L'età della globalizzazione. Storia del mondo contemporaneo dalla Restaurazione ai giorni nostri [2 ed.] 8860084113, 9788860084118

Il volume ricostruisce due secoli di storia mondiale, dalla Restaurazione europea che segue al dominio napoleonico ai gi

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Italian Pages 512 [670] Year 2014

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L'età della globalizzazione. Storia del mondo contemporaneo dalla Restaurazione ai giorni nostri [2 ed.]
 8860084113, 9788860084118

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Sandro Rogari

L’ETÀ DELLA GLOBALIZZAZIONE Storia del mondo contemporaneo daH’imperialismo europeo al XXI secolo

BTET

Indice

XXI Premessa 1 3

PARTE I - L’Europa e il mondo dalla conclusione dei risorgimenti nazionali alla Grande guerra 1870-1914 Caratteri dellepoca

13 15 16

1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9

1 - Germania, Europa e mondo. La guerra franco-prussiana tornante della storia d’Europa Origini e finalità del conflitto franco-prussiano Dinamica ed effetti del conflitto franco-prussiano Una nuova tipologia di nazione, aggressiva ed espansiva II modello costituzionale dell’impero germanico II primo decennio di governo bismarckiano del Reich unito La questione d’Oriente II congresso di Berlino del 1878 Bismarck ,e la faticosa ricostituzione del sistema di alleanze neg

18 20 22 23

1.10 1.11 1.12 1.13

La scuola storica tedesca e il nuovo modello di sviluppo econon La lotta antisocialista di Bismarck La caduta di Bismarck Politica interna ed estera della Germania fino alla guerra

26 26 28

2.1 2.2

29

C apitolo

29 30 31 32

3.1 3.2 3.3 3.4

34 34

4.1

5 5

6 8 9

10

11

C apitolo

armi *80

2 - L’impero austro-ungarico e la mina delle nazionalità Le difficoltà di un impero duale La questione della Bosnia-Erzegovina e la crisi dell’impero

C apitolo

3 - La Russia degli zar e la difficile modernizzazione di un impero arretrato Alessandro II e le “grandi riforme” La svolta reazionaria di Alessandro. DI La nascita dei partiti di modello occidentale La sconfitta col Giappone e le nuove riforme

4 - L’Italia e l ’ascesa di una potenza debole II governo della Destra storica

C apitolo

vin

Indice

35 37 39 40 42 43

4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7

44 46 48 49 50 52 54 56 57

4.8 4.9 4.10 4.11 4.12 4.13 4.14 4.15 4.16

60 60 61 62 63

C apitolo

65 65 65

C apitolo

66 68

68 70

5.1 5.2 5.3 5.4

6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 6.6

La questione romana dopo il 1870 L’avvento al potere della Sinistra La stagione dei governi Depretis La riforma elettorale e Pimpossibile introduzione del modello britannico Repubblicani e internazionalisti La Triplice Alleanza, cornice della politica estera italiana fino alla guerra Trasformismo e scambio politico La svolta protezionista e l’emigrazione Le riforme di Crispi e l ’accentuato triplicismo Scandali bancari e nascita della Banca d’Italia Crispi, i socialisti e la sconfitta di Adua La crisi di fine secolo La svolta liberale Le riforme di Giolitti La crisi del giolittismo 5 - Stabilizzazione e ripresa della Francia repubblicana La nascita della Terza Repubblica e la comune di Parigi La stabilizzazione della Repubblica e le riforme Dal tentato colpo di stato di Boulanger al caso Dreyfus La svolta politica del nuovo secolo

6 - Ascesa e declino della superpotenza britannica Inghilterra, potenza leader nel mondo Inghilterra modello politico e istituzionale La questione irlandese II declino britannico di fine secolo Trade Unions e Labour party Riforma costituzionale e declino dei Lords 7 - Spagna paese di modernizzazione fallita H tentativo di importare il modello britannico La guerra ispano-americana e le sue conseguenze

71 71 72

C apitolo

74 74 75 76 78

C apitolo

81

C apitolo

81 83

9.1 9.2

7.1 7.2

8.1 8.2 8.3 8.4

8 - Le origini del secolo dell’America Gli Stati Uniti e la normalizzazione dopo la guerra di secessione La crescita economica L’età progressista da T. Roosevelt a W. Wilson America Latina. Un modello di dipendenza semicoloniale 9 -1 1 Giappone da paese feudale a potenza espansiva del Sud-Est asiatico Un modello originale di modernizzazione L’espansione asiatica del Giappone e l’intervento nella Grande guerra

IX

Indice

10 - Culture e ideologie nell’età del dominio della borghesia europea Positivismo e prassi storica Karl Marx fra positivismo e azione rivoluzionaria L’evoluzionismo nelle sue valenze politiche interne e intemazionali Razzismo, ideologia di dominio e di espansione Liberalismo, liberismo, protezionismo e loro valenze politiche II costituzionalismo e la sua crisi Relativismo, irrazionalismo e declino dell’idea di progresso

84

C apitolo

84 85

10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6 10.7

86 88 89 92 94

11 - La Chiesa e la modernità 11.1 D Sillabo e la lotta contro la secolarizzazione delle società europee 11.2 La svolta di Leone X m 11.3 La lotta contro il relativismo modernista

96 96 98 99

C apitolo

100 100

C apitolo

101 102 104 105 106 108

111 112 113 113 114 117

121 121 122 124 125 127 129

12 - Movimenti e partiti 12.1 I partiti politici in Europa e la revisione dei modelli di rappresentanza 12.2 L’esperienza peculiare dei partiti politici americani 12.3 Dall’idea di nazione al nazionalismo 12.4 Le borghesie” europee e la loro evoluzione 12.5 I caratteri del movimento operaio e socialista europeo 12.6 L’Associazione Intemazionale dei Lavoratori 12.7 I congressi fondanti della Seconda Intemazionale e le due anime del socialismo europeo 12.8 II movimento operaio e socialista in Inghilterra e in Germania e le relazioni fra sindacato e partito 12.9 II movimento operaio e socialista in Francia e i riflessi del sindacalismo rivoluzionario 12.1011 movimento operaio e socialista in un paese arretrato: il caso spagnolo 12.11 II movimento operaio e socialista in Russia e la tesi leninista della dittatura del proletariato 12.12 H movimento operaio e socialista in Italia e la questione della mancata nazionalizzazione delle masse 12.13 La questione femminile e i movimenti di riscatto della donna in Europa e negli Stati Uniti 13 - Popolazione, agricoltura, industria, finanza e commercio La crescita demografica Rivoluzione agronomica e capitalizzazione delle campagne Proprietà fondiaria e sopravvivenza dell’ancien régime Dinamiche di sviluppo industriale ed equilibri di potenza La finanza e il sistema bancario Sviluppo del commercio e globalizzazione dei mercati

C apitolo

13.1 13.2 13.3 13.4 13.5 13.6

X 132 132 134 135 136 137 138 139 140 141 142 144

147 149 151 151 152 154 154 156 158 159 162

Indice Capitolo 14 - Relazioni intemazionali e politica coloniale dopo la caduta

di Bismarck 14.1 II Congresso di Berlino (1884-1885) e l’espansione imperiale degli stati europei 14.2 Imperialismo europeo e giapponese in Oriente 14.3 Gran Bretagna e Francia nell-’Africa nera 14.4 L’avvicinamento franco-russo 14.5 La nuova politica tedesca 14.6 La guerra boera 14.7 Convergenze anglo-franco-italiane sulla questione del Marocco 14.8 La conquista della Cirenaica e della Tripolitania 14.9 La questione della Bosnia-Erzegovin^ 14. Ì0 Le guerre balcaniche Approfondimenti bibliografici

PARTE II - Le due guerre europee e la distruzione dell’Europa 1914-1941. Caratteri dell’epoca Capitolo 1 - La Grande guerra

1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8

II detonatore del conflitto Contesto intemazionale di crisi e avvio del conflitto I partiti socialisti europei e la guerra Una guerra totale di dominio L’allargamento del conflitto e l’intervento degli USA La guerra come fattore di cambiamento economico e sociale Evoluzione militare del conflitto L’armistizio e il mito della pugnalata alle spalle all’esercito tedesco

C apitolo 2 - L’Italia in guerra

164 164 168 169

2.1 2.2 2.3

173 173 174 176 177 179

3.1 3.2 3.3 3.4 3.5

181 181

4.1

La frattura fra interventisti e neutralisti e le sue conseguenze Sennino e il Patto di Londra Evoluzione politica e militare del conflitto

Capitolo 3 - La rivoluzione russa

La caduta dello zar e i governi Lvov e Kerenskij La dottrina di Lenin La Rivoluzione d’ottobre ComuniSmo di guerra e Comintern La nuova politica economica e la successione a Lenin

Capitolo 4 - E dopoguerra e la mancata stabilizzazione intemazionale

Cultura del dopoguerra, la società di massa e globalizzazione dei sistemi di potenza

Indice

XI

183 185 186 188

4.2 4.3 4.4 4.5

Uanomalia delle relazioni internazionali fra le due guerre I Trattati di pace e la sistemazione geopolitica del.dopoguerra La diplomazia italiana e la questione di Fiume La sistemazione della Germania e la questione delle riparazioni

190 190 191 194 196 199

Capitolo 5 - Gli anni *20

202

5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6

204

C apitolo 6 - Italia. Crisi dello stato liberale, biennio rosso e dittatura

204 207 208

210 213 214 215 217 218 219

220 223 223 226

II mutamento dei sistemi politici degli stati nazionali europei Stati Uniti, laboratorio del mondo Gran Bretagna, declino imperiale e stabilizzazione democratica Francia, sviluppo economico e transizione democratica La Repubblica di Weimar e la stabilizzazione’democratica mancata La grande crisi, Hitler al potere e la distruzione della Repubblica

fascista Crisi politica e istituzionale del dopoguerra Aspetti economici e sociali della crisi La legislatura 1919-1921 Giolitti e i fascisti La marcia su Roma La legge elettorale Acerbo e la costruzione della maggioranza fascista in Parlamento 6.7 II delitto Matteotti e l’Aventino 6.8 La costruzione della dittatura 6.9 Antifascismo e fuoriuscitismo 6.10 La svolta protezionista e “quota 90” 6.11 I Patti Lateranensi 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 6.6

C apitolo 7 - La grande crisi e le sue conseguenze

7.1 7.2

Le origini La grande crisi

229 229 231 232 234 237 239 242

C apitolo 8 - La dittature degli anni *30

245 245 246 248

C apitolo 9 - Le democrazie negli anni ’30

8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6 8.7

9.1 9.2 9.3

Fascismo e nazionalsocialismo in chiave comparata La-specificità-della-dittatura-fascista H disegno totalitario di Mussolini La dittatura tedesca Gli altri fascismi La dittatura staliniana e le grandi purghe La politica estera di Stalin

Gran Bretagna. Uimpatto della grande crisi Francia. Crisi, appeasement e dissoluzione della Repubblica Gli Stati Uniti. Franklin D. Roosevelt e il new deal

xn

Indice

251 251 253

Capitolo 10 - America Latina: dittature e soggezione semicoloniale

255 255 258 259

C apitolo 11 - Gli imperi coloniali fra le due guerre

260 260 262

Capitolo 12 - La guerra che torna

265 265 269

Capitolo 13 - Imperialismo in Estremo Oriente

273 273 275 279 280

Capitolo 14 - Crisi e dissoluzione della sicurezza collettiva in Europa

283 283 287 290

Capitolo 15 - Una guerra civile europea

293 295

PARTE HI - Guerra calda e guerra fredda. Il conflitto globale 1941-1989 Caratteri dell’epoca

10.1 Dipendenza economica e dominio oligarchico 10.2 USA e America Latina

11.1 Le correnti nazionaliste del mondo arabo e la questione della Palestina 11.2 Commonwealth e colonie francesi e olandesi d’Oriente 11.3 Le colonie dell’Africa nera

12.1 La Spagna dalla dittatura di Primo de Rivera alla Repubblica 12.2 La guerra civile spagnola e la comunità intemazionale

13.1 Cina. Dalla fine dell’impero alla Repubblica di Chiang Kai-Shek 13.2 L’imperialismo giapponese nel Sud-Est asiatico

14.1 14.2 14.3 14.4

Dal Patto a quattro alla Conferenza di Stresa II disegno di costruzione della “Grande Germania” Dal disegno della Grande Germania all’obiettivo dello spazio vitale II riallineamento delle alleanze

15.1 L’obiettivo hitleriano della guerra limitata 15.2 Dal conflitto europeo al conflitto mondiale ' Approfondimenti bibliografici

297 Capitolo 1 - La “strana” globalizzazione del conflitto 297 L-l Unioneflovietica e-Stati-Uniti in guerra 298 1.2 La questione del secondo fronte 300 1.3 L’evoluzione militare del conflitto nel biennio 1941-1943 301 1.4 La guerra in Estremo Oriente 302 1.5 II 1943, anno di svolta sul fronte occidentale 303 1.6 La shoah 305 1.7 La Polonia e le zone d’influenza 308 1.8 "~&li alleati, la Francia e la Resistenza nei Balcani 310 1.9 l Vichy e la resistenza francese 312 1. l(L~Le Conferenze di Yalta e di Potsdam 314 1.11 La bomba atomica e la conclusione della guerra in Oriente

Indice

xm

316 316 318 320 321 321

2.1 2.2 2.3 2.4 2.5

323 325

2.6 2.7

327 327 327 330 331 333 335 336 338

3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8

C apitolo 2 - L a guerra in Italia

La satellizzazione al Reich e il disfacimento del fronte interno I 45 giorni di Badoglio II Comitato di Liberazione nazionale La Repubblica sociale II riconoscimento sovietico del governo Badoglio e la svolta di Salerno del PCI II PCI, la DC e le origini dell’“anomalia” italiana I governi Bonomi e l’ultimo anno di guerra

341 343 344

3 - La costruzione di un sistema bipolare La guerra fredda II disegno americano e la Conferenza di Bretton Woods II disegno sovietico II declino britannico e la svolta laburista Uirrisolta questione della Germania H blocco di Berlino e la nascita delle due Germanie I trattati di pace con gli ex alleati della Germania La costruzione del sistema di potere sovietico nell’Europa orientale 3.9 L’anomalia jugoslava 3.10 Cominform e Comecon 3.11. Piano Marshall e Alleanza Atlantica

348 348 350 352

4.1 4.2 4.3

C apitolo

4 - Guerra fredda e guerra calda in Estremo Oriente La democratizzazione del Giappone Guerra civile in Cina La guerra di Corea

C apitolo

5 L’avvio della decolonizzazione nel dopoguerra L’impatto delle due guerre mondiali Gran Bretagna, Francia e la decolonizzazione Le cause della dissoluzione degli imperi coloniali e la nascita del Terzo Mondo L’indipendenza dell’India La Francia e la guerra in Indocina L’Olanda e l’indipendenza dell’Indonesia II Medio Oriente e il consolidarsi dell’identità araba ' La questione della Palestina

354 354 355 357

C apitolo

358 361 363 364 366

5.4 5.5 5.6 5.7 5.8

369 369 371 372 374

C apitolo

5.1 5.2 5.3

6.1 6.2 6.3 6.4

6 - Le superpotenze nel primo decennio postbellico Truman e il dopoguerra americano Eisenhower e la “caccia alle streghe” La politica del roll back La ricostruzione nell’Unione Sovietica

XIV

Indice

375 376 377

6.5 6.6 6.7

379 379 380

7.1 7.2

382

7.3

385 385 387

C apitolo 8 - La Francia della Quarta Repubblica e la sua crisi

390

C apitolo 9 - L’Italia della ricostruzione, del centrismo e del boom

390 393 396 399 400 402

9.1 9.2 9.3 9.4 9.5 9.6

405 405 406

C apitolo 10 —Il 1956

408 409 410 411 413

La successione a Stalin e il “disgelo” La svolta sovietica in politica estera e la “coesistenza pacifica” L’imposizione del modello sovietico e il disgelo nell’Europa orientale .

C apitolo 7 - Le prime fasi del processo d’integrazione europea

8.1 8.2

Le origini dell’integrazione europea La Comunità del Carbone e dell’Acciaio e la Comunità Europea di Difesa I Trattati di Roma e la nascita della CEE

I difficili esordi della Quarta Repubblica francese La crisi della Quarta e la nascita della Quinta Repubblica

economico II dopoguerra italiano da Parri a De Gasperi Ù referendum istituzionale e l’Assemblea Costituente La rottura dell’alleanza tripartita e il monocolore De Gasperi Le elezioni del 18 aprile 1948 Le scelte della prima legislatura repubblicana La grande trasformazione economica e sociale italiana

10.1 II XX Congresso del PCUS e la destalinizzazione 10.2 La destalinizzazione nei paesi dell’Europa orientale e la repressione ungherese 10.3 Crisi in Medio Oriente e. seconda guerra arabo-israeliana 10.4 Gli effetti della crisi del ’56 10.5 II deterioramento delle relazioni fra URSS e Repubblica popolare cinese 10.6 Gli effetti della destalinizzazione nel partito comunista italiano 10.7 La questione di Berlino e la costruzione del muro

415 415 416 418 421 422 423

Capitolo 11 - L’età di-Kennedy-e di Johnson

425 425 426

C apìtolo 12 —L’America Latina dai populismi alle dittature militari

11.1 11.2 11.3 11.4 11.5 11.6

L’America della “grande opportunità” John F. Kennedy e la “nuova frontiera” La politica estera di Kennedy La crisi dei missili sovietici a Cuba Lindon B. Johnson e il progetto di “grande società” II coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra del Viet Nam

12.1 L’Argentina e il movimento giustizialista di Perón 12.2 La rielaborazione della dottrina Monroe in chiave anticomunista

Indice

XV

427 429 430

12.3 Fidel Castro e la nascita della Repubblica Socialista di Cuba 12.4 La diffusione dei regimi militari 12.5 II Cile di Salvador Allende

431

Capitolo 13-11 Giappone dalla ricostruzione à seconda potenza

431 433 433

economica mondiale 13.1 Le condizioni del miracolo economico giapponese 13.2 II dualismo dell'economia giapponese 13.3 Le relazioni commerciali con gli Stati Uniti e la crisi petrolifera

435 435 436 438 439 440

C apitolo 14 - L’Europa occidentale negli anni di De Gaulle

14.1 Le difficili relazioni fra Francia e Gran Bretagna 14.2 La Francia, la Repubblica Federale Tedesca'e il disegno dell’“Europa carolingia” 14.3 U “Europa delle patrie” 14.4 L’antiamericanismo dell’ultimo De Gaulle 14.5 II ’68 francese e l ’uscita di scena del generale

441 441

C apitolo 15 - L’Italia del centrosinistra

449 449 450 451

C apitolo 16- I l ’68

454

C apitolo 17 - La Chiesa di Pio XH, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di

454 456 457 458

17.1 17.2 17.3 17.4

461 461 ~462 462 463

Capitolo 18 - La decolonizzazione in Africa

15.1 Le condizioni interne e intemazionali per la svolta di centrosinistra in Italia 442. 15.2 I nuovi canoni della politica economica 444 15.3 La crisi Tambroni 444 15.4 II programma di centrosinistra 446 15.5 II rallentamento della crescita 447 15.6 La riunificazione socialista 447 15.7 Le elezioni del ’68 e la crisi del centrosinistra

16.1 La dimensione politica del ’68 16.2 La dimensione sociale del ’68 16.3 II movimento femminile

18.1 18.2 18.3 18.4

Giovanni .Paolo II La Chiesa del silenzio II Concilio Vaticano II Paolo VI Giovanni Paolo II

L’indipendenza dell’Algeria e dell’Africa nera francese La decolonizzazione britannica La questione dei confini delle ex colonie africane Decolonizzazione e guerra fredda

XVI

Indice

466 466 467

C apitolo

469 469 471 471

C apitolo 20 - L’Unione Sovietica da Chruscév a Breznev 20.1 L’ultimo Chruscév 20.2 Da Chruscév a Breznev 20.3 La primavera di Praga e la dottrina della sovranità limitata

474 474 475 476 476 477

21.1 21.2 21.3 21.4 21.5

479 479 480

.19 - Il Medio Oriente dopo la crisi d e l956 19.1 La politica di Nasser 19.2 La guerra dei sèi giorni

21 - La Cina comunista di Mao Zedong II modello sovietico e la collettivizzazione delle campagne La campagna dei “cento fiori” II “grande balzo in avanti” La “rivoluzione culturale” e la resa dei conti L’uscita dall’isolamento intemazionale

C apitolo

482

C apitolo 22 - L’India di Javaharlàl Nehrii e di Indirà Gandhi 22.1 La stabilizzazione della democrazia indiana 22.2 Le relazioni con la Cina e col Pakistan e il neutralismo filosovietico 22.3 La politica di Indirà Gandhi

484

C apitolo

484 485 487 489 490 492 493 495 497

23.1 23.2 23.3 23.4 23.5 23.6 23.7 23.8 23.9

501 501 503 504 505 507

24.1 24.2 24.3 24.4 24.5

509 509 512

C apitolo 25 - L’Unione Sovietica da Breznev a Gorbacév 25.1 Breznev: rafforzamento militare e indebolimento economico e sociale 25.2 Gorbacév e la transizione fallita

23 - Le relazioni politiche ed economiche intemazionali negli anni ’70 e ’80 La svolta degli anni ’70 La fine del ciclo economico del dopoguerra La trasformazione dei sistemi produttivi Effetti della svolta per URSS e Terzo Mondo L’apertura alla Cina comunista e il fallimento vietnamita II risveglio dell’Islam Le origini della “guerra santa” Distensione intemazionale e Conferenza di Helsinki Fine della distensione e declino dell’Unione Sovietica

24 - Gli Stati Uniti da Nixon a Bush sr. Nixon e l’esaurirsi dell’era “liberal” Lo scandalo del Watergate e la crisi americana Carter e la battaglia per i diritti civili Reagan e l ’orgoglio americano Bush sr. e la transizione dalle vecchie alle nuove relazioni intemazionali

C apitolo

Indice

xvn

514 514 514 515

C apitolo 26 - L’Europa orientale: crisi economica e dissenso politico 26.1 La Geeoslovacchia e l’eco della Conferenza di Helsinki 26.2 L’esaurimento del regime comunista in Ungheria 26.3 Polonia: Solidamosc piega il regime

517

27 - L’Europa occidentale negli anni ’70 e ’80: democratizzazione e rilancio dell’integrazione 27.1 La Ostpolitik di Willy Brandt 27.2 Schmidt, Kohl e la nuova Ostpolitik 27.3 La crisi britannica degli anni ’70 21A La svolta di Margaret Thatcher e la fine delle politiche keynesiane 27.5 II conflitto per le isole Falklands (Malvinas) 27.6 La questione irrisolta dell’Irlanda del Nord 27.7 La Quinta Repubblica: dal gollismo ideologico al gollismo pragmatico 21.8 Mitterrand, Chirac e la riorganizzazione bipolare del sistema politico francese 27.9 La Spagna dal franchismo alla democrazia 27.10 La transizione portoghese alla democrazia 27.11 Dittatura militare e democrazia in Grecia 21.12 Nuovi passi verso l’integrazione europea

517 518 520 521 522 523 524 525 527 529 530 531

C apitolo

■548 549 550

C apitolo 28 - Italia: la ricerca fallita della stabilizzazione politica 28.1 La lunga crisi italiana 28.2 Legge sul divorzio e crisi della DC 28.3 Terrorismo nero e strategia della tensione 28.4 Effetti della scissione socialista 28.5 L’avanzata del PCI e l’anomalo bipolarismo italiano 28.6 Fattori economici di crisi 28.7 Ascesa e declino del sindacato confederale 28.8 Compromesso storico e solidarietà internazionale 28.9 Le Brigate rosse e l’attacco allo stato 28.10 Esaurimento della solidarietà nazionale e transizione verso il pentapartito 28.11 Lo scandalo della loggia P2 e il declino della DC 28.12 Craxi, De Mita e la ricerca di una nuova leadership 28.13 Crisi ed esaurimento del sistema dei partiti

553 553 554

C apitolo 2 9 - 1 vinti della globalizzazione 29.1 America Latina fra dirigismo e deregulation 29.2 L’Africa sprofonda

556 556 557

C apitolo 30 - Verso il secolo dell’Asia 30.1 La Cina di Deng Xiaoping 30.2 Riforma economica ed economia di mercato

534 534 534 535 536 537 538 541 543 545 546

xvm

Indice

558 559 561

30.3 India: sviluppo economico e conflitti etnico-religiosi 30.4 II Giappone fra slancio intemazionale ed orgoglio nazionale Approfondimenti bibliografici

565

PARTE IV - Verso un mondo multipolare. La caduta del muro di Berlino e la globalizzazione, 1989-2004 Caratteri dell ’epoca

567

1 - La fine della guerra fredda URSS: il fallimento della perestroika e della glasnost Si riparte dall’Europa La dissoluzione dell’Unione Sovietica

569 569 571 572

C apitolo

576

2 —Le relazioni politiche ed economiche intemazionali dopo la fine della guerra fredda 2.1 Una lunga transizione politica 2.2 La guerra del Golfo 2.3 Nuove luci sulla questione palestinese 2.4 Crisi balcanica 2.5 La crisi della Somaha e le guerre dimenticate 2.6 L’11 settembre 2001 2.7 Globalizzazione economica e finanziaria 2.8 Le distorsioni deho sviluppo 2.9 Neoregionahsmo 2.10 La questione ambientale

576 578 579 580 581 582 585 587 588 589

1.1 1.2 1.3

C apitolo

3 - Stati Uniti: quale nuova “pax americana”? La fine deha guerra fredda e la superpotenza solitaria Da Bush a Clinton I neo cons La seconda guerra del Golfo

591 591 592 594 595

Ca r t o l o

597

C apitolo

597 598 599

4.1 4.2 4.3

600 600 602 603 604 605 606

C apitolo

3.1 3.2 3.3 3.4

5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6

4 - America Latina: democratizzazione e diffusione del corso del dollaro Gli effetti deha globalizzazione II caso del Chiapas La crisi argentina

