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Italian Pages 1063 Year 2018
I CAPITELLI
PAOLO CELLINI
La rivoluzione digitale Economia di Internet dallo Sputnik al machine learning Prefazione di Luca De Biase Con una premessa di Carlo Ratti
La rivoluzione digitale © 2018 Luiss University Press Prima edizione: 2018 Prima edizione digitale: 2018 ISBN: 978-88-6105-351-9
Indice
Premessa Prefazione Introduzione capitolo 1 L’era digitale: il ruolo di Internet nella digitalizzazione dell’economia 1.1 L’era digitale 1.1.1 Elementi caratteristici 1.2 L’evoluzione dell’economia digitale 1.2.1 Business economy: La digitalizzazione dell’informazione 1.2.2 Marketplace digitali 1.2.3 Innovazione digitale e crescita della business economy 1.2.4 Economy of people e Digital thinking 1.2.5 Economy of things 1.2.6 Digital economy timeline
capitolo 2 L’era pre-Internet 2.1 La rivoluzione dell’ICT 2.1.1 Evoluzione dell’ICT 2.1.2 Sviluppo dell’ICT: punti salienti 2.2 Interazione uomo-macchina 2.2.1 Evoluzione del computer 2.2.2 Produttività aziendale e introduzione delle ICT 2.3 Supporti di memorizzazione 2.4 La rete 2.5 La multimedialità 2.6 Sviluppo globale dell’istruzione capitolo 3 L’industria Internet 3.1 I modelli generali di internet 3.1.1 Internet come sistema economico 3.1.2 Internet come Sistema Complesso Adattivo 3.1.3 Internet come General Purpose Technology
3.1.4 Internet e le teorie dei Large Technical Systems 3.2 I modelli specifici di internet 3.2.1 Modelli a strati: The Four Layers Internet Model (CREC 1998) 3.2.2 Modelli a strati: Internet Intermediaries (OECD 2010) 3.2.3 Modelli a strati IDC (2011) 3.2.4 Modelli a strati: l’Internet “stack” (BCG 2011) 3.2.5 Modelli a Flussi: The Internet money flows (O’Donnell, 2002) 3.2.6 Modelli a Flussi: The Internet Ecosystem (Hamilton, 2007) 3.2.7 Modelli Value Chain: Internet Value Chain (A.T. Kearney 2010) 3.3 Internet come platform 3.3.1 Le fasi della Meta-Platform Internet 3.4 Un modello pluridimensionale per rappresentare internet 3.4.1 I limiti dei modelli analizzati 3.4.2 Il Framework LIIF
capitolo 4 Le caratteristiche 4.1 Internet Infrastructure Layer 4.1.1 Infrastruttura cumulativa 4.1.2 Infrastruttura Aperta 4.1.3 Infrastruttura programmabile 4.1.4 Infrastruttura annullatrice di tempo e spazio 4.2 Internet Access Layer 4.2.1 L’accesso universale 4.2.2 La mobilità 4.2.3 La multipiattaforma 4.2.4 Il Multi-Device 4.2.5 Accesso cumulativo 4.3 Internet IT Layer 4.3.1 Fast Evolving Tech Based Media 4.3.2 Centralized Computing & Software as a service 4.3.3 Infinite storage capability 4.4 Internet Intermediary Layer 4.4.1 Information Asymmetry Reducer 4.4.2 Flexible Mediating Technology
4.4.3 Increasing Management Efficiency 4.5 Internet Content Layer 4.5.1 Transaction cost reducer 4.5.2 Supply of Creative Content 4.5.3 Content Unbundling capitolo 5 La domanda di Internet nell’era digitale 5.1 La domanda di internet vista come analisi della spesa 5.1.1 L’impatto di Internet sulla crescita e il processo di digitalizzazione dell’economia 5.1.2 Ricerca, innovazione ed economia: il peso dell’Internet economy 5.1.3 Il valore dell’industria Internet 5.2 Consumer Surplus 5.3 La domanda di internet vista nei singoli layer 5.3.1 La domanda nell’Infrastructure Layer 5.3.2 La domanda nell’access layer 5.3.3 La domanda nell’IT layer
5.3.4 La domanda nell’Intermediary e content layer capitolo 6 L’offerta di Internet nell’era digitale 6.1 Analisi della fornitura di internet 6.1.1 Capitale umano (Human Capital Index 2016) 6.1.2 Financial Capital 6.1.3 Infrastructure 6.1.4 Business Environment 6.2 Economia digitale e catena del valore di internet 6.2.1 Diritti sui contenuti (Content Rights) 6.2.2 Servizi online 6.2.3 Search and information 6.2.4 Social, community and communications 6.2.5 Cloud and other e-services 6.2.6 Enabling Technolgies and Services 6.2.7 Connettività (Connectivity) 6.2.8 Interfaccia utente (User Interface)
capitolo 7 Principali modelli economici 7.1 Internet in funzione dei modelli economici 7.1.1 Cost Structures 7.1.2 “Network Effects” o Effetti di rete 7.1.3 Switching Costs and Lock In 7.2 Le piattaforme web e mercati multisided 7.2.1 Caratteristiche dei mercati Two/Multisided 7.2.2 Multisided Platform 7.2.3 Esempio di Multisided platform: Google 7.2.4 Pricing nei Multisided Market 7.2.5 La competizione nei Two-Sided Market 7.3 Impatti economici di internet 7.3.1 Impatto di Internet – Lato Fornitori 7.3.2 Impatto di Internet – Lato Consumatori 7.3.3 Impatto di Internet sul mercato 7.4 Market by evolution – Market by design
7.4.1 Market by Evolution – Evoluzione dei nuovi mercati 7.4.2 Colonizzazione dei nuovi mercati 7.4.3 Combinazione di “Information Cascade” & “Wave of Enthusiasm” 7.4.4 “Provision of Infrastructure” 7.4.5 “Capture the First Mover Advantages” 7.4.6 Consolidamento dei nuovi mercati 7.4.7 Barriere di ingresso 7.4.8 Market by Design 7.4.9 Sponsored Research Auction 7.4.10 Evoluzione dello “Sponsored Search Auction” 7.4.11 “Search in e-commerce” o “Consumer Auction” 7.5 Specificità degli internet market 7.5.1 Scalabilità 7.5.2 Personalizzazione 7.5.3 Potenziale di Innovazione 7.5.4 Misurabilità capitolo 8
Business model nell’economia digitale 8.1 Definizione di Business Model 8.2 Letteratura sulla classificazione dei Business Model 8.3 Classificazione di Brambury – Internet commerce 8.3.1 Transplanted Real-World Business Model 8.3.2 Native Internet Business Model 8.4 Classificazione degli Internet business model 8.4.1 Modelli Transaction Based 8.4.2 Transaction Based Models: Brokerage Model 8.4.3 Transaction Based Models: Merchant Model 8.4.4 Transaction Based Models: Subscription Model 8.4.5 Transaction Based Models: Utility Model 8.4.6 Modelli Advertising Based 8.4.7 Advertising Based Models:
Advertising Models 8.4.8 Advertising Based Models: Intermediary Models 8.4.9 Modelli Free Based 8.4.10 Free Based Models: Community Models 8.4.11 Free Based Models: Free Models capitolo 9 I principali mercati di Internet 9.1 Mercato online advertising 9.2 Dimensioni del mercato 9.3 Segmenti di mercato 9.4 Approfondimento search advertising market 9.4.1 Tassonomia della web search 9.4.2 Dimensioni del mercato legato al search advertising 9.4.3 Principale innovazione nel search advertising 9.4.4 Approfondimento Display Advertising Market
9.4.5 Mercato del display advertising 9.5 Innovazione nel display advertising 9.5.1 Contextual Targeting 9.5.2 Non Contextual Targeting 9.6 Approfondimento advertising networks market 9.7 Mercato e-commerce 9.7.1 Le origini dell’e-commerce 9.7.2 Le tipologie di e-commerce 9.7.3 E-commerce business to business (B2B) 9.7.4 E-commerce business to consumer (B2C) 9.7.5 E-commerce business to employee (B2E) 9.7.6 E-commerce business to administration (B2A) 9.7.7 E-commerce consumer to business (C2B) 9.7.8 E-commerce consumer to consumer (C2C) 9.7.9 E-commerce pear-to-pear (P2P)
9.7.10 Innovazione nell’e-commerce 9.7.11 Benefici derivanti dall’e-commerce 9.7.12 Dimensione mercato e-commerce capitolo 10 Economy of people e digital thinking 10.1 Digital disruption 10.2 Sharing Economy 10.2.1 Origini 10.2.2 Le forze di mercato che hanno permesso la collaborative economy 10.2.3 L’impatto dirompente della sharing economy sui settori tradizionali 10.2.4 Le principali forze di mercato contrarie alla sharing economy capitolo 11 Economy of things e Internet of things 11.1 Internet of things e ambiti applicativi 11.1.1 Dimensioni del fenomeno 11.1.2 Big Data
11.1.3 Cloud Computing 11.1.4 Simulation and Virtualization 11.1.5 Cybersecurity capitolo 12 Economy of think e intelligenza artificiale 12.1 Intelligenza Artificiale 12.2 Classificazione delle tecnologie AI 12.2.1 Machine Learning 12.2.2 Discovery & Analystics 12.2.3 Natural Language Processing & Speech Recognition 12.2.4 Image Recognition 12.3 Come l’Intelligenza Artificiale sta cambiando le teorie economiche 12.4 La struttura dell’offerta 12.5 I numeri di mercato dell’Intelligenza Artificiale 12.5.1 Grandezza del mercato 12.5.2 Settori di impiego e guadagni (futuri)
12.5.3 Investimenti nel settore AI 12.5.4 Operazioni di investimento di capitale di rischio 12.5.5 Le operazioni di M&A 12.5.6 Panorama mondiale dell’Intelligenza Artificiale 12.6 Impatto dell’AI sulle aziende capitolo 13 Mobile economy e il fenomeno delle startup 13.1 I fattori che hanno fatto esplodere l’imprenditoria web 13.1.1 Abbattimento dei costi di avvio 13.1.2 Maggiore facilità nel raggiungere nuovi clienti 13.1.3 Maggiore facilità nel raggiungere i ricavi 13.2 L’approccio delle Web Scalable Startup 13.2.1 Lean Startup Methodology 13.2.2 Minimum Viable Product 13.2.3 Continuous Deployment
13.2.4 Split testing 13.2.5 Vanity metrics 13.2.6 Pivot 13.2.7 Customer Development 13.2.8 La Business Model Innovation 13.3 Il ruolo del Venture Capital nella creazione di Startup 13.3.1 Economia delle Multisided Platform Startup 13.4 Venture Capital e principali settore di interesse 13.4.1 Big data 13.4.2 Cloud 13.4.3 E-commerce 13.4.4 Enterprise 13.4.5 Mobile 13.4.6 Media 13.4.7 Social Networking 13.5 Il ruolo degli acceleratori 13.5.1 Caratteristiche dei programmi di accelerazione 13.5.2 Perché un imprenditore entra in un
acceleratore Conclusioni Riferimenti bibliografici Sorgenti statistiche usate nel libro
Premessa di carlo ratti
Negli anni Novanta del secolo scorso, agli albori della rivoluzione digitale, era opinione largamente condivisa era che Internet avrebbe portato alla scomparsa delle città. Con l’avvento della rete, ritenevano autorevoli studiosi – tra cui l’economista britannica Francis Cairncross, autrice di un libro intitolato significativamente «La morte della distanza» – gli spazi fisici avrebbero irrimediabilmente perso il loro valore. Sarebbe stato possibile accedere istantaneamente a qualsiasi informazione da ogni punto della terra, questo avrebbe reso inutili gli insediamenti urbani. L’idea era così radicata che lo scrittore e filosofo americano George Gilder arrivò ad affermare che le metropoli non erano altro che un
“inutile retaggio del passato”. Nessuna previsione sarebbe potuta risultare più errata. Sappiamo tutti che negli ultimi due decenni l’urbanizzazione ha vissuto una crescita straordinaria: dal 2008 addirittura metà della popolazione umana vive nelle città. I teorici della “morte della distanza” avevano infatti dimenticato qualcosa di fondamentale per l’esperienza umana: l’importanza dell’interazione fisica tra persone. Tuttavia, se l’avvento del digitale non ha decretato la “morte” dello spazio fisico, ha comunque fatto sì che fisico e digitale si ricombinassero in uno spazio ibrido, lo spazio di Internet che diventa Internet delle Cose (Internet of Things o IoT). Ciò sta dando vita a una struttura portante di infrastrutture intelligenti su larga scala. Come risultato, le nostre città si stanno trasformando in veri e propri “computer all’aria aperta”, permettendoci di trovare
soluzioni nuove per problemi vecchi - dalla mobilità al consumo energetico, dall’inquinamento allo smaltimento dei rifiuti. Giocando un poco di immaginazione, si potrebbe persino azzardare per il futuro prossimo un parallelo tra la condizione di “trionfo della città intelligente” (per giocare con il titolo di un bel libro di pochi anni fa di Edward Glaeser) con le visioni dal gruppo dei Situazionisti negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – in particolare dell'artista olandese Constant e della sua “New Babylon”. Questa utopica metropoli sarebbe abitata dall’Homo ludens: una nuova specie umana la cui esistenza, liberata dal fardello dei lavori ripetitivi ora svolti dalle macchine, potrebbe consacrarsi all’arte e alla creatività. Beninteso, siamo ancora lontani da scenari utopici. Il paradigma della città intelligente dovrà nei prossimi anni affrontare sfide di grande portata – tra cui il tema sociale della
transizione verso uno scenario nel quale gran parte dei nostri lavori saranno automatizzati. Tuttavia, possiamo già constatare che uno dei più straordinari effetti della rivoluzione digitale è stato quello di incoraggiare la creatività dal basso: una generalizzata cultura delle startup che sarebbe stata impensabile fino a pochi anni fa. Come mette in luce Paolo Cellini in questo testo, l’avvento del digitale ha consentito un radicale abbassamento delle barriere di ingresso per avviare un’impresa. Pensiamo al successo fenomenale di aziende come Airbnb o Uber, che sono arrivate a dominare i loro settori da una posizione di assoluta intangibilità – rispettivamente senza possedere immobili o senza gestire una flotta di automobili. Ciò che sta avvenendo, grazie alla diffusione della connettività, è una crescita degli approcci partecipativi e di condivisione.
Paolo Cellini traccia una accurata analisi di come Internet abbia modificato modelli economici e sociali tradizionali. Senza volere imporre risposte definitive, il libro offre gli strumenti per continuare a porci interrogativi sul domani, lasciando l’ultima parola alle persone e non alla tecnologia. Come scriveva Shakespeare: “What is the city but the people?”, “Che cos’è una città se non le persone?” Ieri come oggi.
Prefazione di luca de biase
Internet è come un ecosistema pieno di vita. Un territorio aperto, denso di diversità, pervaso da un’energia apparentemente inesauribile. La ricchezza delle mutazioni possibili, la terribile forza della competizione che consente la sopravvivenza o condanna all’estinzione, la trasformazione delle specie e dello stesso sistema complesso per assicurarne l’adattamento alle condizioni nuove che via via si manifestano, fanno di Internet l’emblema dell’innovazione, della varietà, della resilienza. Chi ne voglia tracciare un quadro completo si trova nella condizione di Carl Nilsson Linnaeus di fronte alla necessità di descrivere le forme di vita: Linneo ne fece una classificazione, inventando le categorie stesse della
tassonomia. Ed è un po’ quello che fa Paolo Cellini in questo libro poderoso. Il percorso parte dai diversi modelli descrittivi del sistema Internet per avventurarsi nella classificazione, appunto, delle tecnologie abilitanti che alimentano la fioritura di attività economiche che caratterizzano la “rete delle reti”. Si parla di accesso, infrastruttura, servizi di gestione dell’informazione, contenuti e molto altro. E per ciascuna dimensione tecnologica si mettono in ordine le forme diverse delle economie che vi prosperano. Ma oltre all’opera di un Linneo, chi voglia comprendere Internet ha bisogno anche di un lavoro alla Charles Darwin. E non manca nel libro di Cellini l’attenzione per la dinamica evolutiva delle componenti del sistema, con le regole fondamentali e con i loro corollari. Tra le prime, ovviamente, le leggi di Moore e di Metcalfe, che mostrano una tecnologia elettronica che che cresce
esponenzialmente in potenza, mentre le sue reti conquistano posizioni di potere gigantesco soltanto perché sono molto usate da molti soggetti diversi. Tra le seconde, meno ovvia, la tendenza alla concentrazione del valore nelle attività che gestiscono i flussi di informazione più che nelle forme materiali e immateriali della connessione. In attesa delle prossime grandi innovazioni che già si vedono nell’intelligenza artificiale, nell’Internet delle cose, nei big data, nella robotica e così via. In tutto questo, il libro riesce a dar conto del grande carattere di Internet: la sua capacità di suggerire incessantemente la possibilità di sempre nuove forme di partecipazione al suo stesso rinonvamento. Il mondo delle startup ne è l’aspetto più evidenste, ma non dà conto della quantità infinita di piccole innovazioni che ogni giorno qualcuno pensa e sperimenta in qualche remota frontiera della rete. Perché il
bello di Internet è che il ribollire di decisioni che contano non è concentrato nel vertice della gerarchia ma nell’infinita ridefinizione dei concetti che avviene per contaminazione e sperimentazione alla periferia. Il che sfida il potere che in ogni generazione tecnologica si concentra nelle piattaforme che hanno conquistato una posizione strategica nella fase precedente dell’evoluzione. Ma come disse Bill Gates, nessun leader di una fase dell’informatica lo resta nella fase successiva. E la fase successiva arriva sempre, nonostante il gigantismo dei leader attuali. Conoscere i segreti di questo mondo di Internet, il mistero della sua attrattiva per gli innovatori, la logica con la quale accetta certe soluzioni e ne respinge altre, è diventato necessario, non solo per le aziende tecnologiche, ma per tutte le aziende. Come la tecnologia digitale ormai pervade ogni aspetto della vita delle persone, così
inevitabilmente riguarda ogni aspetto della vita delle aziende. E per comprendere in quale ecosistema ormai si lavora, il libro di Cellini aiuta: come una mappa. Ma una mappa che sa parlare e che è in grado di rispondere ai lettori che vogliano sapere se la strada che hanno intrapreso è fondamentalmente giusta o strutturalmente sbagliata.
Introduzione
In questo libro cercheremo di fare una revisione della letteratura economica con lo scopo di estrapolare in primo luogo i modelli concettuali con i quali Internet è rappresentata e in secondo luogo di evidenziare come e quanto impatta Internet nei sistemi economici, portando alla loro digitalizzazione. L’obiettivo del libro è quello di far emergere il concetto di “economia digitale” come momentaneo risultato di un percorso in continua evoluzione derivante dalle dinamiche relazionali di diversi scenari economici, una nuova era per l’umanità basata su tecnologie digitali disruptive. Ogni fase storica dell’economia digitale può, infatti, essere ricollegata a uno o più cicli economici, che hanno segnato il suo percorso evolutivo. Percorso che parte dalla
fase pre-Internet nota anche come “enterprise economy” che ruota attorno al concetto di “platform of individual productivity” per poi passare attraverso la fase Internet, con la diffusione dei primi modelli della rete, la digitalizzazione dell’informazione, l’innovazione digitale e la crescita della business economy. Internet in questa fase assume i connotati di una vera e propria industry dove è possibile identificare un valore di scambio tra diversi servizi (Internet come sistema economico), un processo relazionale che guida le relazioni tra individui, uno strumento tecnologico trasversale a settori, prodotti e servizi tra loro complementari e quelle che sono le influenze sociali che derivano dalle adozioni di specifici sistemi tecnologici. In questa fase dell’economia digitale, Internet non solo ha un impatto sulla crescita e sul processo di digitalizzazione ma dal lato dell’offerta contribuisce alla diffusione di nuovi modelli
di business e favorisce il proliferarsi dell’Economy of people, scenario economico in cui gli individui guidano il cambiamento e cercano nuove opportunità di connettersi, lavorare e vivere. La diffusione della connettività, la crescente potenza della rete e il proliferarsi di dispositivi intelligenti e interconnessi segnano il passaggio all’ultima temporanea fase dell’economia digitale, segnata dall’Economy of things e dall’Economy of think dove IoT, Big Data e Intelligenza Artificiale assumono i connotati di un team di “supereroi” creando una sinergia perfetta per prendere decisioni in tempo reale e migliorare la customer experience nell’universo dell’“Era digitale”. Per rendere il quadro più completo possibile e per facilitare l’analisi dell’evoluzione dell’interno comparto dell’economia digitale, l’analisi approfondirà tre diverse fasi storiche di espansione dell’economia digitale ognuna trainata e segnata da una componente
tecnologica e innovativa, facendo leva sulle evoluzioni tecnologiche generate da Internet e dalla diffusione della rete: – Periodo che va dagli anni Sessanta fino al 1995 quando Internet era relegata a essere un rete dedicata prevalentemente alle comunicazioni all’interno della comunità scientifica o tra le associazioni governative nota anche come fase pre-Internet; – Periodo che va dal 1995 al 2014, in cui si assiste alla diffusione costante di accessi alla rete da parte di PC privati, all’aumento dei contenuti e dei servizi offerti dal web sempre più accessibili nonché alla velocità nella trasmissione dati grazie alle moderni connessioni a banda larga e DSL, fase nota anche come Internet of human information che vede la diffusione di portali, delle search, dei social; – Periodo che va dal 2014 a oggi, in cui si assiste alla diffusione dell’Internet of
things e dell’Internet of think, con una crescita esponenziale di oggetti connessi in rete (IoT), la raccolta e l’analisi di un ingente quantitativo di dati proveniente dai dispositivi connessi (Big Data), e la diffusione di algoritmi di Intelligenza Artificiale in grado di saper interpretare e adattare i dati raccolti a diversi contesti (AI). Nel testo andremo ad approfondire e a ripercorrere le diverse tappe dell’economia digitale, partendo dall’era pre-Internet in cui “Computer, Information and Telecommunication” erano tre separate industrie con una limitata interazione all’interno dell’azienda. Passeremo poi ad analizzare Internet sia come media che come piattaforma industriale con lettura originale della sua evoluzione storica e delle sue traiettorie usando un nuovo modello rappresentativo (LLIF) che permette una
mappatura della domanda e dell’offerta nonché una tassonomia dei prodotti-servizi. Per poi approfondire le nuove evoluzioni legate alla diffusione dell’IoT e dell’Intelligenza Artificiale, ultima temporanea fase di sviluppo dell’economia digitale. Il metodo seguito è profondamente analitico. Si è partiti da un’accurata analisi della letteratura per raffrontarla con la quotidianità dei fatti, per arrivare allo sviluppo di un framework di inquadramento generale dell’economia digital che permetta uno studio sistematico e strutturato delle sue componenti e dimensioni, utilizzando le teorie economiche al fine di aumentare la comprensione degli sviluppi della rete e delle nuove tecnologie a esse associate. L’obiettivo è allo stesso tempo sia produrre dibattito nel mondo accademico, sia fornire uno strumento di lavoro per manager e imprenditori che decidano di approcciare il mondo del digitale per sviluppare il loro
business o per dar vita a nuove forme d’impresa. In questo modo ne è nato un testo che si pone come strumento teorico e pratico allo stesso tempo. È un testo teorico dal momento in cui esplora e cerca di approfondire le varie teorie di maggior riferimento per quanto riguarda le tipicità dei mercati dell’economia digitale. È pratico nella misura in cui i numerosi esempi e commenti possano essere utili per l’implementazione efficace degli strumenti teorici sopra citati. Questo libro vuole essere quindi sufficientemente facile da leggere per quei lettori curiosi e interessati all’argomento, e in particolare a tutti quegli studenti che vogliano, nel corso dei loro studi, approfondire le tematiche di Internet e del digitale, da un punto di vista imprenditoriale e di sviluppo di business.
capitolo 1 L’era digitale: il ruolo di Internet nella digitalizzazione dell’economia
Il carattere ubiquo di Internet rende la sua modellizzazione e la valutazione degli impatti una questione di grande interesse, ma anche molto complessa e difficile da analizzare. Il concetto di base del contributo economico di Internet è in realtà molto semplice: Internet facilita la condivisione di informazioni in modo economico e veloce. Ciò si traduce in un aumento dell’efficienza informativa, che promuove la produzione di prodotti e servizi dipendenti dalla condivisione delle informazioni. Oggi non è più solo Internet a diffondersi velocemente ma anche il modo in cui le persone accedono a Internet al punto da identificare attività economiche che derivano da miliardi di
connessioni online. In questo contesto prende piede il concetto di economia digitale, intesa come l’insieme di attività economiche che deriva da miliardi di connessioni online. Lo scheletro della digital economy sono le crescenti interconnessioni tra persone, organizzazioni e dispositivi che risultano da Internet, da tecnologie mobile e dall’Internet of things (IoT). Si tratta di cambiamenti idonei a elaborare e rendere accessibili nuove opportunità, è un processo che coinvolge tutto l’ecosistema e tutti i soggetti coinvolti. Sei sono i pilastri dell’evoluzione digitale, cioè gli ambiti tecnologici che abilitano la trasformazione digitale in ambito aziendale: – Automazione: la progressiva automazione del lavoro ha portato velocità, efficienza e riduzione degli errori; – Informatizzazione: l’evoluzione
dell’hardware e del software hanno introdotto e potenziato una nuova intelligenza nel governo dei processi; – Dematerializzazione: la dematerializzazione ha innescato il circolo virtuoso dell’informazione, inaugurando nuove logiche di integrazione e di condivisione tra i lavoratori; – Virtualizzazione: grazie a una programmazione software di nuova generazione, le risorse fisiche si trasformano in risorse logiche gestite da un unico cruscotto centralizzato; – Cloud computing: spostare la gestione dell’hardware e del software sulla rete attraverso nuovi modelli di fruizione ed erogazione, ha inaugurato l’era dell’as a service, del pay per use e dell’on demand; – Mobile: i dispositivi mobili potenziano la produttività individuale portando maggiore disponibilità e flessibilità nel mondo del lavoro.
A supporto del fenomeno è possibile identificare una serie di dati che sono in grado di spiegarci come cambia il modo in cui le persone accedono a Internet. Ogni anno le persone cambiano i loro comportamenti online e come interagiscono tra loro, ecco in elenco alcuni esempi: – Più della metà della popolazione mondiale usa uno smartphone; – Quasi due terzi della popolazione mondiale possiede un telefono cellulare; – Più della metà del traffico Internet è generato da mobile; – Più di una persona su cinque della popolazione mondiale ha effettuato una volta al mese un acquisto online. Un altro dato interessante riguarda il tempo medio che le persone spendono sui canali s o c i a l : GlobalWebIndex sottolinea come
l’utente medio spende mediamente al giorno 2 ore e 19 minuti usando piattaforme social. I numeri che riguardano i social media sono impressionanti, e lo sono ancor di più se pensiamo che l’accesso avvenga tramite dispositivi mobile: infatti oltre un terzo della popolazione mondiale accede da mobile a piattaforme social (2,5 miliardi di persone, numero che è aumentato del 30% nell’ultimo anno, ossia da gennaio 2016 a gennaio 2017). Circa l’8% della popolazione mondiale ha incominciato a usare dispositivi mobile (smartphone, tablet ecc.) durante il 2016; questo significa che ogni 18 secondi un nuovo utente incomincia a usare un dispositivo mobile (Figura 1-1).
Questa breve prefazione serve a introdurre un discorso e un fenomeno più ampio che hanno portato inevitabilmente all’inizio di un nuovo periodo storico segnato dalla digital economy: l’era digitale. Il passaggio dalla tecnologia meccanica ed elettronico-analogica all’elettronico-digitale, definito periodo di “rivoluzione digitale”, ebbe inizio in ogni parte del mondo dai tardi anni Cinquanta fino ai tardi anni Settanta, con l’adozione e la proliferazione di
calcolatori elettronici e di preservazione di memorie digitali, che è proseguita fino ai giorni nostri. Centrale in questa rivoluzione è la produzione di massa e il largo utilizzo di circuiti logici digitali, e le loro tecnologie derivate, fra cui il computer, il telefono cellulare digitale, e l’Internet. Grazie allo sviluppo di dispostivi interattivi, quali World Wide Web, digitale terrestre e smartphone, si è assistito alla proliferazione e alla moltiplicazione di canali d’accesso all’informazione che hanno cambiato le modalità in cui avviene l’atto comunicativo. 1.1 l’era digitale L’era digitale è il periodo storico in cui la società e l’economia sono caratterizzate dalle tecnologie informatiche delle telecomunicazioni e da Internet. L’era digitale è la fase culturale scatenata
dall’ampia diffusione che hanno avuto i vari prodotti digitali e tutta quella serie di cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti in merito all’avvento della digitalizzazione di gran parte degli accessi all’informazione. Questo periodo vede Internet la tecnologia predominante e pervasiva in ogni aspetto della società, spaziando dalla produzione di beni e servizi alle abitudini delle persone. Si può affermare che il cambiamento più significativo a cui stiamo assistendo è il passaggio verso una Internet based society. Non è un caso che l’era digitale è stata definita l’era dell’Homo conexus o uomo Internet o anche Internet of world per indicarne la pervasività senza precedenti di Internet. Il contesto è caratterizzato dalla totalità del comunicare e produrre con linguaggio digitale e condivisione tramite Internet. Nicholas Negroponte, nel suo libro Being
Digital, introduce la differenza fra prodotti fatti da atomi (prodotti industriali/manufatti) e quelli costituiti da bit. Quello che emerge è come i prodotti costituiti da bit, dal punto di vista economico, possono essere infinitamente duplicati senza costi aggiuntivi e distribuiti in tutto il mondo in tempo reale. L’era digitale deriva dalla combinazione di quattro fenomeni tecnologici: – Informatici: HW (transistor e memorie di massa); microminiaturizzazione della capacità di elaborazione dati (o moltiplicazione geometrica dei transistor per cm2) e di archiviazione (Gigabyte per cm2); SW: sistemi operativi/linguaggi/applicazioni sempre più potenti e performanti; – Telecomunicazioni: copertura e capacità di comunicazione di Internet/dati delle reti di telecomunicazioni anche in mobilita;
– Sensori: microminiaturizzazione/capacità di elaborazione e collegamento a Internet dei sensori; – Internet: standard universale di accesso, comunicazione, condivisione dei dati da parte di miliardi di consumatori finali. Il ruolo che Internet ricopre nell’era digitale è un ruolo chiave e fondamentale, Internet è stata infatti la chiave per l’apertura alla digitalizzazione delle economie grazie alle sue caratteristiche essenziali che possono essere riassunte in cinque elementi chiave: – Vastissimo mercato dei consumatori finali (3,5 miliardi nel 2016) che accedono a Internet soprattutto tramite smartphone (Internet mobile consumer) per creare/cercare/memorizzare contenuti e acquistare/vendere prodotti; – Piattaforma unificante dei progressi
velocissimi delle tecnologie informatiche hw e sw, delle telecomunicazioni e della sensoristica (exponential tech); – Fonte prioritaria e indispensabile (di ampiezza senza precedenti) di conoscenza, dati, divertimento, transazioni, condivisione e socializzazione (Internet first); – Reingegnerizzazione di moltissimi processi industriali/servizi per renderli gestibili direttamente dal consumatore finale su Internet; – General purpose technology che abilita la nuova rivoluzione economica (così come lo erano state in ere precedenti l’energia elettrica, il vapore ecc). Peter Drucker in uno studio condotto nel 2002, definiva l’era digitale come un intenso processo di trasformazione socio-economico di portata talmente rilevante da poter essere accostata alla rivoluzione industriale. L’era digitale è caratterizzata dall’utilizzo
aggressivo di dati e tecnologia per trasformare modelli di business già esistenti, favorire la realizzazione di nuovi prodotti e servizi, creare nuovi processi e dar vita a una nuova cultura manageriale. L’era digitale è dunque caratterizzata da un insieme di cambiamenti associati a tutti gli aspetti della società umana facendo leva sull’applicazione di tecnologie digitali. Le aziende reinventano, ridisegnano il proprio business con l’obiettivo di renderlo più attrattivo e competitivo per il mercato. Secondo “The Business Intelligence 2016” pubblicato da Forbes: “A partire dal 2020 la trasformazione digitale avrà già reinventato, digitalizzato o cancellato l’80% dei processi o dei prodotti di 10 anni prima”. L’era digitale stravolge modelli consolidati, reinventa i modelli di business e apre la strada a nuove tipologie di aziende che sfruttano Internet come leva per raggiungere il vantaggio competitivo nel loro mercato di
riferimento. Basti pensare a WhatsApp, applicazione di messaggistica istantanea multipiattaforma per smartphone creata nel 2009 che consente oltre allo scambio di messaggi testuali, di inviare immagini, video, audio, documenti, di condividere la propria posizione geografica e fare chiamate e videochiamate VoIP con chiunque abbia uno smartphone dotato di connessione a Internet e abbia installato l’applicazione. WhatsApp è un chiaro esempio di digitalizzazione di un modello consolidato, quello delle Telco, che è riuscita in poco tempo a raggiungere numeri impressionanti con un utilizzo limitato di risorse.
1.1.1 Elementi caratteristici L’era digitale è chiaramente e fortemente pluridimensionale ed è possibile identificare tre dimensioni chiave che permettono di quantificare il fenomeno:
– La conoscenza; – Personal media; – Vita digitale. 1.1.1.1 Conoscenza Con la semplificazione dell’accesso alla conoscenza e la sua produzione diffusa è senza precedenti, la conoscenza tende a essere necessariamente più sintetica e astratta. Haridimos Tsoukas (2003) ne dà una nuova dimensione: “The knowledge base more abstract and theoretical than in the past”. Nell’era industriale, una stima approssimativa della crescita della conoscenza usa l’ampliamento fisico delle biblioteche per ospitare nuovi libri come misura della conoscenza prodotta: l’ampiezza delle biblioteche raddoppiava ogni 16 anni, secondo Rider, “ammesso ci sia spazio per
ampliare le biblioteche”. Ovviamente l’accesso, la condivisione, la discussione e la produzione di conoscenza erano molto più difficili. Confrontando l’era industriale con l’era digitale ci si rende conto di quanto l’innovazione abbia profondamente cambiato questa dimensione, nel 2010 in due giorni vengono create la stessa quantità di dati che nel 2003 venivano create in un anno. Uno studio condotto da IDC (International Data Corporation) afferma che nel 2011 sono stati creati nel mondo 1,8 Zettabyte che diventano 4,4 nel 2013 e diventeranno 40 nel 2020. In altri termini la capacità di trasmissione dell’informazione e la capacità di elaborazione e di archiviazione sono cresciute e continueranno a crescere in modo esponenziale aprendo la strada all’era dei Big Data, caratterizzata da un continuo confronto uomo-dati.
1.1.1.2 Personal media I media, cioè qualunque tipo di contenuto audio/video/news, diventa personalizzabile e fruibile ovunque. Ogni persona produce, memorizza e distribuisce contenuti senza alcun limite dati i costi di trasmissione e archiviazione. Ogni individuo è di fatto diventato un “autore”, un fotografo, un giornalista, uno scrittore propenso a pubblicare ogni evento, informazione, riflessione che riguarda sé stesso e/o l’umanità. 1.1.1.3 Vita digitale L’esistenza, il lavoro, il divertimento, la conoscenza di miliardi di persone e moltissime industrie dipende sempre di più da Internet. Internet non solo tende a sostituire la carta come mezzo di
archiviazione e distribuzione di prodotti informativi, ma rivoluziona interi comparti industriali: dalle banche, al turismo, alla distribuzione al dettaglio riducendo drasticamente l’intermediazione e semplificando i processi. In ultima analisi, nell’era digitale si afferma il cosiddetto “Digital divide” cioè la distinzione fondamentale tra chi e come accede a Internet e chi no. 1.2 l’evoluzione dell’economia digitale L’economia digitale, la si può dunque definire come l’insieme di attività economiche che deriva dai miliardi di connessioni online. Lo scheletro della digital economy sono le crescenti interconnessioni tra persone, organizzazioni e dispositivi che risulta da Internet, da tecnologie mobile e dall’Internet
of things (IoT). In estrema sintesi, l’economia digitale è caratterizzata da una nuova tecnologia pervasiva: Internet che integra e semplifica le tecnologie informatiche delle telecomunicazioni e delle elaborazioni dati di interconnessioni tra idee, attori, business model, mercati e prodotti/servizi semplificandone in modo radicale l’interazione e dando vita a un numero praticamente infinito di nuove combinazioni. Internet incrementa in modo esponenziale la connettività tra soggetti economici (attori), idee e prodotti generando effetti dinamici sull’economia tramite la connettività. Di fatto Internet genera una nuova economia: l’economia in tempo reale. Internet è pertanto interpretabile come la GPT che abilita l’era dell’economia digitale: “Digitization in combination with the Internet seems to have even broader applicability than previous general-purpose technologies, since it is more pervasive”
(Carlsson 2004). L’economia digitale è pertanto un nuovo tipo di economia caratterizzata da un’innovazione esponenziale e tecnologica, da iper e interconnessione, da immediatezza e real time che produce una quantità di dati senza precedenti con impatti su tutti i consumatori finali (e.g. health care, financial services, pubbliche amministrazioni), in cui Internet ricopre un ruolo fondamentale. Una ulteriore definizione di economia digitale è rinvenibile nello studio GoDigitalQld (2014), che la definisce come: “The global network of economic and social activities that are enabled by digital technology, such as the Internet, mobile and sensor networks”. Nel 1996, Don Tapscott, nel libro The Digital Economy, ha definito l’economia digitale come “the economy for the age of networked intelligence”, dove l’informazione in tutte le sue forme diventa digitale, ridotta a bit memorizzati in computer e scambi rapidi
attraverso le reti. L’obiettivo di Tapscott nel suo studio era quello di far emergere la velocità del cambiamento tecnologico trainato dalla diffusione di Internet che avrebbe inevitabilmente portato le organizzazioni a dover ripensare la loro esistenza e creare nuove strategie. Risulta evidente come in tutte le sue definizioni, l’economia digitale vede in Internet il principale motore, ma non il solo, l’economia di Internet può essere infatti identificata come un grande sottoinsieme dell’economia digitale. Il termine “Internet economy” può essere definito come il valore di tutte le attività economiche che vengono intraprese o sostenute da Internet (OCSE 2013). Tecnicamente, l’economia digitale si espande poco oltre includendo le tecnologie nonInternet e le tecnologie digitali. Nella figura si evidenza come la raccolta e l’analisi dei Big Data è possibile grazie a
computer connessi in rete ma non necessariamente connessi a Internet e inoltre è presente tutta una branca di innovazione digitale non basata su Internet come l’innovazione software.
La digitalizzazione delle informazioni è antecedente dunque alla creazione dell’economia digitale. Il web permise infatti alle grandi aziende e ai governi di creare siti
web statici per la trasmissione di informazioni che in precedenza venivano diffuse in via cartacea. Secondo Dave Chaffey (2009), nel miglioramento della funzionalità del web a partire dalla metà degli anni Novanta hanno svolto un ruolo cruciale le innovazioni introdotte da aziende come Amazon, eBay, Microsoft, Facebook, Google e Apple. Il miglioramento delle funzionalità hanno permesso alle persone di mettersi in condizione di interagire e diffondere informazioni attraverso i social media, i siti peer-to-peer o il proprio sito web/blog. Questi sviluppi hanno inevitabilmente aperto nuove opportunità per l’impresa e per la società. I principali studi legati all’economia digitale ruotano attorno al ruolo che le tecnologie e le soluzioni digitali stanno avendo nei cambiamenti strategici delle grandi organizzazioni e industrie. Clayton Christensen (1997), fornisce una distinzione pionieristica tra il concetto di
innovazione per migliorare processi esistenti, prodotti e servizi, e innovare come risultato di un cambiamento disruptive. Alcune innovazioni che vanno da incrementali a radicali in termini di cambiamento (Henderson e Clark 1990), hanno permesso alle organizzazioni di fornire versioni migliori di prodotti o servizi esistenti (per esempio il passaggio da 3G a 4G), sviluppi che hanno permesso di continuare a soddisfare le esigenze per un prodotto/servizio già esistente. Tuttavia altri sviluppi basati su tecnologie digitali hanno portato a spostamenti notevoli imponendo al mercato degli utilizzatori di cambiare radicalmente il loro modo di valutare un prodotto o un servizio. Basti pensare all’avvento del cloud computing che ha radicalmente modificato le aspettative del mercato rendendo la capacità di memoria dei prodotti elettronici (smartphone, tablet, laptop) come considerazione secondaria
all’attributo dell’accessibilità alla memoria (ad esempio tramite rete wireless). Questo è quello che Christensen definisce “disruptive change”. Un cambiamento dirompente che è causato dall’attuazione delle tecnologie digitali nella creazione di nuovi prodotti e servizi. La rottura delle regole del mercato, il reinventare nuovi modelli di business e nuovi modi di applicare la tecnologia (Girn 2014). In tutti gli studi di letteratura sull’economia digitale, The Digital Economy di Tapscott ne è un esempio, l’economia digitale risulta essere il frutto di una continua evoluzione tecnologica, una transizione da effective individual a Internetworked enterprise. Data la dimensione del fenomeno è possibile analizzare gli aspetti e l’espansione della digital economy prendendo spunto da uno studio di ricerca condotto da PwC (Price waterhouse Coopers) sui cicli della digital economy, intesi come tappe tecnologiche, e
integrandolo con il percorso evolutivo e con il framework di inquadramento generale dell’economia di Internet con lo scopo di permettere uno studio sistematico e strutturato delle sue componenti e dimensioni, utilizzando le teorie economiche al fine di aumentare la comprensione degli sviluppi di un’innovazione esponenziale e tecnologica senza precedenti.
Lo studio condotto da PwC propone un modello dell’economia digitale basato su cicli di lungo periodo. Secondo diversi studi di letteratura, i cicli di lungo periodo della storia economia scaturiscono da determinate innovazioni tecnologiche che ne segnano l’inizio e ne contraddistinguono l’intero corso. Ai lunghi cicli economici è legato il concetto di paradigma tecnologico, concetto introdotto da Giovanni Dosi, “Technological paradigms and technological trajectories”, ovvero un insieme di principi ispiratori che sovrintendono all’evoluzione tecnologica e indirizzano la ricerca scientifica e tecnologica in un dato periodo. Il ciclo attuale dell’economia digitale può dirsi dominato dal paradigma dell’informazione e della comunicazione che ha avuto inizio negli anni Sessanta con l’introduzione sul mercato dei primi strumenti hardware e software. Così come mostrato in figura, lo studio condotto da PwC identifica tre diversi cicli
economici di espansione dell’economia digitale ognuno trainato e segnato da una componente tecnologica e innovativa: – Business Economy: trainata dalla digitalizzazione dell’informazione e dai marketplace digitali; – Economy of people: segnata dal digital thinking; – Economy of things: segnata da IoT e sue evoluzioni. 1.2.1 Business economy: La digitalizzazione dell’informazione La prima componente consiste nel cambiamento nella distribuzione dei testi, delle immagini e dei video dovuta all’avvento di Internet. Questo include il web, i social media, VoIP (voce tramite protocollo Internet) e la raccolta di Big Data. Per
illustrare meglio la prima componente possiamo citare alcuni esempi più pratici. A inizio Duemila l’avvento dei social media ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare, condividere informazioni e vivere le nostre vite. Un social media è una piattaforma dove le persone si incontrano virtualmente, condividono informazioni (personali e impersonali) sotto forma di contenuto testuale, video o immagine. I pionieri di questa rivoluzione sono stati, prima i fondatori di Myspace (Tom Anderson e Chris de Wolfe), e ancor di più poi Mark Zuckerberg quando ha creato Facebook. A febbraio 2017 Facebook conta 1,86 miliardi di utenti, ossia il 25% della popolazione mondiale. I social media hanno totalmente cambiato il modo di condividere informazioni, e al tempo stesso il modo di fare marketing per le imprese (come verrà spiegato nel dettaglio più avanti). Lo stesso impatto lo hanno avuto i VoIP (Voice over
IP), che danno la possibilità di telefonare tramite Internet. Il caso che ha riscosso più successo è stato Skype: fondato nel 2003 in Svezia, da Niklas Zennström e Janus Friis.
