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Italian Pages 592 Year 1964
Carlo Dossi Note azzurre DO
Adelphi
| Testo, prefazione, note . @ indici analitici | a cura di Dante Isella
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NOTE
AZZURRE
Carlo Alberto P Sanl-. Doss î in una fotografia del 1891
4378. La civiltà prima distinse il primitivo modo di vita, uno per tutto (come fan fede gli avanzi etnologici che si scoprono nelle palafitte e nelle caverne d’Europa, simili alla barbarie vivente nell’interno d'America e nella Oceania), in mille modi — poi tendette a confonderli, verso il grande suo scopo «/a massima unità nella maggior varietà».
4381. Dopo Orvieto sono monti brulli e giallicci con su tuguri dello stesso colore — come i bachi del cacio concolori a quanto è loro e casa e vivanda. 4382. Richter è l’unico autore che possa farmi ancor piangere. 4383. Roma è città internazionale, veramente cattolica. A Roma non trovi il pettegolezzo. Essa possiede il cosidetto uso di mondo, il savoir faire, e meglio il lasciar fare, la tolleranza per l’opinione altrui, il facile adattarsi ai modi non suoi, anzi la filosofica indifferenza, anzi lo scetticismo di chi viaggiò molto e molto mondo conobbe. Nè ciò perchè i romani abbiano effettivamente viaggiato: la maggior parte non oltrepassò i colli Albani, ma perchè Roma fu viaggiata da tutto il mondo, il che torna lo stesso.
4384. Incominciai nel 1877 a studiare il russo — ma poi, riflettendo che ciò non varrebbe nella mia biografia, se mai sarò degno di averne, se non una linea di più, mentre, impiegato nell’italiano quel tempo mi fruttereb-
be forse una pagina — abbandonai le steppe della cosacca letteratura, senza aspettare che per me vi nascesse qualche tisico fiore.
4385. Il pittore Ferrari, di Roma, lodando una signorina impareggiabile, diceva «è una fanciulla ineguale». 4386. Cadendo l’aristocrazia, cadendo il clero, fu neces-
sario allo stato di un nuovo corpo che avesse fortissimo interesse di sostenerlo e però fu creata «la burocrazia». 529
Per contrafforto alla quale si trovava poi anche, in questi ultimi tempi, il corpo de’ creditori. Lo Stato cioè s’indebitò co’ suoi sudditi, aquistandosi in tal modo migliaja di voti di lunga vita e fortuna. — Nota però che il sistema puntellativo del debito pubblico ebbe origine da Cesare, quando con una mano indebitossi con tutti i centurioni per renderseli fidi, mentre con l’altra, prodigando ai militi i denari mutuati, si fè amici anche quelli. 4400. Plinio Secondo nella sua 62? lettera a Trajano fa cenno delle cosidette conche (ritrovate poi da Leonardo) dicendo «cataractis aquae cursum temperare». —
4401. L’epistolario di Plinio, pregevole sotto molti rapporti, è però una continua adulazione all’autore e agli amici dell’autore (V. ad es. L. rx, lett. 23). Così Plinio rompeva continuamente le scatole a detti amici inviando loro i suoi ms. da leggere e da annotare e dimandando il loro schietto parere. Guai peraltro se osavano non trovare i suoi lavori ammirandi ! (Vedi ad es. L. rx, lett. 26) — Quanto al Penegirico di Traiano — è concettosissimo, e benchè difetti dell'onda poetica, appunto pel troppo sminuzzamento di frase, è pregevole — rettoricamente — assai. Inoltre è una finissima adulazione. 4402. Nel panegirico di Trajano, Plinio, facendo l’elogio della moglie e della sorella dell’imperatore dice «quo quidem admirabilius existimandum est quod mulieribus duabus in una domo parique, nullum certamen, nulla contentio est».
4403. Che fotte! (mil.) che sciocchezze! — non da fottere, coitare, ma da fautes (franc.) errori, bevute. 4404. A proposito della malaria che dicono dominare in Roma, potrebbe averci un po’ colpa la stessa Roma, e non la sola campagna romana. Roma infatti è un immenso cimitero in cui sono sepolti milioni e milioni di uomini. Il suo terreno non è che una puddinga di cocci fittili, d’ossa, di carboni.
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4405. 1878. 7 febbraio giovedì. Ore 5,45 pom. Morte di Pio IX. — 1878. 20 febbraio. Elezione del Cardinale Gioachino Pecci a papa Leone XIII (già eletto fin dalla sera prima). 4407. Wisst ihr denn nicht, dass es eine Zeit gibt, wo die Phantasie noch stàrker als im Jiùnglingsalter schafft, namlich in der Kindheit worin auch Vélker ihre Gotter schaffen und nur durch Dichtkunst reden? (id. [Richter]) Ai bimbi giovano quindi pochissimo i così detti balocchi fabbricati e venduti nelle botteghe. I bimbi hanno ubertosissima la fantasia. Cangiano tutto ciò che vogliono in un balocco — ed ogni balocco in quanto fantasticano. Aber an reicher Wirklichkeit verwelkt und verarmt die Phantasie, mithin sei jede Spielpuppe und Spielwelt nur ein Flachsrocken, von welchem die Seele ein buntes Gewand
abspinnt (id.). La fantasia del bimbo vuol migliorare il balocco. Se questo non è migliorabile, essa se ne stanca e lo abbandona. Reicht ihm (dem Knaben) nicht die Fier bunt und mit Gestalten ibermalt, sondern weiss; sie werden sich aus dem Innern das bunte Gefieder schon ausdrii[c]ken (id.).