5 - L’Unione Europea, nuovo soggetto intemazionale Le nuove istituzioni europee L’Unione Europea e gh effetti della globalizzazione La Germania riunificata La crisi del welfare in Francia La Gran Bretagna del dopo Thatcher e di Tony Blair L’impatto deha globalizzazione nei paesi scandinavi

Indice

X IX

607 C apitolo 6 - La transizione italiana 607 6.1 Declino e dissoluzione dei partiti tradizionali 611 6.2 L’emersione di nuovi soggetti politici 613 6.3 La nuova legge elettorale e la mancata riforma istituzionale 614 6.4 Crisi finanziaria eattacco mafioso allo stato . 615 6.5 La concertazione 615 6.6 Alleanza Nazionale eForza Italia 617 6.7 L’Ulivo e l’euro 619 619 620

C apitolo

622

C apitolo

622 622 623 624 625

8.1 8.2 8.3 8.4 8.5

627 62 7 627

9.1 9.2

7.1 12

7 - La Federazione russa dalla crisi alla ripresa Da ETcin a Putin Crisi economica e debolezza politica

8-1 1 Medio Oriente e la diffusione del fondamentalismo islamico Mondo arabo e Afghanistan L’Algeria e la crisi delle forze laiche Iran, Iraq, Libano e Siria Israele e Palestina: dall’occupazione del Libano al muro Terrorismo e fondamentalismo islamico

9 - Africa subsahariana La marginalizzazione. dell’Africa nera H fallimento dell’Unione Africana

C apitolo

636 637

10-11 secolo dell’Asia Cina: capitalismo e ferreo dominio del PCC La politica estera di una potenza regionale India: crisi del sistema politico e crescita economica La politica estera multipolare di Nuova Delhi II Giappone dal boom degli anni ’80 alla crisi del partito liberaldemocratico 10.6 La politica estera di Tokyo Approfondimenti bibliografici

639

Indice dei nomi

629 629 631 631 633 634

C apitolo

10.1 10.2 10.3 10.4 10.5

P rem essa

Questo volume è stato pensato come manuale universitario per gli studenti del triennio che nel loro percorso di studio desiderano acquisire una preparazione di base nella storia contemporanea. Il volume può essere utile sia come testo di riferimento per gli studenti il cui piano di studio non prevede altri approfondi­ menti storici, sia come introduzione o inquadramento generale per quanti ap­ profondiranno lo studio della storia in specifici ambiti e temi. È adeguatamente ampio per dare una preparazione più approfondita rispetto a un qualunque ma­ nuale dell’ultimo anno della scuola media superiore; ma non lo è in modo ec­ cessivo in relazione alle dimensioni compatibili con la preparazione corrente degli esami universitari. L’accezione di età contemporanea che viene accolta in questo volume esclude da un lato la versione più restrittiva, ossia la contemporaneistica come storia del “secolo breve”, del Novecento compreso fra la grande guerra e la caduta del muro di Berlino; d’altro lato, esclude anche l’estensione della contemporaneità all’età della Restaurazione e dei Risorgimenti nazionali, che pure rientra ancora nella declaratoria della disciplina nell’ordinamento universitario italiano. Il momento di avvio di questa storia è la svolta che nell’ultimo trentennio del XIX secolo coincide con la conclusione dei Risorgimenti italiano e tedesco e con l’accelerazione dell’espansionismo coloniale europeo nel mondo. Il pun­ to di arrivo sono le conseguenze dell’attacco terroristico dell’l l settembre 2001. La scelta di questo arco temporale risponde all’impostazione generale del volume che riserva specifica attenzione ai processi di globalizzazione. Dal momento che questi acquisiscono alla fine del XIX il carattere della proiezione delle potenze europee nel mondo e del trasferimento accelerato di modelli cul­ turali e di valori veicolati dal dominio politico e militare, ho ritenuto che que­ sto giustificasse la scelta del 1870 come termine a quo di una storia che nel­ l ’interdipendenza dei continenti ha il suo tratto più marcato e condiviso. La conclusione dei Risorgimenti nazionali, infatti, non solo libera energie che concorrono ad alimentare l’espansionismo coloniale europeo, m a modifica il quadro culturale nel quale e per il quale questo si svolge. D ’altra parte, nonostante le difficoltà che pone la riflessione sull’ultimo quindicennio di storia mondiale, ho ritenuto che essa dovesse essere posta a

xxn

Premessa

conclusione del volume. A questa è dedicata la quarta parte. Sono consapevole che le considerazioni raccolte in quest’ultima sezione del volume non si posso­ no avvalere di adeguata prospettiva storica. Ho ritenuto, tuttavia, che non po­ tessero mancare per completezza di un manuale di storia contemporanea. Que­ sto, a maggior ragione, perché il tratto forte della globalizzazione che lega co­ me un filo rosso le quattro parti del volume assume nell’ultimo quindicennio caratteristiche peculiari, dagli esiti incerti e in larga misura indecifrabili, ma comunque nuove. Le quattro parti nelle quali si articola il volume sono cadenzate da eventi po­ litici e militari che hanno il valore di momenti di svolta. La prima si conclude con la Grande guerra. Questa segna una battuta d’arresto nell’espansionismo europeo. Soprattutto segna il rovesciamento dei rapporti di forza fra le due rive dell’Atlantico e, con la Rivoluzione d’ottobre, getta la premessa dell’afferma­ zione di una nuova grande potenza globale euroasiatica. Fra le due guerre, i fenomeni ormai globalizzati e accelerati di trasferimento dei capitali concorrono a determinare la rapida diffusione della grande crisi e i suoi effetti degenerativi di tipo politico. La Germania hitleriana tom a all’assal­ to dell’Europa nella convinzione che questa possa ancora essere il trampolino di lancio per il dominio del mondo. La guerra europea iniziata nel 1914 si con­ clude nel 1941 quando il coinvolgimento delle superpotenze getta le premesse della nuova storia del mondo che sfocerà nel dopoguerra nella guerra fredda. La terza parte del volume si apre, quindi, con il 1941 e si conclude con la cadu­ ta del muro di Berlino. Della quarta ho già detto. Dal momento che il volume ricostruisce la storia del mondo nell’età con­ temporanea, ho dato uno spazio proporzionale al peso politico ed economico esercitato ai maggiori paesi di tutti i continenti. Non è quindi una storia eurocentrica né, tanto meno, italocentrica anche se gli interessi prevalenti degli stu­ denti delle nostre Università m i hanno condizionato nel riservare adeguata at­ tenzione alla storia dell’Europa e dell’Italia. Complessivamente, lo spazio de­ dicato all’Italia non supera comunque un quinto dell’intero volume: assai m e­ no di quanto non accada in altri manuali. Opportunità espositive e didattiche mi hanno consigliato di riservare quasi sempre specifici capitoli ai temi di sto­ ria nazionale. Il volume è una storia politica del mondo attenta anche ai processi economi­ ci e finanziari, soprattutto nelle loro intersezioni con quelli politici. Riserva an­ che spazio a fenomeni sociali, soprattutto in taluni passaggi epocali, come per esempio il ’68, e religiosi, soprattutto nelle età storiche affrontate nella terza e nella quarta parte, quando la Chiesa romana ha assunto un ruolo globale e l’I­ slam è tornato ad essere un soggetto politico-religioso d ’impatto crescente. Ho dedicato anche attenzione ai fenomeni demografici e a quelli di storia della cultura. Questa, tuttavia, non è né una storia economica, né una storia del pen­ siero politico né delle religioni. Non è possibile scrivere una storia totale, né,

Premessa

xxm

se anche fosse possibile, questa è stata la mia intenzione. Ho scritto una storia politica nella quale i fenomeni economici, sociali, culturali, tecnologici, reli­ giosi e demografici sono trattati in quanto e quando interferiscono con la sfera politica interna ai singoli paesi e intemazionale. In ciascuna parte del volume vengono riservati uno o più capitoli alla rico­ struzione di sistema, soppesando l ’impatto degli eventi considerati di maggior peso per poi affrontare la storia dei singoli paesi. Questo talora impone di tor­ nare con diversa angolatura su eventi già affrontati, soprattutto quando le storie interne hanno un impatto rilevante di carattere intemazionale. Si tratta di par­ ziali ripetizioni, comunque volute, per fare assimilare gli studenti uno dei fon­ damentali strumenti della conoscenza storica, ossia Fintersezione e l ’interdi­ pendenza fra gli eventi, soprattutto nella storia contemporanea. I brevi profili dedicati al carattere dell’epoca che introducono le quattro par­ ti del volume intendono mettere in evidenza i temi cruciali del periodo storico affrontato, offrendone una chiave di lettura. Gli approfondimenti bibliografici al termine delle singole parti sono proposte di lettura di qualche classico o più noto volume sul tema per studenti che abbiano specifici interessi. Firenze, agosto 2007 Sandro Rogari

PARTE I

L’Europa e il mondo dalla conclusione dei risorgim enti nazionali alla Grande guerra 1870-1914

Caràtteri d e ll1epoca

Nell’ultimo quarto del XIX secolo, l’integrazione del mondo sotto il dominio eu­ ropeo aveva già secoli di storia alle spalle. Tuttavia, i processi di globalizzazione come proiezione degli stati nazionali europei e riduzione di interi continenti al dominio politico e alla sottomissione economica verso i paesi del vecchio conti­ nente subiscono un’accelerazione. Si viene affermando un modello di globaliz­ zazione riconducibile al principio della dipendenza, mentre nelle società europee emergono dottrine è si affermano ceti sociali fautori di tale relazione. Si tratta dell’ultima stagione della storia millenaria nella quale le potenze europee sono dominatrici e la civiltà del vecchio continente s’impone con la coscienza felice d ’essere paradigma di riferimento. Essa coincide con la prima età nella quale la globalizzazione come interdipendenza economica, politica e culturale dei continenti inaugura l’età contemporanea e conferisce ad essa ca­ ratteri peculiari ed inediti nella storia del mondo. Contemporaneamente, in Europa emergono movimenti ed ideologie che da un lato teorizzano le capacità di dominio della scienza e della tecnologia sulla natura, d ’altro lato alimentano nuove potenziali forme di conflitto interno e in­ temazionale. La lunga stagione di pace fra le potenze europee durata quasi cinquant’anni, dalla conclusione dei risorgimenti nazionali alla grande guerra, co­ pre una mutazione profonda. I ceti dominanti europei, la borghesia nelle sue diverse sfaccettature e peculiarità e, a maggior ragione, i ceti eredi dell ' ancien regime manifestano crescente avversione contro l’evoluzione in atto dei siste­ mi costituzionali elitari verso forme di democrazia partecipata a larga base po-polare. Lo scontro politico-e sociale,-in un contesto non-evolutivo,-ma con pro­ spettive rivoluzionarie connota il tornante del nuovo secolo. In questo nuovo clima le apparenze di una borghesia felice che celebra il ballo Excelsior nascondono le ansie consapevoli o inconsce di una civiltà che si sta esaurendo. La logica del riallineamento delle potenze e dell’aggiusta­ mento dei rapporti di forza in un contesto di sostanziale tranquillità interna si logora di fronte alle prospettive di uno scontro che la cultura e gli interessi del­ le nuove realtà nazionali hanno reso estremo nelle premesse. Il nuovo secolo si viene delineando come età dominata da nuovi soggetti, in grado di svolgere un molo planetario con metodi e potenzialità diverse rispetto

4

L ’età della globalizzazione

agli stati nazionali europei. D modello di colonialismo di conquista e di domi­ nio politico e militare di questi ultimi è minato da intrinseche ragioni di debo­ lezza strutturale. N on sono ancora debolezze evidenti, m a il conflitto nazionale europeo, col tentato assalto al potere mondiale, lo renderanno tale.

C apitolo 1

Germania, Europa e mondo

1.1

La guerra franco-prussiana tornante della storia d’Europa

Il 1870, come data spartiacque della storia politica del XIX secolo, è definita dalla guerra franco-prussiana. La vittoria della Confederazione degli stati del nord guidata dal cancelliere Bismarck provocò il riequilibrio dei rapporti di po­ tenza nell’Europa continentale a tutto favore dell’impero germanico che nac­ que come conseguenza di questa guerra. Essa provocò la caduta deirim pero di Napoleone DI in Francia che aveva perseguito disegni di dominio in Europa e nel mondo e precostituì le condizioni per la nascita del regime repubblicano in Francia. Gettò le premesse per il decollo industriale dell’impero degli Hohenzollem che godette di una dimensione territoriale e di un peso demografico as­ sai superiore a quello che aveva la Francia sconfitta^ E 1870 segnò inoltre la conclusione dei Risorgimenti nazionali in Europa. L’età dei Risorgimenti nazionali aveva caratterizzato tutta la storia del XIX se­ colo europeo, fino ad allora. Era stata età di lotta contro i principi della Restau­ razione che le potenze vittoriose contro Napoleone I avevano tentato d’imporre all’Europa e per l ’affermazione del riscatto nazionale dei popoli. Il principio di stato nazionale, ossia di organizzazione istituzionale dei poteri pubblici coinci­ dente con l ’estensione territoriale di un popolo omogeneo per lingua, cultura e tradizioni storiche, era stato fino ad allora una delle grandi idee forza della sto­ ria continentale. N ell’accezione di nazione, come era stata elaborata da Mazzi­ ni e da tutta la cultura romantica, non era presente alcun principio di dom inioodi prevaricazione verso altri popoli. L’idea di nazione mazziniana era idea di ri­ scatto dei popoli dal dominio di sovrani e poteri prevaricanti. Tale idea di na­ zione si associava al principio di indipendenza, di autogoverno e di libertà poli­ tica ed economica garantita dalla Costituzione. L’idea di nazione e il principio* costituzionale erano divenute idee forza di­ rompenti e spesso vittoriose nella storia della lotta dei patrioti greci, belgi, po­ lacchi, italiani contro le potenze della Restaurazione. Questi obiettivi politici, associati a finalità di modernizzazione e di integrazione delle economie e dei mercati secondo principi liberoscambisti, graditi nella prima m età del XIX se­

6

L'età della globalizzazione

colo dalle borghesie europee, erano stati diffusi in Europa dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Alla svolta del 1870, tali principi e tali valori erano avviati verso una muta­ zione. La conclusione del Risorgimento tedesco coincise cronologicamente e fu all’origine della conclusione del Risorgimento italiano. La sconfitta della Francia imperiale, infatti, liberò l’Italia dai vincoli della Convenzione di set­ tembre (1864) che impedivano al regno sabaudo di abbattere lo Stato pontificio e di fare di Roma la capitale d’Italia (20 settembre 1870). In termini territoriali, il Risorgimento italiano restò incompiuto perché rimaneva ancora aperto il pro­ blema del Trentino e della Venezia Giulia (le terre irredente). Tuttavia, i proces­ si risorgimentali come processi di conquista dell’unità e dell’indipendenza na­ zionale si chiusero nel 1870. Popoli come il polacco e quelli dominati dall’im­ pero degli Asburgo e dall’impero Ottomano nell’Europa centrale e balcanica potranno ottenere Tindipendenza solo grazie alle guerre balcaniche (19121913) o a seguito della Grande guerra (1914-1918) e della conseguente disso­ luzione di tali imperi. Tuttavia, la otterranno in un contesto storico compietamente diverso, sia sotto il profilo politico sia della cultura dominante.

1.2

Origini e finalità del conflitto franco-prussiano

La guerra fra l ’impero di Napoleone HI e la Confederazione degli Stati del N ord guidata dal cancelliere Bismarck scaturì dalla volontà di potenza prussia­ na che intese abbattere il predominio europeo della Francia e dal disegno di completamento dell’unificazione della Germania sotto la guida di Berlino. D ’altra parte, l ’impero francese vedeva minacciata la propria egemonia nel­ l ’Europa continentale dopo la sconfitta subita dall’impero asburgico per mano prussiana nella guerra del 1866. A seguito di tale vittoria, infatti, la Prussia aveva espulso l’imperatore d ’Austria dalla presidenza 'della Confederazione germanica e costituito una nuova Confederazione, comprensiva di tutti gli stati a nord del fiume Meno. Restavano fuori dell’egemonia prussiana gli stati tede­ schi -meridionali,-fra cui-la-Baviera, il-più-ricca e.popoloso,-timorosi. delTege^ morda prussiana per lunga tradizione storica e per identità religiosa prevalente­ mente cattolica, a fronte del nord luterano. Napoleone m aveva tentato di ottenere compensi all’espansione prussiana secondo logiche di riequilibrio tipiche delle relazioni fra le potenze europee nel XIX secolo. Dopo la conclusione della guerra austro-prussiana, ordinò all’am­ basciatore francese Benedetti di chiedere a compenso la cessione del territorio bavarese ad ovest del Reno. Dopo il rifiuto secco di Bismarck, chiese in subor­ dine l ’annessione del granducato del Lussemburgo e del Belgio. Si trattava di mosse maldestre dell’imperatore, determinate dai suoi numerosi fallimenti in

Germania, Europa e mondo

1

politica estera. L’ultimo era stato la liquidazione del tentativo di costituire un impero dominato dalla Francia in Messico (1867). Tali iniziative e in particola­ re quella di annettersi parti degli stati tedeschi del sud, fino ad allora recalci­ tranti verso l’egemonia prussiana, davano alimentò alla strategia bismarckiana •di presentarsi come difensore della loro integrità e dell’indipendenza dei popo­ li di lingua tedesca e favorivano la loro aggregazione alla Confederazione degli stati guidata dalla Prussia. L’adesione degli stati tedeschi meridionali all’unio­ ne doganale con gli stati a nord del Meno nel 1868 e la creazione di un parla­ mento dell’unione doganale (Zollparlament) erano stati importanti passi avanti su questa via, precostituendo il mercato unico del futuro impero. La questione della richiesta annessione del Lussemburgo era stata motivo di ulteriore delusione per l ’imperatore. Anche in questo caso Bismarck aveva agi­ to per sostenere il diniego, a fronte di una certa disponibilità del re Guglielmo d’Olanda la cui sovranità si estendeva al Lussemburgo. Il risultato fu che una conferenza intemazionale tenuta a Londra nel maggio 1867 dichiarò la neutra­ lizzazione del ducato, che rimaneva in unione personale col re d ’Olanda. H Lussemburgo avrebbe acquistato l’indipendenza nel 1890. La partita belga fu l’ultima sconfitta per Napoleone HI. In questo caso si trattava di una acquisizione ritenuta possibile da Bismarck come compensazio­ ne alla Francia a fronte dell’estensione della Confederazione degli stati del nord. Bismarck, sia pure in modo indiretto, aveva lasciato intendere all’impera­ tore che non avrebbe sollevato obiezioni. Tuttavia, si trattava di un terreno m i­ nato perché il Belgio era neutrale dal 1831 e soprattutto era tutelato nella sua neutralità dall’Inghilterra che vedeva nella indipendenza di Belgio e Olanda la migliore garanzia dei commerci britannici nel continente. L’incidente diploma­ tico scaturì dal tentativo della compagnia ferroviaria francese Chemin de Fer de l ’E st di acquisire il controllo della tratta ferroviaria che collegava Bruxelles al territorio francese. A fronte delle veementi proteste del governo belga e della reazione britannica il disegno rientrò. Nel frattempo, mentre i tentativi dell’imperatore di isolare e circondare la Prussia con una triplice alleanza con l’impero Austro-Ungarico, e col regno d’I­ talia fallivano, Bismarck si era assicurato il sostegno politico e militare della Russia aHa guema con la-Francia.-Iifratti, -lo zar si era -impegnato a dislocare una grande concentrazione di truppe al confine della Galizia come azione dis­ suasiva verso tentativi di revanche austriaci. L’obiettivo dello zar Alessandro H, poi raggiunto nell’ottobre 1870, era di ottenere, con l’appoggio di Bismarck, la cancellazione della neutralizzazione del Mar Nero, subita dalla Conferenza di Parigi del 1856, che aveva provvisoriamente sistemato la questione d ’Oriente dopo la sconfitta russa nella guerra di Crimea. Alla fine, dopo questa lunga battaglia diplomatica che vide sempre la Francia perdente, salvo ottenere il ritiro della guarnigione prussiana dal Lussemburgo in virtù della sua neutralizzazione, il detonatore del conflitto fu la crisi dinastica in

8

L ’età della globalizzazione

Spagna. Nel settembre 1868 una rivoluzione guidata da militari aveva deposto dal trono di Madrid la regina Isabella II di Borbone, aprendo la via ad una nuova fase di instabilità politica e istituzionale che si sarebbe conclusa alla fine del 1870 con Tattribuzione del trono da parte delle Cortes al principe Amedeo di Savoia. Questa soluzione si inquadrava nella volontà del reggente Serrano e del governo provvisorio di Prim di modernizzare la Spagna con una monarchia co­ stituzionale di modello britannico. Corollario di questo disegno fu l ’introduzio­ ne, con la Costituzione del 1869, della libertà religiosa con la separazione fra Chiesa e stato, questione cruciale nel XIX secolo nei paesi a prevalente religio­ ne cattolica, del principio di libero scambio e del suffragio universale. Tuttavia, la gestazione di questa transizione, cui seguirono nuove turbolen­ ze dopo l’abdicazione di Amedeo di Savoia nel gennaio 1873, dette adito a forti intromissioni delle potenze europee negli affari interni spagnoli. In que­ ste s’inquadrava la candidatura al trono di M adrid del principe Leopoldo di Hohenzollem-Sigmaringen, il cui fratello Carlo nel 1866 aveva assunto il tro­ no di Romania. Poiché nel XIX secolo la politica dinastica era ancora una componente rilevante della politica estera, tale proposta, se realizzata, avreb­ be precostituito una situazione di accerchiamento della Francia a est del Reno e ad ovest dei Pirenei. Si sarebbero ricostituite le condizioni geopolitiche del conflitto franco-imperiale che nella prima metà del XVI secolo aveva afflitto l’Europa. La candidatura rientrò ufficialmente il 12 luglio 1870. Tuttavia, l ’a­ zione di Bismarck volta a concludere tutta questa partita diplomatica con l ’u­ miliazione della Francia e la convinzione francese di detenere la superiorità militare indussero Napoleone IH alla dichiarazione di guerra alla Confedera­ zione degli stati del nord il 19 luglio 1870.

1.3

Dinamica ed effetti del conflitto franco-prussiano

Il conflitto si configurò quindi come guerra di aggressione, scatenando la soli­ darietà degli stati meridionali tedeschi verso la Prussia. La Francia fu rapida­ mente sconfitta-dall’esercito prussiano nelle battaglie di-Metz e di Sedan, an­ che grazie alla più moderna ed efficiente organizzazione, strategia e tattica mi­ litare, in larga misura importate dal modello studiato da osservatori tedeschi della guerra di secessione americana. A Sedan (2 settembre) fu fatto prigionie­ ro lo stesso imperatore francese. Secondo il modello delle guerre del XIX secolo che puntavano al riequili­ brio di potenza e non perseguivano, còme le guerre del X X secolo, l ’annienta­ mento del nemico, il conflitto si concluse in poche settimane, anche per l ’inte­ resse di Bismarck di chiuderlo rapidamente, prima che altre potenze interve­ nissero. Il suo prolungamento fino all’armistizio avvenuto il 28 gennaio 1871

Germania, Europa e mondo

9

fu determinato dalle finalità di sottrazioni territoriali alla Francia, manifestate da Bismarck, e dal conseguente rigurgito di nazionalismo che Parigi assediata alimentò dopo la proclamazione della repubblica. Inoltre, l ’investitura del re di Prussia quale imperatore dei Tedeschi, operata nella Sala degli specchi del­ la reggia di Versailles, fu motivo di ulteriore umiliazione per la Francia. Si aprirono lunghe trattative di pace, cui il governo Thiers dovette accedere, su mandato dell’assemblea riunita a Bordeaux, subendo la cessione dell’Alsa­ zia, senza Belfort, e di gran parte della Lorena con Metz, oltre al pagamento di 5 miliardi di franchi. Con la firm a del trattato di Francoforte (maggio 1871) si consolidò l’umiliazione inflitta da Bismarck alla Francia, a differenza della mano leggera usata con TAustria nel 1866. La sottrazione di quei territori ebbe conseguenze drammatiche e di lunga durata nella storia d ’Europa. H ceto poli­ tico e l’opinione pubblica francese alimentarono permanenti spiriti di vendetta che impedirono il recupero di normali relazioni diplomatiche fra le due nazioni e concorsero a precostituire le cause della guerra del 1914. La liquidazione del secondo Reich imposta alla Germania in quella stessa sala di Versailles il 28 giugno 1919 assunse il valore paradigmatico della vendetta compiuta.