Grazie a loro è possibile organizzare un meeting via video tramite Skype, pur essendo localizzati in due continenti diversi. Lo stesso discorso avviene per la diffusione delle informazioni da parte delle testate giornalistiche, che continuano a distribuire anche tramite stampe cartacee, ma stanno sempre più sviluppando l’informazione online, più accessibile per i lettori. L’illustrazione di questi esempi è stata necessaria per spiegare come la digitalizzazione dell’informazione ha ridotto i tempi di divulgazione dell’informazione (al giorno d’oggi se succede qualcosa in Uganda lo si può sapere in diretta grazie agli strumenti disponibili). Oltre ai tempi, sono stati ridotti anche i costi che le aziende o le persone sopportano.
1.2.2 Marketplace digitali Un altro passaggio fondamentale che è avvenuto grazie a Internet è stato l’avvento delle piattaforme di mercato digitali, ossia una piattaforma dove si possono vendere e comprare beni o servizi online. 1.2.3 Innovazione digitale e crescita della business economy La terza componente consiste nella creazione o l’uso di tecnologie digitali da parte di compagnie o industrie già esistenti per migliorare i loro prodotti e servizi. Per governi e aziende un fattore cruciale è incrementare la produttività e la creazione di lavori e di entrate grazie all’utilizzo di soluzioni digitali. Per creare nuove opportunità che possano migliorare la situazione socioeconomica bisogna
dimenticarsi dei modelli economici del passato e ridisegnare prodotti e servizi. L’avvento della tecnologia nel miglioramento della produzione di aziende già esistenti è iniziato nel ventesimo secolo con l’avvento dei computer. Da quel momento in poi, la tecnologia digitale è stata utilizzata in diversi settori, dalla finanza alle grandi industrie. Un esempio pratico è la Telemedicine, cioè una tradizionale diagnosi clinica emessa attraverso strumentazione tecnologica. Grazie all’utilizzo di tecnologie di trasmissione video, al giorno d’oggi è possibile creare un’interazione tra il paziente e il dottore anche se i due si trovano in luoghi diversi. Questo sistema funziona come un sostituto quando un incontro in persona non è possibile. Un altro esempio è la creazione della Stampa 3D. Grazie a questo nuovo sistema, reso possibile da un progresso tecnologico, aziende possono produrre i loro prodotti in maniera più
rapida ed economica. 1.2.4 Economy of people e Digital thinking Nella realtà della digital economy un’area di interesse significativo è la “digital disruption”, ossia la rivoluzione digitale – in altre parole, i cambiamenti rivoluzionari apportati dall’implementazione delle tecnologie digitali nella creazione di nuovi prodotti e servizi. Questi ultimi costituiscono il punto di svolta nel rivoluzionare i modelli aziendali legacy dell’era industriale, che per rimanere competitivi nel mercato devono adattarsi ai modelli aziendali delle nuove imprese innovative. I nuovi prodotti e servizi sono in grado di penetrare mercati più estesi e hanno risvolti a livello dell’intero settore di competenza. Secondo il quadro fatto del disruptive change (Christensen 1997), vi sono due punti salienti che concernono la
rivoluzione digitale.
Primo, dal punto di vista delle aziende mature o legacy, è importante prevedere e negoziare l’impatto degli avanzamenti tecnologici che sono potenzialmente di natura rivoluzionari. Il secondo punto di ampia importanza per il futuro dell’economia locale concerne l’entrata sul mercato di nuove organizzazioni (e.g. startup ventures, giovani aziende innovative, micro-
imprenditori), che possono avere più probabilità di sviluppare innovazioni col potenziale di rivoluzionare mercati e industrie. Queste ultime hanno la possibilità di penetrare mercati più estesi al di là di quello locale, potenzialmente su scala globale. La sharing economy è un elemento chiave del “Cycle 2: Economy of People”, dove gli individui guidano il cambiamento e cercano nuove opportunità di connettersi, lavorare e vivere. Nelle interviste, si denota un forte interesse nel capire come modelli di sharing economy possano essere adottati dalle organizzazioni già mature e presenti sul mercato. 1.2.5 Economy of things Le tecnologie digitali non devono più essere gestite da umani ma possono risolvere i problemi e creare nuovi artefatti senza il
diretto coinvolgimento di un essere umano. I computer, per esempio, possono ora agire su comandi non strutturati, rispondendo a una domanda positiva in lingua semplice – e anche fare sottili giudizi. Possono passare attraverso grandi quantità di informazioni per discernere i modelli e le relazioni. Possono “imparare” regole e concetti basati su esempi o semplicemente crunching dei dati. E con interfacce avanzate e software di Intelligenza Artificiale, possono comprendere e interpretare il discorso umano, le azioni e persino le intenzioni. In breve, “i computer possono sempre più eseguire molte delle attività che sono attualmente eseguite dalla conoscenza degli individui” (Manyika 2013).
1.2.6 Digital economy timeline Lo studio condotto da PwC fornisce uno spunto per ricostruire le tre fasi storiche evolutive dell’economia digitale, facendo leva sulle evoluzioni tecnologiche generate da Internet e dalla diffusione della rete: – Periodo che va dagli anni Sessanta fino al 1995 quando Internet era relegata a essere una rete dedicata prevalentemente alle comunicazioni all’interno della comunità scientifica o tra le associazioni governative nota anche come fase pre-Internet; – Periodo che va dal 1995 al 2014, durante il
quale si assiste alla diffusione costante di accessi alla rete da parte di PC privati, all’aumento dei contenuti e dei servizi offerti dal web sempre più accessibili nonché alla velocità nella trasmissione dati grazie alle moderne connessioni a banda larga e DSL, fase nota anche come “Internet of Human Information” che vede la diffusione di portali, delle search, dei social; – Periodo che va dal 2014 a oggi, in cui si assiste alla diffusione dell’Internet of things e dell’Internet of think, con una crescita esponenziale di oggetti connessi in rete (IoT), la raccolta e l’analisi di un ingente quantitativo di dati proveniente dai dispositivi connessi (Big Data), e la diffusione di algoritmi di Intelligenza Artificiale in grado di saper interpretare e adattare i dati raccolti a diversi contesti (AI).
Una ulteriore rappresentazione dell’evoluzione dell’economia digitale può essere fornita ricostruendo una timeline che ripercorre le principali innovazioni tecnologiche che si sono susseguite a partire dagli anni Settanta fino ai giorni nostri.
Quello che emerge è il concetto di economia digitale come momentaneo risultato di un percorso in continua evoluzione derivante dalle dinamiche relazionali di diversi scenari economici. Ogni fase storica dell’economia digitale può, infatti, essere ricollegata a uno o più cicli economici, che hanno segnato il suo percorso evolutivo. Percorso che parte dalla fase pre-Internet nota anche come “Enterprise economy” che ruota attorno al
concetto di “platform of indiviudal productivity” per poi passare attraverso la fase Internet, con la diffusione dei primi modelli della rete, la digitalizzazione dell’informazione, l’innovazione digitale e la crescita della business economy. Internet in questa fase assume i connotati di una vera e propria industry dove è possibile identificare un valore di scambio tra diversi servizi (Internet come sistema economico), un processo relazionale che guida le relazioni tra individui, uno strumento tecnologico trasversale a settori, prodotti e servizi tra loro complementari e quelle che sono le influenze sociali che derivano dalle adozioni di specifici sistemi tecnologici. In questa fase dell’economia digitale, Internet non solo ha un impatto sulla crescita e sul processo di digitalizzazione ma dal lato dell’offerta contribuisce alla diffusione di nuovi modelli di business e favorisce il proliferarsi dell’Economy of people, scenario economico
in cui gli individui guidano il cambiamento e cercano nuove opportunità di connettersi, lavorare e vivere. La diffusione della connettività, la crescente potenza della rete e il proliferarsi di dispositivi intelligenti e interconnessi segnano il passaggio all’ultima temporanea fase dell’economia digitale, segnata dall’Economy of things e dall’Economy of think dove IoT, Big Data e Intelligenza Artificiale assumono i connotati di un team di “supereroi” creando una sinergia perfetta per prendere decisioni in tempo reale e migliorare la customer experience nell’universo dell’era digitale. Nel dettaglio con l’Internet of things si è assistito a una progressiva automatizzazione dell’informazione prodotta dagli uomini, con l’importanza dei dispositivi connessi e la mole di dati generati che portano alla definizione di un ulteriore evoluzione dell’economia digitale legata al concetto di economia del pensiero, o il proliferarsi di
dispositivi intelligenti capaci non solo di raccogliere dati ma rielaborarli attraverso l’utilizzo di algoritmi di Intelligenza Artificiale per generare pronte risposte a seconda del contesto. Con Internet of thinks si va dunque verso l’automatizzazione del tutto e si può convenire che la combinazione di IoT, Big Data e Intelligenza Artificiale a oggi rappresenti la conformazione più evoluta di tecnologia digitale ed è innegabile il legame fra le tre componenti, i dati provenienti da dispositivi connessi (IoT) sono quasi impotenti senza analisi veloci e potenti in grado di rendere dati utili e funzionabili (Big Data), l’Intelligenza Artificiale (AI) risolve il problema della grande analisi dati, secondo Frost e Sullivan, gli avanzamenti nell’Intelligenza Artificiale degli ultimi anni consentono agli sviluppatori di scoprire un rapporto nascosto tra i dati, facilitandone l’analisi.
capitolo 2 L’era pre-Internet
2.1 la rivoluzione dell’ict Come anticipato nel precedente capitolo, l’era digitale è il periodo storico in cui la società e l’economia sono caratterizzate dalle tecnologie informatiche delle telecomunicazioni e da Internet e si consacra come la fase culturale scatenata dall’ampia diffusione di prodotti digitali e tutta quella serie di cambiamenti economici, politici e sociali strettamente connessi al proliferare della digitalizzazione degli accessi all’informazione. Si tratta di una vera e propria forma di Rivoluzione, nota anche come “Rivoluzione Informatica”, segnata da un graduale passaggio dalla tecnologia analogica di stampo meccanico ed elettronico all’elettronica digitale che ebbe inizio in ogni
parte del mondo a partire dagli anni Cinquanta con la preservazione di memorie digitali e la proliferazione di calcolatori elettronici. Una rivoluzione che ha portato ad ampi cambiamenti socio-economici nel corso del Ventesimo secolo che hanno segnato l’inizio dell’era dell’informazione riconoscendo nel digital computing e nella tecnologia di comunicazione (meglio nota come ICT) il driver principale. Rivoluzione trainata dalla produzione di massa di circuiti digitali e tecnologie derivate (computer, telefono cellulare, Internet) e da dispositivi interattivi che hanno facilitato e moltiplicato i canali di accesso all’informazione. Si è assistito pertanto a una mutazione di aspetti culturali e di approccio al lavoro e al tempo libero in cui la digitalizzazione dell’informazione è diventata indispensabile. John Desmond Bernal negli anni Trenta introdusse l’espressione, “rivoluzione tecnica e scientifica” per sottolineare e
contestualizzare il nuovo ruolo che la scienza e la tecnologia stava venendo ad assumere, scienza intesa come “forza produttiva”. Bernal gettò le basi di un filone letterario che porterà inevitabilmente alla definizione di un nuovo settore economico, ovvero quello dell’informazione che verrà esplorato nei suoi aspetti teorici ed economici solamente nel 1984 da Veneris e che può essere riconducibile a cinque aspetti cruciali che hanno inevitabilmente attivato il processo rivoluzionario: – L’interazione uomo-macchina; – I supporti di memorizzazione; – La rete; – La multimedialità; – Sviluppo globale dell’istruzione/scolarizzazione globale.
2.1.1 Evoluzione dell’ICT L’“Information and Communication Technologies” (ICT) è l’insieme delle tecnologie che forniscono l’accesso alle informazioni tramite le telecomunicazioni. A differenza dell’Information Technologies (IT), l’ICT è focalizzata sulle tecnologie di comunicazione (Internet, reti wireless, telefoni cellulari e altri mezzi di comunicazione). È possibile identificare
cinque fasi di evoluzione dell’ICT strettamente connesse all’evoluzione del computer, i PC, microprocessori e connessioni wireless.
Fase I La prima fase di evoluzione dell’ICT coincide con l’invenzione del primo calcolatore elettromagnetico (peso circa 5 tonnellate) durante la Seconda guerra mondiale e con
l’invenzione del transistor nel 1947. Fase II La seconda fase di evoluzione dell’ICT è associata allo sviluppo del PC durante gli anni Settanta. Lo sviluppo della tecnologia dei chip e la produzione dei dischi magnetici permisero la trasformazione di enormi computer in desktop chiamati PC con la possibilità di rendere accessibile l’elaborazione di testi, la contabilità e la grafica. Fase III La terza fase di evoluzione dell’ICT è legata allo sviluppo del microprocessore, un dispositivo multifunzionale e programmabile che permette di ricevere dati digitali come input e di elaborarli secondo le istruzioni memorizzate nella sua memoria fornendo risultati come output. L’introduzione dei
microprocessori permise la riduzione del costo di elaborazione dati. Fase IV La quarta fase di evoluzione dell’ICT è legata allo sviluppo della rete. Inizialmente la rete fu pensata per connettere una piccola area geografica con scopi miliari, quindi si espanse per favorire la ricerca scientifica e poi per connettere tutti i computer. Internet portò alla rottura delle barriere di distanza fra le diverse aree geografiche rendendo accessibili a tutti la comunicazione e l’informazione. Fase V La quinta fase di evoluzione dell’ICT è legata allo sviluppo della rete wireless. Questa fase è iniziata con l’invenzione del telefono cellulare e lo sviluppo di tutta una serie di funzionalità a esso associate (parlare,
trasmettere messaggi, musica, navigare).
2.1.2 Sviluppo dell’ICT: punti salienti Gli effetti generati dall’evoluzione dell’“Information and Communication Technologies” (ICT) possono essere riassunti in cinque punti essenziali:
– Convergenza e integrazione tra tecnologie; – Velocità e miniaturizzazione (“legge di Moore”); – Enorme rilevanza (e costo) del software; – Abbattimento dei costi di elaborazione; – Pervasività delle applicazioni.
2.2 interazione uomo-macchina L’interazione uomo-macchina a partire dagli anni Sessanta ha subito grossi cambiamenti
grazie all’evoluzione tecnologica del computer e successivamente all’esplosione della rete con l’ICT in cui si è assistito a un’accelerazione nell’esecuzione dei processi informativi e di trasmissione delle informazioni che prima ha intaccato la produttività aziendale e successivamente, grazie ad aziende come Apple a partire dal 1977, la diffusione dell’Home PC e al miglioramento delle velocità di connessione ha innescato un vero e proprio processo rivoluzionario: la “Rivoluzione di Internet”.
2.2.1 Evoluzione del computer È estremamente utile ai fini dell’analisi ripercorrere l’evoluzione tecnologica del computer e della potenza di calcolo che ha segnato il primo cambiamento significativo dell’era pre-Internet. Prima della fine degli anni Settanta, l’utilizzo del computer era considerato di uso prettamente aziendalistico con l’utilizzo di grosse macchine come i mainframe IBM o i minicomputer apparsi nella seconda metà degli anni Sessanta come terza generazione di calcolatori basati su circuiti integrati. La potenza di calcolo limitata di mainframe e minicomputer richiedeva l’ottimizzazione di ogni processo, l’incremento della potenza di calcolo ha dato inevitabilmente origine al percorso di “informatica individuale” basata sullo sfruttamento della potenza di calcolo in eccesso per sviluppare applicativi in grado di semplificare l’interazione uomo-computer.
Precursore e pioniere di questa cultura fu Alan Kay, tra gli anni Settanta e Ottanta, all’epoca dipendente della Xerox, padre inventore del linguaggio Smalltalk, il primo linguaggio di programmazione orientata agli oggetti con gestione dinamica dei tipi e con un paradigma di programmazione riflessivo in grado di creare una vera e propria simbiosi dell’umano con il calcolatore. Dal sito ANSI, viene definito un programma in Smalltalk come “una descrizione di processi computazionali dinamici. Il linguaggio di programmazione Smalltalk è una notazione per la scrittura di tali programmi”. In sostanza Kay fu il primo a capire, sfruttando l’ebollizione del settore della computer grafica e delle interfacce “naturali”, che i display grafici con icone, finestre, ipertesto e un cursore controllato da un mouse si sarebbero potuti incorporare in piccoli computer entro un decennio.
Grazie alla teorizzazione di Key, l’interazione con un computer cominciò a essere vista in maniera più tangibile dagli utenti messi ora in condizione di poter manipolare graficamente gli oggetti invece che dover imparare complesse e lunghe sequenze di comandi da tastiera. Il lavoro di Kay fu ripreso da Apple per la realizzazione del primo PC dotato di un’interfaccia grafica
(GUI-Graphical User Interface), un progetto rivoluzionario che segnò il primo passaggio alla produzione di massa di un PC che prima di allora era destinato a usi aziendali.
2.2.1.1 I computer di prima generazione (anni Quaranta) Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1943, il Governo degli Stati Uniti commissionò la realizzazione di una macchina da calcolo idonea a risolvere problemi di natura balistica per il lancio dei proiettili. Il progetto dal nome ENIAC (“Electroni Numerical Integrator and Calculator”) fu presentato nel 1946 da John Mauchly e impiegava 18.000 valvole termoioniche collegate con 500.000 contatti e basato su di un sistema numerico decimale. Successivamente i progettisti dell’ENIAC proposero la costruzione dell’EDVAC (Electronic Discrete Variable Automatic Calculator). Il progetto, che migliorava in termini di velocità e di memoria l’ENIAC, era
un computer binario in grado di eseguire operazioni matematiche formato da 6000 valvole termoioniche e più di 12.000 nodi.
Nei primi anni Cinquanta si è poi assistito ad avanzamenti in vari campi: – Memorie (nuclei di ferro); – Programmazione (ad es. compilatori, linguaggi di alto livello come FORTRAN; strutture di dati-database ecc.); – Modem;
– Multiprocessori e time-sharing; – Tecnologie di I/O con nastri magnetici e schede perforate. Nel 1951 l’Università di Cambridge lancia LEO I, il primo calcolatore commerciale per una società di catering a 30.000 W di potenza a 50 valvole. Tra il 1952 e il 1953 si assiste alla commercializzazione dei primi computer IBM. L’IBM 701, conosciuto anche come “Defense Calculator”, fu il primo calcolatore commerciale prodotto da IBM basato su una circuiteria logica a valvole termoioniche e memoria elettrostatica. Fu annunciato al pubblico nel 1952 e ne furono venduti 19 esemplari con i suoi equivalenti aziendali che erano l’IBM 702 e l’IBM 650. Nel 1953, al fine di coordinare le informazioni radar a una sede centrale per l’elaborazione di dati in grado di intercettare aerei nemici, IBM realizzò SAGE (“Semi
Automatic Ground Enviroment”), il primo sistema innovativo online basato su computer e gestito in tempo reale tramite modem. Da SAGE deriverà la prima applicazione di “commercio elettronico”: sistema SABRE di prenotazione aerea distribuita. 2.2.1.2 I computer di seconda generazione (anni Cinquanta) Nel 1955 IBM realizzò IBM 702, il primo computer a transistor che permetteva una maggiore velocità di elaborazione dati, minori consumi di risorse, maggiore capacità di memoria, più facile interazione I/O, minori costi di produzione e un software più evoluto. Nel 1956 venne inventato dall’IBM il primo hard disk.
2.2.1.3 La terza generazione: I circuiti integrati (anni Sessanta) Negli anni Sessanta si è assistito alla diffusione dei primi circuiti integrati. Il circuito integrato è un circuito elettronico
miniaturizzato dove i vari transistor sono stati formati tutti nello stesso istante. Il chip è la componente elettronica elementare che contiene gli elementi attivi/passivi che costituiscono il circuito. Alla fine degli anni Sessanta venne realizzato il primo microprocessore, con lo sviluppo dell’Intel 4004, una tipologia di circuito elettronico interamente costituita da uno o più circuiti integrati e di dimensioni molto ridotte. Dalla loro introduzione a oggi, il percorso evolutivo del microprocessore ha seguito l’andamento esponenziale della legge di Moore, che prevede ogni 18 mesi il raddoppio del numero di transistor integrabili sullo stesso chip. Nello stesso periodo oltre alla ricerca costante di una maggiore velocità e una minore dimensione si assistette al miglioramento dei dispositivi di input e output:
– 1960: DEC PDP-1 Primo computer con monitor e tastiera; – 1963: Primo videogame; – 1963: Primo mouse; – 1967: Primo floppy Disk.
2.2.1.4 I computer entrano “in rete” (anni Sessanta e Settanta) Nel
1964
venne
realizzato
il
primo
esperimento con una LAN, la necessità era di stabilire collegamenti ad alta velocità tra i sistemi di computer soprattutto in ambito universitario e nei laboratori di ricerca. Nel 1965 venne realizzato il primo cavo a fibra ottica, per la comunicazione. Nel 1962 Paul Baran, un membro dell’ARPA fu incaricato di effettuare uno studio per la realizzazione di un sistema di rete che fosse in grado di mantenere il collegamento via computer tra più basi militari in caso di un attacco nucleare. Baran, partì dal presupposto che l’unico modo per assicurare la continuità nelle comunicazioni fosse quello di prescindere da un nodo centrale, per evitare che l’eventuale distruzione compromettesse l’intero funzionamento della rete. Nel 1969 nasce Arpanet, una rete che collega quattro elaboratori Honeywell, ognuno dotato di soli 12KB di memoria. Da quel momento in poi la rete Arpanet iniziò a crescere velocemente cominciandosi a basare su un sistema di
protocolli, TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol) per rendere possibile lo scambio dei dati tra sistemi collegati. Nel 1971 fu inviata la prima email e successivamente nel 1978 la prima BBS (Bulletin Board System), un computer che utilizza un software per permettere a utenti esterni di connettersi a esso tramite la linea telefonica abilitando a funzionalità di file sharing e messaggistica.
2.2.1.5 L’avvento del PC (anni Settanta) Nel 1970, nei laboratori di Paolo Alto fu realizzato il progetto Xerox Alto, prodotto dallo Xerox Palo Alto Research Center (Xerox PARC), il primo computer nella storia
con un display bitmap a finestre e capacità di sovrapposizione collegato alla prima rete Ethernet in LAN e dotato di un linguaggio orientato a oggetti, lo Smaltalk. Nel 1973, l’INRA (Institut national de la recherche agronomique) realizzò il primo microcomputer commerciale basato sul microprocessore Intel 8080; Contemporaneamente fu commercializzato Altair 8800, il primo microcomputer a prezzi accessibili alle fasce popolari concepito come minicomputer con aspetto e architettura simile. La vera svolta ci fu nel 1977 con la nascita dell’Apple II, un rivoluzionario modello di home computer per il quale fu usata per la prima volta l’espressione “personal computer” e il primo modello di successo a essere industrializzato. Steve Jobs e Steve Wozniak nel 1976 avevano già realizzato la versione Apple I, un computer che poteva però essere appetibile solo a un pubblico di appassionati. Steve Jobs voleva
rendere l’informatica accessibile a tutti e dare avvio al corso del “computer per le masse e non per le classi”.
Prima di Apple II, il PC per antonomasia che di fatto ha segnato l’inizio dell’era
digitale, produttori del calibro di Olivetti, avevano realizzato sistemi dedicati di videoscrittura basati su computer centrali in grado di gestire più postazioni di lavoro e in seguito macchine singole per videoscrittura ibridi fra grandi sistemi centralizzati e la macchina da scrivere, con una struttura molto simile a quella del PC ma che potevano caricare ed eseguire solo un software. L’arrivo del PC è stato in grado di portare una capacità di calcolo straordinaria su ogni scrivania. 2.2.1.6 La rete (anni Ottanta e Novanta) Nei primi anni Ottanta si inizia a diffondere il concetto di Internetworking, nascono varie reti di computer in campo universitario, pubblico e aziendale. Nel 1983 il TCP/IP (Transmission Contro Protocol/Internet Protocol) diventa il protocollo standard di
Internet. Nel 1991 nasce il World Wide Web (WWW) un sistema che permette una lettura ipertestuale dei documenti saltando da un punto all’altro tramite l’utilizzo dei link. Nel 1998 nasce Google, motore di ricerca e Apple introduce sul mercato l’iMac.
2.2.2 Produttività aziendale e introduzione delle ICT Il computer e la rete nascono inizialmente per risolvere delle problematiche prettamente aziendali. Prima
dell’introduzione degli elaboratori elettronici, i processi informativi all’interno delle organizzazioni erano gestiti manualmente con complesse e lunghe procedure di registrazione dati su supporti cartacei per l’archiviazione dati, per le ricerche ecc. L’introduzione delle ICT ha invece permesso di accelerare in maniera significativa l’esecuzione dei processi informativi mettendo a disposizione strumenti in grado di facilitare le procedure e razionalizzare i processi informativi. Per l’azienda, il sistema informatico corrisponde alla branca del sistema informativa che consente di raccogliere, archiviare, elaborare e scambiare le informazioni mediante l’uso delle ICT. Le tecnologie dell’informazione applicate alle aziende diventano di fatto leve gestionali in ottica di trasformazione dell’organizzazione. L’informatica aziendale può essere vista
come convergenza di: – Sviluppo ICT e relative applicazioni; – Sviluppo delle discipline economicogestionali e relativi modelli; – Sviluppo approcci standardizzati al business; – Sviluppo e diffusione competenze tecniche e gestionali in azienda. Passeremo ora in rassegna l’evoluzione dell’informatica aziendale.
2.2.2.1 Mainframe e minicomputer (anni Sessanta)
Il mainframe computer (sistema centrale) è una tipologia di computer di uso aziendale per svolgere funzioni centralizzate supportando centinaia di utenti e a elevata prestazione di elaborazione dati. Furono prodotti negli anni Sessanta, conosciuti all’epoca come “IBM e i sette nani”. I mainframe sono tipicamente presenti in grandi sistemi informatici come i CED (Centri di Elaborazione Dati) o in strutture bancarie dove vengono richiesti requisiti di multiutenza e affidabilità. Nella seconda metà degli anni Sessanta sono apparsi i minicomputer come terza generazione di calcolatori basati su circuiti integrati. Molto più piccolo dei mainframe e a un costo più basso. Con l’avvento dei microcomputer e dei PC, il minicomputer ha subito un processo di trasformazione tramutandosi in workstation, ovvero una versione più potente del personal computer fatto su misura per scopi professionali.
2.2.2.2 Terminali (anni Sessanta-Settanta) Negli anni Sessanta e Settanta si assistito alla diffusione dei terminali, dispositivi utilizzati in campo aziendale per inserire dati input a un sistema di elaborazione e riceverli in output per la loro visualizzazione. I primi terminali erano delle telescriventi, ovvero
strumenti che stampavano i risultati dell’elaborazione su carta e solo successivamente si sono diffuse versioni a schermo. Più avanti negli anni vennero introdotti i cosiddetti terminali intelligenti con capacità di interpretare speciali sequenze per controllare la visualizzazione. Il VT100 fu il primo terminale della Digital Equipment Corporation (DEC) ad ampia diffusione lanciato sul mercato nel 1978. I terminali venivano utilizzati per la condivisione dei dati e per la centralizzazione delle procedure in azienda e per la diffusione dell’informatica in varie aree aziendali. 2.2.2.3 PC aziendali (anni Ottanta) Negli anni Ottanta si è assistito alla diffusione del PC e degli strumenti di produttività personale, che hanno segnato una ulteriore diffusione dell’informatica
aziendale intesa, in questa fase, come tecnologia di coordinamento e controllo. Nel 1981 viene lanciata l’architettura open del PC IBM, determinando l’affermazione del computer desktop a scapito dei terminali aziendali collegati ai mainframe. Un anno dopo la Compaq produce il primo clone. Nel 1982 Commodore presenta Commodore 64, ancora oggi considerato il calcolatore più venduto della storia. 2.2.2.4 Internet e le reti (anni NovantaDuemila) Una delle evoluzioni più significative nel mondo dell’informatica è costituita dalla diffusione delle reti di calcolatori e in una seconda fase da Internet. Una rete di calcolatori è un sistema (una rete di telecomunicazione) che consente lo scambio di messaggi e dati tra computer. Con lo
sviluppo di Internet e delle reti si assiste a un ulteriore passaggio nell’evoluzione informatica aziendale intesa come tecnologia di intermediazione e di connessione di aziende con l’esterno.
2.3 supporti di memorizzazione I primi strumenti semplici e intuitivi da utilizzare per l’immagazzinamento e il trasferimento dei dati furono i floppy disk. Si trattava di un supporto di memorizzazione di tipo magnetico nato nel 1967 e in continua evoluzione fino agli anni Ottanta fino a
essere sostituiti dai CD-Rom e divenire obsoleti con l’avvento di Internet, delle reti Ethernet e delle pendrive USB. I floppy disk erano supporti molto costosi e in grado di memorizzare al massimo 128KBdi dati. Successivamente vennero rilasciate versioni più piccole e contemporaneamente più capienti: floppy da 5 pollici (360KB) e floppy disk da 3,5 pollici (fino a 1,4MB di dati).
I dati all’interno dei floppy venivano memorizzati su un disco flessibile all’interno del case, in formato binario sfruttando un processo di magnetizzazione. Il floppy disk venne successivamente sostituito dal compact disc (CD) lanciato in commercio dalla Philips nel 1982, un disco ottico derivante dalla combinazione del sistema numerico binario al suono e del laser. Ciononostante il più significativo mezzo di archiviazione fisica è il disco rigido o hard disk, un dispositivo di memoria di massa magnetico che venne introdotto nel PC agli inizi degli anni ottanta. L’aumentata capacità di archiviazione comportò il progressivo migrare degli archivi da cartacei a digitale, così come la musica cominciò a essere registrata, sfruttando i computer, sui CD. Negli anni si è assistito a una crescita esponenziale dell’archiviazione dati e della
memoria dati con un crollo significativo dei costi di archiviazione. Basta confrontare un hard disk del 1956 realizzato da IBM di soli 5MB e che occupava il vano di un aeromobile e una Micro SD Card da 128GB di oggi per capire l’evoluzione tecnologica che ha investito il settore. A dimostrazione che si è assistito non solo a un incremento significativo della capacità di archiviazione ma anche una riduzione significativa dei costi di archiviazione. Nel primi anni Duemila vennero introdotte le chiavette USB, forme di schede di memoria estraibili di dimensioni molto contenute. Nella chiave USB i dati sono memorizzati in una memoria flash basata su un protocollo standard denominato “USB Mass Storage Protocol”. Dalla loro prima comparsa le chiavi USB sono migliorate grazie a incrementi costanti e significativi di velocità, letture e scrittura con una riduzione significativa del costo unitario per byte.
Con il tempo si è sentita l’esigenza di spostare la gestione dell’hardware e del software sulla rete attraverso nuovi modelli di fruizione ed erogazione, con lo sviluppo della tecnologia cloud, l’ultima evoluzione dell’archiviazione digitale di dati, che permette di utilizzare come se fossero risorse locali risorse informatiche software e hardware disponibili online, offerte come servizi da server remoti accessibili attraverso Internet.
2.4 la rete L’era digitale è direttamente collegata allo sviluppo delle reti di telecomunicazioni. L’idea di una rete informatica idonea a consentire a utenti di diversi computer di comunicare tra loro si sviluppò in molte tappe successive. Una serie di evoluzioni che ha portato allo sviluppo della “rete delle reti” (oggi chiamata Internet). Internet è dunque risultato di uno sviluppo tecnologico sia delle
infrastrutture rete esistenti sia dei sistemi di telecomunicazioni. Inizialmente le reti di trasmissioni dati consentivano soltanto a un utente remoto di connettersi a un modem, il quale trasformava in modulazioni di bit le sequenze impartite attraverso il terminale. Nel 1957 l’URSS lanciò lo Sputnik, il primo satellite artificiale inviato nello spazio dall’uomo, si era in piena guerra fredda e gli Stati Uniti, in risposta crearono l’Advanced Reserach Project Agency (ARPA), un’agenzia finalizzata a produrre una tecnologia avanzata che fosse applicabile al mondo militare. Nel 1962 Paul Baran, un membro dell’ARPA fu incaricato di effettuare uno studio per la realizzazione di un sistema di rete che fosse in grado di mantenere il collegamento via computer tra più basi militari in caso di un attacco nucleare. Baran partì dal presupposto che l’unico modo per assicurare la continuità nelle comunicazioni fosse quello di prescindere da un nodo
centrale, per evitare che l’eventuale distruzione compromettesse l’intero funzionamento della rete. Nel 1969 nasce Arpanet, una rete che collega quattro elaboratori Honeywell, ognuno dotato di soli 12KBdi memoria. Da quel momento in poi la rete Arpanet iniziò a crescere velocemente cominciandosi a basare su un sistema di protocolli, TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol) per rendere possibile lo scambio dei dati tra sistemi collegati.
Nel 1980 la rete Arpanet viene divisa in tre distinti network: NSFNET (“National Science Foundation Network”), BITNET (“Because It’s Time Network”), CSNET (“Computer Science Network”). Nel 1983 nasce Internet (dal nome del protocollo principale), una rete donata dall’ARPA alle università americane, assieme alla rete sorella, esclusivamente militare dal nome di MILNET. A quell’epoca per comunicare si utilizzavano modem di grosse dimensioni
con velocità di trasmissione molto ridotte. Solo nel 1996 Internet divenne un fenomeno mondiale seppur diverso da come è conosciuto oggi. Le connessioni erano infatti costose e su linee analogiche, i siti erano solamente testuali e la lettura della posta elettronica ne era il principale utilizzo. La rivoluzione ci fu con la fibra ottica e con le connessioni ADSL che portarono a una crescita significativa della potenza della banda permettendo agli utenti di poter navigare in maniera più fluida e veloce. 2.5 la multimedialità Contemporaneamente alla diffusione dei personal computer degli anni Ottanta con un cambiamento radicale dello scenario dell’industria informatica, si assistette a un fenomeno analogo nella diffusione dei sistemi multimediali che con lo sviluppo
delle telecomunicazioni si è accentuato ulteriormente nel campo della telefonia e della videotelefonia cellulare. I personal computer resero infatti possibile l’accesso a una varietà di media (fenomeno della multimedialità) rendendo possibile attraverso collegamenti in rete di individui, la soluzione di problemi, lo sviluppo di attività lavorativa e più in generale il pensiero creativo. L’utente comincia ad avere la possibilità di accedere tramite un unico dispositivo a dati per lui significativi riprodotti su media diversi, cosa che prima del PC e di Internet non era possibile fare. L’utente comincia a ricevere e produrre comunicazioni multimediali, che si avvalgono cioè contemporaneamente di più mezzi di comunicazione integrati a più livelli mediante un processo di interattività.
2.6 sviluppo globale dell’istruzione Un fattore da non sottovalutare e prerequisito per l’evoluzione digitale è lo sviluppo globale dell’istruzione, risorsa fondamentale sia per gli individui che per la società e alla base dei percorsi evolutivi e innovativi delle tecnologie. In questo paragrafo si andrà a dimostrare come l’educazione aggregata sia in grado di migliorare la capacità di innovazione di un
paese, imitare e adattare nuove tecnologie, consentendo così l’attivazione del cosiddetto “progresso tecnologico” e la crescita sostenuta del paese (Lindahl, Krueger 2001). Nel mondo si è assistito negli ultimi due secoli a un processo di espansione significativa in termini di istruzione. I tassi di alfabetizzazione globale sono cresciuti in maniera rilevante con un aumento dei tassi di iscrizione all’istruzione primaria e una crescita drastica nella secondaria e terziaria. Nel grafico che segue viene rappresentata la crescita dell’alfabetizzazione mondiale fra il 1800 e il 2014. Come si può vedere il tasso di alfabetizzazione è cresciuto in maniera costante ma piuttosto lenta fino all’inizio del Ventesimo secolo quando l’espansione dell’istruzione di base è diventata una priorità a livello globale.
Il grafico successivo fornisce una rappresentazione dei tassi di alfabetizzazione in tutto il mondo, utilizzando le stime recenti pubblicate nel “CIA World Factbook”. Come è rinvenibile, tutti i paesi al di fuori dell’Africa hanno tassi di alfabetizzazione superiori al 50%.
Il grafico successivo fornisce, paese per paese, una ripartizione della popolazione per il livello più alto di istruzione raggiunto dopo i primi 15 anni di età. Si nota come l’istruzione a livelli superiori, soprattutto secondaria e terziaria, sta diventando sempre più importante a livello mondiale a dimostrare la crescita del tasso di istruzione. Il grafico fornisce una proiezione di come
queste tendenze dovrebbero evolvere in futuro a seconda della dinamica di crescita della popolazione in ogni paese.
Dall’analisi condotta fino a questo momento emerge l’importanza dell’istruzione come un investimento prezioso sia individualmente che collettivamente. La relazione dell’OECD
(“Organisation for Economic Cooperation and Development”), “Education at a Glance 2015”, fornisce una prova descrittiva del legame tra educazione individuale e reddito. La figura di seguito mostra i guadagni dei lavoratori a seconda del tipo di istruzione ricevuta. Ciò che emerge è come più è alto il livello di istruzione e maggiore è il relativo guadagno. In aggiunta, la letteratura economica ha da tempo studiato se il livello di istruzione in un paese sia determinante per la sua crescita economica. L’analisi condotta fino a questo punto serve per dimostrare come l’istruzione possa produrre esternalità economiche positive e che l’educazione aggregata sia in grado di migliorare la capacità di innovazione di un paese, imitare e adattare nuove tecnologie, consentendo così il “progresso tecnologico” e la crescita sostenuta (Krueger, Lindahl 2001). Gli studi più recenti di Lutz, Crespo Cuaresma e Sanderson (2008),
hanno dimostrato che l’istruzione non solo porta a un reddito individuale elevato ma è anche una condizione necessaria per una crescita economica a lungo termine. Su questa scia Hanushek e Woessmann (2010) forniscono una rappresentazione di base dell’associazione tra gli anni di scolarizzazione e la crescita economica utilizzando i dati disponibili più recenti. In particolare forniscono una rappresentazione della correlazione tra gli anni medi dell’istruzione scolastica nel 1960 e il tasso medio annuo di crescita del PIL tra il 1960 e il 2000, dopo aver contabilizzato le differenze iniziali nei livelli del PIL del 1960. Lo studio dimostra una forte relazione positiva.
capitolo 3 L’industria Internet
In questo capitolo cercheremo di fare luce sui principali modelli descrittivi di Internet, cosa s’intenda per industria Internet e come si caratterizza, prendendo in analisi i principali studi che hanno tentato di definire, strutturare e misurare l’economia della rete evidenziando come, in effetti, manchi ancora un quadro di riferimento. Il primo capitolo è quindi strutturato in due parti di analisi: – Nella prima parte, denominata “I modelli generali di Internet”, si cerca di definire e classificare il fenomeno di Internet secondo alcuni driver di carattere generale, e in particolare il driver economico, di scambio relazionale e tecnologico. Ognuna di queste
tre dimensioni permette una prima interpretazione del fenomeno, che serve per inquadrare le dinamiche relazionali che inquadrano Internet in un contesto nel quale possiamo individuare: un valore economico di scambio tra diversi servizi (Internet come sistema economico), un processo relazionale che guida le relazioni tra individui (Internet come Sistema Adattivo Complesso o CAS, Complex Adaptive System), uno strumento tecnologico trasversale a settori, prodotti e servizi tra loro complementari (General Purpose Technology, GPT) e infine quelle che sono le influenze sociali che derivano dalle adozioni di specifici sistemi tecnologici (Large Technological System, LTS); – Nella seconda parte analizzeremo modelli specifici che descrivono l’industria di Internet soffermandoci sui modelli a strati, i primi modelli emersi per descrivere
l’industria (Modello CREC 1998; Modello Internet Intermediaries – OECD, 2010; Modello Internet economy – IDC, 2011; Internet stack – BCG 2011), i modelli a flussi, che hanno cercato di definire l’industria individuando i flussi economici tra i settori industriali di Internet (The Internet Money Flows – O’Donnell, 2002; The Internet Ecosystem – Hamilton, 2007), e i modelli che hanno provato a descrivere l’industria utilizzando l’approccio “Value Chain” (Internet Value Chain – A.T. Kearney, 2010).
Dopo le due parti di analisi si passerà all’introduzione di un framework di analisi, elaborato al fine di provare a dare un approccio strutturato allo studio dell’industria di Internet, approccio che seguiremo per le restanti parti di questo libro.