4413. La danza è una invisibile danza.
inudibile musica; la musica una
4414. Più l’età avanza e più le fibre si fanno impervie alle sensazioni esteriori. E così avviene anche moralmente. Le nuove idee non possono essere accolte dalle coriacee intelligenze dei vecchi. 4415. La natura ci fece tutti necessariamente contenti della rispettiva individualità. Se ai voti di molti di vivere in altri tempi o in altre persone fosse posto il prezzo della perdita della propria individualità, deprecherebbero tutti i loro voti. «Nessuno vorrebbe esser altri. > 4416. Le guerre nazionali sono scellerate nè più nè meno delle civili.
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4418. Stiefelknecht, cava stivali prop. servo degli stivali. E poi dicono che la lingua tedesca è ricca! 4419. quando gli stomaci degli uomini erano cuochi a sè stessi... (ossia non si facevano cuocere i cibi ma li cuoceva lo stomaco).
4423. Col fonografo si potranno forse in avvenire anche imma[gaz]zinare le voci — farne, per così dire, una biblioteca. E però, dopo qualche secolo, se mai qualcuno desiderasse di udire il canto della Patti che deliziava le orecchie de’ suoi trisavoli, non avrebbe a far altro che sprigionare i raccolti suoni dal relativo rubinetto. E così il nipote potrà udire i consigli del nonno, e l’uomo fatto
schifosamente prudente, le sue stesse generose aspirazioni di gioventù, ecc. 4424. Yvyf, anima Cf. zuca (mil.) per capo — il contenuto e il contenente. 4425. Di faccia a Campione «(lago di Lugano)» è un’alta montagna, che vista appunto da quel paesello, presenta lo stesso profilo del Duomo di Milano. Il che è una prova non lieve della paternità attribuita ai Maestri Campionesi del nostro Duomo. L’imagine lungamente veduta dal bimbo non può non avere echeggiato, nella fantasia dell’uomo, guidando così la sua architettonica mano. 4426. Un cane era stato colpito in una osteria da una forchetta che gli aveva ferito una zampa. Ogniqualvolta si diceva: e in quell’osteria . .. vero? ... forchetta? — il cane dava in un lamento alzando la zampa. — Altro cane, e questo di razza del S. Bernardo, quando vedeva bambini senza bambinaja, li abboccava delicatamente per la cintura, e su, li portava via volendoli come condurre a casa.
4427. L’abate di Saint Pierre, inventore della parola bienfaisance, scrisse un Progetto di Pace Perpetua coll’arbi-
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trato internazionale, il quale fu definito il sogno di un galantuomo . .. E così scrisse una «Proposta di ricoveri per mendichi», ora applicata agli ospitali e agli accattoni — e osò trovare, fra i primi, assurda la venalità delle cariche,
proponendo i concorsi e la proporzione del merito — e voleva estese alle campagne le scuole primarie con maestri stipendiati ecc. Saint Pierre era ai suoi tempi un utopista — ma molte delle sue utopie sono oggi — mercè sua — una realtà. 4428. *, grande affarista, tiene per massima che «tutti i contratti son buoni», basta farli diventar tali, e ciò, colle liti. Quindi * accetta a qualunque patto un appalto, poi litiga fin sulle virgole, ed è di una tale cavillatoria finezza da insaccare una tribù di curiali. Notiamo però che dove la ragione gli cala, l’oro completa il peso. Nella fabbrica del Palazzo delle Finanze in Roma, deliberata a lui per 7 milioni, * fece 114 cause, e finì per tirare il contratto a milioni 12. L’ottantenne Talabot, altro grande intraprenditore, scaltrissimo genio più che ingegno della speculazione, dice, che niuno saprebbe ingannarlo, fuorchè *.
4429. Ai dì nostri per potere esser onesti, bisogna almeno possedere 6 mila lire di reddito. 4430. In generale, le inchieste sulla convenienza o meno della ingerenza dello Stato in particolari Istituti o Industrie conducono sempre a un risultato negativo. Il lasciar fare è il gran precetto della economia e della politica odierne, le quali, esperimentati tutti i sistemi, cominciano a capire che il migliore di tutti è il non sistema. La Civiltà ritorna l’uomo allo stato primitivo, colla ricca dote peraltro della ragione di cui non possedeva sul primo che l’iniziale centesimo. E anche lo Stato è un inutile lusso. Sia Stato ciascuno a sè stesso nell’immenso ambiente della immortale e senza confini Umanità. 4431. C’est ga (franc.) (è ciò) semipleonasmo affermativo trova un riscontro nel milanese
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. .. era dama che si addor-
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mentava facilmente in anticamera — fare il briccone tanto per stare in giornata — donna di primo amore — labbra mature ai baci — signore colle paglie ne’ capelli — l’ora in cui la guancia della vergine scotta. — Nell’età in cui prestiamo il nostro amore alle pietre e ce ne sentiamo riamati —
4920. *, spia dilettante dell’Austria — anima bieca — approfittò della mentecaggine del principe Emilio Belgiojoso per fargli aquistare per 50 0 60.000 lire di quadri antichi di nessun valore. 4921. Prati, sonettista, compose nel 1848 un libro dedicato ai più incliti patrioti. Sopravenuta l’Austria, cambiò le dediche in altre dirette ai peggiori austriaci ed austriacanti.
4922. Bianchi Giovini, mentre Cantù pubblicava la sua spropositata Storia Universale, fece uscire per le stampe un’opera intitolata « Degli errori di Cesare Cantù ecc.». Ne uscirono però tre sole dispense, poichè l’editore Pomba della Storia Universale fece tacere il Bianchi Giovini col652
l’ingoffo, dicono, di 3 o 4 mila lire. «Un esemplare dei fascicoli di B. G. me lo donò Cesare Vignati.> 4923. Il mio animo che sfiderebbe l’oceano in tempesta muore ora in un bicchiere di dormigliosa aqua. 4924. Prati indirizzò a Minghetti un sonetto in cui gli parlava come a cacciatore compiangendo i poveri augelli. Il sonetto finiva «perchè tiri all’uccel che a te non tira?» — Lo stesso Prati scrisse un sonetto in cui descrisse Bonghi che s’era posto a dormire con un rospo. Alla mattina fu trovato morto avvelenato — il rospo.
