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Italian Pages 500 Year 2008
Università degli Studi di Trento Università degli Studi di Brescia Università degli Studi di Padova Università degli Studi di Trieste Università degli Studi di Udine Università IUAV di Venezia
Elide Tomasoni
LE VOLTE IN MURATURA NEGLI EDIFICI STORICI: TECNICHE COSTRUTTIVE E COMPORTAMENTO STRUTTURALE
Ezio Giuriani Irene Giustina Dina Francesca D’Ayala
2008
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO Dottorato di ricerca in Ingegneria delle strutture – Modellazione, Conservazione e Controllo dei Materiali e delle Strutture XX ciclo
Coordinatore del dottorato: Davide Bigoni
Commissione esaminatrice: Prof. Giorgio Cacciaguerra, Università di Trento Prof. Donato Sabia, Politecnico di Torino Prof. Andrea Benedetti, Università di Bologna
SOMMARIO
Vista la grande importanza delle strutture storiche in muratura e vista la necessità di tutelare il patrimonio architettonico del passato, il presente lavoro è stato indirizzato verso lo studio delle coperture voltate e della loro interazione con i sistemi di sostegno, con l’obiettivo di comprenderne il comportamento strutturale, di valutare la sicurezza delle strutture esistenti e di elaborare nuove teorie di calcolo e metodi semplificati per la definizione dello stato di sforzo nelle volte in muratura e per il dimensionamento di presidi strutturali efficaci e allo stesso tempo compatibili con le strutture storiche. La prima parte del lavoro è stata diretta verso l’analisi delle più diffuse tecniche costruttive delle volte in muratura negli edifici antichi: attraverso un’attenta indagine archivistico-documentaria e l’interpretazione critica della letteratura tecnica più diffusa in Italia tra il XV e il XIX secolo, si è cercato di individuare i principali orientamenti desunti dalla trattatistica e dalla manualistica, confrontandoli poi con la prassi costruttiva, a volte lontana dalle regole dell’arte e legata piuttosto a fattori economici e locali e alle capacità tecniche delle maestranze. Questa indagine preventiva ha consentito di acquisire un bagaglio di conoscenze indispensabile per un approccio corretto verso lo studio di strutture storiche e verso la progettazione di interventi di consolidamento reversibili e non invasivi in grado di ripristinare la stabilità delle coperture voltate. Nella seconda parte del lavoro, si è passati quindi all’analisi del comportamento strutturale delle volte in muratura, con particolare
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SOMMARIO
attenzione ad alcuni aspetti che, probabilmente per la loro complessità, non sono stati ad oggi sufficientemente indagati dalla letteratura scientifica. Lo studio si è quindi focalizzato sulla formulazione di una teoria per la valutazione degli sforzi nelle strutture voltate, rigorosa e allo stesso tempo sufficientemente flessibile da poter essere applicata anche a volte complesse, sviluppata sulla base di un precedente lavoro condotto dalla prof. Dina D’Ayala dell’University of Bath. Questa teoria, basata sull’analisi limite, attraverso una procedura computazionale relativamente semplice e facilmente applicabile a qualsiasi tipo di volta, consente di determinare la superficie delle pressioni e il corrispondente stato di sforzo nelle volte, tenendo conto anche degli effetti tridimensionali di interazione tra gli archi che si possono sviluppare in tali strutture. Tali effetti, trascurabili per alcuni tipi di volte, quali per esempio le volte a botte, diventano invece rilevanti per le volte complesse, quali per esempio le volte a padiglione, nelle quali, a causa della loro geometria e della cuspide lungo le diagonali, si sviluppano dei meccanismi nel piano del fuso che non possono essere colti dal classico schema ad archi affiancati. Il principale scopo del presente lavoro è stato proprio di comprendere il comportamento strutturale delle volte a padiglione, mai indagato precedentemente, cercando di fornire una trattazione esaustiva sui meccanismi e sulle azioni che si generano al loro interno, e di proporre validi strumenti di calcolo semplificati in grado di cogliere gli elementi essenziali per un eventuale intervento di consolidamento. L’ultimo aspetto indagato attraverso il presente studio riguarda il problema flessionale nelle volte. Attraverso un’indagine sperimentale su una porzione di volta a botte in muratura, si è cercato di individuare la soluzione progettuale più valida ed efficace per ridurre la flessione e per il ripristino strutturale di volte di edifici di valore storico e architettonico.
ii
SUMMARY
The historic buildings have not only an architectural and aesthetic value, but also historic, documentary, economic, social and symbolic values. The great importance of historical architectural heritage and the need for preservation of historical structures has directed this work towards the study of masonry vaults and the interaction between the vaults and the supports, with the objective to understand the static mechanisms developed in these vaults, to evaluate the safety factor to existing structures and to develop new methods for the structural analysis of masonry vaults. This is of great importance with regard to strengthening interventions because this work provides a useful contribution to the determination of the stress field in complex vaults. The first part of this work aims to investigate the most frequent building techniques in the historical masonry vaults: toward a careful research including the analysis of historical documents and the critical interpretation of technical literature between the XV and XIX century, the main trend gather from the technical literature are compared with the actual usual construction. This survey is very important to acquire an essential store of knowledge for a correct approach towards the study of historical architectural heritage and toward the conservation and preservation that can ensure the structural integrity and durability of the building ensuring respecting its form and historical evidences.
iii
SUMMARY
In the second part of this work, the structural behaviour of masonry vaults are investigate, with great care to the aspects that, probably for their complicacy, never was studied previously by the technical literature. This work aims to develop a computational procedure, which allows to define the 3D structural behaviour of complex masonry vaults. Using limit state analysis with finite friction, the proposed analytical method, based on lower bound approach, allows the identification of the optimal thrust surface and hence this method allows to obtain, for a generic type of vault, the actual crack pattern, the stress field and the horizontal thrust at the supports. The 3D effects can be neglected for simple vault (for example for barrel vaults), but they are very important for more complex vaults, like the pavilion vaults, because the complicated mechanisms developed in their web don’t allow to reduce the vault to a series of adjacent arches, without transversal connection. Sure enough, the main object of this work is to understand the actual structural behaviour of pavilion vaults, providing a comprehensive and rigorous dissertation about the structural mechanisms that develop in which. The last aspect studied concerns the flexional problem in the vaults. By means of laboratory texts, the structural behaviour of a portion of barrel vault and its interaction with the backfill are investigate. This study allows to identify the most indicate strengthening methods for limiting the flexural effect in the vaults of historical buildings.
iv
RINGRAZIAMENTI (ACKNOWLEDGEMENTS)
Desidero esprimere la mia gratitudine alla prof.ssa Irene Giustina e al prof. Ezio Giuriani per avermi dato la possibilità di fare questa esperienza. La prof.ssa Irene Giustina mi ha sempre guidato e consigliato al meglio; la sua precisione, preparazione e il suo interesse per questi argomenti sono stati per me da esempio e per questo vorrei rivolgerle un particolare ringraziamento. Grazie anche al prof. Ezio Giuriani, che ha messo a mia disposizione la sua esperienza e che, attraverso preziosi consigli e interessanti discussioni, in questi anni mi ha insegnato davvero moltissimo. Un ringraziamento speciale va alla prof.ssa Dina D’Ayala per avermi indirizzato con brillanti indicazioni e perché, con la sua passione per la ricerca e la grande competenza dimostrata, mi ha permesso di ottenere risultati insperati. Grazie anche al prof. Paolo Riva e al prof. Giovanni Plizzari per gli utili suggerimenti che mi hanno fornito e grazie ai tecnici del laboratorio Pietro Pisa dell’Università degli Studi di Brescia, in particolare al sig. Sebastiano Curcio e al sig. Luca Martinelli, che hanno reso possibile il perfetto svolgimento delle prove sperimentali. Vorrei inoltre ringraziare i miei amici e compagni di studio che hanno reso più piacevole quest’esperienza e in particolare Elisa Sala. Ma soprattutto desidero ringraziare i miei genitori e Valerio che, più di chiunque altro, hanno sempre creduto in me, mi sono stati vicini e mi hanno sostenuto anche nei momenti più difficili.
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vi
Ai miei genitori
vii
INDICE
Sommario
PARTE PRIMA: LE VOLTE IN MURATURA DALL’ANTICHITÀ AL XX SECOLO: LE PIÙ DIFFUSE TECNICHE COSTRUTTIVE E I PRINCIPALI ORIENTAMENTI DI STUDIO DEL COMPORTAMENTO STATICOSTRUTTURALE
1. INTRODUZIONE............................................................................... 3 2. LE TECNICHE COSTRUTTIVE........................................................ 7 2.1. CARATTERI
FORMALI E COSTRUTTIVI DELLE COPERTURE VOLTATE
DALL’ANTICHITÀ ALL’ETÀ MODERNA ............................................................. 7
2.1.1. Le origini delle strutture voltate 2.1.2. Lo sviluppo delle tecniche costruttive presso i romani
7 12
2.1.3. Tecniche di alleggerimento delle volte
155
2.1.4. Le volte nell’architettura bizantina
200
2.1.5. La costruzione delle volte nel periodo Medievale
233
ix
INDICE
2.1.6. Sviluppo formale e tecnico a partire dal XV secolo 2.2. LE
VOLTE IN MURATURA:
“LA
26
REGOLA D’ARTE” NELLA LETTERATURA
TECNICA TRA IL XV E IL XIX SECOLO......................................................... 28
2.2.1. La centina e le armature di sostegno
35
2.2.2. Esecuzione della volta in muratura
48
2.2.3. Il disarmo
59
2.2.4. Accorgimenti per il miglioramento della resistenza
61
2.3. LE
VOLTE IN MURATURA: LA PRATICA DEL COSTRUIRE IN ETÀ
MODERNA ATTRAVERSO ALCUNI CASI ESEMPLARI....................................... 68
2.3.1. Apparecchiature e metodi di irrigidimento
69
2.3.2. Le volte a vela della chiesa di San Fedele a Milano (XVI secolo)
76
2.4. BIBLIOGRAFIA ............................................................................ 81 3. SINTESI STORICA DEI PRINCIPALI STUDI SCIENTIFICI SUL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE........................ 963 3.1. CONOSCENZE FINO AL XV SECOLO ............................................... 93 3.2. PRIME INTUIZIONI (XV-XVII SECOLO)........................................... 95 3.3. STUDI SCIENTIFICI (XII-XIX SECOLO)............................................ 98 3.4. BIBLIOGRAFIA............................................................................ 107 4. INTUIZIONI STATICHE E COMPORTAMENTO STRUTTURALE A CONFRONTO:
IL
CASO
DELLE
CUPOLE
APPOGGIATE
SU
QUATTRO PILONI LIBERI .................................................................... 111 4.1. INTRODUZIONE ......................................................................... 111 4.2. INQUADRAMENTO STORICO: LO SVILUPPO DELL’IMPIANTO A QUINCUNX ............................................................................................................ 114 4.3. LE PRINCIPALI VICENDE PROGETTUALI E COSTRUTTIVE DELLA CUPOLA DI
SANT’ALESSANDRO A MILANO. .......................................................... 118 4.4. MODELLO AD ELEMENTI FINITI .................................................... 124 4.4.1. Comportamento strutturale delle calotte
x
130
INDICE 4.4.2. Comportamento strutturale del sistema costituito da cupola, tamburo e sistema di sostegno 4.5.
SCHEMA
SEMPLIFICATO
134 PER
LA
COMPRENSIONE
DEL
COMPORTAMENTO STRUTTURALE DEL SISTEMA DI SOSTEGNO E PER LA VALUTAZIONE DEL COEFFICIENTE DI SICUREZZA DELLA STRUTTURA .......... 135
4.6. COMPORTAMENTO STRUTTURALE DEL TAMBURO E DEL TIBURIO ... 142 4.7.
VERIFICA
DELLA
VALIDITÀ
DELLO
SCHEMA
PROPOSTO
E
DIMENSIONAMENTO DELLE CATENE ......................................................... 145
4.8. DISCUSSIONE SULLA VALIDITÀ DEI PRESIDI STRUTTURALI UTILIZZATI IN SANT’ALESSANDRO ............................................................................... 148 4.9. CONCLUSIONI ........................................................................... 152 4.10. BIBLIOGRAFIA ......................................................................... 154 5. CONCLUSIONI ............................................................................. 161 6. BIBLIOGRAFIA GENERALE ....................................................... 163
PARTE SECONDA: COMPORTAMENTO
STRUTTURALE
DELLE
VOLTE
IN
MURATURA 1. INTRODUZIONE........................................................................... 175 2. STATO DELL’ARTE E PRINCIPALI ORIENTAMENTI SCIENTIFICI ................................................................................................................ 179 2.1. INTRODUZIONE .......................................................................... 179 2.2. STUDI SCIENTIFICI SULLE COPERTURE VOLTATE .......................... 180 2.3. BIBLIOGRAFIA ........................................................................... 185 3. PRESENTAZIONE DI UN NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA ............................................................ 191 3.1. INTRODUZIONE .......................................................................... 191
xi
INDICE
3.2. PRESENTAZIONE DELLA TEORIA BASATA SULL’ANALISI LIMITE ....... 192 3.2.1. Ipotesi sulla resistenza del materiale
193
3.2.2. Approccio statico
197
3.3. CONCLUSIONI............................................................................ 199 3.4. BIBLIOGRAFIA............................................................................ 200 4. LE VOLTE A PADIGLIONE......................................................... 203 4.1. INTRODUZIONE ......................................................................... 203 4.2. INQUADRAMENTO STORICO ....................................................... 205 4.3. GEOMETRIE E TECNICHE COSTRUTTIVE ....................................... 213 4.4. PATOLOGIE STRUTTURALI DELLE VOLTE A PADIGLIONE ................. 221 4.5. STATO DELL’ARTE SUGLI STUDI DEL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE A PADIGLIONE
................................................................... 225
4.6. MODELLI AD ELEMENTI FINITI: ANALISI NON LINEARI ...................... 232 4.6.1 Presentazione dei modelli
232
4.6.2. Valutazione degli sforzi e delle spinte all’imposta
236
4.6.2.1. Sforzi meridiani σm ............................................................... 240 4.6.2.2. Sforzi paralleli σp .................................................................. 243 4.6.2.3. Sforzi di taglio τmp................................................................. 248 4.6.2.4. Sforzi di taglio τpn ................................................................. 249 4.6.2.5. Sforzi di taglio τmn................................................................. 249 4.6.2.6. Spinte all’imposta ................................................................. 250 4.6.2.7. Deformata e quadro fessurativo ........................................... 252
4.6.3 Interpretazione dei risultati delle analisi numeriche
253
4.7. MODELLO ANALITICO ................................................................. 254 4.7.1.Descrizione del modello teorico basato sull’analisi limite 255 4.7.2. Analisi dei risultati
267
4.7.3. Considerazioni sulla soluzione ottimizzata
281
4.7.4. Valutazione del coefficiente di sicurezza della volta
285
4.8. CONFRONTI
FRA I RISULTATI DEL MODELLO ANALITICO E DELLE
ANALISI AD ELEMENTI FINITI .................................................................... 286
xii
INDICE 4.9. DISCUSSIONE
SUL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE A
PADIGLIONE .......................................................................................... 293
4.10. MODELLI DI CALCOLO SEMPLIFICATI .......................................... 302 4.10.1. Teoria membranale classica
303
4.10.2. Schema ad archi
315
4.11. CONSIDERAZIONI SULLA VALIDITÀ DEI MODELLI SEMPLIFICATI ..... 322 4.12. CONCLUSIONI ......................................................................... 330 4.13. BIBLIOGRAFIA ......................................................................... 333 5. LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE ............ 337 5.1. INTRODUZIONE ......................................................................... 338 5.2. INQUADRAMENTO STORICO ....................................................... 339 5.3. STATO DELL’ARTE ..................................................................... 347 5.4. STUDIO
SPERIMENTALE DEL CONTRIBUTO IRRIGIDENTE OFFERTO DAI
FRENELLI .............................................................................................. 358
5.4.1. Descrizione del modello sperimentale
358
5.4.2. Caratteristiche dei materiali impiegati
364
5.4.3. Condizioni al contorno
365
5.4.4. Applicazione dei carichi
366
5.4.5. Strumentazione
370
5.4.6. Modalità di prova
373
5.4.7. Risultati delle prove sperimentali
374
5.5. CONSIDERAZIONI SUI RISULTATI DELLE PROVE SPERIMENTALI ...... 392 5.6. CONFRONTI TRA DIVERSI METODI DI IRRIGIDIMENTO FLESSIONALE 395 5.6.1. Risultati delle prove sperimentali su una volta con riempimento in materiale alleggerito 5.6.2. Confronti e considerazioni finali
395 406
5.7. CONCLUSIONI ........................................................................... 407 5.8. BIBLIOGRAFIA ........................................................................... 409 6. CONCLUSIONI ............................................................................. 415 7. BIBLIOGRAFIA GENERALE ....................................................... 419
xiii
INDICE
APPENDICI ....................................................................................... 428 APPENDICE A. GRAFICI DEGLI SFORZI NELLE VOLTE A PADIGLIONE RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI .................. 430 A.1. GRAFICI DEGLI SFORZI σm.......................................................... 432 A.2. GRAFICI DEGLI SFORZI σp .......................................................... 437 A.3. GRAFICI DEI MOMENTI mM .......................................................... 442 A.4. GRAFICI DEI MOMENTI mp .......................................................... 447 A.5. GRAFICI DEGLI SFORZI DI TAGLIO τmn,τmp E τpn ............................ 452 APPENDICE B. GRAFICI DELLE AZIONI INTERNE NELLE VOLTE A PADIGLIONE AL VARIARE DEL RAPPORTO FRECCIA/LUCE..... 457 B.1. VOLTA A PADIGLIONE CON FRECCIA DI 2 m (F/L = 1/3) ................. 458 B.2. VOLTA A PADIGLIONE CON FRECCIA DI 1,5 m (F/L = 1/4) .............. 466 B.3. VOLTA A PADIGLIONE CON FRECCIA DI 1,2 m (F/L = 1/5) .............. 474
xiv
PARTE PRIMA LE VOLTE IN MURATURA DALL’ANTICHITÀ AL XX SECOLO: LE PIÙ DIFFUSE TECNICHE COSTRUTTIVE E I PRINCIPALI ORIENTAMENTI DI STUDIO DEL COMPORTAMENTO STATICO-STRUTTURALE
1. INTRODUZIONE
Nel corso dei secoli le tecniche costruttive e i materiali impiegati per la realizzazione delle volte sono variati in funzione sia delle capacità tecniche dei costruttori sia del risultato formale che si voleva ottenere. Anche il fattore economico ha contribuito allo sviluppo e all’ideazione di nuove tecniche, ma è soprattutto grazie all’esperienza maturata nel corso dei secoli, alle indicazioni dei trattatisti sul dimensionamento in chiave geometrica e alle prime intuizioni statiche che è stato possibile realizzare strutture ardite e di indiscussa suggestione e bellezza. Capimastri, architetti e ingegneri dei tempi antichi ideavano e realizzavano le strutture avvalendosi dei mezzi a loro disposizione, affidandosi spesso all’intuito, all’esperienza pratica, acquisita per lo più in cantiere, e, in alcuni casi, a basi matematiche e a conoscenze di geometria pratica. È quindi importante conoscere come gli originali costruttori concepivano le loro opere, comprendere le fasi di edificazione delle strutture voltate, i materiali impiegati e le soluzioni più frequentemente adottate nel tentativo di migliorarne la resistenza e questo al fine di acquisire un bagaglio di conoscenze indispensabile per un approccio corretto verso lo studio di volte e cupole e verso la progettazione di interventi di consolidamento efficaci e allo stesso tempo compatibili con le strutture storiche. Questa indagine può essere svolta innanzitutto attraverso l’analisi della letteratura ufficiale, dalla quale si può dedurre un quadro completo delle conoscenze e delle tecniche costruttive impiegate in età moderna. Nel presente lavoro, quindi, dopo un excursus storico indispensabile per
3
CAPITOLO 1
l’inquadramento dell’evoluzione formale e tecnica che ha accompagnato la costruzione delle volte, sono state raccolte tutte le informazioni, spesso frammentarie e sintetiche, dedotte dai trattati e dai manuali di architettura, cercando di dar loro una veste organica e cercando di ripercorrere, con particolare attenzione alle soluzioni tecniche tese a migliorare la resistenza della struttura, le fasi di edificazione e i principali indirizzi di carattere formale, legati alle proporzioni e alle forme delle volte. Le indicazioni fornite dalla trattatistica e dalla manualistica di architettura tra il XV e il XIX secolo per la realizzazione delle volte a “regola d’arte”, hanno influito notevolmente sulle scelte progettuali degli architetti, soprattutto per gli edifici di maggiore importanza, tuttavia gli orientamenti nella reale prassi costruttiva potevano rivelarsi a volte diversi dalla “regola d’arte” perchè condizionati da fattori economici e locali e, in molti casi, anche dalle capacità tecniche delle maestranze. Attraverso l’analisi di alcuni casi reali di strutture voltate sono state quindi mostrate le più diffuse discrepanze tra l’arte di costruire e la reale prassi di cantiere, rinvenute in esempi di edilizia minore, e la conformità alle indicazioni della trattatistica, che porta spesso ad un evidente miglioramento del comportamento statico della struttura, di alcuni importanti cantieri lombardi. Infine, nell’ottica di comprendere la concezione originaria delle opere del
passato,
risulta
di
estrema
importanza
ripercorrere,
seppur
brevemente, l’evoluzione degli studi sulle strutture voltate, al fine di spiegare alcune scelte progettuali altrimenti ritenute ingiustificate. Dopo aver analizzato, anche attraverso l’interpretazione di documenti originali, i principali studi riguardanti archi, volte e cupole e lo stato di conoscenze sul loro comportamento strutturale, prendendo spunto dalle vicende inerenti alla prima cupola della seicentesca chiesa di Sant’Alessandro a Milano e dagli esiti disastrosi della sua esecuzione, che portarono alla demolizione della stessa cupola, si è proposta una rilettura, alla luce delle conoscenze attuali, di alcune scelte progettuali operate dagli architetti e dai costruttori del passato. Seguendo quindi una metodologia di ricerca scientifica tesa ad incrociare gli strumenti di indagine propri della disciplina storica, ancorata alle fonti archivistico-
4
INTRODUZIONE documentarie, e quelli più specificamente appartenenti alle discipline ingegneristico-strutturali, quali, ad esempio, l’analisi limite e le analisi ad elementi finiti, si è cercato di comprendere, in assenza di studi sistematici su questo argomento, il comportamento strutturale globale del nucleo centrale degli impianti a quincunx, costituiti da una croce greca inscritta in un quadrato, giungendo a fornire utili indicazioni di carattere generale sull’efficacia degli accorgimenti e dei presidi strutturali utilizzati in passato in simili strutture cupolate appoggiate su piloni liberi. Lo studio proposto ha inoltre consentito di esprimere considerazioni che investono anche il campo delle scelte formali e compositive (strettamente connesse, soprattutto in presenza di tali sistemi, con quelle strutturali) intraprese a partire dal XVI. Sulla scorta delle acquisizioni fatte, è stato inoltre possibile estendere il lavoro al caso più generale di cupole su piloni liberi, ottenendo, attraverso una particolare applicazione dell’analisi limite, il coefficiente di sicurezza per le strutture esistenti e proponendo formule di progetto per eventuali interventi di recupero.
5
CAPITOLO 2
2. LE TECNICHE COSTRUTTIVE
2.1.
Caratteri
formali
e
costruttivi
delle
coperture
voltate
dall’antichità all’età moderna
2.1.1. Le origini delle strutture voltate Nonostante le coperture voltate siano state utilizzate in tutte le loro forme e in maniera estensiva nell’architettura romana, tanto da divenirne uno degli elementi caratterizzanti, è necessario ricordare che già in Egitto e in Mesopotamia si possono ritrovare primitivi esempi di archi, volte e cupole risalenti al III millennio a.C. In realtà tali coperture si rifanno al principio del sistema trilitico: sono infatti costituite da blocchi sovrapposti posati progressivamente con una lieve sporgenza e convergenti nel vertice, il quale risulta chiuso con una lastra o un architrave di modeste dimensioni. A partire dal II millennio a.C. tali coperture vennero impiegate diffusamente nell’architettura micenea (tholoi) e in altre civiltà del Mediterraneo (per esempio i nuraghi sardi, i “sesi” di Pantelleria, le “navetas” delle Baleari e alcuni tumuli nell’area scitica) 1 (fig. 1-6). Spesso queste coperture vengono definite con il temine di “pseudovolte” o “pseudocupole”, in realtà però possono essere considerate delle vere e proprie volte in quanto ogni concio, seppur disposto orizzontalmente, trasferisce ai conci attigui azioni non solo 7
CAPITOLO 2
verticali, come accade nel sistema trilitico, ma anche orizzontali, come mostrato in recenti studi sui nuraghe sardi. Lo studio effettuato da Mirabella Roberti e Spina mostra anche come il riempimento superiore, che in alcuni casi veniva realizzato in terra, sia di estrema importanza, in questo tipo di strutture, per impedire il ribaltamento dei blocchi2. Un’altra particolare tecnica costruttiva diffusa soprattutto in Mesopotamia, in Assiria, in Egitto e successivamente nell’Oriente Bizantino è costituita da volte, in genere a botte, formate da una successione di archi inclinati composti da mattoni disposti a coltello. Attraverso tale tecnica era possibile realizzare volte senza l’ausilio di centine, in quanto il primo arco veniva appoggiato al muro di testa del vano da coprire e ogni arco successivo veniva sorretto dal precedente (fig.7).
Fig. 1. Micene, tesoro di Atreo, veduta del ”dromos”, XIV secolo a.C. La porta consentiva l’accesso al tholos, ovvero ad una stanza a pianta circolare con una cupola conica.
8
Fig. 2. Micene, tesoro di Atreo, veduta dell’interno. La volta è stata ottenuta dalla sporgenza di 33 anelli di blocchi concentrici (diametro: 14,5 m; altezza: 13,2 m).
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 3. Micene, tesoro di “Clitennestra”, particolare dell’interno. Secolo XV a.C. (Buti G, 1972, vol XIII, tav. 40)
Fig. 4. Sant’Antine, Sassari, corridoio del Nuraghe, VIII-IX secolo a.C. (Buti G, 1972, vol.XIII, tav 38)
Fig. 5. Kerč, tumulo Carskij, ingresso del sepolcro, IV secolo a.C. (Buti G, 1972, vol VI, tav. 352)
Fig. 6. Kerč, tumulo Carskij, particolare dell’interno, IV secolo a.C. (Buti G, 1972, vol XIII, tav. 40)
9
CAPITOLO 2
Sempre tra le opere degli Assiri e dei Babilonesi si possono individuare i primi esempi di archi a conci radiali, per esempio la porta del palazzo di Sardon II a Dur Sarrukin e la porta di Ishtar a Babilonia3 (fig. 8). Tali archi, che in genere erano posti a copertura delle porte urbiche, erano nella maggior parte dei casi archi a tutto sesto ed erano realizzati con conci in mattoni crudi disposti radialmente, ma con i giunti convergenti verso un punto più in alto rispetto al centro di curvatura dell’arco stesso4.
Fig. 7. Volta a botte realizzata con filari inclinati. (Choisy A., 1883, 33)
10
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 8. Porta di Ishtar a Babelonia, secolo VII-VI a.C., ricostruzione di Koldewey, Staatliche Museen, Berlino.
11
CAPITOLO 2
2.1.2. Lo sviluppo delle tecniche costruttive presso i romani I romani, pur riprendendo tecniche greche ed etrusche penetrate in Italia, le perfezionarono ed elaborarono al punto da assumerne la completa padronanza sia per quanto riguarda i materiali impiegati che le modalità realizzative e, sulla base più dell’esperienza maturata in seguito alla grande applicazione delle volte che dell’intuizione statica, mostrarono di aver acquisito la consapevolezza dei problemi legati all’utilizzo delle volte, ossia la necessità di irrigidire la volta e il fatto che questa sia una struttura spingente. I romani utilizzavano prevalentemente archi a tutto sesto nei quali i mattoni o i conci presentavano giunti tutti convergenti verso il centro di curvatura, andando così a formare opere caratterizzate da una grande regolarità. Inoltre, a partire dal III secolo a.C., le porte urbiche vennero costruite con archi perfetti e spesso con mattoni o blocchi di pietra conformati a cuneo per ridurre al minimo gli spessori di malta e per conferire una maggiore robustezza5. I romani utilizzarono raramente archi a sesto ribassato6, tuttavia fecero uso di piattabande formate da cunei opportunamente sagomati disposti ad incastro7 (fig. 9). Spesso le piattabande erano sormontate da archi di scarico a tutto sesto, che avevano la funzione di reggere il peso della muratura soprastante, riducendo così il carico gravante sulle piattabande stesse. Gli archi di scarico avevano probabilmente la funzione di andare a sostituire l’arco naturale di scarico che si sarebbe creato nella muratura in seguito al cedimento della piattabanda (fig. 10).
12
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 9. Piattabanda, Kalat Siman. (V secolo d.C.) (Mainstone R., 2001, 103)
Fig. 11. Tempio di Giove Anxur databile intorno alla prima metà del I secolo a.C. (Lancaster L.C., 2005, 5)
Fig. 10. Piattabanda con arco di scarico, Larario di Pompei, 60 d.C. circa. (Adam J. P., 1998,188)
Fig. 12. Volta a botte in opus caementicium con nervature in semilateres. (Lugli G., 1957, 667, tratta da Choisy A, L’art de batir)
13
CAPITOLO 2
Fig. 13. Volta con nervature in cui i vuoti vengono sfruttati per realizzare decorazioni a cassettoni. (Lugli G., 1957, 668, tratta da Choisy A, L’art de batir)
Fig. 14. Volta realizzata con un manto di mattoni bessali sul quale venivano posati altri mattoni di dimensioni minori posti in piano e bessali di coltello che avevano la funzione di creare un’ammorsatura. (Lugli G., 1957, 681, tratta da Choisy A, L’art de batir)
In un primo momento l’architettura romana fece largo uso di archi realizzati con grossi conci di pietra o con mattoni disposti radialmente, inserendo tra questi, all’estradosso, schegge più piccole e malta. Fu con il miglioramento delle tecniche costruttive e soprattutto con l’introduzione di malte pozzolaniche8, particolarmente resistenti, miste a inerti di varia pezzatura, che iniziò a diffondersi la tecnica delle volte in opus caementicium9. Fra i primi esempi di volte in opus caementicium si può annoverare il tempio di Giove Anxur a Terracina, databile intorno alla prima metà del I secolo a.C.10 (fig. 11), ma fu nell’età imperiale che questa tecnica, associata a quella a grandi blocchi, si diffuse e si sviluppò in tutto l’impero. In teoria le volte in opus caementicium avrebbero dovuto comportarsi come un monolite, ossia come un unico blocco di pietra che non avrebbe dovuto esercitare spinte orizzontali sui muri di sostegno. Tuttavia queste volte, a causa della limitata resistenza a trazione dell’opus caementicium, si fessuravano e tornavano ad agire sulle pareti come se fossero costituire da conci staccati. Fu probabilmente questo il motivo per cui, a patire dal I secolo d.C., i Romani iniziarono a realizzare le volte in opus caementicium con nervature meridiane di mattoni semilateres che, più
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE avanti, collegarono tra loro con mattoni di bipedali11 disposti ad intervalli regolari12 (fig. 12). Il fatto di realizzare volte nervate, infatti, consentiva di frazionare la massa di malta che veniva gettata tra i vuoti lasciati tra le nervature e di assecondare la naturale fessurazione che si sarebbe venuta a creare all’interno della struttura. In alcuni casi venivano sfruttati i vuoti lasciati fra le nervature per realizzare decorazioni a cassettoni (fig. 13). Nell’età di Domiziano e sotto Traiano, a partire dal II secolo d.C. si diffuse il sistema costituito da un manto di mattoni bessali posti in piano posati sopra la centina tra i quali, in alcuni casi, venivano inseriti altri bessali posti di coltello che avevano la funzione di creare un’ammorsatura. Per volte di piccole dimensioni, spesso il manto di bessali veniva cementato con malta a pronta presa e fungeva direttamente da centina sulla quale venivano poi posati altri mattoni di dimensioni minori (fig. 14).
2.1.3. Tecniche di alleggerimento delle volte Con l’aumento delle dimensioni delle volte, iniziò a nascere l’esigenza di creare strutture più leggere e allo stesso tempo resistenti. Per la prima volta nel Pantheon venne realizzata una struttura in cui la composizione degli inerti costituenti il riempimento in opus caementicium variava all’interno della massa muraria. A questo grandioso esempio ne seguirono numerosi altri: Tempio di Diana a Baia; Tor de’ Schiavi; la cupola del ninfeo dei giardini Liciniani; la semicupola dell’esedra nelle terme di Caracalla; ecc.13 (fig. 15).
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Fig. 15. Terme di Caracalla, 212-216 d.C., Vista dei diversi tipi di caementa utilizzati nella semicupola dell’esedra. Dal basso verso l’alto si possono osservare: mattoni, tufo, pietra vulcanica. (Lancaster, 2005, Plate IX)
Un altro metodo escogitato dai romani probabilmente per alleggerire le volte e per ridurre la spinta orizzontale consisteva nell’inserimento di olle laterizie all’interno della gettata in opus caementicium. In genere venivano inserite olle usate per contenere olio o pesce e che quindi difficilmente avrebbero potuto essere riutilizzate. Queste olle, che potevano essere innestate a madre e figlia oppure isolate14, presentavano una superficie esterna grezza che consentiva una migliore aderenza della malta (fig. 16). Uno dei primi esempi dell’impiego di anfore nelle volte romane è nella volta a crociera dei magazzini traianei a Ostia (126 d.C. circa); si possono poi ricordare la villa alla Vignaccia (130 d.C. circa); il
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE mausoleo di Sant’Elena (fig. 17), detto infatti tor Pignattara (326-330 d.C.) e molti altri. Tuttavia l’inserimento di tali olle non mostra una corretta applicazione del concetto di alleggerimento in quanto, come si può osservare, venivano inserite nelle reni della volta, andando quindi ad indebolire quella zona che necessiterebbe di maggiore spessore e resistenza15. Un uso più consapevole delle olle laterizie lo si ritrova invece nel tempio di Minerva Medica (prima metà del IV secolo d.C.). Solo qui la tecnica raggiunse quel grado di comprensione non raggiunta nei primi esempi: le anfore, infatti, furono posizionate sopra le finestre, andando a scaricare le zone più deboli, e la parte superiore della volta venne alleggerita impiegando come caementum la pietra pomice (fig. 18). Nonostante alcuni testi16 assimilino le strutture alleggerite con olle laterizie a quelle realizzate con tubi fittili, è importante sottolineare che queste due tecniche rappresentano sistemi costruttivi completamente differenti: la prima è una tecnica di alleggerimento della massa in opus caementicium, mentre la seconda è una modalità costruttiva a sé stante in cui i tubi fittili, tubi cavi che si incastrano l’uno nell’altro, realizzati appositamente per questo scopo, venivano posizionati in serie circolari e concentriche con diametro che diminuiva gradualmente. I tubi fittili furono impiegati nelle province dell’Africa romana fin dal II secolo d.C. e si diffusero successivamente anche nelle province più a nord. Inizialmente i tubi fittili venivano legati con malta di gesso e impiegati come centina permanente per piccoli archi in opus caementicium. Tra il IV e il VI secolo, volte, cupole e semicupole degli edifici di culto paleocristiani iniziarono invece ad essere realizzate interamente in tubi fittili, senza l’impiego di opus caementicium. Grazie al loro comportamento a guscio, tali coperture voltate risultavano particolarmente resistenti e leggere e ciò consentì di realizzare strutture murarie molto più snelle e con una maggiore quantità di finestre, porte, colonnati o arcate, portando così vantaggi sia economici che estetici. Alcuni esempi di utilizzo di questa tecnica si possono trovare a Ravenna: in San Vitale (521-547 d. C.), che presenta una cupola con luce di 16m, e nel battistero della cattedrale, con cupola avente una luce di 9m17.
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Fig. 16. Tipi di anfore trovate nelle volte romane. (Lancaster, 2005, 70)
Fig. 17. Mausoleo di Sant’Elena, detto tor Pignattara (Roma, 326-330 d.C.), con il particolare delle olle ancora presenti.
L’impiego di tubi cavi in laterizio è rintracciabile anche in tempi più recenti. Per esempio in Gran Bretagna, tra il XVIII e il XIX secolo, John Soane (1753-1837), per ridurre il peso sulle murature perimetrali, impiegò mattoni cavi per la costruzione delle coperture di alcuni ambienti della Banca d’Inghilterra a Londra. Questi tubi, definiti “mattoni a bottiglia”, presentavano un’estremità a forma quadrata e l’altra rotonda e venivano disposti verticalmente18 (figg. 19 e 20). Anche nell’Italia meridionale, fino al XIX secolo, vennero costruite volte a vela a sesto ribassato, a schifo, a crociera e a quarto di crociera, impiegando mattoni cavi con un corpo cilindrico chiuso da entrambe le estremità ed aventi dei piccoli fori necessari a far fuoriuscire l’aria durante la cottura in forno19 (fig. 21). Questi vasi, a causa della loro conformazione, non potevano essere incastrati l’uno nell’altro per creare strutture curve, ma venivano poggiati in posizione verticale sulla centina o su un manto di mattoni e poi legati con malta di gesso o malta di calce (fig. 22).
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 18. Tempio di Minerva Medica (Roma, prima metà del IV secolo d.C.). L’immagine mostra la posizione delle anfore (grigio scuro) e l’impiego della pietra pomice (grigio chiaro). (Lancaster, 2005, 78)
Fig. 19. Semiconi cavi in terracotta utilizzati nella costruzione delle volte nella Bank of England. (Abramson D., 2000, 237)
Fig. 20. Veduta del Consols Transfer Office (Bank of England) che mostra le pareti prive di intonaco e la cupola costruita fino alla base della lanterna con materiale refrattario costituito da mattoni cavi in argilla. (Abramson D., 2000, 237)
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Fig. 21. Campionatura di “pignatelli” rinvenuta in Molise. (Rutigliano G., 1996, 130)
Fig. 22. Particolare di una volta a Grumo Appula (Ba) in cui si posso notare i pignatelli disposti verticalmente. (Rutigliano G., 1996, 132)
2.1.4. Le volte nell’architettura bizantina Con il trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio (330 d.C.) e, poi, con la suddivisione politica in Impero d’Oriente e Impero d’Occidente (395 d.C.) si aprì un nuovo capitolo nella storia: sorse l’Impero Bizantino, che durò sino al 1453. Con esso si sviluppò anche un nuovo linguaggio figurativo, ricco di influssi ellenistici, della Siria, della Persia e dell’Egitto. L’Italia entrò in contatto con la cultura bizantina quando, nella metà del VI secolo, Ravenna divenne sede dell’esarca (governatore) di Costantinopoli; le forme espressive dell’Oriente arricchirono quindi le tradizioni tardo-imperiali e cristiane della Penisola, dove l’influenza dell’arte bizantina rimase fondamentale fino all’inizio del secolo XIII20. Una caratteristica dell’architettura bizantina fu l’ideazione e l’impiego di cupole su piloni liberi. La tipologia di copertura preferita dai bizantini fu infatti la cupola; questa, già impiegata dai romani, aveva però un limite:
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE richiedeva un muro continuo circolare per il suo sostegno. La grande innovazione dei bizantini fu riuscire a impostare cupole, con direttrice circolare, su piante quadrate attraverso l’inserimento dei pennacchi. Questo rese possibile la creazione di spazi aperti, con articolazioni spaziali complesse, grazie alle quali, in seguito anche all’impiego di mosaici colorati, venivano creati suggestivi giochi chiaroscurali. Anche le tecniche costruttive impiegate nell’architettura bizantina rappresentano una novità rispetto al periodo precedente; infatti, le volte non venivano più realizzate in opus caementicium, ma interamente in muratura, garantendo così maggiore leggerezza e più elasticità. La complessità degli spazi consentì anche di creare strutture in cui le spinte delle cupole potevano essere contrastate da altre strutture voltate. L’esempio che più di ogni altro rappresenta l’innovativa svolta sia nello sviluppo formale sia nel sistema statico delle strutture voltate e dei relativi sistemi di sostegno è sicuramente la chiesa di Santa Sofia di Costaninopoli21 (532 d.C.), nella quale il sistema costituito dalle semicupole, dai deambulatori coperti con volte a botte e dalle volte a crociera delle navate laterali poste su due piani è stato ideato per contrastare in maniera attiva la spinta dell’enorme cupola centrale (figg. 23 e 24).
Fig. 23. Pianta e sezione della chiesa di Santa Sofia a Istanbul. (Mango, C., 1978)
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Fig. 24. Particolare delle semicupole poste a contrasto della spinta della cupola centrale nella chiesa di Santa Sofia a Istanbul.
Fig. 25. A sinistra: pianta della chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Istanbul (Mango, C., 1978); a destra: pianta della chiesa di San Vitale a Ravenna (Toman R., 1999).
Un analogo sistema sviluppato dai bizantini, ma già conosciuto dai romani per gli edifici a pianta poligonale, per contrastare le spinte della cupola centrale e consentire lo sviluppo di spazi aperti e articolati, è stato
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE applicato per esempio nella chiesa dei Santi Sergio e Bacco e poi ripreso in San Vitale a Ravenna (fig. 25). Questa soluzione consiste in una cupola22 che grava su nicchie con calotta sferica, aperte con un doppio ordine di arcate con colonne, che sono a loro volta sorrette dalle volte dell’ambulacro ottagonale23. Infine, un altro espediente utilizzato dai bizantini per contrastare in maniera attiva la spinta della cupola centrale è quello di affiancarle altre cupolette, collegandole con volte a botte o archi a tutto sesto. Questa composizione, tipica degli impianti planimetrici a quincunx24, si è poi diffuso anche in Italia a partire dall’XI secolo25 (per maggiori dettagli sull’impianto a quincunx si veda il capitolo 4).
2.1.5. La costruzione delle volte nel periodo Medievale Il cantiere medievale è, in genere, un cantiere povero, contraddistinto dalla difficoltà di trasporto dei materiali, dalla forte presenza di manodopera poco specializzata, dai tempi dilatati di costruzione. Solo alcune eccezioni, soprattutto costituite dalle grandi fabbriche monastiche e dai principali edifici religiosi e civili, presentano accorgimenti tecnici particolari, indicativi di sofisticati intenti estetici e costruttivi e della presenza di maestranze itineranti e specializzate. Da questo tipo di costruzione è quindi possibile delineare uno sviluppo dell’architettura medievale, in cui il passaggio dalla fase romanica al periodo gotico è segnato dall’applicazione di strutture voltate sempre più ardite. Per quanto riguarda le soluzioni tecniche utilizzate per le coperture voltate delle grandi navate delle basiliche, il principio costruttivo delle volte medievali è molto diverso rispetto a quello impiegato dai romani. Infatti le volte del primo periodo imperiale romano, come già detto, erano un blocco unico, rigidissimo, realizzato in opus caementicium con grande capacità legante e con inerti costituiti da materiali leggeri come tufi e pomici. Nell’architettura medievale, invece, i costruttori, pur guardando al repertorio di forme romane, non possedevano i mezzi tecnici per metterle
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perfettamente in pratica; i loro edifici non offrivano un insieme compatto e i pilastri e i muri, formati da paramenti in pietra con riempimento di malta spesso mediocre, subivano frequentemente assestamenti disuguali che causavano fessurazioni. Le murature a sostegno delle volte e delle cupole non erano tanto solide quanto quelle romane e perciò, a partire dall’XI secolo, le volte iniziarono ad essere realizzate in laterizio o con conci di pietra di dimensioni ridotte affiancati l’un l’altro. La volta diventava così un sistema meno rigido rispetto alle volte romane in opus caementicium e in grado di assecondare eventuali movimenti delle murature perimetrali. Questa prima modifica nella realizzazione delle volte però non era sufficiente a garantire che la struttura non crollasse e quindi, a distanza regolare, in corrispondenza dei punti di appoggio più resistenti, si iniziarono ad inserire degli arcs-doubleaux in pietre squadrate, centinati sotto l’intradosso delle volte. Secondo Viollet le Duc, che, nel suo Dictionnaire raisonnè de l’architecture francaise (1875), analizza estensivamente i materiali e le tecniche costruttive medievali e fornisce interessanti interpretazioni statiche sul comportamento delle strutture medievale, gli arches doubleaux erano una sorta di centine permanenti elastiche composte da conci che seguivano i movimenti dei piloni e che si prestavano al loro assestamento, al loro divaricamento e sostenevano, come avrebbe fatto una centina in legno, la muratura costruita sopra di esse (fig. 26)26. In realtà l’efficacia dei costoloni è stata messa in discussione già qualche anno più tardi da Pol Abraham che, nel suo lavoro Viollet-le-Duc et le rationalisme médiéval, pubblicato nel 193527 contesta l’ipotesi di Viollet le Duc e sostiene che il ruolo strutturale dei costoloni nelle volte medievali sia poco significativo. Numerosi studi28 si sono occupati di questo problema, cercando di comprendere, attraverso l’analisi di casi esemplari, il ruolo strutturale delle varie parti delle volte a crociera. Tali studi hanno mostrato le enormi difficoltà legate alla valutazione dell’effettiva efficacia degli elementi strutturali che costituiscono le volte del periodo medievale, variabili a seconda del periodo storico, delle caratteristiche dei materiali e delle tecniche costruttive impiegate.
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 26. Arcs Doubleaux di una cattedrale del XII secolo. (Viollet le Duc E., 1875)
Ciò che è certo è che le volta a crociera, razionalmente composta da archi di sostegno ogivali, che si intersecano diagonalmente, e da archi perimetrali, due trasversali alla navata e due perpendicolari, scarica il peso non sull’intera muratura perimetrale, ma su punti determinati dei supporti e per questo fu possibile sostituire ai muri finestre o sottili divisori. Gli architetti gotici cercarono di neutralizzare le spinte con controspinte (per esempio con archi rampanti) o verticalizzando la spinta mediante pesi verticali (pinnacoli), andando così a creare un sistema dinamico, che, seppur in maniera molto più articolata, riprende il sistema di spinte e controspinte già sperimentato dai bizantini. Il sistema statico elaborato dagli architetti medievali, quindi, si fonda essenzialmente sul concetto di affidare alla struttura portante delle navate laterali il compito di garantire la stabilità della navata maggiore. Le cattedrali gotiche sono perciò caratterizzate da volte a crociera costolonate con archi a sesto acuto, dallo svuotamento della massa muraria e dall’assottigliamento delle strutture, tanto da renderle solo uno scheletro. Le strutture che affiancano la navata centrale si affinano progressivamente e i cambiamenti che coinvolgono la copertura della navata centrale si ripercuotono sulle navate laterali, dove si nota, a partire dal XII secolo, l’introduzione degli archi rampanti, necessari per contrastare la spinta delle volte della navata centrale29.
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Anche dal punto di vista formale, l’architettura medievale introduce alcune innovazioni importanti. A partire dalla fine dell’XI secolo le volte a crociera iniziarono ad essere costruite non più come intersezione di volte a botte, con archi diagonali ellittici, bensì con archi diagonali ad arco di cerchio, più semplici da realizzare e più stabili in quanto gli archi longitudinali, trasversali e diagonali diventano strutture portanti, messe in risalto da costoloni e membrature. Questo comporta inoltre che le chiavi di incontro delle centine diagonali si trovino ad un livello più alto rispetto agli archi generatori della volta, in questo modo viene svincolata la chiave delle volte a crociera. L’arco a sesto acuto comincia ad essere utilizzato a partire dal 11201130 nell’Ile de France e, quasi contemporaneamente, si sviluppa anche in Inghilterra30. L’introduzione degli archi a sesto acuto come archi trasversali e longitudinali, oltre al vantaggio di tipo statico, porta anche un ulteriore vantaggio formale, in quanto consente di portare la chiave della volta e la chiave degli archi alle quote volute. La pianta non deve più necessariamente essere quadrata, ma può essere anche rettangolare, la chiave può essere alzata e si può superare l’alternanza tra le quote in chiave di archi trasversali, longitudinali e diagonali.
2.1.6. Sviluppo tecnico e formale a partire dal XV secolo A partire dal XV secolo, con l’avvio del Rinascimento, nell’architettura vi fu una riscoperta delle forme utilizzate negli edifici romani: le volte a vela, le cupole, le volte a padiglione, per lungo tempo inutilizzate, ritornarono in auge e furono applicate in maniera estensiva, sia nell’architettura religiosa sia in quella civile. Le tecniche costruttive erano tuttavia definitivamente mutate e le volte venivano realizzate quasi esclusivamente in laterizio o in pietra. Nel Rinascimento veniva prestata grande attenzione ai collegamenti tra le volte e le murature e i mattoni venivano posizionati secondo apparecchiature differenti a seconda della tipologia di volta e uniti gli uni
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE agli altri mediante l’utilizzo di gesso o di malte di calce con buone caratteristiche meccaniche (per una trattazione più esaustiva si veda il paragrafo 2.2.2). Al di sopra della volta veniva poi collocato il materiale di riempimento che poteva essere costituito da pietrisco grossolano o ghiaia e che si opponeva alle deformazioni flessionali della volta stessa, andando tuttavia ad incrementare il carico su di essa. In alternativa venivano utilizzati frenelli o costoloni di rinforzo oppure venivano disposte delle lunette nella regione delle reni: queste aperture avevano il doppio vantaggio di contrastare la flessione nelle volte e ridurre il volume del riempimento e di garantire maggiore illuminazione. I precedenti tipologici antichi rappresentavano un vasto repertorio di forme e tecniche costruttive a cui ispirarsi e tra il XV e il XVI secolo tali modelli influenzarono in maniera determinante le scelte formali degli architetti. L’inventio, ossia il ritrovamento delle proporzioni nascoste, dà vita ad una nuova architettura e favorisce lo sviluppo di impianti centrici cupolati31. La cupola inizia ad assumere un ruolo primario all’interno della concezione degli edifici religiosi e il più celebre esempio di questa nuova tendenza è certamente rappresentato dalla cupola di Santa Maria del Fiore, progettata da Filippo Brunelleschi e realizzata con una tecnica, ideata dallo stesso architetto, in grado di garantire l’autoportanza della cupola stessa in fase costruttiva32. Gli esempi di cupole e volte realizzate a partire dal XV secolo potrebbero essere infiniti, ma ciò che maggiormente può interessare ai fini del presente lavoro è la comprensione delle principali tecniche impiegate per la loro realizzazione, e ciò è reso possibile solo attraverso un’attenta rilettura della trattatistica e della manualistica che si sviluppa a partire dal XV secolo. Per questo, nei capitoli seguenti, verranno presentati i principali orientamenti delineatisi tra il XV e il XIX secolo per la costruzione delle coperture voltate, per il dimensionamento delle parti che le compongono e per la valutazione della loro stabilità.
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CAPITOLO 2
2.2. Le volte in muratura: “La regola d’arte” nella letteratura tecnica tra il XV e il XIX secolo
Per quanto riguarda il tema delle coperture voltate, l’analisi della trattatistica italiana sembra evidenziare due primi macroscopici problemi: assegnare un’adeguata nomenclatura ai numerosi tipi di volte adottati nella prassi costruttiva, antica e moderna, e stabilire quale sia la curva migliore da assegnare all’intradosso. Già Leon Battista Alberti (1404-1472), verso la metà del XV secolo, intendendo far maggiore chiarezza sui nomi da assegnare alle volte, nel suo trattato De re Aedificatoria, le classifica in volte a botte, volte a crociera, volte sferiche (cupole) e “altre che sono costituite da una data parte di queste”33, ossia le semicupole, le volte a vela e quelle a crociera composte, ossia a creste e vele. Successivamente, in numerosi altri trattati si ritrova la distinzione tra i vari tipi di volte in base alla forma dell’intradosso, ma vengono considerate anche forme nuove. Francesco di Giorgio Martini34 (14391502) nel terzo volume del suo Trattato di Architettura Ingegneria e Arte Militare, cita le volte a vela, con peducci e con lunette, definendole “moderne”, mentre Guarino Guarini (1624 -1683), nel suo trattato Architettura civile, servendosi della geometria descrittiva e della stereotomia, scienze introdotte solo a partire dal XVII secolo, le distingue per la prima volta in semplici e composte35, individuando sei forme elementari dalle quali derivano tutte le altre (fig. 27). In particolare egli afferma che dalla volta cilindrica, derivano le volte a crociera e le volte a padiglione, o a conca, e illustra una serie di volte di sua invenzione, come per esempio quelle che nascono dal cono, quelle a fasce o quelle a fasce piane, precisando che tali volte sono state da lui sperimentate con grande successo36 (fig. 28). Anche Andrea Palladio (1508-1580) nel primo de I quattro libri dell’architettura illustra, attraverso una descrizione molto concisa e una serie di figure, i sei modi per realizzare le volte (fig. 29).
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig.27. Forme geometriche delle volte. (G.Guarini, 1989, tav. XVII)
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Fig. 28. Esempi di volte a fasce, a fasce piane e piane. (G.Guarini, 1989, tav. XVII)
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 29. Le sei tipologie di volte proposte da Palladio. (Palladio A., 1980, 73)
L’architetto spiega inoltre che le cupole, le volte a crociera, a fascia, a remanato sono sempre state usate anche dagli antichi, mentre quelle a lunette e a conca “sono stata ritrovate dai moderni”37. La terminologia utilizzata dal Palladio è alquanto ricca di riferimenti linguistici e dialettali veneti, ma osservando le immagini che riporta nel testo (fig. 29) e sfruttando le note al capitolo XIV del Libro III, si può dedurre che l’autore chiama a fascia le volte a botte, a remanato le volte costituite da porzioni di semicerchio, a conca le volte a botte con teste di padiglione, a lunette le volte a conca lunettate ed infine rotonde le cupole. A partire poi dal XVIII secolo, le volte iniziano ad essere distinte in base al sesto della loro direttrice o alla forma della generatrice38. Francesco Milizia (1725-1798) per esempio specifica che le volte a botte possono essere a pieno centro o a tutto sesto, rialzate o sceme, oppure, in funzione della curva direttrice, rette, rampanti, anulari o a spirale.
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Ovviamente la scelta della forma dipende dalla geometria dell’area da coprire, dalla forma degli appoggi e dalla freccia massima di cui si può o si vuole disporre39. La forma più comune per le piante da coprire è quella quadrata o rettangolare, alle quali ben si adattano le volte a botte, a botte lunettate, a botte con teste di padiglione, a schifo, a padiglione, a crociera, a vela (figg. 30-36). Queste sono ovviamente le più diffuse, citate dalla maggior parte dei trattatisti, tuttavia ne esistono svariati tipi. Il Breyman (1845-1925) descrive per esempio anche le volte a imbuto (anche dette a ventaglio) su pianta quadrata e avente per direttrice un arco a tutto sesto (fig. 37) e la volta ad imbuto su pianta rettangolare, avente per direttrice un arco a sesto acuto. Per quanto riguarda il sesto delle volte, l’arco a tutto sesto, anche in omaggio all’architettura antica, viene generalmente indicato come il più solido e come un arco che non necessita di incatenamenti, tuttavia, dal punto di vista estetico, vengono preferite le volte con una freccia inferiore alla semiluce, nonostante queste abbiano bisogno di catene metalliche assicurate nei due lati del muro40. Le volte policentriche, inoltre, vengono preferite a quelle a sesto ribassato. Nel XVIII secolo, per le volte realizzate a copertura degli ambienti, la freccia è legata all’altezza degli ambienti stessi, infatti Milizia scrive: “i soffitti a volta sono più dispendiosi de’ piani, ma sono anche più belli, e questi sono promiscuamente impiegati nelle grandi, e nelle piccole camere, ed occupano fino da 1/5 fino a 1/3 dell’altezza della camera, secondo essa è più, o meno alta. Se la camera è bassa relativamente alla sua larghezza, la volta deve parimenti esser bassa; e quando quella è alta, anche la volta deve esserlo: in questa guisa l’eccesso dell’altezza si va a render meno percettibile. Ma dove l’architetto ha la libertà di proporzionare l’altezza della camera alle sue dimensioni superficiali, la proporzione più eligibile per la volta è 1/4 dell’intera altezza. Nelle camere parallelogramme il mezzo del soffitto è generalmente formato di un gran riquadro piano, o dipinto, o adorno di compartimenti, o di altri ornamenti, secondo la decorazione è ricca, o semplice. Questo riquadro, col suo bordo che lo circonda, occupa dalla 1/2 fino ai 3/5 della larghezza della camera.
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE La figura della volta è generalmente un quadrante di circolo, o di una ellissi, che per essere ben veduta dall’estremità del luogo deve nascer un poco sopra la cornice, e finire al bordo, che circonda il gran riquadro nel centro “.41 Nel XIX secolo sembra essere ormai chiaro che la freccia delle volte non è solo una questione proporzionale, ma è legata anche alla stabilità della volta stessa e infatti Luigi Cattaneo, nella sua Arte muratoria (1889), afferma che “la freccia delle volte, quando non dipende dalla forma, è preferibile intera come quella che, a eguale apertura, produce minor spinta. Nelle case d’abitazione ove si deve render minima l’altezza dei piani, si ricorre alle volte sceme. La resistenza alla spinta essendo maggiore nei muri inferiori, sovraccaricati dai superiori, si suole variare la monta delle volte dai piani inferiori ai superiori. Ritenuto 1/12 il limite minimo del rapporto fra saetta e corda, si vuole adottare pel piano terreno questo rapporto fra 1/10 e 1/11, pel primo piano fra 1/9 e 1/10, pel secondo piano fra 1/8 e 1/9, pel terzo piano fra 1/7 e 1/8: nei sotterranei sarà preferibile la volta a tutto sesto, o non al di sotto del rapporto di 1/5”42.
Fig. 30. Volta a botte.
Fig. 31. Volta a botte con lunette.
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Fig. 32. Volta a botte con teste di padiglione.
Fig. 33. Volta a specchio o a schifo.
Fig. 34. Volta a padiglione.
Fig. 35. Volta a crociera.
Fig. 36. Volta a vela.
Fig. 37. Volta a imbuto o a ventaglio su pianta quadrata. (Breyman, 2003, 12)
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE 2.2.1. La centina e le armature di sostegno Come è ben evidenziato nel manuale di architettura di Cantalupi43 e anche in testi successivi44, sono quattro le fasi essenziali per la costruzione delle volte: la costruzione dell’armatura e delle centine; l’esecuzione della volta sull’armatura; il disarmo; i lavori complementari da eseguirsi dopo il disarmo45. Per la costruzione di una volta era necessario realizzare una struttura lignea provvisoria, chiamata centina o armatura. La centina doveva innanzitutto essere in grado di sostenere la struttura prima che la volta fosse completata e che la malta avesse fatto presa e, inoltre, doveva creare una superficie curva avente la forma dell’intradosso, che avrebbe dovuto fungere da guida per la posa dei conci. Nei trattati di architettura viene dedicato ampio spazio a questo argomento in quanto la messa in opera delle armature per le volte di grandi dimensioni, sia per la difficoltà geometrica nel tracciamento della curva di intradosso, sia per il fatto che queste avrebbero dovuto essere abbastanza resistenti da poter reggere, in corso d’opera, l’intero peso della volta, ha sempre costituito una delle fasi più delicate dell’intero processo costruttivo e ha sempre rappresentato una delle imprese più impegnative con cui l’ingegno dei costruttori ha avuto modo di scontrarsi. Scrive infatti il Valadier (1762-1839): “per conoscere quanto interessante sia la formazione delle armature, convien riflettere, che se nel costruire un arco o una volta, l’armatura sulla quale si affida il peso delle pietre o materiale componente questa costruzione venisse a cedere, prima di stringere il tutto col serraglio46, anche in piccolissima parte, tutto il lavoro insensibilmente si scomporrebbe, se fosse poco il cedimento; e potrebbe anche precipitar tutto, se il cedimento fosse molto”47. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo si ritrovano manuali e trattati in cui viene dedicato ampio spazio al calcolo del peso delle volte sull’armatura e alla determinazione dello spessore della stessa. Per esempio Milizia nel 1785, nella parte terza del suo trattato, specifica che le armature non devono sostenere tutto il peso delle volte in quanto parte del peso sarà sorretto dai piedritti48, mentre Leonardo Salimbeni nel suo
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Degli archi e delle volte descrive in maniera dettagliata i calcoli da farsi per determinare le azioni agenti sull’armatura in fase costruttiva49. Un ulteriore problema nella costruzione delle centine era legato al recupero del legname necessario per la loro realizzazione. Per questo, in alcuni casi, l’uso delle centine poteva essere limitato ad alcune zone delle volte, come accadde per esempio per le volte nervate del periodo medievale, oppure riservato alla zona compresa fra le reni. In questo caso, per la zona in prossimità dell’imposta, la stabilità della struttura in fase costruttiva era affidata alla capacità dei conci di resistere allo scorrimento grazie alla forza di attrito che si veniva a creare tra i giunti che, essendo poco inclinati, erano in grado effettivamente di reggersi senza l’ausilio di centine. Un altro espediente, utilizzato ampiamente dai romani, ma ripreso anche in epoche più recenti per ridurre l’impiego del legname, consisteva nel realizzare, specialmente per volte e cupole impostate a grande altezza, armature a sbalzo ancorate nel piedritto o armature aeree appoggiate direttamente all’imposta ossia nel punto d’innesto della volta o dell’arco. In questo caso venivano preparate delle sporgenze, che potevano anche assumere funzione decorativa di cornici, a livello dell’ultimo filare orizzontale e su queste sporgenze si installavano le centine (si vedano per esempio il Pantheon e il Pont du Gard). Eccezionalmente il problema legato al rinvenimento del materiale e alla realizzazione della carpenteria fu aggirato, in maniera geniale, ideando strutture voltate autoportanti: basti pensare al celebre esempio della cupola di Santa Maria del Fiore, o anche alle piccole cupole autoportanti diffuse a Firenze nel XV secolo50. Per la realizzazione delle centine, comunque, venivano generalmente impiegati materiali già presenti in cantiere, come tavole, tavoloni, montanti, corde e chiodi, anche se Vitruvio consigliava di prestare attenzione all’essenza utilizzata, suggerendo di impiegare quei legni che raramente vengono attaccati da parassiti, come ad esempio il cipresso e il rovere, mentre sconsigliava vivamente la quercia perché “torcendosi nelle opere, dove è posta, si fende”51. Secondo il parere di molti trattatisti, infatti, la centina dovrebbe essere fatta con un buon
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE legname, essere stabile e indeformabile e presentare un manto perfettamente corrispondente al sesto della volta52. L’armatura era costituita da due parti principali: la centinatura o incavallatura, che andava a formare la struttura resistente e un’atra chiamata manto, completamente sostenuta dalla prima, destinata a creare la superficie curva sulla quale si costruisce la volta53. Nella trattatistica e nella manualistica del XIX secolo iniziano ad essere esaustivamente analizzate le due principali fasi costruttive delle centine. La prima fase era quindi quella di preparare la curva dell’intradosso. Giovanni Codazza, nel suo manuale Nozioni teoricopratiche sul taglio delle pietre e sulle centine delle volte (1844), scrive: “Quando la volta debba costruirsi in muratura, allora sull’insieme delle centine si stabilisce il manto formato di tavole o assicelle pieghevoli inchiodate sulle centine istesse per cui si ottiene quella superficie quasi continua che deve confondersi coll’intradosso della volta. Quindi la difficoltà geometrica è ridotta ad assegnare la curvatura esatta delle centine che devono sostenere il manto e la loro più conveniente distribuzione”54 e dedica tutta la seconda parte del trattato al tracciamento delle curve dell’intradosso, sottolineando la difficoltà geometrica nel tracciare tali curve specialmente per le volte “penetrantesi”, ossia per le volte composte. Anche Breymann, nel suo trattato Costruzioni in pietra e strutture murali, illustra alcuni semplici metodi per il tracciamento delle curve usate più frequentemente (ellissi, policentriche, ecc.). Per esempio per il tracciamento dell’ellisse, utilizzata per le diagonali delle volte a padiglione, Breymann descrive il metodo detto delle proiezioni, che permette di definire alcuni punti della curva, che poi sarebbe stata completata a mano libera. Tale metodo (fig. 38, dove AB è la corda e CD la monta dell’arco) prevedeva prima di tutto il tracciamento di una retta AB’=2CD, formante un angolo qualunque con la retta AB, e la descrizione su AB’ di una semicirconferenza. Era poi necessario dividere la linea AB’ (per maggiore comodità simmetricamente dal centro verso i due estremi) in un numero qualunque di parti ab, bd,.., ed elevare dagli estremi dei segmenti
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individuati le perpendicolari alla AB’, che avrebbero incontrato la semicirconferenza nei punti l, m, n, ... Anche la retta AB doveva essere divisa in altrettante parti uguali fra loro o proporzionali ai segmenti individuati sulla AB’ e dai punti a’, b’, c’ si sarebbero dovute tracciare le ortogonali alla AB di lunghezza pari rispettivamente alle perpendicolari condotte da a,b,d,… ottenendo così i punti l’, m’, n’, appartenenti all’ellisse cercata55. Un altro metodo per il tracciamento dell’ellisse descritto dal Breymann, più semplice rispetto al precedente, consisteva nel determinare i fuochi tracciando una circonferenza centrata in un estremo dell’asse minore e con raggio pari alla metà dell’asse maggiore (fig. 39) la circonferenza disegnata intersecava l’asse maggiore nei punti E ed E’ di modo che DE fosse uguale a DE’ e a AC, oppure:
C ' E = CE ' = AC 2 − DC 2 dove AC è la semicorda e DC la monta. A questo punto, fissando due spilli nei fuochi e avvolgendo attorno a questi un filo senza fine, la cui lunghezza deve essere uguale al perimetro del triangolo EDE’ (fig. 39 a) o EBE’ (fig. 39 b), era possibile tracciare l’ellisse cercata disponendo semplicemente una matita nel filo e muovendola tenendo sempre teso il filo compreso fra gli spilli (questo metodo era comunemente chiamato “metodo del giardiniere”). Era piuttosto frequente utilizzare, al posto dell’ellisse, la linea policentrica (detta a paniere) sia per l’intento di creare un arco più resistente nei punti d’imposta e di chiave, anche se in realtà dove si succedono due archi di cerchio di diversa curvatura si veniva a creare nell’arco della volta un punto più debole, sia per la difficoltà di costruzione dell’ellisse in assenza di conoscenze geometriche certe. Questa linea era costituita da una serie di archi di cerchio, caratterizzati da raggi e da centri diversi, disposti in modo da succedersi l’un l’altro senza discontinuità. Il raggio maggiore difficilmente aveva una lunghezza superiore al doppio della corda dell’arco, perché questo in chiave non diventasse troppo piatto, mentre il raggio più piccolo aveva
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE sempre una dimensione tale per cui la linea policentrica al piede assumesse una certa ripidità ed acquistasse con ciò una maggiore apertura. La forma dell’intradosso della volta veniva segnata sul terreno e, disponendovi sopra le tavole di legno, queste venivano tagliate secondo la linea tracciata e chiodate56. Scrive infatti il Curioni (1831-1887): “le centine di cui si è parlato vengono costrutte preparandosi sul terreno una superficie piana e per quanto si può orizzontale, descrivendo su detta superficie in grandezza naturale la curva secondo cui superiormente deve essere foggiata la centina, e tagliando i diversi pezzi di tavole in modo che, disponendoli sul sito che loro spetta, vengano precisamente ad adattarsi colla loro parte convessa a detta curva. Una volta preparati tutti i pezzi che devono comporre un’armatura, si procede al loro inchiodamento”. 57
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Fig. 38. Metodo della proiezione utilizzato per il tracciamento di un’ellisse.
