Macchine [2 ed.]
 8820723174

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Renato della Volpe

Macchine

Liguori Editore

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© 1994, 2002 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati

Seconda edizione italiana Febbraio 2002 Stampato in Italia da OGL - Napoli

della Volpe, Renato :

Macchine/Renato della Volpe Napoli : Liguori, 2002 ISBN-13

978-88-207-2317-O

l. Turbine-Pompe

Ristampe: 15

14

13

12

Il

2. Compressori

lo

09

08

07

l. Titolo IO 9 8 7

La carta utilizzata per la stampa di questo volume

6

5 4 3 2

è inalterabile, priva di acidi, a

PH neutro, conforme

alle nonne UNI EN Iso 9706 =,realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili.

Indice

Presentazione Prefazione P ARTE I - INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE MACCHINE Cap. I

Introduzione - Macchine a fluido e fonti di ener­ gia I.l.

Energia e macchine

!.2.

Fonti di energia

1.3.

21 22

Criteri di classificazione delle macchine a fluido e degli impianti motori

35

1.4.

Impianti geotermici, solari, eolici

40

1.5.

Il recente programma costruttivo dell'ENEL

49

Bibliografia Cap. II

Combustibili e combustione 11.1. 11.2.

Combustibili: tipi e caratteristiche

53

Determinazione dell'aria di combustione e del potere calorifico

57

Bibliografia Cap. III

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodina­ mica e di trasmissione del calore III.l.

Definizione di sistema

61

III.2.

Approccio dai punti di vista macroscopico e mi­ croscopico

62

111.3.

Trasformazioni reciproche di calore e di lavoro

64

6

Indice III.4. III.S.

III.6.

Energia interna - Primo principio della termedinamica

72

Il gas perfetto Alcune trasformazioni particolari III.6.1. III.6.2.

Trasformazione a pressione costante (iso-

III.6.3.

Trasformazione a temperatura costante

III.6.4.

Trasformazione senza scambio di calore

bara) (isoterma) con l'esterno (adiabatica) III.6.5. III.7.

III.9.

77

Trasformazione politropica

77 78 80 80 82

Il primo principio per sistemi aperti

83

III.7.1.

Introduzione della funzione entalpia

86

III.7.2.

Espressione del lavoro trasferito in un sistema aperto

III.8.

74

Trasformazione a volume costante (isocoru)

Equazione di Bernoulli

89 93

Secondo principio della termodinamica - Enunciati di Kelvin e di Clausius

95

III.10.

Secondo principio e trasformazioni irreversibili

100

Ill.ll.

Ciclo di Carnot Introduzione della funzione entropia

105

III.12. III.13. III.14.

Piano temperatura-entropia Rappresentazione del ciclo di Carnot nel piano Ts

102 109 112

III.15.

Sistemi a più fasi

116

III.16.

Elementi di fluidodinamica

126

III.17.

Elementi di trasmissione del calore

III.16.1.

Generalità sul moto dei fluidi- Regime laminare e regime turbolento

126

I II.16.2.

Efflusso dei fluidi - Ugelli

129 131

Bibliografia Cap. IV

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido IV.l.

Rendimento di una macchina operatrice

IV.2.

Rendimento di una macchina motrice

IV.3.

Rendimento di un impianto motore

IV.4.

Macchine volumetriche e macchine dinamiche

IV.5.

Principi di funzionamento di una macchina volu-

IV.6.

137 145 149 153

metrica alternativa

154

Principi di funzionamento di una macchina dinamica

157

Indice

IV.7. IV.8. IV.9. IV.10.

7

Trasferimento di lavoro in una macchina dinamica Equazione di Eulero

165

Applicazioni dell'equazione di Eulero

169

reazione con R = 0,5

175

Confronto tra stadio ad azione (R = O) e stadio a Conclusioni

177

Bibliografia Cap. V

Generatori di vapore V.l.

179

Generalità Caldaie a grande corpo e a tubi di fumo

179

V.3.

Caldaie a tubi di acqua

181

V.4.

Caldaie a tubi di acqua ad attraversamento forzato

185

V.5.

Corpo cilindrico, fasci tubieri vaporizzatori, surri-

V.2.

scaldatori, economizzatori e preriscaldatori d'aria V.6.

188

Camere ed apparecchiature per la combustione Tiraggio

194

V.7.

Rendimento di un generatore di vapore

200

V.8.

Accessori delle caldaie - Regolazione

202

V.9.

Caratteristiche dell'acqua di alimento e del vapore - Preparazione della caldaia

209

Bibliografia P ARTE Il - IMPIANTI MOTORI E MACCHINE A FLUIDO MOTRICI Cap. VI

Impianti motori a vapore convenzionali e nucleari VI.l. Vl.2.

VI.3. VI.4. VI.5.

Generalità - Ciclo termodinamico - Potenza Macchine motrici a vapore

217 225

VI.2.1.

Motrice alternativa a vapore

225

Vl.2.2.

Turbina a vapore

227

VI.2.3.

Turbina a vapore a salti di velocità

232

Condensatori di vapore

235

Gli impianti a vapore nucleari - Caratteristiche generali e di funzionamento

238

Applicazioni e sicurezza degli impianti nucleari

246

Bibliografia

8

Indice

Cap. VII

Impianti motori con turbine a gas VII.l.

Generalità sulla costituzione e sul funzionamento di un impianto con turbina a gas

257

VII.2.

Analisi del ciclo di riferimento

260

VII.3.

Analisi del ciclo reale

267

VII.4.

Metod i per aumentare il rendimento di un ciclo d i 275

Joule

VII.5. VII.6.

VII.4.1.

Rigenerazione

275

VII.4.2.

Interrefrigerazione

282

Caratteristiche generali degli impianti con turbina a gas in circuito aperto

288

Classificazione delle turbine a gas

290

VII.6.1.

Caratteristiche delle turbine a gas aeronautiche

VII.6.2. VII.6.3.

291

Caratteristiche delle turbine a gas industriali o heavy-duty

294

Caratteristiche delle turbine a gas di deri­ vazione aeronautica o aeroderivative 296

VII.7.

VII. S.

Evoluzione negli anni della turbina a gas

300

Stato attuale

304

VII.9.

Sviluppi futuri

305

VII.lO.

Campi di applicazione della turbina a gas

307

VII.lO.l.

307

VII.10.2.

Produzione di energia elettrica Appli cazione della turbina a gas nei gasdotti

VII.10.3.

oleodotti VII.10.4.

VII.ll.

Classificazione degli impianti combinati

317 320 321

Turbogas con caldaia a recupero con bruciatori ausiliari (Exhaust Fire d Cycle)

VII.13.

316

Turbogas con caldaia a recupero senza bruciatori ausiliari (Unfired Cycle)

VII.12.2.

315

Applicazione della turbina a gas nel-

Impianti combinati - Generalità VII.12.1.

314

Applicazione della turbina a gas nella trazione ferroviaria l'autotrazione

. VII.12.

312

Applicazione della turbina a gas nella propulsione navale

VII.10.6. VII.10.7.

311

Appl i cazione d ella turbina a gas su piattaforme offshore

VII.10.5.

309

Applicazione della turbina a gas negli

Caratteristiche peculiari degli impianti combinati

326 326

Indice

VII.14. VII.15.

Alcuni esempi di realizzazioni attuali Potenziamento (repowering) di centrali termoelettriche

VII.15.1. VII.15.2. VII.15.3. VII.15.4. VII.l5.5.

Feed Water Repowering (Unfired) Heat Recovery Repowering (Unfired) Boiler Repowering (Fired) Riepilogo

330 331 332 334 336

Repowering dei gruppi termoelettrici ENEL

VII.l6. VII.17.

9 328

Impianti di turbina a gas

m

338 340 341

circuito chiuso

Conclusioni

Bibliografia Cap. VIII

Motori alternativi a combustione interna

VIII.l.

Generalità sul funzionamento di un motore alternativo a e.i.

VIII.2.

345

Generalità sulla costituzione di un motore alternativo a e.i.

VIII.3.

350

Caratteristiche ed applicazioni dei motori alternativi a e.i. ad accensione comandata e ad accensione per compressione

VIII.3.1. VIII.3.2.

Il motore a e.i. ad accensione coman- data pressione

.

VIllA.

Cicli di riferimento nello studio dei motori alter-

VIII.5.

Ciclo reale e distribuzione delle fasi di un motore a

nativi a e.i. quattro tempi

VIII.6.

Ciclo reale e distribuzione delle fasi di un motore a

VIII.7. VIII.8.

La combustione nei motori alternativi a e.i.

I combustibili per i motori a e.i. ad accensione

VIII.9.

VIII.8.1. La benzina VIII.8.2. I GPL VIII.8.3. Il metano I combustibili per i motori a e.i. ad accensione per

due tempi

comandata

compressione

VIII.9.1. VIII.9.2. VIII.lO.

Il gasolio Combustibili alternativi

359 360 364 368 373 376 376 378 381 383 384 386

Potenza e bilancio termico di un motore alternativo a e.i.

VIII.ll.

358 358

Il motore a e.i. ad accensione per com-

Confronto fra i motori a due tempi e a quattro tempi

387 393

lO

Indice VIII.1 2.

Alimentazione dei motori a e.i. ad accensione comandata mediante carburatori

VIII.1 2.1. VIII.12.2. VIII.1 2.3. VIII.1 2.4. VIII.1 2.5. VIII.13.

Carburatore a getto compensatore Circuito del minimo Avviamento a freddo Funzionamento in condizioni di ripresa Limiti del carburatore

Alimentazione dei motori a e.i. ad accensione comandata mediante iniezione di benzina

VIII.1 3.1. Iniezione diretta VIII.13.2. Iniezione ind iretta VIII.1 4.

Curve di prestazioni di un motore a e.i. Cenni sulla sovralimentazione Il raffreddamento La lubrificazione

VIII.19.1. Motori ad accensione comandata VIII.19.2. Motori ad accensione per compressione

428 428 430

Fonti di inquinamento diverse dai gas scaricati da un motore alternativo a e.i.

VIII.21. VIII.22.

41 0 41 5 420 423 426

Emissioni inquinanti allo scarico dei motori alternativi a e.i.

VIII.20.

405 407 407

Alimentazione dei motori a e.i. ad accensione per compressione

VII1.15. VIII.1 6. VIII.17. VIII.18. VIII.1 9.

393 396 397 400 402 403

Il settore trasporti e l'inquinamento ambientale

431 432

Sistemi per ridurre le emissioni inqui nanti allo scarico dei motori a e.i. ad accensione comandata

VIII.22.1. Adeguamento delle benzine VIII.22.2. Sistemi di alimentazione del combustibile

433 434 434

VIII.22.3. Dispositivi di conversione applicati ai condotti di scarico

VIII.23.

435

Sistemi per ridurre le emissioni inquinanti allo scarico dei motori a e.i. ad accensione per com-

439

pressione

VIII.23.1 . Sistemi che intervengono sulla combustione

VIII.23.2. Dispositivi applicati al sistema di scarico VIII.23.3. Conclusioni Bibliografia

439 440 443

Indice Cap. IX

11

Impianti per la produzione combinata di energia elettrica e di calore

IX.l. IX.2.

Cogenerazione - Generalità

447 452

Sistemi di cogenerazione Impianti di cogenerazione con turbine a

IX.2.1 .

gas

IX.2.2.

452

Impianti di cogenerazione con turbine a vapore Cogenerazione con impianti combinati

IX.2.3. IX.2.4.

Impianti di cogenerazione con motori alternativi a e.i.

IX.3. IX.4.

454 458

Considerazioni conclusive e di confronto Settori di applicazione degli impianti

459 461

di cogene-

razione

463

Bibliografia Cap. X

Impianti motori idraulici

X.l. X.2. X.3.

Generalità Turbine ad azione Turbine a reazione

X.3.1. X.3.2. X.3.3. X.4. X.5.

( Pelton)

Turbina centripeta Francis Turbina assiale ad elica e turbina Kaplan Tubo di aspirazione o tubo diffusore

Numero di giri specifico Impianti di accumulazione o di pompaggio

471 475 479 479 483 486 489 493

Bibliografia

PARTE III- MACCHINE A FLUIDO OPERATRICI ED IMPIANTI OPERATORI I ntroduzione Cap. XI

Compressori

Xl.l. XI.2. XI.3.

Classificazione e generalità Compressori volumetrici alternativi Compressori volumetrici rotativi - Generalità

XI.3.1. XI.3.2.

Compressori a vite Compressori a palette

505 505 513 514 517

12

Indice XI.3.3. XI.4.

Compressori a lobi

XI.4.1. XI.4.2.

Grandezze e curve caratteristiche

XI.4.3.

Il compressore inserito nel circuito

536 538

Compressori assiali - Descrizione del funzionamento e campi di applicazione

XI.6.

520 529

Prestazioni in relazione alla geometria della girante

XI.5.

519

Compressori centrifughi - Descrizione del funzionamento e campi di applicazione

Considerazioni conclusive e di confronto

543 550

Bibliografia Cap. XII

Pompe

XII.l. XII.2. XII.3.

Classificazione e generalità Pompe volumetriche alternative Pompe volumetriche rotative - Generalità

XII.3.1. XII.3.2. XII.3.3. Xll.3.4. XII.3.5. XII.3.6. XII.3.7. XII.4.

Pompe a lobi Pompe ad ingranaggi Pompe a palette mobili Pompe a rotore flessibile Pompe peristaltiche Pompe a vite Pompe Mohno

Pompe centrifughe - Descrizione del funzionamento e campi di applicazione

XII.4.1 . XII.4.2. XII.4.3. XII.4.4.

Curve caratteristiche Leggi di affinità Numero di giri specifico

593

Punto di funzionamento e regolazione della portata

XII.4.6. XII.4.7. XII.4.8. XII.4.9. XII.4.10.

578 579 588 590

Curve di funzionamento e scelta di una pompa

XII.4.5.

XII.5.

555 560 566 566 569 572 572 573 573 576

Stabilità di funzionamento Cavitazione Altezza massima di aspirazione Accoppiamento in serie e in parallelo Avviamento

595 600 604 612 613 616

Descrizione di alcuni dei tipi più diffusi di pompe centrifughe

XII.5.1. XII.5.2. XII.5.3.

Pompe monostadio Pompe monostadio a doppio ingresso Pompe monostadio ad asse verticale

618 619 621 622

Indice Pompe multistadio

622

XII.5.5.

Pompe ermetiche

624

XII.5.6.

Pompe per dragaggio

626

XII.5.7.

Pompe per acque reflue

628

Xll.5.8.

Pompe ad asse verticale per pozzi profondi

XII.6.

13

Xll.5.4.

Pompe assiali o ad elica

632 635

Bibliografia Cap. XIII

Impianti operatori XIII.l. Xlll.2.

Impianti a ciclo inverso - Frigoriferi e pompe di calore

641

Fluidi frigorigeni

648

Bibliografia APPENDICE Cap. XIV

Cara tteri s ti che degli i m p i anti motori per l a propulsione navale XIV.l.

Propulsione - Propulsori - Generalità sugli apparati motori marini

653

XIV.2.

Propulsione con motori diesel

658

XIV.3.

Propulsione con impianti a vapore

667

XIV.4.

Impianti navali con turbine a gas e a propulsione nucleare

Bibliografia

672

Presentazione

L'istituzione, nell'ambito degli studi universitari, delle lauree triennali ha creato, per il Corpo Docente, nuovi - e non semplici - problemi di tipo didattico. Nel caso specifico delle Macchine a fluido, a cui è dedicato il testo che qui ho l'onore ed il piacere di presentare, l'esposizione, a ragazzi giovanissimi (l'età media degli studenti su aggira sui 1 9-20 anni) dei concetti di base, alcuni dei quali - ad esempio quelli relativi al primo e secondo principio della termodi­ namica, al conseguente necessario accenno a quello di entropia, ecc. necessitano di una profonda capacità di concentrazione per poter essere colti nella loro ampiezza di tipo universale, presenta, a non voler restare nella banalità tecnico-applicativa, difficoltà enormi: prima fra tutte la scelta del linguaggio - espositivo, fisico, matematico, ecc. - da utilizzare; quindi il livello di approfondimento, che può essere variabilissimo, sfociando persino in analisi di tipo filosofico; in terzo luogo la necessità della concisione, dovendo il testo necessariamente articolarsi in un numero di pagine molto limitato a fronte della vastità dell'argomento. Ma la lunghissima militanza in campo didattico ai più diversi livelli e la conseguente esperienza da questa scaturita hanno permesso al Prof. della Volpe di fondere al meglio le varie esigenze: nel testo è infatti dato costante e particolare rilievo - con una esposizione chiara e di immediata comprensione - all'aspetto fisico del fenomeno, limitando la sua descrizione analitica al minimo indispensabile. In tal modo i singoli argomenti - segnatamente quelli di base che rappresentano la prima parte del testo - sono esposti in modo perfettamente comprensibile e trattati con quel rigore (peraltro sempre pre­ sente nei lavori del della Volpe) che potrebbe venire disatteso dalla sola comprensione fisica dell'argomento. A ciò, che riguarda il modo di trattare dei principi di fondo e di quelli più tecnicamente legati all'effettiva realtà della macchina - o più semplicemente al suo effettivo funzionamento - si aggiunga il risvolto pratico, che è particolar­ mente ampio e curato in questo volume e che risulta importantiSSimo in un testo del genere, con la illustrazione di macchine e di impianti esistenti, che dànno corpo ai concetti a mano a mano illustrati. Non ritengo necessario, in questa sede, esporre - sia pur brevemente -

16

Macchine

l'articolazione del testo: a questo basta il testo stesso, inizialmente con il suo indice, quindi con il suo effettivo contenuto. A me basta mettere in luce innanzi tutto l'armonico sviluppo dei vari argomenti che coprono, con la giusta sintesi, - e nella necessaria concisione praticamente tutto il campo delle macchine a fluido, quindi la trattazione di problemi - quali ad esempio quelli relativi agli impianti nucleari, quelli riguardanti la cogenerazione e gli impianti combinati - di grandissima attualità ed in forte evoluzione che invece vengono per lo più disattesi in testi di macchine. Ritengo in conclusione che il testo del Prof. della Volpe - a cui peraltro mi lega una antica amicizia ed una molto lunga, comune attività scientifica e didattica in campo universitario e non - possa considerarsi, nel settore cui è destinato, un punto di sicuro riferimento. Napoli, Gennaio 2002 Prof. Mariano Migliaccio Ordinario di Motori a Combustione Interna Università degli Studi di Napoli

Prefazione

Le lauree triennali, i cui corsi sono iniziati presso l'Università degli Studi di Napoli Federico I I con l'anno accademico 200 1 102, rappresentano di sicuro una assai interessante novità, che allinea l'Università Italiana all'organizzazione degli studi da tempo esistente in Europa. I nuovi corsi sono imperniati sempre, essenzialmente, sulle discipline fonda­ mentali che caratterizzano attualmente le varie Facoltà, ma non v'è dubbio che l'insegnamento dovrà essere diverso per programmi e metodologie didattiche onde rispondere in maniera adeguata alle nuove esigenze. Il presente volume di Macchine è quindi un tentativo, che spero almeno parzialmente riuscito, di dare una risposta a come si possa sviluppare una materia notoriamente fondamentale ricercando il giusto equilibrio tra i possibili e vari aspetti didattici della disciplina, evidenziati, tra l'altro, dagli assai numerosi testi disponibili e dedicati, a seconda dei casi, o ai corsi quinquennali delle nostre Facoltà di I ngegneria, oppure agli Istituti Tecnici I ndustriali e Professionali della scuola secondaria superiore. I principali criteri cui mi sono ispirato partono dalla premessa di conservare il rigore che caratterizza i testi universitari contenendo tuttavia in limiti ragionevoli l'uso dello strumento analitico e gli approfondimenti di carattere strettamente teorico. Ho ritenuto utile, inoltre, far precedere lo studio di macchine e di impianti da una prima parte generale di tipo propedeutico, assai ricca di concetti e quindi di notevole valore formativo, che rappresenta un primo approccio con gli elementi di base della disciplina: i problemi dell'energia e le fonti alternative, la classifica­ zione e una preliminare, sommaria descrizione delle macchine a fluido e degli impianti motori, i combustibili e la combustione, la termodinamica applicata, la trattazione unitaria dei rendimenti e dei principi comuni di funzionamento delle macchine. La presenza in questa prima parte dei capitoli sui combustibili e com­ bustione e sulla termodinamica applicata, argomenti inclusi di sicuro anche nei programmi di altri corsi del nuovo ordinamento àegli studi, ha lo scopo sia di dare maggiore completezza al testo, sviluppando gli argomenti propedeutici, sia di richiamare concetti, definizioni e relazioni analitiche abbastanza frequente­ mente usati nella successiva trattazione consentendo così al discente - quando occorre - una rapida e agevole consultazione .

18

Macchine

La seconda parte tratta gli impianti motori primi termici ed idraulici iniziando dagli impianti a vapore. Si è ritenuto opportuno trattare, insieme agli impianti tradizionali, anche quelli nucleari alla luce sia dell'attività di progettazione e costruzione che le nostre aziende specializzate continuano a svolgere per l 'estero, sia di un non improbabile ripensamento sulla scelta (effettuata dopo l'incidente di Chernobyl ed il successivo referendum) che ha privato l'Italia di una fonte di energia largamente utilizzata invece in altre Nazioni dell'Europa e del mondo. Si è cercato di privilegiare, nei limiti consentiti, gli aspetti più innovativi delle macchine, il che giustifica lo spazio relativamente ampio destinato alle turbine a gas ed alla evoluzione tecnologica, peraltro ancora in atto, subita in questi ultimi trent'anni, che ha reso possibile la realizzazione di impianti combinati gas-vapore di elevato rendimento oggi di grande attualità in Italia e nel mondo industrializzato. Per quanto riguarda infine i motori alternativi a combustione interna si è dedicato più di un paragrafo al problema relativo alle emissioni inquinanti provenienti dal settore trazione terrestre che risulta certamente uno dei maggiori responsabili dell'inquinamento ambientale, specie nelle zone urbane. La terza parte è dedicata alle macchine operatrici (pompe e compressori), che molto frequentemente si incontrano nella pratica tecnica per la molteplicità dei servizi svolti, e agli impianti operatori (frigoriferi e pompe di calore). Il testo è corredato infine di un'appendice che riguarda gli impianti destinati alla propulsione navale i quali, con l'ormai sostanziale monopolio del motore diesel, presentano pure soluzioni progettuali e costruttive del tutto particolari. Per le applicazioni numeriche, sempre utile accompagnamento di ogni teoria, è disponibile il testo Esercizi di Macchine, anch'esso stampato dall'Editore Liguori. La stesura di un libro che tende a soddisfare nuove esigenze didattiche e professionali difficilmente può essere priva di sviste o manchevolezze. Sarò quindi assai grato a tutti coloro che vorranno farmi pervenire in merito segnalazioni o suggerimenti, di cui tener conto in una eventuale nuova edizione. Non potrei chiudere questa breve prefazione senza ricordare la quotidiana, proficua collaborazione che per oltre vent'anni ho condotto con il prof. Carlo d'Amelio, oggi purtroppo scomparso, convinto come sono che essa, unitamente ad un intenso impegno didattico e di studio, ha avuto un ruolo di rilievo nella mia formazione culturale e nella maturazione dei tanti e delicati argomenti di questa affascinante ed interessantissima disciplina. Un sentito grazie infine al Sig. Antonio Tabacco, alla cui mano ed alla cui pazienza sono dovuti tutti gli schemi ed i grafici riportati nel presente volume. Napoli, Gennaio 2002 Renato della Volpe

PARTE I INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE MACCIDNE

Capitolo przmo Introduzione Macchine a fluido e fonti di energia

I.l.

Energia e macchine

L'energia 1 si presenta in natura in forme assai diverse, ognuna associata a qualche particolare grandezza fisica: ad esempio, l 'energia cinetica al moto di un corpo e quindi alla sua velocità, l a gravitazionale alla sua posizione (altezza) rispetto ad un prestabilito livello di riferimento, quella termica alla temperatura, e via di seguito. Nei fenomeni naturali si assiste tuttavia anche a continue trasformazioni di una forma di energia in un'altra, e la conversione avviene nel rispetto del principio di equivalenza per cui tanto si perde di una forma di energia quanto se ne acquista di un'altra. Durante la caduta di un corpo decresce l'energia potenziale mentre aumenta quella cinetica di una uguale quantità; a causa dell'attrito, inevitabile nel movi­ mento relativo dei corpi stessi, l 'energia meccanica si trasforma in energia ter­ mica. Quando poi tali fenomeni avvengono in un ambiente (o sistema) ben delimitato ed isolato dall'esterno, si ha di conseguenza che la somma delle varie forme di energia, o energia totale, resta complessivamente costante (principio di conservazione dell'energia) . Nei tempi moderni l e reazioni nucleari hanno dimostrato l a possibilità di trasformazioni anche di materia in energia, sicché il principio della conservazione può essere esteso a tutto l'esistente (o sensibile), in conformità della fondamentale affermazione di Lavoisier: nulla si crea, nulla si distrugge. L'energia, inoltre, ha avuto un ruolo importantissimo anche nel gigantesco processo evolutivo che, da milioni di anni, interessa tutta la natura, l 'uomo, e, in epoche più recenti, le forme di vita e di organizzazione sociale. Nei primordi della vita umana, infatti, i l primo homo habilis non disponeva

1 Come molte altre parole della nostra lingua, anche energia deriva dal greco enérgeia, da dentro) e érgon (azione).

en

(in,

22

Macchine

che dell'energia del proprio corpo, e cioè del lavoro meccanico che egli stesso era in grado di produrre. Successivamente, quando con il lentissimo ma costante progredire della specie l'homo sapiens cominciò a sfruttare per le proprie esi­ genze, sia pure in maniera assai rudimentale, le energie messe a disposizione dalla natura, all'inizio essenzialmente l'idraulica e l'eolica, nuovi orizzonti si dischiusero dinanzi ai primi embrioni di società primitive. Il progresso divenne così più rapido, furono sviluppate meglio l'agricoltura e le altre fonti di sussistenza, migliorarono il benessere del singolo e le forme di organizzazione sociale con un conseguente, veloce incremento della popolazione. Ma il passo veramente decisivo fu realizzato negli ultimi due secoli, con la scoperta e lo sviluppo di processi mediante i quali l'energia termica prodotta dalla combustione di un combustibile - prima di allora usata solo per il riscalda­ mento - si trasforma, mediante adatti congegni, in lavoro meccanico. Ebbe inizio così l 'era delle macchine, le quali, con i successivi perfeziona­ menti e con la sempre più rapida diffusione in tanti settori (produzione di energia elettrica, trazione automobilistica e ferroviaria, propulsione navale ed aerea, ecc.) hanno completamente rivoluzionato il mondo moderno. Lo sviluppo delle macchine, oltre che dal progredire della tecnica, è stato anche fortemente influenzato dalla individuazione di nuove fonti primarie di energia; dall'uso iniziale del solo carbone, si è passati in seguito al petrolio ed ai suoi derivati (benzina, gasolio), allo sfruttamento delle risorse idrauliche disponi­ bili, ed infine alle fonti cosiddette alternative, prima di tutte l 'energia nucleare, la cui diffusione è aumentata tanto da poterla ora considerare fra le energie di impiego corrente. Esiste dunque una stretta relazione fra le energie primarie e le macchine in grado di utilizzarle convenientemente; in queste ultime agiscono sempre, come si vedrà, fluidi di varia natura (gas, acqua, vapori) per cui si comprende l a usuale denominazione di macchine a fluido. 1.2.

Fonti di energza

a) Le fonti di energia si rendono disponibili in natura in forma termica o sotto forma di energia potenziale e cinetica di fluidi e sono abbastanza numerose anche se non tutte, a volte, sfruttabili in maniera conveniente dai punti di vista tecnico ed economico. Nella maggior parte dei casi l'energia termica deriva dalla combustione di combustibili di vario tipo: solidi: carbone o legna; - liquidi: petrolio e suoi derivati; - gassosi: essenzialmente gas naturali ( ad esempio, metano) . Tale energia può essere sviluppata tuttavia anche d a reazioni nucleari, o

Macchine a fluido e fonti di energia

23

avere origine endogena, e cioè trovarsi nel sottosuolo sotto forma di fluidi caldi (fonti geotermiche); infine può derivare dalla captazione, con adatti sistemi, delle radiazioni solari. L'energia dei fluidi è di natura potenziale quando si trova immagazzinata ad esempio in masse d'acqua delle quali è possibile utilizzare la caduta per effetto delle forze gravitazionali (energia idraulica) oppure è di tipo cinetico se associata al movimento come si verifica nel moto, ad esempio, di masse d'aria che danno luogo ai venti (energia eolica). Ciò premesso, bisogna precisare che le fonti naturali vengono classificate anche in base all'uso concreto attuale, ovvero a quello che hanno avuto in passato sin dall'inizio della cosiddetta era delle macchine. Si possono così distinguere le fonti tradizionali, in uso cioè da molto tempo, e che trovano impiego nella maggior parte degli impianti, da quelle alternative (o non tradizionali), attual­ mente ancora di utilizzazione piuttosto limitata. Rientrano tra le fonti tradizionali tutti i combustibili e l'energia idraulica; l'energia nucleare, una volta considerata tra le fonti alternative, sta assumendo da tempo nel mondo (ad eccezione dell'Italia e di pochi Paesi per motivi che saranno in seguito chiariti) un ruolo di rilievo tra gli impianti destinati alla produzione di energia elettrica (nel 1 990 il 1 8 % dell'energia elettrica prodotta nel mondo ha avuto origine nucleare) sicché appare logico ormai includerla tra quelle di uso abituale. Diverso è il discorso per le altre fonti (essenzialmente solare ed eolica) l e quali, dopo le notevoli speranze destate i n passato, hanno mostrato in realtà, soprattutto la prima, limiti abbastanza evidenti a causa in particolare dei grandi spazi necessari per la captazione, della pendolarità diurna-notturna e stagionale, e delle condizioni ambientali e meteorologiche (caratteristiche climatiche del terri­ torio, tempo nuvoloso o sereno, intensità del vento, ecc.). Pertanto, come sarà meglio i llustrato successivamente, tali fonti possono dare contributi di carattere essenzialmente integrativo, ed in particolare nelle Nazioni o territori con condizioni favorevoli alla loro utilizzazione. Non sembra co­ munque prevedibile, almeno per il prossimo futuro, che esse siano in grado di fornire sostanziali apporti ai crescenti fabbisogni di energia delle Nazioni ad elevato sviluppo industriale. Una ulteriore distinzione è ancora possibile tra le fonti costituite da giaci­ menti cospicui ma destinati comunque ad esaurirsi col tempo (carbone, petrolio) e quelle soggette invece ad un periodico rinnovo dai processi naturali; fra queste ultime, dette per l'appunto fonti rinnovabili, vanno comprese le energie idraulica, solare, eolica, delle maree, ecc. Infine, si deve far cenno che in zone particolarmente idonee esiste anche la possibilità di trasformare, mediante opportuni processi, grandi masse vegetali (biomasse) in combustibili liquidi o gassosi (alcool e metano). b ) Durante l'evoluzione della società industriale l 'utilizzazione delle fonti

24

Macchine

energetiche ha subito notevoli cambiamenti, relativi sia alla qualità che alla quantità di energia consumata, ed il fenomeno è destinato a continuare anche in futuro, soprattutto con la graduale diffusione delle fonti alternative o integrative. La tab. I . 1 consente innanzitutto di notare la fondamentale fase di passaggio da energia essenzialmente dovuta al lavoro umano od animale (nel 1 850 era ancora il 65% del totale) a quella invece ottenuta dalle fonti naturali mediante adatti congegni o vere e proprie macchine. Tab . I . l Andamento della ripartizione percentuale delle fonti di energia per la produzione di energia meccanica negli USA dal 1850 a l 1 950. -

1850

1870

1890

1910

1930

1950

Legno

6

5

2

l

-

-

Carbone

8

25

55

77

67

Idraulica

7

9

4

3

6

7

Eolica

14

6

2

-

-

-

Muscolare

65

55

37

12

3

l

Petrolio

-

-

-

5

18

37

Gas naturale

-

-

-

2

6

20

35

Degni di rilievo anche, durante il nostro secolo, la diminuzione dell'uso del carbone (nel 1 9 1 0 rappresentava il 77% del totale dei consumi) e il costante aumento dell'uso del petrolio e del gas naturale. U n periodo particolarmente delicato si è avuto poi in tempi relativamente più recenti (anni '70) con il brusco rialzo dei prezzi del petrolio praticati dai Paesi produttori, che ha provocato serie difficoltà alle economie di tutto il mondo occidentale. La difficile situazione conseguente a questa vera e propria crisi internazionale ha dato tuttavia nuovo impulso agli studi e alle ricerche diretti alla utilizzazione di altre fonti e al contenimento dei consumi energetici. In molti Paesi si è accentuata così la diffusione degli impianti nucleari. La tab. I.2 riporta la situazione mondiale al 1 99 1 relativamente al numero dei reattori in attività, in costruzione e alle aliquote di energia elettrica prodotta da fonte nucleare. Le aliquote più forti si hanno in Europa con la Francia al primo posto (72,7% della produzione totale), l a Svezia (51 ,6 % ) , l'Ungheria (48,4 % ) e via via decre­ scendo le altre Nazioni. Fra le altre zone del mondo, degno di rilievo, ad esempio, il dato della Corea (47,5 % ) . Confrontando questa situazione con quella relativa al 1 989, i cui dati non si riportano in dettaglio per brevità, si nota che mentre

Macchine a fluido e fomi di energia

25

parecchie Nazioni hanno proseguito con costanza sulla strada del nucleare, accre­ scendo il numero delle proprie centrali, altre, tra cui la stessa Svezia, la Svizzera, la Bulgaria, ecc., hanno sospeso nuove costruzioni o disattivato alcune centrali prima funzionanti (ad esempio la Germania). Si ha quindi che le centrali com­ plessivamente esistenti nel mondo sono cresciute, dal 1 989 al 1 99 1 , solo da 4 1 6 a 420. Tab. 1 .2 - Reattori nucleari in attività e 1n costruzione alla fine del 1 99 1 . PAESE

In attività

Argentina Belgio Brasile Bulgaria Canada Cina Cuba Cecoslovacchia Finlandia Francia Germania Ungheria India Iran Italia Giappone Corea Messico Olanda Pakistan Romania Sud Africa Spagna Svezia Svizzera Gran Bretagna USA CSI (ex URSS) Jugoslavia Totale':":' * l TWh '�*

=

109

In costruzione

n.

P[MW]

n.

2 7 l 6 20 l

935 5.484 626 3.538 1 3 .993 228

l

692

l

1 .245

8 4 56 21 4 7

3.264 2.3 1 0 56.873 22.390 1 .645 1 .374

2 2 2 6

1 .762 1 .8 1 2 816 3.336

5

7.005

42 9 2 l

l

32.044 7.220 654 508 1 25

2 9 12 5 37 111 45 1 420

1 .842 7.067 9.8 1 7 2.952 1 1 .71 o 99.757 34.673 632 326.6 1 1

kWh.

Il totale comprende anche le sci centrali di Taiwan.

P[MW]

7 2

1 .540 2.392

10 3 1

9. 1 92 2.550 654

5

3. 1 25

l 3 25

1 . 1 88 3.480 2 1 .255

76

62.044

En. elettr. prodotta con reatt. nucl. nel 1991

TWh* % sul totale 7,2 40,4 1 ,3 1 3,2 80, 1

1 9,1 59,3 0,6 34,0 1 6,4

22,2 18,4 3 1 4,9 1 40,0 1 2,9 4,7

25,6 33,3 72,7 27,6 48,4 1 ,8

209,5 53,5 4, 1 3,5 0,4

23,8 47,5 3,6 4,9 0,8

9, 1 52,2 73,5 2 1 ,7 62,0 6 1 2,6 212 , 1 4,7 2009 , 1

5,9 35,9 5 1 ,6 40,0 20,6 2 1 ,7 1 2 ,6 6,3

26

Macchine

In una singolare posizione si trovano l' Italia e la CSI (ex U RSS). Infatti la prima, dopo il grave incidente avutosi nel 1 986 nella centrale di Chernobyl, in Ucraina, ha rinunciato per ora al nucleare, sicché le uniche centrali di Caorso e di Trino Vercellese, che assicuravano prima un sia pur modesto 3,8% della produ­ zione totale, sono state chiuse nel 1 988 per decisione del Governo ribadita poi dal Parlamento nel 1 990. La seconda, ossia la CSI , proprio dove si è verificato l 'incidente, continua invece senza interruzione a costruire nuove centrali, tanto è vero che mentre nell'89 quelle in costruzione erano 23, nel 1 991 sono passate a 25; il numero totale per ora è tuttavia leggermente diminuito, probabilmente in seguito alla fermata di alcune centrali di tipo tecnologicamente obsoleto. Il grafico di fig. I . 1 mostra poi, per alcune Nazioni, la dipendenza delle importazioni di fonti primarie dall'estero. Si vede che mentre in alcuni Paesi le importazioni sono sensibilmente diminuite, in Italia dall'83 all'89 sono cresciute dal 71 % all '81 % .

-

73 BO B3 B9 ITALIA

73 80 B3 B9 GIAPPONE



73 BO B3 B9 GERHANIA



13 .

73 BO B3 B9 U.S.A.

73 BO 83 B9 FRANCIA

73 80 B3 B9 REGNO UN/Tr

Fig. 1 . 1 Andamento negli anni per diversi Paesi della dipendenza dall"estero, percentuali, in relazione alle fonti primarie di energia.

111

Nel 1 989 l'Italia ha speso 20.600 miliardi per importazioni di fonti energe­ tiche, mentre il contributo nazionale ha sfiorato il 20% del totale dei consumi, costituito essenzialmente dalla fonte idroelettrica, seguita a notevole distanza dalla geotermia e da un certo quantitativo di combustibili fossili di qualità non eccellente. La dipendenza dal petrolio è ancora forte (58 % ) mentre sono cresciuti i consumi di gas naturale (passati dal 1 4,7% dell'88 al 22,9% del 1 989), importato soprattutto dall'estero ( Russia, Algeria, Olanda), e si mantengono stabili (circa il 9 % ) quelli dei combustibili solidi. Questa situazione riflette del resto quella della potenza installata dall' ENEL, che nel 1 990 consiste in 42.800 MW così suddivisi: 202 impianti termoelettrici

potenza 73,4%

646 impianti idroelettrici

potenza 1 4 %

Macchine a fluido e fonti di energia

27

La restante potenza è coperta dagli impianti geotermici (3% ) , dalle aziende municipalizzate e dagli autoproduttori, cioè da grandi aziende (FIA T, Italcementi, Italsider, Alfa Romeo, ecc.) , che producono in proprio l'elettricità di cui hanno bisogno. Va aggiunto che l ' Italia importa dall'estero anche forti quantitativi di energia elettrica, circa il 1 5 % della richiesta e precisamente essi sono stati sui 35 miliardi di kWh nel 1 991 , provenienti dalla Svizzera ( 1 5 miliardi e 800 milioni), dalla Francia ( 1 4 miliardi e 900 milioni), più quantità minori dalla ex Jugoslavia e dali' Austria. L'energia richiesta sulla rete italiana per i consumi è stata di 235 miliardi di kWh nel 1 990 e di 241 miliardi di kWh nel 1 99 1 ; i consumi effettivi delle varie utenze, detratte le perdite, sono stati pari, rispettivamente, a 2 1 8 e a 223 miliardi di kWh. È intuitivo che queste forti importazioni dall'estero, sia di fonti primarie che di energia elettrica, rendono il nostro Paese assai vulnerabile nel caso di vicende internazionali di natura politica, economica o militare, come tutta la storia degli anni passati sta infatti a dimostrare. Si possono a riguardo rammentare le varie crisi petrolifere che si sono succedute nella zona del Golfo Persico, dal fortissimo aumento del petrolio ( 400 % ) avutosi nel 1 974 per decisione dei Paesi produttori, che ebbe come è noto gravi ripercussioni sulle economie dei Paesi occidentali, poi quella un pò meno acuta del 1 980, ed infine nel 1 990 in seguito all'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq. Proprio per la nota e forte instabilità nella zona del Golfo Persico l'ENEL è riuscita a ridurre al 40% la quota di olio combustibile proveniente dai Paesi dell' OPEC (Organization of Petroleum Exporting Coun­ tries) . Tuttavia è sempre più evidente che una saggia politica energetica, e cioè la massima differenziazione delle fonti e la riduzione della dipendenza dall'estero, molto difficilmente sarà possibile per l 'Italia se si insisterà sulla rinunzia al nucleare, che ha consentito invece a numerosi Paesi, come appunto confermato dal citato grafico I . l , di ridurre al minimo o addirittura a zero la loro dipendenza. Segni di ripensamento su questo problema, soprattutto alla luce degli ultimi eventi del 1990, si sono comunque già avuti in vari settori del mondo politico, scientifico ed economico. Anche per il problema della sicurezza, nel Cap. VI si metterà in luce che le tecniche di protezione messe a punto da progettisti e costruttori, già oggi estre­ mamente rigorose, sono in fase di ulteriore perfezionamento con lo studio di nuove generazioni di reattori, e d'altra parte, con centinaia di centrali in funzione, incidenti come quello di Chernobyl non si sono mai verificati nel mondo occiden­ tale. Occorre anche osservare che la rinunzia al nucleare da parte di una Nazione vale poco, nella remotissima ipotesi di un incidente, quando le Nazioni confinanti contano numerosi impianti nucleari. Altro punto da tener presente è che il nucleare non dà sostanziali inquina-

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Macchine

menti all'ambiente (a differenza, come si dirà, degli usuali combustibili) e a riguardo vale la pena notare che la dose di radioattività che deriva dalle inevita­ bili fughe da un reattore a fissione, per le popolazioni che vivono nelle vicinanze di una moderna centrale, è meno di 1110 di quella che si riceve guardando per tre ore al giorno i programmi di un televisore a colori. Le altre alternative al petrolio sono come · è noto il carbone ed il gas naturale, a causa dei già rammentati modesti contributi delle fonti rinnovabili, ad eccezione dell'idraulica le cui ulteriori possibilità, ovviamente limitate, sono comunque in fase di massimo sfruttamento. Un ritorno all'uso del carbone, la fonte energetica largamente prevalente per il passato, è una tendenza abbastanza recente anche in Italia, ma non priva di problemi. Il carbone infatti è, fra i combustibili, quello che produce l'inquinamento maggiore, per l'elevato quantitativo di ceneri (per un polverino di carbone di tipo standard è pari al 1 0 % ), che in parte tende a diffondersi nell'atmosfera, e per la presenza nei fumi di quantitativi di anidride solforosa 502 più forti rispetto a quelli del petrolio. Anche la produzione di anidride carbonica C02 è maggiore di quella del petrolio (del 24% ) e del gas naturale (del 76 % ) , e pure superiore è la produzione di ossidi di azoto NO, che alterano il ciclo dell'ozono. Giova rammentare che la C02 è anche responsabile del cosiddetto effetto serra, e cioè della formazione nell'atmosfera di uno strato in sospensione, per­ meabile alla radiazione solare, ma non alla radiazione infrarossa proveniente dalla superficie terrestre, con il risultato quindi di accrescere la temperatura dell'ambiente. Alcuni di questi dannosi effetti sono tuttavia oggi combattuti con l 'uso di carboni a basso tenore di zolfo e di speciali filtri (precipitatori elettrostatici) in grado di trattenere una rilevante aliquota delle particelle di carbone presenti nei fumi le quali, sotto l'azione di cariche elettriche, vengono a depositarsi su piastre collettrici da dove sono poi rimosse con mezzi meccanici. Frequente è anche l'uso di camini di altezza sino a 250 m. Più favorevole si presenta l'uso del gas naturale, soprattutto per l 'assenza di zolfo, e il suo impiego è infatti in continuo aumento non solo nelle centrali termoelettriche (come si è detto vi è stato dall'88 all'89 un incremento dell'8,2 % ) m a anche, e per la maggior parte, sotto forma termica in campo civile i n seguito alle cosiddette metanizzazioni di molti centri urbani (Tab. I .3). In ogni caso, come si vedrà meglio al par. I.S, la tendenza prevalente in Italia da parte dell' ENEL è quella di realizzare impianti policombustibile, in grado di bruciare cioè, a seconda delle esigenze, combustibili di tipo diverso (ad es. petrolio e metano). Una soluzione del genere è stata adottata per la riconversione della ex centrale nucleare di Montalto di Castro, la cui costruzione come è noto non fu terminata per le già ricordate vicende seguite all'incidente di Chernobyl.

Macchine a fluido e fonti di energia

29

Nel campo delle energie di origine termica un ruolo modesto ma comunque non trascurabile è svolto dall'energia geotermica presente nel sottosuolo e por­ tata in superficie da continui fenomeni naturali, oppure estraibile con opportuni interventi tecnici (trivellazioni); appartengono a questa categoria i cosiddetti soffioni di vapore (molto noti a riguardo sono gli impianti di Larderello in Toscana e quelli del Monte Amiata) e le sorgenti di acque calde, i cui usi prevalenti sono però di carattere termale. Tab. I.3 - Ripartizione dei consumi di gas naturale 1 n I talia per grandi settori di utilizzazione. Industriali 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983

%

10'm.1

%

10'm·'

2972 343 1 3952 4789 5855

23,2 26,2 26,0 27,9 30,4 33,0 32,3 34,6

94 1 10 1 32 150 211

0,7 0,8 0,9 0,9 1 ,1

15205

1 ,4

22037

1 ,2 1 ,2 1 ,1 1 ,1

26606

1990

28255

1987 1988

Totale

10'm'

76,1 73,0 73,1 7 1 ,3 68,5 65,6

1989

1985

Autotrazione

%

9755 9750 1 1 12 1 12241 1 3 1 88 14452 1 7673 1 6795 1 6762 1 6991 16183 1 5 1 23 1 49 1 2 14874 1 8932 1 9025 20364 22846 24798 26673

1984 1986

Civili

10'm'

66,4 64,2 6 1 ,8 6 1 ,9 59,0 56,8 55,9 54,4 58,6 57,3 57,8 58,4 59,5 59,3 59,3

7279 8607 9060 1 0060 1 01 42 1 0938 1 1 166 1 1 460 1215 1 1 3057 1 3868 14557 1 5954 1 6578 1 805 1 1 9135

37,1 37,0 39,9 42,0 42,9 44,4 40,4 4 1 ,8 41 ,3 40,8 39,8 40, 1 40,2

306 326 310 308 303 311 313 313 312 3 12 295 297 292 273 257 253

1,1 1 ,2 1 ,2 1,1

1 ,0 0,9 0,8 0,7 0,7 0,6 0,5

12821 13111 17180 19254

26165 27130 27436 27432 26602 26685 27337 32301 33188 35218 39092 41649 44981 47643

Questa energia viene sfruttata anche in altre Nazioni (Stati U niti, Giappone, Nuova Zelanda), in pratica in tutte le zone, purtroppo non numerose, dove essa è convogliata in superficie spontaneamente, ovvero sia convogliabile in maniera abbastanza semplice. L'energia idraulica ha origine molto remota, ma anche per buona parte di

30

Macchine

questo secolo ha prevalso abbastanza nettamente nella produzione di energia elettrica; basti rammentare che in Italia nel 1 922 il 92,6% dell'energia elettrica proveniva da impianti idraulici e solo il 7,4% derivava da energia termica. Successivamente, però, con l'aumento dei consumi e con la graduale diminu­ zione degli impianti idroelettrici convenientemente realizzabili (in dipendenza anche della situazione orografica del territorio), si è avuto un forte sviluppo degli impianti termici facilitato dalla larga disponibilità di combustibili derivati dal petrolio raggiungendosi così una situazione di parità verso la metà degli anni 60 ed infine si è verificato un rapido capovolgimento fino al punto che ai nostri giorni l'energia idraulica copre in Italia circa il 18% del fabbisogno. È noto però che vi sono Nazioni (Canada, Norvegia, Svezia, Svizzera) nelle quali, per la favorevole situazione orografica, l'energia idraulica svolge ancora un ruolo di maggior rilievo. Pure in Italia, tuttavia, in relazione agli eventi di cui si è parlato, si sta cercando di sfruttare al massimo tutte le ulteriori risorse idrauliche disponibili sul territorio, e si vedrà infatti nel successivo par. !.5 che numerosi sono gli impianti idroelettrici di recente ultimati, in costruzione o in fase di avvio. Tra le energie di natura idraulica va citata pure quella ricavabile dal feno­ meno delle maree. Per lo sfruttamento di questo singolare fenomeno naturale occorre chiudere con una diga una rientranza della costa, scelta in zone dove la marea raggiunge altezze di 10 + 15 m, e quando il livello arriva appunto al suo massimo valore, utilizzare la caduta d'acqua in una turbina idraulica. In pratica però le zone dove le maree raggiungono tale ampiezza sono pochissime nel mondo ( nessuna in Italia! ) , sicché, pur con alcuni progetti messi a punto, l'unica pratica applicazione d i rilievo sembra sia ancora la centrale di St. Malo, all'estuario della Rance (Francia), entrata in funzione nel 1 966 con una potenza complessiva di 240 MW sviluppata da 24 turbine. Si tratta perciò, come si intuisce, di casi del tutto sporadici e di nessuna rilevanza pertanto nel quadro generale del problema energetico. c) Gli imprevedibili e spesso improvvisi mutamenti dei prezzi delle fonti primarie, e soprattutto come si è visto del petrolio, hanno da tempo accentuato gli sforzi delle Nazioni più progredite sia verso la ricerca e la utilizzazione di nuove fonti, sia verso il contenimento dei consumi con appropriati criteri di risparmio energetico. Gli interventi e gli studi hanno riguardato un po' tutti i settori, l'industria, i trasporti, l'edilizia, ecc. Nell'intento di contenere i costi di produzione, infatti, le industrie hanno posto molta cura ad una razionale gestione dell'energia, cercando di ridurre i consumi di energia primaria ed elettrica per unità di prodotto attraverso l'ottimiz­ zazione dei processi e l'addestramento, per questi fini, di gruppi di tecnici partico­ larmente esperti negli specifici problemi (energy managers). A riguardo va rammentato che in Italia, per il maggior costo unitario dell'e­ nergia elettrica rispetto ad altri Paesi europei, i consumi di energia rappresentano una non trascurabile aliquota delle spese generali di molte aziende.

Macchine a fluido e fonti di energia

31

D'altra parte nei Paesi più avanzati nelle tecniche del risparmio (energy saving) - ad esempio l'Inghilterra - è stato dimostrato che la spesa per adattare gli impianti industriali a razionali criteri di gestione dell'energia viene poi rapida­ mente recuperata dai successivi risparmi, di incidenza inoltre crescente con il tempo. Nell'intento di ridurre i consumi si sono anche diffusi, come si vedrà al Cap. IX, impianti per la produzione combinata di energia elettrica e di energia termica, destinata quest'ultima ad usi industriali o al riscaldamento dei centri urbani. Ricerche sono da tempo in corso in Italia con una organica collaborazione fra industria pubblica e privata, le Università, l'ENEL e l 'ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l 'Energia e l'Ambiente), ed hanno riguardato anche molti altri settori. Nell'edilizia, ad esempio, si agisce su tutti i componenti (materiali isolanti, infissi, impianti di riscaldamento, sistemi prefabbricati, ecc.); nell'agricoltura sulla riduzione dei consumi di energia per la meccanizzazione e l'irrigazione. Si cerca inoltre di eseguire ogni possibile recupero energetico, utilizzando anche residui di processi industriali, naturali, o di altro genere, una volta del tutto perduti: ad esempio, ricavare alcool etilico da rifiuti cellulosici, biogas da quelli zootecnici, o utilizzare i rifiuti attraverso combustione diretta o gassificazione, ecc. È bene però precisare che in una società di avanzato sviluppo economico ed industriale, malgrado tutti gli interventi di risparmio di cui si è fatto cenno, la domanda di energia è destinata sempre a crescere in maniera accentuata come appare dal grafico di fig. I .2. Pur tenendo conto delle difficoltà di avere in merito dati sicuramente attendi­ bili, risultano anche interessanti le indicazioni circa l'incidenza percentuale delle varie fonti. Si nota che solo la domanda di petrolio è destinata a diminuire e questa tendenza dovrebbe essere avvalorata anche dalla recente crisi del 1 990. Aumenti più o meno sensibili sono invece previsti per tutte le altre fonti, in particolare il carbone ed il nucleare. Sempre in tema di previsioni si può dire che in I talia, di fronte ad una energia richiesta per i consumi nel 1991 di 24 1 miliardi di kWh, le stime più accreditate prevedono verso il 2000, con un tasso di incremento annuo intorno al 2,5 % (tale è stato il 1 990 ed il 1 99 1 ) , un fabbisogno di circa 300 miliardi di kWh e forse più. Questo significa che occorrerà costruire senza indugi parecchie nuove centrali, per molte migliaia di MW, che del resto sono nei piani di sviluppo dell'ENEL i quali, se non attuati nei tempi previsti, potrebbero provocare nel nostro Paese gravi carenze energetiche con tutte le relative ed immaginabili conseguenze. d) È utile infine accennare anche alle interessanti prospettive, pur concer­ nenti un futuro probabilmente ancora molto lontano, che scaturiscono dalle intense ricerche da parecchio tempo in corso nel mondo sul processo di fusione nucleare.

32

Macchine

l:l::S] � � lil1i1B

Anno

1991

-

Consumo totale

:

Nucleare Idroelettrica Carbone Petrolio Gas naturale

780 7, 6 Htep

Fig. 1.2 Andamento negli anni del consumo di energia primaria nel mondo espresso in m il ioni di tep e ripartizione percentuale per fonte in relazione al consumo del 1 99 1 . l tep = l tonnellata equivalente di petrolio 10 milioni di chilocalorie = 41, 870· 1 (] kJ. La con versione in tep dell'energia idroelettrica e nucleotermoelet!rica è stata effettuata sulla base di un consumo specifico medio Lordo convenzionale delle centrali termoeletrriche tradizionali pari a 2.200 kcal/k Wh. -

=

Bisogna a riguardo premettere che tutte le central i attuali funzionano se­ condo il processo di fissione, ossia la rottura del nucleo atomico di una adatta sostanza (uranio) per l 'azione, un vero e proprio bombardamento, dei neutroni. I I processo di fusione è invece di natura diversa, poiché nuclei di elementi leggieri, quali )'idrogeno o i suoi isotopi trizio e deuterio, fondono insieme per formare nuclei più pesanti, elio ad esempio, con un difetto di massa che viene trasformato in energw secondo la nota equivalenza di Einstein .

Macchine a fluido e .fomi di energia

33

È anche risaputo che con processi similari da tempo immemorabile si svi­ luppa energia nelle stelle e nel sole, il quale ultimo, irradiandola sulla terra, vi ha consentito il sorgere e lo sviluppo della vita animale e vegetale. Questi processi richiedono però temperature altissime, di parecchie decine di milioni di gradi centigradi, alle quali la materia assume lo stato di plasma e cioè un insieme di particelle, nuclei ed elettroni, cariche di elettricità di segno opposto. Ben si comprendono perciò le grandi difficoltà che sussistono a realizzare la fusione in maniera controllata, risolvendo i complessi problemi di ottenere così elevate temperature evitando, al tempo stesso, ogni contatto del plasma con i materiali di cui è costituita la macchina, nessuno dei quali, ovviamente, sarebbe in grado di resistere in queste condizioni. I l principale filone di ricerca si basa sul principio del confinamento magnetico del plasma, le cui prime esperienze furono iniziate in Russia su una macchina denominata TOKAMAK (dal russo TOroidaln KAmera MAKina, macchina a camera toro idale). Come mostra la fig. 1.3, le linee di forza di un intenso campo magnetico si avvolgono ad elica intorno al plasma in un anello toroidale (una vera e propria ciambella) attraversato da correnti elettriche mantenendolo opportunamente di­ stanziato dalle pareti metalliche. Le ricerche proseguono in varie Nazioni ed anche la Comunità Europea per l'energia atomica (EURA TOM) ha costruito nel 1 983 ad Oxford, in Inghilterra, il JET (Joint European Torus) che costituisce il più grande impianto sperimentale tipo TOKAMAK. Nelle ricerche vengono usati per la fusione il trizio e il deuterio i quali, come mostra sempre la fig. 1.3, vengono inviati nel nocciolo del reattore. Il trizio non esiste allo stato naturale in quantità significative per cui viene ricavato irradiando con neutroni un mantello di litio metallico allo stato fuso che circonda il contenitore del plasma come fluido refrigerante. I l deuterio, detto anche idrogeno pesante (densità doppia) è invece molto diffuso in natura (in ogni 6.700 atomi di idrogeno vi è un atomo di deuterio). Può ora essere interessante accennare ad un breve confronto tra i due tipi di processo, fissione e fusione, per quanto riguarda l a sicurezza contro eventuali incidenti e l 'impatto ambientale. Nell'ipotesi di incidente, da un reattore a fu­ sione fuoriuscirebbero nell'atmosfera grandi quantità di trizio, il quale, pur non essendo molto pericoloso (emette radiazioni � di bassa energia), avendo le stesse caratteristiche chimiche dell'idrogeno può rapidamente entrare nel ciclo alimen­ tare (sostituisce, ad esempio, l 'idrogeno nell'acqua). Si stima tuttavia che i danni biologici sarebbero sicuramente molto inferiori a quelli prodotti dallo iodio e dal cesio fuoriusciti dalla centrale di Chernobyl; emerge comunque da ciò che nemmeno la fusione è del tutto esente da rischi, sia pure di entità minore. Per quanto riguarda poi la situazione ambientale durante il normale funzio­ namento, è noto che uno dei problemi dei normali reattori a fissione è lo

34

Macchine

Fig. I.3 Schema semplificato di reattore a fusione tipo TOKA MA K. l . Scambiatore di calore; 2. Nocciolo del reattore; 3. Camera da vuoto; 4. Mantello di litio; 5. Scarico dell'elio; 6. Estrazione del trizio; 7. Trizio; 8. Deuterio; 9. Potenza elettrica; 1 0. Turbina e alternatore; 1 1 . Generatore di vapore. -

smaltimento delle scorie radioattive prodotte, il che viene di solito fatto nei cosiddetti cimiteri nucleari (fosse marine, ecc.) . Nella fusione del deuterio con il trizio s i producono enormi quantità d i neutroni, molto superiori a quelle dei processi di fissione, che sottoporrebbero i materiali della macchina ad un intenso bombardamento. Non è ancora noto come tali materiali si comporterebbero in tali condizioni, ma di sicuro essi si infragilirebbero diventando radioattivi. Con le necessarie manutenzioni e sostituzioni periodiche è lecito quindi prevedere il sorgere di problemi abbastanza simili a quelli relativi alle scorie dei reattori a fissione. Per tali motivi occorre molta cautela, nella attuale fase di ricerca, nel definire la fusione come una energia atomica pulita, anche se, come si è accennato, le prospettive a riguardo appaiono sensibilmente migliori rispetto all'attuale pro­ cesso di fissione. Ma il problema comunque fondamentale è che un prototipo funzionante e commerciale di reattore a fusione non è stato ancora realizzato e per esso accorreranno tempi assai l unghi (presumibilmente alcune decine di anni) sempre

Macchine a fluido e fonti di energia

35

che vengano risolti, come si spera, tutti i problemi tecnologici ed ingegneristici. Successivamente bisognerà anche verificare che l'energia elettrica prodotta da un tale impianto risulti competitiva sotto il profilo economico con quella prodotta da altri di tipo diverso. Si può dunque concludere affermando che la fusione è una prospettiva di sicuro interessante e meritevole delle ricerche in atto, ma anche abbastanza incerta e lontana nel tempo. Pertanto, per eventuali nuove centrali nucleari, almeno per molti anni an­ cora, bisognerà sempre ricorrere al già ampiamente collaudato tipo a fissione.

1.3. Criteri di classificazione delle macchine a fluido e degli impianti motori Sulla base di quanto esposto al paragrafo precedente, si comprende subito l'importanza, nella cultura moderna, della disciplina che specificamente studia dal punto di vista funzionale gli impianti e le macchine in grado di sfruttare razional­ mente le fonti di energia messe a disposizione sotto varie forme dalla natura, impianti e macchine i quali, attraverso l'azione di un fluido ( a seconda dei casi gas, vapore o l iquido) sottoposto ad opportuni processi, trasformano i n lavoro meccanico immediatamente utilizzabile - e reso disponibile di solito su un albero rotante - le energie n aturali o primarie. Per chiarire meglio questi importanti concetti sono necessarie a questo punto alcune distinzioni. a) esistono macchine che trasferiscono all'esterno l 'energia meccanica prele­ vando/a al fluido che le attraversa, e macchine che, viceversa, trasferiscono al fluido energia meccanica prelevata dall'esterno. Con riferimento quindi alla fun­ zione esercitata è possibile preliminarmente distinguere due categorie fondamen­ tali di macchine a fluido: - macchine a fluido motrici, le quali trasformano energia potenziale termo­ dinamica di un fluido, energia cinetica, ovvero energia potenziale di masse di fluido in lavoro meccanico generalmente disponibile su un albero rotante; que­ st'ultimo, a sua volta, aziona un utilizzatore che può essere, a seconda dei casi, un generatore di corrente elettrica, un'elica, ecc. (Fig. 1.4);

{TERHODI;. CIIk v

Fig. III. 1 4 - A ndamento delle diverse politropiche nel piano pv al variare dell'esponente n.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

per una politropica assume espressioni analoghe alle (3-27), (3-28) e l'unica differenza di sostituire n al posto di k. Si ha dunque: R T1

11

--

l

[

(3-29)

83

con

(3-3 1 )

l

(3-32) (3-33) Al pari dell'adiabatica reversibile una politropica può essere rappresentata, oltre che nel piano pv, anche nel piano Tv e nel piano Tp nei quali l 'equazione che la rappresenta assume rispettivamente la forma:

T TI

v 11 - 1

=

p (ll - l )tll

cast =

(3-34)

cos t

A conclusione di quanto esposto si riportano confronto, le trasformazioni analizzate.

(3-35) 111

fig.

III.14,

per un utile

III.7. Il primo pnnczpw per sistemi aperti Nel par. III.l si è data la definizione di sistema aperto e si sono esemplificati quei sistemi aperti .che più frequentemente si incontrano nella pratica tecnica quali macchine a fluido motrici ed operatrici, scambiatori di calore, condotti acceleranti o deceleranti, semplici tubazioni. I sistemi aperti oggetto del nostro studio prevedono una sola sezione di ingresso del fluido ed una sola sezione di uscita nonché l'uguaglianza tra la portata di fluido che entra nel sistema e quella che ne esce. Lo studio verrà condotto ipotizzando il moto del fluido unidimensionale, nel senso che le proprietà del fluido si assumono uniformi in ciascuna sezione normale alla direzione del moto e variano quindi solo lungo la direzione del moto stesso; si suppone ancora un regime di moto stazionario che prevede la costanza nel tempo di tutte le proprietà del sistema. Poiché il sistema aperto prevede un flusso di massa, non è possibile condurre lo studio investigando su una ben definita massa di fluido, come si fa per i sistemi chiusi, ma è necessario fare riferimento ad un assegnato volume che prende il

c'+

Macchine r - - - - - - - - - - - -,

l l l

�- - - - - - - - --- - j

Fig. I l l . l 5 - Alcuni esempi di

r - - - - - - - - - - - - -,

l

l l l l 1 l l l l l l

L

vu!tune di cun!rullu.

2

_ _ _ _ _ __ _

_ _ _ _

..J

nome di volume di controllo ed analizzare le trasformazioni che interessano il fluido quando attraversa quell 'assegnato volume. La fig. III.1 5 esemplifica i volumi di controllo cui si può fare riferimento in relazione ad una turbina e ad uno scambiatore di calore. Si ritiene opportuno precisare che anche con riferimento ad un sistema aperto il primo principio resta un principio di conservazione e va formulato pertanto imponendo l'uguaglianza tra l'energia E, in ingresso al volume di con­ trollo e quella E, in uscita. A tale scopo si faccia riferimento al generico volume di controllo riportato in fig. III . 1 6 caratterizzato da una sezione di ingresso Q, e da una sezione di uscita Q 2 i cui baricentri si trovano a quote diverse rispetto ad un piano di riferimento z = O. Le pareti del volume di controllo consentono trasferimenti di calore con l'ambiente esterno e, tramite la girante G, è possibile effettuare trasferimenti di lavoro. Energia in ingresso E, Con riferimento all'unità di massa di fluido, l'energia in ingresso è costituita dall'energia termica Q ,2 eventualmente trasferita al fluido attraverso le pareti del

o. , l

z,

- :€) 8-



z =O �------�-

Fig. l l l . l 6 - Volume di controllo con una sola sezione di ingresso ed una sola sezione di uscita.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica

e

di trasmissione del calore

85

volume di controllo più l'energia associata a ciascun chilogrammo di fluido che attraversa la sezione Q , e che è costituita a sua volta dalla somma dell'energia interna u , , dell'energia cinetica c,'/2 e dell'energia di posizione gz, . Si ha dunque: (3-36) Energia in uscita E, L'energia in uscita è costituita dal lavoro di variazione di volume L,., che il volume di controllo trasferisce eventualmente all'ambiente esterno più l'energia associata a ciascun chilogrammo di fluido che attraversa la sezione Q, e che è costituita a sua volta dalla somma dell'energia interna u,, dell'energia cinetica c/12 e dell'energia di posizione gz,. Si ha dunque:

(3-37) Uguagliando la (3-36) e la (3-37) si ha: (3-38) Va precisato a questo punto che il lavoro L,.,. è il lavoro di variazione di volume scambiato con l'ambiente esterno attraverso tutte le superfici mobili del volume di controllo costituite, oltre che dalla girante G, anche dalle sezioni Q, di ingresso ed Q, di uscita. Di tutto il lavoro L, l'aliquota che interessa nella pratica tecnica è L 12 (Fig. III.16) cioè il lavoro che ad esempio il fluido trasferisce alla girante G di una turbina, nel caso di macchina motrice, e che può quindi essere direttamente utilizzato all'esterno oppure, nel caso di macchina operatrice, il lavoro che la girante G trasferisce al fluido che attraversa la macchina, compres­ sore o pompa che sia. È opportuno pertanto suddividere il lavoro L,., in due aliquote: la prima, L 12 riguarda il lavoro trasferito mediante la girante G e prende solitamente il nome di lavoro di elica o di lavoro netto o anche di lavoro tecnico; la seconda riguarda invece il lavoro localizzato nelle sezioni Q, di ingresso e Q2 di uscita del volume di controllo che prende solitamente il nome di lavoro di pulsione L". Sarà allora: L ve

=

L 12 + L,

(3-39)

Il lavoro di pulsione L" rappresenta in sostanza la somma dei lavori che ciascun chilogrammo di fluido deve esplicare per spostare una pari massa onde poter entrare nel volume di controllo e poter uscire da questo per penetrare nell'ambiente esterno. Indicando con L", ed L,,2 i lavori di pulsione rispettiva­ mente in ingresso ed in uscita dal volume di controllo, la (3-39) diventa:

86

Macchine

(3-40) Per valutare il lavoro di pulsione L,,, si può ragionare come segue: se si indica con v , il volume specifico del fluido nella sezione di ingresso Q, è evidente che un chilogrammo di fluido, per poter entrare nel volume di .controllo, deve spostare il chilogrammo di fluido che lo precede e sostituirsi ad esso; lo spostamento t.x da effettuare si valuta immediatamente dividendo v , per Q , :

(3-41) Poiché nella sezione Q , regna la pressione p , , i l lavoro compiuto s i calcola facilmente moltiplicando prima p , per Q, ottenendo così la forza agente nella sezione Q , che, moltiplicata successivamente per lo spostamento t.x, fornisce il lavoro di pulsione L,, :

(3-42) Si osservi che tale lavoro, in ossequio alla convenzione adottata in merito al segno, risulta essere negativo in quanto effettuato dall'esterno sul sistema. Con analogo ragionamento si perviene all'espressione del lavoro di pulsione L,,2, questa volta positivo in quanto compiuto dal sistema sull'ambiente esterno, per cui la (3-40) fornisce:

(3-43) che sostituita nella

(3-38)

porge infine:

che è una delle forme del primo principio per sistemi aperti di larghissima applicazione, come si vedrà nel prosieguo, nello studio delle macchine. È opportuno osservare che la (3-44) vale ovviamente anche se il calore, anziché fornito, viene sottratto dal volume di controllo. In tal caso infatti Q,2 ha segno negativo e, portato a secondo membro nella (3-44) con segno positivo figurerà evidentemente come energia in uscita. Analogo discorso vale per L ,2•

III.7. 1 . Introduzione della funzione entalpia La relazione (3-44) è assolutamente generale e, particolarizzata di volta in volta con riferimento ai diversi sistemi aperti che più frequentemente si incontrano nella pratica tecnica ed ai quali si è già fatto cenno, fornisce i parametri fondamentali che·

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

87

ne caratterizzano il funzionamento, quali, ad esempio, il lavoro trasferito nel caso di macchine motrici od operatrici, il calore trasferito nel caso di scambiatori e così via di seguito per ogni apparecchiatura assimilabile ad un sistema aperto. Compressore dinamico In tale macchina (Fig. III.2a) la compressione è praticamente adiabatica e dunque risulta Q 1 2 O. Assumendo inoltre Z1 = z2, il che è sempre verificato quando la macchina è ad asse orizzontale, e supponendo c 1 = c2 , ipotesi peraltro 1 frequentemente verificata nella pratica 5, la (3-44) fornisce: =

Pompa dinamica Anche nelle pompe (Fig. III.2c ) la compressione può ritenersi adiabatica. Assumendo ancora Z1 z2 e C1 C2, la (3-44) fornisce: =

(3-45) Turbina Anche per questa macchina (Fig. III.2b ), risultando valide le stesse conside­ razioni fatte a proposito dei compressori e delle pompe, la (3-44) fornisce:

(3-45) Scambiatore di calore In questo caso (Fig. I II.2d) risulta ovviamente L 1 2 = O in quanto non può verificarsi trasferimento di lavoro data l'assenza di organi mobili, mentre risulta Q12 t:- O in quanto la finalità di uno scambiatore è per l 'appunto il trasferimento di calore. Nell'ipotesi in genere verificata Z1 = Z2 e c 1 c2 , la (3-44) fornisce: =

(3-46) Condotto accelerante o decelerante In tal caso (Fig. III.2e ) risulta Q 1 2 = O ed anche L 1 2 organi mobili. Nell'ipotesi Z1 = z2 la (3-44) fornisce:

=

O non essendo presenti (3-47)

1

Assumendo ( z 1 - z2) = 1 00 m , s i calcola una variazione dell'energia gravitazionale g(z1 - z2) pari a circa 1 .000 J/kg, assolutamente trascurabile i n confronto alia variazione dei term ine [(u1 + p1v1 ) - (u2 + p2 v2)] che in genere è dell'ordine di 1 06 J/kg. Analogo discorso vale per la variazione dell'energia 2 2 cinetica (c1 - c2 )/2.

5

88

Macchine

Tubazione con valvola di laminazione

Se nel condotto in cui fluisce il fluido si pratica una brusca strozzatura quale quella che si determina ad esempio in corrispondenza della chiusura parziale di una valvola (Fig. III.2f ) si riscontra una diminuzione di pressione tra le sezioni l e 2 poste rispettivamente a monte e a valle della valvola. Il processo mediante il quale si opera tale riduzione di pressione prende il nome di strozzamento o di laminazione. Realizzando le sezioni del condotto a monte e a valle della strozza­ tura in modo da mantenere la costanza della velocità (c1 = c2), in assenza di trasferimenti di calore e di lavoro e nel caso di condotto ad asse orizzontale (z1 = Z2) la (3-44) fornisce:

(3-48) Dagli esempi citati, esempi che esauriscono praticamente tutti i possibili casi che si incontrano nella tecnica, scaturisce in definitiva che sia il lavoro scambiato tra fluido e girante in una macchina dinamica, sia il calore trasferito in uno scambiatore sono calcolabili come differenza tra la grandezza ( u + pv) misurata in uscita ed in ingresso ai sistemi aperti presi in esame; analogamente, la velocità di uscita da un condotto accelerante o decelerante dipende dalla differenza tra i valori della grandezza (u + pv) in ingresso ed in uscita dal condotto, mentre in un processo di laminazione è sempre la grandezza (u + pv) ad entrare in gioco, senza presentare, in questo caso, variazioni tra monte e valle dell'organo di strozza­ mento. Risulta allora evidente l'opportunità di raggruppare i termini u e pv in un 'unica funzione che risulterà ancora una funzione di stato; essa è stata denomi­ 1 nata entalpia 6 e viene di solito indicata con h : =

h

Sostituendo la Q 12

+

(3-49)

h1 +

nella

c� 12 +

+ pv

u

(3-44) g

z

1

(3-49)

si ha dunque:

= L

12

+

h2 +

c� /2 +

g

z

2

(3-50)

Utilizzando la funzione entalpia è possibile quindi esprimere semplicemente il lavoro L 1 2 trasferito in una qualunque macchina dinamica, sempre che la trasformazione sia adiabatica, mediante la relazione:

(3-51 ) 16

Dal greco en (dentro), 1hàlpein (riscaldare).

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

89

oppure il calore Q, 2 trasferito attraverso uno scambiatore:

(3-52) o la velocità c2 di efflusso da un condotto:

(3-53) Si comprende bene che questa funzione trova nella pratica tecnica utilizza­ zione molto più diffusa che non l'energia interna in quanto, come ripetutamente detto, le macchine e le apparecchiature di più frequente impiego sono costituite da sistemi aperti ed i parametri di maggiore interesse (lavoro, calore, ecc.) sono forniti, come visto or ora, da variazioni di entalpia. Trovano pertanto giustifica­ zione gli studi approfonditi volti alla realizzazione di diagrammi e di tabelle che, limitatamente ai fluidi tecnici di più largo impiego, riportano i valori della funzione entalpia per differenti valori della pressione e della temperatura.

II I.7.2. Espressione del lavoro trasferito in un sistema aperto Il primo principio per sistemi aperti espresso dalla Q 12

+ h + c � 12 + g z 1

1

= L

12

+h

2

+

(3-50)

che qui si riscrive:

c� /2 + g z

2

(3-50)

può essere anche posto in forma diversa, o come suoi dirsi, in forma meccanica'7:

1

7

Differenziando infatti l'espressione dell'entalpia:

si ha:

h = u

+

(3-49)

pv

d h = d u + p d v + v dp

(3-54)

Ricordando poi la forma differenziata della (3-4). ovvero: ò Q = du + p d v

(3-55)

e sostituendo nella (3-54) i l valore di du ricavato dalla (3-55) s i ottiene: òQ = d h - v dp

(3-56)

che integrata fornisce: Q , 2 = (h 2 - h , ) -

f,, p,

v dp

Sostituendo l a (3-57) nella (3-50) s i perviene alla (3-58).

(3-57)

90

Macchine

v

Fig. I I I . 1 7 Visualizzazione nel piano pv del lavoro netto L12 dall 'esterno ad una macchina operatrice. -

L 12

=

-

[2vdp+ (c� - c�)/2 p,

+ g (z 1 - z 2)

A 12B

trasferito

(3-58)

che è una forma del primo principio per sistemi aperti anch'essa di vasta applica­ zione in quanto fornisce tra l'altro, attraverso una rappresentazione grafica di grande efficacia, il lavoro trasferito in un sistema aperto. Infatti, nell'ipotesi come già detto frequentemente verificata in cui c, = c2 e z, = z 2 , la (3-58) porge:

(3-59) vale a dire che il lavoro trasferito tra fluido e girante lungo una trasformazione reversibile in un sistema aperto è rappresentato (Fig. III.17) dall'area A 12B ottenuta proiettando sull'asse delle ordinate la curva 1-2 indicativa delle varia­ zioni del volume specifico in funzione della pressione subite dal fluido durante la trasformazione in esame 1 8• Nel caso poi di trasformazione adiabatica, il lavoro può essere espresso anche mediante la (3-51) e valutato quindi attraverso una differenza di entalpia. Si può concludere quindi che la relazione:

1 8 Vale la pena precisare che il segno meno che precede l'integrale concorda con la convenzione assunta per il lavoro. I nfatti in una espansione dp è negativo e l'integrale risulta allora positivo, come appunto vuole la convenzione per il lavoro trasferito dal sistema all'ambiente; in una compressione, viceversa, la pressione aumenta e dp è positivo, per cui il lavoro trasferito, questa volta dall'ambiente al sistema, risulta negativo.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

r?,v· dp p,

=

(h 1 -

91

(3-60)

h 2)

è valida solo per trasformazione adiabatica reversibile, mentre per un'adiabatica reale il lavoro può essere valutato solo attraverso il calcolo della variazione di entalpia. La valutazione del lavoro netto, nel caso di generica trasformazione politro­ pica di equazione:

L ,2

p v"

=

cast

si ottiene calcolando l'integrale che compare nella

(3-59) i l cui sviluppo

l v [ (p 2 J(n - )ln ] RT, , L \ - -- R [ (p 2 J(n-J )In l 2 P1

L

n

1 1 - -n l P

2

_

-

1

l -

p1

e ricordando che per un gas perfetto p , v, _

n

n

- l

TI

=

fornisce:

(3-6 1 )

-

si ha:

(3-62)

l - -

L

f p· dv

= Confrontando la (3-62) con la (3-31) che fornisce il lavoro per la stessa trasformazione reversibile 1 -2 realizzata però in un sistema chiuso si ha:

L f L J 1c2 - -fp·v·ddvp 2( h)

12

= n

(3-63)

Se si suppone che la trasformazione 1 -2 sia adiabatica, allora la (3-4) forniscono:

L f L l 1 2 - -fp·v·ddvp 2(ch)

!1H !1U

k

(3-60)

e la

(3-64)

e poiché per un gas perfetto si ha !1U = c,.I'1 T e k = c,!c, , dalla (3-64) si ricava pure che !1H = cp/1 Dalla (3-63) segue che solo nel caso di trasformazione isoterma ( n = l ) i due lavori sono uguali, cosa peraltro prevedibile considerando che l'isoterma è rap­ presentata da un'iperbole equilatera = cast) la quale sottende aree uguali

T.

(pv

92

Macchine

p D

2

A12 B : C 1 2 0

A

B

v

Fig. I l l . 1 8 - Rappresentazione nel piano p v eli una trasformazione a temperatura costante eli equazione pv cast (iperbole equilatera ) . =

proiettandone un tratto sia sull'asse delle ascisse v, sia sull'asse delle ordinate p ( Fig. I I I . 1 8). Concludendo il presente paragrafo si ritiene opportuno ribadire che una stessa trasformazione politropica l -2 che porta un gas dalle condizioni iniziali l alle condizioni finali 2 può avere luogo sia· in un. sistema chiuso, sia in un sistema aperto; ne è tipico esempio la compressione adiabatica di ùn gas che può essere realizzata o nel sistema chiuso pistone-cilindro o nel sistema aperto quale un compressore dinamico ( Fig. I I I . 1 9). Ciò significa che se si comprime un gas ad esempio adiabaticamente e reversibilmente da certe condizioni iniziali p , , v, , t,, fino alla pression·e p2, la temperatura di fine compressione ha lo stesso valore indipendentemente dal fatto che la compressione adiabatica abbia luogo in un sistema chiuso o in un sistema

IF-L1 2 =C120 - S I ST E M A

D

c

C H I U SO ­

L12 ::A12B

- S I ST E M A A P E R T O -

v

Fig. 1 1 1 . 1 9 - Rappresentazione grafica nel piano lavoro eli variazione eli volume (area CJ2D).

pv

ciel lavoro netto (area A l2B ) e ciel

Termodinamica applicata - Cenni di .fluidodinamica e di trasmissione del calore

93

p

Fig. I I I .20 - Rappresentazione grafica nel piano pv ciel incompri m i bi le.

v

l a voro

netto nel caso eli fl uido

aperto venendo calcolata per un gas perfetto sempre con la relazione

(3-25): (3-25)

Analogo ragionamento è valido per tutte le altre grandezze di stato quali ad esempio il volume specifico, l 'energia interna o l'entalpia. Quando però si tratti di valutare il lavoro scambiato tra organo in moto e fluido che subisce la trasformazione, allora è necessario stabilire se quella trasfor­ mazione ha luogo in un sistema chiuso o in un sistema aperto essendo il lavoro scambiato, come visto, fortemente influenzato dal tipo di sistema nel quale si realizza la trasformazione in esame. In conclusione si ritiene opportuno mettere in evidenza che la (3-59) è applicabile anche a quei sistemi aperti, quali le pompe, che elaborano un fluido praticamente incomprimibile. In tal caso la compressione avviene all'incirca a volume costante (Fig. 1 1 1 . 20 ) ed il lavoro di compressione L12, valutabile ancora mediante la (3-59), è costituito dall'area A J2B di fig. I l l.20.

111.8. Equazione di Bernoulli Si consideri il sistema aperto di fig. 111.21 costituito da una tubazione a sezione variabile percorsa senza attrito da un fluido incomprimibile ( v = cast), ad esempio acqua. Risultando nulli i trasferimenti di lavoro (L12 = 0), data l'assenza di organi in grado di interagire con l 'esterno scambiando energia meccanica, in assenza inoltre di scambi di calore (Q 1 2 = O ) e nell'ipotesi di costanza del volume specifico

94

Macchine

zl

� �

__....J

____

z

= o

Fig. l l l . 2 1 - Tubazione a sezione variabile.

v, la (3-58) fornisce:

(3-65) ovvero:

p 1 v + c 21 12 + g z 1

=

p 2 v + c 2 l2 + g z 2 ?