4925. In una città la Giunta municipale, avendo deciso d’imporre la muserola ai cani, fece appicare a tale scopo un preventivo avviso sui canti delle vie. Un bizzarro artista prese una spugna e, bagnatala dell’umore di una cagna calda, ne asperse gli avvisi. Tutti i cani che passavano si alzavano sulle loro zampe posteriori contro i manifesti, e pareva li leggessero, poi si voltavano e vi facevano sotto una pisciatina.
4926. (Secondo Maraini) l’odio di Carlo Cattaneo erano i sciuri de Milan. Cattaneo era perciò meno nemico dell’Austria di quel che pareva. Infatti l’Austria sosteneva in Milano la plebe contro i signori che le erano avversi ed avevano fatto parte delle congiure contro di essa. Chi dunque fa di Cattaneo quasi un campione del popolo erra. Non fu Cattaneo che spinse il popolo lombardo alla rivoluzione contro il dominio austriaco, ma il popolo che trasse Cattaneo. E difatti questi mirava più ad ottenere riforme dall’ Austria che non a costituire l’unità d’Italia, e quando udì il popolo rumoreggiare nelle vie di Milano disse: «i fioeu han tolt la man ai pappà». 4927. La scoltura fà per davvero, la pittura fà per finzione. Il pittore elegge — per riprodurre — il punto migliore del suo modello: lo scultore lo piglia tutto buono e cattivo, e siccome non c’è corpo bellissimo il quale, sotto qualche
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punto di vista, non si presenti brutto, non c’è statua senza un lato necessariamente scadente. 4928. Nelle opere del genio, vi ha alcune la cui creazione si direbbe aver recato all’autore momenti di gioja, tanto ci appajono sublimemente spontanee. Di altre invece si dubiterebbe che il loro parto abbia causato dolori, tanto sono stentate, involute, difficili. Alle prime appartengono le opere di Porta e di Rossini, alle altre quelle di Richter. — Contro questa opinione si può però citare la confessione di Béranger, le cui poesie sembrano il trionfo della spontaneità. Egli infatti scrisse che ogni sua ode gli costava uno sforzo e una sofferenza.
4929. Rov. Rovani diceva al marchese F. Villani, marito della sua amante e brutto come l’orco della favola: mi piaci, marchese, perchè sei l’anello di congiunzione tra l’uomo e il chimpanze. 4930. G. F. — La notte dell'Epifania (a Roma). Tutte le finestre guernite di scarpine, di cestellini, di calzettine. A mezzanotte in punto passa la processione della Befana — illuminata dalla luce elettrica. La Befana, vecchierella rubizza, vestita alla rococò, siede nel suo carozzone dorato, tirato da somari bianchi, guardando coll’occhialetto dallo sportello. Ha presso il suo segretario particolare, un uccelletto dal becco gentile che le confida all’orecchio i desideri ed i sogni delle bambine e dei bambini che si raccomandano a lei. Essa ha ricevuto in quel
giorno mucchi di letterine dai bimbi, su carta rosea ed azzurra. Dinanzi alla carrozza, una musica di zufoli e di trombettine di latta. Seguono molti carri zeppi di balocchi, di libri, di dolci. Intorno ai carri, angioli vestiti di bianco, colle ali di cigno. Ad ogni casa la processione si arresta. L’uccellino dice una parolina alla Befana — essa fa un cenno, e tosto un angiolo prende dai carri o confetti, o giocatoli o volumi e vola a deporli sulle finestre nelle scarpine, nei pedalini, nei panierini, dei bam-
bini doni. Talvolta però la Befana fa un altro segno. Ai carri bianchi sussegue un carretto tutto nero, tirato da
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caproni — con diavoletti rossi per cocchieree servitori. Il carretto è pieno di cenere e di carboni. I diavoletti ne pigliano manate e vanno ad empirne le calze ecc. dei bambini cattivi. E qualche volta, anzi, non prendono nulla dal carrettino. Si tratta allora di un bimbo cattivissimo. Un diavoletto dalle ali di pipistrello, più brutto degli altri, vola alla finestra indicata, vi si acchiocciola, e vi lascia uno stronzino.
4931. «dupl.) R. U. — «La mano felice» bozzetto sulle due classi di uomini ad una delle quali riesce tutto bene e all’altra tutto male. Non è questione di ingegno perchè anche gli sfortunati ne hanno, e talora, ne hanno
anzi
più de’ fortunati; non è questione di onestà poichè nessuna delle due classi ne è priva; non di previdenza ragionata, poichè spesso i fortunati ne difettano e gli altri ne fanno professione. Di che dunque? E quì osservare come vi sia qualcosa che sfugge ai calcoli ed ai compassi: vi è il cosidetto colpo d’occhio sicuro, la cosidetta mano felice che non si apprende da nessuna scuola e per nessuna esperienza. Descrizione delle due sorta di uomini. I primi entrano per es. la prima volta in una città, e senza alcuna indicazione trovano tosto il migliore albergo, e le migliori botteghe e sanno scegliere, quasi per istinto, il piatto migliore e la miglior merce. Gli altri, gira e rigira, dopo molti ragionamenti, si fermano alla peggiore bettola o al più birbo negozio e comprano il capo più avariato, o si allogano nella stanza peggiore. Così se c'è una bella e buona donnina, ricca per giunta,
cade nelle mani de’ primi. Gli altri cadono invece nelle unghie di donne briccone e puttane. Mentre poi i primi mettono i loro denari in banche che non falliscono mai; gli altri vendono i propri titoli di rendita quando questi sono in ribasso e ne comperano quando sono in rialzo . . CCC. CCC:
4932. La malvagità è disgraziatamente più appiccaticcia della bontà. Un briccone ne fà cento: un buono . . . resta solo. È il destino della roba cattiva che tutti cercano di affibbiare ad altri, mentre la buona ciascuna la tiene per
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sè. Che un briccone ne faccia cento, anzi mille, anzi un numero infinito, lo si impara, per es., osservando — talvolta a nostre spese — che, quando un debitore manca verso noi al suo debito, noi siamo spesso obbligati a mancare, per la mancanza sua, verso i nostri creditori, e così di seguito.