3.1 i modelli generali di internet 3.1.1 Internet come sistema economico Data la stretta relazione che esiste tra Internet e l’andamento dell’economia della maggior parte dei paesi del mondo, soprattutto perché esiste una correlazione tra la rete e la maggior parte dei settori produttivi, in questo paragrafo ci dedichiamo alla lettura di Internet come sistema economico, in modo tale da porre le basi per capire in che modo Internet può essere considerato un fenomeno economico a sé stante. Quando si parla di sistema economico, s’intende un sistema nel quale si possono individuare una serie di soggetti (persone o organizzazioni) che, attraverso delle relazioni cercano di soddisfare diverse tipologie di fabbisogni. Tutto questo avviene attraverso lo scambio di beni e servizi che, poiché
risorse, sono scarse e quindi soggette a valutazione e scelta di impiego. In questo modo un sistema economico è riconosciuto come tale nel momento in cui è un sistema che gestisce la scarsità che si configura come decisione che deriva dall’analisi dei bisogni e le modalità in cui questi sono soddisfatti. Secondo questi criteri, il soddisfacimento di bisogni dipende dall’interazione di vari componenti che intervengono nella decisione di allocare risorse rispetto a bisogni. Rispetto a questo, Internet si pone come strumento che in qualche modo influenza la classica interpretazione del soddisfacimento di bisogni. La virtualizzazione di alcuni servizi ha prodotto l’effetto di rendere fruibili alcuni di essi a numeri talmente elevati di individui e in maniera simultanea, da modificare il concetto di scarsità per alcune tipologie di beni e quindi di conseguenza, provoca la rivisitazione dei concetti di valutazione e
scelta di impiego. Se pensiamo quindi alle risorse necessarie per l’utilizzo di Internet, queste corrispondono perfettamente a quelle di un sistema economico e come tale può essere interpretato per capire quali sono le scelte di maggiore efficienza ed efficacia. Questa premessa è importante perché, considerando Internet come sistema economico, possiamo comprendere i meccanismi che ne determinano l’andamento e in particolare: – I settori di riferimento; – I bisogni che devono essere soddisfatti; – I principali attori; – Le modalità di interazione tra attori; – Le modalità di soddisfacimento dei bisogni; – Le relazioni tra settori, individui e bisogni; – I mercati dei beni;
– I fattori produttivi. Ognuno di questi elementi è preso in considerazione nei successi paragrafi e capitoli del libro. Inquadrare Internet come fenomeno economico è importante soprattutto per capire l’impatto diretto-indiretto degli scambi e relazioni che avvengono tra individui e organizzazioni attraverso la rete. Internet, infatti, è da una parte un fenomeno economico in quanto strumento attraverso il quale scambiare informazioni e sbloccare valore relazionale; dall’altra parte Internet si può anche considerare fenomeno economico in quanto strumento attraverso il quale sviluppare altre forme di scambio di valore e modalità di soddisfacimento dei bisogni. I successivi modelli serviranno per inquadrare da un punto di vista teorico quali sono le modalità di interazione e scambio di beni e servizi tra organizzazioni e individui.
Internet è quindi un sistema attraverso il quale favorire o sviluppare nuove forme di relazioni economiche. 3.1.2 Internet come Sistema Complesso Adattivo Internet è oggi diffusa in maniera trasversale tra le popolazioni: governi, terroristi, aziende, individui, paesi sviluppati, paesi in via di sviluppo; tutti hanno integrato Internet nella loro vita. Gli individui sono collegati e influenzano la vita di più persone come mai prima, portando allo sviluppo della teoria delle reti sociali. La natura di Internet e il suo impatto sulla società possono essere analizzato osservando la rete come un Sistema complesso adattativo (CAS, Complex Adaptive System). Siccome solo in tempi recenti si è iniziato a
studiare i CAS, manca una definizione formale riconosciuta globalmente. Secondo Plsek e Greenhalgh (2001): “Un Sistema complesso adattativo è un insieme di agenti individuali che hanno la libertà di agire in modi non sempre totalmente prevedibili e le cui azioni sono tra loro interconnesse, così che le azioni di un agente cambiano il contesto per gli altri agenti. Un Sistema complesso adattativo è un sistema aperto, formato da numerosi elementi che interagiscono fra loro in modo non lineare e che costituiscono un’entità unica organizzata e dinamica capace di evolvere e di adattarsi all’ambiente. […] Un Sistema complesso adattabile è un insieme di agenti individuali dotati di una libertà di azione sufficiente a renderli non del tutto prevedibili, e le cui azioni sono interconnesse in modo tale che l’azione di un agente cambi il complesso per altri agenti. […] Esempi sono il sistema immunitario, una colonia di termiti, il mercato finanziario e praticamente ogni gruppo di esseri umani, come ad esempio una famiglia, un comitato o uno staff sanitario.”1
Murray Gell-Mann, uno dei pionieri del settore, offre la caratterizzazione che “un Sistema complesso adattativo acquisisce informazioni sul suo ambiente e la sua interazione con questo ambiente, individuando regolarità che le informazioni… in una sorta di ‘schema’, e di agire nel mondo reale sulla base di tale schema” (Gell-Mann, 1994). Questo può essere interpretato nel senso che i CAS sono un prodotto del loro ambiente mentre allo stesso tempo lo influenzano. Alcune proprietà sembrano essere proprie dei CAS, come ad esempio: l’emersione, la co-evoluzione con l’ambiente, l’autoorganizzazione, la connettività/retroazione, l’iterazione e la nidificazione (Freyer). Le dinamiche di Internet possono essere analizzata attraverso queste proprietà, e il cambiamento e l’influenza che ha sul mondo fisico può essere analizzato attraverso la
teoria delle reti sociali. L’emersione può essere indicata come la proprietà di un insieme di sistemi indipendenti a combinarsi per formare una struttura più complessa senza che il risultato sia stato progettato in tale modo a priori. Un riferimento ben noto all’emersione è quello che descrive un oggetto come “più grande della somma delle sue parti”. L’emersione è strettamente collegata all’autoorganizzazione (che può essere considerata come un movimento “dal basso”), in cui un sistema subisce una riduzione di entropia e diventa più organizzato senza influenze esterne (Peak e Frame, 1994). Secondo Peak e Frame, questo può essere fatto senza violare la Seconda legge della termodinamica in quanto la riduzione di entropia si verifica solo a livello locale, e il sistema finirà per cadere in uno stato disorganizzato. Chiaramente, Internet presenta entrambe
le caratteristiche. Internet è nata nel 1960 come un insieme di computer collegati a Governo e Università. Senza essere progettato da un architetto dirigente, il collegamento in rete si è evoluto lentamente fino a quando il World Wide Web è emerso sul server info.cern.ch nel 1990, che ha segnato la vera nascita di Internet serverclient che oggi conosciamo (Berners-Lee, 1996). Nel corso dei successivi due decenni, milioni di altri server si sono aggiunti alla rete; la connessione tra un server e un client è semplice, ma la connessione di tutti i server e tutti i client è massicciamente complessa. L’auto-organizzazione di questo “schema”, come Gell-Mann lo chiamerebbe, ha alimentato ulteriormente la crescita di Internet, con la conseguente apparizione di email, motori di ricerca, siti di social networking, indicizzazione di immagini e
video, wiki e di tutte le altre cose che Internet comprende oggi. Le successive proprietà da esaminare, che sono anche queste legate, sono coevoluzione, retroazione e iterazione. Internet costituisce la base di un mondo intero che non ha forma corporea, ma esiste digitalmente. Un computer può memorizzare fisicamente poco più di una serie di 0 e 1, ma questa informazione binaria può rappresentare una pletora di oggetti come un’equazione, un conto in banca, un documento di testo, o anche un’Intelligenza Artificiale. Anche se Internet incapsula un “mondo” proprio, esso coesiste con il resto dell’universo. Esso cambia funzionalmente il mondo “reale”, e quindi di conseguenza, come Internet si evolve e si adatta, l’ambiente nel quale risiede cambia, provocando un ciclo di adattamento. In poche parole, Internet subisce
coevoluzione con la società umana. Visto da un’altra prospettiva, questo è semplicemente una serie di retroazioni, che si traducono in ulteriori iterazioni successive del sistema originale. Dunque co-evoluzione, iterazione, e retroazione sono inseparabili l’uno dall’altro, e rappresentano diverse “prospettive” dello stesso processo. Google raffigura un ottimo esempio di queste tre proprietà. Come Internet è cresciuta in complessità, un nuovo modo di indicizzazione del vasto numero di siti si è reso necessario, anziché memorizzare solo un gran numero di URL. In risposta a ciò, sono stati creati i motori di ricerca, che funzionano un po’ come una “rubrica” di Internet. L’esistenza stessa dei motori di ricerca è un prodotto delle varie caratteristiche dei CAS, e Google divenne ben presto il motore di ricerca dominante per i suoi algoritmi
superiori che catalogavano per l’utente finale in modo efficiente ed efficace l’intero Web (Asadi). Come un numero maggiore di persone ha iniziato a usare Google, così si è passati attraverso una rapida co-evoluzione, e Google ha iniziato a offrire altri servizi, come la posta elettronica, la ricerca di immagini, le mappe digitali e altro ancora. L’azienda ha costantemente iterato sui suoi servizi: la sua funzione di ricerca è stata offerta in decine di lingue, Gmail ha ampliato la sua memorizzazione, la ricerca immagini estesa a video, le mappe digitali sono state aggiornate al 3D, e vari altri servizi sono stati aggiunti (Google). Per Google mantenere il loro status di società di information technology più importante al mondo non è cosa da poco. La società impiega un sistema di feedback estremamente complesso e dettagliato per iterare costantemente e coevolvere. Google registra ogni pezzo di informazione
pertinente sulle ricerche effettuate sul proprio motore: IP dell’utente, il contenuto ricercato, le pagine che sono visitate, il tempo trascorso tra le ricerche, e altro ancora. Registra “istantanee” di ogni pagina indicizzata sul suo motore, e aggiunge un’altra “istantanea” quando il sito viene aggiornato o modificato. Google si pone come un punto di riferimento nella crescita di Internet. I sistemi nidificati, il “tratto” finale da analizzare, essenzialmente sono sistemi contenenti in sé sistemi analoghi che contengono ulteriori altri sistemi. Ad esempio, il World Wide Web è un sistema nidificato che risiede in Internet. Il web contiene domini di primo livello, che comprende domini di secondo livello (siti web), che possono includere molte pagine web o essere ulteriormente suddivisi in domini terziari, come mail.google.com (Vixie, 2007). Forse i più influenti e
importanti sistemi nidificati sono i siti di social networking, che hanno cambiato la natura dell’interazione umana in tutto il mondo. La teoria della reti sociali vede gli individui come “nodi” e il loro rapporto con gli altri come “link”. Si scopre che la stesse legge di potenza che governa il comportamento frattale e caotico disciplina anche la connessione di link a nodi di una rete sociale (Barabasi, 2004). Detto in altro modo, una piccola percentuale di nodi sono responsabili della maggior parte dei collegamenti, e inoltre hanno un più alto tasso di crescita dei collegamenti. Siti come Facebook, Myspace e Twitter permettono al singolo individuo di comunicare direttamente e immediatamente con centinaia di altre persone, e indirettamente a chiunque abbia accesso a Internet. Servizi come LinkedIn permettono attività di social networking tra le industrie e
lavoratori, consentendo l’accesso diffuso a potenziali carriere e posti di lavoro. Dal momento che questi servizi continuano a essere utilizzati, nuovi nodi e collegamenti appaiono, e si rafforzano i vecchi link, che accelerano il flusso di informazioni (Barabasi 2004, Berners-Lee 2007). Inoltre i siti social, in alcuni casi, hanno un profondo impatto sulla vita di molti. Dopo il devastante terremoto all’inizio del 2010 a Haiti, molte migliaia di vittime sono rimaste intrappolate sotto gli edifici, senza cibo né acqua. Molta gente ha inviato i messaggi di Twitter, indicando la loro posizione e condizione fisica, aiutando i soccorsi a salvarli. La primavera Araba, la serie di ribellioni avvenute nel Medio Oriente e nell’Africa settentrionale, è avvenuta anche grazie al supporto di Facebook che ha permesso ai manifestanti di organizzarsi. L’aumento di comunicazione da social networking e dal web ha
indubbiamente migliorato la qualità della vita in tutto il mondo, e anche salvato delle vite. Il mondo è radicalmente cambiato negli ultimi venti anni grazie al Sistema Adattivo Complesso noto come Internet. L’analisi di Internet vista come un CAS ci lascia intendere che la rete non è un sistema chiuso e statico ma che iterazione dopo iterazione, essa continua a plasmare e definire il mondo a un ritmo sempre crescente, verso un futuro inconoscibile. 3.1.3 Internet come General Purpose Technology Internet è ormai considerata da molti come una General Purpose Technology. Non sembra esserci una definizione solida di General Purpose Technology, ma forse una spiegazione utile è che esse sono profonde
nuove idee o tecnologie che hanno il potenziale per importanti impatti in molti settori di un’economia. Secondo Bresnahan e Trajtenberg (1995), esistono delle tecnologie con caratteristiche tali da favorire lo sviluppo di molti settori, con aspetti e bisogni diversi tra di loro. Queste tecnologie sono chiamate General Purpose Technologies (GPT) e hanno delle caratteristiche tali per cui il loro avvento provoca in diversi comparti del sistema economico un cambio di paradigma nella società. Esempi di questo tipo di tecnologie nel passato sono stati la macchina a vapore, l’avvento dell’elettricità, o il motore a turbina. A ognuna di queste tecnologie corrisponde un cambio di paradigma, non solo economico ma anche sociale che ha portato a delle forme sostanziali di cambiamento, tali per cui il sistema economico di ognuna di quelle epoche ha subito delle modifiche radicali.
L’avvento di una tecnologia GPT instaura un meccanismo tale per il quale tutto il sistema ha bisogno di un nuovo modello concettuale sul quale costruire il nuovo sistema economico. L’evoluzione provoca un cambiamento tale per cui sono necessari dei cambiamenti socio-demografici ai quali corrispondo sempre dei cambiamenti nei mercati di riferimento. A un’innovazione tecnologica corrisponde un cambiamento culturale che provoca a sua volta lo stravolgimento di alcuni mercati all’interno di settori conosciuti se non addirittura la nascita di nuovi mercati e nuovi settori. Le GPT sono tali se rispondo a una serie di requisiti quali: – La tecnologia deve avere una grande varietà di applicazioni; – Devono essere tecnologie pervasive: la diffusione deve avvenire in contesti dissimili e non devono prescindere dalla
territorialità; – L’innovazione deve essere di tipo incrementale: in linea teorica deve esserci l’opportunità di migliorare nel tempo le caratteristiche e le prestazioni di tale tecnologia, senza che avvenga un cambio di paradigma (questo rappresenterebbe la scoperta di una nuova GPT); – La tecnologia deve essere complementare con altre tecnologie; – La tecnologia deve abilitare la ricerca di nuovi processi organizzativi: il cambiamento tecnologico porta con sé nuovi bisogni organizzativi, come per esempio la riduzione dei costi di produzione o nuove forme di vendita e distribuzione di beni e servizi; – Per essere definite tali, le GPT devono prevedere un alto grado di complementarità con altre tecnologie esistenti: secondo questa logica una GPT risponde a funzioni d’uso diverse e non esclusive. Inoltre le
GPT non possono essere utilizzate direttamente: è necessaria la presenza di un bene intermediario per far sì che la GPT possa essere utilizzata. Questi elementi di definizione possono essere utilizzati per analizzare se Internet ha effettivamente le caratteristiche per essere una GPT. In un certo senso la varietà di applicazioni è il criterio più debole per definire Internet come una GPT. Semplificando molto possiamo dire che Internet non è niente più che un mezzo di comunicazione, usato sia interattivamente sia monodirezionalmente. Comunque, questa definizione porta con sé molte diverse funzionalità, in quanto Internet funziona come: – Un mezzo semplice per la diffusione delle informazioni (ad esempio servizi di
informazione, informazioni sui prezzi); – Un sistema interattivo di comunicazione di rete (ad esempio, forum di dialogo, servizi di telefonia basato su Web); – Una piattaforma per le transazioni (ad esempio aste come eBay); – Un mercato (ad esempio le diverse piattaforme online che fanno incontrare domanda e offerta); – Un luogo per produzioni immateriali (ad esempio molti ingegneri lavorano sullo stesso progetto da luoghi diversi); – Un canale di distribuzione (ad esempio libri e musica). Date queste caratteristiche, è possibile associare il concetto di GPT a Internet e capire in che modo questa definizione combaci o no alle caratteristiche generali della rete:
– Varietà di applicazioni: ritornando dunque alla questione se Internet può essere utilizzata in molte aree, possiamo affermare che la sua natura è indiscutibilmente universale. Viene infatti utilizzata in svariati settori, in particolare i servizi finanziari e della logistica, nell’industria (come le case automobilistiche nel supply chain management) e nel settore pubblico; – Pervasività: secondo questa caratteristica esistono vari indicatori che stabiliscono il livello di diffusione di Internet in un sistema economico. Parte di questi indicatori saranno introdotti nel primo e secondo paragrafo di questo capitolo. Quindi da un punto di vista di investimenti e spesa possiamo affermare che Internet soddisfa la prima proprietà delle GPT; – Innovazione incrementale: da un punto di vista di evoluzione tecnologica, è facilmente affermabile che Internet
storicamente ha finora mostrato diverse forme di progresso tecnologico. Basti pensare all’evoluzione in termini di velocità di trasmissione, infrastrutture, servizi, sicurezza dei dati e altri aspetti nei quali è possibile riscontrare un’innovazione continua nel tempo, all’interno dello stesso paradigma tecnologico. In questo modo, anche la seconda caratteristica è soddisfatta; – Processi organizzativi: l’opportunità che Internet ha dato al sistema economico di rivedere i propri processi organizzativi è il concetto alla base di questo libro. L’automazione, i cambiamenti nelle catene di montaggio, trasporto, logistica, abbattimento di costi, modelli di pagamento e sviluppo di forme di internazionalizzazione a basso costo, sono tutte forme di cambiamento di modello di business che prevedono interventi sui processi, forme organizzative interne e tra
imprese. Anche in questo caso la terza caratteristica è pienamente soddisfatta; – Complementarità delle tecnologie: la quarta caratteristica è spiegabile con un semplice esempio. Nel corso dell’evoluzione degli strumenti di Internet si è passati nel corso degli ultimi anni dalla possibilità di collegarsi in rete tramite pc, all’avvento dei c.d. smartphone fino all’ultima generazione di tablet. In questa breve evoluzione degli strumenti di navigazione, troviamo anche un elemento di convergenza tecnologica e soprattutto di convergenza tra mercati, come nel caso del settore dell’editoria e della necessità di riadattarti alle nuove esigenze. Anche in questo caso, le caratteristiche del quarto punto si riscontrano in applicazioni ed esempi sotto gli occhi di tutti. Osservazioni storiche dimostrano che vi è spesso un ritardo considerevole prima che le
GPT vengano utilizzate. Questo intervallo è maggiore del periodo di adozione che vi è per le nuove tecnologie, e si riferisce al fatto che una nuova GPT non viene utilizzata per qualche tempo nei settori di cui vi sono possibili applicazioni, nonostante il suo potenziale latente sia riconosciuto. Ad esempio, nei processi di produzione si sono cominciati a usare i motori elettrici, che permettevano una fornitura decentralizzata di energia alle macchine (a differenza di un motore a vapore a trasmissione a cinghia), ben 20-30 anni dopo l’invenzione del motore elettrico. Allo stesso modo, tra l’invenzione del transistor nel 1948 e il suo uso commerciale, è intercorso un periodo compreso tra cinque anni (per apparecchi acustici, computer, radio) e diversi decenni (per telecomunicazioni, automobili). Se si dovesse applicare l’esperienza del motore elettrico o del transistor direttamente a Internet, ci si dovrebbe aspettare un ritardo
di 5-20 anni prima che Internet si affermi come una nuova GPT. E però difficile determinare esattamente quando Internet sia stata “inventata”, e se consideriamo gli esperimenti degli albori negli anni Sessanta allora tale periodo sembrerà inappropriatamente lungo a più osservatori di ciò che viene generalmente percepito come un rapido cambiamento strutturale in corso. Ci sono invece argomenti che, di fatto, suggeriscono che Internet potrebbe essere una delle GPT a più veloce diffusione. Internet si basa, almeno in parte su infrastruttura IT esistente (PC, reti in fibra ottica ecc.). Possiamo quindi dire, in termini di hardware, che Internet integra, piuttosto che sostituire. Infine, non bisogna dimenticare che Internet, come GPT, sorge sulle spalle di altre tecnologie simili. L’automazione e la robotizzazione dei processi produttivi, la digitalizzazione dei
dati, l’elaborazione elettronica dei dati hanno spianato la strada per la connessione Internet. Dunque se consideriamo l’avvento di Internet dopo la stratificazione di tecnologie precedenti e la diffusione di hardware, possiamo allora considerare la rete come una delle più veloci GPT in ambito di diffusione. 3.1.4 Internet e le teorie dei Large Technical Systems Gli studi di Andrew Davies, seppur sviluppati su industrie diverse, rappresentano un importante framework per analizzare Internet e la relazione tra innovazione e crescita. Secondo il modello di Davies, un processo di innovazione è favorito nel suo crescere ed espandersi se, la tecnologia su cui si basa il processo, è una tecnologia modulare, nella quale ogni modulo ha una
struttura coerente e capace di favorire l’interconnessione tra diversi moduli in maniera interattiva (Davies, 1996). Secondo questa definizione, un sistema è composto di un numero definito di componenti che, nella loro capacità di assemblarsi coerentemente, costituiscono il sistema generale di riferimento. Il grado di innovazione che si sviluppa nelle diverse combinazioni dei componenti esprime lo stato di avanzamento del livello di innovazione di una determinata tecnologia. Partendo dal framework di Davies, è possibile costruire lo stesso esempio usando Internet come base. Internet è costituito da una serie di parti o componenti (complementari tra di loro) che rappresentano nella loro totalità l’impianto tecnologico nel quale calcolare lo stato di innovazione. Internet è quindi costituita da una serie di strumenti con dei propri attributi funzionali che possono essere divisi in strumenti di trasmissione e ricezione,
sistemi di switching, e componenti di distribuzione di segnale. Ognuna di queste parti è collegata in modo tale da formare un network di componenti nel quale, le modalità di assemblaggio determinano lo sviluppo del network in maniera diversa, in base alle diverse opzioni di assemblaggio disponibili. L’evoluzione dei sistemi di configurazione dei componenti determina lo sviluppo di un’architettura tecnologica distintiva che può svilupparsi sia in verticale sia in orizzontale (innovazione del sistema o contaminazione e inserimento di nuovi paradigmi tecnologici). In ogni architettura tecnologica è presente un elemento ottimizzante che dirige l’andamento dell’innovazione e rappresenta il fulcro del sistema. Nel caso dei sistemi elettronici questo elemento è rappresentato dalla corrente elettrica, come base del funzionamento di tutti i sistemi. Nel caso di
Internet, essendo esso stesso già un sistema evoluto, composto a sua volta da altri sistemi, è difficile trovare un elemento base caratterizzante. Questo è sicuramente un altro motivo per cui fino a oggi dare una definizione unica ed esaustiva del fenomeno di Internet risulta complicato. Proseguendo negli studi, Davies riprende parte delle teorie di Hughes (1987) secondo le quali lo sviluppo di una determinata tecnologia o sistema dipende anche dalle tipologie istituzionali (sociali e politiche) nelle quali una determinata tecnologia si sviluppa. Questa discussione si presta a inquadrare Internet, nel momento che è sotto gli occhi di tutti in questi anni la forza sociale e politica che alcuni strumenti e particolari applicazioni hanno sul mondo politico internazionale. Basti pensare alla censura dei motori di ricerca e della rete aperta che è eseguita in Cina o le conseguenze sulle rivolte in Medio Oriente e
del largo utilizzo che è stato fatto di Twitter. Se quindi è importante riconoscere una certa importanza agli effetti che un contesto sociale, economico e politico può avere sul grado di sviluppo e innovazione di una determinata tecnologia, non bisogna cadere però nella trappola di porre troppa enfasi su questo tipo di relazione. Infatti, l’evoluzione interna ed esterna di una tecnologia sono elementi separati dove al massimo l’analisi esterna (ambientale e di contesto) influenza un’eventuale crescita in maniera non direttamente proporzionale, ma come se fosse una variabile di moderazione sulla relazione principale. L’analisi esterna dell’evoluzione tecnologica di un sistema tecnico è importante nel momento in cui si passa dall’analisi di un network locale (formato da un numero limitato di componenti) a un long distance network, formato da una serie di switch che raggruppano e distribuiscono
informazioni di più network locali. Aumentato il livello di ampiezza del network si arriva ai c.d. international network, che rappresentano dei sistemi di scambio e connessione di più long distance switch e che rappresentano quello che oggi tutti noi intendiamo come Internet, cioè un sistema interconnesso a livello mondiale, formato da un sottoinsieme di altre reti che fungono, a loro volta, da catalizzatori e distributori di network locali. Le modalità con cui ogni livello di analisi è connesso internamente e come si connettono tra di loro, rappresentano delle importanti opportunità di scambio di informazioni e servizi tra individui. In questa dimensione di scambio nasce e trova terreno fertile di sviluppo il lato economico di Internet e quindi la capacità di alcuni di trarre profitto dalla giusta combinazione di questi elementi che sono trasformati in prodotti o servizi. Mettendo insieme l’aspetto sociale che
traspare dalla teoria dei large technological systems e il connotato evolutivo delle teorie dei GAS, possiamo dire che Internet si caratterizza per un sistema che utilizza la specificità di informazioni centralizzate in determinati individui, o gruppi di essi, e sfruttando dei sistemi di distribuzione, tipici dei modelli di network, arriva a comporre dei pacchetti di informazioni che possono essere gestiti in contemporanea come a formare una rete di interconnessioni, dove nessuno detiene tutte le informazioni per sé ma è in grado di acquisirle dall’esterno. Un ricercatore sovietico, Paul Baran, è stato il primo a capire le potenzialità di un sistema di distribuzione di informazioni a network, per rispondere alle minacce della guerra fredda. Secondo le teorie di Baran, nel momento in cui si centralizza un’informazione e viene meno uno dei principali canali di distribuzione delle informazioni (come nel caso di un attacco
nucleare), ogni altro nodo perde accesso alle informazioni e quindi tutta la rete è compromessa. Se invece, si distribuiscono le informazioni su tutta la rete e si sviluppano dei sistemi di switching delle informazioni in modo tale che ogni informazione possa essere distribuita attraverso più passaggi e più nodi, la possibilità di perdere le informazioni è sicuramente più bassa che nel primo caso. In questo modo la perdita di informazioni è parziale, ma soprattutto, se quando passano di nodo in nodo rimangono tracciate, è possibile recuperare anche le informazioni perse dagli altri nodi. L’esempio appena descritto rappresenta in pieno la relazione che si è instaurata all’origine dell’evoluzione di Internet dovuta da una parte a esigenze storico sociali (come la Guerra fredda) che sono servite per far sì che sistemi tecnologici in via di sviluppo in quegli anni potessero essere orientati verso alcune scelte e quindi verso degli scenari
invece che altri. Le esigenze socio politiche rappresentano delle importanti opportunità verso cui orientare scelte tecnologiche. Per riassumere, se la tecnologia si pone lo scopo di raggiungere alcuni obiettivi, in termini di fabbisogni da soddisfare o esigenze nuove da risolvere, allo stesso tempo l’ambiente esterno, e in particolare l’elemento istituzionale e sociopolitico, rappresentano il sistema di feedback loop che orienta le linee evolutive di determinate tecnologie. Senza le esigenze di distribuzione di informazioni di alcuni ricercatori del CERN, e senza la paura di un attacco nucleare durante la guerra fredda, forse oggi non si conoscerebbe Internet ma un altro sistema. Aggiungendo alla dimensione sociale e tecnologica anche quella economica, ecco che il modello si completa come di seguito riportato.
3.2 i modelli specifici di internet 3.2.1 Modelli a strati: The Four Layers Internet Model (CREC 1998) Uno dei primi studi di rilievo effettuati sull’economia di Internet è stato condotto dal Center for Research in Electronic Commerce (CREC) dell’Università del Texas, su commissione di Cisco, nel 1998 e poi rielaborato nel 2000, e si basava su dati raccolti da 2380 aziende americane2. La
parte più originale di questo studio fu
l’innovativa suddivisione dell’economia di Internet in quattro strati. Il modello concettuale prevedeva due macro categorie, ognuna spaccata in due strati: – Categoria: Infrastruttura: • Strato 1: Infrastruttura Internet; • Strato 2: Infrastruttura applicazioni Internet. – Categoria: Attività economiche: • Strato 3: Intermediari Internet; • Strato 4: Commercio Internet. Strato 1: the Internet Infrastructure Layer Questo strato comprende le aziende con prodotti e servizi che permettono la creazione di infrastrutture di rete basate su IP. Le categorie di aziende presenti in questo strato della Internet economy sono:
– Internet backbone services providers (es. Qwest, MCI, WorldCom); – Internet services providers (es. MindSpring, AOL, EarthLink, Tiscali); – Aziende di IP networking hardware e software (es. Cisco, Lucent, 3Com); – Produttori di PC e server (es. Dell, Compaq, HP); – Produttori di fibra ottica (es. Corning); – Produttori di line accelerator hardware (es. Ciena, Tellabs, Pair Gain). Strato 2: the Internet Application Layer Questo strato comprende le aziende che erogano prodotti e servizi basandosi sull’infrastruttura di rete IP rendendola tecnologicamente adatta per l’esecuzione online di attività di business. In aggiunta a ciò, questo strato comprende anche il capitale umano impiegato per lo sviluppo dell’e-commerce e dell’e-business. Le categorie di aziende presenti in questo strato
dell’Internet economy sono: – Azienda di consulenza Internet (es. USweb); – Produttori di applicazioni di Internet commerce (es. Sun, IBM, Magento); – Produttori di applicazioni multimediali (es. RealNetworks, Macromedia); – Aziende produttrici di software per lo sviluppo web (es. Adobe, Microsoft); – Produttori di motori di ricerca (es. Autonomy); – Aziende di training online (es. Prometric); – Produttori di database orientati al web (es. Oracle); – Aziende con prodotti e servizi nel campo della sicurezza informatica su reti IP (Avira, MacAfee). In sintesi possiamo riassumere che questo
strato include tutte le aziende di prodotti software e di servizi di cui c’è bisogno per facilitare le transazioni web. Strato 3: the Internet Intermediary Layer Questo strato comprende le aziende che incrementano l’efficienza dei mercati elettronici facilitando l’incontro e l’interazione dei venditori e compratori su Internet. Le aziende che operano in questo strato sono per la maggior parte “pure Internet player”, ovvero aziende che operano esclusivamente online, e non generano ricavi direttamente da transazioni ma piuttosto attraverso la pubblicità, abbonamenti a servizi e commissioni. Lo studio del CREC è stato uno dei primi a mettere in evidenza che, mentre si discuteva molto della disintermediazione su larga scala che avviene nella trasformazione da economia fisica a economia digitale, Internet creava dei nuovi tipi di intermediari. Nel
mondo fisico gli intermediari sono soprattutto distributori, venditori, negozi, il cui ruolo primario è incrementare l’efficienza della distribuzione e abbassare i costi di transizione per il compratore localizzandosi nella prossimità del cliente. Su Internet il concetto di vicinanza fisica non ha rilevanza, mentre ciò che è importante è l’informazione, la ricerca, la comunicazione, la valutazione e la coordinazione. Ecco gli aspetti sui quali si basano i nuovi tipi di intermediari che hanno creato Internet. Le categorie di aziende presenti in questo strato della Internet economy sono: – Agenzie di viaggio online (es. Expedia, eDreams); – Aggregatori di contenuto (es. CNET, ZDnet); – Portali, e fornitori di contenuto (es. Yahoo!); – Intermediari pubblicitari (es.
Doubleclick); – Altri intermediari online. Strato 4: the Internet commerce layer Questo strato comprende le aziende coinvolte nella vendita di beni e servizi a consumatori o altre aziende, utilizzando Internet. Le categorie di aziende presenti in questo strato della Internet economy sono: – E-tailer (es. Amazon); – Produttori che vendono online (es. Dell); – Aziende che vendono prodotti o servizi su abbonamento (es. WSJ.com); – Compagnie aeree che vendono biglietti online; – Aziende di intrattenimento online e di servizi professionali. Dopo aver definito l’economia Internet come la risultante di questi quattro strati, il CREC
ne esegue il dimensionamento sommando i ricavi e il numero di occupati di tutti gli strati, arrivando così per primo a dare una misura della Internet economy. Per ogni azienda assegnata a uno strato, sono presi in considerazione solo i ricavi che possono essere imputati direttamente al business Internet, inoltre è stimata una percentuale di abbattimento del totale dovuto a doppio conteggio causato dal fatto che un operatore può essere posizionato in uno o più strati. Nel 1998 il CREC stimava per gli Stati Uniti, un’economia Internet del valore di 301 miliardi di dollari che impiegava 1,2 milioni di persone. Lo studio del CREC si è rivelato molto utile per il suo modello concettuale e per aver dato una prima stima dell’economia Internet, seppur limitata agli USA, ma il dimensionamento che ne consegue, basato sul totale delle vendite, non può essere considerato attendibile per le comparazioni
con il PIL o con la crescita del PIL di un paese poiché sarebbe necessario un modello che escluda tutte le vendite tra intermediari.
3.2.2 Modelli a strati: Internet Intermediaries (OECD 2010) Il modello dell’OECD si concentra su Internet vista come tecnologia di intermediazione. L’OECD definisce intermediari Internet come facilitatori di operazioni tra parti terze
su Internet. Gli intermediari danno accesso, accoglienza, trasmettono e indicizzano i contenuti, prodotti e servizi originati da terzi su Internet o forniscono servizi basati su Internet a terzi.
3.2.3 Modelli a strati IDC (2011) L’IDC, società multinazionale di consulenza
e ricerche di mercato, ha realizzato per il FI3P, consorzio nato su iniziativa della European Commision DG Information Society per lo sviluppo di Internet, uno studio riguardante la strutturazione, il dimensionamento e l’impatto economico del settore Internet in ambito europeo. L’IDC ha creato a tal fine un suo schema concettuale fatto a strati per rappresentare l’industria Internet, intesa come l’insieme dei principali attori che forniscono tecnologie, applicazioni e servizi che costituiscono l’infrastruttura Internet e ne permettono il suo uso, dai fornitori di reti come Alcatel-Lucent alle emergenti piattaforme di social network come Facebook. Lo strato inferiore comprende l’industria Internet IT e l’industria Networks, che producono le principali tecnologie, prodotti e servizi per l’implementazione e gestione dell’infrastruttura di Internet. Quindi, questo
include anche l’offerta di dispositivi dedicati, come ad esempio iPhone (palmari intelligenti). Tuttavia, questo strato si riferisce solo ai prodotti interamente dedicati a Internet, e non apparecchiature generiche (i PC sono esclusi, ad esempio). Il livello successivo comprende i servizi forniti dagli operatori di telecomunicazioni Internet (ISP, fissa e mobile) che forniscono servizi voce, dati e servizi di rete, a utenti business e consumer. I settori IT Internet e Networks rappresentano le componenti tradizionali del comparto Internet. Lo strato successivo nella figura è composto di società che forniscono servizi basati sul web e applicazioni, indicativamente classificati in tre gruppi principali: i social network e piattaforme web (Google, Facebook, Yahoo! ecc.) che forniscono contenuti, servizi e strumenti; il commercio elettronico e operatori online di servizi, dall’e-banking all’e-learning; ei
fornitori di servizi web (es. Wikipedia). A differenza del modello di O’Donnell o di Hamilton, il modello di IDC non riflette tutte le interazioni tra gli attori. Per esempio, la maggior parte degli operatori di telecomunicazioni e dei fornitori di servizi e hardware tratta direttamente con l’utente finale. Tuttavia, questa classificazione è utile per la stima di Internet e l’analisi dei ricavi del settore Internet e del suo posizionamento strategico. 3.2.4 Modelli a strati: l’Internet “stack” (BCG 2011) Ultimo modello da analizzare in questa parte dedicata ai modelli a strati è quello fornito dalla società di consulenza Boston Consulting Group, che nel corso del 2011 ha rilasciato un rapporto nel quale, partendo
dall’analisi dell’impatto economico di Internet, ha proposto un modello nel quale inquadrare Internet e le diverse forme di business che possono derivare dal suo utilizzo. Lo studio di BCG propone un’interessante vista dell’industria Internet utilizzando una raffigurazione che prende spunto dall’ambito IT, lo stack. Lo stack è una rappresentazione stratificata di hardware e software dove ogni strato comunica con il superiore e inferiore. 1. Il primo livello dello stack è composto dall’infrastruttura e dentro abbiamo imprese che costruiscono e gestiscono l’infrastruttura e ottimizzano la trasmissione dei dati, in particolare abbiamo: – Hosting; – Disegno e costruzione del core network; – Servizi di accesso (wholesale ISP); – Manutenzione del core network;
– Altro. 2. Il secondo livello dello stack è dato dall’accesso, ovvero imprese che forniscono prodotti e servizi per accedere al web, in particolare abbiamo: – Computer hardware; – Consulenza IT; – Apparecchiature mobili e accesso; – Servizi di accesso (ISP); – Software e sistemi operativi; – Network hardware; – Altro hardware. 3. Il terzo livello dello stack è composto dalle piattaforme abilitative, cioè imprese che forniscono servizi di base per facilitare la fiducia, i pagamenti e il traffico, in particolare troviamo: – Pagamenti online; – Network pubblicitari;
– Analytics & metrics; – Sicurezza; – Web design. 4. Il quarto livello dello stack è composto dai servizi e piattaforme di contenuto, ovvero portali, aggregatori, retailer e altre imprese che servono direttamente gli utenti o permettono la fornitura di servizi, in particolare troviamo: – Search; – Pure player online retail; – Gambling; – E-learning – Contenuti per adulti; – Musica, video, contenuti editoriali; – VoIP; – Aggregatori; – Cloud computing; – Gaming; – Agenzie pubblicitarie; – Dating;
– Social network; – Altro. 5. Il quinto livello dello stack è composto dalle community, ovvero gli utenti che fruiscono dei contenuti online e ne creano di nuovi.
3.2.5 Modelli a Flussi: The Internet money
flows (O’Donnell, 2002) Nel 2002 Shawn O’Donnell del MIT esegue una misurazione dell’economia Internet utilizzando un nuovo modello concettuale. La particolarità del modello di O’Donnell è lo spostamento dell’attenzione puramente ai flussi economici che avvengono tra elementi o segmenti di Internet. Il modello individua sette blocchi: – Aziende attive nel mercato dei Backbone Network e Internet Services Provider (ISP); – Application Services Provider (ASP); – Aziende di content delivery; – Aziende di web hosting; – Portali e siti di contenuto; – Aziende operanti nell’advertising; – Siti di e-commerce. La principale critica mossa al modello di O’Donnell consiste nel creare un
dimensionamento economico dell’economia di Internet non esaustivo. Infatti, se confrontato con il modello CREC, il dimensionamento di O’Donnell risulta numericamente inferiore in quanto non considera l’hardware e il software di supporto per Internet.
3.2.6 Modelli a Flussi: The Internet Ecosystem (Hamilton, 2007) Nel 2007 la società di consulenza Hamilton, su commissione dello IAB statunitense (Internet Advertising Bureau), crea un nuovo modello per definire l’economia Internet, partendo come base dal lavoro di O’Donnell e aggiornandolo alla luce del nuovo scenario Internet. Il modello vede tredici blocchi che vanno a definire l’ecosistema Internet: – Internet service providers and transport: consiste nel mercato dell’accesso a Internet. Può essere di vario tipo: dial up, banda larga fissa, banda mobile, Wi-Fi. Gli ISP generalmente offrono anche una serie di servizi correlati all’accesso a Internet come email, hosting, protezione dai virus. Il consumatore paga per il servizio un abbonamento, sovente mensile, e molte
volte fa parte di pacchetti di offerta (telefono fisso + Internet). Tra i principali operatori troviamo Telecom, Tiscali, Libero; – Hardware providers: comprende i produttori di hardware che permetto a Internet di funzionare. Troviamo produttori di server, dispositivi di storage, router, PC, dispositivi di accesso wireless, cavi di fibra ottica. Negli anni c’è stato un progressivo consolidamento tra i fornitori di hardware in molte aeree. Ad esempio Cisco, il più grande produttore di hardware per Internet, è cresciuto negli ultimi anni soprattutto grazie ad acquisizioni (circa 100 dal 1984 al 2004). Tra gli altri operatori in questa aerea troviamo IBM e EMC come produttori di dispositivi di storage, Dell e HP per i PC e server; – Information technology consulting and solution companies: comprende le aziende di consulenza e di servizi. Sono nate molte aziende specializzate in Internet ma la
maggior parte del mercato è presidiato da operatori IT che esistevano già dagli anni Ottanta che hanno allargato la propria area di competenza, come Capgemini, IBM, EDS, Accenture. Le principali attività consistono nella progettazione e realizzazione di reti, piattaforme IT che si appoggiano su Internet, data centers, manutenzione di sistemi e servizi IT; – Software companies: aziende che producono software per la gestione dei flussi informativi su Internet. Esempi di tali software sono: • Gestione delle reti e degli ISP; • Creazione di contenuto, compresi video; • Pubblicità e servizi correlati; • E-commerce; • Email; • Sicurezza, compliance, gestione del rischio, gestione reti e immagazzinamento dati. – Web hosting and content management
companies: aziende che offrono servizi di immagazzinamento su propri server all’interno di data center, delle pagine web e le rendono disponibili online. Vi sono poi i servizi correlati come il caching delle pagine web (per velocizzare il caricamento delle pagine), backup, sicurezza, disaster recovery. Tra i player del settore troviamo GoDaddy, Akamai. – Search engines/portals: comprende le aziende che offrono servizi di ricerca come Google, oppure aziende che gestiscono portali che offrono contenuto organizzato ai propri utenti come Yahoo!. – Content site: siti di contenuto per news, sport, intrattenimento, social networking. Questi basano i propri ricavi da pubblicità, abbonamenti, vendita di beni, o sono sussidiati da individui o istituzioni. Esempi di player in quest’area sono player tradizionali che si sono estesi all’online come Fox, Time Warner o pure player come
Facebook. – Software as a service: segmento velocemente in crescita di aziende che offrono software ad aziende e consumatori, dove sia il software sia tutti i dati in input dei clienti sono conservati sui server dell’azienda fornitrice e li rende disponibili ai clienti e accessibili da qualsiasi posizione via Internet. Tra i principali player in questo settore troviamo Oracle, SunGard, Salesforce. – Advertising agencies and support services: questo segmento comprende le agenzie pubblicitarie e i servizi di supporto, come il web design, le aziende di statistiche web e quelle di ricerca di mercato. È un segmento molto importante poiché la pubblicità ha permesso, già prima che esistesse Internet, che informazioni e contenuti di vario genere potessero essere disponibili su giornali, radio e TV. Ora è grazie alla pubblicità che molti servizi e siti
di contenuto sono gratuiti agli utenti. Player in questo segmento sono Omnicom, WPP group. – Ad Networks: aziende che aggregano inventory dai siti di contenuto e lo mettono a disposizione degli inserzionisti o alle agenzie pubblicitarie. Tra i più famosi player elenchiamo advertising.com, 24/7, Tribal Fusion. – Email marketing and support: aziende che sono coinvolte nella creazione di campagne di email marketing e aziende che sono impegnate nella creazione di software di supporto. Esempi di operatori sono Responsys, e-Dialog, EmailLabs, ContactLabs. – Enterprise websites (staffs involved in Internet advertising, marketing and web design): un numero crescente di aziende si sta strutturando con specialisti nell’online marketing da affiancare al proprio staff di marketing per migliorare il sito web
aziendale e per interfacciarsi con le agenzie di pubblicità online. – E-commerce: e-tailing, e-brokerage, ebanking, e-travel, B2B e-commerce, and other e-services: l’e-commerce non fa parte delle origini di Internet ma ne rappresenta un colossale successo. Il segmento ecommerce rappresenta quello con più ricavi e dove sono impiegate il maggior numero di persone. Tra i grandi player globali vi troviamo Amazon, eBay; – B2B e-commerce: questo segmento è distinto dall’e-commerce B2C in quanto la sua attività economica non è calcolata nel PIL, poiché il valore è già incluso nei beni e servizi che sono venduti ai consumatori finali.
