L'occhio alato - Migrazioni di un simbolo [1 ed.]

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Alberto Giorgio Cassani L'occhio alato Migrazioni di un simbolo con uno scritto di Massimo Cacciari

Nino Aragno Editore

© 2014 Nino Aragno Editore

sede legale via San Francesco d'Assisi, 22/bis - 10121 Torino sedi operative via San Calimero, 11 - 20122 Milano strada Santa Rosalia, 9 - 12038 Savigliano ufficio stampa 7 tel. 02. 2094703-02.34592395 e-mail: [email protected] sito internet: www . ninoaragnoeditore.it

Indice

Meditazione sull'occhio alato dell'Alberti di Massimo Cacciari Ringraziamenti Avvertenza Nota

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L'OCCHIO AlATO. MIGRAZIONI DI UN SIMBOLO l. Introduzione. Simbolo o indovinello?

2. L'invenzione dell 'occhio alato. L'impresa di Leon Battista Alberti l. Anuli Il. "Mysteria" albertiani III. �gyptiorum signa IV. Lo sguardo dall 'alto V. L' occhio "alato" del pittore VI. L'occhio "alato" dell 'architetto VII. L'occhio "alato" del massaio VIII. Occhi "mostruosi": Argos, Fama e Polifemo IX. "Ali" albertiane X. QVID TVM Xl. Luciano e Giobbe Postilla

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INDICE

3. Omaggi e tradimenti. L'occhio alato nel Rinascimento 3.1. L'occhio alato del cardinal Cusano 3.2. La fama volante del Filarete 3.3. Gli occhi geroglifici di Polifilo 3.4. Un omaggio di Cosimo Bartoli 3.5. Un altro omaggio di Dosso Dossi 4. Migrazioni di un simbolo l. Il "ritorno" dell' occhio alato 4.1 . L'occhio alato di Ariel Cocles, alias Gabriele D 'Annunzio 4.2. Gli occhi volanti di Tomaso Buzzi 4.3. Variar. dall ' occhio-monstrum di Giovanni Battista Piranesi all ' occhio cosmico della Classense, passando per l'occhio vigile di Villa Schopp 4.4. Qualche occhio "pseudoalato": da Claude-Nicolas Ledoux a Santiago Calatrava, passando per Alberto Savinio 5. Migrazioni di un simbolo Il. The Dark Si de of the Eye 5.1. Occhi volanti "da combattimento" 5.2. Psychedelic Eye. Gli occhi alati di Kenny Howard (aliasVon Dutch) & Rick Griffin 5.3. L'occhio alato di Dylan Dog 5.4. Occhi alati "a mandorla" 5.5. Winged eyes on sale . ..

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Tavole

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Indice dei nomi

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MEDITAZIONE SULL' OCCHIO ALATO DELL' ALBERTI

di Massimo CacciaTi

Il geroglifico dell '"occhio" a me pare anzitutto la trac­ cia inconfon dibile della presenza platonica nell 'Alber­ ti - di un platonismo in dialettica e polemica con quello dell 'Accademia fioren tina - di quel platonismo critico e drammatico che per tanti aspetti ispirerà la stessa "ri­ voluzione scientifica" e impronterà di sé il pensiero di Giordano Bruno. Poiché la prima idea che l'enigma al­ bertiano fa sorgere non può che essere quella rappre­ sentata con tanta evidenza nella Repubblica e nel Timeo. Dopo aver provveduto secondo mescolanze bene ordinate, imitando ciò che è sempre, alla fabbricazione del cosmo e degli dèi visibili e generati, il Demiurgo lascia a questi suoi figli di compiere l 'opera seminando corpi mortali, ed essi la eseguono obbedendo al logos che riconoscono essere alla base della poiesis del Padre. Quella parte del corpo, come il cosmo rotonda, sarà la più divina nell 'uo­ mo e sarà destinata a dominare le restanti. Per servire il Capo sono costruite tutte le altre membra. Ma prima di ogni altro organo «fabbricarono gli occhi phosphora, portatori di luce» ( Timeo 44 b 3) . Essi costituiscono, in certo modo, la più perfetta forma di krasis, quella tra il fuoco che ci colpisce da fuori, la Luce del giorno, e l'altro, puro, che sta in noi. Essi sono della stessa natura

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e nell 'occhio, nel corpo dell 'occhio, si incontrano e si affratellano: il simile sente il simile. Quando l'aria circo­ stante non ha più fuoco, anche il fuoco interiore è come si ritirasse; tuttavia, anche nel sonno esso si conserva (e, anzi, rinnova nel riposo la propria energia) , pronto a risvegliarsi con la Luce del giorno. L'occhio ha insomma una propria luce, è di natura solare e perciò può vedere, mescolarsi-congiungersi alla Luce. L'occhio, cioè, irra­ dia - esso vede non soltanto perché illuminato, ma per­ ché illumina. Se non fossero viste dal fuoco interiore che si esprime attraverso l'occhio, centro del Capo, le cose resterebbero oscure. Esse sono manifeste, alethes, grazie alla krasis tra due Soli, per quanto immortale quello ce­ leste e mortale, in noi, quello che il dio ci ha donato. I raggi fulminanti intorno all ' occhio albertiano non mi sembra possano essere diversamente interpretati. Divino è l'organo della vista, corpo, sì, ma divino - e le ali lo rivelano. Saettante il proprio fuoco interiore tutto intor­ no. Vedere è irradiare. Non semplicemente perché vede la luce l 'occhio le è congenere, ma perché luminosa è la sua propria natura. In forma teoreticamente più pregnante il simbolismo domina nella Repubblica. La Luce ha il potere di congiun­ gere vedere e essere-veduto. L' occhio non è certamente la Luce, il cui potere solo a un dio, il Sole, può essere at­ tribuito, e tuttavia di questo potere egli non è geloso, ma lo dispensa; «come un fluido» esso filtra nell'occhio (508 b 6-7) e lo rende attualmente vedente. Ma la potenza del vedere è nell'occhio in sé. Fissate le diverse dimensioni antologiche, ciò che conta è comprenderne la relazione e la complementarietà. Se l 'occhio non è il Sole, il Sole, a sua volta, non è la vista (508 b 9 ) . L'occhio può giun­ gere, fino a un certo punto, a vedere il Sole; il Sole con­ cede alla vista questo potere, ma in sé rimane, in qual­ che modo, cieco. Il vero Bene consiste nel loro rapporto, nella meraviglia del loro "aggiogarsi", della loro syzigia. Il Sole rende attuale la potenza del semplice vedere, ma l 'occhio del Capo non vede semplicemente; nel suo ve-

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dere si manifesta un fuoco interiore che non è riducibile alla facoltà dell 'organo della vista. L' occhio è divino non in quanto semplicemente vede, ma in quanto vedendo considera-pondera-misura. La mens che così opera non vie­ ne dal Sole. Alato il dio Sole, alato l'occhio dell 'uomo perché occhio della mente. E questo occhio è tanto divino da giungere a vedere anche privo della Luce del Sole, da poter vedere l' invisibile. È questo l 'Occhio-Sole che domina dall'alto gli schemata del cosmo, figure geometri­ che belle in sé (Filebo 5 1 c) , sulla facciata di Santa Maria Novella. Quell 'Occhio vede il Sole comprendendone l'or­ dine, misurandone il movimento e la relazione con gli altri astri-dèi, illumina la natura delle cose manifestando­ ne il logos immanente. Nient'affatto autonomo in questo, poiché del tutto vuote resterebbero le sue facoltà senza la Luce che non solo fa vedere, ma anche crea e alimen­ ta - e tuttavia parte attiva, protagonista del dramma della syzigia che connette gli elementi del Tutto, facendone appunto un cosmo. Ora è però necessario declinare questo grande sfon­ do platonico (che rimanda ancora ai rapporti dell 'Al­ berti col Toscanelli e attraverso quest'ultimo allo stes­ so pensiero cusaniano) nel vivo dell'opera albertiana. E in ciò consiste il contributo che mi sembra del tutto convincente e esaustivo del lavoro di Alberto Giorgio Cassani. La mens albertiana tutto intende dipingere, tutto l' effettualmente vero. Per questo forme, idee, eide risulta­ no indispensabili; nessuna luce naturale sarebbe suffi­ ciente per un tale lavoro - ma tali forme hanno senso solo nella misura in cui si rivolgono al che cosa, in cui ficcano lo sguardo in tutto ciò che il Sole rende visibile - e ac­ cendono fuochi ( lampade bruniane ! ) per vedere anche nelle tenebre. E qui ha luogo il rovesciamento che la "linea" dell'Alberti (ripresa in pieno, a mio avviso, solo dal Machiavelli) opera del platonismo, pur assumendo­ ne l 'istanza fondamentale: l'idea matematico-musicale dell 'ordine cosmico. Il pensiero deve saper rappresen­ tare la realtà per come essa appare; l 'osservazione, l ' e-

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sattezza dell 'osservazione decide. L'idea, la forma illu­ minano, non trasformano; non si sovrappongono all 'ef­ fettuale, ma ne manifestano l' ordine. Il platonismo, e in particolare quello fiorentino-ficiniano, appare invece dominato da un 'intenzione opposta: ricondurre comun­ que il fatto osservato a un 'idea che minaccia di diventare pre-giudizio - e cioè che ogni elemento dell 'universo sia disposto teleologicamente, che sia rilevabile concretamente nella totalità degli essenti un telos comune, un'armonia prestabilita, e che questa, alla fine, risulti tale essenzial­ mente in rapporto alle pulsioni, ai desideri, alle speran­ ze dell 'animale-uomo. Il pensiero albertiano è, invece, radicalmente anti-teleologico, paragonabile in questo, nella "tradizione" italiana, forse solo al Leopardi. L' occhio-mens albertiano è alato-divino perché ovun­ que vola e tutto in potenza vede - ma nel Tutto vi è la vicissitudo delle cose umane , la costante, irrisolvibile tensione tra fortuna e virtù, gli irrimediabili vizi della nostra natura. Nel Tutto ha anche luogo la fatica, l 'im­ probus labor, che costa lo stare pronti, il vigilare sempre, per cogliere l'apparire delle cose e rappresentarle coe­ rentemente, l'infaticabile studio, la askesis, a questo fi­ ne necessari. L' occhio alato albertiano è perciò anche segno di dolorosa agrypnia. L'anima, insomma, tutto in potenza conosce nella misura in cui nulla vuole nascon­ dersi, nulla si risparmia. Tutto disincanta - e questo è il si­ gnificato del suo illuminare-irradiare. Smaschera, mette a nudo - e anzitutto la propria stessa inopia a trovare una ragione ultima del Tutto, a render ragione esaustivamente delle connessioni che legano gli enti e questi al nostro rappresentarli-dipingerli. Instancabilmente vola l'occhio, ma alla fine deve pur chiedersi: quid tum? Alla fine deve pur riconoscere che physis ama nascondersi, che il cammi­ no dell'intelletto, nel suo rapporto con l 'ente, è troppo profondo perché possa essere tutto rappresentato. E, ad un tempo, come non avvertire in questa domanda ultima anche il timbro amaro di ciò che si è visto, del mondo co­ me l'occhio l'ha trovato, tutto corroso dalle menzogne,

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ipocrisie, violenze che in tante pagine, le più dramma­ tiche dell 'Umanesimo, l 'Alberti "documenta"? Le due dimensioni formano insieme il simbolo dell 'occhio ala­ to - e questa duplicità non può stupire, poiché ogni sim­ bolo è sempre un dissos logos. Non vi è più pedantesca erudizione di quella che pretende di scoprire per ogni geroglifico-simbolo dell 'arte rinascimentale uno e un so­ lo significato, che tutto riduce alla domanda "fatale": che cosa vuoi dire? L'immagine non è la traduzione letterale di un 'idea. L'immagine è creatrice. Nell'Alberti il pensiero concre­ sce nell 'immagine, e nella ricchezza dell'immagine di­ versi significati si congiungono, anche in feconda con­ tra-dizione. Un pensare per immagini è un pensiero che metaforizza sempre, e cioè traspone tra ambiti diversi, crea sinapsi inattese, lavora per congiunzioni-disgiunzio­ ni e analogie. Warburg e Cassirer cercavano di cogliere in Giordano Bruno proprio la struttura di questa forma del pensare - ma essa ha già nell 'Alberti una sua piena espressione. E sembra proprio che intorno alla immagi­ ne dell 'occhio-sole sia possibile individuare la syn-patheia più profonda tra i due! Al Sole che, nel De la causa, princi­ pio e uno, è immagine viva d eli' essere stesso, anzi d eli ' «atto absolutissimo, che è medesimo che l'absolutissima po­ tenza» e che in sé non può essere compreso dall'intel­ letto «Se non per modo di negazione » , corrisponde il nuovo sole dei chiari concetti che liberano dalle tenebre dell 'ignoranza. Se «perpetuo è il vampo del sole>> (De l'infinito, universo e mondz) nel suo accendere e vivificare, esso non potrebbe compiere una tale opera di liberazione se non mediandosi al fuoco dell'intelletto, che vola al­ la sua luce sconfiggendo «cieco error, tempo avaro, ria fortuna l Sord'invidia, vii rabbia, iniquo zelo . . . » . Fuoco dell 'intelletto ben cosciente, a sua volta, del proprio li­ mite, come nell'Alberti; la sua potenza si esprime appun­ to nel non appagarsi mai «per cosa finita» (De gli eroici furon), nel procedere sempre oltre, proprio perché la Verità ultima rimane incomprensibile. Non possiamo vede-