1.4

Una nuova tipologia di nazione, aggressiva ed espansiva

La svolta del 1870 favorì la diffusione in Europa di un nuovo concetto di nazio­ ne che superava e contraddiceva quello mazziniano. Esso in parte fu determi­ nato dalla cultura tedesca che per lunga tradizione assegnava a quella nazione, finalmente dotata di uno stato autonomo grazie alla potenza militare della Prussia, un destino di espansione e di dominio. Tutto il processo risorgimentale tedesco, nella fase finale e decisiva che si apri con l’avvento al potere del can­ celliere Bismarck in Prussia e si concluse appunto nel 1870, fu gestito come una grande operazione diplomatica e militare, senza alcun coinvolgimento po­ polare e senza la partecipazione di movimenti liberali e democratici. Tali movi­ menti erano stati definitivamente liquidati con le repressioni che seguono alle rivoluzioni del -’48 e lo scioglimento del parlamento di Francoforte. — ..... La soluzione “piccolo tedesca”, ossia escludente dall’unione degli stati tede­ schi l’Austria per la natura multietnica del suo impero, rispondeva, nei modi e nei tempi della sua realizzazione, al disegno prussiano della creazione di uno stato nazionale ampio, forte e compatto, decisivo negli equilibri di potenza in Europa ed in grado di proiettarsi nel mondo ( Weltpolitik) con un disegno di po­ litica estera comparabile e competitivo con quello degli altri stati nazionali eu­ ropei più forti, Gran Bretagna e Francia. Inoltre, la soluzione territoriale impo­ sta alla Francia sconfitta era la negazione di quel principio di nazionalità che aveva alimentato fino ad allora i risorgimenti nazionali. In Europa era finita

10

L ’età della globalizzazione

l ’età romantica e del principio di nazionalità inteso come riscatto dei popoli dall’oppressione degli imperi e si veniva affermando una visione della nazione unita e compatta come mezzo di dominio. La leva obbligatoria, con la conseguente costituzione di un esercito numero­ so e permanente, alimentato di continuo dalle nuove generazioni e strumento di potenza nazionale, divenne allora fatto comune e generalizzato nel vecchio continente. Era il segno di un cambiamento permanente e duraturo nella visio­ ne della relazione fra stato, popolo e istituzione militare ed avveniva in un m o­ mento storico nel quale il coinvolgimento dei ceti subalterni nella vita politica dello stato era tenuto ai margini. Il suffragio universale come espressione del principio della sovranità popolare e come fonte di legittimazione del potere po­ litico era scarsamente diffuso in Europa. Anche laddove fu introdotto, come nell’impero germanico, esso non poteva esprimere il ceto politico dirigente perché il cancelliere e il governo dell’impero rispondevano esclusivamente al­ l’imperatore. Ne discendeva che le elites aristocratiche e borghesi che detene­ vano in tutta Europa il controllo delle istituzioni politiche, oltre che del potere economico, si dotarono di una potenzialità militare che risaliva nelle sue origi­ ni alla Francia rivoluzionaria e napoleonica, ma che ora aveva perso la loro ori­ ginaria legittimazione, ossia i principi di libertà, egalité e fraternità affermati dalla grande rivoluzione.

1 .5

Il modello costituzionale deirimpero germanico

La forma statuale assunta dalla nuova realtà nazionale tedesca contribuiva a fam e un impero conservatore. Esso nasceva come impero federale formato da 25 stati, oltre al territorio dell’AIsazia e della Lorena, nel quale il re di Prussia (Hohenzollem) assumeva per diritto ereditario la carica di imperatore. Il parla­ mento (Reichtstag), pur eletto a suffragio universale maschile per cinque armi e che aveva la capacità di controllo sui tributi, aveva un potere legislativo limita­ to. Infatti, nessuna legge approvata dal Reichtstag poteva entrare in vigore se non-era approvata anche dal- consiglio federale (Bundesrat),fomiaXodai rap­ presentanti dei 25 stati federati. In tale Camera alta vigeva il potere di veto prussiano poiché per esercitarlo bastavano 14 voti e la Prussia ne deteneva 17 su 51. Di conseguenza l ’imperatore (Kaiser) aveva il controllo sull’approvazio­ ne delle leggi. Tale configurazione esprimeva l ’equilibrio fra la rappresentanza degli stati, tipica di uno stato federale, e il potere centrale, espresso dall’impe­ ratore. Tuttavia, nella graduale evoluzione dell’impero imposta da Bismarck, soprattutto a seguito della Kulturkam pf il potere del centro prevalse su quello degli stati federati. Ciò rispondeva anche al disegno di incremento della poten­ za dello stato nella sua proiezione intemazionale.

Germania, Europa e mondo

11

Le relazioni fra il potere legislativo e il potere esecutivo si ispiravano al cosid­ detto modello costituzionale puro. In base ad esso il cancelliere (.Reichskanzler) e i suoi ministri che esprimevano il governo dell’impero erano nominati e rispon­ devano direttamente all’imperatore del quale dovevano godere dell’esclusiva fi­ ducia. Quindi il parlamento non aveva potere di fiducia né, per governare, il can­ celliere aveva necessità che si formasse nel parlamento una maggioranza a lui fa­ vorevole. Questo modello costituzionale si discostava da quelli di tipo parlamen­ tare che operavano sia per dettato formale della costituzione, come nella Terza repubblica francese, sia per prassi costituzionale consolidata come in Gran Bre­ tagna e nel regno d’Italia. In tali stati, il suffragio e la sua riforma, con la revisio­ ne dei metodi, dei collegi e con l’allargamento dell’elettorato attivo, esercitavano un’influenza determinante sulle maggioranze e suoi governi. Questo rese le bat­ taglie politiche e parlamentari assai veementi nei paesi ove vigeva il sistema par­ lamentare e accentuò le preoccupazioni della borghesia e dei ceti sociali domi­ nanti per le conseguenze destabilizzanti che la crescita dei partiti socialisti, in espansione grazie al processo di industrializzazione, o altre forze politiche avver­ se alle istituzioni potevano avere. La crisi di fine secolo che si manifestò a diver­ so titolo e in diverso modo nei paesi a regime parlamentare ebbe anche questa origine. Da essa, almeno sotto queste forme, restò indenne l’impero germanico.

1.6

Il primo decennio di governo bismarckiano del Reich unito

In politica estera, una volta conclusa la guerra con la Francia e portato a termi­ ne il processo di unificazione della Germania, il cancelliere Bismarck perseguì un disegno di stabilizzazione delle relazioni intemazionali e di isolamento di­ plomatico, della Francia. H primo obiettivo fri ricercato per dimostrare alle grandi potenze e in prim is alla Gran Bretagna, preoccupata dell’eccessiva espansione della Germania e del rischio della perdita dell’equilibrio di potenza nell’Europa continentale, che il secondo Reich era una potenza soddisfatta e non pericolosa. Il secondo obiettivo mirava ad impedire che la Francia trovasse solidarietà intemazionali e alleati che le permettessero di concretizzare i-suoi spiriti di vendetta. Nel perseguire queste due finalità puntò alla creazione nel cuore dell’Europa di un’alleanza degli imperi conservatori, Germania, Russia ed Austria-Ungheria (Dreikaiserbund) che, previa convenzione militare fra Russia e Germania firmata nel 1872, fu sottoscritta nell’ottobre 1873. I contenuti dell’accordo furono inferiori alle aspettative; infatti, piuttosto che di u n ’alleanza, si trattava di un patto di consultazione. Tuttavia, esso era la registrazione della volontà condivisa di mantenere politiche convergenti, senza accordi unilaterali con la Francia, e di evitare tensioni nell’area balcanica. An­ che se l ’aspetto ideologico non va sopravvalutato, poiché la politica di potenza

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L ’età della globalizzazione

aveva sempre un peso maggiore, tuttavia la natura autocratica di questi imperi era un motivo che corroborava la convergenza. N on va infatti trascurato che la configurazione della Francia come repubblica era considerata dalla cultura del­ le elites conservatrici del XIX secolo una buona giustificazione di isolamento per evitare contagio politico. La debolezza principale dell’accordo stava nel fatto che quando la questio­ ne dVOriente, intesa come questione dell’assetto generale dell’area balcanica e in particolare dei territori dominati dall’impero ottomano, avesse fatto di nuo­ vo emergere i sintomi della crisi sempre latente, gli indirizzi politici dell’impe­ ro austro-ungarico e di quello russo erano destinati a confliggere. Infatti, men­ tre l ’impero asburgico, soprattutto dopo la ristrutturazione in duplice monar­ chia nel 1867, era stato spinto dalla stessa Germania a balcanizzarsi, ossia a concentrare il fuoco dei propri interessi in quell’area a compensazione della perdita di peso e di radicamento nel mondo germanico, la Russia si faceva pa­ ladina degli interessi delle popolazioni slave, per solidarietà etnico-religiosa e per la ricerca di uno sbocco nel Mediterraneo. In politica interna, le finalità del cancelliere nel primo decennio unitario an­ davano verso il rafforzamento del potere centrale e l’uniformizzazione giuridi­ ca e amministrativa. A questo fine, nel 1872 fu approvato il codice penale fede­ rale, mentre il codice civile comune per tutto il Reich arrivò solo nel 1900. N el 1875 fu creata la Banca centrale (Reichbank) che aveva il governo dell’unica moneta nazionale, il marco, sostitutiva del tallero e del fiorino; nello stesso an­ no l’impero si dotò di un servizio postale comune. N el 1879 fu costituito un or­ dinamento giudiziario omogeneo con un tribunale federale con sede a Lipsia. Questo processo di costruzione dell’unità interna in termini giuridici, econo­ mici ed amministrativi, accomunò Germania e Italia, anche se in Italia fu m ol­ to più lento, soprattutto sul versante economico finanziario, dal momento che la Banca d ’Italia fu fondata solo nel 1893 e molto più tardi acquisì il diritto di emittente unica della moneta. Inoltre, il cancelliere perseguì per sei anni, fra il 1872 e il 1878, una politica fortemente avversa al mondo cattolico che fu qualificata com q Kultiirkampf. Gli obiettivi di Bismarck erano di rafforzare i poteri centrali dell’impero e il dominio della componente-prussiana* di*matrice -religiosa luterana*- contro gh stati -meri­ dionali, ove prevaleva la componente cattolica. Questa politica repressiva giunse fino allo scioglimento di circoli e associazioni cattoliche, all’arresto di religiosi accusati di minacciare l’unità dello stato, alla statalizzazione e alla laicizzazione dell’istruzione, alla messa fuori legge dell’ordine dei Gesuiti e all’imposizione del matrimonio civile a chi contraeva matrimonio religioso. Tuttavia, l’occasione del conflitto, ossia la tutela dei “vecchi cattolici”, av­ versi al dogma dell’infallibilità pontificia, aveva un valore eminentemente po­ litico non trascurabile. Infatti, questo dogma era stato introdotto dal Concilio Vaticano I, convocato nel 1869, e approvato nel luglio 1870 alla vigilia della

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caduta dello stato pontificio e della fine del potere temporale del pontefice. Ta­ le principio di dottrina rafforzava, infatti, l ’autorità del pontefice e ne faceva u n ’autorità sopranazionale, indiscutibile sul terreno della dottrina religiosa. Esso era stato adottato, dopo un contrastato percorso, proprio per garantire la compattezza gerarchica della Chiesa cattolica nella prospettiva ormai prossima della fine del potere temporale. Questo dato era percepito dal cancelliere come un fattore di debolezza delTimpero perché i vertici dello stato (imperatore) e del governo (cancelliere) avrebbero dovuto confrontarsi con una componente religiosa (cattolici) che, a differenza della chiesa luterana, riconosceva in materia dogmatica u n ’autorità religiosa esterna allo stato. N ella visione unitaria e organica dello stato nazio­ nale tedesco, che la monarchia degli Hohenzollem e la classe dirigente prussia­ na coltivavano, tale lealtà sopranazionale era considerata una minaccia e un po­ tenziale tradimento verso Tunica autorità nazionale riconosciuta, l’imperatore. La politica di Bismarck, se raggiunse taluni risultati permanenti in materia di istruzione pubblica e di matrimonio civile, fu fallimentare nel tentativo di comprimere la componente cattolica. Infatti, la Kulturkampf si configurò come una vera persecuziòne religiosa che rafforzò, invece che indebolire, il partito del Centro rappresentato nel parlamento. Inoltre, per un insieme di ragioni e opportunità di politica interna (crescita dei socialisti e necessità di trovare soli­ darietà politiche su scelte di politica economica d’ispirazione protezionista) e intemazionale (recrudescenza della questione d ’Oriente e convergenza con Timpero asburgico) a partire dal 1878 il cancelliere abbandonò la lotta anticat­ tolica e si avvicinò al partito del Centro.

1.7

La questione d’Oriente

H biennio conclusivo degli anni ’70 costituì uno momento di svolta per la sto­ ria della Germania e per le relazioni fra le potenze europee. Questo secondo profilo fu condizionato dalla recrudescenza della questione d ’Oriente. Essa de­ ve essere letta sotto un-duplice profilo, interno e intemazionale. H profilo-mtem o all’organizzazione dei poteri delTimpero ottomano era caratterizzato da profonda arretratezza. La natura feudale del impero, ove al debole sultanato si affiancavano e spesso si contrapponevano governanti locali denominati pascià, collegata ad u n’economia agricola arretrata e incapace di modernizzarsi costi­ tuiva un impedimento alla sua riforma.. Da un lato, Timpero non aveva le caratteristiche della monarchia assoluta quale si era affermata in Europa nel XVI secolo perché la Sublime Porta non aveva la capacità d’imporre il proprio dominio alle diverse parti dell’impero con una burocrazia leale al potere centrale. I governanti locali, pur godendo dell’in-

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vestitura del sultano, in realtà esercitavano un potere pressoché autonomo in un impero la cui sovranità formale si estendeva dall’area balcanica all’Asia mino­ re, dal Golfo Persico al Mediterraneo meridionale fino alla Tunisia. Anche sotto il profilo militare questo era un motivo di indebolimento perché rendeva diffici­ le controllare situazioni di crisi che si manifestassero in diverse parti dell’impe­ ro. D ’altro lato, esso era stato impenetrabile alla riorganizzazione e separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) che avevano connotato i processi di modernizzazione politica e di tutela dei diritti dei cittadini nel XVHI e nel XIX secolo in Europa. Anche questo era un segno forte della sua arretratezza. Sotto il profilo intemazionale, l’area balcanica era territorio di grande inte­ resse per l’impero austro-ungarico e per quello russo. L’impero asburgico aveva un forte interesse ad allargare il proprio dominio dalla Slovenia e Croazia, ove l’amministrazione era gestita dalla componente ungherese della duplice monar­ chia, alla Bosnia ed Erzegovina e al Sangiaccato di Novibazar. Questo allarga­ mento era da un lato coerente con la “balcanizzazione” dell’impero seguita alla sconfìtta del 1866. D ’altro lato, essa rispondeva al desiderio dell’impero di ac­ cerchiare il piccolo stato serbo, potenziale fomentatore del nazionalismo slavo. La Russia, d ’altra parte, manifestava crescenti interessi di protezione dello stato serbo, m a soprattutto e prevalentemente, in questa fase, perseguiva l ’obiettivo di ottenere uno sbocco diretto o indiretto, tramite stato amico, nel Mediterraneo. Tuttavia, questo interesse geopolitico, se realizzato verso il mare Egeo, im­ plicava un consistente indebolimento dell’impero ottomano, fino a correre il rischio della sua dissoluzione; si traduceva nella fine della neutralità degli Stretti e comportava una sostanziale m odifica a tutto favore della Russia degli equilibri di potenza nel Mediterraneo. Questa prospettiva era fortemente avver­ sata dal governo britannico di Disraeli, sempre molto sensibile su questo punto e determinato ad impedire che questo si realizzasse a scapito dell’impero otto­ mano. La direttrice di politica mediterranea e relativa agli Stretti della Gran Bretagna contribuisce a spiegare la sopravvivenza fino alla Grande guerra di un impero minato all’interno e dall’esterno da forze disgregatrici tanto potenti. In questa politica, l ’Inghilterra era sostenuta dalla repubblica francese che, tut­ tavia, nella seconda metà degli anni ’70, era ancora troppo debole per essere in grado di esercitare in prima persona un ruolo di-tutela. La rivolta contro il dominio ottomano in Bosnia ed Erzegovina, scoppiata nel 1875, alimentò le aspirazioni latenti dell’impero asburgico ad impossessar­ si di tali regioni. D ’altra parte, la piccola Serbia era circondata dal dominio ot­ tomano e aspirava ad allentarne la morsa. A lla rivolta bosniaca fece seguito la rivolta bulgara che fu repressa dai turchi con metodi tanto brutali da suscitare Tindignazione dell’opinione pubblica europea. Anche a seguito di una crisi in­ terna ai vertici dell’impero ottomano provocata dalla morte in circostanze non chiare del sultano Abdul Aziz e dalla successione al trono di Costantinopoli del fratello Murad V, inadeguató a governare l’impero, la situazione degenerò. La

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Russia attaccò nell’aprile 1877 nella convinzione, rivelatasi non fondata, di po­ tere assestare in tempi brevissimi una dura sconfitta a Costantinopoli. Le pre­ visioni furono contraddette dalla prolungata resistenza turca che tuttavia dovet­ te cedere e, sotto la minaccia dell’occupazione russa di Costantinopoli, accet­ tare le clausole pesanti della pace di Santo Stefano (marzo 1878). Lo zar Ales­ sandro II sembrò avere raggiunto l ’obiettivo di creare una grande Bulgaria che si estendesse dal mar Nero a Salonicco sull’Egeo inglobando la Macedonia, aprendo alla Russia la porta dell’Egeo. La Serbia e il Montenegro erano am­ pliati e resi del tutto indipendenti dalla Sublime Porta. La Bosnia e l ’Erzegovina furono attribuite all’amministrazione austriaca.

1.8

Il congresso di Berlino del 1878

Questa definizione della pace suscitò la dura reazione della diplomazia britannica, soprattutto in merito alla questione degli Stretti. Per trovare una soluzione di comune soddisfazione, Bismarck, che non aveva interessi in prima persona nell’area, m a che desiderava mantenere in vita il Dreikaiserbund che correva il rischio, poi confermato, di cadere se l ’alleato austriaco e quello russo non avessero trovato adeguata soddisfazione dalla conclusione della guerra, con­ vocò un congresso a Berlino (giugno-luglio 1878). Questo congresso, che fu la pietra miliare della questione d’Oriente, dopo il congresso di Parigi del 1856 conclusivo della guerra di Crimea, modificò su alcuni punti chiave la pace di Santo Stefano. Restò ferma l’amministrazione della Bosnia e dell’Erzegovina da parte dell’Austria-Ungheria, anche se con formula temporanea che poi, pe­ raltro, divenne permanente. Inoltre, l’impero asburgico ottenne la dislocazione di una guarnigione nel Sangiaccato di Novibazar. Modesti allargamenti territo­ riali ebbero la Serbia e il Montenegro. Soprattutto, la chiave della revisione de­ gli accordi di Santo Stefano che lasciò del tutto insoddisfatta la Russia fu la si­ stemazione della Bulgaria. Essa divenne stato autonomo, ma fortemente ridi­ mensionata dal punto di vista territoriale ed esclusivamente prospiciente il mar -Nero. La Macedonia restò-in mano turca;-Aiuonfini meridionali della Bulgaria fu costituito il principato di Rumelia, affidato a un principe cristiano, nei quali affari interni si riservavano diritto d’intervento sia il Sultano, che ne aveva la sovranità formale, sia le potenze europee. Questa era una soluzione assai gra­ dita all’Inghilterra che, per accordi diretti con il Sultano, esterni al congresso, ottenne l’occupazione di Cipro. Gli Stretti restavano saldamente in mano del­ l’impero ottomano e neutralizzati. La Francia, per i motivi sopra ricordati di debolezza interna, non fece gravare a Berlino un peso politico significativo. Tuttavia, era una potenza che gestiva gran parte del debito turco e che, quindi, non poteva essere .trascurata. Trovò

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quindi il sostegno britannico e l’assenso di Bismarck nella riserva del diritto di occupare la Tunisia, che era sotto la formale sovranità di Costatinopoli. Questo avallo preventivo rispondeva alla tipica logica ottocentesca delle relazioni fra le potenze europee che prevedeva compensi in caso di grandi aggiustamenti degli equilibri geopolitici quali erano stati realizzati a Berlino. La concessione alla Francia della mano libera in Tunisia, poi tradotta nel protettorato imposto dalla repubblica col trattato del Bardo (maggio 1881), ne era l’applicazione. Inoltre, a fronte dell’altro pretendente alla Tunisia, l ’Italia, la Francia si tro­ vava in posizione di vantaggio. Lo era perché la debolezza interna francese era superata dalla ancor maggiore debolezza italiana, la cui delegazione guidata dal ministro Corti giunse a Berlino in situazione di completo isolamento diplo­ matico. Lo era, ancora, perché la cosiddetta “politica delle mani nette”, ossia del non coinvolgimento dellTtalia nelle grandi transazioni fra le potenze, im­ pedì alla delegazione italiana di costruirsi solidarietà diplomatiche. Quindi, mentre si pose il problema di compensare la Francia, nessuno si sentì vincolato a compensare l’Italia. Lo era, di nuovo, perché l ’Inghilterra era avversa a pre­ costituire nel Mediterraneo una situazione nella quale il canale di Sicilia che separava l’isola dalla Tunisia fosse controllato da u n ’unica potenza. Lo era, in­ fine, perché Bismarck, che non aveva alcun interesse diretto nell’area, il can­ celliere aveva d’altra parte un forte interesse a dirottare verso la Tunisia il fuo­ co della politica estera francese, dimostrando a Parigi che la Germania era po­ tenza “amica” e attenuando così gli spiriti di revanche francesi. Il congresso Berlino dette alla questione d ’Oriente una sistemazione che, salvo nuove crisi, aggiustamenti e revisioni di minor peso, restò stabile fino al­ le guerre balcaniche del 1912-13. Dal congresso scaturirono soluzioni diplo­ matiche che lasciarono soddisfatta l ’Inghilterra perché aveva restaurato la chiusura degli Stretti sotto controllo ottomano. Fu pago anche l’impero asbur­ gico che aveva ottenuto un rafforzamento nell’area balcanica con l ’amministra­ zione della Bosnia e della Erzegovina. Fu insoddisfatta, m a parzialmente com­ pensata la Francia, che poteva dare sfogo al proprio .espansionismo m editerra­ neo con l’acquisizione della Tunisia. Fu del tutto delusa la Russia che aveva so­ stenuto l’onere di una guerra sanguinosa coltivando la propria aspirazione ad ''esercitareil controllo degli Stretti ed a trovare uno sbocco nel Mediterraneo e che vide sfumare questa prospettiva.

1.9

Bismarck e la faticosa ricostituzione del sistema di alleanze negli anni *80

Conseguenza ne fu la rottura del Dreilcaiserbund per l’irritazione dello zar con­ tro Bismarck accusato di non avere tutelato gli interessi russi a tutto favore di quelli austriaci e britannici. Il problema centrale di politica estera per il cancel-

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liere nel triennio successivo fu di ricostituire una rete di solidarietà intemaziona­ li che avesse sempre al centro Berlino. Ci riuscì per le sue eccezionali capacità politiche. Ricostituì in via prioritaria l’alleanza con Vienna nell’ottobre 1879 che era essenzialmente in funzione antirussa: ossia garantiva all’impero asburgico il sostegno militare della Germania qualora venisse attaccato, dalla Russia. Questa convergenza fra Berlino e Vienna restò l’asse prioritario, centrale e costante della politica estera della Germania fino alla guerra mondiale e sullo stesso fronte di guerra. Poi la Germania ricominciò a tessere la tela dell’alleanza con la Russia con la quale poteva vantare un’antica amicizia. Le basi per la ricostituzione del Dreikaiserbund furono poste sul presupposto, avvalorato da Bismarck, che, mentre la Russia aveva un interesse preminente nei Balcani orientali e sugli Stretti, l ’Austria-Ungheria aveva un’attenzione particolare per i Balcani occi­ dentali. Corollario di questo accordo, firmato nel 1881, fri l’alleanza fra Austria-Ungheria e Serbia. Si trattava di un accordo che, in realtà, costituiva una vera e propria dipendenza della seconda dall’impero. Nel maggio 1882 l’accessione dell’Italia all’alleanza con l’impero germani­ co e con l’impero asburgico nell’ambito della Triplice Alleanza costituì il com­ pletamento della tela diplomatica ricostruita dal cancelliere Bismarck. L’Italia vi accedeva da posizioni del tutto subordinate per uscire dall’isolamento diplo­ matico in cui si trovava, dopo averlo sperimentato con la frustrazione delle aspirazioni tunisine. Otteneva di fare accantonare dalla diplomazia intemazio­ nale e soprattutto dalla cattolica Austria la questione romana, togliendo solida­ rietà intemazionali al pontefice nella sua protesta contro la caduta del potere temporale, e conteneva i rischi politici interni e intemazionali del movimento per la liberazione delle terre irredente. Per Bismarck era comunque un successo perché con la Triplice Alleanza chiudeva il cerchio attorno alla Francia. La Gran Bretagna restava fuori da ogni sistema di alleanze, ma non costituiva un problema sia perché fino ad al­ lora non era disposta e non riteneva necessario rinunciare al proprio isolamen­ to intemazionale, sia perché il contenzioso aperto con la Francia sulla que­ stione egiziana impediva il consolidamento della solidarietà filofrancese da parte britannica.'Sotto questo profilo, fino alla fine del sécdro; la'còm petizióne coloniale anglo-francese contribuì a mantenere larga la distanza fra le due potenze. Altro di significativo in Europa, in termini di rapporti di potenza, non c ’era. Va precisato comunque che si trattava di una rete complessa e precaria. La precarietà era determinata dai contrastanti interessi balcanici fra Austria-Ungheria e Russia e dal fatto che tutti gli stati nuovi e vecchi dell’area erano m i­ nati da forte instabilità.interna. La crisi successiva che fece saltare il DreiJcaiserbund fu determinata dall’annessione nel 1886 da parte della Bulgaria della Rumelia orientale, costituita dal congresso di Berlino come stato autonomo per

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contenere le aspirazioni russe a creare la grande Bulgaria. Questa annessione veniva tuttavia perseguita dal principe Alessandro da posizioni antirusse che trovavano la solidarietà dell’impero asburgico. Ne consegui u n ’azione diplo­ matica di Bismarck per trovare un nuovo terreno d ’intesa con la Russia nella preoccupazione che la questione degli Stretti potesse divenire una buona via d’uscita della Francia dal suo isolamento diplomatico. La soluzione venne dal Trattato di Contrassicurazione del giugno 1887 fra Germania e Russia. Quest’ultima otteneva dalla Germania l’impegno alla bene­ vola neutralità nelle sue aspirazioni al controllo del m ar Nero e degli Stretti, ol­ tre che ad un’influenza preminente in Bulgaria. La Germania evitò così il ri­ schio che si creasse un’intesa franco-russa. Restava il fatto che il sistema diplo­ matico messo in piedi da Bismarck procedeva per aggiustamenti e rattoppi, di­ mostrando tutta la sua instabilità. Inoltre, il Trattato di Contrassicurazione era un accordo bilaterale. Berlino era sempre al centro della grande tela delle rela­ zioni fra le potenze europee, ma i suoi interlocutori principali, impero asburgico e impero zarista, non colloquiavano più fra di loro come era stato nella prima versione del Dreikaiserbund. D ’altra parte, il contenuto del trattato non era co­ nosciuto a Vienna. Ciò lasciava presagire una rilevante revisione delle relazioni fra le potenze europee non appena il grande tessitore, il cancelliere Bismarck, fosse uscito di scena.

