chiese60.

56. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pag. 117. https://doi.org/10.18297/etd/367. 57. Il IV Concilio Lateranense fu convocato a Roma nel 1215 da Innocenzo III. Tra le altre decisioni fu imposta la confessione e la comunione annuale (Precetto pasquale) e fu coniato il termine Transustanziazione per indicare la conversione della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e della sostanza del vino nella sostanza del sangue. 58. Camille M., The Gotic Idol, Cambridge University Press, Cambridge,1989, pag. 217. 59. Plotino, cit., in Trexler R.C., Public Life in Renaissance Florence, Conell University Press, ITHACA, 1991, pag. 56. 60. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic

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La fame spirituale

Come sottolinea Massimo Cacciari tra parola e immagine non v’è mai alcun diretto rapporto “illustrativo”, e tuttavia, specialmente per questa figura, «sembra spesso sia l’icona a eccedere la parola, e sia semmai la parola a ridursi a illustrazione dell’icona. Qual è, d’altronde, l’icona per eccellenza dell’evangelista pittore, se non appunto quella di Maria con il bimbo al seno?»61.

Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pag. 122. https://doi.org/10.18297/etd/367. 61. Cacciari M., Generare Dio, Il Mulino, Bologna, 2017, pagg. 10-11.

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La devozione per la Madonna del Latte nelle chiese e nei conventi

A contribuire alla sacralità dell’immagine e alla sua venerazione concorrevano, se l’immagine era collocata in chiesa, diversi fattori che inducevano forti stimolazioni sensoriali e un grande coinvolgimento emozionale, come le luci delle candele, i suoni delle campane, i cori dei fedeli, le vetrate colorate, i mosaici, gli affreschi con rappresentazioni di santi, di scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, l’architettura stessa delle chiese. Tutto questo portava a ininterrotte richieste a Maria di intercessione presso Dio e alla gratitudine e riconoscenza per l’esaudimento delle preghiere. Anche nei conventi l’immagine era frequentemente oggetto di venerazione: le suore usavano la Madonna del Latte come supporto visivo alla loro devozione e aiuto per la preghiera meditativa. Nel Convento domenicano del Corpus Domini a Venezia, per esempio, ogni suora aveva un’immagine della Madonna del Latte. Una di esse, dipinta da Andrea di Bartolo, conservata nella National Gallery of Art a Washington, è quella già riprodotta nella Fig. 18, come esempio di Madonna dell’Umiltà. È un’opera di piccole dimensioni, che doveva essere tenuta vicino durante la preghiera. Nell’angolo in basso a destra, un posto generalmente riservato al committente, è raffigurata un’esile figura di suora inginocchiata: indossa un indumento che normalmente veniva portato dalle Domenicane sotto la veste. Non è proprio un indumento per andare a dormire, visto che la suora non si è ancora tolto il soggolo, però poteva essere indossato solo nella riservatezza e nell’intimità della propria camera. Il piccolo quadro rappresenta un esempio di devozione privata, profondamente intima e personale, per la Madonna del Latte. Le suore non si sposavano, non partorivano, non allattavano. Nei conventi c’erano però anche vedove che avevano preso il velo dopo la morte del marito e molte di loro erano madri. Santa Caterina da Bologna proponeva che queste vedove indirizzassero la loro esperienza umana di madri verso l’essere madri spirituali di Cristo, trasformando un’emozione umana, che conoscevano, in una spirituale. Le religiose sentivano l’affinità con la Vergine Maria per alcune considerazioni. La Trinità, Dio Padre – Figlio – Spirito Santo, pone Maria nel suo ruolo di Figlia di Dio, Madre e Sposa. Le suore, come peraltro tutti i credenti, erano figlie di Dio ed entrando in Convento diventavano spose di Cristo. Forte era anche l’identificazione nel ruolo di Madre. In molti casi, al momento dell’ingresso veniva data loro una piccola statua di Gesù Bambino e si incoraggiava la devozione con il prendersi cura di lui62. 62. Ibidem, pag. 171.

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La devozione per la Madonna del Latte nelle chiese e nei conventi

Fig. 38 Quirizio da Murano, Cristo mostra le sue ferite e offre l’ostia a una suora, 1460-1478, Gallerie dell’Accademia,Venezia

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La devozione per la Madonna del Latte nelle chiese e nei conventi

Rituali privati dei conventi, diversi rispetto alle cerimonie più formali, portavano le “Madri monastiche” a baciare, accarezzare, coccolare, spesso a porre sui propri seni la statuina di Gesù Bambino. Diversi sono i racconti di visioni mistiche e di sogni estatici in cui le suore spiritualmente partorivano come Maria “senza aver conosciuto uomo” e allattavano Gesù Bambino. Spesso queste visioni comprendevano colloqui con l’effige di legno del bambino che era stata loro donata al momento di entrare in convento63. Sant’Agnese di Montepulciano raccontava che, dopo aver pregato ardentemente per incontrare Gesù Bambino, durante una visione mistica lo ricevette dalle braccia di Maria provando una gioia enorme in quell’abbraccio, tanto da non volerlo restituire alla Madre. Dovette farlo dopo essersi a lungo contrapposta a Maria. In questo racconto emerge il desiderio di maternità di Agnese, come di tante altre suore64. Il livello di intimità aumentava anche attraverso la preghiera e la supplica a Cristo per essere nutrite da lui. Il riferimento a Cristo come “madre” peraltro aveva radici lontane risalenti al II secolo65. Angela da Foligno66 e Caterina da Siena67 riferivano di questo loro desiderio. Le lettere di Caterina, in particolare, contengono i racconti di visioni mistiche di lei che viene nutrita dalla ferita del costato di Cristo, che definiva come il suo “seno”, e incoraggiava i fedeli a prenderne nutrimento anche loro: sottolineava come, finché non ci si attacca al seno divino, sia impossibile essere caritatevole con il proprio vicino. Anche il suo biografo Raimondo da Capua si riferiva a tale ferita come a una fontana d’amore: in senso metaforico, la ferita nel costato di Cristo coincideva con l’immagine di un “seno ferito” che aveva un ruolo materno. I risultati di questo intimo contatto erano l’amore profondo di Dio e la ricompensa del Paradiso eterno. Un’opera di Quirizio da Murano raffigura Cristo Salvatore che offre il proprio costato ferito. Il quadro ricorda quelli della Madonna del Latte: invece della Madre è Cristo ad offrire nutrimento alle suore devote che sono dipinte nell’angolo in basso a sinistra e a tutti i fedeli68 (Fig. 38). Per la devozione privata nelle case venivano costruiti anche piccoli altari attorno alle opere d’arte; talora frasi di preghiere erano incise nelle cornici. San

63. Ibidem, pag. 172. 64. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pag. . https://doi.org/10.18297/etd/367. 65. Ibidem, pag. 176. 66. Angela da Foligno, Lettere e pensieri, Introduzione, traduzione e note di Sergio Andreoli, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano, 1998. 67. Caterina da Siena, Lettere di Santa Caterina da Siena, a cura di Pietro Misciattelli, Marzocco, Firenze, 1939. 68. Ibidem, pag. 170.

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La devozione per la Madonna del Latte nelle chiese e nei conventi

Bernardino da Siena sottolineava la sacralità di questi spazi domestici e predicava come di fronte a tali immagini si dovesse pregare in raccoglimento, vestiti in maniera adeguata; se custodite in camera, raccomandava che intorno non vi fossero vasetti di cosmetici, ampolle di profumi, gioielli, pettini e spazzole per capelli69. Ignorare questi comportamenti significava non comprendere la Santità accordata all’immagine della Madonna del Latte. Il motivo era ripreso, sempre per la devozione privata, anche su medaglie che i fedeli inserivano in collane e indossavano.

69. Baldi A. (a cura di), Novellette ed esempi morali di S. Bernardino da Siena, Carabba Editore, Lanciano, 1916, pag. 98.

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La Madonna del Latte all’ingresso degli Istituti caritatevoli

Immagini della Madonna del Latte erano talora collocate anche all’ingresso degli Istituti che accoglievano i bambini abbandonati. Due esempi sono rappresentati dall’oratorio della Misericordia e dall’Ospedale degli Innocenti, entrambi a Firenze. Nella lunetta che sovrastava l’ingresso dell’oratorio della Misericordia, ora nel museo del Bigallo, opera trecentesca di Alberto Arnoldi, è scolpita la Vergine che, sorridente, interagisce teneramente con Gesù Bambino. Egli, sorridente a sua volta, indica la scollatura della mamma, a sottolineare che vuole essere alimentato (Fig. 39). William Levin sottolinea che questa immagine della Madonna del Latte stava ad indicare la missione di misericordia dell’Istituto, che consisteva nella cura dei bambini orfani, abbandonati, comunque indifesi70. L’opera offriva conforto ai genitori indigenti che erano costretti ad abbandonare i propri figli e rappresentava simbolicamente l’attenzione e la misericordia che i bambini avrebbero ricevuto, non inferiore a quella fornita dalla Vergine al proprio figlio. La serenità e la felicità che emanavano da Maria e da Gesù Bambino mentre stavano per iniziare la poppata poteva essere interpretata sotto una luce positiva anche se in una situazione così incerta, dolorosa, disperata. All’Ospedale degli Innocenti, sempre a Firenze, è presente un affresco della Madonna del Latte realizzato tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV, la Madonna con Bambino di Cenni di Francesco di Ser Cenni. Gli sguardi di Madonna e Bambino sono diretti e invitanti, fissano lo spettatore come per far percepire un’accoglienza calorosa (Fig. 40). Per genitori poveri, bisognosi, costretti a rivolgersi a un Istituto per le necessità di base dei loro figli, il motivo della Madonna del Latte si presentava quindi come elemento rassicurante. Tra questi genitori vi erano anche balie accompagnate dai loro mariti, che non avevano altre risorse se non quelle di abbandonare i propri figli per far posto al seno ai figli di famiglie abbienti, che pagando per tale prestazione le aiutavano nel sostentamento della famiglia, o che venivano chiamate dall’Istituto stesso per nutrire i bambini che lì erano abbandonati. L’immagine della Madonna del Latte non soltanto confortava i genitori e sottolineava la missione dell’Ospedale, ma poteva servire anche in altro modo, considerando il potere “totemico” che alle immagini stesse veniva attribuito, quello

70.. Cfr. Levin W. R., Lost Children, A Working Mother and the Progress of an Artist in the Florentine Misericordia in the Trecento, Publications of the Medieval Association of the Midwest 6 (1999): 34-84; Levin W.R., Studies in the Imagery of Mercy in Late Medieval Italian Art, Ph.D. diss., University of Michigan, 1983.

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La Madonna del Latte all’ingresso degli Istituti caritatevoli

Fig. 39 Alberto Arnoldi, Madonna e Bambino, 1361, Museo del Bigallo, Firenze

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di “facilitare la produzione di un generoso flusso di buon latte”71. Qualche ulteriore considerazione sulle condizioni di tanti bambini dell’epoca, spesso allattati dalle balie. Per chi aveva possibilità economiche, affidare un bambino a una balia consentiva alla propria sposa di ridurre il distacco fra una gravidanza e l’altra, di non occuparsi dell’ultimo nato, dovendo accudire comunque gli altri figli ancora piccoli. L’ideologia maschile dell’ottima moglie comportava la necessità, per una donna, di essere feconda e prolifica e le gravidanze si succedevano di anno in anno. Una volta allontanato da casa il nuovo nato, anche se medici e religiosi erano assolutamente contrari all’idea che non fosse la madre a nutrire il proprio figlio72, i coniugi potevano riprendere subito i rapporti sessuali. La credenza popolare riteneva poi che il latte di una donna incinta fosse poco nutriente e addirittura nocivo, anche se invece medici e pensatori ritenevano che la madre che aveva nutrito con il suo sangue il bambino durante la gravidanza continuasse a modellarlo a sua propria immagine con il latte. Si pensava infatti che il latte materno fosse un derivato del sangue mestruale. Se proprio fosse stato necessario scegliere una balia, occorreva trovarne una che almeno assomigliasse alla madre del piccolo. Per un padre era più importante il principio del lignaggio: il figlio apparteneva unicamente a lui e ai suoi parenti, solo la linea maschile assicurava la trasmissione dei beni e la discendenza. Il ruolo della moglie nel gruppo familiare era trascurabile e non importava poi tanto che la madre fosse sostituita da una balia, tanto più che il valore del sangue paterno, trasmesso al momento del concepimento, era ritenuto assolutamente superiore a quello del sangue e del latte della madre e della balia. L’allattamento mercenario comportava rischi altissimi per la sopravvivenza del bambino, tuttavia, «come è stato autorevolmente dimostrato, almeno per la Toscana dal Trecento in poi, il destinare consapevolmente il bambino a una morte probabile era dovuto all’atteggiamento culturale della società del tempo che riteneva il padre protagonista della procreazione e insindacabile giudice della prole»73. Era il padre che sceglieva la balia, che si trovava nelle condizioni di poter alimentare un altro bambino o perché aveva svezzato troppo precocemente il proprio, con conseguenze spesso letali, o perché il figlio le era appena morto, o perché lo aveva dato a sua volta a balia. In questi ultimi casi la balia sarebbe stata libera di andare ad abitare in città, presso il suo “datore di lavoro”. Avere la balia a casa propria era però un grande lusso, e quindi il padre decideva quasi sempre

71. Holmes M., Disrobing the Virgin: The Madonna Lactans in Fifteenth-Century Florentine Art. In: Johnson G. and Matthews Grieco S.F. Ed., Picturing Women in Renaissance and Baroque Italy, Cambridge University Press, Cambridge, 1997. 72. Frugoni C., Vivere nel Medioevo. Donne uomini e soprattutto bambini. Il Mulino, Bologna, 2017, pagg. 77-80. 73. Ibidem, pag. 78.

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l’allontanamento del figlio, o molto più spesso della figlia, perché il maschio sarebbe diventato l’erede. Il padre avrebbe però potuto generare figli anche con le schiave e con le serve di casa: questi bambini erano socialmente condannati, destinati all’ospizio e le loro madri costrette ad essere balie dei figli del padrone o vendute a chi era in cerca di una balia. L’abbandono di un bambino era spesso “un infanticidio differito” perché, pur raccolto nelle pie istituzioni, il piccolo aveva una speranza di vita assai bassa, circa un quarto di loro moriva infatti entro il primo anno di vita74. Il contratto riguardante la balia avveniva tra il padre e il marito della balia, senza che le madri potessero dire nulla e senza che fossero indicate per nome nella stesura dell’accordo. Una miniatura contenuta in un manoscritto di Aldobrandino da Siena, il Régime de santé, mostra una ricca donna mentre tasta il seno di una nutrice per verificarne la produzione di latte e quindi per assumerla come balia75. Questa situazione non era però la più comune, essendo in genere il padre a fare tale scelta Il bambino entrava così a far parte della famiglia della balia, spesso come estraneo, senza che la donna destinata ad accudirlo nutrisse sentimenti di affetto verso di lui. Molte balie vivevano in campagna, in condizioni di povertà, esse stesse denutrite. Se avevano da nutrire anche il proprio figlio, a volte lesinavano il latte al piccolo loro affidato. Sono documentati episodi di rottura degli accordi stipulati dai padri che avevano come causa la denutrizione, l’incuria, i maltrattamenti, le cadute dalla culla, le malattie febbrili. Giovanni Morelli parla della situazione tristissima del proprio padre affidato a una balia, che lo picchiava spietatamente e il pensiero di lei lo tormentava anche molti anni dopo76. Talora i bambini morivano per soffocamento, in genere attribuito all’abitudine della nutrice di coricarsi con il piccolo accanto a sé nel letto, per averlo vicino e alimentarlo più facilmente o per riscaldarlo. Il fatto che morissero più femmine che maschi, contribuiva ad alimentare il sospetto che in alcuni casi le morti non fossero accidentali. Vi sono, al contrario, anche molte segnalazioni di legami profondi: a volte le balie decidevano insieme ai mariti di adottare i bambini affidati loro. In altri casi si affezionavano così tanto da decidere di allattare il bambino anche oltre i tempi stabiliti, volontariamente e senza compenso, e ricordavano l’allattamento come un piacere. Come detto, le immagini della Madonna del Latte all’ingresso degli Istituti avevano un significato simbolico che induceva all’accoglienza e alla speranza. 74. Ibidem, pag. 79. 75. Ibidem, pag. 79. 76. Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, a cura di Branca V., Le Monnier Editore, Firenze, 1969.