Lo studio Hamilton prosegue poi nel dimensionamento dell’economia Internet così definita e utilizzando il metodo del reddito, basato su una stima sia del numero di persone che sono impiegate in lavori nei segmenti appena descritti sia dei loro relativi stipendi, arriva a quantificare il valore complessivo dell’economia Internet per il
2008 in 300 miliardi di dollari pari a circa il 2% del PIL, per un totale di 1,2 milioni di persone impiegate. Il metodo del reddito è capace di isolare il valore aggiunto creato da Internet e rappresenta la metodologia più convenzionale per la stima del contributo economico di un settore. La sua principale debolezza risiede nella difficoltà d’identificazione di tutti i posti di lavoro collegati a Internet data dal fatto che la maggior parte di tale attività costituirà solo una piccola parte dei posti di lavoro di tutta l’economia. Come conseguenza di ciò si ha che questa metodologia tenderà a dare risultati sottostimati, ma almeno, come nel caso dello studio di Hamilton, costituiscono un valido limite inferiore nel dimensionamento economico di Internet. Un’altra critica che possiamo muovere al modello di Hamilton è il fatto di avere creato una mappa concettuale che punta a dare
particolare peso e importanza alla pubblicità online, non che il settore non sia fondamentale per l’economia Internet ma tale settore poteva essere semplificato e aggregato, senza nulla togliere alla completezza del modello. Infatti, nel 2011, la società Deloitte compie uno studio sull’economia Internet 3 australiana nel quale come metodologia
adotta sia il metodo della spesa sia quello del reddito. Nel metodo del reddito, Deloitte prende spunto dal lavoro di Hamilton ma semplificandone il modello concettuale. Queste sono le categorie dell’economia Internet adoperate da Deloitte: – ISP, Web search portals and data processing: gli ISP, come abbiamo già visto, forniscono la connessione a Internet agli utenti. Questa categoria include anche le aziende di web hosting, che immagazzinano le pagine web sui propri server e le rendono
accessibili ai visitatori, e i motori di ricerca, che permettono agli utenti di trovare informazioni velocemente e facilmente; – Hardware providers: questa categoria include una proporzione di produttori e grossisti di computer e periferiche; – IT consulting and software companies: le aziende di consulenza IT possono offrire un’ampia gamma di servizi consulenziali che comprendono consulenti specializzati su Internet, dipartimenti dedicati alla progettazione di piattaforme IT che si appoggiano su Internet, data centers, gestione e support IT. Le aziende producono anche software per la gestione dei flussi di informazione; – Internet publishing and broadcasting: questo segmento comprende news, intrattenimento, ricerca e servizi d’informazione, ma esclude i motori di ricerca, i siti di e-commerce, e i siti governativi e di aziende, che sono tutti
inclusi in altri segmenti; – Advertising and enterprise sites: questo segmento comprende lo staff che sviluppa e mantiene siti web, che crea pubblicità online e che potrebbe essere impiegato in agenzie pubblicitarie, web agency o all’interno delle aziende; – Government: questo segmento comprende il personale impiegato in attività correlate a Internet; – E-commerce: questo segmento include l’e-retailing, l’e-booking, l’e-travel, l’ebanking e altri e-service e le aziende coinvolte nella spedizione dei beni comprati online.
3.2.7 Modelli Value Chain: Internet Value Chain (A.T. Kearney 2010) La società di consulenza A.T. Kearney analizza l’economia di Internet con la logica della value chain creando un framework diviso in cinque segmenti:
– Content rights; – Online services; – Enabling technology/services; – Connectivity; – User interface. 3.3 internet come platform Internet può essere vista per sua natura come una piattaforma e analizzata per quanto tale secondo le teorie delle piattaforme. Definiamo innanzitutto cosa è una piattaforma, cosa non banale in quanto in letteratura troviamo diversi concetti legati a tale parola. Il concetto di piattaforma è stato usato e discusso all’interno della letteratura accademica per temi riguardanti product development (Meyer e Lehnerd, 1997; Simpson et alii, 2005), technology strategy
(Gawer e Cusumano, 2002 e 2008, Eisenmann, Parker e Van Alstyne, 2006) ed economia aziendale (Rochet e Tirole, 2003; Evans, 2003; Armstrong, 2006). Dall’analisi delle differenti letterature si evince come il concetto di piattaforma sia stato usato per diversi scopi e per diversi significati. I primi a utilizzare il termine piattaforma furono i ricercatori del product development negli anni Novanta, per descrivere progetti dai quali venina creata una nuova generazione o famiglia di prodotti (Baldwin e Woodard, 2008). Wheelwhright e Clark (1992) introducono il termine “platform product” intendendo le piattaforme come prodotti che rispondono alle necessità di un insieme di tipologie di clienti ma che sono progettati per essere modificati facilmente attraverso l’addizione, la sostituzione, o la rimozione di caratteristiche. Gawer (2010) si riferisce a questa tipologia di piattaforma
come “internal platform” per sottolinearne l’esistenza delimitata all’interno della singola azienda. Successivamente la piattaforma si estende alla supply chain, uscendo dai confini produttivi della singola azienda. La piattaforma diventa un insieme di sottosistemi e interfacce che formano una struttura comune dalla quale un gruppo di prodotti derivati possono essere efficientemente prodotti e sviluppati da aziende partner lungo la supply chain (Gawer 2010). Lo scopo di questo tipo di piattaforma è il medesimo del precedente, rendere efficiente la produzione e ridurre i costi, mentre se ne differenzia per il fatto che il processo produttivo coinvolge più aziende. In ambito technology strategy le piattaforme sono state definite come punti di controllo e di estrazione del valore all’interno di un settore industriale (Baldwin e Woodard, 2008). Gawer (2010) definisce
queste piattaforme come “industry platform” cioè prodotti, servizi o tecnologie che sono sviluppati da una o più imprese, e che servono come fondamenta sopra le quali altre aziende possono costruire prodotti, servizi o tecnologie complementari e inquadra in questa definizione il sistema operativo Windows, i microprocessori Intel, l’iPhone di Apple, il motore di ricerca Google, Facebook. La differenza con le supply chain platform consiste nel fatto che le aziende che sviluppano le componenti non necessariamente comprano o vendono tra di loro, non appartengono alla stessa supply chain e non condividono la proprietà della piattaforma. Gawer colloca la stessa Internet all’interno delle industry platform, ma a nostro avviso tale definizione non calza alla perfezione poiché Internet risulta maggiormente essere un contenitore di industry platform piuttosto che esserlo essa stessa, in quanto come infrastruttura
abilitante non è collocata in uno scenario competitivo e non ha lo scopo di estrarre valore economico per sé stessa. In seguito il concetto di piattaforma è stato adottato dagli economisti aziendali per intendere prodotti, servizi, tecnologie e aziende in grado di mediare transazioni fra due o più gruppi di utenti (Rochet e Tirole, 2003), risaltando in particolare il contesto di mercato two-sided e multisided, nel quale la maggior parte delle piattaforme ICT si inserisce. Questa letteratura evidenzia principalmente il “problema dell’uovo e della gallina” che deve essere risolto dal proprietario della piattaforma, spesso tramite sovvenzionamenti trasversali tra gruppi di utenti o addirittura offrendo gratuitamente prodotti o servizi (Parker e Van Alstyne, 2005). Una distinzione all’interno di queste piattaforme multisided viene fatta da Evans (2005) distinguendo tra: matchmakers, aiutano i membri di uno o più
lati della piattaforma nella loro ricerca di accoppiamento nell’altro lato della p i a t t a f o r m a ; audience-makers, fanno accoppiare inserzionisti con audience; transaction-based businesses, conteggiano e fanno pagare per le transazioni che avvengono tra i diversi lati del mercato; shared-input platforms, dove i partecipanti di un alto hanno bisogno di accedere alla piattaforma per fornire valore ai partecipanti di un altro lato (ad esempio: piattaforme hardware e software). Questa tipologizzazione di Evans sebbene possa essere adatta nel definire le diverse piattaforme che possiamo trovare online, non si presta nell’incasellare Internet perché essa ha caratteristiche trasversali ai tipi individuati da Evans. Ballon e Van Heesvelde (2010) impostano una tipologia di piattaforme basata sul concetto di controllo sui clienti e controllo sugli asset, deducendone quattro tipologie.
Il primo tipo è la “neutral platform” e si riferisce al caso in cui il proprietario della piattaforma non controlla la maggior parte degli asset necessari per la creazione del valore, e oltre a questo non ha il controllo sui clienti (es. Paypal, Google). Il secondo tipo è la “broker platform” in cui la piattaforma non ha gli asset per la creazione del valore ma ha il controllo sui clienti (es. Facebook, eBay). Il terzo tipo è la “enabler platform”, dove la piattaforma ha il controllo degli asset ma non dei clienti (es. Intel). Il quarto tipo è la “system integrator platform”, in cui la piattaforma ha il controllo sia sugli asset, sia sui clienti (es. Microsoft Windows, Apple iPhone). In base a questa tipologizzazione possiamo ritenere Internet come una neutral platform ma anche in questo la definizione è ristretta poiché esclude un’altra serie di aspetti caratterizzanti e specifici di Internet vista come piattaforma:
– Internet non assomiglia a una singola piattaforma, ma appare come una piattaforma su cui sono costruite le altre piattaforme, una meta-piattaforma. A sostegno di questa tesi ci sono numerosi esempi tra cui i fondamentali: Google, Facebook, eBay, Amazon, Wikipedia; – Internet è aperta, nel senso che è una piattaforma dinamica, decentralizzata, distribuita e multi-direzionale, in grado di svilupparsi ed evolvere autonomamente, dove gli utenti da fruitori diventano essi stessi creatori di tecnologia. Ad esempio di ciò indichiamo che tutti i protocolli di comunicazione e le loro implementazioni adoperati su Internet devono essere aperti, distribuiti e suscettibili di modifica; – Internet è una piattaforma “universale” in quanto è possibile accedervi da diversi dispositivi (PC, telefoni, tablet, lettori MP3 ecc.), da differenti piattaforme di accesso (Windows, Mac, Android, Explorer, Firefox
ecc.), da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento e dando a tutti quelli che si connettono le stesse capacità. Internet sta diventando l’interfaccia standard per lo scambio di informazioni; – Internet è una piattaforma “neutral” come viene definita da Ballon e Van Heesvelde (2008), nel senso che non ha controllo sui propri asset e non controlla i clienti finali; – Internet è per sua natura una piattaforma multisided in quanto permette o facilita l’inter-connessione tra individui/cose/informazioni altrimenti non connessi o connessi ma con margini di miglioramento in efficienza. – Internet è una piattaforma multi-layered, cioè composta da diversi strati cumulati come abbiamo visto nei modelli a layer che descrivono Internet. Intendiamo quindi Internet come piattaforma di connessione, piattaforma tecnologica, piattaforma di
accesso, piattaforma di intermediazione o piattaforma di creazione di contenuto a seconda dello strato di Internet nel quale ci soffermiamo; Alla luce di queste considerazioni possiamo definire Internet come una: “universal open meta-platform neutral, multisided e multilayered”. Per quanto riguarda l’evoluzione e l’affermazione delle piattaforme tecnologiche, la letteratura accademica evidenzia l’elevato grado di innovazione creato negli ecosistemi che fanno riferimento a una piattaforma. Gawer (2012) analizza come le industry platform tendono a facilitare e incrementare il grado di innovazione su prodotti e servizi complementari. Maggiore è l’innovazione sui complementi, maggiore è il valore creato per la piattaforma e per i suoi utenti attraverso gli effetti di rete, creando un vantaggio
cumulato. Infatti nelle industry platform, l’uso finale del prodotto o servizio finale non è completamente predeterminato. Questo crea possibilità senza precedenti per l’innovazione su prodotti, servizi e tecnologie complementari. La situazione evoca contemporaneamente la questione fondamentale di come le interfacce di tutta la piattaforma devono essere sufficientemente “aperte” per consentire ad aziende esterne di agganciare complementi e innovare su questi complementi, guadagnando dai loro investimenti. Ciò crea cicli iterativi di feedback positivi che possono crescere in modo esponenziale all’aumento dei tassi di adozione della piattaforma e all’aumento dei complementi. Gli effetti di rete possono essere molto potenti, soprattutto quando sono “diretti”, cioè tra la piattaforma e l’utente dell’innovazione complementare e quando
sono rafforzati da una compatibilità tecnica o standard d’interfaccia che rende l’uso di più piattaforme (“multi-homing”) difficile o costoso. Per esempio, applicazioni Windows o applicazioni per l’iPhone di Apple funzionano solo su dispositivi compatibili; gli utenti di Facebook possono visualizzare solo i profili di amici e parenti nei loro gruppi. Gli effetti di rete possono anche essere “indiretti” o “cross-side”, e possono essere altrettanto potenti come gli effetti diretti. Questi si verificano quando, per esempio, gli inserzionisti pubblicitari sono attratti dal motore di ricerca Google a causa del gran numero di utenti delle ricerche. Le imprese possono anche innovare sui modelli di business e trovare il modo di far pagare i diversi lati del mercato per fare soldi dalla loro piattaforma o dai complementi e dai diversi tipi di transazioni o pubblicità che possono aver luogo nell’ecosistema creato
(Eisenmann, Parker e Van Alstyne, 2006). Se tutto ciò è vero per una singola piattaforma tecnologica, possiamo allora affermare che per Internet, il discorso legato alla creazione d’innovazione e alla forte dinamica evolutiva legato alle piattaforme, è amplificato esponenzialmente. Questo avviene perché Internet, non è una singola piattaforma, bensì una piattaforma di piattaforme, ovvero come detto in precedenza, una meta-piattaforma dove si innestano piattaforme su più strati. Gli effetti di rete, che si creano intorno a una singola piattaforma, stimolandone l’innovazione, fuoriescono dall’ecosistema di appartenenza e si ripercuotono sull’intero ecosistema Internet. Ad esempio una maggiore precisione delle piattaforme di ricerca contenuti come lo può essere un avanzamento tecnologico negli algoritmi di ricerca di Google, rende il contenuto presente online più facile da essere reperito
da chi lo necessita; questa possibilità di essere letti o visti da un maggior numero di persone darà maggior stimolo ai creatori di contenuto e dunque piattaforme di creazione e diffusione di contenuto come WordPress o YouTube vedranno crescere il proprio utilizzo con la conseguenza che anche in queste piattaforme si avrà un ulteriore spinta di innovazione indotta dall’accrescimento del proprio ecosistema. Dunque gli effetti di rete, diretti e indiretti, di piattaforme presenti in un qualsiasi strato di Internet hanno ripercussioni positive per le piattaforme presenti negli altri strati, oltre che beneficiarne direttamente Internet nel suo complesso: nell’esempio che facevamo prima, maggiore contenuto è presente e maggiore è la facilità con la quale esso è reperibile, maggiore sarà il numero di utenti Internet, vuoi perché Internet diventa più facile da usare, vuoi perché ci sarà una maggior numero di persone interessate ai
contenuti presenti online. L’affermazione di Internet come metapiattaforma leader nello scambio di informazioni può essere analizzata secondo la teoria della “platform leadership” di Gawer e Cusumano (2002), i quali identificano 4 leve sulle quali una piattaforma può agire per conquistare la leadership di mercato. La prima leva riguarda l’ambito della piattaforma, cioè la scelta di quali attività la piattaforma svolgerà in proprio e quali le attività lascierà a operatori esterni. Internet è di per se decentralizzata e la sua organizzazione è data in mano a organismi no-profit. L’attività di organizzazione della rete, intesa come protocolli e modalità di indirizzamento dati, è l’unica attività su cui tali organismi hanno il controllo, quindi possiamo dire che Internet ha ridotto al minimo indispensabile le attività da svolgere “in house”, mentre tutto il resto è svolto esternamente, dalla creazione di hardware di
rete, alla posa dei cavi in fibra ottica, ai siti web. La seconda leva è la progettazione tecnologica e la proprietà intellettuale, cioè quali funzionalità e caratteristiche includere nella piattaforma, quanto modulare essa deve essere e che livello di apertura devono avere le interfacce della piattaforma verso gli operatori esterni e a quale prezzo. Internet è stata progettata per essere aperta e tutti i protocolli di comunicazione usati sono liberi e non coperti da diritti di autore che ne vincolano l’utilizzo o obbligano al pagamento di royalty. La terza leva riguarda le relazioni con gli attori che si inseriscono sulla piattaforma. Gli artefici di Internet, guidati da una visione di evoluzione per la società umana e non dal profitto, hanno condiviso la propria visione creando un vibrante ecosistema di appassionati coautori della rete, lasciano agli operatori esterni la possibilità di trarne profitto economico. La quarta leva è l’organizzazione interna della
piattaforma cioè come e cosa viene fatto, in termini di processi interni, per assicurare agli operatori esterni che la piattaforma lavora per il bene comune dell’ecosistema. L’organizzazione di Internet essendo noprofit garantisce l’evoluzione di essa in termini di uguaglianza e neutralità per tutti gli operatori e tenendo conto del bene comune. Analizzando queste quattro leve possiamo vedere come Internet sia aperta alla creazione di un ecosistema esterno e questo ci permette di capire meglio l’enorme successo che ha avuto e la sua velocità di diffusione, soprattutto osservando la sua capacità di attrarre operatori esterni che l’hanno sostenuta, sviluppata e innovata, dietro possibilità di ricavarci del profitto. 3.3.1 Le fasi della Meta-Platform Internet Vedremo ora la dinamica del modello di
Internet come “Meta-Platform”. Per individuare queste fasi abbiamo tracciato un modello, che ci permette di evidenziare i principali stadi evolutivi di Internet intesa come una piattaforma. Il modello evidenzia che allo scorrere del tempo a partire dalla nascita di Internet, abbiamo avuto la crescita di alcune variabili chiave: – È aumentata sempre più la velocità della banda di connessione a Internet; – È aumentata la quantità di informazioni presente online, fenomeno inversamente proporzionale al costo della messa online delle informazioni. Inoltre a ciò si deve aggiungere che il costo di accesso a Internet, inteso come la spesa in attrezzattura, dispositivi e connessione, è diminuito nel tempo. Tutto ciò ha portato la
base installata, intesa non solo come numero assoluto di utenti, ma come numero totale di dispositivi collegati alla rete e di conseguenza numero di utenti, a crescere a ritmi molto sostenuti. Dall’incrocio di queste variabili chiave di Internet e dall’analisi della loro evoluzione possiamo individuare delle fasi caratteristiche della rete. Divideremo quindi l’analisi in sei parti: – Scientific Platform: quando Internet è nata, pochissimi utenti collegati, velocità di banda molto limitate, pochi contenuti, costi di accesso alti sostenibili solo in ambito di ricerca. In questa fase sono avvenute delle fondamentali innovazioni che hanno creato le basi sulle quali è poi nato il successo di Internet e la sua vasta diffusione; – Informative Platform: Internet comincia a diffondersi nell’ambito aziendale, iniziano ad apparire sul mercato le attrezzature di
accesso per il mercato consumer. La velocità di banda è ancora bassa, l’informazione presente limitata e la fruibilità permette solo contenuti testuali e grafici. Il web è dominato dai portali che organizzano il contenuto e assorbono la maggior parte del tempo speso online dagli utenti; – Searchable Platform: la quantità di informazione incomincia a essere consistente visto il diminuire dei costi di creazione di contenuto, la velocità di banda si alza e i costi di accesso si abbassano ulteriormente, permettendo un ulteriore allargamento della base utenti. L’esplosione dei contenuti porta a un cambio di paradigma: il web non è più il mondo chiuso dei portali ma diventa una galassia in espansione in cui sono i motori di ricerca l’entry point per la rete; – Social Platform: la diminuzione dei costi di accesso e l’aumento della velocità di
banda, porta online sempre più persone. Ciò abbinato alle nuove piattaforme tecnologiche online crea un’esplosione di contenuto generato dagli stessi utenti: foto, video, testo, audio. La rete diventa il nuovo media, dove tutti possono dire la propria grazie alle piattaforme sociali e assistiamo così a un nuovo cambio di paradigma rispetto alle fasi precedenti: l’informazione non è più one to many ma many to many; – Mobile Platform: i costi di accesso si riducono notevolmente, ora si può accedere a Internet anche con terminali dal ridotto costo, inoltre Internet è diventata un’esigenza anche in mobilità sia per accedere ai contenuti sia per rimanere connessi all’interno delle proprie reti sociali. In questa fase vediamo un’esplosione della base installata data dalle vendite di smartphone, tablet, e-book reader e altri dispositivi mobile connessi. In questa fase vediamo l’affermarsi delle
piattaforme mobile come iOS di Apple e Android di Goolge; – Things Platform: è l’evoluzione prossima di Internet, l’Internet of things, gli abbassamenti di costo dell’accesso e la velocità della banda fanno sì che Internet si affermi come infrastruttura di riferimento per lo scambio di informazioni. Non più solo persone, ma anche sensori, oggetti e cose si collegano a Internet per scambiarsi informazioni. In questa fase ci sarà un’ulteriore esplosione di device connessi alla rete e di contenuti creati, in quanto non saranno più solo gli esseri umani a creare informazioni ma anche gli oggetti.
3.3.1.1 The Scientific Platform Le origini di Internet le troviamo in Arpanet, una rete di computer costituita nel settembre del 1969 negli USA da ARPA (Advanced Research Projects Agency), un progetto lanciato nel 1958 dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per sviluppare la ricerca tecnologica all’indomani del primo
lancio di un satellite in orbita (lo Sputnik) avvenuto il 1957 da parte dell’Unione Sovietica. Ci furono tre principali sviluppi che portarono Arpanet a diventare quella che oggi conosciamo come Internet. I tre cambiamenti, che possiamo definire “innovazioni radicali” o “killer application”, sono stati cambiamenti nei quali il rapporto di continuità con le tecnologie precedenti è venuto totalmente meno provocando un grado di novità talmente forte da modificare totalmente la struttura e le modalità di gestione delle nuove tecnologie: – La prima fu lo sviluppo del TCP/IP nel 1973, un protocollo che permette a differenti network di dialogare e scambiarsi pacchetti di dati. Sebbene non fosse l’unico protocollo sviluppato in quell’epoca, ha però avuto il vantaggio di essere un protocollo libero e molto affidabile. Fu
adottato da Arpanet nel 1983 e nel 1984 la NSF lo scelse come standard per il suo network universitario nazionale. Nel 1990 il TCP/IP divenne il protocollo dominante per tutte le reti. – La seconda fu lo sviluppo del linguaggio di scrittura HTML e del protocollo HTTP da parte del CERN in Svizzera nel 1991. Il linguaggio HTML ha permesso l’introduzione di oggetti come fotografie e filmati all’interno di pagine che prima contenevano soltanto testo. Il protocollo HTTP ha permesso, con estrema facilità, di collegare tra di loro diversi documenti, facilitando la trasmissione della grafica tra computer e la creazione di collegamenti ipertestuale, i c.d. link, che portavano gli utenti direttamente su altri documenti HTML; – Fin qui Internet era un mezzo strutturato prevalentemente per essere usato da parte di comunità scientifiche e il suo utilizzo da
parte di un largo pubblico era ostacolato dalla sua non semplicità. Ecco dunque il sopraggiungere della terza grande innovazione: l’introduzione di Mosaic, il primo navigatore, “browser”, che permetteva di scovare, recuperare e visualizzare documenti HTML. Mosaic è stato descritto come “la killer application degli anni Novanta” perché fu il primo programma a fornire uno strumento leggero di navigazione multimediale per Internet al fine di fornire servizi informativi, nel momento in cui l’accesso a Internet si stava espandendo rapidamente al di fuori dei precedenti ambiti accademici e aziendali. Mosaic, introdotto nel 1992, fu poi rapidamente scavalcato da Netscape Navigator che a sua volta fu poi eclissato da Microsoft Explorer.
Queste innovazioni che abbiamo visto hanno gettato le basi che hanno permesso a Internet, da semplice strumento di condivisione e divulgazione scientifica che era, di divenire uno strumento poliedrico di ampio consumo così come la conosciamo oggi. Possiamo individuare quattro principali fasi: la fase inziale di Internet, la fase dominata dalla ricerca, la fase social e la fase mobile.
3.3.1.2 The informative Platform La prima fase di Internet ebbe origine in funzione del principio fondante di consentire a chiunque di poter accedere a qualsiasi tipo di documento. I portali rappresentarono il prodotto chiave di questa fase, HTML e PHP furono le principali tecnologie, e l’accesso alle informazioni fu l’uso primario. Questa fase ancora si applica all’attività web attuale in cui vi è la messa a disposizione di documenti e informazioni, spinta dalla generale volontà di condivisione e ampliamento della conoscenza di tutti. Maggiore è l’informazione disponibile, maggiore è la possibilità che altri individui possano trarre un vantaggio personale e collettivo dalle informazioni che raccolgono in rete. Non dimentichiamo che, in origine, il web era stato strutturato per promuovere la divulgazione d’informazioni a carattere
scientifico all’interno delle diverse comunità di ricercatori di riferimento. Originariamente il punto di accesso a Internet erano i portali. Questi erano strutturati in modo tale da offrire agli utenti una selezione di contenuti suddivisa per interessi, e inoltre avevano al proprio interno una directory che raggruppava siti web per tipologia di contenuto. Nel 1994 due ragazzi della Stanford University, David Filo e Jerry Yang, crearono, quasi per gioco, un deposito di link in grado di tenere traccia dei loro interessi personali su Internet. La lista divenne ben presto molto lunga e decisero quindi di organizzarla in categorie e sottocategorie. Da questo hobby nasce Yahoo!, uno dei principali portali web a livello mondiale. Divenuto in poco tempo, prima punto di riferimento per gli studenti della Stanford University, poi punto di riferimento per la comunità Internet, Yahoo! raggiunse per la prima volta un milione di
contatti al giorno nell’autunno del 1994, contando 100mila visitatori unici. Dalla metà degli anni Novanta i portali hanno costituito un’essenziale risorsa di uso diffuso. Dopo la rapida e vistosa diffusione dei browser avvenuta in quegli anni, molte compagnie, al fine di controllare una fetta del mercato Internet, hanno costruito o acquisito un portale, tenendo conto del fatto che sono molti gli utenti che iniziavano le loro navigazioni da un tale sito. Negli ultimi anni Novanta, Netscape Netcenter è stato acquisito da America on Line, Walt Disney Company ha lanciato Go.com, Excite è diventata parte di AT&T, mentre Lycos fu considerata un buon obiettivo per altre compagnie di media come CBS. Molti dei portali sono nati come directory Internet (come appunto Yahoo!) e/o come motori di ricerca (tra i primi Excite, Lycos, Altavista, Infoseek, e HotBot). Si è poi ampliata la fornitura di servizi al
fine di consolidare la base degli utenti e di allungare i loro tempi di permanenza nell’ambito del sito. Servizi che richiedono le registrazioni degli utenti come la posta gratuita, le procedure di personalizzazione e le chat room, sono stati considerati elementi utili ad aumentare l’uso del portale. Se l’utente è fidelizzato, sono maggiori le possibilità che rimanga sul portale e sfrutti tutti i servizi messi a disposizione. Il numero di utenti e il loro grado di fidelizzazione impattano positivamente sulla capacità di raccogliere introiti commerciali. 3.3.1.3 The Searchable Platform La navigazione inizialmente era molto “guidata” e “indirizzata” dai portali. Nella prima parte di diffusione di Internet quest’approccio sembrò corretto, ma bisognava tenere in considerazione due
elementi: – Internet rappresentava qualcosa di nuovo per gli utenti, i quali erano in una fase di esplorazione del mezzo stesso e non ancora totalmente consapevoli delle potenzialità a disposizione; – I contenuti presenti su Internet crescevano esponenzialmente: le informazioni in sé e per sé non hanno un costo, quello che realmente costa è la loro ricerca e la loro catalogazione. Ecco dunque che all’aumentare dei contenuti e al procedere dell’apprendimento degli utenti si affaccia una rilevante innovazione nel campo del web: la nascita dei motori di ricerca. I primi motori di ricerca furono inglobati nei portali come ad esempio WebCrawler, il primo motore di ricerca del web a fornire la “full search text” ovvero la
ricerca che analizza tutte le parole presenti nei documenti immagazzinati al fine di trovare le parole contenute nell’espressione di ricerca fatta dall’utente. WebCrawler nacque il 20 aprile 1994 e fu comprato nel ’95 da America Online che integrò il servizio di ricerca nel proprio portale. Nacquero, tra gli altri, in quegli anni Infoseek, che fu il primo motore a inserire pubblicità contestuale alle ricerche degli utenti, Lycos, Altavista, Exicite. Nel 1998 Larry Page e Sergey Brin, gli ennesimi brillanti studenti dell’Università di Stanford, dopo aver sviluppato la teoria secondo cui, un motore di ricerca basato sull’analisi matematica delle relazioni tra siti web avrebbe prodotto risultati migliori rispetto alle tecniche empiriche usate precedentemente, fondarono Google. Convinti che le pagine citate con un maggior numero di link fossero le più importanti e meritevoli (Teoria delle reti), decisero di
approfondire la loro teoria all’interno dei loro studi e posero le basi per il loro motore di ricerca. I giovani ricevettero ad agosto del ’98 100.000 dollari d’investimento ma a inizio ’99, i due decisero che Google stava rubando troppo tempo ai loro studi universitari e provarono a vendere il motore a Exicite per un milione di dollari. Per loro fortuna Exicte rifiutò l’offerta e a giugno arrivò un investimento dai principali fondi di venture capital della Silicon Valley per 25 milioni di dollari. Il resto della storia la conosciamo tutti: Google in breve tempo si affermò come il principale motore di ricerca web scalzando di gran lunga tutti i suoi principali rivali nati prima di lui. Google esordì con una pagina dal design minimale proprio a voler dare risalto unicamente alla ricerca. Gli utenti avevano ormai familiarità con il web e non avevano più bisogno di essere guidati ma volevano attivamente ricercare quello di cui
avevano bisogno. Ecco che la ricerca diventa ben presto una delle attività più svolte sul web, e la società che ha creduto fortemente nell’importanza della search e che proprio per questo aveva intrapreso scelte tecnologiche volte a ottenere i migliori risultati si afferma rispetto a tutti gli altri motori e portali, diventando l’homepage di milioni di utenti nel mondo e il sito più visitato in assoluto. La ricerca ha cambiato profondamente l’abitudine degli utenti permettendo loro di fruire di quei frammenti di informazione che necessitano realmente, in tempi drasticamente ridotti. Questo fenomeno è evidenziato anche dall’evoluzione delle modalità con cui gli utenti compiono una ricerca: inizialmente, in media, le interrogazioni, dette “query”, erano di una parola; con il passare degli anni la media è salita, sintomo di un aumento della maturità dell’utente e della ricerca di bisogni da
soddisfare sempre particolareggiati.
più
precisi
e
3.3.1.4 The Social Platform La fase del social web trova i suoi fondamenti tra il 2000 e il 2002 in quello che fu denominato “Web 2.0”; rappresentò un importante punto di svolta poiché consentì a chiunque di creare e diffondere i propri documenti. Esempi di questa seconda fase sono Blogger, Myspace prima e Facebook poi. L’introduzione a un pubblico più ampio di tecnologie come AJAX e RSS rappresentò uno dei tasselli dello sviluppo di questa fase. Una miriade di software e programmi permise e permette tuttora di inviare a chiunque qualsiasi tipologia di documento o contenuto online. Questa innovazione radicale ha portato la
possibilità a chiunque di “partecipare al web”, cioè di non essere un attore passivo ma al contrario attivo creatore della rete. Blog, social network e wiki sono diventati icone di democratizzazione della rete. Il Web 2.0 scandisce la più netta distinzione tra Internet com’era concepito negli anni Novanta e come oggi concepiamo e utilizziamo la rete. Originariamente il web è stato concepito come modo per visualizzare documenti ipertestuali statici (creati con l’uso del linguaggio HTML); in questo modo l’utente accede alla rete per visualizzare e ottenere informazioni precaricate da qualcun altro. Nella classica modalità di utilizzo di Internet, l’utente si collega a un portale per ottenere informazioni specifiche su di un prodotto, o informazioni su un fatto particolare, sfruttando la rete come strumento di ricerca d’informazioni precedentemente caricare. Quest’approccio, definito dagli studiosi come
“Web 1.0” prevede che l’utente sfrutti passivamente la rete, attraverso un sistema unidirezionale (dalla rete all’utente) di condivisione delle informazioni. In seguito, grazie all’integrazione con database e all’utilizzo di sistemi di gestione dei contenuti (CMS), Internet si è evoluta con siti dinamici (come ad esempio i forum o i blog) che semplificavano enormemente la creazione di contenuto e permettevano agli utenti stessi di creare del contenuto sui siti che visitavano; questo web dinamico è stato da alcuni definito “Web 1.5”. In seguito, grazie a successive innovazioni come i fogli di stile (CSS) e i linguaggi di script, si è giunti alla creazione di vere e proprie applicazioni web che si discostano dal vecchio concetto di semplice ipertesto e che puntano a somigliare ad applicazioni tradizionali per computer. AJAX, acronimo di “Asynchronous JavaScript and XML”, è stata e tuttora
continua a esserlo, una delle principali tecniche di sviluppo per la realizzazione di applicazioni web interattive (Rich Internet Application). Lo sviluppo di applicazioni HTML con AJAX si basa su uno scambio di dati in background fra web browser e server, che consente l’aggiornamento dinamico di una pagina web senza esplicito ricaricamento da parte dell’utente. AJAX è asincrono nel senso che i dati extra sono richiesti al server e caricati in background senza interferire con il comportamento della pagina esistente, ciò ha permesso la creazione di numerose applicazioni web simili ad applicazioni per PC. Il Web 2.0 costituisce anzitutto un approccio filosofico alla rete che ne connota la dimensione sociale della condivisione, dell’autorialità rispetto alla mera fruizione: sebbene dal punto di vista tecnologico gli strumenti della rete possano apparire invariati (come forum, chat e blog, che
preesistevano già nel Web 1.0 e 1.5) è proprio la modalità di utilizzo della rete ad aprire nuovi scenari fondati sulla compresenza nell’utente della possibilità di fruire e di creare/modificare i contenuti multimediali. La modalità di ricezione delle informazioni non è più unidirezionale (da rete a utente) ma diventa bidirezionale prima e direttamente da utente a utente nella fase più evoluta e matura del Web 2.0. Sebbene potenzialmente in luce nello stesso paradigma di rete, che si nutre del concetto di condivisione delle risorse, rappresenta la concretizzazione delle aspettative dei creatori del web, che solo grazie all’evoluzione tecnologica oggi costituiscono una realtà accessibile. La possibilità di accedere a servizi a basso costo in grado di consentire l’editing anche per l’utente poco evoluto, rappresenta un importante passo verso un’autentica interazione e condivisione in cui il ruolo
dell’utente è centrale. Sono di questi anni siti che hanno cambiato profondamente le nostre abitudini come Wikipedia, YouTube, Flickr, Facebook, Myspace, Twitter, Gmail, WordPress, TripAdvisor, solo per citarne alcuni. Se prima la costruzione di un sito web personale richiedeva la padronanza di elementi di HTML e programmazione, oggi con i blog chiunque è in grado di pubblicare i propri contenuti, dotandoli anche di veste grafica accattivante. Se prima erano necessarie più applicazioni informatiche per la gestione del ciclo di vita dell’informazione (dall’intuizione alla fruizione), oggi grazie a Wiki, una stessa tecnologia supporta al meglio tutto il processo fruendo dell’informazione nell’ambiente stesso in cui essa è nata. Se prima i contenuti erano creati per essere consumati solo sul sito (stickiness) oggi con le tecnologie di syndacation chi realizza i contenuti fa in
modo che questi possano essere fruiti non solo sul sito ma su canali diversi. Nell’anno 2005 è coniato il termine “User Generated Content” o UGC ovvero contenuti generati dagli utenti, per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti invece che da società specializzate. Questo passaggio fu un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici e a basso costo. È il consolidamento di un fenomeno massivo di creazione di contenuti senza precedenti. Di pari passo prende piede anche la definizione di social media che fa riferimento alle applicazioni Internet basate sui presupposti ideologici e tecnologici del Web 2.0 che consentono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti. I social media rappresentano fondamentalmente un cambiamento nel
modo in cui la gente apprende, legge e condivide informazioni e contenuti. In essi si verifica una fusione tra sociologia e tecnologia che trasforma il monologo (da uno a molti) in dialogo (da molti a molti) e ha luogo una democratizzazione dell’informazione che trasforma le persone da fruitori di contenuti a editori. I social media sono diventati molto popolari perché permettono alle persone di utilizzare il web per stabilire relazioni di tipo personale o lavorativo, in tal caso si parla di social network, e non possiamo non citare Facebook per quanto riguarda la sfera personale e LinkedIn per la sfera professionale. 3.3.1.5 The Mobile Platform Negli ultimi anni abbiamo assistito a un porting del web sui dispositivi mobili. La
facilità con cui è avvenuto questo spostamento è dovuta principalmente alle caratteristiche multipiattaforma di Internet e alla possibilità di fruire dei servizi web attraverso piattaforme software diverse (si pensi che uno stesso contenuto possa essere utilizzato attraverso sistemi operativi diversi come Windows, Mac, Linux, o da diversi browser come Explorer, Firefox, Chrome) e di conseguenza essere un media multi-device cioè che permette l’uso da diversi dispositivi. Tali caratteristiche hanno fatto sì che aumentassero le diverse tipologie di dispositivi connesse a Internet e in particolar modo quei dispositivi che permettono la connessione a Internet in mobilità. Internet in mobilità non è solo una semplice trasposizione di quello già visto sul desktop. Molti dei più sofisticati dispositivi mobili connessi al web, sono dotati di caratteristiche hardware che permettono un utilizzo diverso del web rispetto a quello che
se ne fa da desktop. Un esempio su tutti è dato dagli smartphone, i cellulari dotati di sistema operativo, che grazie a Internet e ai sistemi di GPS, rilevano la posizione, permettono un uso più specifico della ricerca e dei servizi web. L’integrazione di queste due tecnologie ha permesso l’introduzione della variabile di prossimità, e lo sviluppo della comunicazione di gruppi di persone che comunicano la loro posizione sui social network tramite l’operazione di check-in nei diversi luoghi da loro visitati. Pensiamo anche al nascente fenomeno della realtà aumenta su mobile possibile grazie al GPS, alla bussola, alla fotocamera e all’accelerometro, nonché alla connessione Internet, presenti sugli smartphone più avanzati: il telefonino inquadra in tempo reale la realtà, alla quale sono sovrapposti i livelli di contenuto presi dal web, geolocalizzati con elementi 3D in sovraimpressione.
È, infatti, possibile con la realtà aumentata trovare informazioni rispetto al luogo in cui ci si trova (come alberghi, bar, ristoranti, stazioni della metro) ma anche visualizzare le foto dai social network come Flickr o voci Wikipedia sovrapposte alla realtà; trovare i tweets vicini; ritrovare la macchina parcheggiata; giocare a catturare fantasmi e fate invisibili usando un’intera città come campo di gioco; inserire tag e commenti su luoghi (la piattaforma Foursquare è l’esempio di maggior successo a livello mondiale), e navigare da un luogo all’altro utilizzando le indicazioni stradali applicate sulla realtà invece che sulle mappe.
Gli analisti stimano che il mobile Internet sarà un trend molto impattante, basti osservare le stime di Ericsson (Figura 3-12) che vedono in atto un trend negli ultimi anni che ha visto un rallentamento delle vendite
di PC fissi a scapito dei computer portatili e che vede nei prossimi anni una crescita esponenziale di smartphone e tablet arrivando a stimare per il 2021 più di 28 miliardi di dispositivi connessi a Internet di cui più di dieci miliardi solo di dispositivi mobili (tablet e smartphone) e con una crescita di dispositivi connessi Iot del 27%. Cisco prevede il raggiungimento delle seguenti milestone a riguardo del traffico dati mobile nei prossimi cinque anni: – Traffico dati mobile globale mensile supererà 49 Exabyte nel 2021; – Gli smartphone raggiungeranno il 66% del traffico dati mobile nel 2021; – Il numero di dispositivi mobili pro capite sarà di 1.5 nel 2021; – La velocità media di connessione mobile supererà 20Mbps nel 2021; – Il numero totale di smartphone sarà più del 50% del numero di dispositivi globale
nel 2021; – Gli smartphone supereranno i quattro quinti del traffico dati mobile (86%) entro il 2021; – Le connessioni 4G avranno la più alta quota di mercato (53%) dei collegamenti mobili totali entro il 2021; – Il traffico 4G sarà più di tre quarti del traffico mobile totale entro il 2021; – Oltre tre quarti (78%) del traffico dati mobile a livello mondiale saranno registrati entro il 2021.
Entro la fine del 2018, il numero di dispositivi cellulari collegati supererà il numero di persone sulla terra, ed entro il 2021 ci saranno 1,5 dispositivi mobili pro capite. Ci saranno oltre 10 miliardi di dispositivi mobile connessi nel 2018, un numero maggiore della popolazione mondiale prevista a quel tempo (7,3 miliardi). Nel complesso il traffico dati mobile è
destinato a crescere a 49 Exabyte al mese entro il 2021, registrando un aumento maggiore di sette volte rispetto al 2016. Il traffico dati mobile crescerà a un CAGR del 47% tra il 2016 e il 2021. Il traffico dati mobile globale è cresciuto del 63% nel 2016, segnando un netto rialzo rispetto al rallentamento del traffico mobile del 2012. I paesi con il maggio tasso di crescita nel 2016 sono il Medio Oriente e l’Africa con una crescita del 96%, seguiti da Asia Pacifico (71%), America Latina (66%) ed Europa centrale e dell’Est (64%). L’Europa occidentale è cresciuta di circa il 52% e l’America del Nord del 44% (Figura 3-14). A livello nazionale, l’Indonesia, la Cina e l’India hanno registrato la maggior crescita a livello mondiale, rispettivamente del 142%, 86% e 76%. Questi tre paesi hanno anche superato la crescita del traffico nel 2015, anche se nel 2016 la crescita del traffico in Indonesia ha accelerato (rispetto al 129% nel
2015) e la crescita del traffico in Cina e in India ha rallentato rispetto al 2015 (quando la crescita è stata 89% in India e 111% Cina). Anche la Francia, la Corea e l’Australia hanno registrato un’accelerazione nella crescita del traffico mobile nel 2016, mentre la maggior parte degli altri paesi ha registrato una crescita forte ma congiunturale rispetto agli anni precedenti.