(3-66)

Ricordando poi che il volume specifico v è l'inverso della densità Q, si ha anche:

p l l Q + c 2l 12 + g z l

=

p 2 lQ + c 2? l2 + g z 2

(3-67)

L'espressione (3-67) è l'equazione di Bernoulli; essa afferma in sostanza che nell'ipotesi di moto permanente e di assenza di attriti l'energia totale per unità di massa [J/kg] rimane costante anche se la distribuzione tra le diverse forme di energia può variare da punto a punto. Dividendo la (3-67) per l 'accelerazione di gravità g, si perviene all'espressione della conservazione dell'energia in termini di energia riferita all'unità di peso:

p iQg + c 2 12g + z

= cast

(3-68)

ovvero:

p ly + c 2 12g + z

= cos t

(3-69)

avendo indicato con y[kp/m3 ] il peso specifico del fluido; la pressione Q è ora espressa in kp/m2 . Si osservi che i termini della (3-69), rappresentando energia riferita all'unità di peso, risultano espressi in [kpm/kp] ovvero in metri e prendono pertanto il

Termodinamica applicata - Cenni di .fluidodinamica e di trasmissione del calore

95

nome di altezze o carichi in quanto rappresentano l'altezza equivalente di una colonna liquida capace, con il suo peso per unità di superficie, di equilibrare la pressione corrispondente al termine energetico considerato. I l termine p/y si dice altezza piezometrica, il termine c2/2g è l 'altezza cinetica, il termine z è l 'altezza geodetica. La relazione (3-69) consente tra l'altro di calcolare la velocità teorica di efflusso nell'atmosfera di un liquido contenuto in un serbatoio aperto all 'atmo­ sfera (Fig. l l l.22) nel quale il pelo libero sia mantenuto a livello costante. Con riferimento alla fig. 1 1 1 .22 risulta p 1 = p 2 = Pnrm c1 = O e dunque la (3-69) fornisce: (3-70) che esprime il ben noto principio di Torricelli secondo il quale in assenza di attriti la velocità di efflusso di un liquido da un recipiente a livello costante è uguale a quella che acquisterebbe un grave cadendo nel vuoto da un'altezza pari alla variazione di altezza geodetica del liquido considerato. Si osservi infine che l'equazione di Bernoulli può essere generalizzata nel caso si prevedano trasferimenti di energia meccanica L,2 tra fluido ed ambiente circostante il che si verifica se lungo il percorso del fluido si inserisce una pompa oppure una turbina. In tal caso la (3-67) fornisce: (3-7 1 )

III.9. Secondo pnnczpzo della termodinamica - Enunciati di Kelvin e di Clausius Il primo principio della termodinamica fissa le modalità delle trasformazioni lavoro-calore e viceversa limitandosi ad affermare che in un sistema isolato, in un sistema cioè che non può interagire con l'ambiente esterno, l'energia si conserva (principio di conservazione dell'energia). Alla luce del solo primo principio, però, non è possibile spiegare perché certi fenomeni, pur senza entrare in contraddi­ zione con tale principio, non si realizzano in natura. Di essi, i più noti sono l'impossibilità di trasformare ciclicamente ed in misura integrale energia termica in energia meccanica e l'impossibilità di far fluire spontaneamente il calore da un corpo a temperatura più bassa ad uno a temperatura più alta. Con riferimento alla prima fenomenologia si è visto infatti che negli impianti motori primi termici descritti al par. I.3 una parte del calore Q, fornito al fluido motore bruciando combustibile viene restituita all'ambiente esterno a tempera­ tura inferiore e più precisamente attraverso il condensatore nel caso di impianti a

96

Macchine Pat m

z = O Fig. I I I .22

-

Schema di serbatoio che scarica all'atmosfera.

vapore, con i gas di scarico nel caso di impianti con turbine a gas, mediante i gas di scarico ed il circuito di raffreddamento in un motore alternativo a combustione interna. Indicando con Q2 la quantità di calore scaricata all'esterno è evidente che, in ossequio al primo principio, il lavoro utile L, fornito dall'impianto risulta neces­ sariamente inferiore a Q, (Fig. III.23) giusta la relazione: (3-72)

È evidente che quanto più piccola diventa Q2 , tanto più il valore di L, si avvicina a: Q, fino ad aversi: (3-73)

L"

quando Q2 viene ridotta a zero. La (3-73) non è in disaccordo con il primo principiO, eppure non esiste impianto motore primo termico in grado di soddisfarla, in grado cioè di trasfor-

I M PIAN T O M OTORE

TE R M ICO Fig. 1 1 1 .23

-

--�2-u

___.J)

_

Bilancio di energia in un impianto motore primo termico.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

Energia elettr.l ca

Fig. I I 1.24 pompaggio.

-

97

Energia elettr"1 ca

Schemi semplificati di un impianto idroelettrico e di un impianto di

mare integralmente in energia meccanica L, tutta l'energia termica Q1 fornita al fluido bruciando combustibile. In effetti il primo principio parla di una equivalenza metrologica tra le forme di energia termica e meccanica ma non di mutua sostituibilità che è cosa ben diversa; il primo principio cioè non entra nel merito della diversa qualità che caratterizza le due forme di energia di cui ci si occupa, qualità che può spiegare il perché del verificarsi o meno di fenomeni dei quali prima si è riportato qualche esempio. Per chiarire allora il concetto di mutua sostituibilità e di qualità per le diverse forme di energia si faccia riferimento alla fig. I I I.24 che riporta affiancati un impianto idraulico per la produzione di energia elettrica ed un impianto di pompaggio acqua, che può essere dislocato anche a notevole distanza dal primo, il cui funzionamento è ipotizzato, per entrambi, in assenza di attriti. È immediato dedurre che un chilogrammo di acqua in quiete nel bacino A a pressione atmosferica possiede un patrimonio energetico costituito essenzial­ mente da energia gravitazionale o di posizione il cui valore è gH[J] avendo indicato con H la distanza del pelo libero dell'acqua nel bacino A rispetto al livello di riferimento z = O. Se il chilogrammo di acqua viene fatto fluire lungo la condotta che sbocca nell'atmosfera, accade che all'uscita della tubazione l'energia di posizione gH si sarà trasformata integralmente, data l'ipotizzata assenza di 2 attriti, in energia cinetica, giusta la relazione: gH = c f2. La turbina idraulica T, installata all'uscita della condotta, sottrae all'acqua l'energia cinetica e la trasfe­ risce all'esterno sul proprio asse sotto forma di lavoro meccanico il cui valore è evidentemente pari a gH[J] in quanto il chilogrammo di acqua, all'uscita dalla macchina, non possiede più né energia di posizione, né energia cinetica. Se sull'asse della turbina è calettato un generatore di energia e lettrica, il lavoro meccanico gH[J] trasferito all'alternatore viene trasformato in energia elettrica che può essere trasferita anche a grande distanza (Fig. III.24) per alimentare un motore elettrico il quale rende disponibile sull'asse energia meccanica il cui valore gH[I] è rimasto inalterato. Tale energia meccanica può essere trasferita,

98

Macchine

mediante la pompa P, ancora ad un altro chilogrammo di acqua che acquiSisce una energia di pressione sempre pari a gH che gli consente di essere sollevato nel bacino B, anch'esso a pressione atmosferica, alla stessa altezza H rispetto al piano di riferimento z = O. L'energia di posizione gH che si trovava immagazzinata nel chilogrammo di acqua nel bacino A si trova ora immagazzinata integralmente in un altro chilogrammo di acqua nel bacino B nel pieno rispetto del principio di conservaziOne. Attraverso tale esempio si è voluto mettere in luce l 'aspetto che caratterizza tutte le forme di energia che sono via via intervenute (di posizione, cinetica, meccanica, elettrica, di pressione), ma non l'energia termica; l'elemento che accomuna le cinque forme di energia citate consiste nel fatto che ciascuna di esse è integralmente trasformabile in tutte le altre il che significa che una certa quantità, ad esempio, di energia di posizione ha lo stesso valore di una pari quantità di energia cinetica o meccanica o elettrica o di pressione in quanto è possibile comunque operare una trasformazione integrale dell'energia di posi­ zione in una qualunque delle altre forme di energia ricordate. Si dice allora, per tale proprietà, che le forme di energia menzionate hanno carattere di mutua sostituibilità o anche carattere di ordine e vengono spesso denominate energie di prima specie. Discorso analogo non può farsi per l'energia termica in quanto se è vero che è possibile trasformare integralmente energia elettrica o cinetica in energia ter­ mica (si pensi alle trasformazioni che hanno luogo in una stufa elettrica o durante il rallentamento di un autoveicolo) è pur vero però che non esiste impianto, come prima ricordato, che realizzi ciclicamente una trasformazione integrale di energia termica in energia meccanica o in una qualunque delle altre forme di energia di prima specie. L'energia termica dunque non ha carattere di mutua sostituibilità nei confronti delle altre forme di energia né carattere di ordine e viene pertanto denominata energia disordinata o di seconda specie. Essa viene quindi conside­ rata una forma di energia di qualità più scadente, ovvero degradata, in una certa misura, rispetto alle altre forme ricordate. I n altre parole, una certa quantità di energia termica non ha lo stesso valore (non ha la stessa qualità) di una pari quantità ad esempio di energia di posizione o di energia cinetica in quanto queste ultime sono trasformabili integralmente in energia meccanica mentre l'energia termica realizza tale trasformazione solo in misura parziale e, come si vedrà, in misura tanto più ridotta quanto più bassa è la temperatura alla quale essa si rende disponibile. È possibile allora articolare una scala di merito per quanto riguarda le diverse forme di energia ed al primo posto di tale graduatoria compariranno, a pari merito, le forme di energia come quella di posizione, cinetica, meccanica, elettrica, di pressione che possono essere considerate della più alta qualità in quanto, essendo integralmente trasformabili l'una nell'altra, possono tutte fornire lavoro meccanico che è una delle forme di energia più necessarie alle attività dell'uomo. Ad un gradino inferiore verrà posta l'energia termica in quanto

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caratterizzata, rispetto alle altre, da una qualità più scadente dovuta all'impossibi­ lità di trasformarsi integralmente in energia meccanica; e poiché l'energia termica può essere caratterizzata da valori differenti della temperatura, è facile intuire che nella scala di merito cui prima si è fatto cenno il gradino occupato da una certa quantità di energia termica Q sarà tanto più basso quanto più bassa risulterà la temperatura alla quale Q si rende disponibile. Più bassa infatti è tale tempera­ tura, minore sarà l 'aliquota di Q che può essere trasformata in energia meccanica e quindi più bassa risulterà la qualità di Q. Alla luce di quanto esposto risulta dunque comprensibile il motivo per il quale, disponendo di una assegnata quantità di calore Q1 ad una certa tempera­ tura T� > è possibile trasformarne in energia meccanica solo un'aliquota mentre la rimanente parte Q2 non solo deve restare nella forma termica originaria ma per di più deve essere resa disponibile a temperatura più bassa. Con la trasformazione calore-lavoro si migliora infatti la qualità di una parte dell'energia di partenza e tale miglioramento viene pagato dalla degradazione subita dall'aliquota Q2 che si ritrova ad una temperatura più bassa di T1 • Quanto maggiore è l'aliquota di Q1 che si trasforma in energia meccanica, . tanto maggiore risulta l a degradazione dell'aliquota non trasformata e quindi tanto più bassa, rispetto a T1, la sua temperatura. La trasformazione integrale di Q1 in lavoro meccanico risulta quind!. improponibile in quanto il salto di qualità registrato per tutta la Q1 non lrcwe­ rebbe compensazione alcuna risultando in tal caso Q2 = O. Da queste considerazioni deriva anche l'importante concetto di rendimento termodinamico 11 di un ciclo definito come il rapporto tra il calore trasformato in lavoro utile L., = Q1 - Q2, e quello Q1 disponibile per tale operazione:

(3-74) Poiché in un ciclo motore è sempre Q2 < Q1, dalla (3-74) segue che il rendimento risulta sempre minore dell'unità ed è facile comprendere il grande interesse che esiste nelle pratiche applicazioni ( impianti motori primi termici ) ad ottenere per esso i più elevati valori possibili. Infatti, poiché in tali impianti il calore è fornito mediante combustibile, quanto maggiore è l 'aliquota trasformata in lavoro utile, tanto maggiore sarà il vantaggio economico che se ne trae in termini di risparmio di combustibile. Sulla base delle considerazioni svolte in merito alla qualità delle differenti forme di energia è facile giustificare anche l'impossibilità del passaggio spontaneo di una assegnata quantità di calore Q dalla temperatura T alla temperatura T > T. Infatti, nel momento in cui il calore Q si è portato ad una temperatura superiore ha evidentemente migliorato la sua qualità in quanto, grazie all'incre­ mento di temperatura, è aumentata l'aliquota di Q che può trasformarsi in energia meccanica. Ma tale salto di qualità non può avvenire a costo zero, nel

l 00

Macchine

senso che deve essere pagato o compensato in una certa misura da una degrada­ zione che non si riesce a localizzare se il passaggio di Q da T a T' avviene spontaneamente. Non sorprende però che in qualunque apparecchio frigorifero il calore passa dalla temperatura più bassa che regna nella cella frigorifera alla tem­ peratura più alta dell'ambiente esterno, in quanto in questo caso il salto di qualità che si riscontra nel calore che passa da bassa ad alta temperatura viene pagato o compensato dalla spesa di energia di prima specie (elettrica ad esempio) che si ritrova anch'essa nell'ambiente esterno sotto forma di energia termica. In assenza di energia somministrata dall'esterno viene a cadere l'elemento che paga il salto di qualità e l'apparecchio non è più in grado di funzionare. Si ritiene opportuno riportare, in conclusione, due formulazioni del secondo principio della termodinamica che si riferiscono alle due fenomenologie citate all'inizio del paragrafo e che sono peraltro perfettamente equivalenti. Enunciato di Kelvin-Planck È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di assorbire calore da un serbatoio e convertirlo integralmente in lavoro. Enunciato di Clausius Non è possibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di far passare del calore da un corpo più freddo ad uno più caldo.

I I I . l O. Secondo principio e trasformazioni irreversibili Con riferimento all'esempio di fig. III.24 si è visto che, nell'ipotesi di assenza di attriti e di dissipazioni, si verifica che l'energia di posizione gH posseduta da un chilogrammo di acqua nel bacino A si ritrova, dopo le numerose trasformazioni subite, in una pari massa di acqua nel bacino B verificando, come già detto, il primo principio, che è un principio di conservazione. Alla l uce di quanto esposto in relazione alla qualità dell'energia si può poi aggiungere, a maggior chiari­ mento, che nell'esempio descritto l'energia gH si è conservata non solo da un punto di vista quantitativo ma anche qualitativo in quanto ha mantenuto il suo carattere originario di energia ordinata o di prima specie. Tale premessa è necessaria quando, sempre con riferimento all'esempio di fig. I I I .24, si rimuove l'ipotesi di assenza di attriti e si esamina quello che effettivamente accade in pratica quando si lascia fluire un chilogrammo di acqua dal bacino A verso la macchina idraulica T. A causa degli attriti, questa volta presenti, accade che il valore dell'energia cinetica d2 posseduta dal fluido all'u­ scita della condotta è senz'altro inferiore al valore gH in quanto la differenza (gH d2) è stata spesa per vincere le resistenze incontrate dall'acqua nel movimento lungo la tubazione. Ulteriori decurtazioni, sempre per vincere gli attriti, si avranno in corrispondenza delle successive trasformazioni nella macchina idrau-

-

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

101

lica e nell'alternatore, quindi lungo l'elettrodotto (effetto Imt!e) per il trasporto dell'energia elettrica dall'impianto di generazione a quello di pompaggio, infine nel motore elettrico, nella pompa da questo azionata e nella condotta che porta al bacino B. È facile prevedere che il chilogrammo di acqua non può raggiungere il bacino B a quota H ma si fermerà ad una quota H' tanto minore di H quanto maggiore è stata l 'energia spesa per vincere gli attriti, ed acquisirà un'energia di posizione gH' minore del valore gH che aveva nel bacino A . S i ritiene opportuno precisare che anche in questa occasione, pur risultando gH' < gH, il principio di conservazione è ancora rispettato in quanto l'aliquota (gH - gH' ) non rappresenta energia perduta ovvero scomparsa ma semplice­ mente energia, comunque individuabile e localizzabile, che ha solo perduto la sua prerogativa originaria di energia di prima specie e si è trasformata, per vincere gli attriti, in energia termica a bassa temperatura, quindi di qualità scadente per cui è praticamente impossibile una sua pur parziale riconversione in energia meccanica o comunque di prima specie. Il passaggio dunque dal funzionamento ideale senza attriti, che prevede trasformazioni reversibili, al funzionamento reale con attriti, caratterizzato per contro da trasformazioni irreversibili, ha comportato una de­ gradazione di energia. Analogo discorso si può sviluppare in relazione ad un'altra trasformazione che si verifica nella realtà quotidiana tutte le volte che un corpo a temperatura T1 , messo in contatto con una sorgente termica (l'aria o l 'acqua del mare, ad esempio) a temperatura T2 < T1, si porta anch'esso alla temperatura T2 trasfe­ rendo alla sorgente una certa quantità di calore Q. Anche in questo caso il principio di conservazione è rispettato in quanto la quantità Q viene semplice­ mente a mutare sede spostandosi dal corpo alla sorgente e rimanendo quantitati­ vamente immutata, ma è pur vero che si è verificata una degradazione di energia in quanto il calore Q, dopo il trasferimento, è disponibile alla temperatura T2 < T1 e quindi in misura minore convertibile in lavoro meccanico. Per non avere degradazioni, il passaggio di Q dal corpo alla sorgente si sarebbe dovuto verifi­ care con b. T = O ( T1 = T2 ) il che è possibile solo con una ipotetica trasformazione reversibile. Gli esempi illustrati confermano dunque che le trasformazioni che hanno luogo in natura si svolgono tutte nella direzione che comporta una degradazione dell'energia, per cui è possibile formulare un nuovo enunciato del secondo principio in base al quale si afferma che ogni trasformazione reale è una trasfor­ mazione irreversibile. Accanto al principio di conservazione dell'energia bisogna tener conto allora anche dell'evoluzione dell'energia e cioè della sua tendenza spontanea, pur nel rispetto del principio di equivalenza, a degradarsi perdendo di qualità. Ogni qualvolta si è in presenza di una trasformazione reale, dunque con attriti e cioè irreversibile, si verifica sempre una degradazione di energia nel senso prima illustrato laddove l 'assenza di degradazione è prevista solo nell'ipotesi purtroppo

1 02

Macchine

irrealizzabile di trasformazioni reversibili, senza attrito, che sono puramente ideali. Se è vero dunque che in un sistema isolato l'energia si conserva, è pur vero che essa si degrada. Da questa nuova formulazione del secondo principio e dalla considerazione che il nostro Universo costituisce un sistema isolato, si può conclu­ dere che si va incontro ad una continua, inarrestabile degradazione dell'energia.

III.l l . Ciclo di Carnot Un ciclo termodinamico di semplice interpretazione e molto efficace per una utile applicazione dei concetti enunciati ai paragrafi I II.9 e III.lO è il ciclo proposto dal fisico francese Carnot nel secolo scorso e che prende appunto il nome dal suo ideatore. p

\

\3

� �j;l2

� 1

_ls =cast v

Fig. 1 1 1 .25

2

�'"

tr&à

3-4

- Rappresentazione di un ciclo di Carnor nel piano

pv.

Esso è costituito ( Fig. III.25) da quattro trasformazioni semplici e precisa­ mente: - una compressione isoterma reversibile 1 -2 durante la quale si trasferisce lavoro al fluido e gli si sottrae a temperatura costante T, una quantità di calore che deve evidentemente essere uguale all'energia meccanica somministrata se si vuole che la temperatura resti costante, cioè che non vari il contenuto energetico del fluido; - una compressione adiabatica reversibile 2-3 durante la quale si trasferisce al fluido unicamente lavoro meccanico; - una espansione isoterma reversibile 3-4 durante la quale si sottrae al fluido lavoro meccanico e gli si adduce una quantità di calore a temperatura costante

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 03

( T,, > T,) che deve risultare evidentemente uguale all'energia meccanica sottratta se si vuole che la temperatura resti costante; - una espansione adiabatica reversibile 4-1 durante la quale si sottrae al fluido unicamente lavoro meccanico riportandolo nelle condizioni iniziali. L'espressione (3-74) relativa al rendimento di un generico ciclo motore fornisce19, particolarizzata per il ciclo di Carnot: 1lcar11ot

L"

I -

l -

(3-75)

L'analisi di questa espressione consente osservazioni di grande interesse. In sostanza dalla (3-75) si deduce che se si dispone di una certa quantità di calore Q e la si trasferisce ad un fluido che evolve secondo un ciclo di Carnot, il lavoro meccanico che si può ottenere da tale quantità di calore Q non dipende dal tipo di fluido operante, non contemplando la (3-75) nessun parametro che caratterizza il fluido, ma esclusivamente dalla temperatura T}0 alla quale il calore Q si rende disponibile e dalla temperatura T, < T, alla quale si sottrae al fluido l'aliquota di Q non trasformata in lavoro meccanico. Dalla (3-74) e dalla (3-75) si ricava: Q 11c = Q

(

Ts

1 - T

{I

J

(3-76)

dalla quale discende che L, sarà un'aliquota di Q sempre più alta quanto ptu piccolo sarà il rapporto T/T,, vale a dire quanto più grande sarà T,, quanto più piccola sarà T, o comunque quanto maggiore sarà la differenza ( T, - T,). Carnot dunque con il suo ciclo indica la strada da percorrere per realizzare al meglio la trasformazione ciclica dell'energia termica in energia meccanica sugge­ rendo di addurre il calore alla più alta temperatura possibile e di sottrarlo alla più bassa temperatura possibile. Per quanto riguarda la temperatura di sottrazione del calore T, è evidente che il limite inferiore è costituito dalla temperatura ambiente T", la temperatura cioè alla quale sono disponibili fluidi, quali acqua ed aria, largamente utilizzati come sorgente fredda; per quanto riguarda la tempera-

-

-

1 9 La (3-74) fornisce 11 = l Q21Q1 dove Q2 e Q 1 vengono forniti dalla (3-23) . Si ha dunque: 1lc = l (R T, In v2 l v 1 )1(R T, In v3 l v., ) . Applicando ora la (3-26) alle adiabatiche reversi­ bili 2-3 e 4-1 si ricava: v 3 l v4 = v2 l v 1 per cui risulta: 1lc = l T, l T, .

-

20 Si ritiene opportuno precisare che, poiché il ciclo di Carnai è costituito da trasformazioni tutte reversibili, il trasferimento di Q a l fluido non avviene per effetto di una differenza finita di tempera­ tura e pertanto anche la sorgente alla quale si attinge Q deve trovarsi a T,. Analogo discorso vale per la sottrazione di calore alla temperatura T,.

104

Macchine

tura di adduzione del calore T,., il limite superiore è evidentemente imposto dalla resistenza dei materiali costituenti le apparecchiature nelle quali ha luogo il trasferimento di calore e dai processi di combustione mediante i quali il calore stesso si sviluppa. L'aspetto comunque che preme maggiormente mettere in luce è che da una assegnata quantità di calore Q messa a disposizione di un ciclo di Carnot (la cui sorgente fredda sia alla temperatura T, = T") è possibile ottenere aliquote di energia meccanica (come noto di qualità più pregiata rispetto a quella di par­ tenza) tanto più elevate quanto più alta è la temperatura T" alla quale quella quantità di calore Q viene resa disponibile. Si trova dunque conferma alla considerazione che, se è vero che il calore è una forma di energia degradata rispetto all'energia meccanica, è pur vero che nello stesso ambito dell'energia termica è possibile realizzare una scala di merito tra diverse quantità di calore assumendo come parametro idoneo ad operare tale graduatoria la temperatura assoluta T alla quale le diverse quantità di calore si rendono disponibili. Si considerino, a chiarimento, due quantità di calore Q,. e Q8 uguali tra loro e pari ad esempio a 3.000 kJ. È evidente che entrambe saranno, da un punto di vista qualitativo, inferiori ad una uguale quantità di energia meccanica; ma se si aggiunge che il calore Q" può essere reso disponibile, ad esempio, a 720 K mentre Q8 può essere reso disponibile a 5 00 K, risulta evidente il maggior pregio di QA rispetto a Q8 o, il che è lo stesso, la minore degradazione di Q" rispetto a Q8. Utilizzando infatti QA e Q8 in un ciclo di Carnot ed assumendo la tempera­ tura ambiente T" pari a 288 K, segue che da Q,. è possibile ottenere lavoro meccanico L,"' pari a: L IIA

=

QA

(l

-

288 720

)

=

3.000 . 0,6

1 . 800 kJ

mentre da Q8 è possibile ottenere lavoro meccanico L"8 pari a: L II B

Q8

(l

-

288 5 00

)

=

3.000

0,424

1 .272 kJ

con Lui! < L",. . L'esempio conferma dunque che la migliore qualità di Q" rispetto a Q8 (dove per qualità si intende sempre l'attitudine a dare lavoro meccanico) è dovuta al fatto che Q" è resa disponibile ad una temperatura maggiore di quella alla quale viene resa disponibile Q8. Estrapolando allora il discorso, si può giungere alla conclusione che una certa quantità Q di calore disponibile ipoteticamente a temperatura T = = sarebbe caratterizzata dalla stessa qualità del lavoro meccanico così come si deduce dalla

(3-76):

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 05

I n conclusione di questo paragrafo si osserva che se, come visto, la tempera­ tura T alla quale è disponibile una certa quantità di calore Q può fornire una valida indicazione in merito alla qualità del calore Q, il rapporto Q/T può fornire viceversa una altrettanto valida indicazione in merito questa volta al livello di degradazione del calore Q risultando, tale rapporto, tanto più elevato quanto più bassa è la temperatura T, quanto minore cioè è l'attitudine da parte del calore Q a convertirsi in energia meccanica (vale a dire quanto maggiore è il livello di degradazione del calore Q). Questo concetto verrà ripreso nel prossimo· para­ grafo dedicato alla funzione entropia.

I I I . l 2. Introduzione della funzione entropia Si consideri un sistema caratterizzato da un assegnato valore E del suo • {;Ontenuto energetico non necessariamente tutto sotto forma di calore e si indichi con E,u, (energia disponibile) l'aliquota di E che può essere convertita in lavoro meccanico per effetto di interazione del sistema stesso con l'ambiente esterno21 ; si indichi poi con E;,,1 (energia indisponibile) l'aliquota di E che non può essere convertita in lavoro; risulta evidentemente:

(3-77) Se il sistema subisce una trasformazione che comporta una variazione del suo contenuto energetico E si ha in genere anche una variazione sia dell'energia disponibile E";" cioè dell'aliquota dell'energia complessiva che può essere trasfor­ mata totalmente in lavoro, sia dell'energia indisponibile E;,"· Si è avvertita allora l 'esigenza di introdurre una funzione, che è stata chia­ mata entropia22 ed indicata con la lettera S, la cui variazione, in conseguenza di una determinata trasformazione, fosse indicativa della variazione della E;,,1 che si è attuata per effetto della trasformazione stessa. Si ha dunque: dS = K (d E - d E rl;s) = K d E ;11ri

21 Nella letteratura tecnica l'energia disponibile viene anche denominata exergia. 22 Dal greco emrope, ovvero rivolgimento, cambiamento delle condizioni.

(3-78)

1 06

Macchine

dove K è una arbitraria costante positiva. In altre parole, si può dire che l'entropia è una grandezza termodinamica proporzionale all'energia non utilizza­ bile nel senso che se in corrispondenza di una certa trasformazione si riscontra nel sistema un aumento di entropia vuoi dire che la quantità dell'energia com­ plessiva del sistema non trasformabile in lavoro, dopo la trasformazione, è mag­ giore di quella che si aveva prima dalla trasformazione23• Si ritiene opportuno precisare che a tale aumento di energia indisponibile non corrisponde necessariamente una degradazione di energia. Infatti, poiché il sistema ha interagito con l'ambiente esterno, bisogna indagare anche sulle even­ tuali variazioni di energia indisponibile in esso verificatesi. Può accadere, ad esempio, che ad un aumento di energia indisponibile nel sistema corrisponda una diminuzione di una pari quantità di energia indisponibile nell'ambiente esterno il che comporta una variazione nulla di energia indisponibile nel sistema isolato Universo con la conseguenza che non si può parlare di degradazione di energia. Se infatti è rimasta inalterata E,,.,, ricordando che in un sistema isolato l'energia resta costante, deve essere rimasta inalterata anche E,,, con conseguente assenza di degradazione. Se invece la diminuzione di E,..,, che si riscontra nell'ambiente esterno è minore dell'aumento di E,,., che si è registrato nel sistema, si avrà complessivamente nel sistema isolato un aumento di E,.,, cui deve seguire, in ossequio al principio di conservazione, una diminuzione di E,", e quindi degrada­ zione. Si ribadisce pertanto che un aumento di entropia è sinonimo di degradazione dell'energia solo se tale aumento si registra in un sistema isolato; viceversa, ad ogni degradazione di energia deve seguire, sempre nel sistema isolato, un au­ mento di entropia. Poiché al par. III.lO si è visto che il secondo principio stabilisce in sostanza che in un sistema isolato l'energia , pur conservandosi, si degrada il che comporta necessariamente un aumento di energia indisponibile e quindi di entropia, si può allora scrivere: ( d S )isol

> O

(3-79)

Dalla considerazione poi che l'insieme sistema più ambiente esterno costi­ tuisce, come ripetutamente detto, un sistema isolato, si può dire: (d S )sis

+ ( d S )amb > O

(3-80)

23 Si badi che ad una variazione di entropia in un senso corrisponde sicuramente una variazione di energia indisponibile nello stesso senso, ma nulla si può dire sul segno della variazione dell'energia disponibile senza conoscere in dettaglio la trasformazione che ha comportato quella variazione eli entropia.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 07

da cui deriva la considerazione che il valore dell'entropia nel sistema isolato Universo tende ad aumentare, di pari passo con la degradazione dell 'energia. Supponendo ora che l'energia E del sistema si trovi solo sotto forma di energia termica, la variazione dE non sarà che una variazione ùQ di tale forma di energia per cui è possibile scrivere:

o anche: dS

= KI

· ÙQ

dal momento che E,u, è comunque un'aliquota di ùQ. Trascurando in questa sede i relativi sviluppi algebrici per non appesantire il discorso, si può dimostrare che la costante K1 risulta pari all'inverso della tempe­ ratura assoluta T alla quale avviene il trasferimento di calore per cui si può scrivere, per una trasformazione reversibile che porti il sistema dalle condizioni l alle condizioni 2 a temperatura costante2�:

(3-81) Questo risultato non sorprende affatto i n quanto già a proposito del ciclo di Carnot si era sottolineato come la temperatura fosse adatta a dare idea della qualità del calore e come l'incremento del rapporto Q/T fosse indice dell'aumento dell'energia termica che non poteva essere convertita in energia meccanica. A maggior chiarimento, si consideri un sistema isolato (Fig. I I I .26) nel quale la sorgente l a temperatura T1 cede la quantità di calore Q alla sorgente 2 a temperatura T < T1 • A tale trasferimento di calore si accompagna certamente, 2 come già illustrato al par. I I I . lO, una degradazione di energia poiché la quantità Q, trovandosi, dopo il passaggio alla sorgente 2, ad una temperatura T2 < T1 è trasformabile in lavoro meccanico i n misura ridotta rispetto a quando era dispo-

24

Se la trasformazione non è a temperatura costante, si ha evidentemente:

c

r ?

s2

-

SI

=

l

bQ!T

L'entropia S si esprime in J/K o in kcai/K a seconda del sistema di unità di misura adoperato (rispettivamente Internazionale o Tecnico). Quando ci si riferisce ad un kg o ad un kp di fluido si parla di entropia specifica s, che si esprime rispettivamente in J/kgK o in kcal/kpK.

108

Macchine

2

1 >

Fig.

I I I .26

-

Sistema i s o l a t o contene n t e due sorge n t i di calore a temperature d i [[e renti.

nibile alla temperatura T, > T2, e quindi ha perduto di qualità. A tale degrada­ zione deve corrispondere necessariamente un aumento di entropia che è peraltro immediatamente riscontrabile. Infatti, in seguito al trasferimento del calore Q, si è registrata nella sorgente l una diminuzione di entropia pari a Q/T, e nella sorgente 2 un aumento di entropia pari a QIT2 per cui, nel sistema isolato, si è registrata una variazione complessiva di entropia 1'1S pari a: 1'1S

e dalla considerazione che T2 < T, segue:

Si osservi che la funzione entropia gioca un ruolo importante nei diversi calcoli delle trasformazioni termodinamiche, ma è impossibile effettuare una misura diretta dell'entropia. D'altra parte, per ·il calcolo delle diverse trasforma­ zioni termodinamiche presenta un certo interesse non il valore assoluto dell'en­ tropia, bensì la sua variazione. Si usa pertanto generalmente un valore relativo dell'entropia della sostanza calcolato a partire da un punto di riferimento qual­ siasi; in genere, si assume che il valore dell'entropia sia nullo nello stato in cui è considerata nulla o l'energia interna o l 'entalpia. Per illustrare una delle possibili utilizzazioni della funzione entropia bisogna precisare che nella realtà le trasformazioni termodinamiche subite da un fluido sono sempre irreversibili sia perché si realizzano in tempi piuttosto brevi ( nelle macchine a fluido sono addirittura rapidissime ) , sia perché hanno luogo per effetto di differenze finite, in genere non modeste, di pressione e di temperatura tra fluido ed ambiente esterno sia, infine, per gli attriti interni che, a causa della viscosità, si generano negli strati di fluido che scorrono l'uno sull'altro e lungo le pareti della macchina. Tali irreversibilità sono fonti di dissipazione e degrada-

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 09

zione di energia che comportano un aumento dell'entropia e quindi dell'energia indisponibile. L'entropia S quindi, essendo una misura dell'energia indisponibile, può essere utilizzata come misura del grado di irreversibilità di una trasforma­ zione termodinamica.

III . 13 . Piano temperatura-entropia Il piano pv, più volte richiamato, consente di valutare, come visto, il lavoro scambiato con l'ambiente esterno sia da un sistema chiuso che da un sistema aperto attraverso l'area ottenuta proiettando rispettivamente sull'asse delle ascis­ se e sull'asse delle ordinate la curva rappresentativa delle variazioni della pres­ sione del fluido durante la trasformazione reversibile in esame; pertanto il piano pv viene chiamato piano del lavoro. Esso inoltre, rappresentando due grandezze molto familiari e facilmente misurabili quali presssione e volume specifico, consente l'approccio più semplice quando si voglia rappresentare lo stato termodinamico di un fluido. Considerando ora che il lavoro di variazione di volume 6L, in una trasforma­ zione infinitesima reversibile, vale: 6L

=

p ·d v

e che per l a stessa trasformazione reversibile vale l a

òq

=

(3-81):

Y.ds

viene spontaneo, data l'analogia tra le due espressioni ora scritte, introdurre un piano Ts nel quale si riporti la temperatura assoluta T in ordinata e l'entropia speci­ fica s in ascissa. Tale piano è caratterizzato evidentemente dalla proprietà che l'area racchiusa tra la curva rappresentativa di una generica trasformazione reversibile 1-2, le ordinate estreme e l'asse delle ascisse passante per O Kelvin, misura, in gran­ dezza e segno, il calore trasferito fra sistema ed ambiente esterno lungo la trasfor­ mazione reversibile in esame, per ogni kg di fluido: Q1 2 = A 12B (Fig. III.27). In analogia con il piano pv, il piano Ts è detto altresì piano del calore. In tale piano le isoterme sono ovviamente segmenti di rette parallele all'asse delle ascisse mentre le adiabatiche reversibili, dovendo risultare, giusta la (3-81), anche isoentropiche, sono segmenti paralleli all'asse delle ordinate. Per quanto riguarda l'andamento delle isobare, limitatamente alla regione del piano Ts relativa al gas perfetto, al quale peraltro si farà riferimento più volte nel prosieguo, è possibile dimostrare che la variazione di entropia t+.s lungo un'iso­ bara è esprimibile mediante la relazione:

(3-82)

no

Macchine

T

T 2

A

s

Fig. l l l .27 - Rappresentazione grafica nel piano Ts del calore trasferito reversibil­ mente.

s

Fig. l l l .28 - Andamento delle isobare nel piano Ts relativamente ad un gas perfetto.

Segue pertanto che le isobare hanno nel piano Ts un andamento di tipo logaritmico per cui una volta tracciata un'isobara è possibile ottenere tutte le altre traslandola parallelamente a se stessa lungo l'asse delle ascisse ( Fig. III.28). Il discorso può ripetersi identicamente per le isocore in quanto, anche lungo l'isocora, la variazione di entropia per un gas perfetto è espressa da una relazione analoga alla (3-82) :

(3-83) Si aggiunga infine che in tale piano è particolarmente agevole mettere in luce le irreversibilità che nascono quando si effettui ad esempio una trasformazione reale, irreversibilità che non è possibile visualizzare nel piano p v . A tale proposito si consideri il compressore dinamico C di fig. III. 29 il quale comprime aria prelevando dall'esterno il lavoro L12• Se la compressione è reale,

Fig. I II.29 - Schema di compressore dinamico.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 11

sarà evidentemente irreversibile , quindi comporterà una degradazione di energia alla quale deve corrispondere necessariamente un aumento di entropia nel si­ stema, si badi bene, isolato che può essere il nostro Universo costituito dal gas che fluisce nella macchina e da tutto l'ambiente esterno. Per quanto riguarda l'ambie nte esterno si può immediatamente affermare che in esso non si possono registrare variazioni di entropia in quanto dall'am­ biente si preleva solo energia meccanica alla quale la funzione entropia (3-8 1 ) è insensibile. Il lavoro prelevato dall'ambiente esterno viene quindi trasferito al fluido e poiché si è in presenza di una trasformazione reale, quindi con attriti, accade che un'aliquota di lavoro viene spesa per vincere le resistenze al moto che il fluido incontra attraverso la macchina. Tale aliquota si degrada, come è noto, in energia termica che immediatamente viene registrata dall'entropia del fluido che aumenta. L'andamento della compressione reale si svilupperà allora nel senso delle entropie crescenti (Fig.I II .30) e quanto più a destra il punto 2 di fine compressione risulta rispetto al punto iniziale l, quanto maggiore è cioè s, rispetto ad s,, tanto maggiore sarà la degradazione, cioè la irreversibilità della trasformazione. Si ritiene opportuno mettere in luce come anche in questo caso la degrada­ zione dell'energia è legata all'aumento di entropia del sistema isolato: nell'am­ biente esterno risulta infatti, come detto, t+.S = O; nel fluido si registra t+.S > O e quindi nel sistema isolato ambiente esterno più fluido si registra complessiva­ mente un aumento di entropia a conferma della degradazione di cui sopra. Se la trasformazione fosse stata reversibile, sarebbe rimasta inalterata anche l'entropia del fluido per l 'assenza di lavoro meccanico speso e quindi degradato in calore per vincere gli attriti. Il fluido avrebbe ricevuto energia solo nella forma

T

T

s

Fig. I I I . 3 0 - A n d a m e n t o di u n a com­ pressione adiabatica reale nel piano Ts.

s

Fig. 1 1 1 . 3 1 Andamento delle diverse politropiche nel piano Ts al variare del­ l'esponente n . -

1 12

Macchine

meccanica, senza che tale cessione comporti variazione di entropia, così come nessuna variazione di entropia fa seguito al prelievo di energia meccanica dal­ l'ambiente esterno. In questo caso dunque l'entropia del sistema isolato Universo sarebbe rimasta inalterata a conferma della totale assenza di degradazione. A questo punto si può dare giustificazione al perché nel piano p v è possibile leggere solo il lavoro relativo ad una trasformazione reversibile e non ad una trasforma­ zione reale come quella che ha luogo in una qualsiasi macchina dinamica, motrice od operatrice. Con riferimento infatti alla compressione reale di cui si è detto precedente­ mente bisogna precisare che nel piano pv, che è appunto il piano de/ lavoro, può leggersi solo l'aliquota del lavoro L,2 che, prelevata dall'esterno, viene trasferita al fluido nella forma indegradata di energia meccanica; evidentemente in tale piano non è possibile leggere l'aliquota di L ,2 che, prelevata dall'esterno sotto forma meccanica, viene poi trasferita al fluido degradata in energia termica a causa degli attriti. Tale aliquota può trovare certamente posto nel piano Ts, cioè nel piano del calore, ma non nel piano del lavoro. Quando invece la trasforma­ zione è reversibile tutto il lavoro L,2 prelevato dall'esterno può essere visualizzato nel piano pv in quanto la trasformazione reversibile non comporta degradazioni e quindi trasformazione di energia meccanica in energia termica. Per completezza, in analogia a quanto svolto nel par. I II.6.5, si riportano in fig. III.31 gli andamenti delle trasformazioni isocora, isobara, isoterma, adiabatica e politropica nel piano Ts con le indicazioni degli esponenti delle corrispondenti politropiche e dei rispettivi calori specifici.

III.14. Rappresentazione del ciclo di Carnot nel piano Ts Il ciclo di Cm·not, come tutti i cicli termodinamici, trova una assai evidente rappresentazione nel piano Ts. È agevole notare (Fig. III.32) che nel piano Ts l'adiabatica reversibile coincide con l'isoentropica ( infatti essendo Q = O si ha pure per la (3-8 1 ) I::! S = 0), per cui il ciclo di Carnot diventa un semplice rettangolo con lati paralleli ai due assi coordinati. Sempre dalla (3-8 1 ) segue che le quantità di calore scambiate sono uguali alle aree sottese dalle due isoterme e possono esprimersi semplicemente: Q1

= Ta ·I::! S

L'espressione generale (3-74) del rendimento termodinamico fornisce imme­ diatamente per il ciclo di Carnor il noto valore: 1 -

Ts ·I::! S

--­

T{/ ·I::! S

(3-75)

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 13

T Ta

_ _ _

,3____...4

_

2

L

Ò. S

s

J

Fig. III.32 - Rappresentazione di un ciclo di Carnot nel piano Ts.

Si nota anche che l'area racchiusa dal ciclo, rappresentando la differenza tra il calore addotto Q, e quello sottratto Q2 , rappresenta anche, per la (3-74), il lavoro utile. La rappresentazione nel piano Ts consente poi immediatamente di rilevare che, a parità di !':. T = ( T" - T,) , è preferibile, ai fini di un più elevato rendimento, un ciclo di Carnot situato il più accosto possibile all'asse delle ascisse (Fig. III.33). In tal caso, infatti, a pari calore utilmente trasformato in lavoro (area A B CD = area A 'B 'C'D ') , il calore Q, fornito al ciclo l è maggiore (area 1 D C2 > area l 'D 'C'2 ') di quello fornito al ciclo Il e quindi, sempre per la (3-74) , il rendimento del ciclo l risulta inferiore a quello del ciclo II:

11u =

1 500 - 1 000 1 500

500 1 500

1 000 - 500 1 000

500 1 000

l - = o , 33

3

2

0,50 .

Sempre in tale piano si dimostra facilmente che il ciclo di Carnot fornisce il massimo rendimento termodinamico realizzabile fra due determinati valori delle temperature T" e T� Si consideri infatti (Fig. III.34) un ciclo qualsiasi A B CD compreso in un ciclo di Carnot ILGH e che opera quindi con le medesime temperature massima e minima (punti B e D rispettivamente) . È palese che il calore Q, fornito lungo la trasformazione A B C, e pari all'area EA BCF, è minore di quello Q,c del ciclo di Carnot e pari all'area EGHF; viceversa il calore Q2 sottratto lungo la CDA , e pari

1 14

Macchine

T

7J

Cl

[K] 1 500 1 0 00

C

B

r; (li

D

c=]

=.

1 500 - 1000 1 50 0

500 1 500

1000- 500

500

1000

=

1000

= l. = o 3 3 3 l

=.L = 0, 50 2

0

C'

:A

:

l

500

=

II

8' ,

l

1

D'

' A'

l l l l

l l l l

l l

s

1'

2'

2

Fig. I I I .33 - Rappresentazione nel piano Ts di due cicli di Cm·not caratterizzati da valori differenti della temperatura di adduzione T, e di sottrazione T, del calore ma da uguale valore della differenza ( T, - T,).

all'area FCDAE, è maggiore di quello Q2, del ciclo di Carnot e pari all'area FILE. Si ha quindi che: Q 2c Q le


....

�40

5

�30 o V1 V1

�20 a..

10 o

50

/

v __.,..

100

150

200

250

T E M P ERATURA DI SATURAZ I O N E

300 f c)

Fig. I II.35 - Curva di saturazione dell'acqua.

Il rapporto tra la quantità (in massa) di vapore e la massa totale della miscela liquido-vapore si definisce titolo e si indica con x; ii titolo può variare quindi da O (soltanto liquido) ad l (vapore saturo secco, ossia tutto liquido vaporizzato). Le condizioni di un vapore sono quindi perfettamente individuate dalla conoscenza della temperatura (o della corrispondente pressione di saturazione) e del titolo x. I cambiamenti di fase liquido-vapore e viceversa trovano facile rappresenta­ zione nel piano pv. Si consideri infatti una sostanza che alla temperatura ambiente sia allo stato di aeriforme (ad es. anidride carbonica) e venga compressa nel sistema pistone­ cilindro di fig. III. 36 avendo cura di mantenere la temperatura costante. Si nota

1 18

Macchine 1 00 p

4

[ba r)

80

60

3

2

40

20 o

Fig. I II .36

-

1

10

Rappresentazione nel piano

pv

della liquefazione della C02•

che l'aeriforme aumenta la sua pressione ( tratto 1 -2 di fig. III.36Y5, ma quando questa raggiunge il valore della pressione di saturazione relativa alla temperatura considerata, l'aeriforme comincia a condensare ( punto 2). Il volume specifico in corrispondenza del punto 2 prende il nome di volume specifico dèl vapore saturo secco e si indica con v,,. Ulteriori spostamenti del pistone non provocano incre­ menti di pressione in quanto è in atto il passaggio di stato di aggregazione ( condensazione ) durante il quale pressione e temperatura restano, come è noto, costanti. La condensazione termina nel punto 3 in corrispondenza del quale il volume specifico prende il nome di volume specifico del liquido saturo e si indica con v,. A partire da questo punto anche un modestissimo spostamento del pistone fa crescere sensibilmente la pressione del liquido ( punto 4) data la scarsa compri­ mibilità del liquido stesso. È evidente che la diminuzione della pressione agente sul liquido fa passare la sostanza attraverso gli stessi stati ma nell'ordine inverso; la sostanza cioè si dilata fino al punto di ebollizione (tratto 4-3 di fig. I II.36), ha luogo quindi una evaporazione ( tratto 3-2) ed il vapore ottenuto si dilata fino alla pressione atmosferica ( tratto 2-1) . 2 S i rammenta che nel Sistema Internazionale l'unità d i pressione è i l Pasca! ( l Pa l Newton/m ); 2 si adopera sovente un suo !pUltiplo: i l MegaPascal ( l MPa 1 06 Newton/m ) . Nell'uso corrente è 2 ammesso anche il bar = lO' Pa l daN/cm .

25

=

=

=

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

119

p

v

Vy

Fig. I II.37

-

Andamento nel piano pv della curva limite della C02•

L'andamento della variazione di v in funzione di p per differenti isoterme è rappresentato schematicamente in fig. III.37 nella quale le linee tratteggiate che congiungono i punti corrispondenti all'inizio ed alla fine del cambiamento di fase costituiscono quella che comunemente è nota con i l nome di curva limite della sostanza in esame. Sempre con riferimento alla fig. III.37, si definisce volume differenziale, e si indica con u, la differenza ( v., - v1) tra il valore del volume del vapore saturo secco e quello del liquido saturo: (3-84) e pertanto, in una miscela di titolo x, vale a dire con x parti di vapore ed parti di liquido, il volume v della miscela sarà espresso dalla: V

=

Vv

·X + V 1

(l

- X)

(1-x)

(3-85)

Poiché per valori non elevati della pressione il volume del liquido v1 e m genere trascurabile rispetto a v,,, nei calcoli ingegneristici si adopera con buona approssimazione la relazione semplificata: (3-86)

1 20

Macchine

Dalla fig. I II .37 si nota ancora che il volume differenziale decresce con l'aumentare della pressione fino ad annullarsi in C, punto nel quale i due stati coesistono. Il punto C è detto punto critico e tale si definisce lo stato della sostanza quando le sue condizioni termodinamiche sono rappresentate dal punto C, in corrispondenza del quale si parla quindi di valori critici della pressione, della temperatura e del volume specifico. Nel punto critico l'isoterma presenta un caratteristico flesso ed assume un importante significato fisico. Al disotto di questa temperatura infatti con una compressione isoterma (ad es. A-B di fig. III.37) si finisce sempre con l'incontrare la regione del vapore saturo, con inizio quindi della condensazione (B-F) . Viceversa, quando un aeriforme si trova al disopra della temperatura critica non può essere condensato mediante compres­ sione isoterma qualunque sia il valore della pressione alla quale viene sottoposto. Quando risulta T > T,., l 'aeriforme viene denominato gas mentre per T < T, viene denominato vapore; si parla in particolare di vapore surriscaldato quando le condizioni termodinamiche dell'aeriforme sono rappresentate da un punto appar­ tenente alla regione del piano pv compresa tra il ramo di destra della curva limite e l'isoterma critica T,. L'isoterma critica separa dunque la regione del vapore surriscaldato da quella del gas; considerando isoterme relative a temperature via via più alte di T, si nota che esse assumono l'andamento dell'iperbole equilatera che caratterizza il comportamento del gas perfetto. Occorre notare che il valore della temperatura critica T, varia da sostanza a sostanza così come riportato nella tab. I I I.2, dalla quale si evince immediata­ mente che alcuni gas possono essere resi liquidi più facilmente di altri. Per ottenere elio liquido, ad esempio, è necessario scendere a temperature prossime allo zero assoluto, essendo l'elio caratterizzato da una T, pari a soli 5,2 K, mentre per l 'anidride carbonica non è necessaria alcuna tecnica particolare in quanto essa condensa anche a temperatura ambiente. Ciò spiega perché la C02 è la sostanza alla quale si fa riferimento nella quasi totalità dei testi quando si vuole introdurre il concetto di cambiamento di stato aeriforme-liquido e perché nel secolo scorso certi gas, quali ad esempio l 'elio, venivano chiamati incoercibili. Infatti, pur sottoponendoli a pressioni molto elevate, non si riusciva a portarli allo stato liquido in quanto, non essendo all'epoca sufficientemente sviluppate le tecniche per ottenere basse temperature, si operava inevitabilmente a tempera­ ture superiori a quella critica della sostanza. La curva limite trova rappresentazione oltre che nel piano p v anche nel piano Ts introdotto al par. III . 1 3 e nel piano hs che riporta l'entropia in ascissa e l 'entalpia in ordinata. Tale piano, come si può intuire, è di grande utilità nello studio delle macchine in quanto, consentendo di leggere una variazione di en­ talpia come differenza di due ordinate, permette in definitiva di valutare sempli­ cemente il lavoro L ,2 trasferito in una macchina dinamica (3-60) quando il fluido che la percorre subisce una trasformazione adiabatica.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

121

Tab. I I I .2 - Proprietà critiche di alcune sostanze. SOSTANZA

T, [ K ]/["C]

v,

p, [ bar]

[mJ/kg ]

Acqua

H,O

647,3/374,1 5

221,1

3,26

1 0-3

Ammoniaca

NH3

405,45/1 32,3

1 1 2,77

4,26

3 1 0-

co,

304, 1 5/3 1

Anidride carbonica Aria Azoto

N,

Elio

He

Idrogeno

H,

Metano

CH4

Ossido di carbonio Ossigeno

co

o,

2,14

1 0-3

1 32,4/- 1 40,75

37,7

3,22

1 0 -3

1 26, 1 5/- 1 47

33,94

3,2 1

5,2/-267,95 33,2/-240 1 90,65/-82,5

73,86

2,3 1 30 46,4 ]

1 4,5 32,5

1 0-3 1 0-3 1 0-3

6,19

1 0-3

1 32,95/- 1 40,2

34,96

3,2 1

1 0-3

1 54,35/- 1 1 8,8

50,36

2,3 1

1 0-3

Nelle figg. 11!.38, I I I .39, III.40, III.41 si riportano le curve limiti nei piani Ts ed hs rispettivamente per l'acqua e per l'aria, sostanze queste di grande interesse in quanto largamente utilizzate come fluido motore negli impianti motori primi termici dei quali si parlerà nei Capp. VI, V I I e VIII della Parte I I . Sempre con riferimento a l l a fig. I ll.37 si vede c h e per portare l 'unità d i massa (o di peso) di una sostanza dalle condizioni di liquido saturo, v, a quelle di vapore saturo secco, v,., occorre somministrare una quantità di calore r che può essere intesa come somma di due termini:

r = Q + pu

(3-87)

Nella (3-87) r è il calore di vaporizzazione che viene denominato anche calore latente, ossia nascosto, in quanto resta nel fluido senza dar luogo ad incrementi di temperatura. Esso è costituito c!a due terinini: Q, calore latente interno (in relazione alle forze intermolecolari di coesione), pu pari al lavoro di dilatazione a pressione costante per passare dal volume del liquido v, a quello v,, del vapore saturo secco ( area v, D E v,. di fig. I I I .37). Ripetendo il procedimento adoperato per il calcolo del volume specifico, si ottiene che l'entalpia specifica h di un vapore saturo di titolo x è uguale alla somma dell'entalpia hll - x ) della fase liquida e dell'entalpia h,x della fase

1 22

Macchine 600 t

[oc]

500

Pc =

221 , 1 bar

te = 374, 1 5

400

o

c

-3

3

Ve = 3, 1 1 • 1 0 m/kg

1 00

1 bar

'

- 273

o

2

3

4

\+, ' 'o \ '..;d'

0,05 bar

'

5

6

7

8

--+---�--�--4---4---4-� Fig. I II.38�--+D i agramma Ts per l ' acqua. -

aeriforme. Si ha quindi:

ovvero: h

(3-88)

oppure: h

(3-89)

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 23

400 T

[K]

300

Pc ve

: 37 . 7 ba�3 3 : 3.22 • 1 0 m / kg - 1 40 7 5 o c

te =

200

100 -3

-

2

s

-1 o [kJ /kg K]

Fig. I I I .39 - Diagramma Ts per l'aria.

Analogamente per l'energia interna

u

si ha: (3-90)

Si osservi che poiché un liquido è caratterizzato da valori del volume speci­ fico molto modesti, dalla definizione di entalpia discende: (3-9 1 ) Per quanto riguarda infine l'entropia s d i u n vapore, essa s i calcola con un'espressione analoga a quelle utilizzate per il calcolo di v , di h e di u e precisamente: (3-92) avendo indicato con s, ed s,. rispettivamente l 'entropia del liquido saturo e quella del vapore saturo secco. Dalla definizione stessa di entropia l a (3-92) può assu­ mere la forma:

s

=

r

s, + - x T

(3-93)

1 24

Macchine h

[ ��]

1/ 1/

--, ----"] --,- ---y-------.-------.-----,--------,--,---------,------,-

600° c

1 000

2

Fig. I II.40

-

3

4

5

Diagramma di Mollier hs per l 'acqua.

6

7

8

s [kJ/ kg KJ

9

La determinazione delle proprietà dei vapori saturi e surriscaldati e degli aeriformi in genere, si può effettuare mediante diagrammi di stato specifici o tabelle specifiche della particolare sostanza in studio. I diagrammi di stato in coordinate hs e Ts del tipo riportato nelle figg. I II .38 + I I I .4 1 costituiscono il mezzo più semplice per la determinazione delle proprietà dei vapori, in particolare se surriscaldati, e forniscono nel contempo valori suffi­ cientemente precisi per gli scopi ingegneristici specie se le scale sono adeguate. I l diagramma d i stato più utilizzato è quello hs dell'acqua detto anche diagramma di Mollier nel quale è riportata un'ampia zona relativa alla fase aeriforme e solo una piccola zona relativa al campo dei vapori saturi, limitatamente a valori del titolo elevati. Le tabelle, soprattutto se a passo molto piccolo, costituiscono indubbiamente il mezzo più preciso. Si distinguono le tabelle del vapore saturo e quelle del vapore surriscaldato. Nelle prime si riportano la temperatura e la corrispondente pressione di saturazione della sostanza in studio unitamente ai valori del volume specifico v" dell'entalpia h, e dell'entropia s, relativi alle condizioni di liquido saturo (x = O) ed i valori di v,,, h,, ed s,, relativi alle condizioni di vapore saturo secco (x = 1 ) . Nelle tabelle del surriscaldato si riportano i valori del volume

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di Irasmissione del calore

2,5

Fig. I l l .41

3, 5

4

4,5

1 25

s l kJ f kg K l

D iagramma hs per l'aria.

specifico, dell'entalpia e dell'entropia della sostanza in studio per diversi valori di pressione e di temperatura2". In conclusione del paragrafo si ricorda che, limitatamente allo studio dei cicli frigoriferi, per i motivi che si illustreranno al Cap. XIII, di larga applicazione è il diagramma di stato in coordinate ph del tipo riportato in fig. III.42 relativamente al Freon 22 che è un fluido frigorigeno di vasta utilizzazione.

26

Tabelle del tipo illustrato ed un diagramma di stato hs relativamente all'acqua sono riportati in:

RENATO DELLA VOLPE, Esercizi di Macchine, Liguori Editore.

1 26

Macchine

Fig. 1 1 1 .42

-

Diagramma ph per il Freon R-22.

III . l 6. Elementi di fluidodinamica I I I . l 6 . 1 . Generalità sul moto dei fluidi - Regime laminare e

regime turbolento Lo studio delle macchine a fluido rende necessarie alcune conoscenze preli­ minari sul moto dei fluidi stessi attraverso condotti, ugelli o organi opportuna­ mente predisposti per realizzare trasferimenti di energia tra macchina e fluido. Si supponga quindi che un generico condotto di sezione Q [m2] , tipico sistema aperto, sia attraversato da un fluido di densità g [kg/m3] con velocità c[m/s]. Valga inoltre l'ipotesi di moto unidimensionale per cui in tutti i punti di una medesima sezione sono costanti tutte le grandezze che individuano lo stato fisico del fluido quali ad esempio velocità, pressione e temperatura. In ogni sezione perpendicolare alla direzione del moto, la portata volume­ trica Q è fornita dalla relazione: (3-94)

Tennodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

mentre la portata massica fÌ1

in

1 27

è fornita dalla relazione:

=Q

Q

gQc [kg/s]

(3-95 )

oppure dalla: ri1

= Qc/v

=

Q /v

(3-96)

v [ m 3/kg] è il volume specifico del fluido ( v = 1 /g ) . S e i l regime d i moto è anche permanente o stazionario, e cioè con caratteristi­ che fisiche costanti nel tempo, costante sarà in tutte le sezioni del condotto la por­ tata massica, che altrimenti potrebbe subire variazioni, ad esempio per fasi di accu­ mulo. La portata volumetrica Q, come sarà meglio precisato in seguito, dipende invece dalle eventuali variazioni del volume specifico o, il che è lo stesso, della densità. Il moto di un fluido può avvenire secondo due diverse modalità che vengono definite di regime laminare e di regime turbolento. Il regime si dice laminare quando tutte le particelle di fluido seguono traiettorie ben definite, immobili rispetto alle pareti del condotto e a queste ultime parallele. In tal caso non vi sono componenti della velocità normali all'asse del condotto. Il regime si dice invece turbolento allorché le traiettorie sono irregolari e variabili casualmente nel tempo; in questo tipo di moto le particelle assumono velocità istantanee sia parallele che perpendicolari all'asse del condotto. Da quanto detto segue che può rigorosamente essere definito permanente solo il moto in regime laminare, per il quale può essere verificata nel tempo l'effettiva costanza, in ogni punto, della velocità e delle altre caratteristiche che individuano lo stato fisico del fluido (pressione, temperatura, ecc.). In un fluido si instaura il moto laminare se prevalgono le forze tangenziali dovute alla viscosità, mentre si instaura quello turbolento se prevalgono le forze di inerzia, dovute alla densità ed alla velocità del fluido stesso. È stato sperimentalmente verificato che l 'instaurarsi di uno dei due regimi dipende dai valori assunti da una particolare combinazione di parametri detta numero di Reynolds, indicato con Re:

ove

Re con:

QC D e q

g [kg/m 3] densità media; c [m/s] velocità media; De,[m] diametro equivalente del condotto; 2 l-L [Ns/m ] viscosità dinamica.

(3-97)

1 28

Macchine

Il diametro equivalente D,q è pari a 4Q/P ove Q è l'area della sezione e P è il perimetro bagnato dal fluido. Per tubi circolari, completamente riempiti, si ha: 4Q

p

4(n

D 2!4) == D nD

----

cioè il diametro equivalente coincide con quello effettivo del condotto. L'aumento del numero di Reynolds è dovuto al graduale prevalere delle forze d'inerzia su quelle viscose. Infatti, al disotto di un valore critico di Re = 2.300 il moto risulta generalmente laminare, al disopra di solito turbolento. I n fig. I II.43 è rappresentato l'andamento dei profili di velocità in un condotto a sezione circo­ lare in funzione del numero di Reynolds. Si nota che l'ipotesi di moto unidimen­ sionale non è mai pienamente verificata. Tuttavia per Reynolds molto elevati l 'ipotesi di unidimensionalità è verificata con buona approssimazione poiché in ogni sezione normale alla direzione del moto l 'andamento della velocità si pre­ senta sufficientemente appiattito con una brusca variazione solo in prossimità delle pareti. L'unidimensionalità non è accettabile invece, neanche in via appros­ simata, nel moto laminare per il quale la velocità varia con continuità dalle pareti all'asse del condotto. È utile infine far cenno che per caratterizzare il moto di un fluido con valori della velocità prossimi o superiori alla velocità del suono è usato spesso un altro parametro dato dal rapporto M tra la velocità c del fluido stesso e quella a del suono nel mezzo:

M detto numero di Mach ove la velocità dalla nota relazione:

c a

(3-98)

a del suono è fornita, se il mezzo è un gas, (3-99)

ove T è la temperatura assoluta. È da osservare che per valori relativamente bassi della velocità le condizioni del moto dipendono essenzialmente dal numero di Reynolds, mentre per valori più alti, prossimi o superiori alla velocità del suono, dipendono invece prevalen­ temente dal numero di Mach. In quest'ultimo caso, alle perdite di natura viscosa si aggiungono, e spesso prevalgono, altre perdite dovute alla compressibilità del fluido ed all'insorgere di onde d'urto di varia natura che comportano brusche variazioni dei parametri termodinamici e cinetici del fluido.

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore Re < 2 3 0 0

Re > 2 3 0 0

1 29

R e >> 2 300

Fig. 1 1 1 .43 - Andamento dei profili di velocità i n un condotto a sezione circolare al variare del numero di Reynolds.

III. l6.2. Efflusso dei fluidi - Ugelli La forma del condotto attraversato da un fluido, e cioè i valori della sezione lungo la direzione del moto, dipendono dalla natura del fluido stesso e dalle eventuali trasformazioni termodinamiche che, nel caso di un aeriforme, esso subisce durante il moto. Per fluidi incompressibili ( come possono in pratica essere considerati i li­ quidi ) , essendo la densità ed il volume specifico praticamente costanti, le espres­ sioni della portata (3-94) e (3-95) indicano che sezione e velocità hanno variazioni di segno opposto, nel senso che se una aumenta l'altra decresce e viceversa. Più complesso è il caso degli aeriformi ( gas e vapori ) poiché in essi la densità subisce spesso forti variazioni. Molto interessante per le macchine a fluido, ed in particolare per le turbine, è l'efflusso, attraverso appositi ugelli o effusori, di un gas o di un vapore in fase di espansione. È già noto infatti, sin dai cenni sul funzionamento di queste macchine introdotte nel Cap. I, e verrà in seguito ulteriormente approfondito, che l'energia cinetica così acquisita viene utilizzata sulle pale mobili per ottenere lavoro mecca­ nico sotto forma di rotazione dell'albero motore. Nell'ipotesi di espansione adiabatica reversibile, l'energia di pressione si tramuta interamente in energia cinetica e la velocità finale è data dalla (3-53) che sviluppata fornisce: (3-100) D'altra parte, in una sezione generica il volume specifico e la pressiOne variano secondo la relazione (3-24):

1 30

Macchine

-• a)

Fig. I I I .44

-

b)

Ugelli. a ) Ugello convergeme; b ) Ugellu wn vergeme-divergente.

per cui il rapporto velocità/volume specifico, supponendo nulla la velocità iniziale diventa:

c,,

(3- 1 0 1 ) Sostituendo la (3-24) nella (3- 1 0 1 ) , con semplici passaggi, si perviene a:

c

(3-102)

v

Questa funzione ammette un massimo per un valore di p detto pressione che si · può dimostrare essere uguale a:

- (-2-)kl(k -1 )

Pc - Pl k + l ove:

e e e

0,53 per i gas perfetti biatomici (k

critica Pc (3-103)

=

1 ,4);

0,546 per vapor d'acqua surriscaldato; 0,577 per vapor d'acqua saturo secco.

Dall'equazione della portata (3-96) si deduce che al massimo del rapporto civ deve corrispondere il valore minimo della sezione Q dell'ugello, detta sezione critica o di gola. Questo significa che se la pressione finale p2 è superiore o uguale a quella critica (p2 ;:?: Pc) l 'ugello sarà semplicemente convergente. Se invece l'espansione si prolunga al disotto di Pc (p2 < pc), il rapporto civ comincia a

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore c

v

v

Fig. I I I .45 - Andamento della velocità un gas.

c

e del vol ume specifico

131

c

v

durante l 'espansione di

decrescere, la sezione Q deve aumentare e l ' ugello assume forma convergente­ divergente. La caratteristica sagoma dei due tipi di ugello è rappresentata sche­ maticamente in fig. III.44. I risultati analitici cui si è pervenuti trovano anche una loro giustificazione fisica poiché, come mostra il grafico di fig. I II.45 relativo ad un ugello convergente-divergente, nel primo tratto dell'espansione la velocità cresce più rapidamente del volume specifico, civ aumenta ed Q, per la (3-96), deve decrescere; al disotto di p , si verifica invece i l fenomeno opposto, ossia il volume specifico comincia a crescere più rapidamente della velocità, civ decresce e quindi Q deve aumentare. Si può anche dimostrare che la velocità nella sezione critica coincide con quella del suono nel mezzo, già espressa dalla (3-99). Questo fatto porta ad una importante conseguenza. B isogna infatti premettere che nei fluidi le variazioni di pressione si propagano appunto con la velocità del suono. Pertanto, nell'ipotesi di graduale diminuzione della pressione p2 a valle dell'u­ gello, sino a che risulta p2 > p, le variazioni di pressione possono risalire verso monte e modificare le condizioni dell'efflusso e la portata, che cresce in propor­ zione con il decremento di p2 ( Fig. I II .46). Ma quando si passa ad un valore p2 < p,, e cioè si va al disotto della pressione critica, la variazione di pressione non può più risalire la corrente che ha velocità supersonica. La portata fn cresce quindi al diminuire della pressione p2 a valle raggiungendo un massimo per p2 = p, ( Fig. III.46) e resta costante in corrispondenza di ulteriori diminuzion i di p2•

III.17. Elementi di trasmissione del calore La propagazione del calore attraverso i corpi può avvenire essenzialmente per conduzione, convezione, irraggiamento.

1 32

Macchine

Fig. I I I .46 l'ugello.

-

Variazione della portata massica al variare della pressione p2 a valle del­

Le varie forme di trasmissione si realizzano spesso simultaneamente o in fasi successive, e talvolta una di esse risulta preponderante rispetto alle altre. La conduzione è il passaggio di calore attraverso un corpo, per contatto fra le molecole, ed assume particolare rilievo nei corpi solidi. La convezione (dal latino convehere cioè trasportare) è caratteristica dei fluidi perché dipende dal movimento della materia: infatti la parte di fluido a più diretto contatto con la sorgente termica viene riscaldata, aumenta di volume diminuendo di densità, e tende così a spostarsi verso le zone fredde lasciando libero uno spazio subito occupato, a sua volta, da altro fluido; si determinano così i moti convettivi, diretti dal basso verso l'alto e viceversa, che producono gradual­ mente il riscaldamento dell'intera massa di fluido (acqua, aria, ecc.). L'irraggiamento consiste in una trasmissione per radiazioni, che avviene quindi anche in assenza di materia interposta; il caso più noto è quello della luce e del calore che provengono dal sole. Il calcolo della quantità di calore globalmente trasmessa si può eseguire con formule del tipo:

KSflt

Q

[kJ/h]

(3-1 04)

dove:

K

S flt

è il coefficiente di trasmissione del calore che, per S = l m2 e flt = l oc, rappresenta la quantità di calore che passa in l ora attraverso l m2 di superficie e sotto la differenza di temperatura di l oc. Il coefficiente K si esprime perciò in [kJ/m2 h0C] ; è la superficie di scambio termico [m2]; è la differenza di temperatura [0C]. I valori del coefficiente

K

variano moltissimo

m

relazione alle modalità di

Termodinamica applicata - Cenni di .fluidodinamica e di trasmissione del calore

Fig. I I I .47 - Trasmissione del

c a lore a t trave rso paret e

133

.

trasmissione del calore, ai materiali costituenti i corpi, alle caratteristiche dei fluidi ed alla loro eventuale velocità. L'argomento è assai vasto e non può trovare qui adeguata trattazione; un caso tuttavia di notevole interesse pratico è dato dalla trasmissione di calore da un fluido ad un altro attraverso parete. Con riferimento alla fig. III.47 si rileva che in questa ipotesi il passaggio del calore si realizza in tre fasi successive: l ) fluido-parete; 2) attraverso la parete stessa; 3) parete-fluido. La quantità di calore che passa attraverso una data superficie S è ovviamente la medesima, ma sono diversi i coefficienti di trasmissione, sicché st ha:

(3-105) I coefficienti parziali a 1 ed a2 sono relativi alle fasi fluido-parete (e viceversa), dove si hanno effetti contemporanei di conduzione e convezione, e quest'ultima può essere influenzata dalla eventuale turbolenza del fluido. Il coefficiente À è in­ vece un indice della conduttività interna del materiale costituente la parete di spessore ed è espresso dalla quantità di calore che passa in ora, sotto la differenza di temperatura di oc, attraverso una parete di l m2 di superficie e di spessore pari ad l m. Dalla (3- 1 05) si ricava poi:

s,

l

l

sQ'AS

Sommando membro a membro e considerando ·che la somma dei primi termini equivale alla differenza totale di temperatura ( t1 - t2) si ha:

(t l - t 2)

Q (-l + s- + -l )

= -

S

al

À

a2

134

Macchine

da cm ponendo:

l=l+ -

-

K

a1

coefficiente globale K

si giunge al fluido:

s

À

-

+

l

­

a2

di trasmissione nel passaggio fluido-parete­

K

(3-106)

Il valore di K da introdurre nella (3-104) è legato ai valori dei singoli coefficienti parziali a 1 ed a2, alla conduttività interna À (e quindi alla qualità del materiale) nonché allo spessore della parete. È facile comprendere come sia i coefficienti parziali che lo stesso K possono variare perciò in un campo assai esteso, in relazione alle molteplici applicazioni pratiche. Nella tab. III.3 che segue si riportano i valori della conduttività interna per alcune sostanze di uso più frequente. Tab. I I I .3

-

Conduttività interna

À

[kJ/hm20C] per alcune sostanze a ooc.

METALLI Alluminio

ISOLANTI

729

Amianto

Rame

1 .394

Sughero

0,155

Ferro

223

Lana di vetro

0,1 42

Piombo

1 26

LEGHE Ottone

348 205

Acciaio dolce

Lana di roccia

0,1 05

Caucciù

0,544

MATERIALI D A COSTRUZIONE

Ghisa pura Bronzo

0,544

Mattoni di argilla

3,60

Calcestruzzo secco

3,35

Vetro

2,80

92 1 63

Legno

0,75

Termodinamica applicata - Cenni di fluidodinamica e di trasmissione del calore

1 35

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Capitolo quarto Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

IV. l . Rendimento di una macchina operatrice Le macchine motrici ed operatrici e gli impianti motori descritti nel Cap. I sono inevitabilmente soggetti ad una serie di perdite, di varia natura, che dipen­ dono dal particolare ciclo termodinamico (nel caso di impianto motore termico), dalle caratteristiche costruttive e funzionali di una determinata categoria di mac­ chine, dagli attriti del fluido e degli organi meccanici in moto relativo tra loro, ecc. Prescindendo per ora, in questa fase dello studio, da una analisi approfondita di queste varie perdite si vuole peraltro ribadire che con il termine perdita non si intende evidentemente scomparsa di una determinata quantità di energia ma soltanto la sua degradazione o perdita di qualità, nel senso ampiamente illustrato al par. III.lO. Per meglio chiarire tale concetto si consideri una macchina a fluido opera­ trice, ad esempio un compressore dinamico, che comprime adiabaticamente aria dalle condizioni ambientali caratterizzate da valori di pressione p1 e di tempera­ tura T1, individuati con il punto l in fig. IV.l , fino alla pressione p2• È evidente che il compressore C, come macchina operatrice, richiede per operare sul fluido un lavoro dall'esterno, che gli viene somministrato da un motore, elettrico o di tipo diverso, in fig. IV.l comunque indicato con M. Dal motore M viene dunque prelevata una certa quantità di energia meccanica (energia, si ricorda, di prima specie) che, attraverso gli organi mobili del compres­ sore, viene integralmente trasferita al fluido elaborato dalla macchina. Se la trasformazione subita dal fluido è una trasformazione reversibile (quin­ di senza perdite e cioè senza degradazione alcuna) allora l'energia meccanica assorbita dal motore M si ritrova tutta in seno al fluido e tutta ancora sotto forma di energia di prima specie. Ogni kg di fluido, pertanto, incrementa per effetto della compressione la sua energia di pressione (energia di prima specie) di una quantità pari a:

138 p

Macchine

1-2

pv k

1-2' pvn

h

n>k

v

Fig. IV.l Rappresentazione nei piani pv ed hs di una compressione adiabatica reversi­ bile 1 -2 e di una compressione adiabatica reale 1 -2' . -

r?,v·dp p,

(area A 12B di fig. IV.l ) , esattamente uguale al lavoro che il compressore ha assorbito dal motore M e che viene indicato con L,,. Tale lavoro, per un sistema aperto come il compressore in esame e per una trasformazione adiabatica del tipo considerato, i n base alla (3-60), è pari alla variazione di entalpia (h , - h2) , avendo indicato con h2 l 'entalpia del fluido nelle condizioni alle quali esce dal compressore e che sono state indicate con 2. Per quanto riguarda l 'individuazione della posizione di tale punto nel piano hs di fig. IV.l è evidente che esso deve giacere certamente sull'isobara p 2 e deve inoltre avere la stessa ascissa del punto l, cioè la sua stessa entropia, così come ampia­ mente illustrato al par. III.13. I l punto 2 è quindi perfettamente individuato ed i l lavoro L,, assorbito dal compressore, pari a d (h , - h2), è rappresentato dal segmento AB nel piano hs di fig. IV.l o dall'area A 12B nel piano sempre di fig. IV. l . Si ha dunque: L ;,

=

(h 1 - h 2)

=

-

[2v ·dp p,

pv

=

A l2B

(4- 1 )

Se la trasformazione subita dal fluido è invece d i tipo irreversibile, cioè reale, l 'energia meccanica L, che il compressore C assorbe dal motore M si ritrova ancora tutta in seno al fluido ma, contrariamente all'esempio precedente di trasformazione reversibile, accade ora che durante il trasferimento una certa aliquota di energia meccanica (energia di prima specie) si degrada in energia termica, perdendo quindi qualità, e sotto tale forma degradata viene trasferita al fluido. A questo punto già si intuisce che l'incremento di energia di pressione

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

139

subito dal fluido per effetto della compressione, ed esprimibile mediante P 2·

-f

p,

v ·dp (energia di prima specie), non potrà uguagliare l'energia meccanica L,

assorbita dal motore M in quanto, come ricordato, una certa aliquota di essa ha perduto la sua prerogativa originaria di energia di prima specie. Per quanto riguarda poi la posizione nel piano hs del punto 2', rappresenta­ tivo delle condizioni termodinamiche dell'aria in uscita dalla macchina dopo la compressione reale, è chiaro che esso si troverà ancora sull'isobara p2, poiché la pressione alla mandata è un dato di progetto, ma sicuramente sarà caratterizzato da un valore dell'entropia s2• > s , in quanto in una trasformazione irreversibile, quindi con perdite e con degradazione di energia, deve necessariamente riscon­ trarsi nel sistema isolato un aumento di entropia così come visto al par. III.13 . Nel piano p v inoltre (Fig. I V. l ), i l punto 2' si trova sulla stessa isobara p2 ma spostato a destra rispetto al punto 2 in quanto caratterizzato da un maggior valore dell'entalpia e quindi della temperatura. Analogamente al caso precedente, trattandosi ancora di sistema aperto e di trasformazione adiabatica, sia pur reale, il lavoro meccanico risulta ancora uguale alla variazione di entalpia (h , - h2.) subita dal fluido tra ingresso ed uscita dalla macchina ed è rappresentato dal segmento CD di fig. I V. l ; ma, contrariamente al caso precedente, è immediato concludere che l 'uguaglianza (4-1 ) non può più essere valida e si ha invece la disuguaglianza: (4-2)

L ,.

in quanto solo una parte del lavoro meccanico L ,. = (h 1 - h 2,) assorbito dal motore M viene questa volta trasferita al fluido nella forma indegradata di energia di prima specie e va ad aumentare l'energia di pressione del fluido della quantità:

r?,. p,

v ·dp

pari all'area A l2' B dei piano pv 1 • La differenza (s2• - s, ) è una misura dunque della degradazione di energia che 1

Si è ora data giustificazione al perché l a (3-59) ha validità solo per trasformazioni reversibili.

1 40

Macchine

si verifica nella trasformazione reale con la conseguenza che, quanto più a destra rispetto al punto l si trova il punto 2', tanto maggiore è la degradazione dell'e­ nergia meccanica in energia termica e quindi tanto maggiori sono le perdite. Viceversa, per (s2 - s1) = O, vale a dire per trasformazione reversibile, le perdite, come si è visto, sono evidentemente nulle. Da tutto quanto premesso scaturisce allora immediato i l concetto di rendi­ mento del compressore 11 che può essere definito quindi come:

L ,.

A l 2 ' B (pv) C D (hs)

(4-3)

e cioè come rapporto tra l'incremento di energia di pressione subito da l kg di fluido e l'energia meccanica effettivamente spesa per realizzare tale incremento. Con riferimento sempre alla fig. IV. l si può concludere che per la compres­ sione puramente ideale 1 -2 si avrebbe rendimento 11 = l in quanto non essendovi perdite e quindi degradazioni (infatti s2 = s 1 ) tutta l 'energia meccanica L,, non potrebbe che ritrovarsi nel fluido sotto forma di incremento di energia di pres­ sione così come afferma la (4-1 ). Per la compressione reale 1 -2' p u ò invece senz'altro prevedersi un rendi­ mento < l in quanto, essendovi certamente delle perdite, cioè delle degradazioni di energia (peraltro evidenziate da s2' > s 1 ) , accade che il numeratore della ( 4-3) risulta sicuramente inferiore al denominatore poiché non tutta l 'energia mecca­ nica L, si ritrova nel fluido sotto forma di incremento di energia di pressione. Con riferimento alle diverse compressioni riportate in fig. IV.2 non è difficile concludere quindi che il rendimento più modesto è attinto certamente dalla compressione 1-2111 essendo questa caratterizzata dalle maggiori perdite, cioè dalla magg1ore degradazione dell'energia meccanica risultando:

(4-4) Il rendimento è pertanto indicativo del grado di perfezione raggiunto nel progetto e nella realizzazione della macchina, con la conseguenza che il compres­ sore che opera secondo la 1 -2"' è meno perfezionato di quelli che realizzano le compressioni 1 -2" ed 1 -2'. I l rendimento i n oggetto prende il nome di rendimento politropico di compressione e viene indicato con il simbolo YJ,,. Volendo pervenire ad una espressione analitica del rendimento di compres­ sione Y],, è opportuno sottolineare che esso non fa riferimento alla trasformazione adiabatica reversibile 1 -2 ma si limita a con frontare il lavoro reale L, che effettivamente si spende nella compressione adiabatica reale 1 -2' con quello,

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

141

certamente minore, che s i spenderebbe se l a stessa trasformazione d i compres­ sione 1 -2' fosse reversibile. Tale lavoro è fornito dalla (3-59) ed è pari appunto a:

- f'' V ·dp p,

Sostituendo allora l a (3-62) a numeratore della ( 4-3) e ricordando che L, (h, - h2.) = cP ( T1 - T2.), si ottiene :

-

n n

'llp c

l

R T1 ( l

-

=

11 - l

�" ) (4-5 )

avendo indicato con � il rapporto di compressione pzfp,. Sostituendo nella ( 4-5) la (3-20) ed utilizzando la (3-35) che fornisce T2• = T,W"-'l'" si ha:

n-I

n n

-

l

c, T 1 ( l h

-

(4-6)

n- 1 �" )

- Lr

s

Fig. IV.2 Rappresentazione nel piano hs di compressioni adiabatiche caratterizzate da differenti valori del rendimento. -

1 42

Macchine

Ricordando infine che è c/c.

=

k,

la ( 4-6) fornisce:

k - l k

(4-7)

È immediato osservare che il rendimento politropico, per un assegnato valore

di k ovvero per un assegnato fluido, non dipende dal rapporto di compressione B ma solo dall'esponente n che caratterizza la trasformazione politropica 1-2'. In particolare, quanto maggiore è il valore di n rispetto all'esponente k dell'adiaba­ tica reversibile, vale a dire quanto più la trasformazione 1 -2' si scosta dall'adiaba­ tica reversibile 1 -2 tanto più basso ovviamente risulterà il valore di 11"c e tanto maggiore sarà di conseguenza la degradazione dell'energia meccanica in energia termica. Molto frequente nello studio e nella trattazione delle macchine è un altro tipo di rendimento, che prende il nome di rendimento adiabatico, che forse risulta di più immediata valutazione, ma che da un punto di vista fisico non è altrettanto significativo come il rendimento politropico. Il rendimento adiabatico 11c.,d si esprime mediante il rapporto tra il lavoro L;, che si spenderebbe per comprimere il gas dalle condizioni l fino alla pressione p2 se la trasformazione fosse adiabatica reversibile, e quello L, che si spende real­ mente per andare sempre dalle condizioni l fino alla pressione p2: 1lc,ad

c p ( TI - Tz) c P ( T I - T2, )

(4-8)

Si ritiene opportuno mettere in evidenza un aspetto molto importante che differenzia profondamente tra loro i due rendimenti citati: quello adiabatico mette a confronto i lavori spesi lungo le due trasformazioni 1-2 ed 1-2' che hanno lo stesso punto iniziale (punto l di fig. IV. l ) ma che hanno in comune, come condizioni finali, soltanto la pressione p2 = p2• , mentre è, ad esempio, T2• > T2 e v2• > v2; in definitiva il rendimento adiabatico confronta i lavori relativi a due trasformazioni diverse e precisamente il l avoro della trasformazione reale 1 -2' con quello della trasformazione reversibile 1-2 e non, come è più logico e come invece fa il rendimento politropico, i lavori spesi nella stessa trasformazione 1 -2' considerata una volta reversibile ed una volta reale. Il rendimento politropico dunque non fa alcun riferimento alla trasforma­ zione reversibile 1-2 ma, ed in questo consiste la sua maggiore validità, si limita a considerare la sola trasformazione 1 -2' ed a valutare le perdite relative a quella trasformazione. Sulla base della definizione data, anche il rendimento adiabatico trova una rappresentazione grafica immediata, al pari del rendimento politropico, risul­ tando esprimibile come rapporto tra i segmenti AB e CD letti nel piano hs di fig.