4933. Tipi umani. — Donnone pingue che mangia per quattro e beve per otto. Nei momenti perduti fa la pittrice o la letterata. E poi posa in artista e, sospirando, racconta agli amici i suoi patemi artistici, i suoi dolori per la vita del pensiero, dicendo che l’arte la consuma ecc. — Uomo nervosissimo, che ha bisogno per vivere, com’egli afferma, di continue scosse e ne cerca daper-
tutto, ecc. — 4934. Rov. — diceva a tale: tu non arrivi nemmeno
ad
essere una carogna: sei una carognetta, una carognettina. — Si discorreva di Leopardi. Altri lo magnificava oltre il suo giusto valore. Rov. che aveva talvolta lo spirito della contraddizione si mise ad inveire contro Leopardi finendo col dire «se Leopardi fosse nato a Sparta, sarebbe stato buttato nel... navili». E della poesia di Leopardi diceva «è bella ma ci [si] sente il gobbo». 4935. In molta parte dei letterati italiani del giorno, anche in voga, domina lo scrocco e la turpitudine morale. E si noti, sono letterati che fanno professione di virtù nei loro versi. C’è il * che si lascia mantenere dalle amanti altrui, ed a Parigi tiene «così mi è raccontato»), con una locandiera ruffiana, casa di meretricio, e scrocca pranzi e denari e domanda sussidi al Governo per giornali che
non fonderà mai. - C’è Milelli, poeta petroliere, che dà fuori una circolare a stampa in cui invoca la pietà cittadina per un illustre poeta che muore di fame (e quì incensa sè stesso) poi firma abusivamente la circolare coi nomi di Cavallotti, Righetti e d’altri, e la dirama, lui repubblicano, ai più spiccati moderati della città, alcuni de’ quali gli mandano venti, trenta lire. Donde una lettera di Cavallotti contro Milelli che sconfessa, indignato, 656
Luigi Perelli in una caricatura di T. Cremona
la involontaria complicità e di Righetti ecc. — C’è 1°**, fatto conte dal Governo della sinistra forse perchè appartenente ai primi baroni del Regno, il quale col suo «Dizionario de’ contemporanei» carpisce associazione e denaro dai laudandi oltre la collaborazione gratuita. In questo dizionario — mentre si tace di Gorini — appajono come celebrità le più note zucche d’Italia. Per colmo di sfacciataggine, ** si fà la sua adulatoria biografia e la pone come prefazione del libro. Dice in essa di vergognarsi di essere stato altra volta repubblicano. E per provare che, nel 1859, lo era ancora aggiunge di non avere voluto a quell’epoca combattere le battaglie dell’Indipendenza per non militare sotto bandiera monarchica! 4936. Correnti, a differenza di Rovani, legge malissimo ad alta voce, sia le sue che le altrui cose.
4937. Il progetto di tenere un fanciullo fin dalla sua nascita fuori dal contatto umano affine di scoprire se vi siano o no idee innate, incontrerebbe
nella sua esecu-
zione gravi difficoltà. Difatti, per conoscere se questo fanciullo avrebbe idee, bisognerebbe dargli anzitutto una lingua già fatta. Ora, una lingua, anche la più semplice, è un complesso d’idee dette parole e però per sapere se egli ha o no idee, occorrerebbe instillargliene alcune. Chi non sa che una idea ne figlia mille? 4938. In una stanza dove passò una donna — amante provvisoria — rimangono nell’aria il viperino odore di muschio e sul suolo le forcelle accusatrici.
4939. Del senatore Torrigiani, mezzo scemo, Correnti dice: pareva che nel suo capo ci fosse un po’ di farina, ma era uno spolvero. Soffiata-via, sotto era tutta crusca. — Correnti, oggi (1882), è di quelle persone che si debbono visitare il 2 novembre - il giorno della visita ai morti.
4940. G. F. — «Pasqua». Sotto il Governo pontificio, la comunione era un mezzo di polizia per conoscere l’animo
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de’ sudditi. Guai a chi non poteva presentare i suoi biglietti pasquali in perfetta regola. Questi erano richiesti per ottenere passaporti, licenze ecc. per essere ammessi agli esami, ai concorsi, agli impieghi, per maritarsi ecc. Tale ragazzo dodicenne doveva partire per raggiungere il padre, in esiglio, a Torino, ma la polizia papale non gli voleva accordare la licenza di andarsene, che a patto di comunicarsi. Era la prima comunione che quel ragazzo facesse. Dopo un pajo di giorni di esercizi spirituali e di confessioni, si arriva alla vigilia della cerimonia. È notte. Egli è a letto, in casa di una sua ava, donna bigotta, che lo aveva raccolto a Roma. È a letto col ventre che gli brontola pel digiuno impostogli, sognando costolette e bistecche. L’ava che sta nella stanza vicina, entra e lo desta. «Sai» gli dice «mi è venuto un dubbio che non mi lascia dormire. È la prima volta che ti comunichi e non so se saprai prendere come si deve la santa Ostia. Se l’Ostia ti toccasse i denti, sarebbe un sacrilegio. Sarà bene quindi di far qualche prova» — E difatti, la nonna va a pigliare delle cialde, le taglia colla forbice a forma d’ostia e comincia a fare le prove. «È andata giù?» domanda — «Sì, risponde mezzo assonnato il ragazzo, ma ha toccato nei denti». — «Proviamo ancora», dice l’ava, e così via si passa un’oretta a fare esperienze, chè l’ostia toccava sempre nei denti. Finalmente, il ragazzo riesce a ingollarla secondo la prammatica e l’ava se ne ritorna tutta contenta nella sua camera. Il ragazzo sta per riappiccare il suo sonno, quand’ecco un grido dell’ava, e la voce di questa che dice lagrimosamente: «ahimè, che ho fatto! che ho fatto! La mezzanotte era già suonata». In altre parole, il digiuno del comunicando era rotto e la comunione pel giorno appresso impossibile, ecc. 4941. Dispute medioevali: quanti angeli possono stare sulla punta di un ago? — Se in paradiso ci sono escrementi, ecc.