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La Madonna del Latte all’ingresso degli Istituti caritatevoli

Fig. 40 Cenni di Francesco di Ser Cenni, Madonna con Bambino, fine XIV – inizio XV secolo, Spedale e Museo degli Innocenti, Firenze

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A testimonianza dell’importanza dell’attività assistenziale svolta nel corso dei secoli nell’Istituto degli Innocenti di Firenze, proprio in questa sede è stata proclamata nel 1990 dai partecipanti al meeting internazionale Breastfeeding in 1990s: a global iniziative la Dichiarazione degli Innocenti per la protezione, promozione, sostegno dell’allattamento al seno. La Dichiarazione afferma che migliorare le pratiche che favoriscono l’allattamento al seno rappresenta un modo per garantire i diritti dei bambini a un livello di salute ottimale e delinea un’agenda valida per i vari governi con obbiettivi precisi che consentano di ottenere i risultati sopraindicati.

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I tabernacoli

La raffigurazione della Madonna del Latte ebbe larga diffusione non soltanto nelle chiese e negli oratori, ma anche nei cortili privati, nelle edicole, nei tabernacoli, eretti nel corso dei secoli dalla devozione popolare, omaggio alla Madonna perché proteggesse e propiziasse la vita di tutti giorni. Ce n’erano di minuscoli e poveri, opera di ignoti artigiani, ma anche di ricchi e maestosi, coperti di maioliche, marmi, stucchi, baldacchini e firmati da grandi artisti, sperduti nelle città e nelle campagne o collocati ai crocicchi dei sentieri e agli angoli dei palazzi Erano espressione della devozione, di un vero e proprio culto che coinvolgeva ogni strato sociale: la Madonna del latte nei secoli scorsi era una delle immagini più conosciute, affrescate, venerate. Frances Mayes nel suo libro Sotto il sole della Toscana77, ambientato ai nostri giorni, narra come tale devozione ancora continui. L’artista racconta la sua nuova esperienza di vita dopo aver acquistato e ristrutturato una casa e un podere nella campagna toscana vicino a Cortona. Nel muro di pietra della proprietà, al confluire di due strade sterrate, è descritto un tabernacolo, una semplice nicchia scavata, con la Madonna di porcellana su sfondo azzurro in stile robbiano, sempre molto curata. Ogni giorno dei fiori venivano posti davanti all’immagine: un ramoscello di oleandro, un mazzo di rose selvatiche e fiori di finocchio legati insieme con uno stelo, denti di leone, ranuncoli, lavanda. L’immaginazione della scrittrice era che li portasse una donna, magari vestita con un abito fantasia e la borsa della spesa attaccata al manubrio di una vecchia bicicletta. Incuriosita cercava di vedere chi li deponeva. Qualche volta, di primo mattino, passava una donna molto anziana, curva, avvolta in uno scialle rosso, che mandava un bacio con la punta delle dita e poi toccava l’icona in ceramica della Madonna. Altre volte un uomo fermava la macchina, scendeva e si raccoglieva un momento davanti all’immagine, poi ripartiva sgommando. Ma nessuno di loro portava con sé dei fiori. Un giorno Frances Mayes vide avvicinarsi a piedi un vecchio, alto e dignitoso, con il cappotto sulle spalle e la camminata lenta e contemplativa, sentì il passo sulla ghiaia arrestarsi un istante, poi il rumore di passi che si allontanavano. Si accostò per vedere il tabernacolo: un fascio di fiori rossi, di aster selvatici era stato deposto sui fiori dei giorni precedenti. Ogni volta l’uomo si avvicinava osservando attentamente i 77. Mayes F., Sotto il sole della Toscana, BUR, Milano, 2000.

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spighe di grano? Accarezzo il filo d’erba che tiene

Alcuni esempi tra i tanti tabernacoli diffusi un pò d I tabernacoli

e e la camminata lenta e contemplativa, sentì il passo sulla ghiaia arrestarsi un istante ore di passi che si allontanavano. Si accostò per vedere il tabernacolo: un fascio di fio selvatici era stato deposto sui fiori dei giorni precedenti. Ogni volta l’uomo si avvic rvando attentamente i campi e il ciglio sulla strada, in cerca di fiori da cogliere, scegl li che più gli piacevano, variando sempre, portando i nuovi fiori che via via spuntava clude la scrittrice: «Il fatto di aver comprato un tabernacolo mi sembra meraviglioso. ono felice per aver acquisito il rituale dell’uomo dei fiori. Quando è davanti all’imm do mai. Solo dopo scendo e vado a vedere cosa ha lasciato. Ginestra e papaveri? Lav he di grano? Accarezzo il filo d’erba che tiene insieme il mazzo»79.

ni esempi tra i tanti tabernacoli diffusi un pò dovunque sono rappresentati in Fig.41.

Fig.41 Tabernacoli: Firenze, Via del Sole angolo via del Mo Escheto

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La relazione tra la mamma e il neonato ha significa vari autori che si sono occupati di studiare gli aspet intercorrono tra loro fin dai primi momenti di vita d E’ suggestivo però riflettere su come già da molti s percepito l’importanza degli aspetti relazionali e co nelle proprie opere e in particolare nelle Madonne d 1 Tabernacoli: Firenze, Via del Sole angolo via del Moro; Matera, Via del Duomo, Lucca, San Mich Madre e Bambino, avevano un aspetto sacrale, sole eto coinvolgimento emozionale. sottolinea Massimo Cacciari «la maestà dell’ elazione madre bambino, Come arte e psicodinamica piantato al centro del suo petto, perfetta reliquia ne Fig. 41 Tabernacoli: in alto, Matera,Via del Duomo; sotto, Lucca, San Michele in Escheto 80 interpretati e de elazione tra la mamma e ilnella neonato ha che significati profondi, analizzati, . terra procede al tramonto» autori che si sono occupatiL’attenzione di studiare glidegli aspettiartisti fisiologici, psicologici, c in Occidente si emozionali rivolge pro 58 del piccolo. corrono tra loro fin dai primi momenti di vita sentimenti, stati d’animo, coinvolgimenti emoziona uggestivo però riflettere su come già da molti secoli grandi artisti, scultori e pittori, av

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campi e il ciglio sulla strada, in cerca di fiori da cogliere, scegliendo quelli che più gli piacevano, variando sempre, portando i nuovi fiori che via via spuntavano. Conclude la scrittrice: «Il fatto di aver comprato un tabernacolo mi sembra meraviglioso. Ma ancor più sono felice per aver acquisito il rituale dell’uomo dei fiori. Quando è davanti all’immagine non guardo mai. Solo dopo scendo e vado a vedere cosa ha lasciato. Ginestra e papaveri? Lavanda e spighe di grano? Accarezzo il filo d’erba che tiene insieme il mazzo»78. Alcuni esempi tra i tanti tabernacoli diffusi un po’ dovunque sono rappresentati in Fig. 41.

78. Ibidem, pag. 50.

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Fig. 42 Giovanni Pisano, Madonna del colloquio, metà del XIII secolo, Museo dell’Opera del Duomo, Pisa

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La relazione tra la mamma e il neonato ha significati profondi, analizzati, interpretati e descritti dai vari autori che si sono occupati di studiare gli aspetti fisiologici, psicologici, emozionali che intercorrono tra loro fin dai primi momenti di vita del piccolo. È suggestivo però riflettere su come già da molti secoli grandi artisti, scultori e pittori, avessero percepito l’importanza degli aspetti relazionali e con splendide intuizioni li avessero rappresentati nelle proprie opere e in particolare nelle Madonne del Latte. In epoche precedenti le due figure, Madre e Bambino, avevano un aspetto sacrale, solenne, apparentemente senza un particolare coinvolgimento emozionale. Come sottolinea Massimo Cacciari «la maestà dell’Oriente, il trono della Theotokos col Cristo ben piantato al centro del suo petto, perfetta reliquia nell’urna del suo seno, non può essere immaginata nella terra che procede al tramonto»79. L’attenzione degli artisti in Occidente si rivolge progressivamente verso la rappresentazione di sentimenti, stati d’animo, coinvolgimenti emozionali che caratterizzano il rapporto madre-bambino. Paolo Berruti sottolinea che «l’evoluzione iconografica/artistica della maternità in una sua situazione protratta e gioiosa - quella dell’allattamento, rispetto a quella più transeunte e sofferta del parto - consente e propone molteplici riflessioni sui percorsi del nostro divenire antropologico tra sacralità e laicità, tra psicodinamica e biologia»80. Fin dall’inizio il neonato ha un contatto molto intenso con la madre, attraverso lo sguardo, il tocco, la voce. Il contatto fisico è di grande importanza perché possa percepire in modo positivo la relazione con l’ambiente. Per un suo sano sviluppo sono indispensabili alcune esperienze primarie, costituite da emozioni, movimenti, sensazioni fisiche, fantasie, il tutto intersecato con i sistemi e apparati biologici interni dell’organismo81. La ricerca del seno da parte del neonato e il dono che ne fa la madre offrendo il suo latte per nutrirlo rappresentano per entrambi un ritorno a quello stato di unione che hanno vissuto nel corso della gestazione come se si trattasse di un nuovo cordone ombelicale che si riannoda a tratti fra loro e che serve a ricucire la “ferita” della nascita82.

79. Cacciari M., Generare Dio, Il Mulino, Bologna, 2017, pag. 59. 80. Berruti P., La sacralità umanizzata, in Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Edizioni Polistampa, Firenze, 2006, pag. 23. 81. Domenici R., Rindi P., Matteucci L., Fra le nostre braccia, Eureka Editore, Lucca, 2011. 82. Vegetti Finzi S., A piccoli passi, Mondadori, Milano, 1994.

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G. Resta sottolinea come durante la gestazione si verifichi una fase di reciproca dipendenza che è indiretta perché si effettua attraverso organi intermediari come la placenta e gli annessi fetali, continua, di lunga durata pari a quella della gravidanza: al termine predominano le tendenza all’autonomia che trasformano la coppia gestante-feto in quella partoriente-feto e quindi in quella partoriente-neonato. Attraverso il parto-nascita si passa ad una reciproca autonomia il cui raggiungimento avviene tra dolori e traumi. Con l’allattamento al seno si ripristina una reciproca dipendenza che è diretta perché si realizza senza organi intermediari, ma piuttosto di parti dell’organismo della nutrice con parti dell’organismo del lattante e che si basa sulla trasformazione di organi della madre (le mammelle) e sull’adeguamento ed utilizzazione della bocca del figlio, intermittente, di breve durata, quella del pasto. Quando viene raggiunta la sazietà si rende necessaria l’interruzione della poppata e quindi il distacco madre-figlio, inauguratosi con il parto-nascita, viene rivissuto in forma modificata, collegato non più all’ansia e al trauma, ma piuttosto alla soddisfazione e alla sazietà. Con la fine della poppata si passa ad una reciproca autonomia collegata a sensazioni piacevoli della madre, la detumescenza del seno, e del figlio, la scomparsa della fame83. Viene a ricostituirsi, sommo momento “riparativo”, quella unità prima biologica e ora duale che il parto aveva crudamente scisso84. «Più che nell’atto impartecipato e sostanzialmente monorelazionale del parto, la maternità è nel vissuto del neonato e nella gratificazione della mamma, l’atto compartecipato ed emozionalmente birelazionale dell’allattamento, il passaggio dal dolore al piacere, dalle contrazioni dell’utero al titillamento del seno»85. Durante la poppata gli sguardi tra mamma e neonato sono particolarmente intensi. Stefano Ferrari ricorda come «il bambino contempla beato il volto della mamma che a sua volta guarda compiaciuta la creatura che tiene tra le sue braccia. Per il bambino di quella età essa è tutto, c’è con lei uno stato di fusionalità completa: la propria soddisfazione, il proprio benessere trovano un riscontro onnipotente nel volto della madre che a sua volta è soddisfatta e appagata da questo rapporto, incrocia e scambia il suo sguardo con quello del figlio»86. Questo sguardo reciproco, questo incontro tra madre e bambino vengono rappresentati nelle opere d’arte soprattutto a partire dal XIII-XIV secolo.

83. Cfr. Resta G., Pregnancy and breastfeeding: developmental stages of mother-child bonding,Ann Obstet Gynecol Med Perinat, 1992, 113:201-6; Resta G., Gravidanza e allattamento al seno, 1993, Ped Med Chir 15:461-4. 84. Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 26. 85. Ibidem, pag. 25. 86. Ferrari S., Lo specchio dell’Io: autoritratto e psicologia, Laterza, Bari, 2002.

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La duplice umanizzazione della madre e del bambino rende sacra la biologia dell’atto allattante e nello stesso tempo rende evidente la loro relazione che diventa condivisibile per tutti i devoti87. Così come la rappresentazione della Vergine in lutto per il proprio figlio morto ispirava pietà e compassione, le opere della Madonna del Latte suscitavano empatia, desiderio di immedesimazione e di imitazione. Per arrivare a questa rappresentazione compiuta e definita della relazione madre-bambino, si osservano nella storia dell’arte alcuni passaggi preliminari, che mettono in risalto gli sguardi intensi, l’aggancio visivo, l’affettività degli atteggiamenti88. Un esempio è costituito dalla scultura di Giovanni Pisano, definita da Enzo Carli Madonna del colloquio89 (1278-1285), dove è evidente una attenzione reciproca, assoluta ed esclusiva, quasi palpabile nello sguardo (Fig. 42). Lo stesso artista nelle scene della Natività scolpite per il pulpito della chiesa di Sant’Andrea a Pistoia e per quello del Duomo di Pisa (Fig. 43) rappresentò la Madonna che scosta il velo del Bambino. In queste opere allo sguardo si aggiunge il gesto per cercarsi e guardarsi sempre più intensamente. Anche la Madonna del Latte di Nicola Pisano, scolpita per la Chiesa di Santa Maria della Spina e oggi conservata nel Museo di San Matteo a Pisa, evidenzia una profonda indagine psicologica messa in risalto da uno sguardo intenso e molto partecipe tra Maria e Gesù Bambino. Il fine panneggio dell’abito con le sue linee sinuose mette in risalto il bambino aggrappato al seno materno che si alimenta sotto lo sguardo tenero, amorevole, affettuoso della mamma (Fig. 44). Nella pittura a rappresentare il tenero, dolce, silenzioso colloquio tra Maria e Gesù Bambino è Giotto nell’affresco della Natività della Cappella degli Scrovegni a Padova, “uno dei più emozionanti” della storia medioevale90 (Fig. 45). Nella Madonna di Ognissanti Giotto rivoluziona la tradizione iconografica dell’epoca dipingendo una donna/mamma, forse la prima nella storia dell’arte, molto realistica: il movimento avvolgente delle pieghe della veste, che si dispongono in maniera concentrica rispetto alle pieghe del busto, evidenzia naturalmente il seno. Pur mantenendo l’imponenza della Madonna rispetto ai santi, la simmetria della composizione, il fondo dorato, Giotto inserisce la scena in una dimensione terrena. L’opera «viene a costituire un manifesto” per un realismo quotidiano»91 (Fig. 46). 87. Celani J., “Verginità feconda”. Il contesto storico-religioso. In Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 16. 88. Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 33. 89. Carli E., Il Museo di Pisa, Pacini Editore, Pisa, 1974. 90. Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 23. 91. Ibidem, pag. 30.