Rendimenti e principi di .fim.zionamento delle macchine a fluido

1 43

IV. l oppure come rapporto tra l'area A 12B misurata nel piano p v di fig. IV. 1 ed il segmento CD misurato nel piano hs: 1lc,nrl

L ;,

= L,. =

AB CD

=

A l 2 B (pv) C D (hs)

(4-9)

Confrontando la ( 4-3) con la ( 4-9) si trae l'immediata conclusione che il rendimento politropico ha un valore maggiore di quello adiabatico: infatti sono entrambi esprimibili mediante due frazioni che hanno lo stesso denominatore (L, = CD) ma numeratori diversi; in particolare il numeratore A12' B della frazione che. esprime il rendimento politropico è maggiore del numeratore A12B della frazione che esprime il rendimento adiabatico. Il significato fisico di tale sostan­ ziale differenza consiste nel fatto che il rendimento adiabatico, a differenza di quello politropico, non considera come patrimonio energetico di prima specie del fluido l'area l 2 2' ( piano pv) che pure fa parte di f vdp e rappresenta quindi energia di prima specie incamerata dal fluido. Volendo pervenire ad una espressione analitica del rendimento adiabatico, basta sostituire nella ( 4-8) a T, e a T,. i valori forniti rispettivamente dalla (3-25) e dalla (3-35) avendosi:

k-I c" T I ( l - � k )

L ;, 1lc,nd

Ricavando poi dalla (4-10) si ha infine:

n-l

c P T I ( l - � Il

Lr

(4-7)

l'espressione di

1lc,nd

l

k-I - �k k-I - � k 'lpc

( 4- 10)

)

(n - 1 )/n

e sostituendola nella

( 4-11 )

Come risulta evidente il rendimento adiabatico, contrariamente a quello politropico, è funzione del rapporto di compressione � ; in particolare la fig. IV.3 mette in luce che esso, per ciascun valore di 11," cioè per ciascuna assegnata trasformazione politropica, è funzione decrescente di � · È opportuno a questo punto precisare che la definizione di rendimento alla quale si è pervenuti facendo riferimento ad una specifica macchina operatrice quale un compressore, può essere trasferita a qualsiasi altra macchina a fluido operatrice dal momento che la logica del ragionamento rimane inalterata. Nel caso ad esempio di un ventilatore per aria, anch'esso macchina opera­ trice, quindi azionato da un motore che trasferisce energia meccanica alle parti

1 44

Macchine

mobili del ventilatore stesso e da queste al fluido, ciascun chilogrammo di aria viene accelerato, assorbendo lavoro meccanico L, dalle condizioni iniziali di velocità nulla ed esce dalla macchina con velocità c ed energia cinetica c2/2 (energia ordinata, quindi di prima specie) con un incremento di energia cinetica pari evidentemente a d2. In analogia a come si è proceduto per il compressore, anche il rendimento del ventilatore 11,. può essere espresso come rapporto tra l'incremento di energia di prima specie riscontrato in un chilogrammo di fluido elaborato ed il lavoro meccanico speso per realizzare tale incremento. Si ha pertanto:

( 4-12) Anche per il ventilatore il rendimento sarebbe unitario se l'energia mecca­ nica venisse trasferita al fluido sotto forma di energia di prima specie ritrovan­ dola, ad esempio, tutta sotto forma di incremento di energia cinetica del fluido (che è appunto energia di prima specie); si avrebbe in questo caso una trasforma­ zione reversibile, quindi senza degradazioni. Si hanno invece rendimenti via via più piccoli di l quanto maggiore è l'aliquota di energia meccanica che nel trasferimento al fluido si degrada in energia termica (trasformazione reale o irreversibile). È superfluo ricordare che anche in questo caso si riscontra un

{c,

l

k= 1, 4

ad

0, 9

"?pc =

-

-

0, 8

.......

1---

0, 7

-

.......

1"---r--..

0, 6

0, 7

"'

0, 5

7

o

0, 9 -

0, 8

o

�1---,-! 6

2

4

-

6

Fig. IV.3 - Andamento d e l r e n d i m e n t o a di aba t ico differenti valori del rendimento politropico.

8

J3

10

di compressione

in funzione di � per

Rendimenti e principi di jimzionamento delle macchine a fluido

1 45

aumento di entropia nel fluido tra ingresso ed uscita della macchina tanto più grande quanto minore è il rendimento o, il che è lo stesso, quanto maggiore è stata l'energia degradata. Si ribadisce ancora una volta che nel caso di trasforma­ zione irreversibile la differenza ( L, c2/2) è pur sempre energia trasferita al fluido, ma nella forma degradata di energia termica. Nell'ipotesi che in seguito al trasferimento di energia meccanica si registrino, all'uscita dalla macchina, incrementi sia di energia di pressione che di energia cinetica, il rendimento viene evidentemente espresso dal rapporto: -

-

r7,v ·dp p,

/".. c

+ T ?

L,.

( 4-13)

A completamento si ricorda che anche per una pompa, macchina operatrice di larghissima diffusione, il rendimento ll{J sarà esprimibile, analogamente al caso del compressore, dal rapporto:

r7,v ·dp p,

L ,.

( 4-14)

IV.2. Rendimento di una macchina motrice Il discorso portato avanti dettagliatamente per introdurre il concetto di rendimento di una macchina operatrice è valido, in linea di principio, anche per introdurre il concetto di rendimento di una macchina motrice; in questo caso i termini del problema vengono rovesciati in quanto una macchina motrice, contra­ riamente ad una operatrice, ha lo scopo di rendere disponibile su di un asse lavoro meccanico, cioè energia di prima specie, sottraendola al fluido che la attraversa espandendosi. L'energia di prima specie perduta dal fluido può essere, a seconda del tipo di macchina, energia di pressione o anche energia cinetica; resta comunque valido il concetto che, nel caso di espansione reversibile, vale a dire trasformazione che non comporta perdite (cioè degradazione di energia), il lavoro meccanico fornito all'esterno dalla macchina motrice per ogni chilogrammo di fluido che l'attraversa risulta uguale alla diminuzione di energia di prima specie riscontrata in ciascun chilogrammo di fluido. Se invece si ha una trasformazione reale, cioè irreversibile, il lavoro meccanico fornito all'esterno dalla macchina motrice per ogni chilogrammo di fluido che la attraversa risulta minore di quello ottenibile nel

1 46

Macchine

h

s

Fig. l V A - Rappresentazione nel piano hs di espansioni adiabatiche caratterizzate da differenti valori del rendimento.

caso di trasformazione reversibile, e, per effetto della trasformazione reale, nel fluido ha luogo una irrimediabile degradazione di energia. Con riferimento alle differenti espansioni adiabatiche dal punto l a pressione p, (Fig. IV.4) fino alla pressione p2 e ripetendo identicamente il discorso portato avanti per la compressione, si conclude che l'espansione 1-2 è caratterizzata da un rendimento unitario in quanto la costanza dell'entropia (s2 = s, ) assicura assenza di degradazione di energia e pertanto la diminuzione di energia di prima specie, in questo caso energia di pressione, accusata dal fluido per effetto dell'espansione e pari per la (3-60) a: -

r?, p,

v ·dp

è esattamente uguale al lavoro meccanico

(h,

hz)

raccolto all'esterno: ( 4- 1 5)

Per le espansioni reali 1 -2', 1-2", 1-2'" si avranno invece valori del rendi­ mento via via più piccoli dell'unità in quanto si riscontrano rispettivamente incrementi di entropia più cospicui:

( 4- 1 6) che significano degradazioni di energia sempre maggiori. D i conseguenza il lavoro meccanico L, che si raccoglie all'esterno pari, per la (3-5 1 ) , ad (h, - hz·), ( h 1 - h y ), (h, - h2 ) , sarà un'aliquota sempre più piccola del lavoro Lis = ( h 1 - h2 ) relativo all'espansione reversibile. .•

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

1 47

Anche per l 'espansione, analogamente alla compressione, si definiscono il rendimento politropico di espansione 11," ed il rendimento adiabatico di espan­ sione 1lwr�. Il primo confronta il lavoro reale L, che effettivamente si rende disponibile per effetto dell'espansione adiabatica reale 1 -2' con quello, certamente maggiore e pari a

-

r2• \) ·dp

che si otterrebbe se la trasformazione di espansione 1 -2'

p,

fosse reversibile:

1lp i

L ,.

[''

v ·dp

p,

c"

(T1

['

- T2. )

( 4-17)

V ·dp

p,

Sostituendo allora la (3-62) a denominatore della ( 4-17) e con le stesse considerazioni relative alla compressione, si perviene alla relazione: n

n

l

( 4-18)

Anche per l'espansione, dunque, il rendimento politropico, per un assegnato valore di k, ovvero per un assegnato fluido, non dipende dal rapporto di espan­ sione � ma solo dall'esponente n che caratterizza la trasformazione politropica 1-2'. In particolare, quanto minore è il valore di n rispetto all'esponente k dell'adiabatica reversibile,vale a dire quanto più la trasformazione 1-2' si scosta dall'adiabatica reversibile 1-2, tanto più basso risulta il valore di 11"' e tanto maggiore sarà di conseguenza la degradazione dell'energia meccanica in energia termica. Per quanto riguarda il rendimento adiabatico di espansione, esso confronta il lavoro reale L, che effettivamente si rende disponibile in seguito all'espansione adiabatica reale 1 -2' con quello che si sarebbe ottenuto se la trasformazione fosse stata la adiabatica reversibile 1-2: 1l1.ad

(h l - h 2.) (h l - h 2)

(4-19)

Sulla base della definizione data, il rendimento adiabatico di espansione trova una evidente rappresentazione grafica nel piano h s di fig. IV.4 come rapporto tra i segmenti CD e AB:

1 48

Macchine

11 t,ad T2

L, CD � AB IS

(4-20)

Per quanto riguarda la sua espressione analitica, basta sostituire nella (4-19) a e a T2• i valori ricavati rispettivamente dalla (3-25) e dalla (3-35) avendosi:

1lt,ad

c

L,

c

TI

P

Ricavando poi dalla (4- 1 8) l'espressione di

11t,ad

n-1

n ) k-1 ( l - 1/ � k )

TI (l - 1/ �

P

L ;s

l - l/ �

(4-2 1 )

( n - 1 )/n

si h a infine:

k-1 k '1,,

( 4-22)

k-1 1 - 1/ � k

Come risulta evidente, anche nel caso dell'espansione il rendimento adiaba­ tico è funzione del rapporto di espansione: in particolare però la fig. IV.5 mette in k= 1, 4

U,ad 0, 9

'"?,p t =

0, 9

l

0,8

0, 8

��

0, 7

_...� .

0, 6

.,.,

0, 7 0,6

,...--



0, 5 o

1 o

2

4

6

Fig. IY.5 - A nd a m e n to d e l n: n d i nH : n t o a d i a b a t ico differenti valori del rendimento politropico.

8

f3

10

di espansione i n

funzione di � per

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

1 49

luce che, contrariamente a quanto avveniva per la compressione, esso è funzione crescente del rapporto di espansione stesso. Dall'esame infine del piano pv di fig. IV.4 discende che il rendimento politropico di espansione risulta più piccolo del rendimento adiabatico: essi infatti sono espressi da un rapporto il cui numeratore L, è lo stesso per entrambi mentre il denominatore del rendimento politropico (area A 12'B) risulta maggiore del denominatore del rendimento adiabatico ( area A 12B).

IV.3. Rendimento di un impianto motore I rendimenti prima definiti riguardano, come è stato chiarito, la singola macchina, operatrice o motrice. Se si fa invece riferimento agli impianti motori primi bisogna innanzi tutto tener conto che essi consumano energia primaria disponibile in natura. Quest'ultima può trovarsi sotto forma di energia potenziale e/o cinetica di fluidi, il che si verifica negli impianti motori idraulici ed eolici i quali si riducono sostanzialmente alla sola macchina motrice (turbina idraulica, aeromotore). Negli impianti motori termici si consuma invece energia chimica di combusti­ bili (ad eccezione, ovviamente, degli impianti nucleari) per cui, pur prescindendo per il momento dai processi che si compiono nei vari apparecchi costituenti l'impianto, è possibile definire un rendimento globale dell'impianto stesso come rapporto tra la potenza meccanica P,"' utilmente ricavata sull'albero e la potenza termica corrispondente al combustibile consumato. Esprimendo P,"' in kW ed indicando con ri1, [kg/s] la portata di combustibile consumato e con H; [kJ/kg] il potere calorifico inferiore, il rendimento 11" è espresso dalla relazione: ( 4-23) Se si esprimono però il potere calorifico e la portata di combustibile in kcal/kp ed in kp/h rispettivamente, si ha: 860

ri1 c

P 11 1n ]-[ i

(4-23' )

dove 860 [kcal/kWh] è l'equivalente termico del kWh. È quasi superfluo precisare che l'uso corretto delle due formule deve ovvia­ mente portare al medesimo valore del rendimento. Negli impianti motori termici 118 può essere considerato anche come prodotto di quattro rendimenti parziali relativi ai vari aspetti in cui si può immaginare di scomporre il funzionamento del! 'impianto.

1 50

Macchine

Per approfondire un po' meglio il problema si deve premettere che in qualsiasi impianto motore termico vi è una fase di sviluppo del calore e successiva adduzione al fluido ( gas o vapore ) che opera poi in maniera attiva nell'impianto. Tale fase, nella grande maggioranza dei casi pratici, è caratterizzata da una combustione ( ad eccezione ovviamente degli impianti termici nucleari ) , che può essere interna o esterna al fluido operante ma che naturalmente non può mai essere completa, ed è affetta anche da altre perdite, di solito di entità piuttosto modesta, relative a dispersioni di calore verso l'esterno. Si può dire perciò che non tutta la potenza termica ri1,H1 teoricamente disponibile viene effettivamente ricevuta dal fluido operante, ma solo un'aliquota Q, < rn,H, per cui è possibile definire un rendimento di combustione 11" o, più genericamente di sviluppo del calore e sua adduzione al fluido operante, dato da: Q,

( 4-24)

È noto poi che il fluido opera secondo un particolare ciclo termodinamico di riferimento, diverso a seconda della categoria di impianto ( di Rankine o di Hirn per quelli a vapore, di Joule per le turbine a gas, ecc. ) e sull'argomento sono

adesso opportune alcune ulteriori precisazioni. In una ipotesi preliminare si può immaginare un comportamento ideale del fluido e della macchina, o meglio del complesso di macchine, motrici ed opera­ trici, e di altre apparecchiature che costituiscono come è noto un impianto motore. Ciò significa ritenere che il gas evolvente si comporti da gas perfetto a calori specifici costanti con la temperatura e perfetto sia anche il comportamento di tutto l 'impianto, il che vuoi dire, ad esempio, che le pareti delle macchine dovrebbero essere perfettamente adiabatiche durante le fasi di compressione e di espansione e perfettamente permeabili al calore ( diabatiche ) , invece, durante le fasi di scambio termico tra il fluido e l'ambiente o viceversa. Non è difficile rendersi conto quindi che un impianto del genere è troppo lontano da quello che può essere davvero realizzabile in pratica. Perciò, onde avvicinarsi maggiormente alle reali condizioni di funzionamento conviene fare un ulteriore passo osservando che fra le imperfe­ zioni del fluido e dell'impianto esistono differenze assai notevoli. Infatti, mentre il comportamento ideale del fluido è una ipotesi mai realizza­ bile, in conseguenza delle sue naturali caratteristiche fisico-chimiche sulle quali non è possibile ovviamente influire in alcun modo ( si pensi alla variabilità dei calori specifici con la temperatura ed alla variabilità della specie molecolare del fluido motore per effetto della combustione nei motori a e.i. ) , il comportamento ideale di un impianto motore può essere ammesso, almeno in via ipotetica, se si suppone che in esso, al limite, si eliminino tutte le perdite. Queste non difficili considerazioni suggeriscono dunque di far riferimento ad

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

151

un ciclo, denominato ciclo limite, relativo ad una macchina perfetta in cui evolva però un fluido questa volta reale2• Indicando con P, la potenza utilmente ricavabile da tale ciclo, si può quindi definire un rendimento limite dato da:

11/

(4-25)

ove Q, è la già definita potenza termica effettivamente ricevuta dal fluido ope­ rante. Alla luce di queste precisazioni si può subito osservare, ad esempio, che i cicli di riferimento di Rankine e di Hirn degli impianti a vapore risultano ad una analisi più approfondita dei cicli limite, poiché relativi ad un fluido reale (quale è senza dubbio il vapore) supposto operante in una macchina perfetta e dunque con compressione ed espansione adiabatiche e anche isoentropiche. Un ulteriore passo per avvicinarsi all'effettivo funzionamento dell'impianto motore si può fare considerando poi il fluido reale agente in un impianto non più al limite della perfezione, ma anc h 'esso reale ed affetto quindi da una serie di perdite inevitabili nel pratico funzionamento. In conseguenza di tali perdite la potenza P, realmente trasferibile dal fluido agli organi mobili della macchina sarà certamente minore di quella P, relativa all'ipotesi precedente di ciclo limite e quindi di impianto perfetto. Se s� suppone che la potenza termica ricevuta effettivamente dal fluido sia ancora Q , , il rapporto:

( 4-26) definisce un cosiddetto rendimento interno (o a volte anche specifico) che com­ prende tutte le perdite relative al funzionamento reale e rappresenta un indice del grado di perfezione o di bontà dell'impianto motore. Il prodotto:

11o·

11t . 11;

(4-27)

2 D i tutte le proprietà del fluido reale non si tiene conto della viscosità il che comporta, nel ciclo limite, che le fasi di compressione e di espansione adiabatiche sono anche isoentropiche. Ciò perché gli effetti della viscosità sono fortemente influenzati dal disegno e dalle dimensioni delle macchine e delle varie parti dell'impianto; tali effetti risultano nulli quando le macchine, come nel ciclo limite, vengono supposte ideali.

152

Macchine

fornisce il rendimento termico reale, dato cioè dal rapporto tra la potenza real­ mente trasferita agli organi mobili della macchina e la potenza termica ricevuta dal fluido agente. Infine, a causa degli inevitabili attriti che si generano fra tutti gli organi dotati di moto relativo e degli inevitabili meccanismi ausiliari (pompe, ventole, ecc.) necessari al funzionamento e direttamente azionati dall'albero motore, non tutta la potenza P, si ritrova in potenza meccanica P," sull'albero stesso. È possibile perciò definire anche un rendimento meccanico dato da:

p/Il (l

( 4-28)

P,

In conclusione, il rendimento globale di un qualsiasi impianto motore termico può essere sempre espresso come il prodotto di quattro rendimenti parziali di combustione, limite, interno e meccanico, ossia: 11 g

11 "

111

.

11 ;

11m

P, Ql H; Q

ri1 c

l

P, P,

p /11(1

P,

pm a mc

oppure, introducendo il rendimento termico reale dato dalla

H;

( 4-29)

(4-27): (4-30)

Tale scomposizione, suddividendo infatti le varie perdite in quattro categorie o classi, ciascuna con ben determinate caratteristiche, risulta molto razionale, ed ha inoltre, come si è detto, una validità assolutamente generale 3 • I nfine è utile notare che dalle espressioni ( 4-23) e ( 4-23') è possibile definire un parametro di grande interesse negli impianti motori termici e cioè il consumo specifico di combustibile c, che rappresenta la portata di combustibile espressa rispettivamente in kg/s ed in kp/h che si consuma per ogni kW. La ( 4-23) e la ( 4-23') forniscono rispettivamente:

3 Le espressioni (4-26), (4-29) e (4-30) sono rigorosamente esatte se i l calore addotto nel ciclo reale coincide con quello relativo al ciclo limite. Tale circostanza non sempre si verifica; ad esempio, nelle turbine a gas il calore addotto nel ciclo reale è minore (per la maggiore temperatura di fine compressione) per cui le citate formule vanno opportunamente corrette. Per un eventuale approfondi­ mento di questo problema, si rinvia al testo On·AvJo VoccA, Lezioni di Macchine, Liguori Editore, Napoli 1 968.

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido Cs

=

c,

=

rn c

p ma rh c

pma

Se s i desidera esprimere [s/h] ottenendo:

c,

=

YJg H i

=

1lg Hi

l

860

[ [

S

kg

. kW

]

kp h . kW

1 53

( 4-3 1 )

]

( 4-31 ' )

in kg/h·kW basta moltiplicare la (4-31 ) per 3.600

( 4-32) Spesso si usa parlare di consumo specifico di calore q inteso come il calore necessario per produrre l'unità di lavoro meccanico e definito dalla relazione: q = c,

H;

onde dalla ( 4-32) si ottiene: q

=

c,

H;

nella quale q è espresso in kJ/kWh. Si osservi che il consumo specifico di calore q, contrariamente al consumo spe­ cifico di combustibile c, consente di valutare il rendimento globale 118 senza richie­ dere la conoscenza del potere calorifico inferiore H; del combustibile impiegato. Il consumo specifico sarà ovviamente tanto minore quanto più elevato è il rendimento ed esprime un dato tecnico molto importante in quanto indicativo del grado di perfezionamento e dell'economicità di un impianto motore termico. Naturalmente le formule precedenti valgono pure quando l 'impianto motore termico si riduce ad un solo apparecchio (motore primo ) , caso quest'ultimo dei ben noti motori alternativi a combustione interna.

IV.4. Macchine volumetriche e macchine dinamiche È stato già precisato nel Cap. I che i trasferimenti di lavoro fluido-macchina o viceversa avvengono nelle macchine volumetriche ed in quelle dinamiche se­ condo due principi funzionali nettamente diversi. In via preliminare si ritiene opportuno precisare comunque che, indipenden­ temente dalle modalità di trasferimento del lavoro tra macchina e fluido, il lavoro trasferito è valutabile sempre con le medesime relazioni sia se la macchina è di

154

Macchine

tipo volumetrico, sia se è di tipo dinamico. In entrambi i casi, infatti, la macchina è assimilabile ad un sistema aperto e pertanto il lavoro trasferito lungo una trasformazione reversibile si calcola sempre mediante la (3-59) che qui si riscrive:

L 12 = -

r7,v ·dp p,

(3-59)

sia se la trasformazione in esame ha luogo in una macchina volumetrica sia se ha luogo in una macchina dinamica. Se poi la trasformazione è adiabatica, sia reversibile che irreversibile, il lavoro trasferito può essere calcolato mediante la (3-51):

(3-5 1 ) valida per sistemi aperti e quindi sia per macchine di tipo volumetrico che di tipo dinamico. Per quanto riguarda la potenza P [k W] questa è valutabile attraverso il prodotto della portata massica di fluido 1?11 [kg/s ] che attraversa la macchina per il lavoro L,2 [kJ/kg] che ciascun chilogrammo scambia con la parte mobile della macchina:

( 4-33) È evidente che, nel caso di trasformazione reversibile, la ( 4-33) fornisce:

P =-

rh1

r7,v ·dp [kW]

( 4-34)

p,

mentre nel caso di trasformazione adiabatica, sia reversibile che irreversibile, la ( 4-33) fornisce:

( 4-35) IV.5. Principi di funzionamento di una macchina volumetrica alternativa Con riferimento alle macchine alternative, che, fra quelle volumetriche, sono di gran lunga le più diffuse, si può notare in fig. IV.6 che il moto alternato dello

Rendimenti e principi di fimzionamento delle macchine a fluido .

' ·

Fig. IY.6

-

_

1 55

_...

Meccanismo biella-manovella.

stantuffo, generato dall'azione statica (pressione) del fluido in una macchina motrice, si trasforma in moto rotatorio mediante il meccanismo biella b-mano­ vella m; le due estremità della biella sono articolate una, per mezzo di un cuscinetto, al perno (o spinotto) dello stantuffo, e l'altra al perno (o bottone) della manovella, a sua volta collegata all'albero motore. Giova pure precisare che in alcune applicazioni, oggi limitate di solito alle sole macchine operatrici (pompe e compressori), il fluido in pressione può agire alternativamente su entrambe le facce dello stantuffo, e la macchina si definisce in questo caso a doppio effetto. Per completezza della trattazione sono opportuni a questo punto anche alcuni cenni sugli aspetti dinamici e cinematici del meccanismo descritto. La forza F derivante dalla pressione del fluido si scompone nelle forze F,, diretta lungo la biella, ed N normale all'asse del cilindro: Fb

=

F

N

coscp

F

tg cp

( 4-36)

La forza N non fornisce lavoro utile, essendo perpendicolare alla direzione di spostamento dello stantuffo, ma fa nascere, anzi, una resistenza di attrito nello spinotto e sulle pareti laterali dello stantuffo; la F, può essere invece a sua volta scomposta in una forza tangenziale T ed in una radiale R. La forza T è quella utile per la rotazione dell'albero, che avviene quindi per effetto di un momento motore M,. dato da:

M"' = T . r =

F

sen (G + cp ) . r cos CjJ

( 4-37)

Per dati valori di F e di r è evidente che il momento motore varia in relazione alla momentanea configurazione del manovellismo, che cambia istante per istante

1 56

Macchine

Fig. IV.7 A ndamento del momento motore in una motrice alternativa nell 'ipotesi di forza costante e di biella di l u nghezza infinita. -

con gli angoli 8 e cp . Caratteristica peculiare del sistema biella-manovella è perciò la periodica variabilità del momento motore, con valori nulli agli estremi della corsa degli stantuffi ( e cioé ai cosiddetti punti morti nei quali cp = 0" e 8 = oa o 8 = 180°). Il segno del momento motore dipende da quello della forza agente F; esso sarà quindi positivo quando il fluido agisce sullo stantuffo e negativo ( diventando quindi un momento resistente) quando invece è lo stantuffo ad agire sul fluido. Nell'ipotesi di forza costante, in intensità e verso durante l'intera corsa, e di biella di lunghezza infinita ( cp = O) la ( 4-37) diventa:

M111

=

Fr

·

sen

8

( 4-38)

che è la nota legge del moto armonico. I l momento quindi raggiunge un massimo per 8 = 90° (M111 = Fr) quando F è positivo ( Fig. IV.7), ovvero un minimo nel caso di F negativo. Nelle macchine motrici ed operatrici l 'andamento del momento risulta però molto più complesso, poiché la forza F istantanea non è di solito costante e dipende dai valori, variabili lungo l 'intera corsa, della pressione del fluido e delle forze d'inerzia degli organi dotati di moto alterno. La forza R diretta lungo la manovella non dà lavoro utile, poiché passa per il centro O di rotazione ed il suo momento è quindi nullo; tuttavia anch'essa è causa di una resistenza di attrito che si oppone alla rotazione dell'albero. Esaminando brevemente il meccanismo dal punto di vista cinematico, è agevole notare che anche la velocità dello stantuffo è nulla ai punti morti mentre è possibile dimostrare che essa varia lungo la corsa secondo l'espressione appros-

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

simata: v =

wr

(sene + 21 -L sen 2e J e

1 57

( 4-39)

in cui w è la velocità angolare, è l 'angolo di manovella percorso, l-L llr il rapporto tra le lunghezze della biella e della manovella. Sempre nell'ipotesi semplificativa di biella di lunghezza infinita il secondo termine della (4-39) si annulla, sicché: v =

e

wr

sene

=

( 4-40)

e la velocità viene quindi a variare in modo analogo al momento motore con un massimo per = 90° ( V/1/0X = OJr). In pratica il massimo della velocità (per il quale naturalmente l'accelerazione è uguale a zero) si raggi unge per angoli e di poco inferiori ai 90°, con un andamento dipendente dal valore di l-L· Il funzionamento delle macchine volumetriche alternative presenta quindi, come si è visto, un'accentuata caratteristica di irregolarità nel momento motore, nella velocità e nelle forze d'inerzia delle masse in movimento, il che comporta non lievi problemi di bilanciamento e di regolarizzazione del moto che sono oggetto di studio nella Meccanica Applicata alle Macchine.

IV.6. Principi di funzionamento di una macchina dinmnica Per introdurre Io studio delle macchine dinamiche conviene far riferimento ad una macchina motrice (turbina a vapore o a gas) la quale, meglio della macchina operatrice, si presta ad una più immediata comprensione del funziona­ mento di questa categoria di macchine. Successivamente si mostrerà come i principi validi nel caso di macchina motrice siano estensibili anche ad una mac­ china operatrice. Per meglio inquadrare i termini del problema si ricorda che una macchina motrice trasferisce all'esterno, rendendola disponibile su un asse, energia mecca­ nica, quindi di prima specie, sottraendola al fluido motore che vi è stato immesso in opportune condizioni di pressione e di temperatura, cioè con un assegnato contenuto di energia di pressione oppure di energia cinetica (entrambe, come è noto, di prima specie). Le trasformazioni che hanno luogo nelle macchine dinamiche, come ricor­ dato al par. 1 1 1 .7 . 1 , sono sempre adiabatiche: in particolare la trasformazione di espansione che si realizza nella turbina oggetto del nostro studio si suppone, allo scopo di evidenziare essenzialmente il funzionamento della macchina stessa,

1 58 p

A

Macchine h

p

L m ec c -

2

v

Fig.

lV.� -

5

Rappresentazione nei piani p v ed hs di una espansione adiabatica reversibile.

anche reversibile, i l che significa assenza di perdite e quindi di degradazione di energia. Ciò premesso, si ritiene opportuno precisare a titolo di chiarezza che, se un fluido subisce una espansione adiabatica reversibile del tipo 0-2 riportato nei piani pv e hs di fig. IV.8, il lavoro raccolto all'esterno è, per la (3-60): ( 4-41 ) pari cioè all'area A 02B n e l piano p v d i fig. IV.8 o a l segmento 0-2 nel piano hs di fig. IV.8. Ciò, si ribadisce, indipendentemente dal fatto che l'espansione avvenga in una motrice volumetrica alternativa del tipo descritto precedentemente o in una macchina dinamica (turbina) del tipo che si va a descrivere, in quanto per la validità della (3-60) è sufficiente che la trasformazione adiabatica reversibile abbia luogo in un sistema aperto al quale, per l'appunto, può essere assimilata ciascuna delle due macchine citate. La differenza quindi tra i due tipi di macchine consiste esclusivamente nelle modalità attraverso le quali l'energia di pressione del fluido viene trasferita all'esterno sotto forma di lavoro meccanico. Si supponga dunque che il fluido venga immesso nella turbina T con velocità co e pressione, temperatura ed entalpia p0, T0, ho per espandere adiabaticamente e reversibilmente fino alla pressione p2• Inizialmente accade che il fluido viene fatto espandere in uno o più condotti fissi (Fig. IV.9) opportunamente sagomati (si veda par. III. 1 6.2), detti ugelli o effusori o anche boccagli, nei quali si verifica, per effetto dell'espansione da Po a p2, un'accelerazione del fluido che passa dalla velocità C0 alla velocità c, > c0 che può essere calcolata mediante la (3-53) o la (3-100). Nell'ugello quindi si realizza semplicemente una trasformazione di energia di pressione in energia cinetica, anch'essa di prima specie; per !'ipotesi di reversibilità prima fatta, in base alla quale le perdite sono nulle, segue che la

Rendimenti e principi di funzionamenlo delle macchine a fluido

·1 59

L_

Fig. I V .9 - Rappresentazione schematica d i uno stadio di turbina assiale. l . Ugello o boccaglio (statore); 2. Condo/li mobili (rolore) -

diminuzione di energia di pressione risulta pari all'incremento di energia cinetica e quindi il contenuto energetico del fluido in uscita dall'ugello non muta, rispetto all'ingresso, né quantitativamente né qualitativamente. Trattandosi infatti di un condotto adiabatico non è possibile somministrare o sottrarre al fluido energia sotto forma termica; trattandosi inoltre di un condotto fisso non è neanche possibile somministrare o sottrarre al fluido energia sotto forma meccanica per cui nell'ugello ha semplicemente luogo, come già detto, una trasformazione da una forma di energia di prima specie in un'altra ancora di prima specie. A valle dell'ugello il fluido, con un elevato contenuto di energia cinetica, incontra un sistema di condotti mobili 2 realizzati con pale opportunamente sagomate siste­ mate alla periferia di un disco calettato su un albero rotante ( Fig. IV.9); in questo sistema, con modalità che verranno più avanti precisate, avviene il trasferimento di energia all'esterno sotto forma di lavoro meccanico. Tale energia viene sot­ tratta evidentemente a quella disponibile nel fluido sotto forma cinetica, ora unico patrimonio energetico di prima specie, essendosi esaurita nell'ugello l'e­ spansione da p 0 a p2 e quindi non avendo più il fluido energia di pressione da spendere nei condotti mobili.

1 60

Macchine

Fig. l V . l O - Rappresentazione n e i piani pv ed hs di una espans i o n e adiabatica revers i b i l e i n uno stadio d i turbina a reazione. 0-1. Espansione nel/ 'ugello; 1-2. Espansione nei condoui mobili.

Se si indica con c2 la velocità assoluta con la quale il fluido lascia la parte mobile, allora l'energia meccanica trasferita all'esterno, pari evidentemente all'e­ nergia cinetica perduta dal fluido, sarà uguale a ( c� - cDi2 avendo indicato, si ricorda, con c1 la velocità del fluido in uscita dal boccaglio e quindi in ingresso c0 , allora tale alla parte mobile. Se poi, come solitamente si verifica, è c2 energia risulta anche uguale a:

oppure, il che è lo stesso, alla differenza (ho - h2) . Infatti il fluido entra in turbina alla velocità c0 (intendendo come turbina il sistema ugello più ruota), lascia la turbina con velocità c2 = c0 (quindi con lo stesso valore dell'energia cinetica posseduta in ingresso) e pertanto l 'energia meccanica trasferita all'esterno non può che provenire unicamente dalla diminuzione dell'energia di pressione

così come peraltro indica la ( 4-41). L'insieme della parte fissa, ugello, e della parte mobile, ruota, costituisce un elemento di turbina comunemente indicato nella letteratura tecnica con il nome di stadio. Può accadere che l'espansione da p0 a p2 non si completi tutta nell'ugello ma si arresti ad un valore p1 > p2 (Fig. IV. l O) con la conseguenza che solo l'aliquota A OJ C di tutta l'energia di pressione A02B a disposizione viene trasformata in

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

161

energia cinetica. I l contenuto energetico del fluido in ingresso alla parte mobile è però anche questa volta identico al caso precedente, con l 'unica differenza di una diversa distribuzione delle forme di energia: un minor valore di energia cinetica, ma una presenza ancora di energia di pressione. Il fluido entra quindi nella ruota con un patrimonio energetico di tipo sia cinetico che di pressione e può ora trasferire all'esterno lavoro meccanico attingendo ad entrambe tali forme di energia. Sagomando infatti i condotti mobili della ruota in maniera opportuna, è possibile realizzare in essi l 'ulteriore espansione adiabatica reversibile del fluido da p, a p2 facendo in modo inoltre che esso abbandoni la ruota ancora con velocità c2 = c0 e quindi nelle stesse condizioni del caso precedente. Il lavoro meccanico raccolto all 'esterno è dunque uguale a quello raccolto precedente­ mente, con la sola differenza che in un caso esso viene prelevato esclusivamente dall'energia cinetica che possiede il fluido in ingresso alla girante mentre nel­ l'altro viene prelevato sia dall'energia cinetica, sia dall'energia di pressione che il fluido possiede, sempre in ingresso alla girante. Uno stadio di turbina, dunque, caratterizzato dal frazionamento dell'espan­ sione parte ne !l 'ugello e parte nei condotti mobili, si chiama a reazione e si definisce grado di reazione il rapporto R:

R

f'v ·dp f'v ·dp p,

(h l

(h o

h z) h z)

( 4-42)

Po

tra la variazione di entalpia che si realizza nella ruota e quella che si realizza nell'insieme ugello più ruota. In genere R assume valori compresi tra O ed l. L'elemento di turbina descritto inizialmente, ad esempio, è caratterizzato dall'avere R = O, in quanto l 'espansione del fluido avviene completamente nella parte fissa; un elemento di questo tipo è anche definito ad azione. Si può dunque concludere che uno stadio di turbina, ad azione o a reazione che sia, è costituito sempre da due organi caratteristici fondamentali e precisa­ mente da uno fisso (statore) e da un altro mobile (rotore o girante). Lo statore ha il compito esclusivo di realizzare la trasformazione di energia di pressione in energia cinetica (entrambe di prima specie ) mentre il rotore, in quanto mobile, è il solo organo demandato al trasferimento di lavoro meccanico all'esterno. Per valori di R :f. O esso può tuttavia consentire anche l 'espansione del fluido, con conseguente accelerazione, e quindi svolgere un compito analogo a quello dello statore che, essendo fisso, non può mai svolgere il compito peculiare del rotore, e cioè il trasferimento di energia meccanica all'esterno. La differenza sostanziale tra una macchina motrice alternativa ed una dina-

1 62

Macchine

mica consiste dunque, limitatamente al trasferimento di energia, nel fatto che nella prima l 'energia di pressione si trasferisce direttamente all'esterno sotto forma di lavoro meccanico, mentre nella seconda si ha prima una trasformazione nello statore di energia di pressione in energia cinetica, che può essere completa o parziale a seconda se il grado di reazione R è uguale a zero o diverso da zero, quindi, mediante il rotore, un trasferimento di energia all'esterno sotto forma di lavoro meccanico. Quest'ultimo viene prelevato unicamente dall'energia cinetica del fluido nel caso in cui è R = O, oppure parte dall'energia cinetica e parte dall'energia di pressione del fluido nel caso in cui è R * O ed in proporzioni che dipendono dal valore di R. Si osservi infine che l'elemento di turbina descritto è di tipo assiale in quanto il fluido percorre la macchina mantenendosi a distanza praticamente costante dall'asse di rotazione. Sulla base di quanto esposto si può passare ad illustrare più speditamente il funzionamento di una macchina operatrice dinamica, una macchina cioè che assorbe lavoro dall'esterno per trasferirlo al fluido che la attraversa. Allo scopo si faccia riferimento ad un compressore centrifugo, nel quale il fluido muovendosi in direzione prevalentemente radiale dal centro verso la periferia ( ortogonal­ mente all'asse di rotazione) realizzi una compressione adiabatica reversibile 0-2 (Fig. IV.ll ). Per la (3-60) il lavoro assorbito L02 vale:

ed è visualizzabile mediante l'area A 02B nel piano p v di fig. IV. l l o mediante il segmento 0-2 nel piano hs di fig. IV. l l . Anche nelle macchine operatrici, come i n quelle motrici, si può parlare di un organo fisso e da un organo mobile (Fig. IV.l2), con la

stadio costituito da p B

h

f-_P_..2_..,. o

t o v

Fig. I V. l l Rappresentazione nei piani reversibile in uno stadio di compressore. -

s

pv

ed hs di una compressione adiabatica

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

1 63

differenza che, in questo caso, il fluido incontra evidentemente prima la parte mobile e poi la parte fissa. Nella parte mobile, detta girante ed indicata con l in fig. IV. 1 2, viene infatti trasferita al fluido l 'energia meccanica fornita dal motore cui la girante stessa è collegata; tale energia di prima specie la si può trovare, in linea di principio, tutta sotto forma di energia cinetica in seno al fluido che lascia quindi la girante con una velocità assoluta maggiore rispetto a quella che aveva in ingresso e con pressione uguale a quella p0 di ingresso. Nella successiva parte fissa, che prende il nome di diffusore (2 in fig. IV.12), si ha il rallentamento del fluido con trasformazione di energia cinetica in energia di pressione ed incre­ mento di pressione da Po a P2· In un elemento o stadio di compressore dinamico hanno luogo dunque le stesse operazioni, ma di segno opposto a quelle che si realizzano nello stadio di turbina inizialmente descritto. Infatti anche nella girante del compressore si ha un trasferimento di energia meccanica con la differenza però che tale energia viene prelevata dall'esterno e somministrata al fluido mentre nella turbina accade il contrario; anche nella parte fissa del compressore si ha solo una trasformazione con la differenza che nella turbina avviene una espansione con conseguente accelerazione mentre qui si ha una decelerazione del fluido con conseguente compressione. Infine, anche per la girante di un compressore si può parlare di grado di reazione R t= O e ciò accade evidentemente quando l 'energia meccanica che la girante trasferisce al fluido viene da quest'ultimo acquisita parte sotto forma di incremento di energia cinetica e parte sotto forma di incremento di energia di

/

Fig. I V . 1 2 l . Girante;

-

2.

Rappresentazione schematica di uno stadio di compressore centrifugo. Diffusore.

1 64

Macchine

pressione e pertanto il fluido lascia la girante ad una pressione p, > p0 (Fig. IV. l l). La decelerazione che il fluido subisce nel diffusore posto a valle della girante è in questo caso certamente più modesta. Il grado di reazione R è espresso ancora mediante la (4-42) in quanto anche nel caso di macchina operatrice esso è fornito dal rapporto tra la variazione di entalpia (questa volta incremento) che si è realizzata nella parte mobile e quella che si è avuta in tutto lo stadio. Inoltre, anche qui la parte fissa può assolvere ad un solo compito che è quello di decelerare il fluido, in misura maggiore o minore a seconda se il grado di reazione R della girante è piccolo o grande; la parte mobile invece assolve senz'altro al compito di trasferimento dell'energia meccanica al fluido ma, per valori del grado di reazione diversi da zero, può realizzare anche un incremento di pressione del fluido al pari del diffusore4• A maggior chiarimento in fig. IV. 1 3 si riporta la vista in sezione di un compressore centrifugo con grado di reazione diverso da zero con gli andamenti della pressione p e della velocità assoluta c del fluido nella girante e nel diffusore. Alla luce di quanto esposto si conclude che l 'espressione ( 4-1 3 ) può essere utilizzata per fornire il valore del rendimento di una girante centrifuga con grado di reazione R * O.

3

Fig. I V. 1 3 Andamento cle l i a pressione p c d e l l a v e l o c i t à asso l u ta c ciel fluido nell 'attraversamento eli uno stadio eli compressore centrifugo con grado eli reazione R * O. l. Girante; 2. Diffusore; 3. Voluta di scarico. -

4 Nei Ca pp. XI e XI I, che riguardano esclusivamente le macchine operatrici, si chiarirà che i compressori e le pompe presentano sempre un valore del grado di reazione R diverso da zero.

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

IV.7. Trasferimento di lavoro Equazione di Eulero

m

1 65

una macchina dinamica -

La relazione fondamentale che consente di valutare il lavoro (o la potenza) scambiato tra fluido e rotore di una generica turbomacchina (motrice od opera­ trice) è piuttosto semplice ed altro non è se non una forma della legge di Newton del moto applicata al fluido che l'attraversa. Con riferimento alla fig. I V. l 4 si consideri una generica girante G ruotante intorno al proprio asse a-a ' con velocità angolare w e si supponga che il fluido che l'attraversa entri al raggio r , [m] con velocità assoluta c, [m/s] e, dopo un percorso che per il momento non è necessario precisare, esca dal rotore al raggio r2 =t r, con velocità assoluta c2 =t c,, sia in modulo che in direzione. I vettori velocità c, e c2 possono essere entrambi scomposti (Fig. IV.14) nelle tre componenti mutuamente ortogonali: parallele all'asse di rotazione, che forni­ scono le componenti assiali c," e c2"; dirette lungo un raggio del rotore ortogonal­ mente all'asse di rotazione, e cioè le componenti meridiane (o radiali) c,.., e C2..,; quelle, infine, dirette ortogonalmente al raggio che coincidono con le componenti tangenziali c," e C2,. La variazione delle componenti assiali della velocità genera una forza diretta assialmente che tende a spostare il rotore e che viene assorbita dagli appositi cuscinetti di spinta alloggiati nella cassa ricoprente il rotore; la variazione delle componenti meridiane della velocità genera invece una forza che, opportuna-

a' l l

l(

"

..... .......

l l l

'.....V

'

(.,'\�

a

Fig. I V . 1 4 - Rappresentazione schematica di un rotore di turbomacchina e componenti della velocità assoluta del fluido in ingresso ed in uscita.

1 66

Macchine

mente contrastata dai cuscinetti portanti, si limita a far inflettere l 'albero del rotore. Le citate componenti assiali e meridiane, dunque, causano forze applicate a punti del rotore non dotati di moto nella direzione delle forze stesse e pertanto non possono produrre lavoro. Solo le componenti tangenziali c,, e c2,, invece, giacenti nel piano del rotore (normale all'asse di rotazione) e i cui punti di applicazione sono dotati di movimento, possono essere causa di forze in grado di dar luogo a scambi di lavoro tra la girante ed il fluido che la attraversa. Ciò avviene in virtù del noto principio della dinamica per cui la variazione della quantità di moto, ossia del prodotto massa x velocità, è uguale all'impulso (prodotto forza x tempo) delle forze agenti; ovvero, se si tratta di moto a carattere rotazionale, la variazione del momento della quantità di moto rispetto all'asse di rotazione è uguale al mo­ mento dell'impulso delle forze agenti. Pertanto, applicando tale principio alla girante in esame, e relativamente alla direzione tangenziale (essendo l'unica di possibile movimento), si ha che un elemento di massa dm che attraversa la girante stessa nel tempo dt subisce una variazione del momento della quantità di moto dal valore dm r , c , , in ingresso a quello dm r2c2, in uscita. Tale variazione è uguale (se si tratta di macchina operatrice) al momento dell'impulso impresso al fluido durante il passaggio, e cioè si può scrivere:

Essendo dm/dt uguale alla portata massica m(kg/s], si ha infine il momento applicato al fluido: ( 4-43) Tale momento, moltiplicato per la velocità angolare w(rad/s] della girante, fornisce la potenza P[W] scambiata tra fluido e girante: ( 4-44) ed indicando con ( 4-44) fornisce:

u =

w r la velocità periferica del generico punto del rotore, la ( 4-45)

Se nella ( 4-45) la portata rn viene sostituita dalla massa m, si avrà ovviamente il lavoro L (non più la potenza), scambiato tra fluido e girante:

L

( 4-46)

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

1 67

e riferendosi alla massa unitaria, si ha infine:

L = (u 1 c 111 In unità del sistema tecnico la

-

u 2 c 211 ) [J/kg]

( 4-45)

(4-47)

e la ( 4-47) forniscono rispettivamente:

p

( 4-45')

L

( 4-47')

avendo indicato con G [kp/s] la portata ponderale di fluido e con g[m/s2] l'accele­ razione di gravità. Si osservi che le ( 4-47) e ( 4-47') sono forme dell'equazione di Eulero valide per qualsiasi turbomacchina, motrice od operatrice, ad azione o a reazione, sia assiale che radiale, e da esse si trae tra l'altro l'importante conclusione che il lavoro trasferito a ciascun chilogrammo (o kp) di fluido dipende esclusivamente dalle caratteristiche geometriche della girante e dalla sua velocità di rotazione5, ma non dal tipo di fluido che attraversa la girante stessa. Nelle espressioni citate non compare infatti nessuno dei parametri utili a caratterizzare il fluido quali ad esempio la densità Q, il rapporto k tra i calori specifici cl' e c,. o la costante R; ciò significa che la girante di una macchina operatrice, caratterizzata da una assegnata geometria e che ruoti ad una velocità di rotazione costante, trasferisce lo stesso lavoro a ciascun chilogrammo di fluido che la attraversa indipendentemente dal fatto che il fluido sia incomprimibile (liquido) o comprimibile (gassoso). Si applichi ora l'equazione di Eulero alla girante centrifuga di fig. IV.15 e siano c 1 e c2 le componenti nel piano della girante delle velocità assolute del fluido rispettivamente in ingresso ed in uscita dalla stessa. Dette u1 = w r1 ed u2 = w r2 le velocità periferiche della girante nelle sezioni di ingresso e di uscita del fluido è possibile individuare la velocità relativa w del fluido rispetto alla girante sia nella sezione di ingresso che in quella di uscita sottraendo vettorialmente alla velocità assoluta c la velocità periferica u :

Si hanno quindi i due triangoli d i fig. IV.l 5 che prendono il nome di triangoli di velocità in quanto i loro lati sono costituiti da vettori velocità. 5 Si ricorda la relazione: u = n Dn/60 tra la velocità periferica u(m/s], il diametro D (m] e l a velocità di rotazione n(giri/min].

1 68

Macchine

Fig. IV. 1 5 uscita.

-

Girante di compressore centrifugo e triangoli di velocità in ingresso ed in

Indicando con a1 ed a2 gli angoli che c1 e c1 formano rispettivamente con u1 ed u1, è possibile esprimere le componenti tangenziali c1, e c1, in funzione di a1 e di a2 e pertanto la (4-45) fornisce: ( 4-48) Una seconda forma dell'equazione di Eulero può essere derivata dalla (4-48) applicando ai triangoli di fig. IV. l 5 il noto teorema di Carnot in base al quale risulta: ( 4-49) ( 4-50) Le espressioni di u1c1 cos a1 e di u2c2 cos a2 ricavate rispettivamente dalle (4-49) e (4-50) e sostituite nella (4-48) forniscono: ( 4-5 1 ) espressione d i grande efficacia, come s i vedrà, per comprendere il funzionamento di una macchina dinamica.

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

1 69

S i osservi che il primo termine della ( 4-5 1 ) vale a dire l a differenza (eT cD/2 rappresenta l'incremento di energia cinetica che si è realizzato nel fluido in seguito alla somministrazione di lavoro meccanico attraverso la girante e che si convertirà i n energia di pressione, quindi i n incremento di entalpia, nel diffusore a valle della stessa. Gli altri due termini della ( 4-5 1 ) rappresentano invece l'aliquota di lavoro meccanico trasferita al fluido sempre attraverso la girante e che determina nella girante stessa incremento di energia di pressione, ovvero di entalpia. È evidente allora che è possibile ricavare un'altra espressione molto utile del grado di reazione: -

,

w 22 - w 2 l

R

c 2l -

2

c2 2

2

+

+

u 2 - u 22 l

w2 - w2 2

l

2

2

+

u2 - u�

( 4-52)

l

2

che corrisponde appunto al rapporto tra la variazione di entalpia che ha avuto luogo nella girante e quella totale. Con ragionamento perfettamente analogo la ( 4-52) può essere applicata ovviamente ad uno stadio di turbina costituito, come si è visto al par. IV.6, dall'insieme ugello fisso-ruota mobile.

IV.S. Applicazioni dell'equazione di Eulero La relazione di Eulero, nelle forme ( 4-48) e ( 4-51 ) , può essere evidentemente applicata all'elemento di turbina assiale ad azione descritto al par. IV.6 ed illustrato in fig. IV.9. In tal caso, muovendosi il fluido parallelamente all'asse della macchina, si verifica che il raggio r1 relativo alla sezione di ingresso del fluido nella girante risulta uguale al raggio r2 relativo alla sezione di uscita il ch è comporta l'uguaglianza delle rispettive velocità periferiche (u1 = u 2 = u) e per­ tanto la (4-48) e la (4-5 1 ) si particolarizzano nelle: ( 4-53) (4-54) Nel caso di macchina assiale, volendo rappresentare i condotti mobili 2 di fig. IV.9 ed il moto del fluido mediante i triangoli di velocità, si immagina di

170

Macchine

u

u

u

Fig. IY. l 6 Rappresentazione polare dei triangoli di velocità relativi ad uno stadio di turbina assiale ad azione. -

sviluppare sul piano del foglio la sezione cilindrica del sistema in corrispondenza del raggio che interessa. Nella fig. IV.1 6 è rappresentata appunto la sezione cilindrica di una parte della palettatura dello statore e del rotore della turbina assiale ad azione di fig. IV.9, il cui funzionamento è stato descritto al par. IV.6, nonché i triangoli di velocità in ingresso ed in uscita. Dalla fig. IV.16 si osserva che, oltre a risultare U 1 = u2 = u (macchina assiale), è anche w2 = w 1 in quanto, trattandosi di stadio ad azione, non c'è possibilità di accelerare il fluido nel rotore essendosi l'espansione (e cioè la conversione di energia di pressione in energia cinetica) completata per intero nello statore. I triangoli di velocità sono frequentemente usati nella rappresentazione po­ lare, riportati cioè, per comodità di visualizzazione, in uno stesso vertice così come illustrato nella stessa fig. IV. l 6. Si ricorda ora che descrivendo il funzionamento di uno stadio ad azione si è mostrato che i l lavoro trasferito all 'esterno per ogni chilogrammo di fluido risulta pari alla diminuzione di energia cinetica (ci - c�)/2 subita dal chilogrammo di fluido nell'attraversamento del rotore, e quindi tanto maggiore quanto più pic­ cola è la c2• Questa attinge il valore minimo, compatibilmente con la necessità di scaricare comunque ii fluido dalla macchina, quando è diretta assialmente ed i triangoli di velocità assumono, in tal caso, la configurazione di fig. IV.l7. D a tale figura si deduce che per realizzare le condizioni di scarico assiale deve risultare: 1

c cos

a1

=

2u

e cioé:

u/ c1

( 4-55)

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

1 71

A

u

Fig. IY. l 7 - Rappresentazione polare dei triangoli di velocità relativi ad uno stadio di turbina assiale ad azione in condizioni di massimo rendimento (scarico assiale ) .

i l che significa che la velocità periferica della girante e quella c, d i uscita del fluido dal boccaglio non sono indipendenti l'una dall'altra ma risultano invece legate dal rapporto indicato dalla ( 4-55). Si osservi che l'energia cinetica relativa alla velocità c2 rappresenta l'aliquota di energia non trasferita dal fluido alla girante e quindi la perdita dello stadio che risulta essere l'unica nel caso di tra­ sformazione reversibile. Il rendimento dello stadio YJ, sarà dunque espresso dalla relazione:

c�/2 - c�/2 c�/2

( 4-56)

Nelle condizioni di massimo espresse dalla assume il valore:

( 4-55),

il rendimento di stadio

( 4-57) da cui è facile dedurre che 11,,, è tanto maggiore quanto più piccolo è a,. Bisogna però osservare che la riduzione di a , e di c2 comporta palette di altezza sempre crescente se si vuole smaltire un'assegnata portata volumetrica; per tale motivo e per altre considerazioni relative al progetto della macchina gli angoli a, sono di solito compresi tra 15" e 20". È interessante a questo punto evidenziare come le espressioni ( 4-53) e ( 4-54) siano perfettamente equivalenti. Con riferimento infatti ai triangoli di velocità di uno stadio assiale ( u , = u2 ) ad azione ( w , = w2 ) riportati in fig. IV.17, la (4-53) for­ nisce:

p

ih U

(2

u

-

O)

1 72

Macchine

mentre la (4-54) dà:

P

=

ri1

(c f - c �)/2

espressione alla quale si era pervenuti già nel par. IV.6 con un semplice bilancio energetico applicato all'insieme statore-rotore. Applicando ora il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo ABC (Fig. IV. l7), si ha che (cf - cD = (2 u ) 2 2 da cui discende ancora P 111 2 u • Tale valore della potenza è positivo in ossequio alla convenzione adottata per il segno del lavoro. =

2

Fig. IV. l 8 - Stadio a reazione di una turbina assiale. l . Paletta statorica; 2. Paletta rotorica.

Se si considera ora uno stadio a reazione, ancora di una macchina assiale, (Fig. IV.l8) è facile prevedere che i triangoli di velocità si presentano in forma diversa rispetto a quelli di uno stadio ad azione. Questa volta infatti, sagomando

Rendimenli e principi di funzionamenlo delle macchine a fluido

1 73

opportunamente le pale che costituiscono i condotti mobili, si consente al fluido di realizzarvi un'espansione, analogamente a quanto accade nello statore, con trasformazione di energia di pressione in energia cinetica e pertanto il fluido abbandona il rotore con una velocità w2 > w,. La ( 4-54) non subisce modifiche per cui:

(4-54) ed infatti, il lavoro trasferito all'esterno in uno stadio a reazione non è dovuto solo alla diminuzione di energia cinetica (cf - cD/2 , così come nello stadio ad azione, ma anche alla diminuzione di energia di pressione valutabile come

(w� - wT)/2.

l triangoli di velocità per uno stadio con R 0,5, sempre in condizioni di scarico assiale, assumono la forma riportata in fig. IY. l 9 dalla quale si deduce che in condizioni di massimo rendimento il rapporto caratteristico u/c, assume il valore: =

u/ c 1

=

cos

a1

( 4-58)

Dall'esame della fig. IV.19 si osserva che risultando c, = w2 e w, c2 (triangoli simmetrici ) i due termini della ( 4-54) risultano uguali tra loro e quindi, ricor­ dando che per una macchina assiale è u, = u2, la (4-52) conferma che il grado di reazione R vale 0,5. Il rendimento 11, di uno stadio a reazione è esprimibile mediante il rapporto: =

(cf - c�)/2 + (w� - w f)/2 cf/2 + (w� - w f)/2

( 4-59)

Fig. IV. 1 9 - Rappresentazione p o l a re dei triangoli di velocità relativi ad uno stadio eli turbina assiale con grado di reazione R = 0,5 in condizioni di massimo rendimento (scarico assiale ) .

l 74

Macchine

tra l'energia cinetica trasferita all'esterno sotto forma di lavoro meccanico, do­ vuta questa volta alle variazioni sia della velocità assoluta c che di quella relativa w , e l'energia globalmente disponibile nello stadio stesso. Con riferimento alla fig. IV. l 9 la ( 4-59) fornisce il rendimento massimo: 2

2

cos

l +

2

cos

a1

2

a1

( 4-60)

Confrontando la ( 4-60) con la ( 4-57) segue che, a parità di a,, il rendimento di uno stadio a reazione risulta superiore a quello di uno stadio ad azione6• Ciò si spiega facilmente osservando che in uno stadio ad azione la c , è notevolmente più elevata per cui risultano anche maggiori, in proporzione, la c2 e quindi la perdita allo scarico. Anche nel caso di uno stadio con R = 0,5 è possibile ovviamente mostrare come le espressioni ( 4-53) e ( 4-54) forniscono lo stesso valore della potenza trasferita. Con riferimento infatti alla rappresentazione di fig. IV.19, la (4-53) fornisce:

P

=

m u (u

Applicando ancora il teorema di di fig. IV. l 9 si ha:

e pertanto dalla

( 4-54)

-

0)

= rh u 2

Pitagora ai triangoli rettangoli BCA e BCD

s1 ottiene ancora:

Si ritiene opportuno precisare che, in base alla ( 4-35), la potenza erogata da uno stadio ad azione o a reazione dipende, per una assegnata portata di fluido, dalla diminuzione di entalpia che il fluido realizza nello stadio stesso. A parità dunque di caduta entalpica e di portata fn lo stadio a reazione eroga lo stesso valore della potenza dello stadio ad azione con la differenza che nel primo il lavoro trasferito proviene sia dalla diminuzione dell'energia cinetica che dalla

6 Per a , 0,883 in uno stadio ad azione ed 'l""'"' 0,938 in uno stadio con grado di 20° si ha: 'l, reazione R = 0,5. È opportuno comunque precisare che nel caso reale, a causa delle perdite di natura fluodinamica, i rendimenti effettivi sono sensibilmente minori. =

...x

=

=

Rendimenti e principi di funzionamento delle macchine a fluido

1 75

diminuzione dell'energia di pressione subite dal fluido nel rotore, mentre nel secondo lo stesso valore del lavoro trasferito deriva solo dalla diminuzione di energia cinetica subita ovviamente dal fluido sempre nel rotore.

IV.9. Confronto tra stadio ad azione (R con R 0,5

O) e stadio a reazwne

=

Si vedrà che le turbine (a vapore ed a gas) sono costituite in genere da più stadi sia ad azione che a reazione (in particolare quelle a vapore) ed è pertanto opportuno approfondire lo studio di questi diversi tipi di stadio per comprendere i motivi che fanno cadere la scelta del progettista su un tipo piuttosto che sull'altro. In questo paragrafo si mettono pertanto a confronto uno stadio ad azione (R = O) ed uno stadio con R = 0,5 e, affinché il confronto risulti significativo, si suppone che in entrambi i casi si realizzino le condizioni di massimo rendimento (quindi velocità di scarico assiale) e che l'angolo a , assuma lo stesso valore per entrambi i tipi di stadio.

Confronto a parità di salto entalpico !;;.h smaltito nello stadio R

=

O

I n tal caso il salto entalpico !;;.h si converte integralmente cinetica nello statore in base alla relazione:

c7 /2

=

m

energia

!;;.h

da cm si ha:

Dalla condizione di massimo rendimento fornita dalla ( 4 5 5 ) segue: -

( 4-61) R

0,5

In tal caso solo metà del salto entalpico cinetica nello statore:

c7 /2 da cm si ha:

6.h!2

!;;.h

si converte in energia

1 76

Macchine

D alla condizione di massimo rendimento fornita dalla

( 4-58)

segue:

( 4-62) Confrontando la

( 4-61)

con la

si ha:

({i5:hl fi ) cos {L5:h cos a 1

u w,) , mentre il terzo è positivo nel caso di macchina centripeta (u, > u2) e negativo nel caso di macchina centrifuga (u, < uJ. È evidente però che la somma dei tre termini esaminati deve comunque essere pari alla diminuzione di entalpia (ho ­ h2) o, il che è lo stesso, alla diminuzione di energia di pressione pari a f v·dp così come indicato dalla ( 4-67). Ciò significa che nel caso di macchina motrice centri­ fuga, per la quale il termine (uf - u�)/2 risulta negativo, gli altri due termini devono avere valori certamente più elevati rispetto a quelli che avrebbero se la macchina fosse centripeta e cioè con (uf - uD/2 > O. La convenienza allora di realizzare la macchina motrice centripeta anziché centrifuga sembra non trovare giustificazione alla luce di quanto esposto poiché il lavoro trasferito all'esterno dipende esclusivamente dalla diminuzione di entalpia o di energia di pressione subita dal fluido e non può certo essere alterato dal fatto di realizzare la girante di tipo centrifugo piuttosto che centripeto. B isogna osservare però che nel discorso portato avanti finora non si è fatto riferimento alcuno alle perdite, dovute essenzialmente alla viscosità del fluido, che comportando degradazione di energia riducono in definitiva il lavoro mecca­ nico reso disponibile all'esterno sull'asse della macchina. Tali perdite dipendono, tra l'altro, dalle velocità assoluta e relativa con le quali il fluido attraversa la macchina, velocità che risultano maggiori nel caso di girante motrice centrifuga in quanto i termini (cf - cD/2, e (w� - wf}/2, entrambi positivi, devono assumere valori tali che la loro somma, pur decurtata del valore (uf - u� )12, questa volta negativo, fornisca un valore pari ad L02• Per tale motivo quindi si realizzano giranti motrici centripete caratterizzate da perdite minori grazie ai minori valori dei termini ( CT - cD/2 e (w� - wT)/2 in quanto in questo caso ad essi va sommato, e non sottratto, il termine (uf - uD/2. Con analoghe considerazioni si perviene alla conclusione che è opportuno, vj­ ceversa, realizzare giranti centrifughe nel caso di macchine operatrici radiali. Si os­ servi che i termini (cf - cD/2 e (w� - wf}/2 sono, in questo caso, entrambi negativi.

Bibliografia C. n ' A MELIO, Le R. DELLA VoLPE, Napoli 1989.

Turbine a Vapore, Liguori Editore, Napoli 1977. Impianti Motori per la Propulsione Navale, Liguori

Editore,

Capitolo quinto

Generatori di vapore

V. l . Generalità I generatori di vapore (caldaie) sono ormai diffusi nella tecnica moderna, non solo negli impianti motori delle centrali termoelettriche tradizionali e di tipo nucleare (in quest'ultimo caso, però, presentano caratteristiche del tutto partico­ lari ) , negli impianti di propulsione e soprattutto ausiliari di molte navi, ma anche in numerose applicazioni industriali: procedimenti di produzione della carta, di essiccamento, di distillazione, ecc., azionamento di macchine quali, ad esempio, magli e presse. Trovano anche impiego negli impianti di riscaldamento, che possono essere ad acqua calda o, appunto, a vapore; nella trazione ferroviaria, in particolare in quei Paesi ove, per la presenza di cospicui giacimenti di carbone, non si è ancora generalizzata la trazione elettrica. Si può dire con certezza, quindi, che le caldaie a vapore, di cui esistono svariatissime soluzioni costruttive, spesso molto differenti per caratteristiche fun­ zionali e dimensioni, rappresentano una indispensabile parte delle conoscenze di base di qualsiasi tecnico del settore meccanico. Notevole influenza sul tipo di caldaia hanno pressione, temperatura e produ­ zione di vapore, quest'ultima detta anche potenzialità del generatore ed espressa, nell'uso tecnico corrente, in chilogrammi per ora o in tonnellate per ora. La produzione di vapore, poi, in rapporto alla superficie totale evaporante, in mZ, definisce la potenzialità specifica della caldaia.

V.2. Caldaie a grande corpo e a tubi di fumo Le caldaie più semplici e di origine più antica sono quelle cilindriche tipo Cornovaglia, risalenti al periodo 1810 + 1814, nelle quali, come mostra la fig. V.l , i l focolare è disposto eccentricamente rispetto a l corpo cilindrico principale, di dimensioni variabili, in genere, da l m a 2,5 m circa. In questo modo ai due lati del forno, in conseguenza della diversa quantità di calore ricevuta dal l ' unità di

1 80

Macchine

massa di liquido, si realizza una differente intensità di evaporazione che favorisce la circolazione (nel senso indicato dalle frecce) e quindi la trasmissione del calore. I gas prodotti dalla combustione compiono un percorso tortuoso uscendo dal tubo-forno, ritornando verso il fronte della caldaia ed infine dirigendosi verso il camino disposto sul lato posteriore; si aumenta così il tempo di contatto fra i gas e le pareti a tutto vantaggio della intensità dello scambio termico.

2 V. l Caldaia tipo Corno vaglia per impianto fisso. l. Griglia; 2. Forno ondulato; 3. Duomo; 4. Ingresso acqua alimento;

Fig.

-

5.

Uscita vapore.

Questi generatori sono ancora oggi usati in piccoli impianti per pressioni modeste, sui 12 -T- 15 bar, superfici di 40 -T- SO m2 e potenzialità intorno a 1,4 -T- 1,5 ton nella te/ora. Un rilevante incremento della superficie di scambio termico si ottiene con le caldaie a tubi di fumo, di cui esistono due fondamentali versioni: a ritorno di fiamma ed a fiamma diretta. La caldaia a ritorno di fiamma, nota anche come caldaia scozzese (1862), ha avuto per il passato vastissimo impiego in campo navale, per essere poi soppian­ tata dalle più vantaggiose caldaie a tubi di acqua. Dalla fig. V.2 si vede che i gas, dopo il passaggio nel focolare, tornano indietro attraverso una serie di tubi disposti superiormente al forno. Il diametro del corpo cilindrico può raggiungere i 5 metri, con due o tre forni ed a volte, prolungando il corpo cilindrico e disponendo i forni su ambedue i fondi di chiusura, sono state costruite anche caldaie a due fronti. La superficie di scambio arriva a 300 1112 nelle caldaie ad un fronte e a 600 m2 in quelle a due fronti, con potenzialità di vapore pari a 10 -T- 20 t/h. Se i tubi sono invece in prosecuzione del focolare si hanno le caldaie a fiamma diretta (Fig. V.3), che risultano di minor diametro e più adatte quindi per le locomotive a vapore per la trazione ferroviaria. Come si è già accennato le caldaie tipo Cornovaglia o a tubi di fumo, se sono da tempo scomparse nei grandi impianti motori (terrestri e navali) , trovano

Generatori di vapore 4

2

181

5

3

Fig. V.2 l. Griglia;

-

2.

Caldaia scozzese a ritorno di fiamma. Fasci tubieri; 3. Surriscaldatore; 4. Cassa a fumo;

5.

Tiranti.

tuttavia ancora frequente impiego in campo industriale per valori limitati della pressione e per produzioni di vapore non superiori, di solito, alle 7 + 8 t/h.

V.3. Caldaie a tubi di acqua Queste caldaie risultano costituite essenzialmente da un involucro nel quale sono opportunamente disposti grossi fasci tubieri, lambiti dall'esterno dai gas caldi mentre il liquido, o la miscela liquido-vapore, circola all'interno dei tubi. Le prime caldaie a tubi di acqua sono anch'esse molto antiche (1850 + 1870) e per un lungo periodo la loro affermazione è stata piuttosto lenta. In questo secolo esse hanno però gradualmente soppiantato le caldaie a tubi di fumo, sino ad acquisire, da vari decenni, l'esclusivo dominio in tutti gli impianti medi e grandi. L'elevato numero di tubi, di piccolo diametro, a loro volta collegati con un corpo cilindrico collettore di diametro limitato, consente infatti di aumentare no­ tevolmente la pressione di esercizio, la superficie di scambio termico e quindi la produzione di vapore, venendo così incontro alle estgenze dei grandi impianti

1 82

Macchine

2

3

Fig. V.3 - Caldaia tipo locomotiva a fiamma diretta. l . Forno; 2. Griglia; 3. Tubi di fumo; 4. Tiranti; 5. D uomo.

motori quali le centrali termoelettriche e, in qualche caso, gli apparati per l a propulsione navale. Negli schemi elementari di fig. V.4 sono riportate le due versioni a tubi di acqua sub-orizzontali (a) e a tubi di acqua sub-verticali (b) . Nella prima il fascio tubiero vaporizzatore è di poco inclinato sull'orizzontale, nell'altra invece è disposto in direzione quasi verticale o verticale. Tutti i tubi vaporizzatori si collegano ad un collettore superiore, da cui il liquido immesso dalla pompa di alimento ( alla pressione richiesta ) e quello non ancora vaporizzato discendono attraverso alcuni tubi più lontani dalla zona della

3 2 4 a)

2 b)

Fig. V.4 - Caldaie a tubi eli acqua. a) A tubi suborizzontali; b) A tubi subverticali. l. Collettore superiore; 2. Fasci tubieri vaporizzatori; 3. Surriscalda/ore; 4. Economizzatore.

Generatori di vapore

183

fiamma; nei tubi inclinati o verticali, direttamente sottoposti all'irradiazione della fiamma, si ha una parziale evaporazione ed il miscuglio acqua-vapore, di densità minore, risale sino a ritornare nel collettore. Qui avviene la separazione del vapore, che viene inviato all'utilizzazione, dall'acqua che ritorna successivamente in circolo insieme al nuovo liquido immesso, e si realizza così un moto continuo e spontaneo (circolazione). Esaminando gli schemi di fig. V.4 e considerando che l 'entalpia H di un vapore surriscaldato è esprimibile mediante la relazione:

H

=

h1 + r

+

c 11111 (t - t.J

si nota che il liquido proveniente dalla pompa di alimento viene preriscaldato nell'economizzatore, disposto verso l'uscita del percorso dei fumi, giunge poi nel collettore inferiore dove inizia il moto circolatorio prima descritto nel fascio vaporizzatore e riceve la quantità di calore r (calore di evaporazione); passa quindi nel collettore superiore ed infine nel surriscaldatore ricevendo la quantità di calore necessaria a portarlo, dalla temperatura di saturazione t, fino alla temperatura finale t prevista. Il percorso dei fumi inizia nella camera di combustione, dove parte del calore viene ceduto ai tubi per irraggiamento, ed essi lambiscono prima i l fascio tubiero vaporizzatore, e poi, nell'ordine, il surriscaldatore e l'economizzatore. Nelle caldaie a tubi di acqua l 'efficienza della circolazione è assai importante, poiché consente di accrescere l'attività della combustione e la produzione di vapore per unità di superficie dei tubi. Per tali scopi nei grandi generatori moderni si tende ad adottare soluzioni del tipo rappresentato schematicamente in fig. V.5. La camera di combustione, che si sviluppa verticalmente, è tappezzata com­ pletamente all'interno dai tubi vaporizzatori, tutti soggetti quindi, in uguale misura, alla diretta irradiazione della fiamma, mentre la fase di discesa si realizza esclusivamente in pochi e grossi tubi di caduta, disposti all'esterno ed isolati dal flusso termico. I ndicando con h l'altezza dei tubi misurata dal pelo libero nel collettore, con t.g la differenza di densità fra il liquido nei tubi di caduta ed il miscuglio acqua-vapore nei tubi vaporizzatori, la differenza di pressione t.p che genera il moto spontaneo è data da:

t.p

=

gh

.

t.Q

(5- 1 )

È facile dedurre dalla (5-1 ) come l'aumento dell'altezza h sia particolarmente favorevole per la circolazione, e questo spiega il vantaggio, da questo punto di vista, delle disposizioni a tubi sub-verticali e verticali. Rammentando i diagrammi del vapore saturo (par. I I I . 1 5 e fig. I II.37) si nota che le differenze tra le proprietà del vapore e del liquido vanno attenuandosi al

1 84

Macchù�e

crescere della pressione, per cui anche la differenza di densità t-.g decresce sino ad annullarsi al punto critico, dove i due stati coesistono. Questo spiega perché all'aumentare della pressione di esercizio, per compen­ sare la diminuzione di t-.g, bisogna costruire caldaie di altezza sempre maggiore. Al di sopra di 40 + 70 bar, infatti, le caldaie a tubi sub-orizzontali non possono essere più usate ed è necessario passare alle versioni a tubi sub-verticali e verticali. È da notare, d'altra parte, che una circolazione più efficiente ed una maggiore attività di combustione consentono pure una riduzione del diametro dei tubi, cosa non realizzabile nella disposizione a tubi sub-orizzontali per non ostacolare la già limitata circolazione. Si ha così che mentre nelle caldaie a tubi sub-orizzontali sono possibili potenzialità specifiche di 35 + 40 kg/m2h di vapore e potenzialità di 70 + 80 t/h, nelle caldaie a tubi sub-verticali e verticali si possono raggiungere valori di 40 + 50 kg/m2h sino a 100 kg/m2h e potenzialità di parecchie centinaia di t/h e, in qualche caso, anche superiori al migliaio di t/h. Ed è per queste ragioni che nelle grandi centrali termoelettriche, con elevati valori della pressione di esercizio e della potenzialità, si ricorre ormai esclusiva­ mente a caldaie a tubi verticali, funzionanti secondo lo schema di fig. V.5. È opportuno anche accennare che una circolazione efficiente evita l 'even­ tuale ristagno di bolle di vapore all'interno delle pareti dei tubi, con formazione di una sottile guaina (fenomeno dell'evaporazione pellicolare, o film boiling) che, riducendo il coefficiente di trasmissione del calore, può provocare pericolosi surriscaldamenti e cedimenti dei tubi.

h

Fig. Y.5

-

Schema di circolazione naturale.

t

Generatori di vapore

1 85

A pressioni dell'ordine di 150 + 160 bar, pur realizzando caldaie di notevole altezza, la differenza di densità f.. Q è talmente modesta che la circolazione naturale diventa comunque insufficiente. Poiché, d'altra parte, gli impianti termoelettrici, per migliorare i rendimenti e diminuire i consumi ed i costi di esercizio (si veda, in proposito, i l Cap. VI), devono spesso operare a pressioni più elevate e prossime a quella critica - e anche oltre - è necessario ad un certo punto passare ad una circolazione meccanica (o forzata) inserendo nel circuito una pompa con il compito di attivare artificialmente il moto del fluido. La circolazione meccanica assicura una migliore uniformità di flusso in tutti i tubi, cosa assai importante per la sicurezza dell'impianto, e consente pure l'ado­ zione di diametri minori (32 + 34 mm contro i 70 + 80 mm dei tubi con circolazione naturale); essa può quindi risultare conveniente già al di sopra di 130 bar. Nella pratica tecnica si hanno diverse soluzioni possibili per quanto riguarda la disposizione delle pompe o l 'uso di opportuni accorgimenti per esercitare un vero e proprio controllo del flusso in tutti i tubi (sistemi di circolazione combi­ nata, controllata, ecc.). La fig. V.6 mostra il generatore di vapore dei gruppi l e 2 da 320 MW ciascuno della centrale ENEL di La Spezia che funziona a 178 bar e alle tempera­ ture di 567/540"C nel primo e nel secondo surriscaldatore, con una potenzialità di 970 t/h di vapore. Si nota la pompa di circolazione alla base del tubo esterno di caduta, la ripartizione del surriscaldamento in quattro fasci tubieri in serie, di cui tre irradiati dalla fiamma ed il quarto a convezione, soluzione adottata per favorire una migliore regolazione della caldaia, e la presenza di un risurriscaldamento 1 •

V.4. Caldaie a tubi di acqua ad attraversamento forzato Per pressioni oltre 200 bar, spesso impiegate nei moderni impianti, anche per le caldaie a circolazione forzata cominciano a sorgere dei problemi quali la difficoltà nella costruzione del corpo cilindrico collettore, a causa delle elevate pressioni, e nella necessaria separazione tra acqua e vapore. In questi casi vengono perciò usati spesso generatori cosiddetti monotubolari, costituiti cioè da una serie di serpentini di notevole lunghezza, disposti in paral­ lelo, in ciascuno dei quali le varie fasi di riscaldamento,. evaporazione e surriscal­ damento si susseguono lungo l'unico percorso del fluido. In pratica, quindi, da

1

Come spesso avviene nei grandi impianti, il ciclo termodinamico prevede, dopo una parziale espansione, un secondo surriscaldamento (ciclo a surriscaldamento ripetuto o a risurriscaldamento) .

1 86

Macchine

Fig. Y.6 - Generatore di vapore della centrale termoelettrica di La Spezia. l . Collettore; 2. Tubo di caduta; 3. Pompa di circolazione acqua; 4. Economizzatore; 5. Preriscaldatore d'aria rotativo; 6. Primo surriscalda/ore; 7. Secondo surriscaldatore; 8. Terzo surriscalda/ore a convezione; 9. Quarto surriscalda/ore; 1 0. Risurriscaldatore.

una estremità entra il liquido e dall'altra esce direttamente il vapore surriscal­ dato; tali generatori sono perciò denominati anche ad attraversamento forzato in quanto non esiste più alcuna forma di circolazione. I più importanti di questa categoria sono i generatori Benson e Sulzer, che si distinguono sostanzialmente in alcuni dettagli costruttivi e nella disposizione dei tubi. La fig. V.7 riporta gli schemi semplificati dei due tipi, ed un particolare del fascio tubiero della caldaia Sulzer. In quest'ultima, come si nota dallo schema b) e dal particolare c ) del serpen-

Generatori di vapore

1 87

a)

- -

-

-

-

-

-

\ l

- �

-

-

-

l

c)

Fig. V.7 Schemi di caldaie ad attraversamento forzato. a) Caldaia Benson; b) Caldaia Sulzer; c) Particolare serpentini caldaia Sulzer. l . Ingresso fumi; 2. Uscita filmi; 3. Ingresso acqua; 4. Uscita vapore surriscaldato. -

tino, è adottata la disposizione detta a meandri, con i vari fasci di tubi opportuna­ mente sistemati lungo il percorso dei fumi; notare che tra l'ingresso dell'acqua e l'uscita del vapore surriscaldato la lunghezza di ciascun serpentino può essere dell'ordine di un chilometro. Nella caldaia Benson è frequentemente usata la costruzione detta a pacchetti, in cui più fasci di tubi in parallelo a diretto contatto con la fiamma sono tra loro collegati mediante un'altra serie di tubi esterni; il fluido nelle sue varie fasi

1 88

Macchine

compie sempre un unico percorso, con salite e discese, alternativamente, nei fasci interni e nei tubi esterni. Le caldaie monotubolari non si presentano molto diverse, nella loro struttura globale, da quelle a circolazione forzata prima descritte. A titolo di confronto si riporta in fig. V.8 un generatore ad attraversamento forzato che produce 1 . 860 t/h di vapore a 250 bar e 540oC. Si nota tra l'altro l 'assenza del corpo cilindrico collettore, caratteristico delle caldaie a circolazione naturale o forzata (Fig. V.6) mentre la camera di combu­ stione è sempre interamente tappezzata dai tubi.

V.5. Corpo cilindrico, fasci tubieri vaporizzatori, surriscaldatori, economizzatori e preriscaldatori d'aria Il corpo cilindrico collettore, in acciaio di spessore adeguato, ha soluzioni costruttive del tipo di fig. V.9. Il miscuglio acqua-vapore arriva dai tubi vaporizza tori l, passa attraverso i separatori centrifughi a ciclone 4 dove è costretto, per mezzo di palette opportu­ namente profilate, a seguire una traiettoria elicoidale; in tal modo l'acqua, di densità maggiore, viene centrifugata aderendo alle pareti interne, sale verso l'alto sfociando in un bordo a collare che la raccoglie e la rimanda verso il basso al disotto del pelo libero del liquido. Il vapore, invece, di densità minore, si dirige verso l'alto ai separatori secon­ dari 5 dove perde ogni ulteriore traccia di acqua eventualmente presente e infine esce dal tubo 3 per l'invio ai surriscaldatori. Il collettore è fornito anche di tubazioni per l'acqua di alimento, per l'immis­ sione di sostanze chimiche idonee a mantenere le volute condizioni del liquido (si veda par. V.9), e per lo spurgo continuo. I fasci tubieri vaporizzatori possono avere forma e disegno diversi (alcune soluzioni sono riportate nella precedente fig. V.4), oppure, come avviene nelle grandi caldaie moderne, possono tappezzare completamente dall'interno la ca­ mera di combustione. Si hanno così vere e proprie schermature di tubi di acciaio al cromo-molibdeno o austenitici, di cui la fig. V. l O mostra due possibili soluzioni: a) con tubi tangenti tra loro e saldati ad un involucro metallico (casing); b) a pannelli, dove i tubi sono saldati con l 'interposizione di alette che consentono di assorbire meglio eventuali difformità nelle dilatazioni. I surriscaldatori sono formati da fasci di tubi piegati ad U semplice (Fig. V.l l ) , oppure con piegatura multipla, disposti orizzontalmente o verticalmente nella caldaia (Fig. V.12a e b). I diametri sono variabili da 25 mm a 40 mm con spessori da 3 mm a 7 mm e al disopra di 500 + 550oC devono essere impiegati acciai speciali al cromo­ molibdeno o al cromo-nichel-molibdeno. In relazione alla posizione nella caldaia

Generatori di vapore

Fig. Y.S

-

Generatore d i vapore ad attraversamento forzato da 1 .860 t/h.

1 89

1 90

Macchine 5

5

2

Fig. V.9 - Sezione corpo cilindrico. l . Tubi vaporizzatori; 2. Tubo di caduta; 3. Tubo uscita vapore; Separatori secondari; 6. Essiccatori a reti filtranti.

4.

Separatm·e a ciclone;

5.

e quindi alla prevalente forma di captazione del calore, si distinguono in surriscal­ datori a irraggiamento, sistemati cioè in vista della fiamma, o a convezione quando si trovano più a valle nel percorso dei fumi. Anche gli economizzatori sono costituiti da fasci di tubi piegati a serpentino, ma di caratteristiche costruttive abbastanza diverse. Essi infatti sono assoggettati, dall'interno e dall'esterno, a temperature medie molto inferiori a quelle dei surriscaldatori; all'interno, come è noto, passa l'acqua,

2

3

4

a

l

2

3

b)

4

Fig. Y. l O Schermature con fasci tubieri v aporizzatori. a) Parete a tubi tangenti; b) Parete a pannelli. l . Primo strato isolante; isolante; 3. Isolante di finitura; 4. Involucro esterno. -

2.

Secondo strato

Generatori di vapore

191

ad una temperatura abbastanza inferiore a quella di ebollizione, mentre dall'e­ sterno sono lambiti dai gas verso la parte terminale del loro percorso.

3

Fig. V . l J l. Ingresso;

-

2

1

Fascio tubiero surriscaldatore piegato a U. Setto separa/ore; 3. Uscita.

2.

Si usano così tubi di diametro sino a 100 mm con spessori da 1 0 mm a 13 mm, per i quali è sufficiente l'uso di acciaio normale. Tuttavia , la limitata differenza di temperatura tra fluido caldo e fluido freddo rende necessario aumentare la superficie di scambio termico con apposite nervature o alette saldate, oppure ricavate per fusione su manicotti di ghisa che circondano i tubi. Particolari costruttivi degli economizzatori sono mostrati nella fig. V. l 3 . Un'altra operazione importante nelle caldaie è i l preriscaldamento dell'aria comburente, poiché in tal modo non solo si recupera (dopo l'economizzatore) una ulteriore aliquota del calore dei fumi, a tutto vantaggio del rendimento, ma si facilita il mescolamento aria-combustibile riducendo le perdite (incombusti, ecc. ), accelerando e migliorando infine l'intero processo di combustione. I preriscaldatori d'aria sono di tipo recuperativo o rigenerativo. Nei primi, fig. V.14, si ha un normale scambio termico fumi-aria attraverso una superficie tubolare. I secondi funzionano invece secondo un principio diffe­ rente e sono costituiti da un grosso tamburo cilindrico nel quale sono inseriti pacchetti di lamierini ondulati in senso verticale, piuttosto sottili (spessore di circa 0,5 mm), i quali, con adatto dispositivo, vengono attraversati alternativa­ mente dai fumi e dall'aria. In essi durante il passaggio dei fumi si realizza accumulo di calore, che viene poi ceduto all'aria durante il suo passaggio succes­ stvo. Con questo sistema il coefficiente globale di trasmissione è più alto e si possono concentrare estese superfici in volumi ridotti, con sensibili vantaggi economici, di peso, ingombro e facilità di pulizia. I preriscaldatori rigenerativi vengono realizzati in due versioni costruttive.