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Fig. 39. Metodo per il tracciamento dell’ellisse.
Una volta stabilita la forma delle centine si procedeva alla loro messa in opera. Le centine dovevano essere disposte ad una distanza variabile da 50 cm a 1 m l’una dall’altra a seconda del peso della volta e, nel caso di volte composte, dovevano innalzarsi almeno negli spigoli e nel mezzo dei muri d’imposta, in direzione a loro perpendicolare, per potervi sovrapporre il manto. Secondo i precetti di Philibert Delorme (1514-1570), ripresi successivamente dal Curioni, le tavole componenti le centine potevano avere la lunghezza di metri 1,50 mentre la larghezza e lo spessore avrebbero dovuto variare in funzione della maggiore o minore corda dell’arco58. La disposizione e le dimensioni degli elementi che componevano l’armatura, infatti, variavano in funzione sia della luce sia dello spessore delle volte. Così, per volte e archi con luci fino a circa 1,5 m e con frecce limitate, veniva impiegato il cosiddetto tamburo, una struttura costituita da due o più tavolati, sorretti da ritti fiancheggianti le spalle, che presentavano il contorno superiore corrispondente alla curva dell’intradosso e che venivano collegati fra loro con listelli formanti il manto59 (fig. 40). A volte i tavoloni di legno potevano essere irrobustiti con altre tavole inchiodate,
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE ottenendo così strutture ancor meno deformabili, ma con l’impiego di maggiore quantità di legname. Per volte con luci limitate (4-5 m) bastavano due puntoni e un monaco per sostenere le tavole formanti la curvatura e il manto (fig. 41). Per volte con luci maggiori (fino a 12 m) era necessario mettere ulteriori rinforzi in chiave e alle reni e dividere l’armatura in due parti, aggiungendo un puntone sotto ogni colonnetta e unendole con un monaco (fig. 42)60. Le centine per le volte di grande luce erano evidentemente le più complesse e robuste. In genere si mettevano in opera centine a catena o poligonali a incavallatura doppia, per le quali occorrevano essenze di legname diverse secondo la funzione strutturale di ciascun elemento: di solito corde, monaci e saette erano di castagno, mentre piane e tavole erano di quercia o di abete, essenze aventi analoghe caratteristiche di durezza; trovavano pure applicazione legni dolci, ma resistenti all’umidità, tra cui l’olmo, l’ontano, e il pioppo bianco che costituivano le armature per i lavori minuti61. I modi per realizzare tali centine erano molteplici, alcuni esempi noti nel primo XIX secolo sono forniti dal Valadier nel suo trattato L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra dell’insigne accademia di S. Luca (fig. 43) 62, in cui l’autore descrive, con dovizia di particolari, le parti che compongono l’armatura e i modi per assemblarle.
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Fig. 40. Centinatura in legname realizzata con il tamburo, una struttura costituita da due tavolati, sorretti da ritti fiancheggianti le spalle. (Cattaneo L., tav 23, in Manuale della Città di Castello)
Fig. 41. Centine per piccole aperture (4-5 m) composte da due puntoni (P), dal monaco (M),dal tirante (T) e dalle forme (F) applicate direttamente sui puntoni (a) oppure, per archi con grande freccia, su colonnette poste fra i puntoni e le forme stesse (b). (Levi C., 1932, 421)
Fig. 42. Centina per luci fino a 10-12m, con puntoni e monaco principali (P e M) e quattro puntoni perimetrali con due monaci. (Levi C., 1932, 421)
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 43. Centine per volte di grande luce. Nella figura 1 gli architravi A poggiano sulle colonne B e i due saettoni C si assicurano con “ganasse” D agli architravi; i cosciali F di travicello o di piana G col saettoncino H si appoggiano al pilastro ad una testa E. Nella figura 2 è rappresentata una centina a sbalzo. (Valadier, 1992, Tav. CCLXIV)
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Levi suggerisce un altro modo piuttosto insolito, noto nel XX secolo, per creare le centine. Per le volte delle fabbriche egli consiglia un’armatura composta da tavole accoppiate, simili a quelle usate per gli archi, e tavole superiori formanti il manto su cui, per avere l’esatta superficie di intradosso, veniva steso un sottile strato di sabbia. Per sostenere le centine Levi suggerisce di disporre, a circa a 30 cm sotto al piano d’imposta della volta, un ponte di servizio costituito da ritti verticali in legno posti lungo le pareti e al centro della volta, da travi correnti lungo i muri e colleganti le teste dei ritti e da traversoni poggianti sui correnti in corrispondenza dei ritti e diretti normalmente ai muri; su questi traversoni suggerisce di chiodare le tavole che servivano a collegarli, a dare un piano di passaggio e a sostenere i corti puntelli che vengono distribuiti sotto ogni centina a distanza di circa 1 m l’uno dall’altro63 (fig. 44). Come già detto, le modalità realizzative delle centine variavano non solo in funzione della luce della volta, ma anche in relazione allo spessore della stessa. I manualisti ottocenteschi, come ad esempio Curioni, distinguono infatti le volte in sottili e grosse. Le volte sottili sono quelle di piccolo spessore, che si costruivano generalmente con un unico corso di mattoni, quelle grosse invece venivano realizzate con grossi cunei di pietra pesanti o con due o più filari di mattoni. Le centine comunemente usate per volte leggere erano costituite da archi formati da tavole tagliate secondo la curvatura dell’intradosso e unite tramite chiodi. L’immagine in figura 45, tratta da L’arte di fabbricare del Curioni, rappresenta una centina circolare formata da due ordini di tavole sovrapposte64. Nel caso delle volte leggere la centina poteva essere ridotta al minimo indispensabile. Venivano, infatti, predisposti archi lignei formati da tavole in coltello accoppiate a giunti sfalsati e segate secondo la curva dell’intradosso, distanziati ad intervalli regolari; altre tavole, sistemate in piano tra una centina e l’altra nel senso della lunghezza, realizzavano il manto65. Per la costruzione invece delle volte di grande spessore erano necessarie armature più robuste e i cavalletti venivano realizzati con solide travi in modo da costituire un sistema reticolare triangolare o
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE poligonale. Inoltre, per formare la curva dell’intradosso, si ponevano sopra le travi perimetrali le cosiddette forme, cioè dei pezzi di legno tagliati secondo la curvatura desiderata. Veniva poi eseguito il manto, realizzato con tavole o con tavoloni, se la volta doveva essere costruita con materiali di piccole dimensioni, oppure con travetti o dossali posti a conveniente distanza l’uno dall’altro, nel caso di volte in pietra da taglio. Per volte particolarmente pesanti veniva utilizzata un’ incavallatura, impiegata anche per i tetti, formata da una trave (corda) e da travicelli squadrati (paradossi) connessi con incastro a maschio e femmina e formati con chiodi ribattuti (fig. 46). Sopra l’incavallatura venivano generalmente poggiate tavole (tavoloncelli o piane) destinate a sostenere il “pasticcio”, ossia un composto di mattoni in pezzi e calcinaccio con aggiunta di terra liquefatta, necessario per dare il garbo alla volta. I cavalletti venivano di solito montati su sostegni verticali, detti colonne, e inclinati, detti saettoni, collegati con traverse di irrigidimento (sbadacci) e uniti da elementi di raccordo (battelli, cuscini, zeppe). Questa struttura veniva spesso integrata con inserti in muratura collocati nei punti critici, in modo tale che le mensole al livello d’imposta o gli incassi nei piedritti andassero a sostituire i ritti in legname per l’appoggio dell’architrave e i muretti di mattoni centinati fungevano da riempimento del manto. L’impiego di queste armature miste viene indicato dalla manualistica ottocentesca come peculiarità della prassi costruttiva italiana e trova una spiegazione nell’esigenza di contenere i costi delle opere provvisionali, confidando nelle risorse dell’arte muratoria più che nella scelta di materiali pregiati66. Qualunque fosse il sistema adottato nella costruzione di un’armatura, era indispensabile che i diversi sistemi o cavalletti fossero collegati e resi fra loro solidali con saette orizzontali o inclinate, o meglio ancora con delle crociere di travi convenientemente disposte. Infine, per quanto riguarda il manto sopra le centine, alcuni trattatisti specificano che tale manto doveva essere continuo e costituito da tavole non molto larghe, in modo da riuscire a ricreare una spezzata che si avvicinasse alla curva dell’intradosso. Veniva invece sconsigliato l’uso di tavole di grandi dimensioni in quanto avrebbe portato alla creazione di
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una volta sfaccettata; in mancanza di tavole, come già sottolineato nella trattatistica quattrocentesca, si suggeriva l’uso di stuoie fatte con canne o graticci di vimini67, oppure, riprendendo una pratica in uso presso i romani, anche a causa della scarsità di legname, si preferiva usare tavole di piccole dimensioni posate però ad un interasse variabile da uno a due piedi 68. In alcuni casi, sopra il manto, veniva posato uno strato di terra o di sabbia battuta dello spessore di 3 o 5 cm, con funzione di garbo, ossia di regolarizzare la superficie, la quale prendeva il nome di aggraziatura69.
Fig. 44. Armatura composta da tavole accoppiate. Sotto al piano d’imposta della volta era posto un ponte di servizio costituito da ritti verticali in legno. (Levi C., 1932, 310)
Fig. 45. Centina circolare formata da due ordini di tavole sovrapposte chiodate. (Curioni G., 1870, tav XXVI)
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 46. Armature fisse per volte di grandi dimensioni. (Curioni G., 1870, tav. XXVIII)
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2.2.2. Esecuzione della volta in muratura Fin dal XV secolo la trattatistica è concorde nel sostenere che la tecnica costruttiva che permette di realizzare le strutture voltate è la stessa usata per i muri70. Alberti sostiene che “l’ossatura infatti si stenderà interamente fino al culmine della volta prolungandosi dall’ossatura stessa dei muri, essendo costruita qui con le stesse regole dell’altra, e i suoi elementi terranno fra loro una distanza determinata”71. Nella volta tuttavia i filari “sono curvi e tutte le giunture delle pietre sono rivolte verso il centro del proprio arco”72. Anche Durand (1760-1834), parlando delle volte in pietra, afferma che la stessa tecnica utilizzata per la costruzione dei muri può essere applicata a quella delle volte, “coll’avvertenza che nei muri le pietre hanno la forma di parallelepipedo; nelle volte invece la forma di cuneo”73. Leon Battista Alberti aggiunge che “è però consigliabile che in esse (volta a crociera e a botte) i primi filari e i piedi degli archi siano fondati su basi solidissime. Non è bene quindi procedere a somiglianza di coloro che dapprima inalzano per intero i muri, lasciando soltanto sporgere i peducci delle mensole, i quali in seguito, trascorso un certo tempo, affidano il sostegno della volta: lavoro poco solido e malfido. A mio parere occorre invece costruire insieme, filare per filare, gli archi e i muri cui si appoggiano, in modo che il lavoro possa essere provvisto di più legami, saldi quanto più si può”74. Per collegare ulteriormente l’imposta con la volta veniva realizzato un rinforzo nella zona delle reni: la volta, infatti, non spicca improvvisamente dal paramento murario, ma, grazie al così detto rinfianco, risulta solidale alla muratura fino a circa 30° dall’imposta. Anche i materiali impiegati erano gli stessi utilizzati per le strutture verticali. Questo è chiaramente ribadito dal Curioni, il quale scrive che “le volte, altro non essendo che una costruzione murale, al pari dei muri si distinguono in volte di pietra, in volte laterizie, in volte alla rinfusa di getto o in volte cementizie ed in volte miste. Le volte di pietra sono quelle che vengono costrutte col solo impiego di pietre naturali; il nome di volte laterizie si attribuisce a quelle che vengono fatte con materiali in terra
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE cotta, come mattoni, mattonetti, mattoni cavi, mattoni vuoti, vasi leggieri; si chiamano volte alla rinfusa, di getto o cementizie quelle che risultano dall’impiego di buon calcestruzzo; e finalmente si dicono volte miste quelle che sono formate con muramenti di struttura diversa”75. Secondo la trattatistica ottocentesca, la volta più solida e duratura era realizzata in pietra da taglio, nonostante nella prassi costruttiva venisse preferita per questioni di economia e di maggiore leggerezza, la volta di laterizi76. Anche Jean-Baptiste Rondelet (1743-1829) nei dieci volumi dell’opera Trattato teorico e pratico dell’arte del ben costruire, fornendo precise istruzioni sul trattamento superficiale dei conci, sulla loro messa in squadro con la centinatura e sulla delicata questione delle giunzioni, non tralascia di considerare le difficoltà tecniche legate alla costruzione di volte in pietra da taglio e la carenza di maestranze in grado di eseguirle. Secondo Rondelet la costruzione delle volte in pietra da taglio è preferibile, soprattutto “per le volte d’un grandissimo diametro, a quelle in mattoni o in rottami, quando non si può dare ad esse che un pochissimo spessore”77. Con i conci in pietra molto più spesso veniva realizzata l’ossatura portante della volta, la quale veniva poi completata con mattoni in laterizio. Alberti afferma che i conci con cui si costruisce l’arco devono essere, a suo giudizio, di pietre squadrate e, dove possibile, di grandi dimensioni78. Generalmente l’impiego della pietra da taglio era limitato ai casi più importanti a causa delle difficoltà di lavorazione e dell’alto costo e quindi era consigliato soprattutto per realizzare i “monumenti che sono destinati a perpetuare la memoria degli uomini illustri…Così vediamo essere stati sempre costrutti in pietra da taglio, gli archi di trionfo, le colonne alla memoria degli imperatori.”79. Le volte in pietra concia, infatti, nonostante la loro resistenza, necessitavano di complesse lavorazioni per la preparazione dei singoli conci, i quali dovevano essere squadrati in modo da combaciare perfettamente tra loro per trasmettere in modo uniforme le relative tensioni80. Era inoltre necessario provvedere all’esecuzione di disegni
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particolari per la rappresentazione dei conci dalle forme più complesse (fig. 47). Era inoltre risaputo che le volte, per non gravare troppo sui piedritti, dovevano essere il più leggere possibile. Il materiale che meglio si prestava per la realizzazione di una struttura voltata era quindi il mattone, estremamente leggero e semplice da posare. Come scriveva infatti Luigi Cattaneo, “la struttura delle volte laterizie conviene per economia, leggerezza e resistenza.”81 Nelle volte in laterizio assumeva un’importanza notevole la disposizione dei mattoni che, soprattutto nelle volte di piccola corda, poteva influenzare il comportamento della struttura stessa. Rondelet descrive le due differenti possibili disposizioni dei mattoni per formare una volta: “si possono mettere in coltello secondo la larghezza, o piani come per i mattonati, in ragione della forza e del collegamento che si vuole dare alle volte”82. Per la volta a botte i mattoni posati in costa potevano essere sistemati secondo diverse tessiture: a filari longitudinali, trasversali, longitudinali e trasversali, a spina-pesce83. Il metodo più semplice consisteva nell’impiegare l’apparecchiatura a filari longitudinali, ossia disponendo i corsi di mattoni paralleli alle linee d’imposta; con tale apparecchiatura tuttavia, per corde di notevoli dimensioni e frecce piuttosto ribassate, i giunti in chiave risultavano pressoché verticali e paralleli. In questi casi si preferiva quindi procedere disponendo i mattoni a 45° rispetto ai lati della pianta84 (fig. 48). I mattoni venivano disposti iniziando contemporaneamente dai quattro angoli e procedendo in maniera simmetrica verso il centro85. I filari, che in pianta risultano rettilinei, sono in realtà archi zoppi ellittici che si incrociano lungo le due linee di mezzeria della volta e ciò richiedeva una maggiore abilità da parte degli esecutori, che dovevano riuscire a far aderire i mattoni al manto e soprattutto a far collimare i mattoni lungo la mezzeria86. Con questa disposizione dei filari si individua anche un tentativo da parte dei costruttori di far agire la spinta non solo sulla muratura longitudinale, ma in parte anche sui muri di testa.
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 47. Apparecchio in conci di pietra per volte a vela su muratura continua. (Codazza, 1844, tav XV)
Fig. 48. Apparecchiatura per volte a botte: apparecchiatura a filari longitudinali (a); apparecchiatura con mattoni a 45° rispetto ai lati della pianta (b). (Levi C., 932, 311)
Un metodo alternativo a quello appena descritto, impiegato in particolare per volte ribassate e dotate di muri di testa, consisteva nel disporre i mattoni a 45° partendo però dal centro e proseguendo fino al perimetro della volta. Questa apparecchiatura, rispetto alla precedente,
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risultava più indicata per volte non intonacate grazie alla maggiore regolarità della costruzione87 (fig. 49). La disposizione per filari trasversali era invece frequentemente usata in quanto, creando una serie di archi paralleli ed uguali all’arco di testa, si aveva il vantaggio di creare archi che, una volta chiusi, iniziavano da subito a sorreggersi, sgravando così la centina sottostante. In questo modo si poteva anche realizzare la volta per porzioni successive, con notevole risparmio di legname per le armature (fig. 50). Per le volte a padiglione, costituite da fusi ricavati dalla volta a botte, venivano generalmente utilizzate le stesse apparecchiature impiegate nelle volte a botte e quindi i filari venivano in genere disposti in ciascuno dei fusi, rettilinei e paralleli alla rispettiva retta d’imposta88. Le diagonali costituivano però un punto debole, infatti frequentemente si lesionavano, come verrà puntualizzato nella seconda parte di questo lavoro; per evitare questo inconveniente veniva spesso utilizzata una disposizione con filari perpendicolari alle diagonali, come verrà illustrato nel paragrafo 2.3. Nel caso di volte a padiglione su pianta poligonale (in genere ottagonale), poiché lo spigolo non forma un angolo di 45°, era necessario tagliare i mattoni per riuscire a creare il collegamento lungo la diagonale. Spesso i filari potevano allora essere posati a spinapesce (fig. 51), nonostante anche questa disposizione richiedesse particolari cure nella realizzazione dei collegamenti al centro del fuso, lungo il quale si creavano sovente delle fessure89. Per le volte a botte con teste di padiglione, invece, la tessitura più usata comportava la collocazione di filari paralleli alle imposte per tutti e quattro i lati fino a circa un terzo della freccia. Si procedeva quindi realizzando filari diagonali in corrispondenza di ogni angolo fino a quando questi non si fossero incontrati sul lato più corto e, infine, si proseguiva disponendo i filari paralleli al lato più corto90. Questa tecnica consentiva di smussare leggermente gli angoli nelle zone in cui i mattoni erano disposti a 45° rispetto all’imposta, nel tentativo di creare un maggiore collegamento e di rinforzare quella zona in cui, come verrà spiegato meglio nella seconda parte del presente studio, si sviluppano gli sforzi maggiori (fig. 52).
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 49. Apparecchiatura per volte a botte con mattoni posti a 45°. Grazie alla regolarità della disposizione dei filari questa apparecchiatura era indicata per volte non intonacate. (Breymann G. A., 2003, 39)
Fig. 50. Apparecchiatura per volte a botte con filari trasversali. (Astrua G., 1996)
Per volte a specchio o a schifo, ossia per quelle volte a padiglione tagliate ad una certa altezza con un piano orizzontale, venivano impiegati principalmente filari longitudinali per le porzioni di volta a botte e filari disposti a 45°, in alcuni testi definiti a spinapesce91, per lo specchio centrale. È noto che potevano essere posti in angolo dei conci di pietra opportunamente sagomati su cui poggiava lo specchio, con il fine di irrigidire la struttura92 (fig. 53).
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CAPITOLO 2
Fig. 51. Apparecchiatura per volte a padiglione. (Protti E., 1935, 85)
Fig. 52. Apparecchiatura per volte a botte con teste di padiglione. (Protti E., 1935, 83)
In alternativa a questa apparecchiatura, potevano essere impiegati filari disposti a 45°, o a spinapesce, per l’intera volta (fig. 54). Per la copertura dei piani fuori terra comunemente venivano preferite le volte di quarto, dette anche in foglio, in cui i mattoni venivano posti di piatto. Queste volte, estremamente leggere ed economiche, esercitando una spinta minore sui piedritti, venivano impiegate con sicurezza fino a larghezze di 6÷8 m. La freccia di queste volte era di solito piuttosto piccola (circa 1/5÷1/8 della corda) e di regola si impostavano per alcuni filari con lo spessore di una testa. Anche il Valadier, esponendo i vari modi per realizzare le volte, cita la disposizione dei mattoni posati “in piano”, ossia in foglio. Egli scrive: “questa maniera si pratica per le stanze, chiese, gallerie, ec. e ne’ paesi dove abbonda il gesso, benché possono praticarsi ancor colla calce, ma passata a crivello sottile, e perché siano forti maggiormente (se siano di diametro non piccolo) si costruiscono nel di sopra de’ fascioni di soli mattoni in coltello, i quali danno forza a’ frapposti specchi di un sol mattone di grossezza e spianato, possono
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE sostenere il mattonato. Se poi devono restare nella parte superiore inoperose si lascino senza la rinfiancature. Se vi saranno finestre potranno farvisi delle lunette” 93. Nelle volte di quarto a botte o a botte con teste di padiglione, le più usate negli edifici civili, ancora nel primo Novecento venivano eseguiti i primi filari di una testa in prossimità delle imposte nel modo consueto e si proseguiva disponendo i restanti mattoni a spinapesce e posandoli a secco sopra l’aggraziatura ad una distanza di circa 1 cm l’uno dall’altro sul manto dell’armatura. In seguito veniva versata malta mista a calce e gesso, in modo da andare a colmare gli interstizi fra i mattoni e di creare una cappa di circa 1 cm di spessore. Terminata la posa dei mattoni, veniva immediatamente realizzato il rinfianco impiegando coccio di mattone e colata di gesso94. Per le volte a crociera realizzate interamente in laterizi, i filari di mattoni si disponevano in ciascuna delle unghie, rettilinei e normali al rispettivo arco d’imposta95, oppure con filari perpendicolari alle costole diagonali, anche se questa disposizione richiedeva una maggiore capacità tecnica dei costruttori in quanto i filari, congiungendosi al centro di ogni unghia, andavano sagomati per consentire un corretto innesto96 (fig. 55). Infine, nelle volte a vela e a cupola si disponevano i filari di mattoni secondo i paralleli dell’intradosso, sostituendo però agli anelli centrali, troppo piccoli, filari diretti lungo le due linee mediane diagonali97 (fig. 56). Per le volte a vela poteva anche essere usata un’apparecchiatura a filari disposti ad archi a 45° oppure ad anelli convessi verso l’alto, normali ai piani frontali degli archi di contorno (fig 57). Anche in questo caso si può individuare un tentativo di migliorare il comportamento strutturale delle volte cercando di far scaricare parte della spinta trasmessa ai pilastri sugli arconi di testata98. Infine, le apparecchiature più comuni per le volte sferiche di piccole dimensioni erano quelle ad anelli concentrici o ad anelli concentrici e chiusura in chiave a spinapesce. Durante la posa dei mattoni, soprattutto per la realizzazione di volte di notevoli dimensioni, si prestava molta attenzione ad evitare eccessive
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CAPITOLO 2
deformazioni alle centine. Le maestranze procedevano quindi costruendo simmetricamente la volta e inoltre disponevano un carico in chiave in modo da bilanciare lo sforzo all’altezza delle reni.99 Talvolta, anziché posizionare un carico in chiave, si inseriva, nella mezzeria della centina, un monaco su cui si appoggiavano dei saettoni che trasferivano il carico delle reni al centro della centina.100 I due fianchi della volta venivano costruiti contemporaneamente non solo per equilibrare le spinte sulla centina, ma anche perché in questo modo, al momento del disarmo, l’abbassamento dell’arco o della volta sarebbe stato lo stesso in tutti i punti in quanto la malta avrebbe avuto la medesima consistenza. 101 La parte più delicata della costruzione di una volta era la posa dei conci di chiave: questa operazione, se ben eseguita, avrebbe consentito di ridurre al minimo l’abbassamento del vertice durante il disarmo della volta. Poiché l’abbassamento era solitamente dovuto alla compressione degli strati di malta tra i conci, la cosiddetta serraglia, ossia il concio di chiave, doveva avere dimensioni maggiori rispetto al vano lasciato dagli altri conci e, una volta posizionato un sottilissimo strato di malta, doveva essere collocato battendo con una mazza più o meno pesante in relazione al volume del cuneo ed alla qualità del materiale impiegato. 102 Ultimata la posa, si procedeva immediatamente alla colata (gettata) con malta di gesso e sabbia oppure con malta di calce, a seconda dei casi. Per questo lavoro i muratori preparavano al di sopra della volta un’impalcatura indipendente, leggera e posante sui muri, in modo tale da non gravare sulla volta, non ancora in grado di funzionare. Terminata la colata, se questa era in gesso, per evitare che si rapprendesse, venivano allentati i cunei per far scendere di qualche centimetro tutta l’impalcatura portante: questo consentiva la circolazione dell’aria sulla superficie di intradosso della volta in modo tale che la presa del gesso potesse procedere regolarmente. Le strutture voltate potevano essere realizzate in più strati, come indicano ad esempio Vittone e Milizia, per poter resistere meglio ai carichi applicati103. Era però necessario che tali strati fossero in qualche modo legati in tutto il loro spessore; a tale proposito scrive infatti Francesco
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE Milizia: “Se invece di pietre vi si impiegano mattoni, sieno questi de meglio cotti, ne si dispongano uno sopra l’altro, in guisa che una volta sia composta come di più volte l’una sull’altra, avendo ciascuna un mattone di grossezza senza fare insieme concatenazione e legame come si vede in tanti edifizi, dove staccando alcuni mattoni, tutti gli altri successivamente si separano: il che rende la riparazione difficile, perché non vi si trova morsa da legare la nuova muratura colla vecchia. È accaduto anche spesso, che la prima volta si gonfi e si stacchi interamente dalla seconda, appena costruita l’opera. Vanno dunque i mattoni disposti e collegati alternativamente per tutta la grossezza senza alcuna interruzione: così l’opera divien solida fin contro le bombe.[…] si è veduto che le lesioni delle volte succedono sempre ai reni, perché ivi la parte superiore esercita il maggior sforzo della sua spinta. Dunque dà piedritti fino alle reni le volte vanno riempite di muratura, la quale rinfianchi è opponga resistenza alla spinta”.104
Fig. 53. Apparecchiatura per volte a schifo con filari longitudinali per le porzioni di volte a botte e mattoni posti a 45° per la parte centrale. (Breymann, 2003, 88)
Fig. 54. Apparecchiatura per volte a schifo con mattoni disposti a 45°, detta anche a “spinapesce”. (Breymann, 2003, 88)
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Fig. 55. Apparecchiatura per volte a crociera. (Protti E., 1935, 89)
Fig. 56. Apparecchiatura per volte a vela con filari disposti secondo i paralleli dell’intradosso e anelli centrali con filari diretti lungo le due linee mediane diagonali. (Levi C., 1932, 312)
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Fig. 57. Apparecchiatura per volte a vela con filari disposti ad archi a 45° oppure ad anelli convessi verso l’alto, normali ai piani frontali degli archi di contorno. (Levi C., 1932, 312)
LE TECNICHE COSTRUTTIVE 2.2.3. Il disarmo Dopo aver realizzato la volta si procedeva al suo disarmo. Questa era un’operazione particolarmente delicata in quanto era necessario evitare rapidi assestamenti della volta, che avrebbe potuto deformarsi o addirittura crollare. Alcuni costruttori procedevano lasciando passare un mese o sei settimane dal compimento della volta prima di togliere l’armatura. Questa prassi costruttiva, consigliata anche dal Rondelet105, si mostrò però deleteria in quanto, togliendo la centina quando ormai la malta aveva fatto presa, la volta si abbassava rapidamente e, in seguito all’assestamento, al suo interno si creavano delle lesioni, che, in alcuni casi, potevano portare al collasso della struttura. I manuali di architettura sottolineano invece la necessità di allentare leggermente i sostegni su cui le armature si appoggiano prima dell’indurimento della malta, in modo tale che i conci si serrino nella corretta posizione, stabile e identica per ciascuno. La volta assume così il suo carico con gradualità e i cedimenti non producono effetti dannosi. Bisognava però prestare attenzione a non disarmare troppo presto per non far nascere pressioni troppo elevate nei giunti, che avrebbero portato alla fuoriuscita della malta e quindi a cedimenti troppo elevati. Era necessario quindi garantire l’assestamento della volta disarmando poco dopo il posizionamento della serraglia, per permettere il movimento verso il basso dei singoli elementi che comprimevano i giunti di malta non ancora induriti106. Tuttavia le armature dovevano essere allentate in maniera graduale e poi lasciate a sostegno della volta per alcuni mesi, altrimenti, come sottolinea Scamozzi (1552-1616) nel primo XVII secolo, “o potrebbero rovinare tutto ad un tratto, o almeno venirebbero torte, e slancate, e fuori dalla loro forma”107. Alberti addirittura consigliava di non togliere completamente le armature finché non fosse trascorso un intero inverno, in quanto l’umidità e le piogge avrebbero potuto causare danni alla struttura.108 L’esperienza aveva infatti mostrato che il cedimento e il conseguente crollo delle volte non avveniva istantaneamente, perciò era necessario
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disarmare in maniera progressiva, abbassando la centina di una certa quantità e facendo trascorrere un po’ di tempo per consentire l’assestamento della struttura. Per raggiungere questo scopo era necessario realizzare un sistema tra la centina e ciascun cavalletto o ritto, costituito da una coppia di cunei ad angolo acuto. Facendo scorrere l’uno o l’altro i due cunei di una stessa coppia era possibile ottenere un abbassamento verticale della centina (fig. 58 a)109. Un sistema semplice ed economico, che consentiva di eseguire il disarmo in maniera più regolare e senza scosse, consisteva nel collocare in corrispondenza dell’imposta di ciascun cavalletto dei sacchi di tela o di cuoio cuciti con un filo piuttosto resistente, che venivano svuotati da operai che tagliavano i fili e favorivano la fuoriuscita di sabbia con una piccola asta li legno o di ferro110 (fig. 58 b). Un altro sistema impiegato a partire dalla fine del XIX secolo per il disarmo era costituito da scatole in legno o in ferro riempite di sabbia compressa111. Queste scatole avevano generalmente forma cilindrica con altezza di 30 cm e presentavano tre o quattro fori attraverso i quali si poteva far uscire la sabbia. Le estremità delle centine dovevano poggiare sulla sabbia mediante uno stantuffo in legno che penetrava nel cilindro mano in mano che questo si vuotava. La fuoriuscita della sabbia veniva facilitata con una punta di filo di ferro o anche con la percussione del cilindro da parte di operai, posti in corrispondenza di ciascun cilindro, ai quali era affidato il compito di regolare l’abbassamento dei cavalletti. Potevano poi essere presenti tacche di diversi colori segnate sullo stantuffo che permettevano il controllo della regolarità della discesa112 (fig. 59). Ovviamente questi sistemi furono sostituiti, in tempi più recenti, da viti o martinetti metallici di regolazione.
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
a)
b)
Fig. 58. Sistemi di disarmo delle volte: cunei (a) e sacco riempito con sabbia (b). (Cattaneo L., 1889, tav 11)
Fig. 59. Sistemi di disarmo delle volte: scatole in legno o in ferro riempite di sabbia compressa.
2.1.4 Accorgimenti per il miglioramento della resistenza Terminata la costruzione della volta e tolta la centina, era consuetudine riempire le reni con rottami murati con malta di calce o in
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CAPITOLO 2
gesso ed eventualmente collocare tiranti in ferro per contenere la spinta della volta. Molto spesso sopra la volta doveva essere realizzato un piano di calpestio e ciò comportava la necessità di creare un piano orizzontale. L’estradosso della volta veniva perciò riempito con materiali di risulta disponibili in cantiere, fra cui calcinacci, sassi e pezzi di mattone. Questo tipo di riempimento poteva però generare un eccessivo aumento di peso sulla volta e quindi influire negativamente sul comportamento della struttura voltata causando eccessive spinte all’imposta. Tuttavia, come verrà ampiamente discusso nel capitolo 5 della seconda parte di questo lavoro, il riempimento, pur aumentando il carico verticale sulla volta, consente di limitare lo sviluppo di sforzi flessionali; in molti trattati, infatti, fin dalla metà del XV secolo, viene consigliato, per le volte in mattoni, l’uso di riempimenti leggeri, che da un lato consentono di sgravare la volta dall’eccessivo carico verticale causato dal materiale incoerente e dall’altro permettono di irrigidire la struttura. L’Alberti, per esempio, afferma che è buona norma che il completamento delle volte sia fatto in pietra leggerissima, per evitare che le pareti vengano danneggiate da un eccesso di peso; ancora nel XIX secolo, Valadier consiglia di terminare la “loro grossezza, e rinfianchi con tubi, con olle, e vettine disposte al centro ben murate fra loro, ma lasciando sempre un vacuo vuoto, per ottenere la ricercata leggerezza sempre a vantaggio de' muri” 113. Una soluzione per limitare la flessione nelle volte e creare un piano orizzontale garantendo comunque un’adeguata leggerezza, trascurata nella manualistica italiana nel XIX secolo e descritta per la prima volta da Rondelet, anche se probabilmente diffusa nella pratica costruttiva, consiste nella posa in opera di muretti di laterizio, chiamati frenelli, sugli estradossi delle volte. Rondelet descrive questi muriccioli come una sorta di nervatura estradossata, che a volte si portava fino al livello del piano orizzontale superiore e che, all’occasione, poteva sostenere il solaio realizzato superiormente lasciando delle cavità interne. I frenelli erano in grado di assicurare l’aumento della stabilità della volta senza però appesantirla troppo, in quanto andavano a costituire dei diaframmi murari
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE estradossali che irrigidivano la struttura limitandone gli effetti flessionali (si veda il capitolo 5 della seconda parte). Nella pratica costruttiva la flessione delle volte veniva limitata anche attraverso la realizzazione di costoloni e nervature, anche se la trattatistica e la manualistica d’architettura non fa nessun riferimento a questo tipo di espediente strutturale. Come si è detto, essendo le volte strutture spingenti, in alcuni casi necessitavano anche di elementi in grado di assorbire la spinta orizzontale e quindi di assicurare la stabilità della spalla. Quando possibile, la stabilità della struttura era affidata ai piedritti stessi, che dovevano avere una sezione sufficientemente ampia. Tuttavia spesso le spalle erano troppo sottili e non erano in grado da soli di reggere il carico orizzontale delle volte; perciò, soprattutto a partire dal XIII-XIV secolo, archi, volte e cupole iniziarono ad essere realizzati inserendo, direttamente in fase costruttiva, elementi di rinforzo lignei o metallici, detti “catene”, in grado di contrastare la spinta della struttura voltata, in particolare nel caso di sesti ribassati e murature con sezioni non sufficienti. Molti architetti, tra cui l’Alberti, Francesco di Giorgio Martini, Serlio, fino a Valadier, ne consigliavano l’impiego durante la costruzione. L’Alberti afferma infatti che le volte a sesto ribassato avevano bisogno “di catene metalliche assicurate nei due lati del muro”114 mentre Pellegrino Tibaldi (1527-1596), nel trattato l’Architettura, afferma che “a tutti li modi che si facci la volta, convien porvi al dritto de’ pilastri o colonne delle faciate le grosse chiavi di ferro intertenuto, che per il proprio peso non posi cadere, con dete ciave di fero che vada alle volte del circolo della volta; e tale chiave di fero scuro è vive e vesibile, et anco morte, che non si vedono”115. In molti casi, infatti, al posto delle catene intradossali, dette chiavi “vive”, che rimanevano a vista, per questioni estetiche e per non denunciare la presenza di presidi estranei all’opera muraria, venivano preferite catene non visibili, dette estradossali o chiavi “morte”, annegate nell’apparecchio murario della volta116 e quindi poste “infra la grossezza d’essa volta e il pavimento, acciò che nascose e non apparenti sieno”117.
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CAPITOLO 2
L’efficacia delle catene era però messa in discussione da alcuni trattatisti (Cornaro, Vignola, Gallacini) che ne denunciavano la perdita di efficacia nel tempo. Teofilo Gallacini (1564-1641) infatti, nel suo Trattato sopra gli errori degli architetti, afferma che “avendo a far le fabbriche con volta, non si facciano i fianchi troppo deboli, e spezialmente quando si hanno a fare le volte piane, che per cagione del poco sesto, e del molto peso, hanno forza di spinger le muraglie in maniera, che non bastano le catene di ferro a tenerle imbrigliate, e strette in loro stesse, affinché non precipitino, e massime se non vi è chi le fiancheggi. Ma contro la violenza loro non si può fare altra resistenza, che colla grossezza della muraglia; mentre è grandissimo errore il fidarsi nelle catene, che spesse volte si son vedute rotte”.118 Nonostante le discussioni sull’efficacia e l’estetica delle catene lignee o metalliche, a partire dal XV secolo, l’inserimento di questi presidi strutturali diventò una prassi costruttiva diffusa e consolidata. Le catene lignee, generalmente di rovere o di larice, venivano ancorate con zanche metalliche al capochiave in ferro inserito nella muratura. I tiranti lignei ricorrono con grande frequenza, tanto da non essere a volte nemmeno citati all’interno dei documenti di cantiere perché la loro messa in opera era ormai una consuetudine consolidata e il loro prezzo incluso in quello del muro119. In presenza di muri particolarmente sottili le catene lignee venivano sostituite con quelle metalliche120. Approfittando anche del costante miglioramento della qualità di ferro prodotta, le catene più comunemente usate erano quindi formate da tiranti in ferro con sezione rettangolare variabile da mm 40 x 8 a mm 60 x 12121, con un occhiello alle estremità che andava a formare la testa della chiave. Le catene venivano poste orizzontalmente a circa 1/3 della freccia122 (catene intradossali) e venivano bloccate con una barra in ferro123, detto capochiave, paletto o bolzone, inserito all’interno dell’occhiello, che serviva sia per distribuire lo sforzo sulla muratura perimetrale, sia per mettere in trazione la catena. Le catene e i paletti erano ottenuti mediante battitura a caldo e, in virtù di tale lavorazione, possedevano una buona resistenza all’ossidazione124. I paletti presentavano a volte un profilo cuneiforme, in modo tale da
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE impedirne lo scivolamento e da mettere in trazione la catena in seguito alla sua infissione nell’occhiello, oppure potevano avere sezione rettangolare e venire associati a cunei (o zeppe metalliche) battuti all’interno dell’occhiello prima del disarmo della volta125 (fig. 60). La catena doveva essere preventivamente tesata, in quanto solo in questo modo avrebbe potuto esercitare una spinta attiva sulla muratura fin dall’inizio. Una catena non pretesa sarebbe entrata in funzione, e quindi sarebbe stata in grado di assorbire la spinta, solo dopo la deformazione della struttura; in questo modo tale presidio sarebbe risultato utile solo nel caso di un eventuale collasso, ma non avrebbe consentito di limitare le deformazioni della struttura. Per ottenere quindi un’adeguata tesatura nella catena, la barra orizzontale veniva riscaldata, provocandone quindi un allungamento. A questo punto venivano battuti i cunei nell’occhiello e, in seguito al raffreddamento e al conseguente ritiro della barra metallica, il tirante era in grado di esercitare un’azione orizzontale, sui piedritti e sulla volta, contraria alla spinta della volta stessa. Poiché i cedimenti viscosi che potevano nascere sia nella muratura sia nel ferro, potevano portare col tempo ad una riduzione della tensione nella catena, poteva rendersi necessario ripetere l’operazione di tesatura ribattendo il paletto. Il paletto, quindi veniva preferibilmente posto
Fig. 60. Tiranti metallici per volte e cupole: particolari degli ancoraggi con i capichiave e i cunei e particolari dei nodi intermedi realizzati nelle catene formate da due o più elementi. (Misuraca, 1916, in De Cesaris, 1996, 101)
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all’esterno della muratura o, se nascosto per motivi estetici, veniva incorporato nel muro ricavando apposite sedi, che venivano poi ricoperte dall’intonaco126. I paletti all’esterno dell’edificio, apparivano spesso inclinati di 45°; ciò perché in corrispondenza degli spigoli interni, tale posizione consentiva di esercitare il migliore contrasto contemporaneamente sulla volta e sul muro perpendicolare alla facciata. Spesso, come già accennato, le catene potevano essere collocate, sempre per motivi estetici, in corrispondenza della chiave della volta (fig. 61). Tali catene, che prendevano il nome di catene estradossali o catene morte, venivano spesso utilizzate perché non visibili all’intradosso, tuttavia risultavano meno efficaci rispetto a quelle intradossali, in quanto non erano posizionate nel punto in cui agiva effettivamente la spinta dell’arco o della volta, ma leggermente più in alto. Era quindi necessario inserire dei “braghettoni”, ossia degli elementi metallici inclinati che, partendo da circa un terzo della catena, si estendevano fino all’imposta della volta127 (fig. 62). Il capochiave veniva allora allungato fino al piano d’imposta e inserito anche nell’occhiello del braghettone, al fine di diffondere l’effetto della catena anche alla zona delle reni. Ciononostante, spesso le catene estradossali non erano sufficienti, come si può vedere nell’immagine tratta dal Valadier (fig. 63), infatti le catene a braga, seppur più affidabili delle catene morte semplici128, non erano in grado di assicurare da sole il contenimento della spinta delle volte.
Fig. 61. Catena metallica posizionata in corrispondenza del concio di chiave, con particolare del capochiave. (Cattaneo L., tav 23, in Manuale della Città di Castello)
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Fig. 62. Catena metallica estradossale con braghettoni. (Cattaneo L., tav 25, in Manuale della Città di Castello)
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 63. Catene estradossali. (Valadier, 1992, tav. CCLXVII)
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2.3. Le volte in muratura: la pratica del costruire in età moderna attraverso alcuni casi esemplari
Dall’analisi della trattatistica e della manualistica di architettura tra il XV e il XIX secolo sono emerse una serie di indicazioni e di regole pratiche per realizzare le volte a “regola d’arte”: vengono suggerite le soluzioni più corrette per la realizzazione delle centine e per il loro disarmo e i giusti accorgimenti per rendere la muratura solida, per contenere le spinte e per alleggerire il più possibile le strutture voltate. Accanto a queste indicazioni atte a migliorare la resistenza delle volte, si affiancano suggerimenti di carattere formale, legati alle proporzioni e alle geometrie delle volte. La produzione letteraria e la riscoperta di tecniche e canoni classici hanno influito notevolmente sulle scelte progettuali degli architetti, soprattutto per edifici di maggiore importanza, in cui venivano spesso coinvolti personaggi colti in grado di indirizzare i lavori delle maestranze e di trovare le soluzioni tecniche e formali più idonee. Tuttavia, le indicazioni riguardanti le tecniche costruttive venivano in molti casi ignorate, con importanti ripercussioni sul comportamento strutturale delle volte. È noto, infatti, che nella comune prassi realizzativa gli orientamenti potevano spesso allontanarsi molto dalla “regola d’arte” proposta dalla trattatistica, perchè condizionati da fattori economici e locali e, in molti casi, anche dalle capacità tecniche delle maestranze. Attraverso l’analisi di alcuni casi reali di strutture voltate, si intende mostrare le discrepanze tra l’arte di costruire e la reale prassi di cantiere riscontrata in alcuni esempi di edilizia corrente e il rispetto delle indicazioni suggerite dalla trattatistica emerso, invece, in alcuni importanti cantieri lombardi.
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE 2.3.1. Apparecchiature e metodi di irrigidimento La trattatistica e la manualistica pubblicata tra il XV e il XIX secolo ha dedicato ampio spazio alle fasi realizzative delle volte, concentrandosi in particolare sulle apparecchiature delle volte in laterizio; questo atteggiamento evidenzia la volontà di migliorarne la resistenza anche attraverso la disposizione dei filari. Nei trattati di architettura129, per esempio, tra le differenti apparecchiature per le volte a botte, veniva consigliata la disposizione dei filari a 45°, nel tentativo di far gravare parte del carico anche sui muri di testata. Tuttavia si nota che spesso, nella prassi costruttiva, le volte a botte non venivano fatte appoggiare sulla muratura di testata, rendendo così inutile la disposizione a 45°. In molti casi, infatti, è stato riscontrato addirittura un distacco di alcuni centimetri tra volta e muro, come mostrato nelle immagini in figura 64.
Fig. 64. Esempio di volta a botte con disposizione a filari paralleli all’imposta, in cui si nota che la volta non poggia sulla muratura di testata.
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Anche le indicazioni riguardanti la perfetta ammorsatura tra le varie parti della volta sembrano essere trascurate in molti edifici, nei quali le scarse capacità tecniche delle maestranze e l’economia dei lavori hanno portato alla realizzazione di coperture poco curate e spesso in disaccordo con le indicazioni fornite in letteratura. Per esempio, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roè Vociano (Bs), la volta a botte lunettata della navata centrale presenta un’apparecchiatura a spinapesce molto regolare, ma le lunette mostrano una disposizione anomala, senza collegamenti tra la volta principale e le lunette stesse (fig. 65).
Fig. 65. Volta a botte lunettata della chiesa di San Pietro in Vincoli a Roè Vociano. Disposizione a spinapesce della navata centrale (sinistra) e disposizione dei mattoni tra la lunetta e la volta principale (destra).
In realtà non esistono studi scientifici che mostrino una correlazione tra comportamento strutturale delle volte e la disposizione dei filari, tuttavia sembra lecito supporre che, nonostante il comportamento strutturale delle coperture voltate non dipenda dalla disposizione dei mattoni, le differenti apparecchiature possono influire in maniera determinante sulla resistenza della volta, andando a creare punti deboli in corrispondenza dei giunti: la fessurazione, infatti, si evolve solitamente lungo linee non necessariamente più sollecitate, ma che, per ragioni costruttive, risultano meno resistenti130. Quindi, facendo riferimento per esempio alle volte a padiglione, sembra del tutto corretta l’intuizione di
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE disporre i filari ortogonali alle diagonali in quanto, in questo modo, si cercava di evitare la formazione di una zona debole in corrispondenza degli spigoli che, come verrà ampiamente spiegato nella seconda parte di questo lavoro, rappresentano la zona maggiormente sollecitata. In una volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle a Brescia (XVII secolo) è stata riscontrata un’apparecchiatura a filari paralleli all’imposta e, infatti, nonostante questa disposizione venisse indicata anche dalla trattatistica per la semplicità di posa131, si può notare la presenza di un giunto debole (fig. 66) e la conseguente formazione di lesioni all’intradosso della stessa volta, come si può osservare in figura 67.
Fig. 66. Estradosso della volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle (XVII secolo). La volta presenta una disposizione dei filari paralleli all’imposta.
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CAPITOLO 2
Fig. 67. Intradosso della volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle (XVII secolo). La disposizione dei filari paralleli all’imposta genera lungo le diagonali dei giunti deboli, causando un’estesa fessurazione in queste zone.
Invece, in una volta a padiglione del XV-XVI secolo che si trova nell’ex monastero di San Faustino a Brescia132, collocata a copertura di una sala al piano terreno, tra il chiostro dell’Abate e il chiostro della Campanella133, i filari di mattoni presentano un orditura ortogonale alla diagonale, con un’inclinazione di 45° rispetto all’imposta (fig. 68), in perfetto accordo con le indicazioni della trattatistica. Tale disposizione, associata ad una accurata tecnica costruttiva, garantisce una grande solidità della struttura. La volta originale134, in parte ricostruita secondo il modello esistente nel corso del XIX secolo per consentire l’inserimento di una scala, è su base all’incirca quadrata (fig. 69) e, oltre alla disposizione con filari ortogonali alla diagonale, presenta ulteriori accorgimenti per migliorare il comportamento strutturale della volta. In particolare, per l’irrigidimento estradossale della volta, sono stati realizzati frenelli riempiti, tra gli spazi vuoti, con materiale incoerente ben compattato (fig. 70); i frenelli avevano
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE il compito di irrigidire la struttura e di ripartire i carichi in modo più omogeneo. La trattatistica sembra menzionare questa pratica solo all’inizio del XIX secolo, quando per la prima volta Jean Nicolas Louis Durand nel suo Précis des Leçons d’Architecture données à l’Ecole Royale Polytechnique, pubblicato nel 1819, afferma che per le volte complesse (a padiglione e a crociera) è consigliabile realizzare dei contrafforti a intervalli regolari, colmando i vuoti “con terra ben secca e si pavimenta”135 (fig.71).
Fig. 68. Estradosso di una a padiglione rinvenuta nel complesso di San Faustino a Brescia (XV-XVI secolo). I filari sono disposti perpendicolarmente alle diagonali.
Fig. 69. Particolare dei frenelli di irrigidimento realizzati all’estradosso della volta a padiglione posta a copertura di una sala al pianterreno nel complesso di San Faustino a Brescia.
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Fig. 70. Rilievo dell’estradosso di una volta a padiglione rinvenuta nel complesso di San Faustino a Brescia (XV-XVI secolo). La tecnica costruttiva è molto accurata: i filari sono disposti perpendicolarmente alle diagonali e, per limitare la flessione, nella volta sono stati realizzati dei frenelli con riempimento tra gli spazi vuoti.
Fig. 71. Frenelli con riempimento tra i vuoti lasciati tra i muretti. (Durand J. N. L. 1991, tav. 4)
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE Un’altra tecnica per l’irrigidimento delle volte, divenuta probabilmente una prassi costruttiva assai diffusa e consolidata già a partire dal XV secolo, ma mai citata dalla trattatistica e dalla manualistica di architettura, consiste nell’utilizzo dei costoloni di rinforzo, in genere costituiti da filari singoli, doppi o tripli di mattoni posati di testa e sporgenti rispetto all’estradosso della volta di circa ½ o ¾ di mattone (figg. 72-74).
Fig. 72. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso di una volta appartenente al complesso di San Faustino a Brescia (XV-XVI secolo).
Fig. 73. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso della volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle a Brescia (XVII secolo).
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Fig. 74. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso della volta a ombrello sita all’interno del complesso di Santa Chiara a Brescia (XVIII secolo).
2.3.2. Le volte a vela della chiesa di San Fedele a Milano (XVI secolo) È importante osservare anche come, all’interno dello stesso cantiere, la realizzazione di due volte apparentemente identiche, costruite a distanza solo di alcuni anni, possa risultare differente sia per i materiali utilizzati, sia per la cura nella loro messa in opera. Per esempio nella chiesa di San Fedele a Milano136, progettata da Pellegrino Tibaldi nel XVI secolo, la navata centrale è stata coperta con due volte a vela gemelle (fig. 75) che però, da un’attenta osservazione dell’estradosso, presentano discrepanze non trascurabili (fig. 76). La realizzazione della chiesa di San Fedele a Milano, iniziata verso la fine del XVI secolo, richiese molti anni e la costruzione non avvenne simultaneamente in tutta la sua estensione, ma per corpi di fabbrica che venivano eretti dalla fondamenta fino alla copertura per essere utilizzati prima dello scavo di fondazione del corpo adiacente137.
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 75. Intradosso delle volte di San Fedele a Milano (XVI sec.).
Fig. 76. Rilievo dell’estradosso delle volte di San Fedele a Milano (XVI sec.). (Della Torre S., Schofield R., 1994)
Le volte a vela vennero realizzate alla fine del XVI secolo con un sistema di copertura voltata molto diverso da quello progettato dal Tibaldi nel 1568: nel 1568 il Tibaldi, infatti, propose una copertura a botte unghiata, tra il 1578 e il 1583 furono proposte due volte a crociere impostate su tre archi di timpano trasversali e, infine, vennero eseguite due volte a vela138. Non esistono documenti che attestino in maniera probante la paternità della copertura, tuttavia, secondo studi recenti139, è da attribuire allo stesso Pellegrino Tibaldi, autore tra l’altro del trattato L’architettura. L’unico disegno rappresentante la soluzione della copertura con volte a vela (F 251 Inf. 60 dell’Ambrosiana, fig. 77) non rispecchia esattamente le volte realizzate. Le volte infatti presentano otto nervature e un rosone centrale, dei quali non si trova traccia nel disegno dell’Ambrosiana. Tale disegno, eseguito probabilmente attorno al 1630, era volto a proporre soluzioni relative alla zona presbiteriale e dunque risulta poco preciso per quanto riguarda la restituzione della struttura già esistente.
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Fig. 77. Sezione longitudinale della chiesa di San Fedele a Milano ad opera di un anonimo del XVII secolo (BAM F 251 Inf. 60).
Le due volte, apparentemente identiche, mostrano alcune importanti differenze costruttive. Già da un rilievo ottocentesco del Cassina, più volte edito a partire dal 1844 (fig. 78 e 79) emerge la differenza di spessore tra il rosone centrale della volta a vela della prima e della seconda campata. Entrambe le vele presentano un apparecchio murario costituito da laterizi disposti di testa secondo anelli concentrici, con otto costoloni estradossali discontinuamente ammorsati con le vele, che si incontrano in sommità, dove si raccordano ad un anello gradonato corrispondente al grande rosone figurato. La vela contigua alla zona presbiteriale copre la campata realizzata nella prima fase cantieristica ed è databile intorno al 1579. Essa è stata realizzata con un apparecchio murario molto curato e presenta, all’estradosso, tre gradoni formati dagli anelli di mattoni del rosone (fig. 80). La vela verso la facciata, databile attorno al 1595, mostra al contrario un apparecchio più grossolano, in particolare per quanto riguarda i costoloni e l’anello che circonda lo sfondato del rosone. I costoloni
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE seguono un andamento frastagliato e l’apparecchio murario è più impreciso rispetto a quello dei costoloni della prima vela (fig. 81).
Fig. 78. Rilievo della sezione longitudinale della chiesa di San Fedele a Milano. (Cassina, 1844)
Fig. 79. Particolare del rilievo della sezione longitudinale della chiesa di San Fedele a Milano in cui si nota il differente profilo delle due volte in corrispondenza del rosone centrale. (Cassina, 1844)
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Le due volte, infatti, furono probabilmente realizzate in tempi diversi e ciò mostra come, all’interno dello stesso cantiere, anche coperture voltate apparentemente identiche possano essere realizzate con tecniche differenti in relazione alle capacità tecniche delle maestranze e alle possibilità economiche dei committenti.
Fig. 80. Particolare del rosone della volta a vela eseguita sulla prima campata della navata della chiesa di San Fedele a Milano.
Fig. 81. Particolare del rosone della volta a vela eseguita sulla seconda campata della navata della chiesa di San Fedele a Milano.
Fig. 82. Particolare di un costolone della volta a vela eseguita sulla prima campata della navata della chiesa di San Fedele a Milano.
Fig. 83. Particolare di un costolone della volta a vela eseguita sulla seconda campata della navata della chiesa di San Fedele a Milano.
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Buti G., 1972, Vol. XIII, 118 Mirabella Roberti G., Spina O., 2001. 719-728. 3 Lugli, 1957, p. 336-337 4 Buti G., 1972, Vol. XIII, 119-120 5 Un esempio di applicazione di questa tecnica lo si può ritrovare nella porta di Falerii Novi e nella porta di Volterra, realizzata con cunei in tufo tagliati con estrema cura. 6 Fra i pochi esempi di arco a sesto ribassato, si possono ricordare quelli nell’anfiteatro di Pompei (78 a.C.) e nella porta S Lorenzo ad Equino. 7 Per esempio nella porta del lato sud-ovest del Tabularium e per le nicchie degli emicicli nel foro di Augusto 8 La pozzolana è un materiale di origine vulcanica estratto principalmente nella zona di Pozzuoli, impiegato dai romani per conferire alla malta proprietà idrauliche. 9 L’opus caementicium deriva dal termine caementa, che indica i frammenti di pietra o di altro materiale (terracotta, marmo) che la compongono; nell’opus caementicium la malta viene unita agli inerti creando un composto particolarmente resistente e duraturo. 10 Lancaster 2005, 5. 11 Le forme più diffuse per i mattoni nel periodo romano erano i bessali, i pedali, i sesquipedali e i bipedali, ai quali poi ne venivano aggiunti altri derivanti da questi e ottenuti attraverso un taglio lungo le diagonali o lungo le mediane. I mattoni di forma triangolare così ottenuti prendevano il nome di semilateres. I bessali erano mattoni di forma quadrata, che misurava 2/3 del piede romano cioè 19,7 centimetri. I bipedali erano mattoni di forma quadrata con lato pari a due piedi romani cioè 59,14 cm. 12 Buti G., 1972, Vol. XIII, 122. 13 Lugli G., 1957, 467, Lancaster, 2005, 111. 14 Lugli G., 1957, 671. 15 Anche l'Alberti, nel suo trattato De re Aedificatoria, mostra di conoscere la tecnica in uso presso i romani di alleggerire le volte con olle laterizie, scrive infatti: “Gli spazi vuoti che restano tra la curva della volta inalzantesi e i muri cui questa si appoggia, chiamati dai muratori cosce, si riempiranno non già di terra o detriti secchi alla rinfusa, ma piuttosto con la normale e solida tecnica costruttiva, collegando di volta in volta il materiale alle pareti. Bene si regolano coloro che per non sovraccaricare la volta, riempono gli spazi delle cosce con vasi per acqua di terra cotta vuoti, fissi e a testa in giù, purché non si appesantiscano riempendosi di umidità, versandovi poi sopra un miscuglio pietroso leggero ma tenace”. 2
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L’Alberti si rende conto che il rinfianco dovrebbe essere realizzato con la stessa tecnica con cui venivano realizzati i piedritti, tuttavia sembra commettere lo stesso errore rilevato nei primi esempi di volte con olle laterizie, infatti consiglia di alleggerire la zona da lui definita “cosce” , nella quale in realtà il carico ha un’azione stabilizzante. Alberti L.B., 1989, 246. 16 Lugli G., 1957, 671. 17 Storz S., 1997. 18 Abramson D., 2000, 208-251; Watkin D., 2000, 273; Rutigliano G., n. 5051/1996, 130. 19 Rutigliano G., n. 50-51/1996, 130,131. 20 Krautheimer R., 1987. 21 Mainstone R., 1997. 22 Nella chiesa di San Vitale a Ravenna la cupola appoggia su un tamburo. 23 Buti G., 1972, Vol. XIII, 129. 24 La quincunx è una pianta che fonde lo schema a croce greca, con bracci di uguale lunghezza, con una base quadrata: si vengono così a creare nove ambienti all’incirca quadrati, di cui quello centrale e i quattro angolari sono coperti con cupola. 25 Si veda per esempio la basilica di San Marco a Venezia e il Sacello di San Satiro a Milano. 26 Viollet le Duc E., 1875. 27 Abraham P., 1935. 28 Valcarcel, J.P., 2003, Roca P., 2001. 29 Nikolinakou, M.A., Tallon, A. J., 2006. 30 Bonelli R., Bozzoni C., Franchetti Pardo V., 1998. 31 Wittkower R., 1982. 32 La bibliografia di riferimento per la cupola di Santa Maria del Fiore è estremamente vasta, si citano ad esempio Guasti C, 1974, Battisti E, 1989 e Di Pasquale S, 1977. 33 Alberti L. B., 1989, 127-128. 34 Di Giorgio Martini F., 1967, 92. 35 Le volte semplici sono formate da un’unica superficie curva e quindi non sono interrotte da nessun cambiamento di direzione; le volte composte, invece, sono quelle nelle quali si riuniscono porzioni di curve semplici per formare una sola volta e presentano perciò angoli o spigoli rientranti, che rompono il senso di continuità caratteristico delle volte semplici. 36 L’autore, parlando delle volte che nascono dal cono, precisa: “questi generi di volte non sono ancora state usate se non da me, e gli ho adoperato assai bene, e con bella vista, massime che sono fortissimi”, mentre a proposito delle volte
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piane scrive: “questa sorte di volte è mia particolare, e l’ho posta in opera non senza molta varietà e soddisfazione delle genti” (G. Guarini, 1968, 278-279). 37 Palladio A., 1980, 73. 38 La generatrice è una linea che si sposta nello spazio parallelamente a se stessa e che, appoggiandosi sulla curva direttrice, genera la superficie di intradosso della volta. 39 Cattaneo L., 1889. 10. 40 Alberti L. B., 1989, 124-125 e Di Giorgio Martini F., 1967, 92. 41 Milizia F., 1972, 72-173. 42 Cattaneo L., 1889, 10. 43 Cantalupi A., 1867, 517. 44 Bosc E.,1877-1880, 484. 45 Per “operazioni da eseguirsi dopo il disarmo” si intende l’inserimento di catene e la realizzazione dei frenelli o del riempimento. 46 Con il termine serraglio veniva indicato il concio di chiave. 47 Valadier G., 1992, vol. IV 48. 48 Milizia F., 1972, 282-283. 49 Salimbeni L., 1787, libro quarto. 50 Sanpaolesi P., 1971. 51 Vitruvio, 1987, 314. 52 Breymann G. A., 1995, 26, Curioni G., 1870, 570 e Protti E., 1935, 49. 53 Curioni G. 1870., 328 54 Codazza G., 1844, appendice, 307. 55 Breymann G. A., 1995, 15. 56 Levi C., 1932, 287. 57 Curioni G. 1870, 372. 58 Curioni G. 1870, 371. 59 Levi C., 1932, 286 60 Ivi, 421. 61 Bonavia M., 1989, 84. 62 Valadier, 1992, vol. IV, 61-64. 63 Levi C., 1932, 309. 64 Curioni G. 1870, 371. 65 Bonavia M., 1989, 84 66 Ibidem. 67 La centina venne definita dall’Alberti, nel suo trattato De re aedificatoria, una “struttura lignea rozza e provvisoria, terminata da superfici curve, la cui copertura sarà ottenuta con graticci o canne, o altro materiale di poco prezzo, al fine di sorreggere il riempimento della volta finchè non abbia fatto presa la malta”. Alberti L. B., 1989, 129.
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Questo interasse è riportato sia da Vitruvio al libro VII, capitolo III de I dieci libri dell’architettura, pag. 314, sia da V. Scamozzi al libro VIII, capitolo XV de L’idea dell’architettura universale, 325. 69 L’aggraziatura è costituita da uno strato di terra fine o sabbia, posto sulla superficie lignea in modo da eliminare le irregolarità tra i giunti delle assi. Astrua G., 1996, 147-148. 70 Alberti, Durand, Curioni e altri. 71 Alberti L. B., 1989, 129. 72 Ibidem. 73 Durand J. N. L. 1986, 36. 74 Alberti L. B., 1989, 130-131. 75 Curioni G., 1870, 328. 76 Valadier G., 2000, vol. IV. 77 Rondelet J.B., tomo IV, 313. 78 Alberti L. B., 1989, 126. 79 Citazione di Cantalupi in Breymann G. A., 1995, 35. 80 È noto che la scienza che studia il taglio delle pietre per i conci delle volte e degli archi si chiama stereotomia. Giovanni Codazza, nel suo trattato Nozioni teorico-pratiche sul taglio delle pietre e sulle centine delle volte, si dilunga su complesse descrizioni geometriche necessarie per il taglio dei conci dei vari tipi di volte. 81 Cattaneo L., 1889, 10. 82 Rondelet J.B., tomo II, 62. 83 Protti E., 1935, 81-82. 84 Levi C., 1932, 310-311. 85 Questa disposizione viene definita dal Breymann come spinapesce. 86 Secondo la terminologia usata dai muratori si dice che i mattoni devono “baciarsi”. 87 Breymann G. A., 2003, 39. 88 Levi C., 1932, 310-311. 89 Protti E., 1935, 84. 90 Ivi, 83-84. 91 Breymann G. A., 1995, 38. 92 Protti E., 1935, 98 e Breymann G. A., 1995, 88. 93 Valadier, 1992, vol. IV, 4-5. 94 Levi C., 1932, 313. 95 Ivi, 310-311. 96 Protti E., 1935, 89. 97 Levi C., 1932, 312. 98 Ivi, 310-311.
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Bosc E., 1877-1880, tomo 4 voce Voûte, 485. De Cesaris F, 1996, 85. 101 Cantalupi A., 1867, 517-518. 102 Cantalupi A., 1867, 518-519. Anche Luigi Cattaneo parla del serraggio della volta sottolineando però che “La chiave dell’arco che si mette per ultimo deve serrare la struttura senza però essere troppo forzata a colpi di mazza”. Cattaneo L., 1889, 10. 103 Vittone B., 1760 e Milizia F., 1972. 104 Milizia F., 1972, 534-535. 105 Il Rondelet scrive: “le volte in mattoni debbono lasciarsi più tempo sulle centine per evitare il maggiore abbassamento di cui sono capaci, e che potrebbe produrre disunioni talvolta pericolose quando si levano le centinature prima che la malta abbia acquistato una certa consistenza”. Rondelet J.B., 1831, 60-61. 106 Spesso veniva predisposta la centina con una freccia leggermente maggiore (alcuni millimetri) rispetto a quella progettata per la volta per bilanciare i cedimenti conseguenti a questo tipo di disarmo. 107 Scamozzi V., 1982, 325-326. 108 Alberti L. B., 1989, 131-132. 109 Curioni G., 1870, 390-393. 110 Ivi, 391. 111 Questo sistema fu probabilmente inventato da Bouziat, un appaltatore di ponti che lo impiegò nella costruzione delle sue opere. 112 Cantalupi A., 1867, 520-521. 113 Valadier G., 1992, vol. IV, 4-5. 114 Alberti L. B., 1989, 124-125. 115 Il Pellegrini aveva l’abitudine di far uso di catene, sia intradossali e quindi a vista come in San Fedele, sia nascoste, come per esempio nel tempietto del battistero del Duomo di Milano. Nota 4 in Tibaldi P., 1990, 90. 116 Giustina I., 1996, 217. 117 Di Giorgio Martini F., 1967, 92. 118 Gallacini T., 1970, 51. 119 Della Torre S., 1990. 120 Giustina I., 1996, 216. 121 Levi C., 1932, 293. 122 Era noto che la zona di più probabile rottura si trovava, per archi a tutto sesto, nella zona delle reni a circa 30° dal piano d’imposta. 123 I paletti vennero sostituiti, alla fine dell’800, da piastre rinforzate. 124 De Cesaris F, 1996, 100. 125 Giustina I., 1996, 216-217. 126 Bonavia M., 1989, 83. 100
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Giustina I., 1996, 217. Si veda a tal proposito Dotti F., Esame sopra la forza delle catene a braga, Stamp. Bolognese di San Tommaso D’Aquino, Bologna 1730 (Giustina I., 1996, nota 43) 129 Breymann G. A., 2003, 38-39. 130 D’Ayala D., 1994. 131 Levi C., 1932, 310-311. 132 San Faustino a Brescia è un antico monastero, il cui nucleo originario risale al IX secolo, ma che ha subìto notevoli modifiche sopratutto nel corso del XV, XVI e XX secolo. Nel complesso di San Faustino sono state rinvenute numerose sale coperte da volte con diverse geometrie. 133 Mezzanotte G., Mariani Travi L., 1986, 22. 134 La volta originale è stata in parte ricostruita nel corso del XIX secolo per consentire l’inserimento di una scala. Il restauro ha tuttavia previsto il ripristino della situazione originale mediante il rifacimento della fascia mancante in accordo con la volta esistente, impiegando mattoni pieni e seguendo la disposizione della volta originale. 135 Durand J. N. L., 1991, 77. 136 Della Torre S, Schofield R., 1994 e Poletti M., Terrugi S., 2202-2003. 137 In San Fedele di Milano si possono individuare tre diverse fasi temporali dello svolgersi del cantiere. La prima fase riguarda l’edificazione sul primo lotto e si realizza dal 1568 al 1579; la seconda fase va dal 1591 al 1596 e coincide con la costruzione della chiesa eretta sul secondo lotto; la terza fase va dal 1581 al 1833 ed è dedicata alla costruzione della tribuna e ai completamenti. 138 Della Torre S, Schofield R., 1994. 139 Poletti M., Terrugi S., 2002-2003. 128
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3. SINTESI STORICA DEI PRINCIPALI STUDI SCIENTIFICI SUL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE
Per poter comprendere a pieno le strutture storiche e per poter formulare considerazioni statiche corrette, ottenute per mezzo degli strumenti attualmente a disposizione, e allo stesso tempo coerenti con la concezione originaria della struttura, è necessario prima conoscere come queste strutture venivano ideate dai costruttori e dagli architetti del passato, quali fossero le conoscenze a loro disposizione e le principali regole utilizzate per il dimensionamento delle parti che le compongono. In questo capitolo si cercherà quindi di ripercorrere, seppur in maniera sintetica, vista l’ampia bibliografia di riferimento, a cui si rimanda per eventuali approfondimenti1, i principali orientamenti e i contributi più importanti nello sviluppo delle teorie statiche di archi, volte e cupole in muratura.