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re immediate nella Luce del Sole; noi vediamo-compren­ diamo per umbram. > , occorre che anche gli uomini, pur con la loro vista infinitamente inferiore a quella divina, siano pervigiles e circumspecti,21 perché dio osserva ogni cosa e quindi ogni nostra azione e pensiero («gesta et cogitata>> ) . Già nell'Alberti, dunque, l'occhio alato è doppio, immagine, al tempo stesso, dell 'anni­ scienza divina e della "prudenza", della circospezione d eli 'uomo. L'essere umano, perciò, deve tendere con tutte le sue forze alla gloria della virtus, cercando di rag­ giungere con ogni labor e industria le res bond! e divind!. Leon Battista si ferma qui col suo piccolo aiuto. Del resto, la ricchezza di particolari del suo emblema va ol­ tre la più scarna icona scolpita sull 'anello di Philopo­ nus. L'Alberti, dunque, non ci dice nulla dei "raggi" né di quello strano motivo che troviamo sul lato sinistro dell 'occhio e che ricorda, in qualche misura, la forma di un "serpente". Della possibile interpretazione "divina" dei raggi si è già accennato sopra, e vi si ritornerà in seguito in un 'ottica umana. Il motivo del "serpente" po­ trebbe rimandare al noto passo evangelico «estate pru­ dentes velut serpenteS>> (Matteo, X, 1 6) , tanto più che la prudenza del serpente è confermata da Sesto Pom­ peo.28 Il serpente è, infatti, tra gli attributi, assieme allo specchio, dell 'allegoria della Prudenza nel noto dipinto quattrocentesco di Piero del Pollaiolo. Un occhio vigile, dunque, che ha come "timone" direzionale l 'emblema della prudenza. Occhio umano "e" divino, quindi. La critica, fin dalle prime interpretazioni, ha invece separato questi due lati dell 'emblema. Già con i lavori di Aloiss Heiss e di Karl Giehlow, rispettivamente del 1 883 e del 1 9 1 5 , sono fissa­ te le due posizioni che diverranno canoniche e, perciò, verranno sostanzialmente riprese dagli studi successivi, i quali forniranno fonti a supporto dell' una o dell 'altra. Heiss ricorda due possibili soluzioni:

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Quid turo? Qu 'arrivera-t-il alors? quand l 'reil d'Alberti si exercé aux choses terrestres, jouira de la contemplation des choses divines? Allusion aux vastes connaissances de cet artiste. D'autres ont vu dans cette imprese [ sic.� , la vi­ gilance de l ' illustre architecte, son coup d'reil infallible, auquel rien n'échappe.29

Le «vastes connaissances>> e la «vigilance>> , «son coup d'reil infallible, auquel rien n ' échappe» : Heiss riassume così l'interpretazione "terrena" dell'emblema. L'occhio alato è l 'occhio di Leon Battista, del grande artista che ha indagato le occulte cose terrene e che ora attende sol­ tanto a contemplare quelle celesti.30 Il motto Qvm TVM sottolinea proprio quest'attesa, questo "premio finale": « Qu'arrivera-t-il alors?>> . L'altra soluzione che Heiss ricorda rientra sempre nell 'interpretazione dell 'occhio come occhio dell 'Alber­ ti, anche se in questo caso puntato esclusivamente sul mondo "sublunare": "vigil', "peroigil' e " circumspectus" de­ ve essere l'occhio dell 'uomo, come lo stesso Leon Batti­ sta ci ricorda infinite volte nei suoi scritti, a cominciare proprio dal passo di Anuli. L'Alberti appare qui in una dimensione totalmente immanente, acuto indagatore delle res occulta!, sottili e rare, così come disincantato fisio­ gnomo dei volti degli "omuncoli", multiformi e mutevoli. Karl Giehlow, al contrario, spostava il piano dall 'u­ mano al divino. L'occhio, anziché alludere alle capacità scientifiche di Leon Battista, sarebbe il simbolo della giu­ stizia divina, un ammonimento volto a ricordare l' immi­ nenza del giudizio finale: [ . ] sulla base di Diodoro, [ scil. l 'Alberti ] interpretava l 'oc­ chio nel senso di iustitiee servator, il volo del falcone nel sen­ so di res cito Jacta, e il tutto, quindi, nel senso della sempre presente possibilità di essere chiamato davanti al tribunale di Dio. Esso contiene dunque l'ammonimento simbolico di ricordarsi sempre "che cosa allora", e non allude affat­ to, come si è supposto, ai risultati scientifici dell'Alberti stessoY . .

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L'occhio alato, dunque, come l'occhio di dio: da que­ sta intuizione di Giehlow deriva sicuramente l'ancor non superata interpretazione di Edgar Wind, che per primo ha posto l'accento sulla "terribilità" presente nell 'imma­ gine albertiana. Ma Wind coglieva anche un altro aspet­ to fondamentale, quello da lui stesso definito il punto decisivo d eli ' emblema: > . 32 Questo mi sembra essere il nodo centrale individua­ to da Wind: è l 'Alberti stesso che indica nell'immagine dell 'occhio la compresenza di umano e divino. La sepa­ razione, operata da Heiss e da Giehlow, spezza proprio la complessità del simbolo, la sua doppia e ineliminabile polarità, l 'ambivalenza di fondo che ne costituisce la ric­ chezza e la vitalità. Su questo punto si basa la distinzione tra e > , così adesso quei signa sono leggibilissimi solo da parte dei periti viri di tutto il mondo, gli unici cui vale la pe­ na rendere note queste «dignissimre res»: «suum autem adnotandi genus, quo istic ...Egyptii uterentur, toto orbe terrarum a peritis viris, quibus solis dignissimre res com­ municandre sint, perfacile posse interpretari>> .80 Il lato "egizio" ed "ermetico" di Leon Battista è uno dei più enigmatici che la critica abbia dovuto affrontare: difficile dire quanto di esso faccia parte del "normale" bagaglio di conoscenze del letterato Alberti e quanto invece rappresenti un aspetto centrale, anche se sotter­ raneo, del suo pensiero. Di certo l'impresa dell 'occhio alato, il Canis e i passi citati del libro VIII del De re t:edifi­ catoria sottolineano un interesse verso questi mysteria da parte di Leon Battista.81 Eugenio Garin ha individuato, in quest'ambito, una presunta fonte dell 'Alberti nella Kore kosmou. 82 In que­ sto frammento, tramandatoci da Stobeo, appare fin dal titolo come tema centrale l 'immagine dell'anima come

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"pupilla" del cosmo. Create per ammirare la bellezza dell 'universo, le anime, macchiatesi di vana curiositas, vengono condannate dal dio ad essere imprigionate nei corpi: da quel momento in poi, esse vedranno soltan­ to attraverso le anguste lenti vitree degli occhi mortali. Emerge la contrapposizione tra l'illimitata vista divina e il carattere finito di quella umana che ritroveremo più in là anche nei libri dell 'Antico Testamento, essi stessi fonte possibile dell' occhio alato: Levate acute grida di dolore e pianto prima di parlare, gi­ rati più volte in alto e in basso quelli che aveva per occhi, un'altra anima disse: "O cielo, origine della nostra nascita, etere e aria e mani del dio sovrano, sacro pneuma e astri splendenti, occhi degli dei, e luce intatta del sole e della luna, fratelli che provenite dalla nostra origine, noi, sepa­ rate da voi tutti, soffriamo infelici e ancor più soffriremo perché, pur provenendo da cose grandi e luminose e dalla sacra atmosfera e dalla splendida sfera celeste e dalla beata vita con gli dei, saremo imprigionate in dimore ignobili e miserevoli ! Che cosa abbiamo fatto, noi infelici, di così mi­ serabile? Quale colpa merita queste pene? Quante azioni compiremo per la cattiva qualità delle nostre speranze, al fine di procurare il necessario a un corpo colmo di umore e destinato a dissolversi velocemente. Per noi, che siamo anime che non appartengono più a dio, poco spazio trove­ ranno gli occhi e, quando vedremo il cielo, nostro padre, tutto rimpicciolito attraverso il vitreo e rotondo organo che è in essi, piangeremo per sempre e mai più realmente ve­ dremo. [ . . ] Infelici, fummo condannate e non ci viene concesso di vedere direttamente poiché non ci venne data la possibilità di vedere senza la luce: dunque abbiamo il po­ sto per gli occhi senza avere occhi. Quale terribile sofferen­ za sarà sentire i venti generati insieme con noi che soffiano nell'aria, poiché noi non possiamo più soffiare insieme con loro. Ci attende come dimora, al posto di questo cielo su­ blime, lo spazio ristretto del cuore. Separate dagli elementi dai quali siamo discese per andare verso ben altro, sempre ci consumerà il dolore. Padrone e padre e creatore, se così rapidamente hai trascurato le tue opere, fissaci qualche confine, degnaci di qualche parola, sia pur breve, finché .

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possiamo ancora gettare lo sguardo attraverso l 'intero co­ smo luminoso".8s

Pur restando nell' ambito di semplici e forse troppo azzardate ipotesi, saremmo tentati di leggere nell' occhio alato albertiano, enorme "pupilla volante" , un'eco di quelle anime ermetiche contemplanti la bellezza dell'u­ niverso. L' occhio alato, come Kore kosmou? Ma come spiegare il motto Qvm TVM? I mysteria ermetici rimango­ no avvolti da un velo per ora solo in parte sollevabile .84

IV. Lo sguardo dall 'alto

Un capitolo del libro di Paul-Henry Michel, La pensée de L. B. Alberti, è dedicato a « Ce que découvre l "'reil ailé"•• .85 All 'occhio alato di Leon Battista e dei suoi nu­ merosi alter ego, protagonisti dei suoi scritti, si dispiega il grande scenario del theatrum mundi. Ma per poter vede­ re bene è necessario collocarsi al di sopra del normale piano in cui gli uomini si trovano a vivere. Di probabile ascendenza lucianea,86 questa visione dall 'alto conferma ancora una volta l'importanza dell 'occhio per l 'Aiber­ ti. Per poter osservare la vita così spesso ridicola degli "omuncoli", Leon Battista colloca dunque i suoi "osser­ vatori" in posizioni elevate; in particolare ciò avviene nel Momus e in tre intercenali: Defunctus, Somnium e Fatum et fortuna. Nel Momus, a differenza degli altri casi, sono gli dèi ad osservare dall'alto lo spettacolo degli uomini che, per scongiurare la fine del mondo, allestiscono ludi maximi in loro onore, sapendo quanto essi siano sensibili ai voti aurei:87 Iam vero omnis hominum, ut ita loquar, torrentes in urbem confluxerant ludorum spectaculorumque gratia. Canebant tuba:: , subaudiebantur tibia:: ad modosque cadebant crotala et sistra et litui et omnis musica. lpsa:: deorum superum

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testudines maximo istarum rerum concentu resonabant. Addebantur bis hominum murmur latum atque ingens multorumque multiplices varireque voces et huiusmodi, quo insolito atque immani sonitu cuncti crelicolre ad rei admirationem exciti stetere.88

A questo punto gli dèi cercano le posizioni più van­ taggiose per poter vedere ed ascoltare nel migliore dei modi lo spettacolo offerto loro: « Hinc locis [ sciL dii] omnibus quibus terras contui possent late passimque, ut cuiusque oculi atque aures ferebant, spectabundi hresita­ bant» .89 Costretti dall' ennesimo dispetto di Momo, che convince le ninfe a dilatare la nebbia prodotta da un suo sospiro per impedire agli dèi la vista, costoro devono scendere giù dal cielo e sistemarsi provvisoriamente sui tetti delle case: Calamitosi Momi precibus obtemperaru n t nymphre plurimumque i n eo opere perficiundo laborantes desudarunt, quo factum est ut, cum delubra deum sacellaque atque aras adeuntes mortales non perspici a superis nubium interventu sed salurn audiri possent, superi sese in periculum dederint. Namque quod suas quidem laudes ad tibiam concinentes non audire modo, verum inprimis spectare quoque cuperent, quasi amentes e crelo ad sua gaudia propius haurienda delabi instituerunt. Mortalium ergo tecta occupavere.90

L'Alberti pone l ' accento proprio sull 'importanza dello sguardo: agli dèi non basta audire, vogliono anche spectare. Ciò li spingerà - incautamente, visti i risultati ca­ tastrofici - a sostituirsi alle statue del teatro, per potersi godere comodamente la rappresentazione in program­ ma il giorno seguente.91 Momo stesso, nel libro l, si arrampica sul muro del tempio per raggiungere l ' alta finestra da cui osservare Laus, la bellissima figlia di Virtus, di cui egli s'è perdu­ tamente invaghito: da quel punto elevato può così os-

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servarla «concinnandis capillis>>92 davanti ad una pietra levigata che le fa da specchio. Nel Defunctus, l' occhio "alato" di Neophronus93 acqui­ sisce, dopo il trapasso, quella libertas defunctorum94 che gli permette di muoversi a suo agio. Sciolto dai lacci di quel carcere mortale che è il corpo,95 è in grado di os­ servare finalmente, senza i veli che ne offuscavano la visione durante la vita terrena, quel che accade sulla ter­ ra - >96 -: N E O P H RO N U S : Itaque ut me, relictis membris, factum agilissimum sensi, ipsum me me totum contemplari atque exultare gaudio cepi. O me letum ! posteaquam possum tam facile quo lubet applicare, ac q u is dixerit ut maxima ipsum me me voluptate compleverim? Mi Polytrope , immenso quidem, infinito, incredibilique quodam gaudio pene desipiens exultavi: Io letitiam ! Dii boni, cum hanc tantam in libertatem devenerim, gratias vobis divino pro munere superis atque inferis diis ago!97

Prima ancora di ,98 Neo­ phronus però decide di > .99 Vo­ lato sulla cima delle abitazioni vicine, la realtà che osser­ va attraverso le finestre della sua casa è però assai diversa da quella che si sarebbe aspettato: la moglie se la spassa col Melibeo e Neophronus troppo tardi si accor­ ge di quanto fosse cieco il suo sguardo nel corso della sua vita terrena: 100 POLYTRO P U S : Itaque ne tu fuisti homo ignarus ! Quis potuit maritus esse inperitior? Stolide, qui tuam pre ceteris pu­ dicam esse uxorem existimasti. N E O P H RO N U S : Ita oportuit, siquidem hebes, obtusum, crassumque ingenium, obcecatos oculos, stolidam ignavissi­ mamque amor mihi mentem reddiderat. 101

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Altre cose "ridicole" Neophronus osserva dal tetto: i «vultus deformes» 102 delle persone che piangono la sua morte, fra i quali anche quello di un vecchio «ridicu­ lus» 108 che si scopre essere stato pagato perché bravissimo nel fingere dolore. Disgustato dalla scena, Neophronus cerca di osservare il comportamento dei figli e del resto della famiglia; e ciò che vedono i suoi occhi "alati" è an­ cora una volta del tutto imprevedibile: « [ . ] ipse coram vidi filium [ . ] meum majusculum ob mortem meam le­ tissimum» . 104 Parimenti inaspettato è il comportamento dei servi, creduti affectissimi: 105 felici che ormai il padrone abbia definitivamente chiuso gli occhi, 1 06 danno fondo, su istigazione del dispensiere, alla riserva del suo miglior vino. Non sono da meno i parenti, che compiono anzi il misfatto più "orrendo": distruggono la biblioteca, facen­ do tabula rasa, come in un accampamento nemico,107 dei preziosissimi e amatissimi libri raccolti da Neophronus con amorevole cura nel corso di tutta una vita. E non solo: per spartirsi un «unguentum» profumato, fanno a pezzi i commentariorum libelli, frutto delle fatiche e delle veglie del padrone di casa.108 Ma allo sguardo e all'udito non più offuscati dai veli del protagonista resta ancora da vedere e ascoltare l'assurdo elogio funebre pronun­ ciato dal pontifex Hermion, . .