4942. Un capitano napoleonico, in una sortita notturna, gridò a’ suoi soldati «i nemici sono tremila! addosso!» — I soldati caricarono valorosamente e i nemici fuggirono. 658
Ma i nemici non erano che 300. Rimproverato tano perchè avesse esagerato il numero degli rispose: i miei valorosi per 300 nemici non combattuto col valore con cui combatterono tremila.
quel capiavversari, avrebbero i presunti
4943. Ad un tale era stato da un medico omeopatico ordinata la cura dell’jodio per guarire di un principio di gozzo. Fa la cura e gli compajono delle macchie nere alle mani. Va dal medico. Questi sfoglia certi suoi trattati e gli mostra che appunto l’jodio era la causa di quelle macchie — per ciò gli diminuisce la dose. Ma le macchie non diminuiscono — Si seppe poi che quelle macchie nerognole provenivano da un pajo di calzoni nuovi che colui indossava, le saccoccie de’ quali erano di una tela cotone nera che perdeva facilmente il colore. Se il sarto avesse adoperato altra tela, i trattati del medico restavano sbugiardati. E chissà anche che l’osservazione fatta dagli scrittori di que’ trattati non poggiasse sovra una base altrettanto sicura! 4944. Una commissione di notabili milanesi dovette, nell’epoca austriaca, recarsi a Vienna per presentare non so quale supplica all'Imperatore Francesco I. Nella commissione era il panciuto Sebregondi, il quale tremava di trovarsi dinanzi al sovrano. Giunto il giorno e l’ora dell’udienza, la commissione è introdotta nell’aula dove stava Francesco I, vecchio e burbero. Tutti s'inchinano profondamente al monarca, ed anche Sebregondi. Ma nel chinarsi, che è che non è, . . . Sebregondi teneva nel saccoccino del panciotto uno di que’ grossi orologi che allora si usavano nel quale, oltre il congegno per le ore, era un gariglione. Il bottone del quale, premuto contro la pancia nell’atto dell’inchino quasi fino a terra, mise in moto il relativo organetto. E lì si sentì ad un tratto ri-
suonare in mezzo alla commissione una musichetta allegra che mal contrastava colla severità dell'ambiente.
Francesco I si accipigliò. Sebregondi divenne di rosso, violetto. La musica continuava, sempre più galoppante. Nessuno osava dire parola. E Francesco I, esasperato
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«fuori tutti» gridò «impertinenti». Uscirono tutti, tremando, a suono di musica.
4950. In un collegio di ragazze diretto da monache, le educande, quando uscivano a passeggio, dovevano turarsi le orecchie con bambagia. C’era una monaca appositamente incaricata d’ispezionare le loro orecchie. Quanto poi agli occhi, esse dovevano guardarsi sempre la punta delle scarpe. Tornate a casa, altra ispezione alle orecchie. Le ragazze che se le erano stappate in istrada si affannavano allora a chiedere qualche po’ di bambagia a quelle fra le loro compagne che, più obbedienti, s'erano tenuto le loro zeppe riparatrici delle parole insidiose. Le monache contavano alle ragazze che la bambagia nelle orecchie manteneva sano l’udito, tenendolo sgombro dalla polvere, impedendo agli insetti d’introdursi nel meato uditivo: in altre parole, quelle monache, per assicurare l’uso delle orecchie alle loro scolare, ne toglievano l’uso stesso. 4951. Nelle colonne coclidi di Marco Aurelio e di Trajano si osserva che il bassorilievo che le circonda a spirale da piedi a cima è ineguale in altezza, e che la corda che si aggira con esso intorno al maschio della colonna ora si abbassa, ed ora si alza. La presumibile ragione di ciò sarebbe che l’artista volle raffigurato il bassorilievo come se fosse dipinto su di un papiro che avvolga la colonna, sostenuto da un cordone. Non è imperizia dunque ma amore del vero la diseguaglianza della striscia scolpita. E certamente, nella base, debbono esser stati scolpiti, e se ne vedono ancora traccia, i nodi della corda.