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Fig. 43 Giovanni Pisano, Natività, Pulpito del Duomo, Pisa Fig. 44 Nicola Pisano, La Madonna del latte, 1345-50 circa, Chiesa di Santa Maria della Spina ora nel Museo Nazionale di San Matteo, Pisa Fig. 45 Giotto, La Natività (particolare), 1303-1305, Cappella degli Scrovegni, Padova

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Fig. 46 Giotto, Madonna di Ognissanti, 1310 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

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L’importanza dell’aggancio visivo che lega i due protagonisti si evidenzia anche nelle opere di Pietro Lorenzetti: nella Madonna con Bambino, con il bambino che si protende verso il viso della mamma, che a sua volte lo accoglie in una risposta di tacita compartecipazione (Fig. 47), e nella Madonna con Bambino fra San Francesco e San Giovanni nella Basilica di San Francesco ad Assisi, affresco in cui si osserva anche un particolare insolito, il pollice “ad autostoppista” della Madonna che indica San Francesco (Fig. 48). Fu però suo fratello Ambrogio Lorenzetti a dipingere la «prima versione pittorica schiettamente occidentale e moderna dell’antico tema bizantino della Galaktotrophousa»92 (Fig. 49), una delle immagini più struggenti e celebri dell’arte italiana del Trecento (1325 circa). L’opera è un capolavoro assoluto per la qualità pittorica e può essere considerata l’archetipo iconografico della Madonna del Latte per la rappresentazione dei sentimenti. La Vergine abbraccia il Bambino già un po’ cresciuto, il suo sguardo è tenero e malinconico; il Bambino, mentre si nutre al seno della Madre, sembra d’improvviso arrestarsi per osservare lo spettatore. La composizione ha una spettacolare monumentalità plastica: la Madonna perde la frontalità e la staticità tipica delle icone bizantine, è spostata a sinistra, eccede al di là della cornice, elegante nastro dalle tonalità violacee. L’atteggiamento è molto intimo e materno, la rappresentazione è pensata per favorire il rapporto empatico dello spettatore nei confronti dei personaggi, sembra che Maria voglia offrire il Bambino all’abbraccio del devoto. Gesù volge gli occhi verso l’osservatore e lo coinvolge direttamente con uno sguardo molto intenso per renderlo partecipe di un rapporto così intimo, spontaneo e umano. Lo sfondo dorato esprime la realtà spirituale e divina che le figure celano. Le linee scure sulle braccia e sulle gambe di Gesù Bambino testimoniano l’usanza del tempo di fasciare i neonati e i bambini nei primi mesi di vita, sono le tracce della compressione delle bende sugli arti del vivacissimo Gesù Bambino, per pochi momenti svincolato da tanti lacci93. Caratteristica dell’arte di Lorenzetti, letterato e filosofo come già ricordava Vasari “avendo dato opera nella sua giovinezza alle lettere che gli furono utile e dolce compagnie nella pittura”94, è quella di evidenziare i sentimenti dei personaggi rappresentati e di coinvolgere emotivamente l’osservatore. Con lui la sacralità della madre di Dio viene convertita in una maternità umanizzata dalla concretezza dell’allattamento, la sua Madonna trasforma «l’istintualità in relazione»95.

92. Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di), Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 30. 93. Frugoni C., Vivere nel Medioevo. Donne uomini e soprattutto bambini. Il Mulino, Bologna, 2017, pag. 66. 94. Vasari G., Le vite dé più eccellenti pittori, scrittori ed architetti, Einaudi, Torino, 1986, pagg. 174-6. 95. Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di): Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 36.

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Fig. 47 Pietro Lorenzetti, Madonna col Bambino, 1310-15, Chiesa di Santo Stefano, Castiglione d’Orcia Fig. 48 Piero Lorenzetti, Madonna con Bambino tra San Francesco e San Giovanni Evangelista, Basilica di San Francesco, transetto inferiore, Assisi

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Fig. 49 Ambrogio Lorenzetti, Madonna del Latte, Museo Diocesano di Arte Sacra, Siena

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La Madonna del Latte è la figura commovente della madre che allatta il suo Dio, è la Madonna dantesca “Vergine Madre, figlia del tuo figlio”. Il Bambino divino, inviato dal Padre per la nostra salvezza, riceve l’umanità nutrendosi del suo latte. Viene rappresentata la mamma che soddisfa la fame, e che «diventa il primo oggetto d’amore e certamente anche la prima difesa contro tutti i pericoli indeterminati che incombono minacciosi dal mondo esterno, prima protezione contro l’angoscia»96, come nell’opera di Defendente Ferrari (Fig. 50). Il modello si diffonde rapidamente non solo con la rappresentazione del momento specifico dell’allattamento e dell’attacco al seno, ma anche dei momenti che precedono la poppata, sguardi e abbracci, e dei momenti che ne fanno seguito, appagamento, quiete, sonno. Il Bambino non è più rappresentato in modo stereotipato, fisso e rigido, ma diventa bambino come gli altri, fa le cose di tutti, si muove, protende le braccia verso la mamma, l’abbraccia, le tocca il viso, si aggrappa alle vesti, introduce la mano nella scollatura dell’abito materno, come nella Madonna con Bambino (Madonna Benson) di Antonello da Messina, opera in cui l’artista coglie un gesto di particolare intimità tra Gesù e Maria. Letteralmente non è una Madonna del Latte, ma il gesto tenero e amorevole è quello compiuto molto spesso dai bambini quando cercano il seno, non solo per alimentarsi, ma anche per essere rassicurati, per trovare conforto e piacere (Fig. 51). Anche la Madonna con Bambino di Andrea Mantegna non rappresenta una scena di allattamento: il bambino è immerso in un sonno quieto, presumibilmente dopo aver terminato la poppata (Fig. 52). Il capo della mamma è reclinato su quello del figlio, che lei stringe a sé con tenerezza e ne sorregge la testina che sembra aver perduto ogni forza. In quest’opera straordinaria, di forte lirismo e di grande tensione emozionale, Massimo Cacciari vede «Maria eleousa, Maria il cui cuore è misericordia, nel senso più drammatico che il termine assume nel linguaggio evangelico (il cuore del prossimo che va a pezzi alla visione della sofferenza) e insieme Maria della dolcezza, Maria che guancia a guancia col bimbo, ne presagisce il destino. Il figlio, qui avvolto nelle fasce che lo stringono tutto, che gli impedirebbero, fosse anche desto ogni gesto di tenerezza, anche solo di toccare la madre, qui dorme nel sonno che è figura futuri. Questo pesante sonno è presagio dell’ultima ora e quelle fasce sono il lenzuolo dentro cui sarà sepolto nella roccia […]»97. È la giovanissima madre ad implorare consolazione, sembra chiedersi se proprio da lei, da una sua colpa, derivino la debolezza e la mancanza di difesa del bambino. Quanto più Maria tocca il figlio, e quanto più lo tiene stretto a sé, tanto 96. Freud S., Compendio di psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino, 1989. 97. Cacciari M., Generare Dio, Il Mulino, Bologna, 2017, pag. 54.

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Fig. 50 Defendente Ferrari, Madonna con Bambino, 1505 circa, Galleria degli Uffizi, Collezione Contini Bonacossi, Firenze

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Fig. 51 Antonello da Messina, Madonna Benson, 1479 (?), National Gallery of Art,Washington Fig. 52 Andrea Mantegna, Madonna col Bambino, 1465-1470 circa, Staatliche Museum zu Berlin, Preußischer Kulturbesitz Gemäldegalerie, Berlino

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Fig. 53 Correggio, Madonna del Latte e un angelo, 1524 circa, Szépmuvésti Museum, Budapest

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più deve avvertirne il destino. «L’accordo, la concinnitas fra il timbro dell’icona della dolcezza che vuole consolare, ma che in nessun modo si illude di poterlo veramente, e quello del più drammatico abbandono forma l’armonia straordinaria di questa icona dell’Occidente»98. La Madonna del Latte di Correggio ispira molta tenerezza (Fig. 53). Una mamma è impegnata nel compito quotidiano di alimentare il proprio bambino e sembra a metà della poppata quando il bimbo si distrae perché un angelo gli offre un frutto. Le gambe di Gesù si allargano nel tentativo di girarsi creando una composizione dinamica; la posa di Gesù Bambino, vivace ed esuberante, contrasta con l’atteggiamento tranquillo, di contentezza della Madonna. La sua espressione è piena di tenerezza materna nell’attesa che Gesù e il cherubino smettano di giocare. Il messaggio sembra essere che Maria non perda mai la pazienza anche se Gesù si divincola e la composizione trasmette allo spettatore la pace e la serenità della Vergine e il suo compiacimento nell’allattarlo. È una mamma serena, che teneramente abbraccia il suo bambino, imperturbabile di fronte alla sua indisciplinatezza e turbolenza. Dallo scambio degli sguardi e dai gesti affettuosi si arriva all’offerta diretta del seno da parte di Maria, rappresentata quando si slaccia apertamente la veste in due opere di Sandro Botticelli. Una è la Madonna Bardi (Madonna tra i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista), commissionata da Agnolo Bardi per la cappella di famiglia nella Basilica di Santo Spirito a Firenze nel 1485 (Fig. 54). La chiesa, fondata dall’ordine mendicante degli Agostiniani, era uno dei principali centri di cultura della Firenze del tempo e proprio per questo il committente chiese al Botticelli un’opera colta, piena di citazioni bibliche, che ne evidenziassero la complessità iconologica. La Madonna, con un’espressione molto dolce, è rappresentata su un trono, Gesù Bambino viene ritratto mentre si agita un po’ per raggiungere il seno della madre, che lei scopre leggermente con una mano. Ai lati San Giovanni Battista a sinistra e San Giovanni Evangelista a destra, su un gradino avanzato rispetto al trono. Le figure allungate e molto verticali contribuiscono a rendere una atmosfera di ascetismo. La scena è ambientata in un giardino ricco di vegetazione, di piante e di decorazioni, che ricorda molto l’Hortus Conclusus99, un perimetro chiuso che simboleggia la verginità di Maria. Altri simboli sono i gigli bianchi segno di purezza, il mirto che equipara Maria all’antica Venere, il gran numero di fiori bianchi (che rimandano ancora alla purezza) alternati ai rossi che alludono al sangue e alla 98. Ibidem, pag. 55. 99. L’Hortus Conclusus era la forma tipica del giardino medioevale, presente soprattutto in monasteri e conventi. Era costituito da una zona verde in genere di piccole dimensioni, circondata da alte mura, dove venivano coltivate essenzialmente piante e alberi per scopi alimentari e medicinali. Nel campo dell’arte sacra divenne simbolo del Giardino dell’Eden e della Verginità di Maria. Per questo motivo veniva spesso raffigurato, anche con pochi accenni simbolici, in dipinti che rappresentavano l’Annunciazione o scene della vita di Maria.

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Fig. 54 Sandro Botticelli, Madonna Bardi, 1485 circa, Gemäldegalerie, Berlino

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Passione di Cristo, gli ulivi e gli allori alle spalle dei protagonisti che ricordano il mistero dell’Incarnazione, il palmizio che fa pensare al martirio. Alla base del dipinto, ai piedi della Vergine, c’è un piccolo quadro dove è raffigurata la Crocifissione, poggiato su un grosso vaso, un’urna che prefigura il Martirio di Gesù. L’altro quadro di Sandro Botticelli è la Madonna del Padiglione, del 1493 circa (Fig. 55). La tavola, raffinata ed elegante, è dipinta con vena lirica: Maria sta di fronte al Bambino tenuto in piedi da un angelo e con la mano scopre il seno per offrirglielo con un gesto materno. La fisionomia è sottilmente malinconica, tipica dell’artista. Due angeli scostano i lembi della tenda di un baldacchino che dà l’effetto di profondità spaziale. In lontananza un paesaggio, con dolci colline che ricordano certi sfondi leonardeschi.Anche in questo caso sono numerosi i simboli mariani: il vaso in primo piano (Maria era detta vaso mistico), i fiori bianchi, i frutti rossi nelle ghirlanda sulla sommità del baldacchino che prefigurano il sangue della passione. Un’opera senza dubbio molto particolare, che possiamo considerare nel percorso di umanizzazione fin qui descritto, è costituita dalla Madonna del Latte affrescata nella chiesa di Rivalta Torinese (Fig. 56). Nel sottarco dell’altare maggiore, tra gli affreschi della Cappella dei Santi Vittore e Corona, è presente una raffigurazione del Bambino che si agita vivacemente e volge il volto dall’altra parte, in atteggiamento di rifiuto, con espressione e posa realistiche, mentre Maria gli offre il seno. I volti sono aggraziati e gli sguardi vivi. Alle loro spalle una struttura architettonica con due bifore gotiche. L’iconografia è di estrema rarità, quasi al limite del blasfemo, e di difficile interpretazione100. Una possibile lettura della scena può derivare dai versetti del Vangelo apocrifo armeno dell’infanzia dove è scritto «Raggiunti i nove mesi si staccò dal seno di Maria»101. Databile negli anni ’40 del XV secolo questo affresco di autore ignoto viene attribuito da alcuni, per lo sfondo e il colore della veste, alla cerchia di Giacomo Jacquerio, i cui modelli fecero scuola nel torinese tardogotico, da altri al Maestro del Forno di Lamie102. Gesù Bambino indossa un pendente di corallo; il corallo generato secondo la leggenda dal sangue di Medusa, è un amuleto contro il male ma nell’iconografia cristiana rappresenta il rosso del sangue sacrificale di Cristo. Questo elemento prefigura al Bambino la futura Passione. Un altro “gran rifiuto” era già stato raffigurato in un affresco analogo situato nella Cappella di sant’Eldrado nell’Abbazia della Novalesa, sempre in Piemonte, dove però non è Gesù Bambino a rifiutare il seno materno, ma San Nicola (Fig. 57).

100. Berruti P., “Il gran rifiuto”, in Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di): Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 151. 101. Vangelo armeno dell’infanzia, XII, 6. 102. Berruti P., “Il gran rifiuto”, in Berruti P., La sacralità umanizzata. In Berruti P. (a cura di): Madonna del Latte. La sacralità umanizzata, Polistampa, Firenze, 2006, pag. 152.

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Fig. 55 Sandro Botticelli, Madonna del Padiglione, 1493 circa, Pinacoteca Ambrosiana, Milano

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Fig. 56 Scuola di Jaquerio, XV secolo, Cappella dei Santi Vittore e Corona, Rivalta Torinese Fig. 57 Artista anonimo (Maestro di S. Eldrado), 1096-1097, ciclo di San Nicola, Abbazia Novalesa

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Fig. 58 Andrea Solario, Cleopatra, primi anni del Cinquecento, collezione privata

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Il naturalismo “distorto” del Rinascimento

Nel Rinascimento si assiste al pieno recupero dell’idea di bellezza come espressione di perfezione, di armonia di rapporti e di proporzioni, concetti molto simili a quelli del mondo greco; come l’arte classica anche l’arte rinascimentale aveva come ideale il naturalismo più completo. Relativamente alla Madonna del Latte, il rischio era che la rappresentazione naturalistica, ben diversa rispetto alle opere medioevali, rendesse l’immagine potenzialmente provocante o erotica e potesse distogliere dagli scopi devozionali. Nella prima metà del Trecento le immagini della Madonna del Latte ritraevano il suo seno come un’appendice non integrata, una scomoda aggiunta al corpo, una forma innaturale spesso di piccole dimensioni. Nel Rinascimento l’immagine della Madonna del Latte correva invece il rischio di essere vista e interpretata come attraente sia per l’esecuzione naturalistica che per la parziale nudità e di diventare un pretesto per mostrare il corpo femminile103. Molti fattori contraddicevano però tale possibilità. Innanzitutto all’epoca, l’allattamento al seno era comune in una società in cui il latte umano era la sola possibilità per alimentare un neonato e un lattante e non era certamente considerato indecente. La vista di una donna che allattava era frequente e non c’erano disposizioni che limitassero l’allattamento in pubblico. C’ erano piuttosto leggi che disciplinavano le modalità di vestire delle donne, ad esempio le dimensioni della scollatura, e punivano eventuali violazioni della modestia e della morale. È quindi ragionevole asserire che nel Rinascimento l’immagine di una donna che allattava non fosse considerata sessualmente intrigante, soprattutto se si trattava di una Madre specifica, la Madre del Salvatore, oggetto di devozione immensa. Inoltre, l’asimmetria fisica non era considerata sessualmente avvenente nella rappresentazione di una donna. Molti studi dimostrano che l’attrazione fisica era attribuita alla simmetria corporea bilaterale che, da un punto di vista antropologico, era vista come indice di buona salute e di resistenza ad agenti patogeni. Al contrario le asimmetrie erano viste come espressione di difetti fisici congeniti, di malattie infettive, di carenze nutrizionali, di condizioni patologiche.

103.. Cfr. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pag. 176. https://doi.org/10.18297/etd/367; Holmes M., Disrobing the Virgin:The Madonna Lactans in Fifteenth-Century Florentine Art. In: Johnson G. and Matthews Grieco S.F. Ed., Picturing Women in Renaissance and Baroque Italy, Cambridge University Press, Cambridge, 1997.