.

.

ltane imperi tus; ut humanitatem, facilitatem, gratiam, pietatem, beneficen tiam , liberalitatem, urbanitatem et decus, insignia et prestantissima bee, in laudanda vita exornandoque homine penitus neglexerit;109

e, ultima beffa, veder ritrovare il tesoro nascosto sotto l 'acquedotto - costruito da Neophronus per condurre «aquam nitidissimam» dai monti vicini fino alla sua «vil­ la» 1 1 0 - dal suo acerrimo nemico, il banchiere Tirsius, recatosi sul posto, mosso dall 'invidia, per distruggere proprio quella costruzione che tanta fama aveva reso al suo costruttore. l l l «Oh ! idcirco mortalium ceca mens» , 1 12 lamenta Neophronus. A questo "sguardo ottuso" che

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è ineliminabile dalla vita terrena, egli contrappone lo sguardo lucido ed "elevato" conferitogli dalla morte: 1 1 3 A n idem ero, qui admodum solutus, liber et sapiens cupiam iterum vita illigari, iterum in servitutem redigi? Vel tune is eris qui stolidum et delirum in mortalium gregem iterum optes restituì? Jam quidem nibil agendum ipse imprimis censui, quam eo multo ex vociferantium tumultu, ex grandi et turbulentissimo ilio conviciorum strepitu, ex vasto infinita expostulantium ejulatu, exque terribili armorum et eversionum fragore, atque execrabili scelerum, impietatum, flagitiorumque fetore bue ad vos opportune profuge re : cedere illis longe immanissimis furiarum spectaculis, bue me ad vos conferre, quo quidem in loco futurus sim animo, ut spero, vacuo ac nudo amni terrarum macula et labe. Quamobrem vebementer ipse mibi congratular, nam illic dimisi insaniam, tarditatem, bebetudinem, stoliditatem; hic autem rectam, veramque prudentiam, et sapientiam una et acrem mentis atque ingenii vim multa cum celeritate pervestigandi, discernendi, dinoscendique suscepi.114

In Somnium, «vigilans te inter somniantes>> 1 1 5 - unico "sveglio" in un mondo di sognanti -, l 'occhio "alato" di Libripeta coglie come a volo d 'uccello le cose straordina­ rie che si presentano al suo sguardo: Multo magis miranda ea sunt que in illis provinciis conspexi: flumina, montes, prata, campos, monstra aspectu stupenda, dictuque ac memoratu incredibilia, sed que tantum ad pbilosopbantium litteras perpulcbre spectent.116

In Fatum et fortuna, infine, il Philosophus si ritrova, in somnio,1 1 7 sulla cima di un monte altissimo, posizione ideale che gli permette di osservare perfettamente il mi­ rabile spettacolo che si svolge sotto i suoi occhi: Advigilaram in multam noctem lectitans de Fato quidquid esset a maioribus traditum litteris, ac mibi quidem cum multa apud eos auctores placerent dieta, perpauca tamen

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non admodum nobis satisfacere videbantur; ita nescio quid ipse mecum in ea re plus satis appetebam. Somnus interim defessum me vigilia vehementius occupat, ut nonnihil obdarmiscere obceperim, itaque sic inter dormiendum ipse mihi videbar supra cacumen excelsi cuiusdam montis inter innumerabiles veluti hominum umbras esse constitutus, quo ex loco omnis ea provincia bellissime poterat circumspectart. mons vero ipse omni ex parte ruinis prreceps atque abruptis rupibus penitus inaccessibilis, uno tantum sed angusto erat calle pervius. Hunc montem circum in se ipsum rediens ambibat fluvius omnium rapidissimus atque turbulentissimus, inque fluvium innumerre eiusmodi umbrarum legiones per angustum ipsum callem descendere minime desinebant. Hrec ego et loca, et infinitam multitudinem umbrarum demirans, stupui ac fui quidem usque adeo detentus admiratione, ut quid circa fluvium esset terrarum aut rerum neglexerim scrutari. Quin et primm umbrarum copim unde in arduum montem manarent, non studui perpendere, unica mihi tantum imprimis aderat cura ut qum in jluvio apparerent miracula, ea quam diligentissime conspicarer; et erant quidem dignissima admiratione. 1 1 8

Ma l 'occhio "alato" del Philosophus non può vedere tutto; e alla sua domanda sull' origine dei «ca:lestes igni­ culi » , 1 19 da lui scambiati erroneamente per « umbra: » , questi l o ammoniscono: Desine, inquiunt, desine, homo, istiusmodi dei deorum occulta investigare longius quam mortalibus liceat: tibi enim ceterisque corpore obclusis animis non plus a superis velim esse concessum scias, quam ea tantum non penitus ignorare qure vos oculis intueamini [ . . . ) . 120

L'occhio umano, allora, anche se posto ad un 'altezza superiore a quella dei comuni mortali, non è in grado di cogliere tutta la realtà, né di scoprire l 'origine e il termi­ ne della vita stessa. Del resto, se anche ciò fosse stato alla portata dello sguardo del Philosophus è lui stesso, tutto preso dallo spettacolo affascinante che si svolge nel fiu­ me Bios, a trascurare di osservare ciò che si trova «circa

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fluvium [ . . ] terrarum aut rerum» . L'occhio dell'uomo è perciò del tutto limitato, anche se è l'organo che più di tutti gli altri è in grado di osservare la realtà. Un occhio che deve sapersi muovere velocemente in più direzioni, per poter cogliere una realtà molteplice e contradditto­ ria: proprio a questa realtà così sfuggente, ambigua, mu­ tevole121 deve essere fisso lo sguardo dell'uomo che vuole dirsi tale. Non è, infatti, la speculazione dei philosophi, tranne rarissime eccezioni ( quelle soltanto di Socrate e Democrito) , 1 22 che permette all 'uomo di "conoscere se stesso", ma l'occhio del pittore, vero sapiente perché lucido osservatore della realtà. E l'occhio del pittore è anche l'occhio della prospettiva. .

V. L'occhio "alato" del pittore È proprio il pittore, per l 'Alberti, e non il filosofo, colui che sa guardare con assoluto disincanto la realtà che sta dietro le varie maschere e .fictiones. Lo dice chia­ ramente Caronte nel Momus, stanco di ascoltare il vanilo­ quio del filosofo Gelastus: Tum Charon : «0 te philosophum quidem bonum, qui siderum cursus teneas et qu;e hominum sint ignoras ! Ex Charonte adeo portitore disce ipsum te nosse. Referam qu;e non a philosopho - nam vestra omnis ratio nisi in argutiis et verborum captiunculis versatur - sed a pietore quodam memini audivisse . fs quidem lineamentis contemplandis plus vidit solus quam vos omnes philosophi ccelo com mensurando et disquirendo. 123

L'occhio "alato" del pittore, dunque, forse ancor più di quello dell ' architectus, 1 24 è quello che meglio di ogni altro riesce a vedere ciò che accade in questo nostro mondo: Nell 'osservazione della realtà più profonda è quindi la vista del pittore rispetto a quella del filosofo-scienziato, ancora una volta biasimato per i suoi interessi extraumani. Il pit-

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tore ha assistito alla creazione dell 'artefice,125 ricorda e de­ scrive questa sorta di "genesi" dell 'uomo, il degenerare dei suoi costumi, l 'assunzione di quelle maschere ("fictiones") che celano la sua metamorfica bruttezza; il suo vedere è ricordare per scoprire il volto nascosto sotto la maschera, la verità sotto la fitta allegoria. La rappresentazione del pit­ tore è una forma di conoscenza, destinata a rendere visibili i principi direttivi della vita morale, proprio come veniva teorizzato nel trattato De pictura, dove l ' arte del dipingere viene anteposta a tutte le altre arti, "perché s'aopera in cosa più difficile" rispetto alla stessa scultura, che le è com­ pagna n eli ' origine divina. 126

Vero pittore, perciò, sarà solo quel philosophus che ri­ esca a guardare, senza indulgere a impossibili domande ultramondane, ciò che si può oculis intueri. Forse può essere soltanto la "firma" di Leon Battista il fatto che su uno dei quattro codici che attualmente si conoscono del De pictura nella redazione volgare, il II IV 38 della Nazionale Centrale di Firenze, sia disegnato un occhio alato circondato da una corona di alloro con il motto Qvm TVM . 127 Di certo, però, la presenza dell ' oc­ chio, all 'interno del trattato albertiano, è centralissima. Proprio all 'inizio del libro I, infatti, si legge come il cam­ po del "visibile" sia quello in cui unicamente si esercita l 'attività del pittore: Segno qui appello qualunque cosa stia alla superficie per modo che l'occhio possa vederla. Delle cose quali non pos­ siamo vedere, neuno nega nulla apartenersene al pittore. Solo studia il pittore fingere quello che si vede. 128

Nel libro II l 'affermazione verrà ripetura: « Ma qui sa­ rà chi mi contraponga quanto di sopra dissi, che al pitto­ re nulla s'apartiene delle cose quali non vede» }29 Del tut­ to "immanente" è, dunque, la vista dell 'uomo, così come avevano ricordato le umbrO! al Philosophus. Ma tutto il De pictura è fondato sulle leggi della prospettiva oculare,

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sulla «forza del vedere>> , sulla visendi vis. 1 30 Dipingere è come guardare attraverso una finestra aperta: Principio, dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo es­ sere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto. 1 3 1

Queste possono ancora essere semplici, generali affi­ nità con l 'emblema albertiano. Un elemento di quest'ul­ timo sembra però comparire anche nel trattato. Le ciglia che come raggi partono dalla palpebra inferiore dell'oc­ chio alato (e dal suo angolo sinistro) risultano straordi­ nariamente affini ai "razzi"132 descritti dall'Alberti: Ma le qualità per le quali, non alterata la superficie né rnu­ tatoli suo nome, pure possono parere alterate, sono due, quali pigliano variazione per mutazione del luogo o de ' lu­ mi. Diciamo prima del luogo, poi de' lumi, e investighiamo in che modo per questo le qualità alla superficie paiano mutate. Questo s'apartiene alla forza del vedere, imperò che mutato il sito le cose parranno o maggiori o d 'altro orlo o d'altro colore, quali tutte cose misuriamo col vedere. Cerchiamo a queste sue ragioni cominciando dalla senten­ za de ' filosafi, i quali affe rmano misurarsi le superficie con alcuni razzi quasi ministri al vedere, chiamati per questo visivi, quali portino la forma delle cose vedute al senso. E noi qui irnaginiarno i razzi quasi essere fili sottilissimi da uno capo quasi come una mappa molto strettissimi legati dentro all 'occhio ove siede il senso che vede, e quivi quasi come tronco di tutti i razzi quel nodo estenda drittissimi e sottilissimi suoi virgulti per insino alla apposita super­ ficie. Ma fra questi razzi si truova differenza necessaria a conoscere. Sono loro differenze quanto alla forza e quanto all' officio. Alcuni di questi razzi giugnendo all 'orlo delle superficie misurano sue tutte quantità. Adunque perché così cozzano l'ultime ed estreme parti della superficie, no­ rniniàlli estremi o vuoi estrinsici. Altri razzi da tutto il dorso della superficie escono sino all'occhio, e questi hanno suoi offici, però che da que' colori e que' lumi accesi dai quali la superficie splende, empiono la pirrarnide della quale

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più giù diremo al suo luogo: e questi così si chiamino razzi mediani. Ecci fra i razzi visivi uno detto centrico. Questo, quando giugne alla superficie, fa di qua e di qua torno a sé angoli retti ed equali. Dicesi centrico a similitudine di quel­ la sopradetta centrica linea. Adunque abbiamo trovato tre differenze di razzi: estremi, mediani e centrici. 1g3

Ciò non risolve certamente il problema dei "raggi" dell ' emblema, che possono essere considerati anche dei veri e propri raggi solari, essendo la loro forma del tutto simile a quella dei raggi del sole posto all 'interno del timpano della facciata di Santa Maria Novella. Circon­ dato da una doppia raggiera di dodici raggi ondulati e trentasei diritti, questo sole è inscritto, tra l'altro, in una "corona" di fiori.134 Se visto come fornito di raggi solari, l 'occhio albertiano potrebbe allora essere considerato, sulla scia dell'interpretazione del Wind, come un occhio solare e divino, 135 terribilis, capace di "fulminare", con il suo sguardo, ogni "omuncolo". Ma se i raggi, invece, raf­ figurassero proprio quei "razzi" di cui parla il De pictura, un' ipotesi diversa potrebbe essere avanzata, e l'occhio alato sarebbe allora l' occhio della prospettiva, non più terribilis, ma conscio di quella visendi vis il cui razzo «cen­ trico» - «prencipe de' razzi» , vero e proprio "rex" - ne esprime emblematicamente la potenza quasi divina: Questo uno razzo, fra tutti gli altri gagliardissimo e vivacis­ simo, fa che niuna quantità mai pare maggiore che quando la ferisce. Potrebbesi di questo razzo dire più cose, ma basti che questo uno, stivato dagli altri razzi , ultimo abandona la cosa veduta; onde merito si può dire prencipe de ' razzi.1!16

Ma come risolvere, se accettiamo come possibile que­ sta interpretazione, il problema che l' occhio "alato", per sua stessa definizione, è dotato di mobilità estrema, men­ tre l'occhio della prospettiva deve necessariamente, al­ meno per Leon Battista, essere fisso e fermo?137