1 92

Macchine

a)

Fig. V. 1 2 - Fasci t ubieri surriscaldatori a piegatura multipla. a) Orizzontale; b) Verticale. l . Surriscalda/ore primario; 2. Surriscalda/ore secondario; 3. Ingresso secondario; 4. Uscita secondario; 5. Uscita primario; 6. Ingresso primario; 7. Fumi all'economizzatore; 8. Supporti.

Generatori di vapore

1 93

Nel tipo Ljungstrdm (Fig. V . l 5 ) il tamburo ruota lentamente (2 o 3 giri/min) ed i vari pacchetti di lamierini sono così alternativamente investiti dai fumi o dall'aria provenienti dai relativi condotti.

_ _ _

j

, ,

_ _ _

---�-- -Fig. V. l 3 - Particolari costruttivi degli economizzatori.

Nell'altra versione, tipo Rothemiihle, il tamburo con i lamierini è fermo, mentre l 'alternanza dei flussi è assicurata con maniche d 'aria rotanti (Fig. V.1 6). Economizzatori e preriscaldatori d'aria hanno la funzione di recuperare la massima quantità del calore dei fumi; tuttavia l'abbassamento della temperatura

4

3

t

2

Fig. V. l 4 - Preriscaldatore d 'aria di tipo recuperativo. l . Ingresso aria; 2. Uscita aria; 3. ingresso filmi; 4. Uscita jiuni.

1 94

Macchine

di uscita dei fumi dal camino non può andare oltre certi limiti, perché altrimenti l'acido solforico2 presente si condensa sui tubi dando luogo a corrosioni a volte intollerabili. I fenomeni di corrosione vengono comunque abbastanza contenuti riducendo al minimo l'eccesso d'aria nella combustione ed usando anche speciali additivi nei combustibili. Corrosioni sono peraltro possibili anche nei surriscaldatori, dove sovente si formano depositi ed incrostazioni assai pericolose poiché riducono i coefficienti di scambio termico e possono provocare forti aumenti di temperatura del metallo costituente i tubi. Di solito i generatori a tubi di acqua, soprattutto nei grandi impianti, richie­ dono una manutenzione assai accurata ed un notevole grado di perfezionamento di tutte le apparecchiature per la combustione quali bruciatori, valvole, ecc.

V.6. Camere ed apparecchiature per la combustione - Tiraggio Le camere di combustione delle caldaie a tubi di acqua, generalmente a forma prismatica, hanno dimensioni crescenti con la quantità oraria di combusti­ bile da bruciare, proporzionale, a sua volta, alla produzione di vapore. La forma della camera può variare parecchio in impianti particolari, ad esempio navali, dove esigenze di sistemazione e di ingombro impongono solu­ zioni costruttive diverse. Le pareti, come si è visto nel precedente paragrafo, sono completamente schermate con fasci tubieri vaporizzatori. Molto diverse, ed in genere di forma tubolare, sono invece le camere di combustione delle caldaie cilindriche descritte al par. V.2. I sistemi e le apparecchiature per la combustione sono strettamente dipen­ denti dal tipo di combustibile impiegato. Per il carbone solido in pezzi, il più antico combustibile nella storia delle macchine termiche, viene usata una partico­ lare superficie metallica, detta griglia o grigliato (Fig. V. 1 7) formata da una serie di barre di ghisa, ferro o acciaio fucinato, disposte longitudinalmente ed appog­ giate agli estremi. Le barre, di sezione trapezoidale, sono sistemate ad opportuna distanza in modo da consentire il passaggio dell'aria, che entra dal basso, e la caduta delle cenen. Le griglie di tipo fisso richiedono il caricamento a mano del combustibile e

2 La presenza di 1-12504 è dovuta a reazioni fra l'anidride solforosa 502, formatasi dallo zolfo contenuto nei combustibili e poi trasformata in 503, e 1'1-120 anch'essa prodotta nel processo di combustione.

Generatori di vapore

1 95

Fig. Y . 1 5 Preriscaldatore d'aria rigenerativo tipo LjungsLrom. l. Ingresso fumi caldi; 2. Ingresso aria; 3. Tamburo girevole. -

quindi la periodica apertura della porta del forno con tutti gli evidenti inconve­ nienti connessi a tale operazione. Negli impianti a caricamento meccanico o automatico (Fig. V.18) la griglia è costituita da piccole barre fissate ad una catena scorrevole avvolta su due tamburi dentati ruotanti. Il carbone scende dalla tramoggia sulla griglia, che si muove con velocità assai ridotta (di solito l + 2 metri all'ora) in modo che alla fine della corsa il combustibile abbia avuto il tempo di bruciare completamente. Anche se non mancano impianti nei quali, per particolari ragioni, il carbone è ancora bruciato in pezzi, l 'uso oggi prevalente (e che ha avuto una certa ripresa in questi ultimi anni) è sotto forma di polverino, che consente un minor eccesso d'aria, e quindi minori perdite al camino, una più elevata temperatura di combu­ stione, ecc. Il carbone, pertanto, finemente macinato in appositi apparecchi, viene inviato in un bruciatore, in genere del tipo a turbolenza (Fig. V . l 9), insieme ad una quantità di aria detta primaria, assumendo poi, mediante scanalature opportuna­ mente sagomate, una traiettoria elicoidale durante la quale il polverino stesso,

l 96

Macchine

t t t

Fig. V. l 6 - Preriscaldatore d 'aria ri g e ne ra tivo tipo Rothemiihle. l. Manica a gomito entrata aria; 2. Manica rotante superiore; 3. Pacchetti di lamierini fissi; 4. Manica rotante inferiore; 5. Manica a gomito uscita aria; 6. Canale entrata fumi; 7. Canale uscita fumi; 8. A lbero.

per effetto della centrifugazione, si porta verso l'esterno del vortice e VIene ad incontrare l'aria secondaria. Con i combustibili liquidi, il cui uso oggi e largamente prevalente, occorre real izzare durante l'introduzione in camera di combustione la riduzione in parti-

Fig.

V. l 7 - G ri gli a

l'issa per c a rbone

in pezzi.

Generatori di vapore

Fig. V. l ll

-

1 97

G riglia mobile.

celle piccolissime (cosiddetta atomizzazione del combustibile). A tale scopo possono essere usati diversi sistemi. Nei medi e grandi impianti, che bruciano quasi sempre nafte pesanti, si ricorre di solito ad un fluido ausiliario, aria o vapore, che, inviato ad una certa pressione all'interno del bruciatore, espande nella camera mescolandosi al com­ bustibile e favorendone la polverizzazione. La fig. V.20 mostra un polverizzatore dove il vapore arriva da un condotto interno mescolandosi con la nafta, proveniente da un altro condotto esterno, per mezzo di un ugello opportunamente forato alla periferia. In fig. V.21 si riporta invece l'intero bruciatore, costituito dal polverizzatore prima descritto e dal registro (o regolatore) dell'aria comburente con una serie di pale orientabili per dosare l'afflusso dell'aria.

Fig. V. l 9

-

Bruciatore circolare per carbone polverizzato.

1 98

Macchine

Fig. V.20 Polve rizzatore a vapore. l . Ingresso vapore; 2. Ingresso najia. -

Negli impianti di minor rilievo e nelle caldaie marine è frequentemente adottato il sistema di polverizzazione meccanica, nel quale la nafta viene portata alla pressione necessaria direttamente da una pompa; all'estremità del polverizza­ tore è montata una speciale piastrina, con solchi rettilinei o sinuosi in grado di conferire al liquido uscente un'elevata turbolenza (Fig. V.22). I bruciatori per gas sono in genere attrezzati per poter bruciare anche combustibile liquido. Il flusso continuo dell'aria e dei gas combusti attraverso l'intero percorso nel generatore è assicurato dal tiraggio, che può essere naturale se spontaneamente generato dalla differenza di densità tra l'aria ambiente, relativamente fredda, ed i gas di combustione; oppure artificiale o meccanico se attivato con ventilatori. Il fenomeno presenta stretta analogia con la circolazione acqua-vapore

Fig. V.2 1 Bruciatore per nafta completo di polverizzatore. l. Ingresso aria-vapore; 2. Ingresso aria. -

Generatori di vapore

Fig. Y.22

-

199

Piastrina polverizzante.

all'interno delle caldaie, per cui la differenza di pressione !';.p che genera il moto del fluido può essere espressa dalla relazione: (5-2) analoga alla (5-l ) dove però H è l 'altezza del camino, Q, e Qg rispe�tivamente la densità dell'aria ambiente e quella media dei gas lungo l'altezza del camino3• Per realizzare un tiraggio più attivo conviene elevare l'altezza del camino, che ha però evidenti limiti di carattere costruttivo, o diminuire la densità dei gas accrescendone la temperatura; in quest'ultimo caso si viene ad aumentare la perdita di energia termica al camino. In pratica con il tiraggio naturale l 'attività di combustione è piuttosto limi­ tata, e quindi di certo insufficiente per i medi e grandi impianti dove si ricorre quasi esclusivamente a mezzi meccanici, ossia ventilatori opportunamente inseriti nel percorso dell'aria e dei fumi. In riferimento alla disposizione dei ventilatori si hanno perciò tre sistemi di tiraggio meccanico: - forzato: il ventilatore è disposto a monte ed insuffla l'aria in camera di combustione; - indotto (o aspirato) : il ventilatore è sistemato alla base del camino da dove aspira i gas immettendoli nell'atmosfera; - misto (detto anche bilanciato o equilibrato) in cui i precedenti sistemi sono combinati tra loro con la disposizione di due ventilatori, uno a monte e l'altro a valle. La tab. V. l che segue fornisce elementi indicativi sulle caratteristiche funzio­ nali dei sistemi a tiraggio forzato e bilanciato. Il tiraggio bilanciato tende a realizzare in camera di combustione una pres-

3 Rammentando che l 'accelerazione di gravità è uguale al rapporto forza/massa (N/kg) ed espri­ mendo H in m e g in kg/m l , /l,.p risulta espresso in N/m 2; nella pratica tecnica si usano spesso anche il bar (1 bar = l daN/cm2 ) o i 111111 di colonna di acqua. I nfatti una colonna d i acqua alta lO m e di l m 2 di sezione pesa 1 0.000 kp per cui 10.000 kp/m2 equivalgono a 1 0.000 mm di colonna di acqua.

200

Macchine

sione uguale, o di poco inferiore, a quella esterna, ma comporta - come si nota in tab. V.l - un maggiore assorbimento di potenza dai ventilatori. Tab. V . 1

-

Caratteristiche funzionali dei sistemi a tiraggio forzato e b il anciato.

CONDIZIONI E GRANDEZZE CARATTERISTICHE

FOCOLARE PRESSURIZZ. Tiraggio forzato (aria)

Tiraggio forzato (aria)

Tiraggio indotto (gas)

Margini prudenziali ventilatori - su prevalenza

30%

50%

30%

- su portata

25%

25 %

20%

Rendimento ventilatori*

78%

75%

75%

Temperatura aria entrata [ "C ]

38

38

-

Temperatura gas entrata [ "C ]

-

-

176

Prevalenza totale [ mmH20 ]*

457

228,5

228,5

Portata [m3/s] * Potenza assorbita [kW]* *

FOCOLARE BILANCIATO

44,7 256

4 1 ,6 1 25

68 205

Riferito al carico massimo continuo della caldaia.

V.7. Rendimento di un generatore di vapore Il rendimento di un generatore di vapore è espresso dal rapporto tra il calore Q, utilizzato sotto forma di aumento di entalpia dell 'acqua e del vapore, e quello Q, potenzialmente introdotto con il combustibile consumato: m v (h v - h (/ ) mc H

dove:

m,.

(5-3)

massa del vapore prodotto in un certo tempo [kg]; massa del combustibile consumato nello stesso tempo [kg]; entalpia del vapore [kJ/kg]; h, entalpia dell'acqua di alimento all'ingresso dell'economizzatore [kJ/kg]; mc

h,.

Generatori di vapore

201

H potere calorifico (inferiore o superiore secondo la convenzione)• [kJ/kg] . Negli impianti con più di un surriscaldamento occorre aggiungere al numera­ tore anche la quantità di calore fornita nei risurriscaldamenti; se vi sono preriscal­ damenti del combustibile e dell'aria comburente con fonti esterne al generatore, bisogna aggiungere al denominatore le quantità di calore corrispondenti. La determinazione sperimentale del rendimento con il metodo diretto si fa misurando le quantità di calore che compaiono al numeratore e al denominatore della (5-3); il vapore prodotto può essere determinato direttamente, oppure tramite la portata di acqua di alimento introdotta in condizioni di regime, mentre l'entalpia si ricava dalle usuali tabelle del vapor d'acqua una volta misurate la pressione e la temperatura del vapore. È opportuno osservare che, mentre la rilevazione di tutte le grandezze sopra citate non presenta eccessive difficoltà, particolarmente incerta si presenta, in­ vece, specialmente per combustibili in pezzatura solida, la misura della quantità di combustibile consumato mc> fatto quest'ultimo che rende spesso preferibile la determinazione del rendimento con il metodo indiretto. Tale metodo valuta il rendimento attraverso la determinazione della quantità di calore Q, = m,H; messa a disposizione dell'acqua e della quantità di calore perduta Q", attraverso la relazione:

1lc v

(5-4)

Mentre per quanto concerne la determinazione di Q, nulla vi è da aggiungere a quanto già detto, va invece precisato che le perdite Q" sono costituite da una molteplicità di voci delle quali la più rilevante è la perdita Qr per calore sensibile nei fumi che lasciano il generatore ad una temperatura maggiore di quella ambiente. In base alla (2-8) si può scrivere:

(5-5) dove mc[kg] è la quantità di combustibile, e è il coefficiente di eccesso d'aria, m,,[kg] è la massa d i aria stechiometricamente necessaria, c",.[kJ/kgK] è il calore specifico medio dei fumi nell'intervallo di temperatura considerato, tr[K] è la temperatura al camino (di solito all'uscita del preriscaldatore d'aria) e t,[K] è la temperatura ambiente, misurata in genere all'aspirazione dei ventilatori. 4 Usando il potere calorifico inferiore si hanno ovviamente valori più elevati del rendimento.

202

Macchine

Sostituendo nella (5-4) la (5-5)

SI

perviene alla relazione: (5-6)

Da notare che il calore perduto può essere espresso anche con m, (1 + a ) c1,, !'!.t anziché con (m, + e m"') cP"' !'!.t dove a rappresenta il rapporto mjm,; in tal caso nella (5-6) m, viene ad essere eliminato ed è così possibile evitare la difficoltà di misura della quantità di combustibile. Mediamente, il rendimento di un generatore di vapore varia tra 0,80 e 0,90, con valori anche superiori nei grandi impianti. ·

V.8. Accessori delle caldaie - Regolazione Una caldaia ha bisogno per il suo funzionamento di tutta una serie di apparecchi e di dispositivi accessori, nonché di sistemi di regolazione idonei ad adeguare i flussi di acqua di alimento, combustibile ed aria comburente alla produzione di vapore; è inoltre necessario che vengano mantenute ai prestabiliti valori la temperatura del vapore e la pressione in camera di combustione. Essi vengono quindi classificati (e qui di seguito descritti brevemente) in: - accessori di controllo, e cioè essenzialmente indicatori di livello e mano­ metri.

Fig. Y.23

- Indicatori di l ivello. A destra, indicarore Klinger.

� �

Generatori di vapore

203

2

Fig. V.24 Manometro di Bourdun. Ingresso fluido; 2. Quadrante; 3. Tubo Bourdon; 4. Indice.

l.

-

Gli indicatori di livello funzionano secondo il principio dei vasi comunicanti. La fig. V.23 ne mostra alcuni esempi: i tipi Klinger a riflessione hanno una lastra di cristallo scanalata dalla parte interna in modo che il raggio luminoso risulta riflesso dalla zona vapore ed assorbito dalla zona acqua con il risultato di una più netta visione del livello. Per pressioni più elevate si usano indicatori Klinger di tipo speciale a doppia piastra. I manometri servono a rilevare la pressione effettiva, e cioè la differenza tra la pressione interna della caldaia (pressione assoluta) e quella ambiente. Il tipo più conosciuto è il manometro di Bourdon (Fig. V.24) in cui un tubo curvato ad arco circolare, e collegato con il fluido in pressione, trasmette le deformazioni subite, opportunamente amplificate con adatti sistemi, ad un indice che si sposta lungo una scala graduata. - accessori di sicurezza; sono costituiti da valvole del tipo rappresentato in fig. V.25. La valvola è mantenuta in posizione di chiusura da una molla ad opportuna tensione; quando la pressione supera un prestabilito valore di taratura la valvola stessa si apre di scatto consentendo la fuoriuscita di una quantità di vapore sufficiente a ristabilire all'interno la pressione desiderata. A volte alle valvole del tipo descritto sono aggiunte anche valvole supple­ mentari a comando elettrico (tipo Electromatic), per cui nei grandi generatori sono installati dei veri e propri raggruppamenti di valvole, onde aumentare le ga­ ranzie di sicuro ed efficiente intervento. - accessori di presa vapore e di alimentazione; esistono molti tipi di valvole per la presa del vapore e l'immissione dell'acqua di alimento, comandate, automatiche, ecc. Le più semplici, come la valvola di presa vapore di fig. V.26, non differiscono

204

Macchine

t

Fig. V.25 - Valvola di sicurezza a molla. l . Cappellotto; 2. Dado per cavai/olio; 3. Leva manuale; 4. Vite di bloccaggio; 5 . Boccola di guida; 6. Molla; 7. Asta valvola; 8 e 9. Anelli di regolazione blow down; 10. Fungo valvola.

sostanzialmente da una comune valvola di intercettazione, di dimensioni e mate­ riale adatti alle condizioni ed alla quantità del fluido che le attraversa. In pratica il funzionamento di una caldaia avviene in maniera del tutto

Generatori di vapore

205

Fig. V.26 - Valvola di presa vapore.

automatica, in particolare nei grandi impianti, tramite sistemi di regolazione abbastanza complessi sui quali è possibile solo fare qualche cenno. Molto importante è il controllo del livello nel corpo cilindrico. I nfatti un improvviso aumento della richiesta di vapore, cui non faccia riscontro una pro­ porzionale crescita dell'immissione di acqua, provoca discesa del livello con possibilità che il corpo cilindrico ed i tubi vaporizzatori, privi di acqua, vadano incontro a pericolosi surriscaldamenti; una troppo rapida salita del livello, invece, può provocare un vero e proprio trascinamento, da parte del vapore, di piccole gocce d'acqua contenenti comunque una certa quantità di sali. I ndipendentemente quindi dal controllo a vista realizzato con gli indicatori prima descritti, esiste una evidente necessità di una regolazione automatica. Uno dei sistemi più semplici è illustrato in fig. V.27 (regolatore Copes). Il collegamento alla caldaia del tubo termostatico non è coibentato, sicché in esso l'acqua si trova a temperatura inferiore; perciò, quando con il livello varia anche la quantità di acqua presente nel detto tubo, quest'ultimo cambia di temperatura e subisce allungamenti o contrazioni. Un sistema di leve amplifica queste variazioni di lunghezza provocando l'apertura o la chiusura della valvola di alimentazione.

206

Macchine

W'i'\!d v a p o r e

� a c q u a d i c T1) , la quantità di calore necessaria per riportarlo alla temperatura iniziale T1 del ciclo. In tal caso l 'im­ pianto si dice a circuito chiuso in quanto il fluido evolvente non viene in contatto con i prodotti della combustione e mantiene inalterata la sua composizione chimica.

260

Macchine

VII.2.

Analisi del ciclo di riferimento

Negli impianti con turbine a gas il fluido motore evolve secondo il ciclo termodinamico di faule che, nel caso di funzionamento ideale, è costituito da due trasformazioni adiabatiche reversibili, relative alla compressione ed all'espan­ sione, e da due trasformazioni reversibili a pressione costante relative alla sommi­ nistrazione del calore Q1 ed alla sottrazione del calore Q2• Nelle figg. VII.4a), b), c ) si riporta nei piani p v , Ts, hs rispettivamente un ciclo di faule realizzato in un impianto del tipo già schematizzato in fig. VII.3, nell'ipotesi di trasformazioni tutte reversibili. Nel compressore C ha luogo la compressione adiabatica reversi­ bile 1-2 che nel piano pv di fig. VI1.4a è rappresentata dalla nota equaz10ne: pv

k

(3-24)

= cast

mentre nei piani Ts (Fig. V I I .4b) ed hs (Fig. VI1.4c) è rappresentata da un seg­ mento parallelo all'asse delle ordinate dovendo risultare l'entropia costante per l'ipotesi di reversibilità. Segue quindi la trasformazione reversibile 2-3 relativa alla somministrazione a pressione costante del calore Q1 e poi si ha l'espansione adiabatica 3-4 in turbina, anch'essa reversibile e quindi di rappresentazione analoga alla compressione. La quantità di calore Q2 che in un impianto in circuito chiuso verrebbe sottratta a pressione costante nel refrigeratore a valle della turbina secondo la trasformazione reversibile 4-1 , nell'impianto in circuito aperto di fig. VI1.3a viene scaricata direttamente nell'atmosfera dai gas combusti che lasciano la turbina. La rappresentazione del ciclo ideale di faule nel piano p v e nel piano Ts consente di valutare con grande immediatezza il lavoro utile che, come si intuisce, è un parametro di grande interesse per un impianto motore primo termico. Con riferimento infatti al piano p v di fig. VII.4a, ricordando che sia per il com-

p

T

a)

b)

h P,

L. 4'

A

p,

4

Le

L,

a2

v

A

B

Fig. VI 1 .4 - Rappresentazione del ciclo reversibile di

,.

5

./ au le

nei piani p v, Ts, h s.

5

Impianti motori con turbine a gas

261

pressare che per la turbina è valida la relazione (3-59) relativa al trasferimento di lavoro in un sistema aperto per trasformazione reversibile, segue che l 'area: B34A

=

-

r14 P3

v ·dp

rappresenta il lavoro (> O) complessivamente erogato dalla turbina per effetto dell'espansione 3-4, mentre l'area:

rappresenta il lavoro ( < O) richiesto dal compressore per realizzare la compres­ sione 1 -2. L'area 1 -2-3-4 del ciclo, dunque, rappresentando la differenza tra il lavoro di espansione e quello di compressione, fornisce evidentemente il lavoro utile che può essere appunto trasmesso all'utilizzatore. Con riferimento al piano Ts di fig. VII.4b (detto anche piano del calore) si osserva che l'area: A23B

=

f

53

Y . ds

52

rappresenta il calore Q 1 trasferito al fluido proprio lungo la trasformazione 2-3 (cfr. par. I I I . 1 3 ) ; parimenti l 'area B41A rappresenta il calore Q2 sottratto al fluido lungo la trasformazione 4-1 . L'area 1 -2-3-4 del ciclo pari dunque alla differenza Q1-Q2, rappresenta, per la (3-72) , il lavoro utile analogamente all'area 1 -2-3-4 del piano pv di fig. VII.4a. Inoltre, in base alla (3-74) il piano Ts consente di valutare anche il rendimento del ciclo confrontandone l'area, che come visto è il lavoro utile, con l'area A23B che rappresenta il calore somministrato Q 1 • Anche i l piano hs di fig. VII.4c è d i grande utilità nello studio delle TG e d è in grado, al pari dei piani p v e Ts già esaminati, di dare indicazioni in merito al lavoro utile fornito all'esterno, alle quantità di calore Q1 e Q2, e quindi al rendimento. Si ricorda infatti che, per la (3-60), il lavoro trasferito in un sistema aperto in seguito ad una trasformazione adiabatica può essere espresso mediante la variazione di entalpia registrata nel fluido tra ingresso ed usciti dal sistema. Segue allora che il segmento 1 -2 di fig. VII.4c, pari appunto ad (h1 - h2), rappresenta il lavoro di compressione Le ed equivale quindi all'area A 12B di fig. VII.4a; il segmento 3-4 pari ad (h3 - h.) rappresenta il lavoro di espansione L, ed è equivalente quindi all'area B34A di fig. VII.4a mentre la differenza tra il segmento 3-4 ed il segmento 1-2 rappresenta evidentemente il lavoro utile L,.

262

Macchine

Si ritiene opportuno precisare che il segmento 3-4 risulta sempre maggiore del segmento 1 -2 e quindi il lavoro utile è sempre maggiore di zero in quanto le iso bare, essendo anche delle logaritmiche (cfr. par. I I 1 . 13), sono caratterizzate dalla proprietà di intercettare segmenti verticali via via maggiori man mano che ci si sposta nel senso crescente dell'entropia. Sempre con riferimento alla fig. VII.4c, il segmento 2'-3' rappresenta il calore Q, mentre il segmento 4'-1' rappresenta il calore Q2• Altro aspetto caratteristico delle TG, evidenziato dalle figg. VII.4a e c è che il lavoro di compressione ( area A 12B di fig. VII.4a e segmento 1-2 di fig. VII.4c) costituisce un'aliquota abbastanza elevata, anche fino a 2/3, del lavoro di espan­ sione (area B34A di fig. VII.4a e segmento 3-4 di fig. VII.4c) e pertanto il lavoro utile è un'aliquota modesta di quest'ultimo. Ciò è dovuto evidentemente alla circostanza che la compressione, al pari dell'espansione, avviene in fase gassosa, quindi su un fluido con valori elevati del volume specifico il che comporta, stante la (3-59), la necessità di valori elevati del lavoro di compressione anche per modesti incrementi di pressione. Giova precisare che tale circostanza non si verifica evidentemente in un impianto a vapore in quanto la compressione avviene in questo caso su un fluido che si trova allo stato liquido, quindi con valori modestis­ simi del volume specifico ( 1 0-3 m3/kg per l'acqua) e pertanto richiede, come sugge­ risce la (3-59), modesti valori del lavoro di compressione anche per incrementi elevati della pressione. Volendo procedere al calcolo del rendimento termodinamico di un ciclo di faule si può fare riferimento alla (3-74): L"

(3-74)

che sviluppata fornisce ' :

(3-74) Applicando l'equazione dell'adiabatica reversibile (3-25) alle trasformazioni 1-2 e 3-4 si ha:

T/T2

=

(p

k l ,lp 2)_k_ -

poiché è:

p, = P 4

;

P2 = p3

segue:

T/T2

k

-

l

TiT3

1 0/0,70

=

1 4,28

Si conclude quindi che, limitatamente alle turbine a gas, solo da quando è stato possibile realizzare compressori e turbine con valori del rendimento elevati al punto da comportare modeste variazioni nei lavori di compressione e di espansione rispetto a quelli reversibili, la turbina a gas ha potuto proporsi come impianto alternativo a quello a vapore o al motore alternativo a combustione interna. Volendo analizzare l 'andamento con � del rendimento reale 11, e del lavoro utile reale L.,, è opportuno esprimere tali parametri in funzione del rapporto di compressione �· Per quanto attiene al rendimento reale, esso è forn ito dalla (7-7) mentre il lavoro utile reale è fornito dal numeratore della (7-7) stessa e pertanto basterà esprimere in funzione di � tutti i termini che compaiono nella citata espressione. Con riferimento alla fig. VII.9 si ha:

Utilizzando ora l'equazione dell'adiabatica reversibile (3-25) e sostituendo nella (7-9) e nella (7-10) a 11u,1 e a 11·"" i valori forniti rispettivamente dalla (4-22) e dalla (4- 1 1 ) si perviene all'espressione di L,,: (7-1 1 )

Per quanto riguarda il termine (h3 - h2.) che compare a denominatore della (7 -7) esso può essere posto nella forma:

Sostituendo a T2• il valore fornito dalla ( 4-8) si ha: (7-12)

Utilizzando ancora una volta l 'equazione dell'adiabatica reversibile (3-25) e sostituendo nella (7 -12) ad 11'·"" il valore fornito dalla ( 4-1 1 ) risulta:

Jnwianti motori con turbine a gas

{tr

"?pt

'7pc

0,5

=

[kJ/kg]

'�

O, 80'

=

O, 77

0, 4

27 1

L ur

0, 6

300

250

s

200

----- '?tr l

0, 3

150

0,2

100

0, 1

o

50

o

10

5

30

25

20

15

35

j3

o

40

Fig. Y ll . l l - Andamento del rendimento reale e del lavoro utile reale al variare di i3 per differenti valori della temperatura T, e per una assegnata coppia di valori dei rendimenti di macchina.

(7- 1 3 ) Dividendo la (7-11) per l a (7- 1 3) si perviene infine all'espressione del rendi­ mento reale 11,: 11 ,,.

0 (l

-

}/

) � , 111" )

(8

-

(�)J )J � 'l'" ) -

'lpc

-

J)

(7-14)

Gli andamenti del rendimento reale e del lavoro utile reale al variare di � per differenti valori della temperatura T1 e per differenti valori delle coppie 111m 11," sono riportati rispettivamente nelle fig. VII . l 1 e VII. l 2 dall'analisi delle quali si possono trarre alcune interessanti considerazioni. Nel ciclo reale, contrariamente a quanto si verifica nel caso di ciclo reversibile, il rendimento ha un andamento prima crescente con � e poi decrescente annullan­ dosi, per la (7-7), in corrispondenza dello stesso valore di � che annulla il lavoro utile. Si nota altresì che sia l'aumento della temperatura T3 che l'aumento dei rendimenti delle macchine comportano ovviamente incrementi e nel rendimento e nel lavoro utile. Va notato che nel caso reale il rendimento attinge un massimo in corrispondenza di un valore di � maggiore rispetto a quello in corrispondenza del quale si attinge il massimo lavoro utile e tale differenza si accentua sempre più mano a mano che crescono i valori della temperatura T3 e dei rendimenti delle macchine. Tale circostanza, all'apparire della turbina a gas sulla scena mondiale,

272

Macchine

non comportava al progettista un grande imbarazzo nella scelta del valore del rapporto di compressione in quanto le temperature T3 ed i rendimenti di macchina erano a quel tempo modesti per cui il � di massimo lavoro e quello di massimo rendimento differivano di poco. La circostanza poi che la curva del rendimento è piuttosto pianeggiante in corrispondenza del suo massimo, dava la possibilità al progettista di realizzare contemporaneamente all'incirca i valori massimi e del rendimento e del lavoro utile sempre compatibilmente con i valori delle tempera­ ture T3 e dei rendimenti di macchina di allora. Oggi invece, stanti i valori molto più elevati delle temperature T3 e dei rendimenti di macchina è indispensabile stabilire in fase di progetto se si vuole realizzare un ciclo con un valore di � che fornisca il massimo lavoro utile oppure il massimo rendimento. 0,6

{tr

- - - - "?tr -- L ur l

T3 = 1273K

c, = 1kJ/kgK

0,5

- ----- ---- - --- -----( -- .... ... ----- � (;,(_� V:' -� �S:: � � l /

0, 4

/

0,3

--

--

-----�

-

----

-

------

0, 77

0,2

///o ,/'

O, 1

f-'!!,,'

o

o

-

'

-

72

O, 75

5

'

o

-

3

l�- ?,- -_ ,'';l:

15

20

25

250

s

pr

f'p t

'

200

= O, 90

ì------

-

-, ---

70

L ur

[kJ/kg]

15 0

700

50

30

35

f

o

40

Fig. V I I . 1 2 - Andamento del rendimento reale e del lavoro utile reale al variare di � per differenti valori dei rendimenti di macchina e per un assegnato valore della temperatura T3•

Per quanto riguarda l a temperatura massima T3 del ciclo c'è da dire che solo . dopo gli anni '50 è stato possibile raggiungere valori di 600oC o di poco superiori risolvendo i problemi provocati dalla corrosione dovuta al vanadio presente nei combustibili adoperati e facendo ricorso a materiali di più alte prestazioni ed in grado di resistere al cimento derivante da sollecitazioni sia termiche che meccani­ che3 . Sono oggi largamente utilizzati, soprattutto nella realizzazione delle pale della turbina e degli altri componenti del motore più sollecitati dalle azioni

Al disopra di certe temperature le pale subiscono un allungamento permamente (deformazione plastica) per il noto fenomeno dello scorrimento viscoso (creep). 3

Impianti motori con turbine a gas

273

combinate di carattere termomeccanico, superleghe di alte prestazioni costituite dall'aggregazione di vari metalli. Per alcune di esse si riporta la composizione nella tab. VII. l . Per le temperature elevatissime oggi adoperate sia negli impianti fissi, sia soprattutto negli impianti aereonautici ( 1 .000 + 1 .400 °C), occorre proce­ dere ad un raffreddamento delle pale della turbina, realizzato di solito con aria forzata attraverso cavità interne alle pale stesse (Fig. VII.1 3 ) . Tab. VII.l - Caratteristiche dei principali materiali utilizzati nelle turbine a gas NUO VO PIGNONE. COMPOSIZIONE CHIMICA

(%)

MATERIALE

c

Fe

Ni

Cr

Co

w

0.1

Resto

< 0,5

56

-

Resto

-

6

v = 4

Altri

>91

>84

2.5

l

-

9

-

Si. M n

76

Si. M n .

componenti presenti

x 15 c 13 Ti

·

6 A2

·

4 V

HASTELLOY X

0.1

N 263

0.06

--:�v...... ....1;.. .:::

0,5

o

l l l

5

''

10

...... !.?

......

'

15

.... ......

_ 7! �

-- ......

!OZ_.J--

-

......

--

--

cd ll 1

20

.

25

s

J3

30

Fig. V l l . 1 6 - Andamento del rendimento al variare di � di un ciclo reversibile di faule a rigenerazione per differenti valori della temperatura T3 .

simo recupero del calore. All'aumentare di � però, fermo restando il valore di T3 , la differenza ( T4 - T2) si riduce (Fig. VII.17b); si riduce quindi la quantità di calore recuperata e pertanto l'incremento del rendimento è percentualmente più basso così come messo in luce dalle curve di fig. VII.1 6 decrescenti con �· È immediato

T

T

T

2

2 a} s

b)

s

c} s

Fig. V I I . 1 7 - Riduzione del valore di ( T4 - T2) all'aumentare di � per un assegnato valore della temperatura T3 •

Impianti motori con turbine a gas

279

prevedere che in corrispondenza di quel valore di � per il quale si realizza l'uguaglianza tra le temperature T2 e T4 (Fig. VII. 1 7c) non sarà più possibile alcun aumento del rendimento quando si passa da un ciclo senza rigenerazione ad uno con rigenerazione in quanto in tali condizioni il calore recuperabile è evidente­ mente nullo. L'ascissa del punto in corrispondenza del quale la curva contrasse­ gnata da R = O interseca la curva discendente a T3 = cast fornisce ovviamente il valore di � per il quale il ciclo è configurato in maniera tale da realizzare la condizione T2 = T4 che, si ricorda, è la condizione di massimo lavoro utile. Il valore 8 1m. di � che rende T2 = T4 è dato allora dalla (7-4) che fornisce � Si può quindi concludere che in un ciclo di Joule ottimizzato in base al massimo lavoro utile la rigenerazione è improponibile in quanto il guadagno nel rendimento è nullo. A maggior ragione, la rigenerazione è improponibile per 2) qualunque ciclo di Joule caratterizzato da un valore di � > 8 11 in quanto in tali circostanze si avrebbe T2 > T4 e pertanto la rigenerazione, comportando addirit­ tura un raffreddamento dei gas in uscita dal compressore, darebbe luogo ad una diminuzione del rendimento così come messo in luce dai rami tratteggiati delle curve di fig. VII. 1 6 . Passando dall'analisi d e l ciclo reversibile d i faule a quella d e l ciclo reale (Fig. VII.l8) va precisato che, contrariamente al caso reversibile, la temperatura dei gas in uscita dal rigeneratore non potrà mai raggiungere il valore T4• , come solo in uno scambiatore ideale può avvenire, ma sarà certamente minore di T.. e tanto più bassa quanto più scadente è il rigeneratore nel quale si effettua lo scambio termic�. =

T

J/

/ 4'

/1

s

Fig. VIL18 - Schema di funzionamento di un impianto con turbina a gas a rigenerazione e rappresentazione del ciclo reale di Joule nel piano Ts.

I ndicando con T2 11 la temperatura del fluido in uscita dal rigeneratore, si definisce efficienza della rigenerazione R l'espressione: R

(7-19)

280

Macchine

con R che vale zero quando è T2R = T2, ( assenza di rigenerazione) mentre assume valori maggiori di zero e tanto più prossimi all 'unità quanto più T2R si avvicina a T,,, Per quanto riguarda l'espressione del rendimento reale in presenza di rigene­ razione:

L ",.

1lrr(R,o0)

(7-20)

va detto che nella (7-20) il lavoro utile reale è ancora esprimibile mediante la (7- 1 1 ) non influendo la rigenerazione né sul lavoro erogato dalla turbina né su quello assorbito dal compressore; per quanto riguarda il calore Q, fornito al fluido dall'esterno è possibile utilizzare ancora la (7-13) previa sottrazione del calore recuperato nel rigeneratore che, con le notazioni di fig, VIL 1 8 è pari a cp ( T2R - T2} Esprimendo poi mediante la (7-1 9) T2 11 in funzione di R, sostituendo a T2, il valore fornito dalla (4-8) ed utilizzando la (4-1 1 ) si ottiene:

(7-21) 7 tr

0, 6 0 ��� 0 0,6 0,4 Y(0/(;E: . 6_� � 0,3 �f;/ 0,2 l

IR f O)

,5

/o.

l

-

,' / ,.... l ll l

)/

O, 1

o

o

l

l

=

t:---. �

-

9

...

�pc 0,88 '?pt 0,90

_.:::::-

/

,�...>

-- --- -

- --

l

_

T3

- - - - T3

5

R=O

'

=

=

---

--f'"-_0

T� -

-

'

1573

'

'

'

'

1073 -

1 15 20 25 30 s

J3

Fig, V I L1 9 - Andamento del rendimento reale al variare di � per un ciclo reale di Joule a rigenerazione per due differenti valori della temperatura T3,

Impianti motori con turbine a gas

28 1

Dividendo la (7- 1 1 ) per la (7-21 ) si ottiene: 8( 1 - 1/ � ), 11"· ) ( � Al 'l,, - l ) ) )J 8( 1 - R l � , '1''· ) - ( l - R ) �

'1"·

(7-22)

Nel diagramma di fig. VII . l 9 si riporta, per due differenti valori dalla tempe­ ratura T3 e per una assegnata coppia di valori dei rendimenti di macchina, l'andamento con � del rendimento reale in assenza di rigenerazione (R = O) e in presenza di rigenerazione per tre differenti valori dell'efficienza della rigenera­ zione R. È immediato osservare, come peraltro prevedibile, che l'incremento del ren­ dimento è tanto maggiore quanto più elevato è R, cioè quanto più spinto è il recupero di calore; al pari del caso di ciclo reversibile anche nel caso reale le curve del rendimento relative al ciclo a rigenerazione intersecano quella R O, indipendentemente dal valore di R, in uno stesso punto che evidentemente ha per ascissa il valore di � che rende T2• = T4• ; ancora, anche nel caso reale, il guadagno nel rendimento è percentualmente più forte per valori contenuti di �Il fatto che nel caso reale, contrariamente a quanto si verifica nel caso reversibile, il rendimento del ciclo a rigenerazione sia nullo per � = l è giustifi­ cato dalla considerazione che per � = l il lavoro utile è ovviamente nullo mentre, non potendo pensare di realizzare R = l , il calore Q, fornito dall'esterno sarà sempre diverso da zero il che rende nulla la (7-20). Si osservi infine che con la rigenerazione si riduce il valore di � che rende massimo il rendimento portandolo ad un valore più piccolo del � di massimo lavoro utile. Va precisato però che la rigenerazione comporta forti incrementi nel peso dell 'impianto che si traducono in costi specifici [lire/kW] più elevati che giustifi­ cano il non eclatante successo commerciale di questa soluzione, nonostante i suoi pregi termodinamici. A causa infatti del modesto valore del coefficiente globale di scambio termico quando fluido caldo e fluido freddo sono entrambi costituiti, come nel caso di cui ci si occupa, da due gas, è necessario che le superfici di scambio del rigeneratore siano molto estese con conseguente aumento di peso e di ingombro che vanifica una delle caratteristiche peculiari della turbina a gas, vale a dire la semplicità di impianto e di installazione ed i modesti valori del peso e del volume per kW installato. È interessante osservare infine come la rigenerazione effettuata negli im­ pianti di turbina a gas presenti delle sostanziali differenze rispetto a quella effettuata negli impianti a vapore dove prende parte alla rigenerazione solo un'aliquota (20 -+- 25 % ) della portata di fluido evolvente, che non completa l'espansione in turbina e fornisce al fluido da riscaldare tutto il suo elevato contenuto entalpico. =

282

Macchine

V I I .4.2. Interrefrigerazione Si consideri il ciclo reversibile di faule riportato in fig. VII.20 nei piani pv e Ts, e sia � il rapporto tra la pressione massima p2 e minima p, del ciclo. La interrefrigerazione, o compressione interrefrigerata, consiste nell'effettuare la compressione da p, a p2 in due compressori distinti C e C2 caratterizzati rispetti­ vamente dai rapporti di compressione � ' e �2 tali che ��·�2 = �, e nell'interporre tra i due compressori un refrigeratore (Fig. VII.2 1 ) in modo da riportare l'aria fuoriu­ scita dal compressore C, fino alla temperatura T,; con tale pratica si realizza sen­ z'altro una minore spesa di lavoro per comprimere l'aria da p, a p2 dovuta alla dimi­ nuzione del volume specifico del gas per effetto del raffreddamento. T

p

4 v

s

Fig. Y I I . 20 S c h e m a di funzi o n a m e n t o d i un i m p i a n t o con t u r b i n a a gas e rappresentazione del ciclo reversibile di faule nei piani pv e Ts.

Infatti, con riferimento al piano pv di fig. Vll.21, il lavoro speso nel compres­ sore C risulta, per \a (3-59), pari all'area Cll"B mentre quello speso in C2 pari all 'area B L 2' A . Confrontando la somma dei due lavori suddetti con quello speso in un'unica compressione nel compressore C, pari all'area C l 2 A di fig. VII.2 1 , si vede immediatamente, come era prevedibile, che si risparmia il lavoro pari all'area L 2' 21". Poiché il lavoro della turbina L, rimane inalterato e pari all'area C 4 3 A, segue che il lavoro utile L, = L, - Le sicuramente aumenta a causa del diminuito valore di LeVolendo esaminare l'andamento di L,, quando si effettua la interrefrigera­ zione, al variare di � , , fermo rimanendo il prodotto ��·�2 = �, è utile considerare i due casi limite (Fig. VII.22) in corrispondenza dei quali si ha:

In entrambi i casi non si ha aumento di lavoro utile in quanto l 'area del ciclo non viene modificata, mentre per tutti gli altri valori di �' e di �2, tali che:

Impianti motori con turbine a gas

283

4 T

p

A 8

P1 /p 1

.f'

=

2'

h_ y L

s

v

Fig. VII.21 - Schema di funzionamento di un impianto con turbina a gas con compressione interrefrigerata e rappresentazione del ciclo reversibile di .loule nei piani Ts e pv.

si ha un aumento di L,; vuoi dire allora che l'aumento di L, al variare di �� tra l e deve raggiungere un massimo per ritornare poi a zero. Per determinare il valore di �� che rende massimo il lavoro utile L,, basta scrivere l'espressione del lavoro di compressione in funzione di �� ed eguagliare a



T

T

b)

a) s

Fig. VII.22

-

s

Configurazioni l imiti di un ciclo reversibile di .loule con interrefrigerazione.

284

Macchine

T

L uint

[kJj kg] 4 00

381

342 300

3

s

9

p,

Fig. V II .23 Andamento del lavoro utile L,;"' al variare di �� per un ciclo reversibile di faule con interrefrigerazione. -

zero la sua derivata rispetto a ��· I l valore di �� che si ottiene è quello che rende minimo il l avoro di compressione L, e che quindi rende massimo il lavoro utile L, = L, - L'" Con l e notazioni della fig. VII.21 si ha dunque:

(7-23)

Derivando la (7-23) rispetto a �� si ha: dL c fd P.IJ l

=

cp T l

(À. P.H IJ l

-

t.. �), IJ

.

P.-'-- 1 )

IJ l

(7-24)

Uguagliando la (7-24) a zero e risolvendo rispetto a �� si ha infine: �l

L II /1/GX

= -{[3

(7-25)

Nella fig. VII.23 si riporta l ' andamento del lavoro utile L,;"' al variare di � � p e r un ciclo reversibile di Joule con interrefrigerazione per assegnati valori del rapporto di compressione j3 = 9 e della temperatura massima T3 = 1 .273 K. Come si vede, quando è �� = l e �� = j3 = 9 il lavoro utile del ciclo interrefrigerato L,;,, coincide con il valore relativo al ciclo semplice di faule fornito dalla (7-3) che risulta pari a 342 kJ/kg; in tali casi infatti il ciclo i nterrefrigerato assume rispetti-

Impianti motori con turbine a gas T

0, 50

fi = 9 T3 = 12 73K

0, 4 7

}t

=

285

.-------.

'?int

0, 35

P t" / Pt s

f3 ,

9

Fig. VII.24 Andamento al variare di [3, del rendimento di un ciclo reversibile di Joule con interrefrigerazione. -

vamente le configurazioni riportate in fig. VII.22 a e b. Per 1 < � 1

200

5,33 42

+

44

14,7

1 00

6

42

+

44

14 5 ,

� 92

Numero di cetano Pressione di stoccaggio [bar]

Gasolio

� 47

220

8

+

10

l

l

Per quanto riguarda i l rifornimento degli autoveicoli c'è da dire che tale operazione comporta l'erogazione del gas a pressioni dell'ordine di 200 bar e richiede un tempo di diversi minuti. Le stazioni di rifornimento risultano più complesse, più onerose e soggette ad un maggior numero di vincoli rispetto alle corrispondenti stazioni di rifornimento di carburanti liquidi ed il loro equilibrio economico dipende sostanzialmente dalle dimensioni dell'impianto e dal loro tasso di utilizzazione. La struttura della rete di distribuzione, che risulta tendenzialmente articolata su un numero ridotto di stazioni di rifornimento, e la limitata autonomia dei veicoli rendono in genere critico da un punto di vista tecnico-economico il problema di offrire all'utenza un livello di servizio adeguato. Nell'esperienza italiana le stazioni di rifornimento di metano compresso non si sono sviluppate nemmeno in momenti nei quali la dinamica dei consumi è stata rilevante e hanno finito per costituire il principale impedimento ad una più ampia utilizzazione del carburante metano. I n relazione alle prestazioni va detto che la potenza massima di un motore ad accensione comandata alimentato a metano è mediamente inferiore del 1 0 % rispetto a quella erogata dallo stesso motore alimentato a benzina, in quanto la carburazione gassosa riduce i l riempimento dei cilindri. I l rendimento termodina­ mico di un motore a doppia alimentazione è in genere lievemente superiore quando funziona a metano principalmente perché la carburazione gassosa con­ sente una maggiore uniformità e precisione nella composizione della miscela. Questa tecnologia di impiego del metano in alternativa alla benzina, così come per il GPL, è quella comunemente adottata in quanto richiede modifiche

Motori alternativi a combustione interna

383

minime ai motori a benzina di normale produzione e soddisfa a ovvi requisiti di flessibilità di impiego. Essa presenta però l'inconveniente di non poter sfruttare la qualità migliore del combustibile metano, che è il suo elevato potere antideto­ nante, e la connessa potenzialità di rendimento termodinamico. Ottenere un rendimento termodinamico elevato è di particolare interesse in questa applica­ zione per contrastare efficacemente le penalizzazioni in termini di peso e di ingombro dei serbatoi a parità di autonomia. Un motore moderno ottimizzato per l'impiego a metano (rapporto di compressione molto elevato, combustione ma­ gra, doppia accensione elettronica) potrebbe fornire un rendimento superiore del 1 0%-8 5 % rispetto ai migliori motori attuali a benzina. L'evoluzione degli impianti di distribuzione, le caratteristiche dell'attuale sistema distributivo a mezzo condotte e la qualità dei risultati raggiunti negli ultimi anni dai costruttori dei serbatoi e dei kits di trasformazione degli autovei­ coli, lasciano intravedere, per il futuro, una potenzialità di sviluppo del metano per autotrazione ben superiore a quella del passato. Si prevede che, negli anni '90, la distribuzione del metano potrà svilupparsi su due canali distinti e paralleli: quello, tradizionale in Italia, del rifornimento dei singoli automezzi attraverso i distributori stradali e quello, sviluppatosi ancor prima in alcuni Paesi americani, del rifornimento attraverso distributori interni di intere flotte di automezzi di proprietà di enti, amministrazioni o ditte private. In questa ottica un particolare interesse è rivolto all'ipotesi di metanizzazione degli autobus per il trasporto pubblico urbano, settore nel quale, già da alcuni decenni, sono state realizzate sperimentazioni in numerose città quali Ravenna, Udine, Piacenza, Firenze.

VIII.9. I combustibili per presszone

motori a c. t. ad accenszone per com­

Nei motori ad accensione per compressione vengono impiegati i cosiddetti oli combustibili (nafte leggere o gasoli e nafte pesanti o nere), prodotti di distilla­ zione del petrolio greggio. Mentre le nafte pesanti vengono largamente impiegate sui motori diesel a due tempi grandi e lenti destinati alla propulsione navale o alla produzione di energia elettrica in impianti fissi, i gasoli vengono invece largamente impiegati in tutti gli altri motori diesel. È opportuno ricordare che lo sviluppo negli ultimi anni della motorizzazione diesel anche sulle vetture ha comportato una domanda di gasolio sempre cre­ scente che poteva essere soddisfatta o ricorrendo all'importazione oppure spin­ gendo la resa in gasolio dei processi di raffinazione. Quest'ultima pratica, però, spesso compromette la qualità e la uniformità del prodotto le quali, pur se non alterano in misura apprezzabile le prestazioni dei motori, possono pregiudicare la qualità e l'entità delle emissioni inquinanti allo scarico.

384

Macchine

VIII.9. 1 . Il gasolio La qualità di un gasolio per autotrazione è definibile attraverso un insieme di caratteristiche chimico-fisiche, le principali delle quali vengono qui di seguito riportate.

Volatilità

La volatilità di un gasolio, considerata a sé stante, non ha u n sensibile effetto sul comportamento del combustibile nel motore, ma determina i valori del peso specifico e del ritardo all'accensione del combustibile stesso.

Densità La densità di un gasolio è in stretta relazione con il suo potere calorifico e quindi con il consumo volumetrico del motore nel quale viene bruciato. Se la combustione avviene in maniera soddisfacente, ad una maggiore densità del combustibile corrisponde un minor consumo volumetrico del motore.

Viscosità e tensione supe1jiciale

La viscosità e la tensione superficiale influiscono sulla forma del getto pro­ dotto dagli iniettori mentre la sola viscosità influenza la tenuta delle pompe e degli iniettori nonché la loro usura. Si tenga presente che un eccessivo aumento della viscosità provoca perdite di carico nell'apparato di iniezione che riducono l a pressione d i iniezione con conseguente peggioramento della polverizzazione; per contro un gasolio poco viscoso può creare inconvenienti di lubrificazione alla pompa di iniezione i cui organi sono lubrificati dal gasolio stesso. Si osservi che in Italia il gasolio presenta, alla temperatura di 37,8oC una viscosità variabile tra 2,0 eSt e 5,35 eSt.

Acidità

L'acidità del combustibile deve essere l a più bassa possibile per evitare l a corrosione .d elle parti metalliche con le quali il combustibile stesso viene in contatto.

Punto di intorbidimento e punto di scorrimento A bassa temperatura i componenti paraffinici dei combustibili per motori diesel possono precipitare sotto forma cristallina e provocare quindi l ' intasa­ mento dei filtri o l 'ostruzione dei condotti di alimentazione. Quanto più elevato è il contenuto di idrocarburi paraffinici, tanto più elevata sarà l a temperatura di precipitazione e meno adatto sarà i l combustibile ad essere impiegato in motori destinati a funzionare a temperature basse. Il punto di intorbidimento o Cloud Point CP e il punto di scorrimento o Pour Point PP sono rispettivamente la temperatura alla quale si ha dapprima la cristallizzazione dei componenti paraffi-

Motori alternativi a combustione interna

385

nici contenuti nel combustibile e la temperatura, di 1 0-;-- l SOC più bassa della precedente, alla quale la cristallizzazione è tanto intensa da rendere impossibile il libero flusso del combustibile nei condotti di alimentazione.

Residuo carbonioso o numero di Conradson

I componenti del combustibile ad elevato punto di ebollizione bruciano meno facilmente e possono dar luogo, a causa di combustioni incomplete, a depositi carboniosi che imbrattano le pareti delle camere di combustione.

Ceneri

La presenza di composti non combustibili nei gasoli dà luogo, a seguito della combustione, a ceneri delle quali la maggior parte viene trascinata via dalla camera di combustione attraverso lo scarico, ma una minima parte si deposita nella camera di combustione stessa od anche sugli iniettori. Tale ultima eventua­ lità è la più dannosa poiché, come ben si comprende, se il fenomeno è rilevante si può avere anche l 'occlusione degli iniettori specie quando questi ultimi sono del tipo a fori multipli. È quindi necessario intervenire sulla composizione del com­ bustibile affinché il contenuto di ceneri non volatili sia il più basso possibile.

Zolfo

Lo zolfo eventualmente presente nel combustibile è causa di notevoli usure dovute alla natura corrosiva dei prodotti della sua combustione ed incrementa inoltre la quantità di depositi in camera di combustione. Per evitare tali inconve­ nienti i combustibili diesel con elevati tenori di zolfo vengono sottoposti a processi di desolforazione mediante idrogenazione. Comunque l'azione dello zolfo eventualmente presente nei combustibili viene in parte neutralizzata con l 'uso di adatti lubrificanti che contengono additivi alcalini opportunamente incor­ porati a base, in genere, di calcio, bario o magnesio. Si tenga presente che lo zolfo contenuto nei gasoli contribuisce alla formazione del particolato, di cui si parlerà al par. VII I . 1 9.2, attraverso la formazione dei solfati; per tale ragione i gasoli per autotrazione in distribuzione in Italia devono contenere non più dello 0,3 % in peso di zolfo. Recentemente il suddetto valore è stato ridotto allo 0,2 % . Nel caso d i grandi motori diesel che utilizzano come combustibile gasoli meno pregiati o addirittura il residuo della distillazione del petrolio ad elevato contenuto di zolfo, è accertato che quest'ultimo è il maggior responsabile dell'usura delle canne dei cilindri, delle fasce elastiche e delle loro sedi negli stantuffi, cioè di quelle parti del motore che sono maggiormente suscettibili di deterioramento.

Punto di infiammabilità o flash point

La determinazione del punto di infiammabilità di un combustibile diesel è importante dal punto di vista della sicurezza e delle precauzioni da prendere nella movimentazione del prodotto. Per i gasoli pertanto è in generale prescritto un

386

Macchine

valore minimo del punto di infiammabilità. Esso in sostanza è la minima tempera­ tura alla quale i vapori del combustibile in esame in aria possono essere accesi mediante una fiamma applicata.

Aspetto

Tale caratteristica comprende sia la trasparenza del combustibile che il suo colore. Il colore viene ottenuto con l'aggiunta di coloranti o di prodotti petroliferi diversi a seconda dell'impiego e quindi della tassazione cui il combustibile viene sottoposto.

VIII.9.2. Combustibili alternativi La carenza di disponibilità di gasolio da destinare all'autotrazione, accentuata dallo sviluppo del motore diesel anche su veicoli leggieri, ha spinto a ricercare quei combustibili da utilizzare come integratori di frazioni di gasolio in alimenta­ zioni tipo mixed-fuel allo scopo di ridurre i consumi di gasolio e principalmente le emissioni di fumo allo scarico. Il metano, i GPL ed il metanolo sono i combustibili più promettenti sotto questo aspetto, specialmente se si pensa di integrare con essi l 'alimentazione dei motori di cui sono dotati i mezzi di trasporto pubblico urbani, in particolare le flotte di autobus. È possibile quindi alimentare il motore diesel con una ridotta quantità di gasolio rispetto a quella normale in ciascuna condizione di funzionamento sosti­ tuendo la quantità energeticamente mancante con una corrispondente quantità di uno dei combustibili citati premiscelato con l'aria nel collettore di aspirazione. La portata ridotta di gasolio, comunque iniettata nei cilindri con il normale sistema di iniezione, ha la funzione di promuovere l'accensione della miscela aria­ combustibile integratore. La soluzione illustrata permette, con poche modifiche al motore originario, di utilizzare i combustibili di integrazione aggiungendo al motore alcuni dispositivi ausiliari che si riducono in sostanza a: - un riduttore di pressione del metano o del GPL da introdurre all'aspira­ zione del motore con relativi organi di regolazione e di comando. Nel caso del metanolo sarà necessaria l'aggiunta di un carburatore; - serbatoi atti a consentire l'immagazzinamento a bordo dei combustibili citati, con la necessaria dotazione di valvole di intercettamento e dispositivi di sicurezza nel caso di combustibili gassosi. Si osservi che la quantità di gasolio che viene normalmente rimpiazzata da metano premiscelato all'aspirazione del motore è di circa il 75 %+80% a pieno carico e si riduce al 40%+60% a carico parziale, con una variabilità che è funzione della velocità di rotazione del motore e delle caratteristiche intrinseche

Motori alternativi a combustione interna

387

di funzionamento dello stesso. Nel caso di utilizzazione del GPL la quantità di gasolio sostituita è di circa il 40%+50% a pieno carico, con riduzione ai carichi parziali mentre per il metanolo si raggiungono percentuali di sostituzione non superiori al 20%+25% . S i osservi infine che i l motore mixed-fuel, per i l particolare tipo d i combu­ stione in esso realizzata, è solitamente caratterizzato da un lieve incremento del consumo di combustibile in termini energetici.

VII I . lO. Potenza e bilancio termico di un motore alternativo a c. l. Nei motori alternativi a e.i. il ciclo reale, come anticipato al par. VIII.5, può essere rilevato con l'impiego di appositi apparecchi detti indicatori il cui principio di funzionamento è illustrato in fig. VIII.25; in fig. VIII.26 si riporta il disegno costruttivo di un indicatore. Con riferimento alla fig. VIII.25 si nota il cilindretto 4, montato su un tronco di tubo collegato al cilindro motore, nel quale scorre per effetto della pressione interna un piccolo stantuffo al cui movimento si oppone una molla antagonista; i piccoli spostamenti, opportunamente amplificati con un adatto sistema di leve, sono riportati da una punta scrivente 9 sulla carta avvolta sul tamburo 5, la cui rotazione è comandata dal movimento del pistone 2. La punta scrivente, pertanto, viene a tracciare sulla carta un diagramma con ordinate proporzionali alle pres­ sioni agenti nel cilindro ed ascisse proporzionali ai volumi generati dal movi­ mento del pistone. Il sistema descritto è adatto per macchine relativamente lente ( anche com­ pressori alternativi ) mentre nei motori veloci è necessario ricorrere ad indicatori di caratteristiche diverse: ottici, elettrici ( tipi a piezoquarzo ), ecc. la cui tratta­ zione esula dai limiti di questo testo.

r--- --- -� �- -- -�- -



tr

8

l� � z

1

Fig. VIII.25 - Principio di funzionamento di un indicatore. Cilindro motore; 2. Pistone; 3. Meccanismo di regolazione; 4. Cilindretto dell 'indicatore; 5. Tamburo dell'indicatore; 6. Meccanismo di riduzione; 7. Azionatore dell'indicatore; 8. Cordino; 9. Punta scrivente. l.

388

Macchine

Fig. V I I I .26 Disegno costruttivo di un indicatore. l. Tamburo; 2. Meccanismo di regolazione; 3. Molla; 4. Molla per fare aderire la carta al tamburo; 5. Cilindro; 6. Pistone; 7. Perno per fulcro; 8. Cilindretto; 9. Raccordo di collegamento; 10. A dattatore conico; 1 1. Cordino. -

I l tracciamento del diagramma indicato di un motore alternativo, oltre ad essere assai utile per esaminarne l 'efficienza del funzionamento, consente pure in maniera spedita il calcolo della potenza. Con riferimento al diagramma indicato di fig. VIII.27, infatti, l'area ottenuta sottraendo l'area di pompaggio (lavoro negativo o passivo) all'area percorsa in senso orario (lavoro positivo o attivo), divisa per la cilindrata del cilindro V, fornisce l'altezza media del rettangolo equivalente che ha per base la cil indrata V; quest'ultima, divisa a sua volta per l a cosiddetta tara della molla (spostamento verticale per unità di pressione, a d es. mm /da N/ cm2), consente di determinare la pressione media indicata pmi e cioè quella ipotetica pressione differenziale che, agendo costantemente per l 'intera corsa del pistone, sarebbe in grado di fornire il medesimo lavoro del ciclo a pressione variabile. I l lavoro indicato L1 per ciclo è dato da:

Motori alternativi a combustione interna

389

p

Fig. V I I I.27

-

Diagramma indicato

111

coordinate

p V.

n D2 Cp m i 4

(8-20)

D e C espressi in [m] e pnu m [N/m2] . Il prodotto (nD2/4)-C è evidentemente il volume V del · cilindro. Indicando con n il numero di giri al minuto segue che il numero di cicli al secondo compiuti dal motore è n/60 nel due tempi (un ciclo per ogni giro) ed n/2·60 nel quattro tempi che realizza ovviamente la metà dei cicli. Indicando con E il numero dei tempi si può scrivere, più generalmente, che il numero dei cicli al secondo è uguale a 2n/60E = n/30E. Per un motore a z cilindri la potenza indicata P, è data dunque da: con

Pi = z

n D2 C pmi 4 · 30E

l

n

-

1 .000

[kW]

(8-21)

L a (8-21) esprime la potenza trasferita d a l fluido alla testa del pistone, che è il primo organo mobile; per conoscere la potenza effettiva P" quella cioè effetti­ vamente disponibile all'asse della macchina, bisogna valutare l'aliquota della potenza indicata che si degrada per gli attriti e quella che viene utilizzata per muovere gli organi ausiliari del motore (ventola di raffreddamento, pompa acqua, ecc.). Moltiplicando allora la (8-21) per il rendimento meccanico 'llm si avrà: pe

pi ·

=

Si usa definire così anche una

pme

(8-22)

11m

pressione media effettiva:

=

p m i 11111 ·

(8-23)

390

Macchine

Esprimendo la cilindrata totale V, = z V in litri e la pressione media in bar, le espressioni della potenza indicata P, e della potenza effettiva P, assumono rispet­ tivamente la forma: VI

P;

n

pmi E

300

pe =

V1

pme 300 E

n

[kW]

(8-24)

[kW]

(8-25)

Usando invece le unità del sistema tecnico, ancora molto diffuso nelle pra­ tiche applicazioni, e cioè esprimendo la cilindrata totale V, in litri e la pressione media in kp/cm\ le espressioni della potenza indicata P, e della potenza effettiva Pe assumono rispettivamente la forma:

P; pe =

V1

pmi 225E

V1

pme 225E

n

[CV]

(8-24')

[CV]

(8-25')

n

D alla (8-21) si nota che per un motore di date dimensioni la potenza è funzione della pmi e del numero di giri n . Per quanto riguarda il bilancio termico di un motore a e.i. c'è da dire che solo una parte dell'energia calorifica del combustibile consumato viene trasformata in lavoro meccanico sull'albero del motore stesso. Le varie perdite sono ascrivibili parte al calore asportato dall'acqua o dall'aria refrigerante, parte al calore sensi­ bile dei gas combusti allo scarico e parte infine al calore prodotto dalle varie resistenze passive oltre alle perdite per incombusti e per irraggiamento del motore. L'equazione di bilancio relativa alle quantità di calore in gioco riferite all'u­ nità di tempo assume la forma:

in cm:

Q 101

=

QL

+

Q raff

+ Q gas

+Q

re s

(8-26)

q,0, è la portata di calore introdotta 'n el motore con il combustibile;

QL è la portata di calore corrispondente all'effettiva potenza ricavata

sull'albero del motore; Q,"ff è la portata di calore ceduta al fluido refrigerante del motore; Qgas è la portata di calore che va via con i gas di scarico; -

Motori alternativi a combusrione interna

391

Q,., è la portata di calore corrispondente alla non completa combustione del combustibile, al calore irraggiato dal motore, a parte di quello dovuto al lavoro d'attrito, e al lavoro speso per azionare gli ausiliari del motore. La portata Q10, introdotta nel motore con il combustibile può essere espressa da: Q /O/

(8-27)

dove rhc [kg/s] è la portata di combustibile ed H; [kJ/kg] è il potere calorifico inferiore. La portata QL equivalente all'effettivo lavoro per unità di tempo ricavato sull'albero motore è data da:

QL

=

P

[kJ/s]

(8-28)

dove P è la potenza del _motore espressa in kW. La portata di calore Q,11 è costituita sia da quella parte che viene ceduta all'esterno mediante il circuito di raffreddamento ( ad acqua o ad aria) sia da quella parte che viene ceduta dall'olio lubrificante che assolve pure ad una funzione refrigerante. Nel caso di raffreddamento ad acqua la portata di calore Q,.11 può essere espressa mediante la relazione:

(8-29) in cui:

- 1h H , 0 ed rh" sono rispettivamente le portate di acqua e di olio, espresse m kg/s, che fluiscono attraverso i relativi circuiti; e co sono rispettivamente i calori specifici dell'acqua e dell'olio - c H,o espressi in kJ/kg K; - L1 t H,o e t1ta sono rispettivamente le differenze di temperatura per

l 'acqua e per l 'olio, espresse in Kelvin, tra l'uscita e l ' ingresso dei relativi circuiti del motore. La portata di calore Q80, che viene allontanata con i gas di scarico può essere valutata con l'espressione:

(8-30) m

cui:

- 1h1,

motore;

[kg/s] è la portata di carica fresca (aria e combustibile) entrante nel

- cpgas e cPF sono rispettivamente i calori specifici a pressione costante, espressi in kJ/kg K, dei gas combusti e della carica fresca;

392 · Macchine

- Tg"' e Tp sono rispettivamente le temperature, espresse in Kelvin, dei gas combusti e della carica fresca misurate nel tubo di scarico e all'aspirazione del motore. La portata di calore Q"' di solito è valutata per differenza attraverso la stessa relazione (8-26) scritta nella forma:

Q res

=

Q IOI

-

(Q L

+

Q raff

+

QgaJ

(8-31)

Nella tab. VIII.4 vengono riportati i campi di variazione delle percentuali possibili rispetto a inc H, dei diversi termini a secondo membro della (8-26) per i motori a e.i. ad accensione comandata e per quelli diesel di interesse per l 'auto­ trazione. Nella fig. VIII.28, con rappresentazione più sintetica, vengono riportati i bilanci termici per un motore a e.i. ad accensione comandata e per uno diesel. Tab. VIII.4 Campi di variazione delle portate di calore che costituiscono i l bilancio termico di un motore a combustione interna. -

Motore ad accensione comandata

Motore ad accensione per compressione

QL = p

20% -:- 30%

28% -:- 40%

Qg"s

33°/o

1 5 % -:- 37%

30% -:- 50%

24% -:- 40 %

Q�aff

16%

Qrcs

+

4 % -:- 20%

4%

12%

Fig. Vlll.28 B i lancio termico medio d i un motore a d accensione comandata e di u n motore diesel veloce. -

Motori alternativi a combustione interna

393

VIII. l l . Confronto fra i motori a due tempi e a quattro tempi Un motore a due tempi, a parità di cilindrata e di velocità di rotazione, do­ vrebbe erogare una potenza doppia di quella di un motore a quattro tempi; nel mo­ tore a due tempi si ha infatti un ciclo per ogni giro mentre nel motore a quattro tem­ pi si ha un ciclo per ogni due giri, ossia la metà dei cicli a parità di numero di giri. In realtà il rapporto tra le potenze è minore di due per una serie di fattori, quali la presenza delle luci di ammissione e di scaùc_Q,_cbe rid!lcono la cilind1:ata effettivamente riempita dalla miscela (motori ad accensione comandata) o dal­ l'aria (diesel), e il maggior lavoro passivo speso per il ricambio della carica; n� motori ad accens · one comandata vi è anche una nerd · t di 11 . c ela, e quindi"éé i ._r..._r. � ..trcombustibile, durante la fase di lavaggio e di scarico, çon e�ti ���i s�l ·endimento e suii Motenza. ' Nu� ros�tagg � , quali la maggior semplicità costruttiva e di funziona­ mento, il minor peso ed ingombro (a parità di potenza) fanno sì che il motore a due tempi ad accensione comandata venga preferito per applicazioni su motocicli, scoo­ ters, piccole imbarcazioni. In questi campi infatti sono richieste in genere potenze modeste e si verificano peraltro tempi di funzionamento del motore piuttosto con­ tenuti (qualche ora al giorno) il che fa pesare in misura poco rilevante, nell'econo­ mia di esercizio del motore, il valore piuttosto elevato del consumo specifico. Nei motori diesel a due tempi , invece, il riempimento con aria elimina la perdita di combustibile durante le fasi di lavaggio e di scarico, sicché si realizzano minori consumi di combustibile. Per questo e per altri validi motivi il diesel a due tempi è oggi largamente impiegato quando sono richieste potenze elevate, in particolare nella propulsione navale e, in alcuni casi, anche per la produzione di energia elettrica. In tali applicazioni sono richiesti funzionamenti continui per un elevatissimo numero di ore il che, unitamente agli alti valori delle potenze installate ( anche oltre 60.000 kW) , rende indispensabile l'utilizzazione di motori ad alto rendimento e quindi a basso consumo specifico di combustibile.

VIII . 1 2. A limentazione dei motori a e. i. ad accenswne coman­ data mediante carburatori Il sistema di alimentazione di un motore a e.i. ad accensione comandata deve essere in grado di fornire la giusta quantità di miscela caratterizzata dall'oppor­ tuno valore del rapporto massa di aria/massa di combustibile in dipendenza delle diverse condizioni di possibile funzionamento del motore, in modo da assicurare la necessaria rapidità di combustione; la miscela deve inoltre risultare omogenea nel senso che nell'aria deve verificarsi una completa diffusione di vapori di benzina o di goccioline molto minute in modo che non si verifichino indesiderati depositi di combustibile sulle pareti dei condotti di aspirazione. La formazione della miscela aria-benzina si può realizzare mediante l'uso dei

394

Macchine

Fig. V I I I .29 [5] Schema del circuito di alimentazione di un motore a e.i. ad accensione comandata a carburazione. l. Filtro aria; 2. Carburatore; 3. Valvola a fa�falla; 4. Colleuore di aspirazione; 5. Serbatoio combustibile; 6. Filtro combustibile; 7. Eccentrico; 8. Pompa a membrana. -

cosiddetti carburatori oppure mediante l'iniezione del combustibile. Nelle pagine che seguono si parlerà più diffusamente dei carburatori in relazione al fatto che, a causa della relativa semplicità costruttiva rispetto agli impianti di iniezione, sono oggi i più diffusi anche se destinati ad essere sostituiti da questi ultimi. In fig. VIII.29 si riporta lo schema di un tipico circuito di alimentazione del combustibile di un motore ad accensione comandata a carburazione con gli elementi essenziali che lo costituiscono. Il combustibile viene inviato dal serba­ toio 5, previo passaggio attraverso il filtro 6, nella vaschetta a livello costante del carburatore 2 mediante la pompa a membrana 8 azionata dal motore tramite l'eccentrico 7. L'aria viene invece richiamata nel cilindro motore quando i l pistone, durante la fase d i aspirazione, s i sposta dal PMS al PMI. L'aria, la cui portata viene regolata mediante la valvola a farfalla 3, attraversa il filtro l e percorrendo il venturi1 1 del carburatore accelera creando una depressione suffi-

" È un condotto accelerante-decelerante del tipo descritto al par.

1 1 1 . 1 6.2.

Motori alternativi a combustione interna

ttt

Fig. VII I.30 [5] - Schema semplificato di carburatore elementare. l. Vaschetta; 2. Foro; 3. Galleggiante; 4. Venturi; 5. Spruzzatore; 6. Getto; fa ifa/la.

7.

395

Valvola a

ciente a richiamare il combustibile dalla vaschetta a livello costante. Il combusti­ bile si mescola con l'aria vaporizzando in parte e la miscela così formatasi entra nel cilindro motore attraverso la valvola di aspirazione dopo aver percorso il collettore 4. Un carburatore elementare, del quale in fig. VIII.30 si riporta una sezione, è costituito essenzialmente da: - una vaschetta l, comunicante con l'atmosfera attraverso il foro 2, in cui il combustibile è mantenuto ad un l ivello costante mediante un galleggiante 3, costruito generalmente in lamierino di ottone o in plastica che agisce su di una spin a conica che impedisce al carburante di entrare quando il suo livello nella vaschetta ha raggiunto un certo valore; - un venturi 4 il cui compito è quello di accelerare l'aria creando la depressione sufficiente a richiamare, come detto, il combustibile dalla vaschetta l . La sezione ristretta del venturi è scelta i n modo tale che anche i n corrispondenza di una piccola portata d'aria aspirata dal motore, la depressione che in essa si viene a determinare sia sufficiente a richiamare il combustibile, così come alla massima portata di aria aspirata tale depressione non sia tanto forte da determi­ nare una elevata perdita di carico nel venturi e compromettere il buon riempi­ mento dei cilindri; - uno spruzzatore 5 dal quale effluisce il combustibile che, dosato mediante il getto 6, è richiamato dalla depressione generata dall'aria che attraversa il venturi. Il getto è costituito da un breve condotto calibrato, facilmente smontabile per agevolare le operazioni di pulizia, inserito nel circuito di adduzione del

396

Macchine

combustibile allo spruzzatore; il diametro del getto è una delle dimensioni carat­ teristiche del carburatore ed è espresso in centesimi di millimetro (80, 125, ecc.). È evidente che aumentando o diminuendo il diametro del getto si può arricchire o impoverire la miscela e variare, entro certi limiti, le prestazioni del motore; - una valvola 7, generalmente del tipo a farfalla che, in quanto parzializza­ trice della miscela che perviene ai cilindri, funziona da organo di regolazione del motore. Il carburatore di fig. VIII.30 è detto verticale perché l 'aspirazione avviene in senso contrario a quello del campo gravitazionale. Quando invece l 'aspirazione si realizza in un piano orizzontale ovvero nello stesso senso del campo gravitazio­ nale, il carburatore è detto orizzontale o invertito rispettivamente.

VII I . 1 2. 1 . Carburatore a getto compensatore Un carburatore elementare del tipo riportato in fig. VIII .30 presenta, tra gli altri, l'inconveniente di fornire una miscela via via più ricca in benzina man mano che aumenta la velocità di rotazione e quindi la portata d'aria aspirata dal motore. È evidente infatti che un aumento della portata d'aria comporta un aumento della depressione nella sezione ristretta del venturi per effetto della quale viene richiamata anche una maggiore portata di combustibile, ma, dal momento che le perdite di carico relative all'efflusso dell'aria sono maggiori di quelle che caratterizzano l'efflusso del combustibile, si verifica l'arricchimento in benzina di cui si è detto. Una possibile soluzione a tale problema è fornita dal carburatore a getto compensatore (Fig. VIII.31) nel quale sono presenti due spruzzatori, quello prin­ cipale l corrispondente allo spruzzatore del carburatore elementare, la cui por­ tata è quindi proporzionale alla depressione esistente nella sezione ristretta del venturi, ed uno secondario o compensatore 2 che, essendo in comunicazione attraverso il pozzetto 3 con l 'atmosfera, ha una portata che è indipendente dalla depressione nel venturi e quindi dal regime di rotazione del motore e che è funzione del battente h del combustibile nella vaschetta a livello costante 4 e della sezione del foro che mette in comunicazione la vaschetta 4 con il pozzetto 3. In relazione al tipo di miscela che ciascuno dei due spruzzatori sarebbe in grado di fornire agendo separatamente, si vede che, mentre lo spruzzatore princi­ pale fornisce una miscela sempre più ricca con l'aumentare della portata di aria del motore, lo spruzzatore secondario fornisce invece una miscela sempre più povera perché con l 'aumentare della portata d'aria diminuisce percentualmente la portata di combustibile erogata dal getto compensatore. L'unione delle due miscele, una ricca e l'altra povera, dà luogo ad una miscela a titolo abbastanza costante. Evidentemente il getto principale viene regolato per fornire i desiderati valori di a in corrispondenza delle depressioni elevate, mentre il getto compensa­ tore fornisce i desiderati valori di a per le basse depressioni.

Motori alternativi a combustione interna

1

397

2

Fig. VIII.3 1 Schema semplificato di carburatore munito di getto compensatore. l . Spruzzatore principale; 2. Spruzzatore secondario o getto compensatore; 3. Pozzel/o; 4. Vaschetta a livello costante. -

In tale tipo di carburatore poi il pozzetto del getto compensatore, comuni­ cando con l 'ambiente esterno a pressione atmosferica, funziona altresì da poz­ zetto di ripresa; infatti durante la marcia a regime ridotto tale pozzetto risulta quasi completamente pieno di combustibile e nelle fasi di ripresa l'aumento della depressione fa svuotare repentinamente il pozzetto, conferendo un arricchimento temporaneo della miscela.

VIII.l2.2. Circuito del minimo Per consentire funzionamenti accettabili anche nelle altre possibili condizioni nelle quali può trovarsi un motore d'autotrazione quali il funzionamento al minimo, l'avviamento a freddo, i l funzionamento in condizioni di ripresa e a potenza massima, sono stati sviluppati altri dispositivi ausiliari del carburatore che assolvono appunto specificamente alle particolari esigenze di formazione della miscela che si verificano in tali condizioni di marcia. Nel funzionamento al minimo il motore gira lent �mente a 700+800 giri/min erogando solo la potenza sufficiente per vincere gli attriti e per azionare gli ausiliari. In tali condizioni la valvola a farfalla è praticamente chiusa ma consente comunque il passaggio di una piccola portata d'aria in quanto per ragioni costrut­ tive la valvola a farfalla non ostruisce completamente il passaggio dell'aria

398

Macchine

l

l 6

5 4 3 Fig. V I I I .32 [5] Carburatore munito di circuito per la marcia a minimo. l . Getto principale combustibile; 2. Vite di fermo; 3. Foro di progressione; 4. Foro uscita minimo; 5. Vite registro minimo; 6. Gel/o combustibile del minimo; 7. Getlo aria minimo; 8. Getto principale correzione aria. -

quando il pedale dell'acceleratore viene rilasciato. La depressione esistente nella sezione ristretta del venturi, corrispondente in tali condizioni a qualche milli­ metro di acqua, sarà però del tutto insufficiente a richiamare la necessaria quantità di combustibile dal getto principale il che comporta lo spegnimento del motore. Si utilizza allora un piccolo getto, detto del minimo, sistemato nella maggior parte dei casi in derivazione rispetto al circuito principale e la cui portata viene deviata a valle della valvola a farfalla (Fig. VIII.32). Quando la depressione a monte della valvola a farfalla è sufficiente, il combustibile viene richiamato dal circuito principale ed il circuito del minimo non entra in funzione; quando viceversa la farfalla è chiusa o quasi chiusa, la depressione a valle della stessa cresce, sì che il combustibile viene richiamato nella giusta quantità attraverso il circuito del minimo mentre il circuito principale cessa di funzionare. Al minimo la chiusura completa della valvola a farfalla è impedita da una vite di fermo 2 (Fig. VIII.32) posta in corrispondenza dell'alberino della farfalla. Nel circuito del minimo il combustibile attraversa prima il getto del minimo 6, dopo di che si riversa nel condotto connesso con una sezione di uscita posta a valle della valvola a farfalla. Tale ultima parte del circuito è sempre costituita da più fori di uscita nel

Motori alternativi a combustione interna a

J

D

b J

c

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J

5 1

Fig. V l l l .33 [5] Fase di progressione. a) Funzionamento al minimo; b) Progressione; c) Intervento del circuito principale ed esclusione del circuito del minimo. l. Foro di progressione; 2. Valvola a f(llfal/a; 3. Foro uscita minimo; 4. Spruzzatore; 5. Venturi. -

collettore di aspirazione, uno dei quali è posto al disotto della valvola a farfalla, nella sua posizione di massima chiusura consentita dalla vite di fermo 2 (Fig. VIII.32) mentre gli altri fori, generalmente due o tre, sono posti superiormente ad una certa distanza dal primo, in maniera sfalsata e a partire dalla posizione di chiusura della valvola a farfalla. La presenza di tali fori, detti fori di progressione, consente, durante il funzionamento del motore, il passaggio graduale della addu­ zione di combustibile dal circuito del minimo al circuito principale. l fori di progressione sono infatti in connessione tutti con il getto del minimo sicché all'aprirsi della valvola a farfalla, e quindi al diminuire della depressione a valle della stessa, non viene drasticamente ridotta la portata effluente dal circuito del minimo, perché vengono via via a scoprirsi i suddetti fori che, aumentando in definitiva la sezione di uscita totale compensano la riduzione della portata dovuta al diminuito valore della depressione. I fori di progressione vengono poi esclusi del tutto quando l'apertura della farfalla è tale da richiamare in azione il getto principale. In fig. VIII.33 si riporta la fase di progressione con funzionamento al minimo, scopertura dei fori di progressione, innesco del circuito principale ed esclusione del circuito del minimo.

400

Macchine

1

Fig. VIII.34 [5] - Carburatore munito di starter a farfalla eccentrica a comando ma­ nuale. l . Fmfalla eccentrica; 2. Spruzzatore; 3. Venturi; 4. Valvola a farfalla.

Fig. V I I I .35 [5] - Carburatore munito di starter semiautomatico. l . Molla.

VIII . 1 2.3. A vviamento a freddo I n fase di avviamento a freddo bisogna realizzare una miscela piuttosto ricca in quanto il combustibile evapora con difficoltà e condensa parzialmente sulle pareti fredde del collettore di aspirazione. Inoltre il motore, trascinato dal moto­ rino di avviamento, comincia a girare lentamente per cui anche la velocità dell'aria e di conseguenza quella del combustibile sarebbero basse in un carbura­ tore elementare e quindi insufficienti a realizzare la dovuta quantità e ricchezza di miscela, necessarie per consentire al motore di superare la fase di avviamento. La soluzione a tale problema è costituita da un particolare dispositivo detto starter di cui uno dei tipi più diffusi è riportato in fig. VIII.34. Esso è in sostanza costituito da una farfalla eccentrica l, sistemata a monte dello spruzzatore princi­ pale, collegata ad un comando manuale. In fase di avviamento la farfalla l viene chiusa mentre, mediante appositi leveraggi, viene leggermente aperta la farfalla principale 4. In tali condizioni anche lo spruzzatore 2 viene inizialmente a trovarsi sotto una forte depressione e quindi si ha la dovuta ricchezza di miscela che permetta al motore di avviarsi. A motore caldo il disinserimento dello starter deve essere effettuato tempestivamente per evitare il funzionamento prolungato con una eccessiva ricchezza di miscela che, come è noto, può provocare la diluizion� dell'olio l ubrificante nella coppa a causa degli inevitabili trafilamenti

Tav. X I I I - Ruota Pelton con pale fuse di pezzo destinata all'impianto di Cat A rm in Canada (SULZER-ESCHER W YSS) . P = 69,8 M W ; H ' = 388,4m ; n = 327,3 g i ri!m i n .

Tav. X I V - Visualizzazione del getto d'acqua in uscita dall 'ugello Doble e sua ripartizione al momento in cui colpisce la pala della Pelton.

Tav. XV - Una delle due ruote Pelton a sei boccagli installate nell 'impianto Seltrain Silz in Austria. P = 260 M W!ruota; H' = 1.237 m.