3.1. Conoscenze fino al XV secolo Prima del XVII secolo, quando iniziarono a delinearsi i principali studi scientifici sulle strutture voltate, e prima ancora del XV secolo, quando il fervore rinascimentale per la definizione di regole atte a indirizzare l’opera dei costruttori fece nascere una serie di indicazioni puramente
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geometriche per la realizzazione delle volte, la grande esperienza e l’intuito erano gli unici strumenti a disposizione di architetti e costruttori. I costruttori antichi, infatti, forse proprio grazie alla grande esperienza maturata sul campo, sembra fossero a conoscenza degli aspetti salienti del comportamento di archi e volte. Eugene Viollet le Duc arriva addirittura ad affermare che i costruttori medioevali, forti solo delle conoscenze costruttive pratiche, avevano coltivato una sorte di “istinto” che li portava ad approssimare la forma dell’arco alla curva delle pressioni e, sempre a loro, Viollet le Duc attribuisce la regola empirica cosiddetta “del trapezio” che consentiva di dimensionare i piedritti attraverso un semplice procedimento grafico2. Secondo questa regola, prendendo un arco di qualsiasi forma e dividendolo in tre parti uguali (AB, BC, CD), puntando in D, con apertura di compasso pari al segmento CD e tracciando una semicirconferenza, è possibile individuare il punto E, dato dall’intersezione della circonferenza con il prolungamento del segmento CD, che individua la linea esterna del piedritto, determinandone di fatto lo spessore3 (fig.1)
B A
B
C D
A E
C
D E
Fig. 1. Dimensionamento del piedritto col metodo grafico: si nota come lo spessore del piedritto sia inferiore per l’arco acuto rispetto a quello a tutto sesto.
Questa regola, apparentemente molto semplice e rozza, nonostante non consideri il rapporto tra l’altezza del piedritto e il suo spessore, mostra comunque la conoscenza del diverso comportamento degli archi in
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GLI STUDI SCIENTIFICI funzione del rapporto tra freccia e luce e, per archi con luce inferiore a 4-5 m, in assenza di sovraccarichi, conduceva agli stessi risultati di regole più rigorose e motivate dei primi teorici del XVIII secolo. La semplice geometria pratica era dunque l’unico strumento che i costruttori medioevali possedevano per dimensionare e studiare le strutture voltate, ma questo non impedì di realizzare strutture ardite e di indiscussa bellezza.
3.2. Prime intuizioni (XV-XVII secolo) A partire dal XV secolo, a fianco delle indicazioni pratiche fornite dalla trattatistica di architettura per la realizzazione di archi e volte in muratura, iniziò a delinearsi un altro atteggiamento basato principalmente sulla geometria e sulle sue applicazioni4. Il dimensionamento in chiave geometrica restò per lungo tempo il criterio più seguito dagli architetti; infatti, fino alla fine del XVII secolo, le volte venivano dimensionate ponendo particolare attenzione alle proporzioni tra gli elementi, che dovevano rispondere a obiettivi estetici, a riferimenti simbolici, a caratteri stilistici derivati dalla tradizione classica. L’Alberti affermava che ciò che è geometricamente perfetto è anche staticamente valido e che la perfezione delle dimensioni garantisce l'equilibrio dell’intera struttura. Egli sosteneva inoltre che l'arco circolare è il più solido ed è il solo che non richiede l'uso delle catene o di altri mezzi di sostegno che si contrappongano alle spinte5. Come lui, anche i numerosi trattatisti che seguirono posero le maggiori attenzioni verso temi concreti connessi alla tecnica del costruire, piuttosto che a teorie astratte, ma cercarono in qualche modo di indicare le geometrie migliori al fine ridurre la spinta sui piedritti e di suggerire rapporti fra la freccia della volta e le dimensioni dei vani6. L’unico personaggio che, prima del XVII secolo, riusci a cogliere a pieno il comportamento strutturale degli archi, fu Leonardo da Vinci, che fornì schizzi e indicazioni che per la prima volta si rivelarono corretti.
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Le sue idee sono custodite nei Codici Foster (1487-1505) e soprattutto nei Codici di Madrid (1490-1508), nei quali è probabilmente raccolto tutto il materiale preparatorio per il suo trattato di meccanica, mai completato. Leonardo, comprendendo il funzionamento statico dell’arco, affermò che “Arco non è altro che una fortezza causata da due debolezze: imperochè l’arco negli edifiti è composto di due quarti di circulo, i quali quarti circuli ciascuno debolissimo per se desidera cadere e oponendosi alla ruina l’uno dell’altro, le due debolezze si convertono in una unica fortezza”7. Egli, inoltre, indicò un metodo per la verifica degli archi spiegando che “l’arco non si romperà, se la corda dell’archi di fori non tocherà l’arco di dentro”8. Leonardo quindi, assimilando l’arco ad un sistema di due aste (fig. 2), intuì probabilmente il concetto di linea delle pressioni; ma non solo: osservando alcuni suoi disegni, si può scorgere il tentativo di valutare sperimentalmente la spinta di archi con forma differente (fig. 3) ed è possibile rinvenire alcuni studi sui meccanismi di collasso e sulla fessurazione (fig. 4). Leonardo, quindi, grazie solo al suo intuito e a semplici prove sperimentali, riuscì a cogliere il comportamento dell’arco nei suoi aspetti fisici essenziali e tentò di giustificarlo con schemi e semplici prove sperimentali.
Fig. 2. Sistema di due sbarre a cui Leonardo assimilò probabilmente l’arco. (Benvenuto E., 1981, 324)
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Fig. 3. Schizzi di Leonardo da Vinci, contenuti nei Codici Foster, rappresentanti l’intuizione di prove sperimentali per la valutazione della spinta degli archi sui piedritti. (Benvenuto E., 1991, 310)
Fig. 4. Schizzi di Leonardo da Vinci contenuti nei Codici Madrid: meccanismi di collasso di un arco acuto e di un arco a tutto sesto (Benvenuto E., 1991).
I suoi studi e le sue precoci intuizioni restarono tuttavia un caso isolato e, all’interno dell’ambiente scientifico, la chiave di lettura prevalente per la stabilità degli archi e delle volte restò ancorata, per almeno due secoli, alla geometria e ai rapporti proporzionali; ne sono un esempio gli scritti di Sebastiano Serlio9 e di Carlo Fontana10 che nei loro trattati proposero delle regole geometriche-proporzionali per la determinazione dello spessore delle cupole, dei relativi supporti e delle lanterne, mostrando, di fatto, un’estrema empiricità e soggettività dei metodi proposti.
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Fontana tuttavia, nel suo trattato La dichiaratione dell’operato nella cupola di Monte Fiascone colla difesa della censura, pubblicato nel 1673, ribadì un concetto, probabilmente già diffuso tra i contemporanei ma frutto solamente dell’esperienza e dell’intuito, in cui si affermava che lo spessore della cupola all’imposta dipende dal materiale con cui è realizzato il sistema di sostegno. Egli afferma infatti che, se questo è “di ottimo lavoro di mattoni”, la cupola dovrà avere all’imposta uno spessore di 1/10 del vano, mentre se sarà “d’inferior qualità di Cimento, cioè di tufi ò pietre” lo spessore dovrà essere almeno 1/911, introducendo un concetto che verrà poi ripreso dagli studi del XVIII secolo.
3.3. Studi scientifici (XVIII-XIX secolo) Nonostante la necessità, già affiorata nel corso del XVII secolo, di ampliare le conoscenze sulle strutture, introducendo relazioni dipendenti anche dalla resistenza dei materiali, è solo a partire dalla fine del XVII secolo che iniziarono a maturare studi scientifici sistematici sulla meccanica e sui materiali. Il primo importante contributo si deve a Philippe De la Hire (16401718), che nel suo trattato Traitè de Mecanique, pubblicato nel 1730, e nella Memoria del 1712, pubblicata nel 1731, fornì brillanti spunti per un nuovo modo di analizzare la statica delle strutture in muratura. Il matematico e astronomo francese assimilò l’arco ad un insieme di blocchi rigidi dotati però di peso proprio e affrontò sia il problema dell’equilibrio strutturale, sia quello del dimensionamento dei piedritti. Nella trattazione per valutare lo spessore dei piedritti, De la Hire abbozzò una sorta di calcolo a rottura e ipotizzò un possibile meccanismo di collasso basato su tre ipotesi12 (fig. 5): 1. la volta tende a lesionarsi in una sezione collocata a circa 45° tra l’imposta e la chiave;
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GLI STUDI SCIENTIFICI 2. i conci compresi tra le zone fessurate costituiscono un blocco unico e le fondazioni sono ben solide; 3. la spinta si colloca al lembo inferiore del giunto di rottura. L’autore assimilò quindi l’arco ad un cuneo spingente e ipotizzò che i giunti fossero perfettamente lisci e che potessero scivolare l’uno sull’altro, ignorando di fatto la deformazione dei blocchi, che può essere effettivamente trascurata in prima approssimazione, e l’effetto dell’attrito tra i conci, che costituisce invece un elemento essenziale per la corretta valutazione del meccanismo di collasso. I dimensionamenti proposti non trovano, infatti, riscontri nella realtà, ma la sua teoria, seppur erronea, risultò fondamentale per gli studi successivi e per lo sviluppo della meccanica degli archi.
Fig. 5. Meccanismo di collasso ipotizzato da De la Hire. (Benvenuto E., 1991, 333)
J. Forest de Belidor (1697 – 1761), nel suo trattato La science des Ingenieurs dans la conduite des travaux de fortification et d'architecture civile (1729), rielaborò le teorie di De la Hire proponendo un metodo semplificato per la determinazione dello spessore dei piedritti, concettualmente molto simile a quello di De la Hire. Un ulteriore progresso nello studio della meccanica delle strutture voltate è rinvenibile nelle due memorie di C. A. Couplet (1642-1722): De la poussée des voûtes del 1729 e Seconde partie de l’éxamen de la pouséee des voûtes del 1730.
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La ricerca di Couplet si colloca, infatti, quale anello di congiunzione tra i risultati di De La Hire e gli studi di Coulomb, introducendo, nell’ambito del problema della definizione della forma e della valutazione della spinta delle volte, un’importante innovazione: il legame tra i conci è considerato come un ostacolo allo scorrimento lungo i giunti e quindi la rottura dell’arco può avvenire soltanto per distacco in seguito alla rotazione mutua intorno a certi punti chiamati charnières, ovvero cerniere. Per la valutazione della spinta, Couplet si affidò alla composizione grafica delle forze, peraltro già utilizzata da De La Hire. A partire dal blocco in chiave, il cui peso è assegnato, Couplet riuscì a determinare l’andamento della curva delle pressioni concio per concio, ipotizzandolo equidistante sia dall'intradosso che dall’estradosso13. Couplet fu così in grado di affermare, in linea con le teorie di Leonardo da Vinci, che un arco a tutto sesto è in equilibrio se la linea, da lui definita “di appoggio”, è compresa nel suo spessore: l’arco non può raggiungere il collasso “se la corda della metà dell’estradosso non taglia l’intradosso, ma passa ovunque entro lo spessore della volta” 14 (fig. 6a). Il problema principale risiedeva però nella valutazione dell’equilibrio quando la condizione precedente non era verificata: per far questo Couplet immaginò l’arco come un sistema di quattro aste (fig. 6b) e osservò che la sua rottura poteva avvenire solo con l’apertura dell’angolo DÂE e con la chiusura degli angoli AEC e ADB.
a)
b)
Fig. 6. Rappresentazione grafica delle conclusioni di Couplet. (Benvenuto E., 1991, 343)
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GLI STUDI SCIENTIFICI L’autore affronta sicuramente il problema in un’ottica nuova e corretta, ma commette l’errore di considerare i giunti di rottura collocati a 45°. Negli anni successivi, la teoria degli archi e delle cupole subì un rinnovamento; le esperienze di De la Hire e di Couplet trovarono continuazione nell’opera dell’abate Bossut (1730-1814), che rappresenta il cardine tra la fase empirica del XVII secolo e le esperienze scientifiche di Mascheroni, Salimbeni e Coulomb. Egli esaminò due questioni: “l'una consiste nel trovare la figura della volta quando si conosca la legge delle forze che pressano i conci”; l'altra consiste, al contrario, “nel trovare la legge delle forze che debbono pressare i conci quando si conosca la figura della volta”15. Entrambe le questioni furono risolte dall’abate Bossut sia per le volte a botte16, sia per le cupole17, per le quali l’autore si basò sull’ipotesi che ogni “unghia” della cupola potesse essere considerata come un arco isolato di larghezza variabile. Particolarmente significativo fu l’operato di Charles Coulomb (17361806), che, nel suo Essai sur une application des règles de maximis & minimis à quelques problèmes de statique, relatifs à l’architecture, espose i suoi studi sulla volta a botte ed elaborò una teoria relativa sia alle volte prive di attrito, sia a quelle in cui esso è presente. Con Coulomb si assistette ad un radicale cambiamento degli studi sulle strutture in muratura: in primo luogo il modello fisico di riferimento si arricchì di nuovi aspetti, che consentirono di avvicinarlo maggiormente alla realtà sperimentale, includendo nei calcoli coesione ed attrito, ed inoltre mutò completamente l’atteggiamento con cui veniva formulato il problema dell’arco, infatti, se prima gli studiosi determinavano la geometria della volta in funzione delle sollecitazioni che dovevano corrispondere ad un dato schema statico, ritenuto ottimale, con Coulomb si cercò di determinare i valori limite delle forze che sarebbe stato possibile applicare ad un arco di dimensioni assegnate18. Il procedimento indicato da Coulomb consentì di rimuovere l’ipotesi secondo la quale la rottura dell’arco si verificherebbe per un giunto inclinato a 45° e condusse alla determinazione delle sezioni realmente più deboli, portando così alla determinazione del vero comportamento della volta. Significativa, ai fini
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del corretto calcolo a rottura, è la frase conclusiva della sua opera: “Ora, per poco che uno vi faccia attenzione, si vede che se si divide la parte superiore della volta verso la chiave e si suppone che la volta stessa si rompa in quattro punti anziché in tre, la forza di pressione delle parti superiori sarà assai maggiore di quella che si determina col metodo del Signor De la Hire e le dimensioni dei piedritti fissate dal suo metodo saranno insufficienti”19. Tra le righe si può chiaramente leggere il suggerimento ad accantonare il popolare metodo di De la Hire e la vecchia concezione dell’arco visto come un cuneo spingente sui fianchi, per iniziare ad affrontare la rigorosa analisi del cinematismo di collasso rappresentato dalla figura 7.
Fig. 7. Reale cinematismo di collasso di un arco, individuato da Coulomb. (Benvenuto E., 1991, 399)
Questa analisi però non è attribuibile a Coulomb, bensì all’abate e matematico italiano Lorenzo Mascheroni (1750- 1800), che nel suo trattato Nuove ricerche sull’equilibrio delle volte del 1785, cercò di dare forma analitica rigorosa ai principali problemi che intervengono nel progetto degli archi e delle cupole. Le esperienze di Mascheroni, assieme a quelle di Danisy e di Jean Baptiste Rondelet (1734 – 1829), le prove sperimentali di E. M. Gauthey (1732 – 1807) e di L. C. Boistard, della fine del Settecento, favorirono la formulazione di una teoria unitaria sul comportamento statico degli archi:
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GLI STUDI SCIENTIFICI la definizione del meccanismo di rottura in quattro parti per rotazione, costituiva ormai un dato acquisito dal quale dedurre tutti gli elementi per un corretto dimensionamento ed è proprio in questa direzione che si mosse la ricerca teorica dei primi anni dell’Ottocento. Durante il XIX secolo e a partire da Luigi Navier (1785 – 1836) il problema cominciò ad assumere però una diversa fisionomia, l’attenzione si spostò sulla resistenza del materiale, dalla quale si faceva dipendere la determinazione dei punti di applicazione delle risultanti in chiave e nei giunti di rottura. Pochi anni dopo Franz Joseph Gerstern (1756 – 1832) introdusse il concetto di linea di resistenza, intesa come il poligono che congiunge i centri di pressione sui piani di ciascun giunto (linea tratteggiata in fig. 8), e quello di linea di pressione, intesa come l’inviluppo delle rette d’azione delle forze che nascono tra giunto e giunto (linea continua in fig. 8). Un primo studio sulle curve di pressione, sulla scorta delle indicazioni di Navier, venne condotto da Eduard Henry Méry nel 1840, che propose anche un metodo grafico ancora oggi usato per i piccoli archi.
Fig. 8. Linea di resistenza e linea delle pressioni secondo lo schema di Gerstern. (Benvenuto E., 1981)
Fig. 9. Curva delle pressioni proposta da Mery per assicurare la stabilità dell’arco. (Benvenuto E., 1981)
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Méry (1805-1866) riuscì a determinare il valore della spinta ipotizzando che in ogni sezione dell’arco non fossero presenti sforzi di trazione quindi ipotizzando che la linea di resistenza, da lui denominata curva delle pressioni, fosse sempre compresa fra le linee curve ottenute congiungendo, per ogni sezione, i vertici superiori e inferiori del nocciolo centrale d’inerzia. Fra tutte le possibili curve delle pressioni contenute nella zona appena descritta, Méry consigliava vivamente di considerare quella particolare linea che è tangente in chiave al bordo superiore della striscia e tangente al bordo inferiore nella sezione delle reni inclinata, per gli archi a tutto sesto, di 60° rispetto alla verticale (fig. 9). A questo punto la curva delle pressioni era completamente determinata e per tracciarla bastava costruire il poligono funicolare delle forze (peso proprio e sovraccarico) che incontra tre punti particolari e cioè a' in chiave, M' alle reni e il suo punto speculare nella simmetrica parte dell’arco20. Questo è il celebre principio del terzo medio, realizzato sulla scorta delle indicazioni di Navier, tutt’oggi impiegato per archi e volte di piccole dimensioni. Fu però solo con il contributo di Luigi Menabrea (1808 - 1896) e di Alberto Castigliano (1847- 1884) che si riuscì ad approdare alla moderna teoria dell’analisi limite, sviluppata principalmente dal professor Heyman, che attualmente rappresenta il migliore strumento per comprendere e analizzare la statica degli archi in muratura. Gli studi e le indicazioni di questi illustri personaggi alimentarono gradualmente, all’interno dell’ambiente architettonico, un nuovo approccio al problema degli archi, delle volte e soprattutto delle cupole. Già dalla prima metà del XVIII secolo, tra coloro che si occupavano dello studio e della realizzazione di cupole, emerse la necessità di confrontare e mettere in relazione i dati desunti dall'analisi teorica con la tradizione costruttiva. Si moltiplicarono in questo periodo le ricerche sia sui grandi modelli antichi sia su quelli rinascimentali, di cui si tentava di svelare, con l'ausilio dei nuovi strumenti analitici e meccanici, i segreti della ineguagliata perfezione tecnica e compositiva21. Qualche anno più tardi, all’inizio del XIX secolo, le nuove teorie erano ormai penetrate negli ambienti colti e gli architetti più eruditi
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GLI STUDI SCIENTIFICI iniziarono a fondare le loro scelte progettuali su precisi calcoli matematici, desunti dai trattati e dalle memorie provenienti dalle accademie francesi, con importanti ripercussioni sulla pratica di cantiere. Il dimensionamento su base geometrica non venne tuttavia abbandonato e iniziò a farsi strada un atteggiamento intermedio tra quello puramente matematico e quello ancora legato a una ricerca di carattere geometrico. Rappresentativo di questo filone è per esempio il Trattato della Cognizione Pratica delle Resistenze di Giovanni Battista Borra, che si colloca appunto in posizione intermedia tra i due approcci progettuali, affiancando generiche indicazioni sull'equilibrio delle forze a nozioni di stereotomia desunte dalla trattatistica francese e a un singolare criterio di dimensionamento del piedritto (riproposto peraltro da Giuseppe Valadier a metà Ottocento). L’analisi dei documenti relativi alla costruzione della cupola del Duomo Nuovo di Brescia22 mostra un significativo esempio di questa rinnovata tendenza. Per la realizzazione della cupola, nei primi anni del XIX secolo, la Deputazione della Fabbrica del Duomo Nuovo interpellò una serie di architetti, incaricati di fornire un progetto o di esprimere un parere sulla soluzione formale della cupola, sui materiali da impiegarsi e sulla statica della struttura. I due problemi che maggiormente preoccupavano i membri della Deputazione riguardavano la stabilità del sistema di sostegno e la sua capacità di reggere l’enorme peso della cupola e la curvatura della cupola stessa. Tra i vari architetti interpellati emerge la figura di Rodolfo Vantini (1792-1826), noto architetto bresciano, che facendo uso delle teorie di Belidor e Bossut calcolò la spinta esercitata dalla cupola sui piloni, giungendo alla conclusione che la struttura portante non sarebbe stata in grado di sostenere una cupola con costoloni in pietra, a suo giudizio troppo pesante, mentre avrebbe potuto reggere una cupola con costoloni in cotto, molto più leggera e meno spingente. Il Vantini, in una sua memoria23, scrive: “Argomento di lunghe controversie fu la costruzione della Cupola quando l’architettura non fiancheggiata dalle Scienze si appoggiava solo a pratiche speculazioni le più volte fallaci.Senza l’aiuto delle Mattematiche, non si arriva a determinare la risultante
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delle forze fisiche poste in azione in questa parte degli edifici. Il più accorto raziocinio non bastò al Brunelleschi a tutto conoscere nello sciogliere il problema che aprì la strada alle più vaste imprese dell’Architettura moderna, né a Michelangelo quando concepì l’opera più ardita di cui si vantino le nostre arti. Entrambi non avvisarono a danni che procedono alle Cupole per l’eccessivo gravitare della Lanterna, che ambedue ne giudicavano il molto peso attivissimo a mantenere allegate le parti della volta sottoposta. Ma dopo le felici applicazioni che si fecero delle Mattematiche a questa parte dell’architettura, le condizioni indispensabili per l’equilibrio d’una Cupola vennero stabilite. La diversa solidità che procede dalle curve, la grossezza dei muri destinati a sorreggerle, la disposizione dei materiali, la mole dei Contrafforti, il peso che non è lecito oltrepassare nella Lanterna, tutto rimane stabilito, e dacchè la dimostrazione fu portata alla maggior evidenza ogni questione su di ciò dovrebbe sparire. È dunque una vera compassione il modo con cui si disputa da molti sul come debbasi voltare la Cupola della nostra Cattedrale, quasi fossimo ricaduti nella povertà de’lumi scientifici di alcuni secoli addietro, e dall’incerto consiglio di alcuni pratici, ma poi non altro che pratici, possa tuttavia dipendere una deliberazione di tanta importanza”24. Dalle sue parole emerge chiaramente la denuncia verso quegli architetti che, nonostante gli importanti progressi scientifici, fondavano ancora le loro scelte su considerazioni proporzionali. Egli afferma inoltre che “Col mezzo della Stereometria si dettermina la pressione di una Cupola. I Signori Mazzoli ed Antolini25 esposero per essa la diversità de’ pesi nella nostra secondo i vari progetti di costruzione. Ma con la sola Mattematica Applicata si penetra il modo con cui bilanciare nelle Cupole la resistenza alla spinta. De la Hire, Couplet, Belidor, Bossut, Venturoli, ed altri, calcolarono le formule per detterminare quest’equilibrio. Io ho trascritte le lodatissime del Bossut registrate negli atti dell’Accademia di Parigi del 1774, e perché offrono un applicazione facilissima al nostro caso, e perché servirono a proporzionare la resistenza di una delle quattro più ragguardevoli cupole d’Europa, pel suo
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GLI STUDI SCIENTIFICI modo di costruzione di S.t Genovef a Parigi, il cui diametro però è di due piedi minore del nostro”26. È quindi evidente che gli studi scientifici entrarono presto a far parte del bagaglio di conoscenze di architetti e ingegneri, ma che la tradizione del dimensionamento in chiave geometrica, ormai penetrato nella cultura architettonica, restò, probabilmente per i personaggi meno istruiti e colti, un punto di riferimento a cui affidarsi per la verifica delle strutture voltate.
3.4. Bibliografia AA. VV., Lo specchio del cielo, a cura di Conforti C., Electa, Milano 1997. Becchi A., Foce F., Degli archi e delle volte: arte del costruire tra meccanica e stereotomia, Marsilio, Venezia 2002. Benvenuto E., An introduction to the history of structural mechanics, volume 2, Springer-Verlog, New York 1991. Benvenuto E., Evoluzione tipologica delle volte in muratura ed evoluzione dei sistemi di calcolo nelle costruzioni a volta, in Le volte in muratura fra tecnologia antica e tecnologia moderna: atti del convegno. Padova, 16 dicembre 1989, Eurograf, Padova 1989. Benvenuto E., La scienza delle costruzioni e il suo sviluppo storico, Sansoni, Firenze 1981. Benvenuto E., Corradi M., Foce F., Sintesi storica sulla statica di archi, volte e cupole nel XIX secolo, in “Palladio”, n. 2/1988. Di Pasquale S., L’arte del costruire. Tra conoscenza e scienza, Marsilio, Venezia 2003. Foce F., Sinopoli A., Le svolte di pensiero nella riflessione scientifica sulla statica degli archi in muratura, in “Costruire in laterizio”, n. 52/53 1996, Editoriale PEG s.p.a., Milano. Huerta S., Galileo Was Wrong: the geometrical design of masonry arches, in “Nexus Network Journal”, vol. 8, n. 2, 2006.
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CAPITOLO 3
Mainstone R., Reflections on the related histories of construction and design, in Proceedings of the First International Congress on Construction History, Huerta S., Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Madrid, Madrid 2003. Marcolongo R., Studi Vinciani, SIEM, Napoli 1937. Marconi N., La teoria delle cupole nei trattati di architettura tra Seicento e Settecento, in Lo specchio del cielo, a cura di C. Conforti, Electa, Milano1997. Pozzi R., La statica grafica nell’architettura: equilibrio e forma degli archi, Esculapio, Bologna 1991. Serlio S. I sette libri dell’Architettura, Arnoldo Forni editore, Bologna 1987. Timoshenko S. P., History of strength of materials, Dover Publications, Inc., New York, 1953. Viollet le Duc E., Dictionnaire raisonnè de l’architetture francaise du XI, au XVI siecle, Tomo IX, voce: voûte, Librairies imprimeries reunies, Parigi 1875. Viollet le Duc E., L’architecture raisonnèe : extraits du dictionnaire de l’architecture francaise, a cura di Hubert Damish, Hermann, Parigi 1964.
NOTE: 1
Per una trattazione più estesa sull’argomento si rimanda al testo esaustivo e insuperato di Benvenuto E., 1981 e al lavoro di Di Pasquale S., 2003. Un’ampia bibliografia è rinvenibile nel testo Becchi A., Foce F., 2002. 2 Anche se la provenienza di questa semplice regola geometrica non è sicura, il Rondelet la attribuisce a padre Francois Dérand e assicura che, ancora nel XVII secolo, Blondel, così come molti altri, ne facesse largo uso. 3 Benvenuto E., 1981, 323. 4 Marconi N., 1997, 231-243. 5 Ivi, Libro I, Capitolo XII, pp. 47. 6 Si veda a tal proposito il capitolo 2 del presente lavoro. 7 Marcolongo R., 1937, 237. 8 Di Pasquale S., 2003, 243. 9 Serlio S., 1987.
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GLI STUDI SCIENTIFICI
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Fontana C., 1673 e Fontana C., 1694. Marconi N., 1997, 231. 12 Benvenuto E., 1981, 330-331. 13 Marconi N., 1997, 237. 14 Couplet C.A., Seconde partie de l’examen de la poussée des voûtes, in Benvenuto E., 1981, 38. 15 Pozzi R., 1991, 41. 16 Bossut C., Recherches sur l’equilibre des voutes, Paris 1777 17 I Bossut C., Nouvelles recherches sur l’equilibre des voutes, Paris 1778. 18 Benvenuto E., 1981, 361-362. 19 Ivi, 366. 20 Ivi, 390-391. 21 Alcuni testi a carattere monografico indagarono la struttura e la tecnica di tali modelli in modo approfondito: tra questi vi è il celebre trattato di Giovanni Poleni, incaricato nel 1743 di verificare la stabilità della cupola vaticana. Le Memorie Istoriche della Gran Cupola del Tempio Vaticano risultarono fondamentali per la conoscenza e la comprensione del comportamento statico e delle cause del manifestarsi di alcuni fenomeni fessurativi, non solo per la cupola di San Pietro, ma anche per gran parte delle cupole in muratura, nonché per l'analisi di criteri e tecnologie impiegati nei diversi interventi di consolidamento susseguitisi nel corso dei secoli. Peraltro, il fatto che Poleni abbia applicato alla sezione della cupola di San Pietro, e dunque a una sezione realmente costruita, la teoria della curva catenaria quale metodo di verifica per la stabilità, costituisce un precoce esempio di rigore scientifico. 22 I lavori per la realizzazione del Duomo di Brescia iniziarono nei primi anni del XVII secolo, ma le dispute e le incertezze che accompagnarono la scelta formale dell’impianto e la soluzione per la facciata dilatarono enormemente i tempi per la costruzione e, solo nel 1804, riprese il dibattito riguardante le modalità di realizzazione della cupola. Tra il 1815 e il 1817 terminò la costruzione del tamburo e l’attenzione si focalizzò sul problema della grande calotta centrale, sostenuta dai quattro piloni liberi e dai quattro arconi già realizzati. 23 Cartella 60 ACCBS (Archivio del Capitolo della Cattedrale di Brescia). Memoria dell’architetto sig.re Vantini agli illustri deputati alla fabbrica del Nuovo Duomo, 30 luglio 1819. 11
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Cartella 60 ACCBS, 30 luglio 1819, Brescia.
25
Mazzoli e Antolini furono due fra i numerosi architetti interpellati dalla Deputazione per esprimere un parere sulla stabilità della cupola. 26
Cartella 60 ACCBS, 30 luglio 1819, Brescia.
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4. INTUIZIONI STATICHE E COMPORTAMENTO STRUTTURALE A CONFRONTO: IL CASO DELLE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
4.1. Introduzione Da quanto emerso nei capitoli precedenti, appare evidente che la costruzione di volte e cupole ha sempre rappresentato, almeno fino alla fine del XIX secolo, la fase più delicata del cantiere. I problemi legati alla realizzazione delle cupole riguardavano la scelta formale della geometria della calotta, la scelta dei materiali e delle tecniche costruttive, in relazione anche alle capacità delle maestranze e alle risorse economiche, ma soprattutto la stabilità della cupola stessa e dei relativi supporti. Era questa, infatti, la principale preoccupazione di architetti e committenti, che spesso, in assenza di conoscenze statiche oggettive, erano costretti a interrompere i lavori per lunghi anni, riesaminando i progetti proposti e cercando di valutare, con l’ausilio dei pochi strumenti matematici e geometrici a loro disposizione, la forma migliore e la tecnica costruttiva più adeguata. La grande esperienza maturata nei corso dei secoli, le indicazioni dei trattatisti sul dimensionamento in chiave geometrica e le prime intuizioni statiche hanno portato alla realizzazione di volte e cupole di indiscussa grandezza, tuttavia i numerosissimi dissesti e i frequenti crolli che hanno accompagnato il corso dell’architettura nella storia testimoniano le oggettive difficoltà incontrate dai costruttori nel comprendere il comportamento di tali coperture.
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CAPITOLO 4
Proprio in virtù dell’esperienza pratica e in modo spesso intuitivo, nell’edificazione delle cupole i costruttori rivolgevano le maggiori preoccupazioni alla buona esecuzione dell’opera muraria e all’opportuno dimensionamento sia delle murature di sostegno sia della calotta, che spesso poteva contemplare anche un tamburo di appoggio e una lanterna. L’effetto ribaltante della spinta della cupola sui piedritti e la tendenza della cupola a fessurarsi longitudinalmente, secondo un comportamento tipico che sarebbe stato scientificamente definito solo agli inizi del XX secolo, erano fatti empiricamente noti, che i costruttori cercavano di contrastare con espedienti diversi, variabili a seconda del caso concreto e del contesto storico, ma in genere diretti a risolvere principalmente tre ordini di problemi: assicurare la resistenza dei sostegni, contenere le spinte e ridurre il peso delle coperture voltate1; il timore dei costruttori era giustificato, tuttavia, dalla coscienza che non sempre la muratura era eseguita a regola d’arte e che gli espedienti messi in atto spesso si rivelavano inefficaci o insufficienti, aprendo la strada a irreparabili dissesti. Le incertezze che accompagnavano la costruzione di cupole sembravano acuirsi in particolare nel caso di edifici religiosi con impianto in cui il vano più significativo era coperto con volta o cupola maggiore appoggiata su quattro piedritti isolati, uniti tra loro da quattro arconi e collegati alle murature perimetrali mediante opportuni sistemi voltati trasversali e longitudinali2. Una struttura così articolata caratterizzava in particolare gli edifici religiosi con impianto a quincunx che, come è noto, è costituito da un quadrato diviso da una croce greca inscritta in nove riquadri, dei quali i quattro angolari e quello centrale sono coperti con cupola; in tale impianto il vano centrale, più importante, era in genere coperto con cupola maggiore sostenuta appunto da quattro piedritti liberi mediante quattro arconi e quattro pennacchi. . Il comportamento dei singoli elementi strutturali del nucleo centrale della croce greca inscritta nel quadrato e le loro reciproche interazioni con la calotta, soprattutto nel caso di strutture di importanti dimensioni, erano l’oggetto delle maggiori attenzioni da parte di progettisti e costruttori,
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI come mostra in modo esemplare il travagliato rifacimento rinascimentale della basilica di San Pietro a Roma3. La centralità e lo spessore delle problematiche presentate da questo argomento, non solo in relazione allo studio del comportamento di volte e cupole in muratura, ma anche per le importanti ricadute di questo tema sulle scelte progettuali, compositive e formali di una buona parte dell’architettura religiosa del passato, e l’assenza di studi sistematici sullo specifico soggetto hanno sollecitato la presente ricerca. In particolare lo studio presentato ha l’obiettivo di delineare gli aspetti progettuali e la prassi costruttiva delle cupole su piloni liberi, cercando di rileggere e giustificare, alla luce delle conoscenze attuali, alcune scelte progettuali operate dagli architetti e dai costruttori del passato e ciò secondo una metodologia di ricerca scientifica tesa a incrociare gli strumenti di indagine propri della disciplina storica, ancorata alle fonti archivisticodocumentarie, e quelli più specificamente appartenenti alle discipline ingegneristico-strutturali, quali, ad esempio, l’analisi limite e le analisi ad elementi finiti. Per far questo si è preso spunto dalle vicende inerenti alla prima cupola della seicentesca chiesa di Sant’Alessandro a Milano e dagli esiti disastrosi della sua esecuzione, che portarono alla demolizione della stessa cupola, dagli interventi di consolidamento e dai successivi progetti proposti. Il primo obiettivo del presente studio, quindi, è stato quello di comprendere le possibili ragioni che portarono alla demolizione della prima cupola di Sant’Alessandro e di verificare se le soluzioni ideate successivamente, nel caso fossero state eseguite, avrebbero potuto evitare i problemi insorti in precedenza. Si è poi cercato di comprendere, grazie all’applicazione dell’analisi limite alla struttura, il comportamento globale del sistema composto da cupola, piloni, pennacchi e arconi. I risultati ottenuti nel caso specifico di Sant’Alessandro possono ovviamente essere estesi al più generale problema di una struttura cupolata su piloni liberi, che costituisce il nucleo centrale di un edificio con impianto a croce inscritta nel quadrato. L’individuazione dei meccanismi strutturali che si instaurano nel sistema composto da cupola, tamburo, arconi, pennacchi e piloni ha consentito di fornire utili indicazioni di
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CAPITOLO 4
carattere generale sull’efficacia degli accorgimenti e dei presidi strutturali utilizzati in passato in strutture cupolate appoggiate su piloni liberi e di maturare considerazioni che investono il campo delle scelte formali e compositive (strettamente connesse, soprattutto in presenza di tali sistemi, con quelle strutturali) intraprese a partire dal XVI secolo dalla cultura architettonica lombarda in relazione alla definizione del profilo, e quindi dell’immagine, delle cupole. Sulla scorta delle acquisizioni fatte, è stato inoltre possibile valutare il coefficiente di sicurezza delle strutture esistenti e proporre formule di progetto per eventuali interventi di recupero. I primi risultati di questo studio sono stati pubblicati nel Tecnical Report della Facoltà di Ingegneria di Brescia nel 2004 e i successivi sviluppi sono stati presentati al Second International Congress on Construction History nel 2006 e pubblicati nei Proceeedings dello stesso convegno.
4.2. Inquadramento storico: lo sviluppo dell’impianto planimetrico a quincunx Molti furono nel Rinascimento gli architetti che si dedicarono alla ricerca di un impianto che potesse conciliare aspetti monumentali, funzionali e simbolici per la chiesa cristiana4 (fig. 1). La pianta che più di ogni altra si adattava alle diverse esigenze fu l’impianto a quincunx, il cui nucleo centrale è costituito da cupola su piloni liberi. La quincunx è una pianta che fonde lo schema a croce greca, con i bracci di uguale lunghezza, con una base quadrata: quattro pilastri puntiformi suddividono l’interno in nove ambienti, di cui quello centrale e i quattro laterali sono coperti con cupole o volte. Si può quindi considerare la quincunx come una raffinata evoluzione dell’impianto circolare o ottagonale spesso utilizzato per gli edifici religiosi fin dal IV secolo5.
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 1. Filerete, pianta del tempietto della dea Copia (sinistra); Leonardo, analisi volumetrica del S. Pietro bramantesco (destra).
Fig. 2. Leonardo, studi di chiese a pianta centrale, 1487-90. (Adorni B., 2002, 62)
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CAPITOLO 4 L’origine dell’impianto a quincunx, secondo Richard Krautheimer6, è questione assai complessa. Recenti studi suggeriscono un’origine in area armena, dove la quincunx fu impiegata frequentemente in complessi conventuali, e un approdo infine a Costantinopoli, dove si diffuse in particolare tra la metà del IX e la 7
metà del XII secolo .
In epoca bizantina gli impianti a quincunx presentavano alcune caratteristiche fondamentali, come lo sviluppo delle cappelle orientali, che permettevano di longitudinalizzare parzialmente le piante degli edifici. Tra il IX e il XII secolo, anche nella periferia dell’impero, nacquero alcuni piccoli edifici religiosi su impianti simili. In Italia il primo edificio con impianto assimilabile a quelli bizantini è Santa Maria delle cinque Torri a Cassino, databile intorno alla fine del VIII secolo, ma completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale. In questa struttura è evidente la presenza di un quadrato minore inscritto in uno maggiore, ma la croce greca è interrotta dal colonnato interno (fig. 3).
Fig. 3. Pianta e sezione assonometrica della Chiesa di Santa Maria delle cinque Torri a Cassino. (Sinistra: di A.Pantoni, destra: di V.Jorga)
In Italia il primo vero esempio di impianto a quincunx si trova nel sacello di S. Satiro a Milano, databile nel XI secolo, inglobato alla fine del XV secolo nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro, progettata da Bramante8 (fig. 4). Il Sacello di San Satiro, inscritto perfettamente in un
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI quadrato, presenta appunto una croce greca iscritta in un quadrato e quattro colonne libere che schermano il vano centrale e sostengono la cupola; i bracci della croce sono coperti con volte a botte, al centro si trova una piccola cupola e nei vani angolari sono poste quattro volte a padiglione. Il modello milanese costituito dal sacello carolingio di San Satiro, più che quelli bizantini, ha costituito indubbiamente un punto di riferimento per la ripresa rinascimentale dell’impianto a quincunx. Bramante, ispirandosi al piccolo sacello milanese, volle riproporre un impianto a quincunx per il suo progetto più importante: San Pietro a Roma (fig. 5). A partire dall’inizio del XVI secolo si sviluppano in Italia numerosi esempi di edifici religiosi con impianto a quincunx: la chiesa di San Giovanni Crisostomo, ad opera di Mauro Codussi (1440-1504), che rimanda fortemente nella pianta e nella spazialità interna sia alla tipologia bizantina, sia alle riflessioni di Bramante; Santa Maria di Carignano a Genova, progettata dall’Alessi; Santa Maria della Steccata a Parm; la chiesa di Santa Maria della Campagna a Piacenz; il Duomo Nuovo di Brescia; Sant’Alessandro in Zebedia a Milano e molti altri9. La chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia a Milano, per le sue vicende architettoniche e per i dissesti evidenziati fin dai primi anni della sua costruzione, ha costituito il punto di partenza per il presente lavoro. Dopo un’attenta analisi delle vicende progettuali e costruttive della cupola di Sant’Alessandro, sulla base dei disegni di progetto, si è cercato di comprendere e di giustificare alcune scelte progettuali operate dai costruttori del passato. Estendendo poi le considerazioni fatte e i risultati ottenuti al caso più generale di cupole su piloni liberi, si è proposto uno schema di verifica e di calcolo per eventuali interventi di recupero strutturale.
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CAPITOLO 4
Fig. 4: Pianta della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro. (Bruschi A., 1997)
Fig. 5: Pianta del progetto bramantesco per la Basilica di San Pietro. (Uffizi 1A)
4.3. Le principali vicende progettuali e costruttive della cupola di Sant’Alessandro a Milano10 La chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia iniziò ad essere costruita a Milano dai Chierici Regolari di San Paolo nel 1602. Il progetto era stato inviato un anno prima da Roma dal padre barnabita Lorenzo Binago (1554-1629), «architectura artis bene peritus»11, che, trasferitosi poi a Milano, seguì il cantiere sino al 1629, anno della sua scomparsa. Binago, che alla luce dei più recenti studi emerge come architetto di grande interesse, mediatore tra la cultura romana e la tradizione lombarda tradocinqucentesca, particolarmente sensibile ai problemi costruttivi e alla
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI pratica di cantiere, scelse per Sant’Alessandro un impianto planimetrico basato sulla croce greca inscritta nel quadrato (fig. 6), con il preciso intento di ricollegarsi alle scelte cinquecentesche di Bramante e Michelangelo per San Pietro (figg. 7-8), di Galeazzo Alessi per Santa Maria di Carignano a Genova (fig. 9) e del San Lorenzo all’Escurial di Madrid (fig. 10). A differenza di quanto sia rilevabile in questi celebri riferimenti, il quadrato di base della quincunx in Sant’Alessandro è maggiormente articolato da Binago in senso longitudinale, al centro dal presbiterio e dal coro, e ai lati dalla sacrestia e da un oratorio; tre cappelle per lato chiudono il perimetro del vano quadrato. L’espansione assiale della quincunx era determinata senz’altro da esigenze liturgiche, sia interne all’ordine (i Barnabiti avevano l’ufficio corale) sia correlate alla volontà di aderire allo spirito della riforma tridentina e delle Instructiones borromeiche. L’invaso principale dell’edificio fu coperto con cinque cupole: quattro minori ribassate agli angoli e una grande cupola centrale, sorretta da quattro piloni a pianta all’incirca triangolare con coppie di colonne monolitiche sui lati diagonali. Lo spazio centrale con cupola maggiore rappresentava, come in tutti gli edifici eseguiti con simile impianto, un punto nodale dell’organizzazione liturgica della chiesa e, di conseguenza, un punto nodale nella composizione della sua architettura e nell’organismo strutturale complessivo dell’edificio.
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CAPITOLO 4
Fig. 6. Pianta della chiesa di Sant’Alessandro. Progetto di Lorenzo Binago. (Milano, Archivio Storico Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 6)
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 7. Studio per la pianta di San Fig. 8. Studio per la pianta di San Pietro a Pietro a Roma: progetto di Roma: progetto di Michelangelo secondo Dupérac. Bramante (Uffizi 20A).
Fig. 9. Santa Carignano a planimetria.
Maria di Fig. 10 A destra: San Lorenzo Genova, all’Escurial di Madrid, planimetria generale.
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CAPITOLO 4
Fig. 11. Sezione della chiesa di Sant’Alessandro secondo il progetto di Binago (Milano, Archivio Storico Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 12).
Fig. 11. Sezione della chiesa di Sant’Alessandro secondo il progetto di Ricchino (Milano, Archivio Storico Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 13).
Non è facile ricostruire con precisione la configurazione della cupola maggiore progettata da Binago, demolita nel 1627 per le gravi lesioni manifestate, non essendo stata raffigurata in modo univoco. E’ probabile che i disegni che illustrano con maggiore fedeltà il progetto binaghiano siano due sezioni trasversali della chiesa, molto simili, con scala grafica e autografe di Binago, conservate a Milano nell’Archivio Storico dei Barnabiti e nella Raccolta Bianconi dell’Archivio Storico Civico (Fig. 11). Nei due fogli la cupola appare emisferica, costolonata, dotata di lanterna e protetta da un tiburio alla lombarda; la calotta appoggia su un tamburo cilindrico dotato di otto aperture ed è sostenuta, mediante quattro pennacchi e quattro arconi, ai piloni triangolari sottostanti. La vita di questa cupola fu assai breve12. Intrapresa la costruzione dei piloni a partire dal 1614, entro il 1623 furono messe in opera le otto colonne lustrate e gli arconi di collegamento; i documenti attestano che tra il 1624 e il 1625 erano stati preparati tutti i materiali per costruire la cupola e che si sperava di voltare la calotta entro il 1626. Ma già nel
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI novembre dello stesso anno fervevano le consultazioni per rimediare alla statica incerta della nuova cupola, essendosi manifestate lesioni preoccupanti agli arconi, che si volevano puntellare in via preventiva e che si pensava di ricostruire interamente in pietra con l’intento di preservare la calotta appena terminata. Nel febbraio 1627 la rovina della cupola era «data per certa e sicura da tutti» e il capitolo, non avendo trovato alcun rimedio rassicurante, decise di «distruggere la sommità o il fastigio della detta chiesa fino alla cornice includendo anche l’arco e anche altro, se così ai periti, che si dovranno consultare nei giorni, parrà opportuno»13. Dopo la demolizione della cupola fu consultato Fabio Mangone (1587-1629), architetto di cospicua fama nel panorama milanese, architetto della Fabbrica del Duomo dal 1617, il quale nel 1628 espresse un parere sugli interventi di consolidamento da realizzare alle strutture portanti, evidentemente in vista della costruzione di una nuova cupola. Mangone, essenzialmente, riteneva necessario intervenire sui piloni e sugli arconi: auspicava di aumentare la sezione resistente dei piloni, occupando con muratura lo spazio tra i piloni stessi e le colonne libere diagonali, di rinforzare gli arconi «che si facessero doppi» e di allargare la sezione del futuro tamburo in modo da centrarlo sugli arconi sottostanti14. Nel 1629, scomparso Mangone, subentrò nel cantiere dell’edificio Francesco Maria Ricchino (1584-1658), figura di primo piano nel panorama professionale milanese e lombardo, che in diverse occasioni aveva affiancato Lorenzo Binago15. Probabilmente lo stesso Ricchino mise in opera i consigli di Mangone, provvide a mettere in opera non ben specificati incatenamenti agli arconi e a realizzare arconi a sesto acuto al disopra degli arconi semicircolari di sostegno alla cupola. Ricchino si accinse infine a realizzare un progetto per una nuova cupola, forse non senza la collaborazione di Giovanni Ambrogio Mazenta, padre barnabita assistente del padre generale dell’ordine e architetto. Il disegno della nuova copertura è documentato in due fogli conservati nella Raccolta Bianconi dell’Archivio Storico Civico di Milano, costituiti da uno schizzo di progetto e un disegno illustrativo (fig. 12). Il progetto ricchiniano si discosta notevolmente dalle soluzioni “alla lombarda” di Binago,
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CAPITOLO 4
proponendo una cupola estradossata, costolonata, appoggiata su un attico sopra un tamburo finestrato. La soluzione estradossata, oltre a rappresentare un unicum nella produzione ricchiniana, costituisce una rarità anche per la cultura architettonica milanese tra secondo Cinquecento e primo Seicento, particolarmente cauta nel realizzare concretamente cupole siffatte, esemplate su modelli romani rinascimentali. In particolare, per il progetto ricchiniano sono evidenti i collegamenti con la cupola michelangiolesca-dellaportiana di San Pietro, ma anche con quelle del Gesù, di San Carlo ai Catinari, di Sant’Andrea della Valle, mostrando un puntuale aggiornamento sulla cultura architettonica romana e suggerendo nel contesto locale una proposta di grande valore innovativo. E proprio il valore innovativo di questa cupola, con una struttura che non sembrava garantire alla cultura locale una grande affidabilità e con cui obiettivamente si aveva una scarsa confidenza costruttiva, induce a pensare che forse Ricchino, con la cupola di Sant’Alessandro, avrebbe potuto correre il serio rischio di assumersi un incarico troppo impegnativo, incappando in imprevisti problemi statici, come era occorso al più anziano ed esperto Binago; e proprio questi interrogativi hanno spinto ad avviare un confronto fra le soluzioni ideate dai due architetti. La pestilenza del 1630 determinò una lunga pausa delle attività edilizie anche in Sant’Alessandro e la cupola di Ricchino non fu mai eseguita. La cupola definitiva fu completata solo nel 1693 ad opera di Giuseppe Quadrio, in un panorama culturale e tecnologico ormai profondamente mutato e avanzato.
4.4. Modello ad elementi finiti Per stabilire le cause delle lesioni che indussero i costruttori a demolire la cupola di Binago e al fine di comprendere il comportamento strutturale della cupola demolita, di quella progettata da Ricchino e del loro sistema di sostegno, sono state eseguite analisi numeriche a
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI elementi finiti in campo elastico lineare, supponendo il materiale isotropo e idealmente resistente a trazione16 e assumendo per la loro ricostruzione geometrica le indicazioni fornite dai documenti archivistici, scritti e figurati. Bisogna osservare che, nel campo delle strutture in muratura, i risultati ottenuti attraverso tali ipotesi non consentono di esprimere un giudizio sulle reali possibilità di collasso della struttura, in quanto, come è noto, in seguito alla fessurazione, nelle murature, intervengono altri meccanismi resistenti in grado comunque di garantire l’equilibrio17. Le analisi svolte hanno avuto pertanto il solo fine di individuare nelle strutture studiate le zone che furono plausibilmente interessate dalle prime lesioni. Tali lesioni avrebbero potuto, come si è osservato, non influire sulla stabilità complessiva della struttura, ma per la loro entità avrebbero senz’altro potuto generare, in operatori privi di conoscenze scientifiche nel campo della statica, preoccupazioni tali da far temere un crollo imminente della struttura, inducendo a mettere in atto le contromisure ritenute indispensabili, come si verificò appunto nel caso della cupola di Sant’Alessandro, che fu demolita. A partire dalle sezioni di progetto eseguite da Binago (fig. 11) e da Ricchino (fig. 12) per Sant’Alessandro, rielaborate graficamente in Autocad (fig. 13), sono stati realizzati due modelli del nucleo cupolato centrale della chiesa (fig. 14). Entrambi i modelli sono stati realizzati con elementi di tipo brick a 8 nodi: questa schematizzazione consente di cogliere il comportamento tridimensionale della struttura, in particolar modo nella zona di collegamento fra pennacchi, piloni ed arconi, dove si potrebbero manifestare effetti diffusivi dovuti alla spinta degli arconi stessi. Il sistema portante, costituito da pennacchi, arconi, piloni e volte a botte, è lo stesso per entrambi i modelli ed è quello effettivamente costruito, ancora oggi esistente, mentre il tamburo e la cupola si differenziano notevolmente per forma e per geometria18. Dai disegni di progetto si evince, infatti, che la cupola di Binago era a tutto sesto e appoggiava su un tamburo sottile e omogeneo, mentre quella ideata da Ricchino era a sesto acuto e appoggiava su un tamburo più alto e più spesso, con setti murari ispessiti tra le finestre, in corrispondenza dei costoloni della cupola.
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CAPITOLO 4
Fig. 13. Sezioni quotate della chiesa di Sant’Alessandro: sopra il progetto di Binago, sotto il progetto di Ricchino.
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 14. Assonometria dei modelli utilizzati per le analisi ad elementi finiti: a) modello della cupola di Binago; b) modello della cupola di Ricchino.
I modelli utilizzati per le analisi ad elementi finiti sono riportati in figura 14. Come si può osservare, le dimensioni degli elementi, di tipo brick, risultano variabili. In particolare la struttura è stata modellata partendo dalla calotta (Fig. 15): l’arco generatore di ogni spicchio è stato diviso in 14 parti di circa 50 cm ed è stato poi ruotato attorno all’asse Z
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CAPITOLO 4
passante per la cervice. Ogni vela, in entrambi i modelli, è costituita da 6 spicchi con angolo al centro pari a 5,1° (la larghezza degli elementi varia quindi, andando dalla sommità della cupola fino all’imposta, da 30cm a 70cm), mentre il costolone è costituito da 5 spicchi, come indicato in figura 16. Il tamburo è costituito da elementi con grandezze all’incirca costanti nelle tre dimensioni (assimilabili circa a cubi di 45cm di lato), tranne la parte al di sotto delle finestre in corrispondenza dei piloni, in cui si è reso necessario un infittimento affinché l’arcone, in prossimità dell’imposta, avesse elementi di dimensioni contenute. In figura 17 sono riportate le sezioni, eseguite in corrispondenza della finestra, del tamburo previsto da Binago e di quello proposto da Ricchino. Le dimensioni degli elementi dei pennacchi e degli arconi sono una conseguenza della schematizzazione delle strutture poste al di sopra, mentre per i piloni sono stati utilizzati elementi aventi lato di circa 20 cm lungo l’asse Z. Per quanto riguarda i vincoli, si è ipotizzato un incastro al piede dei piloni e perciò sono stati posizionati vincoli rigidi lungo le tre direzioni X, Y e Z19. a
b
Fig. 15. a) Schema della cupola a sesto acuto progettata dal Ricchino. b) Schema della cupola a tutto sesto progettata dal Binago .
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
5,1°
Costolone
Vela
1,7°
4,2° 2,15°
Fig. 16. Pianta del tamburo della mesh utilizzata per la schematizzazione della chiesa di Sant’Alessandro (progetto di Lorenzo Binago).
Fig. 17. Sezione del tamburo in corrispondenza della finestra: a sinistra il tamburo del progetto di Binago, a destra quello del progetto di Ricchino.
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CAPITOLO 4
4.4.1. Comportamento strutturale delle calotte Lo studio del comportamento strutturale della cupola eseguita da Binago è stato intrapreso nell’intento di verificare prima di tutto se il cedimento avesse interessato solo il sistema calotta-tamburo o avesse riguardato l’intera struttura cupolata, coinvolgendo di conseguenza anche i piloni. La verifica è stata anche estesa alla cupola ideata da Ricchino, al fine di confrontare le due soluzioni e dedurre se la cupola proposta in sostituzione a quella demolita avrebbe avuto maggiori possibilità di successo. In prima battuta sono stati dunque considerati i modelli relativi solo alla struttura composta da calotta e tamburo20, contemplando due tipi di calotte: una a sesto acuto (fig. 15a), corrispondente a quella progettata da Ricchino, e una a tutto sesto (fig. 15b), corrispondente a quella disegnata da Binago.
Sforzi σ m diagrammati lungo il meridiano al centro dela vela
θ
0,300
θ
0,250 0,200 0,150 Sforzi σm[MPa]
0,100 0,050 0,000 -0,050 0
10
20
30
40
-0,100
50
60
70
80
intradosso (tutto sesto) intradosso (sesto acuto) estradosso (tutto sesto) estradosso (sesto acuto)
-0,150 -0,200 -0,250 -0,300
θ
Fig. 18. Andamento degli sforzi σ m diagrammati al centro della vela (i grafici si riferiscono alle analisi condotte sul modello costituito da cupola e tamburo).
130
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Sforzi σ p diagrammati lungo il meridiano al centro dela vela 0,300 θ
0,250
θ
0,200
intradosso (tutto sesto) intradosso (sesto acuto)
0,150
Sforzi σp[MPa]
0,100 0,050 0,000 -0,050
0
10
20
30
40
-0,100
50
60
70
80
estradosso (tutto sesto) estradosso (sesto acuto)
-0,150 -0,200 -0,250 -0,300
θ
Fig. 19. Andamento degli sforzi σp diagrammati al centro della vela (i grafici si riferiscono alle analisi condotte sul modello costituito da cupola e tamburo).
Nelle figure 18 e 19 sono riportati i diagrammi degli sforzi σm e σp tangenti alla superficie della calotta e diretti rispettivamente come i meridiani e i paralleli. In particolare sono riportati gli sforzi intradossali ed estradossali diagrammati in funzione della posizione θ lungo il meridiano. Come si può osservare dai grafici, le analisi numeriche mostrano che gli sforzi σp (fig. 19) risultano ovunque di compressione per la cupola a sesto acuto (tranne che per un breve tratto in corrispondenza dell’imposta in cui le condizioni di vincolo possono far nascere dei momenti flettenti), mentre nella cupola a tutto sesto le trazioni dei paralleli interessano un’ampia fascia che si estende quasi fino alla cervice della calotta e tali sforzi sono prevalentemente membranali, essendo di trazione sia all’intradosso, sia all’estradosso. È dunque evidente che, nella cupola progettata da Ricchino, si può sviluppare un comportamento a guscio in cui l’equilibrio della struttura è garantito dall’effetto cerchiante dei paralleli21. Al contrario, viste le importanti trazioni lungo i paralleli e le conseguenti lesioni che si saranno sicuramente manifestate nella
131
CAPITOLO 4
direzione dei meridiani, il comportamento strutturale della cupola progettata da Binago è assimilabile a quello di una serie di spicchi non interagenti22. Per stabilire se l’equilibrio degli spicchi costituenti la cupola progettata da Binago sarebbe stato comunque garantito, nonostante le vistose fessure passanti, è stata eseguita un’ulteriore analisi ad elementi finiti su uno spicchio costituito da una vela e dai due costoloni attigui. I risultati hanno mostrato che, sia per i costoloni sia per le vele, fin dalla cervice della cupola, la funicolare del carico è esterna alla sezione. Ciò significa che la geometria della calotta e il grande peso della lanterna portarono ad evidenti dissesti nella cupola e, probabilmente, anche ad successivo crollo. Questi risultati indicano che la cupola prevista da Ricchino (a sesto acuto), se fosse stata costruita come da disegno, probabilmente non sarebbe stata soggetta a fessurazioni. Tale considerazione induce a pensare che Ricchino avesse avuto una corretta intuizione strutturale applicando, come soluzione alternativa al dissesto di una volta emisferica, il rialzo della freccia della volta. Tale soluzione, radicata per altro nella tradizione costruttiva e specificamente in quella lombarda, con lungo retaggio gotico e familiare con arco acuto, garantiva evidentemente una maggiore sicurezza di stabilità ed era proposta pur presentando un’evidente dissonanza rispetto al linguaggio classico allora pienamente in uso. L’adesione al linguaggio classico, necessaria tuttavia da un punto di vista formale, era maliziosamente recuperata da Ricchino mediante l’apposizione di una sovrastruttura semicircolare di copertura sulla calotta archiacuta, priva di alcun ruolo nella compagine strutturale della volta. Dai risultati delle analisi eseguite è emerso che, invece, la cupola ideata da Binago (a tutto sesto), fu sicuramente interessata da importanti e vistose fessure passanti lungo i meridiani, alle quali dovettero probabilmente seguire altre ben più importanti lesioni lungo i paralleli. La cupola binaghiana per Sant’Alessandro era dunque destinata a crollare e questo giustifica la grande preoccupazione circa la stabilità della calotta e la drastica decisione di demolirla.
132
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
4.4.2. Comportamento strutturale del sistema costituito da cupola, tamburo e sistema di sostegno Un altro aspetto importante del comportamento strutturale della chiesa di Sant’Alessandro a Milano riguarda l’interazione tra la cupola e il sistema di sostegno. Come già detto nel capitolo 5.4, infatti, i documenti attestano che tra il 1624 e il 1625 erano stati preparati tutti i materiali per la realizzazione della cupola, che avrebbe dovuto essere realizzata entro il 1626, ma già nel novembre dello stesso si manifestarono delle lesioni preoccupanti agli arconi 23. Esaminato il comportamento delle calotte, si è proceduto con lo studio del sistema portante e della sua interazione con la cupola. Per far questo sono state inizialmente eseguite analisi numeriche sulla struttura composta da cupola, tamburo, arconi, pennacchi e piloni, necessarie per indirizzare lo studio basato sull’analisi limite proposto di seguito.
Sforzi σ p diagrammati lungo il meridiano al centro del costolone 0,300 0,250
θ
0,200 0,150
intradosso (cupola e tamburo)
Sforzi σp[MPa]
0,100 0,050 0,000 -0,050
0
10
20
30
40
50
60
70
80
intradosso (cupola e tamburo+piloni,pen nacchi e arconi) estradosso (cupola e tamburo)
-0,100 -0,150 -0,200
estradosso (cupola e tamburo+piloni, pennacchi e arconi)
-0,250 -0,300
θ
Fig. 20. Confronto fra i valori delle σp ottenute dall’analisi numerica eseguita sul sistema costituito da cupola e tamburo e da quella eseguita sull’intera struttura (cupola di Binago).
133
CAPITOLO 4
Il confronto tra le analisi condotte sui modelli costituiti solo dalla cupola e dal tamburo e quelli comprendenti anche l’impianto sottostante ha mostrato che il sistema costituito dai pennacchi, dai piloni e dagli arconi genera nel tamburo deformazioni radiali che si estendono fino all’estremo superiore e che si esauriscono rapidamente all’interno della cupola (fig. 20). Allo stesso modo la spinta esercitata dalla calotta si esaurisce nel primo tratto del tamburo grazie al contenimento esercitato dagli anelli che lo compongono e il comportamento globale della struttura è sostanzialmente indipendente dal comportamento della cupola. Per dimostrarlo sono stati diagrammati gli sforzi σZ lungo l’angolo esterno dei piloni, che come già detto risultano gli elementi più sollecitati, sia per l’impianto sormontato dalla cupola del Binago, che per uno identico in cui la calotta è stata sostituita con un carico verticale equivalente. Si è quindi fatto riferimento ad una situazione ideale in cui la cupola non esercita alcuna azione spingente sul tamburo. Come si può osservare (fig. 21), gli sforzi σZ nei due casi sono gli stessi: questo è dovuto al fatto che il tamburo esercita un effetto cerchiante in grado di assorbire la spinta della calotta. Tuttavia il grande carico verticale della cupola e del tamburo fanno nascere nello stesso delle trazioni sia al piede (verso l’interno) sia a livello dell’imposta dell’arcone (verso l’esterno).
134
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
σZ p
σZ max = 0,91 MPa
a)
σZ max = 0,91 MPa
b)
Fig. 21. Andamento degli sforzi σZ (ottenuti dall’analisi ad elementi finiti) diagrammati lungo lo spigolo esterno del pilone. a) Impianto con cupola di Binago. b) Impianto con cupola ideale non spingente, in grado di trasmettere solo carichi verticali.
4.5. Schema semplificato per la comprensione del comportamento strutturale del sistema di sostegno e per la valutazione del coefficiente di sicurezza della struttura Dai risultati mostrati nel capitolo precedente è emerso quindi che il comportamento globale del sistema è indipendente dalla spinta orizzontale della calotta e che i problemi agli arconi, citati dalle risorse documentarie, erano dovuti principalmente al grande carico verticale e non alla geometria della cupola.
135
CAPITOLO 4
Per chiarire e giustificare i presidi messi in atto dai costruttori antichi nel tentativo di rinforzare la struttura e per valutare la stabilità della struttura composta da piloni, pennacchi, arconi, tamburo e cupola, è necessario quindi analizzare il sistema di sostegno Per far questo è stato necessario elaborare un modello semplificato in grado di chiarire il motivo dei problemi statici insorti in S. Alessandro, ma soprattutto di porre le basi per la comprensione dei complessi meccanismi strutturali che si generano nei nuclei cupolati degli impianti a quincunx. Indipendentemente dalla geometria della calotta, si è definito uno schema statico attraverso il quale è possibile stimare le condizioni di equilibrio nel piano diagonale AA (fig. 22). Si è quindi supposto che il sistema costituito dallo spicchio di cupola AB, di larghezza pari ad un quarto di circonferenza, dal corrispondente settore di tamburo BC, dal pennacchio CD e dal pilone DE, fosse inizialmente non fessurato, incastrato in E e vincolato con un carrello, idealmente senza cedimenti, in C. La reazione HC risulta diretta verso l’esterno e viene di fatto offerta dalla resistenza del tamburo. Il sistema, oltre che dal peso proprio del pilone e del pennacchio e dal peso della parte di tamburo e cupola di loro competenza, è sollecitato in D dall’azione orizzontale H D, risultante nel piano diagonale della spinta esercitata dagli arconi (fig. 22b). Si considera la spinta minima, che si manifesta con fessurazioni anche nelle chiavi degli arconi, come verrà illustrato nel seguito. Tale struttura risulta iperstatica nella fase non fessurata. Dopo la fessurazione, allo stato limite ultimo, si formano delle sorti di “cerniere plastiche” nelle quali il momento resistente ultimo risulta pari al carico verticale moltiplicato per la massima eccentricità. La risoluzione della struttura iperstatica nella prima fase fornisce valori di momenti flettenti in C e D superiori ai momenti ultimi. Ciò significa che nella realtà, anche con i carichi di esercizio, queste sezioni risultano fessurate. La condizione di collasso si manifesta quando anche in E si forma la fessura e la cerniera plastica (fig. 22c). Si noti però che in questo studio è stato preso in considerazione solo il nucleo centrale dell’impianto a
136
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI quincunx; la struttura dispone però di ulteriori risorse offerte dalle volte a botte e dalle murature esterne e quindi i calcoli proposti risultano a favore di sicurezza. Eseguendo l’equilibrio alla rotazione della porzione di pilone tra le sezioni D ed E attorno alla cerniera in E, il rapporto fra il momento stabilizzante (dato dal peso proprio del pilone e dal peso del sistema cupola-tamburo moltiplicati per le eccentricità massime) e il momento ribaltante (fornito da HC e H D) consente di ottenere un coefficiente di sicurezza ψ. Con riferimento alla linea delle pressioni indicata in figura 3c, dall’equilibrio alla rotazione attorno a D del pennacchio CD si determina la forza HC che agisce all’imposta del tamburo:
HC =
PC ⋅ e C1 − PP1 ⋅ e P1 h1
=173kN
(1)
dove h1 è pari a 6,9 m, mentre i carichi verticali PC e Pp1 e le eccentricità eC1 e ep1 sono definiti di seguito. Per la determinazione di PC si fa l’ipotesi che il carico di competenza pari ad un quarto del peso della cupola e del tamburo si suddivida a sua volta in tre parti: un ottavo grava direttamente sul pennacchio, mentre il restante ottavo sugli arconi adiacenti. Il peso totale della calotta e del tamburo è stato stimato pari a 16880 kN. Risulta quindi: PC = PD = (1 / 8) ⋅ PTOT ( cup + tamb ) = 2110kN
(2)
Il peso proprio del pilone Pp1 vale:
[ ]
[
]
Pp1 = h 1 ⋅ A ⋅ γ = 6.9[m] ⋅ 13.24 m 2 ⋅ 18.50 kN m 3 = 1690kN
(3)
essendo A la superficie della sezione orizzontale del pilone (A=13.24 m ) e γ il peso specifico della muratura (γ = 18.5 kN/m3). 2
137
CAPITOLO 4
A
Pennacchio
a) A
Arcone
Sezione A-A
A
B
Sezione A-A
PC
C
PC h1
Pp
C
HC
PD HD
D
HD
Cerniera plastica
Pp1 Cerniera plastica
PD D
Pilone
Pp2 h2
Cerniera plastica
E
E
b)
R ep1 ec1
c)
ep2 eDE Fig. 22. Schema statico del nucleo centrale di un impianto planimetrico a quincunx con cupola su quattro piloni liberi.