1.10

La scuola storica tedesca e il nuovo modello di sviluppo economico

Dopo l’unificazione, l’industria tedesca aveva goduto di anni di accelerato de­ collo, anche grazie alle cospicue risorse finanziarie chieste alla Francia sconfit­ ta. Tuttavia, a partire dal 1873 e fino alla fine degli anni ’90 in Germania, come nel resto d ’Europa, il ciclo economico entrò in una fase negativa per più fattori. In term ini di produzione industriale tale ciclo negativo fu determinato da una tendenziale sovrapproduzione manifatturiera rispetto alle capacità di as­ sorbimento delm ercato. Infatti, in una situazione di prevalente liberoscambi-~ smo che vigeva in Europa, ove lo sviluppo ferroviario e le marine mercantili a vapore venivano costruendo dei mercati degni di questo nome, ossia progressi­ vamente raggiungibili e tendenzialmente comunicanti, i paesi più arretrati su­ bivano la concorrenza dei paesi che detenevano una posizione di vantaggio. Nel caso specifico, si trovavano avvantaggiati i produttori manifatturieri bri­ tannici, francesi, belgi, olandesi che avevano vissuto in modo precoce nei de­ cenni precedenti una crescita e un rafforzamento, sia in termini di capitali sia in termini di dimensioni produttive, che permetteva loro di riversare sui merca­ ti europei prodotti a prezzi del tutto competitivi.

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In termini di produzione agricola e in particolare cerealicola, la fine della guerra di secessione americana (1865) aveva riattivato la frontiera, ossia la con­ quista e la coltivazione di nuove terre, verso l’Oregon e la California, da parte di coloni provenienti dall’Europa, d eterm in an d o la crescita della produzione mon­ diale di cereali. Tale produzione aveva prezzi di mercato ,assai competitivi per l’alta produttività delle nuove terre, mai prima coltivate, e per le crescenti quan­ tità che pervenivamo in Europa grazie alle marine mercantili dotate di navi di ferro ad alta capienza, con motori a vapore che abbattevano e fendevano certi i tempi di trasporto. I prodotti agricoli americani si immettevano nei mercati eu­ ropei a prezzi che i costi di produzione del vecchio continente e T arretratezza, soprattutto in talune regioni, dei metodi di coltura rendevano insostenibili. Questo cambiamento dei mercati favorì in Germania, come in altri paesi eu­ ropei in ritardo nello sviluppo industriale, una solidarietà d ’interessi fra grandi proprietari e produttori cerealicoli (Junker), in particolare prussiani, ed indu­ striali, soprattutto nel territorio prospiciente il fiume Reno, a favore della pro­ tezione del mercato nazionale. Tale protezione che implicava l’elevazione di barriere doganali a difesa dei prodotti interni fu introdotta da Bismarck nel lu­ glio 1879 con l’appoggio del partito conservatore, dei nazional-liberali e del Centro d’ispirazione cattolica, grazie alla fine della Kulturkampf. Tale decisio­ ne anticipò una linea di politica economica poi fatta propria anche da altri pae­ si a sviluppo industriale ritardato come l ’Italia. Questa politica di chiusura del mercato interno ebbe valenze anche di natura finanziaria e teorica nella scienza economica tedesca. Inoltre, essa era coerente con la visione di uno Stato compatto ed omogeneo, nel quale la dialettica poli­ tica, il dissenso e il conflitto sociale erano ridotti ai minimi termini in funzione del potenziamento della sua forza espansiva. Quanto agli aspetti finanziari e bancari di questa svolta della politica econo­ mica essi si sostanziavano nella promozione di un nuovo modello di banca, det­ to banca mista (Deutsch Bank e altre) che la Germania esportò poi in altri paesi ad industrializzazione ritardata come l ’Italia. Si trattava di un tipo di banca che univa alla funzione di raccolta di risparmio, con sportelli diffusi sul territorio, e all’erogazione di credito ordinario, la competenza di banca d ’investimento. Es~sa raccoglievà^risparmio presso le famiglie e lo trasformava in capitale di ri­ schio a sostegno della crescita industriale del paese. Tale tipo di banca si diffe­ renziava da quello di modello britannico o francese ove le banche d’affari non avevano sportelli, a differenza di quelle di credito ordinario, e si approvvigiona­ vano di capitali sul mercato tramite T emissione di prestiti obbligazionari od operazioni sul capitale. Queste due diverse tipologie di banca marcavano la differenza fra un capita­ lismo maturo e avanzato, come quello dei paesi ad industrializzazione precoce, ove esisteva buona disponibilità di capitale di rischio, e un capitalismo di tarda acquisizione che soffriva di scarsità di capitali. Con questo tipo di azione le

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L'età della globalizzazione

banche miste divenivano compartecipi dello sviluppo industriale e spesso azioniste in prima persona delle imprese. La scienza economica tedesca teorizzò questo nuovo modo di intendere- lo sviluppo economico del paese impiantando una scuola definita del socialismo della cattedra o scuola storica (Wagner). Si trattava di una teoria economica che criticava radicalmente i presupposti dottrinali del liberismo e in particolare il testo cardine e fondante di tale scuola, ossia le Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) dell*economista scozzese Adam Smith. Tale scuola veniva attaccata sia nella tesi della capacità di autoregola­ mentazione del mercato, sia, soprattutto, nel presupposto dottrinale dell’asso­ lutezza e permanente validità, delle leggi economiche. La scuola storica tedesca relativizzava allo specifico storico e territoriale di loro applicazione i principi economici e giustificava quindi il ruolo attivo dello stato nello sviluppo. In particolare, questo indirizzo si traduceva nell’adozione di misure di difesa del mercato e delle produzioni nazionali, mentre in altri casi era previsto un ruolo attivo della mano pubblica nel finanziare produzioni con­ siderate rilevanti o nell’assumere il controllo diretto di taluni servizi come il si­ stema ferroviario nazionale. Ciò non presupponeva, allora, per la mano pubbli­ ca il ruolo diretto di imprenditore, m a ne era in qualche modo P anticipazione. Questa linea di politica daziaria frantumava i mercati, attribuendo allo statonazione il ruolo di regolatore dell’economia del tutto inedito, e introduceva una competizione fra economie nazionali. Essa diveniva per la prima volta nel­ la storia a un tempo politica ed economica. I fattori di potenza non erano più solo politici, demografici e militari, m a anche economici e tecnologici, in rela­ zione ai sistemi d’arma che la scienza, la tecnologia e il sistema produttivo na­ zionale erano in grado di esprimere. La produzione di acciaio, per fare un esempio, diveniva un parametro della potenza di una nazione perché indicatore della capacità produttiva di navi da guerra e di cannoni. L’industria chimica, nella quale la Germania primeggiò alla fine del secolo e agli esordi del nuovo, non fu solo segno della capacità di produrre fertilizzanti per la terra o prodotti di sintesi, ma anche parametro di valutazione della capacità di produrre esplo­ sivi, gas tossici ed altri armi chimiche.

1.11

La lotta antisocialista di Bismarck

L a politica antisocialista di Bismarck si calava in questo contesto politico e culturale di avversione del ceto dirigente tedesco verso ogni movimento che potesse incrinare la compattezza e la forza della nazione. Poiché il partito so­ cialdemocratico tedesco, pur costituitosi quando l’Associazione intemazionale dei lavoratori fondata a Londra da M arx nel settembre 1864 (Prima Intemazio-

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naie) si era ormai esaurita, condivideva la visione internazionalista della soli­ darietà di classe fra i lavoratori, esso era visto come un nemico nazionale. A questo motivo di avversione si aggiungeva la naturale ostilità dei ceti imprendi­ toriali emergenti verso un movimento operaio e socialista organizzato che pro­ muoveva il conflitto sociale in fabbrica e nella società civile a difesa degli inte­ ressi dei lavoratori. Il partito socialdemocratico nacque nel 1875 a seguito del congresso di Gotha che dette nome al programma del partito e che vide la unificazione delle due componenti ideologiche e politiche fondamentali del movimento operaio tedesco. La prima, in ordine di nascita, era stata l’Associazione generale degli operai che Ferdinand Lassalle aveva fondato nel 1863 e che non aveva un carat­ tere eversivo dal momento che proponeva, anche con l’intervento dello stato, la diffusione di cooperative di lavoratori. La seconda era stata il Partito operaio so­ cialdemocratico, fondato a Eisenach nel 1869 da Lieblcnecht e Bebel, di rigoro­ so impianto marxista, che nel 1871 aveva solidarizzato con la Comune di Parigi e che era sempre stato un duro avversario dell’autocrazia bismarclciana. La seconda componente fu prevalente, al momento dell’unificazione, alme­ no sotto il profilo programmatico. Ciò contribuì a scatenare il disegno antiso­ cialista del cancelliere. In quel 1878, che vedeva celébrarsi nella capitale del­ l ’impero germanico il congresso che ridefiniva gli equilibri balcanici e dava a Berlino il crisma della centralità nelle relazioni intemazionali, l ’avanzata so­ cialista era percepita come un ostacolo alla potenza tedesca. Gli industriali come gli agrari tedeschi, già organizzati in potenti associazioni, chiedevano contemporaneamente a Bismarck protezione doganale e ordine sociale. La prima, come abbiamo visto, fu introdotta con i provvedimenti del luglio 1879. Il secondo fu garantito con una legislazione antisocialista varata nell’ottobre 1878 con l’appoggio dei liberali conservatori e che colpiva l ’organizzazione del partito e la stessa possibilità di comunicare con ima propria stampa il dise­ gno politico e sociale socialista. Per singolare contraddizione, restava la rap­ presentanza socialista al Reichtag. Alle elezioni del giugno 1878 essa aveva subito, una lieve flessione, scendendo a 9 parlamentari rispetto ai 12 eletti nel­ le elezioni precedenti. M a il trend di crescita riprese, nonostante la politica repféssivàrLà sóci'àrdèm òci^a doveva camuffare le proprie iniziative sotto for­ m a di eventi culturali o sportivi ed era costretta a celebrare i propri congressi in Svizzera. Oltre allo strumento repressivo, il cancelliere promosse una legislazione so­ ciale che mise la Germania all’avanguardia fra i paesi industrializzati, Inghil­ terra compresa. Essa riguardò l’assicurazione contro le malattie (1883), l ’assi­ curazione contro gli infortuni (1884) e quelle contro l ’invalidità e la vecchiaia (1889). Questi provvedimenti intendevano dimostrare che le rivendicazioni so­ cialdemocratiche erano inutili e che la destra tedesca era sensibile alle condi­ zioni di lavoro e di vita dei lavoratori ed autosufficiente nel provvedervi. Ciò-

22

L ’età della globalizzazione

nonostante, quando Bismarck fu dimissionato dal nuovo imperatore Guglielmo H, nel marzo 1890, la rappresentanza parlamentare socialdemocratica aveva raggiunto le 35 unità.

1.12

La caduta di Bismarck

La morte dell’imperatore Guglielmo I nel marzo 1888 precostituì le condizioni della caduta di Bismarck. Il successore Federico m restò sul trono per poco più di tre mesi. La sua precoce scomparsa vanificò le ultime speranze di un’evolu­ zione liberale della Germania e aprì la strada del trono al ventinovenne Gu­ glielmo E. I motivi che portarono alla rottura, dopo poco più di un anno e mez­ zo di difficile convivenza, fra il giovane imperatore e l’anziano cancelliere era­ no anche di natura psicologica: l ’insofferenza dell’imperatore, che voleva assu­ mere in prima persona il governo dell’impero, e il suo complesso di inferiorità verso l’ingombrante artefice dell’unificazione della Germania. Restava fermo che l ’imperatore non aveva la preparazione e la statura adeguata per garantire alla Germania una lunga stagione di centralità nelle, relazioni intemazionali unita alla pace in Europa, come Bismarck aveva assicurato per vent’anni dal 1870. Pur considerando valide queste motivazioni d ’ordine personale, vanno tenuti in adeguato conto i seguenti motivi di discontinuità storica che determinarono l ’eclisse del cancelliere. In politica interna, Bismarck era interprete di una po­ litica autoritaria e paternalistica che mal si conciliava con l ’impetuoso sviluppo industriale del paese. L a sua azione antisocialista, durata più di dieci anni, si era dimostrata fallimentare. Ciononostante, nell’aprile 1889, a seguito dell’e­ splosione dello sciopero dei minatori che aveva coinvolto fino a 150.000 lavo­ ratori, egli aveva riproposto l ’uso indiscriminato della repressione militare e il rafforzamento della legislazione antisocialista. H nuovo imperatore preferiva chiudere con questa politica, sostenuto in questo anche da componenti della gerarchia militare che avrebbero dovuto operare la repressione. In politica estera, l ’imperatóre era fautore di rapporti più stretti con l ’impero asburgico ed era preoccupato di possibili tensioni con rAustria-Ungheria, se Vienna fosse venuta a conoscenza dei contenuti del Trattato di Contrassicura­ zione. Inoltre, era interessato a rafforzare gli interessi tedeschi nell’impero ot­ tomano, come dimostrò la sua visita al Sultano del novembre 1889. Questo complesso di motivazioni, spesso esplicitate con interventi anche pubblici inopportuni e maldestri, fu motivo di progressivo irrigidimento dello zar. Era una linea di politica estera che logorò la tela che Bismarck aveva costantemen­ te tessuto per evitare che si precostituissero le condizioni della convergenza fra la Francia e la Russia. Dopo il dimissionamento del cancelliere e la sua sostitu­

Germania, Europa e mondo

23

zione con von Caprivi, avvenuti nel marzo 1890 per motivazioni di politica in­ terna che abbiamo visto, la G erm ania non rinnovò il Trattato di Contrassicura­ zione con la Russia.

1.13

Politica interna ed estera della Germania fino alla guerra

Era la fine di u n ’epoca. N ei quindici armi successivi, le relazioni fra le potenze europee entrarono in una fase fluida di revisione e di nuovo assestamento, fino a che nella seconda metà del prim o decennio del secolo si vennero delineando nuove basi di stabilità di natura bipolare che prefiguravano le alleanze dei due fronti della prim a guerra mondiale. La Germania aveva definitivamente perdu­ to la centralità nelle relazioni intem azionali che Bismarck le aveva assicurato per venti anni. L a politica di Caprivi nel quadriennio in cui fu cancelliere (1890-1894) fu contrassegnata da pragmatismo, sostanzialmente indebolito dalla separazione fra la figura del cancelliere e quella del primo ministro prussiano (1892), che scatenò conflitti interni e prefigurò la fronda anti-Caprivi dal potente stato prussiano, e dall’avanzata del partito socialdemocratico che al congresso di Er­ furt (1891) aveva assunto posizioni millenaristiche di attesa del crollo del capi­ talismo. La legge contro la sovversione che il cancelliere aveva pensato in fun­ zione antisocialdemocratica non fu approvata. In politica estera, la convenzio­ ne militare russo-francese (1892) e le peggiorate relazioni commerciali con la Russia segnarono la svolta, rendendo più vincolanti le relazioni con l’impero asburgico e precostituendo i motivi di ricerca di soluzioni nuove, anche di na­ tura militare, all’affermazione dell’impero nel mondo. Gli anni ’90 furono di grande crescita e trasformazione anche politica per la Germania. Si formarono grandi trust industriali nel settore siderurgico, mine­ rario e meccanico che assicurarono ima posizione di leadership industriale al­ l’impero, oltre che in alcuni settori della ricerca applicata come la chimica. Questa forte crescita industriale alimentò dei conflitti d ’interesse assai forti chè èbbero'ripercussioni pohtiche. In particolare, i proprietari fondiari si orga­ nizzarono nella Lega degli agricoltori che rivendicava una politica protezioni­ stica, soprattutto sul versante cerealicolo, che non era gradita dagli industriali ed era avversata dalla sinistra socialdemocratica. Per gli operai, infatti, il cui numero crescente ne faceva, nel quadro della rapida industrializzazione, un ce­ to sociale sempre più diffuso ed influente (8,6 milioni al censimento del 1907, mentre il partito socialdemocratico aveva un milione di iscritti alla vigilia della guerra), il dazio sul grano significava accrescimento del prezzo del pane. Per le grandi industrie, che avevano raggiunto una capacità altamente competitiva sul piano intemazionale, il protezionismo diveniva ostacolo all’espansione. Il

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L ’età della globalizzazione

compromesso fu il varo della legge dèi 1902 che accresceva di 0,50 marchi per quintale il dazio sul grano. Tuttavia, si trattava di un accrescimento considerato insufficiente dagli agrari che lasciò aperto il conflitto interno. Gli anni *90 furono anche anni di trasformazione politica. Il Centro d ’ispira­ zione cristiana fu riorganizzato e sviluppò un nuovo impegno sociale dopo la enciclica Reram Novanim (1891) che aveva gettato le basi della dottrina socia­ le cattolica sulla questione operaia. Le associazioni della destra, come l’Asso­ ciazione pangermanista, la Lega navale, la stessa Lega degli Agricoltori, la de­ stra parlamentare acquistarono nuovo peso nel quadro di una cultura politica diffusa che univa l’anglofobia al desiderio di emulare e competere con l ’In­ ghilterra, sfidandone il potere mondiale. Questo tema ispirò l ’azione dell’am­ miraglio Tirpitz che, da responsabile dell5Ufficio della Marina, grazie all’ap­ poggio di von Bulow, allora ancora ministro degli Esteri, promosse la legge sulla flotta (1898). Si affermava un obiettivo di rafforzamento della marina mi­ litare in funzione di protezione della marina commerciale tedesca. N ella realtà, era una strategia di assalto al potere oceanico dell’Inghilterra che procedeva di pari passo con l ’acquisizione della base cinese di Kiao-chow e con il disegno di costruzione della ferrovia di Bagdad, dal mare di M arinara al Golfo Persico. Quando lo stesso Bulow divenne cancelliere (1900-1909), a fronte dell’inde­ bolimento della Gran Bretagna impegnata nella guerra boera, sembrò che le possibilità di assalto al potere mondiale della Germania non dovesse trovare più ostacoli. Nella Germania di von Bulow si diffuse la convinzione che V im­ pero potesse essere potenza dominante ancor prima di avere raggiunto una rea­ le posizione di egemonia. Ma si trattò di un’illusione. Bulow non seppe coglie­ re il momento favorevole della sconfitta della Russia in Estremo Oriente (1905) per ristabilire con lo zar relazioni strette che allentassero la solidarietà con la Francia. In realtà, i rinnovati interessi balcanici della Russia entravano in rotta di collisione con quelli espressi dall’alleato austro-ungarico. Restò in pie­ di Talleanza franco-russa, cui nel 1904 si era aggiunta YEntente cordiale fran­ co-britannica (1904), che ebbe come corollario l’accordo anglo-russo (1907). La psicosi da accerchiamento si diffuse in Germania favorendo la ricerca di soluzioni militari ai problemi che la politica non riusciva a risolvere: ossia co­ me-annientare'le potenze concorrenti o avverse invece di definire una strategia possibile di accordo. D a questo clima nacque il piano von Schlieffen, dal nome dal capo di stato maggiore tedesco, che impostò il disegno strategico di annien­ tamento rapido della Francia sul fronte occidentale prim a che i tempi lunghi della mobilitazione russa permettessero allo zar di schierare le armate sul fron­ te orientale. L’ultimo tentativo di trovare una soluzione ad una competizione che stava portando la Germania e l ’Europa verso la catastrofe fu fatto nel 1912, nel pieno delle guerre balcaniche. Il possibile accordo anglo-tedesco avrebbe previsto il contenimento dei piani di armamento della Germania a fronte della garanzia di neutralità britannica in caso di guerra continentale, purché si fosse

Germania, Europa e mondo

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trattato per la Germania di una guerra difensiva. La condizione della neutralità del Belgio, che per l ’Inghilterra era un assioma irrinunciabile, finì per rendere l’intesa impossibile. Tutto questo avveniva in un quadro di peggioramento della situazione finan­ ziaria dell9impero, il cui debito pubblico si accresceva di centinaia di milioni di marchi Fanno, anche se compensata da ima crescente tassazione sui consumi e sulle eredità (1906-1908) che aveva sollevato l’avversione della destra. La so­ cialdemocrazia anche dopo la scomparsa di Bebel (1913) mantenne sulla poli­ tica intemazionale, che l ’imperatore gestiva in modo sempre più autonomo, ima linea di sostanziale accondiscendenza.

C apitolo 2

L’impero austro-ungarico e la mina delle nazionalità

2.1

Le difficoltà di un impero duale

A seguito della guerra del 1866 con la Prussia di Bismarck e con l’Italia, allea­ ta di questsultima nel quadro della terza guerra d’indipendenza, e della sconfìt­ ta militare subita dall’Austria che comportò l ’espulsione dell’imperatore dalla presidenza della Confederazione germanica, scaturì la riorganizzazione del­ l ’impero asburgico in monarchia duale, con due capitali ufficialmente ricono­ sciute, Vienna e Budapest. Questo compromesso (1867), a lungo discusso con i dirigenti magiari, dava soddisfazione ad una componente dell’impero che ave­ va rivendicato con particolare tenacia prima l’autonomia, con le rivoluzioni del ’48, poi una posizione paritetica con la componente tedesca nella gestione de­ gli affari dell’impero. Il compromesso investiva sia questioni politiche sia economiche. Sul primo versante i magiari pretendevano di riservare all’Ungheria la possibilità di svol­ gere una politica estera autonoma e di avere un proprio esercito che comuni­ casse in lingua magiara. Questo non fu ottenuto. Infatti, l ’imperatore mantenne il controllo della politica estera e dell’esercito e riaffermò l’uso della lingua te­ desca per i comandi. Il compromesso riguardò questioni di commercio interno, in ordine alle tariffe, e la quota di contribuzione ungherese all’erario comune dell’impero. La quota fu fissata al 30%, dando adito ad un lungo contenzioso. Questo accordo fu poi rivisto nel 1907, accrescendo gli oneri di contribuzione ungheresi al 36% e autorizzando il protezionismo ungherese verso i prodotti austriaci e cechi. Inoltre a Budapest, in compenso, fu conferita una personalità indipendente che soddisfaceva le aspirazioni autonomistiche magiare, soprat­ tutto in ordine all’identità linguistica e culturale. La revisione del compromesso intervenne non a caso nel 1907 perché in questo anno l’imperatore impose, contro la volontà della maggioranza del par­ lamento di Vienna e del suo stesso governo, il suffragio universale. Grazie a questa legge tutti i cittadini maschi, che avessero compiuto il 24° anno di età avevano diritto al voto nei territori dominati da Vienna. La minaccia di France­ sco Giuseppe di estendere ai territori magiari il suffragio universale, che avreb-

L'impero austro-ungarico e la mina delle nazionalità

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be scardinato il dominio dell’oligarchia, fu un deterrente sufficiente a bloccare le rivendicazioni indipendentistiche di Ferenc Kossuth. L’Ungheria mantenne il suffragio a base censitaria. Tuttavia, anche il suffragio universale introdotto nella parte tedesca dell’im­ pero, pur in un regime di tipo parlamentare e pur in presenza di due partiti con seguito di massa come il Partito cristiano sociale (1887), fondato da Lueger e che aveva la sua base nella piccola borghesia e nei ceti rurali, e come il Partito socialdemocratico (1889), fondato da Adler e che ebbe in Otto Bauer il suo più grande esponente, non gettò le basi di una vera democratizzazione dell’impero. Lamministrazione, l ’élite militare e soprattutto l’imperatore mantennero cen­ tralità e continuarono ad essere considerati gli unici baluardi di reale tenuta di un impero che non sapeva riformarsi su base federale. Sul piano territoriale, mentre la componente tedesca mantenne il controllo dei cechi e di una minoranza degli slavi meridionali presenti nella regione de­ nominata Cisleitania, comprensiva di Corniola, Stiria, Istria, Gorizia e Gradi­ sca, i magiari ottennero una posizione di dominio sulla Croazia, sulla Transilvania e sulla Slovacchia. Tuttavia, mentre l ’Ungheria dimostrò, anche grazie ad una politica di forzata magiarizzazione, di sapere controllare i territori sotto il proprio dominio, l’Austria si dimostrò più debole, in particolare nei confronti del nazionalismo montante nelle regioni della Boemia e della Moravia. Questo difficile equilibrio interno e la netta opposizione ungherese alla riorganizzazio­ ne federale dell’impero, che veniva richiesta con gran forza dai cechi e dal loro leader Masaryk, impedì a Vienna di trovare una soluzione di compromesso con altre nazionalità interne. La diarchia fra tedeschi e magiari era la condizione minimale per non perdere l’Ungheria, ma nello stesso tempo impediva sia soluzioni trine, ossia con i cechi posti sul piede di parità, sia soluzioni federali, che riconoscessero agli Slavi me­ ridionali un’adeguata posizione nell’impero. Essa finì, quindi, per essere motivo di indebolimento. L’idea forza di stato-nazione che nella storia dei risorgimenti nazionali europei fu un paradigma condiviso di progresso, oltre che di autonomia e di libertà per i popoli, costituiva un motivo di indebolimento per l’impero asburgico. La realtà stessa dell’impero multietnico sembrava essere superata dal­ la storia e destinata all’esaurimento. Dopo la guerra del 1866, anche se gli Italia­ ni di Trento e di Trieste rimasero sotto il dominio asburgico, non furono questi a costituire il vero problema, pur in presenza di un movimento irredento, ma piut­ tosto i Cechi e gli Slavi. Poi, alla fine del secolo e alla svolta del nuovo, i movi­ menti delle nazionalità acquistarono connotati nuovi e più virulenti nei quali l’i­ dea di riscatto e di indipendenza nazionale si associava a pulsioni espansive e ag­ gressive che contribuirono a identificare nell’affermazione dell’omogeneità cul­ turale, etnica e linguistica di uno stato un motivo di forza e di dominio. La minaccia alla sopravvivenza dell’impero non giunse solo dai movimenti panslavisti, ma anche da quelh pangermanisti che, superando l’idea bi-

28

L ’età della globalizzazione

smarckiana di piccola Germania, che si era affermata nel processo di unifica­ zione tedesca, recuperavano il progetto di grande Germania teorizzata da Johann Fichte un secolo prima e che aveva dato prova di sé durante le rivolu­ zioni del ’48. In fin dei conti, la cultura politica del tempo sembrava condanna­ re la stessa sopravvivenza dell’impero multietnico. In realtà, esso rappresentava nel cuore dell’Europa centrale e balcanica un motivo di equilibrio la cui perdita a seguito della prima guerra mondiale creò un vuoto con conseguenze nefaste.