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Scritti come il trattato di Leon Battista Alberti sulle opere d’ arte sostenevano che erano il naturalismo e il rispetto delle proporzioni a definire gli elementi della bellezza104. Le sue istruzioni per rispettare le proporzioni però erano ignorate dai pittori rinascimentali che dipingevano la Madonna del Latte. In queste rappresentazioni l’equilibrio, la simmetria, il naturalismo che Alberti proponeva non venivano applicati: la Vergine era raffigurata in maniera asimmetrica per quanto riguardava l’aspetto anatomico del seno e l’immagine sottilmente distorta la rendeva meno attraente. Il “naturalismo distorto” delle immagini della Madonna del Latte riduceva l’enfasi sulla sua attrazione fisica e sul possibile fascino sensuale, in favore di un messaggio volto a sottolineare la sua qualità di nutrice. Un esempio del cambiamento cui è andata incontro l’immagine della Madonna del Latte nel corso del Rinascimento è costituito dalla già citata Madonna dell’Umiltà dipinta da Masolino da Panicale105. In questo dipinto la collocazione e la proporzione del seno allattante della Vergine aderivano ai principi rinascimentali della corretta rappresentazione anatomica espressione dei nuovi dettami del naturalismo pittorico, ma il seno destro, quello che non allatta, è assente e la veste arancione non si “ingrossa” a delinearne la forma, la mano copre gran parte della zona (Fig. 16). Nella maggior parte dei quadri di questo periodo manca proprio il seno non allattante: l’area dove dovrebbe trovarsi è piatta, spesso senza nessuna forma rigonfia sotto il mantello della Vergine. In altri casi la mano o un braccio della Vergine o ancora una parte del corpo di Gesù Bambino coprono la zona. L’omissione del seno non allattante e la conseguente asimmetria con cui veniva rappresentata la Madonna del Latte stavano a significare un concetto importante: se l’enfasi naturalistica doveva essere posta sulla correttezza anatomica, di fatto in queste opere il naturalismo era sacrificato. Si affermava così la funzione simbolica dell’immagine e si preservava il messaggio sacro dell’opera e si riduceva la possibilità di una lettura sensuale. Per esemplificare il concetto che la rappresentazione di una corretta anatomia dava all’opera un significato erotico o sensuale mentre la distorsione anatomica spostava il significato dell’immagine verso il sacro, Cecelia Dorger propone il confronto tra due opere dello stesso autore, Andrea Solario: Cleopatra e la Madonna con il cuscino verde106 (Figg. 58, 59). I seni di Cleopatra sono floridi e di uguali dimensioni; uno è scoperto e sta per essere morso dall’aspide velenosa, l’altro no, ma è comunque ben evidente 104. Alberti Leon Battista, Il trattato della Pittura, ristampa anastatica 1913, Carabba Editore, Lanciano, 2012. 105. Holmes M., Disrobing the Virgin: The Madonna Lactans in Fifteenth-Century Florentine Art. In: Johnson G. and Matthews Grieco S.F. Ed., Picturing Women in Renaissance and Baroque Italy, Cambridge University Press, Cambridge, 1997. 106.. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pagg. 156-158, https://doi.org/10.18297/etd/367

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Fig. 59 Andrea Solario, Madonna col cuscino verde, 1507, Museo del Louvre, Parigi

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sotto il fine drappeggio dell’abito. La Cleopatra di Solario è una donna sensuale, una seduttrice, una incantatrice come indica anche il colore rosso del vestito. Essa rappresenta un’antitesi della Vergine Maria, che indossa invece un indumento tipico da mamma che allatta, con una apertura per renderlo idoneo alla funzione. Il capezzolo non è visibile, Gesù Bambino lo contiene in bocca per puppare. L’altro seno è coperto e più piccolo in maniera anomala e l’asimmetria intenzionalmente voluta serviva per eliminare ogni traccia di erotismo. Anche i colori delle vesti sono diversi: prevalgono il blu e il bianco, con una piccola quantità di rosso, colori che indicano la purezza e un carattere celestiale. Maria guarda il suo bambino con grande affetto e tenerezza, il suo sguardo contempla la vita resa possibile attraverso l’allattamento del Salvatore che promette la vita eterna. Lo sguardo di Cleopatra contempla invece la morte. I messaggi trasmessi sono quindi molto diversi: l’immagine della Vergine così rappresentata veniva accolta e interpretata dai fedeli del Rinascimento come sacra, comunicante un messaggio di nutrimento, intercessione, salvezza.

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La devozione privata di Suor Plautilla Nelli

Suor Plautilla Nelli dipinse la Madonna del Latte seduta, opera conservata nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, ed è forse l’unico caso di una suora che ha ritratto la Madonna del Latte (Fig. 60). Plautilla Nelli era una delle poche donne artiste citate da Vasari, che ne scrisse la biografia quando era Priora nel Convento di Santa Caterina da Siena in Piazza San Marco a Firenze, dove era entrata anche la sorella e dove era attiva la produzione artistica. Sono proprio le informazioni del Vasari a farcene conoscere le opere107. Nel Convento era fervida la spiritualità predicata da Savonarola. La fondatrice Suor Lucia (nata Camilla) Bartolini Rucellai ne era devota seguace e il monastero era uno dei centri femminili di maggior spiritualità savonaroliana, anche negli anni successivi alla morte del frate108. Un gruppo di seguaci del Savonarola, i Piagnoni, donavano al Convento sovvenzioni ed elemosine e alcuni di loro favorivano l’ingresso in questa comunità religiosa delle proprie sorelle, per mantenere attiva l’opera iniziata dal frate. Anche le opere di Plautilla Nelli furono influenzate dal Savonarola che denunziava il modo di vestire immodesto, predicava che i pittori non dovessero utilizzare modelli riconoscibili per i quadri religiosi che potevano disonorare Dio e causare scandali, criticava apertamente e con veemenza i quadri della Madonna del Latte, raffigurazioni in cui la scollatura era necessariamente bassa o nell’indumento era presente un’apertura per esporre il seno109. Le parole di Savonarola lasciavano pochi dubbi sul fatto che per lui il motivo della Madonna del Latte fosse il più offensivo di tutta l’iconografia mariana e che tali immagini potessero portare alla distrazione da qualche cosa di così sacro come l’adorazione di Dio. Suor Plautilla aderiva ai dettami di Savonarola e ne rispettava le indicazioni e gli avvertimenti nelle commissioni pubbliche, ma non li seguì nel dipingere la Madonna del Latte. In altre opere dipinse invece Maria con un mantello e una veste che la coprivano molto. Invece, nella Madonna del Latte la scollatura è arditamente scavata, espone la spalla e parte del décolleté, il braccio destro è quasi completamente sco-

107. Vasari G., Le vite de’ più eccellenti pittori, scrittori ed architetti. Einaudi, Torino, 1986. 108. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pagg. 182-183, https://doi.org/10.18297/etd/367 109. Ibidem, pag. 186.

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Fig. 60 Plautilla Nelli, Madonna del Latte seduta, XVI secolo, GDSU, Uffizi, Firenze

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perto perché Gesù Bambino si aggrappa alla veste e la tira un po’ giù. Le mani del Bambino accarezzano il seno creando una sorta di cornice, la mano sinistra della Vergine abbraccia Gesù e lo sostiene per avvicinarlo a sé. Lo sguardo del piccino è rivolto all’osservatore per invitarlo a partecipare a una scena così intima. La combinazione delle tre mani e dello sguardo della Vergine rivolto al Bambino e al proprio seno dirige verso questa area l’attenzione dell’osservatore. In altre opere di Suor Plautilla destinate a una visione pubblica lo sguardo della Vergine è invece diretto verso il basso e misurato, la sua modestia è esplicita; la rappresentazione segue così i dettami del Savonarola. È possibile quindi che Suor Plautilla abbia dipinto il quadro della Madonna del Latte per una propria devozione privata e lo fece, forse, anche con qualche rischio, andando contro le direttive del Savonarola110. Eletta per tre volte Priora del convento di santa Caterina a dimostrazione della sua capacità di guida e della sua spiritualità, rispettava l’insegnamento del Savonarola nel dipingere gli abiti della Vergine nelle sue commissioni pubbliche, ma non lo fece nel quadro della Madonna del Latte, che con ogni probabilità tenne per sé: il tema dell’allattamento al seno era deplorevole per Savonarola, ma fondamentale per Suor Nelli. «Artista e devota, in questo caso erano la stessa persona»111.

110. Ibidem, pag. 183. 111. Ibidem, pag. 189.

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Fig. 61 Ambrogio da Fossano Madonna del Latte, collezione privata Fig. 62 Luca Signorelli, Madonna con Bambino e Angeli, 1480, Pinacoteca di Brera, Milano Fig. 63 Marco d’Oggiono, Madonna del Latte, 1490 circa, Art Gallery in New Zealand, Auckland Fig. 64 Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino, Madonna del Latte, 1480 circa, Museum of Fine Art, Boston

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L’iconografia di Gesù Bambino che coinvolge lo spettatore come nel quadro della Nelli non era nuova, come si può osservare in molti esempi precedenti. Il rapido girarsi della testa per volgersi verso l’osservatore era già presente nel dipinto murale della catacomba di Priscilla, identificato come una delle rappresentazioni più precoci della Madonna del Latte (Fig. 1). Nelle epoche successive il motivo divenne però molto raro, la posizione di madre e bambino era più ieratica, come nelle antiche icone. Il tema fu poi ripreso, come visto precedentemente, nelle immagini del tardo Trecento e del Quattrocento, sviluppandosi prevalentemente a Siena rispetto ad altre zone d’Italia e d’Europa112. Lo sguardo del Bambino, e in molte opere anche della Vergine, la rappresentazione scenica dei gesti di Gesù e di Maria costituivano un invito ai devoti, chiamati a prendere parte a questa “esperienza visiva”: intercessione e misericordia erano offerti all’osservatore. I dettagli iconografici, diversi comunque nelle varie opere, contribuivano a trasmettere questo messaggio e a sottolineare come il seno indicasse amore per gli esseri umani ed offrisse loro misericordia e conforto113. Il latte di Maria era visto come fonte di sapere teologico, di saggezza divina, simbolo di redenzione dell’umanità, insieme al sangue di Cristo. Le immagini in cui la Madonna indica il proprio seno stavano a significare questo ruolo di intercessione, servivano a sostenere il ruolo della Vergine come mediatrice compassionevole e influente che intercedeva per i fedeli: poiché alimentava il proprio Figlio, Dio non le avrebbe rifiutato nulla quando avesse avanzato presso di lui le richieste dei suoi devoti. Alcuni esempi possono contribuire a chiarire questa idea del seno offerto come dono e come elemento di intercessione. Nella Madonna con il cuscino verde di Angelo Solario, la Vergine e Gesù Bambino condividono un intenso scambio emozionale, un momento intimo; il Bambino nudo afferra giocosamente i propri piedi, come fanno tanti bambini (Fig. 59). Maria ha un’espressione estatica, serena e appagata mentre guarda negli occhi il proprio bimbo ed egli ricambia lo sguardo con tanto affetto. Il devoto non è incluso. Maria mette le dita a forbice per comprimere il seno attorno al capezzolo

112. Meiss M., The Madonna of Humility, The Art Bullettin, 18, n. 4 (December), 1936, pagg. 435-64. 113. Levin W.R., Studies in the Imagery of Mercy in Late Medieval Italian Art, Ph.D. diss., University of Michigan, 1983, pagg. 575-576.

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e lo spreme con un gesto a forbice o a V, che le mamme compiono abitualmente nella loro attività di nutrici. In vari altri quadri Maria viene rappresentata mentre compie questo gesto per assistere il Bambino e facilitarne l’attacco al seno. Lo stesso gesto viene compiuto da Gesù nell’opera già citata di Quirinzio Murano, dove è evidenziata la “rappresentazione materna” di Cristo Salvatore (Fig. 38). Nella Madonna del Latte di Ambrogio da Fossano, detto il Borgognone, Gesù Bambino è rappresentato vestito e seduto. Guarda direttamente l’osservatore, non sembra interessato all’atto dell’allattamento e la sua mano indica il seno di Maria per mostrarlo, ma non l’afferra né lo tocca (Fig. 61). Il gesto e lo sguardo diretto e intenzionale sottolineano il messaggio simbolico: Cristo presenta la propria Madre come Madre di tutti noi. La comunicazione viene rafforzata anche dai gesti e dallo sguardo di Maria: la sua mano sinistra abbraccia Cristo, quella destra indica il seno. Il suo sguardo è rivolto verso l’esterno: seguendo la direzione degli occhi, si nota come si rivolga a un gruppo vasto di fedeli. Nella Madonna e il Bambino in Gloria con gli Angeli di Luca Signorelli, dipinto nel 1480 circa, il Bambino siede in braccio a Maria e offre all’osservatore il seno della mamma con entrambe le mani, come un dono pregiato, sembra voler dire “questo è per te” (Fig. 62). Anche in questo caso il suo sguardo è diretto e Maria indica con la mano il proprio seno a sottolineare il dono. Nella Madonna del Latte di Marco d’Oggiono il Bambino, seduto su un piedistallo il cui bordo è reso evidente dalla piega affilata del drappeggio in primo piano, posiziona le sue dita attorno al capezzolo della mamma mentre guarda direttamente l’osservatore (Fig. 63). Il significato è ancora una volta quello di offrire deliberatamente al devoto il seno misericordioso di Maria. Il messaggio che la forza di intercessione di Maria è disponibile per tutti i devoti ed è per loro motivo di conforto si ritrova anche nel quadro di Giovanni Di Pietro, detto Lo Spagna, che dipinse la Madonna del Latte tra Santa Maria Maddalena e Sant’Antonio da Padova nei primi anni del Cinquecento. In quest’opera tutte e quattro le figure guardano in direzioni diverse, dando l’impressione di rivolgersi a tanti fedeli (Fig. 65). Anche nella Madonna del Latte di Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino, Gesù Bambino presenta con la mano sinistra il seno della madre, fonte di quel cibo di cui lui stesso si nutre (Fig. 64). In questo caso l’innovazione iconografica è rappresentata dal Bambino, vestito con una piccola toga, posto in piedi dietro il seno di Maria. Sembra fare un piccolo passo, il piede sinistro in avanti, la gamba destra oscillante, il fianco destro che avanza nello spazio. L’insolita inclusione dei sandaletti enfatizza il fatto che sta camminando. Lo sguardo si rivolge intensamente a chi osserva. In lontananza la visione prospettica di una città fortificata contribuisce a mettere in ulteriore evidenza le due figure di mamma e figlio. 88

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Fig. 65 Lo Spagna, Madonna del Latte tra Santa Maria Maddalena e Sant’Antonio da Padova, 1510-20, Musei Vaticani, Roma

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L’osservatore non è testimone di un momento intimo, la percezione non è quella di un Bambino indifeso, debole, da coccolare. La posa atipica di Cristo, i vestiti, le calzature, la gestualità sono così fuori dall’ordinario che attirano tutta l’attenzione dell’osservatore chiamato volutamente a ricevere l’offerta. Un invito così diretto sarebbe stato difficile da dimenticare. Nelle opere della Madonna del Latte di Suor Nelli, Ambrogio da Fossano, Signorelli, Bramantino il gesto di toccare il seno assume un significato simbolico e Gesù Bambino rinforza il concetto presentandolo come un’offerta perché il messaggio venga ben recepito dai fedeli. Nelle prime tre opere le mani di Cristo incorniciano l’offerta mentre lo sguardo intenso è diretto ai devoti. Il Cristo di Marco d’Oggiono mette le dita a forbice per rendere loro più facile l’attacco al seno di misericordia, il Cristo di Bramantino va ancora oltre consegnando virtualmente a loro l’offerta114.

114.. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pagg. 202-212, https://doi.org/10.18297/etd/367.

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La Madonna del Latte nelle opere dei grandi artisti del Quattrocento e del Cinquecento

In Italia nel Quattrocento e nel Cinquecento il tema della Madonna del Latte viene ripetutamente proposto dagli artisti più celebrati. Fuori d’Italia il culto conobbe una forte diffusione soprattutto nel Nord Europa, e l’iconografia fu ripresa poi da tantissimi altri artisti, fiamminghi in primo luogo, francesi, tedeschi, spagnoli. Pittori e scultori si cimentarono con queste immagini così terrene dove traspare, al di là di ogni insegnamento teologico, l’amore di una madre che allatta il proprio bambino. Quello che più risalta in queste rappresentazioni è la pace, la serenità, la forza dell’amore. Solo alcuni esempi. Leonardo da Vinci dipinse la Madonna Litta115, opera in cui Maria è rappresentata con un volto candido, i capelli morbidamente intrecciati, lo sguardo colmo di tenerezza e il Bambino con una singolare torsione del busto. Tocca il seno con la mano, sembra rivolgersi all’osservatore. I due sono nell’ombra, riparati da un’architettura sconosciuta, dalle finestre si osserva un paesaggio montano116 (Fig. 66). Nel grembo di Gesù un cardellino, simbologia spesso presente nella produzione di Leonardo. Un antico simbolismo lega l’uccellino alle spine e ai cardi, e quindi alla passione di Cristo e alla sua figura di Salvatore. Si osservano in questa tavola le prime tracce del Leonardismo, vera e propria scuola lombarda di pittura diretta dallo stesso Leonardo, caratterizzata da un modo di rappresentare le figure molto nitide con colori vivaci rispetto al passato. L’artista a 38 anni andò a Milano, alla corte dei Visconti per lavorare ai Navigli. Autorevoli studiosi sostengono che la Madonna Litta sia opera di Leonardo, anche se è possibile che abbia affidato la conclusione e la rifinitura del quadro a qualche allievo. Leonardo soleva, infatti, abbandonare la stesura di un dipinto durante la fase di realizzazione lasciando l’opera incompleta fino a quando non avesse avuto il tempo di ultimarla.