Per quanto riguarda le previsioni di crescita, l’Asia Pacifico, nel 2021 rappresenterà il 47% del traffico mobile globale, come mostrato nella Figura 3-15. L’America del Nord, che aveva la seconda quota di mercato in termini di traffico nel 2016, avrà solo il 12% di quota superata dall’Europa centrale e orientale, dal Medio Oriente e dall’Africa. Medio Oriente e Africa registreranno il più alto CAGR (65%), aumentando di 12 volte nel periodo previsionale. L’Asia Pacifico avrà il secondo CAGR (49%), aumentando di 7 volte il periodo previsionale. Entro il 2021 ci saranno 8,3 miliardi di dispositivi mobile e/o portatili e 3,3 miliardi di connessioni M2M (ad es. Sistemi GPS in autoveicoli, sistemi di monitoraggio dei beni nei settori della spedizione e del settore manifatturiero o applicazioni mediche che rendono più facilmente disponibili i record di paziente e lo stato di salute et alii). A livello regionale,
l’America del Nord e l’Europa Occidentale avranno la crescita più veloce in termini di diffusione dei dispositivi mobili e delle connessioni con il 16% e l’11% del CAGR, rispettivamente dal 2016 al 2021.
Il mix in continua evoluzione e la crescita di dispositivi wireless che accedono a reti mobili in tutto il mondo è uno dei principali
contributori alla crescita globale del traffico mobile. Ogni anno vengono introdotti diversi nuovi dispositivi con diversi fattori-forma e maggiore capacità/intelligenza. Nel 2016 si sono aggiunti oltre 400 milioni (429 milioni) di dispositivi mobile connessi. Nel 2016 i dispositivi mobile connessi globali sono cresciuti a 8 miliardi, rispetto ai 7,6 miliardi del 2015. In tutto il mondo i dispositivi mobile connessi raggiungeranno 11,6 miliardi di unità entro il 2021 con un CAGR dell’8%. La Figura 3-16 mostra un confronto fra il market share 2016 dei principali dispositivi e le previsioni del 2021. Netta ed evidente la crescita del market share relativa a M2M e smartphone che passeranno rispettivamente dal 38% e 10% di market share nel 2016, al 43% e 29% di market share nel 2021.
Nel 2016 (3,3 miliardi) il numero dei dispositivi non-smartphone è diminuito in modo rapido passando dal 41% del market share (3,3 miliardi di unità) al 13% (1,5 miliardi di unità). Un’altra tendenza significativa è la crescita degli smartphone (compresi i phablet) dal 45% del totale dei dispositivi connessi nel 2016 a oltre il 50% (53%) entro il 2021. La crescita più evidente si verificherà nelle connessioni M2M, seguite dai tablet. Gli M2M raggiungeranno
più di un quarto (29%) dei dispositivi connessi totali entro il 2021. La categoria M2M crescerà con un CAGR del 43% dal 2016 al 2021 e i tablet cresceranno con un CAGR del 15% nello stesso periodo. Insieme alla crescita complessiva del numero di dispositivi mobile connessi, c’è chiaramente un cambiamento visibile nel mix di dispositivi. Dal punto di vista del traffico, smartphone e phablet continueranno a dominare il traffico mobile (86%), mentre la categoria M2M continuerà a guadagnare quota entro il 2021 (si veda la Figura 3.17).
La proliferazione di terminali di fascia alta, tablet e laptop sulle reti mobili è un importante fattore di generazione traffico, perché questi dispositivi offrono al consumatore contenuti e applicazioni non supportate dalle precedenti generazioni di dispositivi mobili. Come mostrato in Figura 3-18, uno smartphone può generare traffico quanto 49 telefonini con funzionalità base, un tablet quanto 127 telefonini con
funzionalità base e un computer portatile può generare traffico quanto 227 telefonini con funzionalità base.
Mentre c’è una crescita complessiva del numero di dispositivi mobili e delle connessioni, c’è anche un visibile
cambiamento nel mix dei dispositivi. Per tutto il periodo previsionale, vediamo che il mix di dispositivi sta diventando più intelligente con un numero crescente di dispositivi con risorse di elaborazione più elevate e capacità di connessione di rete che creano una richiesta crescente di reti più capaci e intelligenti. Definire dispositivi intelligenti e connessioni come quelli che hanno avanzate funzionalità di calcolo e multimedialità con un minimo di connettività 3G. La quota dei dispositivi intelligenti e delle connessioni come percentuale del totale passerà dal 46% del 2016 al 75%, entro il 2021, crescendo più del doppio durante il periodo di previsione (Figura 3-19).
Nella Figura 3-20 viene illustrato l’impatto della crescita dei dispositivi intelligenti mobili e delle connessioni sul traffico globale. Globalmente, il traffico intelligente crescerà dal 92% del traffico mobile globale al 99% entro il 2021. Questa percentuale è notevolmente superiore rispetto al rapporto tra dispositivi intelligenti e connessioni (75% entro il 2021), perché in media un dispositivo intelligente genera traffico molto più elevato di un dispositivo non-smart.
Globalmente, nel 2016, un dispositivo intelligente ha generato 13 volte più traffico rispetto a un dispositivo non-smart ed entro il 2021 un dispositivo intelligente genererà quasi 21 volte più traffico.
I seguenti sono alcuni dei principali promotori della crescita nell’utilizzo medio: – Aumento velocità di connessione dalla
rete mobile. I video ad alta definizione saranno più diffusi, e la percentuale di contenuto streaming è anche prevista in aumento; – Lo spostamento verso il video on demand influenzerà le reti mobili, così come ha fatto con le reti Internet fisse. Il traffico può aumentare drammaticamente anche mentre la quantità totale di tempo trascorso a guardare video resti relativamente costante; – Come migliora la capacità di rete mobile e cresce il numero di utenti con multiplidispositivi, gli operatori con più probabilità offriranno pacchetti a banda larga mobili paragonabili nel prezzo e velocità a quelli della banda larga fissa. Questo sta incoraggiando la sostituzione della banda larga fissa a favore della banda larga mobile; – I dispositivi mobili aumentano il tempo di contatto di un individuo con la rete, ed è
probabile che questo aumento di tempo porterà a un incremento dei minuti complessivi dell’uso per utente con conseguente crescita di volumi di traffico. Poiché il contenuto video mobile ha bit rate molto più elevati rispetto ad altri tipi di contenuti mobili, questo genererà gran parte della crescita del traffico mobile fino al 2021. Il mobile video crescerà a un CAGR del 54% tra il 2016 e 2021, superiore al traffico mobile medio complessivo CAGR del 47%. Dei 49 Exabyte al mese, che attraverseranno la rete mobile nel 2021, 38 Exabyte saranno strettamente legati al traffico video.
I dispositivi mobili hanno dei limiti di memoria e di velocità che giocano a sfavore nel consumo di media su tali apparecchiature, se non fosse che si sta affermando un modello di applicazioni e servizi basati su cloud. Applicazioni cloud e servizi come Netflix, YouTube, Pandora, Spotify consentono agli utenti mobili di superare la capacità di memoria e le limitazioni di potenza di elaborazione dei dispositivi mobili. Un utente con uno smartphone da 8GB, tramite streaming di video e musica consuma più contenuti nel corso di due anni di quanti potrebbero essere memorizzati fisicamente sul dispositivo stesso. Un utente di smartphone che adotta Netflix, Pandora e Facebook genererà più del doppio del volume di traffico generato da un utente di smartphone che adotta solo applicazioni email e web. A livello globale, le
applicazioni cloud rappresenteranno il 90% del totale del traffico dati mobile nel 2018, rispetto all’82% per cento del 2013. Il traffico da cloud crescerà di 12 volte dal 2013 al 2018, un tasso composto di crescita annua del 64% (Figura 3.23).
Globalmente, la velocità di connessione di rete mobile nel 2016 è stata di 6,8Mbps. La velocità media crescerà a un CAGR del 24,4%
e raggiungerà i 20,4Mbps entro il 2021. Le velocità di smartphone, generalmente 3G e superiori, corrisponderanno alla connessione media globale entro il 2021. Le velocità degli smartphone saranno quasi raddoppiate entro il 2021, Raggiungendo 20,3Mbps. La prova aneddotica supporta l’idea che l’uso aumenta quando la velocità aumenta, anche se spesso c’è un ritardo tra l’aumento della velocità e l’aumento dell’utilizzo, che può variare da pochi mesi a diversi anni. Tuttavia, nei mercati maturi con una forte implementazione dei tappi di dati, le evidenze mostrano che l’aumento della velocità non può portare all’aumento dell’uso dei dati mobili. La previsione mobile di Cisco VNI si riferisce ai tassi di bit dell’applicazione alle velocità media di ciascun paese. Molte delle tendenze della previsione del traffico risultante si possono vedere nella previsione di velocità, come ad esempio i tassi di crescita elevati per i paesi e
le regioni in via di sviluppo rispetto alle aree più sviluppate.
Queste previsioni di crescita del traffico
mobile viste fino a ora sono particolarmente rilevanti alla luce del fatto che solo sei anni fa gli smartphone erano visti come giocattoli costosi per appassionati e fan di Apple. Oramai gli smartphone assumono una proporzione crescente di vendite sul totale dei dispositivi mobile nei mercati di tutto il mondo. Nel quarto trimestre 2016, la penetrazione delle vendite di smartphone ha raddoppiato per la prima volta a livello globale la vendita di cellulari con funzionalità base, raggiungendo 432 milioni di pezzi venduti su un totale di 1,5 miliardi di unità vendute nel 2016 (incremento del +7% rispetto al 2016).
La vendita di terminali non è guidata da caratteristiche hardware (“cosa il terminale può fare”) come avveniva in precedenza, ma dall’interfaccia utente e dalle applicazioni disponibili (“che cosa si può fare con il terminale”). Le due piattaforme leader per smartphone sono iOS e Android, sono guidate dall’economia della domanda, dove la domanda generata (incluso il numero di applicazioni), ha un effetto molto maggiore sulle vendite rispetto alla pura efficienza della supply chain. A partire da ottobre 2011, iOS e Android guidano il mercato degli smartphone, e a luglio 2016 si contano più di 1.500.000 e 1.600.000 applicazioni, rispettivamente. Il resto delle piattaforme resta molto indietro con un ordine di grandezza in meno rispetto al numero di applicazioni: BlackBerry ha 300.000 applicazioni, e 700.000 le applicazioni
Windows Mobile. Piattaforme come iOS e Android sono in grado di attrarre ingenti investimenti finanziari da parte di sviluppatori, investitori e brand. Prendendo come esempio IOS, e stimando che una App costa in media 15.000 dollari per lo sviluppo, le 1.500.000 App disponibili per iOS rappresentano un investimento di 22,5 miliardi di dollari nell’ecosistema iOS. Questo investimento contribuisce direttamente alle vendite di dispositivi iOS, stimate in 980 miliardi di dollari per l’esercizio chiuso a settembre 2016. Il business degli application store è l’esatto contrario del business dei contenuti telco. Come tali, i negozi di applicazioni come App Store di Apple e Android Market di Google non devono essere confusi con dei centri di profitto. Invece, gli store di Apple e Google sono come punti di controllo dell’ecosistema. Con oltre l’85% dei download provenienti da
applicazioni gratuite negli store iOS e Android, le entrate provenienti dal 30% sul prezzo delle applicazioni a pagamento sovvenziona il costo operativo di acquisizione e distribuzione applicazioni, che è circa 1,2 miliardi di dollari oggi nel caso di Apple. Oltre alle piattaforme mobile, interessante è anche la tecnologia HTML5 che ha il potenziale per diventare un sistema comune tra tutti gli smartphone. HTML5 è l’unica tecnologia supportata sia da Android sia da iOS, dalle nuove versioni di BlackBerry OS che dalle piattaforme Windows Phone.
Microsoft, Facebook e gli operatori mobili hanno motivazioni molto diverse, ma tutti hanno messo gli occhi su come HTML5 sia una tecnologia che potrebbe aiutare a disintermediare gli App store come silos di distribuzione dei contenuti, riducendo il potere di iOS di Apple e della piattaforma
Android di Google. Tuttavia, nelle suo stato attuale HTML5 non può né fermare né infastidire le principali piattaforme mobili. Per diventare una valida alternativa, HTML5 ha bisogno di andare al di là dell’essere solo uno strumento di sviluppo, e di convergere attorno a una soluzione dominante per le applicazioni web per l’individuazione, monetizzazione, la distribuzione e vendita al dettaglio. Le piattaforme hanno bisogno di applicazioni che consentono di prosperare e gli sviluppatori sono il motore di crescita degli ecosistemi smartphone. Al tempo stesso, l’attenzione dello sviluppatore è scarsa; gli sviluppatori sono “consumatori di piattaforma” molto critici e hanno bisogno di realizzare investimenti molto più elevati quando adottano una nuova piattaforma. Si stima che il costo di acquisto minimo per uno sviluppatore di applicazioni sia oltre 2.300 dollari nel caso di Apple. Come tale,
Apple, Google, Nokia, Microsoft e RIM hanno bisogno di investire miliardi di dollari per convincere gli sviluppatori a creare applicazioni per le loro piattaforme. Inoltre, gli sviluppatori sono motivati da un insieme complesso di incentivi, che comprende i potenziali ricavi, il numero di user a portata di mano, la capacità di reperire finanziamenti, e l’utilità di una piattaforma. L’innovazione scatenata dalle App per smartphone mette sotto pressione i tradizionali centri di profitto delle telecomunicazioni, non solo intorno a servizi a valore aggiunto, ma anche sulla messaggistica di base e sui servizi voce. Apple e Google nel 2014 controllano insieme oltre 1,4 miliardi di utenti attraverso le loro piattaforme iOS e Android. Entrambi stanno strategicamente riducendo il ruolo di operatori di telefonia mobile a quello di “Fornitori di connettività”. Giganti di Internet come Facebook e Amazon utilizzano
strategie social-centric e retail-centric per trarre profitto da mobile. Startup, come Foursquare e Instagram hanno sperimentato prima servizi puramente mobile-based. Società di comunicazione come Skype, WhatsApp e Viber fanno pressione sul core business delle aziende di telecomunicazione, in particolare SMS e voce. Ciò comporta che le aziende di telecomunicazione sono sotto pressione perché la base della competizione nel settore mobile è cambiata fondamentalmente. È cambiata da “affidabilità e scala dei network” a “scelta e flessibilità dei servizi”, cambiamento rappresentato dalla transizione dalla “telefonia mobile” al “mobile computing”. Il cambiamento dei fondamentali della competizione è sostanziale e irreversibile. Gli operatori delle piattaforme mobile non competono per i ricavi dei servizi di telecomunicazione, ma competono invece per il controllo dei punti
chiave nella catena del valore digitale, con modelli di business che abbracciano l’elettronica di consumo, l’online advertising, le licenze software, l’e-commerce e altri. Pertanto la concorrenza degli operatori delle piattaforme mobili è asimmetrica perché a differenza delle telco, non mirano a offrire un servizio di connettività mobile. Visto che iOS e Android hanno raggiunto masse critiche e raggiunto posizioni stabili di mercato, gli operatori di telecomunicazione devono trovare modi di costruire proposizioni uniche di valore al di sopra di queste piattaforme, piuttosto che competere con esse. Le aziende di telecomunicazione dovrebbero spostare il loro focus di innovazione dalle tecnologie (HTML5, NFC, M2M ecc.) agli ecosistemi. Questo richiede una comprensione molto maggiore di come gli ecosistemi sono progettati e su come gli ecosistemi, intesi come piattaforme multisided, assorbono e amplificano
l’innovazione. Molti operatori di telecomunicazione si sono evoluti come business “tutto in uno” ottimizzati per competere sulla base dell’affidabilità e della scalabilità di un piccolo set di servizi chiave (voce, SMS, dati). Per adattarsi al cambiamento di mercato, gli operatori telco devono essere considerati come entità composte da tre distinti strati di business: l’accesso, la connettività e la distribuzione, dove la distribuzione assume un ruolo chiave in quanto gli ecosistemi rappresentano per l’appunto nuovi canali in cui i partner dell’ecosistema sono i rivenditori che spingono i servizi della telco a nuovi utenti, creano nuovi modelli di uso e nuove nicchie di mercato. Per avere successo nella creazione di un ecosistema, gli operatori telco devono considerare gli sviluppatori come rivenditori di valore aggiunto, e pertanto dovrebbero progettare una proposizione di API che permetta ai business
model degli sviluppatori di essere allineati al business model della telco. 3.3.1.6 The Things Platform Osservando tutti i cambiamenti tecnologici di Internet che hanno avuto impatto nella nostra vita e che sono avvenuti in così poco tempo, viene da chiedersi cosa ci riserverà il futuro. Difficile dirlo con precisione, però si possono individuare alcuni macrotrend che lasciano intravedere le future possibilità della rete e i suoi relativi scenari di riferimento e di studio. Innanzitutto le caratteristiche di accesso universale che Internet ha unito ai protocolli aperti, permettono a un numero sempre più grande di dispositivi di connettersi alla rete. Internet si sta affermando come il mezzo principale di scambio dati tra diversi tipi di dispositivi. Non si parla solo più di Internet
delle persone ma anche di Internet delle cose. Internet delle cose (o Internet degli oggetti o IoT, acronimo dell’inglese Internet of things) è un neologismo riferito all’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti. Internet of things, l’Internet delle cose, è una nuova rivoluzione della rete. Gli oggetti si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su sé stessi e accedere a informazioni aggregate da parte di altri. Le sveglie suonano prima in caso di traffico oppure suonano dopo perché sono collegate all’agenda e sanno che è stata spostata la riunione del mattino, le piante comunicano all’innaffiatoio quando è il momento di essere innaffiate, le scarpe da ginnastica trasmettono tempi, velocità e distanza per gareggiare in tempo reale con persone dall’altra parte del globo, sensori nei contenitori delle medicine avvisano i familiari se si dimentica di prendere il
farmaco. Tutti gli oggetti possono acquisire un ruolo attivo grazie al collegamento alla rete. L’obiettivo dell’Internet delle cose è di far sì che il mondo elettronico tracci una mappa di quello reale, dando un’identità elettronica alle cose e ai luoghi dell’ambiente fisico. Gli oggetti e i luoghi muniti di etichette RFID o QR comunicano informazioni in rete o a dispositivi mobili come i telefoni cellulari. Già nel 2008 il numero di oggetti connessi a Internet ha ecceduto il numero di persone sulla Terra. Nel 2020 Cisco prevede che ci saranno 50 miliardi di oggetti connessi a Internet che non saranno solo smartphone e tablet, ma svariate tipologie di oggetti e sensori. L’IHS prevede che il mercato degli oggetti connessi a Internet crescerà da una base installata di 15,4 miliardi di dispositivi nel 2015 a 30,7 miliardi di dispositivi nel 2020 e a 75,4 miliardi nel 2025 (Figura 3.27).
3.4 un modello pluridimensionale per rappresentare internet 3.4.1 I limiti dei modelli analizzati Analizzare Internet con modelli tipo i CAS, le GPT o i LTS permette di avere una visione generale che lascia estrapolare le caratteristiche macro di Internet considerata nel suo insieme, e permette di studiare come questa si relaziona e impatta su altri sistemi.
Lo svantaggio di questi modelli di analisi è rappresentato dal fatto che mancano di specificità nell’analisi di cosa è Internet e di come è composta non fornendo allo studioso gli strumenti necessari per scomporla e per capire come le varie parti interagiscono tra di loro. I modelli di analisi più specifici come quelli a layer, a flussi e incentrati sulla value chain, hanno invece il pregio di guardare dentro Internet, da un punto di vista industriale, andando a individuare gli elementi che la compongono e come questi sono in relazione tra di essi. Questi modelli specifici utilizzano però una sola dimensione di analisi incentrata sull’individuazione degli elementi dell’industria e di come questi si rapportano, ma sono limitati nell’analisi degli elementi, i quali invece potrebbero essere studiati molto più in profondità identificando ad esempio per ogni elemento le caratteristiche
distintive, la struttura della domanda e dell’offerta e così via.
3.4.2 Il Framework LIIF Al di fuori dei modelli analizzati, sussiste una corposa letteratura composta di studi e analisi di Internet che prendono in considerazione la domanda, l’offerta, i mercati, i modelli di business e molto altro, e studi molto specifici su singole parti di
Internet. Questi studi hanno però lo svantaggio di non offrire una visione d’insieme al lettore e di non legare la singola parte analizzata con il quadro generale di insieme. In pratica manca un framework di analisi che permetta di guidare lo studio delle parti di Internet passando da viste generali a viste anche molto specifiche ma pur sempre contestualizzate in un quadro generale. Visti dunque i limiti dei modelli di analisi di Internet, e l’assenza di punti di riferimento generali nella maggior parte degli studi e analisi nella letteratura a riguardo di Internet, si è deciso di realizzare un modello pluridimensionale, che partendo da un modello di analisi specifico dell’industria Internet, si evolvesse con l’aggiunta di una dimensione composta di elementi di analisi economica. Il risultato è un framework che noi proponiamo, denominato LIIF, che permetterebbe a ogni
elemento, o insieme di elementi, del modello specifico rappresentante l’industria Internet, di essere analizzato su più dimensioni economiche e dunque non come avviene adesso dove l’analisi si ferma all’individuazione degli elementi e al rapporto tra di essi.
Il Framework LIIF vuole quindi distinguersi dai modelli che abbiamo visto in precedenza: – I modelli generali danno una visione d’insieme di Internet, trattandola come una black box, tali modelli ci sono utili per capire gli effetti aggregati e per comparare Internet ad altri sistemi; – I modelli specifici guardano Internet cercando di analizzare come è fatta al suo interno definendo la sua industria; – Il Framework LIIF riprende gli elementi che compongono l’industria Internet e vi aggiunge una dimensione di analisi economica tale per cui ogni elemento dell’industria Internet è analizzabile secondo diverse dimensioni economiche. Volendo rappresentare la relazione tra le tre
tipologie di modelli, generali, specifici e LIIF, possiamo utilizzare una rappresentazione a globo, dove dall’esterno verso l’interno abbiamo una specificità maggiore dell’analisi dell’industria Internet. L’esterno del globo è costituito dai modelli generali, che, di fatto, sono i modelli migliori per avere la visione complessiva di Internet e per rapportarla ad altri sistemi. Lo strato successivo è dato dai modelli specifici che invece danno la visione di cosa è Internet al suo interno. Il nucleo è costituito la LIIF, ovvero la ripresa di ogni elemento dell’industria Internet scomposto secondo diverse dimensioni di analisi economica. Per realizzare tale tipologia framework è necessario individuare un modello specifico dell’industria Internet e le dimensioni di analisi da applicarci. Per quanto riguarda l’individuazione di un
modello specifico dell’industria Internet, abbiamo deciso di utilizzare un modello a strati opportunamente rielaborato alla luce delle ultime evoluzioni di Internet. Il modello a strati ha il vantaggio, molto importante a nostro avviso, di evidenziare al lettore come gli strati superiori sussistono grazie all’esistenza degli strati inferiori, evidenziando in particolar modo come Internet si sia consolidata nel tempo per strati successivi. Inizialmente è stata necessaria una diffusione e un’evoluzione dell’infrastruttura che gradualmente ha raggiunto gli utenti e ha permesso a questi di accedere a Internet. La disponibilità di infrastrutture ha permesso poi lo sviluppo dei layer superiori: maggior numero di applicativi creati, maggior numero di servizi e contenuti generati, maggior numero di utenti. Il modello a strati che abbiamo elaborato per il framework parte dall’analisi dei
modelli visti giungendo a una personale evoluzione ricercata tramite criteri di completezza e cercando di creare una fotografia il più possibile aggiornata con l’industria di Internet odierna. Nella Figura 3-30 è dunque rappresentato il primo pezzo del LIFF costituito da un modello a strati dell’industria di Internet.
Vediamo ora nel dettaglio come esso è composto. Internet Infrastructure Layer Questo strato del modello è costituito dai seguenti sotto-strati: – Internet Equipment – rappresenta tutti i produttori di attrezzature e materiali necessari per l’infrastruttura di Internet. Al suo interno vi troviamo: • Produttori di fibra ottica; • Produttori di line accelerator hardware; • Produttori di IP networking hardware; • Produttori di server. – Core Network – rappresenta tutti gli operatori coinvolti nella creazione e gestione dell’infrastruttura di base di Internet. Vi troviamo: • Aziende progettiste e costruttrici del Core Network; • Aziende manutentrici del Core Network.
Internet Access Layer In questo strato vi sono gli operatori che permettono l’accesso all’infrastruttura Internet: – Servizi di accesso – rappresenta tutti gli operatori che forniscono accesso all’infrastruttura: • Wired ISP – operatori che forniscono accesso cablato a Internet: • Operatori telefonici – le classiche compagnie telefoniche che offrono la banda larga; • Operatori via cavo – operatori di TV via cavo che offrono accesso a Internet; • Operatori power line – operatori che offrono accesso a Internet tramite i cavi elettrici. • Wireless ISP – operatori che forniscono accesso a Internet senza l’utilizzo di cablature: • Operatori mobile – le classiche compagnie telefoniche mobili che offrono
accesso a Internet tramite cellulare; • Operatori satellitari – operatori che offrono connessione a Intenet tramite satellite; • Operatori wireless ISP – operatori che offrono accesso a Internet tramite hot spot; • Operatori WiMax – operatori che offrono accesso a Internet tramite la nuova tecnologia del WiMax. – Apparecchiature di accesso – produttori di dispositivi in grado di connettersi a Internet: • Produttori di PC e hardware dedicato a Internet (computer, IP camera ecc.); • Produttori di smartphone e cellulari Internet enabled; • Produttori di altri Internet enabled device (Internet radio, car stereo ecc.). – Sistemi operativi e software di accesso – produttori di software tramite i quali si può accedere a Internet:
• Produttori di sistemi operativi – classici sistemi operativi sui quali girano i software di accesso come i browser (Windows, Mac OS, Linux, Chrome OS ecc.); • Produttori di browser – aziende che creano i software di navigazione per Internet (Microsoft Explorer, Mozilla Firefox, Apple Safari); • Produttori di altri software di accesso – aziende che creano software specifici di accesso (es. Microsoft Outlook per la posta elettronica). Internet IT Layer In questo strato vi sono gli operatori che operano creando software per Internet o fornendo servizi: – Internet software – rappresenta tutti gli operatori che producano software di base: • Produttori di applicazioni multimediali (es. RealNetworks, Macromedia);
• Aziende produttrici di software per lo sviluppo web (es. Adobe, Microsoft); • Produttori di applicazioni di Internet commerce (es. Sun, IBM, Magento); • Produttori di content management system (es. WordPress, Joomla); • Produttori di motori di ricerca (es. Autonomy); • Produttori di database orientati al web (es. Oracle, MySQL); • Aziende con prodotti e servizi nel campo della sicurezza informatica su reti IP (Avira, Macfee). – Internet Services – operatori che forniscono servizi correlati a Internet: • Aziende di consulenza IT Internet; • Aziende che forniscono Hosting; • Aziende che creano siti web; • Aziende che fanno formazione su temi riguardanti Internet; • Aziende che fanno ricerche di mercato e business intelligence;
• Aziende di comunicazione su Internet. Internet Intermediary Layer In questo strato vi sono gli operatori che intermediano tecnologia e/o servizi su Internet: – Navigation Intermediaries – rappresenta tutti gli operatori che intermediano la navigazione web: • Motori di ricerca; • Portali. – E-commerce Payment Intermediaries – rappresenta tutti gli operatori che intermediano i pagamenti online: • Sistemi di pagamento che si basano su un conto di credito o bancario per consentire transazioni e-commerce (es. Gestpay di Banca Sella); • Sistemi di pagamento forniti da istituzioni non bancarie che operano su Internet e che sono solo indirettamente associati a un conto corrente bancario (es.
Paypal). – E-commerce Intermediaries – rappresenta tutti gli operatori che forniscono piattaforme abilitanti la transazione tra venditori e compratori: • Marketplace – ambienti in cui venditori hanno a disposizione un proprio shop online all’interno della piattaforma (es. Alibaba); • Siti di Aste – venditori mettono all’asta i propri prodotti sulla piattaforma (es. eBay); • Siti di Daily Deals – venditori mettono in vendita un bene a prezzo scontato (es. Groupon). – Advertising Intermediaries – rappresentano gli operatori che intermediano gli spazi pubblicitari: • Classified – siti che raccolgono inserzioni pubblicitarie; • Advertising Networks – aggregano spazi di editori diversi rendendoli disponibili
agli inserzionisti; • Advertising Exchange – intermediazione di spazi pubblicitari tra advertising networks. – Partecipative Network Platforms – rappresentano le piattaforme che aiutano a creare contenuti e intermediano l’interazione sociale tra gli utenti (Facebook, LinkedIn, YouTube). Internet Content Layer In questo strato raggruppiamo gli operatori che hanno un’interazione diretta con gli utenti offrendo loro beni, servizi o contenuto: – Content site – rappresentano gli operatori che offrono agli utenti contenuti di vario genere: • Siti di news – news tematiche, news locali, nazionali o internazionali; • Intrattenimento – siti con contenuto multimediale (testo, foto, video) di
intrattenimento; • Verticali – siti con contenuto tematico specializzato su un determinato argomento. – Content platform – rappresenta gli operatori che mettono a disposizione contenuto proprio o di terzi tramite gestito da piattaforme altamente tecnologiche: • Aggregatori; • Comparatori; • Piattaforme Geo. – E-commerce – rappresenta gli e-tailer che offrono prodotti e servizi venduti tramite Internet: • Physical Goods – negozi online che vendono prodotti “fisici”; • Services – e-shop che vendo servizi, es. travel; • Digital Goods – e-tailer che vendono contenuti digitali come canzoni o video. – Online services – rappresenta gli operatori che offrono servizi online di vario
genere: • Servizi di produttività; • Servizi di comunicazione; • Servizi di intrattenimento; • Servizi creativi.
Ora che è stato definito il modello a strati dell’Internet industry, rimangono da definire le dimensioni di analisi che comporranno il layer di analisi che verrà applicato al layer industriale.
Il layer di analisi è stato definito empiricamente determinando i principali argomenti di analisi che troviamo in
letteratura sul su Internet. In particolare sono stati scelti per il layer di analisi: – Caratteristiche – troviamo in letteratura numerosi studi che analizzano le caratteristiche distintive di Internet o di parti di Internet. Questa dimensione di analisi applicata al modello a strati della Internet industry ci permette di approfondire le caratteristiche distintive di un singolo elemento, di un gruppo di elementi, di un layer o di un insieme di layer della Internet industry. – Domanda – facciamo riferimento allo studio della domanda su Internet, dalle basi installate di device connessi, al numero di utenti online. Questa dimensione di analisi applicata al modello a strati della Internet industry ci permette di approfondire lo studio della domanda di un singolo elemento, di un gruppo di elementi, di un layer o di un insieme di layer della Internet
industry; – Offerta – facciamo riferimento allo studio dell’offerta su Internet, dalle tipologie di operatori presenti, ai servizi offerti, al fenomeno delle startup. Questa dimensione di analisi applicata al modello a strati della Internet industry ci permette di approfondire lo studio dell’offerta di un singolo elemento, di un gruppo di elementi, di un layer o di un insieme di layer della Internet industry; – Modelli economici – troviamo in letteratura molti studi riguardanti le teorie economiche che insistono sul dominio Internet. Questa dimensione di analisi applicata al modello a strati della Internet industry ci permette di approfondire le teorie e i modelli economici che insistono su un singolo elemento, su un gruppo di elementi, su un layer o su un insieme di layer della Internet industry; – Modelli di business – un argomento
molto dibattuto in letteratura è lo studio dei modelli di business che esistono nella Internet industry. Questa dimensione di analisi applicata al modello a strati della Internet industry ci permette di analizzare i modelli di business di un singolo elemento, di un gruppo di elementi, di un layer o di un insieme di layer della Internet industry; – Mercati – gli studi riguardanti Internet abbondano di analisi su singoli mercati dell’industria come l’advertising o l’ecommerce. Questa dimensione di analisi applicata al modello a strati della Internet industry ci permette di analizzare i mercati di un singolo elemento, di un gruppo di elementi, di un layer o di un insieme di layer. Definiti ora il modello a strati della Internet industry e lo strato composto dalle dimensioni di analisi, possiamo ora definire il framework di riferimento per lo studio
della Internet industry nel suo complesso. Dalla combinazione del modello industriale con il modello di analisi emerge il framework pluridimensionale di riferimento per lo studio di Internet che sarà utilizzato come guida nei prossimi capitoli. Come si evince dalla Figura 3.32 ogni elemento del cubo del Framework LIIF è in pratica un elemento del layer industriale, cioè il modello a strati dell’industria Internet, analizzato secondo una determinata dimensione del layer di analisi. In maniera semplificata possiamo rappresentare il Framework LIIF nella Figura 3.33. Sulla faccia frontale abbiamo inserito i nomi dei layer del modello per semplificare la visualizzazione grafica, mentre in profondità vi sono le dimensioni di analisi che abbiamo individuato in precedenza.
Il framework può funzionare sia con elevato dettaglio sia con una vista molto generale. Ad esempio possiamo decidere di prendere il layer industriale Internet content e studiarne le caratteristiche, la domanda, l’offerta, o qualsiasi altra dimensione, in modo distintivo per quell’area di industry di Internet. Allo stesso modo invece possiamo andare a
esplodere in dettaglio più approfondito il layer industriale visualizzando tutte le sue componenti e analizzarle singolarmente. Ad esempio la figura 3-34 ci fa vedere applicato come funziona nel dettaglio il framework, esplodendo l’Internet Content Layer.
Il dettaglio della figura sopra ci fa capire la volontà del framework di fornire al lettore uno strumento di approccio allo studio di
Internet che gli permetta di inquadrare le analisi che si trovano in letteratura in una sorta di mappa generale, che allo stesso tempo permette di scendere da visioni d’insieme a visioni specifiche e viceversa, da visioni specifiche a visioni di insieme. Il framework pluridimensionale LIIF creato sarà utilizzato come guida nell’analisi di Internet nei prossimi capitoli. In particolare ci focalizzeremo sull’analisi non di tutti gli strati ma quelli che ci sembrano i più rilevanti per l’Internet economy ovvero gli strati che abbiamo definito come e ai quali ci riferiamo come Internet Web Ecosystem: – Internet Content Layer; – Internet Intermediary Layer. Questa scelta è motivata dal fatto che questi strati hanno caratteristiche e proprietà
maggiormente distintive rispetto agli strati ai quali ci riferiamo come Internet IT & Network Industry sui quali insistono logiche maggiorenti corrispondenti con la “old economy”, non di fatto è stato coniato il termine “new economy” proprio per dare una distinzione al tipo di economia e business che sono presenti in questi strati del modello. Ogni dimensione di analisi costituirà dunque un capitolo nel quale analizzeremo principalmente l’Internet Web Ecosystem, mentre, per i motivi visti prima, l’Internet IT & Networks Industry sarà solo accennata.
1. Plsek P., Greenhalgh T., “Complexity science: The challenge of complexity in health care”, British medical journal, 15 settembre 200, vol. 323. Traduzione dell’autore. 2. Anitesh Barua, Jon Pinnell, Jay Shutter, Andrew Whinston, “Measuring the Internet Economy: An Exploratory Study”, Center for Research in Electronic Commerce, 1998, The University of Texas at Austin. 3. Deloitte, “The Connected Continent II. How the Internet is transforming the Australian economy”, 2011.
capitolo 4 Le caratteristiche
Dopo aver introdotto nel primo capitolo le principali definizioni di Internet e dopo aver esplorato in che modo si possa parlare di Internet da un ponto di vista sociologico, tecnologico ed economico, siamo giunti a una definizione di Internet come industry a sé stante. Riprendendo quest’ultimo punto, infatti, abbiamo fornito un modello nel quale sono stati proposti cinque livelli stratificati che rappresentano i principali driver del modello. Ogni livello è collegato con quello adiacente che rappresenta un continuum tra le parti più che una netta distinzione dei modelli. I layer appena introdotti sono quindi distinti secondo questo schema:
– Internet Infrastructure Layer; – Internet Access Layer; – Internet IT Layer; – Internet Intermediary Layer; – Internet Content Layer. Oltre a questa distinzione dei cinque livelli si può aggiungere una seconda macro categorizzazione. Secondo questa i cinque layer possono essere distinti in due gruppi. Da una parte il gruppo definito come Internet IT & Network Industry (che comprende I livelli delle infrastrutture, dell’accesso e dell’IT), dall’altra il secondo gruppo chiamato Web Ecosystem che comprende i livelli di intermediazione e commercio. Entrando nel dettaglio del modello, ogni livello comprende al suo interno una serie di sottostrati che si caratterizzano per dei loro prodotti e servizi specifici, come di loro mercati di riferimento.
Ogni singolo sottostrato rappresenta un mercato. La somma o la combinazione dei sottostrati rappresenta il mercato di riferimento di ogni singolo strato. Dalla somma e combinazione dei cinque strati, si ottiene una visione generale di Internet intesa come industry completa.
4.1 internet infrastructure layer
Il primo strato è quello di Internet Infrastructure, nel quale confluiscono tutti i produttori di attrezzature e materiali necessari per garantire l’accesso e il funzionamento di Internet. L’accesso e la fruizione dei servizi di Internet passa necessariamente attraverso l’utilizzo e l’installazione di un’infrastruttura fisica che permette la connessione tra i diversi apparati. I collegamenti tra i vari nodi della rete devono avvenire attraverso la connessione fisica di ogni apparato. Questo primo livello di aggregazione di soggetti è chiamato Internet Equipment e mette insieme tutti quei soggetti che producono e commercializzano prodotti che servono per costruire la rete. Un secondo gruppo invece, chiamato Core Network, è formato da tutti quegli operatori coinvolti nella creazione e gestione dell’infrastruttura di base di Internet. Se i primi forniscono le tecnologie e i prodotti
per costruire la rete, i secondi sono quelli che si occupano nella progettazione, installazione e manutenzione della rete stessa. Riassumendo schematicamente il primo layer è composto di due sotto insiemi nei quali si inseriscono i produttori di componenti e apparati e gli istallatori e progettisti. Lo strato delle infrastrutture si caratterizza per quattro caratteristiche. 4.1.1 Infrastruttura cumulativa L’infrastruttura di Internet è definita aperta perché in grado di espandersi potenzialmente all’infinito, secondo due principi. Innanzitutto l’espansione dipende dalla capacità della rete di integrare al suo interno altre reti e altri sottogruppi di reti; in questo modo la potenzialità di crescita dipende dalla capacità di creare nuove reti di
connessioni. Altro aspetto che permette la crescita della rete è dovuto al fatto che la rete cresce anche grazie alla capacità di integrazione di altre tecnologie infrastrutturali. Affinché questo avvenga, è però importante che nell’integrazione non si verifichino conflitti tra la nuova tecnologia e quella precedente. L’esempio più importante di questo secondo aspetto è quello che ci ha visto negli ultimi anni protagonisti di un grande cambiamento nell’infrastruttura di Internet, e cioè l’integrazione delle reti wireline, basate su cavo, con le reti wireless, senza cavi. L’integrazione delle due reti ha permesso lo sviluppo e l’integrazione anche di apparati tecnologici diversi tra di loro. Grazie allo sviluppo dell’infrastruttura wireless oggi è possibile integrare su Internet anche le tecnologie dei gestori telefonici e tutta una serie di nuovi strumenti, come i tablet, che prima non avevano senso di svilupparsi.
Secondo quanto finora detto, le tecnologie a oggi disponibili sul mercato possono essere sostanzialmente classificate nelle due categorie wireless e wireline (detta anche wired o fissa). Da un punto di vista tecnico ingegneristico le tecnologie wireless sfruttano tecnologie di modulazione di portanti radio (rete cellulare 2G-3G-4G, WiFi, Hiperlan, WiMAX, ponti radio, satellite, DVB ecc.), le tecnologie wireline utilizzano, a seconda dei casi, tecnologie basate sulla trasmissione di informazioni tramite cavo. Le tecnologie maggiormente utilizzate sono
il cavo coassiale, la fibra ottica (FTTx) o il doppino telefonico (tipicamente tutte le tecnologie xDSL, Digital Subscriber Line). Se si considerano i costi di sviluppo e di investimento delle due tipologie di reti, essendo i costi molto diversi tra di loro questo è un elemento che influenza lo sviluppo delle infrastrutture, specialmente in zone a basso potenziale commerciale. Le reti wireless hanno costi di investimento inferiori, se misurati in rapporto alla copertura del territorio. D’altra parte, le reti wireline risultano economicamente più efficienti nelle aree urbane a elevata densità abitativa, ma sono uno dei maggiori limiti allo sviluppo di un’infrastruttura Internet in zone a bassa densità abitativa o difficilmente raggiungibili a causa della formazione geologica di alcune zone di un paese. In termini di velocità, le wireless presentano un ritardo temporale di qualche anno rispetto a quelle fisse, ma offrono
mobilità e possibilità di attivare l’utenza in tempo reale, senza interventi di cablatura.
4.1.2 Infrastruttura Aperta Una delle principali caratteristiche di Internet è quella di essere un sistema definito aperto. L’apertura dipende dal suo essere un sistema innanzitutto dinamico e decentralizzato. Una rete è definita decentralizzata quando non esiste un punto
di raccolta e smistamento informazioni unico. In altre parole, da un punto di vista sia logistico, che gerarchico, non esiste un soggetto o più soggetti che rappresentano il nodo cruciale di scambio di informazioni. Essere decentralizzato significa sfruttare la periferia della rete e non soltanto il centro come punto di scambio e trasmissione senza perdere in qualità o quantità di informazioni trasmesse. In quanto decentralizzato, Internet è quindi anche un sistema dinamico, che si evolve in maniera autonoma e in continuo cambiamento.
Queste due caratteristiche rendono quindi Internet una struttura fortemente modificabile e scalabile, secondo tre condizioni particolari: – L’architettura della connessione in rete è aperta, decentrata, distribuita e multidirezionale nella sua interattività; – Tutti i protocolli di comunicazione e le loro implementazioni sono aperti,
distribuiti e suscettibili di modifica (anche se alcuni produttori di reti mantengono l’esclusiva su parte del loro software); – Le istituzioni di governo sono costruite secondo i principi di apertura e cooperazione che rappresentano la base culturale di Internet. Il decentramento e il dinamismo sono favoriti da un alto livello di autoregolamentazione. L’autoregolamentazione è stata uno dei fattori chiave della crescita incredibile di Internet e ciò la rende flessibile abbastanza da adattarsi ai nuovi bisogni futuri. 4.1.3 Infrastruttura programmabile L’architettura aperta, come già detto, è la chiave del successo di Internet. La possibilità che ogni utente può diventare produttore
della tecnologia e soggetto in grado di modellare l’intera rete, secondo schemi e logiche evolutive, rappresenta uno dei principali fattori strategici del successo descritto. La possibilità di programmare dipende dal livello di difficoltà con cui è possibile aggiungere pezzi al sistema. Laddove esiste una dorsale a disposizione, ogni utente può aggiungere nodi di programmazione. Questo dipende però dal costo e dal fatto che il software di programmazione deve essere sempre aperto e disponibile, come nel caso di Internet. È proprio da questo sistema multiforme e multistimoli che ha origine Internet come conseguenza di una serie di applicazioni e azioni non pianificate. 4.1.4 Infrastruttura annullatrice di tempo e spazio
In Internet le distanze fisiche non esistono, nel senso che non influenzano la distribuzione di comunicazioni. Internet opera su cavi di rame e di fibra ottica che sono 1/3 più densi del vuoto, dunque i segnali viaggiano a una velocità prossima a quella della luce (200mila km/s). La velocità della trasmissione dei dati, riportata a un pianeta della misura della Terra equivale praticamente a una velocità di trasmissione real time. Con la velocità ottimale di trasmissione fissata, restano solo due modi per rendere Internet ancora più veloce: – Aumentare il numero di bit che viaggiano sulla connessione; – Aumentare la velocità di switch della connessione nelle giunture tra una connessione e un’altra. I
router
diventano
sempre
più
veloci
permettendo switch istantanei mentre la fibra ottica e le tecnologie wireless permettono alle reti di inviare un numero molto maggiore di bit per volta. 4.2 internet access layer Il secondo strato è denominato lo “Strato dell’accesso”. In questo strato rientrano tutti gli operatori che permettono l’accesso all’infrastruttura di Internet. Oggi è possibile navigare in Internet in molti modi; non è più esclusiva del computer connettersi a Internet. Se già sono affermate le connessioni mobile e tablet, si va sempre più incontro a sistemi ibridi di connessione e integrazione di servizi online. Laddove anche televisori, telecamere e macchine fotografiche stanno iniziando a utilizzare connessioni Internet, tutto ciò è possibile dal momento in cui ogni apparato elettronico è
fornito di un programma che permette la navigazione su Internet. Il programma di navigazione non è l’unico sistema che permette la navigazione di ogni apparecchio. Esistono infatti altri supporti e altri componenti che permettono l’accesso a Internet, come descritto nel secondo layer.