2.2

La questione della Bosnia-Erzegovina e la crisi delFimpero

Lo stesso controllo amministrativo della Bosnia e della Erzegovina, acquisito dall’Impero grazie ai deliberati del congresso di Berlino (1878), era considera­ to funzionale a proteggere Croazia, Slavonia e Dalmazia da un attacco serbo o serbo-russo. Tuttavia, quando nel 1908, unilateralmente, l ’imperatore ne decise l ’annessióne, liquidando il patto austro-russo del 1897 che stabilizzava i Balca­ ni, le tensioni interne all’impero aumentarono di pari passo con l ’instabilità dell’area. Infatti, dopo lunghi colloqui con il ministro degli Esteri russo che ipotizzavano una modifica dello status quo in quei territori a fronte di una revi­ sione della convenzione relativa alla neutralizzazione degli Stretti, l ’Austria agì in modo unilaterale. Probabilmente l’azione fu ispirata dalla convinzione, peraltro fondata, che Francia e Inghilterra non avrebbero mai accettato la revi­ sione. Comunque, l’atto fu motivo di recrudescenza del nazionalismo serbo contro l ’Austria, anche perché la Serbia, a differenza del Montenegro, non ot­ tenne alcun compenso, pur in una situazione in cui le tensioni erano alte anche per motivi legati al conflitto commerciale in atto. Inoltre, per non modificare i difficili equilibri di controllo interno del territorio fra Austria e Ungheria, la Bosnia e l ’Erzegovina non furono aggregate a nessun dei due dei soggetti, ben­ sì affidate al ministero delle Finanze dell’impero. L’esito delle guerre balcaniche (1912-1913), che favorirono la Serbia e la Romania, concorsero a rafforzare l ’idea che solo la soluzione militare avrebbe risolto con la forza la questione del nazionalismo serbo.

C apitolo 3

La Russia degli zar e la difficile modernizzazione di un impero arretrato

3.1

Alessandro II e le “grandi riforme”

La sconfitta subita dalla Russia nella guerra di Crimea accelerò il processo riformatore in un paese che viveva in grave stato di arretratezza, sia politica sia economica. 31 regno dello zar Alessandro II che durò fino al 1881, quando mori a seguito di un attentato, coincise con l’abolizione della servitù della gleba, sancita dal Manifesto di emancipazione (marzo 1861). Si trattava di un istituto plurisecolare che faceva del contadino russo una “non persona”. Era annesso alla proprietà della terra in cui era nato e vi apparteneva come un bene stru­ mentale. La conseguenza della liberazione operata dallo zar, ed estesa dalle proprietà nobiliari alle terre della famiglia imperiale, fu colossale nel numero dei soggetti coinvolti e nella portata economica e sociale. Se compariamo l ’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti a seguito della guerra di secessione, che investì 4 milioni di neri, ai 52 milioni di contadini russi “liberati” ne perce­ piamo la proporzione. Inoltre, all’emancipazione fece seguito il trasferimento a comunità agricole (mir), non a singoli contadini, salvo che in Ucraina, di circa la metà della terra. I proprietari furono indennizzati con un anticipo in buoni del tesoro erogati dallo stato rimborsabili in 49 anni dai contadini. Non si trattò di una riforma facile né i suoi effetti furono sempre positivi. Provocarono turbolenze e reazioni sociali anche violente nelle campagne russe, tanto, più. perché mtervernvano in .una struttura sociale_affetta da secolare im­ mobilismo. Inoltre, spesso il carico dell’indennizzo fu insostenibile per i con­ tadini, mentre la mobilità sociale, anche d’ordine orizzontale continuava ad es­ sere ostacolata dalle comunità agricole. Infine, la riforma intervenne su un isti­ tuto ormai moribondo a seguito di una sconfitta militare e quindi più come prodotto di una crisi che non come autonoma azione riformatrice. Tuttavia, queste considerazioni non debbono indurre a pensare che si sia trattato di even­ to senza effetti colossali nella storia russa. A questa riforma ne seguirono altre, riconducibili al disegno politico illumina­ to dello zar. Con la riforma del 1864 la amministrazioni locali (zemstvo) acqui­ starono autonomia e favorirono la diffusione di presidi sanitari e dell’istruzione

30

L ’età della globalizzazione

elementare, anche se restarono sotto il controllo della nobiltà. La riforma del si­ stema legale (1864) contrassegnò la separazione del sistema giudiziario dall’am­ ministrazione, favorendo la diffusione di istituti minimi di garanzia e la nascita stessa della categoria degli avvocati. Il bilancio dello stato e la stessa gestione della moneta fu garantita dalla nascita della Banca di stato (1866) e dalla creazio­ ne di un’unica tesoreria. La leva militare fu ridotta da 25 a 6 anni, liberando forza lavoro. Si trattava di un complesso di riforme che puntavano a fare della grande Russia uno stato moderno e che incontrarono dure resistenze da parte della no­ biltà e dei circoli ufficiali. Inoltre, la rivolta della Polonia (1863), domata con una dura repressione l’anno successivo e sottoposta ad un processo di russificazione, e l’attentato allo zar del 1866 furono grossi ostacoli al progredire delle riforme. Tuttavia, la modernizzazione interna e il rafforzamento intemazionale della Russia caratterizzarono la politica di Alessandro II. I cosiddetti “trattati ine­ guali” imposti alla Cina nel 1858 (sottrazione della riva sinistra dell’Amur) e nel 1860 (acquisizione dell’Ussuri) inaugurarono la politica di espansione si­ beriana della Russia verso, la Manciuria che fu all’origine di tutta la politica russa in Estremo Oriente. Nel 1860 fu fondata Vladivostoclc, avamposto msso sul Pacifico, mentre nel 1875 la Russia restituì al Giappone le isole Curili in cambio della parte meridionale dell’isola di Sachalin. Contestualmente fra il 1865 e il 1876 la Russia si consolidava nella regione caucasica e nel 1881 si annetteva la regione transcaspiana. La guerra franco-prussiana e l’appoggio a Bismarck comportò la liquidazione delle limitazioni militari imposte dal congresso di Parigi (1856) alla Russia dopo la sconfitta di Crimea. Si trattò di una politica di convergenza che, dalla sottoscri­ zione della Lega dei tre imperatori (1872), si prolungò sotto diverse forme e no­ nostante le interruzioni fino alla caduta di Bismarck. Poi subentrò una politica di convergenza con la Francia che andò avanti fino allo scoppio della guerra mon­ diale e fu integrata nell’agosto 1907 dall’accordo anglo-russo che prefigurò la Triplice Intesa. Questo accordo giungeva dopo la sconfitta subita dal Giappone nella guerra del 1904-1905 e T allentamento della pressione russa in Estremo Oriente. I nuovi interessi prevalentemente balcanici della Russia in funzione di contenimento della presenza austro-ungarica furono alla base di questa conver­ genza.

3.2

La svolta reazionaria di Alessandro III

Ancora una volta una sconfitta militare impose un nuovo ritmo al processo rifor­ matore, come era accaduto cinquant’anni prima. Con la differenza che la morte di Alessandro n , per un attentato, e la successione dello zar Alessandro IH nel 1881 e poi di Nicola n , l’ultimo zar, nel 1894 aprirono un periodo reazionario

La Russia degli zar e la difficile modernizzazione di un impero arretrato

31

che si perpetuò a lungo, nonostante che in tem in i economici la Russia facesse passi da gigante sulla via dell’industrializzazione. Furono adottati strumenti an­ che giuridici di repressione con i cosiddetti “regolamenti temporanei” (1881), che in realtà furono tenuti in vita anche da Nicola E, che permettevano la repres­ sione del diritto di associazione e di stampa. Fu abolita l’autonomia universitaria (1884). Fu introdotta la figura di un funzionario dipendente dal ministro degli In­ terni e posto a capo degli zemstvo (1889), cui furono attribuite anche funzioni giudiziarie. Furono avviate nuove persecuzioni contro le minoranze religiose, so­ prattutto ebrei, che erano presenti nella Russia sud-occidentale e che furono di nuovo confinati nei ghetti. Si riaprì la triste stagione dei pogrom antiebraici. Più tardi, in particolare agli inizi del regno di Nicola E, fu accelerato il pro­ cesso di russificazione della Finlandia con la sostituzione di funzionari russi a quelli locali nei posti di responsabilità amministrativa e con l’estensione a quel paese della legislazione russa (1899). Questo contribuì a diffondere anche in Finlandia, oltre che in Polonia, una resistenza diffusa al dominio russo. Questa politica reazionaria non impedì che, grazie al ministro delle Finanze Vitte, la Russia assistesse ad un grande progresso economico. Nel decennio 1895-1905 fu raddoppiata la rete ferroviaria del paese e costruita la transiberiana. Quest’ultima immensa ferrovia rispondeva alle esigenze di una politica estera proiettata verso l ’Estremo Oriente e non era ancora completata quando scoppiò il conflitto russo-giapponese. Inoltre, il ministro, anche tramite la compressio­ ne della crescita dei consumi privati, favorì l’espansione dell’industria pesante funzionale a dare alla Russia una potenza militare comparabile con quella de­ gù stati più avanzati. Tuttavia, nonostante l ’accelerato progresso, con tassi di sviluppo vicini all’8% annuo, alla vigilia della Grande guerra la Russia aveva solo tre milioni di lavoratori industriali su 170 milioni di abitanti. I contadini continuavano ad essere i 3/4 della popolazione russa e il reddito prò capite (102,2 rubli) era ben lontano da quello tedesco (292 rubli), francese (355 rubli), inglese (463 rubli) o americano (695 rubli). Inoltre, tutta la crescita industriale russa era stata so­ stenuta da capitali stranieri: in prevalenza francesi, a partire dalla svolta in po­ litica estera degli armi ’90, e in subordine tedeschi. Ciò costituiva motivo di forte dipendenza.

3.3

La nascita dei partiti di modello occidentale

Questa grande trasformazione economica e sociale della Russia, avviata con la stagione delle grandi riforme di Alessandro n , contribuì a cambiare il volto an­ che politico della Russia nella quale i modelli occidentali di partito comincia­ rono a penetrare. I movimenti populisti a sfondo anarchico furono favoriti dalla

32

L ’età della globalizzazione

costituzione dei mir. Essi intendevano interpretare e sollecitare le potenzialità di rivolta della comune contadina senza puntare all*organizzazione di partito, che di per sé era considerata autoritaria, ma in una prospettiva di liberazione dal basso, con un processo spontaneistico, dal potere autocratico dello zar e della nobiltà. Il movimento fu duramente represso con i processi di massa del 1877 senza essere riuscito a provocare la rivolta generalizzata dei contadini. I suoi leader, quando non catturati e giustiziati, furono costretti ad emigrare co­ me Bakunin ed Herzen. Tuttavia, la sua trasformazione dette adito alla nascita di formazioni terroristiche, come Volontà e popolo, che teorizzarono Tassassi­ mo individuale, soprattutto di personaggi simbolo del potere: dall’ufficiale, al funzionario, al nobile per arrivare fino allo zar, e che divennero endemiche in un paese nel quale le libertà civili e politiche non avevano garanzie e il dissen­ so non poteva esprimersi in forme legali e accettate. Tuttavia, l’introduzione di forme di partito simili a quelle occidentali giunse solo alla fine del secolo. Nel 1898 venne fondato, su iniziativa di Plechanov, il partito socialdemocratico, d ’ispirazione marxista che al suo secondo congres­ so, tenuto a Bruxelles nel 1903, si articolò in due fazioni. I b o lsc ev ici propo­ nevano un’organizzazione di partito ristretta e compatta di rivoluzionari di pro­ fessione, fortemente ideologizzata, che da posizioni di minoranza e di guida delle masse perseguisse il disegno di abbattimento del potere dello zar (Lenin); i menscevichi concepivano una organizzazione più ampia, radicata nella società civile, e con metodi di lotta più vicini al modello socialdemocratico tedesco. N el 1901, su promozione di Cemov, nacque il partito socialrivoluzionario che raccoglieva l’eredità del populismo russo, assumendo posizioni estreme e adot­ tando tecniche di tipo terroristico. Nel 1903, infine, nacque l’Unione della Libe­ razione che era un partito la cui base sociale e la cui ideologia erano simili a quelle dei partiti liberali di tipo occidentale. Nel 1905 divenne, sotto la guida di Miljukov, partito costituzionale democratico, denominato dei Cadetti dalle ini­ ziali di questi due termini. Si trattava di una formazione politica che doveva rap­ presentare la Russia della modernizzazione industriale e dei nuovi ceti che ne erano l’espressione e che prospettava una riforma istituzionale e degli organi della rappresentanza analoghi a quelli che si erano affermati nell’Europa occi­ dentale.

3 .4

La sconfitta col Giappone e le nuove riforme

La sconfitta militare subita dal Giappone fu di nuovo, come dopo la guerra di Crimea, un grande acceleratore di riforme. In tutta la Russia e in particolare nelle grandi città scoppiarono rivolte, che culminarono nella cosiddetta dome­ nica di sangue del 22 gennaio 1905, duramente represse. Le stesse forze arma­

La Russia degli zar e la difficile modernizzazione di un impero arretrato

33

te manifestarono pericolosi segni di ribellione che avrebbero potuto portare il regime dello zar al collasso. E noto ira questi 1’ammutinamento della corazzata Potémldn. Dopo lunga incertezza che denotò l’incapacità di Nicola II di affron­ tare con prontezza e determinazione situazioni di emergenza e a seguito dello sciopero generale dell’ottobre 1905, lo zar emanò il M anifesto di ottobre (1905) con il quale garantiva la libertà e la formazione di un parlamento eletti­ vo {dumo). Quando nel maggio 1906 fu materialmente costituita la prim a duina, lo zar varò le leggi fondamentali che la inquadravano in un modello costituzionale puro, tale per cui il governo rispondeva solo allo zar e quest’ultimo manteneva poteri molto forti, compreso quello di scioglierla e di legiferare autonomamen­ te in stato di chiusura della sessione parlamentare {ukase). Tuttavia, la prima duma formata a suffragio quasi universale, anche se per i contadini era stata adottata una formula di voto indiretto, e la conquista del 38% dei seggi da par­ te dei Cadetti, in una situazione di boicottaggio elettorale della sinistra estre­ ma, sembrò avviare la Russia verso la normalizzazione parlamentare. Non fu così, perché lo scioglimento della prima duma a seguito del conflitto fra gover­ no e zar; nuove elezioni cui partecipò la sinistra che vide una grossa afferma­ zione e il nuovo scioglimento per mano del presidente del Consiglio Stolypin, con successivo cambiamento della legge elettorale che restituiva il controllo del 50% dei seggi alla nobiltà, ne svuotarono la capacità riformatrice. Il biennio 1906-1907, nel quale si svolgevano questi eventi che segnavano la battuta d’arresto del processo riformatore avviato nel 1905, sull’onda della sconfitta, vide la recrudescenza del terrorismo. Le vittime furono circa 5000 e fra queste anche i figli del primo ministro. Stolypin affiancò la politica reazio­ naria volta a reprimere la sinistra rivoluzionaria, m a anche a contenere le spinte riformatrici che venivano dai Cadetti, con una politica che rafforzasse nelle campagne il ceto favorevole alla conservazione. Il disegno politico puntava a consolidare la figura del contadino proprietario, favorendo la cessione della terra delle comuni in proprietà individuale ai capifamiglia. N on venivano toc­ cate le terre dei nobili, bensì solo quelle dei mir. Si trattava di una grande ope­ razione di consolidamento politico e sociale che puntava a togliere terreno alla protesta contadina e:quindi alle forze rivoluzionarie; Lo scoppio del conflitto mondiale sottrasse a questa politica i tempi necessari per divenire efficace ai fini della stabilizzazione. Inoltre, lo stesso Stolypin cadde per un attentato nel settembre 1911.

C apitolo 4

L’Italia e l ’ascesa di una potenza debole

4.1

governo della Destra storica

Il ceto politico al governo del paese quando scoppiò la guerra franco-prussiana era la Destra storica. Si trattava di un ceto politico erede di Camillo Benso di Cavour, del quale riproponeva il magistero, espresso da una borghesia e da ceti nobiliari relativamente omogenei in ragione del fatto che la proprietà fondiaria ne costituiva il tratto accomunante. Era un ceto che era stato protagonista della vicenda risorgimentale, in particolare dopo le rivoluzioni del ’48, ed aveva fat­ to proprio il modello costituzionale di tipo parlamentare che Cavour aveva im­ posto fino dalla metà degli anni ’50 nel Regno di Sardegna. Questo sistema implicava che, nonostante che la lettera dello Statuto prevedesse che la fiducia al governo venisse data in via esclusiva dal re, nella prassi costituzionale un governo guidato da un presidente incaricato dal re diveniva operativo solo pre­ via acquisizione della fiducia parlamentare. Esso doveva quindi avere la mag­ gioranza in Parlamento e la sua perdita comportava la caduta del governo. La Destra era un ceto espresso da un elettorato attivo ristretto perché aveva­ no diritto di voto per censo (almeno 40 lire Panno di ricchezza mobile) non più di 500.000 cittadini maschi e di questi esercitavano il diritto poco più della metà. Essa nutriva una fedeltà assoluta verso lo Statuto albertino e Pistituzione monarchica. Nessuno degli esponenti rilevanti della Destra aveva, infatti, ascendenze o precedenti repubblicani. _ - . Questo ceto politico aveva affrontato nel decennio post unitario le questioni intemazionali connesse al completamento delPunità nazionale, in particolare la questione del Veneto, del Trentino è della Venezia Giulia e la questione dello stato pontificio. D Veneto era stato acquisito grazie alla terza guerra d’indipen­ denza che vide nel 1866 l’Italia alleata della Prussia di Bismarck contro l ’Au­ stria. L’esito positivo della guerra sul fronte prussiano aveva comportato per Pltalia l ’acquisizione del Veneto, sia pure subendo l’umiliazione della m edia­ zione francese. Restava irrisolto il problem a del Trentino e della Venezia Giu­ lia, le terre irredente, che alimentava nel paese una corrente politica e di pen­ siero che rivendicava l’impegno della nazione ad ottenerne la liberazione.

VItalia e l'ascesa di una potenza debole

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La questione dello stato pontificio aveva creato non pochi problemi ai go­ verni degli anni ’60. Per due volte, nel 1862 e nel 1867, Garibaldi aveva cerca­ to di risolvere la questione con un’azione militare spontanea di patrioti volon­ tari che, superando le avversioni delle grandi potenze protettrici dello stato -pontificio, in particolare-là Francia di Napoleone HI, imponesse l’acquisizione allo stato italiano del Lazio e di Roma. Ma in ambedue i casi si era trattato di azioni fallimentari.- La prima volta perché il governo di Rattazzi, dopo aver da­ to un implicito avallo all’azione, era stato costretto ad intervenire su ordine dell’imperatore francese fermando Garibaldi all’Aspromonte; la seconda volta perché le stesse truppe francesi avevano bloccato i patrioti a Mentana. La soluzione diplomatica e di cautela che il governo Farini-Minghetti aveva trovato era stata il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e la rinuncia esplicita a fare di Roma la capitale del Regno. Questa soluzione, che era anche funzionale ad avere una capitale meno eccentrica nella penisola e strategica­ mente meglio difendibile in caso di guerra, era stata trovata previo accordo con la Francia grazie alla Convenzione di settembre (1864) che implicava anche la garanzia da parte italiana che lo stato pontificio non sarebbe stato toccato. Quindi, solo la fine dell’impero di Napoleone m avrebbe precostituito le con­ dizioni perché l ’Italia conquistasse lo stato pontificio e proclamasse Roma ca­ pitale, come era nelle sue aspirazioni. Sul piano della politica interna, i governi della Destra avevano avviato la co­ struzione di un vero stato unitario, ossia che non fosse tale solo sulla carta, con una serie di provvedimenti. Fra questi ricordiamo le leggi di unificazione ammi­ nistrativa e della legislazione civile (1865), optando, proprio per le incertezze sul futuro del paese, per una soluzione fortemente centralistica. La trasposizione dei codici fu operata estendendo la validità su tutto il territorio nazionale dell’ordina­ mento piemontese, fatta eccezione per la legislazione penale che fu riformata e unificata solo nel 1890 dal ministro Zanardelli. La Destra aveva, inoltre, conglo­ bato il debito degli ex stati regionali; aveva favorito la diffusione nel paese dei collegamenti ferroviari, grazie soprattutto alle concessioni date a grandi società finanziarie straniere; aveva operato l’esproprio dell’asse ecclesiastico (1867), estendendo a tutto il territorio nazionale i provvedimenti già adottati da Cavour in Piemonte e rimettendo sul mercato molte terre che, soprattutto -nell’Italia-meridio­ nale, erano rimaste congelate da secoli; aveva fortemente accresciuto la pressione fiscale per finanziare la diffusione nel paese dei servizi amministrativi essenziali.

4.2

La questione romana dopo il 1870

Quando scoppiò la guerra franco-prussiana e si venne profilando la caduta del­ l ’impero di Napoleone m , l’Italia si astenne da ogni intervento, al quale non era peraltro vincolata, nonostante la volontà di Garibaldi di correre in soccorso

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L ’età della globalizzazione

alla “sorella latina” e, a caduta avvenuta, si sentì liberata dai vincoli della Con­ venzione di settembre (1864) che le impediva di acquisire Roma. Dopo avere cercato invano di risolvere pacificamente la questione trovando un accordo con il pontefice Pio IX, il governo Lanza inviò a Roma le truppe comandate dal ge­ nerale Cadorna che provocarono la caduta dello stato pontificio, entrando nella capitale da Porta Pia il 20 settembre 1870. Questo evento, che fu militarmente di scarso significato e pressoché incruento, fu di portata colossale in termini politici interni e intemazionali. Sul piano interno, permetteva il trasferimento della capitale a Roma, secon­ do le aspirazioni espresse dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel marzo 1861 e il completamento dell’unità nazionale, salvo che per le terre irredente. Sul piano intemazionale l ’opinione pubblica cattolica e le cancellerie delle po­ tenze cattoliche, in particolare l’impero austro-ungarico, avrebbero potuto in­ vocare reazioni dure anti italiane a tutela degli interessi del pontefice. Per fron­ teggiare questa difficile situazione fu varata la legge delle Guarentigie (1871), ossia delle garanzie che lo stato italiano riservava al pontefice nelle sue funzio­ ni di capo della Cristianità. Tale legge riservava alla Santa Sede ogni autono­ mia nell’esercizio delle sue funzioni, compresa quello di criticare apertamente l ’azione del governo italiano, senza alcun possibile condizionamento da parte di quest’ultimo, e riservava al Vaticano e alle sedi delle case cardinalizie lo sta­ tus di extraterritorialità. Veniva abolito ogni obbligo di giuramento di fedeltà allo stato da parte degli ecclesiastici. L’unica possibilità d ’intervento che lo sta­ to si riservava era il placet e V exequatur, ossia un istituto per il quale i parroci e i vescovi, nominati in completa autonomia da parte della gerarchia ecclesia­ stica, potevano raggiungere la sede di destinazione solo previa autorizzazione dello stato italiano. Si trattava di una minima tutela, per dissuadere la gerarchia più oltranzista dal fare propaganda anti italiana, peraltro utilizzata in modo assai discreto da parte dello stato poiché i conflitti manifesti furono ben pochi. Ciononostante, il pontefice rigettò la legge delle Guarentigie e nel 1874, alla vigilia delle prime elezioni politiche successive a Porta Pia, approvò l ’emanazione di un decreto noto come Non expedit che invitava i cattolici italiani dall’astenersi dal parteci­ pare- all* elettorato attivo- e passivo,- ossia d’andare a votare e di farsi eleggere alle elezioni politiche. Al contrario, i cattolici partecipavano alle elezioni am­ ministrative perché i comuni erano considerati espressione della tradizione profonda del paese e, in quanto tali, espressione della cultura cattolica. Inoltre, la Santa Sede orientò il movimento cattolico ufficiale, quello confessionale or­ ganizzato nell’Opera dei Congressi, su posizioni avverse allo stato unitario. Tale linea di intransigente avversione allo stato unito e di rivendicazione del­ lo status quo ante, ossia del potere temporale del pontefice, gravò a lungo nella storia dell’Italia postrisorgimentale, indebolendone e rallentandone la stabiliz­ zazione interna. Infatti, poiché la quasi totalità dei cittadini italiani erano di re­

L'Italia e l'ascesa di ima potenza debole

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ligione cattolica le condanne della gerarchia ecclesiastica e l’accusa alla classe dirigente del regno di non rappresentare la comunità nazionale, il paese reale, e di essere solo espressione del paese legale, ossia di istituzioni senza consenso, costituivano un attacco pesante portato all’unità' e alla coesione nazionale. Questo non significa che non esistessero i cattolici “conciliatoristi”, ossia di­ sponibili a superare il conflitto, anche in considerazione del fatto che la tutela deir esercizio del potere spirituale del pontefice era tutelato e la caduta del po­ tere temporale era stato solo un beneficio fatto alla Chiesa. Infatti, i cattolici italiani non seguirono in toto gli indirizzi della Chiesa romana. Tuttavia, questo stato di rottura indebolì l’unità nazionale e si perpetuò con momenti di partico­ lare asprezza anche con il pontefice Leone XHI, che era subentrato a Pio IX nel 1878, e che guidò la Chiesa cattolica fino al 1903. Con Pio X (1903-1914) il conflitto si attenuò e poi si sciolse di fatto, anche se, sul piano formale ed ufficiale, la Santa Sede mantenne la condanna degli eventi del settembre 1870 e della separazione ufficiale fra Chiesa e stato in Ita­ lia, aspirando ad una soluzione concordataria. In realtà, proprio Fazione dello stato italiano aveva liberato il governo pontificio dagli oneri della gestione del potere temporale che, oltre a tutti i gravami ad esso connessi, imponeva azioni lesive della stessa autorità spirituale sopranazionale del pontefice ed aveva quindi procurato ad essa grande beneficio.