115. Il dipinto, inizialmente di proprietà dei Visconti, fu venduto a metà del Settecento alla famiglia aristocratica milanese dei Duchi Litta. Nel 1865 il Duca Antonio Litta vendette il quadro allo Zar Alessandro II, che lo portò a Mosca e poi a Pietroburgo, dove fu esposto all’Ermitage, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. 116. Della Madonna Litta esistono due bozzetti a mano di Leonardo, che sono esposti al museo del Louvre e allo Städel Museum di Francoforte. La produzione pittorica di Leonardo è spesso preceduta da una fase preparatoria, costituita da disegni che delineano su grandi linee la stesura finale del dipinto. Nel disegno conservato in Germania la figura è solo tratteggiata.

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La Madonna del Latte nelle opere dei grandi artisti

Fig. 66 Leonardo da Vinci, Madonna Litta, 1490, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

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Fig. 67 Michelangelo, Madonna col Bambino (Vergine Medici),1521-1534, San Lorenzo, Sagrestia Nuova, Firenze

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Per altri è stata invece eseguita in gran parte da uno di questi allievi, Giovanni Antonio Boltraffio o Marco d’Oggiono, autori il primo della Madonna con Bambino, eseguita probabilmente nell’ultimo decennio del Quattrocento, il secondo della Madonna del Latte conservata a Auckland (Fig. 63). Nella scultura fu Michelangelo a proporre il tema di Maria che allatta con la Madonna con Bambino (Vergine Medici) (Fig. 67). La grande statua (226 cm) è frutto di numerosi ripensamenti: la forma della base è più larga a destra ed è articolata in vari gradini. La posa, studiata con alcuni disegni preparatori, nella forma definitiva è articolata con una disposizione complessa dei corpi. Maria ha le gambe accavallate, con la mano sinistra afferra il Bambino, con la destra si tiene saldamente al trono. Gesù è seduto a cavalcioni sulle gambe della mamma, ma si gira per raggiungere il seno materno, al quale si aggrappa con la mano destra e dà di spalle all’osservatore. L’opera fu lasciata incompiuta, il piede sinistro di entrambe le figure non è completato, ma la forza espressiva non risulta per nulla diminuita. Nel Nord Europa sono soprattutto i fiamminghi a riprendere il tema: tra gli altri Jon Van Eyck, autore della Madonna di Lucca di cui si parlerà più avanti, Rogier van der Weyden, Hans Memling (Fig. 95). Nella Madonna con Bambino di van der Weyden, dipinta con stile miniaturale all’età di vent’anni, la Vergine che allatta è raffigurata in un’edicola ricca di decorazioni scultoree con un preciso significato teologico (Fig. 68).Viene suggerita l’identificazione tra la Madre e la Sposa di Cristo e la Chiesa. La forma della nicchia ricorda il portale di una chiesa gotica. Maria incoronata appare come Regina Coeli e Porta Paradisi117. Le figure scolpite nei pilastri a fianco della Madonna sono sei profeti dell’Antico Testamento che avevano annunciato la venuta del Redentore e simbolicamente reggono la Chiesa di Cristo. I sei bassorilievi sopra l’arco rappresentano l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione e la Pentecoste. Nella parte centrale più alta si vede l’incoronazione di Maria da parte di Cristo. Non è rappresentata direttamente la Passione, ma vi alludono i fiori di iris sulla destra e le acquilegie, simboli dei dolori della Vergine, sulla sinistra. Il piccolo Dittico di Vienna, Madonna con Bambino e Santa Caterina in un paesaggio era probabilmente destinato ad essere portato con sé come oggetto di devozione personale (Fig. 69). La Vergine incoronata è raffigurata mentre porge il seno al Bambino. Siede sul trono di Salomone, riconoscibile per le colonne alla base e i leoni che fanno da braccioli. La rappresentazione del peccato originale sulle cornici dipinte ricorda il ruolo di Maria nella redenzione del genere umano, sottolineato anche dalla figura del Padre sull’architrave. 117. Van Der Weyden, in Rizzoli/Skira Editori, Milano, 2004, pag. 72.

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Fig. 68 Rogier van der Weyden, Madonna col Bambino, 1426-1432 circa, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

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Fig. 69 Rogier van der Weyden, Dittico di Vienna, Madonna col Bambino, Santa Caterina in un paesaggio, 1426-1432 circa, Kunsthistorisches Museum,Vienna Fig. 70 Rogier van der Weyden, San Luca dipinge la Madonna (Madonna di san Luca), 1435-1436 circa, Museum of Fine Arts, Boston

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In San Luca dipinge la Madonna (Madonna di San Luca), una delle opere più celebri dell’artista che forse ha dipinto il proprio volto nella figura di San Luca, Van der Weyden rappresenta l’evangelista mentre ritrae la Vergine apparsagli in visione (Fig. 70). Nel Dittico di Laurent Froimont-Madonna col Bambino è particolare l’atteggiamento delle mani di Maria che intercede per il donatore pregando il Bambino mentre lo sorregge (Fig. 71). Il volto del bambino è lo stesso dell’opera indicata precedentemente, con la differenza che è rivolto non più alla madre, ma al devoto, cui è indirizzato anche il gesto di benedizione. L’opera è un esempio del dittico devozionale a mezza figura proposto per primo da Van der Weyden118. Nella Madonna con Bambino di Memling la coppia occupa quasi tutto il quadro; la Madonna sostiene e avvicina il bambino al seno con entrambe le mani, dipinte in maniera molto elegante. Sullo sfondo, limitato da un arco con colonne di marmo screziato, si osserva un complesso paesaggio119 (Fig. 72). Nella Madonna col Bambino in trono l’ambientazione architettonica è semicircolare con colonne, ma senza pareti per permettere la vista sul paesaggio (Fig. 73). Nella scena è inserito in lontananza, tra le colonne di sinistra, San Giuseppe con l’asinello, quasi un’intenzione di trasformare la Madonna in trono in una Sacra Famiglia120. Nello specchio d’acqua in lontananza cigni e una copia di pavoni; la torre, gli iris, i gigli sono tradizionali simboli mariani. Il mantello rosso ricorda quello della Madonna di Lucca (Fig. 95). Nell’opera di Joos Van Cleeve Gesù Bambino ricorda quello raffigurato dal Bramantino: è in piedi, abbraccia il seno con entrambe le mani e lo offre ai fedeli (Fig. 75). In Germania Albrecth Dürer nella Madonna dell’iris dipinse una donna tedesca, piuttosto robusta, dai lineamenti marcati e dalla bellezza rustica (Fig. 74). Siede in un ambiente rupestre, pieno di simboli. Dietro la Vergine spunta un iris, fiore che con i suoi tre petali rimanda al mistero della Trinità (per questa sua forma è detto anche giglio a spada) e allude ai dolori di Maria per la morte in croce di Cristo. Se è bianco come il giglio l’iris simboleggia la purezza e la santità, se violaceo la passione. Nell’opera di Dürer è bianco, ma i petali rovesciati si colorano di azzurro violaceo. Due pali di legno incrociati incorniciano un lembo di cielo, dove dietro le nubi si vede Dio Padre, con un abito rosso come quello di Maria. In questa scena, apparentemente quotidiana, si rivela quindi la Trinità. All’estrema destra cresce rigogliosa una vite, che però non ha grappoli, il vero frutto è infatti tra le braccia di Maria. L’arco in rovina sullo sfondo simboleggia 118. Van Der Weyden, in Rizzoli/Skira Editori, Milano, 2004, pag. 100. 119. Memling, in I Classici dell’Arte, Rizzoli/Skira Editori, Milano, 2005, pag. 72. 120. Ibidem, pag. 164.

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Fig. 71 Rogier van der Weyden, Dittico di Laurent Froimont (Madonna col Bambino), 1440-1450 circa, Musée des Beaux-Arts, Caen Fig. 72 Hans Memling, Madonna col Bambino, 1465-1470 circa, Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles Fig. 73 Hans Memling, Madonna col Bambino in trono, 1490-1494 circa, Capila Real, Granada

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Fig. 74 Albrecht Dürer,Vergine con il Bambino, detta anche La Madonna dell’iris (particolare), 1508, National Gallery, Londra

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Fig. 75 Joos Van Cleve, Maria Lactans e il donatore in preghiera, 1515 circa, Museo Ludwig Roselius, Brema Fig. 76 Jean Fouquet, La Vergine e il Bambino, circondati da angeli, 1451, Musée des Beaux-Arts, Anversa

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la precarietà della vita umana. Il miracolo di questo connubio tra natura umana e divina, tra dolore e amore, è evocato nell’opera da due farfalle, una bianca posata ai piedi della madre, l’altra viola sul lembo del suo mantello, a sinistra121. In Francia Jean Fouquet con la Madonna in trono con il Bambino, che faceva parte del Dittico di Melun oggi smembrato, dipinse un’opera molto particolare (Fig. 76). Nonostante il nome devozionale, la rappresentazione sembra piuttosto laica e profana. La Madonna ha le fattezze di una nobildonna che con fare altero offre al Bambino, già un po’ cresciuto e privo di vesti, il seno bianchissimo, di una rotondità perfetta che contribuisce a renderlo quasi erotico. Secondo i canoni estetici dell’epoca la fronte è stempiata per la depilazione dei primi capelli; sulla testa una preziosissima corona. Indossa un manto di ermellino su un vestito con il corpetto tradizionale a lacci, tipico delle mamme che allattano. Più che una Madonna, appare come una Regina che siede su un trono riccamente decorato di perle e di gemme, circondata da un gruppo di angeli rossi e blu, i serafini e i cherubini. Secondo alcuni nell’opera sarebbe rappresentata Agnes Sorel, favorita di Carlo VII, donna bellissima, deceduta nel 1450 in seguito ad un aborto. Tutta la composizione pare avvolta di grande compostezza, non vi è quel legame affettuoso tra madre e bambino, tipico invece delle opere più tradizionali delle Madonne del Latte122.

121. Riva G., L’iris, simbolo trinitario di amore e di dolore, Avvenire.it, 10 luglio 2014. 122. Lett D., Moret M.F., Un hystoire de l’allaitment, Editions de la Martiniere, Parigi, 2006, pag. 32.

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Fig. 77 El Greco, La Sacra Famiglia con Sant’Anna, 1590-1595, Hospital de Taverna, Fondacion Casa Ducalde Medinaceli,Toledo Fig. 78 Antoon Van Dick, Riposo nella fuga in Egitto, 1600 circa, Alte Pinakothek, Monaco

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La Sacra Famiglia e la fuga in Egitto

Come già ricordato, l’allattamento di Maria è ripreso talvolta anche nelle scene che raffigurano la Sacra Famiglia e la fuga in Egitto. Come esempio della prima iconografia può essere citata La Sacra Famiglia con Sant’Anna di El Greco (Fig. 77). La figura della Madonna riprende quello delle Madonne allattanti del Quattrocento e Cinquecento. Lo sguardo viene attirato sul Bambino dal gioco delle mani. San Giuseppe tocca delicatamente il piede di Gesù a sottolineare il ruolo di padre e protettore. Maria, con sguardo molto dolce, intreccia la sua mano con quella del Bambino. Tutto è calmo e solare; le linee morbide e la tonalità dei colori ricordano il manierismo toscano e romano123. Come esempio del secondo tipo può essere indicato il Riposo nella fuga in Egitto di Antoon Van Dyck, quadro probabilmente dipinto per il fratello Theodor, canonico (Fig. 78). L’intonazione è molto dolce e sentimentale, con attenzione particolare al tema degli affetti familiari: il gioco degli sguardi e dei gesti che unisce Maria e Giuseppe esprime tenerezza, partecipazione, sollecitudine124.

123. El Greco, in Rizzoli/Skira Editori, Milano, 2003, pag. 126. 124. Van Dick, in Rizzoli/Skira Editori, Milano, 2003, pag. 122.

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Fig. 79 Attribuito a Lorenzo Monaco (Pietro di Giovanni), L’intercessione di Cristo e della Vergine, 1402 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

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Maria nutrice dell’umanità

Il tema iconografico della Madonna del Latte si interseca anche con altri tipi di rappresentazione come la doppia intercessione, la Sacra Conversazione, la lactatio di San Bernardo, la salvezza delle anime del Purgatorio. In queste rappresentazioni, talora, è raffigurata Maria che allatta il Bambino. Il seno e il latte della Vergine vengono così a significare il suo ruolo di nutrice di tutta l’umanità. La doppia intercessione In alcune opere Cristo e Maria sono rappresentati come intermediari presso Dio per ottenere misericordia per i fedeli: Cristo in virtù della propria sofferenza, Maria per aver alimentato il Figlio. Nell’opera attribuita a Lorenzo Monaco (Piero di Giovanni), L’Intercessione di Cristo e della Vergine, Maria, in ginocchio alla sinistra di Dio, afferra i seni nudi con una mano e con l’altra indica otto piccole figure inginocchiate rivolgendosi al Figlio perché abbia compassione di loro ricordando il latte che gli aveva dato da bambino. Cristo, a lato destro di Dio, mostra con una mano la ferita sul costato e con l’altra, con un gesto molto espressivo ed elegante, inoltra al Padre la richiesta della propria mamma. Il testo italiano inserito nel quadro recita: “Padre mio lascia che siano salvati coloro che desiderano la Passione”. Sia Cristo che la Madonna rivolgono una preghiera perché venga concessa misericordia ai peccatori ed entrambi rafforzano la richiesta e ne caldeggiano l’accoglimento: Cristo si rivolge direttamente al Padre indicando la ferita al costato, Maria si rivolge al Figlio chiamandolo in causa per averlo allattato. Inviata dal Padre, la Colomba dello Spirito Santo discende verso Cristo emanando raggi dorati e indicando così che le richieste sono state esaudite (Fig. 79). Un altro esempio è rappresentato da una miniatura del XV secolo: Dio Padre siede in trono, non in Cielo ma sullo stesso piano dei supplicanti; è Re Giudice e impugna uno scettro. Maria, in ginocchio alla sinistra di Dio, scopre un seno, e con l’altra mano si rivolge a Cristo alla sua destra che, inginocchiato sulla colonna della Passione, si rivolge a sua volta al Padre con una mano e con l’altra indica la ferita nel costato (Fig. 80). Non è rappresentato un gruppo di peccatori. La piccola opera è destinata alla devozione privata e alla preghiera personale: il fedele leggeva le preghiere mentre meditava sulla miniatura, richiedendo l’intervento divino per i propri peccati. La catena per l’intercessione passava dal peccatore alla Vergine, dalla Vergine a Cristo, da Cristo al Padre. 105

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Fig. 80 Doppia intercessione,Turin-Milan Book of Hours, Cabinet des Dessin, Museo del Louvre, Parigi