I diversi servizi prodotti sono quindi riassunti in:
– Servizi di accesso – rappresentano tutti gli operatori che forniscono accesso all’infrastruttura: • Wired ISP – operatori che forniscono accesso cablato a Internet: • Operatori telefonici – le classiche compagnie telefoniche che offrono la banda larga; • Operatori via cavo – operatori di TV via cavo che offrono accesso a Internet; • Operatori power line – operatori che offrono accesso a Internet tramite i cavi elettrici. • Wireless ISP – operatori che forniscono accesso a Internet senza l’utilizzo di cablature: • Operatori mobile – le classiche compagnie telefoniche mobili che offrono accesso a Internet tramite cellulare; • Operatori satellitari – operatori che offrono connessione a Intenet tramite satellite;
• Operatori wireless ISP – operatori che offrono accesso a Internet tramite hotspot; • Operatori WiMax – operatori che offrono accesso a Internet tramite la nuova tecnologia del WiMax. – Apparecchiature di accesso: • Produttori di dispositivi in grado di connettersi a Internet; • Produttori di PC e hardware dedicato a Internet (computer, IP camera ecc.); • Produttori di smartphone e cellulari Internet enabled; • Produttori di altri Internet enabled device (Internet radio, car stereo ecc.). – Sistemi operativi e software di accesso: • Produttori di software tramite i quali si può accedere a Internet • Produttori di sistemi operativi – classici sistemi operativi sui quali girano i software di accesso come i browser (Windows, Mac OS, Linux, Chrome OS
ecc.); • Produttori di browser – aziende che creano i software di navigazione per Internet (Microsoft Explorer, Mozilla Firefox, Apple Safari); • Produttori di altri software di accesso – aziende che creano software specifici di accesso (es. Microsoft Outlook per la posta elettronica). Lo strato dell’accesso si distingue per cinque principali caratteristiche di seguito riportate.
4.2.1 L’accesso universale Internet fornisce un accesso universale, procurando le stesse potenzialità a chiunque abbia accesso alla rete indipendentemente dal luogo in cui ci si trovi. L’accesso a tutti è inoltre garantito dal fatto che esiste uno standard unico di comunicazione tale per cui, ogni soggetto che si connette ha modo di interfacciarsi e
comunicare con l’intera rete. Internet si basa su uno standard comune, il protocollo TCP/IP, che fornisce a tutti i computer che si collegano la stessa interfaccia tecnica e le stesse funzionalità. Questi fondamenti comuni rendono tutte le tecnologie di Internet ugualmente disponibili a chiunque vi sia connesso e permettono uno scambio di informazioni tra tutti i sistemi connessi. Una volta connessi, tutti sono in grado di diffondere e ricevere informazioni da tutta la rete. Lo schema logico dell’architettura di Internet è pensato in modo tale da permettere una divulgazione e distribuzione di tutti i contenuti in maniera libera e potenzialmente illimitata. 4.2.2 La mobilità La fruizione del web si è evoluta da un utilizzo ancorato a una postazione, dove fisicamente arrivava la connessione tramite
cavo telefonico, a un utilizzo in completa mobilità grazie alle nuove tipologie di connessione come il 3G e il Wi-Fi. In questo modo l’universalità degli accessi sopra descritta diventa ancora più facile soprattutto in termini di facilità di accesso. Se prima bisognava raggiungere fisicamente una postazione, oggi è possibile connettersi autonomamente e in qualsiasi posto sia presente una connessione Wi-Fi.
4.2.3 La multipiattaforma Laddove esiste uno standard di accesso universale, esiste la possibilità che diverse tecnologie possano adattarsi a quello standard e accedere alle stesse tipologie di contenuti. In questo senso l’affermazione di tecnologie multipiattaforma (come l’HTML,
il Flash ecc.) permette la medesima esperienza di fruizione di Intenet anche su sistemi operativi diversi tra di loro quali Windows, Mac o Linux, nonché su diversi software di navigazione come Explorer, Firefox ecc.
4.2.4 Il Multi-Device L’universalità dell’accesso da una parte, e la
capacità di convogliare le stesse informazioni su piattaforme diverse tra di loro dall’altra, hanno fatto in modo tale che la fruizione del web uscisse dai confini tradizionali del PC. Oggi, infatti, abbiamo la possibilità di accedere a Internet attraverso nuovi device che sfruttano soprattutto l’accesso in mobilità come telefoni, smartphone e tablet. La possibilità di accedere a Internet in mobilità, come precedentemente detto, è importante perché permette anche lo sviluppo di nuovi contenuti e servizi sfruttabili sul web. 4.2.5 Accesso cumulativo Come per il primo strato, anche il secondo si caratterizza per essere un layer cumulativo. La capacità cumulativa dipende dalla capacità di espansione del numero di utenti. L’utilizzo di nuovi device favorisce l’accesso per nuove fasce di utenti. Negli ultimi anni si
è dimostrato che l’incremento della diffusione di Internet è correlato alla diffusione della banda larga e alla diffusione dell’Internet in mobilità, soprattutto nella fascia consumer.
4.3 internet it layer
Con il terzo strato si abbandona la dimensione tangibile e fisica dei prodotti di Internet e si passa a un livello intangibile e di servizi. Se, infatti, nei primi due strati si distinguevano prodotti che rappresentavano l’infrastruttura e che quindi avevano una loro dimensione e tangibilità, nel terzo layer questo viene meno. Il terzo layer si riferisce a tutti quegli operatori che sviluppano software e servizi per Internet. La distinzione dei due gruppi di operatori è fatta tenendo in considerazione che esistono operatori che forniscono software di base e operatori che sviluppano software dedicato esclusivamente alla fornitura di servizi correlati a Internet:
– Internet Software – rappresenta tutti gli operatori che producano software di base: • Produttori di applicazioni multimediali (es. RealNetworks, Macromedia); • Aziende produttrici di software per lo sviluppo web (es. Adobe, Microsoft); • Produttori di applicazioni di Internet commerce (es. Sun, IBM, Magento); • Produttori di content management system (es. WordPress, Joomla); • Produttori di motori di ricerca (es. Autonomy); • Produttori di database orientati al web (es. Oracle, MySQL); • Aziende con prodotti e servizi nel campo della sicurezza informatica su reti IP (Avira, Macfee). – Internet Services – operatori forniscono servizi correlati a Internet: • Aziende di consulenza IT Internet; • Aziende che forniscono hosting;
che
• Aziende che creano siti web; • Aziende che fanno formazione su temi riguardanti Internet; • Aziende che fanno ricerche di mercato e business intelligence; • Aziende di comunicazione su Internet. Il terzo layer possiede tre principali caratteristiche distintive come possiamo vedere nella figura seguente.
4.3.1 Fast Evolving Tech Based Media L’evoluzione tecnologica nel contesto di Internet è comunicata in tempo reale all’intera rete. Ogni volta che sono introdotte delle modifiche effettive a livello tecnologico, queste vengono diffuse e comunicate real time in tutto il mondo. Di conseguenza il tempo che intercorre tra i processi di
learning by using e producing by using appare straordinariamente accorciato, con il risultato che tutti gli utenti, sia fornitori sia fruitori di servizi, si impegnano, in maniera del tutto inconsapevole, in un processo di learning by producing. Questo processo attiva un circolo virtuoso tra la diffusione della tecnologia e il suo stato di avanzamento.
Questo è il principale motivo per cui
Internet è cresciuto e continua a evolvere a una velocità senza precedenti, non solo per il numero delle sue reti ma anche per la portata delle sue applicazioni. La crescita di Internet avviene a un tasso superiore rispetto a qualsiasi tecnologia che l’ha preceduto: se misurata sul numero degli utenti e sulla dimensione della banda di trasmissione dati, Internet cresce su una curva geometrica, a volte addirittura esponenziale. 4.3.2 Centralized Computing & Software as a service Con il termine computing si definisce la capacità di elaborare, contare e calcolare di un computer. Il computing basato su Internet permette la condivisione di calcolo, risorse, software e informazioni che sono forniti da computer ad altri computer su
richiesta. Questo permette di facilitare l’interazione tra più utenti e permette a ognuno di sfruttare parte delle risorse messe a disposizione dall’altro. Gli utenti non si devono preoccupare dei dettagli tecnologici e informativi. Gli utenti possono accedere con i loro browser di navigazione su Internet e ricevono le informazioni e i contenuti di cui hanno bisogno sui loro dispositivi. Questo scambio di informazioni avviene grazie ad altri computer che immagazzinano tali dati, li elaborano e li rendono disponibili su richiesta, cioè quando l’utente accede a un determinato sito web. L’evoluzione di questa caratteristica ha fatto in modo tale che oggi è possibile offrire l’utilizzo di software anche molto complessi che richiedono un grande sforzo di elaborazione over the net. Questo tipo di servizi è possibile grazie a dei server che erogano il servizio tramite architetture dette “cloud” che sfruttano la capacità
computazionale di una serie di computer in rete e che non gravano sul computer del singolo utente, che si deve solo preoccupare di consumare il servizio. 4.3.3 Infinite storage capability Dall’introduzione del primo disk drive nel 1956, la densità d’informazioni che questi possono immagazzinare è passata da 2mila bit a 100 miliardi di bit (Gigabit), tutti racchiusi nello spazio di 2,54 cm2. Inoltre il prezzo dello storage è diminuito drasticamente di anno in anno. Si è passati dai 700 dollari per 1MB del 1981 ai 0,000019 centesimi di dollaro per 1MB del 2016. Tutto ciò ha permesso la creazione di storage nel web con possibilità virtualmente infinita d’immagazzinamento dati e fruizione degli stessi in qualsiasi momento, come ad esempio servizi quali YouTube, Flickr o
Gmail. Inoltre chi possiede uno spazio hosting perché ha un sito web, sa di poterlo utilizzare anche per archiviare dati, file, documenti, video, foto ecc. che non riguardano il sito. Un vero e proprio hard disk virtuale che però non può utilizzare chi non ha uno spazio hosting. L’archiviazione dei dati online è diventata una vera e propria forma di business a sé stante, con una serie di organizzazioni che offrono servizi sempre più avanzati basati sulla capacità di accesso multipiattaforma e multi-device. L’esempio più famoso è quello della startup americana di Dropbox che permette l’archiviazione sincronizzata su pc, tablet, telefonino e cloud di documenti e file contenuti all’interno di specifiche cartelle. Il tutto può essere condiviso anche da più utenti che possono modificare i file in questione e ottenere sempre versioni aggiornate dei documenti, attraverso un sistema di autosincronizzazione.
I principali servizi offerti riguardano: 1. Condivisione di film, foto, musica, documenti; 2. Accesso riservato o aperto a terzi; 3. Possibilità di far modificare documenti da altri; 4. Visualizzazione di file, foto ecc., per tutti
o per alcuni; 5. Memorizzazione classica con l’uso di cartelle.
4.4 internet intermediary layer Il quarto strato, denominato Internet Intermediary Layer, si caratterizza come strato nel quale sono catalogati tutti quegli operatori che si occupano di favorire i processi di intermediazione tra domanda e offerta di servizi, o che si pongono come soggetti che forniscono servizi in grado di favorire scambio di altri servizi o prodotti su Internet. L’interposizione tra altri soggetti è fondamentale per favorire l’incontro tra chi offre e chi cerca servizi o prodotti. Sulla rete sono disponibili informazioni in maniera gratuita e aperta. Se non esistessero però strumenti o servizi di intermediazione o interposizione, la maggior parte delle informazioni non sarebbero fruibili, in quanto esistono delle asimmetrie informative dovute al fatto che nessuno ha
elementi a sufficienza per conoscere l’esatta posizione di ogni informazione. Siccome le informazioni sono “beni esperienza”, ossia assumono un valore solo dopo essere state consumate, la facilitazione della fruizione è l’elemento cruciale dello sblocco di maggior parte del valore disponibile su Internet. In questo strato sono catalogati tutti quegli operatori che permettono l’accesso all’infrastruttura di Internet e permettono lo scambio di informazioni tra di loro.
– Navigation Intermediaries – rappresenta tutti gli operatori che intermediano la navigazione web:
• Motori di ricerca; • Portali. – E-commerce Payment Intermediaries – rappresenta tutti gli operatori che intermediano i pagamenti online: • Sistemi di pagamento che si basano su un conto di credito o bancario per consentire transazioni e-commerce (es. Gestpay di Banca Sella); • Sistemi di pagamento forniti da istituzioni non bancarie che operano su Internet e che sono solo indirettamente associati a un conto corrente bancario (es. Paypal); – E-commerce Intermediaries – rappresenta tutti gli operatori che forniscono piattaforme abilitanti la transazione tra venditori e compratori: • Marketplace – ambienti in cui venditori hanno a disposizione un proprio shop online all’interno della piattaforma (es. Alibaba);
• Siti di aste – venditori mettono all’asta i propri prodotti sulla piattaforma (es. eBay); • Siti di Daily Deals – venditori mettono in vendita un bene a prezzo scontato (es. Groupon). – Advertising Intermediaries – rappresentano gli operatori che intermediano gli spazi pubblicitari: • Classified – siti che raccolgono inserzioni pubblicitarie; • Advertising Networks – aggregano spazi di editori diversi rendendoli disponibili agli inserzionisti; • Advertising Exchange – intermediazione di spazi pubblicitari tra advertising network. – Partecipative Network Platforms – rappresentano le piattaforme che aiutano a creare contenuti e intermediano l’interazione sociale tra gli utenti (Facebook, LinkedIn, YouTube).
All’interno del quarto strato possiamo poi individuare tre principali caratteristiche, come riportato in figura 4.19.
4.4.1 Information Asymmetry Reducer Un’asimmetria informativa esiste quando una parte della transazione possiede informazioni che l’altra parte non ha e
questa parte rappresenta un’informazione importante ai fini della buona riuscita della transazione. Il web riduce queste asimmetrie informative in quanto l’altra parte può ricercare su Internet le informazioni che mancano. Nei media della comunicazione digitale, la vasta maggioranza dei partecipanti sono attivi creatori d’informazioni e allo stesso tempo anche destinatari. Questo tipo di simmetria, nel passato, era una caratteristica che aveva soltanto la tecnologia del telefono. Mentre quest’ultimo è un mezzo interamente dedicato alle comunicazioni che vedevano interagire soltanto due individui per volta, le applicazioni per reti di computer come le mailing list, web conference, forum, bacheche elettroniche fanno di Internet un media di gruppo. Il passaggio dal telefono a Internet ha favorito lo sviluppo di sistemi di comunicazione one-to-one verso sistemi di
comunicazione many-to-many. I nuovi strumenti di comunicazione adoperati dalle reti di computer sono grandi livellatori e riduttori delle gerarchie organizzative. Ogni utente ha, almeno in teoria, accesso a ogni altro utente e un’uguale possibilità di essere ascoltato. Aumentando il livello di conoscenza e riducendo le asimmetrie informative, si riducono le inefficienze del mercato. Questo ha una conseguenza importante: la riduzione delle inefficienze del mercato ha un impatto positivo sui prezzi di beni e servizi che si riducono grazie a un livello efficiente di incontro tra domanda e offerta. Economicamente questo impatta positivamente sui mercati che diventano maggiormente competitivi grazie all’aumento di trasparenza. 4.4.2 Flexible Mediating Technology
Internet è una tecnologia che fa da collegamento connettendo parti che sono indipendenti tra di loro o che vogliono esserlo. Con lo sviluppo di Internet le imprese si muovono oggi in un contesto di mercato sempre più competitivo in cui cambiano i modelli di relazione tra le imprese. Le modalità di interconnessione tra le imprese sono le stesse del mondo offline. Cambia l’approccio ai servizi in base a quelle che sono le caratteristiche di accesso e fruizione di prodotti e servizi su Internet. L’interconnessione può essere: – Business to business (B2B); – Business to consumer (B2C); – Consumer to consumer (C2C); – Consumer to business (C2B). Ogni tipo di interconnessione favorisce lo
sviluppo di un mercato e delle potenzialità di nuovi prodotti e servizi. Dall’interazione di ogni singola interconnessione si possono sviluppare delle catene del valore diverse tra di loro. Questo è un potenziale che le imprese che operano su Internet hanno sfruttato in maniera intelligente, creandosi degli spazi di crescita importanti. La crescita è avvenuta secondo due importanti direttrici. Da una parte attraverso un processo di integrazione verticale a monte o a valle della singola catena del valore. Dall’altra parte attraverso un attento sviluppo di un sistema di diversificazione, strutturata su processi più o meno conglomerati. L’allontanamento piò o meno marcato dal core business di origine ha permesso lo sviluppo di nuove forme di interconnessione e nuove opportunità di mercato. 4.4.3 Increasing Management Efficiency
L’uso di Internet come strumento di gestione migliora l’efficienza in molti settori economici causando ristrutturazioni di ampia portata nei processi aziendali. L’efficienza deriva specialmente dall’utilizzo di tecnologie web per gestire meglio la catena del valore del settore e la catena di distribuzione all’interno di Internet: in particolare le aziende possono pianificare con migliori risultati, condividere in modo migliore le informazioni all’interno della struttura, interagire meglio con fornitori e clienti. Il miglioramento della logistica e della gestione dei servizi influenzano la competitività del sistema. Un utilizzo migliore e ottimale dei servizi online favorisce l’integrazione tra gli operatori. L’efficientamento dei servizi su Internet riguarda soprattutto la capacità di determinati operatori di agire sulle interconnessioni, i nodi di scambio e le eventuali congestioni che influenzano
negativamente la percezione dell’efficacia dell’utilizzo di Internet.
4.5 internet content layer Il quinto e ultimo strato raggruppa tutti gli operatori che interagiscono direttamente con gli utenti di Internet. L’interazione diretta si esplica in un’offerta di servizi, beni e contenuti di tipo consumer.
Gli operatori di questo layer sono distinti in quattro principali categorie come di seguito riportate. – Content site – rappresentano gli operatori che offrono agli utenti contenuto di vario genere: • Siti di news – news tematiche, news locali, nazionali o internazionali • Intrattenimento – siti con contenuto multimediale (testo, foto, video) di intrattenimento; • Verticali – siti con contenuto tematico specializzato su un determinato argomento. – Content platform – Rappresenta gli
operatori che mettono a disposizione contenuto proprio o di terzi tramite gestito da piattaforme altamente tecnologiche: • Aggregatori; • Comparatori; • Piattaforme geo. – E-commerce – Rappresenta gli e-tailer che offrono prodotti e servizi venduti tramite Internet: – Physical Goods – negozi online che vendono prodotti fisici; – Services – e-shop che vendono servizi, es. Travel; – Digital Goods – e-tailer che vendono contenuti digitali come canzoni o video. – Online services – rappresenta gli operatori che offrono servizi online di vario genere: – Servizi di produttività; – Servizi di comunicazione; – Servizi di intrattenimento; – Servizi creativi.
A sua volta lo strato commerce si identifica attraverso tre principali caratteristiche
4.5.1 Transaction cost reducer I costi di transazione sono legati alla ricerca di venditori e compratori, alla ricerca d’informazioni sui prodotti, alla negoziazione, scrittura e monitoraggio contratti. Queste tipologie di costi di transazione sono declinati come costi di
information impactedness ovvero costi di “compressione informativa”. Con questa definizione si intendono i costi in cui le informazioni relative a una transazione non sono disponibili a tutte le parti in gioco e vengono pertanto sfruttate da una sola parte per un fine opportunistico. In questo modo i costi di transazione aumentano data l’incapacità del singolo di gestire questa dicotomia. Gli intermediari servono quindi a gestire flussi di informazione che, una volta canalizzati possono servire ai singoli utenti per delimitare i costi di compressione informativa. Bisogna però stare attenti che all’aumentare del numero di intermediari aumentano anche i costi di gestione e fruizione di servizi. Internet in questo ha avuto successo. Infatti la capacità di ridurre il numero di intermediari o la capacità di autoselezionare in rete quelli più efficaci ha fatto sì che, eliminando grossisti e dettaglianti dalla catena del valore, è
possibile ridurre il prezzo di vendita di servizi e prodotti. Questo succede perché la riduzione dei costi di transazione vale non solo per i produttori, ma anche per gli intermediari, perché se da una parte i costi di transazione si riducono, il valore minimo a cui tendono non è unico ma dipende dal tipo di transazione. L’attività degli intermediari non si delimita alla connessione tra domanda e offerta. Gli intermediari forniscono una varietà di servizi, che fanno sì che quando un consumatore esegue un acquisto, compra un pacchetto di servizi. I servizi maggiormente offerti ai clienti riguardano l’aiuto nella ricerca e valutazione dei prodotti, l’individuazione delle esigenze dell’utente e l’assunzione del rischio del consumatore, ottenuta concedendo all’acquirente di poter sostituire o vedere rimborsata la merce di cui non è soddisfatto. Gli intermediari però offrono servizi anche ai produttori come la diffusione di
informazioni relative ai prodotti, la fornitura di informazioni sui consumatori e l’assunzione del rischio commerciale. Internet quindi riduce i costi di transazione, in termini di tempo e denaro, grazie alla riduzione dei costi legati alla ricerca d’informazioni riguardanti il mercato e alla definizione degli accordi. Inoltre transazioni di routine che includono l’esecuzione di pagamenti, il tenerne traccia, il processamento e la comunicazione di informazioni finanziare, possono essere gestite in maniera meno costosa grazie all’utilizzo delle tecnologie Internet. 4.5.2 Supply of Creative Content Internet è innanzitutto una rete di conoscenze e informazioni e come tale è uno straordinario raccoglitore di contenuti. Internet permette la fruizione di contenuti
su richiesta con una logica “uno a molti”. Se da una parte non c’è limite alla capacità creative degli utenti, allo stesso modo questa quantità illimitata di contenuti può essere tracciata e archiviata, grazie alla possibilità d’immagazzinamento virtuale infinita. In una prima fase si è digitalizzato il contenuto cartaceo, attraverso processi di dematerializzazione delle informazioni. In una seconda fase, gli utenti sono passati da una modalità di utilizzo di Internet nella quale erano solo fruitori, a una modalità nella quale il loro ruolo si evolve in fruitoricreatori. Nella cosiddetta fase 2.0 gli utenti creano essi stessi i contenuti che poi riversano in rete. L’avvento del web 2.0 con gli user generated content ha visto l’esplosione del contenuto creato dagli utenti, non solo creato fuori da Internet e riversato poi in rete come può essere una foto o un video, ma anche creato direttamente online come le discussioni, i
blog, le recensioni, gli articoli. Questo sistema, come si è evoluto ha arricchito lo scenario competitivo e le opportunità di mercato, sia per gli operatori tradizionali, come per i nuovi. La digitalizzazione dei contenuti e il loro evolversi in maniera diversa dai contenuti tradizionali ha dato nuove opportunità di business alle organizzazioni che già operavano nel settore della produzione di contenuti multimediali, ma ha soprattutto permesso la nascita di una quantità enorme di nuove imprese nel settore. 4.5.3 Content Unbundling La web search ha cambiato la gestione del publishing e del marketing dei contenuti. Il vecchio detto in uso tra gli editori “Content is King” è stato rimpiazzato dalla nuova frase web 2.0 “The User is King”. Proprio come
iTunes permette ai compratori di musica di ottenere una singola canzone disaggregata dall’intero album, così anche Google permette a ogni ricercatore di identificare molto velocemente e scaricare articoli di ogni genere e da migliaia di fonti. Questa capacità di ottenere un singolo articolo, canzone o altro pezzo d’informazione ha delle ampie ripercussioni sia per gli utenti sia per il business: – Per gli utenti non è più necessario comprare o consumare più di quello che realmente vogliono; – Per i proprietari del contenuto, questo trend disaggregante è ovviamente da prendere in considerazione molto seriamente in quanto cannibalizza le vendite di giornali, libri e CD.
capitolo 5 La domanda di Internet nell’era digitale
In questo capitolo affronteremo l’analisi di Internet dal punto di vista della domanda. Generalmente gli studi sulla domanda di Internet si focalizzano sull’infrastruttura e sulla domanda di connessione a Internet. Utilizzando il nostro framework possiamo però cogliere che la domanda di Internet può invece essere analizzata da diversi punti di vista, ovvero possiamo individuare una domanda per ogni layer del nostro modello così da avere la domanda di infrastrutture, la domanda di connessione, la domanda di servizi IT legati a Internet, la domanda dei servizi di intermediazione e la domanda di contenuti e prodotti su Internet. In questo capitolo analizzeremo gli studi sulla
domanda aggregata dell’intera industria Internet facendo riferimento alle analisi sulla spesa realizzate dalle principali società di consulenza globali come McKinsey, BCG e IDC. Scenderemo poi nel dettaglio del framework di riferimento analizzando la domanda contestuale dei layer del modello. Inoltre porteremo l’attenzione anche sull’analisi delle domande che hanno portato alla definizione delle principali fasi di Internet, dalla sua nascita a oggi. 5.1 la domanda di internet vista come analisi della spesa 5.1.1 L’impatto di Internet sulla crescita e il processo di digitalizzazione dell’economia Il McKinsey Global Institute nel 2011 ha realizzato uno studio nel quale cercava di calcolare l’impatto di Internet sulle principali
economie globali. La metodologia utilizzata è quella della spesa ovvero, dopo aver individuato i settori dell’economia Internet, ne calcola la spesa intesa come: – Consumo privato – il consumo totale di beni e servizi da parte dei consumatori via Internet o che sono richiesti per avere accesso a Internet, include attrezzatura elettronica, il fatturato degli operatori di telecomunicazioni a banda larga sul mercato retail, il mercato di Internet mobile, il consumo di hardware e software, e il consumo di smartphone; – Spesa pubblica – questi includono le spese di Internet per il consumo e gli investimenti da parte del governo (software, hardware, servizi e telecomunicazioni) al pro-rata di Internet; – Investimenti privati – si tratta di investimenti del settore privato in tecnologie relative a Internet
(telecomunicazioni, extranet, intranet, siti web ecc.); – Bilancia dei pagamenti – comprende le esportazioni di beni, servizi, attrezzature e Internet, oltre a B2C e B2B e-commerce, da cui sono state detratte tutte le importazioni associate. Le attrezzature elettroniche sono calcolate a un pro-rata stimato per l’utilizzo dedicato a Internet, i beni e servizi venduti su Internet vengono completamente imputati, gli abbonamenti a Internet in banda larga e mobile sono presi al 100%. L’analisi economica di Internet si è focalizzata su tutte quelle attività che sono correlate alle reti Internet e ai servizi Internet. McKinsey adopera il seguente schema concettuale per organizzare l’economia Internet:
1. Attività web (web come supporto alle operazioni); 2. Telecomunicazione attraverso IP o correlate a Internet; 3. Software e servizi offerti, connessi con il web; 4. Produttori di hardware e fornitori di servizi di assistenza e manutenzione specifici per il web; Lo studio sul consumo e sulla spesa analizza il peso delle quattro attività principali rispetto all’utilizzo effettuato da parte di aziende, individui e governi cercando di identificare i benefici scaturiti dall’uso di Internet: – Attività web: servizi correlati a Internet (ad es. e-commerce, contenuti venduto online come video on demand); – Telecomunicazione correlata a Internet
(ad es. Broadband); – Software e servizi offerti, connessi con il web (ad es. consulenza IT o lo sviluppo di software custom); – Produttori di hardware e fornitori di servizi di assistenza e manutenzione, specifici per il web (per es. computer, smartphone, server ecc.). Tuttavia a oggi, non è più solo Internet a diffondersi velocemente; infatti, abbiamo individuato una serie di dati che sono in grado di spiegarci come cambia il modo in cui le persone accedono a Internet. Ogni anno le persone cambiano i loro comportamenti online e come interagiscono tra loro, ecco in elenco alcuni esempi: – Più della metà della popolazione mondiale usa uno smartphone; – Quasi due terzi della popolazione
mondiale possiede un telefono cellulare; – Più della metà del traffico Internet è generato da mobile; – Più di una persona su cinque della popolazione mondiale ha effettuato una volta al mese un acquisto online. Un altro dato interessante riguarda il tempo medio che le persone spendono sui canali s o c i a l : GlobalWebIndex sottolinea come l’utente medio spende mediamente al giorno 2 ore e 19 minuti usando piattaforme social. I numeri che riguardano i social media sono impressionanti, e lo sono ancor di più se pensiamo che l’accesso avvenga tramite dispositivi mobile: infatti oltre un terzo della popolazione mondiale accede da mobile a piattaforme social (2,5 miliardi di persone, numero che è aumentato del 30% nell’ultimo anno, ossia da gennaio 2016 a gennaio 2017). Circa l’8% della popolazione mondiale ha incominciato a usare dispositivi mobile
(smartphone, tablet ecc.) durante il 2016; questo significa che ogni 18 secondi un nuovo utente incomincia a usare un dispositivo mobile (Figura 5.1).
Questa breve prefazione serve a introdurre un discorso e un fenomeno più ampio che si sta sviluppando: la digital economy e più nel dettaglio il processo di digitalizzazione delle economie:
– La digital economy si può definire come l’insieme di attività economiche che deriva dai miliardi di connessioni online. Lo scheletro della digital economy sono le crescenti interconnessioni tra persone, organizzazioni e dispositivi che risulta da Internet, da tecnologie mobile e dall’Internet of things (IoT); – La digitalizzazione è quel processo che porta a trasformare in modo sostanziale l’economia e i principali settori. Si tratta di cambiamenti idonei a elaborare e rendere accessibili nuove opportunità, è un processo che coinvolge tutto l’ecosistema e coinvolge tutti i soggetti coinvolti. Sei sono i pilastri dell’evoluzione digitale, cioè gli ambiti tecnologici che abilitano la trasformazione digitale in ambito aziendale: – Automazione: la progressiva automazione
del lavoro ha portato velocità, efficienza e riduzione degli errori; – Informatizzazione: l’evoluzione dell’hardware e del software hanno introdotto e potenziato una nuova intelligenza nel governo dei processi; – Dematerializzazione: la dematerializzazione ha innescato il circolo virtuoso dell’informazione, inaugurando nuove logiche di integrazione e di condivisione tra i lavoratori; – Virtualizzazione: grazie a una programmazione software di nuova generazione, le risorse fisiche si trasformano in risorse logiche gestite da un unico cruscotto centralizzato; – Cloud Computing: spostare la gestione dell’Hardware e del Software sulla rete attraverso nuovi modelli di fruizione ed erogazione, ha inaugurato l’era dell’as a service, del pay per use e dell’on demand; – Mobile: i dispositivi mobili potenziano la
produttività individuale portando maggiore disponibilità e flessibilità nel mondo del lavoro. 5.1.2 Ricerca, innovazione ed economia: il peso dell’Internet economy Il Boston Consulting Group (BCG) nel 2016 ha realizzato uno studio che, sull’impronta della metodologia di “Internet per settori” realizzata dal McKinsey Global Institute, va a identificare i principali aspetti legati alla digitalizzazione dell’economia dei paesi e il ruolo e l’importanza di Internet da un punto di vista economico. Dallo studio emerge come tra i cardini essenziali che un paese deve considerare per imporsi come leader d’innovazione c’è l’adozione di un sistema equilibrato idoneo a combinare un adeguato livello di investimenti pubblico-privati, delle
partnership efficaci tra imprese e mondo accademico, una solida base di istruzione e soprattutto una ricerca di eccellenza. Gli effetti economici dell’innovazione derivanti da Internet devono infatti non essere solo fine a sé stessi in merito allo sviluppo tecnologico ma devono potersi tradurre in vendite ed esportazioni di prodotti innovativi, da un lato, e occupazione, dall’altro migliorando nel complesso il sistema economico e incrementando le performance. La Boston Consulting Group ha stimato intorno al 5,5% la quota di PIL nel 2016 prodotta nei paesi più sviluppati del G20 grazie alla Internet economy, con un picco del 12,4% in relazione al Regno Unito (Figura 5.2).
Questo ci fa comprendere sin da subito come Internet possa e debba essere considerato a livello globale un “settore” importante per economie mondiali; andando ad analizzare nello specifico i diversi paesi vedremo come l’impatto che Internet ha sul
singolo paese differisce e alcune volte anche di molto. L’Italia per esempio in queste previsioni si posiziona al di sotto della media UE, per una incidenza del 3,5%. Il ritardo dell’Italia rispetto ai paesi più sviluppati del G20, che si tramuta in un impatto economico ancora non molto elevato, è prevalentemente condizionato da un contesto ancora non favorevole alla crescita digitale. Il gap fra i paesi ci fa comprendere come Internet sia ancora in una fase evolutiva ma che vi siano tutti i presupposti che possa crescere e aumentare il proprio peso economico. La suddetta consapevolezza di una futura crescita scaturisce dal modo in cui il valore dell’Internet economy è cambiato a partire dal 2010 facendo registrare negli ultimi cinque anni effetti dirompenti in ogni campo; sono cresciuti in maniera esponenziale gli utilizzatori e, soprattutto
grazie alla diffusione degli smartphone e ad altri dispositivi mobili e alla popolarità dei social media, l’impatto moltiplicativo della rete è stato esponenziale. Nel 2016 sono infatti 3,7 miliardi gli utilizzatori di Internet, pari a quasi la metà della popolazione mondiale e quasi 5 miliardi gli utilizzatori di dispositivi mobile (Figura 5.3).
5.1.3 Il valore dell’industria Internet Secondo lo studio condotto nel 2016 da GSMA, “The Internet Value Chain”, la catena del valore totale di Internet crescerà del’11% ogni anno nei prossimi anni raggiungendo un valore di 5,8 trilioni di dollari nel 2020. Lo studio nello specifico esamina la struttura, i fattori economici e la performance finanziaria dell’economia globale di Internet e i suoi rispettivi segmenti. Intitolato “The Internet Value Chain” (La catena del valore di Internet), lo studio, realizzato da A.T. Kearney, esamina l’evoluzione dell’ecosistema Internet, l’impatto sugli operatori di reti mobili e il modo in cui sono cambiate le posizioni delle principali aziende sul mercato. La ricerca offre una base fattuale che gli operatori, i responsabili delle politiche e gli stakeholder possono utilizzare per valutare le
opportunità, le dinamiche competitive e in generale la salute dell’ecosistema Internet. Lo studio propone una variante del modello Internet fin qui analizzato, che tiene conto dell’evoluzione che Internet ha avuto negli ultimi anni, identificando cinque componenti e studiandone per ognuna le principali dinamiche. Più nel dettaglio, per calcolare il valore dell’economia globale di Internet, lo studio identifica cinque macroaree che compongono la catena del valore di Internet: – Segmento 1: diritti sui contenuti (content rights); – Segmento 2: servizi online (online services); – Segmento 3: abilitazione di tecnologie e servizi (enabling technology and services); – Segmento 4: connettività (connectivity); – Segmento 5: interfaccia utente (user interface).
Per ogni macro area è possibile identificare diversi sottosegmenti ognuno dei quali contribuisce all’identificazione dell’impatto economico di Internet (Figura 5.4).
Combinando tutte le aree e i sottosegmenti della catena del valore di Internet è possibile stimare il valore dell’industria Internet a livello mondiale e il contributo di ciascun segmento nella definizione del valore. Dal grafico è facile intuire come fra il 2008 e il 2015 il valore generato da Internet, inteso come settore, è quasi triplicato
passando da 1,2 trilioni di dollari a 3,4 trilioni di dollari con un CAGR per segmento del 16%. Ciò che emerge è il peso significativo della componente dei servizi online (47% del valore complessivo dell’industria Internet), spinto dalla penetrazione degli smartphone, dal consumo di media online e dalla crescita esponenziale dell’e-retail (B2C e B2B) Figura 5.6.
Lo studio condotto da GSMA prevede, in aggiunta, che il valore di Internet crescerà nei prossimi anni a un CAGR dell’11% con un valore totale della catena del valore che passerà da 3,5 trilioni di dollari a 5,8 trilioni di dollari entro il 2020. I servizi online continueranno ad aumentare il peso del valore totale trainato dal segmento e-retail che entro il 2020 avrà un valore di circa 2 trilioni di dollari a livello mondiale. L’analisi di Internet per segmenti condotta dalla GSMA può essere utilizzata come indicatore di performance delle aziende che operano nei diversi sottosegmenti. Più nel dettaglio è possibile confrontare il CAGR di ogni settore con il rendimento dell’indice S&P 500 per riflettere sulle prospettive future di crescita delle più grandi aziende Internet e sulla loro capacità di mantenere e migliorare la propria posizione sul mercato.
Rispetto all’indice di mercato, tutti i segmenti a eccezione della connettività, superando l’indice S&P 500 generando rendimenti medi annuali del 12% nel periodo 2009-2015. 5.2 consumer surplus Come abbiamo visto, l’impatto di Internet sull’economia è calcolato come la somma
delle sue principali componenti. Tale metodologia di calcolo valorizza quindi solo i prodotti e i servizi che le persone pagano e non è in grado pertanto di valorizzare i benefici non economici che provengono dall’uso di Internet. Milioni di persone ogni giorno eseguono ricerche, trovano informazioni, comunicano con amici, guardano video, il tutto online e senza un’immediata spesa per questi servizi dal momento che in gran parte vengono pagati dalla pubblicità. Inoltre, il prodotto interno lordo calcola solo i beni e servizi che le persone pagano e non riesce a catturare il valore ricevuto dai consumatori proveniente da miglioramenti economici dati a loro gratuitamente. Il PIL non riesce a tenere conto di cosa guadagnano gli utenti dallo scambiarsi messaggi su Facebook, dal trovare informazioni su Google o Wikipedia, non valorizza il tempo risparmiato dai guidatori che utilizzano
Google Maps o dai compratori che fanno acquisti online. Come ha affermato Hal Varian, capo economista di Google, “quasi tutti gli esseri umani sul pianeta possono accedere a tutta la conoscenza umana”, ciò non sarà impressionante come il salto tecnologico avvenuto negli ultimi sessant’anni che ha visto l’uomo passare da carri trainati a cavallo a shuttle spaziali, ma è certamente molto utile e di certo è quasi totalmente ignorato dalle nostre misure di progresso. Quindi, come misurare il contributo di Internet alle nostre vite? Un primo tentativo è arrivato da Austan Goolsbee della University of Chicago e Peter J. Klenow di Stanford nel 2006. Questi hanno stimato che il valore acquisito dai consumatori grazie a Internet sia pari a circa il 2% del loro reddito, un ordine di grandezza più grande di ciò che hanno speso per accedere a Internet. La loro metodologia di calcolo è stata basata non
soltanto sulla misurazione di quanti soldi hanno speso gli utenti per l’accesso, ma anche della quantità del loro tempo libero trascorso online. L’approccio ha un senso intuitivo: il valore relativo del tempo aumenta con lo sviluppo economico visto che i redditi dei lavoratori crescono mentre la loro allocazione del tempo rimane fissa. A marzo 2013 Yan Chen, Grace YoungJoo Jeon e Yong-Mi Kim dell’Università del Michigan hanno pubblicato il risultato di un esperimento che ha evidenziato che le persone che avevano accesso a un motore di ricerca impiegavano 15 minuti in meno a rispondere a una domanda rispetto a quelli senza accesso online. Hal Varian, ipotizzando una paga oraria media per lavoratore di 22 dollari e assumendo che le persone che possono dare risposta a più domande ne avrebbero poste di più, ha stimato che un motore di ricerca potrebbe valere annualmente circa 500
dollari per un lavoratore medio. Questo dato moltiplicato per la popolazione attiva americana, genera un valore annuale di 65 miliardi di dollari. Internet non è certo la prima tecnologia che offre ai consumatori beni gratuiti preziosi. Il prodotto interno lordo da sempre non riesce a catturare molte cose: dal costo dell’inquinamento e del traffico ai guadagni del lavoro domestico non retribuito. In particolare, manca quasi inevitabilmente alcuni vantaggi economici derivanti dalle nuove tecnologie. Il surplus del consumatore perso proveniente da Internet può non essere più grande del guadagno non misurato nella produzione, per esempio, di luce elettrica. Ma c’è un caso particolare che porta a prestare maggiore attenzione ai benefici non misurati di Internet. La quantità di tempo che gli utenti dedicano a Internet è raddoppiata negli ultimi cinque anni.
L’informazione, codificata in bit, è destinata a diventare una parte sempre più grande della nostra produzione economica e gran parte del suo valore sarà consegnato a ciascun consumatore ulteriore a un costo marginale quasi nullo. Come anticipato, la rapida diffusione di Internet ha portato, come conseguenza, le economie mondiali a doversi interfacciare con un processo di digitalizzazione trainato dalle crescenti interconnessioni tra persone, organizzazioni e dispositivi che risulta da Internet, da tecnologie mobile e dall’Internet of things (IoT). Parlare oggi di surplus per il consumatore generato da Internet richiede inevitabilmente il dover misurare il potenziale impatto che le nuove tecnologie, facendo leva sull’Internet economy, generano sulle economie mondiali e di come siano in grado di creare valore economico reale.
Il rapporto del McKinsey Global Institute, “The Internet of Things: Mapping the value beyond the hype”, pubblicato nel 2015, ha provato a determinare esattamente come l’Internet of things sia in grado di creare valore economico reale. Per avere una visione più ampia di potenziali benefici McKinsey ha analizzato più di 150 casi d’uso, che vanno da persone che utilizzano dispositivi per monitorare salute e benessere, fino a produttori che utilizzano sensori per ottimizzare la manutenzione delle attrezzature di lavoro e tutelare, quindi, la sicurezza dei lavoratori. Dall’analisi emerge che l’Internet delle cose (IoT) avrebbe un impatto economico complessivo potenziale, tenendo conto del surplus per il consumatore, che va dai 3.900 miliardi di dollari agli 11.100 miliardi di dollari (rispettivamente stima pessimistica e ottimistica) all’anno entro il 2025 tenendo conto del consumer surplus in 9 diversi
settori di applicazione.