;... ...._ ._ _ _ _

_

--#'IT--+�-- e ...-�4--�- · ___..�-r- e

Tav. XVI Spaccato di turbina Francis ad asse orizzontale e sistema di regolazione ( VOITH) . l. Valvola di interceltazione; 2. Voluta a spirale di ingresso; 3. Anello di irrigidimento; 4. Bordo anello; 5. Pale statorich.e orientabili; 6. Copertura; 7. Girante; 8. Gomito del tubo di scarico; 9. Scarico; 1 0. A nello di regolazione pale statoriche orientabili; 1 7 . Servomotore; 12. Leveraggi; 13. A lbero della turbina; 1 4. Tenuta; 15. Cuscino; 1 6. Giunto; 17. Generatore elettrico. -

• - ·16Q .Om · 156.� m 8 buuerfly vniYes 8 vcrtical Francis typc 150 rev/min x 218.5 a 174Sml/s

.



.8

258 m 53 m 54 m

Tav. XVI I - Spaccato dell'impianto idroelettrico di Atattirk costituito da otto gruppi con turbine Francis della potenza complessiva di 2.590 MW realizzato lungo il fiume Eufrate e completato nel 1 995. (SULZER-ESCHER WYSS). Si noti il generatore elettrico ad asse verticale sistemato superiormente alla turbina.

Tav. XVIII

-

Girante di turbina ad elica (SULZER-ESCHER W YSS).

Tav. XIX Q = 1 0. 000

-

Compressore alternativo a quattro cilindri verticali ( D EMA G) . mlfh ; p 2 l p 1 = 30.

Tav. XX - Compressore cenll: ifugo con cassa aperta orizzontalmente adatto per vari tipi di gas a pressioni modeste (:o; 40 bar) (NUO VO PIGNONE). Si noti a sinistra La girante del primo stadio di tipo aperto e di maggior diametro rispello alle altre, caral/erizzara quindi da un phì. elevato valore della velocità periferica u ed in grado pertanto di trasferire maggior lavoro al fluido elaborato, con conseguente maggior incremento di pressione.

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40 1

dovuti al maggiore spessore del film di combustibile che si deposita sulle pareti delle camere di combustione quando si funziona con miscela eccessivamente ncca. Nel caso tra la farfalla eccentrica ed il comando manuale sia inserita la molla l ( Fig. VII I.35), si ha il cosiddetto starter semiautomatico. Infatti all'aumentare della velocità di rotazione del motore e quindi del valore della depressione sullo spruzzatore, cresce anche la forza che, provocata dall'aria entrante, agisce sulla valvola eccentrica. Quest'ultima, quando viene vinta la reazione della molla l , si apre, consentendo pertanto di mantenere la depressione ad un valore tale da ottenere ancora rapporti di miscela ricchi, ma non eccessivamente, e quindi compatibili con il funzionamento del motore. Il perno attorno al quale ruota la valvola di avviamento di solito non è disposto in posizione centrale simmetrica rispetto al condotto per facilitarne l'apertura dal momento che il flusso d'aria nel condotto dà luogo ad una coppia che tende a far ruotare la valvola. Per tale motivo il dispositivo prende anche il nome di starter a fwfalla eccentrica. Nei moderni carburatori è generalmente in uso lo starter automatico che è del tipo rappresentato in fig. V I I I .36. L'alberino della farfalla eccentrica 13 dello

9

'i �� '

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-

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18 14

15

16

17

: -

Fig. V I I I.36 [5] - Carburatore munito di starrer automatico. l . Perno; 2. Leva; 3. Leva solidale alla leva 2; 4. Eccentrico; 5. Vite regolazione minimo veloce; 6. Leva minimo; 7. Tirante; 8. Leva acceleratore; 9. Molla; 1 0. Stelo; 1 1 . Registro corsa stelo; 12. Vile registro minimo; 13. Fa1jalla eccentrica; 14. Molla antagonista; 15. Diaframma; 16. Molla a spirale bimetallica; 1 7. Riscalda/Ore molla bimetallica; 18. Valvola a f01falla.

402

Macchine

starter è collegato ad una molla a spirale bimetallica 16, la cui estremità connessa

al suddetto alberino varia di posizione in funzione della temperatura del motore. I movimenti della molla a spirale sono realizzati in maniera tale che a motore freddo la valvola dello starter è in posizione di chiusura, mentre man mano che la temperatura del motore aumenta se ne provoca la progressiva apertura. Il riscal­ damento della molla bimetallica è ottenuto elettricamente o utilizzando il circuito dell'acqua di raffreddamento del motore.

VII I . 12.4. Funzionamento in condizioni di ripresa Viene denominata ripresa la fase di accelerazione del motore a partire da una certa velocità iniziale. L'accelerazione del motore si ottiene aprendo con una minore o maggiore velocità la valvola a farfalla del carburatore. In conseguenza aumenta rapida­ mente la portata dell'aria entrante nel motore e quindi anche la portata di benzina. Ma a causa dei differenti percorsi che devono seguire l'aria ed il combustibile, si ha che generalmente la portata di quest'ultimo si adegua con un certo ritardo alla portata d'aria per cui, se non si provvedesse diversamente, si avrebbe un momentaneo impoverimento della miscela. Ciò non consentirebbe al motore di raggiungere rapidamente il regime di rotazione desiderato. Infatti la repentina diminuzione della depressione che si verifica a valle della farfalla in seguito alla sua apertura impedisce una buona vaporizzazione del combustibile o addirittura provoca l a condensazione del combustibile già vaporizzato; pertanto nei primi istanti successivi alla manovra di apertura stessa, il motore potrebbe rallentare e fermarsi addirittura. Per evitare tale fenomeno si fa in modo che, durante quasi tutta la fase di accelerazione, venga iniettata nel collettore di aspirazione una quantità aggiuntiva di combustibile sì da arricchire momentanea­ mente la miscela fino a valori di a corrispondenti al dosaggio di piena potenza. Il dispositivo che consente di ottenere questo risultato nei moderni carburatori è la cosiddetta pompa di ripresa il cui funzionamento, ottenuto per via meccanica o, in casi più rari, per via pneumatica, è legato esclusivamente ad un rapido movimento della valvola a farfalla. Nella fig. VIII.37 è riportato lo schema di un carburatore avente una pompa di ripresa a stantuffo a comando meccanico. Con riferimento alla fig. VIII.37, aprendo la valvola a farfalla 9, Io stantuffo 6 viene spinto verso il basso dalla molla 2 a comprimere quindi il carburante sottostante; si chiude perciò la valvola di aspirazione 7 e il liquido, aperta la valvola di mandata 3, esce dal getto l O mentre una parte ritorna in vaschetta attraverso il getto di scarico 5. Alla chiusura della farfalla, lo stantuffo viene sollevato comprimendo la molla 2 ed aspira carburante dalla valvola 7 e dal getto 5. Più raramente si ottiene l 'arricchimento della miscela durante la fase di accelerazione utilizzando invece della pompa di ripresa il combustibile immagaz-

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10

9

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Fig. Y I I I .37 [5] - Carburatore munito di pompa di ripresa a stantuffo a comando meccanico. l. Asta pompa; 2. Molla pompa; 3. Valvola di mandata; 4. Vaschetta a livello costante; 5. Gelto scarico pompa; 6. Stantuffo pompa; 7. Valvola di aspirazione; 8. Leva comando pompa; 9. Valvola a fmfalla; 10. Getto pompa.

zinato nel canale del getto principale oppure nella vaschetta del getto compensa­ tore. Si osservi che le quantità di combustibile che vengono inviate al motore sono funzione della velocità con la quale viene aperta la valvola a farfalla. Aperture graduali e lente di tale organo di regolazione determinano solo il riflusso in vaschetta del combustibile accumulato nella pompetta.

VII I . 1 2.5. Limiti del carburatore Alla luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti è possibile concludere che un sistema di alimentazione di un motore a e.i., per dar luogo ad una opportuna dosatura del combustibile e risultare quindi idoneo all'uso cui è destinato, deve soddisfare alle seguenti principali necessità: - possibilità di predeterminare la legge di variazione del rapporto di miscela in maniera che in ogni punto di funzionamento se ne realizzi il valore prescelto in sede di proporzionamento del circuito di alimentazione; - possibilità di regolare il valore effettivo di tale rapporto, durante il funzio-

404

Macchine

namento reale, entro un campo di tolleranza che sia ammissibile in relazione al possibile scadimento delle prestazioni richieste; - prontezza di regolazione tanto elevata che il ritardo di intervento possa non essere rilevato dal motore. Nei sistemi a carburazione classici la portata di carburante è funzione, come si è detto, di un solo parametro principale di funzionamento, costituito dalla depressione esistente nella sezione ristretta di uno o più tubi venturi inseriti nei condotti di aspirazione del motore, a monte della valvola a farfalla. Tale sistema di regolazione, che si accompagna alla immissione del carburante a monte della valvola a farfalla, comporta alcuni inconvenienti i principali dei quali sono qui richiamati: - difficoltà di poter assicurare nel campo dei carichi mm1m1 e mass1m1 l'osservanza della legge di variazione di a ritenuta più idonea dal progettista del motore; - non omogeneità della miscela ad alcuni regimi di funzionamento, quali ad esempio l'avviamento a freddo; - ritardo di intervento nelle riprese. Soprattutto nel caso di rapide varia­ zioni di regime il carburatore riesce a realizzare la legge desiderata solo dopo un certo periodo di tempo di stabilizzazione a causa, come già accennato, della diversa legge di variazione delle perdite di carico per la benzina e per l'aria, dell'inerzia del carburante, ecc.; durante tale tempo di stabilizzazione si ha un aumento della potenza più lento di quello desiderato nel caso di forti riprese o un notevole spreco di benzina con· conseguente aumento di incombusti allo scarico; come già detto, si ricorre all'uso delle pompe di ripresa che in parte rimediano ai suddetti inconvenienti; - durante le decelerazioni, vale a dire nel passaggio da condizioni di valvola a farfalla tutta aperta a quelle di farfalla chiusa, il carburatore, specialmente nelle versioni in produzione fino a qualche anno fa, continua a fornire, attraverso il circuito del minimo, combustibile con rapporto di miscela in genere ricco ed in condizioni di combustione imperfetta, per cui si hanno percentuali rilevanti di incombusti e quindi di inquinanti allo scarico; - ampie variazioni del consumo specifico con il carico, esaltate da un uso del motore con frequenti transitori; - necessità di riscaldare, in certe condizioni, il collettore di aspirazione per evitare la condensazione del combustibile con peggioramento del riempimento del cilindro in quanto tale procedura comporta un indesiderato riscaldamento dell'aria; - poca controllabilità, in genere, dei tassi di inquinanti allo scarico in tutto il campo di funzionamento del motore; - difficoltà di mantenere costante il livello nella vaschetta in condizioni particolari quali veloci iscrizioni del veicolo in curva; - possibili formazioni di ghiaccio sulla farfalla a bassa temperatura. Il

Motori alternativi a combustione interna

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ghiaccio si può formare sulla farfalla o sulle pareti interne del diffusore a causa della diminuzione di temperatura dovuta alla vaporizzazione del combustibile quando la temperatura dell 'aria aspirata è bassa e l'umidità relativa è elevata (superiore al 75 % ) . La formazione di ghiaccio può comportare, oltre ad incre­ menti dei consumi, anche l'arresto del motore. Per impedire la formazione di ghiaccio si ricorre spesso al riscaldamento dell'aria aspirata prelevandola in prossimità del collettore di scarico. Per lo stesso motivo la base dei carburatori nella zona della farfalla viene riscaldata qualche volta mediante circolazione del . liquido di raffreddamento.

VII I . 1 3 . Alimentazione dei motori a e. i. ad accensione coman­ data mediante iniezione di benzina I limiti del carburatore potrebbero essere superati qualora non si affidasse alla sola depressione nella sezione ristretta del venturi il compito di richiamare il combustibile, e si trovasse un metodo capace di aumentare la velocità relativa tra aria e benzina, in modo da favorirne l'evaporazione. Per eliminare la dipendenza esistente nel carburatore fra il flusso dell'aria e quello del combustibile e aumentare la velocità di quest'ultimo rispetto all 'aria, si può pensare di iniettare il combustibile stesso sotto pressione in seno all'aria che verrebbe sempre aspirata dal moto dei pistoni. Su questo principio si basano i sistemi di iniezione del combustibile, che possono essere attuati in due modi diversi: si può infatti ricorrere all'iniezione all'interno della camera di combustione analogamente a quanto avviene nei motori a ciclo diesel [iniezione diretta (Fig. VIII.38)] oppure si può iniettare il combusti­ bile nel condotto di aspirazione, in modo che la miscela si formi a monte della valvola di aspirazione, così come avviene per i motori con carburatore [iniezione indiretta (Fig. VIII.39)]. Tale ultimo sistema può poi essere caratterizzato a sua volta da una iniezione intermittente, nel senso che il combustibile viene iniettato solo durante la fase di aspirazione, o continua nel senso che il combustibile viene iniettato con continuità nei condotti di immissione. È evidente che nel caso di iniezione diretta del combustibile è possibile soltanto l'iniezione intermittente. I vantaggi che i sistemi di iniezione comportano sono numerosi e qui di seguito ne vengono illustrati i principali.

Alimentazione uniforme dei cilindri

Tale risultato si potrebbe conseguire anche montando un carburatore per cilindro. Quando però il motore deve variare rapidamente regime di rotazione, si verifica il frazionamento dei componenti più volatili della benzina e quindi, poiché il numero di ottana varia con la volatilità, mutano nel tempo anche le capacità antidetonanti del combustibile impiegato nel motore. Tale evenienza

406

Macchine

Fig. V l l l .38 Sezione di cilindro munito di iniezione diretta. Iniettare. -

l.

Fig. V l l l .39 Sezione di cilindro munito di iniezione indiretta. lniettore; 2. Colleuore di aspirazione; 3. Valvola di aspirazione. -

l.

non si verifica nei motori ad iniezione di benzina per cui si può affermare che per essi durante i transitori vi sono minori possibilità che insorgano fenomeni di detonazione.

Riduzione degli inquinanti allo scarico

Con l'esatta dosatura, fornita da un sistema di iniezione, della quantità di carburante richiesta dal motore per ogni condizione di funzionamento, si può ridurre la percentuale di ossido di carbonio CO nei gas di scarico. Ampliando l'incrocio delle valvole è possibile altresì ridurre gli ossidi di azoto NO, allo scarico ai carichi parziali in quanto tale accorgimento accresce la diluizione della carica fresca entrante nel cilindro e quindi diminuisce il picco di temperatura che si raggiunge, responsabile della presenza degli NO, allo scarico. Ulteriori vantaggi che comportano i sistemi di alimentazione ad iniezione sono il diminuito valore del consumo specifico di combustibile, l'aumento del riempimento dei cilindri, la diminuita possibilità di ritorni di fiamma, la corretta alimentazione indipendentemente dall'assetto dell'autovettura, l'eliminazione del pericolo di formazione di ghiaccio nel condotto di immissione, la libertà di scelta della posizione di montaggio dell 'apparato di iniezione con la conseguente possi­ bilità di realizzare la linea aerodinamicamente più valida, la mancanza infine del

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film di combustibile liquido sulle pareti dei condotti di aspirazione, il che elimina l'opportunità di riscaldare il collettore stesso. Dopo aver illustrato i principi di funzionamento e le caratteristiche generali di un sistema di alimentazione ad iniezione, nei paragrafi che seguono si illu­ strano le differenze che intercorrono tra un sistema ad i niezione diretta ed uno ad iniezione indiretta del combustibile.

VIII . 1 3 . 1 . Iniezione diretta In tale tipo di iniezione, a parte i vantaggi di cui si è detto al paragrafo precedente, nasce qualche inconveniente in relazione alla sistemazione dell'iniet­ tare. La sistemazione dell'iniettare direttamente nella camera di combustione pone notevoli problemi circa l a scelta del materiale idoneo per la sua costruzione e circa la sua installazione. In relazione al primo problema si ricorda che nei motori ad accensione comandata generalmente si raggiungono pressioni massime pari a 30-:-50 bar e punte di temperatura superiori a 2.200 oc con temperature medie intorno a valori di circa 400-:-480 oc. In relazione al secondo problema si osserva che lo spazio disponibile nella testata del cilindro per l 'installazione dell'iniettare è piuttosto limitato in quanto nella stessa devono già essere allog­ giate normalmente la candela e le valvole di aspirazione e di scarico. Per tale motivo si sistema a volte l'iniettare nella parte superiore della parete laterale del cilindro che è anche meno calda della testata e si sfrutta il conseguente effetto di schermo termico da parte del pistone. Le pressioni di iniezione non scendono al disotto di 35-:-40 bar in quanto si cerca di favorire in tal modo il mescolamento del combustibile con l'aria che è reso difficile, come si è visto, a causa della brevità del tempo di contatto tra comburente e combustibile. Tali valori non modesti della pressione, in uno alle scarse proprietà lubrificanti della benzina, concorrono a rendere più difficili le condizioni di funzionamento dell'iniettare e in particolare della relativa pompa di miez10ne.

VII I . 1 3.2. Iniezione indiretta A causa dei tempi più elevati di contatto tra aria e combustibile, tale sistema consente di ottenere una miscela sufficientemente omogenea con pressioni di esercizio che possono essere contenute entro 4+5 bar con conseguente funziona­ mento meno gravoso per l'iniettare e per la pompa di iniezione che comporta l'impiego di materiali meno costosi per il circuito di alimentazione e per gli elementi che lo costituiscono.

·

408

Macchine

L'applicazione dell'iniezione ai motori ad accensione comandata destinati all'autotrazione è stata limitata per lungo tempo al campo delle competizioni nel quale il fattore economico non ha un peso rilevante in relazione all'ottenimento di prestazioni più elevate; da circa trent'anni però il metodo dell'iniezione, prevalentemente del tipo indiretto per la maggiore semplicità costruttiva e la minore incidenza economica, si è andato diffondendo con crescente successo anche fra le auto di serie ed oggi non soltanto su quelle di classe superiore. È opportuno osservare infatti che i maggiori costi del dispositivo di iniezione non giocano più un ruolo determinante come in passato, soprattutto adesso che sorge l'esigenza di tenere basso l'inquinamento atmosferico prodotto dai gas di scarico degli autoveicoli ed il consumo di carburante. Infatti il minore contenuto di inquinanti nei gas di scarico ed i modesti consumi conseguibili dai motori muniti

Fig. V I I J .40 [6] - Schema di funzionamento del sistema ad iniezione intermittente multipoint Motronic a comando elettronico (B OSCH). l . Serbatoio combustibile; 2. Pompa elettrica combustibile; 3. Filtro combustibile; 4. Regolatore di pressione; 5. Unità ele((ronica di controllo; 6. Bobina di accensione; 7. Distributore di accensione; 8. Candela; 9. Iniettare; 10. Valvola a fwfal/a; I I . Interru((ore valvola a fcnfalla; 12. Misuratore portata massica d 'aria; 13. Sensore temperatura aria; 14. Sonda !ambe/a; 15. Sensore temperatura liquido raffreddamento motore; 16. A ttuatore minimo; 17. Sensore di velocità di rotazione riferimento posizione pistone; 18. Batteria; 19. Interruttore di accensione; 20. Interrutlore condizionatore d 'aria.

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di impianti di alimentazione ad iniezione possono essere raggiunti ne1 motori forniti di carburatori solo con l'aggiunta di ulteriori dispositivi ed accorgimenti che naturalmente ne fanno aumentare i costi. Anzi, la normativa vigente nel campo delle emissioni allo scarico pone oggi in netto vantaggio i sistemi di iniezione rispetto ai carburatori per cui sono sempre più diffuse le applicazioni dei primi anche su vetture utilitarie. Fra i più evoluti impianti di iniezione attuali si cita il Motronic della B OSCH (Fig. VIII.40) di tipo intennittente a comando elettronico. Esso provvede al controllo per via elettronica sia dell'alimentazione che dell'accensione ai vari cilindri del motore, permettendo un'ampia flessibilità delle prestazioni. L'unità di controllo elettronico è costituita in realtà da un vero e proprio microcomputer digitale, attraverso il quale è possibile gestire sia i tempi di iniezione del combu­ stibile, avviato ai cilindri sempre mediante elettroipiettori (Fig. VIII.41 ) , sia gli angoli di anticipo all'accensione, in relazione alle diverse esigenze del motore. Gli angoli di anticipo all'accensione vengono determinati in dipendenza di una mappa di valori immagazzinati nell'unità di controllo, modificabile in relazione alla temperatura del refrigerante del motore, alla temperatura dell'aria aspirata e alla posizione della valvola a farfalla parzializzatrice dell'aria aspirata. Si osservi che il circuito di controllo dell'impianto di fig. VIII.40 prevede l'impiego di una sonda particolare, della quale si parlerà nel paragrafo relativo alle emissioni inquinanti, inserita nel collettore di scarico, denominata sonda lambda, che ha il compito di segnalare la presenza o meno, nei gas di scarico, di ossigeno libero.

2

5 -----i+"E::.J \ l 6 ---.../

10

10

Fig. VIIJ.41 [6] lniettore elettromagnetico (BOSCH). l. Filtro; 2. Connessione elettrica; 3. A vvolgimento; 4. A rmatura dell 'avvolgimento; 5. Valvola a spillo; 6. Pernetto; 7. Tubazione combustibile; 8. Anello di serraggio; 9. Anello superiore di tenuta; 10. A nello inferiore di tenuta. -

410

Macchine

VIII.14. A limentazione dei motori a c. l. ad accenswne per compresswne Il sistema di alimentazione e di iniezione del combustibile è l ' apparecchiatura più importante per ogni motore diesel e che più di ogni altra deve essere realizzata con un elevatissimo grado di precisione. Il sistema di iniezione è determinante al fine di realizzare una combustione regolare e completa e pertanto influisce in maniera notevole sulle prestazioni del motore per quanto riguarda sia la potenza che il consumo specifico di combustibile. I l predetto sistema deve assicurare lo svolgimento regolare del ciclo in ciascun cilindro del motore in modo da ottenere le prestazioni richieste dalle condizioni di carico che via via si presentano e pertanto deve essere in grado di: - dosare l a stessa, giusta quantità di combustibile per cilindro e per ciclo a tutti i cilindri del motore in relazione al carico ed alla velocità di rotazione; - iniettare il combustibile nei cilindri nell'istante più opportuno per tutti i valori del carico e della velocità di rotazione, con una precisione inferiore ad l grado di angolo di manovella; - polverizzare, cioè suddividere finemente il combustibile in goccioline minutissime, in modo da aumentarne la superficie di contatto con l 'aria; - imprimere alle goccioline di combustibile una elevata velocità perché possano penetrare in tutte le zone della camera di combustione e distribuirsi uniformemente nella massa d'aria disponibile per la combustione stessa. Il sistema di iniezione deve assicurare altresì una continuità di funzionamento nel tempo con prestazioni immutate, senza quindi apprezzabile usura, e pertanto la vita di ciascun elemento del sistema di alimentazione non dovrebbe - di regola - essere inferiore alla vita del motore stesso. L'impianto di alimentazione di un motore diesel, il cui schema semplificato è riportato in fig. VIII.42, è costituito essenzialmente dai seguenti elementi princi­ pali: - una pompa di alimentazione 2 che preleva il combustibile dal serbatoio l e lo invia, dopo opportuna filtrazione, sotto modesta pressione alla pompa di iniezione; - una pompa di iniezione 4 che comprime a pressione molto elevata il combustibile inviato dalla pompa di alimentazione, distribuendolo in quantità opportunamente dosata agli iniettori; - gli iniettori 5, alloggiati nella testata del motore ed in numero di solito pari al numero dei cilindri, i quali polverizzano finemente il combustibile all'interno della camera di combustione dei cilindri stessi. La pompa di iniezione e gli iniettori sono in genere unità separate e solo nel caso di piccoli motori possono formare un unico i nsieme. La pressione conferita al combustibile dalla pompa di iniezione deve essere molto elevata ( da qualche centinaio di b ar fino ad oltre 1 .000 bar) affinché le goc-

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411

cioline d i combustibile, del diametro d i pochi centesimi d i millimetro richiesto per una buona combustione, abbiano una forte velocità iniziale che consenta loro di penetrare rapidamente e profondamente nell'aria compressa presente nella ca­ mera di combustione; tale esigenza è particolarmente sentita nei motori veloci per i quali il tempo di iniezione è dell'ordine dei centesimi di secondo. Considerando inoltre l 'azione frenante esercitata sulle goccioline dall'aria compressa segue che per una buona penetrazione di queste ultime sono necessarie velocità iniziali fino a 200 m/s circa. Occorre quindi una differenza di pressione !1p tra la pressione a monte dell'iniettare e quella esistente in camera di combustione calcolabile me­ diante la: (8-32)

nella quale si è indicata con Q la densità del combustibile e con cp il coefficiente di riduzione della velocità v . Assumendo Q = 900 kg/m3 e cp = 0,7 la (8-32) per v = 200 m/s, fornisce !1p:=400 bar.

3

t.

' 6

....

7

....

-

Fig. Y I I I .42 Schema semplificato dell'impianto di alimentazione di un motore diesel. l. Serbatoio del combustibile; 2. Pompa di alimentazione; 3. Filtro combustibile; 4. Pompa di iniezione; 5. Iniettare; 6. Tubazione riflusso combustibile dalla pompa di iniezione al serbatoio; 7. Tubazione riflusso combustibile dagli iniettori al serbatoio. /

412

Macchine

Nella pratica si adoperano pressioni anche maggiori, fino a 600-;--700 bar ed in qualche caso oltre 1 .000 bar, in dipendenza della forma della camera di combu­ stione, del tipo di iniettare ed anche della qualità del combustibile. Si comprende facilmente che pressioni così elevate richiedono una accuratis­ sima lavorazione sia delle pompe che degli iniettori; in particolare la realizzazione degli iniettori è resa oltremodo laboriosa a causa delle ridottissime sezioni di passaggio richieste dal combustibile, specie per i piccoli motori a consumi totali ridotti. Con riferimento ad esempio ad un motore monocilindrico a quattro tempi che eroga una potenza di 22 kW alla velocità di 1 .200 giri/min con un consumo specifico di 272 g/kWh si realizza un consumo di 6 kg/h di combustibile pari a 6,67 l/h avendo assunto pari a 900 kg/m3 la densità del combustibile. Il volume di combustibile q da iniettare per ciclo vale allora: q =

6,67

·

1 .000/(60

·

600)

=

O, 1 9 cm 3

Assumendo che l'iniezione avvenga entro un angolo di rotazione della mano­ vella pari a 36° (percorso quindi in 0,005 secondi) e che la velocità di efflusso sia di 200 m/s, si ricava facilmente che occorre una sezione di efflusso Q = 1 90/(5 200) = 0,1 9 mm2 ovvero una sezione circolare di diametro pari a 0,49 mm. Dall'esempio citato risulta evidente la delicatezza della lavorazione dei com­ ponenti di un sistema di iniezione e come tale lavorazione debba essere spinta ad un altissimo grado di precisione. La pompa di iniezione (Fig. VIII.43) è costituita essenzialmente da tanti ·

Fig. V I I I.43 [7] Pompa di iniezione (B OSCH). l. Regolatore; 2. Pompa di alimentazione; 3. Variat01·e di anticipo; 4. A lbero a camme; 5. Eleme111o pompante. -

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413

elementi pompanti quanti sono i cilindri d e l motore, comandati attraverso delle punterie a rullo da un albero a camme sistemato nella parte inferiore del corpo della pompa stessa. L'albero a camme ruota alla stessa velocità del motore oppure ad una velocità pari alla metà a seconda che si tratti di motore a due o a quattro tempi ri­ spettivamente, mentre la geometria delle camme determina evidentemente la corsa dei pompanti. Ciascun elemento pompante (Fig. VIII.44) è costituito da un cilindretto e da

Fig. VIII.44 [7] Elemento pompante di una pompa di iniezione (BOSCH). l. Tubazione di mandata del combustibile all'iniettare; 2. Valvola di mandata; 3. Camera di · aspirazione; 4. Cilindretw; 5. Pistoncino o pompante; 6. Settore dentato; 7. Asta a cremagliera; 8. Bussola di regolazione; 9. A letta del pompante; 1 0. Molla tarata; 11. Piattello molla; 12. Vite registrazione; 13. Pun.teria; 1 4. A lbero a camme; 15. Camma; 1 6. Pompa di alimentazione. -

.

414

Macchine

un pistoncino che scorre in esso a perfetta tenuta per evitare trafilamenti di combustibile e pertanto l'accoppiamento tra cilindro e stantuffo è ottenuto me­ diante lappatura delle superfici a contatto che, da sola, garantisce una perfetta tenuta anche a bassa velocità di rotazione del motore e quindi della pompa. Il cilindretto presenta solitamente due fori contrapposti attraverso i quali affluisce il combustibile dalla camera di aspirazione al vano di pressione del pompante e defluisce a mandata ultimata (foro di afflusso e foro di regolazione). Il pistoncino presenta solitamente una scanalatura longitudinale ed una scanala­ tura laterale di forma elicoidale. Il funzionamento di un elemento pompante può essere descritto facendo riferimento alla fig. VIII.45. Durante la corsa di discesa del pistoncino il combu­ stibile viene richiamato, attraverso i fori di adduzione, nella camera lasciata scoperta dal pompante e riempie tutto il volume (Fig. VIII.45a) compreso tra la faccia superiore del pistoncino, le pareti laterali del cilindro e la valvola di mandata (indicata con 2 in fig. VIII.44) . All'inizio della fase di ritorno del pistoncino si ha un riflusso parziale del combustibile attraverso gli stessi fori di adduzione fino a quando il pompante li chiude completamente. A partire da tale posizione il pistone comprime il combustibile ad una pressione sufficiente ad aprire la valvola di mandata (Fig. VIII.45b) la cui apertura è contrastata da una molla tarata che determina appunto con la sua reazione l a pressione di apertura. Il combustibile quindi si riversa nella tubazione di mandata (Fig. VIII.45c) fino a raggiungere l'iniettare e la mandata stessa dura fino a quando lo spigolo inferiore dell'elica del pompante scopre di nuovo il foro di adduzione (Fig. VIII.45d). In tale situazione la pressione cade bruscamente provocando la chiusura repentina

b)

a)

c)

d)

Fig. Y I II.45 [7] Descrizione del funzionamento di un elemento pompante (BOSCH). a) Afflusso del combustibile; b) Compressione e inizio mandata del combustibile; c) Mandata; d) L 'elica del pompante scopre il foro ed interrompe la mandata. -

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a)

b)

415

c)

Fig. V 1 1 1 .46 [7J Sistema di regolazionc della portata del combustibile ( B OSC!-1). a) Nessuna portata; b) Portata parziale; c) Portata massima. -

della valvola di mandata e quindi la fine dell'iniezione con il riflusso della quantità di combustibile eccedente. Con questo sistema risulta pertanto possibile variare la quantità di combustibile iniettata intervenendo sulla corsa utile di mandata del pistone, durante la quale il foro di adduzione risulta chiuso. La variazione della corsa utile è realizzata grazie alla scanalatura elicoidale che consente, ruotando il pompante stesso intorno al proprio asse, di realizzare una maggiore o minore lunghezza del tratto che il foro di adduzione lascia coperto. La rotazione tra cilindretto e pistoncino è ottenuta attraverso un meccanismo impiegante un'asta a cremagliera ingranante con dei settori dentati montati su ciascun pompante. Lo spostamento dell'asta che va da un valore minimo, corri­ spondente a portata nulla, ad un valore massimo, corrispondente alla massima portata, può essere manuale o automatico. Nella fig. VIII.46 è illustrato il sistema adottato per la regolazione della portata iniettata. L'iniettare, fissato sulla testata del cilindro, assolve il compito di iniettare nella camera di combustione la giusta quantità di combustibile convenientemente polverizzato ed al momento opportuno. Esso è costituito (Fig. VIII.47) da due elementi essenziali: - il polverizzatore, che consente la polverizzazione del combustibile; - il portapolverizzatore, che reca i raccordi necessari per l'arrivo del combustibile al polverizzatore e per il riflusso del combustibile stesso iniettato.

VIII. l S. Curve di prestazioni di un motore a

c. l.

Dalle relazioni (8-24) ed (8-25) si deduce che a parità di tutte le altre condizioni la potenza di un motore a e.i. varia linearmente con la velocità di rotazione n . In effetti, però, al variare di n è inevitabile che varino anche altri parametri di funzionamento che comportano variazioni della pmi e della pme.

416

Macchine

In conseguenza di ciò è possibile giustificare l'andamento reale della curva di potenza in funzione della velocità di rotazione riportata qualitativamente in fig. VIII.48 nella quale sono pure riportate le curve corrispondenti di coppia motrice e di consumo specifico. Le tre curve tracciate, che prendono il nome di curve caratteristiche, sono relative tuUe alla massima ammissione del motore ovvero con la valvola a farfalla in condizioni di massima apertura se trattasi di motore ad accensione comandata o con l'asta cremagliera della pompa di iniezione posizio­ nata per la massima mandata di combustibile per ciclo se trattasi di motore diesel. Il valore della potenza corrispondente al punto B è quello che si ha per la minima velocità del motore compatibile con un funzionamento regolare di que-

2

3

4 5 6 7 8 9 10

11

Fig. VII I.47 [7] - Sezione trasversale di un iniettare (B OSCH). l. Afflusso del combustibile nel portapolverizzatore; 2. Elemento filtrante; 3. Recupero trafilamenti combustibile; 4. Passaggio combustibile; 5. Spessori di regolazione; 6. Molla tarata alloggiata nel portapolverizzatore; 7. Perno pressione; 8. Corpo polverizza/ore; 9. Camera in pressione; 1 0. Spina del polverizza/ore; I I. Fori di uscita del combustibile.

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417

Fig. V l l l .48 Andamento della potenza P, della coppia motrice M, e del consumo specifico di combustile c, in un motore a e.i. al variare del numero di giri n in condizioni di massima apertura dell 'organo di regolazione. -

st'ultimo. Al disotto di tale velocità, infatti, il motore tende a fermarsi a causa delle maggiori irregolarità al minimo della coppia motrice erogata e delle conse­ guenti irregolarità nell'alimentazione. Al di là del regime di rotazione minimo la potenza aumenta all'aumentare di n , fino ad attingere un massimo in corrispon­ denza di un certo regime di rotazione (punto A) oltre il quale diminuisce rapida­ mente fino ad annullarsi in corrispondenza di un valore più elevato del numero di giri. Tale andamento si giustifica considerando che in un primo tratto (B-M) contribuiscono ad incrementare la potenza sia l'aumento di n che di pme a causa di un migliore riempimento del cilindro; in altri termini esiste una velocità di rotazione, legata a ciascun motore e funzione delle sue caratteristiche costruttive, in corrispondenza della quale è massima la quantità di fluido che evolve nel cilindro in ogni ciclo. In corrispondenza di tale velocità di rotazione, essendo l'area del ciclo massima, si realizzano i massimi valori della pme e quindi della coppia motrice M,. Ricordando poi che la potenza può essere espressa come prodotto della coppia motrice M, [Nm] per la velocità angolare w[rad/s] si ha: p

M,

w

1 .000

=

M, 1 .000

60 [kW] 2nn

(8-33)

418

Macchine

dalla quale segue: M' =



1 04

--

n

p

-

n

[Nm)

(8-34)

La coppia M, è quindi massima quando è massimo il rapporto P/n che rappresenta (Fig. VIII.48) la tangente dell'angolo a ' che l 'asse delle ascisse forma con una qualsiasi semiretta uscente dall'origine e che taglia la curva della potenza. La coppia attinge pertanto il suo valore massimo per quella velocità di rotazione n = n (Fig. VIII .48) che rappresenta l'ascissa del punto M sulla curva della potenza nel quale la semiretta uscente dall'origine è tangente alla curva stessa; in tali condizioni l 'angolo a ' assume il suo valore massimo Ci (Fig. VIII.48); anche il rapporto Pln= tga' è dunque massimo e massima sarà quindi la coppia M,. Per velocità di rotazione superiori a n la potenza cresce con gradiente minore ( M-A ) in quanto, pur diminuendo la quantità di fluido evolvente in ogni ciclo, continua ad aumentare, grazie all'incremento di n, la quantità di fluido utilizzata nell'unità di tempo. Oltre il punto A la quantità di fluido evolvente per ogni ciclo si riduce più rapidamente di quanto aumenti il numero dei cicli nell'unità di tempo, per cui, anche a causa della diminuzione ora sensibile del rendimento meccanico 11"' ' che come è noto è funzione all'incirca quadratica della velocità di rotazione, la potenza diminuisce fino ad annullarsi per quella velocità p

me

[bar]

r--r---:1�����=�

140

1 0 +--+����---r���-r�� 1 2 0 8 +-������-r��,__, 1 0 0

80 kW

6

60 kW

4

4 0 kW

2 o

kW kW kW

1000

2000

3000

4000

g/kWh 5 0 0 0 [giri/minJ

20 kW

Fig. V I I I .49 (8] Piano quotato dei consumi specifici d i combustibile d i un motore aspirato a quattro tempi ad accensione comandata di 2.200 cm3 di cilindrata totale destinato alla trazione automobilistica. -

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419

i n corrispondenza della quale l e perdite meccaniche assorbono completamente il lavoro utile ricavabile. Si osservi che in genere il motore è utilizzato fino a velocità poco superiori a quella di potenza massima. Per meglio definire le qualità di un motore sarebbe però opportuno disporre delle curve di prestazioni anche in condizioni di alimentazione parzializzata e non solo di quelle relative alla massima apertura dell'organo di regolazione che vengono fornite dalle case costruttrici. Meglio ancora, per avere una visione più completa della variazione del consumo specifico al variare sia del carico che della velocità di rotazione e quindi nell'intero campo di funzionamento del motore, sarebbe utile disporre del cosiddetto piano quotato dei consumi del tipo riportato negli esempi di fig. V I I I .49 e di fig. V I I I .SO che si riferiscono rispettivamente ad un motore ad accensione comandata e ad un motore diesel di recente realizza­ zione entrambi destinati all'autotrazione. pm e

[bar] 14

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12 10 8

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g/kWh 2000

3000

4000 g i r i / m i n

Fig. V I I I .SO (9] - Piano quotato dei consumi specifici d i combustibile d i u n motore diesel a quattro tempi sovralimentato con turbocompressore a gas di scarico munito di intercooler e ad iniezione diretta di 1 .896 cm3 di cilindrata totale destinato alla trazione automobilistica.

Nel diagramma di fig. V II I.49 sono riportate anche le curve a potenza costante che, per la (8-25) risultano delle iperboli.

420

Macchine

Dall'esame delle figure citate si nota come il motore diesel sia caratterizzato da valori più contenuti del consumo specifico di combustibile grazie essenzial­ mente alla combustione che, realizzandosi con eccessi d'aria , si svolge in maniera più completa di quanto non accada in un motore ad accensione comandata. . È evidente quindi che i diagrammi riportati nelle figg. VIII.49 e VIII.50 rivestono una grande utilità quando si vogliono confrontare le prestazioni di un motore con quelle di un altro motore dello stesso tipo, oppure le prestazioni di uno stesso motore sottoposto a modifiche, quali ad es. un diverso sistema di alimentazione, una diversa camera di combustione, una diversa legge di fasatura della distribuzione, ecc. Inoltre, lo stesso tipo di diagrammi può essere utilizzato quando si vogliano confrontare tra loro motori anche alquanto diversi, ad es. nella cilindrata o nel numero di giri massimo, purché siano riportati parametri motoristici più generali, quali la velocità media del pistone, la potenza per unità di superficie del pistone ovvero per unità di cilindrata, ecc. Si osservi ancora che analoghi piani quotati possono essere riportati anche per il tracciamento delle curve di isolivello di un qualsiasi altro parametro motoristico, oggetto di studio, quale ad esempio: il rapporto di miscela a, il consumo orario di combustibile, la portata massica d'aria o la composizione dei gas di scarico.

V I I I. 1 6. Cenni sulla sovralimentazione L'espressione ( 8-24) suggerisce che è possibile incrementare la potenza di un motore a e.i. aumentando la pmi senza alterare la cilindrata e la velocità di rotazione. Per realizzare tale incremento è necessario aumentare le pressioni massime del ciclo il che si verifica se nel cilindro, per ogni ciclo, si introduce una maggiore quantità di combustibile insieme, ovviamente, ad una maggiore quan­ tità di aria comburente. Per introdurre dunque nel cilindro una quantità di aria maggiore rispetto a quella richiamata dalla semplice depressione creata dal moto del pistone (motore aspirato) è necessario comprimere l'aria la quale, con densità più elevata, realizza un maggior riempimento del cilindro stesso. Un motore a e.i. 2 provvisto di un compressore destinato a tale scopo è detto sovralimentato1 • Il compressore può essere azionato direttamente dall'albero motore (sovralimenta­ zione a comando meccanico) ed è allora di tipo volumetrico. In fig. VIII.51 si riporta lo schema di funzionamento di un compressore volumetrico a lobi, mentre

12

La sovralimentazione venne molto impiegata in passato nei motori aeronautici a benzina per compensare la diminuzione della densità dell'aria esterna al crescere della quota e ripristinare così le prestazioni del motore. Oggi è prevalentemente diffusa nei motori diesel marini a due e a quattro tempi, ma conta numerose applicazioni anche su motori per autotrazione, sia diesel che ad accensione comandata.

Motori alternativi a combustione interna

Fig. V I I l. 5 1

-

42 1

Schema di funzionamento di un compressore volumetrico a lobi.

in fig. VIII.52 si riporta lo schema della sovralimentazione a comando meccanico applicata ad un motore ad accensione comandata. Il compressore può anche

Fig. VIII.52 Motore con sovralimentazione a comando meccanico. l . A ria; 2. Miscela aria-benzina; 3. Miscela compressa. -

422

Macchine

essere trascinato da una turbina a sua volta azionata dai gas di scarico del motore; in tal caso viene usato un compressore dinamico, di tipo centrifugo, ed il gruppo turbina-compressore prende il nome di turbosovralimentatore oppure, in partico­ lare nei diesel a due tempi , di turbosoffiante.

Fig. VIII.53 Schema di sovralimentazione mediante turbocompressore. l. Ingresso aria; 2. Compressore centrifugo; 3. Collettore di immissione aria; 4. Tubazione di collegamento alla turbina dello scarico di un gruppo di tre cilindri; 5. Turbina centripeta; 6. Uscita gas combusti. -

In fig. VIII.53 si riporta lo schema di un motore sovralimentato con turbo­ compressore a gas di scarico. Poiché durante la compressione si realizza un incremento della temperatura dell'aria, quest'ultima, prima di essere introdotta nei cilindri, può essere raffreddata in uno scambiatore di calore (intercooler) disposto lungo il percorso dell'aria tra il compressore ed i cilindri del motore. Si evitano in tal modo temperature troppo elevate durante il ciclo e si consegue, contemporaneamente, un miglior riempimento del cilindro dovuto all'aumentata densità dell'aria per effetto del raffreddamento. In fig. VIII.54 sono schematicamente rappresentati i tipi di sovralimentazione descritti.

Motori alternativi a combustione interna

a)

b)

423

c)

Fig. V l l l .54 Schema riepilogativo sovralimentazione motori a e.i. a) So vralimentazione con compressore volu metrico a comando m eccanico; b) Sovralimentazione con turbocompressore; c) Come b) con l'aggiunra dell'intercooler. -

VII I . 1 7 . Il raffreddamento I motori alternativi a e.i. sono tutti dotati di un sistema di raffreddamento che provvede ad asportare calore dalle superfici del motore stesso mediante un fluido refrigerante che può essere un liquido oppure aria. Il raffreddamento del motore si rende necessario essenzialmente per evitare che alcuni organi meccanici, quali ad esempio il pistone, le fasce elastiche e le pareti dei cilindri e delle camere di combustione, esposti alle alte temperature che si attingono in alcune fasi del ciclo ( anche 2.000 "C nella camera di combustione), raggiungano a loro volta temperature superiori a quelle massime ammissibili fissate in sede di progetto, il che comporterebbe una diminuzione della resistenza meccanica degli organi interessati. Un'ulteriore esigenza che impone l'adozione dell'impianto di raffreddamento è quella di mantenere la temperatura delle pareti entro limiti tali da conservare tutte le caratteristiche lubrificanti all'olio all'uopo destinato, onde evitare ad esempio bruciature o il vero e proprio grippaggio del motore (blocco dei pistoni nei cilindri con rigature, danneggiamenti, ecc.) . L a quantità di calore asportata mediante il sistema d i raffreddamento rag­ giunge percentuali variabili tra il 20% ed il 30% del calore messo a disposizione dal combustibile, con i valori più elevati relativi ai motoù veloci ad accensione comandata e i più modesti relativi ai grandi motori diesel lenti a due tempi, in genere sovralimentati. Con riferimento al tipo di fluido impiegato per la refrige­ razione, i sistemi di raffreddamento si distinguono in: - sistemi a liquido, che utilizzano solitamente acqua o glicole etilenico; - sistemi a gas, che utilizzano esclusivamente aria. In entrambi i casi il fluido refrigera le superfici maggiormente sollecitate da

424

Macchine

un punto di vista termico, e cioè essenzialmente quegli organi che vengono in contatto con il fluido motore. In particolare, per quanto riguarda i l pistone, nel caso di motori di piccola e media potenza non esiste un circuito adibito al raffreddamento di tale organo, per cui l'asportazione del calore è dovuta alla trasmissione fra pistone e pareti del cilindro, all'olio lubrificante, alla carica fresca ed all'aria esterna lato carter; nel caso di grandi motori è invece previsto un circuito a parte per il raffreddamento dei pistoni, a volte refrigerati con olio.

Raffreddamento ad acqua

Con tale sistema il calore viene asportato facendo circolare una certa quan­ tità di acqua o di altro liquido refrigerante intorno alle pareti dei cilindri ed alle altre parti calde del motore. L'acqua usata per il raffreddamento può essere scaricata oppure recuperata. Il primo sistema è caratteristico delle installazioni fisse e di quelle marine, mentre il sistema a recupero è diffuso nell'autotrazione e nella trazione terrestre in genere. Nei sistemi a recupero l'acqua riscaldata viene fatta passare attraverso uno o più radiatori di opportune dimensioni, a loro volta raffreddati da una appropriata corrente d'aria.

Fig. VIII.55

Schema di raffreddamento ad acqua di un motore a e.i. l . Radiatore risca/datore; 2. Serbatoio di alimentazione; 3. Termostato; 4. Pompa acqua; Radiatore raffreddamento. -

5.

Motori alternativi a combustione interna

425

La circolazione dell'acqua viene garantita da una pompa, generalmente cen­ trifuga, azionata dallo stesso motore. Nella fig. VIII.55 è riportato lo schema di un impianto di raffreddamento ad acqua a circolazione forzata che equipaggia un moderno motore per autotrazione. Il raffreddamento ad acqua consente una grande uniformità di funzionamento del motore in un ristretto campo di temperature, nonché il rapido raggiungimento delle condizioni di regime. Sorge per contro la necessità di aggiungere nel circuito dell'acqua sostanze anticongelanti nella stagione fredda e di prevenire possibili inconvenienti dovuti a perdite di liquido o ad ebollizione, quest'ultima evitabile peraltro con i circuiti in pressione.

Raffreddamento ad aria

Con tale sistema il calore viene asportato facendo investire i cilindri da una corrente d'aria; da qui la larghissima diffusione del raffreddamento ad aria soprattutto in campo motociclistico. Quando il motore non è esposto diretta­ mente alla corrente d'aria è necessaria una ventola, mossa dal motore stesso, la quale, mediante un opportuno convogliatore, indirizza il flusso di aria verso i cilindri che sono opportunamente alettati per realizzare una superficie adeguata alla quantità di calore da asportare. In fig. VIII.56 si riporta la sezione trasversale di un motore per autotrazione raffreddato ad aria. Rispetto al sistema ad acqua tale tipo di raffreddamento presenta il vantaggio di una maggiore semplicità di

Fig. VIII.56

-

Sezione trasversale sul cilindro di un motore a e.i. raffreddato ad aria.

426

Macchine

installazione per l'assenza del radiatore, delle tubazioni, della pompa di circola­ zione del liquido refrigerante, in uno ad un minore peso totale e ad una affi­ dabilità leggermente superiore.

V I I I. 1 8 . La lubrificazione La lubrificazione di un motore a e.i. deve essere attuata essenzialmente per assolvere le seguenti funzioni: - ridurre considerevolmente le resistenze di attrito fra le parti in movi­ mento; - asportare calore dalle parti in contatto e specialmente dai cuscinetti di banco e di biella e dai pistoni; - contribuire alla perfetta tenuta tra pistoni e cilindri. I sistemi usuali adottati per la lubrificazione dei motori a e.i. sono essenzial­ mente:

lubrificazione a sbattimento; lubrificazione per miscelazione; lubrificazione per dosatura; lubrificazione forzata. metodo di lubrificazione a sbattimento (o per pescaggio) è ottenuto sempli­

Il cemente disponendo sotto le teste delle bielle un beccuccio foggiato a cucchiaino che va a pescare nella coppa dell'olio contenuta nel carter. Questa è mantenuta costantemente piena fino ad un determinato livello, controllabile con un'asta, in modo che sotto l'urto del beccuccio l'olio possa penetrare in parte per inerzia nel cuscinetto della biella e il resto possa venire proiettato nell'interno del cilindro (sotto il pistone ) e nel basamento. L'olio che ricade è poi convogliato attraverso appositi canali sui supporti dell'albero e in tutte le parti da lubrificare. Si tratta naturalmente di una lubrificazione sempre imperfetta poiché, come è facile capire, alcuni organi ricevono una quantità di olio eccessiva mentre altri ne ricevono una quantità scarsa; tuttavia la semplicità della realizzazione fa sì che questo metodo di lubrificazione sia abbastanza diffuso, ma lo era ancor più in passato specie nei motori lenti e di piccole dimensioni adibiti magari a servizi ausiliari. La lubrificazione per miscelazione è invece applicata nella maggior parte dei motori per scooters, sempre che questi siano a due tempi e abbiano la pompa di lavaggio nel carter. L'olio lubrificante, mescolato alla benzina, viene così aspirato nel carter insieme alla miscela e si deposita in minute goccioline sull'albero a gomiti e sugli altri organi. Anche questa volta la lubrificazione non si può dire molto razionale, ma ha sempre il grande vantaggio della semplicità, che, nei motori di cui sopra, rappresenta forse il massimo pregio. Pertanto, come si è detto, essa è molto diffusa nonostante il continuo consumo di olio che è rilevante

Motori alternativi a combustione interna

427

in rapporto a quello di benzina ma che, data la piccola entità dei consumi totali di questi motori, non rappresenta in senso assoluto un onere economico molto sentito. Entrambi i metodi di lubrificazione cui si è fatto cenno sono spesso adottati come complemento degli altri sistemi che si esporrano qui di seguito e special­ mente del sistema di lubrificazione per dosatura, adoperato per lo più insieme a quello per sbattimento, in alcuni motori a combustione interna. Con questo metodo alle parti più difficili da lubrificare l'olio viene inviato mediante piccole pompe a pistoncino azionabili a mano, mediante un bottone che fa capo al pistoncino, durante l'avviamento e dal motore stesso, mediante apposite camme, durante il moto. A parte questi sistemi di lubrificazione, che hanno necessariamente carattere di espedienti più o meno razionali, il metodo migliore, ed oggi più diffuso in tutte le applicazioni di una certa importanza, è quello della lubrificazione forzata ottenuta inviando l 'olio sotto pressione a tutte le parti vitali del motore mediante una pompa rotativa, generalmente ad ingranaggi.

10

Fig. V I II.57 Schema della lubrificazione di un motore a e.i. Coppa olio; 2. Pompa olio; 3. Cuscinetti di biella; 4. Cuscinetti di banco; 5. Filtro olio; 6. Cuscinetti albero a camme; 7. Albero a camme; 8. Bilanciere; 9. Guidava/vola; 1 0. Valvola.

l.

-

428

Macchine

Questa è per lo più ad asse verticale, e si trova nella parte più bassa del carter, annegata nella cassa d'olio. La mandata dell'olio a tutte le coppie cinema­ tiche del motore avviene attraverso canaletti in pressione che si diramano da un collettore principale formando una complessa rete capillare estesa a tutta l a macchina e dalla quale l 'olio, dopo avere espletata la sua funzione d i lubrifica­ zione, ricade nel carter per essere rimesso di nuovo in circolazione, tramite filtri, dalla pompa (Fig. VIII.57). Si ottiene così, in tutti i cinematismi che ne consen­ tono la possibilità, un regime di lubrificazione fluida che riduce ovunque le perdite di attrito. Le superfici da lubrificare sono quelle dei cuscinetti di banco dell'albero a manovelle, dei cuscinetti delle teste e dei piedi delle bielle, dei pistoni e dei cilindri, nonché di tutti i supporti degli organi e dei comandi ausiliari del motore. L'adozione di opportuni filtri sul circuito della lubrificazione è dovuta essen­ zialmente alla necessità di trattenere i depositi carboniosi dovuti alla combustione di quelle aliquote di lubrificante che passano nella camera di combustione. Vengono pure filtrate le n umerose impurità solide di provenienza diversa che l 'olio trascina nel suo moto.

VIII.19. Emissioni inquinanti allo scarico dei motori alternativi a e. i. I l problema dell'inquinamento atmosferico dovuto ai gas di scarico dei mo­ tori a e.i. di autoveicoli, sia ad accensione comandata che ad accensione per compressione, è da anni di grande attualità non solo in America ed in Europa ma anche in tutti quei paesi industrializzati in cui sussistono le condizioni di un rapido sviluppo del traffico motorizzato.

VIII . 1 9. 1 . Motori ad accensione comandata Allo scarico dei motori a e.i. ad accensione comandata, oltre ai prodotti non tossici della combustione completa degli idrocarburi - quali l'anidride carbonica C02 e l ' acqua H20 - e all'azoto N2 inerte dell'aria comburente, si trovano anche i prodotti della combustione incompleta quali essenzialmente ossido di carbonio CO ed idrocarburi incombusti HC; sono presenti poi gli ossidi di azoto NO, la cui for­ mazione è facilitata dalle elevate temperature di combustione e dall'aria in eccesso. L'ossido di carbonio è un gas velenoso e per concentrazione nell'aria supe­ riore al 4% produce, in meno di un'ora, la morte di coloro che lo respirano. Gli idrocarburi incombusti, così come vengono emessi dal motore, non sono imme­ diatamente dannosi ma, a seguito di reazioni fotochimiche, danno luogo a pro­ dotti irritanti per gli occhi e per le vie respiratorie. Gli ossidi di azoto sono ritenuti pericolosi per l'effetto catalizzatore che esercitano sulle reazioni fotochi­ miche degli idrocarburi di cui si è prima detto.

429

Motori alternativi a combustione interna

Altresì inquinanti sono i composti del piombo, solitamente aggiunto alle benzine per aumentarne le proprietà indetonanti; in seguito alla combustione infatti, il piombo passa nei gas di scarico sotto forma di cloruro e di bromuro e viene quindi immesso nell'atmosfera in fine sospensione di minutissime particelle. Un ultimo fattore di inquinamento è costituito poi dagli idrocarburi pesanti, provenienti dagli oli lubrificanti presenti nella camera di combustione sotto forma di minutissime gocce difficilmente combustibili che, trascinate dalla corrente gassosa, passano in sospensione nei gas di scarico e quindi nell'atmosfera. I motori a due tempi, largamente rappresentati nel traffico urbano attuale in quanto equipaggiano gran parte delle motociclette e tutti i ciclomotori, danno luogo in misura particolarmente rilevante a tale tipo di inquinamento in quanto utilizzano come combustibile una miscela, costituita da benzina e da olio lubrifi­ cante. Si ritiene opportuno precisare che gli inquinanti di cui si è detto sono presenti nei gas di scarico in percentuali molto variabili a seconda essenzialmente delle condizioni di regime e di carico del motore, delle condizioni di manuten­ zione e di messa a punto dello stesso nonché delle caratteristiche geometriche e funzionali di progetto del motore e della composizione delle benzine impiegate. A conferma, nella tab. VIII.S si riporta la composizione tipica dei gas di scarico di un motore ad accensione comandata in diverse condizioni di funzionamento. Tab. VIII.5 (10] Composizione tipica dei gas allo scarico di un motore ad accensione comandata in differen t i condizioni di funzionamento. -

Condizioni di funzionamento Ossido di

carbonio

[%]

Minimo

5,2

Idrocarburi

[ppm]

750

Ossidi di azoto

[ppm ]

30

Anidride carbonica

[%]

9,5

Decelerata

5,2 4.000 60 9,5

Vel. costante

Accelerata

4,2

0,8 300

400

1 .500

3.000 1 0,2

1 2 ,5

Acqua

[%]

13

13

13,5

13,1

Azoto

[%]

70,4

70,4

73,2

71, 1

Ossigeno

[%]

0,5

0,5

1,5

Idrogeno

[%]

1 ,7

1 ,7

0,2

(o .



1 ,2

È perciò evidente che per esprimere un giudizio 'Complessivo sul potere inquinante di un autoveicolo o per effettuare confronti tra più autoveicoli sotto tale profilo, occorre innanzitutto stabilire un certo percorso standard di natura mista (ad es. di tipo urbano) costituito da accelerazioni, decelerazioni, ecc. con

430

Macchine

frequenti cambi di marcia e rilevare poi i tenori dei diversi inquinanti, le portate di gas di scarico e le durate che competono a ciascuna condizione di marcia. Occorre cioè valutare le quantità di inquinanti emesse in ciascuna fase e farne quindi la sommatoria estesa all'intero percorso. Il valore così ottenuto, rappor­ tato al percorso effettuato, può costituire elemento di giudizio per una valuta­ zione o un confronto.

VIII . 1 9.2. Motori ad accensione per compressione Anche allo scarico dei motori diesel, oltre ai prodotti non tossici della combustione completa degli idrocarburi quali l ' anidride carbonica col e l 'acqua H20, oltre all'azoto inerte dell'aria comburente ed all'ossigeno sempre presente a causa della combustione con eccesso d'aria, si trovano prodotti della combustione incompleta quali ossido di carbonio CO (presente peraltro solo in particolari condizioni di carico) e idrocarburi incombusti HC, unitamente ai composti orga­ nici derivanti dalla parziale ossidazione di questi ultimi in aldeidi, acidi organici, alcoli, chetoni; sono presenti inoltre ossidi di azoto NO, e composti dello zolfo generalmente contenuto nei gasoli per autotrazione in ragione dello 0,2 % circa in massa. I composti dello zolfo sono costituiti sia da ossidi quali 502 ed 503 sia da solfati. Le emissioni però più nocive presenti nei gas di scarico dei motori diesel sono quelle relative al particolato costituito da particelle composte da un nucleo grafitico solido e insolubile denominato sole (solid carbon) sul quale si deposita per condensazione ed adsorbimento uno strato di idrocarburi allo stato liquido (in genere aromatici policiclici), che costituiscono la parte organica solubile di ciascuna particella, denominato sof (soluble organic fraction). Tali idrocarburi provengono essenzialmente dal combustibile ed in misura ridotta anche dall'olio lubrificante. Sul nucleo grafitico, insieme agli idrocarburi liquidi, si depositano pure i solfati. Le particelle che costituiscono il particolato avrebbero azione cancerogena e la loro pericolosità è dovuta anche alla circostanza che, essendo caratterizzate da diametri inferiori a l 11m, passano attraverso le vie respiratorie raggiungendo i polmoni. Come per i motori ad accensione comandata, anche per i motori diesel la composizione dei gas di scarico dipende essenzialmente dalle condizioni di fun­ zionamento del motore nonché dalla composizione e dalle caratteristiche del gasolio. In particolare la volatilità ed il Numero di Cetano di quest'ultimo deter­ minano la rapidità della combustione del gasolio stesso e quindi la formazione eventuale di incombusti e di fumo allo scarico.

Motori alternativi a combustione interna

43 1

VII I .20. Fonti di inquinamento diverse dai gas scaricati da un motore alternativo a e. i. Le emissioni allo scarico di un motore a e.i. non costituiscono l'unica fonte di inquinamento da autoveicolo. I l serbatoio del combustibile, i l sistema di alimen­ tazione ed il basamento del motore concorrono infatti con le loro emissioni, sia pur modeste, all'inquinamento ambientale. Si ritiene comunque opportuno preci­ sare che quando l'autoveicolo è equipaggiato con un motore diesel, tali emissioni risultano praticamente insignificanti a causa dei modesti valori della volatilità del gasolio.

Emissioni dal serbatoio

I vapori emessi dal serbatoio della benzina sono costituiti da idrocarburi leggieri e tali perdite per evaporazione si verificano attraverso i condotti di sfiato, in particolare quando la vettura è esposta ad elevata temperatura ambiente. Anche la volatilità della benzina ed il grado di riempimento del serbatoio influi­ scono sull'entità delle perdite. Un metodo per ridurle consiste nel collegare gli sfiati del serbatoio ad un filtro di carbone attivo, a sua volta collegato al filtro dell'aria del motore. In condizioni di marcia una parte dell'aria aspirata dal motore passa attraverso il filtro di carbone attivo miscelandosi con gli idrocarburi, che vengono quindi avviati al motore (Fig. VIII.58).

2

Fig. VIII.58 Percorso dei vapori di benzina. I. Serbatoio combustibile; 2. Filtro aria; 3. Filtro carbone attivo. -

432

Macchine

Emissioni dai sistemi di carburazione Le emissioni dal carburatore avvengono durante le soste del veicolo a motore caldo a causa del flusso termico che si stabilisce dal basamento del motore verso l 'alto. I principali fattori che influenzano tali perdite sono la volatilità del carbu­ rante, la temperatura dell'ambiente e la temperatura del motore.

Emissioni dal basamento del motore

Le emissioni dal basamento sono costituite da miscela fresca (idrocarburi incombusti e aria) e gas residui di combustione; esse sono dovute a trafilamenti verso il carter attraverso le tenute tra pistone e cilindro e per tale ragione possono aumentare con l ' usura del motore. Per la eliminazione o la drastica limitazione di tale fonte di inquinamento si adottano particolari dispositivi, detti comunemente blow-by, basati in generale sul principio di ricircolare i suddetti gas di sfiato dal basamento all'aspirazione del motore.

VIII.2 1 . Il settore trasporti e l'inquinamento ambientale Dopo aver elencato gli inquinanti prodotti dai motori a e.i., sia a benzina che diesel, e dopo aver illustrato la pericolosità di alcuni di essi in particolare, per comprendere il motivo per il quale ci sia oggi nel mondo tanto interesse ed un'attenzione che rasenta l'allarmismo nei confronti dell'inquinamento prodotto dagli autoveicoli in generale, è opportuno far presente che il solo settore trasporti risulta essere il maggiore responsabile, specie nelle zone urbane, dell'inquina­ mento ambientale. Valutazioni condotte recentemente dall'ENEA attribuiscono infatti al settore trasporti, rispetto a tutte le emissioni di altra provenienza (centrali termoelet­ triche, industria, riscaldamento domestico, ecc.) incidenze percentuali molto rile­ vanti così come riportato nella tab. VIII.6 nella quale sono riportate anche le quantità totali stimate, espresse in tonnellate, di ciascun inquinante dovuto ai trasporti emesse in un anno in Italia. Tab. V I I I .6 [11] settore trasporti.

-

Ossido di carbonio Ossidi di azoto Idrocarburi Ossidi di zolfo Particelle sospese

Percentuali, rispetto al totale, delle emissioni inquinanti relative al co

NO, HC

so,

90,6% 5 1 ,6 % 87,0 % 4,0% 56,0%

5.048.000 t 809.000 668.000 84.000 231 .000

Motori alternativi a combustione interna

433

Anche attribuendo un valore meramente qualitativo alla tabella citata per le difficoltà oggettive di una simile valutazione 1 3 , emerge la grande influenza che hanno i trasporti sulle emissioni totali almeno per quattro dei cinque inquinanti primari considerati. Per poter esprimere un giudizio più completo, occorre poi tener conto non solo delle quantità emesse, ma anche della pericolosità di ogni singolo inquinante. A tale scopo, nella tab. VIII.7 viene riportato, per ciascun inquinante, oltre ai livelli di tollerabilità, anche un indice della tossicità stimata relativamente a quella del CO posto uguale ad uno. Tab. V I I I .7 [ 11 ] - Tollerabilità e tossicità dei principali inquinanti allo scarico dei motori a e.I. INQUINANTE

Tollerabilità [j.tglmJ]

Ossido di carbonio

co

Tossicità relativa

40.000

1 ,00

Ossidi di azoto

NO,

514

77,80

Idrocarburi

HC

1 9.300

2,07

Ossidi di zolfo

so,

1 .430

28,00

375

1 06,70

Particelle sospese

Va infine tenuto presente che mentre con talune sorgenti inquinanti le emissioni avvengono in quota, talvolta anche rilevante, con una buona disper­ sione nell'atmosfera che ne favorisce la diluizione su vaste zone, nel caso dei trasporti terrestri le emissioni avvengono ad altezza d'uomo, con difficoltà di dispersione e con rilevanti concentrazioni localizzate, specie nelle città, ove i moti degli inquinanti sono ostacolati dalla presenza degli edifici e dalla scarsa ventila­ zione.

VIII.22. Sistemi per ridurre le emissioni inquinanti allo scanco dei motori a e. i. ad accensione comandata La riduzione ed il controllo delle emissioni inquinanti (CO, HC, NOJ dei motori a e.i. ad accensione comandata possono essere ottenuti mediante: adeguamento delle benzine; - sistemi di alimentazione del combustibile che consentano una regolazione

13

Esistono al riguardo valutazioni anche sensibilmente diverse in termini quantitativi.

434

Macchine

precisa finalizzata al conseguimento, nei campi di funzionamento del motore, dei minimi livelli globali di emissioni; - dispositivi che intervengano direttamente sugli scarichi dei motori per eliminare i composti inquinanti una volta che si siano formati. È opportuno osservare che i primi due sistemi si propongono, razionalmente, di prevenire la formazione di composti tossici, mentre l 'ultimo si limita a distrug­ gerli, in maniera più o meno completa, una volta che si siano formati.

V I I I.22. 1 . A deguamento delle benzine L'adeguamento della benzina alle esigenze di cui trattasi può effettuarsi con interventi sulle caratteristiche fisiche che possano favorire la costanza delle pro­ prietà ed una più completa combustione o anche con interventi sulla riduzione o eliminazione dalla benzina di quei composti quali i l piombo che sono ritenuti inquinanti diretti ( benzin a verde o unleaded).

V I I I .22.2. Sistemi di alimentazione del combustibile Nell'ambito delle azioni rivolte al miglioramento dell'alimentazione e della regolazione dei motori ad accensione comandata, un primo passo è stato com­ piuto con l'adozione di carburatori doppio corpo alimentanti l 'insieme dei cilindri di un motore o di carburatori singoli, uno per ciascuno dei cilindri del motore. Tale soluzione, peraltro in uso da molti anni, comporta una migliore distribuzione della miscela ai vari cilindri riducendo così le disuniformità di alimentazione responsabili dei differenti livelli di emissioni di un cilindro rispetto agli altri. La riduzione ed il controllo delle emissioni per tale via sono notevoli, se si confron­ tano le prestazioni con carburatori di tipo semplice. Successivamente sono stati utilizzati carburatori muniti di dispositivi che intervengono durante i transitori di decelerazione dei veicoli, in funzione della depressione raggiunta nel collettore di aspirazione e dei valori della velocità di rotazione eliminando la inutile portata di combustibile che altrimenti sarebbe inviata ai cilindri. In tal modo si riducono sensibilmente gli idrocarburi incom­ busti, particolarmente abbondanti nei transitori di decelerazione ( Tab. VIII.S ) . I sistemi più efficaci sono tuttavia quelli di iniezione del combustibile, gli unici in grado di fornire una miscela di composizione così precisa da contenere le emissioni nei gas di scarico entro valori modesti e considerevolmente inferiori a quelle che si realizzano con i carburatori. I vantaggi dei sistemi di iniezione di benzina di cui si è già parlato al par. VIII. 1 2 consistono essenzialmente in:

Motori alternativi a combustione interna

435

minore pericolo di separazione della miscela ne1 rispettivi collettori di asp1raz10ne; - assenza di depositi di film di combustibile sulle pareti dei collettori di aspirazione in modo da evitare disuniformità di alimentazione tra un cilindro e l'altro; - possibilità di controllo preciso a freddo e all'avviamento nelle fasi di riscaldamento.

VIII.22.3. Dispositivi di converswne applicati ai condotti di scarico Tali dispositivi, denominati convertitori catalitici, agiscono efficacemente nei confronti dei tre inquinanti principali che sono, come è noto, l'ossido di carbonio CO, gli idrocarburi incombusti HC e gli ossidi di azoto NO, . Nei confronti dei primi due essi esplicano un'azione ossidante in quanto, operando con una oppor­ tuna aggiunta di aria secondaria, realizzano la conversione dell'ossido di carbonio e degli idrocarburi incombusti in prodotti innocui quali l'anidride carbonica e l'acqua secondo le reazioni: (8-35) (8-36) Gli ossidi di azoto, invece, vanno sottoposti ad una azione riducente in modo da dar luogo anch'essi a sostanze non tossiche: 2 NO + 2 CO



N2 + 2 C0 2

(8-37)

Le reazioni illustrate avvengono in presenza di catalizzatori costituiti general­ mente da metalli nobili; tra quelli ossidanti i più efficaci sono il platino ed il palladio mentre per la riduzione degli ossidi di azoto si presta molto bene il rodi o. Da un punto di vista costruttivo, i convertitori catalitici si presentano costi­ tuiti da: - un involucro metallico esterno, inserito tra il collettore di scarico ed il dispositivo silenziatore, contenente al suo interno il supporto catalitico reattivo; - un supporto catalitico vero e proprio costituito, in alternativa, da una molteplicità di sferette (pellets) in materiale ceramico racchiuse entro un apposito contenitore metallico (Fig. VIII.59a) o da una struttura monolitica con celle a nido d'ape realizzata in materiale ceramico ( cordierite o mullite ) o metallico (Fig . VII I . 5 9b ) ;

436

Macchine

a)

2

b) Fig. V I I I .59 [6] Tipi differenti di supporti catalitici. a) A sfere/te ceramiche; b) A struttura monolitico. l. Sferette ceramiche; 2. Struttura isolante. -

- un rivestimento dello stesso supporto (monolite o pellets) di materiale ceramico (generalmente allumina A/203 o silice Si02), a sua volta impregnato con un'opportuna sostanza catalizzatrice attiva a base, come detto, di metalli nobili. In fig. VIII.60 si riportano i tre sistemi di convertitore catalitico (marmitta catalitica) attualmente disponibili sul mercato ed il loro inserimento lungo le tubazioni di scarico. Il sistema di fig. VIII.60a è munito di un convertitore catalitico ossidante ed è immediato concludere che esso esplicherà la sua azione solo nei confronti dell'os­ sido di carbonio e degli idrocarburi incombusti che daranno luogo ad anidride carbonica e ad acqua secondo le reazioni (8-35) e (8-36). Nessun intervento può aver luogo nei confronti degli ossidi di azoto. L'ossigeno occorrente per le reazioni di ossidazione perviene nel collettore di scarico attraverso la valvola dell'aria secondaria 2 di fig. VIII.60a se il motore è munito di carburatore, mentre quando è presente un impianto di iniezione questo provvede ad alimentare il motore con una miscela leggermente povera, quindi in eccesso di aria, in modo da rendere disponibile l'ossigeno per le reazioni di ossidazione. Il sistema di fig. VIII.60b prevede due convertitori catalitici tra i quali è inserita la valvola dell'aria secondaria 2; il primo, riducente, agisce sugli ossidi di azoto; il secondo, ossidante, agisce sull'ossido di carbonio e sugli idrocarburi incombusti. In tal caso il motore deve funzionare con miscela leggermente ricca, quindi in difetto di aria, il che comporta un aumento del consumo specifico di combustibile; di qui la sua limitata diffusione. Il sistema di fig. VIII.60c prevede un solo convertitore catalitico che esplica sia un'azione riducente, sia un'azione ossidante ed è quindi capace di agire su

Motori alternativi a combustione interna

437

2 1 ...

3

b )

1 ...

1 ...

Fig. VIII.60 (6] - Sistemi di conversione catalitica.

a) Convertitore ossidante; b) Convertitore riducente e convertitore ossidante; c) Convertitore a tre vie e controllo con sonda lambda in closed loop. l . Sistema di formazione della miscela; 2. Valvola di immissione aria secondaria; 3. Marmitta ossidante; 4. Marmitta riducente; 5. Marmitta a tre vie; 6. Sonda lambda; 7. Unità elettronica di controllo.

tutti e tre gli inquinanti (marmitta a tre vie). Quest'ultima però è efficiente solo se il rapporto a = massa di aria l massa di combustibile si mantiene in un intervallo molto piccolo nell'intorno del valore stechiometrico (Fig. VIII.61 ) . Per mantenere il valore di a in un campo così stretto è indispensabile inserire nel collettore di

438

Macchine

scarico una particolare sonda denominata sonda lambda (Fig. VIII.60c) la quale ha il compito di segnalare la presenza o meno, nei gas di scarico, di ossigeno l ibero. La sonda lambda pertanto viene utilizzata per indicare il passaggio da alimentazione in difetto di ossigeno (miscela leggermente ricca) ad alimentazione in eccesso di ossigeno (miscela leggermente povera); in altri termini la sonda lambda diventa utile per regolare sul valore stechiometrico il rapporto di miscela realizzato dal sistema di alimentazione, se il suo segnale viene utilizzato nell'unità elettronica di controllo 7 (Fig. VIII.60c) che presiede alla regolazione dei tempi di iniezione e quindi delle portate di combustibile iniettate per ciclo. 0 , 9 9 0'.�

co

'

\

\

O:st

O. Una turbina idraulica ad azione, detta anche turbina Pelton dal nome del suo inventore ( 1880 circa), è costituita essenzialmente, come tutte le turbomacchine, da una parte fissa o boccaglio opportunamente sagomato dal quale il fluido esce con velocità c 1 = �2g H11 4 e da una parte mobile, una ruota, costituita da un disco portato da un albero munito dei relativi cuscinetti. Alla periferia del disco sono sistemate un certo numero di pale, oggi quasi sempre fuse di pezzo col disco (Tav. · XIII) di forma particolare assimilabile ad un doppio cucchiaio con uno spigolo tagliente al centro (Fig. X.4) in modo da dividere simmetricamente il getto e consentire poi, dopo un attraversamento fluidodinamicamente razionale (senza vortici) , la ricaduta dell'acqua nel canale inferiore di scarico. Con riferimento alla fig. X.4, sia u la velocità periferica della ruota alla circonferenza dei getti e c, la velocità assoluta del getto con direzione tangenziale alla ruota; la u e la c, hanno dunque la stessa direzione. Il triangolo di velocità all'ingresso (Fig. X.4) si riduce ad un semplice segmento di retta essendo a, = O. La w,, velocità relativa di ingresso, si ottiene facilmente sottraendo alla c, la u. Trascurando gli attriti, la velocità relativa di uscita w2 risulta uguale alla w , e diretta tangenzialmente al profilo del cucchiaio, nel bordo di uscita. Sommando al vettore w2 il vettore u si ha infine la c2, velocità assoluta di uscita. L'acqua abbandona la ruota con una velocità c2 < c, e pertanto il lavoro meccanico trasferito all'esterno è pari, come in ogni macchina ad azione, alla diminuzione di energia cinetica ( c 7 - c� )/2 subita dal fluido nella girante. Sempre nel caso ideale senza attriti il rendimento 11, di questa macchina è dunque fornito dall'espressione:

Nel caso reale con attriti l'espressione del rendimento è più complessa, e la trattazione relativa, non sviluppabile in questa sede, porta alla conclusione che il massimo non si verifica nelle condizioni che rendono c2 normale al piano della ruota e il rapporto caratteristico in tali condizioni di 11,,, risulta inferiore ad 112. Si ha infatti in genere u/c, = 0,44 + 0,48. Il boccaglio della Pelton (ugello Doble) è rappresentato in fig. X.S nel suo schema elementare di funzionamento a) e in disegno costruttivo b). La c1 è detta anche velocità torricelliana ( s i veda par. III.8); infatti l 'ugello è in comunicazione con l'atmosfera ed in esso si realizza la conversione i n energia cinetica di tutta l'energia gravitazionale dell'acqua (R 0). Il valore di c 1 può essere molto elevato in quanto il salto H' sfruttato in questo tipo di turbine può superare anche i 2.000 m .

4

=

Impianti motori idraulici

477

Fig. X.4 [ 1 ] - Pala di ruota Pelton e triangoli di veloci tà.

Come si nota l'ugello è costituito da un condotto fortemente convergente nella parte terminale, con al centro una spina otturatrice la quale, scorrendo assialmente per l'azione di un servomeccanismo, consente l'apertura e la chiusura dell 'ugello e quindi la regolazione della macchina. Ad ogni posizione della spina corrisponde infatti un diverso valore della sezione di efflusso Q e quindi della portata volumetrica Q: ( 1 0-9)

478

Macchine

Essendo c 1 = �2g H11 praticamente inalterata, la variazione di sezione si traduce direttamente in variazioni della portata e della potenza della turbina. La presenza della spina assicura anche che il getto si mantenga molto com­ patto nel tratto compreso fra la sezione di uscita e l'ingresso nella pala, con una uniforme distribuzione della velocità in tutte le sezioni poiché i filetti fluidi subiscono rallentamenti pressocché uguali per la presenza all'esterno delle pareti del boccaglio e all'interno della spina. Se la ruota è alimentata da un solo getto il diametro di quest'ultimo è facilmente ricavabile dalla relazione:

Q

(10-10)

4

da cui:

(10-11) I l diametro D della ruota dipende invece dalla velocità periferica della girante, ricavabile dal rapporto ulc1 di massimo rendimento di cui si è fatto prima cenno, e dal numero di giri fissato come è noto dalle caratteristiche dell'alterna­ tore secondo la relazione:

n

60 p

.

t

(10-12)

ove t è la frequenza (50 Hz in Europa, 60 Hz negli Stati Uniti) e p le coppie di poli (con p = l si ha n = 3.000 giri/min quando t = 50 Hz). D'altra parte per ogni diametro della ruota vi sono dei limiti nelle dimensioni delle pale, ovviamente dipendenti dal diametro d del getto. Nella pratica costruttiva il rapporto D/d è di solito compreso fra 12 e 18 e non può scendere comunque al disotto di 8. Molta cura va posta anche nello stabilire il numero delle pale, ossia il passo (distanza tra due pale successive); bisogna infatti tener conto che una pala, ruotando, viene a tagliare il getto, mentre la parte di quest'ultimo a valle della pala stessa prosegue la sua traiettoria rettilinea. Affinché tutta la sua energia cinetica venga interamente utilizzata occorre che l'ultimo filetto del getto tagliato raggiunga la pala successiva e la percorra tutta prima che essa esca fuori dalla traiettoria (Tav. XIV). Va in ogni caso precisato che se nella progettazione di una Pelton risulta difficile rispettare le varie condizioni cui si è fatto cenno, in particolare sui limiti del rapporto D/d, occorre allora frazionare la portata dividendola in due o più getti.

Impianti motori idraulici

a)

479

b)

Fig. X.5 Ugello Doble. a) Schema elementare; b) Particolare costruttivo di un boccaglio a comando interno: in alto chiuso, in basso aperto ( VO!TH) . -

In relazione quindi alle caratteristiche dell'impianto le Pelton possono avere da 2 a 6 getti, opportunamente disposti intorno alla girante (Tav. XV). La fig. X.6 mostra appunto una turbina a 6 boccagli e ad asse verticale. Le Pelton sono in grado di erogare potenze dell'ordine di decine di migliaia di kW (fino a 1 00 MW ed oltre) ed hanno trovato larga diffusione nel nostro Paese in quanto l'orografia alpina ha consentito la creazione di grandi bacini a quote relativamente elevate per le quali queste turbine risultano particolarmente indicate.

X.3. Turbine a reazwne Nelle turbine a reazione l'energia potenziale gravitazionale corrispondente al salto utile H., si trasforma in energia cinetica, come è noto, parte nello statore e parte nelle pale mobili della girante. Quest'ultima viene quindi alimentata da acqua in pressione, e solo al suo interno tale pressione decresce fino a quella atmosferica o addirittura a valori inferiori se a valle della ruota e sino al canale di scarico viene sistemato un condotto fisso opportunamente sagomato (tubo di aspirazione o diffusore) sulla cui funzione si ritornerà più dettagliatamente in seguito.

X.3. 1 . Turbina centripeta Francis La più antica turbina idraulica a reazione (risalente infatti alla fine del secolo scorso) è la Francis, ancora oggi, al pari della Pelton, largamente diffusa negli impianti per la produzione di energia elettrica. Essa è costituita essenzialmente

480

Macchine

Fig. X.6 [4] - Turbina Pelton a 6 boccagli ad asse verticale (SULZER-ESCI-IER WYSS). H' = 587 m; P 1 74,4 M W; n = 300 girilmin; Diametro girame 4. 100 mm. =

=

da una ruota munita di pale, detta girante ( Fig. X.7) circondata da una corona di pale fisse che costituisce il distributore o statore (Fig. X.8). L'acqua viene convo­ gliata nei condotti fissi per mezzo di una voluta (Fig. X.9), la cui caratteristica forma a chiocciola è funzione principalmente del valore della portata che ne attraversa le singole sezioni, decrescente man mano che l'acqua fluisce verso l 'interno della turbina. I l funzionamento della Francis può essere meglio compreso con l'ausilio anche della fig. X. l O, relativa alle sezioni assiale e trasversale, e della fig. X.ll concernente i triangoli di velocità. Il distributore è costituito da una serie di pale direttrici d, che delimitano condotti a sezione decrescente per consentire l'aumento della velocità c, del­ l'acqua che in questo caso, trattandosi di macchina con un grado di reazione R diverso da zero, è dato da:

�2g H"

(l

-

R)

( 1 0- 1 3)

Tav. XXI - Spaccato di compressore centrifugo con cassa aperta orizzontalmente e refri­ gerazione intermedia ( D EMA G) .

l. !ngresso gas corpo bassa pressione; 2 . Uscira gas corpo bassa pressione ed invio al refrigera/ore; 3. !ngresso gas, dopo la refi'igerazione, al corpo di alta pressione; 4. Uscita gas corpo afra pressione verso / 'uri/izzazione.

Tav. XXII ( D EMA G).

-

Spaccato di compressore centrifugo barre! con cassa aperta verticalmente

Tav. XXI I I - Spaccato del compressore assiale con ingresso radia le del fluido riportato in sezione in fig. XI .45 (DEMA G). ·

Tav. XXIV Spaccato del compressore misto assial-centrifugo con ingresso assiale del fl uido riportato in sezione in fig. XI.49 ( DEMA G) . l. Ingresso assiale del fluido; 2 . Uscita dal corpo assiale verso i l primo refì·igerarore; 3. Ingresso gas, dopo la prima ref6gerazione, allo stadio centrifugo di bassa pressione; 4. Uscita dallo stadio centrifilgo di bassa pressione verso il secondo refrigeratore; 5. ingresso gas, dopo la seconda refrigerazione, allo stadio centrifugo di alta pressione; 6. Uscita dallo stadio centrifitgo di alta pressione verso l 'utilizzatore. -

Tav. XXV (A PV).

-

Pompa centrifuga monostadio di tipo ermetico a trascinamento magnetico

raffi·eddamemo inietrori.