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La misericordia della Vergine era incondizionata, la sua indulgenza senza limiti, basata sul legame profondo creato con il Figlio quando lo allattava. Un’altra versione del tema è rappresentata nell’affresco di Benozzo Gozzoli, consacrato a San Sebastiano protettore della peste, che si trova nella Chiesa di Sant’Agostino a San Gemignano, risalente al 1484 (Fig. 81). Nella parte superiore dell’opera sono raffigurati Padre, Figlio e Vergine. Nella parte inferiore San Sebastiano è in piedi su un piedistallo circondato da fedeli che rivolgono a lui le loro richieste di intercessione. San Sebastiano era il patrono invocato per la protezione contro la peste e infatti il quadro fu dipinto durante l’epidemia nel 1464. Il santo è rappresentato in un’iconografia lontana dalla tradizione che lo propone come un giovane nudo o coperto da un perizoma, legato a un albero o a una colonna e trafitto da frecce. Benozzo lo raffigura con un ampio mantello, sorretto dagli angeli, al di sotto del quale si raccoglie la popolazione in preghiera, in cerca di protezione dalla peste. Sul piedistallo è riportata un’iscrizione: Sancte Sebastiane intercede pro devoto populo tuo. San Sebastiano si rivolge alla Vergine, la Vergine a Cristo che indirizza la preghiera al Padre. Anche in questo caso Cristo guarda al Padre e indica con una mano la ferita sul costato, con l’altra San Sebastiano. In questa immagine di intercessione i seni di Maria, quindi il significato del suo allattamento, hanno un ruolo ancora più espressivo: essa scopre entrambi i seni in un’immagine di particolare realismo e inusuale rispetto alla tradizione, e indica San Sebastiano e la folla sottostante mentre guarda suo Figlio come solo una madre può fare. L’azione si svolge prima che il verdetto sia stato deciso dal Padre: il suo cipiglio arrabbiato e la freccia che brandisce comunicano che i peccatori ancora non sono stati perdonati. L’ attesa ansiosa dell’evolversi della situazione viene accentuata dagli Angeli pronti a lanciare le loro frecce. L’immagine della Vergine che scopre i seni può essere inquietante per gli osservatori moderni, ma non per quelli del Rinascimento, che ben ne conoscevano il simbolismo ed erano anche capaci di anticipare gli esiti della richiesta: la doppia intercessione della Vergine e di Cristo avrebbe assicurato clemenza. Nelle opere che rappresentano la doppia intercessione si osserva un’evoluzione: Cristo è raffigurato da adulto e non più come un bambino affamato: la contemporanea presenza di Dio Padre indica un tipo specifico di intervento volto alla salvezza delle anime. La Sacra Conversazione L’iconografia della Sacra Conversazione vede la rappresentazione della Madonna in trono con Gesù Bambino in braccio, circondata da Santi con i quali instaura un colloquio su temi dottrinari e teologici. Talvolta sono presenti i donatori dei dipinti. In rare opere di questo tipo la Madonna allatta. Un esempio non convenzionale è rappresentato dalla Madonna in Gloria con Bambino e i Santi Domenico, Michele, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista di Do107

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Fig. 81 Benozzo Gozzoli, Affresco Consacrato a San Sebastiano, Protettore della peste, 1484, Chiesa di Sant’Agostino, San Gimignano

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Fig. 82 Domenico Ghirlandaio, Madonna in gloria col Bambino e i santi Domenico, Michele, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista (recto), 1494, Alte Pinakothek, Monaco

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menico Ghirlandaio della fine del Quattrocento (1494), dipinta su commissione di Giovanni Tornabuoni per l’altare della propria cappella (Fig. 82). La Madonna è rappresentata “in aria” con una aureola fiammeggiante, avvolta dal sole e circondata da angeli e cherubini. È la mulier amicta sole dell’Apocalisse, l’Immacolata e quindi l’Assunta, una figura divina, ma anche una donna che allatta suo figlio. È un’opera altamente concettuale, con i santi che la guardano intensamente: Giovanni Evangelista, in ginocchio, lo sguardo rivolto verso l’alto e la mano sul petto, Giovanni Battista dietro di lui con l’indice verso di lei, l’Arcangelo Michele che difende con la spada la donna dell’Apocalisse, cioè la Chiesa, San Domenico che mostra il libro dove si leggono le parole Disciplinam et sapientia(m) docuit eos Beatus Dominicus125. La “lactatio” di San Bernardo Nel X secolo la riforma monastica di Cluny impresse una nuova svolta nella storia della Chiesa e determinò un nuovo corso di fede mariana126. Gli abati benedettini videro nella Vergine il modello della vita cristiana e la rivestirono di appellativi che sottintendevano la grande fiducia che in lei riponevano quale “soccorso del genere umano”, “porta del cielo”, “nostra advocata”. Nella diffusione del culto di Maria ebbe un ruolo importantissimo San Bernardo di Chiaravalle, monaco cistercense, che iniziò il suo ministero a Cluny per poi fondare il monastero di Chiaravalle. È a San Bernardo che Dante nel XXXIII Canto del Paradiso fa rivolgere la preghiera a Maria, che invoca come la più alta e la più umile di tutte le creature, colei che ha nobilitato la natura umana a tal punto che Dio tramite lei si è incarnato nell’uomo. tu sé colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura.

Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio,

Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’eterna pace così è germinato questo fiore. Così intense erano la sua devozione e la sua venerazione per Maria che San Bernardo raccontava come nel dicembre del 1146, mentre era nel Duomo di Spe125. Ghirlandaio, in Rizzoli/Skira Editori, Milano, 2005, pag. 170, 126. Lett D., Moret M.F., Un hystoire de l’allaitment, Editions de la Martiniere, Parigi, 2006 pagg. 30-31.

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Fig. 83 Miniatura sul frontespizio di “Clementine”, XV secolo, Biblioteca,Troyes Fig. 84 Lactation de Saint Bernard, miniatura, inizio XIV secolo

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Fig. 85 Pedro Machuca, La Vergine dona il suo latte alle anime del Purgatorio, 1517, Museo del Prado, Madrid

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yer raccolto in preghiera di fronte a un’immagine di Maria per chiederle grazia, dai seni raffigurati nel quadro uscisse un flusso di latte che lo raggiunse. Il tema dell’evento prodigioso della “lattazione (lactatio)” si diffuse rapidamente in tutta Europa, fu ripreso nel Medioevo in molti manoscritti e rappresentato in tante opere d’arte (Figg. 83, 84). Si diffuse l’idea che il latte di Maria potesse compiere miracoli, portare a guarigione, dare forza e fiducia, redimere da ogni peccato. Nei versi seguenti di San Bernardo emerge il suo credo: Seni della Madre Maria/splendenti come una torcia/che consentono al suo Bambino di poppare/con ardore essi brillano/le macchie sono cancellate/con la sua dolce fragranza127. Divennero note le storie della Vergine che curava con gocce del suo latte i devoti che si erano ammalati. Un episodio, ad esempio, riguardava la vicenda di un monaco morente la cui bocca era coperta da ulcere putride. I suoi confratelli l’avevano dato per morto, quando il frate recitò il versetto del Vangelo di Luca Beate le mammelle che ti allattarono. La Vergine apparve allora al suo capezzale, si spremette il seno, pose alcune gocce di latte, vero balsamo, sulla sua bocca e rapidamente il monaco guarì. Anche Fulberto,Vescovo di Chartres nel XII secolo, fu guarito dal latte di Maria. Era gravemente ammalato, quando una notte gli apparve la Madonna che gli versò un po’ del suo latte in bocca e Fulberto guarì immediatamente. Le gocce che rimasero sulle guance furono raccolte in una fiala e custodite nel tesoro della cattedrale, insieme ad un’altra reliquia del Sacro latte portata dalla Giudea. Da quel momento si diffuse la credenza che le due reliquie risolvessero molti problemi di ipogalattia e sterilità. Le anime purganti Un altro tema era quello del latte della Vergine che nutriva anche le anime del Purgatorio in attesa del Giudizio Universale. Se le preghiere dei viventi permettevano alle anime di elevarsi a poco a poco per accedere definitivamente al Paradiso, al momento del Giudizio, il latte di Maria, metafora del nutrimento celeste, era determinante per favorire questa ascesa. L’iconografia del Purgatorio fu molto ricca a partire dalla fine del Medioevo e tra le diverse rappresentazioni c’era anche quella della Maria allattante, come nell’opera di Pedro Machuca, La Vergine e le anime del Purgatorio, conservata al Museo del Prado (Fig. 85). Maria, seduta su un trono sostenuto da un nugolo di cherubini con Gesù in braccio, spreme il seno destro, mentre il Bambino preme il sinistro: dai due seni sgorga il latte salvifico per le anime del Purgatorio, rappresentate nella parte inferiore dell’opera.

127.. Dorger C., Studies in the image of the Madonna Lactans in late medieval and Renaissance Italy, Electronic Theses and Dissertations, Louisville, 2012, pag. 76, https://doi.org/10.18297/etd/367

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Fig. 86 a) Anonimo, Madonna del Latte, fine XV-inizio XVI secolo, Oratorio di San Leonardo, Brivio; b) Il cancello che protegge l’opera

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La Riforma tridentina

L’arte sacra fu fortemente influenzata dagli indirizzi teorici definiti nel Concilio di Trento (1545-1563), il cui principio fondante divenne quello della fedeltà e dell’aderenza narrativa alla Bibbia e ai Vangeli. Le direttive restrittive del Concilio Tridentino ebbero un grande impatto sulla rappresentazioni religiose. L’immagine della Madonna del Latte rientrava fra quelle più particolari e diffuse e la devozione era molto sentita tra la gente. Era però espressione dei Vangeli apocrifi, in cui la fantasia popolare aggiungeva molte narrazioni ricche di particolari al racconto dei Vangeli canonici. Nel clima severo e conformista che si stava instaurando in tutti gli aspetti religiosi, compresa l’espressione artistica, questa libertà e autonomia non erano più tollerate. Il Cardinale Federico Borromeo, amante delle arti e molto impegnato nella vita culturale del tempo, nel suo lungo episcopato a Milano, dal 1595 al 1631, impresse alla tradizione pittorica lombarda un carattere fortemente religioso nel senso sopraindicato. I suoi testi e le sue indicazioni si diffusero anche fuori regione e condizionarono notevolmente l’approccio degli artisti alle rappresentazioni religiose. Nel 1624 scrisse il trattato De Pictura sacra, in cui enunciò con chiarezza il seguente criterio: «Si deve rispettare la verità storica perché gli artisti, dipingendo non abbiano a dire cosa varie e false. La pittura infatti è un linguaggio col quale i pittori parlano non agli orecchi degli uomini, ma ai loro animi. La libertà dei pittori deve moderarsi con regole fisse e severe che non escano dai precetti (canonici)»128. Si rammaricava, ad esempio, che Michelangelo avesse inserito nel Giudizio Universale la barca di Caronte che traghetta le anime dei morti, reminiscenza del vecchio mondo culturale pagano. Borromeo considerava anche il nudo al di fuori della “verità storica” e teologica che si ritrova nella Bibbia, nei testi sacri, nell’agiografia dei santi. Nel capitolo dedicato al nudo, De nudo, Borromeo si riferiva in un passaggio proprio alla Madonna del Latte: «Quindi appare ancora la sconvenienza di quelli che effigiano il Divino Infante poppante in modo da mostrare denudato il seno e la gola della Beata Vergine, mentre quelle membra non si devono dipingere che

128. Borromeo F., De pictura sacra, Testo e versione a cura di C. Castiglioni, Camastro Pasquale Carlo, Sora (Fr), 1932.

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La Riforma tridentina

Fig. 87 Madonna di San Martino di Valmadrera, in realtà una Madonna del Latte dopo i restauri Fig. 88 Madonna di Campoè, in realtà una Madonna del Latte dopo i restauri

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Fig. 89 Anonimo, Madonna del Latte, conosciuta come Madonna del Ghisallo, 1520-1530, Santuario Madonna del Ghisallo, Magreglio

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non con molta cautela e modestia»129. Come suggerisce Natale Perego. «Diplomaticamente non c’è nulla di imposto, sembra che il soggetto della Madonna del Latte sia soltanto inopportuno, ma il peso culturale dell’opinione del cardinale in una simile materia finiva con l’assumere valore d’obbligo»130. E ancora: «Con San Carlo prima e con Federico Borromeo dopo era entrata in circolo tra gli artisti maggiori e minori in città e di riflesso nel contado l’idea che l’immagine della Madonna del Latte fosse un’immagine del passato, propria di una religiosità troppo intrisa di banale quotidianità che non lanciava il fedele verso il senso del mistero, verso la santità»131. Il soggetto fu così ritenuto sconveniente: laddove le opere erano presenti si intervenne materialmente per ritoccarle, per cancellarle, per nasconderle quando di fattura pregevole. Così avvenne nell’oratorio di San Leonardo a Brivio: osservando il valore di un affresco della Madonna del Latte, Borromeo fece costruire una cancellata di ferro in modo che l’opera risultasse isolata e che i fedeli non potessero avvicinarsi, salvaguardando però l’affresco. «Un compromesso tra le esigenze pastorali e l’amore per l’arte»132 (Fig. 86). Natale Perego riferisce come in Brianza siano state riportate alla luce negli ultimi decenni alcune opere originali che erano state corrette o modificate nei secoli scorsi133. I lavori di restauro eseguiti a metà del Novecento hanno consentito di riportare alla versione originale alcune Madonne del Latte ritoccate dopo la riforma tridentina. Nella Fig. 87 e nella Fig. 88 sono riprodotte le immagini della Madonna di San Martino di Valmodrera e della Madonna di Compoè prima e dopo il restauro. In certi casi anche la denominazione fu modificata, non facendo più riferimento all’iconografia propria della Vergine allattante, ma piuttosto al luogo, al santuario in cui si trova la raffigurazione. Un esempio molto noto è rappresentato dalla Madonna del Ghisallo, protettrice dei ciclisti, che è una Madonna del Latte134 (Fig. 89). Il fraintendimento nel comprendere il valore simbolico della Madonna del Latte e del suo gesto portò alla riduzione di tante pratiche devozionali e di conseguenza anche il culto incentrato su di lei venne progressivamente meno. Anche la Madonna dell’Umiltà, la Madonna del Parto, la Madonna che intercede per i fedeli divennero soggetti rappresentati sempre più raramente.Venivano

129. Ibidem. 130. Perego N., Una Madonna da nascondere. La devozione per la “Madonna del latte” in Brianza, nel Lecchese e nel triangolo Lariano. Cattaneo Editore, Oggiorno, 2005, pag. 46-48. 131. Ibidem, pagg. 46-48. 132. Ibidem, pag. 48. 133. Ibidem, pagg. 68-70. 134. Ibidem, pag. 67.

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Fig. 90 Orazio Gentileschi, Madonna con Bambino, 1609, Museo Nazionale d’Arte della Romania, Bucarest Fig. 91 Artemisia Gentileschi, Madonna con Bambino, 1610-11, Galleria Spada, Roma Fig. 92 Rembrandt, Sacra Famiglia, 1635 circa, Alte Pinakothek, Monaco Fig. 93 Bartolomé Esteban Murillo, Madonna del Latte, 1675 circa, Galleria Corsini, Roma

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invece dipinte l’Immacolata Concezione, la Madonna del Rosario, l’Assunzione, con rappresentazioni spesso ripetitive e conformistiche. Anche nelle sempre più rare opere in cui nel corso del Seicento veniva riproposto il tema della Madonna del Latte gli artisti si concedevano libertà artistiche che non sottointedevano più il senso del sacro dei secoli precedenti, ma si rifacevano piuttosto a scene di vita quotidiana, come nelle opere di Orazio Gentileschi (Fig. 90) e di sua figlia Artemisia (Fig. 91), di Agostino e Ludovico Carracci, di Rembrandt nelle Fiandre (Fig. 92), di Bartolomé Esteban Murillo (Fig. 93) e di Francisco du Zubaran (Fig. 94) in Spagna. Artemisia Gentileschi dipinse alcune Madonne che allattano. Nell’opera conservata nella Galleria Spada a Roma, la Madonna è colta nell’attimo in cui la poppata ha avuto termine, un momento prima di riporre il seno nella veste, mentre il Bambino le rivolge uno sguardo amorevole e accenna una carezza. La luce che proviene dall’esterno lascia al buio tutto il resto della scena e focalizza lo sguardo direttamente su Madonna e Bambino. I colori molto caldi delle vesti contribuiscono a rendere l’atmosfera familiare. La tenerezza del colloquio e dell’abbraccio rivela una poetica tutta femminile che, insieme ai capelli particolarmente realistici del Bambino e al panneggio della veste reso con particolare maestria, fanno passare in secondo piano qualche incertezza come la posizione di Maria un po’ troppo incurvata, la posizione incongrua del braccio, le dita della mano piuttosto grossolane. Vittori Sgarbi evidenzia come le figure femminili dei quadri giovanili di Artemisia, e tra essi la Madonna con Bambino, dipinti poco tempo dopo essere stata violentata dal pittore Agostino Tassi, che lei ebbe il coraggio di denunciare, siano autoritratti indiretti, attraverso travestimenti, di significato psicoanalitico o concettuale di sorprendente modernità. Fissandoci negli occhi sembra dire che «la violenza patita è solo un ricordo umiliante, più per lui che per lei. Artemisia ha reagito, si è fatta rispettare, adesso è l’ora della riscossa. Guardate cosa sono capace di fare»135. Dopo la seconda metà del Seicento l’iconografia della Madonna del Latte andò così a scomparire.