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VI. L' occhio "alato" dell 'architetto Come l 'occhio del pittore, anche quello dell 'architet­ to doctus e prudens deve essere un occhio "alato". È per suo tramite, infatti, che c'è dato di vedere, per una natu­ rale predisposizione innata in ogni uomo, di là dall'in­ gegno e dall'educazione di ognuno, la bellezza di un oggetto. Almeno due passi del De re cedificatoria sottoli­ neano la capacità propria all' organo della vista di coglie­ re la bellezza. Chiunque, anche se non esperto di leggi armoniche, è in grado di riconoscere le "disarmonie" di un edificio per quanto attiene alla sua concezione e all 'esecuzione «in artibus et rationibus>> : Estque prresertim in rebus eiusmodi. sensus oculorum unus omnium acerrimus; quo fit ut, siquid se obtulerit, in quo aliquid curtum claudicans redundans inane aut inconditum sit, illico commoveamur et lepidiora esse desideremus. 1�

Il concetto viene ribadito nel libro IX: l 'occhio è per sua natura percupidus di bellezza e concinnitas. Ciò lo met­ te in guardia di fronte alla mancanza di pulchritudo di un ' opera: Et sunt prresertim oculi natura percupidi pulchritudinis atque concinnitatis, et in ea re sese prrestant morosos et admodum difficiles. Neque scio unde sit, cur magis quod desit flagitent, quam probent quod adsit. Qurerunt enim continuo, quid addi ad nitorem splendoremque possit; et offenduntur quidem, ni quantum a curiosissimo atque perspicacissimo atque enim dilige n tissimo p rovideri fierique potuisse iudicent, tan tum videant artis laboris industrireque expositum. Quin et interdum quidnam sit, quod offendat, nequeunt explicare, prreter unum id, quod immoderatam spectandre pulchritudinis cupiditatem non habeant qui penitus adimpleant. 1s9

Proprio perché dotato di questo straordinario stru­ mento di valutazione delle proporzioni e della concinni-

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tas di un 'opera, l 'architetto non deve affatto limitarsi a seguire le regole fornitegli da Vitruvio, ma deve osser­ vare coi propri occhi ciò che resta dell 'architettura antica. Il tema ricorre quasi come un leitmotiv in tutto il De re O!dificatoria: Nihil usquam erat an tiquorum operum in quo aliqua laus elusceret, quin illico ex eo pervestigarem, siquid possem perdiscere . Ergo rimari omnia, considerare, metiri, lineamen tis picturre colligare nusquam intermittebam, quoad funditus, quid quisque attulisset ingenii aut artis, prehenderem atque pemoscerem. 1 40

Questo lavoro di rilievo e di studio del passato non vale soltanto per le opere dell 'antichità romana, ma per tutte quelle universalmente ammirate: Sic istic, quotquot ubiquer aderunt opinione et consensu hominum probata opera, perquam diligentissime spectabit, mandabit lineis, notabit numeris, volet apud se diducta esse modulis atque exemplaribus; cognoscet repetet ordinem locos genera numerosque rerum singularum.141

Come il pittore del Momus, anche l ' architectus doctus e prudens, a forza di osservare coi propri occhi le belle forme del passato, riesce a comprendere le ragioni della bellezza assai meglio dei letterati e philosophi che hanno scritto de architectura: Atqui nos quidem in huiusmodi rebus, qure ad opus redificiorum commoda sunt, recensendis ea referemus, qure docti ve teres tradidere, prresertim Theophrastus Aristoteles Cato Varro Plinius Vitruviusque - nam ea quidem longa observatione magis quam ullis ingenii artibus cognoscuntur -, ut ab bis, qui istiusmodi summa diligen tia adnotarunt, petenda sint. Sequemur igitu r e a colligentes, q u re probatissimi pluribus et variis locis tractavere. Addemus etiam nostro pro more, siqua ipsi ex maiorum operibus aut ex peritorum artificum monitis annotarimus, qure ulla ex parte dicendis conferant. 142

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Verum hi, quales pro locorum varietate et natura sint, [ sciL lapidorum ( ? ) ] usu et experientia pulcherrime innotescunt, ut iam ex veterum redificiis cuiusque lapidiis vim et virtutem didicisse plenius possis quam ex philosophantium scriptis et monimentis. 145 H> . A questo punto, però, i giovani Alberti, sollecitati dalla "maieutica" di Leon Battista, rispondono appieno alla sua aspettativa: G I OVAN E . Che farei io di tante mani e di tante orecchie? Tutto il dì odo e vedo più cose che io non vorrei. El biso­ gno nostro sarebbe avere e potere, e in questo essere, non dico simile ad Alessandro Macedone o a Cesare (non vo­ glio tanto presumere di me) , ma simile a' nostri maggiori, a messer Benedetto, vostro avo, a messer Niccolò e agli altri quali edificorono queste nostre case, onestamento della famiglia nostra e ornamento di questa città. Simili sono quelli ch'io chiamo grandi, quali sopra gli altri possono colle ricchezze e collo stato. Minimi saremo noi se mai ci converrà pregare chi possi sopra noi. BATTI STA . Ottima e accommodatissima risposta. 186

Il concetto di grandezza e di diversità non starebbe, perciò, nella stranezza o nella moltiplicazione degli or­ gani della vista o dell ' udito, ma nell' aurea mediocritas degli avi della «famiglia Alberta>> . Come leggere questa

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pagina? Come bonaria critica di un Leon Battista, giunto all'età di Giannozzo, verso il suo stesso emblema giova­ nile? O più semplicemente come riconferma che ad be­ ne beateque vivendum non siano necessari tanti occhi, ma uno soltanto, sebbene alato? A confortare quest'ultima interpretazione potremmo citare quella pagina del Momus in cui l'omonimo, terri­ bile protagonista ironizza a suo modo sul bue, frutto del desiderio della dea Pallade di abbellire un mondo che Giove ha appena finito di creare. La critica di Momo verte sul problema degli occhi dell'animale, sulla loro disposizione ai lati della testa laddove - egli argomen­ ta - un unico occhio posto tra le corna sarebbe indub­ biamente più utile: Aiebat [sciL Momus] enim utilem quidem esse bovem et ad fortitudinem ;eque atque ad laborem satis comparatum, sed non suo decentique loco fron ti fore oculos adactos, quo fiat ut cum pronis cornibus oppeteret, oculis ad ter­ ram destitutis, non destinato et prrefinito loco liceat ferire hostem, et ineptam procul dubio fuisse artificem, qure non summa ad cornua vel unum saltem oculum imposuisset. 187

L'occhio "alato" del bue?

IX. "Ali" albertiane Non soltanto l' occhio è un elemento centrale nella visione del mondo dell'Alberti, anche l'ala appartiene al suo immaginario.188 Già in Anul� oltre che sul primo anello, le ali compaiono sul decimo, raffigurante Pegaso che emerge dal mare con le onde che lambiscono una delle sue zampe posteriori. Come Pegaso, spiega Con­ silium, dobbiamo volgerei verso il porto di una vita mi­ gliore, usando, per non farci travolgere dalle onde, le "ali" a nostra disposizione: la forza dell'ingegno e le doti dell 'animo:

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Pegaseum esse in vitre cursu labilique retate qua rapimur; properantibus enim ad portus vi tre melioris , nobis utendum alis erit, ne undis immergamur. Aire hominum ingenii vis animique dotes sunt, quibus ad crelos usque rerum cognitione pervadimus, et pietate virtuteque superis jungimur. 189

Per l'iconografia dell 'occhio alato è particolarmen­ te importante un passo di Fatum et fortuna. Dopo aver spiegato al Philosophus lo spettacolo di coloro che nuo­ tano immersi nelle acque del fiume Bios, le umbrt:e gli indicano alcune figure "alate" separate dalla « turba» dei "naviganti": Sed iam heus exhibe summos honores illis quos ab omni turba segregatos illuc vides. Tum ipse omnes in partes respectans: En, inquam, at nullos prene a multitudine dissidere intueor. Nre vero, inquiunt umbrre, an non perspicis illos alatos cum talaribus usque adeo agiles et aptos undas superlabere? Mihi sane vel unum, inquam, videre videor; verum quid ego illis deferam honoris? Quid meruere? Tum umbrre: an parum meruisse videntur hi, qui simplices et omni ex parte incorrupti a genere hominum dii habiti sunt? aire quas gestan t veritas et simplicitas , 190 talaria vero caducarum rerum despicientia inte rpretan tur; merito igitur vel has ob res divinas divi habentur, vel quod primi quas per fluvium cernis tabulas, maximum nantibus adiumentum construxere, titulosque bonarum artium singulis tabulis inscripsere . Reliqui autem hi diis persimiles, sed ex aquis tamen non membris totis prreminentes alasque et talaria non omnino integras gestantes semidii sunt et proxime ad deos honoribus et veneratione dignissimi. Id quidem ita eorum merito fit cum quod tabulas additamentis fragmentorum effecere ampliores, tum etiam quod ex mediis scopulis atque ex ultima ripa pulcherrimum ducunt tabulas ipsas colligere novasque simili quadam ratione et modo struere, suasque has omnes operas in medium ceteris nantibus exhibere. Tribue idcirco illis honores, homo, illisque meritas habeto ·

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gratias, quod ad tam laboriosum cursum vita: peragendum optimum bisce tabulis pr::esidium pr::estitere. 191

Segregati sono quegli esseri alati e, come Neophro­ nus, dotati della capacità di volare grazie ai talaria, 192 e in grado di «superlabere» agiles e apti le undtl! del fiume Bios. In numero ridottissimo - il Philosophus ne riesce a scorgere uno soltanto, ma dobbiamo considerare la scarsa acutezza "alata" del suo sguardo, totalmente limi­ tato rispetto a quello delle umbrtl! - si distinguono netta­ mente dalla « turba» degli uomini. Le umbrtl! spiegano il significato delle ali e dei talari: «aire quas gestant veritas et simplicitas, talaria vero caducarum rerum despicientia interpretantur» . Un motivo del tutto evangelico viene in­ trodotto qui da Leon Battista, che fornisce uno dei non molti tasselli che compongono il quadro della propria religio. 1 93 Questi esseri alati, personificazione degli Antichi, so­ no al tempo stesso, evangelicamente, «simplices et omni ex parte incorrupti » ; e, se non veri e propri dèi, sono considerati tali dagli uomini. Appare chiaramente in questo passo come anche per l 'Alberti, al pari degli altri umanisti, non esista contraddizione tra fede nei valori cristiani e riscoperta degli Antichi, tra dio e natura.194 Leon Battista resta un uomo del suo tempo, dunque un uomo che vive in un "lungo Medioevo", come del re­ sto anche il Petrarca; e da questa "posizione" guarda al mondo degli antichi.195 Cristiano, dunque - e chi non lo era? - anche se, certamente, la sua predilezione va verso un cristianesimo delle origini e non verso quello assai più mondano del suo tempo. Tanto evangeliche che stoi­ che, res divintl!, possono essere considerate la «simplici­ tas» e l'incorrotta purezza degli esseri alati; e, perciò, a tutto diritto quegli esseri stessi sono da considerarsi divi; va inoltre loro ascritto il merito straordinario di aver costruito le tabultl! delle bontl! artes indispensabili a chi si trova immerso nel fiume Bios: senza di esse, infatti, non sarebbe possibile alcuna virtus terrena, né raggiungere

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la condizione di viri - e, potremmo forse aggiungere, di vir-tuosi cristiani. Un gradino al di sotto di questi esseri divini, perché privi dei «talaria» , ma anch 'essi caratterizzati dalle ali, benché non del tutto integre, sono da considerarsi poi quei «diis persimiles, semidii et proxime ad deos honori­ bus et veneratione dignissimi» che non emergono com­ pletamente dalle acque del fiume. Sono forse quei periti viri di cui parla l'Alberti, quella cerchia di sapienti che noi oggi definiamo "umanisti". Il merito loro è quello di aver raccolto le tavole disperse su scopuli e ultima ripa, di aver ampliato le tavole stesse con l'aggiunta di fragmenta e, infine, di averne aggiunte di novfl!. Questi esseri semi­ alati sono dunque anch 'essi da onorare, perché hanno offerto agli uomini un « prresidium » sicuro rispetto a quel « tam laboriosum cursum vitre>> . Straordinaria immagine degli Antichi e dei periti viri a lui contemporanei è quella che Leon Battista ci offre in questa sua intercenale. Completamente alati, i primi, perché le ali permettono di distinguersi dalla « turba>> , di volare al di sopra di essa e di poter vedere più lon­ tano e dall'alto. Il loro acume e il loro ingenium hanno permesso di costruire le tabulte delle bonO! artes che poi il tempus edax ha disperso sugli scogli e sulla riva. Com­ pito dei periti viri - gli esseri semi-alati - è invece quello di recuperare questi frammenti, di ricollegare le tessere di quello che è divenuto un mosaico, ma secondo un disegno inedito e aggiungendo, in più, nuove tessere. È la grande dichiarazione di poetica espressa dall'Alberti nelle pagine dei Profugiorum ab O!rumna libri III, nel passo ormai celeberrimo sul mosaico come metodo compositi­ vo del testo letterario. 1 96

X. QVID TVM Qvm TVM: che cosa allora? La domanda del motto è, naturalmente, inscindibilmente legata all 'immagine

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dell ' occhio alato. Per Edgar Wind, che rimanda come fonte a Cicerone, il Qvm TVM rappresenta una sospen­ sione all 'interno del discorso retorico, una pausa posta ad arte per creare una suspense in un momento che ri­ chiede la massima attenzione da parte del lettore. In pra­ tica, un artificio retorico. Che Leon Battista conoscesse l' ars rhetorica e le sue leggi è fu or di dubbio, vista la sua di­ mestichezza con Cicerone e Quintiliano. 197 Inoltre, quasi tutte le sue opere, dalle /ntercenali al Momus198 ai Libri della famiglia e ai suoi dialoghi "morali", sono costruite mediante discorsi che dell ' ars rhetorica fanno un uso con­ tinuo. Non deve stupire, perciò, l'adozione di questo ar­ tificio come motto del suo emblema, né il suo frequente ricorrere, in particolare nel Momus e nelle Intercenali. 199 Ma il Qvm TVM può significare anche qualcos 'altro, che va al di là della retorica: può rappresentare la domanda finale, ineludibile di ogni uomo che rifletta sull 'esistenza terrena e sul suo significato, che si interroghi, come So­ crate o Democrito, sul senso del nostro «faticoso [ . . . ] vi­ vere>> .200 Che cosa c'è al di là della riva chiamata Mors? La domanda, che le umbrll! censurano al Philosophus, e che l 'Alberti, negando con estrema coerenza immanentistica la presenza di qualunque ipotesi metafisica, si vieta nel corso di tutte le sue opere letterarie, può davvero essere stata racchiusa in quelle due sole parole, nello stile della brevitas tanto amata da Leon Battista? È difficile rispon­ dere, anche se di un 'interrogazione si tratta, e, fra tutte, la più decisiva. Forse proprio perché "senza" risposta. Ironico, 201 in tutta la valenza etimologica della sua ra­ dice - er, "interrogare" -, risulta dunque il Qvm TVM, al tempo stesso quesito supremo e domanda retorica. L'Al­ berti sembra aver voluto intenzionalmente instaurare quest'ambivalenza: l 'interrogazione più alta sull'esisten­ za può forse essere, nel contempo, un semplice inter­ rogativo retorico. E, in verità, appare difficile uscire da questo paradosso che Leon Battista si è forse divertito a lasciarci:202 esso contiene la domanda che pongono con­ tinuamente i veri filosofi, Socrate e Democrito, insieme

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ridicoli e saggi,20g ovvero il pittore, il cui occhio vede la realtà con più acutezza di ogni altro. Ma il Qvm TVM è fors'anche la domanda che Giobbe grida in faccia a dio.