(STORK-WA RTSILA DIESEL). C = 300 mm; D = 280 mm; CIO = 1,07; n = 1. 000 girilmin; v, = 10 mis; P/cii. = 295 k W; n. cil. = 6, 8, 9; P = 1. 770 + 2. 655 k W; Q = 12, 7 : l . 1. A lbero a manovelle; 2 . Biella; 3. Pistone; 4. Canna cilindi·o; 5. Passaggi acqua raffreddamento; 6. Testata cilindro; 7. Coperchio bilancieri; 8. Blocco cilindri; 9. Carter; 10. Cappello di banco; l l . Ingranaggio principale di presa del moto; 72. Ingranaggio in termedio; 1 3 . Ingran aggio azionamento albero a camme; 1 4. A I b e ro a c q m m e; 1 5 . Camma; 16. Rullini interposti tra camma e punteria; 1 7. Asta pun­ teria; 18. Camma azionamento pompa combustibile; 1 9. Pompa combustibile; 20. Asta crema­ gliera; 21. lniellore; 22. Bilan­ ciere; 23. Copertura; 24. Pas­ saggi olio lu b rificaz ione; 25. Pompa; 26. Motore di av via­ mento ad aria compressa; 2 7. Volano con ingranaggio per l 'av­ viamento; 28. Reji·igeratore aria so vralimentazione; 2 9. Turbo­ soffiante a gas di scarico; 30. Vi­ rotore; 3 1 . Valvola di scarico raf­ fredda ta; 32. Percorso fluido

-

Tav. XXVI Motore djesel a qua ttro tempi sovralime n tato con cili ndri in linea S W 280 de­ stinato alla propulsione navale

-

Spaccato di turboriduttore a vapore per la propulsione navale (STA L-LA VA L). l . Turbina a vapo1;e di alta pressione; 2 . Turbina a vapore di bassa pressione; 3 . Turbina a vapore di marcia indietro costituita da due ruote a salti di velocità; 4. Condensatore; 5. Riduttore epicicloidale di prima riduzione; 6. Ruota lenta di seconda riduzione; A lbero portaelica.

7.

Tav. XXVII

Tav. XX V l l l - Turbina a gas di derivazione aeronautica LM 2500 per la propulsione navale ( GENERA L EL ECTRIC). Deriva dal motore aeronautico TF39/CF-6 che eq uipaggia aerei militari, quali il C-5 Galaxy, e commerciali quali i l DC-10, il Boeing 747 (.lumbo) e I 'A irbus A -300. P = 20.500 k W ; c , = 9.800 k.l !k Wh (11g := 0,37) .

Impianti motori idraulici

Fig. X.7 G irante di turbina Francis ( TOSHIBA ). -

48 1

Fig. X.8 - Distributore di turbina Francis (SULZER- ESC!-IER WYSS).

Nella ruota si notano il disco a, la corona esterna b, le pale c che si incurvano avvicinandosi tra loro dall'entrata all'uscita delimitando anch'esse condotti a sezione decrescente dato che, trattandosi di turbina a reazione, deve aversi aumento della velocità relativa (w2 > w 1 ) e diminuzione di pressione. Come si nota bene anche dai triangoli di velocità di fig. X. l l sia la velocità rela­ tiva eli ingresso w1 nelle pale sia quella assoluta di uscita c2 sono dirette verso l 'asse a cui il getto liquido si avvicina nel suo percorso, quindi la Francis è una macchina centripeta e questa soluzione conferma quanto esposto al par. IV. l O a commento cieli 'espressione ( 4-67) dalla quale emerge l 'opportunità di realizzare il moto centri­ peto nelle macchine radiali motrici e centrifugo invece in quelle radiali operatrici. La condizione di massimo rendimento si ha per valori nulli della componente tangenziale della c2 di uscita, ma i rapporti u /c 1 variano in un campo più esteso rispetto al caso delle Pelton. Il predetto rapporto è molto influenzato dagli angoli a1 e � 1 del triangolo di ingresso e può andare da 0,45 + 0,50 sino a 0,90 e più. Anche per le Francis la regolazione della potenza è ottenuta, come per le

Fig. X.9 - Voluta a chiocciola di turbina Francis e distributore ( S ULZER-ESC!-! ER WYSS).

482

Macchine

Fig. X.lO - Sezioni assiale e trasversale di una turbina Francis.

Pelton, mediante variazione della portata, realizzata attraverso la simultanea mo­ difica dell'orientamento di tutte le pale d del distributore che hanno la possibilità di ruotare su adatti perni durante i periodi transitori (si veda fig. X.lO ed anche Tav. XVI ) .

Fig. X . l l - Triangoli d i velocità in ingresso e d in uscita relativi a l l a girante di u n a turbina

Francis.

Impianti motori idraulici

483

Fig. X.l2 - Giranti di turbine Francis caratterizzate da valori differenti del numero di giri specifico.

Da notare che al crescere del grado di reazione e del numero di giri specifico, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo, la forma della girante cambia sensibil­ mente; in particolare, come si vede dalla fig. X.12, varia in modo cospicuo il rapporto E/D tra la dimensione di ingresso E nella ruota e i l diametro D, rapporto che infatti cresce da 0,05 sino a 0,4 circa, con la conseguenza che il moto, da essenzialmente centripeto, tende gradualmente ad avvicinarsi sempre più alla direzione assiale. È opportuno precisare che gli schemi delle figg. X.10 e X.12 si riferiscono a turbine ad asse orizzontale, ma nelle Francis molto spesso è usata la versione ad asse verticale come infatti si vede nell� fig. X.13, relativa alla sezione di una turbina della potenza di 400 MW, e nella Tav. XVII concernente lo spaccato dell'impianto di 2.590 MW lungo il fiume Eufrate, in Turchia, in ultimazione nel 1 993. Anche dalla sezione di fig. X.13 è evidente comunque la già accennata tendenza del moto da radiale ad assiale. Le Francis sono utilizzate per salti geodetici variabili da qualche decina di metri sino a 300 + 400 m, con portate anche molto elevate ( 150 + 200 m3/s) e potenze, a parte il citato e grandissimo impianto in Turchia, spesso di molte centinaia di MW.

X.3.2. Turbina assiale ad elica e turbina Kaplan Come logica evoluzione del tipo di pala Francis rappresentata in fig. X.14a, sostanzialmente simile come si vede alle pale della turbina di fig. X.13, si arriva ad una girante interamente assiale (Fig. X.14b), molto simile quindi ad un'elica di propulsione (Tav. XVIII); si giunge così alla turbina ad elica, il cui disegno semplificato è riportato in fig. X.15. In tale tipo di macchina, dopo il distributore che è sempre centripeto, il fluido

484

Macchine

subisce una deviazione di 90° nel condotto fisso prima di giungere alla girante costituita da poche e grosse pale, fissate ad un mozzo di rilevanti dimensioni, di profilo piuttosto piatto e quindi progettabili anche con l'ausilio della teoria aerodinamica, e cioè assegnando ai vettori delle velocità relative gli angoli di incidenza più idonei a realizzare il massimo rendimento. I triangoli di velocità, riportati in fig. X.16, hanno forma molto diversa da quelli delle Francis di fig. X.l l , anche perché la velocità periferica è costante

Sezione assiale di turbina Francis ( VOITH). l 15 m; P 41 7,2 M W; n 120 giri/min. l. Girante; 2. Pale fisse orientabili; 3. Spirale di ingresso; 4. A nello di regolazione pale fisse orientabili; 5. Cuscino di guida; 6. Generatore elettrico. Fig. X . l 3

J-1'

=

-

=

=

Impianti motori idraulici

a)

485

b)

Fig. X. l4 - Pale d i giranti d i turbine idrauliche. a) Francis; b) Assiale o ad elica.

all'ingresso e d all'uscita della ruota ( u1 = u2 ) e l a deviazione imposta dalle pale alla velocità relativa è sempre piuttosto limitata. Queste turbine risultano essere le più idonee ad utilizzare dislivelli geodetici anche molto modesti (da 5m a 40m) con portate invece elevatissime, fino a 500 m3/s e potenze di 300 + 500 MW. Un ulteriore perfezionamento di questa categoria di macchine sono le turbine Kaplan (introdotte per la prima volta verso il 1 91 6 su indicazioni del prof. V. Kaplan e oggi largamente diffuse negli impianti idroelettrici) le quali sono prov­ viste di un dispositivo, sistemato all'interno del mozzo, che consente di variare, con la macchina in moto, l'inclinazione delle pale in relazione alle variazioni del carico ed in sincronismo ovviamente con l'orientamento delle pale del distribu­ tore. Infatti, variando la portata di acqua viene a variare in proporzione la componente assiale c2 dei triangoli, i quali si deformano con conseguenti cambia­ menti degli angoli e delle direzioni delle velocità relative; l'orientabilità delle pale consente però di ripristinare per ogni condizione il valore ottimo dell'incidenza fluido-pala ottenendo così il miglior funzionamento della turbina in un esteso campo di valori della portata e della potenza.

Fig. X. l S - D isegno semplificato di turbina ad e lica.

486

Macchine

Fig. X. 1 6 - Triangoli di velocità in ingresso ed in uscita re lativi alla girante di una turbina assiale.

La fig. X . 1 7 mostra infine la sezione di una moderna turbina potenza di 47,07 MW.

Kaplan

della

X.3.3. Tubo di aspirazione o tubo diff�tsore Si è visto che nelle turbine ad alto grado di reazione (Francis, ad elica e Kaplan), il salto geodetico utile può essere anche molto modesto, di qualche decina di metri o a volte di pochi metri; in questo caso la perdita allo scarico dovuta alla velocità assoluta di uscita c2 può avere una incidenza percentuale eccessiva, con conseguente sensibile diminuzione del rendimento. L'inconveniente risulta fortemente attenuato installando la turbina ad un livello superiore al canale di scarico e sistemando all'uscita della macchina un tubo di aspirazione conico (Fig. X . l8 ) nel quale il fluido viene rallentato (c3 < c2) e parte dell'energia cinetica relativa alla velocità c2 di uscita si converte in energia di pressione. E dato che nel canale di scarico regna ovviamente l a pressione atmosferica, all'uscita della girante si avrà una pressione minore, il che corri­ sponde ad un virtuale aumento del salto utile H,. Per approfondire un po' meglio le cose, e con riferimento alla fig. X.18, si applichi la già studiata equazione di Bernoulli (3-68) fra le sezioni di ingresso e di uscita del tubo di aspirazione:

c? P h z + -z + ­2 y 2g

c� P3 h3 + - + + 2g y

s

( 1 0- 1 4)

ove s rappresenta le perdite di canco che si hanno nell'attraversamento del condotto. Se h, è la distanza fra il pelo libero del canale di scarico e la sezione di uscita

Impianti motori idraulici

487

Fig. X . l 7 - Sezione assiale di turbina ad e lica tipo Kaplan ( VOITH). H' = 36, 70 m ; P = 4 7,07 M W; n = 187,50 giri/min. l. Girante con pale regolabili; 2. Pale fisse orientabili; 3. Cuscino di guida inferiore; 4. Anello di regolazione con servomotore per lo stawre; 5. Cuscino reggispinta; 6. Cuscino di guida superiore; 7. Generatore elellrico.

488

Macchine

hz Pat m

Fig. X . l 8

-

-lc3----- ---- -----

hs

Tubo d i aspirazione o t ubo diffusore.

del tubo si ha che l'altezza

h"

del tubo stesso è: ( 1 0-15)

ed inoltre: ( 1 0-16) Dalle formule precedenti si ricava che l'altezza piezometrica nella sezione 2 di ingresso nel tubo (uscita dalla girante) è:

P2 y

P at y

(h a + c� - cj 2g

S

J

(10-17)

I l termine sottrattivo della ( 10-17) dato dalla variazione delle energie cine­ tiche è proprio il recupero che si ottiene con il tubo aspirante conico appunto

Impianti motori idraulici

489

come aumento virtuale del salto utile H,. Vale la pena notare che se il tubo fosse cilindrico ( c2 = c3) tale recupero sarebbe nullo; in tal caso la depressione creata dal tubo aspirante viene solo a compensare l'aumento dell'altezza geodetica con cui la turbina è sistemata rispetto al canale di scarico. La depressione generata a valle della ruota ha tuttavia un limite poiché vi è un nummo possibile per il termine p/y dovendosi sempre rispettare la condi­ zione:

;?! P-v + P-a y y

P2

y

( 10-18)

p)y e pJy rappresentano infatti le altezze piezometriche corrispondenti alla tensione di vapore alla temperatura dell'acqua e alla pressione parziale dell'aria disciolta. Ove la ( 10-1 8 ) non fosse rispettata si andrebbe incontro a fenomeni di cavitazione, e cioè sprigionarsi di bolle di aria e di vapore con funzionamento irregolare, rumoroso, usura dei materiali, ecc.5 Stabilito quindi il valore minimo di p/y , dalla ( 1 0-17) è possibile risalire alla altezza del tubo, che è data da: P at

P 2min

y

y

( 10- 19)

I n generale l'altezza massima è sui 7 m. Il tubo di aspirazione, largamente diffuso nelle turbine idrauliche a reazione, per questa sua particolare funzione va considerato parte integrante della mac­ china.

X.4. Numero di giri specifico Nello studio e nella progettazione di turbine idrauliche si fa molto uso di esperienze di laboratorio realizzate su modelli, in scala ridotta, ma simili alla macchina reale e cioè in grado di avere rispetto ad essa un comportamento funzionale sostanzialmente identico (in pratica un valore del rendimento il più possibile vicino al valore del rendimento della macchina). La teoria della similitudine, non sviluppabile entro i limiti imposti a questa trattazione, consente di considerare costante, per macchine simili, il rapporto:

5 Della cavitazione si parlerà più diffusamente al par. XII.4.7.

490

Macchine p J t2

n

n .,.

H'

( 1 0-20)

st4

ove P è la potenza espressa in CV, n il numero di giri al minuto, H' il dislivello geodetico espresso in metri . Tale rapporto è chiamato numero di giri specifico, relativo cioè ad una determinata categoria o famiglia di macchine ed è facile rilevare che esso corrisponde al numero di giri di una macchina ( anche ipotetica) che con un salto di l m sviluppi l'unità di potenza (in tal caso infatti n, = n ) . Per il numero di giri specifico sono usate anche altre espressioni, tra cui: 3,65

n

Q

l/2

( 10 -2 1 )

H' 3t4

La ( 1 0-21 ) può essere utilizzata però sia con il sistema tecnico che con il sistema internazionale poiché il salto geodetico e la portata sono espressi, in entrambi i casi, in m e m1/s rispettivamente. Le esperienze di laboratorio ed il rilievo di dati statistici relativi ad impianti funzionanti consentono di determinare orientativamente i campi di variazione di n, per i vari tipi di turbine idrauliche (Tab. X. 1 ). Tab. X. l [ 3] - Campi di variazione orientativi del numero di giri specifico per i diversi tipi eli turbine idrauliche. n,

TURBINA Pelton a l getto

18

+

Pelton a 2 getti

25

+

50

Pelton a più getti

50

+

72

Francis lente

55

36

+

1 20

+

200

o

R

o o

0,30

Francis medie

1 20

Francis veloci

200

+

300

0,50

Francis ultraveloci

300

+

450

0,60

Elica o Kaplan

270

+

1 . 1 00

0,70

0,40

La conoscenza di questi valori è molto utile poiché, note le caratteristiche dell'impianto idroelettrico da realizzare quali l 'altezza H' e la portata Q, e fissato opportunamente il numero effettivo di giri n, la determinazione di n, fornisce un criterio di scelta del tipo di macchina più idoneo. Si ritrova dunque, come già anticipato nelle pagine precedenti, che a salti elevati e portate modeste, ai quali corrispondono valori di n, piuttosto bassi, le soluzioni generalmente adottate con vantaggio sono rappresentate da turbine

Impianti motori idraulici

49 1

Pelton

ad un solo boccaglio. Con l 'aumentare di n, si incontrano, per la maggior parte, impianti funzionanti con Pelton a due getti, poi a più getti, poi ancora le Francis, fino a giungere, per i massimi valori di n, alle turbine Kaplan. Ed è proprio in stretta relazione al valore di n, e non dell'effettivo numero di giri al minuto, che va inteso l 'attributo lenta, veloce, velocissima che di solito accom­ pagna una macchina idraulica. Si può dire allora, per concludere, che la Pelton è una turbina lenta, ad azione, tangenziale in quanto la sua ruota è alimentata da uno o più getti diretti tangenzialmente ad essa, ed è adatta a sfruttare salti notevoli con portate relativa­ mente modeste o anche piccole. La Francis è una turbina a reazione, radiale centripeta; può avere differenti realizzazioni costruttive abbracciando una gamma molto vasta di salti e di portate. La fig. X.19 conferma le considerazioni fatte nel paragrafo X.3.1 ( si veda la fig. X.l2, relativa però ad una macchina ad asse orizzontale, e la fig. X.13) sulla graduale tendenza del moto, nelle turbine Francis, a diventare da prevalentemente centripeto a quasi completamente assiale mano a mano che il grado di reazione R e quindi il numero di giri specifico aumentano. La turbina ad elica e la Kaplan sono entrambe a reazione, assiali, velocissime, particolarmente idonee a sfruttare grandi e grandissime portate con salti modesti o piccoli. In fig. X.20 si riporta un diagramma dal quale si possono trarre indicazioni sul tipo di macchina idraulica da impiegare in relazione al salto geodetico ed alla portata disponibile. n , = 75

n , = 109

n , = 1 1,4

� � � m �= 200

l

Fig. X. l Y [3 J - Variazione della forma delle pale della girante di una turbina Francis all'aumentare di n,.

492

Macchine

A conclusione del presente paragrafo si vuole precisare che dal punto di vista fluodinamico lo studio di una turbina idraulica non differisce sostanzialmente da quanto detto nella Parte I, anzi sotto certi aspetti è più semplificato, sia perché il volume specifico del fluido rimane praticamente costante nell'attraversamento della macchina, come del resto la temperatura, sia per la maggiore omogeneità del mezzo che rimane costantemente liquido, evitandosi le difficoltà che si notano ad es. nelle ultime giranti delle turbine a vapore, dove si presentano miscugli di liquidi ed aeriformi (vapore fortemente umido). Dal punto di vista tecnologico, il problema costruttivo resta semplificato dal fatto che le velocità assunte dal fluido sono di gran lunga inferiori a quelle che si riscontrano nelle turbine a vapore e a gas, con la conseguenza che anche le velocità periferiche e quindi le sollecitazioni dei materiali sono più contenute. È questo il motivo per i l quale le turbine idrauliche, ad azione o a reazione, sono costituite sempre da un solo stadio. L'assenza di alte temperature rende inoltre più facile la scelta dei materiali per i quali, data la densità del fluido, è richiesta particolare attenzione nei riguardi delle eventuali erosioni.

1000

2oo

500

H' [m]

100

-

PE LTON

- -- F R AN C I S

17

-·-

KAPLAN

s

so

2 10

7 +�

5

1 +---�o-o+TTn+�-r�-r�nT�-,�..�����,_T4�� 0,01

Fig. X.20 assegnata

-

0.05

0,1

0,5

5

1 0 Q [ m3; s ]

50

100

Diagramma indicativo in merito al tipo di macchina da impiegare per una coppia di valori H' Q( VOITH).

Impianti motori idraulici

493

X.5. Impianti di accumulazione o di pompaggio È noto che le grandi centrali termiche, convenzionali e nucleari, devono funzionare a potenza costante evitando sensibil i riduzioni del carico che compor­ tano diminuzioni del rendimento ed eliminando, soprattutto, fermate e rimesse in servizio a breve intervallo che risultano troppo onerose. D 'altra parte la richiesta di energia elettrica nei Paesi industrializzati è molto variabile con massimi nelle ore lavorative dei giorni feriali e minimi in quelle notturne e dei giorni festivi dovuti essenzialmente al fatto che in tali ore alcuni grossi consumatori di energia elettrica, quali le industrie, sono fermi e pertanto si impone una riduzione del carico nelle centrali di base. Per evitare che queste ultime funzionino con valori modesti del rendimento, si lasciano perciò funzionare a carico nominale ( di progetto ) con la conseguenza che si rende disponibile i n rete un'eccedenza di energia elettrica, che però non può essere utilizzata né conservata come tale. Si è pensato allora di immagazzinarla sotto forma di energia potenziale gravitazionale di masse d'acqua che vengono sollevate nelle così dette ore vuote da un serbatoio inferiore ad un serbatoio superiore, con dislivelli da 200 m a 1 .000 m, mediante motori e lettrici alimentati dall'energia elettrica di supero. L'energia gravitazionale dell'acqua viene poi riconvertita in energia elettrica PERDITE TO T. .

PERDITE TOT.

NELL ' ESERCIZIO TURBINE 8, 82 %

NEL L ' ESERCIZIO POHPE 11,38 %

tubazione tubazione

pompa

turbina

motore

generatore

consumo proprio, cavi � altri

consumo proprio cni 1 altri

collegamMfi

trasformatore

coll�gamenti

tras formatore

t

recupero energia

100%

t

immissione energia

Fig. X . 2 1 [5] - B ilancio energetico di un impianto di accumulazione o di pompaggio.

494

Macchine

restituendo l'acqua al serbatoio inferiore attraverso una turbina che muove un generatore il quale produce quindi energia e lettrica da immettere in rete nelle ore piene o di punta. I due serbatoi, evidentemente vicini tra loro, possono essere anche molto distanti rispetto alla centrale termica che produce energia elettrica di supero, stante la relativa facilità con la quale è possibile trasmettere tale forma di energia. Gli impianti descritti prendono il nome di impianti di accumulazione o impianti di pompaggio e risultano più complessi, con perdite di trasformazione evidentemente più elevate, di un normale impianto idroelettrico ( il rendimento complessivo dell'operazione, negli impianti attuali, si aggira intorno al 70 ""'"" 80% ) . Ciò significa che durante le ore d i punta viene reso solo il 70 ""'"" 8 0 % dell'energia elettrica prodotta nelle ore v,u ote mentre il 30 ""'"" 20% si dissipa a causa di una serie di perdite che si verificano nel trasporto dell'energia elettrica dal luogo di produzione al luogo dove è ubicato l'impianto di pompaggio. Vi sono poi perdite nel motore elettrico che muove la pompa, perdite nella pompa, quindi nella condotta che porta l'acqua dal bacino inferiore a quello superiore; vi sono infine le perdite relative alla generazione di energia elettrica che si verificano nella condotta quando l 'acqua viene convogliata dal bacino superiore a quello infe­ riore, nella turbina, nell'alternatore e quindi le perdite per il trasporto ( Fig. X.21 ) . Un impianto d i pompaggio, dunque, in linea di principio, dovrebbe preve­ dere due macchine elettriche e due macchine idrauliche, vale a dire un gruppo motore-pompa durante il funzionamento in pompaggio ed un gruppo turbina800 H (m}

700

o-

600

o

400 300 200

o

O -o o o

o

o

� o

1 00

Fig. X.22 [6J monostadio.

o

o

500

o

1 9 65

o

o

o o o

Q.

o o o

oo

g

o

o

o o

o o

o o

1 9 70

o

1 975

1980

o

1 9 85

anno

Andamento, negli anni, del salto clabora bile d a u n a pompa-turbina

Impianti motori idraulici

495

generatore durante quello in generazione. La tendenza attuale è però quella di usare un'unica macchina idraulica ed un'unica macchina elettrica. Si tratta di turbine idrauliche tipo Francis che possono funzionare anche da pompe e ven­ gono perciò dette macchine reversibili. Quando funzionano da pompe, inviando acqua nel bacino superiore, sono mosse dagli alternatori che funzionano in questo caso da motori sincroni. Si sono raggiunti, con queste macchine reversibili, rendimenti superiori al 90% sia in pompaggio che in generazione funzionando

Fig. X.23 [4] - G ruppo ternario di un impianto di pompaggio (SULZER-ESCHER WYSS). m; Q = 65,5 m 3/s; P = 320 MW (in pompaggio). di accumulazione; 2. Motore/Generatore; 3. Turbina.

H' = 330 l. Pompa

496

Macchine

allo stesso numero di giri come pompa e come turbina, per cui è possibile impiegare una macchina e lettrica con un unico sistema polare. In fig. X.22 si riportano alcuni degli impianti realizzati nel mondo, negli ultimi venti anni, con macchine reversibili. Quando il dislivello tra i due bacini dell'impianto di accumulazione supera i 400 + 500 m, è più conveniente realizzare un gruppo ternario costituito da una turbina Pelton (più indicata della Francis per salti piuttosto elevati), una pompa ed una macchina elettrica (Fig. X.23 ) . Un esempio d i questo tipo è il maggior impianto d i pompaggio oggi in servizio in Italia, realizzato in provincia di Varese utilizzando il l ago Maggiore come bacino inferiore ed il lago Delio, peraltro molto vicino al lago Maggiore in rapporto all'altezza, come bacino superiore (Fig. X.24). L'impianto è costituito da 8 gruppi ternari macchina elettrica-Pe/ton-pompa ad asse verticale per una potenza com­ plessiva in fase di pompaggio di 720 MW e in fase di generazione di 1 .040 MW. Le otto pompe multistadio possono sollevare 94 m3/s di acqua vincendo il dislivello di circa 750 m esistente tra il lago Maggiore ed il serbatoio del lago Delio la cui capacità è stata portata a quasi 1 0 milioni di m3 mediante la costruzione di due sbarramenti che ne hanno innalzato il livello normale di circa 20 m. Le 8 turbine Pelton, invece, hanno una portata massima complessiva di 1 60 m3/s. Nella tabella X.2 si elencano gli impianti di accumulazione in esercizio in Italia nel 1 988 e quelli di prossima realizzazione.

Fig. X.24 Schema dell 'impianto di accumulazione del lago Delio. l . Opere di presa e galleria di derivazione; 2. Pozzo piezometrico; 3. Camera valvole; 4. Condotta forzata; 5. Motori/Generatori; 6. Turbine Pelton; 7. Pompe multistadio; 8. Canali di scarico; 9. Galleria di accesso. -

impianti motori idraulici

497

Tab. X.2 [7] - Impianti di accumulazione i n esercizio In Italia nel 1 988. Impianto

Anno

Anapo Bargi 8rasimone Campo Moro Capriati Chiotas Edolo Entracque Chiotas Entracque Rovina Fadalto Gargnano Guadalami Lago Delio Lanzada Orichella Piedilago Pracomune Presenzano Provvidenza Riva del Garda Roncovalgrande Rovina S. Fiorano S. Giacomo Vomano II S. Massenza Molveno Sellero Taloro Trona Valsoera

1 975 1 965 1 966 1 980 1 983 1 982 1 980 1971 1 964 1 960 1 97 1 1 957 1 987 1 968 1 949 1 928 1 97 1 1 979 1 973 1 952 1 974 1 972 1 964

1 970

P turb.

P pom.

IMWI

[MWJ

Salto [m i

Unit�l

500

590

33 1 ,6

4

338 340 37 1 15 1 . 1 83 1 .02 1

300

382 378 1 75 654,4 1 .048 1 .265.6

2 2 l 8 8

1 .048 598 1 1 4,5 439 1 79 740 997,6 48 1 ,7 866,6 376,4 495,5

3 3 4 8 5 3 8 l 4

1 . 183 1 34 240 140 82 1 .040 203 1 50 1 .000 42 1 .000 1 56 80 1 .044 1 33 584 338 370 3 265 l

34

28 Ili 1 . 1 20 1 .263 1 25 1 52 1 35 56 55 54 1 .000 36 1.016 1 60 29 720 228 60 53 3.5 263 1 .7 33

279,4 584 746,5 598 1 .4 1 8,2 656,7 574 1 6,3

3 1 2,5 294,5 557,2

8 l

5 4 9 l

5 2 8 8 3 l

l

Tipo unità Turb. re v. Fr + Po

Ciclo pompnggio giornaliero

"

stagionale

Pe + Po

giornaliero

Turb.

giornaliero

"

rev. Fr + Po

" "

Pe + Po Fr + Po Fr + Po Turb.

" " " " "

stagi �nale

giornaliero stagionale giornaliero

rev.

Fr + Po

Pe + Po

"

Pe + Po Pe + Po Turb.

"

re v. Fr + Po

"

giorn lliero ,: stagi�nale

giornaliero

giornaliero

" "

stagionale

Turb. rev. (Turbina reversibile); Fr ( Francis); Po (Pompa); Pe ( Pelton).

Bibliografia L. o ' A M E LIO, Corso di Macchine, Vol. I I , Treves, Napoli 1 960. A . MoNDINI, Storia della Tecnica, UTET, Torino 1 980. O. VoccA, Macchine Idrauliche, P ubblicazioni Scientifiche di Ingegneria, G en ova 1 963. [4] H. K. HòLLER - H . G REIN, Utilization of water power by means of hydraulic machines, S ulzer-Escher Wyss, Zurigo 1 984. [5] DuBBEL, Manuale di Ingegneria Meccanica, Edizioni di Scienza e Tec­ nica, Milano 1 985. [6] TosHIBA, Development of high head pump-turbines, Toshiba Corporation. [7] WATER PowER & DAM CoNSTRUCTION HANDBOOK, 1 988. O . AcTON, Turbomacchine, UTET, Torino 1 986. M . CoEN, Macchine Idrauliche, Signorelli Editore, Milano 1 95 2 . [1] [2] [3]

PARTE m MACCHINE A FLUIDO OPERATRI CI ED IMPIANTI OPERATORI

Introduzione

Nel Cap. I sono state definite operatrici quelle macchine che prelevano lavoro meccanico dall'esterno per trasferirlo al fluido sul quale operano. Tale lavoro si ritrova in seno al fluido essenzialmente sotto forma di energia di pressione e, in una certa misura, anche di energia cinetica. Si parla di compressori quando il fluido elaborato è un aeriforme come un gas oppure un vapore; si parla di pompe quando il fluido trattato ha comporta­ mento incomprimibile, il che si verifica per i liquidi. Si ricorda infine che i compressori rientrano nel novero delle macchine termiche sia perché in seguito alla compressione il fluido trattato è interessato da apprezzabili incrementi di temperatura sia perché eventuali trasferimenti di ca­ lore durante la trasformazione comportano rilevanti variazioni del lavoro neces­ sario alla compressione stessa. Per quanto riguarda le modalità di trasferimento di energia al fluido, le macchine operatrici, sia compressori che pompe, sono tutte riconducibili, come già detto al Cap. I, alle due grandi famiglie delle macchine operatrici volumetriche e delle macchine operatrici dinamiche. Giova infine ricordare che le macchine operatrici, sia volumetriche che dina­ miche, sono da considerare sistemi aperti e pertanto il lavoro L prelevato dall'e­ sterno e trasferito a ciascun chilogrammo di fluido è valutabile, nel caso di una qualunque trasformazione reversibile, mediante la (3-59) che qui si riscrive:

L

=

-

r7,V ·dp p,

(3-59)

[J/kg]

avendo indicato con p, e p2 rispettivamente la pressione del fluido in ingresso ed in uscita dalla macchina. Se la trasformazione, oltre che reversibile, è anche adiabatica ( quindi isoen­ tropica), il lavoro può essere valutato anche mediante l'incremento di entalpia l'ih;,. = (h 1 h2);5 subito dal fluido tra ingresso ed uscita della macchina: -

L

r7,v ·dp p,

=

l'ih ;s

[J/kg]

502

Macchine

Nel caso invece di trasformazione adiabatica reale il lavoro reale L, prelevato dall'esterno potrà essere valutato unicamente attraverso la variazione reale di entalpia !J.h, tra ingresso ed uscita della macchina non avendo più significato, ai fini del lavoro effettivamente assorbito dall'esterno, il termine:

In tal caso sarà dunque:

r?,v ·dp p,

L , = tJ. h , [J/kg] mentre il rapporto tra il lavoro reversibile ed il lavoro reale esprimerà il rendi­ mento della macchina operatrice 1h: L L

1

tJ. h is � � = 1lop u

11

Per quanto riguarda infine il valore della potenza P[W] effettivamente assor­ bita dall'esterno da una macchina operatrice che realizza una compressione adiabatica reale, questo viene calcolato attraverso il prodotto della portata mas­ sica 1h[kg/s] del fluido elaborato per il lavoro reale L,.[J/kg]' prelevato dall'esterno e trasferito a ciascun chilogrammo di fluido: P = rh L , = rh !J. h , [W] Se è noto il lavoro reversibile L < L, per valutare la potenza P bisognerà considerare il rendimento della macchina operatrice 11"" e si avrà:

Esprimendo la portata massica rh come prodotto della portata volumetrica Q [m3/s] di fluido in ingresso alla macchina per la densità Q [kg/m3] del fluido in ingresso alla stessa, le espressioni della potenza precedentemente scritte assu­ mono la forma:

1

Utilizzando il sistema tecnico la potenza P è fornita dal prodotto della portata ponderale G(kp/s] del fluido elaborato per il lavoro [kpm/kp] trasferito a ciascun kp del fluido e viene espressa in kpm/s. Dividendo per 75 (kpm/s CV] si ottiene infine il valore della potenza espresso in CV.

Introduzione P = Q p

Q

.

Q

·

.

Q

L/

·

L = Q

1lop = Q

Q

·

1

.

Q

·

.

f.. h

1

f.. h / is

[W] 1lop

[W]

503

Capitolo undicesimo Compressori

XI. l . Classificazione e generalità Lo studio dei compressori verrà condotto analizzando in un primo momento i compressori volumetrici e successivamente quelli dinamici. Alla prima categoria appartengono quelle macchine operatrici nelle quali l 'aumento di pressione del fluido è ottenuto per progressiva e ciclica riduzione del volume in cui viene racchiuso l'aeriforme. Questa variazione ciclica di volume può avvenire sia in una apparecchiatura formata da cilindro, stantuffo, biella e manovella ( e si hanno in tal modo i compressori volumetrici alternativi o sempli­ cemente compressori alternativi) sia in opportuni capsulismi di tipo rotativo (compressori volumetrici rotativi o semplicemente compressori rotativi). In queste macchine il flusso del fluido è ovviamente discontinuo nel tempo. Appartengono alla categoria dei compressori dinamici quelle macchine ope­ ratrici a fluido nelle quali una serie di pale ruotanti ad alta velocità imprimono al fluido un aumento di pressione e di energia cinetica; quest'ultima viene poi in buona parte trasformata, nei condotti fissi della macchina, in energia di pressione. Nei compressori dinamici il flusso del fluido è continuo e può avvenire, com'è noto, con moto prevalentemente radiale rispetto all'asse della macchina (com­ pressori centrifughi) ovvero con moto prevalentemente parallelo all'asse della macchina (compressori assiali).

XI.2. Compressori volumetrici alternativi I compressori alternativi ( Fig. X l . l ) trovano larga diffusione tra i compressori volumetrici e funzionano, a seconda dei casi, con semplice o doppio effetto, utilizzando cioè o la sola camera superiore del cilindro, ovvero, con fasi alternate, entrambe le camere superiore ed inferiore. I primi compressori di questa categoria furono usati sin dalla metà del secolo scorso essenzialmente per la compressione dell'aria necessaria a molte pratiche applicazioni: perforazioni di gallerie, freni pneumatici per uso ferroviario, mac-

506

Macchine

Fig. XI. l [ 1 ] - Compressore alternativo a stantuffo monocilindrico refrigerato ad aria. l . Valvola di aspirazione; 2. Valvola di mandata; 3. Testata; 4. Stantuffo; 5. Biella; 6. Cilindro alettato.

chine per miniere. Successivamente l'aria compressa fu utilizzata per il trasporto a brevi distanze di grandi quantità di materiali sciolti ( ad es. grano e cereali ) e nei processi di metallizzazione a spruzzo per costituire sulla superficie dei pezzi lavorati un rivestimento protettivo di un adatto metallo. Attualmente i compres­ sori alternativi trovano impiego, oltre che per il servizio dell'aria compressa, in molti processi industriali per mezzo dei quali, portando idonee sostanze ad elevate pressioni, si ottengono prodotti di sintesi quali l'ammoniaca, l'urea, il metanolo, il polietilene, quest'ultimo utilizzato nella fabbricazione della plastica e per il quale sono richieste pressioni di poco inferiori a 4.000 bar che allo stato attuale della tecnica solo il compressore alternativo è in grado di fornire. Tali macchine sono infine largamente utilizzate negli impianti di imbottigliamento gas in bombole, negli impianti frigoriferi e pompe di calore nonché nelle stazioni lungo i gasdotti per la compressione di numerosi gas quali ossigeno, azoto, ammoniaca, etilene, idrocarburi diversi e gas naturale. Le portate volumetriche che tali compressori sono in grado di fornire risul­ tano invece piuttosto contenute. La portata volumetrica infatti dipende sia dalle dimensioni del cilindro ( cilindrata ) , che ciclicamente si riempie e si svuota di gas, sia dal numero di riempimenti e svuotamenti del cilindro stesso nell'unità di tempo ( velocità di rotazione ) . I valori di tali due grandezze sono entrambi limitati superiormente in quanto un aumento della cilindrata comporta una crescita delle dimensioni dello stantuffo, con conseguente incremento delle masse dotate di moto alterno e quindi delle forze di inerzia; per contenere allora le sollecitazioni meccaniche entro i limiti ammissibili bisogna ridurre la velocità di rotazione il che

Compressori

507

p

�v�3�------�v_______; l

v

Fig. XI.2 - Diagramma di riferimento nel piano p V di un compressore alternativo senza spazio morto. l . Valvola di aspira­ zione; 2. Valvola di mandata.

v

l

Fig. XI.3 - D iagramma di riferimento nel piano p V di un compressore alternativo con spazio morto. l. Valvola di aspira­ zione; 2. Valvola di mandata.

comporta evidenti limitazioni nella portata volumetrica. Viceversa, valori elevati della velocità di rotazione si possono realizzare solo con macchine di cilindrata modesta con analoghe limitazioni sul valore della portata. Un compressore alternativo può essere schematizzato mediante un sistema stantuffo-cilindro (Fig. XI.2) dotato di due valvole automatiche, una di aspira­ zione l e l'altra di mandata 2. Lo stantuffo è collegato ad un albero a gomiti tramite un sistema biella­ manovella. L'introduzione del fluido avviene durante il movimento dello stan­ tuffo dal punto morto superiore al punto morto inferiore, attraverso l a valvola di aspirazione l. Quando il pistone raggiunge il punto morto inferiore si chiude la valvola di aspirazione e nello spostamento del pistone verso il punto morto superiore il fluido immesso viene così compresso. Raggiunto il valore della pres­ sione esistente nel ricevitore a valle, la valvola di mandata 2 si apre ed il fluido viene inviato all'utilizzazione. In un funzionamento ideale, facendo inoltre la semplificazione che nel punto morto superiore la testa dello stantuffo aderisca al cielo del cilindro (volume del cilindro nullo nel punto morto superiore ) , si perviene al diagramma di fig. XI.2 nel quale l 'area

A l2 B

= -

r?, V ·dp p,

rappresenta appunto, per l a già ricordata (3-59), il lavoro di compressione.

508

Macchine

Questa semplificazione in pratica non è mai realizzabile in quanto, per motivi costruttivi e per la presenza delle valvole e dei relativi alloggiamenti, il volume del cilindro quando lo stantuffo è al punto morto superiore è comunque maggiore di zero; tale volume viene detto spazio morto o anche, per motivi che si chiari­ ranno in seguito, spazio nocivo. Senza questa semplificazione il diagramma di riferimento è quello di fig. XI.3, nel quale V3 è il volume dello spazio morto e la curva 3-4 è rappresentativa dell'espansione del gas, presente nel cilindro alla pressione superiore p2 p3, che avviene dopo la chiusura della valvola di mandata nella fase iniziale della corsa di ritorno dello stantuffo. Tale gas occupa, alla pressione inferiore p1 p4, il volume V4• Nella successiva fase di aspirazione, essendo il cilindro già parzialmente occupato da tale volume di gas, potrà essere aspirato solamente un volume di gas pari a V1-V4• Questo effetto negativo spiega la precedente denominazione di spazio nocivo; inoltre, è possibile definire anche un rendimento volumetrico del compressore come rapporto: =

=

( 1 1-1) Tale rapporto risulta funzione, per ciascun compressore, oltre che del volume dello spazio nocivo V3, anche del rapporto di compressione � p)p1 • Indicando infatti con V la differenza ( V1 - V3 ) la ( 1 1 - 1 ) fornisce: =

À

=

v +

V3 - V4 v

-=-::-

-

(11-2)

-

-

L'equazione della politropica reversibile (3-24) applicata alla trasformazione 3-4 fornisce:

� 1/11

( 1 1 -3)

che sostituita nella ( 1 1 -2) dà: À

=

l

-

v (� l/li v

_2

-

l)

( 1 1 -4)

dalla quale si deduce che, per un assegnato valore della cilindrata V, À diminuisce all'aumentare dello spazio nocivo V3 e del rapporto di compressione � - Ciò è dovuto alla circostanza che, come appare dalla fig. XI.4, il volume v. occupato al termine della fase di espansione dal gas racchiuso nello spazio nocivo cresce, a parità di spazio nocivo, al crescere della pressione superiore. All'aumentare della

509

Compressori

p

p

4

4'

v

Fig. X l .4 - Diagramma di riferime nto nel piano p V di un compressore alternativo per valori diversi del rapporto di compressione.

Fig. X l .5 - D iagramma indicato di un com pressore alternativo.

pressione da p 2 a p2• , il gas al termine della fase di mandata si trova infatti nelle condizioni 3' ed espandendosi occupa il volume V4• > V4• Immaginando di aumen­ tare ancora il rapporto di compressione, si può raggiungere un valore di pressione Pr > p 2• in corrispondenza del quale tutto il fluido compresso risulta immagazzi­ nato nel volume dello spazio nocivo. In tal caso il volume di gas aspirato dal compressore risulterebbe nullo e la macchina continuerebbe nelle successive fasi a comprimere ed espandere sempre la stessa massa di gas. Il rapporto p2 lp, rappresenta il massimo rapporto teorico di compressione realizzabile con un dato compressore di assegnato spazio morto ed il suo valore può essere calcolato immediatamente mediante la ( 11 -4) ponendo À = O. In tale caso la ( 11 -4) fornisce: ••

B =

(vv3 ) + I

"

( 11 -5)

Da tale circostanza segue che per valori del rapporto di compressione p 2/p, di circa 7 + 1 0 si effettua la compressione in due fasi nel senso che il fluido compresso ad una pressione minore di quella di mandata viene scaricato dal primo cilindro ed inviato in un secondo cilindro nel quale raggiunge la pressione di mandata. Si noti che un rendimento volumetrico minore di l non comporta un maggior lavoro specifico di compressione in quanto parte del lavoro speso nella fase 1-2 viene restituita nella fase 3-4 (Fig. X1.3). Chiarito dunque che un compressore alternativo deve necessariamente essere provvisto dello spazio morto (anche se nocivo) , bisogna aggiungere che il dia-

510

Macchine

gramma reale di funzionamento si discosta da quello di riferimento essenzialmente per il fatto che la valvola automatica di aspirazione si apre quando nel cilindro si realizza una pressione minore di quella alla quale si trova il gas da introdurre, mentre quella di mandata si apre quando la pressione nel cilindro supera quella dell 'ambiente nel quale il gas compresso deve essere immesso. Tenendo conto poi della resistenza offerta al passaggio del fluido dalle valvole, dalle tubazioni e dai filtri di aspirazione si perviene al diagramma reale di funzionamento riportato in fig. XI.S che, essendo rilevato da un indicatore (come nei motori alternativi a combustione interna), viene chiamato diagramma indicato. Il suo rilevamento consente di valutare la pressione media indicata pmi e quindi la potenza indicata P,, necessaria per la compressione, mediante l'espres­ sione:

Dz

P l. = -4 n

C · pmi

n

60

- [kW] l

1 .000

( 1 1 -6)

dove D ( alesaggio) e C (corsa) sono espressi 111 m, pnu 111 N/m\ n in giri/min. La ( 1 1 -6), come si vede, è analoga alla (8-2 1 ) ricavata per i motori alternativi a e.i. Trattandosi di macchina operatrice, la potenza effettiva richiesta P, sarà maggiore di quella indicata P, per l'esistenza delle perdite di sola natura mecca­ nica. Definendo rendimento meccanico 11, il rapporto tra la potenza indicata P, e la potenza effettiva P,: ( 1 1 -7)

11111

si ha infine:

Osservando la (3-59) si nota come il l avoro di compressione L , per un assegnato incremento di pressione b.p p 2 - p 1 , può ridursi se la trasforma­ zione di compressione che porta il fluido dalle condizioni l fino alla pressione fh corre spostata a sinistra ( 1 -2' di fig. XI.6) rispetto alla trasformazione adiabatica reversibile 1-2 (Fig. XI.6). I n tal caso infatti: =

Compressori

511

p

p

P·,

v

Fig. Xl.6 Rappresentazione nel piano p V di una compressione isoterma 1-2' e di una compressione adiabatica 1 -2. -

v

Fig. X l .7 Rappresentazione nel piano pV di una compressione adiabatica in due fasi con interrefrigerazione. -

risulta pari all'area A12' B < A12B della quantità 122'. È evidente che per realizzare una trasformazione che comporti, a parità di incremento di pressione, una riduzione del volume specifico più cospicua di quella ottenuta con l'adiaba­ tica, è necessario sottrarre calore al fluido durante la compressione. Nasce da qui l'opportunità di effettuare, durante la compressione, una refrigerazione del fluido la quale, oltre la riduzione del lavoro di compressione, comporta anche la ridu­ zione della temperatura del fluido e degli organi della macchina. Il massimo risparmio di lavoro rispetto all'adiabatica si ha quando il fluido non incrementa assolutamente la sua temperatura, cioè quando la compressione risulta isoterma mediante una asportazione continua di calore dalla macchina attraverso un opportuno sistema di raffreddamento. In pratica il raffreddamento del cilindro o dello stantuffo mediante circolazione di fluido (aria o acqua) non riesce a rendere completamente isoterma la trasformazione di compressione e pertanto, soprattutto per elevati rapporti di compressione (� > 6 + 7), si ricorre a più cilindri in serie con raffreddamenti intermedi: si realizza, ad esempio, una prima compressione praticamente adiabatica dal valore della pressione iniziale p, ad un valore intermedio p1 (Fig. XI.7), quindi si riporta il fluido compresso, mediante uno scambiatore di calore, alla temperatura iniziale, indi si effettua una successiva compressione anch'essa praticamente adiabatica fino alla pressione finale. Tale soluzione è rappresentata nel diagramma di fig. XI.7 e nella fig. XI.S nel caso di compressione in due fasi. In fig. XI.7 le curve 1-4' ed 1 -2' rappresen­ tano rispettivamente una compressione adiabatica reversibile ed una isoterma fra le pressioni estreme p , e p4, mentre la 1-2-3-4 indica la trasformazione seguita mediante due compressioni adiabatiche reversibili 1-2 e 3-4 fra le quali si effettua

512

Macchine

il raffreddamento 2-3 che riporta il gas, alla pressione intermedia idealmente costante p;, dalla temperatura T2 alla temperatura T3 T, . Si può dimostrare che la pressione intermedia p;, per la quale è minimo i l lavoro complessivo, risulta: =

P; = �

( 11 -8)

Per rapporti di compressione maggiori di 30 si adotta usualmente una com­ pressione in tre fasi. Nella Tav. XIX si riporta lo spaccato di un compressore alternativo DEMAG.

Fig. XI.8 (2] Compressore cl " a r i a a l t e rn a t i v o con due c ili n dri a L con refrigerazione i n termedia della INGERSOL L-RA ND. Q = 32 m3/min; P = 200kW; pjp1 = IO. I. Cilindro verticale; 2. Valvola di aspirazione; 3. Valvola di mandata; 4. Refrigeratore intermedio; 5. Cilindro orizzontale; 6. Valvola di aspirazione; 7. Valvola di mandata. -

Compressori

Xl.3. Compressori volumetrici rotativi

513

Generalità

La inequivocabile tendenza, comune a tutti i campi di impiego, di passare dalle macchine lente e pesanti a nuovi modelli ad alta velocità, di minor peso con conseguente economia di materiali, ha dato luogo durante gli ultimi decenni ad un rapido sviluppo dei compressori rotativi. La grande sicurezza di funzionamento, unitamente alle ridotte esigenze di manutenzione ottenute mediante la semplicità costruttiva di tale tipo di mac­ china, ha permesso di allargare grandemente e rapidamente il suo campo di impiego. Il compressore rotativo, nella sua qualità di macchina ad alta velocità, pre­ vista per accoppiamento diretto, esente da vibrazioni, con portate all'aspirazione da 200 m'lh a 30.000 m3/h, copre un campo di applicazioni che va da quello dei compressori alternativi di piccola portata da una parte, a quello dei turbocom­ pressori dall'altra, per valori della pressione alla mandata fino a 25 bar. I principali vantaggi di questo tipo di compressore sono: - accoppiamento diretto; data l 'alta velocità di rotazione è possibile l'accop­ piamento diretto alle macchine azionatrici - motori elettrici ed a combustione interna o turbine a gas nel caso di grossi compressori - attenendosi così che il comando sia effettuato nella maniera più semplice, sicura ed economica; - ridotte esigenze di spazio; l 'alta velocità di rotazione, l 'erogazione regolare e senza vibrazioni del gas trattato e l'economia di spazio conseguita mediante l'accoppiamento diretto permettono forti carichi rispetto alla superficie occupata; - ridotto costo delle fondazioni; per effetto della sua marcia regolare e senza scosse, il compressore rotativo abbisogna di fondazioni limitate; - ridotto peso; nei grossi impianti di compressori rotativi, il rapporto tra massa della macchina e portata massica in aspirazione risulta sempre più favore­ vole rispetto ad un compressore alternativo a stantuffi delle stesse caratteristiche di esercizio. Questo vantaggio è particolarmente importante nei gruppi compres­ sori mobili; - funzionamento esente da vibrazioni; poiché tutte le parti mobili sono soggette solo ad un regolare moto di rotazione, in nessun punto si hanno vibra­ zioni di una qualche entità che possano essere trasmesse all'esterno; - nessuna avaria alle .valvole; per effetto del particolare sistema di compres­ sione, il compressore rotativo non necessita di valvole e viene così eliminata una fonte di guasti e di inconvenienti notevoli; - ridotto rumore di esercizio; nel compressore rotativo sia l'aspirazione che la compressione hanno luogo nella stessa maniera; è quindi eliminato il rumore di aspirazione e di espulsione tipico dei compressori alternativi a stantuffo, avendosi invece un suono uniforme e smorzato; - ridotta manutenzione; i compressori rotativi sono provvisti di lubrifica­ zione centralizzata regolabile, con controllo visibile per ogni punto di lubrifica-

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Macchine

a)

b)

c)

Fig. X l . l) [3 J Principio d i funzionamento di un compressore rotativo a vite. a) Aspirazione; b) Compressione; c) Scarico. -

zione. La manutenzione giornaliera, quindi, si riduce al riempimento del serba­ toio dell'olio, al controllo dell'afflusso dell ' acqua di raffreddamento ed allo scarico della condensa. Uno svantaggio del compressore rotativo consiste nel fatto che esso non può elaborare fluidi chimicamente aggressivi che, corrodendo le parti mobili, ne altererebbero i l profilo. Tra i compressori rotativi i più diffusi sono quelli a vite, a palette radiali ed a lobi dei quali, nei paragrafi che seguono, si illustreranno i l principio di funziona­ mento e le caratteristiche principali. XI . 3 . 1 . Compressori a vite

Il compressore a vite, del quale in fig. XI.9 si riporta il principio di funziona­ mento, è costituito essenzialmente da due rotori dei quali uno è provvisto di lobi (quattro nella fig. XI.9) e l'altro di canali (sei, ancora in fig. XI.9) che ruota no senza toccarsi quando sono mossi separatamente, mediante ingranaggi sincroniz­ zatori, dal motore che li aziona. I rotori ruotano internamente alla cassa del compressore senza ovviamente venire in contatto con questa. La compressione del gas si realizza mediante la progressiva riduzione del volume delle camere elicoidali situate tra i due rotori e tra i rotori e le pareti interne della cassa. Quando i rotori ruotano, il gas affluisce attraverso la luce di aspirazione e riempie gli spazi adiacenti tra i lobi ed i canali. Questi spazi aumentano in lunghezza durante la rotazione mentre il punto di inserimento tra i lobi procede verso l a luce di scarico. Quando lo spazio interlobare si è riempito di gas aspirato per tutta la lunghezza del rotore, l a luce di aspirazione si chiude e termina l a fase di immissione con una quantità definita di gas intrappolato nella macchina che viene compresso in quanto, proseguendo la rotazione, decresce lo

Compressori

515

spazio tra i lobi. Ad una pos!Zlone definita dei rotori infine, i l gas compresso intrappolato raggiunge la luce di scarico ed inizia la fase di mandata che continua fino a che lo spazio tra i lobi sia interamente svuotato. In alcune realizzazioni, allo scopo di evitare i costosi meccanismi sincronizza­ tori, si aziona un solo rotore (rotore principale) che trascina il secondo rotore senza contatto metallico ma attraverso un cuscino di lubrificante esistente tra le viti ottenuto grazie ad una continua iniezione di olio. Nello stesso tempo l 'olio serve per il raffreddamento del gas compresso e per la lubrificazione dei cusci­ netti, preservando la macchina da un eventuale sovraccarico termico. Tale funzio­ namento rende necessaria la presenza di un separatore dell'olio, di un impianto esterno per il raffreddamento dell'olio, nonché di un complesso di accessori atto a rendere sicuro l'esercizio dell'impianto (Fig. Xl. l O) . I compressori a vite sono attualmente molto usati sia negli impianti di compressione dell'aria sia nelle industrie metallurgiche e petrolchimiche grazie alla loro capacità di e laborare praticamente qualsiasi tipo di gas quali, ad esem­ pio, ammoniaca, argon, etilene, acetilene, gas naturale, elio, metano, propano, propilene, azoto ed altri. Anche negli impianti frigoriferi e nelle pompe di calore di potenza frigorifera dai 500 kW ai 5.000 kW i compressori a vite vengono

l

3

Fig. XI. lO (3] - Compressore rotativo a vite con separatore orizzontale. l. Compressore a vile; 2. Motore elettrico di azionamento; 3. Separatore-serbatoio olio; 4. Filtro sull'aspirazione; 5. Circuito di lubrificazione; 6. Quadro di controllo e comando; 7. Quadro elettrico.

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Macchine

sempre più spesso preferiti ai compressori alternativi per il minor peso, m­ gombro, costo nonché per la maggiore affidabilità. Per tali caratteristiche i compressori a vite trovano larga applicazione anche negli impianti di condizionamento su navi e su piattaforme offshore nonché negli impianti frigoriferi che equipaggiano particolari tipi di navi quali le metaniere, le gasiere, le bananiere, le portacontainers refrigerati, i pescherecci. Le portate elaborate arrivano a 60.000 m3/h e le pressioni di mandata fino a 25 bar, sempre che l a pressione in aspirazione sia superiore ad l bar, o fino a 40 bar nel caso di realizzazioni a due stadi con interrefrigerazione. I rapporti di compressione sono dunque minori di 25 in quanto elevati valori della differenza di pressione tra mandata ed aspirazione possono comportare la flessione dei rotori.

2

Fig. XI. l l [1] - Compressore rotativo a palette refrigerato ad acqua. l. Valvola di ritenuta sulla mandata; 2. Mandata; 3. Camicia per l'acqua di refrigerazione; 4. Carcassa o statore; 5. Paletta; 6. Rotore; 7. Aspirazione.

Compressori

517

La velocità di rotazione, a seconda delle dimensioni della macchina, è com­ presa tra 2.000 giri/min e 20.000 giri/min.

XI.3.2. Compressori a palette I compressori rotativi a palette sono costituiti da una carcassa (Fig. XI. ll ) che reca internamente una camera cilindrica, chiusa d a due fondi piani, entro l a quale è disposto i l rotore (formato dal tamburo, dalle palette e dal relativo albero) montato eccentricamente su due supporti esterni alla carcassa; le palette sono alloggiate entro sedi longitudinali praticate nel tamburo. Durante il funzio­ namento, per effetto della forza centrifuga, le palette sono spinte contro la superficie del cilindro, delimitando così un certo numero di vani (tanti quanti sono le palette) , il cui volume, a causa dell'eccentricità del! 'asse del rotore rispetto a quello della camera, varia da un massimo ad un minimo e da un minino ad un massimo durante ogni giro. È chiaro così che se i vani in fase di aumento di volume sono posti in comunicazione con l 'esterno, essi aspirano il gas nel loro interno e lo comprimono, poi, durante la successiva fase di riduzione del volume, scaricandolo infine nel circuito di utilizzazione attraverso una luce opportuna­ mente disposta. Il sistema di raffreddamento può essere ad acqua o ad aria. Nelle macchine con raffreddamento ad acqua (Fig. XI.l l ) il liquido refrigerante affluisce al

Fig. XI.12 [4] - Compressore rotativo bistadio a palette con refrigerazione i ntermedia. l. Rotore primo stadio; 2. Carcassa; 3. Rotore secondo stadio; 4. Refrigeratore intermedio.

518

Macchine

Fig. X I . 1 3 [ 1 ] Compressore rotativo Roots a lobi refrigerato ad aria. l . Luce di aspirazione; 2. Rotore; 3. Ingranaggi di accoppiamento esterni; mandata; 5. Carcassa alettata; V0• Cilindrata. -

4.

Luce di

compressore dal basso, attraverso una valvola ad esso incorporata, e viene distri­ buito uniformemente attraverso un sistema di tubazioni interne. Lo spazio di lavoro, le bocche di entrata e di mandata, come pure i coperchi del corpo, vengono lambiti dall'acqua di raffreddamento, così da ottenere in ogni parte una refrigerazione regolare. Le camere di raffreddamento possono essere disposte in modo tale che sia possibile effettuarne la pulizia senza dover ricorrere allo smontaggio. I compressori con raffreddamento ad aria sono provvisti di ventilatori assiali il cui flusso d'aria refrigerante è suddiviso in modo che sia possibile mantenere tutte le parti del compressore a bassa temperatura. I compressori a palette possono essere realizzati anche in due stadi (Fig. X 1 . 1 2) ; in tal caso vengono dotati di un refrigeratore intermedio che, nei tipi con raffreddamento ad acqua, è costituito da tubi diritti, in genere di ottone, raccolti in fasci espansibili. Nei modelli più piccoli, per economia di spazio, il refrigera­ tore intermedio viene disposto sopra il compressore stesso (Fig. XI.12); nei modelli più grandi esso si trova normalmente accanto al blocco di fondazione, in modo da realizzare le tubazioni di collegamento quanto più corte possibili. Sono previste soluzioni con il refrigeratore disposto verticalmente sopra il pavimento oppure incassato al disotto. I compressori a palette forniscono rapporti di compressione p/p1 fino a 2,5 in costruzione monostadio e fino a 6 in costruzione bistadio mentre le portate elaborate arrivano fino a 30.000 m3/h in costruzione bistadio con raffreddamento ad acqua.

Compressori

5 19

XI.3.3. Compressori a lobi Nei compressori a lobi le camere rotanti sono delimitate dalla superficie dello statore e da quella dei due rotori controrotanti aventi profili tra di loro coniugati. Un esempio è il compressore Roots (Fig. Xl. 1 3 ) in cui i due rotori, in genere con due lobi ciascuno, hanno generatrici rettilinee e nel quale la camera a volume variabile è delimitata dalla carcassa e dai lobi. I compressori volumetrici di tipo Roots, costruiti fin dal 1 864, sono larga­ mente impiegati in campo industriale, particolarmente come trasferitori di grandi volumi di gas nel trasporto pneumatico, ed in qualche caso nella trazione terre­ stre come sovralimentatori di motori alternativi a combustione interna (Figg. XI.14 e VIII.5 1 ) .

Fig. X I . 1 4 [5] - Compressore rotativo a lobi refrigerato a d aria utilizzato p e r la sovra­ limentazione dei motori alternativi a e.i. I loro pregi essenziali sono la semplicità costruttiva, il basso costo e l'assenza di lubrificante a contatto con il gas compresso. Quest'ultimo aspetto comporta però la presenza di giochi attraverso i quali si ha un sensibile riflusso di gas

520

Macchine 6

a)

b)

Fig. XI. 1 5 [6] Compressori rotativi utilizzati per la sovralimentazione dei motori alternativi a e.i. a) Compressore a spirale. l . Ingresso aria nella prima camera di lavoro; 2. Involucro interno; 3. Trasferitore a spirale; 4. A lbero di comando; 5. Ingresso aria nella seconda camera di lavoro; 6. A zionator't del trasferitore. b) Compressore a pistone rotante.'' l. Carcassa; 2. Rotore esterno; 3. Rotore interno; 4. Uscita; 5. Terza camera; 6. Prima camera; 7. Seconda camera. -

compresso dalla mandata all'aspirazione. Tale fenomeno, in uno alla disconti­ nuità della compressione, ne abbassa il rendimento rispetto ai compressori a compressione graduale e limita il rapporto di compressione a valori non elevati, di nonna inferiori a 2. Le portate elaborate possono invece essere notevoli grazie alle elevate velocità di rotazione che tale macchina può raggiungere. In fig. XI.15 si riportano infine le sezioni di alcuni compressori rotativi che trovano impiego essenzialmente nella sovralimentazione a comando meccanico dei motori alternativi a combustione interna.

XI.4. Compressori centrifughi - D escrizione del funzionamento e campi di applicazione Un compressore centrifugo, che - come già detto - appartiene alla cate­ goria dei compressori dinamici, è caratterizzato dal fatto che il flusso del fluido nella palettatura mobile è prevalentemente radiale. Una tale macchina è general­ mente costituita (Fig. X1.16) da una cassa esterna nella quale ruota una girante 6 calettata su di un albero, che prende il moto dall'esterno, a sua volta poggiato, tramite i cuscini portanti, sulla cassa. Il fluido aspirato dall'esterno, dopo aver attraversato il condotto di ingresso, giunge alla girante 6 la quale provvede ad effettuare un trasferimento di energia meccanica per effetto del quale il fluido stesso subisce un aumento di pressione e di energia cinetica. Abbandonata la girante, il fluido attraversa quindi il diffusore 3, che può essere del tipo palettato, nel quale si realizza un ulteriore incremento

Compressori

521

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Fig. XI. l 6 [l] - Elementi principali che costituiscono un compressore centrifugo. l. Pale del diffusore; 2. Pale della girante; 3. Diffusore; 4. Chiocciola di raccolta; 5. Pregirante; 6. Girante.

di pressione per effetto della trasformazione di una parte dell'energia cinetica, acquisita nella girante, in energia di pressione. Nel caso di compressore costituito da più giranti disposte in serie, il fluido, all'uscita del diffusore, viene convogliato attraverso appositi canali di ritorno (Fig. XI. 1 7) all'ingresso della seconda girante nella quale si ripete il processo descritto e così via per le giranti successive. All'uscita del diffusore posto a valle dell'ultima girante il fluido, avendo rag­ giunto il desiderato incremento di pressione, viene inviato alla voluta di scarico.

Fig. XI. 1 7 [7] - Canali di ritorno in un compressore centrifugo multistadio.

522

Macchine

Fig. X I . 1 8 - Spaccato di un compressore centrifugo a quattro stadi (NUO VO PIGNONE).

Un compressore nel quale l ' intero processo di trasferimento di energia al fluido avviene in più giranti prende il nome di macchina pluristadio o multistadio (Fig. XI.18) intendendosi per stadio l'insieme girante-diffusore e canali di ritorno. I compressori centrifughi presentano caratteristiche costruttive sensibilmente differenti a seconda dei valori della pressione di esercizio e del tipo di fluido elaborato, che hanno grande influenza sul tipo di cassa da realizzare. Si distinguono così i compressori con cassa aperta orizzontalmente (Tav. XX) la cui cassa cioè è costituita da due semicasse unite lungo la linea di mezzeria orizzontale. Essi sono impiegati per pressioni di esercizio generalmente inferiori a 70 bar e portate fino a 300.000 m3/h. Le bocche di aspirazione e di mandata, le tubazioni dell'olio lubrificante e tutti gli altri allacciamenti che il compressore ha con i l resto dell'impianto sono realizzati normalmente nella semicassa inferiore in modo che basta togliere i bulloni di collegamento lungo i l piano di mezzeria orizzontale per poter sollevare la semicassa superiore ed accedere facilmente a tutti gli organi

Compressori

523

interni della macchina. Nella Tav. XXI si riporta lo spaccato di un compressore centrifugo con cassa aperta orizzontalmente a due fasi di compressione con refrigerazione intermedia. Per valori più elevati della pressione si usano compressori la cui cassa, aperta verticalmente, è costituita da un cilindro (barre!) chiuso alle estremità da due flangioni (Fig. X1.19). Per questo motivo i compressori equipaggiati con tale tipo di cassa sono denominati barre!. Questi compressori, generalmente multistadio, sono adatti a lavorare a pres­ sioni elevate (fino a 700 bar) e vengono pertanto largamente utilizzati nelle raffinerie e negli impianti petrolchimici (ad es. sintesi ammoniaca, metanolo, urea) e nella compressione del gas naturale. Tavolta sono utilizzati anche per pressioni di lavoro relativamente modeste quando elaborano un gas particolar­ mente leggiero (ad es. idrogeno). Nella Tav. XXII si riporta lo spaccato di un compressore centrifugo del tipo descritto.

l

r

Fig. X1. 1 9 Sezione longitudinale di un compressore centrifugo barre! a sette stadi con cassa aperta verticalmente (DEMA G). -

524

Macchine

In fig. XI.20 si riporta infine la sezione di un compressore utilizzato per valori della pressione che superano i 700 bar, caratterizzato dalla cassa a forma di bicchiere con un unico flangione su di un piano verticale anziché due come nel

barre!.

Le macchine motrici che azionano i compressori centrifughi sono general­ mente turbine a gas, turbine a vapore o motori elettrici. I compressori centrifughi, monostadio e pluristadio, cominciarono ad essere impiegati in Europa agli inizi del secolo ed avevano come principale applicazione il soffiaggio di aria per altoforni e miniere con portate volumetriche molto variabili da caso a caso ma comunque con bassi rapporti di compressione. Succes­ sivamente, intorno al 1 930, furono utilizzati nelle raffinerie e nelle industrie petrolchimiche e con il loro impiego sempre crescente in tali tipi di impianti hanno subito nel tempo una necessaria e notevole evoluzione. Dalla sola aria si è passati a numerosi altri gas, quindi a miscele di gas e/o vapori, tutte con caratteri­ stiche diverse da quelle dell'aria mentre le portate ed i rapporti di compressione crescevano notevolmente per esigenze di processo. Nell'ultimo trentennio infine

Fig. Xl .20 Sezione longi tudinale di un compressore centri fugo a cinque stadi per alte pressioni ( NUO VO PIGNONE). -

Compressori

525

il campo di applicazione si è sempre più ampliato (Tab. XI. l ) fino a comprendere alcuni servizi tradizionalmente coperti da altri tipi di compressori. Tab. XI. l - Alcune applicazioni dei compressori centrifughi. TIPO DI IMPIANTO

GAS TRATTATO

Raffineria

Reforming Fluid Catalytic Cracking (FCC)

aria, gas di cracking

Produzione lubrificanti

propano

Olefine

gas naturale, etilene, propilene

Impianti petrolchimici

Ammoniaca Meta nolo Urea Etilene

gas di carica

Impianti siderurgici

Frazionamento aria

Aria

Servizio ossigeno

Compressione gas naturale

Reiniezione

gas naturale

Spinta gas in gasdotto

gas naturale

Liquefazione gas ( LNG)

gas naturale

Attualmente i compressori centrifughi trovano larga utilizzazione nelle raffi­ nerie con particolare riferimento agli impianti di reforming, cracking e produ­ zione di lubrificanti. Anche negli impianti di sintesi, che fino a circa trent'anni fa utilizzavano compressori alternativi, il compressore centrifugo trova oggi larghis­ sima applicazione a causa di due fattori concomitanti quali la tendenza ad

526

Macchine

aumentare le dimensioni degli impianti stessi ( e quindi le portate dei fluidi elaborati ) e lo sviluppo di nuovi processi le cui pressioni di sintesi sono andate gradualmente diminuendo. Un esempio indicativo è fornito dagli impianti di sintesi dell'ammoniaca le cui dimensioni sono tali da produrre comunemente tra 1 .000 e 1 . 800 tonnellate di NH3 al giorno con pressioni di sintesi che variano tra 1 80 bar e 260 bar a seconda dei processi. Anche nelle acciaierie il compressore centrifugo trova larga applicazione stante lo sviluppo raggiunto dalla produzione dell'acciaio e la persistente ten­ denza ad aumentare la potenzialità degli impianti siderurgici. Se si tiene presente che il processo di produzione dell'acciaio con il metodo LD richiede all'incirca 50 Nm3 1 di ossigeno compressi a circa 40 bar per ogni tonnellata di acciaio pro­ dotto, è facile intendere quanta importanza riveste tale macchina negli impianti citati. Un altro processo che richiede elevate quantità di ossigeno in pressione è quello di gassificazione del carbone allo scopo di ottenere combustibili più facili da bruciare e che a volte vengono utilizzati negli impianti combinati di cui si è detto al Cap. VII. Poiché l'ossigeno si ottiene dall'aria per separazione dell'azoto, è evidente che sia le acciaierie che gli impianti di gassificazione del carbone devono essere affiancati da un impianto di frazionamento aria che è costituito essenzialmente da un compressore, in genere azionato da una turbina a vapore o da un motore elettrico, che comprime l'aria ad una pressione di 7 +- 8 bar di modo che, nella successiva unità di frazionamento, sia possibile effettuare l a separa­ zione dell'ossigeno dall'azoto. I costi di tale impianto, risultando la materia prima ( aria ) a costo zero, sono imputabili essenzialmente al lavoro di compressione dell'aria e pertanto una sua riduzione, sia pur modesta, incide in maniera sensi­ bile sul costo finale di produzione dell'ossigeno. Per contenere pertanto il lavoro di compressione si utilizzano non solo macchine ad elevato rendimento ma soprattutto si effettua, durante la compressione, una interrefrigerazione molto spinta sistemando un refrigeratore a valle di ciascuno stadio del compressore, tranne l'ultimo ovviamente (Fig. XI.2 1 ) . Una macchina così realizzata prende il nome di compressore isotermo in quanto tra tutte è quella che realizza con maggiore approssimazione l a compressione isoterma che, come è noto, richiede il minimo lavoro. Si osservi (Fig. XI.2 1 ) che gli scambiatori di calore non sono esterni alla macchina, come per il compressore riportato nella Tav. XXI, ma costituiscono parte integrante della macchina stessa. Un campo infine nel quale il compressore centrifugo ha trovato diffusa applicazione è quello relativo al servizio gas naturale ( essenzialmente metano ) a pressioni medie ed alte; tali applicazioni, sorte negli anni '50, sono diventate più

1 Con il simbolo Nm3 (Norma/ metro cubo) si indica il volume di una determinata quantità di gas nelle condizioni di 0°C e 760 mm Hg ( 1 ,0 1 3 bar).

Compressori

527

Fig. XI.2 1 [8] Sezione verticale (in alto) e sezione orizzontale (in basso) di un compressore centrifugo isotermo a cinque stadi per la compressione dell 'aria. l. Cassa; 2. Tubazione ingresso aria; 3. Voluta di scarico; 4. Setti divisori; 5. Diffusore; 6. Albero; 7. Giran te; 8. Pistone equilibratore della spinta; 9. Tenute sull 'albero; 1 0. Alloggiamento cuscinetto lato scarico; l l. Alloggiamento cuscinetto lato aspirazione; 12. Cuscinetti portanti; l3. Pale direttrici del flusso in ingresso; 1 4. Meccanismo di orientamento delle pale direttrici; 15. Refrigeratore posto all'interno della macchina a valle di ciascuno dei primi tre stadi; 16. Separa/ore d 'acqua; 1 7. Flangia di accoppiamento. -

diffuse mano a mano che risultava sempre più economico il recupero del gas naturale che, sprigionandosi in genere dai pozzi petroliferi, veniva precedente­ mente bruciato a bocca di pozzo o comunque non convenientemente utilizzato. Considerando che i pozzi petroliferi si trovano spesso in zone impervie o deser­ tiche o comunque non industrializzate è evidente che si rende necessario il trasporto del gas, mediante gasdotto, fino alle regioni di utilizzazione. Per evitare sprechi di gas durante la costruzione del gasdotto e quando la richiesta da parte dell'utenza è inferiore alla disponibilità si conserva quindi il gas, iniettandolo mediante compressori centrifughi a pressioni che possono raggiungere 700 bar,

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Macchine

Fig. XI.22 [9] Compressore centrifugo a tre stadi per una stazione di compressione lungo un gasdotto. Si noti la grossa flangia di collegamento alla tubazione del gasdotto ortogonale all'asse della macchina. -

nei pozzi esauriti o in quelli in via di esaurimento favorendo, in quest'ultimo caso, la fuoriuscita delle ultime quantità di greggio. Per avere un'idea dell'importanza di tale servizio si pensi che nel solo campo petrolifero di Hassi R ' Mel (circa 600 km a sud di Algeri) si iniettano dai 3 milioni ai 4 milioni di Nm3 di gas al giorno. Anche nel campo della liquefazione del gas naturale e della successiva gassificazione il compressore centrifugo trova utilizzazione su vasta scala. I nfatti le crescenti richieste di metano per uso industriale e per riscaldamento domestico impongono l 'impiego delle ingenti disponibilità di gas anche dei giacimenti, ad es. quelli algerini o libici, il cui trasporto avviene sia in fase gassosa che in fase liquida. Tra le attrezzature occorrenti per questa tecnologia, i compressori centri­ fughi hanno dimostrato la loro versatile utilizzabilità sia in fase di raccolta che nelle successive fasi di trasporto, liquefazione e rigassificazione. Il gas che fuo­ riesce dai pozzi viene infatti compresso a mezzo di compressori centrifughi ed inviato nel metanodotto che lo porta, attraverso successive stazioni di compres­ sione che utilizzano ancora compressori centrifughi (Fig. XI.22), alla stazione di liquefazione posta in prossimità degli attracchi delle navi metaniere (Fig. XI.23) . La liquefazione del gas avviene in impianti che si avvalgono di compressori centrifughi o assiali che elaborano fluidi frigorigeni quali etano, propano, etilene o propilene; le navi metaniere, infine, sono propulse da motori che utilizzano a volte come combustibile un'aliquota del metano che, durante la navigazione, passa dallo stato liquido a quello gassoso. La rimanente aliquota non bruciata nel

Compressori

529

Fig. X l .23 - Estrazione, liquefazione, trasporto, gassificazione e distribuzione del gas naturale.

motore viene ricondotta allo stato liquido mediante apposito impianto di liquefa­ zione installato a bordo che utilizza in genere compressori a vite del tipo descritto al par. XI.3 . 1 . Al porto di arrivo il metano viene immagazzinato, sempre allo stato liquido, in appositi serbatoi dai quali viene successivamente prelevato per essere compresso, riscaldato, vaporizzato, quindi immesso nel gasdotto e fatto procedere ancora mediante compressori centrifughi.

XI.4. 1 . Grandezze e curve caratteristiche Le grandezze che caratterizzano il funzionamento di un compressore sono, in particolare: - la velocità di rotazione n dell'albero, generalmente espressa in giri/min; - il rapporto manometrico di compressione � pari al rapporto fra le pressioni misurate alla flangia di mandata p2 ed alla flangia di aspirazione p1 della macchina (Fig. XI.24). È ovviamente � = p/p 1 ; - la portata dì fluido che attraversa la macchina; in genere si fa riferimento alla portata volumetrica Q relativa alle condizioni in aspirazione e solitamente espressa in m3/h;

§) n

Fig. XI.24

-

Rappresentazione schematica di un compressore dinamico.

530

Macchine

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Fig. X l .2 5 - A n d a m e n t o d e l l e curve caratteristiche di un compressore centri­ fugo riportate nel piano p/p , Q.

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HOO

Fig. X l .26 - Andamento delle curve carat­ teristiche di un compressore centrifugo ri­ portate nel piano p2Q.

- il tipo di fluido elaborato caratterizzato dal peso molecolare ( m ) e dal rapporto k tra i calori specifici a pressione costante c, ed a volume costante c,.. Le tre principali grandezze che caratterizzano il funzionamento del compres­ sore (numero di giri n, portata volumetrica Q, rapporto di compressione �) sono strettamente interdipendenti e la legge con cui ognuna varia in funzione delle altre viene rappresentata con una o più curve in coordinate cartesiane che prendono il nome di curve caratteristiche o mappa di prestazioni del compressore. In figg. Xl.25 e X1.26 si riportano, a titolo di esempio, le curve caratteristiche di due diversi compressori centrifughi rispettivamente in coordinate p/p, Q e p2 Q. Una spiegazione fisica dell'andamento delle curve delle figg. Xl.25 e Xl.26 richiede necessariamente dapprima l'analisi del funzionamento ideale del com­ pressore e quindi la sua correzione in funzione delle perdite di tipo fluodinamico che si verificano quando la macchina è attraversata da un fluido reale e quindi VISCOSO.

Allo scopo si prenda in esame la relazione di Eulero relativa al trasferimento di lavoro in una macchina dinamica nella forma:

L

=

1

(u c 1 cos a1 - u 2 c2 cos a2)

[ J/kg]

(4-47)

Con riferimento alla girante di fig. Xl.27, nell'ipotesi, in genere verificata, in base alla quale il vettore velocità assoluta c, del fluido in ingresso risulta ortogo­ nale al vettore velocità periferica u, della girante, la ( 4-47) fornisce: ( 11 -9) La ( 1 1 -9) ribadisce che il lavoro trasferito non dipende dal tipo di fluido elaborato ma soltanto dalla geometria della girante e dalla velocità periferica u2, ovvero, per una assegnata girante, dalla velocità di rotazione n. Se si lascia

Compressori

53 1

Fig. XI.27 - Girante di compressore centri fugo con i triangoli di velocità in ingresso ed in uscita.

inalterata la velocità di rotazione e si aumenta la portata di fluido che attraversa la girante, è evidente che tale incremento della portata può realizzarsi soltanto attraverso un aumento della velocità relativa, che da w2 diventa w'2 ( Fig. XI.28). Il triangolo di velocità in uscita dalla girante si modifica così come in fig. XI.28 con la conseguenza che risulta variata la componente della c2 sulla velocità periferica u2 ( si riduce in altre parole il termine c2 cosa2 ) . (J)

Fig. XI.28 - G irante di compressore centrifugo con triangoli di velocità in uscita per due differenti valori della portata.

532

Macchine

A tale riduzione corrisponde, giusta la ( 1 1-9), una diminuzione del lavoro trasferito ed è quindi possibile tracciare, per la girante presa in esame e per una assegnata velocità di rotazione, l'andamento del lavoro trasferito dalla macchina al fluido al variare della portata volumetrica (Fig. XI.29) . Si ritiene opportuno precisare che in fig. XI.29 viene riportato il lavoro meccanico (energia, si ricorda, di prima specie) assorbito dall'esterno e quindi trasferito integralmente al fluido. Nel caso di trasformazione reversibile tale lavoro viene trasferito tutto nella forma originaria di energia meccanica, mentre · nel caso di trasformazione reale, come ricordato al par. IV.l , durante il trasferì-

mento al fluido una parte si degrada in energia termica. È evidente che, ai fini delle prestazioni del compressore, interessa l'incremento di pressione subito dal fluido per effetto del lavoro che gli è stato trasferito, incremento però che non è dovuto a tutto il lavoro assorbito dall'esterno ma solo a quell'aliquota di lavoro meccanico che viene trasferita al fluido sotto forma di energia di prima specie. Il lavoro L riportato in fig. XI.29 è quindi maggiore, nel caso di trasformazione reale, di quello utilmente impiegato per realizzare l 'aumento di pressione effetti­ vamente misurabile nel fluido. Per ottenere tale lavoro bisogna allora analizzare e valutare le perdite che influenzano il fenomeno reale di compressione del fluido e che sono responsabili della degradazione in energia termica di un'aliquota del lavoro meccanico assorbito dall'esterno. Le perdite fluodinamiche che intervengono sono essenzialmente di tue tipi: - perdite per attrito; - perdite per incidenza. Le prime crescono con buona approssimazione con il quadrato della portata (curva a di fig. Xl.30) mentre le seconde dipendono dalla direzione del vettore velocità relativa del fluido all'ingresso della girante e risultano nulle in condizioni di progetto (curva b di fig. XI.30) . L'insieme delle perdite, per attrito e per incidenza, determina la perdita totale (curva c di fig. XI.30) ottenuta sommando i valori delle ordinate dei punti delle curve a e b. Sottraendo allora al lavoro assorbito dall'esterno il l avoro complessivo per­ duto (degradato) Lp, (Fig. XI.31) si ottiene il lavoro trasferito al fluido nella forma indegradata di energia di prima specie. È immediato dedurre che il rapporto BC/AC (Fig. XI.3 1 ) rappresenta il rendimento politropico del compressore definito al par. IV.l ed espresso me­ diante la ( 4-3) , risultando:

ed

AC

uguale a tutto il lavoro assorbito dall'esterno e trasferito al fluido. La curva così ottenuta, relativa ad una certa velocità di rotazione della

Compressori L n � n =

cos t

Q

cost

Fig. X l . 30 - Andamento delle perdite, in funzione d e l l a p o r t a t a Q , in u n a girante di compressore cen­ trifugo.

Fig. XI .29 - Andamento in funzione della portata Q del lavoro trasferito al fluido da una girante del tipo di fig. XI .27.

533

L

Fig. X l . 3 1 - Andamento in funzione della portata Q del l avoro trasfe rito, a l netto delle perdite, da una girante del tipo eli fig. X I .27.

macchina, prende il nome di caratteristica reale o interna ad n giri/min del compressore dotato di girante del tipo riportato in fig. Xl.27. Un diagramma del tipo di fig. XI.3 1 non è però di pratica utilità in quanto, nell'esercizio di un compressore, interessa essenzialmente il valore della pres­ sione del fluido in uscita dalla macchina o il valore del rapporto di compressione fornito (riportati infatti nei diagrammi di figg. Xl.26 e Xl.25). Per poter passare da un diagramma del tipo di fig. Xl.31 ad uno del tipo delle figg. Xl.25 o Xl.26 è necessario però conoscere il fluido elaborato dalla macchina nonché le sue condizioni di pressione e di temperatura in aspirazione. Dalla (3-62), che qui si riscrive: L

n

l

--

n

-

R T1

(3-62)

si deduce che, per un assegnato lavoro L trasferito al fluido, la pressione p2 in uscita dalla macchina dipende dal tipo di fluido elaborato, attraverso la costante R, nonché dalla temperatura T, e dalla pressione p, di inizio compressione. Una volta fissate queste grandezze è possibile allora passare dalla rappresentazione di fig. XI.31 a quella delle figg. Xl.25 o Xl.26 specificando, in calce al diagramma, che le curve riportate sono valide solo per un particolare fluido e per determinate condizioni di pressione e di temperatura in aspirazione. Una mappa di compres­ sore deve quindi necessariamente essere corredata dalle condizioni del fluido in aspirazione rispetto alle quali è riferita. Generalmente i valori riportati sono (Fig. XI.32) la pressione e la temperatura in aspirazione, il peso molecolare (m) del fluido o la sua costante R ed il rapporto k c)c,.. =

534

Macchine

Se uno o più di questi valori cambiano, il diagramma di fig. Xl.32 non è più valido mentre quello di fig. Xl.31 conserva la sua validità essendo legato essen­ zialmente al tipo di girante attraverso la sua geometria e la sua velocità di rotazione. 300�------.--�r---�--. p2

[ barl

2 00 +-----����-----+--���--�-

0 +-----+-----�---4--� 1000

3400

1 800

QU ESTE

C U R V E SONO VA L I DE N E L L E

SEGUEN T I

CONDI ZIONI •

g a s n a t u ra l e

Fl u·, d o Peso m o l e c o l a re P r e s s . d i a s p i ra z .