4.3

L’avvento al potere della Sinistra

Alle elezioni politiche del 1874 la Destra storica, pur conservando la maggio­ ranza, dimostrò di essere in perdita di consensi, soprattutto nei collegi meridio­ nali. Ciò derivava da un complesso di motivi fra cui dobbiamo inserire la leva obbligatoria, che nel Mezzogiorno non era esistita nel regime borbonico, e an­ cor più l’imposizione fiscale crescente, necessaria per finanziare le strutture del nuovo stato unitario e per sostenere una politica di bilancio rigorosa che lo portasse al pareggio. In particolare, riscuoteva forte avversione la tassa sul ma­ cinato, che era stata introdotta nel 4 868 per fronteggiare le difficoltà-finanzia­ rie aggiuntive che si erano manifestate dopo la terza guerra d ’indipendenza. La perdita di consenso nei collegi meridionali fu molto grave per la Destra e pre­ luse alla perdita del potere perché nel sistema politico italiano, complesso e ar­ ticolato in realtà locali molto differenziate e sostanzialmente riflettente il duali­ smo nord-sud, ogni maggioranza che volesse tenere saldamente il potere dove­ va essere in grado di svolgere una mediazione fra gli interessi territoriali delle due maggiori aree ih cui si divideva il paese. Si tratta di una regola che emerse con chiarezza allora nella storia d ’Italia e che si è perpetuata sotto diverse for­ me fino ai giorni nostri.

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L'età della globalizzazione

Alla Destra si opponeva in Parlamento una Sinistra, sempre di natura costi­ tuzionale, che si articolava in diverse componenti, fra le quali soprattutto la Si­ nistra storica di ascendenza repubblicana e garibaldina, ma ormai pienamente convertita alla lealtà monarchica e statutaria, che aveva il suo maggior leader in Agostino Depretis. La natura più eterogenea della Sinistra derivava dalla base sociale meno omogenea che l’esprimeva. La Sinistra era espressa prevalente­ mente dal ceto medio, soprattutto urbano, legato alle professioni e alle attività artigianali, oltre che dalla piccola borghesia dipendente. Depretis presentò a Stradella il 10 ottobre 1875 il programma della Sini­ stra che si articolava nella riforma elettorale, volta ad allargare l ’elettorato attivo e a modificare il metodo elettorale corrente, che era di modello fran­ cese, uninominale a doppio turno; nel decentramento amministrativo; nelle riform a del sistema fiscale e dell5ordinamento scolastico, con l ’introduzio­ ne dell’istruzione elementare obbligatoria, già prevista dalla legislazione corrente, ma non realmente cogente. Inoltre, la Sinistra era portavoce di una politica di maggiore rigore verso la Chiesa schierata, come abbiamo visto, contro lo stato nazionale. D i fatto, la caduta del governo Minghetti, avvenuta nel marzo 1876, dopo il raggiungimento del pareggio del bilancio, la cosiddetta “rivoluzione parlamen­ tare”, avvenne per la spaccatura della Destra, manifesta da tempo, su un tema rilevante di politica economica, ossia la statizzazione delle ferrovie. Si trattava di un discrimine netto per i due fondamentali indirizzi di politica economica che la scienza economica del tempo veniva elaborando. H primo era rigorosa­ mente liberista e quindi intendeva ridurre al minimo l’intervento dello stato nella gestione economica del paese, nel presupposto che il mercato fosse in grado di adottare meccanismi di riequilibrio automatici. Aveva il suo campione teorico in Francesco Ferrara. Il secondo, elaborato dalla scuola economica tedesca, ma recepito in alcune Università italiane del Nord, tanto da essere chiamato scuola del LombardoVeneto, guidata da Fedele Lampertico e Luigi Luzzatti, chiedeva l’intervento dello stato, soprattutto dove la gestione di. taluni servizi di interesse pubblico non poteva rispondere unicamente all’interesse di compagnie private che, per loro_natura,-.erogavano-solo servizi economicamente -remunerativi.—^Inoltre, avanzava proposte di protezione del mercato nazionale dalle merci estere, so­ prattutto per i manufatti, per favorire la crescita dell’industria, contro la scuola liberista che affermava principi di libero scambio intemazionale basati sul pre­ supposto della specializzazione delle produzioni nazionali. Nello specifico del ceto politico della Destra, mentre i Toscani e gli Emilia­ ni, guidati da Ricasoli, da Minghetti e da Peruzzi erano rigorosamente liberisti, la Destra lombarda e piemontese, guidata da Lanza e da Sella, era piuttosto in­ terventista. Quindi, dal momento che stavano per scadere le concessioni alle compagnie ferroviarie che gestivano le diverse tratte del servizio nazionale, si

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39

riteneva di cogliere l’occasione per operare la statizzazione. N ella divisione gravavano anche interessi particolari perché esponenti della Destra toscana, che da allora fu chiamata in modo dispregiativo Consorteria, avevano interessi finanziari nella gestione ferroviaria, in particolare nella compagnia Strade fer­ rate meridionali. L a Consorteria trovò quindi terreno di convergenza con la Si­ nistra che era su posizioni liberiste anche se poi questa fu costretta ad attenuare queste posizioni per evenienze finanziarie e commerciali intemazionali.

4.4

La stagione dei governi Depretis

Depretis formò quindi il suo primo governo nel marzo 1876 e consolidò la sua maggioranza alle elezioni del novembre successivo, anche facendo uso massic­ cio dei prefetti per garantire reiezione del candidato ministeriale., soprattutto nei collegi meridionali, dove peraltro la Sinistra era di per sé favorita. Questa era una prassi che in taluni casi già era stata sperimentata dalla Destra, ma che dal 1876 fu esaltata favorendo un processo di commistione e di confusione fra politica e amministrazione, oltre che di corruzione, che contribuì a consolidare T arretratezza sociale e politica di talune aree del paese, in particolare nel Mez­ zogiorno. L’avvento al potere della Sinistra favorì l’enucleazione nel 1877 di una Sini­ stra intransigente guidata da Agostino Bertani che fu chiamata Estrema, in virtù della collocazione all’estrema sinistra assunta nell’emiciclo parlamenta­ re, nella quale si riconobbero i radicali e si collocarono i socialisti, quando per la prima volta alle elezioni del 1882, con Andrea Costa, entrarono in Parlamen­ to. I repubblicani mancarono à lungo dalla Camera dei Deputati perché, anche quando eletti, rifiutando di giurare fedeltà allo Statuto albertino, venivano espulsi. N ell’ambito della riforma fiscale, che era uno dei punti chiave del program­ ma della Sinistra, l’abolizione della tassa sul macinato, ossia sulle farine, fu lenta e graduale e si concluse solo nel 1884. Fu rapida l ’introduzione della legislazione scolastica-che rendeva-cogentel’obbhgo-dell’istruzioneelem entarer grazie alla legge Coppino del 1877. Fu al contrario assai lenta la realizzazione del decentramento amministrativo che raggiunse risultati apprezzabili solo con il governo Crispi alla fine degli anni ’80. Parimenti graduale e rinviata nel tempo fu l’abolizione del corso forzoso. Si trattava di un provvedimento che era stato introdotto nel maggio 1866, nell’e­ mergenza della terza guerra d’indipendenza, e che aveva abolito la convertibi­ lità della lira in oro o argento. Questo provvedimento aveva di fatto svalutato la lira e il differenziale fra il valore imposto e quello riconosciuto veniva registra­ to sui mercati finanziari intemazionali quando lo stato italiano intendeva piaz­

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L'età della globalizzazione

zare i titoli della rendita pubblica. Tale scarto veniva definito aggio in riferi­ mento al valore della lira oro. Con legge dell’aprile 1881 il corso forzoso fu abolito, tuttavia l ’attuazione della legge fu rinviata al 1883 e completata nel 1886. L’operazione, finanziariamente onerosa per lo stato che dovette costituir­ si cospicue riserve in oro, argento e biglietti di stato convertibili, ebbe effetti positivi sulla lira che riacquistò credibilità intemazionale, aumentando il pro­ prio potere di acquisto. Ciò favorì le importazioni di prodotti esteri in Italia e fu di ostacolo alle esportazioni, agendo come fattore di riequilibrio rispetto al leggero protezionismo introdotto da Depretis con le tariffe doganali del 1878 e rinforzato cinque anni dopo.

4 .5

La riforma elettorale e l'impossibile introduzione del modello britannico

Il dibattito sulla riforma elettorale si trascinò a lungo e giunse a conclusione solo nel 1882, dopo che le elezioni politiche del 1880 avevano registrato una consistente ripresa della Destra. La discussione si protrasse perché la riforma elettorale si articolava in due fondamentali aspetti. Il primo riguardava la ridu­ zione del censo che garantisse l’accesso al voto a ceti sociali più ampi di media e piccola borghesia, fino ad allora esclusi. Tuttavia, era difficile valutare quale fosse la misura giusta della riduzione. Nella definizione del criterio del giusto gravavano gli interessi del ceto politico che aspirava a vincere le elezioni e, nello specifico, una eccessiva riduzione poteva favorire l ’accesso al voto di ce­ ti rurali che avrebbero potuto essere mobilitati della Destra. Il risultato finale fu, dopo lunga discussione, l ’abbassamento del censo a 19,80 lire di ricchezza mobile, dalle 40 precedenti la riforma, e l’introduzione del criterio della capacità come alternativo al censo, ossia sapere leggere e scri­ vere, perché si era fatta la seconda elementare oppure si dimostrava di essere alfabetizzati. Nelle intenzioni della Sinistra l ’introduzione del criterio della ca­ pacità, dopo che era stato reso cogente l ’obbligo scolastico grazie alla legge . Ceppino,- avrebbe gradualmente attuato il- sufeagio universale maschile, In realtà, si trattava di un ’opinione ottimistica, m a scarsamente concreta perché la legge Coppino ebbe u n’efficacia relativa, soprattutto nei comuni rurali e nell’Italia meridionale, in quanto gli oneri finanziari per sostenere l’edilizia scolasti­ ca e per pagare lo stipendio ai maestri erano a carico degli enti locali che spes­ so non erano in grado di sostenerli. Inoltre, in aree particolarmente disagiate del paese, in particolare da molte località dell’arco appenninico, era impossibi­ le per i bambini raggiungere la sede della scuola. Solo con la legge Daneo-Credaro (1912), che introdusse la scuola elementare di stato e finanziò con risorse del bilancio dello stato l ’edilizia scolastica, la lotta all’analfabetismo si dotò di

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strumenti più efficaci. Fu inoltre abbassata a 21 armi l’età di accesso al voto, da 25 che erano. Tutto ciò comportò un allargamento del suffragio a oltre due milioni di aventi diritto, da circa 500.000 che erano. Il secondo aspetto della riforma riguardava il metodo. I collègi uninominali favorivano i notabili e la Destra ne era assai più ricca della Sinistra. Da qui nacque l ’idea di abolire i 508 collegi uninominali accorpandoli in 135 grandi collegi territoriali, nei quali competevano le liste in luogo dei singoli candida­ ti. In Francia, Tanno prima, nel 1881, era stato introdotto lo scrutinio di arrondissement, poi modificato in scrutinio di lista nel 1885, proprio nel tentati­ vo di battere la destra. Nelle intenzioni, questo tipo di sistema elettorale a scrutinio di lista avrebbe dovuto favorire le aggregazioni di partito, avviando il sistema politico italiano verso Tacquisizione del modello britannico. In que­ st’ultimo modello, infatti, ampiamente studiato e dibattuto in Italia, il duali­ smo delle forze politiche, whig e toiy, che si alternavano al governo del paese, era considerato un modello idealtipico, efficiente e positivo. Inoltre, in Inghil­ terra gli schieramenti parlamentari avevano avviato la costruzione di u n ’orga­ nizzazione di base nel paese che configurava veri e propri partiti politici na­ zionali. In realtà, il sistema appariva alla distanza così perfettamente organizzato so­ lo perché sfuggiva la presenza di partiti d’ispirazione nazionale, come per esempio il partito nazionale scozzese, misconosciuto in Italia solo perché era volutamente ridotto ai minimi termini e perché il peso demografico ed econo­ mico della Scozia era modesto. Tuttavia, al di là di queste deformazioni di ana­ lisi che occultavano i limiti di quel sistema, il dato di fondo che mancava in Ita­ lia e che impediva di recepire il modello britannico era rappresentato dalla completa separazione fra politica e amministrazione che vigeva in quel paese. Quel sistema operava grazie a sollecitazioni che venivano dal basso, dalla so­ cietà civile, in modo autonomo, espresse da forme diffuse di autogoverno loca­ le, e che da esse tramite l ’eletto nei collegi uninominali a maggioritario secco si configuravano in proposta politica. Tutto ciò era il frutto di una sedimenta­ zione storica che scontava un’unità nazionale e amministrativa di antichissima data. - In Italia* al contrario, T amministrazione era strumento della politica poiché la costruzione unitaria interna era appena agli inizi e doveva essere realizzata contro lè spinte centrifughe in atto. La proposta federalista, infatti, che era stata di Cattaneo e di altri, non aveva avuto concreto seguito. L’omogeneizza­ zione era indotta dall’alto, quindi, non dal basso come prodotto storico. Inol­ tre, il quadro politico e istituzionale britannico registrava una larghissima dif­ fusione di valori condivisi, anzitutto in merito all’istituzione m onarchica e al­ l ’unità nazionale. Questo non era il caso dell’Italia. In questo paese infatti operava un movimento cattolico ufficiale (Opera dei Congressi) che attaccava la legittimità delle istituzioni unitarie a favore di un’autorità religiosa sopra­

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nazionale. Inoltre, esisteva un’opposizione di sinistra di natura extraparla­ mentare, rappresentata dal movimento repubblicano che, pur avendo pieni ti­ toli come partito risorgimentale, si manteneva su posizioni avverse alla mo­ narchia.

4.6

Repubblicani e internazionalisti

La sinistra estrema, poi, alla vigilia delle elezioni politiche del 1882, si era ar­ ricchita di nuovi soggetti che le forze costituzionali, della Destra e della Sini­ stra, consideravano pericolose. Oltre ai repubblicani, tramite un percorso ini­ ziato alla metà degli anni ’65, si erano diffuso nel paese il movimento interna­ zionalista. A ll’origine tale movimento, ispirato e promosso dal rivoluzionario russo Bakunin, che aveva soggiornato a Firenze e a Napoli dal 1864, aveva avuto un’impronta rigorosamente anarchica. Puntava più alla lotta con mezzi violenti contro le istituzioni dello stato piuttosto che contro il capitale e rifiuta­ va il principio di organizzazione di partito come strumento di guida del movi­ mento perché considerato autoritario. Su questi punti il conflitto con Marx era insuperabile e destinato a condurre alla crisi l’Intemazionale. Ben presto, dopo una prima fase di non chiara distinzione fra internazionali­ sti bakuniniani e repubblicani, cui aveva concorso anche il fatto che i due mo­ vimenti condividevano la priorità della lotta politica sulla lotta economica, si giunse alla rottura. Il conflitto fu. netto sulla diversa posizione assunta verso la Comune di Parigi, condannata da Mazzini e difesa dagli internazionalisti italia­ ni. Il nodo del contenzioso emerso riguardava il metodo di elevazione della classe operaia che per i repubblicani doveva avvenire in modo graduale, trami­ te gli strumenti dell’organizzazione cooperativa e usando l’educazione e l ’i­ struzione come mezzi di formazione civile. Per gli internazionalisti, al contra­ rio, la lotta rivoluzionaria alle istituzioni era il mezzo per abbattere con l ’insur­ rezione gli strumenti dell’oppressione che era a un tempo politica ed economi­ ca. Agli inizi degli anni ’70, dunque, dopo la Comune di Parigi, la scissione era del tutto consumata. Tuttavia, gli anni ’70 furono anche il decennio nel quale l’internazionalismo anarchico, colpito da una raffica di arresti a seguito di insurrezioni fallite nelle Romagne (1874) e nel Matese (1877), dimostrò la sua debolezza e la sua so­ stanziale incapacità di affrontare i problemi della classe operaia emergente. Di qui il graduale distacco di alcune figure come Gnocchi Viani in Lombardia e Andrea Costa in Romagna che promossero, il primo a Milano e il secondo in Romagna, due formazioni politiche, rispettivamente il partito operaio (1882) e il partito socialista rivoluzionario delle Romagne (1881) che, a diverso titolo, erano in polemica con i metodi insurrezionisti degli anarchici.

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Nella prima formazione il distacco era più netto perché, al di là della dizione di partito, la sua configurazione era piuttosto sindacale, lo sfondo sociale di so­ stegno erano le leghe di mestiere e le società di mutuo soccorso lombarde e il metodo era gradualista. Il presupposto ideologico del partito era che dovesse essere assolutamente di classe, senza la presenza di borghesi, di “colletti bian­ chi”, ossia di lavoratori della mente piuttosto che del braccio. Questo presup­ posto si dimostrò un grave limite organizzativo e un ostacolo alla sua diffusio­ ne. Fu superato nel 1892 grazie all’azione di Filippo Turati nel momento in cui fu fondato a Genova il partito socialista italiano. M a alle origini fu necessario per dare all’organizzazione un profilo autonomo. Il partito fondato da Costa, al contrario, mantenne relazioni più strette con il mondo anarchico; il distacco fu meno netto, soprattutto perché Costa, pur rigettando il metodo insurrezionista, manteneva finalità rivoluzionarie. Questa realtà, anche se magmatica, ancora incapace di darsi u n ’organizza­ zione nazionale di partito, era tuttavia indicativa del fatto che nel paese si veni­ vano configurando opposizioni di natura sia politica sia sociale all’ordine co­ stituito. H filone internazionalista che con la svolta della fine degli armi ’70 stava assumendo un connotato classista, ossia volto a fare della lotta economi­ ca e sociale della classe operaia un mezzo di costruzione rivoluzionaria della società socialista, era motivo di preoccupazione assieme ad altri per i ceti libe­ rali e costituzionali che si apprestavano nel 1882 al suffragio allargato.

4 .7

La Triplice Alleanza, cornice della politica estera italiana fino ' alla guerra

La strategia elettorale che fu adottata e che introdusse nel sistema politico, ol­ tre che nel gergo politico corrente, il trasformismo va quindi inquadrata in un contesto intemo e intemazionale nel quale il ceto politico dirigente tese a sen­ tirsi isolato e minacciato. N el 1881 col Trattato del Bardo la Francia aveva im­ posto il protettorato sulla Tunisia con il beneplacito dell’Inghilterra. Era la di­ mostrazione ch& la poMticadeHe “mani nette” perseguita-daL ministro degh Esteri Corti del governo Cairoli al congresso di Berlino non pagava e che l ’Ita­ lia, perduta la tutela intemazionale della Francia che risaliva ai tempi dell’im­ peratore, non era in grado di fare da sola. Inoltre, al di là delle aspirazioni coloniali, esistevano delle questioni intema­ zionali aperte e potenzialmente pericolose che consigliavano di uscire dall’iso­ lamento. La prima riguardava le terre irredente (Trento e Trieste) che alimenta­ vano un movimento di rivendicazione in patria che tuttavia non aveva possibi­ lità di essere sostenuta con T Austria. La questione apriva quindi un rischio di conflitto che il regno d ’Italia non avrebbe potuto affrontare. L a seconda que-

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stione riguardava il conflitto con il pontefice. Caduto Napoleone EH, la Santa Sede trovava il massimo sostegno intemazionale alle sue rivendicazioni nelTimpero asburgico. Da questo stato di cose nacque il disegno dell’alleanza italiana con Austria-Ungheria e Germania che fu consolidato nel maggio 1882 con il Trattato della Tripli­ ce Alleanza. Si trattava di un’alleanza di tipo difensivo, ma di ispirazione sostan­ zialmente antifrancese, nella quale l’Italia entrava in posizione subordinata, otte­ nendo solo, di fatto, di vedere riconosciuto dall’Austria lo status quo di Roma ca­ pitale del regno. Nel 1887, al momento del rinnovo, la situazione migliorò perché il ministro degli Esteri Robilant ottenne una clausola aggiuntiva che prevedeva compensi territoriali per ITtalia qualora TAustria modificasse a proprio favore lo status quo nei Balcani. Era un modo indiretto per riproporre la questione delle ter­ re irredente come compenso ad eventuali acquisizioni austriache. La Triplice Alleanza rimase il perno delle relazioni intemazionali dell’Italia fino allo scoppio della guerra, nel 1914. Tuttavia, il profilo antifrancese delTalleanza, nell’accezione italiana, si modificò nel tempo. Ebbe una forte ac­ centuazione nel decennio 1888-1898 in concomitanza con la guerra commer­ ciale italo-francese, per poi attenuarsi nel nuovo secolo in virtù di convergenze di politica coloniale.

4.8

Trasformismo e scambio politico

Come conseguenza di questo clima interno e intemazionale di assedio, T allar­ gamento del suffragio e:Ta modifica del sistema elettorale favorirono il feno­ meno della “trasformazione” degli schieramenti, ossia la'formazione di liste nelle quali figuravano esponenti della Destra e della Sinistra. Questo accordo era stato promosso da esponenti “transigenti” dei due schieramenti, rispettiva­ mente Minghetti e Depretis, mentre era avversato da quanti come Cairoli nella Sinistra e Sella nella Destra credevano nella purezza e nella coerenza dei pro­ grammi e dei partiti. Esso rispondeva quindi a questi obiettivi: difendere il si­ stema politico e sociale del paese dai suoi nemici e stabilizzare la maggioranza parlamentare, allargandola. Tale sistema di garanzia interna si combinava.con l’esigenza, da sempre avvertita, di costruire maggioranze in grado di operare compensazioni ed equilibri territoriali e d ’interesse fra le parti del paese, in particolare fra nord e Mezzogiorno. H “grande centro” alimentato dal sistema trasformista sul quale si sarebbero appoggiati i governi con una politica di ba­ sculla, più a destra o più a sinistra, rispondeva a questi obiettivi. Nel tempo, e in particolare nell’età di Giolitti, dopo la svolta del nuovo seco­ lo, il trasformismo acquistò anche altre prospettive. Era intenzione di Giolitti fare del partito socialista un partito partecipe della vita delle istituzioni, coin­

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volgendolo con il programma dei suoi governi. Giolitti provò per la prim a volta a portare i socialisti.al governo nell’ottobre 1903 e ci riprovò nel marzo 1911 con la promessa del suffragio universale. In ambedue i casi il tentativo fallì per la debolezza dei riformisti di fronte alla montante opposizione dei massimalisti, anche se il gruppo socialista guidato da Turati votò alcune importanti riforme sociali d’ispirazione giolittiana. Ma ciò che contava era il modello di strategia politica adottata: ossia quella del grande centro che si apre e congloba le oppo­ sizioni piuttosto che quella dell’alternanza nella maggioranza e nel governo. Questa strategia dimostrava i suoi limiti nei seguenti aspetti. Anzitutto, dava per scontato che l ’integrazione politica e sociale del paese, che lasciava molto a desiderare, dovesse e potesse avvenire con un’operazione attuata al vertice politico del paese, piuttosto che dal basso verso l’alto. Insomma, si ripropone­ va quel vizio da piramide rovesciata del quale aveva parlato l’esponente della Destra Ruggiero Borghi, ossia di un ceto politico che pervade la società civile, piuttosto che esserne espressione. In secondo luogo, la politica del grande cen­ tro che aggrega e congloba per stabilizzare le istituzioni e allargarne la base di legittimazione imponeva l’azione amministrativa volta a garantire il successo dei candidati ministeriali, ove possibile. Infine, questa azione era più facile da attuarsi laddove l’autonomia e lo sviluppo della società civile erano deboli e i condizionamenti del potere politico erano più forti, ossia nei collegi meridio­ nali. Quindi accadeva che il controllo dei collegi meridionali diveniva funzio­ nale a garantire la sopravvivenza della maggioranza che, a sua volta, sotto la guida di Giolitti, perseguì un disegno di moderato progresso e di integrazione sociale e politica a tutto favore della realtà settentrionale e centrale del paese. M aquesto-implicava non ledere gli interessi fondamentali di ceti sociali meri­ dionali spesso assai arretrati. Insomma, il trasformismo si confermava essere una strategia guidata dal centro e basata sullo scambio politico, non virtuoso, fra interessi anche territoriali assai diversi. La nascita ufficiale del trasformismo provocò una reazione polemica interna alla Sinistra costituzionale che sfociò nella nascita, nel 1883 di un gruppo di circa ottanta deputati denominato Pentarchia, perché erano cinque le persona­ lità politiche che lo guidavano: Zanardelli, Baccarini, Cairoli, Crispi e Nicotera. In realtà,- si trattò -dell’ultimo tentativo di organizzare in chiave bipolare il sistema politico italiano. Fallì sia perché non riuscì ad aggregare in modo per­ manente tutta la sinistra parlamentare, radicali e socialisti compresi, sia perché non trovò adeguato sostegno in analoga intransigenza della Destra. Inoltre, ta­ luni dei leader politici sopra indicati si erano mobilitati per costituirsi una piat­ taforma politica in grado di condizionare Depretis, piuttosto che come alterna­ tiva ai suoi metodi. Quando Depretis morì nel luglio 1887, infatti, subentrò alla presidenza del Consiglio un pentarca, Francesco Crispi, che fece propri i meto­ di trasformistici del suo predecessore. Successivamente divenne presidente del Consiglio lo stesso Zanardelli.