4952. Tale, vecchio militare, raccontando di una certa battaglia nella quale aveva pugnato: «Figuratevi» diceva, alludendo al gran fuoco di moschetteria che vi s'era fatto — «c’era un tal caldo . . . che il giorno appresso, benchè si fosse ancora in marzo, si trovarono tutte le ciliegie, che erano sul campo di battaglia, maturate». —
Millanterie, quasi militarie. 660
4953. Nel L. d. B. — o nella Milano archeologica (archeologia minuta) inserire un bozzetto in cui si descrivano artisticamente sentimentalmente e storicamente i visucci e le testine trecentesche e quattrocentistiche scolpite sul basamento del Duomo di Milano. Alcuni di essi rappresentano evidentemente architetti e sono probabilmente i ritratti dei costruttori del Duomo:
altri sono caricature,
forse delle persone più note in Milano nelle varie epoche in cui vissero i detti costruttori, i quali, com’era costume
del tempo, erano anche scultori. Pei nomi ecc. vedi annali della fabbrica del Duomo, che si vanno pubblicando dalla fabbriceria della Metropolitana. Considerazioni sulle generazioni dei loro concittadini che quei visucci hanno veduto a passarsi dinanzi — e sulle invasioni forastiere in Milano, l’ultima special. (dopo il 1859) affaristica e giornalistica. 4954. Collegio di ragazze. Assentatasi la maestra (monaca), una bruna, più ardita delle altre ed anche più grande, promette di far vedere le sue gambe alle compagne se queste le faranno vedere prima le loro. Le compagne credule alzano l’una dopo l’altra le sottane. Grande esposizione di polpacci e ginocchi. Descrizioni. Chi le ha belle alza tosto il vestito, chi magre o storte fa la pudica e non le alza che a mezzo. La bruna guarda e ride. Visto tutto, alle compagne che le si affollano intorno, dimandandole di mantener la promessa, fa il noto cenno del «cippen i merli», e se la cava. Comica ira delle ragazze — Nello stesso collegio una ragazza, che insiste perchè le bambine più piccole le piscino nelle mani tenute a scodella e piglia in ciò un gusto di strana libidine (storico).
4955. Le notizie che dovrebbero rimaner segrete ma che trapelano dalle più gelose amministrazioni pubbliche, si raccolgono più nel basso che nell’alto. Il vino si spilla dall’imo, non dal sommo
della botte.
4956. Rov. a Padova, studente, buttava le svanziche della mesata alla rinfusa nei tiretti del canterano (coumod) nè le contava mai nè calcolava quante gliene potesser re661
stare, per così conservarsi la speranza di trovarne sempre. Cf. con Tranquillo Cremona che faceva egualmente.
4957. Ricordi infantili di Carlo Dossi. - Da bimbo era cattivissimo. Di 3, o quattro anni il Dossi aveva istinti di rapacità e quando vedeva nelle mani di qualche altro bimbo qualche bel giochetto, glielo strappava appropriandoselo. Perciò, la mamma, rimproverandolo, gli fece imparare che non doveva prendere se non quelle cose che altri gli offriva. E il Dossi, per mettere in pratica il precetto di mamma, prese l’abitudine, quando vedeva nelle mani di altro bimbo un oggetto che gli talentava, di dire a questo bimbo «fà tè» (fa: prendi). «Tè» diceva ingenuamente il bimbo. Allora il piccolo Dossi si pigliava l’oggetto desiderato, e non lo cedeva più, col pretesto che glielo avevano offerto. — Così, al Carletto piaceva, ai giardini pubblici, di far chiudere gli occhi a’ suoi piccoli compagni — messi in fila — dicendo loro «voi fate : orbitt (i piccoli ciechi) ed io sarò il vostro cane barbino», e infatti, prendendoli a mano li conduceva... contro qualche pianta. — Si divertiva anche a richiamare una folla di villanelli sotto il poggiolo della casa paterna di campagna (Balsamo) o dinanzi al portone di cui teneva aperta la postierla, sia facendo bolle di sapone, sia giocando ai bussolotti. Quando poi vedeva intenti e colle bocche in su i villanelli o gettava loro ad un tratto sul capo il catino dell’aqua saponata, o, dicendo loro: attenti all’ultimo gioco, li inaffiava colla pompa dell’aqua apparecchiata preventivamente. I villanelli si vendicavano — ed avevano ben ragione — gettando pietre sul suo poggiolo o sterco bovino contro il suo portone. — Nascondeva spesso gli occhiali della nonna e quando sentiva la nonna promettere una lira a chi glieli avesse trovati, li andava con molto affanno a cercare e li scopriva, beccandosi la lira. — Col crescere degli anni, gli diminuì la cattiveria ma gli si accrebbero le manie. S’innamorava di un gioco, di uno studio, non c’era più verso di tenerlo, voleva sagrificar tutto per quel gioco o per quello studio, salvo poi ad abbandonarlo di punto in bianco. Così gio-
cando ai soldatini di stagno non gliene bastava una sola 662
scatola, ma spogliava la bottega del baloccajo di tutto l’assortimento; giocando alle marionette, ne empiva la casa; prendendo passione per le monete antiche, se ne portava a casa sacchi ecc. — Scrisse la sua prima lettera d’amore a 7 anni, ad una fanciullina di 6 colla quale giocava a correre nei giardini pubblici — certa Restelli, figlia di un pubblico impiegato, credo, di prefettura —
4991. Il genio cammina sempre sull’orlo dell’abisso della pazzia. Scivolatogli il piede, finisce spesso a precipitarvi. — Gli accessi geniosi e gli accessi maniaci sono di eguale natura, esaltazioni entrambi dei nervi della intelligenza, colla differenza però che i primi sono produttivi e gli altri no. — La pazzia potrebbe chiamarsi un tetano morale. 4992. A Viareggio (1882) vedevo in distanza la gittata del molo piena di gente. E questa gente sembrava tutta di un colore e di un’altezza. Quante diverse stature, quanti vari colori, invece, da vicino! — Così, delle cifre raccolte dalla scienza statistica. Mentre migliaja di differenti conclusioni si possono trarre dalle piccole, le grandi non ne danno che una sola — che è la media di tutte, che è la verità.