Lo studio identifica quelle che sono le condizioni necessarie affinché l’IoT dispieghi il suo potenziale economico: –
L’interoperabilità
tra
i
sistemi
dell’Internet degli oggetti è un fattore fondamentale: del valore economico potenziale totale dell’IoT l’interoperabilità è richiesta nel 40% dei casi in media e quasi il 60% in alcune configurazioni; – Attualmente non tutti i dati dell’IoT vengono utilizzati. Ad esempio, su una piattaforma petrolifera che ha 30.000 sensori, solo l’1% dei dati viene esaminato. Questo perché l’informazione è usata principalmente per rilevare le anomalie e non per azioni di controllo, ottimizzazione e previsione che, invece, forniscono il massimo valore. – Applicazioni business-to-business probabilmente acquisiranno più valore, quasi il 70%, rispetto al comparto consumer, sebbene sia proprio questa dimensione, come i monitor per il fitness e automobili che si autoguidano, ad attirare maggiormente l’attenzione e sono comunque in grado di creare un valore
significativo; – L’IoT ha un grande potenziale nelle economie in via di sviluppo. Tuttavia, McKinsey stima che esso avrà un impatto complessivo maggiore su quelle avanzate ma, nonostante questa evidenza, le economie in sviluppo potrebbero generare quasi il 40% del valore dell’IoT; – Le persone potrebbero avere i migliori benefici. La ricerca stima che gli utenti dell’Internet degli oggetti (imprese, altre organizzazioni e consumatori) potrebbero ottenere il 90% del valore che generano applicazioni IoT. Ad esempio nel 2025 la telesorveglianza potrebbe creare 1,100 miliardi di dollari all’anno quantificati sulla base del valore tangibile per il miglioramento della salute dei pazienti di malattie croniche; – L’industria sta iniziando a evolvere attorno alle tecnologie IoT. Andando a creare un contesto in cui sia gli operatori
storici che i nuovi player avranno grandi possibilità. La digitalizzazione sfuma, infatti, i confini tra le aziende tecnologiche e gli altri tipi d’imprese: i produttori di macchinari industriali, per esempio, stanno creando nuovi modelli di business che utilizzano logiche di connettività IoT per offrire i loro prodotti come servizi. 5.3 la domanda di internet vista nei singoli layer 5.3.1 La domanda nell’Infrastructure Layer In questo layer la domanda è costituita dalla richiesta di infrastrutture necessarie per erogare connettività Internet. Si tratta dunque di una tipologia di domanda B2B che al momento tralasceremo di approfondire in quanto ci soffermeremo sugli aspetti più salienti dell’industria Internet legati al
mondo B2C. A tal proposito possiamo osservare la domanda di infrastrutture indirettamente, ovvero portando l’attenzione alla domanda di traffico dati, il quale necessita delle infrastrutture per poter essere servito. Il traffico dati gestito dalle infrastrutture Internet è in costante crescita, Cisco, il principale produttore mondiale di apparti di networking, afferma che stiamo entrando nella “Zettabyte Era”. 1 Zettabyte equivale a un triliardo di byte, dove un byte rappresenta l’unità di misura delle capacità di memoria ed è composto da 8 bit. 1GB, 1TB, 1PB, 1EB, 1ZB rappresentano unità di misura dell’informazione o della quantità di dati.
Nello specifico qual è la loro correlazione? – 1000 Megabyte —> 1GB (Gigabyte); – 1000 Gigabyte —> 1TB (Terabyte); – 1000 Terabyte —> 1PB (Petabyte); – 1000 Petabyte —> 1EB (Exabyte); – 1000 Exabyte —> 1ZB (Zettabyte).
Per comprendere la dimensione di 1ZB possiamo confrontarla con 1GB e dire che se un 1GB rappresenta il volume di 300 grammi di caffè, 1ZB equivarrebbe al volume totale dell’intera muraglia cinese (6300 chilometri di lunghezza, 12 metri di altezza e 10 metri di larghezza: 756.000.000 m3). Varie analisi prospettiche sono state fatte per cercare di immaginare come sarà Internet nel futuro, in funzione della comparazione con i dati rilevati dalla nascita di Internet. Sempre Cisco stima che a livello globale, il traffico Internet raggiungerà i 17 Gigabyte pro capite nel 2017, rispetto ai 7 Gigabyte pro capite nel 2013. Non molto tempo fa, nel 2008, il traffico Internet pro capite è stato di 1 Gigabyte al mese. Nel 2000, invece il traffico Internet pro capite era di 10 Megabyte al mese, quindi un incremento maggiore di 100 volte nel giro di 8 anni.
La figura 3.10 fornisce una visione dei punti di riferimento storici per il traffico Internet pro capite. Le previsioni del “Visual Networking Index” di Cisco stimano che il traffico globale annuale passerà la soglia Zettabyte e raggiungerà 2,3ZB all’anno entro il 2020. Come mostrato nella Figura 5.13 nella pagina seguente, il traffico IP è previsto che cresca dai 72,5 Exabyte al mese del 2015 fino a 194,4 Exabyte/mese nel 2020 (CAGR del
22%). L’aumento del traffico visto negli scorsi anni e quello previsto per gli anni a venire è principalmente dovuto al traffico di tipo consumer ovvero di utenti privati, mentre nelle prime fasi di vita di Internet il traffico era sostanzialmente imputabile alle utenze business. Dal 2003 il traffico consumer è maggiore del traffico business e aumenta in proporzioni maggiori. Un’altra interessante osservazione è la crescita del traffico dati effettuato da mobile il quale, secondo Cisco, sta crescendo a una media di 2,4 volte più veloce del traffico dati in banda larga fissa e per il 2015 è previsto a 6EB contro i 60EB del traffico Internet effettuato da linea fissa. Questo si tramuta in forti investimenti in infrastrutture che sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni.
5.3.2 La domanda nell’access layer La rapida crescita del traffico dati mobile è stato ampiamente riconosciuta e segnalata. La tendenza verso la mobilità si ripercuote anche sulle reti fisse, in quanto una parte aumentante di traffico avrà origine da dispositivi portatili o mobili. La Figura 5-14 mostra la crescita di Internet Wi-Fi e mobile rispetto al traffico da dispositivi cablati.
Entro il 2018, il traffico da dispositivi cablati rappresenterà il 39% del traffico IP, mentre il Wi-Fi e le reti mobili rappresentano 61% del traffico IP. Nel 2016, le reti cablate rappresentano la maggioranza del traffico IP al 47%, Wi-Fi ha rappresentato il 44% e le reti mobili o cellulari rappresentavano il 9% del totale del traffico IP globale.
La domanda di accesso a Internet è prevalentemente di tipo Consumer (58.539PB al mese nel 2015 contro i 13.982PB al mese degli utenti business) ed è prevista mantenersi tale nei prossimi anni. Per quanto riguarda le regioni, l’area Asia e Pacifico e Nord America sono quelle che consumano maggior traffico a oggi e nei prossimi anni. Secondo uno studio commissionato da Ericsson (Ericsson Mobility Report 2016), a fine 2016, il totale di abbonamenti cellulare ha raggiunto circa 7,5 miliardi e si prevede di raggiungere circa 9 miliardi entro la fine del 2022. Il numero di abbonamenti mobile a banda larga ha raggiunto 3,5 miliardi, e si prevede di raggiungere 8 miliardi nel 2022. Gli abbonamenti mobile per PC e tablet hanno subito un rallentamento nella crescita (CAGR 4%) e ci si aspetta che crescano dai circa 240 milioni del 2015 a 320 milioni entro il 2022. Il numero di abbonamenti fissi
voce PSTN continuerà la sua tendenza al ribasso in quanto gli utenti in numero sempre maggiore passano alla telefonia mobile e VoIP. Il numero di utenti a banda larga fissi è almeno tre volte il numero di connessioni fisse a banda larga, a causa di molteplici utilizzo nelle famiglie, imprese e luoghi di pubblico accesso. Ciò è l’opposto se si guarda agli smartphone, dove il numero di abbonamenti supera il numero di utenti. In quest’ultimi anni del periodo di previsione, è probabile che la tendenza all’uso per i PC portatili sarà simile a quello della banda larga fissa oggi, con più utenti per ogni abbonamento. Questo avverrà specialmente nei mercati in via di sviluppo, dove l’accesso mobile sarà la principale fonte di connessione a Internet.
5.3.3 La domanda nell’IT layer La domanda nel layer IT è costituita dalla domanda di Internet software e servi IT legati a Internet. Per cercare di dare un dimensionamento a questa domanda
possiamo prendere in considerazione il numero di siti web presenti attualmente, in quanto ognuno di essi ha bisogno di tecnologie e servizi per poter esistere e continuare a essere erogato. A fine 2016 si contavano più di 1,8 miliardi di domini registrati di cui 800 milioni creati tra il 2015 e il 2016. I siti attivi invece a fine 2016 erano oltre 170 milioni. Il dominio “.com” è il più utilizzato con più di 127 milioni di registrazioni, lo seguono il “.net” e il “.org” con rispettivamente 15 e 11 milioni di registrazioni.
Il numero di pagine web indicizzate a
giugno 2016 secondo WorldWideWebSize.com è invece di 24,2 miliardi pagine.
5.3.4 La domanda nell’Intermediary e
content layer Gli ultimi due layer che compongono il modello possono essere analizzati in modo aggregato, poiché costituiscono l’ecosistema web vero e proprio, e possiamo quindi definire la domanda come il numero di utenti che navigano in Internet siccome adoperano servizi e siti che ricadono in questi strati del modello. Gli utenti nel 2012 erano 2,49 miliardi, nel 2016 sono pari a 3,5 miliardi, con una penetrazione rispetto alla popolazione del globo pari al 46,1%. I numeri di utilizzo di Internet sono davvero impressionanti e crescono in maniera significativa.
Il numero di utilizzatori di Internet è quasi 3,5 miliardi nel 2016 ed è destinato ad aumentare. A gennaio 2017, 1,85 miliardi è il numero di utenti Facebook, di cui 1,3 miliardi attivi da cellulare. YouTube, il popolare sito di video online, ogni mese viene visitato da più di un miliardo di persone, e ogni minuto vengono caricate 100 ore di video. Tutti questi utenti e la loro attività su
Internet generano una quantità impressionante di informazione presente in rete: nel 2010 l’universo digitale ha infranto la barriera dello Zettabyte, nel 2011 è stimato che l’ammontare di informazioni create e replicate abbia sorpassato 1,8 Zettabyte (l’equivalente di 1,8 trilioni di Gigabyte, ben nove volte l’ammontare del 2006), nel 2013 l’ammontare delle informazioni create e replicate ha sorpassato i 4,4 Zettabyte e da qui al 2020 si prevede che l’universo digitale arrivi a misurare 44 trilioni di Gigabyte (IDC, 2014). Per avere un’idea della quantità di dati presenti online, basti pensare che 1.200 Exabyte (1,2 Zettabyte) raggiunti nel 2010 potrebbero essere contenuti in una pila di DVD che va dalla Terra alla Luna e torna indietro. La crescita impressionante dei contenuti è senz’altro permessa dalla forte decrescita del costo dello storage per immagazzinare i dati.
Nel 2009 sono stati spesi globalmente 4mila miliardi di dollari per hardware, software, servizi di rete e IT per la gestione dell’universo digitale. Questa spesa è prevista crescere di poco da qui al 2020, il che significa che il costo di gestione di ogni byte nell’universo digitale si abbasserà notevolmente spingendo ulteriormente la creazione di nuova informazione digitale.
L’informazione digitale nel 2010 è per più del 70% stata creata da utenti consumer, individui a casa, a lavoro o in movimento, circa 880 miliardi di Gigabyte. Allo stesso tempo, la maggior parte dei Gigabyte dell’universo digitale passa attraverso server, reti o router di aziende a un certo punto. Quando ciò accade, l’azienda è responsabile in quel momento della gestione del contenuto e di proteggere la
privacy e il copyright. L’IDC classifica il contenuto user generated per il quale le aziende sono responsabili come “enterprise touch” e circa due terzi di tutto il contenuto user generated ricade in questa categoria. In altri termini possiamo affermare che mentre l’enterprise generated content pesa per il 20% nell’universo digitale, le aziende sono responsabili per l’80%.
capitolo 6 L’offerta di Internet nell’era digitale
In questo capitolo affronteremo l’analisi di Internet dal punto di vista dell’offerta. Nella prima parte del capitolo ci focalizzeremo sulla struttura dell’offerta nei primi tre layer del nostro framework, infrastructure, access e IT, riprendendo uno studio McKinsey. Passeremo poi a rassegna i segmenti che compongono la catena del valore di Internet, riprendendo lo studio condotto dalla GSMA che propone una variante del modello fin qui analizzato studiandone per ognuno le principali dinamiche. 6.1 analisi della fornitura di internet
Lo studio McKinsey analizza il peso e l’importanza di un paese nell’ecosistema mondiale della fornitura per Internet rispetto alle seguenti attività: – Telecomunicazione (ad es. ISP – Internet Service Provider); – Software e servizi offerti, connessi con il web (ad es. consulenza IT o lo sviluppo di software custom); – Produttori di hardware e fornitori di servizi di assistenza e manutenzione specifici per il web (per es. computer, smartphone, server ecc.). Si focalizza sulle industrie che hanno costruito e reso fruibile Internet nel mondo. L’analisi mostra come in termini di PIL prodotto (rispetto alla sede principale dell’azienda) il peso, nell’ecosistema di fornitura di Internet, degli Stati Uniti
d’America sia estremamente marcato e solo il Giappone riesca a raggiungere la metà degli USA. Altri due parametri da valutare sempre rispetto all’ecosistema di fornitura per Internet sono: – La crescita stimata delle aziende operanti nei diversi paesi (India seguita dalla Cina hanno il maggior parametro di crescita anche dovuto alle loro economie in forte evoluzione); – La preparazione per il futuro, cioè il numero di brevetti relativi a Internet presentati, la ricerca e sviluppo effettuata (qui la Svezia e il Giappone seguiti dagli USA rappresentano le prime tre nazioni che hanno programmato il proprio futuro rispetto ai parametri definiti).
L’analisi si focalizza anche su aspetti più profondi di un paese rispetto ai seguenti indici di sistema: – Capitale umano: rappresentato l’insieme dei ricercatori, dottorandi, dottorati, personale adibito a R&D, collaboratori universitari, ingegneri e scienziati; – Financial Capital: rappresentato dal valore degli investimenti di venture capital e al numero di accordi firmati dalle venture capital insieme alla facilità con la quale si riesca a ottenere un finanziamento sia da un VC sia da un private equiter; – Infrastrutture: approvvigionamento di prodotti con elevata tecnologia, qualità delle infrastrutture, della fornitura di elettricità e della sicurezza dei server Internet; – Business Environment: tempo speso per far nascere un nuovo business, aggravio dato da regolamentazioni governative,
protezione delle proprietà intellettuali, capacità di innovazione, irregolarità dei pagamenti ecc. Riprendendo lo studio per indici di sistema condotto da McKinsey e utilizzando come parametri di riferimento i principali indici per sistema realizzati dalle più importanti organizzazioni mondiali è possibile fare alcune considerazioni. 6.1.1 Capitale umano (Human Capital Index 2016) “The Human Capital Report 2016” fornisce una chiara rappresentazione del capitale umano per paese attraverso un indice (Human Capital Index) che, considerando l’insieme dei ricercatori, dottorandi, dottorati, personale adibito a R&D, collaboratori universitari, ingegneri e scienziati, permette di stilare un ranking
globale basato sul sistema impresauniversità considerando 28 paesi al mondo. In particolare rispetto a questo indice, ponderato su 28 paesi, la Finlandia, con un sistema impresa-università ben strutturato ottiene il miglior punteggio. Altro fattore che porta a un punteggio elevato per la Finlandia è il numero di talenti e di persone che vengono preparate in modo idoneo al mondo del lavoro. Anche la Norvegia con il suo programma di investimento sul capitale umano ottiene un buon punteggio, mentre l’Italia si colloca al ventottesimo posto.
6.1.2 Financial Capital Come enunciato nel paragrafo precedente, il sistema impresa-università rappresenta il miglior connubio se a esso è associato un sistema di investimenti privati/pubblici che apportino capitale in quei settori, come la ricerca e/o lo sviluppo di startup utili per la creazione di un ambiente profittevole in termini economici e di sviluppo. In questo ambito rientra l’indice che misura l’attrattività dei paesi per gli
investitori in capitale di rischio, venture capital e private equity. Nello specifico, l’indice che andremo a considerare, “The Venture Capital and Private Equity Country Attractiveness Index”, tiene conto di sei “driver” chiave per misurare l’attrattività di ciascun paese: – Attività economica; – Dimensione e diffusione del mercato dei capitali; – Tassazione; – Investor Protection & Corporate Governance; – Ambiente umano e sociale; – Cultura imprenditoriale e opportunità d’investimento.
Anche in questa sede andremo a considerare i 28 paesi precedentemente analizzati. In questo ambito, gli Stati Uniti d’America hanno lo scoring più elevato. 6.1.3 Infrastructure Questo indice si focalizza sugli investimenti in infrastrutture Internet e la valutazione della loro qualità (in termini ad esempio di servizi come la fornitura di energia elettrica).
Le infrastrutture rappresentano la spina dorsale dell’ecosistema di Internet poiché senza una struttura efficiente lo stesso sistema non potrebbe sorreggersi. In questo caso quasi la totalità delle economie mature hanno investito in modo preminente nella costruzione di una infrastruttura solida ed efficiente. Per questa analisi abbiamo considerato il “Global Connectivity Index GCI” del 2017, che tiene conto degli investimenti in infrastrutture Internet per ciascun paese classificandoli in “Frontunners”, “Adopters” e “Starters” a seconda del punteggio.
6.1.4 Business Environment La creazione di un ambiente orientato al business, all’aggregazione fra eccellenze universitarie, mondo del lavoro e investitori, attraverso anche il contributo del governo nella semplificazione delle regole, può favorire la nascita di uno o più ambienti di business, propulsori della nascita di nuove aziende. L’opera dei governi attraverso la deregolamentazione, la creazione di un contesto legale e la detassazione o tassazione
favorevole per alcune industrie possono dare quella spinta alla nascita di un ambiente pronto per essere colonizzato da nuove startup e aziende consolidate.
6.2 economia digitale e catena del valore di internet Come visto nel precedente capitolo, lo studio condotto da GSMA, “The Internet Value Chain”, nello specifico esamina la struttura, i fattori economici e la performance finanziaria dell’economia globale di Internet
e i suoi rispettivi segmenti. Intitolato “The Internet Value Chain” (La catena del valore di Internet), lo studio realizzato da A.T. Kearney per il GSMA esamina l’evoluzione dell’ecosistema Internet, l’impatto sugli operatori di reti mobili e il modo in cui sono cambiate le posizioni delle principali aziende sul mercato. La ricerca offre una base fattuale che gli operatori, i responsabili delle politiche e gli stakeholder possono utilizzare per valutare le opportunità, le dinamiche competitive e in generale la salute dell’ecosistema Internet. Lo studio propone una variante del modello Internet fin qui analizzato, che tiene conto dell’evoluzione che Internet ha avuto negli ultimi anni, identificando 5 componenti e studiandone per ognuno le principali dinamiche. Più nel dettaglio lo studio identifica cinque macro aree che compongono la catena del valore di Internet:
– Diritti sui contenuti (content rights); – Servizi online (online services); – Abilitazione di tecnologie e servizi (enabling technology and services); – Connettività (connectivity); – Interfaccia utente (user interface). Per ogni macro area è possibile identificare diversi sotto segmenti ognuno dei quali contribuisce all’identificazione di un comparto economico (Figura 6.5).
È importante evidenziare che la catena di valore così proposta combina B2C e B2B. La ragione di questo è la crescente sovrapposizione tra B2C e B2B nei servizi online (online service); Ad esempio reti social come LinkedIn, servizi e-retail come Amazon e piattaforme di comunicazione come Skype (per citarne alcuni) servono attivamente sia il mercato B2C che quello B2B. Di seguito viene proposto il modello di business utilizzato da Amazon che conferma quanto detto.
6.2.1 Diritti sui contenuti (Content Rights) I diritti sui contenuti riguardano le società che possiedono, e nella maggior parte dei casi vendono ad altri, diritti di vario tipo su contenuti per favorirne la diffusione e distribuzione via Internet. È importante notare che ciò non riguarda la creazione effettiva o la produzione del contenuto ciò che è collegato a Internet è infatti la vendita
dei “diritti di Internet”. Internet sta cambiando la natura dei contenuti. Se infatti storicamente i contenuti venivano prodotti da aziende professionali o pool limitati di talenti, oggi, nell’era digitale, il concetto di contenuto è profondamente cambiato e democratizzato dando possibilità a chiunque non solo di attrarre pubblico ma anche di monetizzare i propri contenuti musicali, contenuti video ecc. Internet e la sua natura “globale” hanno permesso di supportare l’economia a “lungo raggio” per cui un numero relativamente ridotto di lettori geograficamente dislocati, di spettatori o di ascoltatori di interesse comune può ora essere aggregato per formare un pubblico considerevole. All’interno del segmento diritti sui contenuti (content rights) è possibile identificare due diverse categorie (Figura 6.7):
– Premium rights; – Made for digital.
6.2.1.1 Premium Rights
Questa categoria comprende contenuti video, audio, notizie e giochi, distribuiti tramite canali Internet e non Internet (ad esempio digitale terrestre o Pay TV) che vengono messi a disposizione dell’utente finale tramite diversi modelli commerciali (tra cui, tra gli altri, abbonamenti utente o emittenti finanziate da pubblicità). In questa categoria rientrano anche contenuti non di intrattenimento come i servizi di informazione per i clienti B2B. Un esempio di contenuto premium rights è Vivendi SA, una società francese attiva nel campo dei media e delle comunicazioni. 6.2.1.2 Made for Digital Questo segmento riguarda contenuti che vengono prodotti principalmente per la distribuzione via Internet. È un segmento che spazia dal contenuto amatoriale generato
dagli utenti a contenuti professionali. Tipicamente, ma non esclusivamente, questi sono video di breve durata per mercati di nicchia o su temi di interesse speciale, distribuiti su piattaforme online come YouTube o Vimeo. Un esempio di contenuto made for digital è BuzzFeed, un sito web d’informazione che distribuisce articoli attinti dalla rete Internet. Sfruttando la tecnologia web feed, il sito raccoglie notizie dalla rete, come titoli di giornali online, articoli dai blog, video blog e podcast. Nel contesto della catena del valore di Internet, secondo lo studio GSMA il valore dei diritti di contenuto è relativamente piccolo, circa 64 miliardi di dollari, rappresentando solo il 2% dell’intera catena e quasi tutti provenienti dalla categoria dei premium rights. È da evidenziare come negli ultimi anni si è assistito a un’esplosione di contenuti video
semiprofessionali o professionali grazie a canali di trasmissione come YouTube, che ospita al suo intero un ecosistema di reti video made for digital come Maker Studios, di proprietà di Disney, e AT&T, Cherninown Fullscreen, che nel 2014 hanno rappresentato insieme il 12% delle visualizzazioni di video su YouTube. I più grandi artisti di queste reti sono diventati professionisti, generando notevoli ricavi.
6.2.2 Servizi online Il segmento dei servizi online (online service), è un segmento diversificato che copre la gamma di servizi rivolti al consumatore e business forniti su Internet tramite browser o piattaforme di applicazione. Esso comprende gran parte di ciò che la maggior parte dei consumatori probabilmente percepisce come l’attuale Internet. Dal 2010 a oggi il segmento dei
sevizi online è stato completamento stravolto con un ampliamento della gamma di categorie di servizi online inclusi nella catena del valore di Internet per riflettere l’ampiezza crescente dei servizi disponibili. È possibile raggruppare i servizi relativi al segmento online in cinque macro-categorie: – E-commerce; – Entertainment; – Search, Information and Reference Service; – Social, Community and Communication; – Cloud and Other E-service. 6.2.2.1 E-commerce All’interno della categoria e-commerce è possibile identificare il segmento e-retail e il segmento e-travel, ognuno dei quali contribuisce all’identificazione di un
comparto economico.
6.2.2.1.1 E-retail L’e-retail include tutte le aziende che vendono beni e servizi online, sia ai
consumatori B2C che alle imprese B2B. È incluso qualsiasi servizio in cui è possibile effettuare una transazione di vendita online, anche se il pagamento o l’adempimento si svolge offline. Insieme a noti e-retail come aziende del calibro di Amazon e eBay, questa categoria include anche servizi di acquisto social come Groupon o Meituan. Sono inclusi in questa categoria anche piattaforme di scambi commerciali B2B. 6.2.2.1.2 E-travel Questa categoria include servizi di prenotazione online e agenzie di viaggio (ad esempio, Expedia, siti web delle compagnie aeree e App di viaggio), nonché nuovi servizi di corsa online o ride-sharing come Uber, Didi e Lyft e altri siti di sharing economy (concetto che approfondiremo più avanti)
come Airbnb. Per entrambi i segmenti di eretail e di e-travel, i beni e servizi effettivamente acquistati sono molto più “reali” rispetto ai servizi online, il che sta a significare che senza Internet gli acquisti si sarebbero verificati ma attraverso un canale diverso. Per giustificare questo, nel dimensionamento e nella valorizzazione di questi segmenti, si tiene conto solo del margine guadagnato sulle transazioni da parte delle piattaforme e non del valore lordo delle transazioni effettuate tramite Internet. 6.2.2.2 Entertainment La maggior parte dei servizi a cui ha accesso l’utente finale tramite Internet sono legati al mondo dell’intrattenimento, in molti casi viene messo a disposizione un nuovo e potenziato canale di distribuzione per servizi che altrimenti sarebbero stati gestiti offline.
Ad esempio, i servizi forniti tramite Internet consentono di avere accesso immediato a una più ampia scelta di servizi video, musica e giochi, rispetto a quanto era disponibile in precedenza. All’interno della categoria “entertainment” è possibile identificare cinque sottocategorie ognuna delle quali contribuisce all’identificazione di un comparto economico: – Publishing; – Gaming; – Gambling; – Video; – Music. 6.2.2.2.1 Publishing Molto più di un nuovo modo di distribuire testi scritti, in molti casi i servizi di
pubblicazione online offrono una ricca esperienza di contenuti multimediali, con video incorporati, collegamenti a materiali di supporto e altre caratteristiche preziose. L’esplosione dell’utilizzo di Internet negli ultimi dieci anni, ha comportato una crescita enorme della pubblicità online. Dato che le persone trascorrono più tempo con contenuti online, è naturale che gli investimenti pubblicitari si spostino anch’essi online. Per prendere tali investimenti pubblicitari e aumentare così il proprio guadagno, in particolare dopo la “Bolla Dot-com” scoppiata nel 2001-2002, molti editori hanno ridisegnato le loro pagine aggiungendo quanto più inventario possibile. Come la recessione addentò la spesa pubblicitaria, il nuovo media Internet attirò i marketing manager principalmente grazie a due cose: prezzi bassi rispetto alla stampa e la televisione, e la misurabilità, in forma di compensazione basata sui click (cioè il
pagamento è reso all’editore solo se la pubblicità è stato cliccata da un utente). Ciò ha portato gli editori online ad affollare i loro siti con il maggior inventario pubblicitario possibile. Se un annuncio è pagato solo se cliccato, ciò comporta che sia gli editori che i loro clienti, non siano interessati che l’annuncio sia effettivamente visto o meno, soprattutto in ragione del fatto che una impressione pubblicitaria servita all’utente ha un costo irrisorio. Per la tipologia di pubblicità diretta, che necessita di rapide vendite mirate a specifici consumatori che rispondono a un’offerta immediata, questo meccanismo risulta perfetto. La principale metrica utilizzata in questo ambito è la curva dei rendimenti, in altre parole il costo della campagna pubblicitaria diviso per le vendite generate, mentre il CTR (Click Trough Rate) dell’inserzione online, ovvero quante volte l’annuncio viene cliccato diviso il numero di
volte in cui l’annuncio è stato servito, non è così rilevante ed è accettabile che sia anche molto basso. Per la pubblicità di tipo branding invece, tali meccanismi possono anche essere negativi, in quanto molti brand advertiser sono interessati a mantenere il prezzo premium dei loro servizi e prodotti e quindi cercano di mantenere l’affinità emotiva dei consumatori nei confronti dei loro marchi. A fronte di tali obiettivi, molte delle tecniche di pubblicità online sono ostili e dunque il brand adveritser si orienta verso i formati pubblicitari premium degli editori che generalmente vengono pagati a CPM, cioè un tot ogni mille impressioni servite. Ma c’è un rischio legato a ciò, costituito dal fatto che l’utente abbia realmente visto o meno la pubblicità. Questo appunto dipende dal sovraffollamento di inventario pubblicitario che vi è sulle pagine online. Generalmente a un alto rischio corrisponde un prezzo
minore, ecco quindi uno dei motivi per i quali la pubblicità premium su Internet ha ancora prezzi bassi se confrontati con altri media. Più di 200 anni fa, Adam Smith scrisse: “Il prezzo è regolato dalla proporzione tra la quantità portata sul mercato e la domanda di coloro che sono disposti a pagare”. Sebbene tutte le nuove metriche introdotte con l’avvento dei media digitali dalla metà degli anni Novanta, il principio di Smith rimane ancora intatto. In Figura 6-11, l’intersezione della curva di domanda inclinata verso il basso con la curva di offerta inclinata verso l’alto rappresenta il prezzo di equilibrio in cui, in un libero mercato, tutte le forniture disponibili si venderebbero. Nel mercato degli annunci online, questo prezzo è il CPM medio, o costo per mille impressioni.
Dato questo classico paradigma economico, con il crescere della domanda e il conseguente arrivo sul mercato pubblicitario online di budget maggiori, si dovrebbe vedere un incremento del CPM. In realtà ciò avviene in maniera più moderata di quanto ci si possa aspettare. Questo in gran parte dipende dalla considerazione che la legge economica illustrata nella Figura 6.12
assume implicitamente che l’offerta a un dato prezzo sia limitata, e che il costo di un’unità addizionale diventi maggiore all’espandersi dell’offerta totale. Un buon esempio di questo fenomeno è il mercato del petrolio. Per offrire più quantità, è richiesta un’offerta supplementare. I nuovi pozzi sono più costosi da sfruttare perché le compagnie petrolifere hanno presumibilmente esaurito tutti i pozzi che possono essere lavorati a un costo inferiore. Così, essi possono ad esempio avere a che fare con le perforazioni in mare, più costose rispetto alle perforazioni terrestri. Nei nuovi mercati del publishing online, però, l’economia della produzione industriale non aderisce, almeno non perfettamente. Nei media digitali, il costo marginale di aggiungere un nuovo spazio pubblicitario è molto basso, e ha registrato un andamento calante da anni, in quanto i costi di elaborazione dei computer e di stoccaggio dei dati sono crollati. L’aggiunta
di nuove pagine in una rivista cartacea comporta nuovi costi di materiale, produzione e distribuzione; generare invece nuove pagine con conseguenti nuovi spazi pubblicitari sull’online ha un costo molto marginale. In tal caso, l’offerta potrebbe essere infinita finché il prezzo supera il costo marginale per unità. In questo caso un aumento della domanda, implica uno spostamento della curva di domanda verso destra, ma non aumenta il prezzo, cioè il prezzo rimane costante a qualsiasi livello della domanda, e nonostante gli sforzi per stimolare la domanda non si crea lo squilibrio dell’offerta che comporta l’aumento dei prezzi associato.
Per aumentare dunque il prezzo dell’inventory digitale bisogna dunque creare scarsità sul lato dell’offerta. Ma questo non sta avvenendo in termini di inventario disponibile. Piuttosto si sta spostando l’attenzione sull’audience, andando a creare scarsità su di essa con due principali metodologie: creazione di contenuto verticale e tecnologie di targeting. I siti web
con contenuto verticale, come ad esempio siti di automobilismo, hanno generalmente CPM più alti rispetto a siti generalisti. Questo avviene perché l’audience interessata alle auto è limitata e non infinita e dunque vi è un contesto di scarsità. Con il miglioramento delle tecnologie di targeting è possibile invece per l’inserzionista, andare a colpire un target di consumatore molto specifico (età, geografia di residenza, istruzione, interessi ecc.). Restringere il target audience è dunque un metodo per creare scarsità e far alzare i prezzi dell’inventario pubblicitario. 6.2.2.2.2 Gaming Questa categoria include videogiochi basati su piattaforme Internet (ad esempio, Xbox Live), giochi online social (come Candy Crush o PokemonGo) e giochi online
“massicciamente multiplayer” (ad esempio World of Warcraft) che utilizzano Internet per connettere migliaia di utenti in tutto il mondo contemporaneamente in un singolo gioco. La rilevanza di questo comparto economico può essere misurata analizzando la classifica dei giorni impiegati dai giochi online per raggiungere 10 milioni di download (Figura 6.13).
6.2.2.2.3 Gambling
Il gioco d’azzardo online è un segmento che continua a crescere, nonostante le restrizioni in alcuni paesi. Oltre a un nuovo canale per i bookmakers tradizionali, Internet ha aperto la strada a una nuova forma di gioco d’azzardo basato sul “betting exchange” che consente all’utente di poter “bancare” altri utenti. Betfair è un esempio di tale piattaforma. 6.2.2.2.4 Video Questi servizi sono essenzialmente piattaforme per ospitare e distribuire contenuti video, anche se molti player stanno investendo per generare i propri contenuti, in particolare Netflix (con House of Cards) e YouTube (che sta finanziando nuovi canali per sviluppare contenuti originali prima di spingerli). Inoltre, questa categoria include la vendita e il noleggio di
contenuti video digitali.
6.2.2.2.5 Music Ciò che è iniziato come settore pirata di condivisione di file tramite piattaforme come Napster è ormai maturato al punto che in molti mercati sono disponibili diversi servizi legali di download e streaming. C’è una tendenza crescente verso i servizi di streaming, piuttosto che “acquistare e
scaricare”, dovuta almeno in parte all’aumentata disponibilità di accesso a Internet e alla migliore affidabilità e qualità delle connessioni. I servizi legati al mondo dell’intrattenimento, secondo GSMA, sono tutti cresciuti in maniera costante negli ultimi sette anni per un valore complessivo di circa 207 miliardi di dollari nel 2015. Tuttavia, il tasso di crescita dei ricavi relativo al cluster intrattenimento è stato pari al 10% annuo. Da un lato, il comparto gaming e publishing hanno registrato una forte crescita del 32% e del 27% annuo rispettivamente. Le piattaforme di gaming tradizionali, come PlayStation e Xbox, sono riusciti a convertire e monetizzare le proprie basi clienti offline alle funzionalità online, come la capacità di competere con gli amici o in grandi giochi multiplayer. Allo stesso modo, le piattaforme di publishing, con la
crescita del mercato dei libri elettronici e delle pubblicità. I servizi di video e musica, invece, nonostante le grandi e crescenti basi utenti dei player noti, non sono stati in grado di sfruttare l’online allo stesso modo. Il video rappresenta solo una piccola parte della catena di valore Internet (25 miliardi di dollari, o 1,5% dei servizi online e solo lo 0,7% o dell’economia totale di Internet). La monetizzazione dei servizi basati su pubblicità come YouTube è ancora in fase embrionale. I ricavi pubblicitari previsti da YouTube nel 2014 sono stati 4 miliardi di dollari, ma questo è su una base di utenti attiva di più di un miliardo di persone che guardano circa 75+ miliardi di ore di contenuto.
6.2.3 Search and information Uno dei più grandi vantaggi che Internet ha portato alla società nel suo complesso è stato quello di fornire una vasta gamma di informazioni prontamente disponibili a una grande percentuale della popolazione mondiale attraverso servizi di ricerca.
6.2.3.1 Search services Questo comparto comprende i motori di ricerca globali (come Google e Bing) e quelli locali (come Baidu e Yandex), che sono spesso il primo punto di partenza per trovare le informazioni o uno specifico servizio online da un utente. Questi servizi sono quasi interamente finanziati da pubblicità per fornire uno strumento informativo pubblico a disposizione degli utenti. Si stima che i ricavi da ricerca Internet in tutto il mondo siano di circa 88 miliardi di dollari nel 2015 e che probabilmente continueranno ad aumentare a circa il 14 per cento all’anno entro il 2020, determinati dalla crescita degli utenti e dall’interesse continuo degli inserzionisti. In aggiunta, Internet ha generato una miriade di servizi di informazione online e di riferimento, tra cui per esempio Google Maps e Wikipedia, due dei più utilizzati.
Queste sono una combinazione di servizi pubblici (generalmente pubblicitari) e collaborazioni online che si finanziano tramite ricavi pubblicitari, donazioni o fondi volontari. Le tecnologie legate alla ricerca online esistono da circa vent’anni e in questo lasso di tempo hanno cambiato profondamente le nostre abitudini sia in ambito personale che in ambito lavorativo. Le search platform sono piattaforme multisided nate dalla metaplatform Internet e hanno assunto un ruolo fondamentale nel panorama dell’economia Internet. Google, la piattaforma di ricerca globale, ha sfruttato a pieno le condizioni multisided del mercato, raggiungendo prima delle altre piattaforme le economie di scala che le hanno permesso di conquistare una posizione di assoluta dominanza del mercato. Dunque, per via del ruolo fondamentale della ricerca online, di seguito cercheremo di analizzare i principali
aspetti dell’economia della search, facendo riferimento ai principali studi presenti nella letteratura economica. 6.2.3.2 La dimensione della search Secondo lo studio McKinsey (“The Impact of Internet Technologies: Search”, 2011), più di 1.000 miliardi di URL (indirizzi web) sono stati indicizzati da Google nel corso del 2010. Circa il 90% degli utenti Internet globali utilizzano i motori di ricerca, e la ricerca rappresenta il 10% del tempo speso online dagli utenti per un totale di 4 ore al mese. Le ore sono 5 a settimana invece per i lavoratori della conoscenza che lavorano in aziende. Le persone utilizzano la ricerca in tutti gli aspetti della loro vita. Guardando al passato possiamo affermare che era inevitabile che la ricerca diventasse un fenomeno di così tale entità: in primo luogo è divenuto sempre più
facile ed economico catturare, conservare e digitalizzare le informazioni; secondo, la crescita esplosiva di utenti e utilizzo ha portato a una massiccia creazione di contenuto; e terzo, l’efficienza delle transazioni online e dello scambio di informazioni e contenuti, ha attirato commercio e business su Internet. 6.2.3.3 Cosa è la search Che accade effettivamente all’interno di un motore di ricerca? I motori di ricerca sono come delle scatole nere che ci permettono di vedere ciò che entra dentro e ciò che ne esce, ma nient’altro sappiamo del loro interno e di come funzionano. È opinione comune che al centro di un motore di ricerca vi sia un algoritmo che si basa su una varietà di input e regole
decisionali per la produzione di un output. L’ingresso è la parola o la frase digitata dall’utente. L’uscita è quello che l’utente vede sullo schermo, che di solito è costituito da tre tipi di risultati: – Un elenco ordinato di risultati “naturali” sotto forma di collegamenti ipertestuali e di un breve testo; – Un elenco di annunci (anche chiamati “link sponsorizzati”); – I risultati che comprendono collegamenti ad altri prodotti e servizi forniti dal motore di ricerca o dai suoi partner (ad esempio mappe, video ecc.). La prima cosa da capire su ciò che sta accadendo all’interno di un motore di ricerca è che questi tre diversi tipi di risultati non vengono generati dallo stesso algoritmo. Al contrario, ciascuno dei diversi tipi di risultati
è generato da un algoritmo distinto progettato per scopi molto diversi, che per semplicità di trattazione possono essere identificati come: – Un algoritmo di ricerca; – Un algoritmo di pubblicità della ricerca. Un “algoritmo di ricerca” non è neutrale, ma è destinato a produrre risultati di ricerca naturali, che rappresentano la migliore risposta a ciò che l’utente sta cercando. E come avviene per tutti gli algoritmi, i risultati naturali migliori sono definiti da un insieme di regole di decisione che sono esogeni all’algoritmo. L’obiettivo, quindi, è di trovare il miglior risultato, che, attenzione, non significa trovare il risultato più ovvio, dal momento che qualsiasi motore di ricerca può trovare facilmente i risultati più ovvi. Se si digita
“Fiat” in un motore di ricerca, il primo risultato che ci si aspetta di vedere è un link alla home page della Fiat. Tuttavia, l’aspetto davvero intelligente dei motori di ricerca è che possono trovare i risultati che sono molto meno frequentemente ricercati. Questo è spesso conosciuto come la “coda lunga”, long tail. La coda lunga non è facile da catturare. Essa richiede non solo un gran numero di utenti che cercano un gran numero di cose, ma anche aggiornamenti costanti per l’algoritmo di ricerca. Gli algoritmi di ricerca di Google usano centinaia di segnali diversi per estrapolare i primi risultati per una ricerca fatta sul loro motore. Questi segnali vanno da elementi semplici, come le parole presenti su una pagina web, a elementi più complessi come l’autorevolezza degli altri siti che puntano con collegamenti ipertestuali a ogni pagina del web. Queste indicazioni meccaniche combinate con i dati storici, così come
tentativi e sbagli, sono i driver principali di come i motori di ricerca cercano di trovare il risultato migliore. Il secondo algoritmo, di pubblicità della ricerca, determina quale annuncio pubblicitario di quale inserzionista e a quale prezzo deve uscire associato a ogni ricerca effettuata sul motore. Tale algoritmo prende in considerazione dati in input come il prezzo che è disposto a spendere l’inserzionista perché il suo annuncio venga cliccato (CPC, “cost per click”), il Click Trough Rate (CTR) storico dell’annuncio, cioè in media quanto viene cliccato l’annuncio, la qualità dell’annuncio e del sito al quale è collegato, e ad altri fattori. 6.2.3.4 Come la search crea valore La maggior parte della letteratura fino a oggi ha preso in esame e quantificato solo tre
modi in cui la ricerca crea valore: risparmiare tempo, aumentare la trasparenza dei prezzi e aumentare la consapevolezza. McKinsey risulta in tal ambito più analitico individuando nove aree: – Migliore corrispondenza. La ricerca aiuta i consumatori, gli individui e le organizzazioni a trovare le informazioni che sono più pertinenti alle loro esigenze; – Risparmio di tempo. La ricerca accelera il processo di ricerca delle informazioni, che a sua volta può semplificare i processi, quali il processo decisionale e di acquisto; – Aumento della consapevolezza. La ricerca consente a tutti i tipi di persone e organizzazioni di sensibilizzare su sé stessi e sulle loro offerte; – Trasparenza dei prezzi. La ricerca aiuta gli utenti a trovare le informazioni di cui hanno bisogno, ma in questo caso il focus è su come ottenere il prezzo migliore;
– Offerte sulla “coda lunga”. Si tratta di oggetti di nicchia che relativamente pochi clienti potrebbe desiderare. Con l’aiuto della ricerca, gli utenti possono cercare offerte di questo tipo, che ora hanno maggiore potenziale di profitto per i fornitori; – Corrispondenza di persone. Ciò comporta di nuovo la combinazione di informazioni, ma questa volta incentrato sulle persone, sia per fini sociali o di lavoro; – Problem solving. Gli strumenti di ricerca facilitano ogni tipo di soluzione dei problemi, da come costruire una sedia, a identificare se la pianta che ha appena ingerito il bambino è velenosa, o ricerche scientifiche avanzate; – Nuovi modelli di business. Nuove imprese e modelli di business stanno spuntando per trarre profitto della ricerca online. Senza ricerca, molti modelli di business sviluppati di recente non
esisterebbe. Siti di confronto dei prezzi sono un esempio calzante; – Spettacolo. Data la quantità di musica e video digitali disponibili, la ricerca crea valore aiutando a navigare all’interno dei contenuti. Invece per una generazione di adolescenti che passano dal guardare la TV al guardare i video su YouTube, la ricerca ha permesso un modo completamente diverso di intrattenimento. 6.2.3.5 Chi e come beneficia della search McKinsey nello suo studio propone un’analisi dei soggetti che beneficiano del valore creato dalla search. I soggetti individuati sono: – Inserzionisti. Essendo cresciuta rapidamente negli ultimi cinque anni, la pubblicità online rappresenta ormai una
parte significativa della spesa pubblicitaria complessiva, vale a dire il 18% negli Stati Uniti, il 20% in Germania, il 16% in Francia, il 16% in Brasile, e il 3% in India. Di quella spesa online, gli inserzionisti assegnano circa il 40% alla pubblicità sui motori (search advertising), spendendo così circa il 6% della loro spesa pubblicitaria totale per pubblicità da ricerca online. Quali sono le fonti di valore che motivano gli inserzionisti a spendere così tanto sulla ricerca online? In primo luogo, la ricerca e la pubblicità sulla ricerca aumentano la notorietà del prodotto. La ricerca è un canale influente quando i consumatori stanno decidendo se fare un acquisto e cosa comprare. In secondo luogo, la ricerca ha dimostrato di essere un mezzo estremamente efficace per abbinare le informazioni pertinenti alle esigenze degli utenti, aiutando gli inserzionisti a individuare il pubblico giusto per i loro
messaggi. In terzo luogo, la ricerca aiuta i consumatori a trovare prodotti di nicchia della coda lunga che altrimenti sarebbe improbabile scoprire: – Rivenditori. La ricerca crea valore per i rivenditori: aumentando la consapevolezza dei consumatori per i loro prodotti e negozi online e offline; migliorando l’abbinamento dei prodotti alle esigenze dei clienti; creando la possibilità di vendere meglio e a un maggior numero di consumatori, articoli della cosa lunga. Inoltre per i rivenditori che competono sulla base del prezzo, trasparenza dei prezzi è anche una fonte di valore. Per altri, invece, può risultare in surplus per i consumatori; – Imprenditori. Gli imprenditori sono grandi utilizzatori di strumenti di ricerca e ne traggono beneficio in vari modi durante l’avvio del business. Li aiuta a risolvere i problemi quando si provano nuove idee di business, a trovare fornitori, investitori e
clienti e a individuare talenti chiave (quest’ultimo una sfida importante per le aziende di piccole dimensioni in cui ogni dipendente può essere fondamentale per il successo). Un sondaggio canadese ha rilevato che il 96% degli imprenditori ha utilizzato la search per ricerche generali e che il 77% l’ha usata per analisi competitive. Forse la cosa più importante è che ha favorito la creazione di nuovi modelli di business imprenditoriali. Le cosiddette micro-multinazionali nascono globali dal momento che la ricerca dà loro accesso immediato a un pubblico di potenziali clienti in tutto il mondo. Operatori dei mercati di nicchia anche dipendono dalla ricerca per trovare i fornitori e i clienti che necessitano; – Creatori di contenuto. Con così tanto contenuto disponibile online, la ricerca consente un migliore incontro tra la domanda dei consumatori e i fornitori di
contenuti. Inoltre aumenta la notorietà dei creatori di contenuti tradizionali e dirige il traffico verso loro, e rende poi scopribile il contenuto disperso lungo la coda lunga; – Aziende. Le imprese beneficiano di ricerca in una moltitudine di modi, tra cui: la possibilità di trovare le informazioni giuste, il fornitore o il dipendente attraverso una migliore corrispondenza; il dipendente risparmia tempo utilizzando la ricerca online; inoltre la ricerca permette problem solving collaborativo; – Consumatori. I consumatori principalmente beneficiano della ricerca attraverso una maggiore trasparenza dei prezzi, una migliore corrispondenza, tra cui l’accesso alla coda lunga dei prodotti e la ricerca di persone e il risparmio di tempo. 6.2.3.6 Platform leadership nel mercato della search
La ricerca su Internet è un classico two-sided market, in cui il motore di ricerca è un intermediario tra coloro che cercano informazioni e coloro che collocano pubblicità. Il prezzo che i ricercatori pagano è l’esposizione alla pubblicità, che può essere un costo o un benefit. Chiaramente, il motore di ricerca più popolare è probabile che guadagni maggiori ricavi e priva i suoi rivali dei fondi con cui competere. Analizziamo nel dettaglio come il vantaggio di scala porta la piattaforma leader a conquistare un vantaggio duraturo nel tempo e difficilmente contrastabile. Le piattaforme di search vivono in un contesto di mercato multisided dove mettono in contatto diversi attori come gli advertiser e gli utenti. Le platform che attirano pochi advertiser e utenti tendono ad avere ritorni più bassi. Anche le platform che hanno meccanismi ad asta poco efficienti o che generano contatti di meno valore,
tendono ad avere ritorni bassi. Vi è inoltre la presenza di effetti indiretti di rete: l’aumento di attori in un “side” del mercato apporta benefici a tutto il sistema. Un maggior numero di user attirano un maggior numero di advertiser, aumentando la probabilità di un match profittevole tra le query di ricerca e le inserzioni. L’aumento invece di advertiser genera pubblicità più rilevanti per gli utenti. Diverse piattaforme, a parità di traffico e di prezzo delle keyword, possono differenziarsi sul revenue-per-match (RPM). Questo capita se una piattaforma riesce meglio delle altre a estrarre valore dagli advertiser, avendo un meccanismo ad asta più efficiente o meccanismi migliori di matching annuncioquery di ricerca. Questo permette di avere ritorni più alti. Ci si aspetta che le conseguenze positive degli effetti di rete indiretti diminuiscano con l’ingrandimento della piattaforma. Questo perché diminuisce il valore degli inserzionisti addizionali.