138
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI Le eccentricità eC1 e ep1 di PC e di Pp1 rispettivamente, rispetto al centro della cerniera plastica in D (fig. 22c), risultano pari a: eC1 = 1.39m ep1 = 1.03m Tali eccentricità sono state ricavate ipotizzando una distribuzione costante degli sforzi di compressione nella parte reagente delle sezioni E e C e supponendo valori di compressione pari alla resistenza della muratura (poiché il peso della struttura risulta molto elevato si è rimossa l’ipotesi di resistenza a compressione infinita e si è ipotizzata una resistenza ultima a compressione pari a 2 MPa) La forza Hc così determinata, offerta dalla resistenza del tamburo, viene trasferita al pilone e genera, assieme alla forza H D, dovuta alle due spinte degli arconi adiacenti ai pennacchi, un momento ribaltante Mrib. Per quanto riguarda la spinta orizzontale H D (fig. 22c), è stato considerato il minimo valore della spinta, che si manifesta quando si forma la lesione sopra la chiave e nel tamburo si crea una sorta di arco naturale come indicato in figura 23. Si vengono così a creare dei puntoni DP-PP-DP con la conseguente formazione di un “telaio ideale”. L’altezza massima f del telaio naturale risulta pari a 11m, data la presenza della finestra (come mostrato in fig. 24, anche se non fossero presenti finestre, il “portale naturale” non potrebbe comunque estendesi fino all’imposta della cupola in quanto, i puntoni PD non sarebbero più contenuti all’interno della sezione muraria) La minima spinta HD esercitata dagli arconi sui piloni vale quindi: P 1 HD = D ⋅ l ⋅ =575 kN 2 f
(4)
essendo l≈6m la lunghezza della proiezione in pianta del puntone PD e PD il carico agente sull’arcone, pari ad 1/8 del peso totale della sistema cupola-tamburo. PD si è ipotizzato concentrato e posizionato ai lati della finestra (fig. 23).
139
CAPITOLO 4
PD/2
PD/2
P
P
f
Portale naturalel
613
Arcone ra D
D
HD
HD
613 l
Fig. 23. Vista frontale del sistema con indicati i puntoni PD e le spinte orizzontali trasferite ai piloni.
Portale naturale
P
P
D
Arconi
D Fig. 24. Schema dei puntoni PD. Come si può notare l’area reagente si riduce lungo il piano d’imposta del tamburo.
140
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Pertanto la spinta lungo la diagonale vale: HD =
HD 2
⋅ 2 =814 kN
(5)
Determinata la forza H D è possibile stimare il momento ribaltante sui piloni, che vale:
(
)
M rib = H C + HD ⋅ h 2 =13 336 kNm
(6)
Dove h2 = 13.4 m. Il momento stabilizzante vale: Mstab= (Pp1 + PC + PD ) ⋅ e DE + Pp 2 ⋅ e p 2 = 16 658 kNm
(7)
Dove:
[ ]
[
]
Pp 2 = h 2 ⋅ A ⋅ γ = 13.4[m] ⋅ 13.24 m 2 ⋅ 18.50 KN m 3 = 3282kN
(8)
eDE = 2.18 m ep2 = 1.15 m Quindi il coefficiente di sicurezza della struttura risulta pari a: ψ=
M stab = 1.25 Mrib
(9)
Questo risultato consente di affermare che la struttura di sostegno ideata da Binago, nonostante la presenza di lesioni di grande entità, sarebbe stata comunque in equilibrio e non avrebbe rischiato il collasso.
141
CAPITOLO 4
4.6. Comportamento strutturale del tamburo e del tiburio
L’azione orizzontale HC necessaria per l’equilibrio del sistema pilonepennacchio, come già detto, viene di fatto offerta dalla resistenza del tamburo alla sua ovalizzazione. Come conseguenza, HC spinge il tamburo verso l’interno in corrispondenza dei quattro pennacchi e tali spinte deformano l’anello alla base del tamburo stesso (fig. 25a). La valutazione della flessione del tamburo non risulta possibile con schemi semplici, in quanto al suo interno si sviluppano sforzi generati da una sovrapposizione di effetti, come illustrato di seguito. Come è stato detto precedentemente, infatti, il tamburo è sollecitato, al bordo superiore, dalla spinta della cupola e, al bordo inferiore, dalle azioni Hc trasmesse dai pennacchi. Le azioni Hc sono prevalenti rispetto alla spinta orizzontale che la calotta esercita all’imposta e quindi il bordo inferiore del tamburo si deforma dando origine a flessioni che si estendono fino all’estremo superiore (fig. 25b) interessando comunque in maniera trascurabile lo stato tensionale della cupola.
Fig. 25. Deformazioni radiali nel tamburo con indicate le azioni Hc trasmesse dai pennacchi e la spinta esercitata dalla cupola. a) Pianta all’imposta della cupola; b) Assonometria.
142
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 26. Modello del tamburo. a) cedimenti verticali; b) archi naturali di scarico. Sforzi σ p diagrammati lungo il bordo inferiore del tamburo (si è considerato un quarto di tamburo) 0,4 0,35
sforzi circonferenziali all'estradosso
0,3 0,25
sforzi circonferenziali all'intradosso
0,2
Sforzi σp[MPa]
0,15 0,1 0,05 0 -0,05 0
15
30
45
60
75
90
-0,1 -0,15 -0,2 -0,25 -0,3
Arconi
Arconi Piloni
-0,35 -0,4
θ
Fig. 27. Grafico degli sforzi circonferenziali lungo il bordo inferiore del tamburo (cupola di Binago).
Oltre alle deformazioni radiali, il tamburo risulta soggetto ad un “effetto lastra” generato dalla differente rigidezza dei vincoli che lo sostengono (fig. 26): i pennacchi, infatti, pur costituendo un vincolo
143
CAPITOLO 4
cedevole, risultano più rigidi rispetto agli arconi. Ciò è confermato dalle analisi che, in effetti, mostrano che il tamburo si comporta come una lastra su più appoggi, ossia, nella parte inferiore, in corrispondenza dei pennacchi il cedimento verticale è minore rispetto quello che si verifica sugli arconi, mentre al bordo superiore è all’incirca costante. La variazione degli spostamenti verticali nel tamburo comporta l’instaurarsi di archi naturali, in cui gli sforzi sono diretti come indicato in figura 26b. Tali sforzi, seppur piccoli (dalle analisi eseguite sul solo tamburo sollecitato da forze orizzontali e verticali si è visto che sono il 10% degli sforzi totali) andranno ad aggiungersi a quelli che si generano nel tamburo in seguito agli effetti già illustrati in precedenza. Le deformazioni generano quindi degli sforzi flessionali che provocano trazioni all’intradosso del tamburo in corrispondenza dei piloni e all’estradosso in corrispondenza degli arconi (fig. 27). Tali trazioni tuttavia risultano in genere inferiori alla resistenza a trazione della muratura24. È necessario precisare che, con riferimento alla figura 27, le analisi numeriche mostrano che, in corrispondenza della chiave degli arconi, per un tratto che si estende anche oltre la base del tamburo, le trazioni interessano l’intero spessore della muratura. Tale fenomeno, confermato anche dai documenti di fabbrica della chiesa di S. Alessandro, che attestano come le lesioni più preoccupanti fossero localizzate e rilevate proprio in questi punti del nucleo centrale, è dovuto al fatto che gli sforzi flessionali generati dalla spinta dei pennacchi si sommano a quelli di trazione che si sviluppano alla chiave degli arconi in seguito alla formazione dei “portali naturali”. Lo studio effettuato permette infine di formulare importanti considerazioni riguardo la funzione del tiburio, particolarmente diffuso nell’area lombarda25. L’intuitiva convinzione che tale elemento costruttivo, impiegato in maniera così estensiva fin dalla tarda antichità in Lombardia per la copertura dell’estradosso delle cupole e presente nei progetti di Binago per la cupola di S. Alessandro, potesse avere una funzione stabilizzante è giustificata dal fatto che a livello locale il tiburio può portare effettivamente ad una riduzione della spinta della cupola nella fascia
144
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI d’imposta, tuttavia lo studio presentato ha messo in evidenza che il tiburio, nel caso di una cupola appoggiata su piloni isolati, porta ad un aumento del carico eccentrico al piede del pilone, generando una spinta maggiore sui piloni stessi e aggravando il rischio di importanti dissesti nel sistema di sostegno. Sulla base dei risultati della modellazione numerica eseguita sulla struttura con il tiburio, si deduce quindi che la presenza di tale elemento costruttivo, nel caso di cupole appoggiate su quattro piloni liberi mediante arconi e pennacchi, fosse giustificata solamente da motivi funzionali e dalla scarsa confidenza dei costruttori lombardi con la realizzazione di cupole estradossate.
4.7. Verifica della validità dello schema proposto e dimensionamento delle catene
Di seguito è illustrato il calcolo per la determinazione dei valori massimi di trazione sui piloni e della spinta orizzontale esercitata dagli arconi in assenza di fessurazione. Dato il carattere generale dei problemi statici che coinvolgono il nucleo centrale dell’impianto a quincunx, tale calcolo risulta di grande utilità, innanzitutto per verificare l’entità delle trazioni sulla struttura e inoltre per confermare la validità dello schema strutturale proposto. I risultati ottenuti possono altresì essere utilizzati in un eventuale intervento di consolidamento strutturale mediante l’inserimento di presidi metallici, come catene orizzontali estradossali, in grado di contrastare le trazioni alla chiave degli arconi, e catene verticali, in grado di contrastare le trazioni sui piloni. Con riferimento alla figura 28, la spinta H’D vale: H' D =
PD / 2 ⋅ l = 1377 KN f
(10)
dove f ≈ 6,13m e l ≈ 8m
145
CAPITOLO 4
PD
FC orizz.
FC orizz.
a arcone
f '=613
h2
an arco naturale ra D
D H'D
H'D
h1
l'
Fig. 28. Vista frontale del sistema arconi-piloni con indicato l’arco naturale che si genera in seguito all’applicazione della forza FC orizz.
FV
FV
FC orizz.
FC orizz. h2
a r H'D
a
H'D
D
h1
D
arcone
E
E
Fig. 29. Meccanismo di collasso del sistema arconi-piloni e punti di applicazione delle forze necessarie per contrastare tale meccanismo.
146
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI Si noti che è stata utilizzata la freccia minima in quanto, affinché non si creino fessure alla chiave dell’arcone, è necessario che si generi un arco naturale passante in chiave per l’intradosso dell’arcone, come quello indicato in figura 28. Per verificare la correttezza del valore della spinta così determinato si è simulata la presenza di una catena estradossale: nel modello ad elementi finiti è stata quindi applicata una forza FC orizz, come mostrato in figura 28. Eseguendo l’equilibrio alla rotazione attorno al punto E (fig. 29), la forza FC orizz, pari al tiro di un’eventuale catena orizzontale, risulta:
FC orizz =
H' D ⋅h 1 ≈ 910 KN h1 + h 2
(11)
Applicando tale forza al modello ad elementi finiti si osserva la scomparsa delle trazioni alla chiave dell’arcone, ma un aumento delle trazioni in D, responsabili della fessurazione sui piloni. È quindi necessario applicare delle forze verticali, che simulino la presenza di catene verticali in prossimità dello spigolo esterno dei piloni; tali forze sono pari a:
Fv = σ t max
1 + A
1 ≈ 4255 KN X ptoappl .
(12)
W
dove W è il modulo resistente della sezione e Xpto appl è la distanza tra il punto di applicazione della catena e il baricentro della sezione del pilone. Per quanto riguarda σt max si ha:
σ t max =
RD M + = 2168 KN / m 2 A W
(13)
dove RD è la risultante dei carichi verticali in D e M è il momento calcolato rispetto al baricentro della sezione in D e vale 11865 KN.m.
147
CAPITOLO 4
Applicando le forze così calcolate al modello numerico, come mostrato in figura 29, ed eseguendo un analisi ad elementi finiti in campo elastico, si osserva la scomparsa delle trazioni sia alla chiave degli arconi sia sui piloni. Questo, come già detto, conferma la validità degli schemi adottati e la possibilità di valutare, attraverso le formule proposte, i valori delle trazioni massime presenti sulla struttura, in vista di un eventuale intervento.
4.8. Discussione sulla validità dei presidi strutturali utilizzati in S. Alessandro
La struttura ideata da Binago mostrò probabilmente lesioni talmente profonde da far temere un crollo imminente, infatti, dai risultati delle indagini effettuate, è emerso che nella cupola si sarebbero sviluppate trazioni superiori all’esigua resistenza a trazione della muratura, sia nella direzione dei paralleli, sia in quella dei meridiani, con conseguente collasso della calotta. Tuttavia, indipendentemente dalla geometria e dallo spessore della cupola, dalla spinta orizzontale che essa esercita all’imposta e dalle condizioni di equilibrio della stessa, l’unico elemento che influisce sulla stabilità del sistema di sostegno, costituito da piloni, pennacchi e arconi, è costituito dal carico verticale di cupola e tamburo, in quanto, come già ampiamente illustrato, risultano eccentrici rispetto ai piloni. Nonostante l’evidente errore progettuale della cupola binaghiana, il sistema di sostegno, seppur fessurato alla chiave degli arconi e, probabilmente anche sui piloni, sarebbe stato comunque in equilibrio e non avrebbe rischiato il collasso. Per avere ulteriore conferma, sono state eseguite altre analisi numeriche in campo non lineare, simulando la formazione delle fessure con modellazione del materiale a resistenza a trazione nulla (no-tension). La modesta entità degli sforzi di compressione in gioco ha consentito di modellare il materiale compresso in campo
148
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI linearmente elastico. Nel caso in esame, la soluzione converge rapidamente e le iterazioni sono state arrestate dopo pochi passi. I risultati mostrano che, in seguito alla ridistribuzione degli sforzi, si ha un aumento della fascia tesa; come si può osservare in figura 30 la fessura nella sezione DD del pilone, che appare la più sollecitata, si estende infatti per una profondità di circa 2,40m e le compressioni nella parte integra sono sensibilmente minori della resistenza a compressione massima della muratura (fig. 31), a giustificazione delle assunzioni fatte.
Sezione DD Compressione massima (21,5 Kg/cmq)
Area fessurata (sforzi nulli) D
D
Fig. 30. Sezione DD del pilone con evidenziata la zona fessurata.
149
CAPITOLO 4
Compressioni lungo la diagonale del pilone nella sezione DD 2,00
σc (MPa)
1,50
1,00
sigma di compressione
0,50
0,00 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
x (m)
Fig. 31. Grafico degli sforzi lungo la diagonale del pilone nella sezione in corrispondenza dell’imposta dell’arcone.
Questi risultati confermano quanto già discusso precedentemente sulla base di schematizzazioni semplificate circa il comportamento statico degli impianti a quincunx ed in particolare sull’impianto del Binago: la drastica decisione di demolire la cupola a tutto sesto e la proposta di sostituirla con una a sesto acuto, progettata da Ricchino, appaiono scientificamente giustificate, mentre le preoccupazioni riguardanti il sistema di sostegno risultano infondate, pure se ampiamente comprensibili dal punto di vista degli operatori seicenteschi. Dopo la demolizione della cupola di Binago, in vista della costruzione di una nuova cupola, in Sant’Alessandro si procedette a realizzare sulle strutture superstiti alcuni interventi di consolidamento ritenuti necessari: come si è detto, si rafforzarono i piloni centrali, aumentandone la sezione, e su ognuno dei quattro arconi vennero inseriti due archi di scarico a sesto acuto, sovrapposti l’uno all’altro. Si è cercato quindi di analizzare l’effettiva efficacia di questi interventi, per capire se, almeno
150
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI intuitivamente, i professionisti consultati avessero compreso la validità di alcuni presidi utilizzandoli consapevolmente e correttamente nel consolidamento delle strutture. L’effetto benefico dell’aumento delle dimensioni dei piloni è senz’altro evidente, anche a livello intuitivo, in quanto aumenta l’effetto contrafforte dei piloni stessi, accrescendone la stabilità. Alcuni dubbi affiorano invece intorno all’efficacia degli archi di scarico, costruiti seguendo per altro una prassi consolidata e rinvenibile ad esempio nel tiburio del Duomo di Milano e adottata ancora da Michelangelo in San Pietro a Roma26, sopra gli arconi di sostegno della cupola, ancora oggi ben visibili nei sottotetti della chiesa: gli archi di scarico non avrebbero comunque avuto una freccia sufficientemente alta per ridurre la spinta a valori tali da garantire la stabilità del pilone. Al riguardo, era stato precedentemente discusso il problema della stabilità del pilone: si era dimostrata la necessità della formazione di una fessura estesa fino al tamburo e la formazione di un portale naturale di freccia molto superiore a quella degli archi di scarico. Si può concludere dunque che, per evitare che le cospicue lesioni manifestate nell’impianto ideato da Binago si ripresentassero nella struttura nuovamente progettata, furono attuati correttivi e interventi di presidio strutturale (modifica della geometria della nuova cupola, rinforzo localizzato del nuovo tamburo tra le aperture, archi acuti di scarico e aumento delle dimensioni dei piloni) che nella gran parte dei casi risultano, alla luce delle analisi effettuate, poco efficaci o comunque non sufficienti ad evitare il ripetersi di una fessurazione tanto estesa quanto quella verificatasi nella struttura originaria. Da quanto emerso nel capitolo precedente si deduce che, per eliminare completamente le lesioni presenti nella struttura, sarebbe stato sufficiente inserire catene orizzontali estradossali, in grado di contrastare le trazioni alla chiave degli arconi, e catene verticali, in grado di contrastare le trazioni sui piloni. Mentre l’uso di catene verticali non è testimoniato in S. Alessandro da alcun documento archivistico, né è evidente all’osservazione delle attuali strutture, abbondanti incatenamenti orizzontali sembrano essere stati messi in opera, secondo una corretta intuizione strutturale. Purtroppo però diversi problemi insorgono nella
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datazione, nella attribuzione e nell’individuazione precisa di tali interventi. Rimane un disegno, forse ascrivibile a Mazenta e Ricchino, che illustra il proposito di inserire catene a braga estradossali al di sopra degli arconi27; ancora oggi sono evidenti nei sottotetti della chiesa diversi capichiave, per altro assai deformati, che indicano l’effettiva presenza di incatenamenti estradossali sopra agli arconi principali, ma non è nota la loro reale conformazione e dai documenti non emerge se le catene siano state messe in opera immediatamente dopo la demolizione della prima cupola, o se siano state inserite a fine secolo con la costruzione della nuova e definitiva calotta. Ancora meno chiaro è quando e da chi siano state messe in opera le catene intradossali ancora oggi visibili tra gli arconi dell’invaso principale della chiesa e restano dunque difficoltose l’attribuzione e la datazione di questa corretta intuizione strutturale.
4.9. Conclusioni
Dallo studio effettuato è emerso dunque che in edifici religiosi con impianto planimetrico a quincunx con vano centrale cupolato assimilabile a quello dell’originaria chiesa di S. Alessandro a Milano, si possono generare, attraverso i meccanismi strutturali analizzati, delle cospicue trazioni nella chiave degli arconi e sui piloni, con la conseguente comparsa di fessure molto propagate ed evidenti. Tali fessurazioni sembrano ben corrispondere a quelle indicate anche nella documentazione archivistica, che attesta come in S. Alessandro, poco dopo l’ultimazione della cupola binaghiana, le lesioni più preoccupanti fossero localizzate e rilevate proprio in quei punti del nucleo centrale dell’edificio. Si è evidenziato tuttavia che tali lesioni, seppur estremamente profonde, non avrebbero pregiudicato la stabilità della struttura. Quindi, nonostante la demolizione della cupola di Binago sia ampiamente giustificata dai risultati dalle analisi eseguite, che mostrano un evidente
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LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI errore progettuale nella scelta della curvatura, la sua sostituzione con una cupola meno spingente non avrebbe certamente migliorato la situazione del sistema di sostegno. Le analisi hanno infatti evidenziato che il comportamento della calotta non avrebbe comunque influito sul sistema portante sottostante, contrariamente a quanto poteva essere supposto da progettisti e maestranze sulla base delle diffuse conoscenze empiriche. È importante però sottolineare che la cupola prevista successivamente da Ricchino, a sesto acuto, oltre ad esercitare una spinta inferiore sul tamburo, grazie alla geometria della sua curva direttrice, non avrebbe probabilmente presentato lesioni, mostrando una corretta intuizione strutturale dell’architetto. La formazione di profonde lesioni in corrispondenza della chiave degli arconi e dei piloni fu determinata perciò dal grande carico gravante sugli arconi e sui pennacchi, e dall’assenza di sufficienti contraffortamenti proprio in corrispondenza di questi elementi. Attraverso gli schemi statici semplificati è stato possibile fornire un’indicazione attendibile sul comportamento strutturale globale del sistema e determinare, attraverso semplici calcoli, il valore delle trazioni nei punti critici, fornendo così, in assenza di studi sull’argomento, elementi utili per una prima comprensione del comportamento di strutture simili a quella centrale della chiesa di S. Alessandro a Milano, rinvenibili in altri impianti a quincunx e in impianti con cupola maggiore appoggiata eccentricamente su quattro piloni liberi mediante pennacchi e arconi. Gli schemi semplificati hanno infine permesso di circoscrivere con maggiore precisione il ruolo strutturale del tiburio, che è risultato assai negativo per i nuclei cupolati appoggiati eccentricamente, mediante pennacchi e arconi, su quattro piedritti liberi. Si è mostrato, infatti, che in questi sistemi tale elemento, pur fortemente radicato nella tradizione costruttiva lombarda e adottato anche da Binago in S. Alessandro, nonostante l’effetto benefico locale in prossimità dell’imposta della cupola, porta ad un incremento degli sforzi di trazione proprio nei punti critici, ossia sull’arcone e sui piloni. Tale osservazione permette quindi di aprire nuovi indirizzi di ricerca storica volti a riconsiderare una parte consistente delle scelte costruttive e formali adottate fin dalla tarda
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antichità nell’architettura lombarda per le cupole, coperte in prevalenza con tiburio indipendentemente dallo schema strutturale di sostegno adottato. E’ infine necessario considerare che i modelli elaborati hanno inteso costituire un iniziale approccio alla comprensione del comportamento del nucleo strutturale delle architetture con impianto a quincunx, e che ampie prospettive di ricerca si intravedono nell’estensione della modellazione e delle analisi al più vasto e complesso sistema di coperture voltate e cupolate di tali impianti architettonici, considerando che questi possono fornire ulteriori e importanti risorse al nucleo cupolato, e di assimilabili nuclei strutturali.
4.10. Bibliografia AA. VV., La chiesa a pianta centrale, a cura di Adorni B., Electa, Milano 2002. AA. VV., Lorenzo Binago e la cultura architettonica dei Barnabiti, Proceedings of the Congress, Gatti Perer M. L., Mezzanotte G, Arte Lombarda, 2002/1, n. 134. Belluzzi A., Le chiese a pianta centrale nella trattatistica rinascimentale, in La chiesa a pianta centrale, a cura di Adorni B., Electa, Milano 2002, 37-47. Belluzzi O., Scienza delle costruzioni, Zanichelli, Bologna 2001. Bergdoll B., Le Panthéon, Picard, Paris 1989. Bruschi A., Frommel C. L., Wolf Metternich G., Thoenes, C., San Pietro che non c’è. Da Bramante a Sangallo il Giovane, Electa, Milano 1996. Como M., Un antico restauro statico della cupola di San Pietro a Roma, in Lo specchio del cielo, a cura di Conforti C., Electa, Milano1997. Della Torre, S. and Schofield, R., Pellegrino Tibaldi architetto e il S.Fedele di Milano. Invenzione e costruzione di una chiesa esemplare, NodoLibri, Como 1994.
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NOTE: 1
I costruttori cercavano di assicurare ai piedritti una cospicua sezione, sia nella fondazione, sia in alzato, con muratura possibilmente realizzata a regola d’arte. Nel caso però di piedritti con sezione non sufficientemente ampia, come è già stato illustrato nel capitolo 2, si tendeva a contenere le spinte di volte e cupole con catene e cerchiature, preferibilmente metalliche, e/o utilizzando curvature e geometrie riconosciute come meno spingenti, e/o agendo opportunamente sulle zone più sollecitate, corrispondenti alle reni nelle volte e alla fascia inferiore della calotta nelle cupole. Si tendeva inoltre ad alleggerire il peso complessivo della volta, con l’impiego di murature più sottili e/o di materiali costruttivi leggeri. Sull’atteggiamento tenuto nella temperie culturale tardo cinquecentesca milanese in relazione a questi problemi durante la ricostruzione della cupola della basilica paleocristiana di San Lorenzo, si veda. Giustina I., 2003. 2 Si prenda ad esempio il notissimo caso della cupola giustinianea di Santa Sofia a Costantinopoli e lo spanciamento dei piedritti di sostegno che si verificò poco dopo la conclusione della cupola. Cfr. Mark R., Cakmak A. S., 1993 e Mainstone R., 1997. Un altro esempio è il caso della ricostruzione tardo cinquecentesca della cupola della basilica paleocristiana di San Lorenzo a Milano, sostenuta da quattro arconi su quattro piedritti liberi, che vide alcuni dei maggiori protagonisti della cultura architettonica italiana pronunciarsi in relazione alla stabilità della nuova copertura; cfr. Ferrari F. B., 1771; Rocchi G., 1991; Giustina I., 2003.
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Durante la realizzazione della Basilica di San Pietro, il cui progetto è stato condizionato dall’iniziale impianto a quincunx scelto da Bramante, avevano preoccupato reiteratamente la statica dei piloni, e in particolare la geometria e il dimensionamento della loro sezione anche in relazione alle necessità spaziali, funzionali e alle esigenze liturgiche e di raccolta dei fedeli, la statica degli arconi con i pennacchi, di cui già lo stesso Bramante e poi Antonio da Sangallo e Michelangelo dovettero a più riprese occuparsi, i dissesti del tamburo e dalla calotta di Michelangelo e Giacomo Della Porta, a cui mise riparo solo intorno alla metà del XVIII secolo Giovan Battista Poleni. Sui problemi statici di San Pietro la bibliografia è ricchissima e difficilmente sintetizzabile. Si vedano almeno Poleni G. B., 1748; Di Stefano R., 1980; Como M., 1999,. 245-260. Sui progetti, il cantiere, i problemi costruttivi rinascimentali precedenti all’intervento di Michelangelo si veda Bruschi A., Frommel C. L., Wolf Metternich G., Thoenes C., 1996 4 Tra gli architetti rinascimentali che si occuparono delle piante centrali si possono ricordare Filerete, Bramante, che realizzò il progetto del S. Pietro a Roma, e Leonardo da Vinci, che produsse un attento studio sulle piante centrali e un’interessante analisi formale e volumetrica dell’idea bramantesca. 5 Belluzzi O, 2002, 37-47. 6 Krautheimer R., 1986. 7 Günther H., 1995, 41-78, cui si rimanda anche per la diffusione dell’impianto nella cultura altomedievale e soprattutto rinascimentale italiana, con ampia bibliografia. Si veda anche Visioli M 1996, 103-134. 8 Sannazzaro G. B 1992, 5-27. 9 Giustina I., 2002 a, Giustina I, 2003, Visioli M, 1996, Sannazzaro G. B., 1992. 10 Parte del presente lavoro è stato pubblicato in: Giustina I., Tomasoni E., Giuriani E., Arte del costruire in Lombardia nel primo XVII secolo e la cupola di Sant’Alessandro a Milano: un primo studio sul comportamento del nucleo strutturale principale nell’architettura religiosa con impianto a quincunx, in Technical Report, n. 15, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Brescia 2004 e Giustina I., Tomasoni E., Giuriani E., The Early Dome of Sant’Alessandro in Milan (1627): a First Study on the Behaviour of the Structural Core with Dome Resting on Four Free-Standing Pillars, in the Second International Congress on Construction History, Construction History Society, Cambridge 2006, in cui l’analisi delle problematiche storiche relative alle vicende progettuali della cupola di Sant’Alessandro a Milano sono da ascriversi alla prof.ssa Irene Giustina. 11 L’attività di Lorenzo Binago, sotto forma semplici pareri, disegni, sorpralluoghi e progetti, è documentata in almeno ventisei fabbriche barnabitiche sul territorio italiano e in numerosi altri cantieri non barnabitici, tra cui, solo per citarne alcuni, il Duomo di Acqui e quelli di Bergamo, Brescia, Milano. Sull’attività
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di Lorenzo Binago e anche su S. Alessandro si vedano i saggi contenuti in Lorenzo Binago e la cultura architettonica dei Barnabiti, Atti del Convegno, numero monografico di “Arte Lombarda”, 134, 2002/1, anche per i cospicui riferimenti bibliografici; sulle vicende progettuali di S. Alessandro si veda il più recente Repishti F., 2003. 12 Sull’analisi critica delle vicende progettuali e costruttive della cupola di Sant’Alessandro si veda Giustina I., 2002a, anche per la relativa bibliografia e riferimenti documentari. 13 Archivio Parrocchiale di S. Alessandro, Milano, Acta Capitulorum, 15901673, 29 febbraio 1627. 14 Archivio di San Barnaba, Milano, B, II, fasc. I. 15 Su Ricchino la bibliografia è amplissima. Per l’intervento in S. Alessandro e per ulteriori rimandi bibliografici si veda Giustina I., 2002a e Giustina I., Tomasoni E, Giuriani E., 2006. Sulla cultura architettonica nel primo Seicento a Milano, sull’attività di Fabio Mangone, di F. M. Ricchino, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, si veda Scotti Tosini A., 2003. 16 È stato utilizzato il programma di calcolo ALGOR. Si è ipotizzato un materiale avente le seguenti caratteristiche meccaniche: γ=1850 kg/m3; ν=0.15; E=5000 Mpa. 17 J. Heyman, 1996. 18 Poiché le informazioni sulla geometria della struttura, tratte dai disegni di progetto, sono risultate alquanto sommarie nei particolari costruttivi, è stato necessario effettuare delle semplificazioni nella restituzione di alcuni dettagli; tali operazioni, tuttavia, sono ininfluenti sui risultati del presente studio. Bisogna sottolineare che dai progetti e dai documenti d’archivio non sono emerse informazioni sulla presenza di cerchiature e di catene, e che queste, dunque, non sono state contemplate nei modelli. 19 Bisogna precisare che, poiché sono utilizzati elementi brick, non è necessario bloccare le rotazioni, in quanto la presenza in ogni nodo di vincoli rigidi lungo Z impedisce automaticamente qualsiasi rotazione. 20 Sarebbe risultato molto difficoltoso posizionare dei vincoli all’imposta della cupola in grado di simulare la rigidezza del tamburo, si è deciso perciò di prendere in considerazione un modello che includesse anche il tamburo stesso. Sono quindi stati bloccati gli spostamenti verticali alla base del tamburo ed è poi stato quest’ultimo a fornire il corretto contenimento radiale all’imposta della cupola. 21 Belluzzi O., 2001, 245-249 e Flugge W., 1973 . 22 . Heyman J., 1977. 23 Giustina I., 2002 a, Giustina I, 2003 e Giustina I., Tomasoni E, Giuliani E., 2006 24 Hendry, 1986.
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Giustina I, 2003. Nel secondo Quattrocento Amadeo aveva inserito all’estradosso di ciascuno dei quattro archi di sostegno del tiburio del Duomo di Milano un arcone di scarico in pietra, espediente inizialmente previsto da Guiniforte Solari; si vedano Ferrari da Passano C., Brivio E., Majo A., Migliavacca L., 1986; Ferrari da Passano C 1988. Sull’intervento di Michelangelo sugli arconi di San Pietro a Roma, cfr. Poleni G. B., 1748; Di Stefano R., 1980. 27 Milano, Archivio Storico dei Barnabiti, Cartella Grande, I, Mazzo I, fasc. III. 26
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5. CONCLUSIONI
L’analisi della trattatistica e della manualistica tra il XV e il XIX secolo e l’ampia ricerca archivistico-documentaria svolta hanno consentito di formulare un quadro completo delle conoscenze e delle tecniche costruttive impiegate in età moderna per la realizzazione delle strutture voltate. All’interno della vasta panoramica architettonica, costellata spesso da informazioni isolate e frammentarie, sono state ripercorse e approfondite le fasi di edificazione e i principali indirizzi di carattere formale delle volte in muratura, focalizzando l’attenzione sugli accorgimenti messi in opera dai costruttori del passato per migliorare la resistenza delle strutture voltate. L’indagine eseguita su alcuni casi reali ha poi consentito di mettere in evidenza alcune particolarità costruttive e alcune consuetudini mai citate dalla trattatistica, ma entrate a far parte di una prassi costruttiva consolidata, come la realizzazione dei costoloni di irrigidimento spesso collocati all’estradosso delle volte e mai nominati all’interno della letteratura ufficiale. Lo studio delle strutture voltate non può prescindere dalla conoscenza dei materiali impiegati, dalle soluzioni tecniche e dall’originaria concezione strutturale della volta. Le informazioni ottenute costituiscono quindi un bagaglio di conoscenze indispensabili per uno studio rispettoso dell’originaria struttura storica. Il lavoro proposto fornisce quindi una base indispensabile per affrontare in maniera consapevole uno studio sul comportamento
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strutturale delle volte in muratura e per progettare eventuali metodi di intervento efficaci e allo stesso tempo compatibili con strutture storiche. Infine, lo studio svolto sulle cupole su piloni liberi, proposto con l’intento di fornire una rilettura, sulla scorta dei moderni metodi di calcolo, di alcune scelte progettuali operate dagli architetti e dai costruttori del passato, ha consentito di comprendere con maggiore chiarezza, vista anche l’assenza di studi sistematici sull’argomento, il comportamento strutturale del nucleo centrale degli impianti a quincunx, giungendo a fornire utili indicazioni di carattere generale sull’efficacia degli accorgimenti e dei presidi strutturali utilizzati in passato in simili strutture.
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PARTE SECONDA COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE IN MURATURA
1. INTRODUZIONE
Alcuni aspetti del comportamento strutturale delle volte in muratura non sono stati finora sufficientemente indagati dalla letteratura scientifica e, data la loro complessità, difficilmente possono essere risolti attraverso schemi e modelli classici. Il presente lavoro si propone di colmare queste lacune e di studiare e approfondire alcuni importanti aspetti inerenti l’analisi strutturale delle coperture voltate, essenziali per la comprensione del meccanismi che si generano al loro interno. Le volte in muratura vengono spesso schematizzate come una serie di archi affiancati non interagenti. Questa schematizzazione, accettabile per volte semplici, si discosta dalla realtà nel caso di volte complesse, quali per esempio le volte a padiglione o le volte a ombrello, nelle quali, a causa della loro particolare conformazione geometrica, si possono creare effetti tridimensionali non trascurabili. A fianco del modello ad archi, è stata sviluppata in letteratura la teoria membranale, che però, pur tenendo conto degli effetti tridimensionali, ossia dell’interazione tra gli archi che idealmente costituiscono la volta, ha il limite di non essere in grado di individuare la reale posizione della superficie funicolare del carico e di non poter valutare l’eventuale ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione. In mancanza, quindi, di modelli teorici in grado di rappresentare in maniera compiuta il comportamento strutturale delle volte complesse in muratura, lo studio presentato ha come obiettivo la formulazione di una
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nuova teoria in grado di fornire, attraverso una procedura computazionale relativamente semplice e facilmente applicabile a qualsiasi tipo di volta, lo stato di sforzo nelle volte, tenendo conto anche degli effetti tridimensionali di interazione tra gli archi che si possono sviluppare in tali strutture. Partendo dallo studio di D’Ayala e Casapulla (2001), che propone una procedura di calcolo per cupole emisferiche basata sull’analisi limite, nel presente lavoro viene ripresa tale procedura, perfezionandola e estendendola ad altri tipi di volta. La teoria che si ricava dall’applicazione di questa procedura permette di tener conto della fessurazione causata sia da sforzi flessionali sia da sforzi di trazione trasmessi tra archi attigui e consente di valutare lo stato di sforzo anche in vote complesse, nelle quali, come già detto, l’interazione tra gli archi risulta fondamentale. La teoria presentata, basata sull’analisi limite e applicabile a qualsiasi tipo di volta e di geometria, si propone come una valida alternativa alle più complesse analisi ad elementi finiti in campo non lineare le quali, per le difficoltà nella creazione della mesh, per l’onere computazionale e per la difficoltà nell’interpretazione dei risultati forniti, difficilmente possono essere impiegate in ordinari interventi di recupero strutturale. Un altro obiettivo del presente lavoro è applicare la teoria presentata alle volte a padiglione, con il duplice scopo di dimostrare, da un lato, l’efficacia, l’accuratezza, la flessibilità e la relativa semplicità della teoria proposta e, dall’altro, di comprendere il comportamento strutturale di questo particolare tipo di copertura voltata. Infatti, le volte a padiglione, nonostante la loro diffusione, non sono mai state sufficientemente indagate dalla letteratura scientifica, a parte alcuni interessanti contributi forniti in studi svolti presso l’Università degli Studi di Brescia (Arenghi A., Giuriani E., Giustina I., Tomaselli S., Tomasoni E., 2002). Il presente lavoro si propone quindi di fornire, attraverso l’applicazione della teoria proposta e attraverso analisi elementi finiti in campo non lineare, una trattazione esaustiva sui meccanismi che si generano al loro interno, individuando le zone interessate dalle lesioni e valutando in maniera puntuale e rigorosa lo stato di sforzo nella struttura. Alla luce dei risultati ottenuti, vista l’importanza dello studio riguardante le volte a padiglione ai fini applicativi, il lavoro si è concentrato
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INTRODUZIONE sull’elaborazione di metodi di calcolo semplificati in grado di individuare i principali meccanismi statici nelle volte a padiglione e di fornire tutte le informazioni utili in vista di eventuali interventi di consolidamento. Nel presente lavoro è quindi riproposta la teoria membranale, modificandola per tener conto delle condizioni al contorno lungo le diagonali, e lo schema ad archi affiancati. Sulla base delle soluzioni ottenute attraverso questi schemi e il confronto con le analisi ad elementi finiti e la teoria basata sull’analisi limite, è discusso il grado di approssimazione e il campo di validità degli schemi proposti, mostrando che, mentre lo schema ad archi affiancati non interagenti non consente di cogliere gli effetti che si sviluppano nel fuso, la teoria membranale può invece costituire un punto di riferimento e un valido strumento per l’individuazione dei principali meccanismi statici che si possono sviluppare nelle volte a padiglione e per la valutazione, attraverso semplici formule in forma chiusa, della spinta all’imposta e delle trazioni lungo le diagonali, elementi essenziali negli interventi di recupero. L’ultimo aspetto indagato attraverso questo studio riguarda il problema flessionale nelle volte, anch’esso poco indagato dalla letteratura scientifica. Attraverso un’indagine sperimentale su una porzione di volta a botte in muratura si è cercato di individuare la soluzione progettuale più valida ed efficace per ridurre la flessione e per il ripristino strutturale di volte di edifici di valore storico e architettonico.
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2. STATO DELL’ARTE E PRINCIPALI ORIENTAMENTI SCIENTIFICI
2.1. Introduzione Gli studi sugli archi e le volte in muratura sviluppati negli ultimi anni sono numerosi e si basano su metodologie diverse, che vanno dai metodi semplificati per la valutazione immediata di alcuni elementi utili ai fini di un intervento di consolidamento, come per esempio lo schema ad archi affiancati non interagenti, ai metodi più complessi, che si appoggiano ad analisi ad elementi finiti in campo non lineare. La maggior parte di questi studi, tuttavia, si concentra sui meccanismi che si possono generare negli archi e assimila le volte ad una serie di archi affiancati non interagenti, trascurando gli effetti tridimensionali di interazione tra archi adiacenti. A fianco al modello ad archi, è stata sviluppata in letteratura la teoria membranale, che tiene conto degli effetti tridimensionali, ossia dell’interazione tra gli archi che idealmente costituiscono la volta, ma che ha però il limite di non essere in grado di individuare la reale posizione della superficie funicolare del carico e di non poter valutare l’eventuale ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione. Per introdurre la teoria proposta nel capitolo successivo, sviluppata sulla base dello studio di D’Ayala D. e Casapulla C. (2001), nel presente capitolo è fornita una sintesi dei principali orientamenti di studio e delle
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CAPITOLO 2
principali teorie sviluppate per l’analisi dei meccanismi e della valutazione degli sforzi nelle volte in muratura.
2.2. Studi scientifici sulle coperture voltate Gli archi e le volte in muratura costituiscono uno dei componenti principali delle strutture storiche. La necessità di preservare il patrimonio architettonico del passato ha portato quindi allo sviluppo di studi per l’analisi delle strutture volte, per la valutazione del loro grado di sicurezza e per la progettazione di interventi di recupero. I pionieristici studi di Heyman (1966, 1972, 1982, 1995), presentano un intuitivo approccio per la comprensione del comportamento strutturale degli archi e delle volte in muratura.
Fig. 1. Meccanismi di collasso negli archi in muratura soggetti a carichi concentrati. (Heyman, 1995)
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STATO DELL’ARTE Heyman (1966), infatti, fornisce una trattazione del comportamento degli archi, studiati per la prima volta attraverso l’analisi limite. Grazie al contributo di Heyman (1982) il principio della catenaria fu usato in combinazione con i teoremi limite dell’analisi plastica per valutare e predire il meccanismo ultimo degli archi o di sistemi più complessi. In particolare, il cosiddetto teorema dell’unicità conduce alla previsione delle linee delle pressioni associate al meccanismo di collasso, considerando che, in ogni punto in cui la funicolare tocca l’estradosso o l’intradosso, si venga a formare una cerniera plastica e che il collasso della struttura possa avvenire alla formazione della quarta cerniera plastica (fig. 1). Egli afferma che, come è noto, dopo la fessurazione intervengono altri meccanismi resistenti in grado di garantire la stabilità della struttura e sulla base di questo, applicando l’analisi limite e imponendo le condizioni di resistenza a compressione infinita della muratura, resistenza a trazione nulla e resistenza a scorrimento tra i conci impedita dall’attrito, riesce a definire il coefficiente di sicurezza delle coperture voltate. Il lavoro di Heyman mostra anche come, nelle volte complesse, lungo le linee di intersezione si sviluppi una concentrazione degli sforzi. Sulla base degli studi condotti dal prof. Heyman, l’analisi limite si è delineata come lo strumento più semplice e accurato per le strutture storiche in muratura ( Huerta 2001, Baggio C. & Trovalusci P. 1998). È necessario tuttavia sottolineare che, nella maggior parte dei casi, i contributi allo studio delle volte si sono limitati all’applicazione dell’analisi limite ad uno spicchio o ad un arco costituente la volta, trascurando così gli effetti tridimensionali di interazione tra gli archi affiancati che idealmente costituiscono le strutture voltate. Questa schematizzazione può risultare accettabile per volte semplici (volte a botte, cupole, ecc.), ma può portare a gravi errori di interpretazione del comportamento strutturale di alcune volte complesse nelle quali, a causa della loro geometria, gli sforzi trasferiti da un arco all’altro non possono essere trascurati. Fra I più recenti contributi che si sono occupati di volte e cupole in muratura si può ricordare quello di Oppenheim et al. (1989), che propone l’applicazione dell’analisi limite alle cupole emisferiche e ogivali in
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muratura. Egli, attraverso una serie di semplificazioni, arriva giustamente a trascurare l’effetto cerchiante dei paralleli nella porzione di cupola fessurata in prossimità dell’imposta, ma trascura anche l’interazione nella porzione superiore non fessurata, riducendo così il problema in campo bidimensionale. Ovviamente, nel caso di cupole soggette a carichi uniformemente distribuiti, con vincoli rigidi e in assenza di cedimenti differenziali dell’imposta, tali assunzioni si possono ritenere corrette, ma è necessario sottolineare che la variazione delle condizioni al contorno potrebbe portare a interazioni rilevanti tra archi attigui. Anche Nart (2003) descrive il comportamento meccanico delle cupole in muratura in relazione al carico e alla geometria. Questo interessante studio propone un’analisi, basata su parametri geometrici, in cui viene considerata una grande varietà di forme e carichi e in cui si cerca di tener conto anche del peso della lanterna. Anche in questo caso però viene trascurata l’interazione tra gli archi e non vengono considerati i possibili meccanismi di scorrimento tra i conci. Degno di nota è il lavoro di Block (2006), nel quale viene presentato uno strumento di analisi basato sull’analisi limite per volte in muratura. Questo studio estende il metodo grafico per l’analisi limite, usando la linea delle pressioni, a qualsiasi tipo di arco e per qualsiasi sistema di carico, tuttavia non è in grado di fornire un’analisi tridimensionale del comportamento strutturale delle volte. Solo pochi studi tengono conto e danno una spiegazione degli effetti tridimensionali. O’Dowyer (1999), modellando gli sforzi principali come un sistema discreto di forze, ha sviluppato un’analisi limite per le volte, capace di tenere in considerazione anche gli effetti diffusivi. Il problema di questo lavoro consiste nel fatto che è necessario imporre un valore iniziale della componente orizzontale degli sforzi, elemento che generalmente dovrebbe essere l’incognita del problema. Sulla base di questo lavoro anche Andreu A., Roca G. P., (2007) hanno proposto un nuovo metodo per la valutazione delle costruzioni in muratura complesse. Questo metodo permette di simulare numericamente un sistema di funicolari in equilibrio e con l’applicazione
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STATO DELL’ARTE del teorema dell’analisi plastica e un processo di ottimizzazione, si può ottenere un coefficiente di sicurezza delle strutture e stimare il carico ultimo. Applicando questa procedura, tuttavia, non è possibile valutare interamente lo stato di sforzo nella struttura e inoltre non viene considerata l’interazione tra archi contigui. A fianco agli studi sull’analisi limite e lo schema ad archi, si è sviluppata la teoria membranale delle volte sottili (Heymann 1966, Flugge, 1973) che consente di valutare lo stato di sforzo nelle volte tenendo conto anche del taglio e degli sforzi assiali trasferiti tra archi limitrofi. Nella teoria membranale il calcolo delle volte sottili viene effettuato considerando la volta come una membrana senza rigidezza a flessione (non soggetta cioè a momenti flettenti) e sottoposta quindi ai soli sforzi membranali, che sono sempre tangenti al piano della volta nel punto considerato. Questa teoria ha il vantaggio di fornire formule in forma chiusa per la valutazione degli sforzi e si può ritenere un utile strumento per l’individuazione dello stato di sforzo precedente alla fessurazione. Bisogna tuttavia precisare che, applicando la teoria membranale non possono essere considerati gli effetti di scorrimento tra i conci, spesso poco rilevanti e per questo generalmente trascurabili, soprattutto per volte sottili, ma che possono diventare importanti in volte a sesto acuto o con notevole spessore. Livesley (1978, 1992) fu il primo a considerare i possibili meccanismi di scorrimento, ma notò e sottolineò le difficoltà computazionali associate a questo tipo di studi. Egli, adottando un approccio statico, fu anche il primo a sviluppare un programma di calcolo lineare per l’individuazione della funicolare del carico per strutture ad arco bidimensionali. Adottando lo stesso approccio sono stati proposti numerosi altri studi (Boothby 1994, Baggio 1995, Ferris 2001), sviluppati in particolare per l’analisi dei ponti in muratura anglosassoni (Gilbert 1994). Sia l’aspetto relativo agli effetti tridimensionali nelle volte, sia i possibili meccanismi di scorrimento tra i conci sono stati presi in considerazione da D’Ayala e Casapulla (2001). Lo studio da loro presentato analizza il comportamento strutturale delle cupole emisferiche attraverso un nuovo strumento di calcolo basato sull’analisi limite. In
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pratica la cupola è vista inizialmente come un guscio all’interno del quale può essere individuata una superficie funicolare del carico, dalla cui determinazione è possibile risalire allo stato di sforzo nella struttura. Tale nuova formulazione consente inoltre, imponendo una resistenza a trazione nulla della muratura, di valutare la ridistrbuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione lungo i meridiani, generalmente localizzata nella porzione inferiore della cupola. Vista l’importanza e le novità introdotte da questo fondamentale contributo, è proprio sulla base dello studio di D’Ayala e Casapulla (2001), che viene proposta la teoria presentata nel capitolo successivo. Da quanto detto, appare evidente che, nel corso degli anni, sono stati sviluppati diversi metodi di analisi per le strutture voltate: il metodo della linea delle pressioni (Heyman 1966, Harvey 1988, Huerta), la teoria membranale (Heyman 1966, Flugge, 1975), l’approccio alla Pucher (O'Dwyer 1999). Recentemente, inoltre, grazie allo sviluppo delle leggi costitutive per la caratterizzazione della muratura, a questi strumenti di analisi si sono affiancati numerosi studi agli elementi finiti (Lourenco, 2006). Da anni, infatti, alcuni lavori si sono concentrati sulla formulazione di elementi in grado di simulare il comportamento non lineare della muratura, assimilandola ad un solido continuo (Livesley 1978, 1992, Harvey 1988, Melbourne & Gilbert 1994, Hughes 1997). La muratura, tuttavia, è un materiale non omogeneo, la cui discontinuità può essere simulata attraverso l’inserimento di elementi di interfaccia o contact elements. Un approccio che si è rivelato ottimale per le strutture in muratura è dato dall’utilizzo di elementi discreti, sviluppato inizialmente da Cundall (1971) e applicato successivamente a blocchi posati a secco da Amadei B. (1995), Maunder (1993), Lemos (1997). Questo approccio, particolarmente utile per analizzare i casi in cui lo spostamento è significante e concentrato all’interfaccia tra i blocchi, ha la limitazione di richiedere un elevato onere computazionale. La tecnica di omogenizzazione usata con le analisi ad elementi finiti e altri metodi che usano le caratteristiche di deformazione del materiale ha la limitazione di richiedere la caratterizzazione delle proprietà
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STATO DELL’ARTE meccaniche dei materiali costituenti, che solitamente non sono disponibili per strutture in muratura esistenti. Bisogna sottolineare che, viste le approssimazioni a cui sono soggetti i dati iniziali, è evidente che i risultati delle analisi risentiranno di tali assunzioni di base e per questo la precisione dei risultati si può ritenere solo apparente (Heyman, Mainstone 1997). Inoltre, nelle costruzioni storiche, il cedimento delle fondazioni, gli eventi ambientali, e le alterazioni artificiali, possono avere una grande influenza sul reale stato di sforzo in strutture altamente iperstatiche non standardizzate. Vista quindi l’impossibilità di isolare e quantificare correttamente gli effetti di ogni evento esterno e di caratterizzare con precisione le proprietà del materiale, il risultato delle analisi non può direttamente essere interpretato in termini di sicurezza delle strutture e ogni giudizio dipende più dalle conoscenze dell’analista che dai risultati numerici ottenuti. Sulla scorta di quanto detto si può quindi affermare che lo strumento migliore per l’analisi e lo studio delle volte in muratura di edifici storici, ad oggi, sembra ancora essere l’analisi limite.
2.3. Bibliografia Amadei B., Ling C. T., Shing B., Mirabella G., Binda L., Modelling the stability of masonry structures with the discontinuous deformation analysis (DDA) method, in 3dt International Symposyum on Computer Methods in Structural Masonry, Lisbona 1995. Andreu A., Gil L. Roca P., Computational Analysis of masonry structures with funicolar model, in “Journal of engineering mechanics”, Vol. 133, n. 4, 2007, 473-480. Baggio C. Trovalusci P., Limit analysis for no-tension and frictional three-dimensional discrete systems, in “Mechanic based design of structures and machines”, vol. 26, n. 3, 1998, 287-304. Block P., Ciblac T., Ochsendorf J., Real-time limit analysis of vaulted masonry buildings, in “Computer & Structures”, vol. 84, 2006, 1841-1852.
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189
3. PRESENTAZIONE DI UN NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
3.1. Introduzione Le volte in muratura vengono spesso schematizzate con il modello ad archi, in cui ogni arco che costituisce la volta si suppone indipendente da quello a fianco. Questa schematizzazione si avvicina al comportamento reale delle volte nel caso di volte semplici, soggette a carico uniformemente distribuito e vincoli rigidi. Tuttavia esistono alcuni tipi di volte che, proprio per la loro conformazione geometrica, difficilmente possono essere assimilate ad una serie di archi affiancati non interagenti (per esempio le volte a padiglione, le volte a ombrello, le volte a crociera e molte altre). Un’alternativa al modello ad archi può essere la teoria membranale, che però, pur tenendo conto degli effetti tridimensionali, ha il limite di non essere in grado di individuare la reale posizione della superficie funicolare del carico e di non poter valutare l’eventuale ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione. Un altro problema, generalmente trascurato dalle teorie esistenti, che spesso interessa le coperture voltate, specialmente se ad arco acuto e con spessore notevole oppure se realizzate in pietra e tufo con malta scadente tra i conci, è il meccanismo di scorrimento tra i conci. All’interno del panorama scientifico internazionale, l’unico studio in cui è stata presentata una teoria per la valutazione degli effetti tridimensionali nelle volte, in grado di tenere in considerazione anche eventuali scorrimenti tra i conci, è quello proposto da D’Ayala e Casapulla
191
CAPITOLO 3
(2001). In questo paper è stato presentato un nuovo strumento di analisi per le cupole sferiche in muratura basato sull’analisi limite, tenendo conto della limitata resistenza a scorrimento tra i conci. Sulla base dello studio proposto da D’Ayala e Casapulla (2001), nel presente lavoro verrà riproposta la teoria basata sull’analisi limite, perfezionandola e rendendola applicabile a qualsiasi tipo di volta e di geometria. In particolare, partendo da alcune ipotesi di base, verrà mostrata l’applicabilità della teoria proposta sia alle volte semplici sia a quelle complesse e, nel capitolo 4, attraverso l’applicazione di questa teoria alle volte a padiglione, verrà presentata in maniera estesa la procedura per la valutazione dello stato di sforzo nelle volte, dimostrandone da un lato la validità, il rigore e l’accuratezza dei risultati ottenuti e dall’altro la relativa semplicità e facilità di utilizzo1.
3.2. Presentazione della teoria basata sull’analisi limite L’importanza dei meccanismi di scorrimento tra i conci, che spesso possono verificarsi in strutture voltate in muratura a causa del deterioramento della malta tra i conci, e la necessità di tenere in considerazione anche gli effetti tridimensionali nelle volte, che, soprattutto per volte complesse, possono incidere in maniera sostanziale sul loro comportamento strutturale, hanno indirizzato il presente studio verso la formulazione di una nuova teoria, semplice e allo stesso tempo rigorosa, in grado di cogliere tutti questi aspetti. All’interno del panorama scientifico sono infatti stati proposti numerosi studi sulle strutture voltate, ma, come già precisato nel capitolo precedente, in tali studi sono sempre stati trascurati o gli effetti cerchianti che si possono sviluppare lungo i paralleli delle coperture voltate, oppure gli effetti flessionali, e quindi anche lo scorrimento, nella direzione dei meridiani. Nonostante gli schemi finora proposti possano risultare accettabili e possano fornire ottimi risultati per volte semplici, quali le volte
192
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA a botte, sicuramente non possono essere adottati per volte complesse, quali per esempio le volte a padiglione o le volte a ombrello. Partendo quindi dalla teoria già presentata dalla prof. D’Ayala per le cupole emisferiche2, è stata messa a punto una procedura di calcolo in grado di simulare il reale comportamento tridimensionale delle volte in muratura e di descrivere in maniera rigorosa e accurata lo stato di sforzo in qualsiasi tipo di volta e con qualsiasi geometria della curva direttrice. Il concetto alla base di questa teoria consiste nell’applicazione del teorema statico dell’analisi plastica e nell’individuazione della superficie funicolare del carico avente eccentricità minima. La determinazione della funicolare del carico consente di ottenere anche lo spessore minimo della volta e quindi il coefficiente di sicurezza della struttura, dato dal rapporto tra lo spessore reale e lo spessore minimo della volta, estremamente importante nel campo della riabilitazione strutturale.
3.2.1 Ipotesi sulla resistenza del materiale Il comportamento strutturale delle volte in muratura e i loro meccanismi di collasso dipendono dalle proprietà meccaniche del materiale con cui sono realizzate. La teoria presentata si basa quindi sulle seguenti ipotesi: 1) resistenza a compressione della muratura infinita (da Heyman J.); 2) resitenza a trazione nulla (da Heyman J.); 3) limitata resistenza a scorrimento tra i conci. L’ultima ipotesi, spesso trascurata dai precedenti studi sulle volte in muratura, assume invece un ruolo molto importante nella formulazione di una teoria sufficientemente flessibile da poter essere utilizzata per qualsiasi volta; è noto, infatti, che in alcuni tipi di strutture voltate l’effetto dello scorrimento tra i conci diviene predominante rispetto agli altri meccanismi, in particolare per volte a sesto a acuto, per gli archi rampanti delle cattedrali gotiche oppure per le volte in pietra e tufo con notevole spessore, nelle quali la malta tra i conci, specialmente se deteriorata o di
193
CAPITOLO 3
scarse qualità meccaniche, può non garantire una resistenza sufficiente allo scorrimento. L’ipotesi di limitata resistenza a scorrimento tra i conci, quindi, consente di simulare in maniera più realistica il comportamento meccanico della muratura storica, nella quale spesso, a causa degli effetti del deterioramento della malta tra i conci, si può registrare una drastica riduzione del coefficiente di attrito. Inoltre, assumendo il criterio di Mohr–Coulomb come una buona rappresentazione del comportamento reale della muratura, la resistenza a taglio all’interfaccia tra i blocchi, non è infinita, ma è funzione della coesione e del coefficiente di attrito. Vista la scarsità di prove sperimentali su murature storiche che fornicano i valori della resistenza a taglio e del coefficiente di attrito, si fa riferimento ai risultati dei test condotti da Hendry et al. (1986) su murature di nuova costruzione (fig. 1). I valori della coesione e del coefficiente di attrito ottenuti da tali prove vengono indicati rispettivamente pari a 3 kg/cm2 e 0,4-0,5. Tenendo quindi conto dell’effetto del degrado subito dalla muratura nel corso dei secoli, è possibile affermare che plausibilmente, per le murature storiche, tali valori potrebbero risultare sensibilmente ridotti, al punto da poter considerare T0 nullo e µ0 inferiore a 0,4. Per individuare la superficie funicolare del carico e quindi per valutare lo stato di sforzo (sforzi lungo i meridiani, sforzi circonferenziali e sforzi di taglio) in qualsiasi tipo di volta e per qualsiasi forma della curva direttrice, si suppone che la volta considerata sia costituita da un sistema tridimensionale di blocchi disposti lungo i meridiani e i paralleli (fig. 2). Osservando attentamente le volte storiche in muratura, si può notare che, indipendentemente dalla disposizione dei filari (a spinapesce, a filari paralleli all’imposta o ortogonali all’imposta), i mattoni o i blocchi di pietra, sono sempre diretti verso il centro di curvatura della volta. Visto che, inoltre, i giunti tra i conci rappresentano le zone deboli della muratura, la teoria presentata può vantaggiosamente essere condotta all’interfaccia tra i blocchi, dove si possono verificare meccanismi di rotazione o scorrimento tra i conci.
194
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
Fig. 1. Grafico della resistenza a taglio della muratura ricavato da prove sperimentali su murature di nuova costruzione. (Hendry, 1986)
195
CAPITOLO 3
z z'
Ηp Txϑ p Tϑx j γj Sj
x'
Sj+1 γj+1 Tϑx j+1 Txϑ p+1Ηp+1 ϑi ϑj
a)
x
z ϑi Sj
α
l
γj
Txϑ p Ηp
Tϑx j
z'
Ηp+1
Txϑ p+1 γj+1 Tϑx j+1 Sj+1 x'
b)
Fig. 2. Schema delle forze agenti su un elemento appartenente ad una volta a crociera (a) e su un elemento di una volta a padiglione (b).
196
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA 3.2.2. Approccio statico Poiché appare evidente che la discretizzazione della struttura può non essere rappresentativa di ogni singolo concio costituente la volta, ogni porzione identificata dall’intersezione di due paralleli e due meridiani adiacenti, deve essere considerata come un macroelemento omogeneo in muratura, con compressione interna infinita, resistenza a trazione nulla all’interfaccia tra due elementi e limitato scorrimento tra i conci. Se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione, allora, attraverso l’applicazione della teoria membranale, sarebbe possibile determinare la risultante degli sforzi lungo i paralleli e lungo i meridiani tangente alla superficie media della volta stessa. La muratura però ha resistenza a trazione nulla e quindi, per volte a doppia curvatura e per volte a padiglione, le trazioni che si sviluppano nella fascia in prossimità dell’imposta portano alla formazione di lesioni che annullano gli sforzi circonferenziali. Ciò implica una modifica dello stato di sforzo interno alla volta e, di conseguenza, in seguito alla ridistribuzione degli sforzi, la superficie funicolare del carico tende a discostarsi dalla superficie media, andando così a generare momenti flettenti e sforzi di taglio all’interfaccia tra i conci. La superficie funicolare, quindi, non è nota a priori e la sua individuazione consente di ottenere lo stato di sforzo nell’intera struttura. Ovviamente, per valutare la posizione della superficie funicolare del carico e lo stato di sforzo nella volta, non sono sufficienti le equazioni di equilibrio, in quanto esistono ∞2 soluzioni: per determinare in maniera univoca la posizione della funicolare del carico sono quindi necessarie due condizioni. Tra le infinite funicolari che la volta può assumere, applicando l’analisi limite, è possibile identificare la soluzione che massimizza la capacità portante della volta e ciò lo si ottiene minimizzando l’eccentricità della linea delle pressioni, attraverso la procedura che verrà descritta in maniera dettagliata nel capitolo 4. Inoltre, si può supporre che, tra le infinite funicolari che minimizzano l’eccentricità, quella assunta dalla volta dipenda dalle caratteristiche meccaniche del materiale. A parità di eccentricità, ciò che può variare è
197
CAPITOLO 3
l’inclinazione della superficie funicolare e, perciò, la seconda condizione da imporre, compatibile con la resistenza del materiale, è data da:
Tj ≤ T0 + N j µ
(1)
dove N j e T j rappresentano rispettivamente la componete di Sj normale e tangenziale all’interfaccia, mentre T0 e µ rappresentano rispettivamente la coesione e il coefficiente di attrito assunto per la muratura. L’equazione (1) rappresenta il limite massimo e minimo della resistenza a taglio della muratura. Superati tali valori, all’interno della volta si possono verificare meccanismi di scorrimento tra i conci (fig. 3).
z' θi z'
θj
L in e o f th ru st
γj θ j φ
Nj Sj A
B
Tj
Fig. 3. Schema delle componenti normale (Nj) e tangenziale (Tj), della forza
meridiana Sj, agenti all’interfaccia di un elemento, con indicati i punti A e B rappresentanti i limiti definiti dal criterio di resistenza di Coulomb.
.
198
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA 3.3. Conclusioni
La teoria basata sull’analisi limite costituisce uno strumento rigoroso e allo stesso tempo semplice per la valutazione dello stato di sforzo nelle volte. Questa teoria, flessibile e applicabile a qualsiasi tipo di volta, consente non solo di individuare la superficie funicolare del carico, ma anche di comprendere il reale comportamento strutturale delle volte analizzate, grazie alla possibilità di valutare gli effetti tridimensionali che si possono sviluppare nelle strutture studiate, effetti che possono risultare particolarmente importanti nel caso di volte complesse. Attraverso una procedura computazionale, sviluppata attraverso semplici programmi di uso comune, quali per esempio excel, è possibile quindi ottenere una soluzione ottimizzata che tenga conto della ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione. Ciò consente inoltre di identificare lo spessore minimo della volta affinché non si verifichi il collasso della struttura e quindi il coefficiente di sicurezza della struttura, dato dal rapporto tra lo spessore reale e lo spessore minimo. Per chiarire i passaggi di questa procedura, per mostrarne l’applicabilità alle volte complesse e per dimostrare la sua efficacia, nel capitolo seguente, la teoria basata sull’analisi limite verrà applicata alle volte a padiglione.
199
CAPITOLO 3
3.4. Bibliografia Casapulla C., D’Ayala D., Lower bound approach to the limit analysis of 3D vaulted block masonry structures, in Computer Methods in Structural Masonry (STRUMAS V), Proc. 5th intern. symp., Roma 2001. D’Ayala, D., In tema di comportamento strutturale delle cupole in muratura, Tesi di dottorato, Dipartimento di Ingegneria strutturale e geotecnica, Università La Sapienza, Roma 1994. D’Ayala D., Casapulla C., Limit state analysis of hemispherical domes with finite friction, in Historical Constructions, Possibilities of Numerical and Experimental Techniques, 2001. Drucker D. C., Coulomb friction, plasticity and limit loads, in “Journal of Applied Mechanics”, vol. 21, 1953, 71-74. Flügge W., Stresses in shells, Springer & Verlag, Berlin 1973. Gilbert M., Casapulla C., Ahmed H. M., Limit analysis of masonry block structures with non-associative frictional joints using linear programming, in “Computer & Structures”, n. 84, 2006, 873-887. Hendry A. W., Statica delle strutture in muratura di mattoni, Patron Editore, Bologna 1986. Heyman J., The stone skeleton, in “International Journal of Solids and Structures”, vol. 2, 1966, 249-279. Heyman, J., Coulomb's memoir on statics: an essay in the history of Civil Engineering, Cambridge University Press, Londra 1972. Heyman J., The masonry arch, Ellis Horwood Lim., Chichester 1982. Heyman, J., The Stone Skeleton. Structural Engineering of Masonry Architecture. Cambridge University Press, Cambridge 1995. Heyman J., Arches, vaults and buttresses, Variorum, Norfolk 1996. Huerta S., Mechanics of masonry vaults: The equilibrium approach, in Historical Constructions, Eds. Lourenço P.B., Roca P., Guimarães, 2001. Livesley R. K., Limit Analysis of structures formed from rigid blocks, in “Int J Numer Meth Eng”, 12, 1978, 1853-1871.
200
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA Livesley R. K., A computational model for the limit analysis of threedimensional masonry structures, in “Meccanica”, vol.27, n.3, 1992, 161.172. Tomasoni E., D’Ayala D., Study on structural behaviour of masonry vaults: limit state analysis with finite friction, keynote in the VI International Conference on Structural Analysis of Historical Constructions, Bath 2008.