135. Sgarbi V., Il trucco (narcisistico) di Artemisia Gentileschi, Io donna, 6 gennaio 2018, pagg. 16-17.

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La Riforma tridentina

Fig. 94 Francisco de Zurbaran, Madonna del Latte, 1658, Museo Puškin, Mosca

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Fig. 95 Jan Van Eyck, La Madonna di Lucca, 1437-1438 (?), Städelsches Kunstinstitut, Francoforte

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Le Madonne del Latte conservate a Lucca o che hanno riferimento con la città

Molte tipologie di Madonna del Latte viste in precedenza si ritrovano anche a Lucca o hanno comunque riferimento con la città, come la celeberrima Madonna con Bambino di Jan Van Eyck, oggi esposta a Francoforte, ma di proprietà dei Borboni fino ai primi anni dell’Ottocento, o il tondo di Lathrop, ora conservato in California, ma sicuramente dipinto a Lucca. Di seguito vengono riportate, oltre alle due opere citate, le Madonne del Latte conservate nelle chiese, nei musei, nelle collezioni cittadine. Madonna con Bambino (o Madonna di Lucca) di Jan Van Eyck La denominazione del quadro, conservato nello Stadelsches Kunst Institut und Stadtischs Galeries di Francoforte, deriva dal fatto di essere appartenuto a Carlo Ludovico di Borbone, Duca di Lucca, e prima ancora alla famiglia lucchese Cittadella (Fig. 95). Rappresenta un esempio della notevole presenza di opere d’arte fiamminghe nella cosmopolita Lucca del Quattrocento, ma nulla si sa del committente. Rientrata verso metà Ottocento nei Paesi Bassi, l’opera fu acquistata poi dal museo di Francoforte. Risale alla tarda attività del pittore, che adotta l’iconografia della Madonna allattante ispirandosi probabilmente a un quadro conservato nella cattedrale di Cambrai, Notre Dame des Graces, copia senese di un’opera bizantina ritenuta all’epoca un ritratto di Maria136. La scena è ambientata all’interno di uno spazio intimo e domestico, il momento è privato e familiare, i dettagli non sono molti per concentrare lo sguardo dello spettatore sulle due figure. Il mantello ricamato della Madonna, la solennità del baldacchino, le mattonelle di ceramica decorata, il tappeto ricordano l’eccezionalità dei due protagonisti, ma non c’è nessun intento celebrativo. I pochi oggetti in vista sono raffigurati con grande maestria e hanno un significato simbolico. I leoni del trono rimandano al trono di Salomone; i frutti del davanzale, la brocca e il bacile pieno d’acqua danno un perfetto equilibrio tra sacralità e quotidianità. La scelta di tagliare la finestra, la nicchia, il tappeto dai confini naturali del quadro invita lo spettatore a “entrare” nella scena: lo spazio

136. Spantigati C.E., Van Eyck, Gli Illustrati del Corriere della Sera, Collana Philippe Daverio racconta, Giunti Editore, Firenze, 2017, pag. 52.

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Le Madonne del Latte conservate a Lucca

dipinto pare così prolungarsi all’interno di quello di chi osserva e fa sì che i personaggi sacri risultino fortemente umanizzati137. Nel volto della Vergine sono stati ravvisati i tratti della moglie di Jan, Margaretha138. Tondo di Lathrop Il quadro, conservato oggi nel Paul Getty Museum di Malibu, secondo la tradizione fu acquistato a Lucca alla fine dell’Ottocento o nei primi anni del Novecento, all’incirca tra il 1906 e il 1929, fu di proprietà di Francis Lathrop, collezionista di New York (Fig. 96). L’autore, dapprima indicato come Maestro di Lathrop con riferimento al nome del proprietario139, è stato recentemente identificato in Michelangelo di Pietro Mencherini o Membrini, per il quale esiste una documentazione della sua presenza a Lucca tra il 1484, quando ottenne un posto di semplice operaio nella fabbrica della chiesa di Albiano vicino a Camaiore, e il 1525, anno della morte. La Madonna che allatta il Bambino è seduta su un trono posto contro una parete di marmo ed è affiancata da San Girolamo a sinistra e da Santa Caterina d’Alessandria a destra. In basso, ai piedi della Vergine, è ritratto un giovane uomo, probabilmente il committente del dipinto. La mela sopra il trono della Vergine allude probabilmente al peccato originale, che Cristo, qui rappresentato Bambino, riscatterà con la sua passione. Anche le ciliegie che pendono dal filo di perle sopra la figura di San Girolamo hanno un significato simbolico, quello del sangue versato dal Redentore. La provenienza dell’opera è certamente lucchese. Nella parte superiore del trono sono infatti rappresentati gli stemmi di due importanti famiglie lucchesi: a sinistra quello dei Guinigi, a destra quello dei Buonvisi. Diversi autori hanno associato il dipinto al matrimonio, celebrato nel 1496, tra Michele Guinigi e Caterina Buonvisi. Santa Caterina potrebbe rappresentare simbolicamente Caterina Buonvisi, la sposa che portava il suo stesso nome. San Girolamo potrebbe essere indirettamente riferibile allo sposo Michele Guinigi, il cui padre si chiamava appunto Girolamo, verosimilmente il giovane devoto rappresentato in basso. Se così fosse, verrebbe però stranamente a mancare il ritratto della donna in un quadro che dovrebbe celebrare un matrimonio. Nel caso specifico poi, Caterina, con il suo consenso, consentiva l’alleanza di due tra le più floride imprese commerciali e finanziarie dell’epoca. Il mantello indossato da Michele Guinigi, ampio e foderato di pelliccia con grandi risvolti sul collo e sulle maniche, era raramente

137. Van Eyck, in Rizzoli/Skira Editori, Milano, 2003. 138. Ibidem, pag. 52. 139. Natale M., Note sulla pittura lucchese alla fine del Quattrocento, The Paul Getty Museum Journal, Vol. 8, 1980, pagg. 35-62.

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Fig. 96 Maestro del Tondo di Lathrop - Michelangelo Membrini, Madonna del Latte con San Girolamo e Santa Caterina e un donatore, 1510 circa, Paul Getty Museum, Malibu

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presente nei ritratti dell’epoca nell’Italia Centrale e sembra anche contrastare con le leggi in vigore a Lucca. Nel 1339 la città aveva infatti adottato gli ordinamenti suntuari, una serie di prescrizioni molto precise che volevano limitare l’esibizione del lusso, ridurre le spese inutili, frenare la contrazione demografica che si credeva legata al carattere eccessivamente dispendioso dei matrimoni. Riformate più volte le leggi arrivavano a definire il numero e la tipologia dei gioielli, imponevano la qualità dei tessuti e degli ornamenti che i cittadini potevano indossare. Nel 1362 fu vietato l’uso delle pellicce e furono previste severe pene pecuniarie non solo per chi avesse indossato tali abiti, ma anche per chi li avesse tagliati, cuciti o lavorati per sé o per altre persone residenti a Lucca, nei borghi o nel contado. I mantelli foderati di pelliccia erano invece diffusi nelle fredde regioni settentrionali dell’Italia e del nord Europa. È possibile che i ricchi mercanti e finanzieri che si spostavano spesso per lunghi viaggi all’estero per controllare i propri affari, come i Guinigi, che avevano un’importante succursale a Bruges, indossassero in certe occasioni abiti di questo genere. Mario Natale ipotizza che il tipo di abito indossato da Michele Guinigi potesse far riferimento a una partenza imminente e ad un’assenza prolungata piuttosto che a un ritorno recente. Il dipinto potrebbe quindi essere in relazione non tanto a un matrimonio celebrato, quanto a una promessa di fidanzamento con cui Michele si impegnava a sposare Caterina Buonvisi non appena fosse stato possibile, con l’assenso del padre Girolamo140. Un’opera comunque molto particolare considerato che non esistono altri “tondi di fidanzamento”141. Marco Paoli ritiene che la realizzazione del tondo non sia collegabile al matrimonio sopraricordato, pur nella certezza che il dipinto sia stato realizzato in occasione di un’alleanza matrimoniale tra le due ricchissime casate mercantili, come attestato dalla presenza degli stemmi, e suppone che contenga, più che una promessa di nozze, un significato augurale per l’evento che stava per compiersi. Il soggetto principale, la Madonna che allatta il Bambino, avrebbero dovuto rappresentare l’auspicio perché le nuove nozze fruttificassero142. I tondi ebbero nel Quattrocento una destinazione completamente privata, venivano osservati e impiegati come oggetti di culto all’interno delle case signorili. A rendere molto particolare il Tondo Lathrop rispetto ad altre opere contemporanee dello stesso genere, è la struttura della composizione con un impianto monumentale simmetrico secondo uno schema non comune per questo tipo di opere di destinazione domestica e tipico invece delle pale d’altare143. 140. Natale M., Note sulla pittura lucchese alla fine del Quattrocento, The Paul Getty Museum Journal,Vol. 8, 1980, pagg. 35-62. 141. Ibidem, pagg. 35-62. 142. Paoli M., Arte e committenza privata a Lucca nel Trecento e nel Quattrocento, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1986, pagg. 174-175. 143. Natale M., Note sulla pittura lucchese alla fine del Quattrocento, The Paul Getty Museum Journal,Vol. 8, 1980, pagg. 35-62.

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Madonna del Latte di Matteo Civitali L’opera molto probabilmente era destinata alla devozione domestica e privata. La Madonna e il Bambino sono realizzati con un unico pezzo in terracotta applicato al fondo della nicchia di legno con un grosso chiodo (Fig. 97). Materiali di per sé poveri, come la terracotta e il legno, sono lavorati «con tecniche esecutive particolarmente raffinate, con partiture decorative eleganti, che dimostrano l’autografia dell’esecuzione da parte di Matteo Civitali, raffinatissimo inventore di ornamenti e sensibilissimo plastificatore a cui si devono le più delicate ed umane rappresentazioni della Vergine in territorio lucchese»144. Maria, la cui figura è tagliata subito al di sotto delle ginocchia, con un gesto di grande naturalezza spreme il seno scoperto fra le labbra del bambino completamente nudo e rannicchiato ad angolo retto sulle sue ginocchia, modello iconografico particolare dagli artisti fiamminghi145. Il volto della Madonna è incorniciato da capelli morbidamente mossi, lo sguardo è rivolto in basso per sorvegliare il bambino, le labbra sottili accennano appena a un tenero sorriso. La scollatura dell’abito rosso è impreziosita da un fermaglio; i colori del gioiello non sono più visibili, ma probabilmente erano tali da evidenziarne la preziosità. Un ampio mantello azzurro copre il capo e il corpo della Vergine. Maria siede su un trono a faldistorio decorato da raffinati motivi a candelabra; la spalliera sembra avvolgere la figura della Madonna con la sua forma solo apparentemente concava, dovuta ad un particolare effetto prospettico, reso con grande maestria. Due spiritelli con le braccia alzate, di evidente ispirazione donatelliana, reggono i braccioli come telamoni146. La nicchia è circondata da una cornice dorata e finemente scolpita con piccole foglie e ovuli e poggia su una mensola al cui centro è raffigurato uno stemma con a lato due foglie di acanto. Questo stemma in realtà è costituito dalla sovrapposizione di altri due, appartenenti a due famiglie lucchesi. Il primo, costituito da sei pali in rosso e oro alternati e sormontati da una testa di leone, è quello della famiglia dei Ghivizzani (o da Ghivizzano); il secondo, a croce di Sant’Andrea in azzurro, è quello della famiglia Bernardini. Caterina, figlia naturale di Jacopo da Ghivizzano, sposò Martino Bernardini. Dal loro matrimonio nacque, nel 1487, Martino, che diventò poi Gonfaloniere della Repubblica di Lucca e padre della cosiddetta “riforma martiniana” che modificò il sistema di accesso alle cariche pubbliche. Il motivo della commissione dell’opera a Civitali potrebbe quindi essere stato il matrimonio tra Caterina e

144. D’Aniello A. (a cura di), Matteo Civitali, la Madonna del Latte, Publied, Lucca, 2015, pag. 15. 145. Natale M., Note sulla pittura lucchese alla fine del Quattrocento, The Paul Getty Museum Journal,Vol. 8, 1980, pagg. 35-62. 146. Caglioti F., in: Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento, Silvana Editoriale, Milano, 2004, pag. 425.

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Fig. 97 Matteo Civitali, La Madonna del Latte, terracotta policroma, Fondazione Cassa di Risparmio Lucca, Lucca

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Martino o la nascita del loro figlio. La strombatura presenta una decorazione ornamentale ancora con motivo a candelabra dipinta in oro su fondo azzurro; al centro dell’arco è dipinto il monogramma di Cristo IHS iscritto in un cerchio raggiato. Residui delle decorazioni originali azzurre si trovano sul fondo della nicchia, costituito da assi di legno. Attribuita in passato a Verrocchio e alla sua bottega, l’opera fu ripresentata con la corretta restituzione a Matteo Civitali, in occasione della mostra a lui dedicata nel 2004147. Francesco Caglioti la ritiene una curiosa sorta di prova generale della Madonna della Tosse, senza esserne peraltro un vero e proprio modello, da collocare tra il 1482 e il 1485. Massimo Ferretti propone ancora prima la datazione dell’opera, attorno al 1470, ritenendola precedente rispetto alla Madonna della tosse per la presenza del fermaglio, considerato indice di una cronologia precoce nel percorso artistico di Civitali, e per l’omaggio a Donatello con gli spiritelli-telamoni nei braccioli del trono148. Madonna del latte (detta Madonna della Tosse) di Matteo Civitali È tra le più celebri opere di Matteo Civitali, nota anche come Madonna della Tosse, perché ritenuta in passato avere un effetto taumaturgico per i devoti con patologie respiratorie (Fig. 98). Il primo riferimento conosciuto è quanto attesta Cesare Franciotti, che riferisce come nel 1613 l’opera fosse collocata nella chiesa di San Ponziano: «una sacra immagine in marmo della Beata Vergine in atto di dare al Santo Bambino il latte, dove sogliono quelli che si trovano infermi di tossa venire e devotamente baciarla per riceverne la sanità, come spesso accade per divina gratia, et ogni giorno va aumentando appresso ’l popolo, tanto della città quanto forestieri, la sua devotione»149. La notizia è ripresa poi dal conte Galeazzo Gualdo Priorato nel 1668: «una Beata Vergine di marmo in atto di dare il latte al Santo bambino, tenuta in grandissima stima»150. Le ultime segnalazioni della sua presenza in San Ponziano risalgono al 1808. A partire dal terzo decennio dell’Ottocento l’opera è collocata nella Chiesa della Santissima Trinità, prima nel coro per qualche anno, poi sull’altare lungo la parete destra. La Madonna della Tosse è uno «splendido saggio di anamorfosi in scultura. Pur avendo a disposizione non più di mezzo braccio di spessore marmoreo, Civitali è 147. Ibidem, pag. 425. 148. Ferretti M., Madonna del Latte, in Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento, Silvana Editoriale, Milano, 2004, pagg. 352-53. 149. Franciotti C., Historie delle miracolose imagini e delle vite dé santi, i corpi dé quali sono nella città di Lucca, all’illustrissima et eccellentissima Repubblica di essa Cesare Franciotti, sacerdote della Congregazione Lucchese della Beata Vergine, d.d.d., Lucca, 1613, cit. da Caglioti F. 150. Gualdo Priorato G., Relatione della Signoria di Lucca, suon domino e governo, Koln, 1668, cit. da Caglioti F.