Xl. Luciano e Giobbe Negli scritti dell 'Alberti sono dunque presenti sra l'occhio che l'ala ed entrambi simboleggiano uno sguar­ do dall 'alto, più acuto di quello degli "omuncoli" che si muovono nel fiume Bios. Occorre ora portare delle "prove"204 a sostegno di quello che, sulla scia di Edgar Wind, ho segnalato all 'inizio come l'aspetto fondamen­ tale dell ' occhio alato: il suo essere duplice, divino e uma­ no al tempo stesso. La critica, lo si è visto, si è sempre divisa tra un 'interpretazione dell 'occhio come occhio di dio, che tutto vede e niente dimentica, oculus terribilis, sbarrato, e l'occhio di Leon Battista, dell'uomo che ha toccato altezze mai raggiunte prima e che, proprio per questo, può essere considerato diis persimilis e glorificato con la corona d'alloro. Anche in questo secondo caso, però, a ben vedere, l 'occhio partecipa di un carattere divino, privo com 'è di dubbi e angosce umane, librato ormai al di sopra della miseria humance conditionis. Questa seconda interpretazione stride tuttavia con quella dell 'intero pensiero albertiano, con quel suo mondo fatto di domande, interrogazioni, ironia, messo definitivamente in luce, dopo il grande incipit di Euge­ nio Garin, da Massimo Cacciari, Roberto Cardini e Man­ fredo Tafuri. Come tutta l 'opera albertiana deve essere considerata alla luce di quella discordia concors che carat­ terizza la personalità dell 'Alberti, così occorre interpre­ tare il suo stesso emblema. Bisogna allora far convivere in discordia concors o in concordia discors le due facce della medaglia di Matteo de ' Pasti: da un lato il profilo di quel vir doctus e litteratus che è Leon Battista e, dall'altro, l'oc­ chio alato, in cui l'aspetto di terribilità ne è l ' inelimina­ bile lato speculare.

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A sostegno dell ' i n dissolubilità di quegli aspetti dell 'impresa albertiana vorrei qui allegare tre possibili fonti, la prima delle quali già nota: l' /caromenippus di Luciano, i libri dei Salmi e quello di Giobbe. L' occhio dell ' uomo, nel primo caso, diventa, con un piccolo ac­ corgimento, un occhio acutissimo, "quasi" divino; ne­ gli altri due casi , invece, il testo veterotestamentario mostra sì la differenza tra la vista divina on nisciente e terribilis e quella assai più limitata dell ' uomo, ma, al tempo stesso, coglie nell 'occhio un elemento di somi­ glianza strettissima fra uomo e dio. In Giobbe, inoltre, la giustizia divina, oscura e incomprensibile all 'occhio dell 'uomo, sembra sfociare pericolosamente nel suo con trario, apparendo paradossalmente come somma ingiustizia. Già David Marsh205 ha segnalato, come probabile fon­ te dell 'emblema dell 'Alberti, l' /caromenippus di Lucia­ no.206 Il dialogo tratta del tema dello sguardo dall 'alto, ironico e disincantato, necessario per poter rispondere alla domanda - così albertiana - di Menippo: quale il senso del cosmo, Qvm TVM?: [MENIPPo] Ebbene, non appena, esaminando le realtà del­ la vita, trovai tutte le cose umane - intendo le ricchezze , i posti di comando, i poteri sovrani - ridicole, meschine e instabili, disprezzate queste e considerata la bramosia di conseguirle un ostacolo al conseguimento delle cose vera­ mente importanti, cercai di alzare il capo e levare lo sguar­ do al tutto; e a questo punto fu motivo per me di grande in­ certezza proprio quello che dai sapienti è chiamato cosmo, ossia ordine universale, poiché non riuscivo a scoprire né come si fosse formato, né chi fosse il suo artefice, o quale il suo principio, quale il fine.207 Menippo, come il Giove del Momus, pensa in un pri­ mo tempo che il miglior modo per risolvere il suo pro­ blema sia quello di rivolgersi ai filosofi, ma entrambi de­ vono ben presto ricredersi:

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In questa disposizione mentale ritenni che la cosa migliore fosse apprendere ogni spiegazione dai filosofi che sono in mezzo a noi; pensavo infatti che questi potessero dirmi tut­ ta la verità. E così, scelti dalla severità del volto, dal pallore della pelle e dalla lunghezza della barba - e infatti lì per lì mi parvero davvero magniloquenti ed esperti del cielo - mi misi nelle loro mani e, versata immediatamente una grossa somma di denaro con l 'impegno di pagare il resto, rag­ giunto il colmo della sapienza, ero convinto di imparare ad essere un conferenziere in materia celeste e di appren­ dere l 'ordinamento dell'universo. Ma costoro furono tanto lontani dal liberarmi di quell 'an tica ignoranza, che anzi mi cacciarono di peso in più gravi dubbii rovesciandomi addosso ogni giorno principii, fini, atomi, vuoti, materie, forme e cose del genere. Ma di tutti il più disgustoso, a me almeno, sembrò il fatto che, non dicendo l'uno rispetto all 'altro nulla di conseguente, ma tutto in polemica e in contrasto, tuttavia pretendevano che mi lasciassi persuade­ re e cercavano di guadagnarmi ciascuno alla sua dottrina. 208

Menippo ride proprio del presunto occhio alato dei filosofi, che in realtà non vedono affatto più in là dei comuni mortali e sono invece, a tutti gli effetti, come ciechi: Eppure, amico, riderai sentendo della loro millanteria e dei prodigi che facevano nei loro discorsi. In primo luogo, pur stando sulla terra e non essendo in nulla superiori a noi che calpestiamo il suolo, né fomiti di vista più acuta del loro prossimo, alcuni anzi essendo quasi ciechi per vec­ chiezza o per inerzia, tuttavia affermavano di vedere attra­ verso i confini del cielo, misuravano la circonferenza del sole, calcavano gli astri al di là della luna e, come caduti dalle stelle, ne precisavano grandezze e forme; e capitava spesso che, non sapendo con esattezza nemmeno quanti stadii ci sono da Megara ad Atene, osassero dire di quanti cùbiti fosse la distanza che separa il sole dalla luna. Misu­ ravano inoltre l 'altezza dell'atmosfera, la profondità del mare, il giro della terra, e ancora descrivendo cerchi, di­ segnando triangoli dentro quadrati e sfere diverse davano fondo al cielo stesso in tutta la sua grandezza. 209

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La polemica di Leon Battista contro i filosofi è del tut­ to lucianea - come quella sulla religio vista alla stregua di superstizione o di semplice "voto di scambio" tra esseri umani e divinità. Di fronte a tanta stultitia Menippo deci­ de di non affidare loro la risposta al proprio Qvm TVM e di cavarsela da solo: Privo per tutte queste ragioni di una via d'uscita, disperavo di poter sentire qualcosa di vero su quei problemi, quando pensai che la soluzione di tutti i miei dubbii sarebbe venuta soltanto, se io stesso, messe le ali, fossi salito in cielo.210

L' /caromenippus, quindi, è senza alcun dubbio un te­ sto estremamente vicino alle posizioni albertiane - ciò che trova ulteriore conferma nell 'episodio del volo di Menippo:21 1 per poter ottenere uno sguardo dall 'alto, Menippo ha bisogno di un paio d 'ali: Che a me crescessero le ali non mi sembrava possibile in nessuna maniera, ma se avessi indossato quelle di un avvol­ toio o di un'aquila - le sole adeguate alle dimensioni del corpo umano -, il tentativo mi sarebbe riuscito. E difatti, presi gli uccelli, tagliai molto bene l'ala destra dell 'aquila e la sinistra dell 'avvoltoio; poi le legai l'una all 'altra, le ap­ plicai alle mie spalle con robuste cinghie e, preparate delle impugnature per le mani alle estremità delle ali maestre, feci la prova su me stesso, prima aiutando con salti in alto lo sforzo delle mani e come le oche sollevandomi ancora poco da terra e camminando, contemporaneamente al vo­ lo, sulla punta dei piedi; poi, visto che la cosa mi riusciva, tentai l' esperimento con più coraggio e, salito sull'Acro­ poli, mi lanciai più per il dirupo finendo direttamente nel teatro.212

Menippo, divenuto Icaro-Menippo, vola attraverso i cieli e, sentendosi stanco soprattutto nell 'ala sinistra, quella dell'awoltoio, si ferma a riposarsi sulla luna. Da lì, come lo Zeus omerico, osserva con "sguardo alato" ora l'una ora l'altra regione della terra. L'amico dialogante

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chiede allora a Menippo di descrivergli le scoperte fatte da una posizione così privilegiata, ai confini del cielo della luna: MENIPPO E giusto è quanto immagini, amico. Perciò, sa­ lito come ti è possibile sulla luna, viaggia con la mente in mia compagnia e con me osserva tutta per intero la dispo­ sizione delle cose sulla terra. E pensa in primo luogo di vedere la terra molto piccola, molto più minuta - preci­ siamo - della luna, al punto che, curvatomi ad un tratto per vedere, non riuscii per un bel po ' ad appurare dove fossero le così alte montagne e il così grande mare; e se non avessi veduto il Colosso di Rodi e la torre di Faro, tieni per certo che la terra non l'avrei affatto riconosciuta. Ma invece quelle costruzioni, superiori alle altre in altezza, e l ' Oceano che brillava appena al sole mi indicarono che ciò che vedevo era la terra. E una volta che ebbi puntato e fissato lo sguardo, ecco mostrarmisi tutta intera la vita degli uomini, non solo popolo per popolo e città per città, ma anche, e chiaramente, nelle singole persone di coloro che navigavano, che facevano la guerra, che coltivavano i campi, che amministravano la giustizia, e nelle donne, negli animali e, insomma in quanti esseri nutre "la terra donatrice di biade".2 13

A questo punto, però, l'amico rileva la contraddizio­ ne del discorso di Menippo che prima dichiara di non riuscire a scorgere la terra per la grande distanza e poi, riconosciuto il colosso di Rodi, dimostra di possedere una vista da Linceo in grado di distinguere « tutto quello che è sulla terra, gli uomini, gli animali e, poco ci manca, le larve delle zanzare » .214 Allora Menippo lo ringrazia per avergli fatto ricordare la cosa più importante di tut­ te: l 'incontro sulla luna col filosofo Empedocle.215 Un abboccamento decisivo per l'acquisizione di quella vista alata che Menippo portava con sé ma non era in grado di utilizzare: Hai fatto bene a ricordarmelo: ho tralasciato, non so per­ ché, la cosa più importante che dovevo dire. Quando, ve-

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duta la terra, in sé la riconobbi, ma non ero in grado di osservare i particolari a causa dell 'altezza, perché la mia vista non ci arrivava ancora, la cosa mi contristò non poco e mi lasciò incerto sul da farsi. Ero abbattuto e prossimo al pianto, quando dietro mi compare il filosofo Empedocle, nero come un carbone, pieno di cenere, abbrustolito. Io, come lo vidi, mi spaventai - non lo nego - e credetti di ve­ dere un dio lunare; ma lui: "Coraggio - disse, o Menippo, non sono un dio; perché ad un immortale Simil mi trovi?

Io sono Empedocle, il filosofo della natura; e infatti, quan­ do mi gettai di slancio nel cratere, il fumo mi strappò all 'Et­ na e mi portò qui: ora abito sulla luna, cammino per lo più in aria e mi cibo di rugiada.216 Ebbene sono venuto per li­ berarti dal presente tuo imbarazzo: sei dispiaciuto, penso, e ti arrovelli, perché non vedi chiaramente le cose che sono sulla terra". "Hai fatto bene - dissi io -, ottimo Empedocle, e non appena tornerò a volo in Grecia, mi ricorderò di libare in tuo onore sul camino e di rivolgere nei novilunii , aperta tre volte la bocca guardando la luna, una preghiera a lei". "Ma no, per Endimione - protestò lui -: non sono venuto per farmi pagare, ma ho sentito qualcosa dentro di me, quando ti ho visto triste. Sai, però, che cosa devi fare per acquistare una vista acuta?". "No, per Zeus - risposi -, se non mi togli tu questa nebbia dagli occhi; ora, infatti, ho l 'impressione di soffrire di una forte miopia>> , "E inve­ ce - disse - non avrai nessun bisogno di me: ciò che ti ren­ derà acuta la vista lo hai già portato con te dalla terra".217

Menippo è quasi cieco, come la maggior parte dei mortali che popolano la terra. È del tutto miope, in ap­ parenza, come i filosofi, ma a differenza di loro ha la possibilità di vedere come stanno realmente le cose, sen­ za veli che gli nascondano la vista, perché ha deciso di servirsi dei propri occhi abbandonando tutte le astrazio­ ni teoriche e i vuoti discorsi della filosofia. Ha in sé tutti gli strumenti per poter acquisire uno sguardo alato, "re­ gale", ed ha soltanto bisogno di una guida che gli indichi come servirsene.