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4993. L’anno 1882 fu per me — il terribile anno. Esso mi segna la morte della mia adorata mamma (17 maggio) — il disastro finanziario completo di mio fratello Guido (novembre) — ed una gravissima nevrosi che mi condusse ai confini della morte intellettuale ed anche della fisica (nov. dic. 82) — E segna pure sul mio taccuino [rasura]. Il 1882 diede l’ultimo crollo al già compromesso peculio mio, mi tolse la Tea, cagnolina carissima alla mia mamma
ed a me, e per gli avvenimenti politici che si succedettero contrari ai voti de’ miei amici, mi allontanò gran parte della speranza che mi si aveva fatto nascere in un rapido e brillante progresso della mia carriera d’ufficio. — 4994. (1882) È certo che un movimento rivoluzionario si va spandendo in Europa fra le classi operaje e che tutto minaccia uno scoppio prossimo. Le comodità, anzi il lusso dell’età odierna, lo hanno in gran parte provocato. L’operajo non può dinanzi alle botteghe che ostentano gli agi e i piaceri aquisibili da una classe ricca, sfuggire di paragonare quella classe e la sua. L’operajo, che non ha letto Bastiat, ignora [che] quel lusso è solitamente comprato dal risparmio, lavoro accumulato, e che i fanulloni d’oggi ebbero padri lavoratori e gli agiati, nonni miserabili. Nè riflette che gli stessi suoi figli potrebbero, mercè sua, assurgere alla classe che ora invidia e odia. Egli non scorge se non il presente, egli non pensa che di raggiungere con colpo di mano quanto desidera. Presta quindi orecchio obbediente alle lusinghiere teorie degli scrittori di comunismo, e, sciolti i ritegni fittizi delle religioni, non bastano a rattenerlo dalla strada che gli addita la sua cupidigia i precetti di una morale imparata a memoria.
4995. P. U. Nei Ministeri, quei signori capi che esigono dai loro amanuensi copie delle loro spropositate note in magnifica scrittura, le sottoscrivono poi col peggior carattere possibile. Vi ha anzi alcune aquile burocratiche che fanno degli studi speciali per procurarsi una firma illeggibile. Tanto varebbe la croce dell’illetterato! tanto varebbe inviar delle anonime! Non firmare leggibilmente è
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atto di villania somma. E perchè mai, in tanto scialaquo di circolari ministeriali, non se ne fa una per imporre la perspicua sottoscrizione nelle note d’ufficio? 4996. È un fatto purtroppo inconfutabile che, in generale, i bricconi trionfano e i galantuomini vanno al fondo. Ora, [non potendo] la ragione ammettere!?! l’esistenza di una seconda vita dove si aggiustino i conti e avvengano compensazioni, non si saprebbe come conciliare un tal fatto coll’eterno principio dell'Universo che esige per mantenersi Giustizia e Amore. Sostiene qualcuno che i buoni trovano il debito premio nella soddisfazione della propria coscienza — soddisfazione negata ai bricconi. Sia pure. Ma intanto i malvagi non possono, dalla privazione di un piacere che non hanno mai conosciuto nè sono in grado di indovinare, sentire un equivalente dolore. Anzi, vi ha di più. Chè la esecuzione del male provoca anch’essa nei loro animi un gusto — gusto perverso, come dicono i galantuomini, ma che non è forse inferiore in realtà ed intensità a quello sentito dai buoni. Al cane odora soave lo sterco come la mammola alle fanciulle. 4997. Le bontà di una donna cattivissima. Essa faceva l’elemosina buttando dalla finestra i soldi ai poveri ciechi... per divertirsi a vederli affannosamente a cercare dove il soldo fosse caduto. Non tradiva mai suo marito, Dio guardi! non desiderava, non voleva che gli abbracciamenti di lui — e poichè questi abbracci erano un po’ tardi e radi li provocava amorosamente, somministrando di nascosto al marito dosi... di cantaride. — Ecc. ecc.
4998. Roma. — Via Sistina potrebbe chiamarsi la via della falsa, della convenzionale Roma. Quì non incontri roma-
ni, ma tedeschi, inglesi, francesi, russi. Le insegne delle botteghe sono in lingue straniere spropositate. Botteghe di roba di scarto venduta per novità. Antichità che sentono l’inganno lontano un miglio. Sculture orribili che ostentano di rappresentare l’arte italiana. Fotografie, sempre quelle, della solita dozzina di punti di vista dei monumenti di Roma. Gruppi di fanulloni abbigliati in co-
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stumi che non sono romani nè di ciociaria — tutta roba teatrale: gente che fa il mestiere di fingere la popolazione romana. Un ambiente insomma di falsità, di trattoria, di albergo. 4999. Molte donne, che dicono di aver studiato, fanno le professore e le conferenziere di calcolo sublime, di alta politica, di dogmi rivoluzionari. Quanto più utile e più
scientifico sarebbe invece che qualcuna fra esse tenesse cattedra di cucina dal triplice punto di vista della chimica domestica, della igiene, della economia!