T e m p . d i a s p iraz

18 15

5 5 bar 1 5° C

Fig. XI .32 - Andamento delle curve caratteristiche di un compressore centrifugo riportate nel piano fhQ per assegnate condizioni del fluido in aspirazione.

Per quanto riguarda infine il calcolo della potenza P effettivamente richie­ sta dal compressore si ricorda, come già anticipato nell'introduzione a questa Parte I I I , che essa può essere calcolata moltiplicando la portata massica (o

8000 .-----�----�--� L

[m]

6000+---·--4-----�

2000

5000

10000

Fig. X l .33 - Andamento delle curve caratteristiche di un compressore centrifugo e delle curve di isorendimento.

Compressori

535

ponderale) del fluido e laborato per il lavoro meccanico assorbito dall'esterno e trasferito a ciascun chilogrammo di fluido. La portata massica si ricava immedia­ tamente attraverso la portata volumetrica e la densità del fluido che è nota essendo conosciute le condizioni (p 1 e T1 ) del gas in aspirazione; per quanto riguarda il lavoro meccanico si precisa che, con riferimento al diagramma di fig. Xl.31 , il valore da prendere in considerazione è quello espresso dalla curva a e non quello espresso dalla curva b la quale ultima non rappresenta tutto il lavoro prelevato dall'esterno, ma solo quell'aliquota che si ritrova in seno al fluido nella forma indegradata di energia meccanica o di prima specie. I valori forniti dalla curva b possono essere utilizzati per il calcolo della potenza P solo se, come si verifica frequentemente, si dispone anche delle curve del rendimento della mac­ china (Fig. X1.33); dividendo i � tal caso i valori forniti dalla curva b per i corrispondenti valori del rendimento si perviene al valore di tutto il lavoro prelevato dall'esterno che può essere quindi utilizzato per il successivo calcolo 300,-----.---,- .----.--� p2 [ bar ]

200+-----+-��4-----�--��=--r�-

0+-----+-----+-----+-----�--�r---� 3400 2600 [ m3/ h l 1 800 1000

1 4000

l

p

[ k W]

6000 2000

1000

. l mln_l

460 9'"

��

........ n e50 ---r-10670

10000

-

-.....__

......

9490

3400

1 800 QU ESTE C U RVE SONO VA L I DE N E L L E SEGUEN TI C O N D I ZION I '

Flui do Peso mol�colar• Press. di aspira z . Tem p. di asp ·� raz.

ga5 natura l e 18.15 55 bar 15°C

Fig. XI.34 - Andamento delle curve caratteristiche di un compressore centrifugo e della potenza assorbita per assegnate condizioni del fluido in aspirazione.

536

Macchine

della potenza pervenendo infine ad un diagramma del tipo di fig. XI.342• Si ritiene opportuno, in conclusione, riportare alcune osservazioni di grande interesse nello studio della compressione, che discendono dall'analisi della (3-62): - il lavoro da spendere per ottenere un assegnato valore del rapporto di com­ pressione p/p, per un determinato gas (R = cost), cresce con l'aumentare della tem­ peratura T, del gas all'inizio della compressione. È pertanto conveniente, nel caso la compressione venga realizzata in diverse fasi, raffreddare il gas prima di ogni fase di compressione per ridurre il l avoro necessario alla compressione stessa; - all'aumentare di T�> se il lavoro trasferito al fluido resta costante, si ottengono valori sempre più modesti del rapporto di compressione p/p , ; - a parità d i lavoro speso e d i temperatura d i inizio compressione, si ottengono rapporti di compressione più elevati per un gas ad elevato peso molecolare (valori modesti della costante R) che non per un gas leggiero; da qui la considerazione che è più oneroso comprimere un gas leggi ero [ad es. H2 per il quale è (m) = 2,01 6] che non un gas pesante [ad es. C02 con (m) = 44,0]; - per un assegnato gas e per un dato valore di T, , il lavoro di compressione per ogni chilogrammo di fluido non dipende dalla pressione iniziale p, ma solo dal rapporto tra le pressioni di fine e di inizio compressione.

XI.4.2. Prestazioni in relazione alla geometria della girante L'analisi sin qui effettuata è stata condotta facendo riferimento alla girante di fig. XI.27 cioè ad una girante di una assegnata geometria e caratterizzata da pale rivolte all'indietro rispetto al verso di rotazione; se l 'analisi fosse stata condotta considerando una girante con pale radiali o con pale rivolte in avanti, il discorso avrebbe seguito lo stesso sviluppo logico portando a conclusioni analoghe. Tut­ tavia si ritiene opportuno mettere in luce gli aspetti che diversificano i tre tipi di girante citati (Fig. XI.35) in modo da comprendere come ognuno di essi trovi applicazione in un campo ben determinato. Con riferimento allora alla fig. XI.35, nell'ipotesi che le tre giranti siano caratterizzate dallo stesso diametro e ruotino alla stessa velocità di rotazione (quindi stesso valore della velocità periferica u2 ) , dalla ( 1 1 -9) segue che a parità di portata (a parità cioè di componente radiale della velocità assoluta c2 e quindi di altezza del triangolo di velocità in uscita), la girante a è in grado di trasferire al fluido trattato un lavoro minore della girante b e della girante c, in quanto per essa si ha un valore del termine c2 cos a2 minore di quello relativo alle giranti b e c. Ancora, sempre dalla fig. XI.35 e dalla ( 1 1 -9), si deduce che all'aumentare della

2 A maggior chiarimento si veda:

VI. I 3.

RENATO DELLA VoLPE, Esercizi di Macchine, Liguori Editore, Es.

çompressori

537

portata il lavoro trasferito al fluido è decrescente per la girante a , costante per la girante b, crescente per la girante c ( Fig. X1 .36). Alla luce di quanto esposto sembrerebbe opportuno adoperare comunque giranti del tipo c, grazie alla loro capacità di trasferire maggior lavoro al fluido, il che comporta il raggiungimento del desiderato rapporto di compressione con un minor numero di giranti, cioè di stadi, e quindi in ultima analisi con un compres­ sore più corto, cioè meno ingombrante e costoso. In effetti, sempre dall 'esame della fig. Xl.35 risulta che la velocità assoluta c2 con la quale il fluido abbandona la girante c è maggiore della c2 relativa alla girante b a sua volta maggiore di quella relativa alla girante a ; poiché a valle di ogni girante è sistemato il diffusore che provvede, rallentando il fluido, a trasfor­ mare energia cinetica in energia di pressione, è evidente che tale rallentamento sarà più energico (e quindi l'incremento di pressione più forte) nel diffusore a valle della girante c che non nei diffusori a valle delle giranti b e a . Ora, in un condotto divergente quale è un diffusore (Fig. Xl.37), vi è la tendenza, da parte di quello strato di gas che fluisce tenendosi aderente alle pareti del condotto, a staccarsi dalle pareti stesse ed a muoversi, per effetto del gradiente di pressione, in direzione opposta al flusso principale con attriti ed irreversibilità facilmente intuibili. Tali attriti comportano, come è noto, una degradazione dell 'energia cinetica (energia di prima specie) in calore con la conseguenza che l'incremento di pressione che si realizza nel diffusore è tanto più modesto quanto maggiori sono le dette irreversibilità. Poiché l 'entità del feno­ meno è tanto più marcata quanto maggiore è la differenza di pressione tra m onte e valle del diffusore, cioè quanto maggiore è la decelerazione, è evidente che nel diffusore posto a valle di una girante del tipo c si avranno perdite maggiori di quelle che si realizzano nei diffusori posti a valle di giranti di tipo b o a in quanto la prima girante conferisce al fluido un'energia cinetica maggiore che non le altre due. Se si vuole contenere le perdite, è necessario contenere la decelerazione del

\ + a

b

""' + c

Fig. XI.35 Giranti di differente geometria, caratte rizzate dalla stessa velocità di rotazione n, con triangoli di velocità in uscita per differenti valori della portata. a) Pale rivolte all 'indietro; b) Pale radiali; c) Pale rivolte in avanti. -

538

Macchine

prpss·lonp cr�sc� n \ � --



n • eost

· --- ·

Q

Fig. X I .36 - Andamento in funzione della portata Q del lavoro trasferito al flu i do per ciascuna delle tre giranti di fig. XI.35.

Fig. X I .37 - Rappresentazione dello scol­ lamento della vena fluida in un condotto decelerante.

fluido nel diffusore e quindi adoperare giranti del tipo a. Questo è uno dei principali motivi per i quali la quasi totalità delle giranti dei compressori centrifughi industriali è realizzata con pale rivolte all'indietro ri­ spetto al verso di rotazione (Fig. XI.38) mentre la configurazione con pale rivolte in avanti è tipica dei ventilatori la cui funzione è anche quella di accelerare il fluido. La costruzione con pale radiali è tipica di compressori molto veloci (caso, ad es., delle applicazioni aerospaziali) nei quali tale configurazione si presta meglio per resistere alle elevate sollecitazioni meccaniche che le alte velocità di rotazione comportano. Pure i compressori centrifughi dei gruppi di sovralimentazione dei motori alternativi a combustione interna, che a volte funzionano a velocità superiori a 100.000 giri/min, sono evidentemente realizzati con pale radiali. Si vuole ricordare infine che, sulla base della definizione del grado di rea­ zione fornita al Cap. IV, le giranti a, b, c di fig. XI.35 sono caratterizzate da valori del grado di reazion@ via via decrescenti. Un elevato grado di reazione comporta infatti che l'incremento di pressione del fluido si h a in massima parte nella girante con la conseguenza che risulta meno cospicua la trasformazione in incre­ mento di pressione della variazione di energia cinetica nel diffusore e quindi risultano meno rilevanti le perdite connesse a tale organo; da qui l'influenza positiva di un elevato grado di reazione sul rendimento dell'intera macchina.

XI.4.3. Il compressore inserito nel circuito Si consideri (Fig. XI.39) un compressore dinamico 2 che invia del gas nel serbatoio 3 nel quale regna la pressione p e si supponga di disporre della

Compressori

fig. Xl.38

-

539

G irante con pale rivolte alrindietro rispetto al verso di rotazione.

caratteristica interna della macchina in termini di pressione di mandata p2, portata volumetrica Q (Fig. Xl.40). Per determinare il punto di funzionamento del compressore in esame inserito nell'impianto è però necessario conoscere anche le effettive caratteristiche di quest'ultimo con particolare riferimento all'andamento delle perdite di pressione nella tubazione che collega il compressore 2 al serbatoio 3. I nfatti se nel serbatoio 3 regna la pressione p è evidente che il gas dovrà lasciare il compressore ad una pressione p2 maggiore di p a causa delle perdite ricordate. L'andamento delle perdite di pressione è all'incirca quadratico con la portata volumetrica (curva a di

540

Macchine

3

n =

cosi

o.

Fig. X I .39 - Schema semplificato di un impianto d i compressione. Motore; 2. Compressore; 3. Serbatoio.

l.

Fig. X I.40 Caratteristica interna del compressore di fig. XI.39. -

fig. XI.41) e quindi se la pressione utile è p ( Fig. XI.41) il compressore dovrà in realtà fornire una pressione pari a p più le perdite che si verificano in corrispon­ denza della portata di volta in volta elaborata. La pressione complessivamente richiesta al compressore al variare della portata è quindi rappresentabile me­ diante la curva b di fig. XI.41, cioè la curva risultante dalla somma della pressione · utile p e delle perdite di carico nella tubazione. Tale curva prende il nome di caratteristica esterna o del circuito e dalla conoscenza contemporanea delle due curve caratteristiche, interna ed esterna, è possibile individuare il punto di effet­ tivo funzionamento del compressore ottenuto evidentemente come intersezione delle due caratteristiche ( punto C di fig. XI.42). p

Pc

Q

Fig. X I.41 - Caratteristica esterna del cir­ cuito di fig. XI.39.

'[

n • co s t Oc

Q

-

Fig. Xl.42 Punto di funzionamento del compressore di fig. XI.39. -

Compressori p 3

54 1

A

p

Fig. X l .43 - Schema eli compressore con manciata diretta nel serbatoio. l . Motore; 2. Compressore; 3. Serbatoio.

Fig. X l .44 - Cara t teristica interna compressore eli fig. X I .43.

cie l

Nelle condizioni del punto C il compressore eroga la portata Q,. ad una pressione p,. che si riduce a p quando il gas raggiunge il serbatoio 3 dopo aver attraversato la tubazione di collegamento.

Alcuni problemi di esercizio

Si supponga che il compressore 2, del quale in fig. Xl .40 è riportata la caratteristica interna, invii un gas nel serbatoio 3, nel quale regna la pressione p, attraverso una tubazione molto corta (Fig. Xl.43), così da poter trascurare le perdite di pressione. In tali condizioni il punto di funzionamento è il punto l di fig. Xl.44. Aumentando l a quantità di gas presente nel serbatoio aumenta gra­ dualmente il valore della pressione in esso regnante e pertanto il punto di funzionamento si sposta con continuità risalendo lungo la caratteristica interna da l verso 2. Il compressore cioè si adatta alle nuove condizioni fornendo gas alla pressione p2 > p 1 con una portata Q2 < Q1• Aumentando ancora la pressione nel serbatoio, il punto eli funzionamento continua a spostarsi lungo la curva fino a raggiungere il punto A in cui l a caratteristica interna presenta un massimo e si determinano condizioni eli equilibrio instabile. Se infatti la pressione nel serba­ toio tende ancora a salire, accade che il compressore non risulta in grado di fornire la pressione richiesta; la portata si annulla e la pressione diventa quella corrispondente al punto B nel quale è Q O. In tali condizioni il gas contenuto nel serbatoio, non essendo più contrastato da alcuna portata di fluido prove­ niente dalla macchina stessa, rifluisce verso l 'aspirazione (se non è previsto un adeguato organo eli intercettazi.one ); a causa di tale momentanea inversione ciel flusso, la pressione nel serbatoio scende e la riduzione di pressione alla mandata mette il compressore in condizione eli riprendere a funzionare regolarmente ma =

542

Macchine

con la portata corrispondente al punto C. Se non si hanno modifiche di funziona­ mento il fenomeno tende a ripetersi, assumendo caratteristiche cicliche e dando luogo al cosiddetto pompaggio del compressore. Questa condizione di funzionamento si palesa acusticamente, con violenti e sordi colpi dovuti all'inversione del moto della colonna fluida, nonché osservando gli indicatori di pressione nelle tubazioni, che evidenziano sensibili oscillazioni (ad esempio, fino a 10 bar su 30) ogni volta che la colonna fluida inverte il senso del moto; la frequenza di tali inversioni dipende dalla capacità del sistema esistente a valle del compressore. È evidente che, a causa delle violente sollecita­ zioni cui sono sottoposti i componenti della macchina ogni volta che si inverte il senso del moto, il funzionamento in pompaggio è una condizione estremamente pericolosa, che deve essere assolutamente evitata o al massimo tollerata per un tempo molto breve, per evitare la rottura dei componenti più delicati della macchina quali, ad esempio, le palette rotoriche. Alla luce di quanto esposto risulta evidente che è di estremo interesse cercare di portare, in sede di progetto, il valore massimo della caratteristica interna quanto più a sinistra possibile nel piano p2Q e prevedere altresì, in sede di scelta e di esercizio della macchina, il punto di funzionamento normale il più distante possibile dal punto di massimo in modo da assicurare al compressore una zona di autoregolazione quanto più ampia possibile. Soddisfano tali esigenze le giranti con pale rivolte all'indietro perché presentano una caratteristica interna rapida­ mente decrescente. Trova altresì giustificazione il fatto che le curve caratteristiche di un compressore (rilevate in genere sperimentalmente) non vengono mai pro­ lungate fino all'intersezione con l'asse delle ordinate ma vengono interrotte immediatamente dopo il massimo. Alle portate elevate si hanno ovviamente notevoli incrementi della velocità del fluido, che può raggiungere anche valori prossimi od uguali a quella del suono nel mezzo, con forti aumenti delle perdite anche per l'insorgere dei noti fenomeni di urto, scollamento della vena fluida, ecc. Ciò provoca una rapida caduta della pressione generata; la curva caratteristica tende a diventare verticale e si rag­ giunge quindi u n valore massimo della portata. Queste condizioni di funziona­ mento vengono usualmente definite di bloccaggio (o choking) del compressore. Si può concludere quindi che il campo di funzionamento di un compressore è limitato, rispettivamente alle basse ed alle alte portate, per ciascuna velocità di rotazione, dai due fenomeni descritti di pompaggio e di bloccaggio. Giova infine precisare che l 'analisi del pompaggio prima effettuata è valida, come si dirà al Cap. XII, anche per le pompe dove il fenomeno si può presentare, sia pure in forma ed intensità diverse, risultando una instabilità caratteristica di tutte le macchine operatrici dinamiche.

Compressori

543

XI.5. Compressori assiali - Descrizione del funzionamento e campi di applicazione Il compressore assiale è una macchina operatrice nella quale il fluido elabo­ rato si muove essenzialmente in direzione parallela all'asse di rotazione. È costituito da un rotore (Fig. XI.45 e Tav. XXIII) con una serie di corone di palette mobili, da uno statore consistente in un cilindro concentrico al rotore e portante le palette fisse direttrici e da una carcassa esterna divisa orizzontal­ mente; in quest'ultima sono sistemati nella parte inferiore i condotti di aspira­ zione e di mandata. Ogni coppia di file successive di palette, una rotante e l'altra fissa, costituisce uno stadio di compressione: la corona di pale mobili provvede al trasferimento di energia meccanica al fluido che incrementa la pressione e la velocità assoluta; le pale fisse, opportunamente sagomate, provvedono a rallen­ tare il fluido trasformando energia cinetica in energia di pressione. Le alte velocità di attraversamento impongono, per evitare scollamenti della vena, modeste deviazioni del fluido, e quindi palette piuttosto piatte, sottili, con profili aerodinamicamente molto simili a quelli usati per le ali di un aereo a parte,

Fig. XI.45 - Sezione longitudinale del compressore assiale il cui spaccato è riportato nella Tav. XXIII (DEMA G). l. Viratore; 2 . Cuscinetto misto portante e di spinta; 3. Carcassa esterna; 4. Voluta di ingresso; 5. Portapalette statoriche; 6. Piastra per orientamento palette statoriche; 7. Palette statoriche; 8. Palette rotoriche; 9. Diffusore di scarico; 1 0. Pistone equilibratore di spinta; 1 1 . Cuscino portante; 12. Tenute a labirinto.

544

Macchine

Fig. X l .46 Rotore di compressore assiale. Si noti lo sviluppo radiale delle pale decrescente nel senso del moto del fluido. -

ovviamente, la notevole differenza nelle dimensioni. Lo sviluppo radiale delle pale, evidentemente di altezza decrescente nella direzione del moto per l 'aumento della densità del fluido con la pressione, è mostrato chiaramente dalla fig. XI.46. Nella fig. XI.47 è rappresentata la sezione cilindrica di una parte della palettatura rotorica e statorica di due stadi successivi di un compressore assiale nonché i triangoli di velocità del fluido in ingresso ed in uscita dal rotore. Con riferimento sempre alla fig. XI.47 si osserva che, contrariamente a quanto si verifica nel caso di una turbina, vale a dire di una macchina motrice, il fluido incontra evidentemente prima il rotoré dal quale riceve energia meccanica che si 3 Si osservi che la palettatura fissa, indicata in fig. X l .47 con la sigla !CV (In/el Guide Vanes), ha il compito di deviare il fluido. in modo che possa imboccare correttamente la palettatura rotorica. In altre parole il contenuto energetico totale del fluido nell'attraversamento delle !CV rimane inalterato dal punto di vista quantitativo poiché le !C V sono fisse e quindi non possono né fornire né sottrarre energia.

Compressori

545

IGV

.; z1Y e nei quali regnano pressioni diverse (p2 > p 1). S i definisce prevalenza totale H, della pompa l 'energia meccanica che un chilopond di fluido acquista attraversando la pompa tra la flangia di aspirazione A e la flangia di mandata B. Tale energia meccanica la si ritrova in seno al fluido parte sotto forma di incremento di energia potenziale gravitazionale (z/J - Z11) dovuto all'innalzamento subito dal fluido dalla flangia di aspirazione A a quella di mandata B, parte sotto forma di incremento di energia cinetica (c1 - c;1 )/2g quando, come sovente accade, l a bocca di mandata ha un diametro più piccolo di quello della bocca di aspirazione, parte sotto forma di incremento di energia di pressione:

che viene misurato dai manometri M11 ed M8 sistemati rispettivamente in corri­ spondenza delle flange di aspirazione e di mandata della pompa (Fig. X I I . l ). La somma dei termini citati costituisce la prevalenza totale H, della pompa e, stante l'incomprimibilità del liquido, può essere espressa nella forma: 1 La differenza di quota (z2 - z ) tra il pelo libero dell'acqua nei due serbatoi prende il nome di alrezza geodetica (si veda anche par. III.S).

1

Pompe

557

( 1 2- 1 ) nella quale la differenza ( z/J - z") è espressa in m, la velocità c in m/s, l'accelera­ zione g in m/s2, la pressione p in kp/m2 ed il peso specifico y in kp/m' 2 • Si ritiene opportuno precisare che l'energia meccanica L,m trasferita al fluido dall'organo mobile della pompa, volumetrica o dinamica che sia, è certamente maggiore della prevalenza totale H, in quanto, come è noto, un'aliquota del lavoro meccanico L,,"' prelevato dall'esterno viene trasferito al fluido nella forma degradata di energia termica (a causa delle perdite nella macchina) e tale aliquota non può evidentemente contribuire ad elevare il valore della prevalenza costituita esclusivamente dall'energia incamerata dal fluido in forma meccanica, cioè di prima specie, al pari delle tre forme di energia che compaiono nella ( 1 2-1 ). Si ha dunque:

(12-2) avendo indicato con H" il lavoro dissipato nella pompa espresso in metri [kpm/ kp]. Se la flange di aspirazione e di mandata hanno lo stesso diametro (il che comporta c" = c11) e si trovano alla stessa quota ( z" = z11 ) , la prevalenza H, è costituita esclusivamente dal termine (p/J - pA)Iy e prende il nome di prevalenza

manometrica H,:

per cui, sostituendo la

Hm

p y

PA

t;,

( 1 2-3)

nella

( 1 2-1 )

si ha:

B

p y

(1 2-3)

( 1 2-4) Ciò premesso, si osservi che l'inserimento della pompa nel circuito consente il trasferimento del liquido dal serbatoio SI al serbatoio sl incrementandone l 'energia potenziale gravitazionale della quantità ( z2 - Z1); consente inoltre di vincere la differenza di pressione tra i due serbatoi [differenza piezometrica (p 2 -

2 Il termine p/y [m] viene denominato altezza piezometrica (dal greco piézein, compressione); dicesi piezometro l'apparecchio tubolare a forma di U che consente di tradurre la pressione di un liquido in altezza geodetica.

558

Macchine

p 1 )/y] , di accelerare in genere il fluido dalla velocità c1 alla velocità c2 e di vincere le resistenze al moto (perdite di carico Hc) che si verificano nella condotta che collega i due serbatoi. L'energia occorrente al fluido per realizzare il funzionamento descritto non può che essere attinta dalla prevalenza totale H, cioè da quell'aliquota di L""" che è stata trasferita al fluido nella forma indegradata di energia di prima specie per cui è possibile scrivere: ( 1 2-5) Sostituendo la ( 1 2-5) nella ( 12-2) si ha: ( 1 2-6) Per meglio comprendere quanto sinora esposto può essere di aiuto il dia­ gramma di flusso di fig. XII.2. Molto frequentemente accade che il fluido è in quiete nel serbatoio dal quale viene prelevato (c1 = O) e che l'energia cinetica corrispondente alla velocità c2 nel tubo di mandata viene dissipata nel serbatoio di arrivo a causa dell'arresto del liquido; tale energia può essere considerata anch'essa una perdita del circuito esterno e viene detta perdita di sbocco. Nell'ipotesi di c1 = O la ( 1 2-5) fornisce: (1 2-7) La somma dei primi due termini della ( 1 2-7) viene detta prevalenza utile ed indicata con H,. La prevalenza totale pertanto può anche essere espressa come somma della prevalenza utile H, e delle perdite nella condotta e di sbocco entrambe crescenti con i l quadrato della velocità. Una volta nota la prevalenza totale H, [m] e la portata volumetrica Q[m3/s] si può facilmente determinare la potenza richiesta dalla pompa mediante l 'espres­ sione: p

Q gg H r

---

1 .000 1lp

[kW]

( 1 2-8)

avendo indicato con g [kg/m3] la densità del liquido e con g[m/s2] l 'accelerazione di gravità; 111' è il rendimento della pompa, espresso evidentemente (Fig. XII.2) dal rapporto:

Pompe

559

l mecc

Ht

L m e c c ·'?p

=

Hp

...

f?ll/2g {Ze- Z A )

l

Hp

{ Pe - PA)/f

l

Hm

Ht

{c � \ l f7 -PNI

Hc

( z z - z1)

\...

...

Fig. XII.2 Ripartizione del lavoro meccanico assorbito da una pompa. L," lavoro meccanico assorbito dall'esterno; H1, prevalenza totale; H", perdite nella pompa; H,, prevalenza manometrica; Hc, perdite nella condotta. -

L m ecc

( 12-9)

Giova precisare che tale espressione del rendimento è perfettamente analoga alla ( 4-3) in quanto entrambe esprimono il rapporto tra l'energia che si ritrova in seno al fluido sotto forma meccanica e l 'energia meccanica prelevata dall'esterno. Volendo esprimere la potenza in CV, si può utilizzare l 'espressione: p

Q y Hl --

75 1lp

[CV]

avendo indicato con y[kp/m3] il peso specifico del liquido.

( 12-10)

560

Macchine

Fig. XII.3 Schema di pompa volumetrica alternativa a semplice effetto. l. Valvola di aspirazione; 2. Valvola di mandata; 3. Stantuffo; 4. Cilindro. -

Quando i l fluido el aborato è acqua(g = 1 .000 kg/m 3 ; y = 1 .000 kp/m3 ) ( 1 2-8) e la ( 12-10) forniscono rispettivamente:

P = Qg P

=

1 3 ,3

H / lJp [kW]

Q HJ

lJp [CV]

, la

(1 2-1 1) (12-12)

. relazioni analoghe (a parte il diverso effetto del rendimento della macchina) a quelle che esprimono la potenza erogata da una turbina idraulica (Cap. X).

XII.2. Pompe volumetriche alternative Nella loro realizzazione più elementare sono costitUite (Fig. XII.3) da un cilindro munito di due valvole di solito automatiche, rispettivamente di aspira­ zione e di mandata, entro il quale scorre uno stantuffo collegato ad un albero a gomiti tramite un sistema biella-manovella oppure collegato direttamente allo stelo dello stantuffo di un motore a vapore (Fig. XII.4). Le pompe alternative possono essere a semplice effetto, se si realizza una mandata ogni due corse dello stantuffo (Figg. XII.3 e XII.4), oppure a doppio effetto (Fig. XII.5) quando la mandata viene effettuata ad ogni corsa in quanto lo stantuffo da un lato aspira il fluido e contemporaneamente dall'altro comprime altro fluido immesso durante la corsa precedente. In genere le pompe azionate direttamente dal vapore sono a doppio effetto (Fig. XII.6). In fig. XII.7 si riporta il diagramma di funzionamento di una pompa alternativa nel caso teorico di fluido rigorosamente incomprimibile e di assenza di perdite nella macchina. La compressione 1 -2 si realizza in modo quasi istantaneo a causa della supposta incomprimibilità del liquido ed è pertanto rappresentata d3 un segmento verticale; il tratto 2-3 è relativo alla corsa di mandata durante la quale viene scaricata una quantità di fluido inferiore al volume del cilindro a causa della presenza dello spazio morto V3; la trasforma-

Pompe 6

561

3

Fig. XI I.4 [ 1 ] - Pompa volumetrica alternativa a semplice effetto ad azione diretta, sprovvista di sistema biella-manovella. l. Ingresso vapore; 2. Uscita vapore; 3. Stantuffo motore a vapore; 4. Ingresso liquido da pompare; 5. Uscita liquido; 6. Stantuffo pompa.

zione 3-4 è relativa all'espansione istantanea del liquido rimasto intrappolato nello spazio morto; il tratto 4-1 riguarda infine l'introduzione del fluido nel cilindro. Se si tiene conto di alcuni fenomeni che in realtà intervengono nel funziona­ mento della pompa quali il trafilamento del liquido attraverso le valvole, le perdite di carico nei condotti e l'inerzia della colonna di liquido che comporta variazioni di pressione necessarie per accelerare il liquido nei condotti di aspira­ zione e per decelerarlo nei condotti di mandata, si perviene al diagramma di fig. XII.8. Dall'esame di tale diagramma si rileva che le fasi di aspirazione e di mandata interessano praticamente l'intera corsa dello stantuffo ed avvengono con velocità variabile dipendente proprio dalle caratteristiche del moto alterno (così come messo in luce al Cap. IV ) . In conseguenza del moto alterno dello stantuffo

Fig. XII.5 - Schema di pompa volumetrica alternativa a doppio effetto. l. Valvola di aspirazione; 2. Valvola di mandata; 3. Stantuffo; 4. Cilindro.

562

Macchine

Fig. X I I .6 [2] - Pompa volumetrica alternativa a doppio effetto ad azione diretta. Cilindro motore a vapore; 2. Cilindro pompa.

l.

si ha infatti che all'inizio della corsa aspirante l'accelerazione è massima e la pressione del liquido minima, mentre quest'ultima risulta massima all'inizio della mandata. La pressione del liquido tende quindi a variare durante la corsa, ed in maniera tanto maggiore quanto più elevati sono il numero di giri e la velocità media dello stantuffo. Anche la portata erogata è variabile, risultando nulla durante la fase di p

3

p

2

4 v

Fig. X l l .7 - Diagramma di riferimento nel p i a n o p V di una pompa v o l u m e t rica alternativa. l . Valvola di aspirazione; 2. Valvola di mandata.

4'

v

Fig. XII.8 - Diagramma di riferimento nel p i a n o p V di u n a p o m p a v o l u m e trica alternativa in presenza di perdite. l . Valvola di aspirazione; 2. Valvola di mandata.

Pompe

� y

l .,

mandata

� �

.le

i nt roduzione

-l

]o

563

m

Fig. X l l .9 - Andamento della portata relativo a due corse dello stantuffo i n una pompa volumetrica alternativa a semplice e ffetto.

aspirazione in una pompa a semplice effetto, mentre varia con legge uguale a quella della velocità dello stantuffo durante la mandata. L'andamento della portata durante le due corse è riportato nel grafico di fig. XII.9 nel quale è stata tracciata anche la retta di compenso la cui ordinata individua la portata media Q,. Per regolarizzare quindi il moto del liquido nelle tubazioni, oltre a contenere la velocità media dello stantuffo entro valori oscillanti di solito sui 0,4 + 3 m/s, si usa inserire nelle tubazioni stesse delle casse d'aria secondo schemi del tipo di fig. XII. l O. Senza entrare in analisi teoriche di questo particolare dispositivo, si può dire che le due casse d'aria dividono il circuito in tre tratti: nel primo e nel terzo l'acqua fluisce con velocità pressoché costante, mentre nel tratto intermedio 4

3

Fig. X I LJ U - Disposizione delle casse d·aria l ungo un circuito di sollevamento acqua che impiega una pompa volumetrica alternativa. l. Serbatoio inferiore; 2. Cassa aspirante; 3. Pompa; 4. Cassa premente; 5. Serbatoio superiore.

564

Macchine

Fig. X I I . l l - Impianto con pompa volumetrica alternativa per la fornitura di acqua per uso domestico. l . Motore elettrico; 2. Ridultore.

compreso tra le due casse subisce l'influenza della legge a cui è sottoposto il moto dello stantuffo. In pratica, durante la fase di aspirazione il livello nella cassa 2 scende risalendo poi durante la mandata quando l'eccesso di portata rispetto al valore medio Q, (Fig. X I 1 .9) penetra nella cassa 4 elevandone il livello. Queste periodiche variazioni di livello, se le casse sono adeguatamente dimensionate (di solito da 2 + 3 volte fino a 1 0 volte il volume della cilindrata della pompa per la cassa di mandata e valori inferiori per quella di aspirazione), possono assorbire in maniera soddisfacente le fluttuazioni di portata e di pressione, realizzando nelle tubazioni un moto abbastanza regolare. Una delle caratteristiche peculiari delle pompe alternative è quella di fornire valori molto elevati della prevalenza, sia pure in un campo piuttosto limitato di portate che difficilmente superano i 200 m3/h. Infatti, contrariamente a quanto si verifica, come si vedrà, per le pompe dinamiche, la prevalenza delle pompe alternative è indipendente dalla velocità di rotazione ma è imposta da fattori esterni quali gli elementi presenti nel condotto di mandata che determinano appunto il valore della prevalenza della pompa. Per tale motivo, allo scopo di evitare nel cilindro aumenti eccessivi di pressione dovuti a resistenze anomale alla mandata, viene sempre prevista una valvola di sicurezza sul condotto di mandata. La portata volumetrica, direttamente proporzionale alla velocità di rotazione

Pompe

Q

Fig. X I I . 1 2 Andamento della prevalenza totale H, in funzione della portata Q i n una pompa volumetrica alternativa. -

565

Fig. X l l . l 3 Pompa volumetrica alter­ nativa a diaframma. l . Motore elettrico; 2. Riduttore; 3. Dia­ framma. -

n ed alle dimensioni del cilindro, non può raggiungere gli elevati valori tipici delle

pompe dinamiche in quanto l'aumento del numero di giri e della cilindrata comporta, ai punti morti, un incremento delle forze di inerzia relative agli organi dotati di moto alterno con conseguente aumento delle sollecitazioni meccaniche che possono raggiungere valori inaccettabili. Vengono pertanto imposte alla pompa velocità di rotazione modeste che richiedono la presenza di un riduttore tra motore e pompa (Fig. XII . ll ) con conseguente aumento dei costi. In fig. XII.12 si riporta l'andamento della prevalenza totale H, in funzione della portata volumetrica Q per differenti valori della velocità di rotazione n. Si nota come la portata si riduce leggermente con la prevalenza in quanto un aumento di que­ st'ultima comporta un aumento dei trafilamenti dovuto alla più ridotta tenuta stantuffo-cilindro e ad un aumento del riflusso nelle valvole. Tali perdite vengono considerate nel rendimento volumetrico della pompa che tiene conto del fatto che la massa di liquido effettivamente erogata è minore di quella teorica a causa, tra l'altro, sia delle perdite per fughe attraverso i giochi tra parti fisse e parti mobili della macchina, sia del volume eventualmente occupato dall'aria che si sviluppa durante la fase di aspirazione e che rimane disciolta nell'acqua, sia infine a causa di una pur parziale evaporazione, possibile quando la temperatura di ingresso del liquido è piuttosto elevata.

Pompe a membrana o a diaframma

La pompa a diaframma è costituita da una membrana flessibile di gomma, cuoio o fibre sintetiche (te.flon) che viene forzata a deformarsi alternativamente in un senso e nel senso opposto rispetto alla posizione di riposo da un'asta che può essere collegata ad un sistema biella-manovella. La deformazione della mem­ brana può anche essere provocata da un liquido (Fig. XII . 1 3 ) a sua volta spostato da un pistone.

566

Macchine

Usate in genere per prevalenze modeste e comunque dipendenti dal materiale che costituisce la membrana, hanno il vantaggio, rispetto alle pompe a stantuffo, della perfetta tenuta tra elemento mobile e cilindro consentendo anche di pompare liquidi sabbiosi o aggressivi quali ad esempio fanghi industriali e municipali. Le pompe a membrana, grazie alla costanza della portata al variare della pressione di mandata, possono fungere da strumenti di misurazione della portata (pompe dosatrici) che viene variata solo modificando la velocità di rotazione.

XII.3. Pompe volumetriche rotative - Generalità Le pompe volumetriche rotative sono caratterizzate dal fatto di erogare una portata costante e pertanto, al contrario delle pompe alternative, non richiedono la presenza di casse d'aria lungo il circuito. Sono adatte ad elaborare portate più e levate delle macchine alternative ma con prevalenze più modeste. Analogamente ai compressori rotativi, sono costituite da una cassa nel cui interno ruotano, con moto continuo, uno o più organi di forma variabile a seconda del tipo di pompa. Si hanno così, ad esempio, le pompe con rotori a lobi, con rotori a palette mobili radialmente, con rotori a vite elicoidale. La rotazione consente di affidare la distribuzione del fluido, anziché a valvole come nel caso delle pompe alternative, a luci che collegano, negli istanti voluti, al condotto di aspirazione l a camera a volume variabile, quando questa aumenta di volume, ed al condotto di mandata quando il suo volume va diminuendo. Per realizzare un buon funzionamento occorre che le superfici continuamente a contatto con il fluido siano sempre pulitissime e che il gioco fra di esse sia molto piccolo; di conseguenza sono particolarmente adatte ad elaborare oli fluidi auto­ lubrificanti e sufficientemente viscosi per evitare perdite. Alle alte e medie velocità le pompe rotative hanno un buon rendimento volumetrico se elaborano liquidi a media viscosità; per avere un buon rendimento volumetrico alle basse velocità occorre che il liquido sia molto viscoso. Si ricorda infatti che sul valore del rendimento di una pompa volumetrica pesa in modo significativo il riflusso di quella parte di fluido che, sfuggita attraverso i giochi, passa dalla mandata all'aspirazione. Queste fughe sono tanto maggiori quanto maggiore è la preva­ lenza della pompa e quanto minore è la velocità di rotazione n perché in quest'ultimo caso aumenta l'incidenza percentuale delle fughe ( supposte costanti ) sulla portata alla mandata, che diminuisce al diminuire di n .

XII.3 . 1 . Pompe a lobi Una pompa a lobi (Fig. XII.l4) è costituita da due parti fondamentali: la due rotori che nel caso in esame

camera di lavoro, nella quale vanno alloggiati i

Pompe

567

sono provvisti di tre lobi ciascuno, e la scatola di trasnusswne, separata dalla camera di lavoro, nella quale sono sistemati due alberi paralleli muniti di ingra­ naggi esterni che mettono in rotazione i rotori lobati montati a sbalzo sugli alberi. La separazione tra camera di lavoro e scatola di trasmissione consente un facile smontaggio per l 'ispezione e la pulizia della pompa. I due alberi di trasmissione sono supportati da cuscinetti volventi montati nella scatola la quale contiene altresì l 'olio per garantire la lubrificazione dei supporti e degli ingranaggi. In fig. XII . 1 5 viene rappresentato il principio di funzionamento di una pompa a lobi. I lobi, azionati dagli ingranaggi di trasmissione, generano una depressione nella camera di aspirazione per effetto della quale il liquido da pompare viene aspirato nei vani dei lobi e trasportato nel senso di rotazione per essere infine scaricato dalla camera di pressione che rimane separata dalla camera di aspirazione per la presenza dei lobi. Questi, comandati separatamente dalla coppia di ingranaggi

2

3

Fig. X I I . 1 4 [3] - Spaccato di una pompa volumetrica rotativa a lobi. l. Rotore a tre lobi; 2. Apertura di controllo; 3. Alberi di trasmissione; trasmissione; 5. Camera di lavoro; 6. Raccordo di collegamento.

4.

Scatola di

568

Macchine

Fig. X l l . 1 5 - Principio di funzionamento di una pompa volumetrica rotativa a lobi. a) Aspirazione; b) Trasferimento; c) Mandata.

esterni, girano senza contatto sui fianchi e non entrano in contatto alcuno con il corpo pompa con conseguente minima usura. La pompa a lobi, caratterizzata da un basso livello di rumorosità, fornisce una portata proporzionale alla velocità di rotazione con tempi di permanenza del fluido nella pompa molto ridotti; consente di pompare anche prodotti che conten­ gono solidi teneri in sospensione ( frutta, chicchi, carne tritata ) , liquidi abrasivi e liquidi che tendono a schiumare. Risulta pertanto particolarmente adatta per l'impiego nelle industrie alimentari, dolciarie e delle bevande e per alcune appli­ cazioni nell'industria chimica e farmaceutica. Nella tab. XII.l che segue si riportano alcuni tipici prodotti adatti ad essere trasferiti mediante una pompa a lobi. Tab. X I I . l - Alcuni prodotti tipici elaborati dalle pompe a lobi. Succhi di frutta

Mostarda

Shampoo

B irra B urro

Olio di cocco

Zuccheri

Caviale

Cioccolata

Cagliata

Yogurt

Latte

Detergenti

Maionese

Sangue

Vino

Marmel lata

G l ucosio

Saponi

Colle

Condimenti

Sciroppi

Resine

Acidi

Caramelle

Solventi

Alcool

Carni

Margarina

Lievito

Creme

Pasta

Esplosivi

Lozioni

Aromi

G licerina

Vernici

Salse

Emulsioni

Catrame

Siero

Pompe

569

XII.3.2. Pompe ad ingranaggi Particolarmente diffuse tra le pompe rotative sono le pompe ad ingranaggi di cui nelle figg. XII.l6 e XII.l7 si riportano rispettivamente uno spaccato ed una

Fig. XII. 1 6 (3] - Spaccato di una pompa volumetrica rotativa ad ingranaggi (MAAG).

sezione longitudinale. Il principio di funzionamento è illustrato invece nella fig. XII . 1 8. Il corpo interno della pompa è come sempre collegato con le tubazioni di aspirazione e di mandata ai due lati dell'ingranamento. La compressione del

Fig. X I I . l 7 - Sezione longitudinale di una pompa volumetrica rotativa ad ingranaggi. l. Corpo pompa; 2. Coperchio lato motore di azionamento; 3. Coperchio di chiusura; 4. Rotori dentati; 5. Boccola; 6. Anello di tenuta; 7. Guarnizione.

570

Macchine

b)

a)

c)

hg. X I I . J 8 Principio d i funzionamento d i una pompa volumetrica rotativ a ad ingra­ naggi. a) Aspirazione; b) Trasferimento; c) Mandata. -

fluido avviene in queste pompe per il semplice spostamento delle quantità intrap­ polate tra i denti e la cassa dalla capacità all'aspirazione a quella di mandata (Fig. XII . 1 8) . I l corpo della pompa, generalmente in ghisa, è lavorato all'interno molto accuratamente in maniera da consentire la maggiore riduzione possibile dei giochi tra lo statore ed i rotori della pompa con il raggiungimento di elevati rendimenti volumetrici. Le pompe ad ingranaggi vengono impiegate soprattutto nel pompaggio di differenti tipi di oli leggieri e pesanti per alimento bruciatori, oli di lubrificazione, oli sintetici o per applicazioni oleodinamiche con viscosità da l a 100.000 mPa·s ( centiPoise ?. Anche grassi ed oli vegetali, soluzioni zuccherine, polimeri ad alta viscosità ed acetati di cellulosa con viscosità fino a 5.000.000 di mPa·s possono essere trattati da questo tipo di pompa la cui pressione di mandata può raggiun­ gere alcune decine di bar. 3 L'esperienza mostra che la forza tangenziale F(N] che bisogna applicare ad uno strato di fluido di superficie A [ m 2] affinché si mantenga in moto con velocità v[m/s] rispetto ad un altro strato parallelo a distanza /[m] è proporzionale sia alla superficie A che alla velocità v ed è inversamente proporzionale alla distanza /, giusta la relazione: F cost A vii. La costante di proporzionalità prende il nome eli viscosità dinamica J.L del fluido e si esprime, nelle unità coerenti del Sistema Internazionale in (N/m 2 )•s cioè in Pa•s. Molto usato è anche il poise (simbolo P) pari a 0,1 Pa·s; da qui discende immediatamente che l centipoise, cioè O,OOl Pa·s, è uguale a l m Pa·s. A titolo indicativo si ricorda che la viscosità dinamica dell'acqua a pressione atmosferica ed alla temperatura di 20° C è pari a 1 0-3 Pa·s = l mPa·s 1 cP. D ividendo la viscosità dinamica J.L[Pa·s] per la densità g [kg/m 3 ] si ha la viscosità cinematica v (così chiamata in quanto, contrariamente alla viscosità dinamica, non considera la massa) che si misura evidentemente in m2/s. Assai usati sono anche lo stokes (simbolo St) pari a 1 0__, m 2/s ed il cemistokes. È facile dedurre che l eSt O,O l St 1 0-6 m 2/s l mm2/s. Tenendo conto che la densità dell'acqua a pressione atmosferica ed alla temperatura di 20°C è all'incirca pari a 1 03 kg/m 3, segue che la viscosità cinematica v dell'acqua, in tali condizioni, è pari a lcSt. =

=

=

=

=

Pompe

571

Nella tab. XII.2 s i elencano numerosi prodotti che possono essere elaborati dalle pompe ad ingranaggi alcuni dei quali, come è facile intuire, presentano elevati valori della viscosità. Tab. XII.2 (3]

-

Alcuni prodotti tipici elaborati dalle pompe ad ingranaggi.

Prodotti alimentari

Bevande

Aceto Caramellato Carne tritata Cioccolata Concentrato di pomodoro Concentrato per dadi Creme Formaggio fondente Gelatina Gelato Grasso Latte condensato Lievito Maionese Malto Marmellata Miele

Acqua Birra Concentrato di frutta

Cera Detersivi

Latte Liquori Sciroppo Succo di frutta Succo di pomodoro Vino

Lattice Materie plastiche

Olio alimentare Pasta

Cosmetici

Emulsioni per pellicole

Farmaceutici

Disinfettanti Olio Siero Vaselina

Crema da barba Crema per pelle Dentifricio Deodorante Profumo Sapone Shampoo

Ricotta Ripieno per cioccolatini Ripieno per insaccati Senape Soluzioni zuccherine Uova Yogurt

Chimica

Diversi

Colle Paste di cellulosa Sangue Vernici

572

Macchine

Fig. X II . 1 9 [2] Schema di una pompa volumetrica rotativa a palette mobili. Statore; 2. L uce di aspirazione; 3. L uce di mandata; 4. Rotore; 5. Paletta.

l.

-

XII.3.3. Pompe a palette mobili Nella forma più semplice sono costituite da uno statore l (Fig. XII. 19) nel quale sono ricavate le luci di aspirazione 2 e di mandata 3; all'interno si trova un rotore 4, in genere di forma circolare con l'asse spostato rispetto all'asse dello statore, nel quale sono ricavate delle scanalatature, solitamente radiali, entro cui scorrono delle palette 5 che definiscono un certo numero di camere a volume variabile per i tratti nei quali rimangono in comunicazione con le luci di aspira­ zione e di mandata. Le palette sono mantenute contro la superficie fissa per effetto della forza centrifuga e di eventuali sistemi aggiuntivi quali molle o la stessa pressione di mandata. I sistemi a molla o a pressione di mandata fanno sì che le pompe possano funzionare con buon rendimento volumetrico anche a bassi regimi di rotazione, come invece non avviene per i tipi in cui le palette risultano premute contro la pista di strisciamento dalla sola forza centrifuga. Le palette possono avere l a semplice forma rettangolare ( Fig. XII.l 9) o smussata, oppure forme più complesse per migliorarne la tenuta e diminuirne sollecitazioni ed usura.

XII.3.4. Pompe a rotore flessibile In tali pompe (Fig. XII.20) il rotore è costituito da materiale deformabile (gomma o altri elastomeri a seconda della compatibilità con il fluido elaborato) nel quale sono direttamente ricavate delle sporgenze radiali che hanno la fun­ zione delle palette della pompa descritta precedentemente, ripiegandosi o esten­ dendosi in modo da seguire il profilo dello statore. Queste pompe hanno il vantaggio di presentare un limite automatico alla prevalenza che, se raggiunge valori troppo elevati, fa staccare le sporgenze dallo statore.

Pompe

573

Fig. X I I .20 [2] - Schema di una pompa volumetrica rotativa a rotore flessibile.

XII.3.5. Pompe peristaltiche In tali pompe il fluido attraversa un condotto elastico fissato alle due estre­ mità (Fig. XII.21 ). Sul condotto agiscono due o più rulli che sono collegati con l'albero di comando e deformano il condotto flessibile in modo da isolare le due parti a pressioni diverse e provocarne la variazione di volume.

Fig. X I I . 2 1 - Schema di una pompa volumetrica rotativa peristaltica.

XII.3.6. Pompe a vite Le pompe a vite sono particolari pompe volumetriche rotative caratterizzate dal fatto che il fluido trattato si muove in direzione assiale lungo gli elementi pompanti costituiti da due o più rotori a vite elicoidale. La soluzione ottimale è in genere a tre rotori (Fig. XII.22) dei quali quello centrale è collegato al motore di azionamento della pompa mentre i due laterali vengono trascinati in rotazione dal rotore centrale e formano con quest'ultimo delle capacità che si spostano in direzione parallela all'asse di rotazione della macchina e lungo le quali il fluido trattato procede dalla bocca di introduzione, sistemata ad un'estremità della pompa, verso quella di mandata che è sistemata all'estremità opposta. In pratica esistono due tipi fondamentali di tali pompe. Il primo riguarda la pompa a vite con cuscinetti interni adoperata quando si elaborano fluidi con proprietà lubrifi-

574

Macchine

canti che provvedono quindi ad effettuare la lubrificazione dei cuscinetti stessi; l 'altro tipo riguarda la pompa a vite con cuscinetti esterni, adatta per liquidi che, non avendo proprietà lubrificanti, non devono venire in contatto con i cuscinetti. Le pompe a vite sono in grado di elaborare fluidi che presentano valori della viscosità molto diversi, dalle benzine alla melassa, con pressioni di mandata fino a 350 bar e portate di oltre 1 .200 m3/h. La prevalenza fornita dipende dalla forma della vite, dal numero delle camere costituite dalla filettatura e dalle tolleranze corrispondenti; all'aumentare della lunghezza della vite, inoltre, migliora la te­ nuta, quindi il rendimento volumetrico e la prevalenza aumenta. Il particolare vantaggio di queste pompe, rispetto a quelle alternative e a

Fig. X I I.22 Spaccato di una pompa volumetrica rotativa a vite a tre rotori. l. Corpo pompa; 2. Serie di viti; 3. Cuscinetti a strisciamento; 4. Anelli di centratura; 5. Coperchio anteriore; 6. Coperchio posteriore; 7. Cuscinetto radiale a sfere; 8. Anello di tenuta strisciante; 9. A nello Seeger; 1 0. Dado scanalato; 11. Rondella di sicurezza; 12. Basamento pompa; 13. Corpo valvola; 1 4. Sede valvola; 15. Tampone valvola; 1 6. Piatto portamolle; 1 7. Molla valvola; 18. Vite di taratura; 1 9. A nello Seeger; 20. A nello di tenuta; 21. Coperchio di chiusura; 22. Spina di fissaggio; 23. Volantino; 24. Albero di regolazione; 25. A nello di tenuta; 26. Collare di riscontro. -

Pompe

575

quelle centrifughe, risiede nel fatto che il convogliamento del fluido avviene con continuità, senza pulsazioni, moti turbolenti, vortici o formazioni di schiuma che sono assolutamente da evitarsi quando si trattano oli lubrificanti, per comandi idraulici, da riscaldamento, ecc. Inoltre, a causa della modesta inerzia delle parti rotanti, le pompe a vite possono operare a velocità di rotazione maggiori (fino a 10.000 giri/min) rispetto alle altre pompe rotative, e naturalmente a quelle alter­ native, il che consente l'accoppiamento diretto con motori elettrici o turbine a vapore. Infine, sono altamente affidabili poiché le tre viti non sono affette da usura dovuta a strisciamento in quanto ruotano senza contatto diretto. La vita della pompa dunque, a parte le tenute meccaniche, è condizionata solo dal tipo di liquido pompato. Si ritiene opportuno a questo punto precisare che, mentre la maggior parte delle pompe illustrate precedentemente presenta caratteristiche di funzionamento a basso rendimento, dovuto essenzialmente al loro principio di funzionamento che non ne consente una schematizzazione semplice e corretta e quindi la precisa­ zione di un disegno di buon rendimento, le pompe a vite sono invece le più prossime ad una possibilità di descrizione analitica il che consente la realizzazione di un disegno di buon rendimento. I campi nei quali più frequentemente trovano applicazione le pompe a vite vengono sinteticamente indicati attraverso la fig. XII.23 dalla quale si deduce la grande versatilità di questo tipo di pompa sia riguardo ai differenti servizi, sia riguardo ai diversi tipi di fluido e laborati. Sempre con riferimento alla fig. XII.23, si illustrano alcune applicazioni delle pompe a vite: a) sistemi di lubrificazione per motori diesel, turbine, compressori e trasmis­ sioni ad ingranaggi; b) servizi di tenuta per compressori, turbogeneratori, ecc.;

m g g � a)

b)

f)

e)

c)

·

g)

d)

i)

Fig. X II.23 Illustrazione dei campi di più frequente applicazione delle pompe volu­ metriche rotative a vite. -

576

Macchine

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

Fig. XI I .24 Spaccato di una pompa volumetrica rotativa Mohno. l. Corpo terminale; 2. Rotore; 3 . Statore; 4 . Snodi; 5. Corpo pompa; 6. Asta di accoppiamento; 7. Coperchio di ispezione; 8. Tenuta meccanica; 9. Treccia premistoppa; 10. Corpo portacuscinetti; 11. A lbero di comando. -

c ) comandi idraulici per presse, macchine utensili, treni di laminazione, sistemi di ribaltamento, ascensori, eliche a passo orientabile, verricelli, ecc.; d) servizi diversi per applicazioni terrestri e di bordo; e) servizi di travaso liquidi; f) sistemi di regolazione idraulica; g) servizi di alimento e spinta n afta; h) servizi di raffineria ed industria petrolifera; i) industria alimentare.

XII.3.7. Pompe Mohno La pompa Mohno (Fig. XII.24) è una pompa volumetrica rotativa le cui parti principali sono costituite da uno statore e da un rotore. Il rotore può essere considerato come una vite filettata arrotondata ad un principio di passo molto elevato, elevata profondità delle spire e diametro del nucleo estremamente pic­ colo. Lo statore, che può essere inteso come il dado nel quale si avvita il rotore, è costituito internamente da una filettatura tonda a due principi ad accentuata profòndità della gola di passo doppio rispetto a quello del rotore. In tal modo tra lo statore ed il rotore, che girando compie contemporaneamente un movimento radiale, si formano delle camere o cavità di trasporto che si spostano di continuo in senso assiale dal lato aspirazione al lato mandata. Si ottiene così una portata direttamente proporzionale al regime di rotazione, estremamente regolare, ero­ gata con continuità, senza turbolenza e agitazione in modo da non compromet­ tere le caratteristiche chimiche, fisiche ed organolettiche dei fluidi trattati. La pompa Mohno è di semplice costruzione, estremamente affidabile anche per l'assenza di valvole di immissione e di mandata, robusta ed economica. Coperchi

Pompe

577

di ispezione, di cui è dotato il corpo pompa, rendono più semplici le operazioni di riparazione e di manutenzione. La capacità di trasferire prodotti ad altissima viscosità ed anche fluidi che contengono particelle solide o fibrose o anche gas conferisce grande versatilità a questo tipo di pompa che può essere impiegata nel settore della chimica, nel trattamento delle acque di scarico, nell'industria della carta e della ceramica, nei cantieri navali, nell'industria estrattiva, in quella alimentare, nell'industria fanna­ ceutica e cosmetica, dei colori, delle vernici e delle resine sintetiche, nella lavora­ zione del pesce, nell'industria delle bevande, nella fabbrica di conserve, nella viticultura e nelle distillerie, nella fabbricazione della birra, negli zuccherifici, nelle fabbriche di amido, nei macelli, nell'industria delle materie sintetiche, nell'agricoltura, ecc. I fluidi più frequentemente elaborati sono pertanto liquidi densi e viscosi in genere, oli minerali e vegetali, paste dentifricie, melassa, creme di bellezza, vini, latte, panna, impasti vari, succhi di frutta, acque minerali, impasti ceramici ed argillosi, fanghi anche con tendenza a formare filamenti fino ad una consistenza palpabile quali quelli provenienti da centrifughe, da filtri sotto vuoto e da filtri pressa. Grande interesse infine riveste l 'applicazione delle pompe Mohno nell'indu­ stria navale, in particolare come pompe di sentina. È determinante infatti, per queste pompe, aspirare e trattare senza anomalie di funzionamento acqua sporca contenente olio. È inoltre importante trattare delicatamente quest'acqua di sen­ tina, la quale deve essere poi elaborata nei separatori, affinché la separazione stessa possa avvenire in maniera veloce ed ineccepibile. Durante il trasporto l'acqua di sentina non viene sottoposta a miscelazione violenta non soltanto perché la pompa Mohno lavora senza pulsazioni e non centrifuga il fluido, ma anche perché la geometria dello statore e del rotore, che sono gli elementi di

-2 3

a)

b)

Fig. Xll .25 - Rappresentazione schematica di una pompa centrifuga senza diffusore (a) e con diffusore ( b ) . l . Diffusore; 2 . Girante; 3 . Voluta di scarico.

578

Macchine

trasporto, è tale da garantire un flusso ed una velocità nella pompa estremamente favorevoli. Allo stato attuale della tecnica la pompa Mohno è in grado di elaborare portate volumetriche che vanno da pochi cm3/min fino a 400 m3/h circa con pressioni di mandata che raggiungono 1 60 bar. I valori massimi della differenza di pressione tra aspirazione e mandata sono di poco superiori a 70 bar.

XII.4. Pompe centrifughe - Descrizione del funzionamento e campi di applicazione Una pompa centrifuga, anche se può presentare configurazioni molto diversi­ ficate a seconda del servizio al quale è destinata, è costituita essenzialmente dai seguenti elementi (Fig. XII.25): - una girante, che trasferisce al liquido l'energia meccanica prelevata dall'e­ sterno; - un diffusore, che può essere costituito da una semplice cassa a spirale (Fig. XII.25a) o da una corona di pale fisse (Fig. XII.25b) che delimitano condotti divergenti nel senso del moto, destinati alla trasformazione di energia cinetica in energia di pressione, seguiti a loro volta dalla cassa a spirale che ha sia la funzione di recupero dell'energia cinetica (analogamente al diffusore) , sia la funzione di convogliare il fluido alla tubazione di mandata. In genere il diffusore è sempre presente quando la prevalenza supera determinati valori; - un corpo esterno al quale si collegano le tubazioni di aspirazione e di man­ data, con gli alloggiamenti per i cuscinetti portanti e di spinta, per i coperchi laterali e per le tenute dell'albero. Analogamente a quanto si verifica nei compressori centrifughi, anche nelle pompe l'energia meccanica prelevata dalla girante viene ceduta al fluido determi­ nando sia un aumento della pressione che un incremento della velocità assoluta in misura dipendente dal grado di reazione R della girante. La vena liquida che esce dalla girante a velocità elevata viene decelerata gradualmente nel diffusore - o nella cassa a spirale se quest'ultimo manca - con conseguente trasforma­ zione dell'energia cinetica in energia di pressione. La pompa centrifuga è la più diffusa macchina idraulica operatrice. Il suo campo d'impiego è vastissimo, ed invade sempre più quello delle macchine volumetriche alternative le quali sono state confinate in quei campi di applica­ zione che richiedono pressioni estremamente elevate con portate modeste, ov­ vero quando la viscosità del fluido elaborato è tanto elevata da non rendere favorevole l'utilizzazione della pompa centrifuga. Tale tipo di macchina può elaborare fluidi di natura molto variabile quali l'acqua dolce o di mare, gli idrocarburi, le soluzioni ed i prodotti più disparati

Pompe

579

dell'industria chimica con pressioni oggi superiori a 400 bar, temperature da lOOoC a 400oC e portate oltre i 1 50.000 m%. Tale versatilità giustifica la grande varietà dei campi di applicazione della pompa centrifuga: viene impiegata per servizio continuo nelle raffinerie, negli impianti chimici, negli impianti di accumulazione ed in quelli di irrigazione, nel servizio alimento caldaie, iniezione acqua, trasferimento di prodotti petroliferi in oleodotti e dovunque vengano richieste affidabilità e sicurezza di funzionamento. Si trovano così da un lato macchine estremamente semplici, quali quelle adope­ rate in applicazioni domestiche (ad es. la pompa di una lavatrice) , che assorbono potenze di pochi W, e macchine di caratteristiche particolarmente spinte come la pompa di qualche impianto di accumulazione che può assorbire oltre 1 00 MW. Lo sviluppo delle pompe centrifughe può ascriversi a diversi fattori: - possibilità di accoppiamento a motori veloci di ogni tipo (elettrici, diesel, turbine a vapore, turbine a gas); - facilità di regolazione e rendimenti elevati che, nelle macchine più grandi, superano il 90 % ; - ingombro modesto e costo contenuto i n relazione alle prestazioni; - limitato numero di parti mobili, dotate peraltro di moto continuo, da cut derivano grande semplicità costruttiva e sicurezza di esercizio.

XII.4. 1 . Curve caratteristiche Per la determinazione della caratteristica interna di una pompa centrifuga si segue lo stesso procedimento adoperato per i compressori al par. X I.4. 1 . Infatti anche per le pompe si parte dalla relazione di Eulero ( 4-47' ) che, esprimendo esclusivamente attraverso grandezze geometriche e cinematiche relative alla gi­ rante il lavoro trasferito dalla girante al fluido e viceversa, resta valida indipen­ dentemente dal tipo di fluido elaborato, liquido o gassoso che sia. Pertanto, nell'ipotesi in genere verificata che il vettore velocità assoluta c, del fluido in ingresso alla girante risulti ortogonale alla velocità periferica u, di questa (Fig. XII.26), anche per le pompe si verifica che il lavoro trasferito a ciascun chilopond di fluido vale: L = -

- u ? c? c o s a? g - -

l

[ ] kpm kp

--

( 12- 1 3)

e quindi la carattenst1ca interna teorica di una pompa, per una determinata velocità di rotazione, presenta andamento crescente, costante o decrescente con la portata volumetrica a seconda se le pale della girante sono rivolte in avanti rispetto al verso di rotazione, radiali o rivolte all'indietro (Fig. X I I .27) . Si ritiene opportuno ricordare che la caratteristica interna · teorica rappresenta il lavoro

580

Macchine

Fig. X II.26 - Girante di pompa centrifuga con i triangoli di velocità in ingresso ed in uscita.

meccanico trasferito all'unità di peso del fluido che attraversa la girante e che tale l avoro meccanico, nel caso di funzionamento ideale senza perdite, ovvero senza degradazioni di energia, coincide con la prevalenza totale H, definita al par. XII. l . N e l funzionamento reale, però, bisogna tener conto dell'aliquota d i lavoro mecca­ nico speso, quindi degradato, per vincere le resistenze dovute agli attriti del fluido nella macchina e per gli urti del fluido sulla palettatura quando non si funziona alla portata di progetto. Sottraendo pertanto alla caratteristica interna teorica il lavoro speso per vincere gli attriti, si perviene alla caratteristica interna reale della pompa che evidentemente non rappresenta più tutto il lavoro mecca­ nico trasferito all'unità di peso ma solo quell'aliquota che si ritrova in seno al fluido nella forma indegradata di energia di prima specie (Fig. XII.28). Per ogni c

n = cost Q

Fig. XII.27 - Andamento in funzione della portata Q del lavoro L trasferito al fluido da una girante con pale rivolte all'indietro rispetto al verso di rotazione (a), radiali (b) o rivolte in avanti (c).

Pompe

L

c

581

a

c

n = cost

A

Q

Fig. X I I .28 - Caratteristica teorica e caratteristica reale di una girante centrifuga con pale rivolte all'indietro rispetto al verso di rotazione. a) Lavoro meccanico effettivamente prelevato dall'esterno e trasferito integralmente al fluido; b) Aliquota de/ lavoro meccanico prelevato dall'esterno che viene trasferita al fluido nella forma indegradata di energia di pri:na specie e che dà luogo alla prevalenza totale H, ; c) A liquota del lavoro meccanico prelevato dall'esterno che viene spesa per vincere gli al/riti e pertanto trasferita al fluido nella forma degradata di energia termica.

valore della portata, quindi, la prevalenza totale H, risulta, nel caso reale, minore del lavoro meccanico trasferito al fluido. Sempre con riferimento alla fig. XII.28 è immediato individuare nel rapporto dei segmenti ABIAC il rendimento 11,, della pompa. Nell'ipotesi che le bocche di aspirazione e di mandata della pompa abbiano lo stesso diametro e che si trovino alla stessa quota rispetto ad un piano di riferimento, la prevalenza totale H, coincide, per la ( 12-4), con la prevalenza manometrica H"'4 e si ha quindi: l}.

p y

H

( 12-14)

Nel diagramma di fig. XII.29 si riporta la caratteristica interna reale di una pompa centrifuga, la cui girante ha un diametro esterno D2 pari a 240 mm, in corrispondenza della velocità di rotazione di 2.900 giri/min. Con riferimento al diagramma di fig. XII.29 si ritiene opportuno fare alcune considerazioni: la curva

4

Tale ipotesi, peraltro frequentemente verificata, si riterrà sempre valida nel prosieguo di questa trattazione nella quale la prevalenza totale H" coincidente con la prevalenza manometrica H," verrà denominata prevalenza ed indicata con f-1.

582

Macchine 100-r---r-----.---,---,

H [m)

4 0+----r---�---+--� o 50 100 Fig. X II .29 - Caratteristica interna d i una pompa centrifuga la cui girante ha un diametro esterno D2 pari a 240 mm e ruota a 2.900 giri/min.

tracciata è la caratteristica interna reale, quindi non rappresenta tutto il lavoro trasferito a ciascun chilopond di fluido, ma solo quell'aliquota che si ritrova in seno allo stesso nella forma indegradata di energia meccanica. Poiché nel dia­ gramma citato non è riportata anche la caratteristica interna teorica, vale a dire tutto il lavoro prelevato dall'esterno e complessivamente trasferito a ciascun chilopond di fluido, non è possibile valutare il rendimento della pompa essendo sconosciuto il denominatore della ( 1 2-9). La curva riportata in fig. XII.29 dipende essenzialmente, come più volte ricordato, dalla geometria della girante, individuata dal valore del diametro esterno D2 e dalla forma delle pale, nonché dalla velocità di rotazione n, ma prescinde dal tipo di fluido elaborato'. Questo vuoi dire, sempre con riferimento alla fig. XII.29, che se la pompa è attraversata da una portata ad es. di 1 60 m% di acqua (peso specifico y = 1 .000 kp/m3) ciascun kp di acqua incamera energia meccanica, quindi di prima specie, pari a 60 kpm; ma se successivamente la stessa pompa elabora una portata di 1 60 m3/h di alcool ( y = 800 kp/m3 ) e poi una portata di 1 60 m% di trielina ( y = 1 .500 kp/m3) ciascun kp di alcool e ciascun kp di trielina incamererà sotto forma di energia meccanica gli stessi 60 kpm incamerati dal kp di acqua. Tale energia può consentire allora sia al kp di acqua, sia al kp di

5 In effetti, se cambiando il tipo di fluido cambia in maniera apprezzabile anche la viscosità, si ha una variazione del valore delle perdite nella pompa e quindi il discorso non è più rigorosamente valido.

Pompe

583

alcool, sia al kp di trielina di sollevarsi di 60 m6, il che è perfettamente verificato se a valle della pompa si dispone una tubazione verticale così come riportato in fig. X I I .30. In conclusione, in corrispondenza di un assegnato valore della portata Q e della velocità di rotazione n, il liquido elaborato dalla pompa, qualunque esso sia, può raggiungere, una volta uscito dalla macchina, sempre la stessa altezza il cui valore, espresso in metri, è pari al valore della prevalenza, espresso anch'esso in metri, fornita dalla pompa per quegli assegnati valori di Q e di n. In altre parole,

la prevalenza

è

indipendente dal peso specifico del liquido trattato. 60 m

60 m

X = 800 k p t m 3

E

A l c oo l

N

a. u

.>< co "'

a.

Acqua

]l' = 1000 k p t m

3

- - - - --

-

E

N

a. u

.>< oD " a.

r r ·l .. l i n a



=

1 500 k p t m 3

- - -

::

a. .>< "' a.

-

Fig. X l l .30 - Rappresentazione dell'altezza raggi unta da tre colonne eli fluidi carat­ terizzati da differenti valori del peso specifico y ed elaborati dalla stessa pompa.

Il discorso è diverso però se si vuole valutare l'incremento di pressione !'!.p registrato nei tre differenti liquidi nell'attraversamento della pompa ed è facil e prevedere che esso sarà tanto maggiore quanto maggiore è i l peso specifico del liquido trattato. Supponendo infatti che le tre tubazioni di fig. X I I .30 nelle quali si trovano i tre differenti liquidi abbiano la sezione di 1 m2 , accade che alla base della colonna di liquido contenente alcool agirà una pressione p,., il cui valore si ottiene dividendo il peso della colonna liquida per la superficie di l m2 su cui esso grava. Sarà dunque: P at

( 1 ·60) m3 800 kp/m 3 l m2

Con analogo ragionamento si perviene ai valori delle pressioni p,. e p, agenti alla base delle tubazioni contenenti rispettivamente acqua e trielina:

6

Per sollevare di 60 m il peso di l kp è necessario infatti somministrare un lavoro di 60 kpm .

584

Macchine

60·

l 03 kp/m 2

p 1 = 60· 1 .500 = 90·

l 03 kp/m 2

pa

=

60· 1 .000

=

A conclusioni analoghe si perviene attraverso la definizione di prevalenza: H

=

( 1 2- 1 5)

6p !y

e dalla considerazione che, come ampiamente illustrato precedentemente, H rimane inalterata anche se cambia il liquido elaborato dalla pompa. Dalla ( 1 2- 1 5 ) è quindi immediato concludere che il 6p che s i registra n e l fluido tra monte e valle della pompa deve risultare tanto maggiore quanto maggiore è il peso specifico del liquido trattato. Disponendo infatti tre manometri alla base delle tre colonne di liquido, questi segnano valori crescenti della pressione (Fig. X I I .30) passando dall'alcool, all'acqua e poi alla trielina. È opportuno indagare infine sull'influenza che il tipo di fluido elaborato riveste nei confronti della potenza P assorbita dalla pompa, che può essere espressa mediante la relazione:

P =

O yH

.:::..___

1lp

[ k pm/s]

nella quale Q è espressa in m3/s, y in kp/m3 , della ( 1 2- 1 5 ) , mediante la relazione:

P

Q 6.p =

--

1lp

H

[ kpm/s]

( 1 2- 1 6)

in kpm/kp; ovvero, tenendo conto

( 1 2- 1 7)

2 nella quale Q è espressa ancora in m3/s, 6.p in kp/m • Da entrambe le relazioni ( 1 2- 1 6) e ( 1 2 - 1 7) discende che in corrispondenza di assegnati valori della portata volumetrica Q e della velocità di rotazione n, la potenza P varia linearmente con il peso specifico y del fluido trattato. Infatti, come illustrato precedentemente, per assegnati valori di Q e di n, la prevalenza H risulta indipendente da y e pertanto dalla relazione ( 1 2- 1 6) si deduce che la potenza P non può che variare linearmente con y; si è visto altresì che la differenza di pressione 6.p è direttamente proporzionale a y e quindi anche la relazione ( 1 2- 1 7) conferma la dipendenza da y della potenza P. Vale la pena osservare che questo risultato era largamente prevedibile dal momento che già nell'introduzione a questa Parte III è stato precisato che la potenza P assorbita da una macchina operatrice, compressore o pompa che sia, è espressa dal prodotto della portata ponderale (o massica) per il lavoro trasferito a

Pompe

585

ciascun kp (o kg) di fluido. Nel nostro caso la variazione di y, per assegnati valori di Q e di n, non altera H, non altera cioè il lavoro assorbito da ogni kp di fluido, ma agisce unicamente sulla portata ponderale Qy la cui variazione comporta la dimostrata variazione della potenza P. Si può dunque concludere che per assegnati valori della portata volumetrica Q e della velocità di rotazione n, una variazione del peso specifico y del fluido elaborato non altera la prevalenza H fornita dalla pompa, non altera cioè l'e­ nergia incamerata nella forma meccanica (di prima specie) da ciascun kp del fluido trattato, ma comporta una variazione nello stesso senso dell'incremento di pressione !1p misurato nel fluido tra monte e valle della pompa e della potenza P assorbita da quest'ultima. Alla luce di quanto esposto risulta evidente che se per una certa pompa, in corrispondenza di un assegnato valore della velocità di rotazione n, si vogliono diagrammare, in aggiunta all'andamento della prevalenza H, anche gli andamenti, in funzione della portata volumetrica Q, dell'incremento di pressione !1p regi­ strato nel fluido e della potenza P assorbita dalla pompa, è indispensabile cono­ scere il valore del peso specifico y del fluido trattato risultando i valori eli !1p e eli P dipendenti da y. A maggior chiarimento, nei diagrammi eli fig. XII.3 1 a e b si riportano rispetti­ vamente le prestazioni della pompa, la cui caratteristica interna reale è stata riportata in fig. XII.29, quando elabora alcool (y 800 kp/m3 ) e quando elabora trielina (y 1 .500 kp/m3 ). È immediato notare che il diagramma HQ è identico sia quando il fluido elaborato è alcool, sia quando è trielina in guanto la preva­ lenza H fornita dipende, come ripetutamente eletto, esclusivamente dalla geome­ tria della girante e dalla sua velocità eli rotazione e non già dalle caratteristiche del fluido elaborato. Il diagramma HQ ha dunque validità generale, nel senso che non è riferito acl un particolare fluido ma solo acl una ben definita girante. Si nota invece immediatamente che gli andamenti eli !1p e eli P in funzione eli Q sono, come preveclibile, sensibilmente diversi a seconda se la pompa elabora alcool o trielina e si nota altresì che i valori più elevati di !1p e di P si riferiscono ovviamente alla trielina cioè al liquido caratterizzato da un valore più elevato del peso specifico y. Tali diagrammi dunque, contrariamente al diagramma HQ, non hanno validità generale ma valgono solo per un determinato fluido caratterizzato da quel valore del peso specifico y che viene chiaramente indicato nei diagrammi stessi. Nessun valore di y è invece riportato nel diagramma HQ a conferma della indipendenza eli H da y. Così pure il diagramma che riporta l'andamento eli 11,, con Q non è riferito acl un particolare valore eli y ed ha quindi validità generale al pari del diagramma HQ in quanto il rendimento 11, risulta espresso dal rapporto: =

=

H L I/Ieee

( 1 2-9)

586

Macchine 100

Ì"---

BO



60

40

o

so

H

""'.

1 50 Q 1 m3/ h l

l

l





o

50

50

1 50 Q 1 m3/h l



200

2

o

50

100

60

45

o



yeov

50

100

'\p 0.70 0,60 0,5 o

l

0,40

o

l

150 Q [m3/h l

200

_...1-o-....-o-

o

0,60 0,50

l

0,40

100 a)

50

150 Q [ m3/h l

200

Fig. X I I .3 1 - Prestazioni di una stessa pompa a) A lcool; b) Trielina.

0,30

o

m

l l

50

1 500 kp/m3

100

'lp

0,70

l

50

,l

30

15

200

/



800 kp/m3

.--

15 0 Q 1 m 3/h l

v

45

0

200

0 � 1500 k p / m 3

p ! kW l

30

""'.

150 Q 1 m 3/ h l



10



100

100

ì-"--

,_____

60

0,30

o

4 6p

p { k Wl

15

��

60

l kp/cnf l

Dz : 2 4 0 m m 1 n :;: 2 9 0 0 gi ri/mi n



40

200

0 � 800 kp/m3

10

ì---

{ml BO

100

14

6p

l k p/c m 2 l

2

100

D 2 � 240 mm l n = 2 9 0 0 g i ri / m i n

ì----

lml

150 Q [ m l/hl

200

�.......

100

b)

150 Q ! m3/h l

200

relazione a l tipo di fluido elaborato.

Pompe

587

cioè dal rapporto di due quantità che dipendono essenzialmente, come ampia­ mente illustrato, dalla geometria della girante e dalla sua velocità di rotazione n, ma non dal fluido trattato. In conclusione di questo paragrafo si fa osservare come il procedimento seguito per passare dal diagramma HQ a quelli !'!..p Q e PQ è concettualmente analogo a quello che si segue a proposito dei compressori quando dal diagramma di validità generale LQ (Fig. XI.3 1 ), che ha identico significato fisico del dia­ gramma HQ, si perviene ai diagrammi p2Q e PQ di fig. XI .34. Anche in questo caso bisogna necessariamente far riferimento ad un ben determinato fluido che, trattandosi di gas, viene individuato attraverso la costante R ed il rapporto k = cJc,., ma bisogna specificare altresì le condizioni di pressione e di temperatura (3-62) del gas in aspirazione. Ne segue quindi che i diagrammi p2Q e PQ relativi ad un compressore hanno una validità più ristretta dei corrispondenti relativi alle pompe in quanto sono riferiti non solo ad un ben preciso fluido (analogamente ai diagrammi !'!..p Q e PQ relativi alle pompe) ma anche a determinate condizioni di pressione e di temperatura del gas in aspirazione. Tale ultima limitazione non riguarda le pompe in quanto, a causa della pratica incomprimibilità del liquido, una variazione della pressione e della temperatura in aspirazione non ha in­ fluenza apprezzabile sul peso specifico y del liquido elaborato e di conseguenza

/ Fig. XII.32 Girante centrifuga con pale radiali e triangoli di velocità in uscita per due differenti valori della velocità di rotazione n . -

588

Macchine

non altera le prestazioni della macchina né in termini di incremento di pressione t.p né di potenza assorbita P che, come si è visto, dipendono da y. Nel caso dei compressori, invece, la variazione della temperatura o della pressione in aspira­ zione comporta, a causa della comprimibilità del gas, una variazione del peso specifico di questo con conseguente alterazione delle prestazioni della macchina sia in termini di pressione p2 alla mandata (3-62) sia in termini di potenza assorbita P.

XII.4.2. Leggi di affinità

È noto che al variare della velocità di rotazione n si hanno, per una assegnata girante centrifuga, caratteristiche interne differenti. Queste possono essere rica­ vate l 'una dall 'altra attraverso le cosiddette leggi di affinità in base alle quali, se in 20 .----r --.---�--r---,----,,--. 1800gi (l imi n

H

[m]

1 '5

l

1 500 ���-h���

l

4 ..____.___--'-------+'------'-J.-..._ ---'--___J

15 p

[ CV] 10 8

6 5

4

,� o

' '

ao-+'

,G -

'

� l gir'd rrù n �:

' l

-......

K 1 000 kptm3 =

l l

60 80 100 200 300 380 1 50 [ m3/ h ] Fig. XII.33 [4] - Curve caratteristiche d i una pompa centriluga per Jitlerenti valori della ve locità di rotazione n .

Pompe

589

corrispondenza della velocità di rotazione n sono noti i valori della portata volumetrica Q, della prevalenza R e della potenza P, è possibile ricavare i corrispondenti valori relativi alla velocità di rotazione n =F n mediante le relazioni: Q

=Q

(�)

( )2

H =H � n

( 1 2- 18)

A chiarimento di ciò si faccia riferimento, per fissare le idee, ad una girante centrifuga con pale radiali come quella di fig. XII.32 nella quale è riportato anche il triangolo di velocità che si realizza in uscita dalla girante stessa quando questa ruota alla velocità di rotazione n in corrispondenza della quale si hanno una portata volumetrica Q, una prevalenza R ed una potenza assorbita P. Si supponga ora di raddoppiare la velocità di rotazione della girante che da n passa a 2n; raddoppierà allora anche la velocità periferica u2 ed il triangolo di velocità in uscita, in condizioni di similitudine, si modifica come quello riportato nella stessa fig. XII.32 dal quale è immediato riscontrare che il raddoppio della velocità periferica u2 ha comportato il raddoppio della velocità relativa w2• Dalla considerazione che la sezione di uscita Q del fluido dalla girante è rimasta ovviamente inalterata segue che l 'incremento della velocità relativa w2 comporta un incremento della portata Q Q w2 che, nel caso in esame, raddoppia passando da Q a 2Q. Dalla ( 12-13) che qUI si riscrive: =

( 12-13) segue immediatamente che, se la velocità di rotazione raddoppia, la prevalenza risulta quadruplicata in quanto espressa dal prodotto della velocità periferica uh che è raddoppiata, per il termine c2 cos a2 che, come risulta dalla fig. XII.32, è anch'esso raddoppiato. È evidente che anche l 'incremento di pressione ��.P regi­ strato nel fluido risulta quadruplicato così come indica la ( 12-15). Per quanto riguarda infine la variazione della potenza le ( 1 2-16) e ( 12-17) indicano che quando la velocità di rotazione raddoppia, la potenza cresce di ben otto volte in quanto si realizza il raddoppio della portata volumetrica ed un incremento di quattro volte sia in H che in /l..p . A conclusione di questo paragrafo, nel dia­ gramma di fig. XII.33 si riportano, in scala logaritmica, le curve caratteristiche di una pompa centrifuga per quattro differenti valori della velocità di rotazione n, unitamente alle curve della potenza richiesta in corrispondenza degli stessi valori di n. I punti di funzionamento aventi lo stesso rendimento sono poi uniti tra loro dando luogo a curve di rendimento costante dalla tipica forma ovale. A titolo di esempio, con riferimento alla fig. XII.33 si supponga che alla velocità di rotazione di 1 .800 giri/min la pompa elabori 220 m'!h di acqua. In corrispondenza di tale

590

Macchine

punto di funzionamento si legge un valore della prevalenza H = 14,9 m ed una potenza P = 1 6 CV. Riducendo la velocità di rotazione da 1 .800 giri/min a 1 .200 giri/min, le leggi di affinità forniscono:

=

1 47 m3/h

Q

220( 1 .200/ 1 .800)

H

1 4,9( 1 .2001 1 .800) 2 = 6,62 m

p

=

1 6( 1 .200/ 1 .800) 3

=

4,7 cv

I valori della prevalenza H e della potenza P letti sui diagrammi di fig. XII.33 in corrispondenza di n = 1 .200 giri/min e di Q = 1 47 m3/h , sono in ottimo accordo con quelli forniti dalle leggi di affinità.

XII.4.3. Numero di giri specifico Si osservi che giranti geometricamente simili, caratterizzate ad esempio dallo stesso valore dell'angolo di uscita del fluido dalle pale e dallo stesso valore del rapporto D/D, tra i diametri di uscita e di ingresso, possono ovviamente avere dimensioni molto diverse tra di loro ed operare a velocità di rotazione differenti con valori della portata elaborata e della prevalenza fornita che di conseguenza risultano sensibilmente discosti da girante a girante. Risulta pertanto estremamente utile raggruppare i tre principali parametri che caratterizzano il funzionamento di una girante e cioè la portata Q, la preva­ lenza H e la velocità di rotazione n, in un unico termine il cui valore consenta di individuare con sufficiente precisione le caratteristiche basilari, sia geometriche che idrauliche, della girante cui esso si riferisce. L'analisi dimensionale, la cui trattazione esula dai limiti imposti a queste note, fornisce il termine che lega Q, H ed n; esso prende il nome di numero di giri specifico n, della girante ed è espresso dalla relazione: ( 1 2- 1 9) nella quale

n

è la velocità di rotazione espressa

m

giri/min, Q è la portata

Il

1 6-22

22-32

32-64

64-96

1 10-220

D ,ID ,

3,0-2,4

2,4-1 ,8

1 ,8- 1 ,3

1 ,3 - 1 , 1

1 ,0

Pompe

Fig.