NOTE: 1
Parte dei risultati di questo lavoro saranno presentati al Convegno Internazionale SACH, che si terrà a Bath nel 2008 (Tomasoni E., D’Ayala D., 2008). 2 D’Ayala D., Casapulla C., 2001.
201
4. LE VOLTE A PADIGLIONE
4.1. Introduzione Le volte a padiglione in muratura, seppur impiegate in maniera estensiva già a partire dal XVI secolo come copertura per gli ambienti dell’edilizia più rappresentativa, non sono mai state studiate in maniera approfondita, probabilmente per le evidenti difficoltà incontrate nell’applicare teorie semplificate a questo tipo di volta complessa. Le volte a padiglione, come tutte le volte, esercitano spinte all’imposta che spesso, soprattutto nel caso di volte di grandi dimensioni con esigui carichi verticali sui piedritti, come per esempio le volte poste ai piani superiori dei palazzi, risultano troppo elevate e causano l’allontanamento dei muri perimetrali. Oltre al problema legato alla spinta all’imposta, le volte a padiglione presentano spesso lesioni importanti lungo le diagonali. Come già discusso nel capitolo precedente, gli studi sulle coperture voltate si limitano nella maggior parte dei casi a schematizzazioni ad archi non interagenti, nelle quali vengono completamente trascurati gli effetti tridimensionali. Queste approssimazioni, accettabili per alcuni tipi di volte, quali le volte a botte o le cupole, risultano invece troppo superficiali per cogliere il comportamento reale delle volte a padiglione, nelle quali le interazioni fra gli archi sono di fondamentale importanza per la determinazione dello stato di sollecitazione a cui sono sottoposte e per la valutazione della spinta che esse esercitano sui muri perimetrali.
203
CAPITOLO 4
La letteratura scientifica, finora, non è stata in grado di proporre validi modelli che permettano di simulare il comportamento strutturale delle volte a padiglione; questo è probabilmente dovuto ad una scarsa conoscenza dei complessi meccanismi statici che si generano al loro interno e alla mancanza di una teoria semplice e allo stesso tempo rigorosa in grado di cogliere il reale stato di sollecitazione prima e dopo la fessurazione. Le volte a padiglione, infatti, nonostante la loro diffusione, non sono mai state sufficientemente indagate dalla letteratura scientifica, anche se interessanti contributi sono stati forniti in alcuni studi svolti presso l’Università degli Studi di Brescia e già in parte pubblicati (Arenghi A., Giuriani E., Giustina I., Tomaselli S., Tomasoni E., 2002). Il presente lavoro si propone quindi di fornire, attraverso l’applicazione della teoria proposta e attraverso analisi ad elementi finiti in campo non lineare, una trattazione esaustiva sui meccanismi che si generano al loro interno, individuando le zone interessate dalle lesioni e valutando in maniera puntuale e rigorosa lo stato di sforzo nella struttura. Attraverso l’applicazione della teoria presentata nel capitolo precedente, basata sull’analisi limite, sviluppata sulla base di uno studio eseguito dalla prof. Dina D’Ayala sulle cupole emisferiche in muratura1 e, in questa sede, perfezionata ed estesa anche a volte complesse, e uno studio ad elementi finiti in campo non lineare, svolto presso l’University of Bath, è stato possibile individuare all’interno delle volte a padiglione le zone interessate dalle lesioni e valutare in maniera puntuale e rigorosa lo stato di sforzo nella struttura. La teoria proposta si è mostrata sufficientemente flessibile da poter essere applicata anche alle volte a padiglione, particolarmente complesse a causa delle discontinuità lungo le diagonali, e ha perciò consentito di cogliere i molteplici aspetti del loro comportamento strutturale, rivelandosi un utile strumento, accurato e allo stesso tempo semplice, per lo studio delle coperture voltate. Alla luce dei risultati ottenuti, vista l’importanza dello studio riguardante le volte a padiglione ai fini applicativi, il lavoro si è concentrato sull’elaborazione di metodi di calcolo semplificati al fine di ottenere modelli
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LE VOLTE A PADIGLIONE di calcolo facilmente applicabili, in grado di individuare i principali meccanismi statici nelle volte a padiglione e di fornire tutte le informazioni utili in vista di eventuali interventi di consolidamento. Nel presente lavoro è quindi riproposta la teoria membranale, modificandola per tener conto delle condizioni al contorno lungo le diagonali, e lo schema ad archi affiancati. Sulla base delle soluzioni ottenute attraverso questi schemi e il confronto con le analisi ad elementi finiti e la teoria basata sull’analisi limite, è discusso il grado di approssimazione e il campo di validità degli schemi proposti, mostrando che, mentre lo schema ad archi affiancati non interagenti non consente di cogliere gli effetti che si sviluppano nel fuso, la teoria membranale può invece costituire un punto di riferimento e un valido strumento per l’individuazione dei principali meccanismi statici che si possono sviluppare nelle volte a padiglione e per la valutazione, attraverso semplici formule in forma chiusa, della spinta all’imposta e delle trazioni lungo le diagonali, elementi essenziali negli interventi di recupero.
4.2. Inquadramento storico Le volte a padiglione furono impiegate nell’architettura romana già a partire dal I secolo a.C.: si possono infatti ritrovare i primi esempi nel Tabularium (78 a.C.) e nel tempio di Ercole a Tivoli (80-85 a.C), per giungere a quelli più maturi nella Sala Ottagona all’interno della Domus Aurea (64-68 d.C.)2, nella Domus Augustana (81-92 d.C.), nella villa Adriana a Tivoli (117 d.C.), nelle terme di Antonino a Cartagine (145-160 d.C) e in quelle di Diocleziano (298-306 d.C.). Del Tabularium (fig. 1) oggi rimane solo la galleria inferiore aperta verso il foro e coperta da una serie di volte a padiglione impostate su pianta quadrata; un’analoga situazione la si può ritrovare nel Santuario di Ercole a Tivoli3.
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CAPITOLO 4
Nella sala Ottagona della Domus Aurea, la cupola, che copre il vano ottagonale, nasce come una volta a padiglione per poi trasformarsi, nella parte alta, in una cupola sferica vera e propria4 (fig. 2). Nelle terme invece la volta a padiglione ricopriva generalmente le sale termali, impostate su sei o otto lati (fig. 3, 4).
Fig. 1. Roma, pianta del Tabularium (78 a.C.) con evidenziata la galleria coperta da volte a padiglione impostate su pianta quadrata. (Scurati Manzoni, 1991, 429)
Fig. 2. Assonometria della sala ottagona situata all’interno della Domus Aurea (64-68 d.C.). (Scurati Manzoni, 1991, 430)
Fig. 3. Pianta d’insieme delle Terme di Antonino a Cartagine (145-160 d.C.), in cui gli ambienti su pianta ottagonale erano coperti con volte a padiglione. (Gros P., 1996, 459)
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LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 4. Sezione delle Terme di Antonino a Cartagine eseguita lungo l’asse di simmetria. Da sinistra a destra si possono individuare la natatio, il frigidarium e il calidarium, coperto con una volta a padiglione. (Gros P., 1996, 459)
Come già ampiamente discusso nella prima parte di questo lavoro, il vasto repertorio di forme romane non venne riproposto nella sua interezza nei secoli successivi a causa dei sostanziali cambiamenti dei materiali impiegati e delle tecniche costruttive. Nonostante questo le volte a padiglione, particolarmente indicate per la copertura di vani poligonali, continuarono ad essere utilizzate in particolare nelle cappelle degli edifici religiosi e nei battisteri; tra i numerosi esempi si possono ricordare la cappella di Sant’Aquilino a Milano, risalente ai primi anni del V secolo d.C., il battistero degli Ariani a Ravenna, realizzato nel VI secolo d.C. e la cappella Palatina di Aquisgrana, costruita alla fine dell’VIII secolo (fig. 5). Anche nei secoli successivi la volta a padiglione trovò vasta applicazione all’interno degli edifici religiosi: tra il X e il XII si diffuse infatti l’impiego, nell’intersezione tra il transetto e la navata centrale, di una volta a padiglione su pianta ottagonale, coperta da tiburio. Questa soluzione può essere ritrovata per esempio nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano (fig. 6) e in quella di San Michele a Pavia (fig. 7). Fu però a partire dal XVI secolo che la volta a padiglione e tutte le sue varianti iniziarono ad essere estensivamente utilizzate nell’architettura residenziale per la copertura delle sale dei palazzi, grazie soprattutto alla loro capacità di trasferire completamente il carico sui muri d’ambito, risolvendo così in maniera esemplare il rapporto con le pareti che risultavano tutte d’imposta.
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CAPITOLO 4
Fig. 5. Pianta e sezione della Cappella palatina di Aquisgrana costruita verso la fine VIII secolo. (Bonelli R., Bozzoni C., 1997, 69)
Fig. 6. Milano, Basilica di Sant’Ambrogio, particolare della volta a padiglione all’intersezione tra il transetto e la navata centrale. (Chierici S., 1978)
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Fig. 7. Pavia, Basilica di San Michele, particolare della volta a padiglione all’intersezione tra il transetto e la navata centrale. (Chierici S., 1978)
LE VOLTE A PADIGLIONE Nonostante la grande diffusione delle volte a padiglione, nei trattati di architettura tra il XVl e il XIX secolo, le informazioni riguardanti questo tipo di copertura voltata si limitano spesso all’assegnazione di un nome per la loro identificazione o alla semplice descrizione geometrica. E’ il caso di Vitruvio che, nel Libro VII de I dieci libri dell’architettura, accenna solamente ad una variante della volta a padiglione, puntando invece l’attenzione su aspetti più generali quali ad esempio la realizzazione delle centine in legno, l’intonacatura dell’intradosso delle volte e la realizzazioni di cornici decorative. Anche Leon Battista Alberti nel De re Aedificatoria, pur dedicando ampio spazio alle coperture voltate, si limita a citare le volte a padiglione, chiamandole “a carena” e specificando che si tratta di volte composte costituite da porzioni di volte a botte5. Il primo a illustrare, attraverso una descrizione molto concisa e una serie di figure, i sei modi per realizzare le volte, la cui tipologia va ovviamente scelta in base alla forma della stanza che deve essere coperta, fu Palladio. Egli, nel suo trattato I quattro libri dell’architettura (1570), spiega che le volte a botte con teste di padiglione, dette a conca, “sono stata ritrovate dai moderni”6 ed è forse questo il motivo per cui gli autori a lui precedenti si sono limitati a citarne il nome nei loro scritti. Palladio, inoltre, riferendosi ai rapporti proporzionali delle stanze, precisa che le volte a conca dovrebbero avere una freccia pari ad un terzo della larghezza della stanza7. Vincenzo Scamozzi, nel trattato Idea dell’architettura universale (1615), riprendendo l’importante discorso della proporzionalità fra le dimensioni delle stanze e le volte di copertura, osserva che in passato la volta a conca si usava soprattutto nelle abitazioni private e che veniva impostata su “quadri perfetti, e in quelli d’un quadro e mezzo e anco de duoi quadri”8 (fig. 8). Nella prima parte del suo trattato lo Scamozzi, come aveva già fatto in precedenza Palladio, illustra, inoltre, molto brevemente e con disegni i sei modi per realizzare le volte, ma nel capitolo XIX del Libro III inserisce un’importante novità, indicando per la prima volta, tra i sei tipi di volte con
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CAPITOLO 4
Fig. 8. Proporzioni tra le dimensioni della stanza e la forma delle volte a padiglione e a conca proposte da V. Scamozzi nel suo trattato “L’idea dell’architettura universale”. (Scamozzi V., 323)
i quali possono essere coperte le stanze, la volta “a padiglione, ovvero a più facce”9. Secondo Scamozzi, le volte a padiglione migliori sono quelle la cui curvatura è pari a un “mezo cerchio perfetto”10, e questo non solo per la bellezza che tale curvatura conferisce alla volta, ma anche perché in tal modo risultano più facili da realizzare, continuando comunque ad offrire una sicurezza superiore a quella delle altre volte a padiglione con curvatura diversa. Lo Scamozzi inoltre cerca di illustrare le volte a padiglione utilizzando degli esempi esistenti, ricordando, oltre alle già citate Terme di Diocleziano e la Villa Adriana a Tivoli, la volta a padiglione di “sette faccie alle Galuccie di larghezza di 70 piedi de’ nostri; la quale ha solo i spigoli murati de tegoloni di terra cotta, e la faccie sono rimurate de Tuffi, e Cementi; i quali in gran parte sono caduti, e tuttavia la Volta si mantiene”11. Lo stesso esempio è ricordato anche da Giuseppe Valadier nel suo trattato L’architettura pratica: la volta delle Galuccie infatti è
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LE VOLTE A PADIGLIONE considerata, con quella del Pantheon, la più grande volta di mattoni che gli antichi furono in grado di costruire12. Nel Trattato di architettura civile, Guarino Guarini afferma che le volte sono la componente più importante di un edificio e, passando in rassegna le varie tipologie di volte, illustra dettagliatamente la geometria di quella a padiglione, specificando che si ricava partendo da un semi cilindro “tagliato per diagonale” 13. Guarini inoltre precisa che la pianta su cui si imposta la volta a padiglione può essere la più svariata: dalla quadrata si può infatti passare a quella triangolare, esagonale, pentagonale o ottagonale, e l’unica differenza che si riscontra è l’ampiezza dell’angolo al vertice. Passando a descrivere il modo di disegnare le volte, Guarini afferma che le volte a padiglione saranno tanto più belle tanto meno saranno “svelte14, perché facendosi nelle camere per ordinario che non hanno molta altezza, se si fanno di poca elevazione renderanno la stanza più svelta”15. Nonostante ciò però Guarini consiglia di contenere l’altezza della volta fra un quinto e un quarto del diametro e specifica che, per farle apparire piane, basta creare “la cornice sopra cui si posa nello spiccarsi del volto dal muro dopo essersi principiata la volta”16. Se fin qui gli autori, seppur in maniera defilata si sono interessati alla volta a padiglione, dopo Guarini le informazioni relative a questa particolare tipologia di volta scompaiono o, quanto meno, si fanno molto rade. Francesco Milizia ad esempio nel trattato Principi di architettura civile del 1791 inserisce una semplice citazione sulla volta a schifo definita come una volta composta17. Solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo i manuali di architettura iniziano a riportare informazioni pratiche sulla geometria e sulla realizzazione della volta a padiglione e delle sue principali varianti. Particolarmente significativo è il contributo di Alberto Castigliano che nel 1882 pubblica il Manuale pratico per gli ingegneri, in cui l’autore definisce la volta a padiglione impostata su pianta quadrata come l’unione di quattro fusi cilindrici che compongono la superficie di intradosso18; i fusi hanno per direttrici i due archi di cerchio EVF e GVH, dove E, F, G e H
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CAPITOLO 4
sono i punti medi dei lati del quadrato di base e V è il vertice della volta (fig. 9).
Fig. 9. Assonometria di una volta a padiglione su base quadrata. (Casigliano A., 1882, Tav. I)
Casigliano propone quindi alcune formule pratiche per determinare la superficie e il volume delle volte a padiglione: chiamando 2a il lato AB e f la freccia VV' della superficie d’intradosso, riporta la seguente formula per il calcolo della superficie d’intradosso:
(
S = 4 ⋅ a2 + f 2
)
Per determinare il volume complessivo delle murature invece, l’autore sottrae al volume compreso fra il piano d’imposta e la superficie dei rinfianchi, il volume del vano compreso fra lo stesso piano d’imposta e la superficie d’intradosso, ottenendo così, per la volta a padiglione, la seguente equazione:
V=
(
2 ⋅ f ⋅ 3⋅ a2 + f 2 3
)
Fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, quindi, la volta a padiglione comincia ad attirare l’attenzione dei trattatisti che, nei loro lavori, la presentano dedicandole ampio spazio e mettendola finalmente
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LE VOLTE A PADIGLIONE sullo stesso piano di importanza di tutte le altre tipologie di volte. E’ il caso di Gustav Aldoph Breymann, di Giovanni Curioni, di Carlo Levi e molti altri che, nei loro manuali, riportano importanti indicazioni circa la geometria e le fasi realizzative di questa particolare copertura voltata.
4.3. Geometrie e tecniche costruttive Dal punto di vista geometrico le volte a padiglione, come è già stato accennato nel paragrafo precedente, sono generate dall’intersezione di due o più volte a botte. Se si suppone di tagliare una volta a botte con due piani diagonali verticali, vengono identificate quattro parti AA’ e BB’: le parti A e A’ sono dette unghie, mentre le parti B e B’ sono dette fusi (fig. 10). La differenza principale fra queste due parti sta nel fatto che i fusi hanno per impronta una linea e per chiave un punto, viceversa le unghie hanno per chiave una linea e per impronta due punti.
Fig. 10. Assonometria di una volta a botte con indicate le unghie e i fusi.
La volta a padiglione è formata da quattro o più fusi e, proprio per la sua conformazione geometrica, ha la capacità di scaricare in maniera uniforme le azioni verticali e orizzontali sulle murature perimetrali; è evidente però che il volume, e quindi anche il peso delle volte a
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CAPITOLO 4
padiglione, risulta maggiore rispetto a quello di volte a botte e a crociera impostate sulla medesima pianta. Per ovviare a questo problema spesso si ricorreva ad alcune varianti più complesse, come le volte a specchio o a schifo, le volte botte con teste di padiglione e le volte lunettate. La volta a botte con teste di padiglione è stata spesso utilizzata per la copertura di ambienti a pianta rettangolare e allungata ed è costituita da una volta a botte cilindrica raccordata alle teste con due falde semicilindriche (fig. 11). La volta a specchio o a schifo è, invece, una volta a padiglione con fondo piano costituita da una volta a padiglione oppure da una volta a botte con teste di padiglione sezionata ad una qualunque altezza con un piano orizzontale (fig. 12). Bisogna sottolineare che la parte centrale che forma lo specchio di solito non è completamente piana, ma può presentare una leggera curvatura, al fine di consentire una maggiore stabilità di questa struttura. Infine, la volta a padiglione con lunette (fig. 13 e 14) non è altro che l’unione di una volta a padiglione con porzioni di volte a botte di dimensioni minori disposte perpendicolarmente all’imposta. Tali porzioni di volte a botte, andando appunto a formare le lunette perimetrali, consentivano l’apertura di finestre collocate ad una quota maggiore di quella delle imposte. Le coperture con questa geometria però finirono per caratterizzare un tipo distinto di volta detto a unghiature o a peducci, in cui l’imposta, a causa della presenza degli archi frontali delle lunette, viene ridotta ad appoggi discontinui e brevi.
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LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 11. Volta a botte con teste di padiglione. (Breymann G.A., 1885, 9)
Fig. 12. Volta a spechio o a schifo. (Breymann G.A., 1885, 11)
Fig. 13. Schema di una volta a specchio lunettata.
Fig. 14. Palazzo Vertemate Franchi a Piuro di Chiavenna (XVI secolo); volta a specchio lunettata (detta anche a peducci) della sala di Giove e Mercurio.
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CAPITOLO 4
Dal punto di vista costruttivo, la volta a padiglione è realizzata con le modalità e le apparecchiature tipiche della volta a botte, ripetute nelle due direzioni degli assi. Per realizzare una volta a padiglione, per prima cosa, era necessario stabilire la linea d’intradosso della volta, dalla quale poi veniva desunta la curvatura degli spigoli. La direttrice è solitamente un arco di cerchio e gli spigoli sono invece archi di ellissi. Per costruire una volta, come è già stato discusso nella prima parte di questo lavoro, erano necessarie le centine, che riproducevano in tutto o in parte la superficie d’intradosso delle volte e su cui poi veniva costruita la volta stessa. Per realizzare l’armatura per le volte a padiglione era necessario realizzare mezze centine, in genere con profilo ad arco di cerchio, collocate
al
centro
dei
lati
del
poligono
di
base
e
disposte
perpendicolarmente ad essi, in modo da convergere nel vertice. Altre mezze centine, con profilo ellittico, venivano posizionate lungo le diagonali. La figura 15 mostra le diverse curve che venivano utilizzate per il tracciamento della linea d’intradosso delle centine: se la pianta dell’ambiente da coprire era un quadrato e la linea d’intradosso perpendicolare ad uno dei lati veniva assunta a tutto sesto, allora ab è la linea secondo cui venivano costruite le centine posizionate al centro del fuso, mentre AV è quella per le centine di spigolo19. Per completare l’orditura venivano sovente realizzate anche delle costole parallele alle prime centine e infine venivano posizionate delle tavole di legno destinate a formare il manto sul quale poi venivano collocati i filari di mattoni20. Le centine venivano tagliate secondo una linea verticale passante per la chiave della volta e dovevano perciò essere sostenute in questo punto, veniva quindi posizionato un monaco fissato mediante un’incavatura alle centine21 (fig. 16).
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LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 15. Curve utilizzate per la realizzazione delle centine per una volta a padiglione su pianta quadrata. (Levi C., 1932, 300)
Fig. 16. Schema di carpenteria fissa per l’armatura di una volta a padiglione. (De Cesaris F., 1996, 86, da Misuraca et al., 1916)
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CAPITOLO 4
Terminata la messa in opera delle centine si procedeva con la costruzione vera e propria della volta. Per quanto riguarda i materiali impiegati per la realizzazione delle volte a padiglione, è necessario ricordare che non sono rari gli esempi realizzati in pietra concia. Il loro impiego però era limitato alle opere di maggiore importanza a causa degli elevati costi e dei problemi legati alla lavorazione e alla preparazione dei singoli conci, i quali, come si può osservare nella tavola in figura 17, richiedevano accurate operazioni di squadratura e taglio. Il materiale con cui comunemente venivano realizzate le volte era il laterizio,
che,
grazie
alla
sua
leggerezza,
maneggevolezza
ed
economicità, si prestava ad essere impiegato anche in strutture articolate quali le volte a padiglione.
Fig. 17. Volta a padiglione su pianta quadrata e ottagonale, con rappresentazione prospettica dei conci per la chiave e gli spigoli. ( Rondelet J. B.,1831, tav. XVIII)
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LE VOLTE A PADIGLIONE Dal punto di vista costruttivo, la disposizione del materiale per ognuno dei fusi era identica a quella per le volte a botte, di cui i fusi stessi sono parte. Gli spigoli, nelle volte a padiglione, erano realizzati contemporaneamente e con lo stesso materiale dei fusi, tuttavia, essendo il punto debole della struttura, veniva spesso preferita una disposizione con filari perpendicolari alle diagonali, in grado di creare un maggiore collegamento in queste zone (fig. 18). Tra i vari apparecchi utilizzati si riscontra spesso quello a corsi longitudinali (fig. 19), in cui gli archi diagonali presentano soltanto una indentatura ed è proprio lungo tali archi diagonali che sovente si manifestano le maggiori lesioni, dovute alla spinta delle botti tra loro ortogonali. Talvolta era utilizzato l’apparecchio a spinapesce anche se, per le complicazioni costruttive e la necessità di tagliare i mattoni d’angolo, questa soluzione non veniva preferita. Per non caricare oltre al necessario i muri, le volte a padiglione, comunemente utilizzate per coprire i locali ai piani superiori, venivano eseguite nello spessore sottile, in foglio o di piatto, e quindi gettate. Per cui, dopo i primi corsi disposti nello spessore di una testa lungo il perimetro, i mattoni venivano disposti in foglio e posati a secco sopra l’aggraziatura22.
Fig. 18. Schema dell’apparecchiatura a filari perpendicolari alle diagonali impiegata per le volte a padiglione.
Fig. 19. Schema dell’apparecchiatura a filari longitudinali impiegata per le volte a padiglione.
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CAPITOLO 4
Per la realizzazione delle volte a botte con teste di padiglione, invece, venivano disposti alcuni filari paralleli alle imposte lungo i quattro lati del perimetro, fino a circa un terzo della freccia. Successivamente, in corrispondenza degli angoli, si realizzavano dei filari diagonali che si incontravano lungo i lati minori e poi, nella parte centrale, si procedeva con la realizzazione della volta a botte vera e propria23, con archi trasversali disposti come illustrato in figura 20. Per le volte a specchio o a schifo venivano impiegati principalmente filari longitudinali per le porzioni di volta a botte e filari disposti a 45° per lo specchio centrale. Spesso venivano collocati negli angoli dei conci di pietra opportunamente sagomati su cui poggiava lo specchio, con il fine di irrigidire la struttura24 (fig. 21).
Fig. 20. Schema dell’apparecchiatura generalmente usata per le volte a botte con teste di padiglione.
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Fig. 21. Schema delle apparecchiature impiegate per le volte a specchio.
LE VOLTE A PADIGLIONE In alternativa a questa apparecchiatura, potevano essere impiegati filari disposti a 45°, o a spinapesce, per l’intera volta. Ultimata la posa, si procedeva immediatamente alla colata (gettata) con malta di gesso e sabbia oppure con malta di calce a seconda dei casi. Per questo lavoro i muratori preparavano al di sopra della volta un’impalcatura indipendente, leggera e posante sui muri, in modo tale da non gravare sulla volta, non ancora in grado di funzionare. Terminata la colata, se questa era in gesso, per evitare che si rapprendesse, venivano allentati i cunei per far scendere di qualche centimetro tutta l’impalcatura portante: questo consentiva la circolazione dell’aria sulla superficie inferiore della volta in modo tale che la presa del gesso potesse procedere regolarmente.
4.4. Patologie strutturali delle volte a padiglione L’individuazione delle principali patologie strutturali delle coperture voltate costituisce un fattore indispensabile per lo studio dei meccanismi di collasso, in quanto solo la conoscenza dei reali dissesti che si possono manifestare in una volta consente di formulare teorie mirate e di scegliere la tipologia di intervento più efficace. Nelle volte a padiglione, come in tutte le coperture voltate, i dissesti sono spesso causati dalla spinta all’imposta che, se eccessiva, può portare allo spostamento relativo delle murature perimetrali. Per la stabilità della struttura infatti, è importante che le spinte che la volta esercita sui muri d’ambito, combinate con i carichi verticali, non siano tali da imprimere sforzi di trazione sui piedritti stessi. Se questa condizione non viene soddisfatta, la formazione di lesioni alla base dei piedritti e la rotazione degli stessi possono causare un abbassamento in chiave della volta, con la conseguente variazione nella forma della struttura originale e la formazione di cerniere in chiave e alle
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CAPITOLO 4
reni. Le fessure tendono a seguire le generatrici e si presentano, in chiave, aperte verso l’intradosso, alle reni aperte verso l’estradosso, come indicato nello schema in figura 22. La stessa situazione si può ricreare in seguito al cedimento dei presidi inseriti per contenere le spinte, come per esempio in seguito alla rottura delle catene, come si può osservare in figura 23. Anche la variazione dei carichi a cui volte o piedritti erano originariamente sottoposti, derivanti da eccessivi sovraccarichi accidentali conseguenti alla variazione di destinazione d’uso dei locali, potrebbe compromettere la stabilità della struttura, contribuendo ad incrementare la spinta e a creare cedimenti all’imposta.
Fig. 22. Meccanismo di collasso causato dall’allontanamento delle imposte. (Cangi G., 2005, 126)
222
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 23. Rottura delle catene lignee in una volta a padiglione di palazzo Vertemate Franchi (So). L’eccessiva spinta all’imposta ha portato alla rottura dei presidi strutturali e al conseguente allontanamento delle imposte.
Fig. 24. Volta a padiglione di una sala del palazzo Martinengo delle Palle a Brescia: lungo le diagonali si possono notare evidenti lesioni che, partendo dall’imposta, si sviluppano fino a circa metà altezza della volta.
223
CAPITOLO 4
La volta a padiglione, a differenza di altre volte, oltre ai problemi legati alla spinta all’imposta, è spesso interessata da cospicue lesioni lungo le diagonali (fig. 24). Le fessure lungo le diagonali vengono generalmente viste come una conseguenza del cedimento dei muri d’imposta causato dall’eccessiva spinta orizzontale della volta. In realtà, come verrà dimostrato nei capitoli seguenti, le lesioni lungo le diagonali sono indipendenti dal cedimento dei muri d’ambito in quanto generate dagli sforzi di trazione perpendicolare alle diagonali stesse che si vengono a creare nel piano del fuso. La figura 25 mostra in maniera molto schematica il reale stato di sforzo lungo le diagonali delle volte a padiglione e il conseguente quadro fessurativo. Il semplice contenimento delle spinte all’imposta, quindi, non può risolvere il problema legato alla fessurazione delle diagonali. Questo aspetto, solitamente trascurato, risulta di fondamentale importanza in vista di un intervento di consolidamento e la valutazione delle azioni necessarie per ripristinare l’equilibrio presuppone la conoscenza completa dei meccanismi che si generano all’interno di queste strutture voltate.
Fig. 25. Stato di sforzo lungo le diagonali e corrispondente quadro fessurativo.
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LE VOLTE A PADIGLIONE Infine, le volte a padiglione, come tutte le volte in muratura, possono essere interessate da dissesti legati alla fatiscenza dei materiali impiegati. In particolare, ciò che più può influire sulla stabilità delle strutture in muratura, è il deterioramento della malta di allettamento che, a causa dell’azione disgregatrice del tempo (umidità, gelo-disgelo, azioni chimiche), può subire una riduzione delle proprietà meccaniche. Quindi, specialmente per murature storiche, in cui la qualità del contatto sulla superficie può essere deteriorato, la capacità di resistenza a trazione può essere molto modesta, in alcuni casi addirittura nulla, e il coefficiente di attrito tra i conci può risultare enormemente ridotto rispetto ad una muratura integra.
4.5. Stato dell’arte sugli studi del comportamento strutturale delle volte a padiglione Nonostante la grande diffusione delle volte a padiglione in muratura, gli studi scientifici su questo tipo di copertura voltata sono rari e spesso descrittivi. Le sintetiche trattazioni riportate nei testi e nei manuali di Ingegneria, infatti, rifacendosi a reminescenze ottocentesche, si limitano spesso a fornire indicazioni sull’andamento della spinta all’imposta che, erroneamente, è ritenuta triangolare. Solo tre sono i recenti contributi scientifici allo studio di queste volte. Il primo (Fraternali, 2003), presenta una formulazione numerica del problema di equilibrio delle volte murarie modellate come solidi elastici non reagenti a trazione e con comportamento membranale, secondo un approccio alla Pucher. In pratica viene proposta una formulazione che, per via iterativa, ricerca una superficie resistente contenuta nella struttura muraria, in grado di garantire il rispetto delle equazioni di equilibrio ed il vincolo di non resistenza a trazione del materiale.
225
CAPITOLO 4
Questo approccio consente di descrivere il regime di sforzi di membrana nelle volte a padiglione, attraverso un reticolo spaziale di sforzi concentrati. Questo interessante studio risulta tuttavia estremamente complesso e applicabile solamente con l’ausilio di programmi di calcolo numerici. È necessario inoltre sottolineare che questa formulazione variazionale consente di ottenere una soluzione finale solo assumendo un valore iniziale della spinta (ricavata nell’articolo attraverso una prova sperimentale) da assegnare alla funzione delle tensioni nelle simulazioni numeriche. È evidente quindi che una simile procedura di calcolo risulta difficilmente applicabile in casi reali, sia per la complessità, sia per la necessità di assegnare a priori la componente orizzontale degli sforzi, che, al contrario, in vista di interventi di recupero, dovrebbe essere una delle incognite principali del problema. Un altro studio sulle volte a padiglione, proposto da Portioli F., Foraboschi P. e Landolfo R. (2003), si è invece concentrato su uno studio sperimentale e numerico al fine di valutare l’efficacia dei rinforzi in FRP posizionati lungo le diagonali e le generatrici dei fusi. In questo contributo vengono mostrati i risultati di prove sperimentali eseguite su una volta in muratura con e senza rinforzi in materiale composito fibro-rinforzato, poggiante su un anello in cemento armato e pilastri d’angolo, che viene portata a rottura con un carico concentrato posto al vertice (fig. 26-27).
Fig. 26. Modello sperimentale studiato da Portioli F. et al. (2003).
226
Fig. 27. Vista dell’intradosso della volta analizzata da Portioli F. et al. (2003), con il particolare del tirante per l’applicazione dei carichi applicati in chiave.
LE VOLTE A PADIGLIONE Attraverso queste prove viene individuato un meccanismo di collasso chiamato dagli stessi autori a “spanciamento”, in cui la struttura risulta lesionata al centro del fuso. È importante però notare come i meccanismi di collasso individuati attraverso queste prove siano stati ottenuti con particolari condizioni di carico (carico concentrato in chiave), differenti rispetto a quelli a cui è generalmente sottoposta la volta. I risultati ottenuti potrebbero quindi discostarsi da quelli che realmente caratterizzano le volte a padiglione di edifici storici. Il terzo contributo allo studio delle volte a padiglione è stato sviluppato da Arenghi A., Giuriani E., Giustina I., Tomaselli S. e Tomasoni E., nel 200225. In questo lavoro viene indagato il comportamento strutturale delle volte a padiglione, con l’obiettivo di approntare un semplice modello di calcolo in vista di un eventuale intervento di consolidamento. Nella prima parte del lavoro vengono presentati i risultati di analisi ad elementi finiti eseguite in campo elastico lineare su volte a padiglione su base quadrata, supponendo il materiale isotropo e idealmente resistente a trazione. Queste analisi hanno permesso di effettuare un primo approccio ad un tipo di volta ancora così poco conosciuta e di individuare i punti più deboli della struttura che, come già detto, sono localizzati lungo le diagonali. Sulla base dei risultati ottenuti, viene poi sviluppato dagli stessi autori un modello di calcolo semplificato, basato sullo schema ad archi, ma modificato per poter ricavare gli sforzi di trazione lungo le diagonali. Questo studio si fonda essenzialmente sull’ipotesi che all’interno della volta si sviluppi un regime di sforzi membranale e che il regime flessionale sia secondario e necessario solo per la congruenza. Questa semplificazione, nonostante possa apparire un po’ azzardata, in realtà fornisce buoni risultati per volte ribassate, in cui la fessurazione lungo la diagonale e lungo i meridiani si sviluppa solo per un breve tratto in prossimità dell’imposta, come verrà meglio mostrato in seguito. Sulla base dei risultati ottenuti da questo studio, condotto dalla stessa autrice e dal prof. Giuriani E., è stato sviluppato il presente lavoro, nel quale, come
227
CAPITOLO 4
verrà meglio chiarito in seguito, dopo un approfondita indagine sul reale stato di sollecitazione a cui sono soggette le volte a padiglione, verranno riproposti gli schemi semplificati al fine di fornire utili strumenti per eventuali interventi di consolidamento. Come già detto, a parte questi pochi contributi, non sono stati rinvenuti studi specifici sulle volte a padiglione e le informazioni sul comportamento strutturale di questo tipo di copertura vengono ottenute mediante l’applicazione di semplici schematizzazioni ad archi affiancati non interagenti, con le quali vengono solitamente analizzati gli altri tipi di volte. La valutazione degli effetti tridimensionali all’interno delle volte in muratura risulta piuttosto complessa e, per questo motivo, l’analisi dei meccanismi statici che si generano al loro interno viene spesso eseguita attraverso schematizzazioni che non tengono in considerazione le azioni cerchianti parallele all’imposta. Nelle volte si generano infatti delle tensioni che, a causa della limitata resistenza a trazione della muratura, portano alla formazione di lesioni. Le teorie che trascurano gli sforzi lungo le generatrici si pongono quindi in una situazione limite in cui la volta si suppone interamente fessurata e divisa in spicchi o in archi non collaboranti. Una simile schematizzazione, pur non descrivendo in maniera rigorosa il reale comportamento delle volte, per numerose tipologie di coperture voltate (per esempio per le volte a botte e per le cupole), consente comunque di identificare i principali meccanismi che si generano al loro interno e di valutare, a favore di sicurezza, le azioni lungo i meridiani e le spinte all’imposta. Sfruttando quindi le teorie sviluppate per gli archi, numerosi testi26 ripropongono uno schema ad archi affiancati anche per le volte a padiglione. In questo modo i fusi vengono suddivisi in tronchi di archi e, attraverso l’individuazione della curva delle pressioni, si ottengono le spinte esercitate dalla volta sui muri perimetrali. Come indicato in figura 28, la spinta all’imposta ricavata attraverso l’applicazione dello schema ad archi affiancati non collaboranti ha andamento parabolico o triangolare.
228
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 28. Diagramma delle spinte verticali esercitate sulla volta a padiglione ottenuto con il metodo di Mery e riproposto da numerosi autori. (Defez A.,1991, 135)
Fig. 29. Localizzazione delle fessure nelle volte a padiglione. (Cigni G., 1978, 225)
Attraverso questa schematizzazione, non vengono evidenziate le cause delle lesioni lungo la diagonale, che sono perciò attribuite ai cedimenti che si possono verificare all’imposta. Alcuni autori (Cigni G, 1978) affermano infatti che nelle volte a padiglione le spinte sui quattro muri d’imposta tendono a far divaricare i muri stessi, facendo accumulare le sollecitazioni di trazione lungo gli spigoli di intersezione fra i muri di
229
CAPITOLO 4
piedritto. Tali sollecitazioni, che sono massime dove è massima la deformazione, cioè a livello dell’imposta, provocano in quel punto l’iniziale rottura che tende poi a propagarsi, verticalmente, lungo tutta l’intersezione fra i muri d’ambito27 (fig. 29). Questa semplificazione è stata poi ripresa, senza nemmeno mettere in discussione il limite di validità dei risultati ottenuti, anche in lavori più recenti28, in cui, nelle poche righe dedicate alle volte a padiglione, viene semplicemente ribadito che la spinta all’imposta ha andamento parabolico e che un adeguato contenimento della spinta potrebbe eliminare l’insorgere di fessure lungo le diagonali. In realtà, il semplice schema ad archi esclude, innanzitutto, la possibilità di stabilire le cause delle lesioni lungo le diagonali e, inoltre, non consente di cogliere il reale comportamento globale delle volte a padiglione che, proprio per la loro geometria e la presenza di una cuspide in corrispondenza delle diagonali, risulta più complesso rispetto ad altri tipi di volte. Come verrà ampiamente discusso nei paragrafi successivi, infatti, la spinta orizzontale nelle volte a padiglione non è parabolica o triangolare, ma risulta all’incirca costante lungo l’imposta e le fessure lungo le diagonali non sono generate dai cedimenti dei muri perimetrali, ma sono una conseguenza dello stato di sollecitazione che si viene a creare nei fusi. Appare quindi evidente che lo schema ad archi affiancati, seppur semplice e ormai diventato di uso comune, se applicato alle volte a padiglione, fornisce una soluzione che si discosta enormemente dal comportamento reale della struttura e che, soprattutto, non consente di cogliere gli effetti tridimensionali, così importanti per questo tipo di volta. I risultati ottenuti, infatti, non sono in grado di restituire informazioni corrette sull’entità della spinta e sulle cause delle lesioni lungo le diagonali, fattori indispensabili per un intervento di consolidamento. Per tenere in considerazione l’interazione tra gli archi e per una maggiore comprensione del comportamento strutturale delle volte a padiglione, alcune brevi trattazioni sul comportamento delle volte a padiglione si sono basate sulla teoria membranale (Heyman, 1966,
230
LE VOLTE A PADIGLIONE Flügge, 1975). Questa teoria si fonda sull’ipotesi che la volta si comporti come una membrana infinitamente estesa nella direzione delle direttrici e che gli elementi che la costituiscono siano soggetti solo a sforzi nel piano. Tali ipotesi presuppongono che nella struttura non siano presenti azioni flettenti. Questo ovviamente non corrisponde alla realtà, ma può fornire risultati molto vicini al comportamento reale se si considera che, in seguito alla fessurazione, il regime flessionale viene abbattuto e il regime di sforzo prevalente risulta di tipo membranale. Applicando la teoria membranale alle volte a padiglione si osserva che le la spinta risultante è costante lungo l’imposta e che sono presenti sforzi di trazione perpendicolari alla diagonale in prossimità della diagonale stessa. Attraverso l’applicazione delle teoria membranale, inoltre, è possibile valutare gli sforzi di trazione che si generano nella direzione dei paralleli e che, approssimativamente, possono essere visti come le coazioni che, in seguito alla fessurazione, sarebbero necessarie per ripristinare il comportamento a membrana. Tutte le schematizzazioni e le teorie finora proposte si sono tuttavia mostrate poco esaustive. Anche la teoria membranale, infatti, seppur più realistica rispetto allo schema ad archi per le volte a padiglione, presenta alcune limitazioni, legate soprattutto alle ipotesi iniziali. Vista quindi la necessità di uno studio approfondito e rigoroso sulle volte a padiglione, nei capitoli successivi verrà eseguita una trattazione completa sul comportamento strutturale di queste volte. Partendo da uno studio ad elementi finiti in campo non lineare, indispensabile per indirizzare e verificare i modelli proposti successivamente, verrà applicata alle volte a padiglione la teoria esposta nel terzo capitolo di questo lavoro. L’applicazione di questa teoria, basata sull’analisi limite, consente, attraverso una semplice procedura di calcolo a computer, di effettuare un’analisi del reale stato di sforzo nelle volte a padiglione in muratura e permette di effettuare utili considerazioni sui meccanismi che si generano nella struttura. Solo alla luce delle conoscenze ottenute verranno prese nuovamente in considerazioni le teorie semplificate, tra cui anche la teoria membranale, al fine di stabilirne il campo di validità e proporre nuove e corrette equazioni per la pratica di cantiere.
231
CAPITOLO 4
4.6. Modelli ad elementi finiti: analisi non lineari Come già ampiamente mostrato, la letteratura scientifica stenta a proporre validi modelli che permettano di simulare il comportamento statico delle volte a padiglione; questo è probabilmente dovuto alle evidenti difficoltà nella comprensione dei meccanismi che si generano al loro interno. Per individuare e analizzare il reale stato di sollecitazione all’interno delle volte a padiglione e per orientare e verificare la validità delle teorie proposte nei paragrafi successivi, viene di seguito presentato uno studio ad elementi finiti in campo non lineare, sviluppato presso l’University of Bath sotto la supervisione del tutor esterno prof. Dina D’Ayala, in cui la volta viene assimilata ad un sistema discreto di elementi. Le analisi sono state eseguite con il programma di calcolo agli Elementi Finiti Algor e sono state svolte analisi di tipo “MES with nonlinear material models”.
4.6.1. Presentazione dei modelli Utilizzando il programma di calcolo agli elementi finiti Algor, si è scelto di modellare una volta a padiglione su base quadrata con luce pari a 6m. La volta modellata presenta una direttrice con profilo semicircolare (il più diffuso secondo i trattati di architettura) e una freccia pari a 3m. È bene precisare che numerose volte utilizzate nell’edilizia storica possono presentare frecce minori, tuttavia in questa prima fase si è preferito studiare una volta a tutto sesto per valutare anche eventuali meccanismi nella zona delle reni; nei capitoli successivi verrà poi eseguita un’analisi parametrica sul comportamento della volta a padiglione in relazione al rapporto freccia-luce. Le volte a padiglione, nel passato, erano frequentemente realizzate in muratura di mattoni con spessore di una testa, pertanto si è assunto uno spessore di 0,12 m, peso specifico γ=1850 kg/m3, modulo elastico
232
LE VOLTE A PADIGLIONE E=5E+9 N/ m2 e modulo di Poisson ν=0,15. Si è inoltre considerata una volta soggetta al solo peso proprio. La muratura, come ben noto, è un materiale caratterizzato da comportamento non lineare e anisotropo, con resistenza a trazione molto inferiore rispetto a quella a compressione. La muratura è quindi un materiale difficilmente modellabile proprio perchè costituito da elementi rigidi collegati tra loro da giunti di malta che presentano comportamento plastico e resistenza a trazione pressoché nulla. Per creare quindi un modello in grado di simulare il reale comportamento della muratura, sono stati inseriti, lungo i meridiani della volta, elementi di contatto attivi solo a compressione, caratterizzati da una resistenza a trazione nulla. È stato quindi ottenuto un modello discreto ad elementi finiti (DFEM) in cui gli archi che idealmente costituiscono la volta sono in grado di trasferire sforzi di compressione e taglio a quelli a fianco, ma non sforzi di trazione. Per creare il modello finale ad elementi discreti si è proceduto per passi successivi eseguendo inizialmente una macromodellazione della volta costituita da soli elementi shell, in particolare sono stati impiegati elementi shell a 4 nodi per l’intera struttura e a 3 nodi lungo le diagonali. L’analisi elastico-lineare preliminare eseguita sul modello uniforme ha consentito di individuare le prime zone interessate da sforzi di trazione. Plausibilmente si può ritenere che in tali zone si verifichino le prime lesioni: è quindi stato messo a punto un secondo modello inserendo nelle zone soggette a trazione dei contact elements. Questi elementi sono definiti attraverso l’assegnazione dell’area di contatto, della lunghezza di contatto e del modulo elastico; se durante l’analisi l’elemento risulta più lungo rispetto alla sua lunghezza di contatto, allora il modulo elastico viene assunto pari a zero, consentendo di fatto l’apertura di lesioni. L’inserimento di tali elementi porta ad una ridistribuzione degli sforzi e perciò, attraverso una procedura iterativa, sono stati inseriti gli elementi di contatto in tutte le zone sollecitate da sforzi di trazione. Partendo dalle diagonali della volta, si è proceduto all’inserimento degli elementi di contatto nella parte centrale del fuso; questo
233
CAPITOLO 4
procedimento ha consentito di ridurre al minimo i gradi di libertà della struttura e ha favorito la convergenza delle analisi. Grazie all’inserimento degli elementi di contatto nella struttura, è stato possibile annullare completamente le trazioni lungo i paralleli della volta e individuare le zone interessate da lesioni passanti, ricreando la situazione reale che si genera in una volta a padiglione. Anche dopo la formazione di fessure lungo i meridiani, la muratura è ancora in grado di trasferire sforzi di taglio grazie all’ingranamento tra i conci che risultano sfalsati (fig. 30). Per garantire quindi la possibilità di trasferire tali azioni, sono stati posizionati elementi di contatto disposti diagonalmente, i quali impediscono i movimenti nella direzione parallela ai meridiani (fig. 31), in questo modo i giunti possono aprirsi, pur offrendo ancora resistenza a taglio. Nella figura 32 si può osservare il modello realizzato con l’indicazione delle zone in cui sono stati inseriti gli elementi di contatto.
Fig. 30. Particolare di una muratura fessurata, in cui gli sforzi di taglio vengono trasferiti per ingranamento tra i conci sfalsati.
234
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 31. Particolare dei contact elements posti fra due elementi shell: gli elementi disposti diagonalmente hanno la funzione di trasferire gli sforzi di taglio.
Fig. 32. Modello della padiglione analizzata.
volta
a
Fig. 33. Modello della volta a padiglione, con evidenziate le zone in cui sono stati inseriti i contact elements.
Per quanto riguarda le proprietà assegnate agli elementi di tipo shell, che rappresentano la muratura integra composta da blocchi e giunti di malta, è stato assunto, come già detto, peso specifico γ=1850 kg/m3, modulo elastico E=5E+9 N/m2 e modulo di Poisson ν=0,15 ed è stato utilizzato un modello di materiale del tipo “Von Mises curve with isotropic hardening” implementato in Algor: assegnando il legame costitutivo per il materiale, il programma è in grado di determinare gli sforzi nella struttura. Per evitare problemi di convergenza e visto che nelle strutture in muratura difficilmente viene raggiunta la resistenza ultima a compressione del materiale, è stato adottato un legame costitutivo semplificato, rappresentato in figura 34.
235
CAPITOLO 4
σc [MPa]
2,0 1,5
0,3E-3
2,0E-3
εc
Fig. 34. Legame sforzo-deformazione adottato.
Per simulare correttamente il comportamento della volta a padiglione si è provveduto a schematizzare la presenza dei muri perimetrali su cui la struttura scarica tutti gli sforzi. Sono perciò stati realizzati 3 modelli: - modello con vincoli rigidi: in questo modello sono state impedite le traslazioni lungo x, y e z, mentre sono state lasciate libere le rotazioni; - modello con muro perimetrale con spessore pari a 50 cm; - modello con muro perimetrale con spessore pari a 70 cm.
4.6.2. Valutazione degli sforzi e delle spinte all’imposta Per semplificare la lettura degli sforzi, la volta è stata suddivisa in paralleli e meridiani e, per ogni singolo elemento, è stato adottato un sistema di riferimento intrinseco, come mostrato in figura 35. È necessario precisare che la mesh è stata creata lasciando costante la dimensione l dell’elemento (fig. 35), in modo da avere un’adeguata accuratezza nei risultati anche in prossimità dell’imposta. La posizione di ogni parallelo è stata identificata suddividendo la generatrice in 25 parti e andando quindi a definire un angolo costante tra i paralleli. La scansione dei meridiani è una conseguenza di tale assunzione iniziale.
236
LE VOLTE A PADIGLIONE Per ogni elemento è stato possibile ricavare le σm, ossia gli sforzi che agiscono nella direzione dei meridiani, le σp, ossia gli sforzi che agiscono nella direzione dei paralleli, e gli sforzi di taglio τmp , τzp e τmz indicate in figura 36. Il programma fornisce i valori degli sforzi σ e τ al top e al bottom dell’elemento, ossia all’estradosso e all’intradosso della volta, ciò significa che è possibile ricavare gli sforzi membranali e la relativa eccentricità e, di conseguenza, anche il momento agente. Come indicato infatti in figura 37, la σ membranale vale:
σ
memb
σ + σC = A 2
(1)
mentre l’eccentricità vale:
e=
s 3
σ −σC ⋅ A σ A +σC
(2)
dove σA e σC sono rispettivamente i valori al top e al bottom dell’elemento, mentre s è lo spessore della volta (s=0,12m).
θ
Fig. 35. Suddivisione della volta in meridiani e paralleli e sistema di riferimento intrinseco adottato per gli elementi.
237
CAPITOLO 4
Fig. 36. Particolare di un elemento della volta con evidenziate tutte le azioni agenti su di esso.
σA
A
B
A
B
C
D
e
σC
C
D
σmemb = (σA + σC)/2
Fig. 37. Schema di un elemento con indicate le azioni fornite dal programma: le σA rappresentano gli sforzi all’estradosso della volta e le σC gli sforzi all’intradosso della volta.
Di seguito viene riportato in maniera sintetica l’andamento degli sforzi più significativi per la volta vincolata con vincoli rigidi, mentre verranno mostrati il quadro fessurativo e la spinta all’imposta per tutti i modelli. Si è
238
LE VOLTE A PADIGLIONE infatti osservato che l’andamento degli sforzi per i tre modelli con vincoli di rigidezza differente risulta pressoché identico. Nell’appendice A sono riportati i diagrammi di tutti gli sforzi agenti in forma estesa.
4.6.2.1. Sforzi meridiani σm I grafici riportati di seguito mostrano l’andamento degli sforzi meridiani σm lungo i meridiani, che come si può osservare, risultano giustamente di compressione in ogni punto della volta. Lungo il meridiano centrale (fig. 38), gli sforzi σm presentano un andamento leggermente decrescente fino ad una coordinata orizzontale pari a 1,7 m, superata la quale tornano a crescere fino ad un valore massimo di circa 0,55 kg/cm2. La variazione di tendenza che si può individuare nel grafico è dovuta probabilmente alla presenza di lesioni nella volta, infatti è proprio a partire da una x pari a 1,7 m che, lungo il meridiano centrale, si sono manifestate trazioni e perciò sono stati inseriti gli elementi di contatto. Anche per il grafico lungo il meridiano 5 (fig. 39), distante 0,93m da quello centrale, si può osservare un analogo andamento degli sforzi σm. Anche in questo caso l’aumento degli sforzi a partire da una x pari a 1,7m è da imputare all’apertura di lesioni nella volta e alla variazione del comportamento a guscio della struttura. Infine, per quanto riguarda gli sforzi σm lungo i meridiani 10, 15 e 20 (figg. 40, 41 e 42), distanti rispettivamente 1,76 m, 2,43 m e 2,85 m dal meridiano centrale, si può notare che tutti gli sforzi sono crescenti per l’intero sviluppo del meridiano. Questo è dovuto al fatto che, come si vedrà meglio in seguito, nella zona in prossimità dell’imposta, le lesioni, presenti principalmente lungo la diagonale, non consentono il trasferimento delle azioni cerchianti lungo i paralleli.
239
CAPITOLO 4
σ m lungo il meridiano 0
0,7 0,6
x
σm [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m ]
Fig. 38. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano centrale.
σ m lungo il meridiano 5
0,7 0,6
x
σ m [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 39. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 5, distante 0,93 m da quello centrale.
240
LE VOLTE A PADIGLIONE
σ m lungo il meridiano 10 0,7 0,6
x
σ m [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 40. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 10, distante 1,76m da quello centrale.
σ m lungo il meridiano 15
0,7 0,6
x
σ m [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 41. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 15, distante 2,43m da quello centrale.
241
CAPITOLO 4
σ m lungo il meridiano 20
0,7 0,6
x
σ m [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 42. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 20, distante 2,85m da quello centrale.
Le azioni σm non agiscono lungo la linea media degli archi in cui idealmente può essere scomposta la struttura, ma presentano un eccentricità che porta alla formazione di uno stato flessionale all’interno della volta. Di seguito viene riportata la posizione della funicolare del carico per il meridiano centrale, che risulta quello maggiormente sollecitato a flessione. Come si può notare, l’eccentricità, calcolata come il rapporto fra il momento flettente e l’azione assiale membranale, è in ogni punto inferiore a s/2, tranne che nel punto in corrispondenza dell’imposta dove, nelle volte in muratura, è sempre presente il rinfianco che, di fatto, rende lo spessore della volta maggiore. Indicando con θ l’angolo tra la verticale e la perpendicolare alla superficie media della volta, la funicolare del carico si avvicina all’estradosso della volta per θ pari a 32° e all’intradosso per θ pari a 65°.
242
LE VOLTE A PADIGLIONE
32° 65
°
3,00 m
Fig. 43. Andamento della funicolare del carico per il meridiano centrale.
4.6.2.2. Sforzi paralleli σp I grafici riportati di seguito mostrano l’andamento degli sforzi paralleli σp lungo i meridiani. Come si può notare dal grafico in figura 44, le σp rimangono all’incirca costanti lungo l’imposta, con valori molto modesti, di circa 0,1 kg/cm2. Lungo i paralleli nella fascia inferiore della volta, invece, le σp presentano valori quasi nulli (fig. 45 e 46); ciò significa che in questa zona l’apertura di fessure lungo le diagonali e al centro del fuso ha portato ad una ridistribuzione degli sforzi all’interno della struttura e, di conseguenza, ad una drastica riduzione delle azioni circonferenziali. L’azione cerchiante torna attiva nella porzione superiore della volta (fig.
243
CAPITOLO 4
47 e 48), in cui non sono presenti lesioni lungo i meridiani e lungo le diagonali. Il grafico in figura 49 mostra chiaramente come variano le σp lungo il meridiano centrale: fino ad un angolo θ di circa 40°, sulla volta agiscono sforzi cerchianti σp, che, dopo un lieve incremento iniziale, decrescono fino ad annullarsi in corrispondenza dell’11° parallelo. È proprio a partire da questo punto, infatti, che gli elementi di contatto inseriti nella struttura, sollecitati da sforzi di trazione, si sono staccati consentendo così l’apertura di fessure. Anche lungo il meridiano 5 (fig. 50), distante 0,93 m da quello centrale, l’andamento, seppur meno accentuato, è molto simile: ad un primo tratto decrescente, segue un tratto con valori prossimi a zero. Lungo questo meridiano, tuttavia, gli elementi di contatto sono ancora attivi, non sono presenti lesioni, ma le fessure presenti al centro del fuso e lungo la diagonale estendono probabilmente il loro effetto anche nelle zone attigue.
σ p lungo il parallelo 25 0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 44. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo l’imposta.
244
LE VOLTE A PADIGLIONE
σ p lungo il parallelo 20
0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 45. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 20.
σ p lungo il parallelo 15 0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 46. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 15.
245
CAPITOLO 4
σ p lungo il parallelo 10
0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 47. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 10.
σ p lungo il parallelo 5 0,45 0,4 0,35
σ p[kg/cmq]
0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 48. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 5.
246
LE VOLTE A PADIGLIONE
σ p lungo il meridiano 0
0,45 0,4
x
0,35
σp [kg/cmq]
0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m ]
Fig. 49. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano centrale.
σ p lungo il meridiano 5
0,45 0,4
x
σ m [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 50. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 5, distante 0,93 m da quello centrale.
247
CAPITOLO 4
4.6.2.3. Sforzi di taglio τmp Gli sforzi di taglio τmp, per ovvie ragioni di simmetria, risultano nulli lungo tutto il meridiano centrale e aumentano gradualmente lungo i paralleli (fig.52): questo significa che gli archi con sviluppo minore tendono a sorreggere quelli attigui, che risultano invece maggiormente deformabili.
Fig. 51. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli sforzi di taglio τmp.
τ m p lungo il parallelo 20
0,2 0,15
τ mp [kg/cmq]
0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-0,05 -0,1 -0,15 -0,2
y [m]
Fig. 52. Andamento degli sforzi di taglio τmp lungo il parallelo 20.
248
LE VOLTE A PADIGLIONE 4.6.2.4. Sforzi di taglio τpn I valori degli sforzi di taglio τpn risultano molto inferiori rispetto alle σ e alle τmp (mediamente due ordini di grandezza in meno) e per tale motivo potrebbero essere trascurati.
Fig. 53. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli sforzi di taglio τnp.
4.6.2.5. Sforzi di taglio τmn I valori degli sforzi di taglio τmn risultano, in media, un ordine di grandezza inferiori rispetto alle σ. Le τmn rappresentano la componente parallela all’interfaccia tra i conci della σ lungo la funicolare. Poiché tali sforzi di taglio potrebbero causare scorrimento tra i conci, soprattutto nel caso di malta degradata, nelle verifiche sulla struttura, sarebbe opportuno valutare che tali sforzi non eccedano la resistenza a scorrimento tra i conci.
249
CAPITOLO 4
Fig. 54. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli sforzi di taglio τmp.
τ m n lungo il meridiano 0 0,2 0,15
x
τ mn [kg/cmq]
0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-0,05 -0,1 -0,15 -0,2 x [m ]
Fig. 55. Andamento degli sforzi di taglio τmn lungo il meridiano centrale.
4.6.2.6. Spinta all’imposta La spinta orizzontale all’imposta, causa principale dei dissesti nelle strutture voltate, presenta un andamento lievemente decrescente andando dal centro del fuso fino alle diagonali. Come mostrato nel grafico 250
LE VOLTE A PADIGLIONE in figura 56 la spinta negli spigoli risulta circa 1/2, 1/3 e 1/5 di quella massima, rispettivamente per una volta con vincoli rigidi, con muratura perimetrale da 70 cm e con muratura perimetrale da 50 cm: ovviamente maggiore è la rigidezza del vincolo all’imposta e maggiore è la spinta. L’andamento della spinta all’imposta evidenzia l’interazione tra gli archi che costituiscono la struttura, infatti tale spinta, pur decrescendo, non si annulla negli spigoli e questo è da imputare probabilmente al trasferimento di parte del carico dal centro del fuso verso le diagonali. Bisogna tuttavia segnalare che la spinta all’imposta qui mostrata non coincide con la reale spinta che la muratura esercita sui muri d’ambito, in quanto quest’ultima, come verrà ampiamente illustrato in seguito, deve essere valutata nel punto in cui l’eccentricità è massima.
Spinta orizzontale all'imposta per untità di lunghezza 75
Spinta [kg/m]
60
45 vincoli rigidi
30
muro perimetrale di 70 cm muro perimetrale di 50 cm
15
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 56. Andamento della spinta all’imposta per il modello vincolato rigidamente, vincolato con murature perimetrali aventi spessore di 70 cm e vincolato con murature perimetrali aventi spessore di 50 cm.
251
CAPITOLO 4
4.6.2.7. Deformata e quadro fessurativo Nella figura 57 è rappresentato il modello deformato, con un fattore di scala di circa 105. Come si può notare le lesioni interessano le diagonali lungo il tratto in prossimità dell’imposta. Tali fessure, in accordo quanto emerso dall’osservazione di strutture reali, sono generate da sforzi di trazione perpendicolari alle diagonali stesse. Dall’analisi degli sforzi negli elementi di contatto inseriti nel fuso, emerge la presenza di una fessura lungo il meridiano centrale. Questa fessura è imputabile alla grande flessione che si genera lungo i paralleli.
Fig. 57. Deformata della volta a padiglione impostata su vincoli rigidi (fattore di scala circa 105).
252
LE VOLTE A PADIGLIONE 4.6.3 Interpretazione dei risultati delle analisi numeriche Le analisi numeriche hanno consentito di mettere in evidenza alcuni aspetti fondamentali relativi al comportamento strutturale delle volte a padiglione. Innanzitutto è emerso che le lesioni lungo le diagonali non sono imputabili ai cedimenti dei muri perimetrali, come spesso viene indicato nei manuali di restauro, ma sono generate dalle azioni che si sviluppano perpendicolarmente alle diagonali stesse. Osservando infatti la deformata in figura 57, si può notare che le fessure lungo le diagonali interessano anche la volta modellata con vincoli rigidi, confermando l’ipotesi, già accennata nei capitoli precedenti, che la formazione di tali lesioni è di fatto indipendente dalla rigidezza dei vincoli. È tuttavia evidente che, nel caso di vincoli cedevoli, il meccanismo di separazione dei fusi lungo le diagonali risulta accentuato e le lesioni possono interessare anche i muri d’ambito (fig. 58).
Fig. 58. Deformata della volta a padiglione impostata su vincoli rigidi (fattore di scala circa 105).
253
CAPITOLO 4
Per quanto riguarda la spinta orizzontale all’imposta, si è potuto osservare che questa risulta massima al centro del fuso e decresce leggermente verso le diagonali, dove, nel casi di una volta vincolata rigidamente, raggiunge valori pari a circa 1/2 della spinta massima. È quindi evidente che anche negli spigoli della volta, nonostante gli archi in tali zone abbiano uno sviluppo modesto, la volta esercita comunque un’azione orizzontale importante lungo l’imposta. Questo fa supporre che nella struttura parte del carico venga trasferito, grazie all’interazione fra gli archi, anche verso le diagonali. L’entità di tale azione spingente varia ovviamente in funzione della rigidezza dei vincoli, pur rimanendo invariato l’andamento. La schematizzazione ad archi affiancati non collaboranti, che fornisce invece una spinta all’imposta triangolare, massima al centro e nulla in corrispondenza degli spigoli, porta quindi a sottovalutare la spinta orizzontale esercitata dalla volta. Infine, la linea funicolare del carico per ogni meridiano è sempre compresa all’interno della superficie della volta, questo significa che nella struttura si generano dei momenti flettenti lungo i meridiani, ma che la loro entità non è tale da causare il collasso della struttura. In particolare si è potuto osservare che le cerniere si generano a 32° e a 65° dalla verticale.
4.7. Modello analitico
I risultati delle analisi agli elementi finiti presentati nel paragrafo precedente hanno permesso di mettere a fuoco il comportamento delle volte a padiglione. Lo studio effettuato, tuttavia, è risultato piuttosto laborioso, sia per problemi di convergenza delle analisi, sia per la necessità di creare un sistema di riferimento intrinseco per ogni elemento appartenente alla volta, sia per le difficoltà legate all’interpretazione dei risultati ottenuti. L’incompatibilità dei tempi necessari per le analisi numeriche con quelli di interventi di recupero su coperture voltate ha fatto emergere l’esigenza di modelli semplificati in grado di indirizzare le scelte
254
LE VOLTE A PADIGLIONE progettuali. L’obiettivo del presente lavoro è quindi quello di creare, sulla base delle acquisizioni fatte con le analisi numeriche, un modello analitico che, pur mantenendo il rigore delle analisi ad elementi finiti, sia in grado di fornire in maniera semplice e veloce un quadro completo del comportamento strutturale della volta. Applicando quindi la teoria presentata nel capitolo 3, viene individuata all’interno della copertura voltata, attraverso una procedura a computer, la superficie funicolare del carico. Dall’individuazione di tale superficie è possibile ricavare lo stato di sforzo nella struttura e ricavare gli elementi indispensabili ai fini di un intervento di recupero quali: - il coefficiente di sicurezza della struttura, dato dal rapporto fra lo spessore della volta e lo spessore minimo; - le trazioni lungo i paralleli e l’individuazione del corrispondente quadro fessurativo; - gli sforzi nella direzione dei meridiani e l’eccentricità della funicolare; - l’entità del taglio τmn per la verifica allo scorrimento tra i conci; - la spinta orizzontale all’imposta.
4.7.1.Descrizione del modello teorico basato sull’analisi limite Il comportamento strutturale delle volte in muratura dipende dalle proprietà del materiale, la teoria presentata si basa quindi sulle ipotesi dell’analisi limite formulata da Heyman (1977) di resistenza a compressione infinita e resistenza a trazione nulla della muratura. In aggiunta viene assunta una limitata resistenza a scorrimento tra i conci in quanto, specialmente per murature storiche e malta degradata, l’originale coefficiente di attrito potrebbe risultare ridotto. Per applicare la teoria membranale basata sull’analisi limite, la volta viene modellata come un sistema di archi interagenti costituiti da blocchi rigidi, in cui i giunti risultano inclinati verso il centro di curvatura. Dall’osservazione e dall’analisi delle strutture storiche in muratura è infatti
255
CAPITOLO 4
emerso che, indipendentemente dal tipo di apparecchiatura, sia essa a spinapesce, a filari paralleli all’imposta o a filari perpendicolari alle diagonali, i conci vengono sempre inclinati in modo tale che i giunti siano disposti radialmente. Poiché nelle volte in muratura il giunto tra i conci rappresenta il punto debole del materiale, di seguito verranno determinati gli sforzi all’interfaccia tra i blocchi. Ovviamente la suddivisione in blocchi eseguita non può rappresentare esattamente la distribuzione dei mattoni nella volta, per questo si suppone che gli elementi delimitati da due paralleli e da due meridiani rappresentino dei macroelementi di materiale omogeneo con resistenza a compressione infinita, resistenza a trazione nulla e resistenza a scorrimento all’interfaccia tra gli elementi definita dal criterio di Coulomb. In accordo con il modello delle analisi numeriche, la volta presenta una direttrice semicircolare con raggio R, freccia f e luce l, come indicato in figura 59, mentre la diagonale ha profilo ellittico, come è emerso dall’analisi della trattatistica di architettura (Curioni, 1870; Breymann, 1885; Levi, 1932). Supponendo di dividere la volta in n spicchi costituiti da m blocchi, è possibile allora identificare la posizione di ogni blocco attraverso le coordinate del proprio centro di massa. Con riferimento alla figura 60, indicando αk l’angolo orizzontale tra l’asse x del sistema di riferimento globale (X) e la proiezione orizzontale dell’asse x del sistema di riferimento locale (x’), con θi l’angolo tra la verticale e la perpendicolare alla generatrice, si può quindi scrivere: x igeom = R ⋅ sen ϑ i
(3)
z igeom = R ⋅ cos ϑ i
(4)
y igeom = R ⋅ sen ϑ i tan α k
(5)
per i 1 a m e =1 a n.
256
LE VOLTE A PADIGLIONE La realazione che lega θi a θi, che rappresenta l’angolo tra la verticale e la perpendicolare al centro dell’elemento considerato, è: tan ϑ i = tan ϑ i ⋅ cos α k
(6)
W
R
f
z
θi θj
x l
Fig. 59. Volta a padiglione schematizzata come una serie di spicchi costituiti da blocchi rigidi (a sinistra) e caratteristiche geometriche della curva direttrice (a destra). Z
z'
θ
i m=1 m=2 m=3 m=4 m=5 .... .... x'
θi
geom
zi
Y
m
li
geom
αk xi
geom
n
yi
geom
.... n=2 n=1 X
Fig. 60. Volta a padiglione schematizzata come una serie di spicchi costituiti da blocchi rigidi con l’indicazione delle coordinate x, y e z per l’identificazione degli elementi.