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4.9

La svolta protezionista e remigrazione

H trasformismo accrebbe le sue valenze negative nella realtà meridionale del pae­ se anche in relazione alla decisa svolta nella politica economica del paese che fu assunta dall’ultimo Depretis nel 1887 e rafforzata da Crispi negli anni successivi. Il passaggio da una politica liberoscambista ad una politica protezionista, inaugu­ rata con le tariffe del 1887, fu determinato da diversi fattori. Anzitutto, va tenuto presente che, nonostante gli orientamenti prevalentemente liberisti della Sinistra, che furono confermati nel rinnovo per vent’anni delle concessioni ferroviarie alle compagnie private (1885), Depretis si fece promotore di iniziative a sostegno delrindustria siderurgica e cantieristica che non avrebbero potuto decollare senza l’appoggio dello stato. È il caso in particolare delle Acciaierie Temi (1884). La ri­ chiesta di aiuti e di protezioni per la produzione manifatturiera italiana era emersa con chiarezza dall’inchiesta industriale del 1874, senza esiti concreti allora per la debolezza politica ed economica dei ceti industriali. Mentre l’Inchiesta agraria, condotta da Jacini, che era partita nel 1877 e si era conclusa nel 1884, aveva avuto un’impostazione eminentemente liberista, riflettendo quello che era stato l’orien­ tamento preminente degli ambienti agrari italiani fino ad allora. Tuttavia, negli anni ’80 la grande crisi agraria cominciò a colpire anche l’I­ talia, spingendo i produttori italiani del settore cerealicolo verso la richiesta di protezione. L’origine della grande crisi affondava nella crescente immissione nei mercati mondiali di grani e farine prodotti negli Stati Uniti. Infatti, l ’avan­ zata della frontiera verso Ovest e i cospicui flussi migratori dall’Europa incre­ mentavano la produzione agricola di quella nazione anche grazie alla messa a coltivazione di terre vergini e per questo ad alta produttività. A questo fenome­ no economico interno va aggiunto il fattore dell’espansione geometrica delle marine mercantili con navi di ferro e motore a vapore che rendevano certe e ra­ pide le rotte dell’Atlantico e riversavano sui mercati europei cereali d ’ogni ge­ nere, a prezzi tali da mettere fuori mercato la produzione nazionale. Sono que­ stioni di cui abbiamo già parlato. La tecnologia dava le prime prove di sé come mezzo di globalizzazione dei mercati. - -La- spinta verso la-protezione del mercato -nazionale non era un fenomeno solo italiano. Infatti, la svolta protezionista, determinata dalla crisi agraria, fu fenomeno esteso a tutta Europa, con l ’eccezione dell’Inghilterra che aveva un’agricoltura ad altissima produttività e, soprattutto, intendeva privilegiare le proprie esportazioni manifatturiere, avvalendosi delle produzioni agricole im­ portate dall’impero. In Italia, poi, l’abolizione del corso forzoso e la rivaluta­ zione della lira avevano attenuato l ’impatto economico di questo fenomeno, pur non essendo risolutivi del problema. Tuttavia, le rese dell’agricoltura italia­ na erano più basse che in Francia e in Germania, e quindi Fimpatto del grano americano molto forte.

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Accadeva dunque che, mentre fino ad allora la totalità dei ceti agrari si era tenuta su posizioni liberoscambiste, ora il mondo dei produttori agricoli si divi­ deva. I viticoltori, i produttori di olio, di agrumi, di frutta e ortaggi in genere continuavano a difendere posizioni liberoscambiste, mentre quanti produceva­ no cereali chiedevano protezione. Questi ultimi, inoltre, più forti perché produ­ cevano i beni primari per l ’alimentazione della popolazione potevano costituire un asse di convergenza con settori siderurgici e amatoriali già sostenuti dalla finanza pubblica e che chiedevano a loro volta protezione. La tariffa generale introdotta nel giugno 1887 e più volte ritoccata negli anni successivi ebbe quindi effetti selettivi. Sul versante agricolo protesse la produ­ zione dei cereali, con tariffe che furono gradualmente elevate fino a sette lire e mezzo al quintale, e dello zucchero. Sul versante manifatturiero protesse 1’in­ dustria siderurgica, armatoriale, conciaria e tessile, della lana e del cotone, non della seta. Ne conseguì un danno grave per tutta Y agricoltura d ’esportazione e in particolare per la viticoltura che si vide precluso il mercato francese, allora particolarmente ricco per le esportazioni italiane perché la fillossera aveva ab­ battuto la produzione di vino di quel paese. Con la Francia, al di là delle tariffe del 1887, dal maggio 1888 Crispi ingaggiò una vera e propria guerra doganale con conseguente esclusione dei mercati che fu di particolare danno per l’Italia, in particolare per i vini meridionali dotati di alta gradazione e utili ,come vini da taglio. Sul versante manifatturiero furono danneggiate le industrie meccani­ che e chimiche, sia perché non protette sia perché il prezzo maggiorato dei pro­ dotti siderurgici ne aggravò i costi di produzione. Ne conseguì che nel Mezzogiorno i piccoli produttori che avevano investito, indebitandosi, in coltivazioni specializzate furono rovinati a tutto favore dei produttori di cereali che, protetti da dazi elevati, poterono continuare a tenere la terra in condizioni di arretratezza nei metodi di coltura, senza investimenti e quindi di scarsa produttività. Il dazio sul grano divenne quindi nel tempo uno strumento di conservazione dello status quo e di garanzia di interessi parassitari. Il fenomeno sociale correlato all’espulsione dal mercato di piccoli produtto­ ri e di braccianti fu l’emigrazione, che era già in atto per esubero della forza la­ voro prima delle tariffe protezionistiche, ma che dopo la loro introduzione rag­ giunse picchi di centinaia di-migliaia di unità l’anno. La destinazione degli emigranti, che erano prevalentemente anche se non esclusivamente meridionali, poiché il fenomeno fu alimentato anche dalle re­ gioni più depresse del nord come il Veneto, erano le Americhe: gli Stati Uniti, in maggior misura, il Brasile e l’Argentina in subordine. Tuttavia, a differenza di altri emigranti europei, i contadini meridionali non si riversarono sulla frontiera americana, sia perché essa si stava esaurendo, sia, soprattutto, perché partivano con l ’intento di mantenere la famiglia a distanza con le rimesse, di accumulare un gruzzolo per poi tornare e comprare la terra al paese di origine. Ereferivano quindi lavorare nelle grandi città costiere, New York in testa, oppure come ope­

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rai nella costruzione delle ferrovie transoceaniche per preparare i l ritorno. Quando, dopo qualche anno, il rientro avveniva, i soldi accumulati servivano per comprare la terra, come segno di riscatto sociale. Spesso ! investimento fal­ liva perché indirizzato all’acquisto di appezzamenti di terra vicini ai paesi di origine e pagati a caro prezzo e talora per l’indebitamento successivo all’acqui­ sto del podere necessario per garantirne la redditività. Allora il contadino ripar­ tiva di nuovo. Circa due terzi degli emigranti si stabilizzava poi in America. Gli effetti economici positivi del colossale e drammatico fenomeno sociale dell’em igrazione furono le rimesse in valuta pregiata. In particolare, gli effetti furono due. Anzitutto, il mercato meridionale accrebbe la propria capacità di acquisto e quindi di assorbimento dei manufatti; inoltre, i dollari cambiati in li­ re facevano entrare nel sistema economico nazionale la valuta pregiata neces­ saria per effettuare i pagamenti intemazionali di materie prime utili al sistema produttivo nazionale. In termini tecnici, fu elevato il vincolo della bilancia dei pagamenti (il rapporto fra i flussi finanziari in entrata e quelli in uscita) che, per u n ’economia di trasformazione come l’italiana, scarsamente dotata di m a­ terie prime, era una strozzatura allo sviluppo. Tuttavia, questi effetti positivi fa­ vorivano solo le aree del paese in via di industrializzazione, ossia il settentrio­ ne, riducendo il Mezzogiorno a mercato di tipo coloniale interno del paese.

4.10

Le riforme di Crispi e l’accentuato triplicismo

Le riforme di Crispi, divenuto presidente del Consiglio nell’agosto 1887, dopo la morte-di Depretis, riguardavano le seguenti materie. Fu rafforzato il potere del presidente del Consiglio nell’organizzazione dell’esecutivo e formalizzata la figura del sottosegretario, che era un politico e che aveva la responsabilità dei diversi rami d eh’amministrazione. Questo provvedimento (1888) consolidò i poteri di controllo politico dell’amministrazione. Fu introdotto il principio della alfabetizzazione come criterio di accesso all’elettorato amministrativo e l ’elettività del sindaco e del presidente della provincia (1888). Ciò favoriva il decentramento,,.che .tuttavia era compensato dalia-nascita: dellaG iunta provin­ ciale amministrativa (GPA). Questo organo, che era presieduto dal prefetto, aveva poteri di controllo sulle amministrazioni locali e divenne anche la giuri­ sdizione di prim a istanza per tutto il contenzioso amministrativo (1890), men­ tre la giurisdizione di seconda istanza fu affidata alla IV sezione del Consiglio di stato, creata ad hoc. Questo provvedimento definiva la lunga e fino ad allora non risolta questione del contenzioso amministrativo. Tuttavia, togliendo la materia dei ricorsi dei cittadini contro la pubblica amministrazione al giudice ordinario che, a differenza di quello amministrativo, era inamovibile, indebolì la posizione dei singoli verso l ’amministrazione.

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Inoltre, su promozione del ministro Guardasigilli Zanardelli, fu varata la rifor­ ma del'codice penale, unificato per tutto il territorio nazionale, che aboliva la pe­ na di morte e introduceva la libertà di sciopero. Contestualmente, contestualmen­ te fu introdotta la legge di pubblica sicurezza che dava ampi poteri discrezionali alle forze di polizia sulla stessa materia. Prima di concludere il suo primo gover­ no, inoltre, nel marzo 1891, Crispi, constatato il fallimento dello scrutinio di li­ sta, fece approvare una legge che restaurava il sistema elettorale uninominale maggioritario a doppio turno, di nuovo applicato nelle elezioni politiche dell’an­ no successivo e rimasto invariato anche quando nel 1912 fu introdotto il suffra­ gio quasi universale maschile. Va precisato che analogo ritorno c’era stato in Francia dopo che lo scrutinio di lista, introdotto da Gambetta nel 1885 proprio per far decantare i partiti, aveva favorito la crescita elettorale della dèstra. A questo primo periodo di governo di Crispi risale anche l ’accentuato triplicismo, che contribuì a fare degenerare le relazioni con la Francia, nella speran­ za, non soddisfatta, di ottenere vantaggi nel Mediterraneo con l ’appoggio di Bismarck. Inoltre, nel maggio 1889, Crispi firm ò il trattato di Uccialli con il ras d’Etiopia Menelik che, nelle intenzioni del governo, doveva garantire all’I­ talia il protettorato sull’Etiopia. Nel gennaio 1890 avvenne la costituzione uffi­ ciale della colonia Eritrea. Si trattava di una politica estera e coloniale aggres­ siva ed espansiva che aveva il suo corollario nelle accresciute spese militari. Crispi ed ambienti sia della Destra sia della Sinistra alimentavano l’illusoria speranza che la conquista delle “terre al sole” risolvesse i problemi del conta­ dino emigrante. In realtà, la Destra, soprattutto lombarda, legata ad ambienti imprenditoriali, era avversa a questa politica e ai costi relativi, data l ’arretra­ tezza economica italiana. Questa opposizione, guidata dall’esponente della Destra meridionale Rudinì, portò alla caduta di Crispi.

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Scandali bancari e nascita della Banca d’Italia

Per due anni, dal 1891 al 1893, Crispi restò lontano dal potere e la mano passò prima ad un esponente della Dèstra,“RudÌnì, pòi ad un espónente dellà Smistra, Giolitti. In questi due anni si verificarono eventi di grande rilievo per la storia bancaria e finanziaria del paese. Lo scandalo della Banca romana, che scoppiò nel corso del governo Giolitti, risaliva al 1889 quando un’inchiesta amministrati­ va del ministero del Tesoro, rimasta per tre anni segreta, dimostrò che la Banca aveva emesso una circolazione di moneta non autorizzata, con la quale aveva so­ stenuto speculazioni edilizie andate male e, forse, finanziato esponenti politici di rilievo. Allora, infatti, in assenza di una banca centrale e per i numerosi ostacoli che si frapponevano al superamento dei localismi post unitari, ben sei banche avevano mantenuto diritto di emissione di moneta, sia pure con diversa validità

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territoriale dell’emissione, talora nazionale talora solo locale. Lo scandalo dimo­ strò che il sistema doveva essere razionalizzato. Ne consegui la nascita nel 1893 della Banca d’Italia, con diritto di emissione e di vigilanza sul,sistema bancario, affiancata ancora dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia, che mantennero il diritto di emissione, anche se in condizioni più limitate, fino alla sua definitiva centralizzazione nell’Istituto centrale avvenuta nel maggio 1926. Sempre nel 1893 -fallirono due banche d’affari che negli ultimi anni si erano dedicate a speculazioni edilizie rivelatesi sbagliate: il Credito mobiliare e la Banca centrale. Da questa crisi scaturì il disegno di fondare anche in Italia, sul modello tedesco e con capitali anche tedeschi un nuovo tipo di banca, definita mista, che aveva sportelli su tutto il territorio nazionale e quindi raccoglieva il risparmio delle famiglie e lo trasformava in capitale di rischio investendo nello sviluppo industriale del paese. Nacquero quindi la Banca commerciale (1894) e il Credito italiano (1895). Giolitti cadde travolto dallo scandalo della Banca romana, anche se non fu mai dimostrato un suo coinvolgimento personale nella vicenda. Crispi tornò quindi al potere nel dicembre 1893. Governò l’Italia per quasi due anni e mezzo fino alla caduta avvenuta a seguito delle sconfitta di Adua (marzo 1896) nel tentativo di conquistare militarmente l ’Etiopia dopo il rifiuto del negus Menelilc di accettare la lettura data dagli Italiani del trattato di Uccialli, ossia il protettorato. In realtà, la ripresa della politica coloniale crispina si collegava alle gravi tensioni politiche e sociali interne e al tentativo del presidente del Consiglio di ottenere successi all’e­ stero per compensarle. Appena tornato al potere, infatti, nel gennaio 1894, fece scattare lo stato d’assedio in Lunigiana e in Sicilia. Questo istituto che prevedeva il trasferimento nelle mani dell’autorità militare del controllo del territorio e del­ l ’ordine pubblico e l’applicazione del codice militare di guerra. Nel primo caso, erano in atto rivolte alimentate dal movimento anarchico, diffuso in particolare presso i cavatori di marmo di Carrara. Nel secondo caso, si trattava di moti pro­ mossi dai Fasci siciliani e originati dalle condizioni inumane di lavoro, in partico­ lare nelle cave di zolfo. Crispi interpretò in chiave eversiva questi moti che erano in realtà determinati soprattutto da miseria, fame e disoccupazione e ne trasse spunto per varare provvedimenti legislativi che mettevano fuori legge i movimenti eversivi e quindi autorizzavano le forze di polizia al loro scioglimento forzato. Si trattava di provvedimenti che si dichiaravano antianarchici. In realtà, furono usati anche per sciogliere il partito socialista nell’ottobre 1894.

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Crispi, i socialisti e la sconfitta di Adua

Crispi, infatti, considerava quel partito una minaccia per lo stato. H partito era stato fondato da Turati, un avvocato milanese di origine radicale, a Genova, n ell’agosto 1892, scindendo definitivamente i socialisti dagli anarchici inter­

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nazionalisti e dagli operaisti intransigenti. Era il nuovo partito di classe che na­ sceva in Italia secondo i dettami della Seconda Intemazionale promossa a Pari­ gi tre anni prima. Turati era riuscito ad aggregare componenti diverse della Si­ nistra, compresa una componente di repubblicani collettivisti, in una prospetti­ va di superamento del radicalismo. Il partito nasceva col fine del riscatto della classe operaia, ma in esso potevano militare tutti coloro, proletari e borghesi, che si riconoscesseto nel suo programma di riscatto sociale e di realizzazione della società socialista. Infatti, ben pochi in esso, se si fa eccezione per Anto­ nio Labriola, avevano una conoscenza diretta del pensiero di M arx e per lo più, nel quadro della cultura evoluzionista imperante, si dava una lettura gradualista al pensatore di Treviri. Inoltre, le componenti interne erano diverse proprio perché composita era Torigine del partito. Pur condividendo tutti la prospettiva ultim a della realiz­ zazione della società socialista, la fondamentale divisione correva fra coloro che ritenevano essa dovesse essere conquista graduale e coloro che intendeva­ no applicare con intransigenza metodi estremi di rigetto della società borghe­ se. Nel tempo, e in particolare dopo la svolta del nuovo secolo, queste due po­ sizioni si sarebbero coagulate nella componente riformista e in quella massi­ malista. Allora, la necessità di costruirsi u n’autonoma identità e la politica re­ pressiva del governo ostacolavano ogni possibilità di dialogo con il ceto poli­ tico liberale. Il partito socialista al momento della sua nascita era debole e, salvo che nel­ le grandi città, le sue sezioni non si distinguevano dalle leghe, dalle Camere del Lavoro, dai sindacati di mestiere interni alle aziende. La sua forza e il suo se­ guito scaturivano dal movimento sindacale che era in fase espansiva nellTtalia avviata all’industrializzazione. D ’altra parte, le Federazioni di mestiere orga­ nizzate sul piano nazionale erano ancora pochissime in Italia. Si sarebbero dif­ fuse a partire dalla svolta del nuovo secolo trovando nella Federazione impie­ gati e operai metallurgici (FIOM) l’organizzazione di punta. Mentre negli anni ’90 si venivano diffondendo nel Settentrione, m a anche nel Mezzogiorno del paese, le Camere del Lavoro, organizzazioni di carattere territoriale che riuni­ vano le leghe di mestiere, industriali e rurali, e dalle quali il neonato partito traeva linfa vitale Tuttavia, anche se il processo di distinzione e di separazione fra l ’organizza­ zione di partito e quella sindacale fu all’inizio incerta, lenta e graduale, l ’ele­ mento innovativo era rappresentato dal fatto che a partire dall’anno successivo alla nascita, il gruppo parlamentare socialista si era costituito in “frazione” parlamentare del partito. Questo modello di relazione introduceva per la prima volta in Italia un tipo di dipendenza fra parlamentari e un’organizzazione ester­ na alla Camera, operante nella società civile, che rompeva gli schemi ottocen­ teschi della rappresentanza diretta senza intermediazioni. Il partito organizzato come collettore e mediatore di consenso si affacciava anche nel panorama poli­

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tico italiano e sarebbe divenuto grande protagonista della storia politica euro­ pea del XX secolo. Tre armi dopo, nel 1895, nasceva un altro partito organizza­ to nel paese, dal tronco del movimento mazziniano più ortodosso, il partito re..pubblicano. Fra i Fasci siciliani e il partito socialista non v ’era né coordinamento né con­ nessione d’azione. Tuttavia, il partito socialista aveva ritenuto di dare la propria solidarietà all’azione dei Fasci per le ragioni sociali delle loro rivendicazioni, facendo scatenare la reazione crispina. D ’altra parte, le esauste finanze pubbliche imponevano una maggiore pres­ sione fiscale che fu introdotta con provvedimenti impopolari, come la tassa, sul sale,_e_con.il tentativo di elevare di due decimi l’imposta fondiaria. Que­ st’ultimo disegno di legge provocò la rivolta politica e sociale degli agrari, co­ stringendo Crispi a ritirare il provvedimento e a ripiegare sull’ulteriore au­ mento del dazio sul grano, che dava gettito alla finanza pubblica, ma che ave­ va il deprecabile effetto di elevare il costo delle farine e del pane, gravante maggiormente sulla popolazione più povera, soprattutto urbana. Tentò anche una politica meridionalistica, non condizionata dagli interessi del nord del paese. Sospese i lavori del catasto estimativo che era assai avversato dagli agrari meridionali perché avrebbe fatto emergere terre non censite e aumenta­ ta la pressione fiscale, ma provò anche, senza riuscirvi, a sbloccare il latifon­ do siciliano. In sostanza, Crispi perseguì una politica contraddittoria, tale da alienarsi i sostegni della deputazione settentrionale, della Destra e della Sini­ stra, e da impaurire potenti interessi meridionali. Insomma, contraddisse le re­ gole stesse del trasformismo che imponevano accorte mediazioni territoriali. Dopo l ’annientamento del contingente guidato dal maggiore Toselli ad Amba Alagi (1895), Crispi tentò il rilancio della politica coloniale, ma perse defini­ tivamente il sostegno della maggioranza dopo la sconfitta di Adua (1896).

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La crisi di fine secolo

Con la caduta^ di'Crispi si chiuse definitivamente il tentativo, sia pure malde­ stro e contraddittorio, di portare avanti una politica di sviluppo nella quale gli interessi meridionali non fossero piegati agli interessi del nord del paese. Su­ bentrò alla presidenza del Consiglio l ’esponente della Destra che aveva con­ corso a sfiduciare Crispi, Rudinl, che inaugurò una politica prudente di chiusu­ ra dell’avventura coloniale e di riavvicinamento alla Francia con la quale ne] 1898 fu di nuovo firmato un Trattato commerciale. La politica protezionista non fu modificata, ma il clima delle relazioni fra i due paesi volse al segno po­ sitivo e ne riuscì attenuato, anche se non modificato, il triplicismo italiano. Le leggi antisocialiste di Crispi furono abrogate.

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MaJ_probierm„ più gravi che il nuovo governo dovette affrontare avevano natura interna ed erano sostanzialmente di profilo politico-istituzionale ed ecqnotnico-sociale. La prima delle due questioni riguardava il senso di asse­ dio percepito dalle istituzioni monarchiche e unitarie dello stato e dal ceto po­ litico di estrazione liberale che ne era il massimo tutore.. Le forze considerate minacciose erano i cattolici e i socialisti, anzitutto, che nel processo graduale di democratizzazione del sistema, avviato con la riforma elettorale e con Tin­ troduzione del principio della capacità, lasciavano presagire una crescita co­ stante nella rappresentanza politica. È vero che i cattolici erano ancora attesta­ ti su posizioni di astensione dal voto e dalla rappresentanza politica, ma erano pur sempre una minaccia latente, non superata dai tentativi conciliatoristi che molti governi, compreso quello di Crispi, avevano fatto. Lintransigenza di pa­ pa Leone XIII su questo punto restava immutata, anche se la Chiesa, con l’en­ ciclica Rerum Novarum (maggio 1891), aveva orientato le organizzazioni cat­ toliche verso attività positive di azione economica e sociale. L’enciclica, infat­ ti, definiva la posizione ufficiale della Chiesa in ordine alla questione sociale che i processi di industrializzazione diffusi in Italia ed in Europa, la lunga cri­ si economica e la crisi agraria avevano fatto esplodere. A ll’interno di questo quadro dottrinale che, comunque, segnava la distanza del pensiero cattolico dall’ideologica socialista, i cattolici si erano dedicati all’organizzazione di le­ ghe sindacali, di società cooperative, di casse rurali che rafforzassero il radi­ camento cattolico nel mondo del lavoro, ottenendo successo soprattutto nelle campagne. La minaccia era quindi di diverso segno, ma era percepita come attacco alle istituzioni e al ceto politico liberale; come possibile inquinamento della mag­ gioranza e del governo; come negazione dei valori risorgimentali e unitari e della laicità dello stato; come pericolo per l’ordine economico e sociale del paese. Queste tensioni politiche e istituzionali vanno calate in una fase storica nella quale la crisi dei sistemi elitari del XIX secolo sollevava grandi dubbi e preoccupazioni sugli esiti finali della transizione in atto. In Italia era aperto da­ gli anni ’80 il dibattito politico e costituzionale, dal quale erano emerse propo­ ste varie di “blindatura” del sistema politico e di garanzia per le élites domi­ nanti. "Nel 1897; poi,"un esponente "politico della'Destrà di grande spessóre in­ tellettuale come Sidney Sonnino, che sarà per due volte presidente del Consi­ glio, pubblicò sulla t6Nuova Antologia” un articolo dal titolo Torniamo allo Statuto nel quale proponeva di reintrodurre nella vita politica e istituzionale del paese la fiducia esclusiva del sovrano al governo in carica. Questo era pre­ visto dalla lettera dello Statuto albertino, ma contraddiceva la prassi costituzio­ nale della fiducia parlamentare che Cavour aveva introdotto ancora nel parla­ mento subalpino. Di fatto, avrebbe significato introdurre l’istituto del cancel­ lierato di modello tedesco, impedendo, come in Germania, alle opposizioni so.cialiste di poter incidere sulla politica del gabinetto.