X I I .34

-

Relazione tra il numero d i giri specifico

n,

59!

e la geometria della girante.

volumetrica elaborata [m3/s] , H è la prevalenza fornita [kpm/kp]. Dalla ( 1 2- 1 9) risulta in sostanza che n, rappresenta la velocità di rotazione di una girante, geo­ metricamente simile a quella in esame, in grado di elaborare la portata di l m3/s di liquido conferendo la prevalenza di lm. Il numero di giri specifico risulta quindi utile ad individuare le peculiari caratteristiche di un gruppo di giranti nel senso che giranti che presentano valori molto vicini di n, hanno in comune certe proprietà che le distinguono dalle giranti che hanno un valore diverso di n,. Così, ad esempio, pompe caratterizzate da valori modesti di n, ( 1 5 + 30) forniscono prevalenze molto alte e quindi alte pressioni, mentre pompe con elevati valori di n, ( 1 1 0 + 220 fino a 350) forniscono prevalenze modeste e quindi pressioni generalmente basse. Il numero di giri specifico influisce inoltre in misura rilevante sulla geometria della girante e sul profilo delle pale (Fig. X I I .34) nel senso che giranti con basso n, ( 1 6 + 20) sono caratterizzate da diametri in uscita D1 fino a tre volte più grandi

Fig.

50 �-�-----+--� 100 n s 1 50 200 50 15 25

X l l .35 -

Relazione tra il numero di giri speci fico

n,

ed il rendimento

11

della pompa.

592

Macchine

n5

=

14 -28

n5 : 5 5 - 80

n 5 : 1 40 - 2 2 0

p

Q Fig. X l l .36 pompa.

-

Q

Q

Influenza del numero di giri specifico n, sulle curve di prestazione di una

di quelli in ingresso D, mentre la larghezza b2 della pala è piuttosto contenuta. All'aumentare di n, la differenza tra D2 e D, si attenua, la larghezza b2 della pala cresce avendosi, per valori di n, intorno a 65 + 1 1 0 una girante di tipo elicocentri­ fugo che diventa a flusso completamente assiale in corrispondenza dei valori massimi di n, ( 110 + 220 ed oltre) . Esso influisce sensibilmente anche sul rendi­ mento della pompa, così come mostrato in fig. XII.35, dalla quale si deduce che, a parità di portata Q, i rendimenti più elevati si hanno in corrispondenza di valori di n, compresi tra 38 e 60 mentre i valori massimi si hanno in corrispondenza delle massime portate, elaborate evidentemente da pompe di notevoli dimensioni per le quali le perdite assumono un valore percentualmente più modesto. Il numero di giri specifico infine, attraverso la geometria della girante, ha influenza anche sull'andamento, con la portata Q, della prevalenza, del rendimento e della potenza così come risulta dai diagrammi di fig. XII.36 che si riferiscono a tre pompe caratterizzate rispettivamente da valori bassi, medi ed alti di n,. Si nota che all'aumentare di n, si fa più rapida la diminuzione della prevalenza con la portata e che nelle pompe con elevati valori di n, vale a dire nelle pompe assiali o ad elica, è presente addirittura una inflessione. Le curve del rendimento, per contro, non variano in maniera molto accentuata con n, ma si osserva che per bassi valori di n, presentano una maggiore convessità che consente di mantenere valori accettabili del rendimento in un campo piuttosto ampio di portate, campo che va riducendosi man mano che n, aumenta. Gli andamenti di H e di 11 si ripercuotono evidentemente sull'andamento della potenza P che nelle pompe con bassi valori di n, cresce con Q attingendo un minimo a portata nulla. Per valori medi di n, la potenza cresce con Q, ma per elevati valori della portata, in corrispondenza dei quali la prevalenza si riduce piuttosto bruscamente, si può registrare una diminuzione di P. Nelle pompe con elevati valori di n, infine, la potenza decresce con Q tranne nel tratto in cui la prevalenza H presenta una inflessione.

Pompe

593

XII.4.4. Curve di funzionamento e scelta di una pompa Le curve di funzionamento di una pompa vengono comunemente pubblicate per linee standard nei cataloghi delle ditte costruttrici per una assegnata velocità di rotazione e per differenti diametri della girante. È evidente infatti che per una stessa velocità di rotazione7 n, cambiando il diametro della girante si hanno differenti valori della velocità periferica u2 in uscita e di conseguenza, per la ( 12-13), differenti valori della prevalenza H e quindi della potenza assorbita P.



=

1 000 k p / m3

10

20

30 [ 1 / s ) 40

Fig. X II.37 (5] - Prestazioni di quattro giranti centrifughe simili caratterizzate da diffe­ renti valori del diametro esterno D2 in corrispondenza dello stesso valore della velocità di rotazione n = 2.900 giri/min. 7 Le velocità di rotazione che si incontrano più frequentemente sono 1 .450 giri/min e 2.900 giri/min in quanto l'azionamento avviene spesso mediante motori elettrici normalizzati a quattro e a due poli rispettivamente.

594

Macchine

In fig. XII.37, in corrispondenza della velocità di rotazione n = 2.900 giri/min, si riportano gli andamenti della prevalenza H e della potenza P per quattro giranti si­ mili, che definiscono quindi un determinato tipo di pompa, caratterizzate da valori D2 del diametro in uscita p ari rispettivamente a 260 mm, 240 mm, 220 mm e 200 mm. Le giranti con diametro inferiore vengono ottenute per torni tura dalla girante di 260 mm di diametro. Nella stessa fig. XII.37 sono riportate le curve a rendimento costante e viene evidenziato il campo entro il quale le quattro giranti citate funzio­ nano con valori del rendimento prossimi a quello massimo. Per facilitare la scelta della pompa, infine, le case costruttrici presentano le curve di funzionamento rela­ tive ad un'intera linea di pompe similari limitatamente però al campo di funziona­ mento ottimale di ciascun tipo, così come riportato in fig. XII.38. A titolo di esem­ pio, se bisogna scegliere la pompa che deve elaborare la portata di 25 l/s con una prevalenza di 80 m, il diagramma di fig. XII.38 suggerisce che la pompa in grado di soddisfare tale esigenza è del tipo 65-250. Si utilizza allora il diagramma relativo esclusivamente a tale tipo di pompa (Fig. XII.37) attraverso il quale si individua il diametro della girante che meglio si adatta a fornire i richiesti valori di Q e di H. La potenza del motore elettrico che aziona la girante viene calcolata maggiorando del 1 0 % , per motivi di sicurezza, il valore di 29 kW fornito dal diagramma di fig. XII.37. Si ritiene opportuno ribadire ancora una volta che se il fluido elaborato non è acqua, ma è caratterizzato ad esempio da un peso specifico y = 1 .300 kp/m 3, il tipo di --.----.---.-.--,-----.-,-,-,-,,---,--, 200 r---�H

[m]

F=��====���r4��-t��4=T1����-r� 80 �----,_----�--����--+-�-�

1 00

50 �---4--+--����--�4---�-+-� 40 �= =�====-r--���-f-��-+�-r/ 30 �----+-----�--���--�-+-���-+-�

Fig. XII.38 [5] - Campo di impiego delle pompe centrifughe KSB della serie CPK/HPK.

Pompe H

595

e

Q Fig. XII .39 circuito.

-

lndivi duazione del punto eli funzionamento C di una pompa inserita in un

pompa non cambia in quanto la stessa girante è in grado di elaborare 25 l/s del nuovo fluido conferendo ancora una prevalenza di 80 m. Il motore elettrico invece deve erogare una potenza maggiore a causa dell'incremento del peso specifico del fluido trattato. Se nel caso di acqua la potenza assorbita in corrispondenza di Q = 25 1/s e di H = 80 m era pari a 29 kW, essa risulterà pari a 29· 1 .300/1 .000 = 37,7 kW quando la pompa elabora un fluido caratterizzato da y = 1 .300 kp/m3•

XII.4.5. Punto di funzionamento e regolazione della portata Per individuare il punto di funzionamento di una pompa inserita in un circuito bisogna conoscere la caratteristica interna della macchina e la caratteri­ stica esterna o del circuito, ottenuta a sua volta dalla somma della prevalenza utile H, (si veda par. XII. l ) e delle perdite di carico Hc del circuito, queste ultime com'è noto variabili con la portata con legge quadratica e dipendenti essenzial­ mente dal diametro, dalla lunghezza e dalla conformazione della condotta. La pompa si porta automaticamente a funzionare nel punto C in cui la caratteristica interna i interseca la caratteristica esterna e (Fig. XII.39).

Regolazione

Nel normale esercizio di una pompa risulta generalmente necessario regolare la portata. Fra i numerosi sistemi possibili per effettuare tale operazione, quelli più generalmente adoperati sono:

variazione della caratteristica esterna; variazione della caratteristica interna; by-pass.

596

Macchine

Variazione della caratteristica esterna U n metodo di regolazione che può considerarsi fra i più usati - almeno nel campo delle piccole pompe è quello della variazione della caratteristica esterna per strozzamento, che si realizza introducendo perdite di carico addizio­ nali e regolabili. Disponendo sul circuito di mandata una valvola di strozzamento V (Fig. XII.40) è possibile creare delle perdite di carico addizionali che vanno ad alterare la caratteristica esterna del circuito. Siano i ed e, rispettivamente, la caratteristica interna della pompa e la caratteristica esterna del circuito a valvola V completa­ mente aperta (Fig. XII.4 1 ) . In tali condizioni il punto di funzionamento è in C ed è caratterizzato da una portata Qc Chiudendo la valvola V di una certa aliquota, si vengono a creare delle perdite di carico addizionali che vanno a sommarsi alle normali perdite di carico del circuito. Pertanto la curva della prevalenza richiesta alla pompa passa da e (Fig. XII.4 1 ) (valvola completamente aperta) a d (valvola V in parte chiusa) a f sempre in fig. XII.41, in cui la valvola V è ancora più chiusa che nel caso della curva d, ma in posizione tale da consentire ancora il passaggio del liquido. Conseguentemente il punto di funzionamento della pompa si sposta da C a D ad F, con ovvia diminuzione della portata a prevalenza utile H, costante. Una tale regolazione è evidentemente di tipo dissipativo ed influisce sensibil-

Fig. X I I .40 Pompa provvista di valvola di strozzamento V per la regolazione della portata. -

Fig. XII.4 1 - Variazione del punto di fun­ zionamento di una pompa regolata me­ diante strozzamento.

Pompe

597

mente sul rendimento del complesso in quanto le perdite associate al diminuito valore della portata sono superiori a quelle richieste dal circuito esterno senza l'intervento sulla valvola V. Tale sistema risulta quindi adatto quando alla pompa è richiesto un funzionamento a portata ridotta solo per brevi periodi. Tuttavia, se si prevede di funzionare per lungo tempo con valvola V strozzata è preferibile che la caratteristica interna della pompa sia piuttosto piatta (n, � 60) in modo da realizzare perdite addizionali piuttosto contenute anche in corrispondenza di forti diminuzioni della portata (Fig. XII.42). Passando infatti dalla portata Q alla portata Q, si ha che le perdite addizionali sono pari al segmento AB quando la pompa ha caratteristica interna p con andamento piuttosto piatto e risultano pari al segmento AD > AB quando la caratteristica interna della pompa è la r, con andamento piuttosto ripido. Si osservi invece che qualora si preveda una variazione della prevalenza utile H, tra due valori, minimo e massimo, è preferibile disporre di una pompa con caratteristica piuttosto ripida intorno al punto C di lavoro nominale in modo da ridurre l'escursione della portata Q tra i due valori estremi della prevalenza H, ( Fig. XII.43). Passando infatti da H,,,, ad H,,,,, la portata si riduce di una quantità pari a flQ,, quando la caratteristica della pompa è la curva r piuttosto ripida, mentre si riduce di una quantità maggiore pari a flQ, quando la caratteristica della pompa è piuttosto piatta come nel caso della curva p di fig. XII.43.

Variazione della caratteristica interna

Sostanzialmente diverso è il caso della regolazione per variazione della carat­ teristica interna della pompa che si ottiene variando il numero di giri della macchina. Si consideri il piano HQ di fig. XII.44 in cui sono riportati, per quattro diversi H

Fig. X l l .42 - I n fl ue nza s u l l e perdite dell'andamento della caratteristica interna di una pompa quando si effettua la rego­ lazione per strozzamento.

Fig. X I I .43 - I n fluenza sul la variazione d e l l a p o r t a t a Q d e l l ' a nd a m e n t o d e l l a caratteristica interna di u n a pompa a l va­ riare dell a prevalenza utile H,.

598

Macchine

valori del numero di giri, le curve caratteristiche interne della pompa. Se la prevalenza utile risulta uguale ad H,, la curva e rappresenta, come nel caso precedente di regolazione per strozzamento, la prevalenza richiesta alla pompa, per ottenere, in quel determinato circuito, la prevalenza utile H,. I punti caratteristici di funzionamento risultano quindi, a seconda del numero di giri di funzionamento della pompa, C" C2, C3, C4, attenendosi così, sempre con la stessa prevalenza utile, la portata Q, ad n, giri/min, la portata Q2 ad n2 giri/min, ecc. Tale metodo, dal punto di vista energetico, è da preferirsi al precedente in quanto non comporta un apprezzabile incremento delle perdite tanto che se la variazione della velocità è contenuta intorno al 1 0 % il rendimento della pompa rimane praticamente inalterato. È tuttavia meno usato poiché richiede la varia­ zione della velocità della macchina, generalmente mossa da un motore elettrico a corrente alternata a velocità costante. Dove ve ne sia la possibilità, quando cioé la pompa è comandata da un motore a giri variabili come, ad es., un diesel, una turbina a vapore, una turbina a gas o un motore elettrico a corrente continua, è un metodo da preferirsi in quanto più logico e conveniente. A titolo di completezza va detto che è possibile variare il numero di giri di una pompa anche quando questa è mossa da un motore elettrico a velocità costante, interponendo tra le due macchine un variatore di giri che può essere di tipo meccanico (anche epicicloidale) o di tipo elettromagnetico o di tipo idraulico come talvolta accade per le pompe di alimento degli impianti a vapore. A tale proposito va detto però che un variatore di velocità, come un giunto idraulico, presenta perdite per scorrimento che comportano una riduzione del rendimento della trasmissione tanto più sensibile quanto più piccolo è il rapporto tra la velocità di entrata e quella di uscita.

Fig. XII.44 - Variazione del punto di funzionamento C di una pompa regolata mediante variazione del numero di giri n .

Pompe

599

La tendenza attuale è perciò quella di impiegare motori elettrici a frequenza variabile, utilizzanti convertitori statici a tiristori, che presentano il grande van­ taggio di mantenere il rendimento praticamente costante al variare della velocità di funzionamento che per di più può assumere valori sia superiori che inferiori rispetto alla velocità di sincronismo.

By-pass

La terza possibilità di regolazione, anche questa molto usata, prevede l'inseri­ mento della pompa nel circuito secondo lo schema di fig. XII.45. La rappresenta­ zione della regolazione per by-pass sul diagramma H Q risulta meno evidente delle altre ma comunque possibile. Si consideri (Fig. XII.46) il piano H Q con le curve caratteristiche, i della pompa ed e del circuito. La pompa funziona normalmente con una portata Q" e con una prevalenza utile H.,. Se si vuole ridurre la portata a Q2 basta aprire la valvola V in modo da far rifluire parte del liquido di nuovo a monte della pompa, sino ad avere, nella tubazione di mandata, la portata desiderata Q2• In queste condizioni però le perdite di carico del circuito esterno non sono più rappresentabili da:

Hp ,A

H A - H/1

H

Fig. X I I .45 Pompa provvista di circuito di by-pass per la regolazione della portata. -

Fig. X l l .46 Variazione del punto di funzionamento di u n a pompa regol ata mediante by-pass. -

600

Maceh ine

cioé quelle relative alla portata QA, bensì, per la ridotta portata in tutto il circuito esterno (a monte ed a valle della pompa) , da:

Hp ,l

= H 2 - H 11

Di conseguenza, non essendo variato il numero di giri della pompa, la portata da essa elaborata sarà Q , , cioè quella relativa ad una prevalenza richiesta pari a:

H1

= H2

=

H" + Hp ,l

e la portata da bypassare non corrisponde, come ad una prima analisi potrebbe apparire, a QA - Q2, ma ad un valore Q3 più grande dato da:

È evidente che anche questo metodo è di tipo dissipativo, e laborando la macchina una portata maggiore di quella inviata all'utilizzazione. In particolare, le perdite che si accompagnano a tale sistema di regolazione sono maggiori di quelle relative al sistema di strozzamento che pertanto risulta il più diffuso. La regolazione mediante by-pass trova applicazione essenzialmente nelle pompe caratterizzate da elevati valori di n, (200 ed oltre) per le quali la potenza assorbita diminuisce ali 'aumentare della portata elaborata. I tre sistemi di regolazione illustrati possono essere utilizzati anche per i compressori con l'avvertenza che, nel caso di by-pass, occorre refrigerare il gas a valle della valvola di laminazione, che altrimenti ritornerebbe caldo al compres­ sore, con conseguenti inaccettabili aumenti nel lavoro di compressione e possibili surriscaldamenti della macchina. X I I .4.6. Stabilità di funzionamento Si abbia una pompa inserita in un circuito assegnato e sia C il punto di funzionamento determinato, com'è noto, dall'intersezione della caratteristica esterna e o del circuito con quella interna i o della pompa (Fig. XII.47). In corrispondenza di tale punto, la pompa eroga la portata Q con la preva­ lenza R. Durante il funzionamento a regime può verificarsi una imprevista variazione, ad esempio in aumento, della portata che, dal valore Q, passa al valore Q,. In corrispondenza di tale nuovo valore della portata, la pompa fornisce al liquido una prevalenza H, (Fig. XII.47) che è più piccola di quella, pari a H, + flH,, che il circuito esterno richiede in corrispondenza della portata Q,. Accade allora che la portata si riduce e la pompa torna a funzionare nel punto C ripristinando automaticamente le condizioni iniziali. Analogo comportamento si

601

Pompe

verifica se la portata subisce una improvvisa riduzione da Q a Qz. In tal caso la pompa conferisce al fluido la prevalenza Hz che è maggiore di quella, pari a Hz 11Hz, che il circuito esterno richiede in corrispondenza della portata Qz e pertanto, anche in questo caso, la pompa torna a funzionare nel punto C ripristinando automaticamente le condizioni iniziali. Si dice allora che il punto C è un punto di funzionamento stabile. Si consideri ora, inserita nello stesso circuito, una pompa diversa la cui caratteristica interna sia rappresentata in fig. XI I .48 e sia C il punto di funziona­ mento. Questa volta, in seguito ad un piccolo incremento della portata da Q a Q 1 , la pompa fornisce al liquido una prevalenza H1 che è maggiore di quella, pari a H1 - !'1H1 , che il circuito esterno richiede quando è attraversato dalla portata Q 1 • La portata allora continua ad aumentare ed il punto di funzionamento si allontana sempre più dal punto iniziale C portandosi in C1 • Analogamente, se la portata subisce una imprevedibile riduzione da Q a Qz, la pompa conferisce al fluido una prevalenza inferiore a quella richiesta dal circuito per cui la portata continua a diminuire ed anche in questo caso il punto di funzionamento si allontana sempre più dal punto iniziale C portandosi in C2 • Si verifica allora che la pompa eroga portata nulla ma sviluppa una pressione inferiore a quella esistente nella tuba­ zione a valle. Si registrano pertanto delle variazioni brusche nella portata, che sono la conseguenza di una tendenza al flusso controcorrente da parte del liquido verso la pompa (fenomeno del pompaggio) con sollecitazioni anomale (fatica) sulle pale della girante che ne possono compromettere la resistenza meccanica. In base a quanto esposto risulta evidente che in questo caso il punto C non può essere considerato di funzionamento stabile in quanto il sistema, allontanato dalle condizioni di equilibrio, non è in grado di ripristinarle. H

H

Q

Fig. X l l .47 Rappresentazione d i un punto di funzionamento stabile d i una pompa. -

Q

Fig. X l l .48 Rapprese ntazione di un punto di funzionamento instabile di una pompa. -

602

Macchine

Più in generale un punto è di funzionamento stabile se in esso si verifica che la pendenza della caratteristica esterna è maggiore di quella della caratteristica interna ( punto C di fig. XII.47 ) , se in quel punto cioè la caratteristica esterna è più ripida di quella interna. I n caso contrario (punto C di fig. XII.48 ) si ha funzionamento instabile.

H

H

a)

H

b)

Q

Q

c)

Q

Fig. X ll.49 - Rappresentazione di curve caratteristiche stabili (a) ed instabili (b e c).

Si ritiene opportuno osservare che dall'analisi della forma della caratteristica interna di una pompa è possibile stabilire se quella pompa può essere portata a funzionare in condizioni di instabilità oppure no. Infatti, quando la caratteristica della macchina è tale che per ogni valore della prevalenza si individua un solo valore della portata (Fig. XII.49a ) , il che significa che esiste un solo punto di funzionamento per una assegnata prevalenza, allora si dice che la curva è stabile. In tale ipotesi infatti non si può mai verificare che la pendenza della caratteristica esterna risulti minore della pendenza della caratteristica della pompa. Una curva si dice invece instabile, nel senso che potrebbero verificarsi condizioni di funzioH

H

Q

Fig. XII.50 - Rappresentazione di con­ dizioni di funzionamento stabile.

Fig. XII.51 - Rappresentazione di condi­ zione di funzionamento instabile.

Pompe

603

namento instabile, quando esistono due o più punti di funzionamento per taluni valori della prevalenza il che si verifica per le cosiddette curve a schiena d'asino del tipo riportato in fig. XII.49b o per le curve delle pompe assiali (Fig. XII.49c) che possono presentare anche tre punti di funzionamento per taluni valori della prevalenza H. Nel caso infatti di curve caratteristiche del tipo riportato in fig. XII.49b ed in fig. XII.49c è possibile che si verifichi che la pendenza della caratteristica esterna risulti minore della pendenza della caratteristica della pom­ pa, come accade in fig. XII .48; ma è possibile anche il contrario, nel senso che pur disponendo di una pompa a caratteristica instabile, dalla tipica forma a schiena d'asino, è sempre possibile operare in condizioni di stabilità. Con riferimento alla fig. XII.50 si osserva che tutte le condizioni di funzionamento sono stabili in quanto nei differenti punti C, C2 , C3 si verifica sempre che la pendenza della caratteristica esterna e è maggiore di quella della caratteristica interna8 i. Se però quella stessa pompa viene inserita in un circuito la cui caratteristica esterna e è quella riportata in fig. XII.5 1 , possono verificarsi condizioni di funzionamento instabile nel punto C in cui la pendenza della caratteristica esterna e risulta minore di quella della caratteristica interna i. H

Hu Q Fig. X I I .52 - Condizioni di funzionamento stabile pur variando la caratteristica esterna e.

In definitiva, disponendo di una pompa a caratteristica instabile, per essere certi che nessun punto di funzionamento presenti carattere di instabilità, è neces­ sario che la prevalenza fornita dalla pompa a valvola chiusa, cioè a portata nulla, sia superiore alla prevalenza utile H" (Fig. XII.52). Questa condizione consente di evitare che l a caratteristica esterna intersechi in due punti la caratteristica interna

8 Durante le riduzioni di portata può accadere che la pressione nel circuito esterno venga a variare, per l'inerzia della massa di fluido, con ritardo rispetto alla pressione all'interno della pompa per cui, anche con curve caratteristiche del tipo di fig. Xll.SO, può verificarsi un funzionamento instabile.

604

Macchine

con conseguente funzionamento instabile e possibilità che la pompa funzioni contro la maggior pressione esistente nella tubazione.

XII.4.7. Cavitazione Durante l'esercizio di una pompa centrifuga si possono verificare una serie di fenomeni che ne impediscono il regolare funzionamento e che quindi vanno in qualche modo combattuti. Di questi fenomeni almeno due, il pompaggio e la cavitazione, debbono necessariamente essere evitati, in quanto il loro insorgere, oltre a rendere del tutto irregolare il funzionamento dell'impianto in cui la pompa è inserita, può compromettere la resistenza meccanica della pompa stessa. In questo paragrafo si illustrerà il fenomeno della cavitazione, rimandando per il pompaggio all'analisi effettuata a proposito dei compressori ed alle considera­ zioni svolte al paragrafo precedente. Con riferimento al generico circuito di fig. X I I .53 va precisato che la pres­ sione del liquido, nel percorso dal serbatoio di aspirazione a quello di mandata è generalmente diversa da punto a punto; così, ad es., la pressione nella sezione Q2 risulta certamente minore della pressione nella sezione Q, per effetto della differente altezza di Q2 rispetto a Q , , delle perdite di carico b,p, nel tratto Q,-Q2

Fig. X I I .53 - Schema elementare di un impianto di sollevamento acqua mediante pompa centrifuga.

Pompe

605

e dell 'eventuale aumento di velocità del fluido, sempre tra le sezioni Q, ed Q2• La differenza di pressione, in metri di colonna di fluido, è espressa dalla relazione:

P1

-

P2

( 1 2-20)

y

È intmttvo che se la pressione in un punto qualunque del circuito risulta

inferiore alla pressione di saturazione re la tiva alla temperatura di esercizio del liquido pompato, si ha, in quel punto, evaporazione con formazione di cavità o sacche di vapore, cioè cavitazione. La sezione a più alto rischio nei confronti della cavitazione è evidentemente quella nella quale si raggiungono i valori più bassi della pressione e tale sezione non può che essere quella all'ingresso della girante detta anche occhio della girante in quanto l 'energia spesa dal fluido per raggiungere tale sezione e cioè per superare il dislivello che lo separa dall'occhio della girante, per vincere le perdite di carico nella tubazione che collega il serbatoio alla girante, e infine per incre­ mentare eventualmente la propria velocità, è stata attinta dal proprio patrimonio energetico, costituito dall'energia di pressione che esso ha nel serbatoio da cui viene prelevato. Una volta entrato nella girante il fluido riceve da questa energia meccanica, gran parte della quale concorre ad incrementare l'energia di pressione del fluido con conseguente allontanamento di qualunque pericolo di cavitazione. La formazione di sacche di vapore all'interno della girante ha come primo effetto una repentina e forte riduzione della portata (Fig. XII.54), in quanto esse creano un ostacolo al passaggio del fluido, accompagnata da una caduta della

H

[m] 700 600 500 �0 �----�-Q*

Fig. XI I .54 Riduzione della portata Q per effetto della cavitazione. Q* è la portata di incipiente cavitazione. -

606

Macchine

prevalenza e del rendimento. Un secondo effetto, di tipo meccanico e molto più grave di quello della caduta della portata, è dovuto al fatto che tali sacche di vapore, raggiungendo attraverso la girante zone a più alta pressione, vengono schiacciate dal liquido in tempi brevissimi (dell'ordine di 1 0-5s) determinando fortissime sovrapressioni locali che sottopongono il metallo a gravose sollecita­ zioni. Per effetto della cavitazione, dunque, fenomeno come visto essenzialmente instabile, si producono sulla girante una serie di urti da parte della corrente liquida che si susseguono con frequenza più o meno elevata sollecitando la girante a fatica e producendo vibrazioni anomale e notevoli corrosioni sulla superficie del materiale della girante stessa. Quest'ultima generalmente presenta la caratteristica butteratura con asportazione di metallo quando la pompa fun­ ziona in regime di cavitazione per un certo periodo di tempo. Negli organi particolarmente soggetti alla cavitazione deve pertanto essere molto curato il grado di finitura superficiale, proprio per evitare la presenza di intagli o altre irregolarità che possono favorire l'attacco della cavitazione reso più attivo anche dalle impurità chimiche presenti nell'acqua. Quanto maggiori sono le dimensioni della pompa, tanto più intensi sono le vibrazioni ed il rumore, che assume caratteristiche di un vero e proprio rombo e fa pensare al passaggio nella macchina di acqua mista a ghiaia. A titolo di esempio, per poter visualizzare l'entità dei danni prodotti da questo fenomeno, si sono riportate, in fig. XII.55, giranti che hanno funzionato per un certo tempo in regime di cavitazione. Vi è da osservare che quando, nel funzionamento, la cavitazione è appena allo stato iniziale, sono necessari, per rilevarla, strumenti di misura di una certa precisione, generalmente non disponibili durante l'esercizio. Può accadere quindi che una pompa funzioni per lungo tempo in stato di minima cavitazione senza che ci si accorga del fenomeno. Pertanto, per evitare che si verifichino fenomeni di evaporazione in seno al fluido, la cui pericolosità è stata prima messa in evidenza, bisogna essere sicuri

Fig. X ll .SS (6] - Foto di giranti che hanno funzionato in cavitazione. A destra, una girante dopo la cavitazione e prima dell'insorgere del fenomeno.

Pompe

)

NPSH,A

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607

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..!ì �

Fig. XII.56 - Trasformazioni del contenuto energetico del fluido tra la flangia di ingresso del corpo pompa e l'occhio della girante.

che la pressione in ogni punto del circuito, in particolare nell'occhio della girante, sia maggiore della pressione di saturazione relativa alla temperatura di esercizio del liquido pompato. Allo scopo si considerano separatamente gli abbassamenti di pressione che si realizzano nel circuito a monte della pompa, e quelli che, per effetto del funziona­ mento, si verificano nel corpo della pompa stessa fra la sezione di ingresso e quella di minima pressione i n modo da verificare che questa risulti maggiore della pressione di saturazione relativa alla temperatura alla quale si trova il fluido elaborato dalla pompa. Questa analisi porta alla definizione di due parametri di grande importanza che prendono il nome rispettivamente di Net Positive Suction Head, Required (NPSH, R) cioè carico totale netto richiesto all'aspirazione e Net Positive Suction Head, A vailable (NPSH, A) cioè carico totale netto disponibile all'aspirazione; il primo è caratteristico della pompa, l'altro è caratteristico del circuito. NPSH, R ed NPSH, A Con riferimento alla fig. XII.56, che riporta l a sezione longitudinale di una pompa completa di flangia di aspirazione, si applichi il teorema di Bernoulli tra la flangia di aspirazione e l'ingresso delle pale della girante, cioè tra il punto A ed il punto l dove esiste l a massima depressione.

608

Macchine

Si ha dunque:

P-A y

2

2

i A P + - = - + - + Y c 2g

1

y

c 2g

( 1 2-21)

dove con Y s i sono indicate le perdite di carico complessive lungo il tratto A-1 costituite dalle perdite di carico D..pc distribuite appunto lungo il tratto A-1 e quelle concentrate nel punto l . Tali ultime perdite, dovute al fatto che la vena fluida entra nella girante con deviazioni più o meno pronunciate, sono proporzio­ nali al termine w�/2g (w1 è la velocità relativa del fluido in ingresso alla girante) secondo un coefficiente di proporzionalità À. di valutazione molto complessa dipendente dalla portata e dal numero di giri della pompa nonché, sia pure in misura ridotta, dalle caratteristiche fisiche del fluido (in particolare dalla sua viscosità). La ( 1 2-21 ) diventa dunque:

(12-22) da cui deriva:

P-1 y

(

w �) c� ) (c� pA - - + - - - + !:lp . + À. -

_

2g

y

2g

(12-23)

2g

c

La pressione p1 (espressa in metri di colonna di liquido) che regna nel punto di massima depressione è data quindi dalla differenza tra il termine (c�/2g + p Aly) che prende il nome di pressione totale nel punto A , cioè alla flangia di ingresso, ed il termine comprensivo dell'energia cinetica in ingresso alla girante e della caduta di pressione dovuta alle perdite (eT /2g + !:lp c + À. w �/2g) ; è evidente che, se si vuole evitare il fenomeno della cavitazione, la pressione p1 deve risultare maggiore della pressione di saturazione p, del fluido alla temperatura di esercizio, deve cioè essere verificata la disuguaglianza:

P1 y

-

_

ovvero:

-

( c� 2g

+ - - - + !:lp c + À. 2g y

PA )

( c7

c7 - P-yA ) P-ys (2g

(c�, 2g

+

-

>

+ !:lp . + À. c

w 7 ) Ps -y 2g

(12-24)

w� ) 2g

( 1 2-25)

>

Pompe

609

I l secondo membro della ( 1 2-25), pari, per la ( 1 2-23), anche alla differenza tra la pressione totale alla flangia di ingresso e la minima pressione p, nel corpo della pompa, prende il nome di NPSH,R ed è costituito dalla somma dell'energia cinetica posseduta dal chilogrammo di fluido in ingresso alla girante e dell'e­ nergia di pressione degradata a causa delle perdite nel corpo pompa e all'im­ bocco della girante stessa; esso è un dato caratteristico della pompa ( Fig. X I I .57) in quanto non dipende da parametri relativi al circuito esterno. Il primo termine della ( 1 2-25) prende invece il nome di NPSH,A e rappresenta il patrimonio energetico di cui il fluido può disporre nel corpo della pompa dal punto A al punto l; per evitare la cavitazione deve dunque verificarsi:

NPSH,A

>

NPSH,R

( 1 2-26)

Alla luce di quanto esposto è evidente che se durante l'esercizio si realizza un aumento della temperatura del liquido trattato, si creano condizioni più favore­ voli per la cavitazione in quanto Ps aumenta e quindi NPSH,A si riduce; analoga­ mente, se la pompa viene disposta nel circuito con l'asse verticale, NPSH,R cresce della quantità (z,-z" ) relativa all 'innalzamento del liquido dalla flangia di ingresso al punto di massima depressione, favorendo anche in questo caso la cavitazione. H

[m}

,----,----.---�

1 0 �---L----�---L--�

N PSH, R 6 ,------,----.-----.--��u--:.----, C·l

:1�--F=�I�ff =bll'=--ll't-_:- '2�40.J-II'-II'- -4---j o

40

80

Fig. XII.57 - Andamento della prevalenza valori del diametro della girante.

120

J-1,

160 3 200 [ m /hl

della potenza P e del NPSJ-I, R per differenti

610

Macchine

Si osservi infine che variando il tipo di fluido che circola nell'impianto si avrà in genere una variazione di NPSH,A dovuta al differente valore della pressione di saturazione e al differente valore di y che caratterizzano il nuovo fluido. Accorgimenti per allontanare la cavitazione Da quanto illustrato precedentemente emerge con chiarezza che il punto in cui inserire la pompa lungo il circuito di un impianto di pompaggio deve essere valutato con grànde attenzione in quanto bisogna garantirsi nei confronti del pericoloso fenomeno della cavitazione che viene evitato sempreché risulti verifi­ cata la disuguaglianza: NPSH,A

>

NPSH, R

( 12-26)

Può talvolta accadere che l 'installazione della pompa debba avvenire lungo il circuito in un punto obbligato ed in tal caso, se la ( 1 2-26) non viene verificata, bisogna o scegliere un diverso tipo di pompa, caratterizzato da un valore minore di NPSH,R, oppure operare sul circuito esterno o in entrambe le direzioni al fine di riportare i valori di NPSH,A e di NPSH,R entro limiti tali da soddisfare la ( 1 2-26). È evidente che eventuali interventi sul circuito esterno modificheranno il valore di NPSH,A mentre la scelta di una pompa diversa modificherà il valore di NPSH, R. Per aumentare NPSH,A si può: - far lavorare l a pompa sotto battente, il che è possibile quando la pompa preleva il liquido da un serbatoio che può essere posto in posizione più elevata rispetto al piano di appoggio della pompa. Tale sistemazione non può evidente­ mente essere realizzata quando la pompa aspira dal mare o da un lago. Si badi che innalzare di qualche metro il serbatoio può a volte risultare vantaggioso in quanto consente di selezionare una pompa a più alto NPSH, R e quindi più economtca; - abbassare la pompa avvicinandola, ad esempio, al pelo libero del serbatoio o del pozzo da cui essa preleva il liquido; ridurre le perdite di carico nelle tubazioni che collegano la pompa al serbatoio da cui aspira; - raffreddare il liquido in modo da ridurne la pressione di saturazione. Tale operazione viene realizzata iniettando nella corrente il liquido prelevato lungo un altro tratto del circuito se è disponibile a temperatura più bassa. Per ridurre NPSH,R si può: - selezionare pompe a bassa velocità di rotazione in modo da ridurre le perdite nel corpo pompa, in particolare all'imbocco della girante. Va precisato però che tale soluzione non è in genere la più economica in quanto una pompa caratteriz­ zata da una bassa velocità di rotazione è più grande e quindi più costosa di una pompa, selezionata per lo stesso servizio, che giri veloce;

Pompe

61 1

- usare una girante a doppia aspirazione, in particolare nel caso di grandi portate, in modo da ridurre la velocità del fluido nella pompa; - impiegare un inducer a monte della girante. L' inducer (Fig. XII.58) è una girante di tipo assiale caratterizzata da un valore di NPSH, R considerevolmente inferiore a quello della girante centrifuga. Montato a sbalzo sullo stesso albero della girante centrifuga genera una preva­ lenza sufficiente ad evitare problemi di cavitazione nella girante principale quando NPSH,A è troppo basso. La presenza clell'inducer può ridurre il valore di NPSH, R fino al 50 ...;- 60% del valore originale il che è di grande utilità quando, ad esempio in caso eli ampliamento dell'impianto, NPSH,A risulta insufficiente. Allora, anziché siste­ mare ad es. il serbatoio di carico acl un'altezza superiore, con aggravio econo­ mico, oppure installare una pompa più grande, quindi con velocità di rotazione inferiore ed NPSH,R inferiore, ma pertanto più costosa, si può risolvere il problema montando l'inducer davanti alla girante della pompa esistente. Va comunque precisato che l'inducer, pur rappresentando una risposta ade­ guata a molte situazioni, deve essere utilizzato con cautela perché il campo di funzionamento delle pompe con inducer è generalmente più limitato (Fig. XII.59).

H

Fig. X l l .58 [2 ] Pompa centrifuga carat­ terizzata da un valore modesto di NPSH,R. l. Inducer. -

Q

Fig. X l l .59 Variazione di NPSH, R al variare del tipo di inducer. a) Caral/eristica interna della pompa; b) NPSH, R senza inducer; c,d) NPSH, R con inducers di tipo differente. -

612

Macchine

XII.4.8. A ltezza massima di aspirazione Utilizzando i concetti espressi nel paragrafo precedente si può perv�nire rapidamente a valutare un parametro di grande interesse che è l'altezza massima h""'"' alla quale può essere sistemata la pompa che aspira da un serbatoio a pressione atmosferica, senza incorrere nel pericolo della cavitazione. Con riferimento dunque alla fig. XII.60 si applichi l'equazione di Bernoulli tra le sezioni z = O e z = A :

P ar y

-

=

PA y

-

+

?

CA

-

2 g

+ h A + tJ.p c

( 1 2-27)

dove il termine tJ.pc rappresenta le perdite di carico nella tubazione fino alla sezione A. Dalla ( 12-27) si può ricavare l 'espressione di NPSH,A :

PA

y

+

?

c ;l -

2g

P ,. y

Par y

- h A - tJ.p c

P ,. y

/ / /

Fig. X I I .60 - Schema di impianto di sollevamento acqua con pompa centrifuga installata in posizione più elevata rispetto al serbatoio di aspirazione.

Pompe

e poiché deve risultare per la ( 12-26) NPSH,A

(- - h P ar y

da cu1

SI

A

- 6.p c -

-J

Ps y

> >

613

NPSH, R si ha: NPSH,R

ottiene la limitazione nell'altezza di aspirazione:

hA


(Q1 elaborata da ciascuna pompa a caratteristica piatta.

- �Q,,)

che è la portata

XII.4. 1 0. A vviamento Contrariamente a quanto avviene per le pompe alternative, le pompe dina­ miche non hanno la capacità di aspirare il liquido da elaborare e quindi non possono essere avviate se non vengono preventivamente innescate, se cioè al momento dell'avviamento la girante ed il condotto di aspirazione non sono riempiti di liquido senza soluzione di continuità. Per chiarire il concetto si faccia riferimento alla fig. XII.53. Se la pompa è ferma, nella tubazione che collega il serbatoio alla flangia di ingresso della pompa è presente soltanto aria e se si fa partire il motore elettrico che aziona la pompa, la girante inizia ad elaborare l'aria presente nella tubazione. L'energia meccanica, ovvero la prevalenza, che la girante trasferisce a ciascun kp di aria: (12-13) è la stessa9 conferita al kp di acqua quando la pompa funziona a regime, ma a causa del modesto valore del peso specifico dell'aria (circa 800 volte più piccolo di quello dell'acqua), si genera un �p 1 0 modestissimo, capace di far risalire l'acqua nella tubazione solo di qualche cm [6,25 cm nell'esempio di cui alla nota (w)], ma non certo sufficiente a farle raggiungere la girante; la pompa pertanto non è in grado di erogare acqua alla mandata. Si potrebbe ottenere ciò solo se la preva­ lenza fornita dalla pompa fosse elevatissima. Per avviare dunque una pompa dinamica è indispensabile che la tubazione di aspirazione, il corpo pompa e la girante siano completamente riempiti di acqua il che si ottiene con numerosi metodi, alcuni dei quali vengono qui di seguito illustrati.

Installa zione sotto battente

Tale sistemazione (Fig. XII.64), che peraltro non sempre può essere realizzata, non consente evidentemente lo svuotamento della pompa e pertanto all'avviamento non è richiesta nessuna manovra particolare.

9 Si ricorda ancora una volta che il lavoro trasferito dalla girante dipende dalla geometria eli questa e dalla velocità eli rotazione, ma non dal tipo eli fluido elaborato. Assumendo per l'aria y 1 ,25 kp/m 3 e supponendo che la prevalenza della pompa sia pari a 50 m, si avrà per l'aria un valore eli 6.p Hy = 62,5 kp/m 2 cui corrispondono appena 6,25 cm eli colonna d'acqua.

10

=

=

Pompe

617

Fig. XII.64 [7) - I nstallazione sotto bat­ tente di una pompa centrifuga.

Fig. X II .65 [7) - Pompa centrifuga con tubazione aspirante munita di valvola di ritegno. A destra valvole di ritegno di tipo differente.

Fig. XII.66 [2) - Pompa centrifuga munita di serbatoio di innesco. l . Tubazione aspirante; 2. Serbatoio di innesco; 3. Tubazione di mandata; 4. Pom­ pa.

Fig. XII.67 [7) - Pompa centrifuga munita di pompa a vuoto di avviamento. l. Valvola; 2. Pompa a vuoto; 3. Pompa centrifuga.

���E� � -1

-+-

_ ,_

­

, __

618

Macchine

Valvola di ritegno È una valvola sistemata al piede della tubazione di aspirazione e consente il passaggio dell'acqua in una sola direzione (Fig. XII.65). Basta quindi riempire la tubazione e la pompa solo in occasione del primo avviamento in quanto ad ogni fermata sia la pompa che il tubo aspirante rimarranno riempiti d'acqua grazie alla valvola di ritegno. Tale dispositivo, comunemente adoperato nelle prime applicazioni delle pompe centrifughe, è però oggi un po' in disuso sia perché comporta elevate perdite di carico, con conseguente riduzione di NPSH,A, sia perché spesso la tenuta della valvola non è perfetta a causa di interposizione di corpi solidi tra le superfici. Ciò comporta parziale svuotamento della tubazione aspirante con con­ seguente impossibilità di avviamento. Serbatoio di innesco È un sistema spesso adoperato nel caso di piccole pompe (Fig. XII.66). All'avviamento la pompa è sotto battente quindi parte prelevando l'acqua dal serbatoio di innesco nel quale si crea una depressione che favorisce l'aspirazione dell'acqua dal serbatoio principale. Pompe a vuoto Con tale sistema si crea, nella tubazione di aspirazione, una depressione sufficiente a richiamare l'acqua che dal serbatoio inferiore raggiunge la pompa (Fig. XII.67). All'avviamento, si provvede a chiudere la valvola l inserita nella tubazione di mandata e si fa partire la pompa a vuoto 2 che aspira dal punto più elevato della pompa che si vuole far partire. Quando questa è completamente piena d'acqua, l'acqua comincia ad uscire dalla mandata della pompa a vuoto che viene allora fermata, mentre contemporaneamente si avvia il motore elettrico di azionamento della pompa e si apre la valvola l .

XII.5. Descrizione di alcuni dei tipi più diffusi di pompe centrifughe Le pompe dinamiche sono diffuse al punto che non c'è settore della tecnica che non preveda l'utilizzazione di questa macchina operatrice. Ciò comporta una enorme diversificazione di tipi che coprono a loro volta campi di portate e prevalenze diversissimi in relazione peraltro a fluidi differenti per cui non è assolutamente possibile una qualsiasi classificazione analitica di tale tipo di mac­ china. In questo paragrafo si vogliono soltanto descrivere pochi tipi di pompe scelti ovviamente tra quelli che, avendo larghissima diffusione, più facilmente potranno essere incontrati dal lettore cui queste note sono rivolte.

Pompe

619

XII .5 . 1 . Pompe monostadio

In fig. XII.68 è riportata la sezione longitudinale del tipo di pompa centrifuga che trova la più vasta applicazione in numerosi servizi. Come si vede è una pompa monostadio con l 'albero 2 disposto orizzontalmente che porta, montata a sbalzo, la girante l fissata mediante un dado ed una chiavetta ad una estremità dell'albero. La cassa a spirale 3 che comprende la tubazione di mandata DP (Delivery Pipe) è bullonata all'incastellatura 4. Un coperchio 5, che porta la tubazione di aspirazione IP (In let Pipe) , è bullonato a sua volta alla cassa a spirale 3. L'albero 2 è supportato dai cuscinetti a sfere 6 e 7 che vengono lubrificati dall'olio presente nella intelaiatura di sostegno che prende il nome di culla. Sull'altra estremità dell'albero è sistemato un semigiunto 8 accoppiato con il semigiunto 9 calettato sull'albero del motore elettrico che muove la girante l . Una tenuta l O limita i l ritorno del fluido dalla cassa a spirale 3 verso l a tubazione di aspirazione IP. È prevista una ulteriore tenuta 11 nonché i fori 12 nel disco della girante che permettono il bilanciamento della spinta assiale. Per evitare che durante il funzionamento l'aria esterna possa infiltrarsi nel corpo pompa, sono presenti le tenute 13 costituite in genere da canapa e spago uniti a grafite ed è prevista altresì l a possibilità di inviare, attraverso il condotto 15, acqua sotto pressione all'anello distanziatore 14 per evitare appunto le infiltrazioni di cui sopra. Le tenute 13 sono mantenute fortemente pressate dal coperchio 16 che viene progressivamente avvitato mano a mano che le tenute si consumano. Si

Fig. XII.68 (7] - Sezione longitudinale d i pompa centrifuga monostadio. l . Girante; 2. A lbero; 3. Cassa a spirale; 4. Incastellatura; 5. Coperchio; 6. Cuscinetto a sfere; 7. Cuscinetto a sfere; 8. Semigiunto lato pompa; 9. Semigiunto lato motore elettrico; 10. Ten u ta lato aspirazione; 1 1 . Ten u ta lato , mandata; 12. Fori di bilanciamento; 13. Pressatrecce; 14. Anello distanziatore; 15. Condotto in pressione; 16. Coperchio; !P. fnlet Pipe (Tubazione di aspirazione); D P. Delivery Pipe (Tubazione di mandata).

620

Macchine

Fig. XII.69 (2] - Vista del gruppo motore elettrico-pompa centrifuga. l. Giunto spaziatore.

osservi che il corpo pompa è progettato in modo tale da consentire la rapida estrazione delle parti rotanti (Fig. XII.69) senza staccare la pompa dalle tubazioni o dal motore, previa rimozione di un giunto spaziatore. Tra le pompe centrifughe monostadio vanno diffondendosi con crescente rapidità le pompe cosiddette monoblocco (Fig. XII.70) caratterizzate dal fatto che DP

Fig. X II .70 (7] - Sezione longitudinale di pompa centrifuga monoblocco. l. Girante; 2. A lbero; 3. Coperchio; 4. Pressatrecce; 5. Motore elettrico; !P. Tubazione di aspirazione; DP. Tubazione di mandata.

Pompe

621

la girante l è calettata direttamente sull'albero 2 del motore elettrico senza l'interposizione di cuscinetti e di giunto. Un tale tipo di costruzione, realizzabile anche con albero verticale, riduce sensibilmente il peso e l'ingombro dell'unità di pompaggio.

XII.5.2. Pompe monostadio a doppio ingresso In fig. XII.71 è riportata la sezione longitudinale lungo l'asse di rotazione di una pompa centrifuga monostadio con girante a doppio ingresso, nella quale si evidenziano il corpo pompa l ed i supporti 2 e 3. La girante 5 calettata sull'albero 6 disposto orizzontalmente è alimentata su due lati mediante i passaggi 13 collegati alla tubazione di aspirazione. Di qui trae origine la denominazione di pompa a doppio ingresso. Si osservi infine che tale tipo di pompa presenta, a parità di portata, un valore di NPSH,R più piccolo rispetto ad una pompa monoingresso caratterizzata necessariamente da più elevata velocità del fluido e quindi da maggiori perdite.

Fig. XII.71 [7] Sezione longitudinale di pompa centrifuga a doppio ingresso. l. Corpo pompa; 2. Appoggio lato mandata; 3. Appoggio lato aspirazione; 4. Cassa superiore o coperchio; 5. Girante a doppio ingresso; 6. A lbero; 7. Voluta di scarico; 8. Pressatrecce; 9. Tubazione invio acqua in pressione ai pressatrecce; I O. Tenuta ad anello; 1 1. Cuscinetto; 12. Semigiunto; 13. Voluta di ingresso. -

622

Macchine

XII.5.3. Pompe monostadio ad asse verticale Caratterizzate dalla posizione verticale dell'albero presentano in genere un corpo pompa con bocche di aspirazione e di mandata coassiali e disposte a 1 80° (Fig. XII.72). Tale caratteristica le rende particolarmente idonee ad essere inse­ rite lungo tubazioni di oleodotti e di acquedotti, al pari di una valvola, senza necessità di realizzare appoggi e fondazioni, onde la loro denominazione di pompe in fine. Sono diffusissime quindi nelle raffinerie, negli impianti petrolchi­ mici e, grazie al modesto ingombro, nelle applicazioni navali.

XII.5.4. Pompe multistadio Nelle pompe a più stadi il fluido passa attraverso due o più giranti ed acquista una prevalenza pari a zH se z è il numero delle giranti, tutte uguali tra di loro, ed H è la prevalenza che ciascuna girante conferisce al fluido. Da un punto di vista costruttivo le pompe multistadio possono essere costi­ tuite da più elementi accoppiati l'uno all'altro e bloccati da tiranti opportuna­ mente dimensionati (Fig. XII.73) oppure da due semicasse bullonate tra loro secondo un piano orizzontale di mezzeria (Fig. XII.74), nelle quali sono inserite le giranti, in n umero pari a quello degli stadi, ed i diffusori.

Fig. X I I .72 [2] - Sezione longitudinale di pompa centrifuga verticale monostadio in fine.

Pompe

623

Fig. X II.73[7] Sezione longitudinale di pompa centri fuga multistadio munita di tiranti. l . Girante; 2. A lbero; 3. Elemento modulare o stadio; 4. Elemento di ingresso; 5. Elemento di uscita; 6. Tirante; 7. Cuscinetto; 8. Pressatrecce lato aspirazione; 9. Pressatrecce lato mandata; 1 0. Semigiunto; 1 1. Diffusore; 12. Canali di ritorno; lP. Tubazione di aspirazione; D P. Tubazione di mandata. -

1

Fig. XII.74 [7] Vista di pompa centrifuga multistadio con due semicasse e percorso del fluido. l . Semicassa inferiore; 2. Semicassa superiore; !P. Tubazione di aspirazione; D P. Tubazione di mandata; EP. Tubazione esterna. -

624

Macchine

In fig. XII.73 è riportata la sezione longitudinale di una pompa centrifuga a quattro stadi in cui sono visibili le quattro giranti l calettate sullo stesso albero 2. La pompa è costituita, come si vede, da tre elementi identici 3 e da due sezioni terminali, una di ingresso 4 ed una di uscita 5 che portano rispettivamente la tubazione di aspirazione lP e quella di mandata DP. Le sezioni terminali allog­ giano le tenute 8 e 9 ed i cuscinetti 7. Un giunto collega l'albero della pompa a quello della macchina azionatrice, in genere un motore elettrico. Con queste pompe, utilizzando più stadi in serie, è possibile raggiungere prevalenze largamente superiori a 1.000 m. In fig. XII.74 si riporta infine la vista di una pompa centrifuga a quattro stadi con cassa aperta orizzontalmente, unitamente al particolare percorso seguito dal fluido per bilanciare la spinta assiale. XI1.5.5. Pompe ermetiche Specialmente nelle industrie petrolchimiche, per lo sviluppo di determinati processi di fabbricazione che prevedono il trattamento di fluidi chimicamente ag­ gressivi, è fondamentale la disponibilità di pompe caratterizzate da tenuta assoluta, cioè da totale assenza di fughe verso l'esterno da parte del fluido elaborato. Tale esigenza, che non trova risposta soddisfacente nelle tradizionali tenute meccaniche o con pressatrecce, viene assicurata dalle pompe ermetiche, così dette per il fatto di garantire una perfetta tenuta del fluido. Tali pompe si distinguono in pompe a rotore immerso, dette anche canned motor pumps, e pompe a trascina­ mento magnetico. Trovano impiego nel campo dei liquidi puri, specie se di costo elevato; elaborano fluidi volatili, tossici, corrosivi, radioattivi, infiammabili e sono altresì impiegate in ambienti sottoposti a disposizioni speciali relative al pericolo di esplosioni.

Canned Motor Pumps La girante della pompa (Fig. XII.75 e Tav. XXV) ed il rotore del motore elettrico, di solito a gabbia di scoiattolo, sono calettati su di un unico albero. Una modesta portata del fluido pompato viene ricircolata per raffreddare il motore e lubrificare i cuscinetti di guida, ma rimane isolata dagli avvolgimenti statorici mediante un sottile cilindro metallico 1 1 di materiale non magnetico e resistente alla corrosione (Fig. XII.76). Per evitare eccessivi riscaldamenti del motore, a 11

Tale cilindro prende il nome di can, onde la denominazione cannerl moror pumps.

Pompe

Fig. Xl 1 .75 - Sezione longitudinale di pom­ pa ermetica d e l tipo canned m olar e per­ corso del fluido di raffreddamento (A PV).

625

Fig. X l l .76 - Motore elettrico di aziona­ mento per una cannecl motor pump (A PV). l . Cilindro di isolamento.

volte gli avvolgimenti statorici sono annegati in un bagno di olio dielettrico che facilita lo smaltimento del calore. Un piccolo filtro autopulente provvede ad eliminare dal fluido qualsiasi particella solida per prevenire intasamenti altri­ menti inevitabili a causa dei ridottissimi valori dei giochi tra statore e rotore del motore elettrico. Rispetto alle pompe centrifughe classiche, ovvero del tipo a culla, le canned motor pumps sono caratterizzate da ingombri minori, come risulta dal confronto di fig. XII.77.

Pompe a trascinamento magnetico In tali pompe (Fig. XII.78) la perfetta tenuta è assicurata dalla presenza di una interruzione tra l'albero del motore e quello della pompa che rimane ermeti-

Fig. X l l .77 - Confronto tra l'ingombro di una pompa centrifuga del tipo a culla ciel tipo canned motor (APV).

e

eli una

626

Macchine

Fig. XII.78 Sezione longitudinale di pompa a trascinamento magnetico ( !-! ERM E T/C). l. Girante; 2. Mantello di contenimento; 3. Magnete esterno; 4. Cuscinelli; 5. Magnete interno. -

camente chiusa in un mantello di contenimento. Una corona di magneti perma­ nenti, in genere alnico, è sistemata sull 'albero del motore elettrico e prende il nome di magnete esterno mentre un'altra corona di magneti permanenti (ma­ gnete interno) è sistemata sul! 'albero della pompa ed è separata dal magnete esterno mediante il mantello di contenimento. Quando l'albero del motore elet­ trico ruota, la presenza dei magneti consente la rotazione dell'albero della pompa e quindi il funzionamento della stessa. Anche qui una piccola portata del liquido trattato viene ricircolata per lubrificare i cuscinetti ed asportare il calore generato dagli attriti.

XII.5.6. Pompe per dragaggio Con il nome dredge pumps si intendono le pompe destinate al trasferimento dello slurry vale a dire di una mescolanza costituita essenzialmente da acqua e terra. Esse vengono adoperate nelle miniere per la perforazione dei pozzi, nel campo dell'ingegneria idraulica nella realizzazione di dighe e di argini, nel dra­ gaggio di corsi d'acqua per consentire la navigazione, nel rimuovere ed allonta­ nare le ceneri negli impianti termoelettrici. Il progetto ed il disegno di una tale pompa sono evidentemente condizionati dall'elevata concentrazione di particelle solide, spesso di dimensioni rilevanti (ghiaia e ciottoli) che devono essere trascinate con l'acqua e che comportano un 'intensa usura delle parti della pompa con cui vengono a contatto. Con riferimento alla fig. XII.79 si vede che una dredge pump è sostanzial-

Pompe

627

mente simile ad una pompa centrifuga tradizionale monostadio del tipo illustrato al par. XII.5.1 (Fig. XII.68) e differisce da questa solo per alcuni particolari legati alla natura del fluido elaborato. A tale proposito si nota la considerevole lar­ ghezza b delle pale della girante l, le quali sono previste in numero modesto (in genere non più di quattro o cinque) per consentire elevate sezioni di passaggio a disposizione del fluido. Il corpo pompa 2 è collegato da un lato, mediante la piastra 4, al basamento 5 e dall'altro lato al coperchio 3 che porta la tubazione di aspirazione lP. I l corpo pompa ed il basamento sono bullonati alla fondazione. Dischi di protezione 6 e 7, costruiti in acciaio resistente alla corrosione, sono interposti tra la girante ed il corpo pompa. Per limitare la presenza di particelle solide nei giochi presenti tra parti fisse e parti mobili, si provvede ad inviare acqua pulita attraverso la tubazione 10. L'albero 9, munito di apposito sistema di tenute 8 è montato su cuscinetti a rulli 11 ed è previsto anche un cuscinetto di spinta, a sfere, per bilanciare la spinta assiale. Un giunto elastico 12 collega l'albero al motore elettrico che aziona la girante. In fig. XII.80 è riportata una dredge p ump per servizio pesante. Sostanzial­ mente è analoga a quella illustrata in fig. XII .79 con la differenza che il corpo pompa presenta un involucro interno 13 in acciaio altamente resistente alla corrosione, al pari dei dischi 6 e 7, in maniera che la girante ruota completamente riparata da un mantello protettivo. Si ritiene opportuno precisare che, nonostante i numerosi accorgimenti protettivi, gli organi che vengono a contatto con il fluido

Fig. X I I .79 [7] Sezione longitudinale di pompa centrifuga da dragaggio. l. Girante; 2. Cmpo pompa; 3. Coperchio; 4. Piastra; 5. Basamento; 6. Disco di protezione; 7. Disco di protezione; 8. Pressatrecce; 9. A lbero; 10. Tubazione; 11. Cuscinetto a rulli; 12. Giunto elastico; lP. Tubazione di aspiraziOne; D P. Tubazione di mandata. -

628

Macchine

Fig. XII.SO [7] Sezione longitudinale di pompa centrifuga da dragaggio per servizio pesante. l . Girante; 2. Corpo pompa; 3. Coperchio; 4. Piastra; 5. Basamento; 6. Disco di protezione; 7. Disco di protezione; 8. Pressatrecce; 9. A lbero; 10. Tubazione; 1 1 . Cuscinetto; 12. Giunto elastico; 13. Involucro interno; lP. Tubazione di aspirazione. -

sono soggetti a rapida usura e pertanto tali pompe devono essere progettate in maniera tale da consentire u n facile smontaggio delle parti soggette ad usura perché possano essere sostituite rapidamente.

XII.5.7. Pompe per acque reflue

Il problema del trattamento delle acque reflue, o acque di rifiuto, è di vasta portata e di grande attualità in quanto un qualunque insediamento urbano, grande o piccolo che sia, o una qualsiasi industria producono acque reflue che, prima di essere scaricate nella rete fognaria o ricondotte nel ciclo produttivo industriale, vanno sottoposte ad opportuni processi di depurazione e di neutraliz­ zazione. Le pompe che convogliano tali acque devono dunque presentare idonei requisiti a seconda delle specifiche caratteristiche del liquido trattato con partico­ lare riferimento all'aggressività chimica e meccanica ed in relazione alle sostanze estranee in sospensione che possono essere anche di dimensioni notevoli o di forma molto allungata e filamentosa.

Pompe

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Per mettere in luce la vastità del problema, si illustrano le caratteristiche fondamentali delle acque reflue prodotte da alcune industrie che trovano larghis­ sima diffusione in tutto il mondo. Industrie chimiche e petrolchimiche. Le acque reflue sono in genere abrasive e corrosive con parti solide i n sospensione; le temperature del liquido trattato sono spesso elevate, anche 400°C, e pertanto bisogna porre particolare attenzione per evitare il fenomeno della cavitazione. Industrie tessili. Le acque reflue sono difficili da trattare in quanto traspor­ tano sempre sostanze di forma filamentosa che possono intasare facilmente le sezioni di passaggio. Industrie della carta. Si tratta di acque reflue chimicamente aggressive in quanto generalmente acide; trascinano inoltre fibrille di carta o cellulosa e richie­ dono pertanto giranti di forma opportuna per evitare intasamenti. Per avere un'idea della diffusione che le pompe hanno in tale tipo di industria basti pensare che sono richieste quasi 150 t di acqua per ogni tonnellata di carta prodotta e che nel processo di lavorazione che dal legno porta al prodotto finito vengono impiegate all'incirca duecento pompe. Industrie conserviere. Le acque reflue sono in genere acide per la presenza di particelle di prodotti alimentari ed è pertanto necessario utilizzare per la girante materiali resistenti alla corrosione quali l'acciaio inox. Industrie dello zucchero. Le acque reflue contengono frammenti di barbabie­ tola e sabbia e pertanto la girante deve prevedere larghi passaggi per evitare intasamenti. Il processo di lavorazione prevede da 50 a 100 pompe. Industrie siderurgiche. Le acque reflue contengono scaglie di lavorazione in quantità più o meno elevate che impongono l ' impiego di materiali particolar­ mente resistenti all'azione fortemente abrasiva delle particelle metalliche. Alla luce di quanto esposto segue che le pompe destinate al trattamento delle acque reflue devono essere progettate con grande cura anche in relazione al fatto che il trasporto di corpi solidi in un liquido provoca delle perdite idrauliche supplementari, dovute al movimento relativo del liquido rispetto al solido, che ostacola il regolare deflusso; tali perdite aumentano evidentemente con la con­ centrazione della parte solida nella miscela e di conseguenza il rendimento della pompa diminuisce. Nonostante tutti gli accorgimenti per profilare nella maniera più opportuna la voluta ed i condotti della girante, i valori del rendimento risultano compresi tra 0,60 e 0,80 con i valori più bassi relativi alle piccole unità. Le pompe per acque reflue funzionano con velocità di rotazione sensibil­ mente inferiore a quella ammessa per il pompaggio dell'acqua; sono in genere monogirante a semplice aspirazione o, per i più elevati valori della portata, a doppia aspirazione. La geometria della girante dipende in larga misura dal particolare tipo di sostanza in sospensione nell'acqua; le giranti che attualmente trovano più larga diffusione nelle pompe che trattano acque reflue sono:

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Fig. Xl l.Sl (5]

-

Girante monocanale.

- girante monocanale o monopala. È una girante con una sola pala (Fig. X I I .8 1 ), senza restringimenti nel passaggio, particolarmente adatta per liquidi con corpi estranei in sospensione, aventi dimensioni all 'incirca pari al diametro delle bocche della pompa. È utilizzata per il trasporto di acque di rifiuto non pulite e per acque contenenti fibre allungate. - girante a due o a tre canali. È la girante che trova il più largo impiego nel trattamento di acque reflue industriali perché grazie ai larghi passaggi (Fig. X I I .82), alle alte prevalenze ed agli elevati rendimenti è la più rispondente alle caratteristiche del liquido e laborato. È prevalentemente utilizzata negli zuccheri­ fici, nell'industria conserviera e petrolchimica. - girante arretrata a vortice. Particolarmente adatta (Fig. X II.83) per gli impianti di depurazione di acque reflue civili ed industriali è adoperata con successo nelle industrie tessili e della carta grazie al principio dell'accoppiamento idrodinamico (Fig. X I I.84) utilizzato per la trasmissione dell'energia al liquido e cioè la creazione, come mostra la figura, di un vortice all'aspirazione che centri­ fuga poi il liquido verso la mandata. La posizione arretrata della girante inoltre (Figg. X I I . 83 e X I I.84), realiz­ zando un passaggio libero integrale dall'aspirazione alla mandata, rende la pompa praticamente inintasabile. Corpi solidi di dimensioni di poco inferiori al diametro della bocca di mandata vengono convogliati senza problemi e così pure materiali fibrosi e lunghi filacci. La sistemazione arretrata della girante e la mancanza perciò di canali di guida del fluido comportano peraltro un valore del rendimento che in genere non supera il 60% .

Fig. X I UQ [5J - Giranti a due e a tre canali.

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Fig. XII.83 - Spaccato di pompa centrifuga con girante arretrata a vortice ( TURO ) .

Fig. X l l .84 ( 2 ] - Schema semplificato di funzionamento di u n a girante arretrata a vortice.

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XII.5 .8. Pompe ad asse verticale per pozzi profondi Le pompe destinate al sollevamento dell'acqua da pozzi profondi sono essen­ zialmente di due tipi: pompe con albero di trasmissione e pompe con motore immerso. Vengono utilizzate negli impianti per il sollevamento dell'acqua in città e comuni, per grandi aziende industriali ed agricole, per l'abbassamento del livello dell'acqua negli scavi, per l'esaurimento di miniere. Pompe con albero di trasmissione Sono costituite da tre parti fondamentali (Fig. XII .85a). La pompa stessa 4 in genere centrifuga a più stadi, che è sistemata in fondo al pozzo munita di filtro 5 e di valvola di ritegno; una struttura di supporto 2 per il motore elettrico l situato in superficie a bocca di pozzo; una tubazione di mandata all'interno della quale ruota l'albero 3 che collega il motore alla pompa e che viene tenuto in asse da appositi cuscinetti di guida disposti ad intervalli regolari lungo la tubazione. La fig. XII.85b riporta la sezione longitudinale di una pompa del tipo de­ scritto. Ogni stadio comprende una girante centrifuga l fissata ad un albero verticale 2, un corpo pompa 3, nel quale è alloggiato il diffusore 4, che consente il passaggio dell'albero 2 e, insieme al corpo pompa 3, dà luogo ai canali di ritorno 5. Gli stadi sono collegati tra loro mediante prigionieri. Una tubazione conica 6, all'interno della quale è sistemato un cuscinetto di guida, è collegata da un lato al filtro 7 e dall'altro al primo stadio. Il primo tratto della tubazione di mandata 8, lungo come gli altri da 2 m a 3,5 m, è flangiato sull'ultimo stadio e porta nella parte superiore un cuscinetto di guida 9 lubrificato ad acqua. Per evitare intru­ sione di sabbia nei cuscinetti, si provvede ad immettere in essi acqua in pressione attraverso la tubazione 10. I componenti principali della struttura superiore sono (Fig. XII.85c) la tuba­ zione a gomito, collegata all'ultimo tratto della tubazione di mandata, il cusci­ netto di guida 1 1 , il pacco di tenute 12 ed il cuscinetto di spinta 13 a bagno d'olio 14 che sostiene il peso di tutte le parti rotanti e assorbe anche la spinta assiale. Un giunto 15 collega infine l'albero della pompa a quello del motore elettrico fissato mediante la flangia 16. La pompa descritta è destinata al trasferimento di acqua fredda e pulita con un contenuto in impurità solide non superiore allo 0,1 %. Se si prevede che l'acqua da sollevare è leggermente sabbiosa, è possibile disporre un tubo di protezione all'interno della tubazione di mandata che impedisce all'acqua del pozzo di venire in contatto con l'albero e con i cuscinetti. Si osservi che queste pompe sono caratterizzate da ingombri modesti in quanto devono essere calate in pozzi trivellati il cui diametro è, come noto, contenuto. È intuitivo che la installa­ zione di tali pompe può presentare qualche difficoltà (ad es. problemi di allinea­ mento) quando la lunghezza dell'albero supera i 100 m.

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3 2

Fig. XI I.85a [7] - Vista dell'insieme di un impianto eli pompaggio acqua da pozzi profondi comprendente motore elettrico, albero eli trasmissione, pompa centrifuga. l . Motore elettrico; 2. Supporto motore; 3. Albero di trasmissione; 4. Pompa; 5. Filtro e valvola di ritegno. Fig. XII.85b [7] - Sezione longitudinale della pompa centrifuga per pozzi profondi dell'impianto di fig. XII.85a. l. Girante; 2. A lbero; 3. Corpo pompa; 4. Diffusore; 5. Canale di ritorno; 6. Tubazione conica; 7. Filtro e valvola di ritegno; 8. Tubazione di mandata; 9. Cuscinetti di guida; 10. Tubazione di immissione acqua in pressione. Fig. XII.85c [7] - Sezione longituclinale della struttura superiore dell'impianto eli fig. X I I.85a. 1 1. Cuscinetto di guida; 12. Tenute; 13. Cuscinettò di spinta; 14. Bagno d'olio; 15. Giunto; 16. Flangia.

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5

Fig. X I I .86a [7] - Vista d'insieme di un impianto di pompaggio acqua da pozzi profondi con motore immerso. l. Pompa centrifuga multistadio; 2. Filtro; 3. Motore elettrico immerso; 4. Tubazione di mandata; 5. Cavo elettrico. Fig. X I I .86b [7] - Sezione longitudi n a l e d e l l 'e l e t tropompa centrifuga sommersa dell 'impianto di fig. XII .86a. l. Girante primo stadio; 2. Diffitsore; 3. Flangia; 4. Statore motore eleffrico; 5. Cavo elettrico; 6. Ro10re motore elettrico; 7. Giunto; 8. Cuscinetto di spinta; 9. Collare di protezione.

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Pompe con motore immerso Sono caratterizzate dal fatto che il motore elettrico di azionamento è an­ ch'esso sommerso come la pompa. La fig. XII.86a riporta la vista d'insieme di un impianto di pompaggio costituito da una pompa centrifuga l a più stadi, un filtro 2 con valvola di ritegno, un motore elettrico immerso 3, la tubazione di mandata 4 ed i collegamenti elettrici 5. La fig. XII.86b riporta la sezione longitudinale di una elettropompa sommersa a due stadi nella quale si distinguono la girante l del primo stadio, i condotti statorici (diffusori) 2 e la flangia 3 di collegamento alla tubazione di mandata. Il motore elettrico a induzione, con rotore a gabbia di scoiattolo 6, è alimentato mediante il cavo 5. Gli alberi del motore e della pompa sono rigidamente collegati mediante il giunto 7; sono presenti infine cuscinetti di guida lubrificati ad acqua ed un cuscinetto di spinta 8. Per assicurare lunga durata all'unità bisogna evitare che particelle abrasive raggiungano il motore elettrico che pertanto viene riempito con acqua pulita mantenuta separata, tramite il collare 9, dall'acqua elaborata dalla pompa. A volte si usano anche motori a bagno d'olio. Pompe di questo tipo elaborano fino a 1 .000 m3/h di acqua con prevalenze di 400 ..;- 500 m in pozzi di diametro fino a 400 mm. Si ritiene infine opportuno precisare che mentre nel campo civile questa pompa viene universalmente impiegata da diversi decenni, solo da pochi anni è entrata nel settore industriale dove ha trovato rapidamente vasta applicazione grazie alle ridotte dimensioni ed all'estrema semplicità di installazione, di manu­ tenzione e di funzionamento. Si osservi tra l'altro che poiché il motore sommerso subisce un intenso raffreddamento da parte dell'acqua pompata, esso può essere avviato, in un certo tempo, il doppio delle volte di un motore raffreddato ad aria il che si traduce, ad es., in una riduzione della capacità della vasca nella quale la pompa è eventualmente sistemata.

XII.6. Pompe assiali o ad elica Una pompa assiale è una turbomacchina operatrice percorsa dal fluido in direzione prevalentemente assiale (Fig. XII.87) ed è costituita essenzialmente da una girante l composta da un bulbo 7 che porta le pale 8 in numero in genere da quattro a otto. La girante è bullonata alla flangia inferiore dell'albero 2 mantenuto in posi­ zione da due cuscinetti di guida, uno inferiore 3, in genere raffreddato ad acqua, ed uno superiore 4 raffreddato ad olio quando, come nel caso di fig. XII.87, è sistemato all'esterno della tubazione 6 attraversata dal l 'acqua. Le forze assiali sono invece sostenute dal cuscinetto del motore elettrico che aziona la pompa e che è collegato, tramite un giunto, all'estremità superiore dell'albero della pompa. A valle della girante, nel senso del percorso del fluido, sono sistemate le pale statoriche 5 dette anche raddrizzatrici. In fig. XII.87 è riportato in tratteggio

636

Macchine

anche lo sviluppo in piano della sezione cilindrica eseguita al raggio r nella pompa assiale. Le pale 8 si muovono con velocità periferica u e l'acqua che attraversa le pale abbandona l a girante con velocità assoluta diretta nel senso delle frecce di fig. XII.87. Successivamente l'acqua incontra le pale fisse raddriz­ zatrici che riportano la velocità assoluta del fluido in direzione assiale eliminando quindi la componente tangenziale con conseguente incremento di pressione. Le pompe assiali, come già detto al par. XII.4.3, sono caratterizzate da valori del numero di giri specifico molto alti e sono adatte per elaborare portate di fluido anche elevatissime, fino a 100.000 m3/h, con prevalenze piuttosto modeste, che non superano in genere i 20 + 25 m, e con rendimenti molto alti. Sono quindi utilizzate in particolare per servizi di circolazione acqua nei condensatori delle centrali termoelettriche, convenzionali e nucleari, per servizi di svuotamento bacini di carenaggio, infine per servizi di bonifica, di prosciuga­ mento e di drenaggio. Quando le pale della girante sono fissate rigidamente al mozzo (pale a passo fisso) la pompa assiale prende il nome di pompa ad elica ed in tal caso, quando si

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Fig. X I I .87. (7] - Pompa assiale e percorso del fluido. l . Girante; 2. A lbero; 3. Cuscinetto di guida inferiore; 4. Cuscinetto di guida superiore; Pale statoriche; 6. Tubazione; 7. Bulbo; 8. Pale rotoriche.

5.

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637

funziona a portate diverse da quella di progetto in corrispondenza della quale si attinge il massimo rendimento, nascono delle perdite, dovute all'alterazione dei triangoli di velocità in ingresso ed in uscita dalla girante, che comportano una riduzione del rendimento tanto più sensibile quanto maggiore è lo scostamento della portata rispetto a quella di progetto. Per tale motivo il campo di utilizza­ zione stabile non può scendere al disotto del 70% + 80% del valore nominale contro il 25 % + 30% di una macchina radiale. Per limitare tale inconveniente, si fa spesso ricorso ad un dispositivo che consente alle pale della girante di ruotare intorno ad un perno ortogonale all'asse di rotazione della macchina in misura dipendente dall'entità della riduzione della portata (Fig. XII.88). Si ha in tal caso la pompa a passo variabile o pompa Kaplan che, al variare della portata, consente di contenere la riduzione del rendimento entro limiti accettabili.

Fig. X l l . 88 D ispositivo orientamento pale rotoriche di pompa assiale ( R I VA CA LZONI). l. Pala rowrica; 2. Mozzo; 3. Perno pala; 4. Bussola antifrizione; 5. Leva comando pale; 6. Asta di collegamento registrabile; 7. Biella comando pale; 8. Bulbo; 9. Asta comando pale. -

638

Macchine H

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Fig. X II.89 - Curve caratteristiche di pompa assiale Kaplan per differenti posizioni delle pale rotoriche sul mozzo.

In fig. XII.89 si riportano infine le curve caratteristiche di una pompa Kaplan ciascuna delle quali si riferisce ad una ben precisa posizione delle pale sul mozzo.

Pompe

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640

Macchine

Si desidera infine esprimere un vivo ringraziamento alle Case costruttrici qui di seguito riportate in ordine alfabetico le quali, in diversa misura, hanno fornito materiale tecnico e divulgativo di grande attualità, contribuendo ad arricchire sensibilmente la parte grafica ed illustrativa del presente capitolo: ABS, A GI, A L BANY, A L L WEILER, A P V, A UTOCL UDE, A VONPUMP, BARMA G, BERGER ON-RA TEA U, BIRAL, B OLIDEN, BOWIE, BRAN­ L UBRE, CRANE, DA VID BROWN, D E MORI, D EPLECHIN, D ESMI, D ICKO W, D MR, D O UGLAS P UMPS, DRESSER, ED UR, EMMERICH PUMPS, FEL UWA, FLYGT, FMC, FRISTA M PUMPEN, GABBIONETA, GEHO, GIRDLESTONE, GROSVENOR, GR UNDFOS, HALBERG, HAM­ MELMA NN, HAMWOR THY, HERMETIC P UMPEN, HILGE, HYDRA, IBEX P UMPS, IMO, IWAKI, JOHNSTON, KISHOR, KLA US UNION, KOL­ MERS, KSB, K VA ERNER, LA WRENCE, LEEHOWL, LEISTRITZ, L UTZ, MAA G, MO UVEX, NETZSCH MOHNO P UMPEN, NUOVO PIGNONE, OCHSNER, OSNA, POMPES IND USTRIE, POMPE TRA VAINI, REISS, ' RFC, RHEINH VTTE, RIVA CALZONI, SCANPUMP, SEEPEX, SERFILCO, SOMEFL U, STUA R T, TERMOMECCA NICA, THYSSEN, TO TTON, TURO, VANTON PUMPS, WERD OHLER PUMPEN-FABRIK, WIR TH, WICKHAM.

Capitolo tredicesimo Impianti operatori

XIII . l . Impianti a ciclo inverso - Frigoriferi e pompe di calore Nei capitol i relativi alla Parte I I si è parlato essenzialmente di impianti motori termici, vale a dire di impianti nei quali il fluido motore, mediante un opportuno ciclo termodinamico percorso in senso orario (ciclo diretto), riceve energia ter­ mica - prodotta da fonti primarie - cedendo all'esterno lavoro meccanico direttamente utilizzabile. Esiste però anche l a categoria degli impianti operatori termici, nei quali il ciclo viene percorso dal fluido in senso antiorario (ciclo inverso), realizzando il trasferimento di energia termica da temperature inferiori a temperature superiori grazie alla somministrazione di lavoro meccanico prelevato dall'esterno. In quanto segue si parlerà solo di quegli impianti, di gran lunga i più diffusi, nei quali tale operazione viene fatta con compressione di vapore. Essi si distinguono in impianti frigoriferi, se finalizzati a sottarre calore ad un determinato ambiente, e in pompe di calore se invece hanno lo scopo di versarvi calore sottratto ad una sorgente a temperatura inferiore 1 • I l ciclo inverso e lo schema elementare di funzionamento sono rappresentati in fig. XII I . l . Il fluido evolvente, percorrendo l'evaporatore E, vaporizza (trasfor­ mazione 5-l ) sottraendo calore all'ambiente da raffreddare (ad es. una cella frigorifera); il fluido, prelevato all'uscita dell'evaporatore E, viene compresso adiabaticamente lungo la 1 -2 dal compressore C, entra poi in uno scambiatore CO dove è prima desurriscaldato lungo la 2-3 e poi condensato lungo la 3-4. Questa trasformazione comporta ovviamente cessione di calore dal fluido all'am­ biente nel quale è installato il condensatore. Il fluido attraversa poi la valvola V nella quale subisce la l aminazione 4-5 praticamente isoentalpica che lo riporta alla pressione iniziale p1 ed evapora nuovamente lungo la 5-l .

1 Il nome pompa di calore trae origine dall'analogia di funzionamento con la pompa idraulica che, similmente, permette di sollevare acqua da un livello inferiore ad uno superiore, in senso contrario a quello di naturale deflusso, grazie alla somministrazione di lavoro meccanico prelevato dall'esterno.

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Macchine

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Fig. X l l l . l Rappresentazione nel piano Ts di un ciclo inverso a compressione di vapore e schema elementare di un impianto operatore. C Compressore; CO. Condensatore; V. Valvola di laminazione; E. Evaporatore; M. Motore. -

Indicando con

Q2

la quantità di calore sottratta nell'evaporatore: ( 13-1 )

e con L il lavoro di compressione fornito dall'esterno: ( 1 3-2) è evidente che il calore dato da:

Q1 versato nell'ambiente

lungo la trasformazione 2-4 è ( 13-3)

h5,

Tenendo conto che la trasformazione 4-5 è isoentalpica e quindi risulta la ( 1 3-3) fornisce:

h4

=

( 1 3-4) Risulta chiaro che Q, può anche essere ricavato direttamente come differenza tra le entalpie h2 ed h4 che caratterizzano il fluido rispettivamente in ingresso ed in uscita dal condensatore. Quando l'impianto funziona da frigorifero l'effetto utile è costituito dal calore Q2 sottratto nell'evaporatore all'ambiente da raffreddare, mentre la spesa

Impianti operatori

643

per effettuare tale operazione è costituita dal lavoro L ; si usa allora definire un coefficiente di utilizzazione E espresso dalla relazione:

(h l - h s) (h 2 - h l )

(13-5 )

S e invece lo stesso impianto funziona d a pompa di calore, l'effetto utile consiste nel calore Q1 versato all'ambiente dal condensatore; poiché il lavoro speso assume sempre lo stesso valore, si usa in questo caso parlare di coefficiente di moltiplicazione termica r: ( 13-6)

r

Entrambi questi coefficienti, secondo un uso assai corrente nella pratica tecnica, vengono definiti Coefficient Of Performance, COP (coefficiente di presta­ zione). È utile notare che, a differenza del rendimento delle trasformazioni di calore in lavoro relative ai cicli diretti, come si ricorda sempre minore dell'unità, il COP può invece assumere, a seconda dei casi, valori inferiori, uguali o anche superiori ad uno. I cicli inversi vengono frequentemente rappresentati nel piano pressione­ entalpia (Fig. XII1.2) poiché in tale piano tre delle quattro trasformazioni risul­ tano segmenti di retta: la laminazione (isoentalpica), l'evaporazione e la fase di desurriscaldamen to-condensazione, e n tram be isobariche. Si ritiene ora opportuno precisare che anche per il coefficiente di prestazione COP di un ciclo inverso od operatore ( an alogamente a quanto avviene per il rendimento di un ciclo diretto o motore) , una volta fissate le temperature minima T,.,, e massima T,.,, tra cui evolve il fluido adibito al trasferimento del calore da T,.,, a T,.,., il ciclo caratterizzato dal più elevato valore del coefficiente di presta­ zione è il ciclo inverso di Carnot evolvente tra le dette temperature. Con riferimento al piano Ts ed allo schema di fig. XIII .3, è immediato dedurre i valori di E e di r per un ciclo inverso di Carnot: infatti, il calore sottratto Q2 è rappresentato dall 'area A41B, quello Q1 dall'area A32B mentre il lavoro complessi­ vamente trasferito tra fluido ed ambiente è pari, come suggerisce la (3-72), alla differenza tra Q1 e Q2 ed è rappresentato proprio dall'area del ciclo 1-2-3-4. Si ha dunque:

Tmax (s s ed analogamente:

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(s s - sA )

( 1 3-7)

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