257
CAPITOLO 4
Se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione, la superficie funicolare del carico coinciderebbe esattamente con la superficie media e, applicando la teoria membranale classica, si potrebbe ottenere lo stato di sforzo all’interno della struttura. Come è ben noto, però, la muratura ha una limitata resistenza a trazione, tanto da essere ritenuta nulla, e quindi le zone soggette a sforzi di trazione tendono a fessurarsi. L’apertura di lesioni, localizzate solitamente in prossimità alla diagonale e al centro del fuso, fa sì che all’interno della volta vengano a mancare le azioni circonferenziali. L’assenza di azioni lungo i paralleli in grado di far rientrare la curva delle pressioni implica che gli sforzi lungo i meridiani non agiscano più lungo la linea media e che non siano più perpendicolari alla superficie di interfaccia tra i conci. È necessario precisare che, nonostante gli sforzi di trazione lungo i paralleli si annullino, la volta non può essere schematizzata come una serie di archi affiancati indipendenti, in quanto la volta si fessura generalmente solo nella fascia in prossimità dell’imposta mentre la porzione superiore della volta rimane integra e in grado quindi di trasferire gli sforzi paralleli di compressione. Nella fascia fessurata, inoltre, ogni spicchio è ancora in grado di trasferire gli sforzi di taglio a quelli a fianco grazie all’ingranamento tra i conci. Il problema, iperstatico se considerato dal punto di vista globale, assume una natura isostatica se si considera un solo elemento appartenente alla volta. Questo significa che, per ogni elemento appartenente agli spicchi, lo stato di sforzo è definito completamente da semplici equazioni di equilibrio, mentre la posizione della superficie funicolare del carico e il conseguente stato di sforzo nella volta dipendono invece dalla posizione della coordinata zi: variando le coordinate zi è possibile individuare infinite superfici funicolari del carico. Le coordinate zi sono quindi incognite e la posizione della superficie funicolare può essere individuata attraverso un approccio discreto in grado di fornire tali coordinate per ogni spicchio che costituisce la volta. Indicando quindi con xi, yi e zi le coordinate della superficie delle pressioni (thrust surface), si può scrivere:
258
LE VOLTE A PADIGLIONE
Linea media
γj-1 γj
funicolare
αk
Fig. 61. Particolare dell’angolo γj.
x it = x igeom
(7)
y it = y igeom
(8)
z it = z i (incognita)
(9)
Assumendo come incognite le coordinate zi è possibile, imponendo almeno due condizioni, determinare in maniera univoca, attraverso una procedura iterativa, tutte le azioni agenti sui singoli elementi. Gli sforzi meridiani, quelli lungo i paralleli e quelli di taglio sono valutati all’interfaccia dei singoli blocchi. Per ogni spicchio, le coordinate di una generica superficie funicolare all’interfaccia sono pari a:
z tj =
z it + x it ⋅ tan γ j 1+
tan ϑ j cos α k
(10)
⋅ tan γ j
259
CAPITOLO 4
x tj = z tj ⋅ tan ϑ j y tj = R ⋅ sen ϑ j tan α k
(11)
e quindi ltj , ossia la proiezione orizzontale fra l’interfaccia dell’elemento considerato e l’origine del sistema di riferimento globale, vale: l tj = z tj ⋅
tan ϑ j
(12)
cos α k
dove γj, come indicato in figura 61, è l’angolo che la tangente alla superficie funicolare forma con l’asse orizzontale all’interfaccia tra i conci e vale: γ j = arctan
z it+1 − z it
(13)
lit+1 − l it
Quindi, con riferimento alla figura 62, dalle equazioni di equilibrio lungo l’asse z’ del sistema di riferimento locale, si ottiene:
(
)
(
)
− S j ⋅ sen γ i − γ j − S j+1 ⋅ sen γ j+1 − γ i − W ⋅ cos γ i = 0
260
(14)
LE VOLTE A PADIGLIONE
z ϑi Sj
α
l
Tϑx j
γj
z'
Ηp+1
Txϑ p+1 γj+1 Tϑx j+1 Sj+1
Txϑ p Ηp
x'
x Fig. 62. Particolare delle forze agenti su un elemento appartenente alla volta a padiglione.
Da cui, semplificando e trascurando i termini del secondo ordine, si ricava: Sj =
− W ⋅ cos γ i sen γ i − γ j + sen γ j+1 − γ i
(
)
(
(15)
)
Dove, indicando con ω il peso per unità di superficie, W, definito come segue, è il peso di ogni porzione di spicchio compresa tra gli angoli θi e θi+1 di ogni spicchio:
W =
(
ϖR 2 1 − cos ϑ j+1 n
) − ϖR (1 − cos ϑ ) 2
j
n
(16)
261
CAPITOLO 4
mentre γi è l’angolo che la verticale forma con la perpendicolare alla linea delle pressioni al centro dell’elemento: z tj+1 − z tj
γ i = arctan
(17)
l tj+1 − l tj
Dall’equilibrio alla traslazione lungo l’asse x’ del sistema di riferimento locale, il taglio agente su ogni singolo elemento (fig. 63) risulta: Txϑ p +1 = S j ⋅ cos( γ i − γ j ) k − S j+1 ⋅ cos( γ j+1 − γ i ) − W ⋅ senγ i + Txϑ p
(18)
Per simmetria, all’interfaccia tra gli spicchi al centro del fuso, corrispondente a p=0, il taglio Txθ è nullo. Dall’equilibrio alla rotazione, il taglio Tθx risulta:
Tϑx j+1 =
(T
xϑ p
)
+ Txϑ p +1 ⋅ cos α' k ⋅senϑ i ⋅ (tgα p +1 − tgα p ) ϑ j+1 − ϑ j
− Tϑx j
(19)
dove α’k corrisponde all’angolo αk proiettato nel piano tangente alla linea delle pressioni al centro dell’elemento (fig. 64). Si ha quindi:
(
α' k = sen −1 cos γ j ⋅ senα k
)
Per j=0, ossia al vertice della volta, per simmetria, Tθx=0.
262
(20)
LE VOLTE A PADIGLIONE
Sj ΗTp xϑ p
Tϑx jTxϑ p+1 Ηp+1 Tϑx j+1 Sj+1
Fig. 63. Vista dall’alto di una volta a padiglione, con indicate le forze agenti su un elemento.
α'k γj ακ ακ
γi
γi γj+1 Sj+1
Fig. 64. Particolare di un elemento con l’indicazione degli angoli α’k , αk., γj e γi.
Per determinare la forza orizzontale Hp lungo i paralleli è necessario imporre le condizioni al contorno lungo la diagonale ed eseguire l’equilibrio globale di metà fuso. Il taglio Txdϑ , corrispondente al taglio Txθ lungo la diagonale, vale:
263
CAPITOLO 4
Σ(Txdϑ ⋅ senγ i ) = − W tot − S j ⋅ senγ j
(21)
Quindi la forza Hp lungo la diagonale vale: H p = Txdϑ ⋅ senα' k = π / 4
(22)
dove α' k = π / 4 è l’angolo α’k lungo la diagonale (per α=π/4). Nota la forza Hp lungo la diagonale ed eseguendo l’equilibrio orizzontale per ogni elemento, si ottiene la forza Hp-1, che risulta pari a: Hp −1 = Hp − Tϑx j + Tϑx j+1 − S jsenα'k +S j+1senα'k −Txϑp ⋅ senα'k + + Txϑp +1 ⋅ senα'k
(23)
Se Hp supera la resistenza a trazione della muratura, che per semplicità è stata ritenuta pari a zero, gli sforzi circonferenziali si annullano e quindi, dall’equilibrio orizzontale, si ha: Tϑx j + S j senα' k + Txϑ p +1 ⋅ senα' k =
(24)
= Tϑx j+1 + S j+1senα' k −Txϑ p ⋅ senα' k
Poiché, come già precisato in precedenza, anche dopo la fessurazione la muratura è ancora in grado di trasferire gli sforzi di taglio grazie all’ingranamento tra i conci, per l’equilibrio alla rotazione è necessaria una forza Tθx e la componente Tθxj . sen α’k dovrebbe essere pari a Tθxj+1 . sen α’k. La forza S dopo la fessurazione, indicata con S*, diventa quindi: S* =
(S
j−1
cos α' k cos γ j
) + (S 2
j−1
cosα' k senγ j + W
e il corrispondente angolo γj* è pari a:
264
)
2
(25)
LE VOLTE A PADIGLIONE γ * = −tg −1
S j−1senγ j−1 + W
(26)
S j−1 cos γ j−1
Attraverso le equazioni sopra esposte, a seconda dei valori iniziali assegnati alle coordinate z mi , possono essere individuate infinite superfici funicolari. Tra le infinite funicolari che corrispondono al carico assegnato, se esiste, la volta tenderà ad assumere quella che garantisce la stabilità della struttura; la prima condizione da imporre è dunque quella di minima eccentricità. Questo significa che, attraverso un risolutore automatico, disponibile anche per semplici programmi quali Excel, verranno individuate, per ogni punto della volta, le coordinate zi che corrispondono alla superficie funicolare che meno si discosta dalla superficie media della volta. La distanza fra l’origine degli assi nel sistema di riferimento globale e la superficie funicolare vale:
(l ) + (z ) geom 2 i
R it =
geom
dove l i
t 2 i
x geom = cos α k
2
+ z it
( )
2
(27)
è la proiezione orizzontale della distanza tra il centro di
massa dell’elemento e l’origine del sistema di riferimento globale. Mentre la distanza fra l’origine degli assi nel sistema di riferimento globale e la superficie media è pari a:
R
geom i
x geom = i cos α k
2
+ z igeom
(
)
2
(28)
L’eccentricità in ogni punto sarà quindi uguale a: e = ∆R = R igeom − R mi
(29)
265
CAPITOLO 4
e perciò la funzione da minimizzare sarà l’eccentricità massima: e = max ∆R
(30)
Poiché per determinare in maniera univoca la posizione della funicolare del carico sono necessarie due condizioni, plausibilmente si può supporre che, tra le infinite funicolari che minimizzano l’eccentricità, quella assunta dalla volta dipenda dalle caratteristiche meccaniche del materiale. A parità di eccentricità, ciò che può variare è l’inclinazione della funicolare e perciò la seconda condizione da imporre, compatibile con la resistenza del materiale, è data da:
Tjmerid ≤ T0 + Nmerid µ j
(31)
dove N merid e T jmerid rappresentano rispettivamente la componete di Sj j normale e tangenziale all’interfaccia: N merid = S ⋅ cos(ϑ − γ j ) j
(32)
T jmerid = S ⋅ sen(ϑ − γ j )
(33)
T0 e µ, per murature di mattoni di nuova costruzione, vengono generalmente assunti rispettivamente pari a 3 kg/cm2 e 0,5. Bisogna però sottolineare che, soprattutto per murature storiche, i valori di T0 e µ potrebbero risultare sensibilmente ridotti in seguito al deterioramento della malta tra i conci, al punto da poter considerare, nel caso più sfavorevole T0 pari a zero e µ pari a 0,3-0,4. Partendo quindi da una membrana iniziale, corrispondente alla linea media, attraverso una procedura iterativa, basata sul teorema statico dell’analisi plastica, che minimizza l’eccentricità e impone il rispetto del criterio di resistenza sul materiale, grazie ad un semplice solver, disponibile anche per programmi di uso comune quali per esempio Excel,
266
LE VOLTE A PADIGLIONE è possibile individuare in maniera rapida e rigorosa la superficie funicolare del carico che soddisfa tutte le condizioni assegnate29. La determinazione della superficie funicolare del carico consente di valutare lo stato di sforzo nella struttura, di individuare le zone interessate dalle lesioni e di determinare la posizione delle eventuali cerniere plastiche che si potrebbero formare lungo i meridiani.
4.7.2. Analisi dei risultati La teoria presentata identifica la superficie funicolare del carico che massimizza la capacità portante della volta. È quindi possibile determinare, per ogni blocco, gli sforzi agenti all’interfaccia e la spinta sui muri perimetrali. Ogni fuso della volta a padiglione considerata è stato suddiviso in 8 spicchi. Per ragioni di simmetria verranno perciò presentati i risultati per metà fuso, compreso fra la direttrice al centro del fuso stesso e la diagonale (fig. 65).
s
spicchio 4 spicchio 3 spicchio 2 spicchio 1
x Fig. 65. Suddivisione della volta a padiglione in fusi, con l’indicazione della coordinata orizzontale x.
267
CAPITOLO 4
Come è già stato precisato nel paragrafo precedente, la teoria presentata si basa sull’analisi limite e quindi si suppone che, in seguito alla fessurazione, venendo a mancare le forze circonferenziali Hp, la funicolare assuma una configurazione differente rispetto a quella che assumerebbe se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione. Inoltre, dopo l’ottimizzazione, viene individuata la funicolare corrispondente all’eccentricità minima e per la quale i risultati ottenuti risultano coerenti con i criteri di resistenza assegnati al materiale. Di seguito verranno quindi riportati, per ogni spicchio, i grafici della forza S prima della fessurazione lungo i meridiani, dopo la fessurazione e dopo la fessurazione con i valori ottimizzati (figg. 66-69), diagrammati lungo la coordinata x del sistema di riferimento globale. I grafici mostrano che , per ogni spicchio, la forza S agente lungo la funicolare, prima della fessurazione, ha un andamento crescente fino a circa 2 m, corrispondente ad un angolo θ pari a 45°, e un andamento decrescente nella parte terminale del fuso. La forza S* invece, ottenuta considerando la ridistribuzione degli sforzi conseguente all’apertura di lesioni lungo i meridiani, coincide con la soluzione membranale per il tratto non fessurato, per poi continuare a crescere, con una diversa pendenza, anche nel tratto terminale dello spicchio. Questo è dovuto al fatto che, se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione, la presenza degli sforzi lungo i paralleli consentirebbe di far rientrare la curva delle pressioni; tuttavia, vista la limitata resistenza a trazione della muratura, in seguito alla fessurazione, le forze circonferenziali (Hp) di fatto si annullano e le forze S nel tratto lesionato divengono funzione solo del carico applicato e della spinta orizzontale trasmessa dalla porzione di volta non fessurata. I valori delle forze ottimizzate, ossia ottenute con il risolutore automatico minimizzando l’eccentricità e imponendo la condizione sulla resistenza a scorrimento del materiale, rispecchiano il medesimo andamento di quelle ricavate semplicemente applicando l’analisi limite. Si nota però che la curva delle forze S lungo la linea delle pressioni nella soluzione ottimizzata ricalca la curva delle forze S ottenuta attraverso la soluzione membranale (supponendo la muratura resistente a trazione) per
268
LE VOLTE A PADIGLIONE un tratto più limitatato rispetto alla soluzione non ottimizzata. Questo significa che la soluzione fornita dal risolutore evidenzia una ridistribuzione degli sforzi nella zona di passaggio tra la porzione di volta integra e quella fessurata, con una lieve estensione delle lesioni lungo i meridiani. È importante sottolineare che non necessariamente le lesioni si manifesteranno all’interfaccia tra tutti gli spicchi, ma si verranno a creare solo nella zona in cui gli sforzi di trazione sono massimi, ossia lungo la diagonale, che, in aggiunta, come è già stato ampiamente illustrato in precedenza, risulta anche la zona più debole in quanto proprio lungo gli spigoli, soprattutto nel caso di disposizione dei mattoni a filari paralleli all’imposta, si crea un allineamento dei giunti di malta. Si può supporre quindi che, coerentemente con le osservazioni eseguite su volte reali, con grande probabilità, le lesioni si formeranno inizialmente lungo le diagonali e che questo sia sufficiente ad annullare gli sforzi circonferenziali lungo tutto il fuso nel tratto in prossimità dell’imposta in cui le forze Hp risultano di trazione (fig. 70). Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1 700 600
S [kg]
500 400 S prima della fessurazione lungo i meridiani
300 200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0
S* ottimizzato 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 66. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
269
CAPITOLO 4
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2 700 600
S [kg]
500 400 S prima della fessurazione lungo i meridiani
300 200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0
S* ottimizzato 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 67. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale. Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3 700 600
S [kg]
500 400 S prima della fessurazione lungo i meridiani
300 200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0
S* ottimizzato 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 68. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
270
LE VOLTE A PADIGLIONE Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4 700 600
S [kg]
500 400 S prima della fessurazione lungo i meridiani
300 200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0
S* ottimizzato 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 69. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale. Hp lungo la diagonale 500 400 300
[kg]
200 100 0
Hp 0
1
2
3
4
5
-100 -200 x' [m ]
Fig. 70. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.
271
CAPITOLO 4
Applicando la procedura descritta nel precedente paragrafo, è possibile anche determinare le forze Nmerid e Tmerid, che costituiscono rispettivamente la componente normale e parallela all’interfaccia di S* (fig. 71). L’andamento di queste due componenti è riportato nelle figure 72-75; come si può notare dai grafici, le componenti di S* normali all’interfaccia rispecchiano lo stesso andamento delle forze S*, le componenti tangenziali, invece, sono praticamente nulle fino a circa 2m, che corrisponde ad un angolo θ pari a 45°, dove la funicolare è pressoché perpendicolare in ogni punto all’interfaccia, mentre assumono valori negativi nella zona interessata dalle lesioni. Si osserva inoltre che, passando dallo spicchio 1 allo spicchio 4, quello adiacente alla diagonale, le forze Nmerid si discostano maggiormente dalle S* e la componente tangenziale aumenta (in valore assoluto). Questo sta ad indicare che l’angolo di inclinazione γj della funicolare del carico si differenzia maggiormente dall’angolo θj che identifica la linea media per lo spicchio diagonale rispetto agli altri spicchi. La maggiore differenza fra i due angoli γj e θj, registrata lungo lo spicchio adiacente alla diagonale, non implica un’eccentricità della forza S* maggiore rispetto agli altri spicchi, come si può facilmente notare dall’analisi dei grafici riportati nelle figure 76-79, ma significa che tale eccentricità varia rapidamente nel tratto lesionato.
γj Nmerid
S*
Tmerid
merid
Fig. 71. Particolare delle forze S* , N
272
e Tmerid agenti su un concio.
LE VOLTE A PADIGLIONE Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1) 700 600 500 400
[kg]
300 200 100 0 -100
0
1
2
3
4
S*
-200
Nmer
-300 T mer
x [m ] merid
Fig. 72. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 1.
e Tmerid lungo lo
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2) 700 600 500 400
[kg]
300 200 100 0 -100
0
1
2
3
4 S*
-200 Nmer
-300 x [m ]
T mer merid
Fig. 73. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 2.
e Tmerid lungo lo
273
CAPITOLO 4
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3) 700 600 500 400
[kg]
300 200 100 0 -100
0
1
2
3
4
S*
-200 Nmer
-300
T mer
x [m ] merid
Fig. 74. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 3.
e Tmerid lungo lo
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4) 700 600 500 400
[kg]
300 200 100 0 -100
0
1
2
3
4 S*
-200 Nmer
-300 x [m ]
T mer merid
Fig. 75. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 4.
274
e Tmerid lungo lo
LE VOLTE A PADIGLIONE Osservando i grafici riportati di seguito (fig. 76-79), si può notare inoltre che, passando dalla soluzione non ottimizzata, ottenuta applicando l’analisi limite, a quella ottimizzata, ottenuta partendo dalla soluzione precedente, ma imponendo le condizioni sul materiale e sull’eccentricità, l’eccentricità della forza S* varia sensibilmente. Nella soluzione non ottimizzata, l’eccentricità, per tutti gli spicchi, si mantiene nulla per tutto il tratto non fessurato, per poi crescere in maniera esponenziale nella zona lesionata, in cui la mancanza degli sforzi circonferenziali non consente di ricentrare la forza S*. Una soluzione di questo tipo, ovviamente, non può essere realistica in quanto eccentricità troppo elevate porterebbero la funicolare ad uscire dallo spessore della volta. È noto che le strutture possono assumere diverse configurazioni di equilibrio a seconda dello stato di sforzo a cui sono sottoposte e delle condizioni al contorno, e quindi anche le volte, tra le infinite funicolari che potrebbero svilupparsi al loro interno, tenderanno ad assumere, se esiste, quella che garantisce l’equilibrio e quindi quella che rientra interamente all’interno dello spessore. Imponendo quindi la condizione di eccentricità minima, è possibile trovare la soluzione che plausibilmente assumerà la volta. Il grafico dell’eccentricità per lo spicchio 4 (fig. 79) mostra infatti che, dopo l’ottimizzazione, il valore massimo dell’eccentricità si riduce drasticamente passando da circa 45 cm a circa 14 cm, localizzati però all’imposta, dove solitamente la presenza di un rienfianco garantisce l’equilibrio della struttura. Si osserva inoltre che la nuova curva dell’eccentricità presenta due punti di massimo, uno positivo e uno negativo, che corrispondono di fatto alla formazione di due cerniere, una verso l’estradosso, per una x pari a circa 1,5 m (θj = 30°), e una verso l’intradosso, per una x pari a circa 2,78 m (θj = 65°), in accordo con quanto ottenuto dai risultati delle analisi numeriche.
275
CAPITOLO 4
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1 -0,15
eccentricità (soluzione ottimizzata)
x [m ]
Fig. 76. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1 -0,15 x [m ]
Fig. 77. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.
276
eccentriità (soluzione ottimizzata)
LE VOLTE A PADIGLIONE Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1 -0,15
eccentricità (soluzione ottimizzata)
x [m ]
Fig. 78. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1 -0,15
eccentricità (soluzione ottimizzata)
x [m ]
Fig. 79. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.
277
CAPITOLO 4
La presenza dell’eccentricità, e quindi il fatto che la funicolare del carico si discosti dalla linea media, implica lo sviluppo di un momento flettente lungo gli spicchi. Di seguito è riportato il grafico del momento flettente per ogni spicchio, dato dalla componete di S* perpendicolare all’interfaccia (Nmer) per l’eccentricità e. Il grafico in figura 80 mostra che il momento flettente per la soluzione ottimizzata presenta, per tutti e quattro gli spicchi, un punto di massimo per una x pari a circa 2,78 m (θj = 65°). Nella volta potrebbe perciò formarsi una cerniera all’intradosso a circa 20 cm dall’imposta. Le volte in muratura, inoltre, presentano spesso un rinfianco che si estende proprio fino a questa zona: la porzione di volta al di sotto della linea a 65° si può quindi idealmente considerare ancora appartenente ai piedritti e di conseguenza la spinta realmente esercitata dalla volta deve essere valutata in corrispondenza della cerniera alle reni.
Momento flettente lungo gli spicchi 100 80
M=N
.e [kg.m]
60 40 20 0 -20
0
1
2
3
4
-40
M=N.e (spicchio 1) M=N.e (spicchio 2)
-60 M=N.e (spicchio 3)
-80 -100 x [m ]
M=N.e (spicchio 4)
Fig. 80. Andamento del momento flettente lungo gli spicchi.
La spinta all’imposta sarà massima nel caso di murature di grande spessore (assimilabili a vincoli rigidi) e minima nel caso di muri d’ambito cedevoli (assimilabili a vincoli con rigidezza molto bassa): si è infatti
278
LE VOLTE A PADIGLIONE osservato anche nel paragrafo relativo alle analisi numeriche che la differente rigidezza dei vincoli influisce sull’entità della spinta. Minimizzare l’eccentricità di fatto corrisponde ad individuare la posizione delle cerniere alle reni e a massimizzare la spinta in questi punti e, quindi, la soluzione ottimizzata restituisce, a favore di sicurezza, i valori dell’azione orizzontale che la volta eserciterebbe sulle murature perimetrali se queste fossero infinitamente rigide. Dal punto di vista pratico, la corretta valutazione della spinta sui muri d’ambito è molto importante, in quanto corrisponde a determinare il tiro che dovrebbero essere in grado di assorbire eventuali presidi strutturali per impedire la deformazione flessionale delle murature a sostegno della volta. Il grafico in figura 81 mostra la spinta orizzontale esercitata dalla volta sulle murature perimetrali. Come si può notare la soluzione non ottimizzata presenta un andamento poco realistico, con spinte massime lungo le diagonali e minime al centro. Bisogna sottolineare il fatto che la spinta fornita dalla soluzione non ottimizzata è stata rilevata esattamente all’imposta, visto che con tale soluzione non si evidenzia la formazione di cerniere alle reni. Questo giustifica anche il fatto che lungo la diagonale la spinta sia maggiore di quella ottenuta con la soluzione ottimizzata. Dopo aver lanciato il risolutore, la spinta ottenuta presenta un andamento massimo nella parte centrale del fuso e leggermente decrescente verso le diagonali, coerentemente con quanto ottenuto dalle analisi numeriche. Inoltre, come si può notare dal grafico in figura 82, la componente orizzontale di S*, nella zona lesionata, in cui l’effetto cerchiante degli sforzi paralleli è nullo, si mantiene costante lungo lo spicchio.
279
CAPITOLO 4
Spinta orizzontale all'imposta y
300 250
[kg/m]
200 150 100
spinta (soluzione non ottimizzata)
50 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
spinta (soluzione ottimizzata)
y [m ]
Fig. 81. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
Componente orizzontale della forza S* lungo lo spicchio 1 250
200
[kg]
150
100 componente orizzontale di S* (soluzione ottimizzata)"
50
0 0
1
2
3
4
y [m ]
Fig. 82. Andamento della componente orizzontale della forza S* lungo lo spicchio 1.
280
LE VOLTE A PADIGLIONE
4.7.3. Considerazioni sulla soluzione ottimizzata Partendo quindi da una membrana iniziale, corrispondente alla linea media, attraverso una procedura iterativa, grazie ad un semplice solver, è possibile individuare in maniera veloce e rigorosa la superficie funicolare del carico che soddisfa tutte le condizioni assegnate, ottenendo in tal modo una soluzione in grado di fornire lo stato di sforzo nella struttura. È necessario precisare che il metodo di calcolo elaborato è stato studiato per essere utilizzato con semplici programmi di uso comune, quali per esempio Excel. Il risolutore di Excel presenta tuttavia delle limitazioni, in quanto è possibile minimizzare un solo parametro alla volta. Per superare questo limite, è possibile seguire due strade: - minimizzare contemporaneamente tutte le eccentricità dei quattro spicchi (minimizzando il valore massimo fra tutti gli spicchi) - minimizzare l’eccentricità massima di un singolo spicchio, ripetendo l’operazione su tutti gli spicchi. All’interno del risolutore sono inoltre presenti dei parametri che possono essere variati per far convergere più rapidamente la soluzione. I risultati presentati sono stati ottenuti minimizzando contemporaneamente le eccentricità dei quattro spicchi e utilizzando per il risolutore i parametri indicati in figura 83 (soluzione ottimizzata n. 1 nelle figure 85-88). In realtà si è osservato che, in ogni caso, le soluzioni ottenute sono molto simili e, soprattutto per i valori di S*, delle rispettive componenti Nmerid e Tmerid e delle forze Np, le differenze registrate variando i parametri e il metodo di minimizzazione sono molto lievi. Si è notato tuttavia che minimizzando l’eccentricità massima di un singolo spicchio alla volta e utilizzando all’interno del risolutore i parametri indicati in figura 84 (soluzione ottimizzata n. 2 nelle figure 85-88), a parità di sforzi agenti, si osserva un andamento delle eccentricità differente rispetto a quello ottenuto dall’ottimizzazione presentata in precedenza. Nei grafici nelle figure 85-88, sono riportati i valori delle eccentricità per la soluzione senza risolutore, per la soluzione ottimizzata n. 1 e per la soluzione ottimizzata n. 2. I risultati ottenuti dalla soluzione ottimizzata n.
281
CAPITOLO 4
2, ricalcano esattamente quelli delle analisi numeriche, presentando anche per gli spicchi 2 e 3 lo stesso andamento già visto per lo spicchio adiacente alla diagonale, con la formazione di due cerniere. I valori ottenuti, inoltre, sono inferiori rispetto a quelli ottenuti con la soluzione ottimizzata 1. Tuttavia, probabilmente a causa di un problema di convergenza del solver, i valori di S* per lo spicchio 2 e 3, pur mantenendosi molto simili a quelli ricavati dalle altre ottimizzazioni, presentano un picco in corrispondenza del passaggio tra la zona fessurata e quella integra. Nonostante questo, è importante sottolineare che, variando i parametri, si possono ottenere, a parità di sforzi agenti, eccentricità inferiori a quelle presentate in precedenza. Questo sta a dimostrare che esiste una soluzione in cui la funicolare presenta un’eccentricità molto bassa, compresa ovunque all’interno della sezione della volta, tranne che nella zona delle reni, in cui, come è già stato chiarito in precedenza, la presenza del rinfianco garantisce comunque l’equilibrio.
Fig. 83. Parametri impiegati all’interno del risolutore automatico di Excel per ottenere la soluzione 1.
282
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 84. Parametri impiegati all’interno del risolutore automatico di Excel per ottenere la soluzione 2.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1 -0,15 x [m ]
eccentricità (soluzione ottimizzata 1) eccentricità (soluzione ottimizzata 2)
Fig. 85. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.
283
CAPITOLO 4
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1
eccentriità (soluzione ottimizzata 1) eccentriità (soluzione ottimizzata 2)
-0,15 x [m ]
Fig. 86. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15 0,1
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1 -0,15 x [m ]
Fig. 97. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.
284
eccentricità (soluzione ottimizzata 1) eccentriità (soluzione ottimizzata 2)
LE VOLTE A PADIGLIONE Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1 -0,15 x [m ]
eccentricità (soluzione ottimizzata 1) eccentriità (soluzione ottimizzata 2)
Fig. 88. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.
4.7.4. Valutazione del coefficiente di sicurezza della volta La teoria proposta consente di valutare gli sforzi nella struttura e determinare la spinta orizzontale esercitata dalla volta sulle murature perimetrali, fattori estremamente utili ai fini di un eventuale intervento di consolidamento. Tuttavia, prima di eseguire qualsiasi intervento sulla struttura, è bene dimostrarne l’effettiva necessità: nonostante le importanti lesioni lungo la diagonale, infatti, la volta a padiglione potrebbe essere in grado di trovare una situazione di equilibrio. È importante dunque poter determinare un coefficiente di sicurezza della volta, dato dal rapporto tra lo spessore reale e lo spessore minimo necessario affinché non si instauri un meccanismo di collasso, generato dalla rotazione dei blocchi attorno alle cerniere. Se si considera la situazione limite, in cui lo spessore della volta è pari a 2.emin, allora si può scrivere:
285
CAPITOLO 4
t min ≥ 2 e min
(34)
Se lo spessore della volta fosse pari a 2.emin, la funicolare toccherebbe l’intradosso in corrispondenza dell’eccentricità massima (in valore assoluto) che, come si è potuto osservare dai grafici presentati nei paragrafi precedenti, corrisponde di una x pari a circa 2,78 m (θj = 65°). Questo significa che in prossimità delle reni della volta si verrebbe a formare una cerniera e la struttura sarebbe comunque in una situazione di equilibrio. Il coefficiente di sicurezza della struttura è quindi dato da: Ψ=
t t min
(35)
4.8. Confronti fra i risultati del modello analitico e delle analisi ad elementi finiti
Per effettuare il confronto tra i risultati ottenuti attraverso l’applicazione del modello teorico basato sull’analisi limite e quelli delle analisi numeriche in campo non lineare, si è ritenuto opportuno realizzare una nuova mesh, in cui gli elementi risultano disposti come indicato in figura 89. In questa mesh, gli elementi risultano disposti esattamente come quelli della schematizzazione teorica e ciò ha agevolato la lettura degli sforzi nelle direzioni del sistema di riferimento locale, rendendo più chiaro e immediato il confronto tra i due modelli.
286
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 89. Mesh realizzata per il confronto fra i risultati teorici e quelli ad elementi finiti.
Nelle figure 90, 91. 92 e 93 sono riportati i grafici dei confronti fra le forze S ottenute dal modello teorico e quelle ricavate dalle analisi ad elementi finiti. Come si può osservare, la curva ottenuta con il modello teorico ricalca esattamente l’andamento della curva ottenuta dalle analisi non lineari; anche il cambiamento di pendenza, significativo perché indica la comparsa di lesioni lungo gli spicchi, è colto esattamente dal modello teorico. Tuttavia, a favore di sicurezza, i valori di S calcolati risultano ovunque leggermente superiori a quelli ricavati dalle analisi ad elementi finiti. Anche le componenti Nmerid di S ottenute con il modello teorico, che per semplicità vengono mostrate solo per lo spicchio adiacente alla diagonale (fig.94), presentano lo stesso andamento di quelle del modello ad elementi finiti, con valori di circa il 10% superiori. Le componenti Tmerid, invece, per entrambi i modelli risultano ovunque molto modeste, anche se, nel modello teorico, si evidenzia un incremento di tali valori nel tratto in prossimità dell’imposta.
287
CAPITOLO 4
Risulta nte S de gli sforzi m e ridia ni a ge nti sullo spicchio 1 700 600
S [kg]
500 400 300
S (modello teorico)
200
S (modello ad elementi f initi)
100 0 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 90. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti lungo lo spicchio 1. Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2 700 600
S [kg]
500 400 300
S (modello teorico)
200
S (modello ad elementi f initi)
100 0 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 91. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti lungo lo spicchio 2.
288
LE VOLTE A PADIGLIONE Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3 700 600
S [kg]
500 400 300
S (modello teorico)
200 S (modello ad elementi finiti)
100 0 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 92. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti lungo lo spicchio 3. Risulta nte S de gli sforzi m e ridia ni a ge nti sullo spicchio 4 700 600
S [kg]
500 400 300
S (modello teorico)
200
S (modello ad elementi f initi)
100 0 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 93. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti lungo lo spicchio 4.
289
CAPITOLO 4
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4) 600 500 400
[kg]
300 200 100 Nmer (teoria)
0 -100
0
1
2
3
4
-200
Tmer (teoria) N mer (analisi ad elementi finiti) T mer (analisi ad elementi finiti)
-300 x [m] merid
merid
Fig. 94. Confronto fra le componenti N e T di S ottenute dal modello teorico e quelle ricavate dal modello ad elementi finiti lungo lo spicchio 4.
Per quanto riguarda l’eccentricità, si può notare che per lo spicchio adiacente alla diagonale (fig. 95), i valori ottenuti attraverso il modello teorico e quelli del modello ad elementi finiti coincidono esattamente. Nel grafico sono state riportate le due soluzioni ottenute facendo girare il risolutore con due diverse combinazioni di parametri, come illustrato nel paragrafo 4.7.3. La soluzione ottimizzata n. 1 e la soluzione ottimizzata n. 2, per lo spicchio adiacente alla diagonale, non presentano variazioni rilevanti. Per gli altri spicchi, invece, mentre la soluzione ottimizzata n. 1 mostra un solo punto di massimo (in valore assoluto), corrispondente alla formazione di una sola cerniera all’intradosso, nella soluzione ottimizzata n. 2, l’andamento è lo stesso di quello lungo lo spicchio 4 e i valori ottenuti sono ovunque coincidenti con quelli delle analisi ad elementi finiti (fig. 96). Questo significa che la teoria proposta è in grado di cogliere con precisione anche i punti in cui si potrebbero formare le cerniere.
290
LE VOLTE A PADIGLIONE Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (da analisi ad elementi finiti)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
3
4
-0,1
eccentricità (soluzione ottimizzata 1) eccentriità (soluzione ottimizzata 2)
-0,15 x [m]
Fig. 95. Confronto fra i valori delle eccentricità lungo lo spicchio 4 ottenuti dalle analisi ad elementi finiti e dal modello teorico (soluzione ottimizzata n.1 e soluzione ottimizzata n. 2). Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 e [m]
0,2 0,15
eccentricità (da analisi ad elementi f initi)
0,1 0,05 0 -0,05 0
1
2
-0,1 -0,15 x [m ]
3
4
eccentricità (soluzione ottimizzata 1) eccentriità (soluzione ottimizzata 2)
Fig. 96. Confronto fra i valori delle eccentricità lungo lo spicchio 3 ottenuti dalle analisi ad elementi finiti e dal modello teorico (soluzione ottimizzata n. 1 e soluzione ottimizzata n. 2).
291
CAPITOLO 4
Per la valutazione della spinta è necessario far riferimento ai punti in cui si forma la cerniera all’intradosso: è proprio lì infatti che la volta eserciterà la propria spinta sui muri di contenimento. Per ottenere la spinta che realmente la volta esercita lungo i muri d’ambito, sono quindi state estrapolate dalle analisi ad elementi finiti le forze orizzontali per unità di lunghezza, valutate in corrispondenza di un angolo θ di circa 65°, ossia nel punto in cui l’eccentricità è massima. Sono stati allora confrontati i valori della spinta ottenuta con la teoria proposta e quelli ricavati dalle analisi numeriche sul modello con vincoli rigidi, che, come già detto, fornisce la spinta massima. Come si può osservare, entrambi i grafici presentano valori massimi al centro del fuso che decrescono spostandosi verso le diagonali. La spinta massima al centro del fuso ottenuta con il modello teorico coincide esattamente con quella ricavata dalle analisi numeriche, mentre, a favore di sicurezza, i valori in prossimità della diagonale risultano leggermente superiori nel modello teorico rispetto a quello ad elementi finiti. La differenza massima è tuttavia inferiore al 30% e, perciò, si ritiene che il modello teorico sia in grado di fornire, con ottima approssimazione, la spinta orizzontale esercitata dalla volta sui piedritti. Spinta orizzontale all'imposta y
300 250
[kg/m]
200 150 100
spinta (da analisi ad elementi finiti)
50 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
spinta (soluzione ottimizzata)
y [m ]
Fig. 97. Confronto fra la spinta alle reni ottenuta con il modello teorico e con le analisi ad elementi finiti.
292
LE VOLTE A PADIGLIONE Infine anche l’estensione delle lesioni lungo le diagonali sono colte con grande precisione dal modello teorico presentato.
4.9. Discussione sul comportamento strutturale delle volte a padiglione
Grazie ai risultati delle analisi ad elementi finiti in campo non lineare, all’applicazione della teoria basata sull’analisi limite e al confronto fra le soluzioni numeriche e quelle teoriche, è stato possibile porre l’attenzione su alcune particolarità del comportamento strutturale delle volte a padiglione e di chiarire alcuni aspetti finora poco chiari. Si è potuto notare che generalmente le volte a padiglione sono interessate da fessure passanti lungo le diagonali e, probabilmente, anche al centro del fuso. Tale fessurazione, per volte a tutto sesto, si estende per un tratto che va dall’imposta fino ad un angolo θ di circa 45° e, a differenza di quanto riportato in letteratura, è indipendente dai cedimenti dell’imposta; si è dimostrato infatti che le lesioni lungo la diagonale caratterizzano anche volte vincolate rigidamente, anche se ovviamente la loro estensione può aumentare in seguito al ribaltamento dei muri d’ambito. Si è inoltre osservato che il comportamento strutturale delle volte a padiglione non può semplicemente essere schematizzato con una serie di archi affiancati, come generalmente viene riportato in letteratura. Nella porzione di volta non fessurata, infatti, anche dopo la formazione di lesioni lungo le diagonali, si sviluppa un effetto guscio e ogni arco che costituisce la volta è ancora in grado di trasferire parte del carico a quelli a fianco grazie all’ingranamento tra i conci e al trasferimento del taglio tra archi attigui. L’interazione tra gli archi che costituiscono la volta a padiglione appare evidente dall’osservazione della spinta all’imposta: come si può notare, infatti, la spinta orizzontale sui piedritti non presenta il tipico andamento triangolare ricavato dalla semplice schematizzazione ad archi
293
CAPITOLO 4
(fig. 98a), ma un andamento massimo al centro e leggermente decrescente verso le diagonali, dove la spinta è circa il 35% inferiore rispetto a quella al centro del fuso (fig. 98b).
archi naturali di scarico
a)
b)
Fig. 98. Confronto tra la spinta orizzontale esercitata dalla volta a padiglione sulle murature perimetrali ricavata dallo schema ad archi affiancati non interagenti (a) e quella reale, ottenuta attraverso le analisi ad elementi finiti e la teoria basata sull’analisi limite (b).
Questo fa supporre che nella superficie del fuso si possano creare archi naturali di scarico, che provvedono a far defluire una parte del carico verso le parti laterali della volta. Il modello teorico presentato nei paragrafi precedenti ha consentito, inoltre, di valutare in maniera precisa e rigorosa la posizione della superficie delle pressioni, permettendo così di valutare sia i momenti agenti su ogni spicchio, considerando ovviamente l’interazione con quelli a fianco, sia la componente tangenziale della forza S* all’interfaccia tra i conci. Per quanto riguarda i momenti e quindi l’eccentricità della superficie funicolare, si è potuto vedere che, per una volta a padiglione soggetta a peso proprio, esistono due linee, all’incirca parallele all’imposta, lungo le quali potrebbero formarsi le cerniere. La prima, posizionata all’estradosso, è localizzata ad una distanza x pari a circa 1,5 m dal centro, corrispondente ad un angolo θj pari a 30°, mentre la seconda, posizionata
294
LE VOLTE A PADIGLIONE all’intradosso, è localizzata ad una distanza x pari a circa 2,78 m dal centro, corrispondente ad un angolo θj pari a 65°. La figura 99 mostra il possibile meccanismo che si può generare nella volta in seguito alla formazione delle cerniere lungo i paralleli, anche se è necessario precisare che la formazione di queste cerniere dipende, come è già stato chiarito in precedenza, dallo spessore della volta, che comunque non può essere inferiore a 2e.
ϑ=30° ϑ=65°
x Fig. 99. Possibile meccanismo che si può generare negli spicchi costituenti la volta in seguito alla formazione delle cerniere.
Per quanto riguarda invece i meccanismi di scorrimento tra i conci, affinché questi non si verifichino, la forza Tmeriid, componente di S* parallela ai giunti, dovrebbe essere in ogni punto inferiore alla resistenza a scorrimento tra i conci, data da: Tjmerid ≤ T0 + Nmerid µ j
(36)
I valori di T0 e µ, per murature di mattoni di nuova costruzione, vengono assunti di solito rispettivamente pari a 3 kg/cm2 e 0,5 30, ma per murature storiche e per murature in pietra tali valori potrebbero risultare sensibilmente ridotti.
295
CAPITOLO 4
Le volte di edifici storici risultano spesso realizzate con muratura che, nel corso del tempo, può aver subito un deterioramento della malta tra i giunti e proprio per questo, a favore di sicurezza, sembra lecito supporre che il valore di T0 sia pari a zero. È allora interessante valutare la variazione dello stato di sforzo nella volta, e quindi della superficie funicolare del carico, al variare del coefficiente di attrito µ. Dai risultati ottenuti attraverso la teoria basata sull’analisi limite, è emerso che fino ad un coefficiente di attrito di 0,48 la Tmeriid è in ogni punto minore di Nmerid.µ, per valori inferiori, invece, la struttura è comunque in grado di ritrovare una nuova configurazione di equilibrio in cui gli sforzi lungo i meridiani e lungo i paralleli variano in maniera impercettibile, a scapito però di un notevole aumento di eccentricità, che si riflette in un aumento dello spessore necessario per mantenere l’equilibrio e di conseguenza in una riduzione del coefficiente di sicurezza della struttura. Il grafico in figura 100 mostra l’eccentricità della superficie funicolare al variare del coefficiente di attrito assunto per la muratura. Per valori di µ inferiori a 0,3 il risolutore non è più in grado di trovare una soluzione accettabile, mentre per valori superiori a 0,48 l’eccentricità massima si mantiene costante. È opportuno comunque precisare che il valore massimo dell’eccentricità si registra all’imposta, dove il rinfianco, che generalmente è collocato nella zona delle reni, garantisce uno spessore maggiore rispetto al resto della volta.
296
LE VOLTE A PADIGLIONE Eccentricità massima della superficie funicolare in funzione del coefficiente di attrito
0,3
0,3
0,48
0,25
e [m]
0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
1
µ
Fig. 100. Eccentricità della superficie funicolare del carico ottenuta con la teoria basata sull’analisi limite presentata al variare del coefficiente di attrito assunto per la muratura.
Infine, risulta di estremo interesse comprendere come varia il comportamento strutturale delle volte a padiglione al variare del rapporto freccia/luce. La trattazione precedente riguarda le volte a padiglione a tutto sesto, considerate dallo Scamozzi le migliori sia per la bellezza che tale curvatura conferisce alla volta, sia dal punto di vista statico31, tuttavia, ricalcando i rapporti proporzionali suggeriti da altri trattatisti, molte sale di palazzi Rinascimentali sono ricoperte con volte ribassate: il Palladio per esempio precisa che le volte a padiglione dovrebbero avere una freccia pari ad un terzo della larghezza della stanza32, mentre Guarini consiglia di contenere l’altezza della volta fra un quinto e un quarto del diametro33. Per questo, in accordo con le indicazioni dei trattatisti, attraverso l’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, è stato analizzato il comportamento strutturale di volte a padiglione con un rapporto freccia/luce pari ad 1/3, 14 e 1/5, alle quali, per una volta a base
297
CAPITOLO 4
quadrata con luce di 6m, corrispondono rispettivamente frecce di 2m, 1,5m e 1,2m. Per cogliere i tratti salienti del comportamento strutturale delle volte a padiglione al variare del rapporto freccia/luce, di seguito sono riportati i grafici più significativi per il confronto fra i risultati ottenuti per le tre volte analizzate. In appendice B sono riportati in maniera estesa tutti i grafici relativi alle volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/3, 14 e 1/5. Come si può notare dai grafici in figura 101 e in figura 102, la forza S aumenta al diminuire del rapporto freccia/luce e ciò sta ad indicare che, come è noto, le volte ribassate sono soggette ad uno stato di sollecitazione maggiore rispetto alle volte a tutto sesto. Tuttavia è interessante notare come, al diminuire della freccia, la soluzione membranale, che rappresenta lo stato di sforzo precedente alla fessurazione lungo la diagonale e al centro del fuso, si discosti dalla soluzione ottimizzata per un tratto sempre minore. Il grafico in figura 103 mostra infatti che il tratto in cui le forze circonferenziali Hp sono di trazione si riduce al diminuire della freccia e che, per volte molto ribassate (f/l=1/5), tali forze risultano di compressione per l’intera volta, tranne che per un breve tratto in prossimità dell’imposta. Questo mostra, come vedremo meglio nei capitoli successivi, che, per ottenere informazioni sullo stato di sforzo in volte a padiglione molto ribassate, sarebbe possibile applicare, con buona approssimazione, la teoria membranale classica. Per quanto riguarda invece la spinta all’imposta, si può notare che tale spinta aumenta al diminuire della freccia e che, mentre per volte a tutto sesto, la spinta all’imposta in prossimità della diagonale è circa il 35% in meno rispetto a quella al centro del fuso, per frecce minori, l’andamento di tale spinta tende a diventare costante lungo tutta l’imposta (fig. 104).
298
LE VOLTE A PADIGLIONE Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1 700 600 500 S [kg]
S ottimizzato (f=2m) 400 S ottimizzato (f=1,5m) 300 S ottimizzato (f=1,2m) 200 S prima della fessurazione (f=2m)
100
S prima della fessurazione (f=1,5m)
0 0
1
2
3
4
x [m ]
S prima della fessurazione (f=1,2m)
Fig. 101. Confronto fra la risultante S degli sforzi meridiani sullo spicchio 1 prima della fessurazione e dopo l’ottimizzazione per volte a padiglione con rapporto freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5. Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4 700 600 500 S [kg]
S ottimizzato (f=2m) 400 S ottimizzato (f=1,5m) 300 S ottimizzato (f=1,2m) 200 S prima della fessurazione (f=2m)
100
S prima della fessurazione (f=1,5m)
0 0
1
2 x [m ]
3
4
S prima della fessurazione (f=1,2m)
Fig. 102. Confronto fra la risultante S degli sforzi meridiani sullo spicchio 4 prima della fessurazione e dopo l’ottimizzazione per volte a padiglione con rapporto freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.
299
CAPITOLO 4
Hp lungo la diagonale 500 400 300
[kg]
200 100
f=2m f=1,5m
0 0
1
2
3
4
5
f=1,2m
-100 -200 x' [m ]
Fig. 103. Confronto fra le forze circonferenziali Hp di volte a padiglione con rapporto freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5. Spinta orizzontale lungo i muri d'ambito y
600 500
[kg/m]
400 300 200
spinta (f=2m)
100
spinta (f=1,5m)
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
spinta (f=1,2m)
y [m ]
Fig. 104. Confronto fra la spinta all’imposta dir volte a padiglione con rapporto freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.
300
LE VOLTE A PADIGLIONE Nelle volte a padiglione, come già detto, si vengono a creare degli archi naturali di scarico che fanno defluire il carico verso le diagonali e che quindi portano a scaricare la parte centrale del fuso. I risultati ottenuti dai confronti fra volte con rapporti freccia/luce diversi consentono di affermare che, intuitivamente, gli archi naturali di scarico interessano una fascia in prossimità dell’imposta che si riduce al diminuire della freccia, come mostrato in figura 105. Questo giustifica la maggiore estensione delle lesioni lungo la diagonale per volte con frecce maggiori e l’andamento della spinta all’imposta, che, per volte molto ribassate, è all’incirca costante.
Fig. 105. Andamento qualitativo degli archi naturali di scarico per le tre volte considerate.
301
CAPITOLO 4
4.10. Modelli di calcolo semplificati
Le analisi ad elementi finiti in campo non lineare e la teoria basata sull’analisi limite hanno consentito di valutare in maniera rigorosa lo stato tensionale nelle volte a padiglione e, in particolare, la teoria proposta, basata sull’analisi limite, si è mostrata un valido strumento, utile e relativamente semplice, per chiarire il comportamento strutturale delle volte a padiglione e per determinare gli sforzi che si generano al loro interno e la spinta all’imposta. I risultati ottenuti hanno evidenziato un comportamento strutturale complesso, in cui gli archi che idealmente costituiscono la volta interagiscono tra di loro e risultano soggetti sia a sforzi membranali che flessionali. Tuttavia, alla luce di quanto emerso, si può ritenere che, nel caso di volte ribassate, il regime flessionale possa essere trascurato e che comunque, come verrà meglio chiarito in seguito, anche per volte a padiglione con frecce superiori a 1/4, il comportamento strutturale delle volte a padiglione possa essere efficacemente identificato attraverso l’applicazione della teoria membranale. Partendo dallo studio fondativo sulle volte a padiglione, condotto presso l’Università degli Studi di Brescia (Giuriani E., Tomasoni E., 2002), appare quindi di grande utilità ai fini pratici proporre metodi di calcolo semplificati, meno rigorosi rispetto alla teoria basata sull’analisi limite, ma in grado di cogliere i principali meccanismi statici che si possono generare nelle volte a padiglione e di fornire gli elementi indispensabili e estremamente utili per un eventuale intervento di recupero. Dal confronto fra i risultati ottenuti attraverso i modelli semplificati e quelli ricavati dall’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, è stata valuta l’efficacia e il limite di validità dei metodi semplificati.
302
LE VOLTE A PADIGLIONE
4.10.1. Teoria membranale classica Lo studio eseguito su una volta a padiglione su base quadrata soggetta a peso proprio, ha mostrato che, soprattutto per volte molto ribassate, il momento flettente è tale da poter essere trascurato, infatti l’eccentricità, per rapporti freccia/luce inferiori a 1/5, è ovunque compresa all’interno del nocciolo centrale d’inerzia (si vedano i grafici riportati in appendice B). Il comportamento strutturale delle volte a padiglione può quindi essere descritto, con buona approssimazione, attraverso la teoria membranale classica, secondo la quale la volta viene assimilata ad un guscio privo di rigidezza flessionale. Si riportano di seguito i passaggi principali della teoria membranale classica, opportunamente modificata per tener conto delle condizioni al contorno in prossimità della diagonale, che consente di ottenere formule in forma chiusa in grado di definire lo stato di sforzo all’interno della volta a padiglione. Si è considerata una generica volta a padiglione su base quadrata. Se supponiamo che tale volta sia infinitamente estesa nella direzione delle direttrici, le azioni agenti su un elemento infinitesimo di dimensioni dx.da e spessore s sono rappresentate dagli sforzi normali nx e nθ e da quelli tangenziali nxθ e nθx, come indicato in figura 106. La lunghezza da si può anche scrivere come rdϑ, dove r è il raggio di curvatura della direttrice e si esprime in funzione di ϑ, ossia dell’angolo che la perpendicolare all’elemento considerato forma con la verticale.
303
CAPITOLO 4
Fig. 106. Elemento di dimensioni dx.da appartenente ad una generica volta a padiglione, con evidenziate le azioni interne.
Eseguendo l’equilibrio di un generico elemento appartenente al fuso lungo l’asse t di un sistema di riferimento intrinseco n,t e x, si ottiene: − n ϑ ⋅ sen
∂n dϑ dϑ dx − n ϑ + ϑ r∂ϑ ⋅ sen dx − g cos ϑ ⋅ rdϑdx = 0 2 r∂ϑ 2
(37)
trascurando l’infinitesimo del secondo ordine e confondendo il seno dell’angolo con l’angolo stesso, si ottiene: n ϑ = −g ⋅ r cos ϑ
dove g = γ m ⋅ s . Dall’equilibrio in direzione n si ottiene:
304
(38)
LE VOLTE A PADIGLIONE
− nϑ ⋅ cos
dϑ ∂n dϑ dx + nϑ + ϑ r∂ϑ ⋅ cos dx − n xϑ ⋅ rdϑ + 2 r ∂ ϑ 2
∂n + n xϑ + xϑ dx ⋅ rdϑ + g ⋅ senϑ ⋅ rdϑdx = 0 ∂x
Semplificando e assumendo cos
(39)
dϑ ≈ 1 , si ha: 2
∂ n ϑ ∂ n ϑx + g ⋅ sen ϑ = 0 + r∂ϑ ∂x
(40)
Infine, eseguendo l’equilibrio lungo la x del sistema di riferimento locale si ha: ∂n ∂n − n x ⋅ rdϑ + n x + x ∂x ⋅ rdϑ − n xϑ dx + n xϑ + xϑ rdϑ ⋅ dx = 0 r∂ϑ ∂x
(41)
Da cui: ∂n x ∂n xϑ + =0 ∂x r∂ ϑ
(42)
L’equazione (38) fornisce direttamente nϑ, mentre integrando la (40) e la (42) si ottiene: 1 ∂(r cos ϑ) n xϑ = g ⋅ ⋅ − senϑ ⋅ x + c 1 r ∂ ϑ
n x = −∫
∂n xϑ dx + c 2 r∂ϑ
(43)
(44)
305
CAPITOLO 4
Poiché in genere le volte a padiglione presentano una direttrice ad arco di cerchio (o al massimo costituita da una policentrica), si suppone che r sia costante. Da cui: n xϑ = −2g ⋅ x ⋅ senϑ + c 1
(45)
Per determinare le costanti di integrazione è necessario imporre delle condizioni al contorno. Per simmetria si ha, per x = 0, n ϑx = 0, da cui si ricava c1 = 0; la (45) diventa quindi: n xϑ = −2g ⋅ x ⋅ senϑ
(46)
ds
n ω nX
rdϑ
nXϑ
q nϑX nϑ dx
Fig. 107. Elemento triangolare a ridosso della diagonale di una generica volta a padiglione, con evidenziate le azioni interne.
Sostituendo nxϑ nella (44) e integrando, si ottiene:
306
LE VOLTE A PADIGLIONE nx =
g 2 ⋅ x ⋅ cos ϑ + c 2 (ϑ) r
(47)
Per la determinazione della costante c2(ϑ) è necessario imporre l’equilibrio in direzione perpendicolare alla diagonale di un generico elemento triangolare di dimensioni d x ⋅ da 34 (fig. 107). Dall’equilibrio in direzione normale alla diagonale si ha: n⊥ ⋅ ds + n x ⋅ rdϑ ⋅ cos ω + nϑ ⋅ dx ⋅ senω − n xϑ ⋅ rdϑ ⋅ senω − nϑx ⋅ dx ⋅ cos ω = 0
(48)
dove: ds =
rdϑ cos ω
dx = rdϑ ⋅ tgω
mentre ω è l’angolo indicato in figura 107 e definito nel seguito. Da cui, semplificando e sostituendo le equazioni ottenute per nxϑ, nϑ e nx, si ottiene: 1 n⊥ = g ⋅ (− ⋅ x2 ⋅ cos ϑ ⋅ cos2 ω + r ⋅ cos ϑ ⋅ sen2ω + r − 2x ⋅ senϑ ⋅ cos ω ⋅ senω − 2x ⋅ senϑ ⋅ senω ⋅ cos ω) − c 2 ⋅ cos2 ω
(49)
dove x = r ⋅ senϑ poiché la (4) è verificata solo lungo la diagonale. Con riferimento alla figura 108, si può inoltre scrivere: dϑ n ⊥ ⋅ cos ϕ ⋅ ds = 2 ⋅ N ⋅ sen 2
(50)
dove ϕ, come indicato in figura 109, è l’angolo del diedro, ϑ è l’angolo che la verticale forma con la retta normale alla diagonale nel punto considerato, mentre N è la forza che si genera sulla diagonale a causa
307
CAPITOLO 4
della componente di n ⊥ ortogonale alla diagonale stessa (nel piano verticale). Le relazioni fra gli angoli ω, ϑ, ϕ e ϑ sono definite di seguito: dx = rdϑ ⋅ tgω
(51)
dx = rdϑ ⋅ cos ϑ
(52)
uguagliando: tgω = cos ϑ
(53)
Fig. 108. Sforzi sulla diagonale generati dalla componente di n ⊥ ortogonale alla diagonale stessa, nel piano verticale.
308
LE VOLTE A PADIGLIONE
Inoltre: dx ⋅ 2 cos ϑ
=
dx senω
(54)
da cui: cos ϑ = 2 ⋅ senω
(55)
A rdϑ
ω
A'
45°
ϑ
D' ϕ
C
90°
D ϑ
45°
dx
B
Fig. 109. Elemento triangolare a ridosso della diagonale con indicati gli angoli ω, ϕ, ϑ e ϑ .
L’angolo ϕ del diedro si ricava attraverso la formula di Carnot:
309
CAPITOLO 4
cos ϕ =
D' D 2 + DC 2 − D' C 2 2 ⋅ D' D ⋅ DC
(56)
dove: D' D = D' B ⋅ senϑ = r ⋅ cos ϑ ⋅ senϑ ⋅
dϑ 2
DC = BC ⋅ cos ω = r ⋅ cos ω ⋅ cos ϑ ⋅ dϑ
D' C =
BC 2
= r ⋅ cos ϑ ⋅
dϑ
(57)
(58)
(59)
2
da cui: sen 2 ϑ 1 + cos 2 ω − 2 2 cos ϕ = senϑ 2⋅ ⋅ cos ω 2
(60)
Si noti che l’angolo BDˆ' C = 90° , infatti:
D' B =
DB cos ϑ
=
BC ⋅ senω 2 ⋅ senω
=
BC 2
(61)
ˆ ' C = 90° poiché D' BˆC = 45° ⇒ BD Sapendo inoltre che ds = rd ⋅ d ϑ e semplificando, la (50) si può scrivere come: n ⊥ ⋅ cos ϕ ⋅ rd = N
Sostituendo la (62) nella (49) si ottiene:
310
(62)
LE VOLTE A PADIGLIONE
N = g ⋅ ( −r ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ ⋅ cos 2 ω + r ⋅ cos ϑ ⋅ sen 2 ω + cos ϕ ⋅ rd
(63)
− 4r ⋅ senϑ ⋅ senϑ ⋅ senω ⋅ cos ω) − c 2 ⋅ cos ω 2
da cui:
c 2 = ( −g ⋅ r ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ ⋅ cos 2 ω + g ⋅ r ⋅ cos ϑ ⋅ sen 2 ω + − 4gr ⋅ sen 2 ϑ ⋅ senω ⋅ cos ω −
N 1 )⋅ cos ϕ ⋅ rd cos 2 ω
Dove il raggio della diagonale si ricava come illustrato di seguito: rdϑ ds = cos ω
ds = rd dϑ
(64)
(65)
(66)
uguagliando: r dϑ rd = ⋅ cos ω dϑ
(67)
esprimendo ϑ in funzione di ϑ , si ha:
cos ϑ ϑ = cos −1 (tan ω) = cos −1 tan sen −1 2 cos ϑ dcos −1 tan sen −1 2 dϑ = dϑ dϑ
(68)
(69)
311
CAPITOLO 4
r senϑ ⋅ ⋅ cos ω 2
rd =
⋅
1
(
cos ϑ 1 − tan sen −1 2
1 cos ϑ cos 2 sen −1 2
⋅
)
2
⋅
1 cos ϑ 1− 2
(70)
2
mentre N vale: N=
Nv
(71)
sen ϑ
dove Nv è la componente verticale di N e si determina attraverso l’equilibrio verticale globale della struttura: Nv +
ϑf
∫0 (− g ⋅ r ⋅ cos ϑ f ) ⋅ senϑ f ⋅ r ⋅ cos ϑ ⋅ dϑ + P = 0
(72)
Poiché: ϑf
P = g ⋅ ∫ r ⋅ (ϑ f − ϑ) ⋅ r ⋅ cos ϑ ⋅ dϑ =
(73)
0
= g ⋅ r ⋅ ϑ f ⋅ senϑ − cos ϑ − ϑ ⋅ senϑ 0 = g ⋅ r ⋅ (1 − cos ϑ f ) ϑf
2
si ha:
(
)
Nv = g ⋅ r 2 ⋅ cos ϑ ⋅ sen2ϑ − (1 − cos ϑ)
312
2
(74)
LE VOLTE A PADIGLIONE In conclusione lo sforzo nx si può scrivere come:
(
)
g ⋅ cos ϑ ⋅ x 2 − r 2 ⋅ sen 2 ϑ + gr ⋅ cos 3 ϑ + r n⊥ − 4rg ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ − cos 2 ω
nx =
(75)
dove: n⊥ =
(
)
2gr ⋅ 2 cos ϑ − cos 3 ϑ − 1 1 − cos ϑ 4
(76)
La trattazione presentata consente quindi di ricavare formule in forma chiusa per la determinazione degli sforzi nϑ, nx, e n ⊥ e quindi per la valutazione della spinta all’imposta e per la determinazione delle trazioni lungo le diagonali. Bisogna tuttavia precisare che la soluzione membranale si basa sull’ipotesi che la superficie funicolare del carico coincida in ogni punto con la superficie media. Nei paragrafi precedenti è stato dimostrato che questo si avvicina alla realtà per volte con rapporto freccia/luce inferiore a 1/5, ma si discosta enormemente dalla soluzione esatta per volte con rapporti freccia/luce maggiori. Questo appare evidente se si considera per esempio una volta a tutto sesto, per la quale, applicando la teoria membranale, si ottiene una spinta all’imposta nulla, che evidentemente rappresenta un paradosso. Per ovviare a questo problema, alla luce di quanto dimostrato nei paragrafi precedenti, la spinta orizzontale sui muri perimetrale per una volta a padiglione andrebbe valutata ad un angolo θ di circa 65°, punto in cui si potrebbe formare la cerniera plastica. Nelle figure seguenti sono rappresentati gli andamenti degli sforzi nϑ, nx, e n ⊥ .
313
CAPITOLO 4
Fig. 110. Andamento degli sforzi nϑ, nx in una generica volta a padiglione su base quadrata.
n⊥
Fessure
Fig. 111. Andamento degli sforzi n ⊥ lungo la diagonale di una generica volta a padiglione su base quadrata.
314
LE VOLTE A PADIGLIONE
4.10.2. Schema ad archi Nell’ottica di studiare la possibilità di adottare schemi di calcolo semplificati in grado di cogliere le principali problematiche delle volte a padiglione, appare utile riproporre lo schema ad archi affiancati, impiegato da numerosi manuali per valutarne la spinta all’imposta, modificandolo per simulare il comportamento lungo le diagonali e valutandone il limite di validità e l’efficacia alla luce dei risultati ottenuti nei paragrafi precedenti. Applicando lo schema ad archi, la volta a padiglione può essere schematizzata appunto come una serie di archi affiancati non collaboranti (fig. 112): i fusi fra loro contrapposti si equilibrano sia in chiave, dove i due archi di cerchio ab e bc si incontrano direttamente, sia lungo le diagonali dove invece gli archi de ed fg si appoggiano ai punti e ed f. Se si suppone che gli archi siano soggetti al solo regime membranale e che quindi la funicolare del carico coincida con la linea media, ipotesi che si avvicina alla realtà per volte ribassate, allora la forza Fm membranale è sempre diretta secondo la tangente all’arco ed è centrata nel baricentro (fig. 113). Inoltre le componenti orizzontali Nx e verticali Vz sono legate dalla semplice relazione trigonometrica, per la quale si ha: Vz = Nx ⋅ tgα
(77)
dove α è l’angolo che la tangente alla curva forma con il piano orizzontale. Estraendo dalla struttura i meridiani de e fg e il parallelo ef, il comportamento statico della volta a padiglione può essere schematizzato come in figura 114, dove de e fg sono gli archi collegati dal puntone ef, Rx e Rz sono le reazioni orizzontali e verticali dei vincoli posti agli estremi degli archi sulla linea d’imposta della volta e p è il peso proprio della struttura.
315
CAPITOLO 4
Fuso 3 Fuso 1
Fuso 2
b
a
d
c
e
f
g
Fuso 4
Fig. 112. Schema del comportamento ad archi affiancati.
Nx Fm α
Vz
e
x
d
imposta
z
Fig. 113. Schema semplificato del modello ad archi.
Nello schema presentato il puntone ef non sostiene carichi verticali, ovvero è in grado di trasmettere solo ed esclusivamente azioni orizzontali che permettono all’arco de di essere equilibrato orizzontalmente dall’arco
316
LE VOLTE A PADIGLIONE
ef. Mettendo in evidenza l’azione interna Nx trasmessa dal puntone ef, lo schema statico risulta analogo a quello rappresentato in figura 115 e quindi, data la simmetria, è possibile prendere in considerazione solo l’arco de. Considerando l’arco de, in prossimità della diagonale, coincidente con l’estremo e dell’arco, la forza Nx, componente orizzontale di Fm, è equilibrata dall’azione Nx proveniente dal parallelo, mentre la forza Vz, componente verticale della Fm, sembra non essere contrastata da nessun’altra forza (fig. 116).
e
f
p
p e Rx
x
g
d
z
f Rx
d
g
Rz
Rz
Fig. 114. Modello schematico di due archi e del corrispondente puntone.
p
Nx
Nx
Nx
e Rx
p
Nx f
d
x
g
Rx
Rz
Rz z
Fig. 115. Modello schematico di due archi e del corrispondente puntone con evidenziate le azioni interne.
317
CAPITOLO 4
Nx
Vz==? R* ? Fm Nx
Fig. 116. Schema del nodo tra il meridiano e il parallelo.
Fig. 117. Rappresentazione delle forze di trazione sulla diagonale.