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Fig. 98 Matteo Civitali, Madonna della Tosse, 1482-1485 circa, Chiesa della SS.Trinità, Lucca

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riuscito benissimo a rendere l’idea di una profondità notevole, ottenendo da un altorilievo l’effetto di un compiuto tuttotondo»151. Per ottenere questo risultato prospettico il punto di osservazione deve essere necessariamente più basso rispetto all’opera, condizione d’altronde garantita facilmente dal posizionamento della scultura al di sopra di un altare. Solo guardando dal sotto in su possono essere apprezzati nel loro complesso, nella loro armonia e coerenza tutti gli elementi dell’opera: la Vergine assume la generosità di forme tipica di una mamma che allatta; lo sguardo premuroso segue dall’alto verso il basso il gesto dell’elegante mano destra che spreme il seno; il corpo apparentemente disarmonico di Gesù diventa quello di un bambino paffuto che puppa con guance rigonfie mentre la manina giocherella con il mignolo della mamma; il panneggio del manto prende un andamento voluminoso e solenne; la cresta eccessiva che la stoffa disegna in cima alla fronte si attenua rendendo l’idea del capo velato. La sedia è rappresentata in tutta la sua larghezza e profondità, non solo accennata con pochi dettagli come in tante altre opere dell’epoca ed accoglie le due figure presentate frontalmente, quasi in maestà; la Vergine è tagliata al di sotto delle ginocchia, e queste, avanzando in primo piano, dispiegano le falde della stoffa al di qua del sedile. Anche in questo caso la posa ad angolo retto del Bambino, rannicchiato nel grembo materno, rimanda a modelli fiamminghi, in primo luogo alla Madonna di Lucca di Jan Van Eyck. Una curiosità relativa alla doratura dello scranno, che non è quella applicata in origine: in una testimonianza autobiografica Michele Ridolfi, pittore e artista lucchese incaricato di pulire la statua dalla polvere e dal sudiciume negli anni Venti dell’Ottocento, racconta come avesse provato a togliere l’oro dalla sedia e dai capelli delle figure, ma essendosi reso conto che il mordente usato aveva impregnato in modo irreversibile il marmo, fu costretto a mettere nuovamente l’oro almeno sullo scranno152. Madonna con Bambino di Giuliano di Simone, Chiesa di San Michele in Foro L’affresco è attribuito a Giuliano di Simone da Clara Baracchini e Maria Teresa Filieri153, ma tale interpretazione non è condivisa da Miklos Boskovitz154 che ritiene come le sovrapposizioni di successivi strati di intonaco rendano difficile 151. Caglioti F., in: Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento, Silvana Editoriale, Milano, 2004, pag. 422. 152. Ridolfi M., Sopra alcuni quadri di Lucca restaurati. Ragionamento quinto […] letto nelle due tornate del 20 maggio e 28 luglio 1846, in Atti del’I. e R.Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, XIV, Lucca, 1953, pagg. 299-390. 153. Baracchini C., Filieri M.T., Un affresco ritrovato di Giuliano di Simone. Il restauro della Madonna in trono con il Bambino nella Chiesa di San Michele in Foro, Lucca, 1990. 154.. Boggi F, Recent research on Lucchese painting, in Arte Cristiana, LXXXV, 1997, pagg. 167-172.

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Fig. 99 Giuliano di Simone, Madonna col Bambino, 1390-95, Chiesa di San Michele, Lucca

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Fig. 100 Giuliano di Simone, Madonna col Bambino, 1389, Chiesa di San Michele, Castiglione di Garfagnana Fig. 101 Madonna del Latte, affresco, XIV secolo, Chiesa di Santa Maria Forisportam, Lucca

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un giudizio preciso (Fig. 99). Diverse notizie riferiscono dell’attività di Giuliano, figlio di Simone Ricci della contrada di Sant’Alessandro Maggiore, a partire dal 1383 fino al 1397, sulla cui formazione e cultura artistica svolse un’influenza determinante l’operosità di Spinello Aretino a Lucca155. L’affresco sulla controfacciata della chiesa di San Michele in Foro dal punto di vista iconografico è assai simile nella parte centrale, che dovrebbe risalire all’incirca al sesto decennio del XIV secolo, alla lunetta di Santa Maria Forisportam (Fig. 101). Secondo Angelo Tartuferi con molta probabilità doveva trattarsi in origine di una Madonna dell’Umiltà, “riletta” poi in chiave regale con un intervento successivo, databile forse all’inizio del XV secolo, con l’estensione del mantello, reso assai raffinato dai bordi dorati, e con la realizzazione del trono, di struttura poderosa e di gusto squisitamente tardogotico156. Nel 1389 Giuliano di Simone dipinse la tavola della Vergine con Bambino per la chiesa di San Michele di Castiglione Garfagnana (Fig. 100). La tavola è firmata e datata: Iulianus Symonis de Luca MCCCLXXXVIIII. La Madonna, seduta su di un trono con un pedana raffinata, sta allattando il bambino; alle sue spalle due angeli reggono un drappo, ornato di una fitta e minuta decorazione floreale che scende sul sedile del trono fino ai piedi della Vergine. Nel pinnacolo sovrastante, in una piccola cornice trilobata, è raffigurato Dio Padre benedicente157. Madonna che allatta il Bambino, Chiesa di Santa Maria Forisportam Nella lunetta sulla controfacciata destra della chiesa, restaurata da non molti anni, è dipinta ad affresco la solare e molto dolce Madonna che allatta il Bambino, risalente al XIV secolo (Fig. 101). Sull’attribuzione dell’opera, espressione del tardogotico lucchese, esiste qualche controversia: per Angelo Tartuferi sembra doversi riportare senza grossi dubbi al soggiorno lucchese del giovane Martino di Bartolomeo158, per Andrea De Marchi può essere riferita a Giovanni di Pietro da Napoli159.

155. Concioni G., Ferri C., Ghilarducci G., Arte e pittura nel Medioevo lucchese, Matteoni Editore, Lucca, 1994, pagg. 327-330. 156. Tartuferi A., Trecento lucchese – La pittura a Lucca prima di Spinello Aretino, in Sumptuosa tabula picta, Pittori a Lucca tra gotico e rinascimento, a cura di Filieri M.T., Sillabe, Livorno, 1998, pagg. 58-59. 157. Pisani L., Madonna col Bambino, Chiesa di San Michele, Castiglione Garfagnana, in Sumptuosa tabula picta, Pittori a Lucca tra gotico e rinascimento, a cura di Filieri M.T., Sillabe, Livorno, 1998, pagg. 198-199. 158. Tartuferi A., Trecento lucchese – La pittura a Lucca prima di Spinello Aretino, in Sumptuosa tabula picta, Pittori a Lucca tra gotico e rinascimento, a cura di Filieri M.T., Sillabe, Livorno, 1998, pagg. 58-59. 159. De Marchi A., Pittori gotici a Lucca: indizi di un’identità complessa, in Sumptuosa tabula picta, Pittori a Lucca tra gotico e rinascimento, a cura di Filieri M.T., Sillabe, Livorno, 1998, pag. 409.

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Madonna che allatta il Bambino, seguace di Bartolomeo di Andrea Bocchi, Chiesa di Santa Maria dei Servi Alla cerchia del pittore pistoiese Bartolomeo di Andrea Bocchi si potrebbe far risalire un affresco, databile al XIV secolo, che è stato da poco riscoperto sotto le ridipinture sulla controfacciata sinistra nella chiesa di Santa Maria dei Servi. L’opera testimonia, in ogni caso, l’influenza dei canoni artistici dell’autore anche in città160 (Fig. 102). La Madonna del Latte fra i santi Pietro, Paolo, Paolino e Nicola, di Bernardino del Castelletto, Chiesa di San Pietro a Vico L’opera, risalente alla fine del XIV secolo e attribuita a Bernardino del Castelletto, peraltro con qualche riserva, è pervasa di sentimento materno, reso in maniera pienamente umanistica nel dolce realismo della giovane donna che porge il seno comprimendolo tra l’indice e il medio (Fig. 104). Il gesto materno, semplice e naturale, è rappresentato con particolare intensità affettiva, umana prima ancora che divina. Il volto sereno di Maria, con l’ovale classicamente allungato, riflette bene tale sentimento. La Madonna è seduta su un trono dalle forme eleganti, la cui parte superiore si conclude simbolicamente in una nicchia a forma di conchiglia. Accanto a lei: San Pietro a sinistra e San Paolo a destra, che vestono panni tradizionali all’antica e mostrano i piedi nudi. La struttura compositiva è sobria e semplice e riprende la simmetria delle pale d’altare. Un tendaggio di broccato rosso, la cui decorazione pittorica è andata parzialmente distrutta, chiude il fondo come una quinta e finisce per avere la funzione dei fondi dorati medioevali. Le due figure in secondo piano, verosimilmente raffiguranti San Paolino, patrono di Lucca e San Nicola, vestono abiti della liturgia cerimoniale e sono quasi identiche161. Madonna del Latte, Chiesa dei Cappuccini Monte San Quirico Nella chiesa dei Cappuccini è conservato un affresco, un antico stacco a massello, originariamente situato nella chiesa di Santa Chiara e qui trasferito nel corso del XIX secolo (Fig. 103). Nell’opera, attribuita a un pittore prossimo a Giuliano di

160. De Marchi A., Bartolomeo di Andrea Bocchi, in Sumptuosa tabula picta, Pittori a Lucca tra gotico e rinascimento, a cura di Filieri M.T., Sillabe, Livorno, 1998, pagg. 352-53. 161. Soldano S., Bernardino del Castelletto. Pittore a Massa, Amilcare Pizzi Editore, Cinisello Balsamo, 1994.

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Fig.105 Pittore prossimo a Giuliano di Simone XIV secolo Chiesa dei Cappuccini Monte San Quirico, Lucca

Madonna col Bambino tra i Santi Domenico e Antonio da Padova, di Gaspa Banca del Monte di Lucca, Lucca

La tavola è opera del pittore emiliano Gaspare Sacchi. L’artista, nato a Imol Cinquecento era attivo a Lucca nella bottega di Agostino Marti, dove ebbe c Zacchia il Vecchio, cui fino a non molto tempo fa era attribuita l’opera165. l quadro raffigura una Sacra Conversazione: la Madonna allatta il Bambino Antonio da Padova (Fig.106). Trova un preciso termine di confronto nella M ra i Santi Stefano e Giovanni Battista dipinta da fra’ Bartolomeo per il Duo Fig.107). 102 Seguace di Bartolomeo di Andrea Bocchi (?), Madonna col Bambino, Santa Mariama dei Servi, Lucca Sacchi nonFig. solo riprese lo schema compositivo generale, riprese anche l Fig. 103 Bernardino del Castelletto, Madonna del latte e i santi Pietro, Paolo, Paolino e Nicola, 1480-1490 mandolinocirca, e Chiesa replicò di San nel Pietro, Sant’Antonio San Pietro a Vico, Lucca la posizione e l’atteggiamento di San Fig. 104 Pittore prossimo a Giuliano di Simone, XIV secolo, Chiesa dei Cappuccini, Monte San Quirico, Lucca

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Fig. 105 Gaspare Sacchi, Madonna col Bambino tra i Santi Domenico e Antonio da Padova, 1509 doc.-1536, Fondazione Banca del Monte di Lucca, Lucca

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Fig. 106 Fra’ Bartolomeo, Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista e Stefano, 1509, Cattedrale di San Martino, Lucca

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Simone, si nota una vicinanza ai tratti distintivi e al linguaggio di Giuliano di Simone tradotto in forme più corsive162. Madonna col Bambino tra i Santi Domenico e Antonio da Padova, di Gaspare Sacchi, Fondazione Banca del Monte di Lucca, Lucca La tavola è opera del pittore emiliano Gaspare Sacchi. L’artista, nato a Imola, nei primi anni del Cinquecento era attivo a Lucca nella bottega di Agostino Marti, dove ebbe come condiscepolo Zacchia il Vecchio, cui fino a non molto tempo fa era attribuita l’opera163. Il quadro raffigura una Sacra Conversazione: la Madonna allatta il Bambino tra i Santi Domenico e Antonio da Padova (Fig. 105). Trova un preciso termine di confronto nella Madonna col Bambino tra i Santi Stefano e Giovanni Battista dipinta da fra’ Bartolomeo per il Duomo di Lucca nel 1509 (Fig. 106). Sacchi non solo riprese lo schema compositivo generale, ma riprese anche l’angioletto con il mandolino e replicò nel Sant’Antonio la posizione e l’atteggiamento di San Giovanni Battista. La Vergine e le anime purganti, di Paolo Biancucci, Curia Arcivescovile dalla Chiesa del Suffragio Paolo Biancucci, allievo di Guido Reni, dipinse l’opera per la Chiesa del Suffragio verso il 1640 (Fig. 107). La traiettoria che lo sguardo individua, insieme ai gesti e alle pose, rende bene l’idea e l’immediata lettura del movimento di ascesa delle anime. La mimica dei volti senza modulazione delle emozioni, le espressioni sostanzialmente uniformi, i sorrisi stereotipati, senza particolari variazioni, gli sguardi che non si corrispondono e si volgono in direzioni diverse, limitano le possibilità di articolazione di un contenuto affettivo, di una relazione tra le figure, ma la volontà dell’artista è di indirizzare subito verso l’attenzione verso l’offerta di Maria e la dinamica ascensionale164. Da lucchese, mi si conceda infine di concludere dicendo che le opere citate in questo capitolo sono conservate a Lucca o legate alla sua storia e, come è successo a chi scrive, chiunque abbia interesse a conoscere il tema della Madonna del Latte può iniziare ad approfondirlo partendo proprio da questa città. 162. Pisani L., Giuliano di Simone, in Sumptuosa tabula picta, Pittori a Lucca tra gotico e rinascimento, a cura di Filieri M.T., Sillabe, Livorno, 1998, pag. 188. 163. Filieri M.T. (a cura di), La Banca del Monte di Lucca. L’edificio e le collezioni private. Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1997. 164. Ambrosini A., Paolo Biancucci, in La Pittura a Lucca nel primo Seicento, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1994, pagg. 238-253.

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Fig. 107 Paolo Biancucci, La Vergine e le anime purganti, 1630-40, Curia Arcivescovile, Lucca

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REFERENZE FOTOGRAFICHE

figg. 16, 46, 50 © Galleria degli Uffizi, Firenze figg. 17, 78, 82, 92 © Alte Pinakoteke, Monaco figg. 18, 51 © National Gallery of Art,Washington fig. 19 © Pinacoteca Nazionale, Siena fig. 20 © Museo Civico, Sansepolcro fig. 21 © Museo dell’Opera del Duomo, Prato fig. 22 © Museo dell’Opera del Duomo, Firenze fig. 23 © Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano fig. 26 © Museo della Madonna del Parco, Monterchi fig. 33 © Galleria Nazionale delle Marche, Urbino fig. 38 © Gallerie dell’Accademia,Venezia fig. 42 © Museo dell’Opera del Duomo, Pisa fig. 44 © Museo Nazionale di San Matteo, Pisa fig. 49 © Museo Diocesano di Arte Sacra, Siena fig. 52 © Staatliche Museum zu Berlin, Preußischer Kulturbesitz Gemäldegalerie, Berlino fig. 53 © Szépmuvésti Museum, Budapest fig. 54 © Gemäldegalerie, Berlino fig. 55 © Pinacoteca Ambrosiana, Milano figg. 59, 80 © Museo del Louvre, Parigi fig. 60 © GDSU, Uffizi, Firenze fig. 62 © Pinacoteca di Brera, Milano fig. 63 © Art Gallery in New Zealand, Auckland figg. 64, 70 © Museum of Fine Art, Boston

fig. 65 © Musei Vaticani, Roma fig. 66 © Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo fig. 68 © Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid fig. 69 © Kunsthistorisches Museum,Vienna fig. 71 © Musée des Beaux-Arts, Caen fig. 72 © Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles fig. 74 © National Gallery, Londra fig. 75 © Museo Ludwig Roselius, Brema fig. 76 © Musée des Beaux-Arts, Anversa fig. 77 © Fondacion Casa Ducalde Medinaceli, Toledo fig. 79 © Metropolitan Museum of Art, New York fig. 83 © Biblioteca, Troyes fig. 85 © Museo del Prado, Madrid fig. 90 © Museo Nazionale d’Arte della Romania, Bucarest fig. 91 © Galleria Spada, Roma fig. 93 © Galleria Corsini, Roma fig. 94 © Museo Puškin, Mosca fig. 95 © Städelsches Kunstinstitut, Francoforte fig. 96 © Paul Getty Museum, Malibu fig. 87 © Fondazione CRL, Lucca fig. 105 © Fondazione BML, Lucca fig. 107 © Curia Arcivescovile, Lucca

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INDICE

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Saluto del Presidente dell’Accademia Lucchese, Raffaello Nardi Prefazione di Giovanni Macchia

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Introduzione L’allattamento di Maria nei Vangeli e nelle Scritture sacre L’iconografia di Maria allattante Le icone orientali Il culto delle reliquie e il Sacro Latte La sacralità umanizzata Il culto dell’immagine votiva La fame spirituale La devozione per la Madonna del Latte nelle chiese e nei conventi La Madonna del Latte all’ingresso degli Istituti caritatevoli I tabernacoli La relazione madre bambino, arte e psicodinamica Il naturalismo “distorto” del Rinascimento La devozione privata di Suor Plautilla Nelli L’intercessione La Madonna del Latte nelle opere dei grandi artisti del Quattrocento e del Cinquecento La Sacra Famiglia e la fuga in Egitto Maria nutrice dell’umanità La Riforma tridentina Le Madonne del Latte conservate a Lucca o che hanno riferimento con la città

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Bibliografia Referenze fotografiche

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2018 per conto di maria pacini fazzi editore in Lucca ****