— Il no-
stro stomaco è ora in mano a cuoche ed a cuochi che ce lo guastano, ce lo avvelenano per ignoranza. 5000. L’originalissima pittura di T. Cremona è infalsificabile. Il solo Luigi Conconi, che ha lungamente studiato la pennellata e l’animo cremoniano vedendo Tranquillo lavorare e facendo vita assidua con lui può sufficentemente imitarla — dico sufficentemente perchè Conconi ha tanta originalità per suo conto da non potere interamente piegarsi al mestiere dell’imitatore. È una imitazione però che non resiste allo sguardo dello scaltrito. All’esposizione delle opere di T. Cremona, fatta dopo la morte di questi, figurò pure una testina adorabile, dipinta però non da Tranquillo, ma da Conconi. Ciò sapevasi dagli ordinatori della esposizione ma non si potè evitare, non volendosi, come si dice, scoprire altarini. Essendosi infatti presentato allo studio di T. C. certo tale per chiedergli seccantemente qualche cosa di suo — e il tale diceva che gli sarebbe bastato qualunque minimo segno — T. C., additandogli una tela che Conconi aveva appena abbozzata «se vuole — rispose, un mio segno, eccone uno» e gliela appioppò. 5001. L. d. B. — Vita artificiale — Descrizione di un ambiente e di persone che non sussistono se non per mezzi artificiali: dalla terra l’uomo ha spremuto tutto il succo che essa poteva dare, la esagerata produzione l’ha esaurita e così anche l’abuso dei nervi e dei muscoli ha esaurito l’uomo. Non si procede quindi che a forza di ecci676
tanti e di succedanei. Al sole per così dire bianco, è sostituito il sole nero (carbone) —: il cibo si fabbrica non più dal vegetale e dall’animale, ma dal solo minerale (ferro, arsenico, ecc.): nelle case, ne’ giardini vedi fiori che non si adaquano ma si spolverano: dentiere di metallo, stomaci di guttaperca, apparecchi ortopedici fanno da gambe e da braccia ecc. ecc. 5002. «Degli intimi rapporti fra la costituzione fisica e l’espressione letteraria o morale». Sarebbe questo un tema, il cui svolgimento interesserebbe in pari misura la medicina e la letteratura. Per es. dalla maggiore o minore celerità del circolo sanguigno, dalle sue intermittenze o dalla sua continuità, può ricavarsi il vero ritratto dello stile di uno scrittore e delle idee di un pensatore. Opere lunghe, eguali, tornite, non le può dare che uno in cui la vita fluisce pacatamente costante. Opere a sbalzi, di corto fiato le offre chi va soggetto a ineguaglianze nella circolazione. Reciprocamente nella diagnosi delle malattie che affliggono gli uomini di lettere, i medici potrebbero ottenere preziose indicazioni — indicazioni assai più sicure di quelle che può dar loro l’auscultazione e la percussione — dalla meditata lettura degli scritti di quelli stessi letterati, ecc.
5003. R. F. I miei vecchi avevano non solo la debolezza di ber molte bottiglie di vino, ma di riporne rilevanti quantità in nascondigli. A Montecalvo dura tuttora la tradizione che D.2® Luigia, moglie del nonno, abbia fatto
murare ne’ sotterranei del Castello 10.000 bottiglie di moscato bianco. A Pavia, nel palazzo già nostro in via Corti, l’Arnaboldi suo attuale possessore, nel fare abbattere un muro scoperse un deposito di un migliajo di bottiglie di Bordeaux, celatevi a quanto sembra da una cinquantina d’anni. La vecchiezza aveva però fatta svanire ogni forza a quel vino, diventato aqua cattiva.
5003 [bis]. Mio zio paterno, Gaetano Pisani, gran bevitore come suo padre Carlo [rasura]. Di notte capitava in
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camera de’ suoi figli (ne aveva quattro e maschi) li svegliava, e lor teneva in camicia de’ predicozzi politici sui partiti e si scaldava e se la pigliava con avversari imaginari, ecc. E guai a chi de’ suoi forzati ascoltatori si appisolasse. « Vergogna !» gridava D.® Gaetano — «Un figlio dormire mentre suo padre parla» — e giù uno scapellotto. 5004. Gor. La sorella di Gorini, moglie del D." Arpesani di Milano,
era anch’essa,
come
il marito
e il fratello,
donna forte e patriotica. Essendole stato il marito, per delitti politici, condannato ai lavori forzati e trasportato a Mantova, essa si recò col figliolino Ercole in questa città e tanto fece pubblicamente per mostrare che divideva i sentimenti del marito, che venne incarcerata pur essa e potè così passare un mese per condanna de’ giudici, nell’ergastolo, e per pietà de’ secondini nel medesimo carcere del D." Arpesani.
5005. Fu un’epoca in Italia dal 1820 al 1860 circa che tutto quanto vi ha di più sgraziato nel gusto e di peggiore nella fabbricazione si era introdotto nell’arte o nelle industrie paesane. Le foggie degli abiti erano quanto mai ridicole. I mobili, gli addobbi di quel tempo fanno, oggi, schifo. Basterebbe descrivere un appartamento d’allora, con certe tendine da parrucchiere, certe forme di divani e sedie incomodissime, certe litografie appese alle pareti ecc. — basterebbe sfogliare una di quelle strenne dorate che il Ripamonti Carpano dava allora alla luce al principio di ogni anno, per persuadersene —
5006. T. Cremona dipinse anche, a tempera, una colossale Fama per una sala destinata ad una occasionale premiazione: fu poi, dopo una dozzina di anni, ritrovata dai Grubicy, i quali l’aquistarono col solo compenso di una mancia al facchino che la recò nel loro magazzino, e vendettero per 500 lire allo scultore Barzaghi. «E dipinse (a fresco?) due personaggi medio[e]vali pel Duca Scotti di Milano) — Cremona, miniò sull’avorio parecchi magnifici ritratti; fra gli altri, uno dell’Erminia Mayor, 678
or posseduto (1882) dal S." Emilio Civelli, uno di Gina Possenti, posseduto «prima» da Guido Pisani
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ADELPHI
pubblicati:
Daniel Defoe, La vita e le avventure di Robinson Crusoe Georg Bichner, Opere Niccolò Tommaseo, Fede e Bellezza Gottfried Keller, Tutte le novelle (1°) Gottfried Keller, Tutte le novelle (2°) Henry Adams, L'educazione di Henry Adams Niccolò Machiavelli, Opere letterarie Stendhal, Vita di Henry Brulard NDOUAWLN 0 Ricordi d’egotismo Friedrich Nietzsche, Aurora e Frammenti o postumi (1879-81) 10 Carlo Dossi, Note azzurre (in due tomi)
« ... esempio umano ed artistico di sincerità spregiudicata, di assorbita cultura, di sanità spirituale ad oltranza ». Giovanni Boine