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Si entra quindi nel vivo della fonte albertiana; in mo­ do palese, Luciano collega strettamente fra loro l'occhio destro di Menippo e l'ala destra, quella dell 'aquila, tradi­ zionalmente simbolo di vista acutissima:218 "Che cos 'è, dunque?219 - chiesi -. Io non lo so". "Non sai - incalzò lui - di esserti messo l'ala destra di un 'aqui­ la?". "Certo - risposi - Ma che c 'è di comune fra un 'ala e un occhio 'r'. "C'è - spiegò - che l'aquila è fra tutti gli animali quello che ha la vista più penetrante, al punto che è l 'unico a ficcare lo sguardo nel sole, ed è autentica aquila regina, se fissa i raggi senza battere palpebra".220 .

L'occhio e l ' ala, "uniti", possono dunque dare una vista "regale": l 'occhio appare qui, veramente, «quasi deus » , L'emblema dell 'Alberti sembra trovare in questo passo di Luciano la sua fonte letteraria più evidente. Non solo. "Sbarrato" è anche l'occhio alato della medaglia di Matteo, a tutti gli effetti, perciò, vero e proprio occhio d' aquila, in grado di fissare senza batter ciglio i raggi del sole. E non sono forse raggi quelli che fuoriescono dall'occhio stesso? Occhio d'aquila, quindi, e al tempo stesso solare, è l'occhio albertiano. Ma ancora Menippo non riesce a scorgere in quale mo­ do possa acquisire quella vista d'aquila e si lamenta di non aver portato con sé proprio quegli attributi preziosissimi: Così si dice - ammisi -, e sono già pentito di non aver so­ stituito, salendo qui, i miei occhi con quelli dell 'aquila. In­ vece sono arrivato incompleto e solo in parte fornito degli attributi regali, per cui assomiglio ai rampolli che diciamo legittimi e diseredati .221

Infine Empedocle scioglie il mistero e detta a Menip­ po le "istruzioni per l'uso" dell'occhio alato: "Eppure - continuò - ti è possibile avere ora sùbito un occhio mgale; e infatti, se vorrai sollevarti un poco tenendo ferma l'a­ la dell'avvoltoio e agitando soltanto l'altra, l'occhio destro,

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in corrispondenza con l 'ala, acquisterà l 'acutezza della vista. L'altro, invece, che è della parte meno nobile, nessun mezzo potrà impedire che veda a minor distanza". "Basta - dichia­ rai - che veda al modo dell'aquila anche il solo destro: non ne scapiterò affatto, dal momento che mi sembra di aver osservato spesso che i falegnami segano meglio il legno a fil di squadra, se si servono di un occhio solo". 22 2

Anche qui, come nell 'emblema di Leon Battista, c'è solo un occhio che guarda, un occhio regale (f3oca!.À!.x.6v , nel testo greco) ; e, sebbene si parli di due ali, è una sol­ tanto, quella dell 'aquila, che permette di ottenere una vista acutissima - sia detto en passant, anche nella meda­ glia di Matteo de ' Pasti compaiono sì due ali, ma una sol­ tanto è pienamente visibile, mentre l'altra è quasi com­ pletamente nascosta. Ecco che, finalmente , seguiti i consigli di Empedocle, Menippo acquisisce quella vista alata che gli permette di poter vedere il ridicolo spettacolo che si sta svolgendo sulla terra - scene del tutto simili a quelle che Neophro­ nus aveva scorto dall'alto del tetto della propria casa: Dissi questo e insieme eseguii ciò che mi aveva consigliato Empedocle; lui si allontanò a poco a poco e lentamente si dissolse in fumo. Appena sbattei le ali, sùbito intorno a me splendette una grandissima luce e mi si mostrarono tutte le cose che erano prima celate. Mi curvai, dunque, verso la terra e vidi chiaramente le città, gli uomini e non solo quanto accadeva all 'aria aperta, ma anche quanto facevano quelli in casa credendo di non essere visti: Tolemeo era a letto con la sorella, Lisimaco era insidiato dal figlio, Antioco, figlio di Seleuco, faceva cenni di nascosto a Stratonice , sua matrigna, Alessandro il Tessalo veniva ucciso dalla propria moglie, Antigono seduceva la moglie del figlio, il figlio di Attalo versava il veleno al padre , mentre dall'altra parte Arsace uccideva la donna e l 'eunuco Arbace estraeva la spada contro Arsace, il meda Spatino era trascinato per un piede dalle sue guardie fuori della sala del banchetto con la fronte spaccata da un calice d'oro. Fatti simili a que­ sti era possibile vedere nelle reggie in Libia e presso Sciti

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e Traci; c'era chi commetteva adulterio, chi uccideva, chi complottava, chi rapinava, chi spergiurava, chi temeva, chi era tradito dai parenti più stretti. Tale il divertimento che mi offrivano gli intrighi dei re, ma molto più ridicole erano le azioni dei privati cittadini: anche questi, infatti, vedevo, l'epicureo Ermodoro che spergiurava per mille dracme, lo stoico Agatocle che chiamava in giudizio il discepolo per la paga, l'oratore Clinia che derubava una coppa dal tempio di Asclepio, il cinico Erofilo che dormiva nel postribolo. E perché parlare degli altri, di quelli che scassinavano, che si facevano comprare, che prestavano a usura, che mendi­ cavano? Insomma, lo spettacolo era vario e multiforme.223

Un vero e proprio mondo alla rovescia, carnevalesco, come nel Defunctus. Ciò che semel in anno licet, nel mondo visto con occhi disincantati, lucianei o albertiani, è inve­ ce la norma e non l 'eccezione. Un corteo di maschere, «vario e multiforme», discordante e ridicolo è quello che appare all 'occhio "alato" di Menippo così come a quello dell ' Alberti: MENIPPO. Raccontarle tutte una dopo l'altra, amico caro, è impossibile, quando il solo vederle era già un'impresa; tut­ tavia gli avvenimenti più importanti si presentavano quali Omero dice fossero quelli raffigurati sullo scudo: qui c 'era­ no banchetti e nozze, là tribunali ed assemblee, da un'altra parte un tale sacrificava, mentre nelle vicinanze un altro si mostrava in lutto; e quando guardavo il territorio dei Geti, vedevo i Geti fare la guerra; se poi spostavo lo sguardo in direzione degli Sciti, potevo vederli vagabondare sui carri; girato poi legger1TI.ente l 'occhio altrove, vedevo gli Egiziani lavo­ rare i campi, mentre i Fenici attendevano ai loro traffici, i Cilici si dedicavano alla pirateria, gli Spartani si frustavano, gli Ateniesi discutevano cause. Avvenendo tutte queste cose nello stesso tempo, avrai già capito qual guazzabuglio si offrisse alla mia vista: proprio come se qualcuno, presentati molti coreuti, anzi molti cori, poi ordinasse a ciascuno dei cantori di trascurare l'accordo delle voci e di cantare un suo motivo; senonché, essendo ciascuno ambizioso e desi­ derando nell'eseguire il proprio pezzo di superare il vicino

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nella potenza della voce, ci pensi, per Zeus, come potrebbe risultare il canto? AMico. Assolutamente ridicolo, o Menippo, e tutta una stonatura. 224

Per poter vedere questa polifonia stridente e risibi­ le è appunto necessario un occhio che sappia muoversi velocemente da una zona all'altra, come l'occhio dello Zeus omerico. Proprio sulla dissonanza, sulla disarmonia degli uomini sulla terra, sul ridicolo theatrum mundz'225 punta nuovamente lo sguardo Menippo: MENIPPO. Eppure, amico, così si comportano tutti i coreuti che sono sulla terra, e la vita degli uomini è costituita di una simile disarmonia, perché non solo è dissonante il loro canto, ma anche è diverso l'abbigliamento, si muovono in sensi opposti e non la pensano mai nello stesso modo, fin­ ché il corego non caccia ciascuno di essi dalla scena dicen­ do di non averne più bisogno. Da allora in poi sono tutti uguali, ormai, nel silenzio, non discordando più in quel loro canto promiscuo e sregolato. Ma in quel teatro vero, dalle molte e varie rappresentazioni, tutto ciò che accadeva era decisamente ridicolo. A me veniva da ridere soprattut­ to per quelli che contendevano per i confini di un pezzo di terra e per quelli che si facevano un vanto di coltivare la piana di Sicione o di avere a Maratona le campagne di Enoe o di possedere ad Acarne mille pletri: in realtà, poi­ ché l 'intera Grecia, come allora mi appariva dall'alto, era grande quattro dita, l'Attica - credo - era in proporzione molte volte più piccola. Di conseguenza pensavo quanto era poco ciò di cui potevano ancora andar superbi i nostri ricchi: avevo l'impressione, infatti, che quello di loro che possedeva più pletri coltivasse uno solo degli atomi di Epi­ curo. E nel dare uno sguardo anche al Peloponneso, vidi la Cinuria e mi venne in mente per quanto piccolo luogo, certo non più grande di una lenticchia egizia, caddero in un solo giorno tanti Argivi e tanti Spartani. Se poi vedevo qualcuno superbo del suo oro, perché possedeva otto anel­ li e quattro coppe, anche di costui ridevo molto, giacché l'intero Pangeo con tutte le sue miniere era grosso quanto un grano di miglio. 226

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Dall 'alto, gli uomini e le città appaiono all 'occhio di Menippo nient'altro che formiche e formicai: AMico. Beato te, o Menippo: che straordinaria visione ! E le città - dimmi, in nome di Zeus - e i singoli uomini come apparivano dall'alto? MENIPPO. Penso che tu abbia veduto spesso in un assembra­ mento di formiche alcune che si aggirano intorno all' im­ boccatura della tana e trattano pubblicamente le questioni della comunità, altre che escono, altre ancora che rientra­ no nella città; e l'una porta fuori i rifiuti, l'altra, arraffate da qualche parte una buccia di fava o la metà di un chicco di grano, corre a portarle. Ed è naturale che nella società degli uomini come, fatte le debite proporzioni, in quella delle formiche ci siano costruttori, politici, dirigenti, musi­ ci, filosofi, salvo che le città coi loro abitanti assomigliavano moltissimo ai formicai. E se l 'esempio, che mette gli uomi­ ni a confronto con gli ordinamenti delle formiche, ti sem­ bra poco degno, rifletti sugli antichi miti dei Tessali e tro­ verai che i Mirmidoni, la stirpe più bellicosa, sono diventati uomini da formiche. Dopo aver guardato a sufficienza ogni cosa e averci riso sopra, mi scrollai e presi il volo dell'egìoco Zeus verso le case e verso gli altri dèi. 227

Come si vede, il testo di Luciano contiene una serie di puntuali rimandi ai grandi temi albertiani: lo sguardo lucido e disincantato sul mondo e sugli uomini, l 'ironia, il moralismo.228 Fonte certa dell 'occhio alato sembra es­ sere, dunque, al di là d'ogni dubbio, l' Icaromenippus. Ma con ciò abbiamo risposto a uno solo degli aspet­ ti del simbolo albertiano: l ' occhio ironico di Momo, di Lepido o di Caronte. L'altra faccia, quella della doman­ da Qvm TVM?, rimane ancora irrisolta: qual è la fonte dell 'interrogazione di Leon Battista? La risposta potreb­ be trovarsi, a mio avviso, nell 'Antico Testamento, in par­ ticolare nel libro dei Salmi e in quello di Giobbe.229 I Salmi sono già noti come fonte dell 'Alberti, che ha composto, sul loro modello, cinque Psalmi precationum.230 Il libro di

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Giobbe, dal canto suo, sembra essere centrale per la com­ prensione della terribilità, più volte ricordata, dell ' oc­ chio alato. Nei Psalmi la potenza di dio viene rappresentata at­ traverso lo scatenarsi dei quattro elementi, fuoco, acqua, aria e terra, e l 'aggettivo terribilis ritorna ben sette volte: Fiamma terribilis inter aristas agri; terribilis alta lacus ab rupe ruens. Mare procella concitum terrib ile, terrib iles a:: there grandines et turbines. Fulgur tonitru perfindens nebulas et alta quatiens robora terribile. Sub pedibus montes cum reboantes tremunt, et vastum hiant profundum terrib iles. Mihi tu Domine iratus terrib ilis: tu me j am Domine nutu ipso territas.23 1

Ma è il nono verso che sembra descrivere quasi lette­ ralmente questo lato dell'emblema albertiano: «Fulgure irati oculi tui Domine, et verbo tuo tremitat omnis ter­ ra» .232 Lo si può forse avvicinare ad una probabile fonte di Leon Battista, Orapollo. Negli Hieroglyphica, infatti, all'articolo «quo modo voce longe » si legge: Vocem a longe venientem volentes ostendere, que apud .ìEgypcios ba:: e vocatur, aeris pingunt vocem, hoc est tonitrum quoniam nullus sonus magis horrendus vel terribilior audiri possit. 233

L'Alberti, nell'immagine della folgore dell'occhio di dio e della parola di questi, al cui risuonare tutta la terra « tremitat» , può avere avuto presente la figura geroglifica di Orapollo, il suono « horrendus» e « terribilior» del tuo­ no come simbolo della voce ultraterrena della divinità. A sua volta, l 'immagine degli occhi fiammeggianti di dio ricorda immediatamente i raggi che escono dall'occhio alato. Non solo. Due versi più sotto appare un'aquila, in una catena simbolica che può essere solo casuale, ma che

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rimanda, comunque, a quell 'insieme di figure che caratte­ rizzano l 'emblema: «Aquila imprcevisam timet celerem sa­ gittam; aquilam populantem timet palumba innocens».234 Sia l'occhio, sia la terribilità di dio, sia l'aquila di Leon Battista sono, dunque, immagini con buona probabilità tratte dall'immaginario biblico e dai Salmi in particolare. Essi contengono una serie di raffigurazioni dell 'occhio in costante riferimento alla vista dell 'uomo e a quella di dio. A volte in abbinamento proprio con le ali,235 simbolo della protezione data da dio agli uomini: a resistentibus dexterre ture custodi me ut pupillam oculi sub umbra alarum tuarum proteges me236 Miserere mei Deus miserere mei quoniam in te confidi t anima mea et in umbra alarum tuarum sperabo237 quemadmodum multiplicasti misericordiam tuam Deus filii autem hominum in tegmine alarum tuarum sperabunt238 inhabitabo in tabernaculo tuo in srecula protegar in velamento alarum tuarum259 quia fuisti adiutor meus et in velamento alarum tuarum exultabo240 in scapulis suis obumbrabit te et sub pinnis eius sperabis241