318
LE VOLTE A PADIGLIONE La forza Vz, quindi, si scarica sulla diagonale, nella quale, di conseguenza, si sviluppa una trazione nella direzione parallela alla diagonale stessa. Secondo questo schema, quindi, la diagonale si comporta come una fune che contiene la spinta verso l’alto, evitando così il sollevamento dei due fusi adiacenti (fig. 117). Per la determinazione delle forze Nx e Vz, componenti della forza membranale Fm rispettivamente lungo gli assi x e z, si suppone che la volta sia costituita da una serie di archi affiancati e che tali archi siano in grado di ruotare attorno al punto d (fig. 118). Con riferimento alla figura 118, per l’equilibrio alla rotazione di ogni arco attorno al punto d si ha: Σ Md= Vz ⋅ (l- xe) + P ⋅(l - xG ) – Nx ⋅ ze = 0
(78)
dove P è la risultante della forza peso applicata nel baricentro dell’arco, xe e ze sono le coordinate del punto e di applicazione della forza Fm e xG è la coordinata del baricentro dell’arco considerato secondo il sistema di riferimento indicato in figura 118. Le due componenti di Fm, Nx e Vz, sono legate dall’espressione: Nx =
Vz tgα
(79)
La forza Vz vale quindi: Vz =
P ⋅ (l − x G ) ze − (l − x e ) tgα
(80)
Conoscendo il valore di Vz si può ricavare il valore di Nx attraverso la relazione (79). Applicando lo schema ad archi presentato ad una volta ribassata con rapporto freccia luce pari ad 1/5, che abbiamo visto essere il limite sotto il quale il comportamento può essere assimilato, con buona
319
CAPITOLO 4
approssimazione, a quello di una membrana, si ottengono per la forza Vz e per la spinta Rx i grafici riportati rispettivamente nelle figure 119 e 120.
Xe
l - Xe
Fm
VR*z
P
α
e
Nx
G
Ze
z d
x l - XG
XG
l r
Fig. 118. Schema ad arco impiegato nell’equilibrio dei momenti.
320
LE VOLTE A PADIGLIONE Andamento della forza Rx 70 60
Nx [kg]
50
x
40 30
Nx
20 10 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 119. Grafico delle forze Nx calcolate attraverso lo schema ad archi per volte con rapporto freccia/luce pari a 1/5.
Andamento della forza Vz 45
Vz [kg]
40 35
x
30 25 20 15
Vz
10 5 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 120. Grafico delle forze Vz calcolate attraverso lo schema ad archi per volte con rapporto freccia/luce pari a 1/5.
321
CAPITOLO 4
4.11. Considerazioni sulla validità dei modelli semplificati
La trattazione sui meccanismi che si generano nelle volte a padiglione ha fatto emergere alcuni aspetti del loro comportamento strutturale finora sconosciuti. Si è infatti dimostrato che all’interno delle volte a padiglione, in seguito alle lesioni lungo le diagonali e al centro del fuso, si sviluppano delle flessioni importanti nella porzione di volta in prossimità dell’imposta e che, in seguito alla ridistribuzione degli sforzi, tali flessioni si estendono anche nel resto del fuso. Gli sforzi flessionali, tuttavia, tendono a ridursi al diminuire del rapporto freccia/luce; si è infatti osservato che, per volte con un rapporto freccia/luce inferiore a 1/5, la flessione interessa solo un breve tratto nella porzione inferiore della volta. Ciò ha suggerito di riprendere la teoria membranale classica, ovviamente adattandola alle volte a padiglione per tener conto delle condizioni lungo le diagonali, e lo schema ad archi, anch’esso rielaborato e riadattato alla tipologia di volte studiate, al fine di valutarne la correttezza ed eventualmente il campo di validità e di fornire così utili schemi semplificati, sicuramente meno rigorosi e precisi rispetto alla teoria presentata nel paragrafo 4.7, ma più immediati e rapidi da applicare. Per quanto riguarda la teoria membranale classica, come si può osservare dal grafico in figura 121, gli sforzi lungo i meridiani, per volte con un rapporto freccia/luce inferiore a 1/5, coincidono con quelli ottenuti dalla teoria basata sull’analisi limite per quasi tutto lo sviluppo della volta. La conoscenza delle forze che agiscono lungo i meridiani è un elemento essenziale in un eventuale intervento di consolidamento, in quanto la componente orizzontale di tali forze rappresenta la spinta esercitata dalle volte sulle murature perimetrali.
322
LE VOLTE A PADIGLIONE Sforzi meridiani al centro del fuso 1,2 S o ttimizzato (f=3m)
1
S o ttimizzato (f=2m)
[kg/cmq]
0,8
S o ttimizzato (f=1,5m) S o ttimizzato (f=1,2m)
0,6
S prima della fessurazio ne (f=3m)
0,4
S prima della fessurazio ne (f=2m)
0,2
S prima della fessurazio ne (f=1,5m) S prima della fessurazio ne (f=1,2m)
0 0
1
2
3
4
x [m ]
Fig. 121. Grafico, per diversi rapporti freccia/luce, del confronto fra gli sforzi meridiani calcolati al centro del fuso con la teoria basata sull’analisi limite e con quella membranale.
La spinta valutata attraverso la teoria membranale rimane costante lungo tutta l’imposta, infatti la formula non è funzione della coordinata x, ma solo del raggio e dell’angolo ϑ: R x = n ϑ ⋅ cos ϑ = −g ⋅ r cos 2 ϑ
(81)
Questo andamento ricalca quello ottenuto attraverso le teorie più raffinate ed è giustificabile, come già chiarito in precedenza, dal fatto che nel piano del fuso si creano degli archi naturali di scarico che trasferiscono parte del carico dal centro della volta verso le diagonali. I grafici riportati nelle figure 122, 123, 124 e 125 mostrano il confronto fra la spinta all’imposta valutata con la teoria basata sull’analisi limite e quella valutata con la teoria membranale per diversi valori del rapporto freccia/luce. Come si può osservare, l’entità della spinta trovata attraverso la teoria membranale fornisce valori accettabili per volte con un
323
CAPITOLO 4
rapporto freccia/luce inferiore ad 1/4, ma, per volte con rapporti freccia/luce maggiori la teoria membranale fornisce valori estremamente bassi, fino al caso limite delle volte a tutto sesto, nelle quali l’angolo all’imposta è pari a 90° e perciò la spinta all’imposta risulta addirittura nulla. Questo, evidentemente, rappresenta un paradosso dovuto al fatto che la soluzione membranale si basa sull’ipotesi che la funicolare del carico coincida in ogni punto con la linea media della volta. Tale assunzione si è però dimostrata vera solo per volte molto ribassate (con rapporti freccia/luce inferiore a 1/5-1/4), per le quali infatti la spinta calcolata con la teoria membranale risulta accettabile. Bisogna tuttavia sottolineare il fatto che, come è noto, per valutare gli sforzi nella volta attraverso la teoria membranale, sarebbe necessario considerare, non la superficie media, ma quella funicolare del carico, che, come ampiamente discusso, può risultare di difficile determinazione. La soluzione ottimale consiste nel considerare la superficie media per volte con rapporto freccia/luce inferiore ad 1/4 e utilizzare alcuni semplici accorgimenti per la valutazione della spinta per volte con rapporti freccia/luce superiori. Alla luce delle conoscenze acquisite tramite lo studio effettuato, si può infatti affermare che la spinta orizzontale all’imposta, per volte con rapporto freccia/luce superiore a 1/4, non va valutata all’imposta, ma nel punto, lungo lo spicchio considerato, in cui l’eccentricità è massima e quindi nel punto in cui, plausibilmente, si potrebbe formare una cerniera. Dallo studio presentato nel paragrafo 4.7 si è osservato che l’eccentricità, per volte a tutto sesto, corrisponde ad un angolo ϑ di circa 65°, tuttavia si è anche visto che la spinta, per ϑ superiori a circa 52°, rimane costante (fig. 82 a pagina 79). Questo significa che, per valutare la spinta nel punto in cui l’eccentricità è massima, basta determinarla nel punto in cui iniziano a svilupparsi le lesioni nella direzione dei meridiani (per ϑ=52°). Il grafico in figura 126 mostra il confronto fra la spinta valutata con la teoria basata sull’analisi limite e quella valutata con la teoria membranale a 52° per una volta a tutto sesto. Appare evidente che le due spinte sono molto simili, infatti la soluzione membranale, rielaborata alla luce delle conoscenze acquisite, fornisce valori che differiscono da quelli ottenuti
324
LE VOLTE A PADIGLIONE con la teoria basata sull’analisi limite solo di circa il 10%. La piccola differenza registrata è dovuta al fatto che applicando la teoria basata sull’analisi limite, in seguito alla fessurazione, si verifica una ridistribuzione degli sforzi che porta ad una lieve riduzione della spinta. Spinta orizzontale all'imposta per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/2 y
600 500
[kg/m]
400 spinta da analisi limite (f=3m)
300 200
spinta da teoria membranale (f=3m)
100 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m ]
Fig. 122. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/2).
325
CAPITOLO 4
Spinta orizzontale all'imposta per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/3 y
600 500
[kg/m]
400 300
spinta da analisi limite (f=2m)
200 spinta da teoria membranale (f=2m)
100 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m ]
Fig. 123. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/3).
Spinta orizzontaleall'imposta per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/4 y
600 500
[kg/m]
400 spinta da analisi limite(f=1,2m)
300 200
spinta da teoria membranale (f=1,5m)
100 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m ]
Fig. 124. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/4).
326
LE VOLTE A PADIGLIONE Spinta orizzontaleall'imposta per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/5 y
600 500
[kg/m]
400 spinta da analisi limite (f=1,2m)
300 200
spinta da teoria membranale (f=1,2m)
100 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m ]
Fig. 125. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/5).
Spinta orizzontale lungo i muri d'ambito per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/2 y
600 500
[kg/m]
400 300
spinta da analisi limite (f=3m)
200 100 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
spinta da teoria membranale valutata nel a 52° (f=3m)
y [m ]
Fig. 126. Confronto fra la spinta orizzontale ottenuta dalla teoria basata sull’analisi limite e la spinta valutata ad un angolo ϑ pari a 52° applicando teoria membranale (f/l=1/2).
327
CAPITOLO 4
La teoria membranale consente inoltre di ottenere lo stato di sforzo lungo la diagonale e, in particolare, risulta interessante e di grande utilità ai fini pratici la conoscenza delle azioni indicate con n ⊥ , che rappresentano gli sforzi perpendicolari alla diagonale stessa. La teoria membranale fornisce valori di n ⊥ positivi, ossia di compressione, per un angolo ϑ minore di 51°,83, mentre restituisce valori negativi, ossia di trazione, per un angolo ϑ maggiore di 51°,83, coerentemente con quanto ottenuto dalle analisi ad elementi finiti e dalla teoria basata sull’analisi limite. Concludendo, quindi, la teoria membranale, pur essendo meno rigorosa rispetto alla procedura basata sull’analisi limite presentata nel paragrafo 4.7., risulta comunque un valido strumento, semplice e immediato, per la valutazione di quegli elementi che possono risultare utili in un intervento di consolidamento: essa riesce infatti a cogliere in maniera precisa il comportamento strutturale delle volte a padiglione per rapporti freccia luce inferiori a 1/5-1/4. È però necessario precisare che la pedissequa applicazione della teoria membranale porterebbe, per volte con rapporti freccia/luce superiori a 1/4, a risultati poco realistici, tuttavia, come è stato dimostrato, un più attento e consapevole utilizzo di questo strumento, rielaborato alla luce di quanto emerso nel presente lavoro, può condurre a risultati validi e precisi. Lo schema ad archi, invece, si discosta sostanzialmente dai risultati ottenuti attraverso l’applicazione dell’analisi limite e delle analisi ad elementi finiti. La spinta all’imposta ricavata attraverso lo schema ad archi, infatti, ha un andamento massimo in centro e nullo lungo la diagonale; questo indica chiaramente che nello schema ad archi viene trascurata l’interazione tra archi affiancati, così importante in questo tipo di volte, e quindi anche l’effetto guscio che si viene a creare nei fusi.
328
LE VOLTE A PADIGLIONE
Spinta orizzontale all'imposta (rapporo freccia/luce pari a 1/5) 700 600
x
[kg/m]
500 Spinta da modello ad archi
400 300
Spinta da analisi limite
200 100 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 127. Confronto fra la spinta orizzontale ottenuta dalla teoria basata sull’analisi limite e la spinta ottenuta con lo schema ad archi affiancati, per una volta con rapporto freccia/luce pari a 1/5.
In aggiunta, attraverso lo schema ad archi, nonostante venga colto il problema lungo la diagonale, non è possibile individuare le reali cause che portano alla sua fessurazione e quindi nemmeno l’entità degli sforzi di trazione che generano tali lesioni. Tuttavia, come si può osservare dal grafico in figura 127, se si considera una volta con rapporto freccia/luce pari a 1/5, per la quale si è visto che il regime di sforzo prevalente è di tipo membranale, gli integrali della spinta all’imposta ottenuti con lo schema ad archi e con la teoria basata sull’analisi limite, risultano praticamente identici. Si può quindi concludere dicendo che, nonostante lo schema ad archi abbia finora costituito un punto di riferimento nella valutazione degli sforzi nelle volte a padiglione, e in particolare per la determinazione delle spinte, alla luce dello studio presentato, si ritiene che una simile schematizzazione, non tenendo conto dell’interazione tra archi attigui, non sia in grado di cogliere il comportamento strutturale di queste volte, ma
329
CAPITOLO 4
possa solamente essere impiegato, eventualmente, per un primo approssimativo approccio per l’individuazione delle forze in gioco in volte fortemente ribassate.
4.12. Conclusioni
Le indagini effettuate hanno consentito di ottenere un duplice risultato: da un lato è stato possibile far luce sul comportamento strutturale delle volte a padiglione, le quali, probabilmente per la complessità dei meccanismi che si generano al loro interno, finora non erano mai state analizzate in maniera esaustiva e, dall’altro, il confronto fra le analisi ad elementi finiti in campo non lineare e i risultati ottenuti attraverso la teoria basata sull’analisi limite, hanno permesso di verificare l’efficacia e la validità della teoria presentata, anche per volte complesse, quali appunto le volte a padiglione. Le evidenti difficoltà insite nello studio tridimensionale di volte complesse attraverso schemi semplificati ha portato spesso gli studiosi ad assimilare tali volte ad una serie di archi affiancati non interagenti, tuttavia in alcuni tipi di volte, come per esempio nelle volte a padiglione, particolarmente complesse a causa delle discontinuità lungo le diagonali, si sviluppano effetti tridimensionali che incidono in maniera sostanziale sul loro comportamento strutturale e che, per questo motivo, non possono essere trascurati. Attraverso analisi ad elementi finiti in campo non lineare, sarebbe possibile valutare lo stato di sforzo all’interno delle volte, tuttavia tali analisi richiedono spesso tempi troppo lunghi e quindi incompatibili con le esigenze di un intervento di consolidamento, sia perché possono dar luogo a problemi di convergenza, sia per le evidenti difficoltà nell’interpretazione e nell’estrapolazione dei risultati, che richiedono la creazione di un sistema di riferimento intrinseco ad ogni elemento. Per questi motivi risulta di estrema importanza la possibilità di definire modelli di calcolo di semplice interpretazione, in grado di simulare
330
LE VOLTE A PADIGLIONE in maniera precisa e rigorosa, ma allo stesso tempo rapida, il comportamento strutturale delle volte complesse. Nel presente lavoro, grazie all’applicazione della teoria basata sull’analisi limite alle volte a padiglione, è stato possibile individuare attraverso una procedura computazionale relativamente semplice e facilmente ripetibile per qualsiasi tipo di volta, la superficie delle pressioni per le volte oggetto di studio e, di conseguenza, è stato possibile valutare in maniera puntuale e rigorosa lo stato di sforzo nella struttura. I risultati ottenuti attraverso la teoria presentata si sono mostrati perfettamente coincidenti con quelli ottenuti attraverso le analisi ad elementi finiti eseguite in campo non lineare, sottolineando così l’efficacia della teoria presentata ed evidenziandone la flessibilità e la possibilità di una sua valida applicazione a qualsiasi tipo di volta. Grazie alla chiarezza dei risultati ottenuti attraverso l’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, è stato possibile cogliere i molteplici aspetti del comportamento strutturale delle volte a padiglione. Innanzitutto si è potuto notare che lungo le diagonali delle volte a padiglione si sviluppano, nella fascia inferiore della volta, degli sforzi di trazione perpendicolari alle diagonali stesse. Tali sforzi costituiscono la causa delle fessure passanti, localizzate lungo le diagonali e a volte anche al centro del fuso, che sovente interessano questo tipo di volta. Si è inoltre dimostrato che queste lesioni, spesso imputate ai cedimenti dei muri perimetrali, si sviluppano anche in volte vincolate rigidamente. Un altro elemento di estrema importanza in un eventuale intervento di consolidamento è la spinta orizzontale all’imposta; lo studio eseguito ha permesso di comprendere che l’andamento di tale spinta non è massimo al centro del fuso e nullo agli spigoli, come riportato in letteratura, ma risulta pressoché costante, in quanto nel piano del fuso, anche dopo la formazione di lesioni lungo le diagonali, si sviluppa un effetto guscio che si manifesta attraverso la formazione di archi naturali di scarico in grado di far defluire parte del carico verso le diagonali. L’individuazione della posizione della superficie funicolare del carico ha consentito, inoltre, di valutare l’entità dei momenti e degli sforzi di taglio perpendicolari alla superficie della volta, responsabili dei possibili
331
CAPITOLO 4
meccanismi di scorrimento tra i conci. Si è potuto perciò notare che, al diminuire del rapporto freccia/luce, tali momenti e tali componenti tangenziali si riducono e che, quindi, lo stato di sforzo interno alla volta, per volte ribassate, tende ad avvicinarsi alla soluzione membranale. Alla luce di quanto acquisito circa il comportamento strutturale delle volte a padiglione, sono quindi stati riproposti metodi di calcolo semplificati, quali per esempio la teoria membranale e lo schema ad archi, al fine di verificarne il limite di validità. La teoria membranale, pur essendo meno precisa rispetto alla procedura basata sull’analisi limite, risulta comunque un valido strumento, semplice e immediato, per la valutazione di quegli elementi che possono risultare utili in un intervento di consolidamento; in particolare si è osservato che essa riesce a cogliere il comportamento strutturale delle volte a padiglione con rapporti freccia/luce inferiori a 1/4, mentre per rapporti freccia/luce superiori, l’applicazione rigorosa di tale teoria fornirebbe risultati poco realistici. Tuttavia, alcuni semplici accorgimenti nella valutazione della spinta all’imposta, suggeriti dalla trattazione presentata in questo lavoro, consentono di ottenere validi risultati, estremamente utili negli interventi di recupero strutturale, indipendentemente dalla freccia della volta. Lo schema ad archi, invece, si discosta dai risultati ottenuti attraverso l’applicazione dell’analisi limite e delle analisi ad elementi finiti e perciò, nonostante esso abbia finora costituito un punto di riferimento nella valutazione degli sforzi nelle volte a padiglione, e in particolare per la determinazione delle spinte, alla luce dello studio presentato, si ritiene che una simile schematizzazione non sia in grado di cogliere il comportamento strutturale di queste volte, ma possa solamente essere impiegato, eventualmente, per un primo approssimativo approccio per l’individuazione delle forze in gioco in volte fortemente ribassate.
332
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333
CAPITOLO 4
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334
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NOTE: 1
D’Ayala D., Casapulla C., 2001. Lugli G., 1957, 688. 3 Scurati Manzoni P., 1991, 429, 432. 4 Ivi, 432. 5 Alberti L. B., 1989, 240. 6 Palladio A., 1980, 73. 2
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7
Ibidem. Scamozzi V., 1982, 321. 9 Ivi, 309. 10 Ivi, 321. 11 Ivi, 320. 12 Valadier G., 1992, 11. 13 Ivi, 278-279. 14 Il termine “svelte”, più volte ripetuto dall’autore, è un termine dialettale che significa alte. 15 Guarini G., 1968, 284. 16 Ibidem. 17 Milizia F., 1972, 519. 18 Castigliano A., 1882, 39. 19 Levi C., 1932, 300. 20 Curioni G, 1970, 376, 377. 21 Breymann G. A., 1885, 43, 44, 45. 22 L’aggraziatura, come già specificato nel capitolo 2 della prima parte di questo lavoro, è costituita da uno strato di terra fine o sabbia, posto sulla superficie lignea in modo da eliminare le irregolarità tra i giunti delle assi. 8 G. Astrua, 1996, 147, 148. 23 Protti E., 1935, 83-84. 24 Protti E., 1935, 98 e Breymann G. A., 1995, 88. 25 lo studio citato costituisce la tesi di laurea dell’autrice del presente lavoro, in seguito pubblicata come Tecnical report presso l’Università degli Studi di Brescia nel 2002. 26 Cigni G., 1978.; Defez A. 1991; Giuffrè A., 1996; Cangi, 2004 e molti altri. 27 Cigni G., 1978, 223.-225. 28 Cangi G., 2005. 29 Parte dei risultati di questo lavoro saranno presentati al Convegno Internazionale SACH, che si terrà a Bath nel 2008 (Tomasoni E., D’Ayala D., 2008). 30 Hendry, 1986. 31 Scamozzi V., 1982, 321. 32 Palladio A., 1980, 73. 33 Guarini G., 1968, 284. 34 Alcuni testi, fra cui Flugge W., 1973, determinano la costante c2 attraverso l’equilibrio in direzione tangente alla diagonale. Nel presente lavoro tale costante è valutata, invece, attraverso l’equilibrio in direzione normale alla diagonale, infatti questo metodo risulta più semplice e immediato. 8
336
5. LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
5.1. Introduzione Le volte in muratura vengono frequentemente assimilate a gusci in cui il regime flessionale è secondario rispetto a quello membranale. Questo è vero perché spesso, nell’edilizia storica, all’estradosso delle volte è presente un riempimento pesante e incoerente, costituito generalmente da materiale di risulta del cantiere, in grado di far rientrare la curva delle pressioni all’interno dello spessore della volta stessa e di abbattere il regime flessionale che può instaurarsi in una volta in muratura. Tale riempimento, tuttavia, pur contribuendo a limitare la flessione nell’arco, può risultare spesso troppo gravoso per la struttura voltata, in quanto, in seguito a modifiche di destinazione d’uso con conseguente aumento dei carichi variabili o in seguito ad azioni orizzontali causate dal sisma, potrebbe portare ad un eccessivo aumento del carico e delle spinte orizzontali sui piedritti, con conseguente sfiancamento della struttura voltata alle reni. Attualmente, negli interventi di restauro dell’edilizia storica si tende quindi a sostituire tale riempimento incoerente con materiale leggero e coesivo o con frenelli, che funzionano come diaframmi in grado di far lavorare l’arco a compressione anche in condizioni di carico sfavorevoli come quelle di carico concentrato o asimmetrico. L’esigenza di ridurre il carico verticale agente sulle volte pur garantendo la loro stabilità flessionale ha guidato il presente lavoro verso lo studio degli effetti dell’interazione tra il materiale di riempimento e la
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volta. In particolare il presente capitolo ha come obiettivo la valutazione dell’efficacia di un intervento di sostituzione del materiale di riempimento con frenelli e lo studio del contributo offerto dai frenelli stessi all’abbattimento del regime flessionale. Per raggiungere questo scopo si è partiti da un’approfondita indagine sulle tecniche costruttive impiegate in passato e sulle diverse tipologie di riempimento utilizzate per le volte storiche in muratura, aspetto fondamentale per poter poi progettare metodi di intervento efficaci e allo stesso tempo compatibili con le strutture storiche. Sulla base delle conoscenze acquisite, si è quindi proceduto a mettere in opera un modello sperimentale per lo studio di un irrigidimento estradossale da applicare alle volte antiche in muratura costituito da frenelli che, a differenza del terreno o di altri materiali normalmente utilizzati come riempimento, da un lato consente di alleggerire la struttura riducendo il sovraccarico gravante sulla volta e dall’altro permette di realizzare una struttura sufficientemente rigida da poter assorbire la flessione dell’arco. Dall’analisi dei risultati ottenuti da prove di carico sul modello sperimentale, si è cercato di chiarire i meccanismi che si instaurano nell’arco e nelle volte irrigidite con frenelli in seguito all’applicazione di azioni eccentriche. In un precedente lavoro di ricerca, condotto presso l’Università degli Studi di Brescia, era stato proposto un riempimento realizzato in calcestruzzo additivato con polistirolo, leggero ma sufficientemente rigido da poter garantire una certa rigidezza flessionale: verranno qui presentati i confronti fra i risultati ottenuti dalle due prove sperimentali al fine di valutare l’intervento di consolidamento più valido ed efficace per limitare la flessione nelle strutture voltate.
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE 5.2. Inquadramento storico Uno degli aspetti legati alla costruzione delle volte del quale si occuparono, seppur in maniera marginale, già gli architetti del passato riguarda la realizzazione di un adeguato riempimento, in grado di garantire, da un lato, la stabilità flessionale della volta e, dall’altro, il minor aggravio possibile sulle strutture di sostegno. Sebbene i termini rinfianco e riempimento vengano spesso confusi, essi costituiscono due parti ben distinte della volta: mentre il rinfianco è realizzato in muratura, è generalmente costruito contemporaneamente alla struttura voltata e, dal punto di vista strutturale, essendo collocato alle reni, si può considerare ancora parte dei piedritti, il riempimento è costituito da materiale incoerente, spesso di risulta, ed è posizionato al di sopra dell’arco (fig. 1). Il materiale con cui è realizzato il riempimento è quasi sempre un conglomerato di qualità più scadente rispetto a quello dell’arco, ma nonostante questo la sua presenza garantisce l’assorbimento di sollecitazioni alle quali l’arco da solo non sarebbe in grado di resistere. Riempimento
Rinfianco
30°
Fig. 1. Rappresentazione schematica del rinfianco e del riempimento.
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Il riempimento quindi, collocato al di sopra dell’arco o della volta, porta ad un aumento del carico verticale sulla struttura, causando spesso una notevole spinta sui piedritti, tuttavia, la sua funzione non è solo legata alla creazione di un piano orizzontale su cui posizionare il pavimento, ma è soprattutto quella di limitare lo sviluppo di sforzi flessionali. Una soluzione suggerita da alcuni trattatisti per limitare il peso del rinfianco pur garantendo un’adeguata rigidezza, già citata dall’Alberti1 e ripresa in seguito da Francesco di Giorgio Martini2, consiste nel riprendere l’antica tradizione di origine romana di alleggerimento con olle laterizie (fig. 2). Oltre a questa tecnica, Francesco di Giorgio Martini aggiunge la possibilità di impiegare degli archetti voltati nello spazio compreso tra la curvatura della volta e i muri su cui appoggia, affermando che all’estradosso delle volte l’irrigidimento può essere realizzato “anco con archetti volti senza riempire, lasciando la sua vacuità. E quando da riempire fosse, di carboni si riempia. Sopra de quali i pianciti fatti saranno. E anco di pomice”3. È individuabile in tale azione costruttiva, una continuità con la pratica medievale che proponeva controvoltine posizionate all’estradosso delle strutture voltate maggiori (fig. 3).
Fig. 2. Tecnica di alleggerimento con olle laterizie. (Di Giorgio Martini F., 1967, tav. 39)
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Fig. 3. Disegno, risalente al 1866, delle controvoltine di alleggerimento delle navate laterali della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano. (Gatti Perer M., 1995, 180)
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE Verso la fine del XVI secolo l’architetto lombardo Pellegrino Tibaldi nella sua opera L’architettura, esordisce affermando che “le volte si devono far legiere. Sono laudate quelle di tufo, perché essendo loro piene, vaporosi e pregne di vacuo, si rendono legieri. In li gran ripieni come sono li fianchi si faccino a voltarelle, che nominiamo volte occulte e sordelle, overo porvi delle voltine e vasi grandi di tera cotta, lasciandoli pieni di aria, poi sopra si po’ paregiar di muro”4. Le volte di minor luce avranno i rinfianchi non costituiti da voltine di sostegno, ma “solo de mattoni posti o in piedi o in piano e che tutti vadino al centro”5. Tibaldi quindi, in accordo con i trattatisti a lui precedenti, conviene sulla necessità della leggerezza delle volte, ma l’aspetto interessante consiste nel fatto che, come Francesco di Giorgio Martini, egli suggerisce la costruzione di rinfianchi alleggeriti, consigliando l’impiego di sordelle, un termine lombardo che indica le voltine in muratura costruite fin dall’epoca medievale, esistenti lungo tutte le navate laterali di importanti costruzioni, tra l’estradosso della volta e l’intradosso del pavimento superiore. La conoscenza delle controvolte è sicuramente sopravvissuta al periodo medievale: nel capitolato per le opere in muratura del Cortilone della Ca’ Granda a Milano, già nella prima metà del ‘600, è prevista la costruzione di volte dette sordine6, intendendo quasi sicuramente, con questo termine, le piccole volte nascoste all’estradosso delle strutture principali. Tali strutture assolvevano probabilmente ad una duplice funzione, cioè risparmiare il materiale di riempimento, specialmente per volte con grande monta, e sostenere il pavimento o la copertura posata superiormente7. Un sistema di volte e controvolte è stato rinvenuto per esempio durante i lavori di restauro del convento di San Faustino a Brescia, in una parte dell'ala del dormitorio costruito nella prima metà del ‘5008. Si tratta di una struttura costituita da ampie volte lunettate sormontate da volte a sesto ribassato sulle quali poggia il pavimento del primo piano. Tale assetto divide il piano terreno che ospitava il refettorio, la sala capitolare e la sacrestia dal dormitorio del piano superiore ed è probabilmente stato
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concepito per limitare il riempimento della volta lunettata e quindi alleggerire la struttura (fig.4).
Fig. 4. Sezione trasversale della volta lunettata del refettorio del complesso di San Faustino a Brescia. All’estradosso si possono notare delle controvolte di alleggerimento. (Mezzanotte G. 1997, 84)
Vincenzo Scamozzi, oltre a ribadire nuovamente l’efficacia della tecnica di riempimento romana rispetto alle volte contemporanee in muratura, suggerisce una soluzione alternativa più economica che consiste in un riempimento eseguito con “carboni di legno fortissimo, posti per ordine, e bene ammassati, perché essi sono di estrema leggierezza, e lievano ogni humidità, e si conservano come eterni” 9. Si tratta di una soluzione già esposta negli scritti di Francesco di Giorgio Martini, anche se, in questa sede, oltre alla leggerezza ne viene riconosciuto esplicitamente l’importante ruolo deumidificativo. Anche il trattatista veneto quindi indica l’utilità di realizzare un riempimento leggero, ma aggiunge, per la prima volta, l’importante distinzione tra il rinfianco e il riempimento chiarendo che “I fianchi delle
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE volte sono quelli, che si trovano fra i piedi e la groppa, o schiena, e perché quanto più è aggravata la volta, tanto maggiormente i fianchi spingono fuori le spalle delle mura: e perciò vogliono esser da ambe le parti molto gagliarde, forti e sicure: per il che è da avvertire che da’ piedi fino a’ fianchi le volte si possono fare di buona grossezza, e unirla bene con le muraglie; ma d’indi in su verso la schiena della volta bisogna andare molto riservati, e farle assai leggiere, e di buonissima materia: essendo che quanto più peso hà la schiena della volta; tanto maggior fatica ella accresce a’ fianchi, i quali con molta forza, e violenza spingono verso le spalle”10. Il suggerimento si rivela ancora più interessante se si considera che è cronologicamente vicino alla pubblicazione degli studi dei matematici francesi della seconda metà del Seicento, i quali non tarderanno molto a definire il meccanismo di rottura e il ruolo dell’attrito nella statica di archi e volte. Infatti, mentre fino al XVI secolo le indicazioni dei trattatisti e la produzione letteraria erano prevalentemente orientate verso la pratica costruttiva, a partire dalla prima metà del XVII secolo iniziano a comparire le prime teorie statiche e si comincia a comprendere la necessità strutturale di riempire le volte, dai piedritti fino alle reni, con muratura in grado di rinfiancare e opporre resistenza alla spinta. Per dare maggiore sicurezza alla volta, generalmente si eseguiva un rinforzo nella zona delle reni, che consisteva in un raddoppio dello spessore ben connesso alla volta dell’intradosso e spesso, per ridurre la massa agente sulla volta, tale rinforzo, eseguito successivamente all’esecuzione della volta inferiore, poteva proseguire per l’intero estradosso presentando una o più riseghe (fig.5). Era inoltre diffuso l’uso di un espediente strutturale, adottato per esempio nelle volte cinquecentesche del piano terreno del Conservatorio di Santa Caterina della Rosa (Roma), in cui, in corrispondenza di una tramezzatura che grava sulla volta, era stato posto un arcone in mattoni, parzialmente inglobato nello spessore della volta stessa, con funzione di rinforzo e di ridistribuzione del carico accidentale ai muri del piedritto11 oppure la soluzione, rinvenibile in una volta a ombrello posta a copertura
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di una sala al pianterreno appartenente al complesso di Santa Chiara a Brescia, in cui sono stati realizzati dei costoloni di rinforzo (fig. 6).
Fig. 5. Volta a botte estradossata in cui sono chiaramente visibili i ringrossi del rinfianco. (De Cesaris, 1996, .89)
Fig. 6. Particolare dei costoloni di rinforzo della volta a padiglione posta al piano terreno del complesso di San Faustino a Brescia.
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE Anche il teorico Francesco Milizia nel suo trattato I Principi di Architettura Civile scrive: “si è veduto che le lesioni delle volte succedono sempre ai reni, perché ivi la parte superiore esercita il maggior sforzo della sua spinta. Dunque dà piedritti fino alle reni le volte vanno riempite di muratura, la quale rinfianchi e opponga resistenza alla spinta”12. La constatazione di tipo statico è esatta come pure la soluzione ipotizzata dal Milizia che propone un rinfianco in materiale laterizio di dimensioni tali da raggiungere le reni. Il materiale di riempimento non viene preso in considerazione, in quanto, presumibilmente, non ne viene riconosciuto ancora il ruolo strutturale. In alternativa al ringrosso pieno e al riempimento di materiali incoerenti, Rondelet descrive una tipologia costruttiva mai accennata prima nella trattatistica, anche se probabilmente assai utilizzata nella pratica costruttiva, consistente nella posa in opera di muriccioli in materiale laterizio, posti all’estradosso delle volte. Rondelet descrive questi muriccioli, detti comunemente frenelli, come una sorta di nervatura estradossata, costole che a volte si portano fino al livello del piano orizzontale superiore e che, all’occasione, possono sostenere il solaio realizzato superiormente lasciando delle cavità interne. Tali strutture pur contrastando lo sfiancamento della volta, non ne incrementano troppo il peso13 (fig. 7). Anche Durand afferma che, mentre per le volte semplici a botte i fianchi si riempiono con ghiaietto e su questo viene poi realizzato il piano di calpestio, nei fianchi delle volte composte è consigliabile realizzare dei contrafforti a intervalli regolari, colmando i vuoti “con terra ben secca e si pavimenta” 14. Anche in questo contesto il riferimento alla costruzione di frenelli estradossali sembra prassi comune, mentre la soluzione di colmare i vuoti risultanti costituisce una prima registrazione, nella trattatistica, di una pratica che molto probabilmente accompagnava abitualmente la posa in opera dei frenelli15 (fig. 8).
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Muretti trasversali di irrigidimento detti frenelli. (De Cesaris, 1996, 89)
Fig. 7.
Fig. 8. Frenelli con riempimento tra i vuoti lasciati tra i muretti. (Durand J. N. L. 1991, tav. 4)
Nonostante le intuizioni e le molteplici soluzioni proposte per il rinfianco, la trattatistica è ancora ben lontana dalla comprensione dell’importanza del ruolo strutturale del riempimento. La sostituzione del materiale di risulta con frenelli è legata più alla necessità di creare un piano orizzontale e contemporaneamente di alleggerire la struttura, piuttosto che di realizzare elementi in grado di contrastare la flessione dell’arco. Il Curioni infatti, senza fare nessun riferimento alla funzione statica del riempimento, afferma che, tra il livello da raggiungere per la posa del pavimento e l’estradosso della fabbrica, si dovrà predisporre un riempimento “con rottami di fabbrica, con calcinaccio asciutto e con altri minuti materiali che si trovano nel cantiere”; oppure consiglia l’uso di sottili voltine a botte, denominate porcelle, che saranno disposte a debita distanza se il pavimento è posato su travicelli, oppure accostate le une alle altre se il pavimento è sorretto da una superficie continua, in modo da limitare al minimo il riempimento16. Anche il Levi riprende gli stessi concetti del Curioni, aggiungendo che, quando per la forte monta delle volte, il peso del riempimento risulti
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE eccessivo, si possono costruire sulla volta piccoli speroni17 disposti a 1 m l’uno dall’altro, sopra i quali vanno poi realizzate delle voltine in mattoni di piatto a sesto ribassato, necessarie per alleggerire la volta e creare uno spianamento per il piano superiore18. È solo grazie ai contributi teorici e pratici della seconda metà del XIX secolo, sviluppati per il consolidamento e il restauro di strutture già esistenti, che è stato possibile chiarire il ruolo strutturale del riempimento e soprattutto dei frenelli, indicati anche con il termine di rinfianchi cellulari19. Alla luce delle nuove acquisizioni è diventata sempre più diffusa la rimozione del riempimento e la messa in opera di un sistema murario cellulare, costituito appunto da frenelli, i quali, agendo come dei diaframmi murari estradossali, sono in grado di contribuire efficacemente all’aumento della stabilità della volta, soprattutto in caso di sisma o carico eccentrico.
5.3. Stato dell’arte In alcuni recenti studi inerenti la stabilità di archi da ponte ed archi in muratura è possibile individuare interessanti indicazioni sulla valutazione del contributo offerto dal rinfianco, dal riempimento e dai frenelli alla resistenza della struttura. Basandosi sull’approccio di Haymann, ormai diventato il punto di riferimento per lo studio degli archi in muratura, W. J. Harvey20, criticando l’eccessiva fiducia riposta spesso nei risultati delle analisi ad elementi finiti che, secondo l’autore, dipendono da molteplici fattori iniziali (dalle ipotesi sulla geometria, dalle proprietà assegnate al materiale e dal metodo numerico di risoluzione), presenta un metodo analitico che permette di quantificare il contributo di resistenza offerto dal rinfianco. Osservando che la cerniera all’intradosso si forma al di sopra dell’imposta, suppone che la porzione di arco al di sotto del giunto di rottura ed il rinfianco agiscano insieme per contrastare la spinta formando l’effettivo piedritto. Poiché questo può avvenire solo in presenza di una piccola componente
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di spinta orizzontale del rinfianco, Harvey mette in conto delle forze orizzontali ipotizzando un valore del coefficiente di pressione in base al meccanismo previsto (se la sezione dell’arco si muove verso il riempimento, un valore compreso tra quello a riposo e quello di spinta passiva). Con approssimazioni successive egli determina il valore del coefficiente introdotto per il quale la linea delle pressioni giace interamente nello spessore dell’arco. Il coefficiente di spinta passiva va valutato basandosi sull’apparente stato del ponte, inoltre posizioni diverse delle cerniere implicano diversi valori di Kp. Harvey conclude affermando che, in particolare in presenza di carichi asimmetrici, si generano pressioni passive nel riempimento sulla metà scarica dell’arco. Tuttavia, per la difficile valutazione del contributo del rinfianco, si deve necessariamente stimare prudenzialmente la reale capacità portante di una struttura. Altri autori hanno proposto funzioni analitiche per ricercare il meccanismo di collasso ed i valori limite delle spinte sull’arco. Nell’approccio proposto da Foraboschi P. e Blasi C. 21 viene tenuta in considerazione la piccola resistenza a trazione e a taglio della muratura, mentre viene trascurato il contributo dei rinfianchi alla stabilità dell’arco. In studi successivi, Foraboschi ha riproposto e rivisto le funzioni presentate in precedenza22 considerando il contributo del rinfianco solo in termini di peso, ma dichiarando che il suo contributo in termini di resistenza (dovuto alla coesione) è trascurabile. Tuttavia afferma che il rinfianco fornisce un’azione esterna orizzontale in grado di incrementare la resistenza della struttura perché agisce facendo rientrare la linea delle pressioni all’interno della sezione dell’arco. Nonostante, quindi, sia riconosciuto l’effetto stabilizzante del riempimento e dei frenelli, il loro contributo è spesso trascurato. Un’indagine per valutare l’apporto offerto da diversi tipi di riempimento sulla rigidezza flessionale di una volta a botte è stata effettuata da E. Giuriani, A. Gubana ed A. Arenghi23. Gli autori, attraverso uno studio agli elementi finiti limitato al campo elastico, ritenuto significativo per le condizioni di servizio, hanno studiato un caso particolare di volta a botte con tre differenti tipi di riempimento: un rinfianco non collaborante con
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE l’arco (modulo elastico E pari a 0,1 MPa); un terreno denso e coesivo (modulo elastico E pari a 100 MPa); un calcestruzzo alleggerito (modulo elastico E pari a 1000 MPa). Le analisi hanno mostrato che il rinfianco limita l’inflessione degli archi di cui è idealmente costituita la volta, riducendo l’eccentricità della linea delle pressioni. Questo contributo è significante anche quando il riempimento ha caratteristiche meccaniche scarse come nel caso di un terreno coesivo. Al contrario, quando il rinfianco è considerato solamente come carico permanente (fig. 9), l’inflessione cresce in misura notevole e l’equilibrio non è possibile. La conclusione è che il rinfianco con modulo elastico elevato migliora lo stato tensionale della volta; con materiale incoerente l’analisi indica l’inefficacia dell’azione di contenimento del riempimento.
Fig. 9. Eccentricità dell’azione assiale su un arco soggetto a carico permanente e carico accidentale solo su metà campata. Come si può osservare i frenelli limitano la flessione nell’arco, mentre un riempimento incoerente non collaborante porta ad un notevole incremento dell’eccentricità. (Giuriani E., Gubana A., Arenghi A., 1996)
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Agli stessi anni risalgono le ricerche di A. Occhiuzzi e P. Clemente24 sugli archi in muratura. Lo studio di questi due autori è concentrato sull’analisi dei diversi meccanismi di rottura riscontrabili su archi parabolici e circolari, composti da conci lapidei semplicemente affiancati, in cui vengono distinti i fenomeni collegati a cedimenti delle imposte da quelli relativi alla variazione dei carichi agenti all’estradosso. Le indagini condotte coinvolgono diversi parametri che influenzano il comportamento della struttura: fondamentale è l’altezza in chiave del riempimento, indicata con h, il peso specifico del riempimento γ e la freccia f. Il meccanismo di collasso, che si instaura quando all’interno dell’arco si generano più di tre cerniere, viene ricercato per tentativi, ipotizzando di volta in volta la posizione delle cerniere e calcolando un moltiplicatore dei carichi λ cinematicamente sufficiente mediante l’equazione di equilibrio (fig. 10). Se la funicolare dei carichi è tutta interna alla sezione dell’arco, λ è un moltiplicatore staticamente ammissibile, mentre, in caso negativo, il procedimento va iterato spostando le cerniere nelle sezioni di massima eccentricità. Le indagini numeriche, svolte, per capire l’influenza dei parametri geometrici e del materiale di riempimento, considerano un meccanismo di collasso con tre cerniere collocate in sezioni prefissate (imposte e chiave), mentre le restanti due vengono determinate con procedimento iterativo. Con riferimento ai tre parametri adimensionali f, h e γ , dove f = f/L, h = h/f e il rapporto γ tra i pesi specifici del riempimento e del materiale strutturale, è stato individuato un intervallo tecnico che comprende il più elevato numero di casi riscontrabili e quindi il valore più usuale. Per la monta l’intervallo risulta compreso tra 0,1 e 0,5, con valore tipico pari a 0,25; per l’altezza del riempimento si sono assunti valori compresi tra 0 e 1, in cui il valore più significativo è molto prossimo al limite inferiore; mentre per il rapporto dei pesi specifici si è considerato un intervallo tra 0 e 1, assumendo 0,5 come valore medio. Detto smin il valore minimo dello spessore dell’arco affinché la curva delle pressioni sia completamente all’interno del suo spessore, il grafico dell’andamento di smin = smin/L in funzione di h mostra che smin si riduce all’aumentare di h (fig. 11). Per h tendente a infinito si osserva che smin tende a zero per archi parabolici, in
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE quanto il carico permanente si avvicina ad un carico uniformemente distribuito al quale, come è noto, corrisponde una funicolare parabolica.
Fig. 10. Andamento della linea delle pressioni ad una generica iterazione (sopra) e reale linea delle pressioni (sotto) per un arco soggetto a carico accidentale eccentrico. (Clemente P., Occhiuzzi A., Raithel A. 1995) .
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Fig. 11. Spessore minimo in funzione di h (altezza del riempimento) per un arco di forma circolare e per un arco di forma parabolica. (Clemente P., Occhiuzzi A., Raithel A. 1995)
C. A. Fairfield e D.A. Ponniah, hanno invece studiato la capacita del materiale di riempimento di diffondere un carico concentrato, osservando che esso mobilita non solo una spinta attiva, ma anche una spinta passiva, che previene la formazione delle cerniere alle imposte, riducendo la luce effettiva dell’arco, con un incremento del carico ultimo (fig. 12). Gli studi si sono avvalsi inizialmente di piccoli modelli in legno, passando in seguito a modelli di arco in mattoni con una luce di 2 metri e infine sono state compiute prove sperimentali su un arco di ponte con una luce di 8 metri25. I parametri indagati sono la densità del rinfianco, la sua altezza, la forma dell’arco e il rapporto tra luce e altezza. Le prove condotte su due modelli26 (un arco semicircolare ed uno a sesto ribassato) hanno evidenziato una proporzionalità inversa del carico a rottura con la distanza tra i muri d’estremità e l’imposta dell’arco; viceversa un incremento di densità del materiale di riempimento provoca un aumento del carico ultimo. Ciò viene spiegato con un aumento della rigidezza, che consente una più grande dispersione degli sforzi applicati, e con l'incremento del carico permanente, che implica la necessità di carichi accidentali più elevati per deviare la linea delle pressioni quanto basta per formare un
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE meccanismo di collasso. E’ stato rilevato che l’effetto benefico prodotto dal riempimento è più evidente negli archi a tutto sesto, rispetto a quelli ribassati, essendo nel primo caso maggiore l’altezza del materiale di riempimento che mobilita la spinta attiva. C. A. Fairfield in un recente studio27 ha affinato quanto già presentato in precedenza, elaborando un metodo modificato per la valutazione del meccanismo di collasso capace di mettere in conto anche la dipendenza della pressione esercitata dal riempimento dalla deformazione dell’arco. In particolare, variando le caratteristiche geometriche dell’arco e le proprietà meccaniche dei materiali e imponendo un iniziale cedimento verticale nel punto di applicazione del carico, è stata creata una procedura di calcolo in grado di determinare le forze e gli spostamenti verticali corrispondenti all’instaurarsi del meccanismo di collasso, al fine di valutare il carico ultimo della struttura. I risultati di questo lavoro hanno messo in evidenza l’importanza del riempimento, infatti, come si può osservare nella figura 13, la spinta passiva del riempimento è funzione del cedimento verticale dell’arco e questa diventa rilevante già per un cedimento di circa 30 mm.
Fig. 12. Meccanismo di collasso in un arco con riempimento. Si possono notare la spinta attiva e la spinta passiva esercitate dal materiale di riempimento nella zona opposta al carico. (Ng K.-H., Fairfield C. A., 2003)
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Fig. 13. Distribuzione del coefficiente di spinta passiva per diversi valori del cedimento verticale per un arco soggetto a carico concentrato eccentrico. (Ng K.H., Fairfield C. A., 2003)
Anche il lavoro sperimentale e teorico di P. Gelfi e A. Capretti28, precedente a quello di Ng K.-H., Fairfield C. A., mira a quantificare il contributo del materiale di riempimento su archi e volte in muratura. Solitamente la spinta passiva che può essere mobilizzata dal riempimento viene trascurata in quanto il materiale di riempimento è considerato un semplice sovraccarico verticale che contribuisce a centrare la linea delle pressioni. Gelfi e Capretti hanno invece creato un modello fisico, rappresentato in figura 14, costituito da cinque cerniere, in modo che il carico esterno applicato in chiave potesse essere equilibrato dalla resistenza passiva del materiale di rinfianco incoerente, costituito da sabbia.
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 14. Schema del modello fisico impiegato per lo studio sperimentale del contributo offerto dal materiale di riempimento. (Gelfi P., Capretti A., 2001)
Fig. 15. Grafico carico-spostamento sperimentale e teorico di un arco soggetto a carico concentrato in chiave, con riempimento avente spessore di 1 cm. (Gelfi P., Capretti A., 2001)
I risultati delle prove sperimentali hanno mostrato chiaramente l’influenza del riempimento alla stabilità dell’arco. Osservando la figura 15, che rappresenta il grafico carico-spostamento dell’arco soggetto ad un carico V concentrato in chiave, si può vedere che il riempimento
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contribuisce a ridurre la deformazione dell’arco e quindi ad aumentare il carico di collasso della struttura. I risultati ottenuti dalle prove sperimentali sono stati poi modellati numericamente assumendo per le pressioni passive la classica distribuzione lineare in funzione della profondità. Il valore del carico di rottura è naturalmente superiore al valore del carico di equilibrio VE calcolato ignorando le pressioni passive (fig. 15). Un esempio di verifica, condotto con l’ausilio del programma “Arco” sviluppato dallo stesso autore29, di una tipica volta a botte dell’edilizia storica, soggetta ad un carico asimmetrico di valore elevato (fig. 16), mostra che, considerando il contributo della resistenza passiva del materiale di riempimento, si può spesso soddisfare la verifica di strutture voltate per le quali i metodi tradizionali di verifica fallirebbero, evitando così onerosi ed invasivi interventi di consolidamento. I valori del coefficiente di spinta passiva Kp da utilizzare nelle verifiche sono nell’intorno del valore del coefficiente di spinta delle terre a riposo e quindi non implicano deformazioni aggiuntive pericolose per la stabilità dell’arco. Altri lavori di ricerca, condotti da Cavicchi A. e Gambarotta L.,30 si sono focalizzati sullo studio degli archi attraverso analisi ad elementi finiti, includendo anche l’azione del riempimento. L’obiettivo di questi studi è stato quello di mostrare l’efficacia delle analisi ad elementi finiti nella valutazione del carico di collasso e l’influenza del riempimento sulla stabilità dell’arco. Lo studio del riempimento risulta quindi di grande importanza per comprendere il reale comportamento globale delle strutture voltate, nelle quali generalmente viene riscontrata la presenza di materiale di risulta posizionato all’estradosso. Tuttavia, nonostante la comprensione dell’interazione tra volta e rinfianco possa essere di enorme utilità al fine di un intervento di recupero con sostituzione del materiale incoerente con frenelli o riempimento alleggerito, la maggior parte degli studi sulle volte, a parte alcune ricerche anglosassoni sui ponti in muratura e il lavoro di Gelfi e Capretti, si è occupata solo marginalmente di questo aspetto.
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE La presente ricerca è stata stimolata proprio dalla necessità di capire come i diversi metodi di irrigidimento estradossale possano influire sul meccanismo di collasso.
Fig. 16. Andamento della linea delle pressioni e delle tensioni di compressione senza e con il contributo della spinta passiva. (Gelfi P., Capretti A., 2001)
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In questo lavoro viene infatti proposta una tecnica di consolidamento che prevede la sostituzione di un riempimento pesante e incoerente con frenelli disposti a circa un metro di distanza, sui quali viene poi realizzata una soletta in calcestruzzo. L’obiettivo dello studio presentato è quello di analizzare i meccanismi di collasso associati ai diversi metodi di irrigidimento estradossale e di indagare sperimentalmente sul contributo offerto dai frenelli ai fini della rigidezza flessionale della struttura.
5.4. Studio sperimentale del contributo irrigidente offerto dai frenelli Spesso il materiale di riempimento utilizzato nell’edilizia storica costituisce un notevole sovraccarico gravante sull’arco o sulla volta sottostante e la sostituzione di tali masse con materiali più leggeri e di caratteristiche coesive, oltre a diminuire il valore della spinta e del carico sui piedritti, fornisce soluzioni statiche decisamente migliori. Frequentemente, a questa operazione viene associata la creazione, all’estradosso della volta, di una cappa in calcestruzzo di pochi centimetri di spessore, armata o meno. In alternativa si possono costruire dei muretti, detti frenelli, in grado di assicurare l’aumento della stabilità della volta senza però appesantirla troppo. Questi hanno la funzione di irrigidire la struttura andando ad agire sulla volta sottostante come dei diaframmi murari in grado di contrastare la flessione dell’arco. È proprio per valutare l’efficacia di questo intervento che è stata eseguita la prova sperimentale di seguito descritta.
5.4.1. Descrizione del modello sperimentale Il patrimonio architettonico ci offre un’ampia varietà di volte che si distinguono tra loro per tipo (a botte, a crociera, a padiglione, a vela, a
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE schifo, lunettate), ma anche per profilo della curva direttrice e per spessore, passando da volte alquanto tozze con spessori notevoli a volte estremamente sottili. Ovviamente lo studio sul materiale di riempimento potrebbe essere esteso a tutti i tipi di volte, tuttavia, per localizzare il problema e per ottenere risultati che non risentano di altri meccanismi che si possono generare nelle volte composte, nel presente capitolo si è scelto di limitare l’analisi alla volta a botte. Nelle volte a botte sufficientemente lunghe e con contenimento laterale adeguato, infatti, il comportamento a guscio può essere trascurato e il comportamento ad archi affiancati non collaboranti si avvicina considerevolmente al comportamento reale della struttura voltata. Questo ha consentito di studiare la volta come un arco di profondità unitaria, utilizzando un modello in scala 1:2. Il modello sperimentale, già realizzato in occasione di precedenti lavori di ricerca31, riproduce una porzione unitaria di volta a botte sul cui estradosso è stato realizzato un frenello armato con cappa di 6 cm. La geometria del modello sperimentale presenta un profilo policentrico con rapporto freccia luce pari ad un quarto, che, come si è detto nella prima parte di questo lavoro, risulta la più diffusa nell’edilizia storica per costruzioni civili. I profili dell’intradosso e dell’estradosso sono stati realizzati seguendo un disegno proposto da G. Valadier32 (fig. 17). L’intradosso è costituito da un arco ribassato a 3 centri con luce di 2 metri33 con rapporto freccia/luce pari ad ¼ (fig. 18). Il raggio dell’arco maggiore R e quello dell’arco minore r vengono determinati come indicato di seguito:
R=
sin 60° ⋅ c − f 2 ⋅ sin 60° − 1
(1)
(R − f ) tan 60°
(2)
r=c−
dove c rappresenta la corda o luce dell’aro ed è pari a 2 m e f, ossia la freccia, vale 0,5 m, da cui si ricava:
359
CAPITOLO 5
R = 1,68 m r = 0,31 m. Essendo la volta in scala 1:2, anche gli spessori sono stati ridotti nella stessa scala. In particolare il tratto centrale di raggio pari a 1,68 m è stato realizzato con uno spessore di circa 6 cm, utilizzando perciò dei mezzi mattoni, mentre lo spessore della porzione di volta con raggio pari a 0,31 m è di 12 cm ed è costituito da mattoni interi. Il cambio di spessore si ritrova in quasi tutte le coperture voltate: gli antichi costruttori, infatti, prestavano molta cura alla realizzazione del punto d’innesto tra l’arco e l’imposta e spesso, oltre ad ammorsare i mattoni nella muratura laterale per dare maggiore sicurezza alla volta, nella zona delle reni veniva raddoppiato lo spessore creando in tal modo il cosiddetto rinfianco.
Fig. 17. Disegno originale del Valadier riproducente una volta ribassata e policentrica. (Valadier, 1992, vol IV)
360
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 18. Schematizzazione del modello ottenuto attraverso le indicazioni del Valadier.
Al di sopra della volta è stato realizzato un muretto dello spessore di 6 cm posto centralmente. Questo elemento, detto frenello è stato armato da entrambi i lati con una rete metallica fissata allo stesso mediante filo di ferro passante attraverso i giunti di malta e successivamente rivestita con uno strato di malta di circa 1 cm (fig. 19). Il frenello risulta sormontato da una soletta avente uno spessore di 6 cm e larga 25 cm. È necessario precisare che lo spessore della soletta risulta doppio rispetto a quello che in genere viene eseguito in simili interventi, mentre la larghezza è stata dimezzata rispetto a quella reale: questo è stato fatto al fine di impedire problemi di instabilità della soletta che avrebbero potuto manifestarsi con l’applicazione dei carichi in fase di prova. La soletta è stata armata con 4 strisce di rete metallica Φ2 passo 1 cm, in modo da avere la stessa percentuale di armatura presente in un precedente modello realizzato con riempimento alleggerito34 e i cui risultati saranno confrontati con quelli ottenuti nel presente lavoro.
361
CAPITOLO 5
Fig. 19. Particolare della rete metallica con la quale è stato armato il frenello. (I. Feigl, 1999)
Sono stati inoltre inseriti due spezzoni Φ6 da 20 cm, necessari per creare un collegamento tra la soletta e il muro, forando il mattone e utilizzando quindi una resina epossidica bicomponente per il fissaggio (fig. 20). Nella soletta è stata collocata anche una barra Φ 6, disposta orizzontalmente e contrastata due piastre alle quali è stata saldata (fig. 21); tale barra, inserita per impedire lo spostamento laterale dei due muri superiori soprattutto durante i primi cicli di carico, è stata poi rimossa al fine di valutare il comportamento il meccanismo di collasso in assenza di incatenamenti estradossali. Nel modello sono infine state inserite catene intradossali costituite da due tiranti esterni Φ 24, contrastate da due traverse (UPN 100). Questi tiranti, strumentati con strain-gauges per monitorare la variazione di tiro durante la prova di carico, si sono resi necessari per poter valutare il comportamento flessionale della volta indipendentemente dai meccanismi che si possono instaurare nella struttura a causa di spinte eccessive sui piedritti.
362
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 20. Schema del modello sperimentale.
Fig. 21. Particolare della piastra di ancoraggio della catena estradossale posta nella soletta.
363
CAPITOLO 5
5.4.2. Caratteristiche dei materiali impiegati Per quanto riguarda i materiali utilizzati è noto che le caratteristiche meccaniche di una struttura muraria sono influenzate sia dalla qualità della malta sia dai mattoni impiegati, anche se, nonostante l’iterazione esistente tra i due materiali, l’aspetto che più influenza il comportamento meccanico delle strutture sono le caratteristiche della malta, essendo il punto più debole del sistema murario. In un arco, infatti, il collasso non avviene per schiacciamento della muratura, ma per la creazione di meccanismi di rottura dovuti alla formazione di cerniere plastiche. Studi svolti su numerosi campioni di malte provenienti da edifici antichi hanno messo in luce una notevole variabilità nei componenti e ciò conferma la mancanza di una radicata tradizione costruttiva. Si rileva quindi una generale difficoltà a definire una composizione univoca della malta da muratura antica, estremamente variabile nelle diverse regioni italiane35. L’analisi dei materiali costituenti murature antiche è tutt’oggi oggetto di studio, in quanto i risultati sono influenzati da numerosi fattori, tra i quali alcuni non controllabili, come quelli relativi alla realizzazione dell’opera, all’eterogeneità del materiale, alle condizioni di conservazione e ad eventuali modifiche o interventi di consolidamento apportati ad una struttura. In generale, a causa soprattutto delle alterazioni che il materiale subisce nel tempo, la malta utilizzata nei giunti risulta essere di scadente qualità e caratterizzata da bassi valori di resistenza a compressione. Risulta estremamente difficoltoso conoscere il valore esatto della resistenza a compressione e a flessione di malte già in opera, tuttavia, sulla base degli studi eseguiti da Roberto Felicetti e Natalino Gattesco36 e di alcune prove eseguite sui giunti di malta di una muratura antica appartenente al complesso di S. Faustino in Brescia37, è stata stabilita una resistenza a compressione media della malta pari a 10-15 kg/cm2 Sulla base delle indagini eseguite, per la realizzazione del modello è stata preparata una malta costituita da 3 parti di sabbia fine, 3 parti di
364
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE sabbia grossa, 2 parti di calce idraulica, 1.5 parti di calce idrata e 2.6 parti di acqua. Le caratteristiche dei materiali impiegati sono riassunte in tabella:
Modulo elastico E [MPa] Muratura Malta
5000
Peso specifico [kg/m3] 1850
Resistenza a comp.
Resistenza a trazione
[MPa]
[MPa]
30 1.0 – 1.5
38
-
1700
-
Calcestruzzo
31000
2500
30
-
Acciaio FeB44k
210000
8000
-
-
Tabella 1. Caratteristiche meccaniche dei materiali impiegati per la realizzazione del modello.
Per la disposizione dei mattoni sono stati usati mattoni pieni di dimensioni 25x12x5 cm, usualmente in commercio, collocati secondo lo schema a blocco a tre teste. A causa delle modeste dimensioni dovute alla scala, si è reso necessario l’utilizzo del quartino o Bernardino, dei tre quarti e del mezzo lungo o tozzetto.
5.4.3. Condizioni al contorno Per eseguire delle prove su modelli in scala, occorre tener conto del fatto che, mentre i carichi applicati sotto forma di forze di superficie sono indipendenti dalle dimensioni del prototipo, le azioni di massa dipendono dal fattore di scala. Per un modello in scala 1:2, affinché questo sia soggetto alle stesse azioni interne di quello in scala reale, è necessario che il suo peso specifico γ sia doppio di quello reale. Nel modello in esame, realizzato in scala 1:2, sono stati perciò applicati dei carichi aggiuntivi in grado di simulare un peso proprio doppio
365
CAPITOLO 5
rispetto a quella reale, in modo tale che il modello fosse sottoposto alla stesse sollecitazioni di una volta con luce di 4 metri. Frequentemente, inoltre, le volte a botte si trovano al piano inferiore dei palazzi e i piedritti risultano soggetti, oltre che alla spinta orizzontale della volta stessa, alle azioni verticali trasmesse dai piani superiori. Per riprodurre le condizioni al contorno di un contesto reale, ipotizzando la presenza di due piani al di sopra della volta, i piedritti sono stati precompressi mediante quattro barre filettate Φ 10, bullonate superiormente a due traverse in acciaio (UPN 120) posizionate sui muretti laterali e saldate inferiormente a piastre vincolate ai piedritti con spinotti. La forza F, applicata per simulare l’effetto dei due piani superiori, è pari a:
F = γ muratura ⋅ A ⋅ h p = 11kN dove il peso specifico della muratura γ
(3)
muratura
è stato assunto pari a 1850
3
kg/m , l’area A della sezione del muretto superiore è 22 cm x 45 cm e l’ipotetica altezza di due piani sovrastanti hp vale 6m. Tale forza è stata applicata con tesatura manuale dei tiranti disposti sul muro e utilizzando uno strumento Withmore39 per la lettura della deformazione e quindi della forza trasmessa. Tale carico è stato applicato all’inizio della prova ed è stato lasciato sulla struttura per tutta la durata della prova.
5.4.4. Applicazione dei carichi Oltre ai carichi necessari per simulare un peso proprio doppio di quello reale che, per i problemi di scala già illustrati, sono necessari affinché il modello sia sottoposto alla stesse sollecitazioni di una volta con luce di 4 m, si è deciso di applicare un carico accidentale distribuito solo sulla semicampata di destra, con l’intento di attivare la flessione nell’arco
366
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE e di valutare l’effetto di un carico asimmetrico che spesso si ritrova nella realtà a causa di particolari destinazioni d’uso. Il comportamento del modello è quindi stato analizzato applicando un carico eccentrico, approssimato con l’applicazione di due forze concentrate, incrementato gradualmente nel corso della prova. Per l’applicazione del carico sono stati utilizzate due traverse in acciaio (UPN 100) disposte perpendicolarmente alla corda dell’arco. La prima traversa, posizionata sulla soletta con un pannello di legno per diffondere il carico ed evitare la nascita di tensioni localizzate eccessive, è stata collegata alla seconda, posizionata al di sotto della trave di contrasto (UPN 260) inserita nei piedritti, attraverso due tiranti verticali costituiti da barre filettate Φ 16. Tali barre, dopo essere state opportunamente tarate, sono state munite di strain-gages40 che hanno permesso di avere una lettura continua dei carichi applicati41. Nota la geometria, i materiali di cui è costituito l’arco e ipotizzando un carico accidentale di 350 kg/m2, le azioni dovute al peso proprio distribuito p (4), a quello triangolare dovuto alla presenza del frenello ∆p (5) e a quello accidentale q (6), applicato solo su metà campata, sono le seguenti (fig.22): p = 239,9 kg/m → carico applicato
(4)
∆p = 92,5 kg/m → carico applicato
(5)
q = 157,5 kg/m → carico applicato
(6)
Con riferimento alla figura 23, i carichi applicati nei quattro punti A, B, C e D, aventi un’area di competenza di circa 50 cm, valgono: P = (p / 2) · l = 239,9 kg
(7)
R = (∆p / 2) · 0,45 m = 29,81 kg
(8)
Q = q · (l/2) = 157,5 kg
(9)
367
CAPITOLO 5
dove l è la luce dell’arco ed è pari a 2m. Poiché P rappresenta un carico uniformemente distribuito, è stata ripartita in egual modo su tutti e quattro i punti; la forza R è stata invece considerata solo nei punti esterni A e D42; mentre la forza Q è stata suddivisa tra i punti C e D della semicampata di destra. Riassumendo, i valori delle quattro forze sono: F1 = (P / 4) + (R / 2) ≈ 70,4 kg
(10)
F2 = P / 4 ≈ 60 kg
(11)
F3 = (P / 4) + (Q / 2) ≈ 139 kg
(12)
F4 = (P / 4) + (R / 2) + (Q / 2) ≈ 218 kg.
(13)
Mentre per la semicampata di destra, sulla quale, oltre a queste forze, sono presenti i carichi accidentali che verranno incrementati durante le prove, si è utilizzata l’apparecchiatura costituita dalle due traverse in acciaio descritta in precedenza, per la semicampata di sinistra, dovendo applicare solo carichi costanti e di modesta entità per simulare una densità doppia del materiale, si è utilizzato un semplice sistema costituito da una traversa collegata, attraverso barre Φ 16, ad un piano ligneo sul quale sono stati posizionati i pesi corrispondenti alle forze calcolate (fig. 24).
q=157,5 kg/m p=239,9 kg/m
∆p=92,5 kg/m f = 0,5m l = 2m
Fig. 22. Schema dei carichi in condizioni di esercizio.
368
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE F1 0.500
0.365
F3
F2
A
F4
0.500
B
0.500
C
0.365
D
Fig. 23. Schema delle forze applicate. 22
22
UPN 120
36.5
UPN 120 UPN 100
50
UPN 100
50
UPN 100
UPN 100
50
36.5
UPN 100
UPN 100
barre filettate
barre filettate
10
10
UPN 260 UPN 100
UPN 100
10
33.5
200
33.5
Fig. 24. Banco di prova: sistema di carico.