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A questo percepito stato di assedio istituzionale e politico si aggiungeva la crisi economico-sociale che esplose nel 1898 e che si manifestò soprattutto con un forte rialzo del prezzo del pane. La causa economica principale della crisi furono la gra­ ve carestia del 1897, che vide crollare la produzione nazionale dei cereali, e i ritar­ di del governo nell5abbas sare il dazio sul grano e sulle farine per immettere a prez­ zo Ubero grani sul mercato nazionale. Questa situazione provocò rivolte e tumulti dada primavera 1898, a partire dalla Romagna, per estendersi in tutto il paese e trovare a Milano l’epicentro a maggio con gh assalti ai panifici e la dura repressio­ ne militare, quando il generale Bava Beccaris fece sparare sulla folla. Rudinì inter­ pretò i moti come il risultato di un disegno eversivo che non c’era e rinnovò la poHtica crispina degh stati d’assedio che furono estesi a tanta parte del paese. Furono arrestati esponenti cattoHci, sociahsti, repubblicani, poi rilasciati dalla magistratu­ ra, nella convinzione che fosse in atto un attacco ben orchestrato contro le istitu­ zioni. Lo stato d’assedio venne esteso a molte regioni del nord e del Mezzogiorno. Dopo la caduta di Rudinl, il nuovo presidente del Consiglio Pelloux ritenne di presentare all’approvazione della Camera misure drastiche di contenimento delle opposizioni, soprattutto socialiste, con strumenti giuridici permanenti di natura repressiva, contro le associazioni considerate sovversive, e di controllo preventivo sulla stampa. Questa iniziativa fu percepita, anche da gran parte del ceto politico liberale come un’inaccettabile attacco alle libertà statutarie, spingendo leader come Giolitti e Zanardelli all’opposizione e favorendo la convergenza su posizioni di avversione alla politica di Pelloux componenti del mondo liberale e di quello socialista. Fu proprio Giolitti, in un famoso discorso pronunciato nell’ottobre 1899 nel suo collegio di Dronero, ad avanzare una proposta politica opposta al­ la tesi della chiusura del sistema: piuttosto si doveva esperire il dialogo e l’a­ pertura alle opposizioni affinché le istituzioni del paese, monarchia compresa, fossero rivitalizzate da un consenso più ampio e socialmente diffuso nel paese. Questa apertura di Giolitti al mondo della sinistra, in particolare socialista, era anche reso possibile dal fatto che la componente riformista e gradualista stava assumendo il controllo del partito e che il “programma minimo”, sua bandiera, pur ribadendo l’obiettivo della società socialista, chiedeva riforme politiche ed economiche fortemente progressive,"ma non di natura eversiva (suffragio uni­ versale, indennità ai deputati, parità dei sessi, otto ore di lavoro, limitazioni al­ l ’orario di lavoro di donne e fanciulli, imposta progressiva sui redditi).

4.14

La svolta liberale

La lotta ai “decreti liberticidi” fu lunga, in Parlamento, nel paese ed anche in sede giudiziaria. M a si concluse con la vittoria liberale e socialista. Anche l ’as­ sassinio del re Umberto I, che avvenne a M onza nel luglio 1900 per mano"dèi-

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F anarchico Gaetano Bresci che lo voleva punire per la medaglia conferita al generale Bava Beccaris, non dette adito a contraccolpi reazionari. H successore al trono Vittorio Emanuele DI era favorevole alla linea Zanardelli-Giolitti che, dopo un intermezzo segnato dal governo Saracco, si affermò nel febbraio 1901 con la nascita di un governo presieduto dal primo,, con Giolitti agli Interni. Iniziò eo a questo governo la stagione-politica che nella storia italiana viene definita “età giolittiana”, anche se Giolitti tornò alla presidenza del Consiglio solo nell’ottobre 1903, e che si concluse, dopo la celebrazione del suffragio quasi universale, con lo scoppio della guerra mondiale, pur con 1*intermezzo di altri presidenti-deLConsiglio. Fu una stagione politica ricca di riforme politi­ che e sociali e nella quale l’Italia sperimentò uno sviluppo economico a tassi annui che oltrepassavano il 5% fino al 1907, più rallentato, ma costante anche negli anni successivi fino alla guerra, anche se confinato alle regioni del cen­ tro-nord del paese. La svolta immediata, tuttavia, non si concretizzò tanto e su­ bito nelle riforme varate, quanto piuttosto nell’apertura del governo verso le opposizioni di sinistra e del ministro dell’Interno verso i conflitti sociali pro­ mossi dalle organizzazioni operaie per rivendicare miglioramenti salariali e normativi per i lavoratori. Per la prima volta, Giolitti dichiarò che i conflitti sociali e l’uso dello scio­ pero come strumento di lotta non riguardavano lo stato, ma solo le parti coin­ volte. Lo stato non si doveva schierare perché le istituzioni rappresentavano tutti i cittadini e non una parte sociale. Solo se la lotta fosse stata portata alle istituzioni periferiche o centrali dèlio stato, questo sarebbe intervenuto con mezzi repressivi. Si trattava di una conversione di 180° nella politica del gover­ no che permise la rapida diffusione delle leghe sindacali e delle Federazioni nazionali di mestiere, premessa per la nascita nel 1906 della Confederazione generale del Lavoro che restò sempre saldamente controllata da riform isti, e che permise ai lavoratori di migliorare molto le condizioni salariali grazie agli scioperi quasi sempre vittoriosi del 1901 e, in minore misura, del 1902. N atu­ ralmente, questo valeva per le regioni del centro-nord, perché nel Mezzogiorno e nelle isole il dominio politico e sociale delle antiche gerarchie sociali restava intatto, anche con il sostegno delle forze dell’ordine. Giolitti partiva-dal presupposto che FItalia era a due velocità" e che qualsiasi politica riformatrice doveva muovere da questo presupposto, fl suo trasformi­ smo aveva la finalità.di aggregare il partito socialista, ch’egli auspicava restasse controllato dai riformisti guidati da Turati, al carro del governo. Si trattava, al solito, di una politica di rafforzamento della maggioranza e delle istituzioni per­ seguita dall’alto, cui non corrispondeva un analogo e parallelo processo dal bas­ so di nazionalizzazione delle masse. Inoltre, dando per scontato che il movi­ mento cattolico non si sarebbe mai organizzato in partito per promuovere una propria autonoma rappresentanza, presupposto che si sarebbe rivelato sbagliato, Giolitti .perseguì una politica discreta e prudente di avvicinamento alla. Chiesa.

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L'età della globalizzazione

In questa politica fu favorito dalla successione al soglio pontificio (1903) di Pio X e dal conseguente scioglimento dell’Opera dei Congressi da parte del nuovo papa (1904), preoccupato per gli orientamenti ad organizzarsi in partito politico che venivano emergendo da taluni ambienti dell’Opera. La politica di “conciliazione silenziosa”, senza tuttavia ipotizzare ih supera­ mento della separazione fra stato e Chiesa né pensare a formule concordatarie, si tradusse sia alle elezioni politiche del 1904 sia a quelle del 1909 nel sostegno cattolico ai candidati giolittiani in taluni collegi nei quali correvano il rischio di perdere contro il candidato della sinistra. Con questa politica, Giolitti perseguiva l’obiettivo di superare e chiudere una frattura gravissima della storia italiana che indeboliva le istituzioni unitarie, ossia la questione romana. Inoltre, riteneva che i cattolici nella grande maggioranza rappresentassero un’area moderata dell’opi­ nione pubblica del paese che, in quanto tale, sarebbe stata ima riserva di sostegno e di garanzia di stabilità della maggioranza liberale.

4.15

Le riforme di Giolitti

Quanto al Mezzogiorno, nel periodo giolittiano, a partire dal governo Zanardelli che compì a dorso di mulo un viaggio in Basilicata guidando la relativa inchiesta, fu adottata la politica delle leggi speciali. Si trattava di provvedimen­ ti specifici per singole aree: legge per la Basilicata (1904); legge per Napoli (1904); legge per la Calabria (1906); legge per la Sardegna (1909). Quanto alla legge per le province meridionali e le isole (1906), che era stata il cavallo di battaglia del programma del governo Sonnino del febbraio 1906, fu recepita da Giolitti, ma solo, in via immediata, per la parte relativa allo sgravio del 30% dell’imposta fondiaria per i produttori meridionali, mentre fu rinviata al com­ pimento dell’inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini meridionali la par­ te relativa alla modifica dei contratti nell’agricoltura meridionale. Giolitti con­ fermava con questa strategia la volontà di non incidere col bisturi sulle più m a­ croscopiche ingiustizie della realtà meridionale, in quanto quelle regioni resta­ vano una .riserva di. voti e sostegni^ministeriali imprescindibili^ In termini" di sviluppo sociale e politico, si consolidava l ’Italia a due velocità. I fenomeni di malcostume e di corruzione anche elettorale del Mezzogiorno non solo non erano combattuti dal governo, ma talora erano utilizzati a fini di stabilizzazio­ ne politica della maggioranza. L’età giolittiana fu anche periodo storico di grandi riforme. Da ricordare in particolare la nascita del Consiglio superiore del lavoro (1902) nel quale sede­ vano rappresentanti sindacali e che precostituiva la possibilità di esercitare un controllo anche periferico sulle condizioni dei lavoratori; lai.egge. che limitava l’utilizzo del lavoro femminile e minorile (1902); la legge istitutiva delle azien­

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de municipalizzate (1903) che allargava le condizioni di erogazione di servizi pubblici essenziali nei comuni a migliori condizioni economiche per i cittadi­ ni; la legge sulla statizzazione delle ferrovie (1905) che seguiva alla, allora m e­ no rilevante, statizzazione del servizio telefonico (1903). A conclusione del ventennio di rinnovo delle concessioni ferroviarie, Giolitti optava per la statiz­ zazione in un quadro di crescente ruolo dello stato nello sviluppo economico del paese. La conversione della rendita (1906) riduceva da 5% nominali a 3,75% e poi a 3,5% a partire dal 1912 gli interessi sui titoli della rendita pub­ blica. Era un provvedimento che presupponeva forte fiducia dei risparmiatori nei titoli di stato e solidità delle finanze pubbliche. Aveva il beneficio di alleg­ gerire il carico del servizio del debito. La legge istitutiva del monopolio delle assicurazioni sulla vita con la creazione dell’INA (1912) era funzionale a dare ai lavoratori una copertura pensionistica tramite le risorse messe a disposizione dalle assicurazioni private. Della legge di finanziamento dell’edilizia scolasti­ ca (1912) promossa dai deputati Daneo e Credaro ho già parlato. Quanto al suffragio universale maschile (1912), sperimentato alle elezioni politiche dell’ottobre 1913, giungeva dopo un lungo dibattito e dopo che il go­ verno Luzzatti (1911) aveva previsto un allargamento del suffragio a tutti colo­ ro che fossero dotati di capacità, ossia sapessero leggere e scrivere, togliendo il censo. Questo avrebbe avuto il deprecabile effetto di fare votare molti operai del nord, spesso sindacalizzati e che nelle Camere del lavoro si erano alfabetiz­ zati, mentre avrebbe escluso i contadini, soprattutto meridionali, per lo più analfabeti e il cui voto era una riserva di garanzia della sopravvivenza della maggioranza giolittiana. Per questo motivo, Giolitti introdusse il suffragio uni­ versale nel programma del suo governo del marzo 1911 estendendolo a tutti i cittadini maschi anche analfabeti purché avessero compiuto il trentesimo anno d’età e avessero prestato il servizio militare, Giolitti era convinto che con un programma come questo, che prevedeva il suffragio universale e la creazione dell’INA, i socialisti sarebbero entrati nel governo. In realtà, il gruppo socialista votò il programma del governo, m a non volle fam e parte. Si ripetè nel 1911 quanto era accaduto nell’ottobre 1903. Gli eventi della guerra di Libia radicalizzarono le posizioni interne al partito socia­ lista e contribuirono alla conquista della maggioranza del partito da parte dei massimalisti guidati da Serrati, da Lazzari e da Mussolini (1912).

4.16

La crisi del giolittismo

Quando fu celebrato il suffragio universale (ottobre 1913) ormai il sistema giolittiano era in crisi. I socialisti si erano definitivamente convertiti su posizioni di netta avversione al governo e allo stato, rifiutando ogni apertura al dialogo.

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L ’età della globalizzazione

La destra estrema aveva espresso dal 1910 un movimento organizzato denomi­ nato nazionalista che si sarebbe poi trasformato in partito. Esso rivendicava una politica aggressiva ed espansiva, esprimeva P avversione radicale antiso­ cialista e aveva stabilito collegamenti organici con gruppi industriali armato­ riali e siderurgici. Anche la destra liberale aveva assunto una configurazione più ampia e netta e costituiva una spina nel fianco della politica di Giolitti. H presidente del Consiglio affrontò il suffragio universale grazie al sostegno del mondo cattolico organizzato nell’Unione elettorale che era presieduta dal con­ te Ottorino Gentiioni. Il sostegno del voto cattolico veniva conferito ai candi­ dati giolittiani previa sottoscrizione da parte di essi nelle diocesi dell’impegno a garantire l’istruzione religiosa nella scuola pubblica; a non sostenere progetti di introduzione del divorzio nella legislazione; alla tutela della scuola privata e alla garanzia per le organizzazioni sociali cattoliche. Il patto Gentiioni, che era segreto e uffici aim ente non noto a Giolitti, non implicava l’abolizione su tutto il territorio nazionale del Non expedit, m a solo la sua sospensione. Esso contribuì a garantire la ricostituzione di una maggio­ ranza giolittiana di oltre 300 deputati, anche se indebolita rispetto alla legisla­ tura precedente, pur in condizioni di avanzata dei socialisti che conquistarono 52 seggi. Più di 200 deputati della maggioranza giolittiana erano stati eletti grazie al voto determinante dei cattolici. Alla vigilia dello scoppio della guerra mondiale il clima politico e so d a le del paese era ben diverso da quello degli esordi del secolo. Giolitti era convinto che il voto cattolico fosse divenuto ormai una riserva permanente e di garanzia per la maggioranza giolittiana. La componente più intransigente sui temi della laicità della sua maggioranza, i radicali, abbandonarono il sostegno al governo non appena fu reso pubblico dal conte Gentiioni l’effetto del patto sulla riele­ zione dei deputati giolittiani, provocando nel marzo 1914 le dimissioni del go­ verno. Ciononostante, Giolitti era convinto di essere riuscito a stabilizzare il si­ stema. Si sbagliava, infatti nel gennaio 1919 nacque il partito popolare, partito di ispirazione cattolica che accelerò il declino del ceto politico liberale. Giolitti era, inoltre, convinto che ben presto la sbornia massimalista sareb­ be declinata nel partito socialista, rimettendo il timone del partito nelle mani dei riformisti. In realtà, la cosiddetta “settimana'rossa”, ossia la secónda setti­ mana del giugno 1914 che vide diffondersi nel paese la protesta e il conflitto sociale anche con manifestazioni di natura eversiva, era indicativa di un pro­ cesso di radicalizzazione politica in fase di avanzamento, piuttosto che di de­ clino. Inoltre, lo scoppio del conflitto mondiale nell’agosto 1914 contribuì a consolidare le posizioni estreme piuttosto che attenuarle. Del resto, la situa­ zione economica del paese manifestava diffusi segni di crisi che contribuivano a rafforzare il disagio. L a sua maggioranza restava tale, m a quando scoppiò la guerra nell’estate 1914 Giolitti non era al potere, dal momento che lui stesso aveva favorito l ’ascesa di Salandra, esponente della Destra liberale, alla presi­

L ’Italia e l ’ascesa di una potenza debole

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denza del Consiglio per favorire un certo ricambio e tornare al potere al mo­ mento opportuno. Egli non potè operare in prima persona, quindi, in quella condizione di emergenza intemazionale e fu, come vedremo, progressivamen­ te emarginato e depotenziato sul piano interno e intemazionale.

C apitolo 5

Stabilizzazione e ripresa della Francia repubblicana

5.1

La nascita della Terza Repubblica e la comune di Parigi

Il primo decennio di vita di quella che poi si consolidò come Terza Repubblica fu assai incerto. Anzitutto, perché essa nasceva dalla sconfitta militare che aveva portato con sé la perdita dell’Alsazia e della Lorena, ferita permanente e mai ri­ marginata, e l’obbligo del pagamento di 5 miliardi di franchi oro. Inoltre, perché alle elezioni per l’Assemblea nazionale che si tennero nel febbraio 1871 vinsero i realisti con maggioranza schiacciante. La soluzione immediata fu promuovere alla presidenza del Consiglio Thiers, che era un monarchico in grado di ottenere anche l’appoggio dei repubblicani e che, in quella situazione nella quale l’eserci­ to tedesco era ancora sul suolo francese, poteva evitare lo scatenamento della guerra civile. Tuttavia, il dualismo fra la Francia più profonda e conservatrice e Parigi esplose il 18 marzo 1871 con la Comune di Parigi, proprio quando la sede del­ l ’Assemblea nazionale veniva trasferita da Bordeaux, ove era stata collocata durante la guerra, a Versailles, simbolo del potere monarchico. Il fenomeno della Comune che vide, per due mesi, l’alleanza fra la piccola borghesia radi­ cale e la sinistra di classe di diversa matrice, divenne uno spettro per la bor­ ghesia di tutta Europa. I provvedimenti che furono adottati dai comunardi abolivano la tripartizione e divisione dei poteri; affermavano il principio del controllo popolare della giustizia; sostituivano la polizia col popolo armato; laicizzavano l’istruzione; appiattivano lo stipetidio dei ‘frnizionàri^su quello degli operai e prevedevano la riorganizzazione della Francia come Federazio­ ne di piccoli comuni. Si trattava di un esperimento rivoluzionario che terro­ rizzò le borghesia di tutta Europa, oltre che francese, e che indusse Thiers a chiedere la liberazione di 100.000 soldati da parte di Bismarck per liquidare la Comune. Dai 21 al 28 maggio fu perpetrata la repressione. I comunardi fu­ cilarono sessanta ostaggi, fra i quali l’arcivescovo di Parigi, mentre l ’esercito guidato dal generale Mac Mahon sterminò 20.000 comunardi, mentre altri 10.000 furono processati e deportati.

Stabilizzazione e ripresa della Francia repubblicana

5.2

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La stabilizzazione della Repubblica e le riforme

La repressione fu così dura che per una generazione il movimento operaio e so­ cialista francese non riuscì a riorganizzarsi. La vittoria della repressione inde­ bolì anche le forze repubblicane, contribuendo per un decennio a rendere assai precaria la sopravvivenza della Repubblica. Il motivo di fondo per cui non si giunse alla restaurazione della monarchia fu che i monarchici erano divisi in quanto legati ad esperienze contrapposte. Mentre i Borboni, con il conte di Chambord, miravano a restaurare la Francia preorleanista anche nei simboli (i Gigli dei Borboni), gli Orleanisti, proprio perché eredi di Luigi Filippo, si sen­ tivano più vicini alla Francia borghese e moderata, ostile ai privilegi del clero e alla persecuzione della stampa. Dalla convergenza fra Orleanisti e repubblicani scaturì la costituzione del 1875 che configurava una repubblica di tipo parla­ mentare con un presidente della Repubblica eletto per sette armi da Assemblea nazionale e Senato, quest’ultimo a sua volta eletto per 3/4 con elezioni di se­ condo grado dalle rappresentanze locali. Alle elezioni politiche del 1876 e poi a quelle reiterate Fanno dopo la netta vittoria dei repubblicani bloccò gli ultimi tentativi di restaurazione monarchica del presidente della Repubblica Mac Mahon che rassegnò le dimissioni nel 1879 a seguito della vittoria repubblica­ na anche al Senato. Nel 1880 il ritorno del Parlamento da Versailles a Parigi, F amnistia ai comunardi, la reintroduzione del 14 luglio (presa della Bastiglia) come festa nazionale con associato inno della Marsigliese ebbero un valore simbolico e sostanziale di stabilizzazione repubblicana. Negli anni ’80 furono varate innovative riforme con la liberalizzazione della stampa e il riconoscimento del diritto di pubblica riunione (1881), mentre per il diritto di associazione si dovrà arrivare al 1901; il riconoscimento della legitti­ mità dei sindacati professionali (1884); Fintroduzione del sindaco elettivo (1882-84) anche se non a Parigi; Fintroduzione della legge sul divorzio (1884) e sulla possibilità di lavoro festivo. Questi due ultimi provvedimenti avevano natura anticlericale, anche se il secondo finiva per avere natura antisociale. Analogamente anticlericale fu la legge che nel 1881 introdusse la scuola pub­ blica gratùita è laica finóra 13 anni. Là lòtta contro ilpotereecclesiàstico fu in­ fatti un tratto forte e costante della storia della Repubblica, a partire dagli armi 580. La lotta passava attraverso il conflitto fra la legittimità repubblicana, la di­ fesa e indipendenza delle istituzioni della Repubblica, che affermavano princi­ pi di indipendenza dello stato dalla Chiesa, e le forze clericali che si richiama­ vano alla tradizione monarchica come stagione di dominio cattolico nell’istru­ zione e nella società civile. La riforma del sistema elettorale con Fintroduzione nel 1881 dello scrutinio di anvndissem ent e poi nel 1885 dello scrutinio di lista, che furono fortemente volute dal repubblicano Gambetta, miravano a chiarire e omogeneizzare le po­

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L ’età della globalizzazione

sizioni politiche della destra e della sinistra. In realtà, alle elezioni dell’ottobre 1885 questo nuovo sistema favorì l ’avanzata della destra, che in Francia aveva natura fortemente clericale e che continuava ad essere considerata una minac­ cia per la Repubblica, anche in virtù del fatto che essa trovava seguito e soste­ gno presso la casta militare, la nobiltà e parte dell’alta borghesia finanziaria e industriale.

5.3

Dal tentato colpo di stato di Boulanger al caso Dreyfus

D ’altra parte, la sinistra repubblicana e radicale era divisa sulla questione della politica estera e in particolare della revanche della Francia contro la Germania che l ’aveva umiliata e che le aveva sottratto l ’Alsazia e la Lorena. Mentre i repubblicani opportunisti tenevano una linea prudente e moderata, pur rispettan­ do il principio della rivendicazione delle terre sottratte, i radicali avevano posi­ zioni oltranziste. Le istituzioni furono, inoltre, investite da scandali di vario ge­ nere che ne minarono la stabilità. In questo clima, si affermò la figura del ge­ nerale Boulanger che, pur provenendo da posizioni repubblicane, raccolse i fa­ vori della destra, sia in termini finanziari, sia di consenso. Boulanger mise in atto un piano di tipo bonapartista, sul modello di quanto aveva fatto Luigi N a­ poleone quarant’anni prima, unendo demagogia populista e rivendicazione na­ zionalista. M a il colpo di stato, concepito nell’anno centenario della grande ri­ voluzione (1889), non fu attuato e lo stesso Boulanger fuggì a Bruxelles. Il ritorno al vecchio sistema elettorale uninominale a doppio turno, pur nel confermato suffragio universale, non fu sufficiente a rasserenare il clima poli­ tico del paese. Ormai la Repubblica era salva, m a i repubblicani o parte di essi non si identificavano più con la sinistra che stava assumendo caratteristiche di­ verse, nelle quali la componente di classe era in via di rafforzamento. D ’altra parte, si stava coagulando in partito una nuova destra, sempre a sfondo clerica­ le, che pur non avendo più intenti di restaurazione monarchica, veniva alimen­ tando tesi di un complotto interno che sarebbe stato concepito dalla sinistra di classe e dalle minoranze religiose. H mito dell’ebreo traditore e della finanza ebraica che tram a contro gli interessi nazionali faceva parte integrante del nuo­ vo clima culturale del paese. In questo contesto scoppiò il caso Dreyfus, capitano ebreo di origine alsa­ ziana assegnato allo stato m aggiore che fu accusato, con false prove, di spio­ naggio a favore della Germ ania tramite l ’addetto militare presso l’ambasciata tedesca di Parigi. D caso sarebbe rimasto confinato nelle aule giudiziarie, se non fosse stato per il fatto che le prove erano state palesemente manipolate per coprire un alto ufficiale non ebreo; che l ’obiettivo della persecuzione giudizia­ ria era un ufficiale ebreo e per di più di origine alsaziana, quindi responsabile

Stabilizzazione e ripresa della Francia repubblicana

di un tradimento che, a maggior ragione, esaltava l ’avversione antiebi. lo stato maggiore, oltre che della destra nazionalista; e che, soprattutto, questo caso tutta la destra francese, politica, istituzionale e sociale, cercava la rivincita dopo le sconfitte subite negli anni precedenti.La battaglia divenne apertamente politica quando Emile Zola pubblicò sulla testata diretta dal radicale Clemenceau “L’Aurore” il suo J ’accuse, lettera aper­ ta al presidente della Repubblica (gennaio 1898), nel quale enumerava per pun­ ti tutte le violazioni e gli abusi che erano stati perpetrati contro il capitano Dreyfus. L’attacco di Zola mobilitava il partito dei dreyfusardi, che era un orientamento nel quale gli intellettuali francesi per la prima volta assunsero un ruolo politico in prima persona. Molti di coloro che si schierarono a favore di Dreyfus in questa battaglia fondarono nel febbraio 1898 la Lega dei diritti del­ l’uomo che ebbe poi una valenza non solo interna, ma intemazionale.

5.4

La svolta politica del nuovo secolo

L’azione di Zola ottenne lo scopo di fare riaprire il processo a Dreyfus, che nel frattempo era stato degradato e deportato, m a nel 1899 la tensione politica di­ venne altissima, fino al rischio di colpo di stato, con un vero e proprio attacco della destra al nuovo presidente della Repubblica Loubet. Un esponente di que­ sta parte politica come Déroulède cercò addirittura di portare un reggimento a marciare sull’Eliseo. L’incarico di formare il nuovo governo al repubblicano Waldeck Rousseau (1899), cui partecipò anche ^socialista Millerand, segnò la svolta. Dopo la revisione del processo e pur ostinandosi lo stato maggiore a non riconoscerne l’innocenza, Dreyfus fu graziato dal presidente e successivamente reintegrato con il grado di maggiore. La svolta politica si sostanziò nel varo del­ la legge sul diritto di associazione (1901), con esclusione delle congregazioni religiose e nella limitazione del lavoro a 12 ore per gli adulti e 10 per i fanciulli. La sinistra socialista, le cui due anime si erano riavvicinate a difesa delle istitu­ zioni repubblicane, si scissero di nuovo nel 1901, soprattutto a seguito del caso Millerand che aveva avuto' il'tórtò'di coU'abd~ràrè‘còn W l’intransigente parti socialiste de France (Guesde) e nel parti socialiste frangais (Jaurès) per poi ricomporsi, su pressione dell’Intemazionale socialista, nel 1905, nella SFIO (