Ma l'aspetto simbolico delle ali, nel significato voluto dal salmista, non sembra essere del tutto attinente all 'im­ magine albertiana. Ci interessa piuttosto il simbolismo degli occhi, per il costante confronto che il testo vete­ rotestamentario istituisce fra la limitatezza dell 'occhio umano e l ' onniveggenza di quello divino: de crelo respexit Dominus vidi t omnes filios hominum de prreparato habitaculo suo

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respexit super omnes qui abitant terram qui finxit singillatim corda eorum qui intellegit omnia opera illorum242

Nel Libro di Giobbe, inoltre, la differenza incolmabile fra uomo e dio è presentata proprio come diverso modo di vedere: «numquid oculi carnei tibi sunt aut sicut videt homo et tu videbis» . 248 L'occhio di dio è sopra il giusto e lo rende inattaccabile dal male: «intellectum tibi dabo et instruam te in via hac qua gradieris l firmabo super te oculos meos» .244 Lo sguardo di dio vede tutto, le azioni dei giusti e quelle dei malvagi: oculi Domini super iustos et aures eius in precem eorum facies Domini super facientes mala ut perdat de terra memoriam eorum245

Nei Salmi viene costantemente sottolineata l'implaca­ bilità dello sguardo divino nei confronti delle malvagie azioni degli uomini: l'inventore dell'occhio, si chiede il salmista, sarà forse cieco di fronte a tali comportamenti? : «qui plantavit aurem non audiet l aut qui finxit oculum non considerat» .246 Accanto all'occhio giudicante, terribilis di dio appare l 'occhio umano, limitato, sebbene fatto ad immagine di quello divino; un occhio che deve essere umile come quello del servo dinanzi al padrone: Ad te levavi oculos meos qui habitas in c;elo ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum sicut oculi ancill;e in mani bus domin;e eius ita oculi nostri ad Dominum Deum nostrum donec misereatur nostri247

Quest' occhio non deve presumere di vedere e sapere tutto. Sembra di poter leggere qui, in particolare nei sal­ mi 1 30 e 1 38, la fonte, benché non letterale, della secca risposta data dalle umbrtE al Philosophus in Fatum et fortu-

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na: «Desine, desine, homo, istiusmodi dei deorum occul­ ta investigare longius quam mortalibus liceat» : Domine non est exaltatum cor meum neque elati sunt oculi mei neque ambulavi in magnis neque in mirabilibus super me248 Domine probasti me et cognovisti me tu cognovisti sessionem meam et surrectionem meam intellexisti cogitationes meas de longe semitam meam et funiculum meum investigasti et omnes vias meas pr.evidisti quia non est sermo in lingua mea ecce Domine tu cognovisti omnia novissima et antiqua tu formasti me et posuisti super me manum tuam mirabilis facta est scientia tua ex me confortata est non potero ad eam quo i bo ab spiritu tuo et quo a facietua fugiam si ascendero in c.elum tu illic es si descendero ad infernum ades249

L'occhio limitato dell' uomo, seppure « rex•• et « pri­ mus>> tra gli organi, non può attingere, in terra, alla «mirabilis scientia» divina, come non può sottrarsi allo sguardo di dio, «ab spiritU>> e . Onnisciente e onnipresente è l'occhio di dio, come l'Alberti aveva sot­ tolineato in Anuli: un occhio che vede > : 6 cioè la raffigurazione della Virtù e del Vizio, come l 'architetto dichiara di avere «figurato nel libro del bronzo>> . 7 Alla richiesta del principe di descrivergliela, in quanto non presente nel momento in cui l 'architetto l ' aveva mo­ strata al padre, l 'architetto così lo soddisfa: Io l'ho figurata in questa forma: in prima io ho fatto uno diamante in punta, e su è una figura in forma d'uno angio­ lo, il quale ha la testa del sole ed è armato, e da una mano tiene uno alloro e da l'altra mano uno dattero. E sotto il diamante v'è una fonte di mele, nella quale sono molte ape, e di sopra v'è la Fama volante.8

Segue poi la descrizione della rappresentazione del Vizio situato «in uno luogo oscuro, cioè in una grotta della montagna>> , al di sopra della quale è collocata pro­ prio la Virtù - «dove è la Virtù in cima»9 -, in quanto superiore al Vizio. Come nel noto episodio di Ercole al bivio narrato da Prodico e riferito da Senofonte, anche qui facile è la via per giungere al Vizio, ardua quella per ottenere la Virtù: E su per questa montagna ho figurata la dificultà che è a venire a questa Virtù, la quale è molto difficile e ardua a salire, e per nuove vie e con grande fatica si perviene a questa Virtù. Il Vizio è per l 'apposito, che sta a' piè della montagna, e abilmente vi si va. 10

Ma l 'utilità di queste immagini non termina con la

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rappresentazione di queste due scelte di vita. Nella sala del Consiglio, dove si deve esercitare la Giustizia, al diso­ pra della parete interna della porta d 'ingresso alla sala, il Principe vuole che vi vengano dipinte la Giustizia, la Temperanza e la Prudenza, mentre nella parete di fronte a questa, sopra il seggio in cui lui stesso siede, la Fortez­ za; e, in più, anche la Ragione e la Voluntà, se mai «si tro­ vasse in che modo fusse dipinta» . 1 1 L'architetto ammette di non averle «mai vista né dipinta, né in altro modo ma' che figurare si possa» . E aggiunge in più di ritenere che la «Bugia e la Verità sì credo che ci starebbe [ sic.� ancora bene » . 1 2 Il Principe, che ha a cuore soprattutto Ragione e Voluntà, chiede all 'architetto, che ha già «assimigliato benissimo la Virtù e anche il Vizio» , 1 3 di pensare a come rappresentare le due altre virtù a lui così care e, una vol­ ta escogitate, di descrivergliele. « Pensato e fantasticato sopra a queste fantasie assai>> , 1 4 l'architetto finalmente è pronto per relazionare al Prin­ cipe le sue invenzioni iconografiche: El modo ch 'io ho pensato di figurare la Voluntà, si è que­ sto: fare una femmina nuda con uno piè in su una ruota, coll'aie a' piè e alle spalle, e la testa piena d'occhi,15 e da una mano due bilance, che l 'una va in giù e l 'altra in su; e con l'altra mano pare che voglia pigliare il mondo. E la Ragione è in questa forma a presso: la quale siede in su uno cuore; da una mano tiene una bilancia, la quale sta diritta, e da l'altra tiene uno freno, il quale freno risponde a ciascheduno di questi fili a uno de ' sentimenti de l'uomo; e a' piè ha pianelle di piombo; e ha tre facce, cioè una di vecchio, e una di mezza statura, e una di giovinetto. E quella dimostra el tempo avenire, e l 'altro a mezzo tempo dimostra il presente; e ' I vecchio dimostra il tempo passato. Sì che, se vi piace, la potrete fare dipignere » . 16

Inoltre, l 'architetto aggiunge di aver « pensato an­ cora come si può dipignere la Pace e la Guerra in una figura>> . 17 Come si vede, dunque, l'interesse del Filarete per la

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rappresentazione allegorica non è così estemporaneo: Liliana Grassi ha parlato di «una tendenza ad esprimer­ si per emblemi, anagrammi, 18 enigmi» . 19 Le fonti, oltre l' ek.frasis di Luciano, si possono rintracciare nelle figurO! pictO! da Giotto nella Cappella degli Scrovegni e forse an­ che nell' ek.frasis albertiana dell 'intercenale Picture. La rappresentazione della Fama torna poi, come det­ to, nel capitolo diciottesimo, quando il Filarete-Onitoan descrive il Palazzo del Vizio e della Virtù. Ribadendo di non aver trovato nelle rappresentazioni e descrizioni de­ gli antichi un unico modo di raffigurare il Vizio e la Vir­ tù, nonostante l'eccezione di Seneca,20 il Filarete ritorna, quasi con le stesse parole, sull 'invenzione già descritta nel nono libro: Prima, pensando in che modo questa Virtù si potesse figu­ rarla che in una sola figura si rapresentasse essa Virtù, in questa forma mi venne a mente di fare una figura a modo d'uno il quale fusse armato, e la sua testa era a similitudine del sole, e la mano destra teneva uno dattero e dalla sini­ stra teneva uno alloro; e stesse diritta su uno diamante, e di sotto a questo diamante uscisse una fonte d'uno liquore mellifico, e di sopra dalla testa la Fama.21

Quindi, come in precedenza, segue la descrizione del Vizio.22 Queste due rappresentazioni servono al Filarete co­ me raffi gurazioni da riprodurre sulle due entrate del suo palazzo del Vizio e della Virtù, protagonista assoluto del capitolo. Una sorta di « Coliseo»23 alto sette piani, in cui, dopo aver salito nove gradini, vi sono due possibili vie d'accesso - ancora una volta le due porte dell 'Ercole al bivio: l 'una a mano diritta e l'altra a mano manca, le quali quel­ la da mano diritta sarà chiamata porta Areti e quella da mano sinistra sarà chiamata porta Cachia; e come s'entra in quella da mano diritta, sarà una scala alta braccia sette, e quella da mano sinistra >,4 che offre a Kokori il fungo Guruguru (una sorta di fungo peyote) , l 'ultima pericolosa prova del lungo tirocinio magico della giovane apprendista. Il sacro spirito di Guruguru in nulla differisce dal bastone magico se non per il fatto che è dotato di due grandi ali . U n occhio-sole alato in piena regola! I l carattere d i amu­ leto-sigillo del bastone magico come di Gisa è più che evidente . L'impresa dell 'Alberti, attraverso le più strane

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migrazioni, ritorna alle origine egizie, da cui, forse, era in qualche modo partita.

1 Una variante di questi mostri, nominati Tsui-seki Baku-dan, cioè occhi "traccianti", fa la sua apparizione nella versione televisiva di Yu Yu Ha­ kusho, con la sola aggiunta di una miccia accesa che li rende delle vere e proprie "bombe volanti". 2 La versione italiana è distribuita dalla Yamato Video. 5Yoshihiro Togashi, «Yu degli Spettri», n. 4, in «Zero» , III, n. 22, gennaio 200 1 , p. 1 56. 4 Hiroyuki Eto, «Guru Guru. Il girotondo della magia» , vol. 5, giugno 2002, p. 65.

5 . 5 . Winged eyes on sale . . .

Nelle sue lunghe e imprevedibili peregrinazioni, l'oc­ chio alato è approdato anche alla bigiotteria dell ' "Occul­ te Superstore"! Su Internet1 si potevano infatti acquista­ re, fino a qualche anno fa, un anello e una spilla "Win­ ged Eye". Il primo, in metallo bianco e con un vasto as­ sortimento di colori per la pupilla dell 'occhio, al prezzo di pochi dollari ( codice FV-1 761 ) [fig. 8 1 ] ; il secondo, in peltro e con un vetro blu come occhio, ad un prezzo an­ cor più conveniente (codice FV-1 7 1 O) [fig. 82] . Il tutto prodotto dalla Axel, una «worldwide celebrated gothic jewelry•• l Detto per inciso, questi bij oux potrebbero essere il pendant del trucco conosciuto come "Winged eyeliner", diffuso almeno dagli anni Sessanta del secolo scorso, apprezzato da due dive come Sophia Loren [fig. 83] e Brigitte Bardot [fig. 84] . Una vera e propria fanati­ ca di questo make up è stata la sfortunata cantante Arny Winehouse. Tornando all 'anello, esso è formato da una pietra in­ castonata, un 'inquietante iride iniettata di sangue, con al centro una pupilla di felino (o di coccodrillo) . Le due ali laterali, più piccole dell 'occhio, sono schiacciate sull 'anello vero e proprio.

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La spilla si rifà più da vicino alla tradizionale immagi­ ne albertiana, anche se nella versione del Filarete ( con le ali aperte e poste simmetricamente ) . Dalle palpebre colano delle gocce - lacrime, sangue? - che sono, forse, "sinistre" rielaborazioni dei razzi albertiani. In fondo non erano forse alta bigiotteria anche la me­ daglia e la placchetta di Leon Battista?

1 Cfr. www.blacksunrise.com; ma i due oggetti non sono più reperibili in rete. In ogni caso amuleti, ciondoli, spille, anelli riproducenti occhi alati, sono disponibili, per gli amanti del genere, in infinite versioni, su molti siti web. Anche sui muri delle città, grazie alla street art, l'occhio alato ha fatto la sua comparsa [fig. 85]

TAVOLE



Fig. l . Orapollo, Hieroglyphica, edizione Jacq ues Kerver, Parigi, 1 543: «Quomodo Deum».

Fig. 2. Occhio Udjat, Stele funeraria della dama Tapéret, Tebe, Terzo periodo intermedio, XXII Dinastia (945-7 1 5 ca. a.C. ) , legno stuccato e dipinto, 29x3 l x2,6 cm. Parigi, Musée du Louvre, inv. E 52.





Fig. 3. Occhio Udjat, Stele funeraria della dama Tapéret, Tebe, Terzo periodo intermedio, XXII Dinastia (945-7 1 5 ca. a.C. ) , legno stuccato e dipinto, 29x3l x2,6 cm. Particolare. Parigi, Musée du Louvre, inv. E 52.

Fig. 4. Occhio Udjat alato, Sarcofago di Nesperennub, XXI o XXII Dinastia ( 1 069-71 5 ca. a.C. ) , 1 73x42x31 cm. Londra, Bri­ tish Museum, inv. 307220.

Fig. 5. Occhio Udjat alato, Sarcofago di Nesperennub, XXI o XXII Dinastia ( 1 069-7 1 5 ca. a.C. ) , 1 73x42x3 1 cm. Particolare. Londra, British Museum, inv. 307220.