369
CAPITOLO 5
3.4.5. Strumentazione Per posizionare i trasduttori induttivi LVDT che hanno permesso di studiare il comportamento durante la prova, è stato creato un supporto costituito da elementi tubolari opportunamente tagliati e saldati. Per l’estradosso si è utilizzato un supporto,ad “u” rovesciata, su un lato fissato alla soletta con malta di allettamento, mentre sull’altro poggiante su una superficie liscia in modo da consentirne lo scorrimento e la rotazione. Questo sistema ha permesso di realizzare un supporto solidale con la struttura in grado di misurare gli spostamenti relativi della soletta rispetto ai due punti più esterni. Sul supporto sono stati posizionati tre i trasduttori induttivi LVDT: uno in centro e gli altri due ad una distanza di 50 cm dai muri laterali. All’intradosso sono stati disposti altri tre i trasduttori, di cui uno in chiave e gli altri in corrispondenza delle reni, tramite un sostegno fissato ai piedritti. Come si può osservare dalla figura 25 il supporto è stato posizionato in corrispondenza della putrella alla base dei piedritti, al di sotto delle catene estradossali, in quanto in questa zona i piedritti rimangono fissi e non risentono delle azioni orizzontali esercitate dall’arco. Questi sei strumenti sono serviti per monitorare gli spostamenti verticali e ricavare quindi la deformata della soletta e dell’intradosso dell’arco43. Tramite tubolari in acciaio disposti verticalmente e saldati alla putrella orizzontale inserita nella volta, sono stati disposti altri due i trasduttori induttivi LVDT per lato, uno sopra le due catene Φ 24 e l’altro all’altezza della soletta, per rilevare i movimenti orizzontali dei piedritti. Lo schema illustrativo complessivo del supporto per la strumentazione con indicata la posizione dei trasduttori è riportato in figura 26. Le aperture di fessura si sono misurate con un microscopio graduato.
370
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 25. Banco di prova con il sistema di carico e il supporto per la strumentazione.
Fig. 26. Schema del supporto realizzato per il posizionamento dei trasduttori.
371
CAPITOLO 5
Fig. 27. Trasduttori induttivi LVDT posizionati all’estradosso in chiave (sinistra) e sulla parete laterale (destra).
Fig. 28. Trasduttori potenziometrici LVDT posizionati all’intradosso in chiave (sinistra) e alle reni (destra).
372
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE 5.4.6. Modalità di prova Come già detto, è stato inizialmente applicato al modello un carico pari al suo peso proprio44, per i problemi di scala precedentemente illustrati, dopo di che il carico è stato incrementato solo sulla semicampata destra dell’arco. Dopo aver eseguito una serie di cicli preventivi per testare gli strumenti, sono stati effettuati 8 cicli di carico in cui il carico è stato applicato con un sistema manuale. Ad ogni ciclo sono stati inizialmente applicati i carichi dovuti al peso proprio della struttura45 e quindi quello accidentale di 350 Kg/m2 che, essendo la luce dell’arco pari a 2 metri e la sua larghezza pari a 45 cm, nelle condizioni di esercizio risulta essere pari a 158 Kg. Poiché dai cicli preventivi si è osservata una grande resistenza del modello e spostamenti pressoché impercettibili per valori del carico prossimi al carico di esercizio, con il primo ciclo si è deciso di applicare un carico pari a 7 volte il carico di esercizio. Il carico accidentale è poi stato incrementato nei cicli successivi per valutare il comportamento della struttura in presenza di carichi eccezionali. È stato infine eseguito un ulteriore ciclo in cui il modello è stato portato a collasso, al fine di ottenere il carico ultimo della struttura munita di frenello. Nei primi 4 cicli la struttura si trovava nelle condizioni originarie descritte nei paragrafi precedenti. Prima del quarto ciclo sono state tagliate le piastre che ancoravano le due barre Φ 6, inserite nella soletta, ai piedritti e, prima del quinto ciclo, tale catena è stata tolta definitivamente modificando sostanzialmente la struttura: i dati sperimentali dei primi tre cicli e di quelli successivi verranno perciò presentati in paragrafi separati. Durante tutta la prova si è sempre cercato di applicare il carico in maniera lenta e graduale, inoltre il tempo minimo tra i vari cicli è stato di circa 30 minuti, in modo tale da consentire alla struttura di assestarsi.
373
CAPITOLO 5
I cicli di carico sono riassunti nella tabella seguente: Carico massimo [Kg]
Catena estrad.
Ciclo n° 1
1200 Kg (7 volte il carico di esercizio)
si
Ciclo n° 2
2080 Kg (12,5 volte il carico di esercizio)
si
Ciclo n° 3
2980 Kg (18 volte il carico di esercizio)
si
Ciclo n° 4
3500 (21,5 volte il carico di esercizio)
no
Ciclo n° 5
2100 (12,5 volte il carico di esercizio)
no
Ciclo n° 6
3500 (20 volte il carico di esercizio)
no
Ciclo n° 7
4000 (24,5 volte il carico di esercizio)
no
Ciclo n° 8
4500 (28 volte il carico di esercizio)
no
Tabella 2. Cicli di carico eseguiti sul modello sperimentale.
5.4.7. Risultati delle prove sperimentali Nei primi tre cicli, come è già stato detto, le prove sono state condotte sul modello dotato di catena estradossale. Di seguito vengono riportati i grafici relativi a questi primi tre cicli di carico. Nel primo ciclo di carico, si è registrato uno spostamento massimo in chiave di 1mm all’intradosso e 0,8 mm all’estradosso. La differenza fra i 2 valori è da imputare al fatto che il sistema di supporto degli strumenti collocato all’estradosso risulta solidale con la struttura e perciò i valori registrati rappresentano le frecce relative, mentre all’intradosso vengono letti valori assoluti, indipendenti dai movimenti delle imposte. La stessa differenza viene riscontrata per tutti i cicli di carico. Di seguito vengono riportati i grafici relativi al diagramma caricospostamento dei primi tre cicli di carico. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati attraverso le quattro barre, quindi il carico complessivo applicato si ottiene moltiplicando tale valore per quattro. In questi tre cicli si può osservare che, nonostante l’entità dei carichi applicati, i diagrammi hanno un andamento praticamente lineare.
374
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE Primo ciclo Carico massimo 1200 kg
800
2'
1'
3' 5'
4' 4
2
1
3
5
700
carico (kg)
600 500 400
1 3 1' 3'
300
2'
2
strum.1 strum.2
200
strum.3
100
strum.1' strum.2'
0 0
1
2
3
strum.3'
4
spostamento (mm)
Fig. 29. Grafico carico-spostamento relativo al primo ciclo di carico. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale. Secondo ciclo Carico massimo 2080 kg
1'
2'
3' 5'
4' 4
2
1
3
5
800 700 carico (kg)
600
1
3 1'
3'
2'
2
500 400
strum.1
300
strum.2
200
strum.3
100
strum.1'
0
strum.2'
0
1
2
3
4
strum.3'
spostamento (mm)
Fig. 30. Grafico carico-spostamento relativo al secondo ciclo di carico. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
375
CAPITOLO 5
800
1
3
1'
3'
2'
1'
Terzo ciclo Carico massimo 2980 kg
3' 5'
4' 4
2'
2
1
5
3
2
700 600 carico (kg)
500
strum.1
400
strum.2 strum.3
300
strum.1'
200
strum.2'
100
strum.3'
0 -0,5
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
spostamento (mm)
Fig. 31. Grafico carico-spostamento relativo al terzo ciclo di carico. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale. Primi tre cicli di carico (con catena estradossale) Carico massomo 2980 kg
800
1'
2'
3' 5'
4' 4
1
2
3
5
700
carico (kg)
600 500 400 strum.2
300
strum.2'
200 100 0 -100 0
1
2
3
4
spostamento (mm)
Fig. 32. Grafico carico-spostamento, misurato in chiave all’estradosso e all’intradosso, dei primi tre cicli. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
376
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE In figura 33 è rappresentata l’evoluzione della deformata della soletta
interpolata mediante le misure dei tre trasduttori induttivi LVDT 1’, 2’ e 3’ posti all’estradosso, durante i primi tre cicli di carico (con catena estradossale). Si nota che la parte opposta al carico subisce uno spostamento verso il basso: se non fosse stato presente il frenello, la soletta avrebbe subito un innalzamento provocato dalle spinte verso l’alto esercitate dall’arco, tuttavia il frenello, essendo un elemento molto rigido, impedisce, almeno in questa prima fase, questo meccanismo. In figura 34 è invece riportata la deformata misurata dagli strumenti posti all’intradosso: l’abbassamento in chiave risulta leggermente superiore a quello registrato dallo strumento posto all’estradosso perché, come già spiegato in precedenza, lo strumento 2 (all’intradosso) misura gli spostamenti assoluti, comprensivi anche dello schiacciamento dei piedritti.
Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti all'estradosso 1'
spostamento (mm)
3' 5'
4'
0 -0,5 0
2'
50
100
150
200
4
1
2
5
3
-1 -1,5 -2 -2,5 -3
I ciclo (1200 kg)
-3,5
II ciclo (2080 kg) III ciclo (2980 kg)
-4 Lunghezza della soletta (cm)
Fig. 33. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso.
377
CAPITOLO 5
Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti all'intradosso 1'
0,5
4
spostamento (mm)
0 -0,5 0
2'
3' 5'
4'
50
100
150
1
2
3
5
200
-1 -1,5 -2 -2,5 -3
I ciclo (1200 kg)
-3,5
II ciclo (2080 kg) III ciclo (2980 kg)
-4 Lunghezza della soletta (cm)
Fig. 33. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’intradosso.
Di seguito è riportata l’evoluzione del quadro fessurativo (figg. 3438). Le immagini riportate mostrano che, dopo il primo ciclo a 1200 kg, l’arco è rimasto integro e si sono manifestate solo microfessure nella malta di rivestimento del frenello. A partire dal secondo ciclo di carico (carico massimo pari a 2080 kg) si sono invece rinvenute le prime lesioni in chiave, tra i giunti di malta dei mattoni, e sui piedritti a livello dell’imposta, al di sopra della catena intradossale. Il quadro fessurativo conseguente al raggiungimento di un carico massimo di 2080 kg, pari a 12,5 volte il carico di esercizio, ha evidenziando un meccanismo differente rispetto a quello che si sarebbe creato in mancanza del frenello. In assenza di un rinfianco coesivo, infatti, come è noto, la fessurazione si sarebbe sviluppata nella zona delle reni, in cui si ha una riduzione di spessore dell’arco, e non nei piedritti. Il terzo ciclo, con carico massimo di 2980 kg, ha portato ad un notevole aumento delle dimensioni delle lesioni, rendendo ancor più evidente il meccanismo già evidenziato nel precedente ciclo di carico.
378
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 34. Microfessure generatesi nel frenello dopo il primo ciclo con carico massimo pari a 1200 kg.
Fig. 35. Quadro fessurativo in chiave e sulla campata destra dopo il secondo ciclo di carico (carico massimo pari a 2080 kg).
379
CAPITOLO 5
1,00 mm
0,90 mm
Fig. 36. Quadro fessurativo dei piedritti, in corrispondenza dell’imposta, dopo il secondo ciclo di carico (carico massimo pari a 2080 kg).
0,20 mm
0,14 mm
0,00 mm
0,03 mm
Fig. 37. Quadro fessurativo in chiave e in corrispondenza della campata destra dopo il terzo ciclo (carico massimo pari a 2980 kg).
380
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
1,90 mm
1,80 mm
Fig. 38. Quadro fessurativo dei piedritti, in corrispondenza dell’imposta, dopo il terzo ciclo (carico massimo pari a 2980 kg).
Prima del 4° ciclo di carico sono state tagliate le piastre di contrasto della barra Φ 6 che costituiva la catena estradossale e ciò ha modificato sostanzialmente il comportamento della struttura, come appare in tutti i grafici relativi a questo ciclo. Il cambio di comportamento risulta evidente nel diagramma caricospostamento riportato in figura 39, dove si è constatato un improvviso spostamento verso l’alto della soletta. Dopo questa prima fase, i movimenti registrati sono tornati positivi, ossia diretti verso il basso, coerentemente con il carico applicato. Questo comportamento è probabilmente imputabile al fatto che, eliminando la barra posta nella soletta, i piedritti, non più contenuti dalla catena estradossale, hanno subito un assestamento con scorrimento degli stessi verso l’esterno (fig. 40). Questo meccanismo è messo ancor più in evidenza dal grafico in figura 41, che mostra la variazione del tiro della catena all’aumentare del
381
CAPITOLO 5
carico. Per ogni catena, infatti, per un incremento di carico di circa 70 kg, si è rilevato un aumento di tiro superiore ai 500 kg. Anche la deformata della soletta mostra un comportamento anomalo, imputabile al taglio della catena. Bisogna sottolineare che la deformata della soletta rappresentata nel grafico in figura 42 è stata ottenuta azzerando gli strumenti prima dell’inizio della prova. Per ottenere la deformata totale è necessario prendere in considerazione le deformazioni residue dei cicli precedenti, pari a circa 0,5 mm. Quarto ciclo Carico massimo 3500 kg 1'
2'
3' 5'
4' 1
2
3
carico (kg)
4
-2
5
1000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0
-1
strum.2 strum.1' strum.2' strum.3'
0
1
spostamento (mm)
Fig. 39. Grafico carico-spostamento relativo al quarto ciclo di carico. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
382
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE Spostamenti piedritti Quarto ciclo (carico massimo 3500 kg)
1'
carico (kg)
1000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0 -8
-6
-4
-2
2'
3' 5'
4' 4
2
1
5
3
strum.4 strum.4' strum.5 strum.5' 0
2
4
spostamento (mm)
Fig. 40. Grafico degli spostamenti orizzontali registrati sui piedritti. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
carico (kg)
Tiro delle catene Quarto ciclo (carico massimo 3500 kg)
1000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0
catena anteriore catena posteriore 0
250
500
750
1000
1250
tiro (kg)
Fig. 41. Tiro nelle catene durante il quarto ciclo con carico massimo di 3500 kg. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
383
CAPITOLO 5 Deformazione soletta rilevata dagli strumenti all'estradosso Quarto ciclo (carico massimo 3500 kg)
0,6 spostamento (mm)
0,4 0,2 0 -0,2 0
50
100
150
200
1440 kg 2360 kg
-0,4
2460 kg
-0,6
2960 kg 3500 kg
-0,8 posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 42. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
Dopo il quarto ciclo di carico, necessario affinché la struttura si adattasse alla nuova configurazione priva di catena estradossale, la barra Φ 6 è stata eliminata completamente, permettendo alla volta di deformarsi liberamente sotto il carico accidentale eccentrico e di rendere più evidente il meccanismo di collasso. Gli ultimi quattro cicli, eseguiti sulla struttura priva di catena estradossale, hanno mostrato che, con l’aumento della sollecitazione, nella fase di scarico sono rimaste delle deformazioni residue. Tuttavia, nonostante l’entità dei carichi applicati e l’ampiezza delle fessure in chiave e nei piedritti in corrispondenza dell’imposta (figg. 47-50), il grafico carico spostamento (fig. 43) non mostra un cambio di rigidezza associato alla formazione di nuove lesioni. Per quanto riguarda la deformazione, il grafico in figura 46 evidenzia un abbassamento della soletta in ogni punto. Gli strumenti all’intradosso, hanno invece rilevato, a partire dal settimo ciclo (carico massimo 400 kg), un lieve innalzamento dell’arco alle reni nella semicampata opposta al carico (fig. 47). Questo è giustificato dal fatto che, proprio a partire dal
384
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE settimo ciclo, si è manifestata una fessura che attraversa completamente il piedritto (fig. 50); tutta la porzione di struttura comprendente la parte superiore del piedritto e il frenello viene quindi spinta verso l’alto e tale movimento non viene perciò registrato dalla strumentazione posta all’estradosso che, come già specificato in precedenza, misura gli spostamenti relativi. È importante sottolineare che è grazie alla rigidezza del frenello che nella soletta non si sono manifestati spostamenti verso l’alto nella zona opposta al carico e che non si sono evidenziate lesioni verso l’estradosso alle reni dell’arco. Cicli di carico sulla struttura priva di catena estradossale
2'
1'
1200
3' 5'
4' 4
1000
2
1
3
5
carico (kg)
800 600 400 200
strum. 1' strum. 2'
0 -200
strum. 3'
0
1
2
3
4
5
strum. 2
spostamento (mm)
Fig. 43. Grafico carico-spostamento di tutti i cicli di carico eseguiti sul modello privo di catena estradossale (dal quinto all’ottavo ciclo, carico massimo pari a 4500 kg). Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del totale.
385
CAPITOLO 5 Spostamenti dei piedritti dal quinto al'ottavo ciclo1' Carico massimo 4500 kg 4'
1200
4
1
2'
3' 5'
2
3
5
1000
carico (kg)
800 600 400
strum.4
200 0 -1 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 -200 0
strum.4' strum.5
1
2
3
4
strum.5'
5
spostamento (mm)
Fig. 44. Grafico degli spostamenti orizzontali registrati sui piedritti. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
Variazione del tiro delle catene dal quinto all'ottavo ciclo (Carico massimo 4500 kg)
1200
carico (kg)
1000 800 600 400 catena anteriore
200
catena posteriore
0 0
500
1000
1500
tiro (kg)
Fig. 45. Tiro nelle catene durante gli ultimi quattro cicli eseguiti sul modello privo di catena estradossale. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
386
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
0
spostamento (mm)
-0,5
Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti all'estradosso dal quinto al'ottavo ciclo (Carico massimo 4500 kg)
0
50
100
150
200
-1 -1,5 -2
V ciclo (2100 kg) VI ciclo (3500 kg)
-2,5
VII ciclo (4000 kg) VIII ciclo (4500 kg)
-3 -3,5 posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 46. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso durante gli ultimi quattro cicli.
Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti all'intradosso dal quinto al'ottavo ciclo (Carico massimo 4500 kg)
2
spostamento (mm)
1 0 -1
0
50
100
150
-2
200 V ciclo (2100 kg) VI ciclo (3500 kg)
-3
VII ciclo (4000 kg) VIII ciclo (4500 kg)
-4 -5 posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 47. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’intradosso durante gli ultimi quattro cicli.
387
CAPITOLO 5
0,13 mm
0,14 mm
0,80 mm
1,30 mm 0,10 mm
0,02 mm
Fig. 48. Quadro fessurativo dopo il quinto ciclo di carico (carico massimo pari a 2100 kg).
0,14 mm
0,16 mm
1,60 mm 1,00 mm
0,12 mm 0,18 mm
0,04 mm
Fig. 49. Quadro fessurativo dopo il sesto ciclo di carico (carico massimo pari a 3500 kg).
388
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
0,18 mm
0,20 mm
2,41 mm 1,70 mm
0,16 mm 1,22 mm
0,20 mm
0,06 mm
Fig. 50. Quadro fessurativo dopo il settimo ciclo di carico (carico massimo pari a 4000 kg). 0,18 mm
0,35 mm
3,10 mm 2,20 mm
0,02 mm 1,65 mm
0,44 mm
0,08 mm
Fig. 51. Quadro fessurativo dopo l’ottavo ciclo di carico (carico massimo pari a 4500 kg).
389
CAPITOLO 5
Dopo gli 8 cicli di carico, vista l’entità delle fessure sui piedritti, sono stati tolti gli strumenti all’intradosso e si è proseguito ad incrementare il carico sulla campata di destra al fine di individuare il meccanismo di collasso della struttura. I risultati sperimentali hanno mostrato che, al raggiungimento di un carico pari a 6900 kg, la fessura in corrispondenza della chiave (nel secondo giunto verso destra), si è estesa anche al frenello, causando una perdita di carico (fig. 52) Con la ripresa del carico si è osservato un ulteriore incremento della freccia e la formazione della quarta cerniera, con il raggiungimento del collasso della struttura, come indicato nelle figure 53 e 54. Il carico massimo raggiunto è stato 9500 kg.
Fig. 52. Fessura in corrispondenza della chiave al raggiungimento del carico massimo pari a 6800 kg. Si può notare che la fessura si è estesa al frenello.
390
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 53. Deformata dell’arco a collasso (carico massimo pari a 9500 kg).
Fig. 54. Particolari delle quattro fessure nell’arco giunto a collasso (carico massimo pari a 9500 kg).
391
CAPITOLO 5
5.5. Considerazioni sui risultati delle prove sperimentali
I risultati delle prove sperimentali, eseguite su un modello fisico di volta in muratura con frenello, permettono di affermare che, per carichi anche rilevanti (circa 7 volte i carichi d’esercizio), il comportamento della struttura è di tipo elastico-lineare; per carichi superiori inizia ad instaurarsi un quadro fessurativo che evidenzia un comportamento ad arco a tre cerniere, con cerniera centrale localizzata nella soletta e cerniere laterali localizzate nei piloni all’imposta. Il fatto che le cerniere si siano formate nei piloni anziché nell’arco, in corrispondenza delle reni, evidenzia l’effetto irrigidente del frenello, che impedisce la flessione nell’arco e trasferisce gli effetti del carico ai piedritti; ovviamente questo porta anche ad un notevole aumento del carico ultimo della struttura. Nei primi tre cicli di carico, osservando il grafico carico spostamento (fig. 55), è stato possibile individuare un lieve cambio di pendenza, associato alla formazione di lesioni in chiave e all’imposta. È importante sottolineare che la variazione del modulo elastico della struttura è praticamente impercettibile e, anche nei cicli successivi (fig 56), in cui le lesioni si sono diffuse in tutto lo spessore dell’arco, non si è manifestato, come ci si sarebbe aspettato, nessun cambio di pendenza: anche questo è imputabile alla grande rigidezza del frenello. Per quanto riguarda l’incatenamento estradossale è necessario sottolineare che la presenza di questo presidio strutturale limita notevolmente le deformazioni che, dato il comportamento ad arco a tre cerniere, sono fortemente influenzate dalle deformazioni delle pareti laterali. Tuttavia, dai risultati presentati nel paragrafo precedente, si è osservato che la presenza di una barra metallica posta all’interno della soletta non modifica il comportamento della struttura, infatti, anche dopo l’eliminazione di tale incatenamento si sono continuati a registrare spostamenti dei piedritti verso l’interno e un abbassamento della soletta sia nella porzione di arco in cui è stato applicato il carico, sia nella semicampata opposta al carico.
392
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE 2'
1'
Primi tre cicli di carico (con catena estradossale) Carico massomo 2980 kg
3' 5'
4' 4
2
1
3
5
800 700
carico (kg)
600 500 400 300
strum.2'
200 100 0 -100
0
1
2
3
4
spostamento (mm)
Fig. 54. Grafico carico-spostamento misurato in chiave all’estradosso per i primi tre cicli. Come si può osservare, il cambio di rigidezza tra i vari cicli molto modesto.
Cicli di carico sulla struttura priva di catena estradossale
1200
2'
1'
3' 5'
4' 4
1000
2
1
3
5
carico (kg)
800 600 400 200 strum. 2
0 -200
0
1
2
3
4
5
spostamento (mm)
Fig. 55. Grafico carico-spostamento misurato in chiave all’estradosso per gli ultimi quattro cicli. Il grafico non mostra cambi di rigidezza tra i vari cicli di carico.
393
CAPITOLO 5
Un simile comportamento, caratteristico di strutture con incatenamento estradossale46, si è mostrato tipico anche di strutture con frenello di irrigidimento posto all’estradosso. Il frenello, infatti, impedisce la formazione di lesioni alle reni verso l’estradosso e consente di trasferire gli effetti del carico all’imposta dell’arco. Il meccanismo di collasso si instaura con la formazione della quarta cerniera, quando nella soletta si apre una fessura sul lato opposto al carico. Tale fessura è dovuta al superamento della resistenza a trazione del calcestruzzo della soletta, che risulta prevalentemente tesa. Nel piedritto opposto al carico si instaura inoltre uno scorrimento provocato dalle forti tensioni tangenziali. Da quanto emerso appare evidente che il frenello è in grado di contribuire all’abbattimento del regime flessionale perché si comporta come un diaframma. Il frenello assume quindi il compito di assorbire le forze applicate e di trasformarle in un carico uniformemente distribuito sull’arco, assorbendo la flessione che i carichi applicati generano e creando al suo interno un corrente superiore compresso ed uno inferiore teso (fig. 56). Se l’arco è soggetto ad un carico asimmetrico applicato solo su metà campata (fig. 57), esso tende ad alzarsi nella semicampata scarica e ad abbassarsi in quella carica. Il frenello si oppone al sollevamento della semicampata sinistra della volta, creando in essa una compressione che abbatte il regime flessionale generato dal carico. P
P
x
Fig. 56. Arco caricato con forze concentrate e schema dell’ effetto del frenello.
394
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE p q
p
Fig. 57. Arco con carico asimmetrico.
5.6. Confronti tra diversi metodi di irrigidimento flessionale
In un lavoro di ricerca precedente47, è stata eseguita la medesima prova su un modello in cui il frenello è stato sostituito da un riempimento alleggerito in materiale coerente. Risulta quindi interessante riportare i principali risultati ottenuti per questo modello al fine di confrontare il comportamento dei due differenti sistemi di irrigidimento estradossale.
5.6.1. Risultati delle prove sperimentali su una volta con riempimento in materiale alleggerito Il modello sperimentale realizzato per le prove sulla volta con riempimento in materiale alleggerito risulta identico, per geometria della volta stessa, condizioni al contorno e modalità di carico, a quello impiegato per le prove sulla volta con frenello, illustrate nei capitoli precedenti. Il materiale di riempimento impiegato è costituito da calcestruzzo alleggerito con polistirolo, materiale leggero e coerente, avente le seguenti caratteristiche:
395
CAPITOLO 5
Modulo elastico E [MPa] Riempimento
2700
Peso specifico
Resistenza a comp.
Resistenza a trazione
[MPa]
[MPa]
[kg/m3] 700
1,30
0,2
Tabella 3. Caratteristiche del materiale di riempimento.
Le prove, eseguite applicando un carico eccentrico solo su metà campata, sono consistite in 7 cicli di carico-scarico (tab. 4) . Nell’ultimo ciclo la struttura è stata portata a rottura. Nei primi quattro cicli all’interno della struttura era presente una catena estradossale. Prima del 5° ciclo la catena estradossale è stata eliminata. Nella tabella seguente sono riportati i carichi massimi applicati: Ciclo di
Carico massimo
Catena estradossale
Carico
[kg]
n° 1
600
SI
n° 2
1600
SI
n° 3
1900
SI
n° 4
2600
SI
n° 5
1600
NO
n° 6
1600
NO
n° 7
4080
NO
Tabella 4. Cicli di carico eseguiti sul modello sperimentale con riempimento alleggerito.
Nella figura 58 è riportato il diagramma carico-spostamento dei primi quattro cicli di carico, eseguiti sulla struttura con catena estradossale (le frecce sono relative ad un sistema di riferimento solidale con le imposte). Nei primi tre cicli di carico i diagrammi hanno un andamento praticamente lineare. Nel quarto ciclo, a causa di un’evoluzione del quadro fessurativo in chiave, al raggiungimento di un carico pari a circa 1600 kg, si è manifestato un cambiamento di pendenza.
396
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE 1'
Cicli di carico con catena estradossale
2'
3' 5'
4'
3000
2
1
4
5
3
2500
carico (kg)
2000
1500 1° ciclo 1000
2° ciclo 3° ciclo
500
4° ciclo 0 0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
spostamento (mm)
Fig. 58. Andamento dello spostamento all’estradosso in chiave.
0,5
Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti all'estradosso al termine del quarto ciclo (Carico massimo 2600 kg)
spostamento (mm)
0 -0,5
0
50
100
150
200
-1 -1,5
IV ciclo (2600 kg)
-2 -2,5 posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 59. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso.
397
CAPITOLO 5
In figura 59 è rappresentata l’evoluzione della deformata della soletta interpolata mediante le misure di cinque comparatori posti all’estradosso durante il quarto ciclo di carico (carico massimo pari a 2600 kg). Si nota l’innalzamento della parte opposta al carico provocato dalle spinte verso l’alto esercitate dall’arco sul riempimento. Nelle figure 60 e 61 è rappresentata l’evoluzione degli spostamenti orizzontali delle pareti laterali. Entrambe le pareti tendono a spostarsi verso l’esterno a causa, probabilmente, della spinta all’imposta e dello scarso contenimento delle catene. A livello dell’imposta si ha la formazione di due fessure orizzontali, mentre tra le pareti ed il materiale di riempimento si formano fessure verticali di ampiezza modesta. I piedritti, quindi, tendono a ruotare attorno alla cerniera formatesi all’imposta. A livello della soletta, la parete destra subisce uno spostamento verso l’interno in quanto la catena estradossale impedisce l’allontanamento dei piedritti.
Fig. 60. Evoluzione della deformazione della parete sinistra durante il quarto ciclo. La posizione dei comparatori meccanici per la misura degli spostamenti è stata indicata con la sigla M. In rosso sono evidenziate le fessure.
398
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 61. Evoluzione della deformazione della parete destra durante il quarto ciclo. La posizione dei comparatori meccanici per la misura degli spostamenti è stata indicata con la sigla M. In rosso sono evidenziate le fessure.
A partire dal quinto ciclo di carico, è stata eliminata la catena estradossale costituita dalla barra φ 6 inserita nella soletta; tale modifica ha modificato sostanzialmente il comportamento della struttura. Il cambio di comportamento è ben evidente nel diagramma carico-spostamento riportato in figura 62. La curva del quinto ciclo di carico (carico massimo pari a 1600 kg), dopo un primo tratto con rigidezza simile a quella dei cicli precedenti, presenta una rigidezza molto bassa con conseguente notevole incremento di freccia che raggiunge il valore di 2.5 mm, a fronte di un valore di 0.7 mm registrato nel secondo ciclo con lo stesso valore di carico. Dopo lo scarico si è mantenuta una freccia residua di 0.9 mm.
399
CAPITOLO 5
In seguito all’eliminazione della catena estradossale, si modifica il comportamento strutturale dell’arco e nella struttura si evidenzia un nuovo quadro fessurativo con distacco delle pareti dalla soletta (fig. 63). Il quadro fessurativo in chiave rimane invece lo stesso. Per una migliore comprensione, anche intuitiva, delle differenze nel comportamento strutturale in presenza ed in assenza di catena estradossale, in figura 63 sono riportate le deformate della struttura, ricostruite in base alle misure effettuate, con spostamenti amplificati 100 volte: come si può osservare, dopo l’eliminazione della catena estradossale, in seguito all’assestamento della struttura, le pareti laterali subiscono uno spostamento verso l’esterno. Nei cicli successivi (fig. 62) si osserva che i grafici caricospostamento ripresentano, almeno nel tratto iniziale, la stessa pendenza dei cicli precedenti. La curva del settimo ciclo di carico (carico massimo pari a 4080 kg), nel tratto iniziale fino a 700 kg, ha infatti la stessa pendenza degli altri cicli. Superato tale carico, la pendenza diviene quella del ramo finale della curva del 4° ciclo, pendenza che rimane costante fino ad un carico di 4080 kg (con freccia di 3.3 mm), in corrispondenza del quale si sono improvvisamente aperte due fessure nella soletta con perdita di carico (3750 kg) e incremento della freccia (fig. 64). Come si può vedere dalla figura 65, inoltre, in seguito alla fessurazione, si è manifestato uno scorrimento tra la soletta e il materiale di riempimento. In figura 66 è rappresentata la deformazione della soletta nella fase di carico del settimo ciclo. In questa fase si osserva, sulla semicampata sinistra, un incremento di sollevamento, che si mantiene pressoché costante anche durante la fase di scarico,con un valore di 0,71 mm (misurato dal comparatore elettronico E5). Nonostante l’entità del carico applicato, il materiale di riempimento, si mantiene omogeneo subendo uno scollamento solamente nelle zone a contatto con i muri laterali ed in chiave.
400
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE 1'
spostamento in chiave all'estradosso
2'
3' 5'
4'
4500
4
1
2
3
5
4000
carico (kg)
3500 3000
1° ciclo
2500
2° ciclo 3° ciclo
2000
4° ciclo
1500
5° ciclo
1000
6° ciclo ciclo a rottura
500 0 0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
5,0
6,0
7,0
spostamento (mm)
Fig. 62. Grafico carico-spostamento rilevato dallo strumento posto in chiave.
16 kN
4° ciclo (con catena estradossale)
16 kN
5° ciclo (senza catena estradossale)
Fig. 63. Deformata con carico pari a 1600 kg: quarto ciclo (sopra), quinto ciclo (sotto).
401
CAPITOLO 5 SX
DX
Fig. 64. Particolare delle fessure in chiave sviluppatesi al raggiungimento di un carico massimo pari a 4080 kg.
Fig. 65. Quadro fessurativo in chiave al raggiungimento di un carico massimo pari a 4080 kg (sotto), con il particolare dello scorrimento tra la soletta e il materiale di riempimento (sopra)
402
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
2,0
1,0
0,0
spostamento (mm)
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
220
-1,0
-2,0
-3,0
1100 kg 2100 kg 3100 kg
-4,0
4080 kg -5,0
3750 kg
-6,0
4100 kg
-7,0
lunghezza soletta (cm)
Fig. 66. Evoluzione della deformata della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso durante il settimo ciclo (carico massimo pari a 4080 kg).
38.5 kN
Fig. 67. Quadro fessurativo prima del raggiungimento del carico massimo di 4080 kg.
403
CAPITOLO 5
37.5 kN
Fig. 68. Quadro fessurativo dopo la formazione delle due lesioni in chiave, a carico assestato di 3750 kg.
60 cm
44.86 kN
Fig. 69. Quadro fessurativo a collasso, con la formazione della quarta cerniera plastica localizzata nella semicampata sinistra.
404
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 70. Struttura a collasso con carico massimo pari a 4490 kg.
Fig. 70. Particolare della quarta cerniera.
405
CAPITOLO 5
Dopo la rottura della soletta, si è eseguito un ulteriore ciclo di carico per stabilire se la struttura è in grado di mobilitare ulteriori risorse statiche e per evidenziare meglio il meccanismo di collasso. Il carico massimo raggiunto è di 4490 kg e il quadro fessurativo è rimasto pressoché invariato fino alla formazione improvvisa della quarta cerniera plastica, in seguito alla quale si instaura il meccanismo di collasso (fig. 69). Nella figura 70 è riportata un immagine della struttura a collasso, mentre nella figura 71 è riportato il particolare della quarta cerniera localizzata nella semicampata opposta al carico.
5.6.2. Confronti e considerazioni finali Dal confronto fra i risultati delle due prove sperimentali appare evidente che il materiale di riempimento alleggerito, pur contribuendo in maniera rilevante ad assorbire le flessioni generate dal carico eccentrico, risulta meno efficace rispetto al frenello. Innanzitutto il meccanismo di collasso nei due casi risulta differente: in entrambi i modelli si ha la formazione di una cerniera in chiave verso l’intradosso e nella semicampata opposta al carico verso l’estradosso, ma, mentre per l’arco con materiale di riempimento alleggerito, si sviluppano due fessure alle reni che provocano il distacco del riempimento dai piedritti, nell’arco con frenello le lesioni sono localizzate nei piedritti, all’imposta dell’arco. Questa differenza mostra che il frenello, avente modulo elastico maggiore rispetto al riempimento alleggerito, non consente l’apertura di fessure all’estradosso, ma trasferisce gli effetti del carico ai sistemi di sostegno (fig 71). La maggiore efficacia del frenello rispetto al materiale di riempimento alleggerito è messa in evidenza anche dalla deformazione della soletta. Un arco soggetto ad un carico eccentrico, come è noto, tende a sollevarsi nella semicampata opposta al carico; questo innalzamento lo si può chiaramente osservare nell’arco con riempimento alleggerito, mentre risulta inibito nell’arco con frenello. Il frenello, infatti, impedisce il
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE sollevamento della semicampata sinistra, limitando notevolmente la flessione nell’arco. Infine, il carico di collasso per l’arco munito di frenello di irrigidimento è circa doppio di quello con materiale di riempimento alleggerito.
Fig. 71. Confronto tra il meccanismo di collasso dell’arco con frenello (sinistra) e quello dell’arco con riempimento alleggerito (destra).
5.7. Conclusioni
La presente ricerca sperimentale eseguita su un arco rappresentante un segmento di volta con frenello mostra, come è già stato messo in evidenza da precedenti lavori numerici e teorici, che un riempimento in materiale coesivo consente di limitare notevolmente la flessione all’interno della volta. La tecnica di consolidamento di strutture voltate in muratura mediante sostituzione del materiale di riempimento tradizionale incoerente con frenelli o con un materiale molto più leggero ma coesivo, quindi, appare una soluzione interessante negli interventi nell’edilizia storica in quanto ha un duplice effetto: consente di ridurre l’impegno statico dei piedritti e delle fondazioni, grazie alla notevole diminuzione del peso, e contrasta il regime flessionale dell’arco, che può così sopportare condizioni di carico particolarmente sfavorevoli, quali quella di carico concentrato o distribuito in modo non simmetrico.
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Un intervento di questo tipo, inoltre, presenta le ideali caratteristiche richieste, in quanto non altera significativamente la funzione statica originaria della struttura, è reversibile e non invasivo. Sia la soluzione con frenello, sia quella con materiale di riempimento alleggerito, pur migliorando la stabilità della struttura, non ne stravolgono il comportamento statico-meccanico originale, inoltre, impiegate per il ripristino strutturale di volte di edifici di valore storico e architettonico, permettono di realizzare interventi reversibili. La prova eseguita sulla volta munita di frenello ha mostrato che, anche per carichi elevati (7 volte il carico di esercizio), la volta non risulta fessurata; solo per carichi superiori si instaura un quadro fessurativo che evidenzia un comportamento ad arco a tre cerniere, con cerniera centrale localizzata in prossimità della chiave dell’arco e cerniere laterali localizzate nei piedritti. Questo significa che la presenza dell’irrigidimento estradossale non consente la formazione delle classiche fessure alle reni, ma permette di trasferire il carico sui piedritti, che si lesionano a livello dell’imposta, portando di conseguenza ad un aumento del carico di collasso della struttura. Questo meccanismo ha mostrato, inoltre, una maggiore resistenza rispetto a quello del modello con riempimento alleggerito. Dal confronto presentato nella parte finale si può notare che la soluzione con materiale di riempimento alleggerito, pur contribuendo in maniera rilevante ad assorbire le flessioni generate dal carico eccentrico, risulta meno efficace rispetto al frenello. Anche il meccanismo di collasso risulta differente nei due casi; infatti, mentre la presenza del frenello, consente di impedire la formazione di cerniere alle reni dell’arco e di trasferire le azioni risultanti dall’applicazione del carico ai piedritti, il materiale di riempimento alleggerito si lesiona proprio alle reni, attraverso il distacco dai piedritti. È risultato infine che la presenza di una catena estradossale limita notevolmente le deformazioni, pur non alterando il meccanismo di collasso: nella struttura con frenello, infatti, in seguito all’eliminazione della catena estradossale, non si sono evidenziate nuove lesioni nella struttura e i piedritti hanno continuato a ruotare verso l’interno.
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LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE 5.8. Bibliografia AA. VV., Arch Bridges, Atti del Fist International Conference on Arch Bridges, UK, 3-6 September 1995, ed. T. Telford, London 1995. AA.VV., Storia delle tecniche murarie e tutela del costruito, esperienze e questioni di metodo, a cura di S. Della Torre, Atti del convegno di studi, Università di Brescia Aprile 1995, Guerini Studio, Milano 1996. Abruzzese D., Como M., Lanni G., Some results on the strenght evaluation of vaulted masonry structures, in Proceedings of Fourth
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NOTE: 1
Alberti L. B., 1989, 246. Di Giorgio Martini F., 1967, 93. 3 Ibidem. 4 Tibaldi P., 1990, 111-112. 5 Ivi, p. 112. 6 Giustina I., 1996, 220. 7 Caleca L., 1994, 253-254. 8 Mezzanotte G., 1997. 9 Scamozzi V., 1982, 324. 10 Ibidem. 11 Bonavia M., 1989, 85. 12 Milizia F., 1972, 534-535. 13 Rondelet J. B., 1831, 96. 14 Durand J. N. L. 1986, 77. 15 Ivi, 183. 16 Curioni G., 1870, 191. 17 Gli speroni, secondo Carlo Levi, sono dei muretti larghi 30 o 40 cm, realizzati all’estradosso della volta e diretti normalmente ai piedritti, con lunghezza dipendente dall’ampiezza e dalla freccia della volta stessa (Levi C., 1932, 314.). 18 Levi C., 1932, 314.. 19 Fiorani, Esposito, 1989. 20 Harvey W. J., 1988. 21 Blasi C., Foraboschi P., 1994. 22 Foraboschi P., 1995.. 23 Giuliani E., Gubana A., Arenghi A., 1996. 24 Clemente P., Occhiuzzi A., Raithel A. 1995. 25 Fairfield C. A., Ponniah D. A., 1993. 26 Fairfield C. A., Ponniah D. A., 1994. 27 Ng K.-H., Fairfield C. A., 2003 28 Gelfi P., Capretti A., 2001. 29 Arco.exe è un programma di.di calcolo disponibile in internet all’indirizzo http://civserv.ing.unibs.it/utenti/gelfi/arco.htm. 30 Cavicchi A., Gambarotta L., 2005 e Cavicchi A., Gambarotta L., 2007. 2
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31
Feigl I., 1999. Valadier G., 2000. 33 Una luce di 2 metri rappresenta realisticamente un modello in scala 1:2 di una tipica volta dell’edilizia storica. 32
34
Feigl I., 1999. Fiorani, 1996. 36 R. Felicetti e N. Gattesco, 1998. 37 Feigl I., 1999. 38 Valore misurato con prove di compressione, eseguite 2 mesi dopo il getto, sulle 6 metà risultanti da 3 provini 4x4x16 cm sottoposti precedentemente a prove di flessione. 39 Il Withmore è uno strumento mobile che misura la variazione della distanza tra due punti contrassegnati con delle borchiette. Conoscendo il modulo elastico del materiale è possibile risalire alla trazione applicata alle barre attraverso la formula: 35
∆l d
σ = E⋅
dove E è il modulo elastico dell’acciaio, ∆l è la variazione di lunghezza registrata dallo strumento e d è la distanza fra le due placchette collocate sulla barra (d è solitamente pari a 30 cm). 40 Gli strain-gages utilizzati hanno una precisione di 1 micron / 1 metro. 41 I carichi sono stati applicati manualmente avvitando i bulloni posizionate sulla traversa superiore. 42 Sarebbe stato più corretto applicare il peso proprio R del materiale di riempimento, nel baricentro del volume da esso occupato, ma esso non è molto differente a quello in cui è stata applicata la forza R; la coordinata x G del baricentro risulta infatti essere pari a 25.86 cm, quindi praticamente coincidente con il punto 1. 43 La misura degli spostamenti sia all’intradosso che all’estradosso è servita anche come verifica per eventuali malfunzionamenti della strumentazione. 44
Sulla semicampata di sinistra sono stati posizionati dei pesi noti, mentre su quella di destra si è raggiunto lo stesso valore operando manualmente sulle quattro barre munite di strain-gauges. 45
Nel calcolo del carico da applicare si è tenuto conto del peso dei vari elementi costituenti il banco di prova (traverse in acciaio e tiranti), sottraendolo dal peso totale da aggiungere. 46 Giuriani E., Gubana A., 1995. 47 Salvadori S., 2002.
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6. CONCLUSIONI
Attraverso il presente lavoro sono stati indagati alcuni aspetti del comportamento strutturale delle volte finora poco chiari. Uno dei principali risultati dello studio presentato è la formulazione di una teoria basata sull’analisi limite, in grado di fornire in maniera rigorosa e allo stesso tempo veloce lo stato di sforzo nelle volte. Nel presente lavoro questa teoria, sviluppata sulla base dello studio di D’Ayala e Casapulla (2001) per cupole emisferiche, viene perfezionata e resa applicabile a qualsiasi tipo di volta. La teoria proposta consente non solo di individuare la superficie funicolare del carico, ma anche di comprendere a fondo il reale comportamento strutturale delle volte analizzate, grazie alla possibilità di valutare gli effetti tridimensionali di interazione tra gli archi che si possono sviluppare nelle strutture studiate, effetti che possono risultare particolarmente importanti nel caso di volte complesse. L’applicazione di questa teoria alle volte a padiglione ha consentito, da un lato, di verificare l’efficacia e la validità della teoria presentata e, dall’altro, di far luce sul comportamento strutturale di questo particolare tipo di volte. I risultati ottenuti attraverso la teoria presentata si sono mostrati perfettamente coincidenti con quelli ottenuti attraverso le analisi ad elementi finiti eseguite in campo non lineare che, generalmente, risultano talmente complesse a causa dei problemi di convergenza e per le evidenti difficoltà nell’interpretazione e nell’estrapolazione dei risultati, da risultare difficilmente impiegabili in interventi di consolidamento. La teoria basata sull’analisi limite si è mostrata invece un valido strumento, di semplice interpretazione e in grado di simulare in maniera
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precisa e rigorosa, ma allo stesso tempo rapida, il comportamento strutturale delle volte complesse. Lo studio si è quindi focalizzato sulla comprensione del comportamento strutturale delle volte a padiglione. Partendo dallo studio di Giuriani E. e Tomasoni E. (2002), grazie anche all’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, sono stati analizzati i complessi meccanismi statici che si generano al loro interno, giungendo alla definizione di modelli ulteriormente semplificati, estremamente utili in interventi di consolidamento. Innanzitutto si è potuto notare che lungo le diagonali delle volte a padiglione si sviluppano, nella fascia inferiore della volta, sforzi di trazione perpendicolari alle diagonali stesse. Tali sforzi costituiscono la causa delle fessure passanti, localizzate lungo le diagonali e a volte anche al centro del fuso, che sovente interessano questo tipo di volta. Si è inoltre dimostrato che queste lesioni, spesso imputate ai cedimenti dei muri perimetrali, si sviluppano anche in volte vincolate rigidamente. Un altro elemento di estrema importanza in un eventuale intervento di consolidamento è la spinta orizzontale all’imposta; lo studio eseguito ha permesso di comprendere che l’andamento di tale spinta non è massimo al centro del fuso e nullo agli spigoli, come riportato in letteratura, ma risulta pressoché costante, in quanto nel piano del fuso, anche dopo la formazione di lesioni lungo le diagonali, si sviluppa un effetto guscio che si manifesta attraverso la formazione di archi naturali di scarico in grado di far defluire parte del carico verso le diagonali. L’individuazione della posizione della superficie funicolare del carico ha consentito, inoltre, di valutare l’entità dei momenti e degli sforzi di taglio perpendicolari alla superficie della volta, responsabili dei possibili meccanismi di scorrimento tra i conci. Si è potuto perciò notare che, al diminuire del rapporto freccia/luce, tali momenti e tali componenti tangenziali si riducono e che, quindi, lo stato di sforzo interno alla volta, per volte ribassate, tende ad avvicinarsi alla soluzione membranale. Alla luce di quanto acquisito circa il comportamento strutturale delle volte a padiglione, sono quindi stati proposti metodi di calcolo semplificati,
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CONCLUSIONI quali per esempio la teoria membranale e lo schema ad archi, al fine di verificarne il limite di validità. La teoria membranale, modificata per tener conto delle condizioni al contorno lungo le diagonali, si è mostrata un valido strumento, semplice e immediato, per la valutazione di quegli elementi che possono risultare utili in un intervento di consolidamento; in particolare si è osservato che essa riesce a cogliere il comportamento strutturale delle volte a padiglione con rapporti freccia/luce inferiori a 1/5, mentre per rapporti freccia/luce superiori, l’applicazione rigorosa di tale teoria fornirebbe risultati poco realistici. Tuttavia, alcuni semplici accorgimenti nella valutazione della spinta all’imposta, suggeriti dalla trattazione presentata in questo lavoro, consentono di ottenere validi risultati indipendentemente dalla freccia della volta. Lo schema ad archi, invece, proposto in numerosi testi di consolidamento, si discosta enormemente dai risultati delle analisi ad elementi finiti e da quelli ottenuti attraverso l’applicazione della teoria “membranale” basata sull’analisi limite e perciò, nonostante esso abbia finora costituito un punto di riferimento nella valutazione degli sforzi nelle volte a padiglione, in particolare per la determinazione delle spinte, alla luce dello studio presentato, si ritiene che una simile schematizzazione, non essendo in grado di cogliere gli effetti tridimensionali di interazione tra gli archi, così importanti per le volte a padiglione, possa solamente essere impiegato per un primo approssimativo approccio per l’individuazione delle forze in gioco in volte fortemente ribassate. Infine, l’ultimo aspetto indagato attraverso il presente lavoro, riguarda lo studio della rigidezza flessionale delle coperture voltate. Attraverso una ricerca sperimentale, eseguita su un arco rappresentante un segmento di volta con frenello, si è mostrato, come è già stato messo in evidenza da precedenti lavori numerici e teorici, che un riempimento in materiale coesivo consente di limitare notevolmente la flessione all’interno della volta. Il contributo del presente studio è consistito nell’evidenziare, attraverso il confronto fra due prove sperimentali su un arco con materiale di riempimento alleggerito e con frenello, le differenze nel comportamento strutturale delle due strutture e
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nell’individuazione della tecnica di consolidamento più efficace ai fini di ridurre la flessione nell’arco. In particolare si è potuto osservare che la soluzione con materiale di riempimento alleggerito, pur contribuendo in maniera rilevante ad assorbire le flessioni generate dal carico eccentrico, risulta meno efficace rispetto al frenello. Anche il meccanismo di collasso risulta differente nei due casi; infatti, mentre la presenza del frenello, consente di impedire la formazione di cerniere alle reni dell’arco e di trasferire le azioni risultanti dall’applicazione del carico ai piedritti, il materiale di riempimento alleggerito si lesiona proprio alle reni, attraverso il distacco dai piedritti.
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426
APPENDICI
APPENDICE A. GRAFICI DEGLI SFORZI NELLE VOLTE A PADIGLIONE RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
Di seguito sono riportati i grafici degli sforzi in una volta a padiglione su base quadrata con luce pari a 6m e freccia pari a 3m, soggetta a peso proprio e realizzata in muratura di mattoni (γ=1850 kg/m3, E=5E+9 N/m2 e ν=0,15). Tali sforzi, indicati in figura 1, sono letti in un sistema di riferimento intrinseco solidale ad ogni elemento. La volta è stata modellata utilizzando il programma di calcolo agli elementi finiti Algor e simulando una resistenza a trazione nulla della muratura.
Fig. 1. Sforzi agenti su un elemento appartenente alla volta a padiglione.
429
APPENDICE A
Per agevolare la lettura degli sforzi, ogni fuso della volta a padiglione è stato suddiviso in paralleli e meridiani, come indicato in figura 2.
P0 P5 P 10 P 15 P 20 P 25 M0
M5
M 10
M 15 M 20 M 25
Fig. 2. Pianta della volta a padiglione con evidenziata la suddivisione di un semifuso in paralleli e meridiani.
430
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI A.1. Grafici degli sforzi σm
σ m lungo il parallelo 25 1,2
σ m [kg/cmq]
1
0,8 0,6
0,4 0,2
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 3. Andamento degli sforzi σm lungo il venticinquesimo parallelo.
σ m lungo il parallelo 20
1,2
σ m [kg/cmq]
1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 4. Andamento degli sforzi σm lungo il ventesimo parallelo.
431
APPENDICE A
σ m lungo il parallelo 15 1,2
σ m [kg/cmq]
1
0,8 0,6 0,4
0,2 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 5. Andamento degli sforzi σm lungo il quindicesimo parallelo.
σ m lungo il parallelo 10
1,2
σ m [kg/cmq]
1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
y [m]
Fig. 6. Andamento degli sforzi σm lungo il decimo parallelo.
432
3
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ m lungo il parallelo 5
1,2 1
σ m [kg/cmq]
0,8 0,6 0,4 0,2 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 7. Andamento degli sforzi σm lungo il quinto parallelo.
σ m lungo il meridiano 0 1,2
1
x
σm [kg/cmq]
0,8
0,6
0,4 0,2
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m ]
Fig. 8. Andamento degli sforzi σm lungo il meridiano centrale.
433
APPENDICE A
σ m lungo il meridiano 5
1,2
σ m [kg/cmq]
1
x
0,8 0,6 0,4 0,2 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 9. Andamento degli sforzi σm lungo il quinto meridiano.
σ m lungo il meridiano 10
0,7 0,6
x
σ m [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 10. Andamento degli sforzi σm lungo il decimo meridiano.
434
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ m lungo il meridiano 15
0,7 0,6
x
σ m [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 11. Andamento degli sforzi σm lungo il quindicesimo meridiano.
σ m lungo il meridiano 20
0,7 0,6
x
σ m [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 12. Andamento degli sforzi σm lungo il ventesimo meridiano.
435
APPENDICE A
A.2. Grafici degli sforzi σp
σ p lungo il parallelo 25 0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 13. Andamento degli sforzi σp lungo il venticinquesimo parallelo.
σ p lungo il parallelo 20
0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 14. Andamento degli sforzi σp lungo il ventesimo parallelo.
436
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ p lungo il parallelo 15
0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 15. Andamento degli sforzi σp lungo il quindicesimo parallelo.
σ p lungo il parallelo 10
0,45 0,4
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 16. Andamento degli sforzi σp lungo il decimo parallelo.
437
APPENDICE A
σ p lungo il parallelo 5
0,45 0,4
σ p[kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
y [m]
Fig. 17. Andamento degli sforzi σp lungo il quinto parallelo.
σ p lungo il meridiano 0 0,45 0,4
x
0,35
σ p [kg/cmq]
0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m ]
Fig. 18. Andamento degli sforzi σp lungo il meridiano centrale.
438
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ p lungo il meridiano 5
0,45 0,4
x
σ p [kg/cmq]
0,35 0,3 0,25 0,2 0,15 0,1 0,05 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 19. Andamento degli sforzi σp lungo il quinto meridiano.
σ p lungo il meridiano 10
0,7
x
0,6
σ p [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 20. Andamento degli sforzi σp lungo il decimo meridiano.
439
APPENDICE A
σ p lungo il meridiano 15
0,7 0,6
x
σ p [kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 21. Andamento degli sforzi σp lungo il quindicesimo meridiano.
σ p lungo il meridiano 20
0,7
x
0,6
σ p[kg/cmq]
0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
x [m]
Fig. 22. Andamento degli sforzi σp lungo il ventesimo meridiano.
440
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI A.3. Grafici dei momenti mm
mm lungo il parallelo 25
60 50 40
m m [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60
y [m]
Fig. 23. Andamento dei momenti mm lungo il venticinquesimo parallelo.
mm lungo il parallelo 20
60 50 40
m m [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60
y [m]
Fig. 24. Andamento dei momenti mm lungo il ventesimo parallelo.
441
APPENDICE A
mm lungo il parallelo 15
60 50 40
m m [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 25. Andamento dei momenti mm lungo il quindicesimo parallelo.
mm lungo il parallelo 10
60 50 40
m m [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 26. Andamento dei momenti mm lungo il decimo parallelo.
442
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mm lungo il parallelo 5
60 50 40
mm [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 27. Andamento dei momenti mm lungo il quinto parallelo.
mm lungo il meridiano 0
60 50 40
x
m m [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 28. Andamento dei momenti mm lungo il meridiano centrale.
443
APPENDICE A
mm lungo il meridiano 5
60 50 40
x
m m [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 29. Andamento dei momenti mm lungo il quinto meridiano.
mm lungo il meridiano 10
60 50 40
x
30 m m [kg.m]
20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 30. Andamento dei momenti mm lungo il decimo meridiano.
444
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mm lungo il meridiano 15
60 50 40
x
m m [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 31. Andamento dei momenti mm lungo il quindicesimo meridiano.
mm lungo il meridiano 20
60 50 40
x
mm [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 32. Andamento dei momenti mm lungo il ventesimo meridiano.
445
APPENDICE A
A.4. Grafici dei momenti mp
mp lungo il parallelo 25
60 50
m p [kg.m/m]
40 30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 33. Andamento dei momenti mp lungo il venticinquesimo parallelo.
mp lungo il parallelo 20
60 50 40
m p [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 34. Andamento dei momenti mp lungo il ventesimo parallelo.
446
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mp lungo il parallelo 15
60 50 40
m p [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 35. Andamento dei momenti mp lungo il quindicesimo parallelo.
mp lungo il parallelo 10
60 50 40 30 m p [kg.m/m]
20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 36. Andamento dei momenti mp lungo il decimo parallelo.
447
APPENDICE A
mp lungo il parallelo 5
60 50 40 30 m p [kg.m/m]
20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 y [m]
Fig. 37. Andamento dei momenti mp lungo il quinto parallelo.
mp lungo il meridiano 0
60 50
x
40
m p [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 38. Andamento dei momenti mp lungo il meridiano centrale.
448
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mp lungo il meridiano 5
60 50 40
x
30 m p [kg.m/m]
20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 39. Andamento dei momenti mp lungo il quinto meridiano.
mp lungo il meridiano 10
60 50 40
x
30 m p [kg.m]
20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 40. Andamento dei momenti mp lungo il decimo meridiano.
449
APPENDICE A
mp lungo il meridiano 15
60 50 40
x
30 m p [kg.m/m]
20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 41. Andamento dei momenti mp lungo il quindicesimo meridiano.
mp lungo il meridiano 20
60 50 40
x
m p [kg.m/m]
30 20 10 0 -10 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
-20 -30 -40 -50 -60 x [m]
Fig. 42. Andamento dei momenti mp lungo il ventesimo meridiano.
450
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI A.5. Grafici degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn
Per le convenzioni di segno usate per definire gli sforzi di taglio si fa riferimento alle figure 43, 44 e 45.
Fig. 43. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli sforzi di taglio τmp,
τpn e τmn.
Sforzi di taglio lungo il parallelo 25
0,2
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
tmn -0,4
tmp -0,6
tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 44. Andamento degli sforzi di taglio venticinquesimo parallelo.
τmn, τmp
e
τpn
momenti mp lungo il
451
APPENDICE A
Sforzi di taglio lungo il parallelo 20
0,2
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
-0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
y [m]
τmn, τmp
Fig. 45. Andamento degli sforzi di taglio ventesimo parallelo.
e
τpn
momenti mp lungo il
Sforzi di taglio lungo il parallelo 15
0,2
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
-0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 46. Andamento degli sforzi di taglio quindicesimo parallelo.
452
τmn, τmp
e
τpn
momenti mp lungo il
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
Sforzi di taglio lungo il parallelo 10
0,2
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
-0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
y [m]
τmn, τmp
Fig. 47. Andamento degli sforzi di taglio decimo parallelo.
e
τpn
momenti mp lungo il
Sforzi di taglio lungo il parallelo 5
0,2
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
-0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 48. Andamento degli sforzi di taglio parallelo.
τmn, τmp e τpn momenti mp
lungo il quinto
453
APPENDICE A
Sforzi di taglio lungo il meridiano 0
0,2
x
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
tmn
-0,4
tmp -0,6
tpn -0,8
-1
x [m]
τmn, τmp
Fig. 49. Andamento degli sforzi di taglio meridiano centrale.
e
τpn
momenti mp lungo il
Sforzi di taglio lungo il meridiano 5
0,2
x
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
-0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 50. Andamento degli sforzi di taglio meridiano.
454
τmn, τmp e τpn momenti mp
lungo il quinto
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
Sforzi di taglio lungo il meridiano 10
0,2
x
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
-0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 51. Andamento degli sforzi di taglio decimo meridiano.
τmn, τmp
e
τpn
momenti mp lungo il
Sforzi di taglio lungo il meridiano 15
0,2
x
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2 -0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 52. Andamento degli sforzi di taglio quindicesimo meridiano.
τmn, τmp
e
τpn
momenti mp lungo il
455
APPENDICE A
Sforzi di taglio lungo il meridiano 20
0,2
x
0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
[kg/cmq]
-0,2
-0,4
tmn
-0,6
tmp tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 53. Andamento degli sforzi di taglio ventesimo meridiano.
456
τmn, τmp
e
τpn
momenti mp lungo il
APPENDICE B. GRAFICI DELLE AZIONI INTERNE NELLE VOLTE A PADIGLIONE AL VARIARE DEL RAPPORTO FRECCIA/LUCE
Di seguito sono riportati i grafici degli sforzi ottenuti attraverso l’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, presentata nei capitoli 3 e 4 della seconda parte di questo lavoro, su volte a padiglione con rapporto freccia/luce pari ad 1/3, 14 e 1/5. Le volte analizzate sono impostate su pianta quadrata con luce di 6m e freccia rispettivamente di 2 m, 1,5 m e 1,2 m. Con riferimento alla figura 1, il raggio di ogni volta è stato determinato attraverso la semplice relazione: R=
(l + f 2 ) 2f
(1)
mentre l’angolo di apertura θ è dato da: ϑ = arccos
(R − f ) R
(2)
457
APPENDICE B
z x
l
θ
R
f
a
Fig. 1. Schema della direttrice delle volte a padiglione analizzate, con indicati la freccia f e il raggio di curvatura R.
B.1. Volta a padiglione con freccia di 2 m (f/l = 1/3)
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1 (rapporto freccia/luce=1/3) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 2. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
458
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2 (rapporto freccia/luce=1/3) 600 500
S [kg]
400 300 S prima della fessurazione lungo i meridiani
200 100
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 3. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3 (rapporto freccia/luce=1/3) 600 500
S [kg]
400 300 S prima della fessurazione lungo i meridiani
200 100
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 4. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
459
APPENDICE B
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4 (rapporto freccia/luce=1/3) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 5. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1 (rapporto freccia/luce=1/3) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 6. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.
460
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2 (rapporto freccia/luce=1/3) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentriità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 7. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3 (rapporto freccia/luce=1/3) 0,1 0,08
e [m]
0,06 0,04 eccentricità (soluzione non ottimizzata)
0,02 0 0
1
2
3
4
-0,02
eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,04 x [m ]
Fig. 8. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.
461
APPENDICE B
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4 (rapporto freccia/luce=1/3) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
4
-0,04 -0,06
eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 9. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1) (rapporto freccia/luce=1/3) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100 T mer
x [m ]
Fig. 10. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 1.
462
merid
e Tmerid lungo lo
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2) (rapporto freccia/luce=1/3) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100 x [m ]
T mer
Fig. 11. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 2.
merid
e Tmerid lungo lo
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3) (rapporto freccia/luce=1/3) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100
T mer
x [m ]
Fig. 12. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 3.
merid
e Tmerid lungo lo
463
APPENDICE B
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4) (rapporto freccia/luce=1/3) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100 x [m ]
T mer
Fig. 13. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 4.
merid
e Tmerid lungo lo
Momento flettente lungo gli spicchi 15
.e [kg.m]
10 5 0
M=N
0
1
2
3
4
M=N.e (spicchio 1)
-5 M=N.e (spicchio 2) -10 M=N.e (spicchio 3) -15 x [m ]
Fig. 14. Grafico del momento flettente lungo i quattro spicchi.
464
M=N.e (spicchio 4)
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Hp lungo la diagonale 500 400 300
[kg]
200 100 0 0
1
2
3
4
Hp
5
-100 -200 x' [m ]
Fig. 15. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.
Spinta orizzontale all'imposta y
450 400 350
[kg]
300 250 200 150
spinta (soluzione non ottimizzata)
100 50 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
spinta (soluzione ottimizzata)
y [m ]
Fig. 16. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
465
APPENDICE B
B.2. Volta a padiglione con freccia di 1,5 m (f/l = 1/4)
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1 (rapporto freccia/luce=1/4) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 17. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2 (rapporto freccia/luce=1/4) 600 500
S [kg]
400 300 S prima della fessurazione lungo i meridiani
200 100
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 18. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
466
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3 (rapporto freccia/luce=1/4) 600 500
S [kg]
400 300 S prima della fessurazione lungo i meridiani
200 100
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 19. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4 (rapporto freccia/luce=1/4) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 20. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
467
APPENDICE B
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1 (rapporto freccia/luce=1/4) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 21. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2 (rapporto freccia/luce=1/4) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentriità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 22. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.
468
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3 (rapporto freccia/luce=1/4) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 23. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4 (rapporto freccia/luce=1/4) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 24. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.
469
APPENDICE B
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1) (rapporto freccia/luce=1/4) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100 T mer
x [m ]
Fig. 25. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 1.
merid
e Tmerid lungo lo
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2) (rapporto freccia/luce=1/4) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100 x [m ]
Fig. 26. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 2.
470
T mer merid
e Tmerid lungo lo
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3) (rapporto freccia/luce=1/4) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100
T mer
x [m ]
Fig. 27. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 3.
merid
e Tmerid lungo lo
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4) (rapporto freccia/luce=1/4) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100 x [m ]
Fig. 28. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 4.
T mer
merid
e Tmerid lungo lo
471
APPENDICE B
Momento flettente lungo gli spicchi 15
.e [kg.m]
10 5 0
M=N
0
1
2
3
4
M=N.e (spicchio 1)
-5 M=N.e (spicchio 2) -10 M=N.e (spicchio 3) -15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]
Fig. 29. Grafico del momento flettente lungo i quattro spicchi.
Hp lungo la diagonale 500 400 300
[kg]
200 100 0 0
1
2
3
4
5
-100 -200 x' [m ]
Fig. 30. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.
472
Hp
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Spinta orizzontale all'imposta y
450 400 350
[kg]
300 250 200 150
spinta (soluzione non ottimizzata)
100 50 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
spinta (soluzione ottimizzata)
y [m ]
Fig. 31. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
473
APPENDICE B
B.3. Volta a padiglione con freccia di 1,2 m (f/l = 1/5)
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1 (rapporto freccia/luce=1/5) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 32. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2 (rapporto freccia/luce=1/5) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 33. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
474
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3 (rapporto freccia/luce=1/5) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 34. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4 (rapporto freccia/luce=1/5) 700 600
S [kg]
500 400 300
S prima della fessurazione lungo i meridiani
200
S* dopo la fessurazione lungo i meridiani
100 0 0
1
2
3
4
S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 35. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della coordinata x del sistema di riferimento globale.
475
APPENDICE B
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1 (rapporto freccia/luce=1/5) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 36. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2 (rapporto freccia/luce=1/5) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentriità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 37. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.
476
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3 (rapporto freccia/luce=1/5) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 38. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.
Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4 (rapporto freccia/luce=1/5) 0,1 0,08 0,06 0,04 e [m]
0,02 0 -0,02
0
1
2
3
4
-0,04
eccentricità (soluzione non ottimizzata)
-0,06 eccentricità (soluzione ottimizzata)
-0,08 -0,1 x [m ]
Fig. 39. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.
477
APPENDICE B
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1) (rapporto freccia/luce=1/5) 600 500 400
[kg]
300
Tmerid
200 100 S*
0 0
1
2
3
4
Nmer
-100 T mer
x [m ]
Fig. 40. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 1.
merid
e Tmerid lungo lo
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2) (rapporto freccia/luce=1/5) 700 600 500
[kg]
400 Tmerid
300 200 100 S*
0 -100
0
1
2
3
4
Nmer
x [m ]
Fig. 41. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 2.
478
T mer merid
e Tmerid lungo lo
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3) (rapporto freccia/luce=1/5) 700 600 500
[kg]
400 Tmerid
300 200 100
S*
0 -100
0
1
2
3
4
Nmer T mer
x [m ]
Fig. 42. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 3.
merid
e Tmerid lungo lo
Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4) (rapporto freccia/luce=1/5) 700 600 500
[kg]
400 Tmerid
300 200 100
S*
0 -100
0
1
2
3
4
Nmer
x [m ]
Fig. 43. Andamento della forza S* e delle sue componenti N spicchio 4.
T mer
merid
e Tmerid lungo lo
479
APPENDICE B
Momento flettente lungo gli spicchi 15
.e [kg.m]
10 5 0
M=N
0
1
2
3
4
M=N.e (spicchio 1)
-5 M=N.e (spicchio 2) -10 M=N.e (spicchio 3) -15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]
Fig. 44. Grafico del momento flettente lungo i quattro spicchi.
Hp lungo la diagonale 500 400
[kg]
300 200 100 Hp 0 0
1
2
3
4
5
-100 x' [m ]
Fig. 45. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.
480
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L Spinta orizzontale all'imposta y
450 400 350
[kg]
300 250 200 150
spinta (soluzione non ottimizzata)
100 50 0 0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
spinta (soluzione ottimizzata)
y [m ]
Fig. 46. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
481