Fig. 6. Occhio Udjat alato, Sarcofago di Masaharta, Sommo sa­ cerdote di Amon-Ra, figlio del Sommo Sacerdote di Amon-Ra Pinedjem I, Tebe, XXI Dinastia ( 1 055/ 1 054-1 046/45 ca. a.C. ) . Particolare. Cairo National Museum, inv. CG61027 JE-26195. =

Fig. 7. Occhio Udjat alato, Sarcofago di NesyKhonsu, figlia del Sommo sacerdote di Amon-Ra, Smendes II e moglie del Som­ mo Sacerdote di Amon-Ra Pinedjem Il, Tebe, tarda XXI-inizi XX II Dinastia (976-899 ca. a.C. ) . Particolare. The Cleveland Museum of Art, inv. 1 9 1 4. 7 1 4.a.

Fig. 8. Occhio Udjat, Sarcofago di anonimo, XXI Dinastia ( l 069945 ca. a.C. ) , lunghezza 1 68,5 cm. Londra, British Museum, inv. 24790.

Fig. 9. Occhio Udjat, Sarcofago di anonimo, XXI Dinastia ( 1 069945 ca. a.C. ) , lunghezza 1 68,5 cm. Particolare. Londra, British Museum, inv. 24790.

Fig. 10. Urna cineraria, alabastro, seconda metà del III secolo a.C. Museo Guarnacci di Volterra, inv. MG 1 00. Fotografia di Damiano Dainelli, copyright Museo Etrusco Guarnacci.

Fig. I l . Urna cineraria, alabastro, II secolo a.C., demone mari­ no (Scilla?) . Museo Guarnacci, Volterra, lnv. MG 62. Fotogra­ fia di Damiano Dainelli, copyright Museo Etrusco Guarnacci.

Fig. 1 2. Affreschi romanici della chiesa di Santo Stefano a So­ leto (LE) , fine XIV secolo. Abside. Foto di Francesco Arrivo.

Fig. 1 3. Affr eschi romanici della chiesa di Santo Stefano a So­ leto (LE) , fine XIV secolo. Abside, particolare dell 'angolo in alto a destra. Foto di Francesco Arrivo.

Fig. 1 4. Affreschi romanici della chiesa di Santo Stefano a So­ leto (LE) , fine XIV secolo. Abside, particolare dell'angolo in alto a sinistra. Foto di Francesco Arrivo.

Fig. 1 5 . Cherubini, Cefalù, Duomo, volta della crociera del presbiterio, 1 1 54-1 1 66 ca.

Fig. 1 6. Bassorilievo col porto di Roma, collezione Torlonia, Roma.

Fig. 1 7. Lore nzo Lotto ( carton e ) , Chaos Magn vm, Bergamo, Basilica di San ta Maria Maggiore , Coro ligneo, 1 524.

Fig. 1 8 . Matteo de ' Pasti, Medaglia di Leon Battista Alberti, 1 44�1 454 ca., bronzo, 92,5 mm. 246, 1 4 gr. , recto: busto d'uo­ mo rivolto a sinistra e iscrizione • LEO • BAPTISTA • • AL­ BER1VS •. Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des médailles, 1 4, Méd. ital. 580, Cliché B.N.F.

Fig. 19. Matteo de' Pasti, Medaglia di Leon Battista Alberti, 1 446-1 454 ca., bronzo, 92,5 mm. 246, 1 4 gr., verso: serto d'al­ loro, occhio alato e motto • QVID • 1VM • con iscrizione • MATTHAEI • PASTI • VERONENSIS • OPVS •. Parigi, Bi­ bliothèque Nationale de France, Cabinet des médailles, 1 4, Méd. ital. 580, Cliché B.N.F.

Fig. 20. Leon Battista Alberti, Autoritratto, 1 432-1 433 o 1438 ca., placchetta ovale in bronzo, recto: busto d'uomo rivolto a sinistra; in basso a sinistra un occhio alato; a destra l 'iscrizione: • L • BAP • ) con due ali e un occhio a guisa di punti) . Esem­ plari noti: Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des médailles, monnais et antiques, A V 86, 1 97x1 33 mm; Wa­ shington, National Gallery of Art, Samuel Kress Collection, A 278, 1 8; 1957, 1 4 1 25, 200 x 1 35 mm. Cliché B.N.F.

Fig. 2 1 . Leon Battista Alberti, Occhio alato, inchiostro su carta, 1437 ca. Modena, Biblioteca Estenze, cod. Lat. 52 (a O 7 9 ) , c . I v.

Fig. 22. Leon Battista Alberti, Occhio alato, inchiostro su carta, 1 437 ca. Modena, Biblioteca Estenze, cod. Lat. 52 (ex O 7 9) , c. 6 v.

Fig. 23. Leon Battista Al berti,

Occhio alato e motto QVID TVM,

in­

chiostro su carta, 1 436 ca. Firenze, Biblioteca Nazionale Cen­ trale, codice ll IV 38,

c.

1 19

v.

Fig. 24. Le Premier Tome de l 'Architecture de Philihert De L'Orme, Conseiller et aumonier ordinaire du Roi, et abbé de St-Serge lès A ngers, à Paris, Chez Fédéric Morel, rue St:Jean de Beauvais, 1 567, c. 282 r. Rappresentazione del «docte et sage Architecte».

Fig. 25. Antonio Averlino detto il Filarete, Allegoria della Fama, in Id., Trattato di architettura, libro XVIII, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Codice Magliabechiano, II I 1 40, c. 1 43 r.

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Fig. 26. Antonio Averlino detto il Filarete, Allegoria della Fama, in Id., Trattato di architettura, libro XVIII, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Codice Magliabechiano, Il I 1 40, c. 1 43 r, particolare.

Fig. 27. Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio, 1499, c. I r.

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Fig. 28. Anonimo [Giorgio Vasari? ] , Ritratto di Leon Battista Al­ berti in L'architettura di Leonbatista Alberti, tradotta in lingua Fiorentina da Cosimo Bartoli Gentil 'huomo & Accademico lìoren­ tino. Con la aggiu nta de Disegni, Firenze, Lorenzo Torren tino,

MDL.

Fig. 29. Dosso Dossi, Giove, Mercurio e la Virtù, 1 52�1 524 ca. Gemaldegalerie del Kunsthistorisches Museum di Vienna (in­ ventario n. 9 1 1 0 ) .

Fi g. 30. Dosso Doss i , Giove, Mercurio e la Virtù, 1 523- 1 524 ca. Gemaldegalerie del Ku nsthistorisches Museum di Vienna ( in­ ven tario n. 9 1 1 0 ) . Particolare con l ' occhio nell 'ala del coprica­ po di Mercurio.

Fig. 3 1 . Renato Brozzi, Spilla dell 'occhio alato, disegno prepara­ torio, 27,5x21 cm. Foto Archivi del Vìttoriale.

Fig. 32.

Renato Brozzi , Spilla dell'occhio alato, realizzata da Ma­

rio Buccellati. Oro con brillanti , 1 934 ca. , 26x205

mm.

Fig. 33. Renato Brozzi, Occhio alato, schizzi preparaton, 1 5,5x2 1 ,5 cm. Foto Archivi del Vìttoriale.

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Fig. 34. Renato Brozzi, Occhio alato sopra due lettere a lui indi­ rizzate dal D'Annunzio. Calco in gesso, 1 4x8 cm. Foto Archivi del Vittoriale.

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Fig. 35. Renato Brozzi, Occhio alato, schizzi preparaton, 2 1 ,5x29,5 cm. Foto Archivi del Vittoriale.

Fig. 36. Renato Brozzi, Occhio alato col motto «PER NON DOR­ MIRE l PER NON morire » . Lastra di rame sbalzato dorata, alabastro e turchese, 60x60 cm. Gardone Riviera, Il Vittoriale degli Italiani, Sala dei calchi: Museo dello «Schifamondo•• . Fo­ tostudio Rapuzzi, Brescia.

Fig. 37. Boise rie con Occhio alato dipi n to. Gardone Riviera, Il Vittoriale degli Italian i , porta i n terna d ' accesso all ' O ratorio dalmata. Foto Archivi del Vittorial e .

Fig. 38. Tomaso Buzzi, Theatrum mundi, La Scarzuola, Monte­ gabbione, località Montegiove (TR) . Foto dell 'autore.

Fig. 39. Tomaso Buzzi , Theatrum mundi, La Scarzuola, Monte­ gabbione, località Monte giove

(TR) .

Particolare dell 'esterno

dello Studiolo dell ' archite tto. Foto del l ' autore .

Fig. 40. Tomaso Buzzi, Porta della Torre dell 'Orologio, schizzo, 21 e 22 agosto 1 978. Archivio Buzzi, Scarzuola (Montegabbione, località Monte�ove, TN) .

Fig. 4 1 . Tomaso Buzzi , Porta della torre dell 'Orowgio, La Scarzuo­ la, Mon tegabbione, località Mon tegiove ( TR) .

Fig.

42.

Tomaso Buzzi,

Occhio alato.

«Omaggio a Leon Battista

Alberti l La divina proporzione l Quid Tum» Archivio Buzzi, Scarzuola (Montegabbione, località Montegiove,

TN) .

Fig. 43. Tomaso Buzzi, Occhio alato, Venezia 1 972, Archivio Buzzi, Scarzuola (Montegabbione, località Montegiove, TN) .

Fig. 44. Tomaso Buzzi , Il tempo, disegno acquerellato, Collezio­ ne Rolex I talia ( già Collezione Cristiano Pieri , Milan o ) .

Fig. 45. Giovanni Battista Piranesi, Capolettera "T", 82x l00 mm., da Le rovine del Castello dell 'Acqua Givlia sitvato in Roma presso S. Evsebio e falsamente detto dell'Acqua Marcia colla dichiara­ zione di vno de ' celebri passi del Comentario Jrontiniano e sposizione della maniera con cvi gli antichi romani distribuivan le acque per vso della città, Roma, nella stamperia di Generoso Salomoni, 1 761 .

46. Villa Schopp. Casa del portiere, Gloriettegasse 2 1 , Hietzing (Vienna) , 190 1 , architetti Friedrich Ohmann e josef Hackhofer.

Fig. 47. Georges Lacroix, Manifesto della LXX N edizione del Festival International du Film di Cannes.

Fig. 48. Marco Dezzi Bardeschi, "Occhio alato", Manica Lun­ ga, Biblioteca Classense, Ravenna, 1 983, Archivio fotografico Biblioteca Classense, foto di Gabriele Basilico.

Fig. 49. Antonio Marchetti, Occhio alato, 2004, tecnica mista su cartoncino, 1 9,3xl l ,5 cm.

Fig. 50. Giordano Montorsi, Lontano da dove, 20 1 1 , tecnica mi­ sta su tavola, 39,7x30.

Fig. 5 1 . Claude-Nicolas Ledoux, Coup d 'a!il du Théatre de Be­ sançon, tavola 1 1 3 de L'Architecture considérée sous le rapport de l'Art, des Mceurs et de la Législation, Paris, de l'Imprimerie de H.L. Perronneau, 1 804.

Fig. 52. Salvador Dalf, Surrealisme, 1 9 69 ( Gala-Salvador Dalf Foundation , DACS, London , 2004) .

Fig.

53. Alberto Savi nio,

Illustrazione per l 'atto I l , quadri I e II

del ! ' Armida di Gioacchino Rossi n i ,

1952.

Fig. 54. Gianni Guidi, Occhio elicato, progetto per la chiesa di San Floriano, jesi, luglio 1 993, disegno (da Gianni Guidi, Die­ tro il reale l Achter het werkelijke, a cura di l samenstelling Valeria Tassinari, con un testo di l met een tekst van Gilberto Pellizzo­ la, Ravenna, Edizioni Essegi, 1 993, p. 15) .

Fig.

55.

Gian ni Guidi, Occhio elicato, ferro , legno, stoffa, plasti­

ca, installazione chiesa di San Floriano, Jesi , luglio

1 993

(da

Gianni Guidi, a cura di Hugo Bruti n , Valeria Tassinari , s. l. , n. d. , p. s. n. ) .

Fig. 56. Gianni Guidi, Occhi elicat� allestimento della mostra In anpo sospesa, Ferrara, Palazzo Massari, Padiglione d'Arte Con­ temporanea, 19 maggio-7 1uglio 2002 (da Gianni Guidi. Il canto dellej017Tle, a cura di Gian Ruggero Manzoni, Faenza, n. d. [ma: 2003] , p. s. n. ) .

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Fig. 57. Santiago Calatrava, Schizzi per la stazione ferroviaria dell 'aeroporto di Satolas intitolato ad Antoine de Saint-Exupe­ ry a Lione, 1 994.

Fig. 58. Santiago Calatrava, Schizzi per la stazione ferroviaria dell'aeroporto di Satolas intitolato ad Antoine de Saint-Exupe­ ry a Lione, 1 994.

Fig. 59. Sanùago Calatrava, L'Hemis]eric, Ciutat de les Arts i les Ciències, Valencia, 1998. Vista del fronte.

Fig. 60. Santiago Calatrava, L'Hemisfèric, Ciutat de les Arts i les Ciències, Valencia, 1998. Vista del lato d'ingresso con le "ali".

Fig. 61 . Salvador Dali, El ojo, 1 945.

Fig. 62. Copertina del n. 2861 di «Topolino•• , 26 settembre 20 1 0 .

Fig. 63. Odilon Redon, CEil-ballon, 1 878, The Museum of Mo­ dero Art, New York.

Fig. 64. R.A.F, Simbolo dello Squadrone 208, "The Flyi ng Shuftis".

Fig. 65. Targhetta pubblicitaria con l ' occhio alato del marchio Von Dutch.

Fig. 66. Ken ny Howard ( alias Von D u tch) con una riproduzio­ ne de li ' occhio alato.

Fig.

67.

Rick Griffin,

1968.

Fig. 68. Rick Griffin, Winged eye.

Fig. 69. Rick Griffin, Manifesto del concerto di jimi Hendrix e di john Mayall a San Francisco, febbraio 1 968.

Fig. 70. Ri c k Griffi n , M a n i festo del conce rto di Cap tain Beefheart and His Magie Band , U n ive rs i ty of California at Ir­ vin e , Crawford Hal l , I rvine ( CA) , 28 ottobre [ 1 972] .

Fig. 7 1 . Boris Vallejo, Watchful eye, 1 994.

Fig. 72. Arm age ddon ! ,