In Figura 6.16 abbiamo due piattaforme che si differenziano per capacità di revenueper-match. P2 è una piattaforma è uniformemente migliore di P1 nell’estrarre valore dalle aste degli advertiser e nel matching delle inserzioni. P2 riceve un più alto RPM di P1 per ogni unità di volume di traffico acquisito dalle due piattaforme.
In Figura 6.17 abbiamo due piattaforme
che si differenziano per mole di traffico. P2 è una piattaforma uguale a P1 nell’estrarre valore dalle aste degli advertiser e nel matching delle inserzioni. P1 realizza incrementi maggiori di RPM rispetto a P2 a parità d incrementi di traffico, ma P2 beneficia di volumi di traffico totali maggiori. P1 può uguagliare il suo RPM con quello di P2 acquisendo traffico e publisher o migliorando la piattaforma stessa.
In Figura 6.18 sintetizziamo il vantaggio competitivo della piattaforma leader di mercato. P2 è una piattaforma è uniformemente migliore di P1 nell’estrarre valore dalle aste degli advertiser e nel matching delle inserzioni.
In questo caso P1 non può raggiungere il RPM di P2 acquisendo traffico. Anche se la piattaforma più piccola percepisce un
maggior incremento di RPM dall’acquisire lo stesso ammontare di traffico (da t1 a t2) subisce due sostanziali svantaggi relativi alla piattaforma più grande ed efficiente: – Il valore del traffico incrementale al nuovo RPM è ancora più basso dell’altra piattaforma; – Il valore dell’incremento di RPM è applicato a un più piccolo volume di traffico rispetto alla piattaforma più grande. La conclusione è che una piattaforma che ha raggiunto un vantaggio di scala e un vantaggio di RPM sui suoi competitor è difficile da battere. Questo spiega come una piattaforma come Google abbia raggiunto tali livelli di dominanza del mercato. La capitalizzazione di mercato di Google è passata da 0 a circa 685 miliardi di dollari nel corso di un decennio. I ricavi totali di Google
a fine 2016 si attestano a quasi 90 miliardi. La quota di mercato di Google nelle ricerche globali è di oltre il 64% nel 2016 con più di 16 miliardi di ricerche effettuate in un solo mese. 6.2.4 Social, community and communications Questi servizi rappresentano il segmento Internet più grande in termini di numero di utenti.
6.2.4.1 Social and community services Includono Facebook, Twitter e LinkedIn,
oltre a servizi più specializzati come il fotosharing Flickr e il microblogging di Tumblr. Molti di questi servizi sono nati per segmenti specifici di utenti (studenti di laurea universitaria nel caso di Facebook), per poi espandersi e diventare strumenti per collegare molte comunità di utenti e per collegare aziende e brand con i propri clienti. Si stima che questi servizi siano cresciuti di circa il 22% all’anno. In aggiunta le reti social, Facebook fra tutte, stanno via via sempre più ricoprendo il ruolo di hub e gateway per altri servizi come l’e-commerce, il gaming e il publishing. Ad esempio Facebook nel 2015 ha firmato un accordo con il New York Times, National Geographic e BuzzFeed per distribuire contenuti sul proprio sito.
6.2.4.2 Communication services I servizi di comunicazione basati su Internet sono ormai diventati i canali più utilizzati per le comunicazioni dirette in quasi tutti i paesi, sostituendo le chiamate telefoniche e i messaggi di testo offerti dalle società di telecomunicazioni. Esempi importanti sono riconducibili a servizi di comunicazione basati su protocollo Internet (IP) (ad esempio, Skype, WhatsApp e QQ) e servizi di
sottoscrizione unificata B2B (come Cisco Jabber). Sebbene questi servizi abbiano avuto un impatto enorme attaccando in maniera significativa i ricavi delle big telco, i ricavi di questi servizi non sono comunque eccessivamente elevati in quanto la maggior parte di essi sono gratuiti e hanno entrate pubblicitarie minime. La GSMA stima che il guadagno globale di questo comparto e pari a 22 miliardi di dollari, comunque inferiore al fatturato di molte aziende nazionali di telecomunicazione (per esempio, BT nel Regno Unito ha 26 miliardi di dollari e NTT in Giappone ha 93 miliardi di dollari). Tuttavia, la GSMA prevede che i ricavi dei servizi di comunicazione cresceranno del 20% all’anno per i prossimi cinque anni, a condizione che i promotori di queste iniziative siano in grado di monetizzare efficacemente i loro servizi. Nonostante una riluttanza generale dei consumatori per servizi di comunicazione online a
pagamento, i fornitori asiatici hanno dimostrato il potenziale di questo modello.
6.2.5 Cloud and other e-services 6.2.5.1 Cloud services I servizi cloud costituiscono la restante parte
dei servizi online, con un valore stimato di 63 miliardi di dollari. Questo comparto comprende i numerosi servizi ospitati in centri dati remoti e accessibili da qualsiasi canale Internet: l’archiviazione dei dati, l’elaborazione dati on demand e servizi software hosted, che sostituiscono gran parte delle funzionalità hardware e software che sarebbero stati precedentemente installati presso la sede dei clienti, sia negli uffici che nelle case. 6.2.5.2 Other e-services È incluso nel segmento dei servizi online anche il comparto e-service che comprende servizi a pagamento, come l’e-learning, l’ebrokerage, le applicazioni a pagamento, i servizi web e le applicazioni web.
6.2.6 Enabling Technolgies and Services Questo segmento riguarda tutta una categoria di servizi online in parte non visibili all’utente finale ma essenziali per il funzionamento dell’infrastruttura globale di
Internet e dei siti web, server, piattaforme e servizi che lo utilizzano. Nel complesso, il segmento è cresciuto da 159 miliardi di dollari nel 2008 a 373 miliardi di dollari nel 2015, con un CAGR del 13%. È possibile raggruppare i diversi servizi relativi a questo segmento in tre cluster principali: – Enabling platforms; – Advertising; – Managed Bandwidth Delivery.
and
Content
6.2.6.1 Enabling platforms 6.2.6.1.1 Design and hosting Relativo a realizzazione di siti web e servizi avanzati di design e hosting. Rappresenta un mercato significativo trainato sia dalla
crescita di Internet che dalla complessità di rendere I servizi disponibili su più piattaforme con funzionalità e layout sofisticati. Secondo lo studio GSMA questo segmento ha un valore di circa 124 miliardi nel 2015 e crescerà con un CAGR del 10% per i prossimi cinque anni. 6.2.6.1.2 Payment platforms Si tratta di piattaforme di pagamento fornite da aziende che mettono a disposizione dell’utente finale sistemi di pagamento protetti e certificati. I modelli in questo segmento sono molteplici si passa da account proprietari (ad esempio PayPal) a servizi che sono estensioni di piattaforme tradizionali coperte dalle banche e dai loro circuiti. Secondo lo studio GSMA questo segmento genera revenue per 31 miliardi di dollari tenendo conto solamente delle
commissioni sulle transazioni effettuate in piattaforma. 6.2.6.1.3 Machine-to-machine (M2M) platforms Comprendono le aziende che mettono a disposizione una gamma di strumenti di integrazione, gestione e funzionamento per le piattaforme core che abilitano servizi M2M. 6.2.6.2 Advertising Il mercato dell’online advertising nasce come trasposizione online del concetto di pubblicità offline. L’advertising permette all’inserzionista di veicolare un messaggio ad altre persone (gli “eyeballs”). L’attrazione tra advertiser ed eyeball è asimmetrica in quanto gli
advertiser vogliono raggiungere i potenziali clienti (attrazione diretta) mentre gli utenti sono attratti dai content e non dagli advertisement (attrazione indiretta). L’online advertising ha apportato tecnologie innovative soprattutto per la pubblicità generatrice di leads. La pubblicità, quale principale strumento commerciale per mettere in contatto fornitori con potenziali clienti (business o consumer), ha i media come principali canali. La redditività del business nel mercato dei media dipende dalla capacità di bilanciare e valorizzare le due offerte caratteristiche: la vendita del media ai fruitori (lettori, spettatori, utenti) e la vendita degli spazi agli inserzionisti (operatori commerciali). Contenuti, tecnologie e distribuzione sono gli strumenti con cui i media attivano i potenziali contatti fra advertiser e clienti.
6.2.6.3 Managed bandwidth and content delivery Internet è basato sul concetto di reti interconnesse. Il blocco di base è, nella maggior parte dei casi, una singola rete di operatori di telecomunicazioni che fornisce l’accesso a un cliente. Tuttavia, ci sono aziende che forniscono servizi all’ingrosso che interconnettono questi provider di accesso, nonché reti di consegna di contenuti
specialistici e servizi di adattamento che possono utilizzare infrastrutture private e connessioni private per fornire contenuti e traffico agli utenti finali. 6.2.7 Connettività (Connectivity) Il segmento relativo alla connettività comprende i mezzi tramite cui gli utenti finali accedono e/o si connettono a Internet. La maggior parte degli utenti utilizza connessioni da rete fissa come la banda larga DSL (Digital Subscriber Line) o una rete mobile con servizi dati di tipo 2G, 3G, 4G, LTE e 5G, più marginale è l’utilizzo di strumenti di connessione tramite satellite.
6.2.8 Interfaccia utente (User Interface) L’ultimo segmento della catena del valore di Internet è quello più tangibile per l’utente finale in quanto rappresenta l’interfaccia con cui interagisce in prima persona e include: i dispositivi hardware (smartphone, tablet, PC) e tutti gli strumenti di accesso diretto a Internet (sistemi operativi, app).
6.2.8.1 Device I dispositivi utilizzati per accedere a Internet comprendono i computer, gli smartphone e tablet, e tutta una serie crescente di dispositivi collegati. Ciò include nuovi tipi di schermi, TV intelligenti, smart wearable (compresi gli orologi e le cuffie). A questi si aggiungono i set-top box TV connessi, i ricevitori multimediali digitali e le console di
gioco abilitate all’IP, che non solo consentono di scaricare giochi ma consentono anche l’utilizzo di console come hub di intrattenimento per scaricare video e musica. Le auto intelligenti e gli elettrodomestici connessi (come lavatrici, frigoriferi e altri elettrodomestici) sono le due categorie più importanti al momento anche se lo scenario dell’Internet of things si sta espandendo rapidamente. Il numero di auto collegate in particolare dovrebbe crescere da 25 milioni nel 2015 a 211 milioni nel 2020 e le funzionalità includeranno la connettività nel veicolo, lo streaming multimediale, i servizi di assistenza personale e la comunicazione tra veicoli e conducente. Le unità di elettrodomestici connessi venduti dovrebbero crescere da 11 milioni nel 2015 a 205 milioni nel 2020. Nell’ambito del cluster di dispositivi, gli smartphone sono oggi la categoria più grande con 294 miliardi di
dollari di vendite e hanno superato i PC. I volumi di vendita di smartphone hanno raggiunto 1,4 miliardi di unità nel 2015, o uno smartphone venduto per ogni cinque persone sul pianeta. Le smart TV sono la terza categoria più grande, con vendite per 115 miliardi di dollari. Al di là degli smartphone, dei tablet e delle TV intelligenti, si sta assistendo a un elevato grado di frammentazione nel mercato IoT, che riflette i molti modi in cui i consumatori e le imprese possono ora accedere a Internet. Affronteremo più nel dettaglio lo scenario IoT nel capitolo 8 trattando la digital economy e le principali tendenze. 6.2.8.2 System and software Questo cluster include sistemi operativi, App store, sicurezza e software. I sistemi operativi e gli App store sono strettamente
allineati nella maggior parte dei dispositivi, con Google e Apple che hanno creato due ecosistemi rivali Android/Play Store e iOS/Apple App Store rispettivamente. In linea con la crescita del cloud computing, i sistemi operativi dei PC vengono venduti sempre più come aggiornamenti scaricati piuttosto che in scatola. Microsoft per esempio ha rivelato che Windows 10 sarà il suo ultimo sistema operativo e che da questo momento in avanti fornirà solamente aggiornamenti del sistema operativo senza il rilascio di nuove versioni. La categoria sicurezza e software include software antivirus e antimalware, nonché l’endpoint B2B professionale e la sicurezza di rete forniti da aziende come Cisco, Juniper e Check Point. GSMA stima che il mercato degli App store dovrebbe crescere di circa il 30% annuo tra il 2015 e il 2020, grazie alla crescente disponibilità delle persone a pagare per le applicazioni e alla crescita della
pubblicità mobile. Al contrario, la crescita dei sistemi operativi dovrebbe rimanere relativamente piatta, in quanto i sistemi operativi sono considerati come un potenziale canale per l’accesso e il controllo del cliente, piuttosto che una fonte di reddito o di profitto.
capitolo 7 Principali modelli economici
Nelle definizioni e accezioni classiche di mercato, molto spesso si fa riferimento a un luogo fisico e immateriale allo stesso tempo, dove domanda e offerta tendono a raggiungere un punto di equilibrio, attraverso lo scambio di informazioni tra le parti. Rispetto a questa definizione, Internet ha svolto un ruolo importante riguardo a quelli che sono stati nel tempo i cambiamenti di mercati già esistenti o la possibilità di nascita di nuovi. La modifica delle tradizionali forme è per esempio quella che si è avviata con l’introduzione degli strumenti di e-commerce dove il lato dell’offerta ha visto in Internet la possibilità di sfruttare nuovi canali di distribuzione; allo stesso tempo, la domanda si è modificata,
abbattendo confini fisici e permettendo uno scambio di informazioni e di beni a livello globale. Internet ha anche incentivato la creazione di nuovi mercati e di nuovi player, attraverso i cambiamenti che negli ultimi anni stanno avvenendo nei sistemi economici in generale. In questo capitolo analizzeremo i mercati Internet dal punto di vista delle teorie economiche che insistono nei layer intermediary e content in quanto i più rappresentativi della new economy. In particolare cercheremo di cogliere: – Gli elementi delle teorie economiche tradizionali che nell’analisi dei mercati Internet acquisiscono un’importanza amplificata; – L’importanza delle teorie economiche sui mercati multisided su Internet; – Gli impatti economici di Internet; – La dinamica e la struttura dei mercati
Internet riferendoci alle teorie dei nuovi mercati e alle teorie dei mercati progettati “a tavolino”; – Gli elementi di specificità dei mercati Internet rispetto ai mercati tradizionali. 7.1 internet in funzione dei modelli economici Esiste nel mondo un grande dibattito sul fatto che la Internet economy e gli Internet Market non possano essere compresi, spiegati e misurati utilizzando gli stessi strumenti finora in uso per la c.d. old economy, ma vadano analizzati attraverso l’elaborazione di nuove teorie economiche o nuovi paradigmi o attraverso l’adattamento di quelle già esistenti in diversi ambiti di applicazione o in nuove industry. In generale la Internet economy non ha necessità di nuove regole ma al contrario vi sono degli
effetti o forze che nella old economy non avevano rilevanza ma che invece nella Internet economy rivestono particolare enfasi come i c.d. cost structures, network effects, o effetti di rete, switching cost e lockin. 7.1.1 Cost Structures Sono definite le spese che l’impresa deve prendere in considerazione per la produzione di un prodotto o per fornire un servizio. I principali cost structures includono i costi di transazione, i costi non recuperabili (o “sunk cost”), i costi marginali e i costi fissi. La struttura dei costi dell’azienda è il rapporto tra costi fissi e costi variabili. Ad esempio se si considera lo sviluppo del software, una volta che il software è stato sviluppato, il costo di distribuzione telematica via Internet è praticamente nullo.
Anche il costo per la realizzazione di una copia su supporto (CD, DVD) è praticamente trascurabile. Questo vale non solo per i beni puramente “informatici” come il software, ma per i beni fisici come un chip di silicio. Un impianto di fabbricazione di chip può costare diversi miliardi per la costruzione, ma l’incremento di produzione di una unità di chip ha un costo esiguo, pari a pochi euro. Quindi, soprattutto in settori ad alta tecnologia, ci troviamo di fronte a elevati costi fissi e bassi costi marginali. Questo è un esempio di come la curva dei costi totali di produzione può cambiare nella old e nella new economy: il costo marginale può non cambiare al variare delle quantità prodotte, creando nel breve e nel lungo periodo variazioni sui costi e un conseguente cambiamento in quello che è il classico equilibrio delle imprese.
7.1.2 “Network Effects” o Effetti di rete Gli “effetti di rete” si riferiscono agli effetti, ad esempio positivi, dati da una situazione in cui maggiori sono le persone che utilizzano un bene, maggiore sarà l’utilità per me. Ad esempio, un apparecchio fax da solo è inutile poiché non ci sono altre macchine che possono comunicare con lui; al contrario se iniziano ad esserci già due persone che hanno un fax, allora l’utilità cresce. Se il fax è utilizzato da un numero elevato di individui e da organizzazioni di persone e aziende, questo aumenta l’utilità del singolo consumatore, oltre a produrre un effetto di incentivazione nei confronti di tutti quei soggetti che non lo possiedono per comunicare con la moltitudine. La stessa potenza mostrata per l’esempio del fax può essere evidenziata anche per i siti di aste (eBay.com) Maggiori sono le persone che li utilizzano, maggiore sarà l’utilità per il
singolo consumatore. Possiamo avere quindi effetti di network diretti o indiretti: – Network effect diretti: si possono concretizzare in termini di compatibilità tecniche o interfacce standard; – Network effect indiretti: che possono avere anche un effetto travolgente. Ad esempio sono quegli effetti che si presentano quando classi differenti di persone (programmatori, produttori di contenuti, fornitori e acquirenti ad esempio) adottano una piattaforma che necessità l’adozione di alcuni complementi per poter essere utilizzata. 7.1.3 Switching Costs and Lock In Gli “Switching cost” o costi di commutazione sono quei costi associati al passaggio a una
versione diversa dello stesso tipo di bene come per esempio il cambiamento di tecnologia o di standard. All’interno di questa categoria non si annovera solo il costo del bene ma anche il tempo investito per imparare a usarlo (in termini di costi). Un esempio chiarificatore: il passaggio da Windows a Linux su un PC. In questo caso il costo di switch è dato dal tempo impiegato per imparare a utilizzare il nuovo sistema operativo, il costo (sia economico che temporale) nella ricerca degli altri software che potrebbero non essere compatibili con il nuovo Sistema operativo e dal dover modificare e installare ex novo i driver di alcuni dispositivi che non sono compatibili con la nuova versione del sistema operativo. La quantificazione di questi costi potrebbe essere tale da non far propendere il singolo utente alla commutazione. Per “Lock in” s’intende una situazione in cui gli switching cost o costi di
commutazione sono così elevati che un possibile competitor – del bene utilizzato dal consumatore – non è in grado di offrire un prezzo sufficientemente basso da convincere lo stesso consumatore a passare all’altro bene. Il mercato però è sempre in evoluzione e se la presenza di switching cost e di network effect tenderanno a definire alcune caratteristiche, il mercato stesso si adatterà di conseguenza. 7.2 le piattaforme web e mercati multisided Un mercato è definito come l’incontro tra una domanda e un’offerta. A volte la domanda e l’offerta non possono incontrarsi salvo che non esista il supporto di un soggetto abilitante. In tal caso parliamo di un mercato two-sided o multisided. Ad esempio un operatore che vende libri online
attraverso un proprio e-store è un business one-sided. Il business di eBay è invece twosided, cioè con due lati poiché mette in relazione venditori e compratori che senza la piattaforma eBay non potrebbero entrare in contatto. Possiamo dire che i mercati twosided, o più in generale multisided, sono reti economiche che hanno due o più distinti gruppi di destinatari che si scambiano benefici. Ancora oggi non esiste una teoria unica che li descrive, ma diversi modelli e studi sono stati sviluppati con riferimento a caratteristiche specifiche dei diversi settori (sistemi di pagamento, media, Internet, club per incontri ecc.), trovando poi alcuni sbocchi nello sviluppo tecnologico con più complesse varianti, come nel caso di Internet dove questi rivestono un ruolo di particolare importanza.
7.2.1 Caratteristiche dei mercati Two/Multisided I mercati two/multisided (bilaterali o multilaterali) sono dei mercati con un tipo particolare di network effects. Questi effetti non dipendono dal numero di agenti (ad esempio consumatori dello stesso prodotto) ma dal numero differente e allo stesso tempo compatibile di agenti nella parte opposta del mercato (two/multisided). Una delle definizioni che meglio riesce a caratterizzare un mercato two-sided o multisided (due o più versanti) è quella fornita da Roche e Tirole nel 2005, e cioè: “Una struttura di mercato a due/più versanti è basata su una piattaforma che permette interazioni e scambi fra differenti gruppi di consumatori (o “lati” del mercato), la cui finalità è proprio quella di tenerli collegati attraverso un’appropriata struttura di prezzo”. Quindi i two-sided (o multisided) market
sono mercati nei quali una o più piattaforme permettono interazioni fra gli end-user. In questo caso le piattaforme provano a farsi carico di entrambi i lati facendo pagare appropriatamente ogni versante. Più nello specifico, i two-sided (o multisided) markets sono mercati con particolari caratteristiche: – Esistono due o più distinti gruppi di clienti; – Sussistono benefici nel mettere in contatto o coordinare i membri dei diversi gruppi; – Un intermediario può rendere ogni gruppo più ricco attraverso il coordinamento della loro domanda; – Riducono i costi della “search” prima della transazione o i costi condivisi della piattaforma durante la transazione; – Il valore della piattaforma deriva dalla sua capacità di ridurre i costi di transazione
o le asimmetrie informative fra i venditori e gli acquirenti potenziali. Approfondendo ancora di più il concetto di network effects possiamo definire due macro categorie in funzione dell’influenza interna o esterna al gruppo: – Cross-Side Network Effects – si parla di questi effetti quando un gruppo mostra delle preferenze rispetto al numero di membri o alle attività dell’altro gruppo; in questo caso possiamo avere sia degli effetti positivi che negativi: • Esempio di caratterizzazione positiva: numero di compratori e venditori su eBay; • Esempio di caratterizzazione negativa: la reazione dei consumatori a un aumento di pubblicità; – Same-Side Network Effects – si parla di questi effetti quando ciò che succede in un
gruppo non influenza ciò che accade nell’altro gruppo; in questo caso possiamo avere sia degli effetti positivi che negativi: • Esempio di caratterizzazione positiva: numero di partecipanti ai sistemi peer-topeer (P2P); • Esempio di caratterizzazione negativa: la presenza di più concorrenti nello stesso marketplace. 7.2.2 Multisided Platform Le Multisided Platform sono piattaforme che vivono in contesti di mercato multisided, in cui sono soddisfatti due o più gruppi di clienti e dove i clienti di almeno un gruppo hanno bisogno dei clienti dell’altro gruppo per diverse ragioni. Le multisided platform possono generare profitti per sé stesse e benefici per i loro clienti se riescono a catturare e incrementare
le indirect network externalities: – Facendo da match makers (es. eBay); – Costruendo un’audience. Gli advertisingsupported media fanno questo: usano content per attrarre “eyeball”, ovvero coloro che osserveranno il messaggio, e poi vendono l’accesso a questi eyeball agli advertiser; – Riducendo i costi fornendo infrastrutture condivise per i clienti di ogni gruppo. Le piattaforme vanno incontro a ogni lato mentre cercano complessivamente di fare, o almeno di non perdere, denaro. Ha senso non far pagare un gruppo caricando invece l’altro gruppo (di solito il più “captive”).
7.2.3 Esempio di Multisided platform: Google Le teorie dei two/multisided markets hanno trovato numerosi ambiti di applicazione teorici, dalle carte di credito ai servizi postali; ma è con l’avvento di Internet e della rete che i modelli fino a quel momento analizzati e studiati sono potuti diventare efficaci. Un esempio fra tutti di una piattaforma multisided è ad esempio il sistema
pubblicitario di Google AdSense, che ha tre gruppi distinti di destinatari: gli inserzionisti, i publisher (blog, website ecc.) e i navigatori. Google in generale invece è una software platform, in particolare un advertisingsupported search-engine che compete con gli altri advertising-supported media. È una multisided platform che raccoglie advertiser ed eyeball. A differenza di altri advertisingsupported media, usa i risultati di ricerca per attrarre gli eyeball (come le Pagine gialle) piuttosto che usare contenuti propri. La software platform Google fornisce servizi di API (Application Protocol Interface – per la integrazione dei servizi offerti), gratuitamente, agli sviluppatori software; questo ha permesso lo sviluppo di applicazioni che guidano traffico verso Google e di conseguenza di ottenere advertising revenue o permettere a Google di esportare advertising su altri web site o device. Un esempio sono le API di Google
Maps che hanno creato rapidamente una grande ondata di attività da parte dei developers e a fine 2005 si contavano oltre 500 applicazioni scritte da sviluppatori esterni a Google che si appoggiavano su quelle API.
7.2.4 Pricing nei Multisided Market In un single/one sided market l’analisi del prezzo di un serivzio/prodotto parte dal costo marginale del prodotto. In un two/multisided market il pricing è molto complicato a causa dei forti effetti indiretti di rete (Externality) fra i distinti gruppi di clienti. Ad esempio nel caso dei siti di dating, se le donne pagassero lo stesso prezzo degli uomini per utilizzare il servizio ci sarebbe il rischio di uno squilibrio tra numero di uomini (la maggioranza) e numero di donne (minoranza). Se questo capitasse, gli uomini non avrebbero interesse a utilizzarlo e il sito resterebbe vuoto. L’economia dei mercati two/multisided dimostra che ha senso far pagare poco o nulla un gruppo (o addirittura remunerarlo) affinché prenda il servizio/prodotto. Questo è quello che capita per esempio con i siti di
news dove la maggior parte degli editori guadagnano esclusivamente dalle inserzioni pubblicitarie, mentre gli utenti possono leggere gratuitamente le notizie. In conclusione, attraverso un’attenta strategia di prezzo, la piattaforma punta dunque a internalizzare le esternalità tra gruppi e la loro interdipendenza: definendo politiche di prezzo, discriminando tra i gruppi, imponendo diversi prezzi di accesso.
7.2.5 La competizione nei Two-Sided Market Differenti tipologie di competizione affliggono i mercati “two-sided”. Una competizione interna avviene tra soggetti che interagiscono sulla stessa piattaforma; una
competizione esterna avviene tra due o più piattaforme. Ad esempio i publisher del circuito AdSense di Google saranno in competizione tra loro per accaparrarsi utenti in modo da poter guadagnare di più dalla pubblicità. Allo stesso tempo la piattaforma AdSense di Google sarà in competizione con altre piattaforme che erogano un servizio simile. La competizione provocherà, come si è detto, un abbassamento dei prezzi sui due lati dei mercati two/multisided, ma questo non implicherà il raggiungimento di un equilibrio nella struttura dei prezzi. Invece, il livello e la struttura dei prezzi in un equilibrio competitivo dipenderà dall’intensità della competizione nei twosided market. Tutto ciò dipenderà da una serie di fattori che spieghiamo qui di seguito: – Platform Differentiation – piattaforme two-sided offriranno servizi che saranno
percepiti come differenti dai diversi consumatori. Questa differenziazione, poco marcata se non inesistente nel mercato delle carte di credito, ha avuto un’importanza elevata anche nel caso delle piattaforme televisive e dei quotidiani; – Agent Differentiation – i prezzi dipendono dall’intensità della competizione nei mercati two-sided. In questo caso un fattore chiave è dato dall’Agente Differenziatore o Agent Differentiator. In generale vi sono due modi per convincere un venditore a far parte della piattaforma: • Una bassa commissione da pagare se non nulla o negativa (un guadagno per lui); • Una base di potenziali acquirenti elevata. La parte che otterrà di più sarà determinata da due fattori: • Il relativo grado e tipologia dell’“Agent Differentiator”; • I relativi pesi e importanza delle
“Network Externality”. – Multihoming – i clienti appartenenti ad almeno un lato di un two/multisided market spesso fanno parte di diverse reti. Questo fenomeno è noto come “Multihoming”. Gli advertiser posizionano la pubblicità su diverse piattaforme come gli user ne possono adoperare di diverse. Per le piattaforme che adoperano il media Internet tale fenomeno assume le caratteristiche di multihoming per quanto riguarda gli advertiser, mentre per l’altro lato della piattaforma, cioè gli user, si delinea uno scenario singlehoming. In pratica gli user tendono a utilizzare una piattaforma (come nel caso di Google che detiene di fatto il controllo dello usage) mentre gli advertiser adoperano più piattaforme per veicolare i loro messaggi. Altro esempio di Multihoming potrebbe essere dato dal negoziante che accettando diverse tipologie di carte di credito, si
troverebbe a operare su diverse strutture two-sided quindi in una situazione di multihoming, come anche gli utenti potrebbero essere possessori di diverse carte di credito divenendo anch’essi multihoming; – Endogenous Adoption – la scelta di poter operare o scegliere di far parte di diverse piattaforme in linea di principio dovrebbe essere determinata in maniera endogena dal modello di “Platform Competition”. La complessità che ne deriva porta spesso a tendere a una semplificazione dei modelli di analisi, attraverso delle scorciatoie, offrendo la possibilità di definire la struttura del mercato in una fase antecedente l’apparizione del fenomeno del multihoming; – Dynamics – per poter far nascere un mercato two/multisided è necessario risolvere l’annoso problema dell’“uovo e della gallina”: per convincere alcuni
compratori a adottare una certa piattaforma, è necessario convincere prima qualche venditore, ma che per essere convinto deve essere sicuro della presenza di almeno qualche compratore nel mercato. Il problema nel caso dei two/multisided market è risolto attraverso l’ipotesi della simultaneità di arrivo degli agenti nei due lati del mercato. La dinamica di avvenuta nascita di un mercato two/multisided necessita quindi di alcune ipotesi per poter ovviare, come già accennato, al problema: “Chicken or Eggs”. 7.3 impatti economici di internet Economicamente possiamo determinare tre tipologie economici dovuti a Internet: – Impatto sui fornitori;
andare a di impatti
– Impatto sui consumatori; – Impatto sul mercato. 7.3.1 Impatto di Internet – Lato Fornitori Uno dei fattori chiave di Internet è la riduzione dei prezzi di input per le imprese. Normalmente il prezzo più basso a cui un’azienda può vendere un prodotto è equivalente al costo di produzione del bene. Ad esempio, una piattaforma di e-commerce B2B offre alle aziende la possibilità di ridurre il prezzo di vendita attraverso la riduzione o il taglio dei costi in tre modi: – Riduzione dei costi di approvvigionamento, rendendo più facile l’identificazione del miglior fornitore e taglio dei costi di processazione di un ordine; – Migliore gestione della catena di
distribuzione (supply chain); – Migliore controllo dell’inventario, attraverso l’offerta di una diminuzione o azzeramento delle scorte di magazzino e di conseguenza riduzione o azzeramento dei costi di magazzino (stoccaggio): una delle pratiche maggiormente utilizzate è chiamata “Just in time management”. Questa pratica manageriale nasce negli anni Cinquanta dello scorso secolo in Giappone, presso gli stabilimenti della Toyota come modello di ottimizzazione dei costi di produzione e distribuzione. Nel corso del tempo il modello ha assunto diverse forme, trovano profonda applicazione nel modello della new economy e nell’introduzione di modelli gestionali informatizzati. Un altro modo con cui Internet offre la possibilità di ridurre i costi di input è quella data dallo sviluppo di pratiche di outsourcing. Ad esempio nello sviluppo di un
software la struttura dei programmatori e grafici potrebbe essere esterna e sviluppare per l’azienda detentrice del progetto (un esempio è quello dello sviluppo economico dell’India, e in particolare nella regione di Bangalore, dove negli ultimi anni sono nate realtà di organizzazioni dedicate allo sviluppo di servizi di outsourcing a livello mondiale). Un altro strumento che Internet ha messo a disposizione delle imprese è lo strumento che dà la possibilità di praticare una discriminazione di prezzo rispetto a categorie o gruppi di consumatori differenti per lo stesso prodotto. Questo strumento è comunque controbilanciato, come vedremo nel capitolo successivo dalla possibilità che il consumatore ha di poter confrontare i prezzi tra diversi fornitori e prendere una decisione con maggior consapevolezza, forte di informazioni più precise.
7.3.2 Impatto di Internet – Lato Consumatori Uno dei principali fattori che influenzano la domanda è il prezzo del prodotto/servizio. A prezzi più bassi, i consumatori tendono ad acquistare di più. Ancora più importante però è l’impatto che Internet offre nel rendere i prezzi più trasparenti. Proprio per questo motivo spesso capita che la Internet economy sia anche chiamata “Nude Economy”, perché Internet rende disponibili e trasparenti le informazioni rendendo più semplice il confronto dei prezzi sul prodotto sia per gli acquirenti che per i venditori. Una delle principali distorsioni dei mercati, secondo le teorie economiche classiche, è dovuta alla presenza delle c.d. asimmetrie informative tra domanda e offerta. Si parla di asimmetrie informative quando si è in presenza di una situazione nella quale una persona (esperto) è maggiormente informata
di un’altra (consumatore), o nel caso in cui un compratore non ha a disposizione tutte le informazioni su di un prodotto come il venditore che ne conosce la storia nella sua totalità Internet, come strumento nato per lo scambio di informazioni tra soggetti, ha modificato quelle che erano le vecchie logiche di contrattazione economica basate sul potere delle informazioni. In questo modo si è ridotto il peso delle asimmetrie informative dato che le informazioni sono disponibili in maniera libera e aperta a tutti (esperti, fornitori, consumatori ecc.). Le asimmetrie informative non si possono comunque considerare annullate visto che se anche le informazioni sono disponibili gratuitamente sulla rete in condizioni di concorrenza perfetta esse, il costo della ricerca e selezione di queste è alto abbastanza da giustificare la presenza di asimmetrie.
7.3.3 Impatto di Internet sul mercato Come accennato in precedenza, i principi economici dei mercati tradizionali si applicano ancora al mercato Internet. L’informazione è la moneta di Internet; non a caso si parla di economia dell’informazione: le informazioni possono essere trasmesse in modo efficiente, conveniente, economico, e sono disponibili a chiunque. Teoricamente, tutti i possibili attriti che potrebbero originarsi nel mercato dovrebbero essere ridotti quando le informazioni sono più facilmente disponibili sia per i consumatori che per fornitori. Lo stesso consumatore ha un vantaggio avendo una riduzione dei costi di ricerca dovuti ai vantaggi offerti da Internet. Il mercato Internet è quindi più efficiente di quello tradizionale e una delle prime conseguenze è quella dell’abbassamento dei costi di transazione, intesi come costi di
tempo impiegato per cercare prodotti, beni o servizi alternativi, contrattazione del prezzo, confronto tra prezzi e altre attività simili. Un altro impatto che Internet ha avuto e ha tuttora, è quello della sua capacità di generare meccanismi di determinazione dei prezzi, la possibilità di confrontare i prezzi dei prodotti/servizi e anche l’introduzione di tipi di aste e scambi. In conclusione l’effetto Internet è quello di ridurre i costi sia per i fornitori che per i consumatori, e anche di creare un terreno comune (essere una piattaforma) dove consumatori e fornitori si possano incontrare e riuscire a fare affari in modo più efficiente. 7.4 market by evolution – market by design Come detto in precedenza, Internet ha favorito le possibilità di espansione o di
estensione di mercati tradizionali, che hanno visto in alcune opportunità – come quella dell’e-commerce – la possibilità di esplorare un nuovo canale distributivo. Internet ha anche soprattutto agevolato la nascita di nuovi mercati con nuovi player, come nel caso del business del keyword advertising dei motori di ricerca. Ma i mercati in generale, e in specifico i mercati Internet, possono essere classificati secondo delle macrocategorie concettuali? La risposta è sicuramente affermativa e ci porta a evidenziare come esistano due tipologie di mercati: – Market by Evolution: nascono attraverso una fase evolutiva che porta nella maggior parte dei casi alla nascita di nuovi mercati o alla evoluzione di vecchi; – Market by Design: anche se si basano sugli stessi principi teorici generali, hanno in sé una caratteristica distintiva: questi
mercati vengono “disegnati” ex novo o modificati in funzione di alcune specificità.
7.4.1 Market by Evolution – Evoluzione dei nuovi mercati Ai primordi i nuovi mercati visti dall’alto sembrerebbero una nebulosa con alcune particelle (aziende) che in modo del tutto casuale si muovono in un ambiente disomogeneo e spesso senza una direzione ben definita. Ci troviamo quindi di fronte a una fase in cui tutto è frastagliato e in
continuo movimento. Le prime poche aziende del nuovo mercato, tipicamente si troveranno a produrre versioni prototipali o “early stage” dei propri prodotti per la consapevole mancanza di una direzione maestra e di una comprensione spesso totale e/o chiara del nuovo mercato, o per l’inconsapevolezza di trovarsi in un nuovo potenziale nuovo mercato. Alla luce degli studi e delle analisi effettuate da parte di Paul Geroski riguardanti quarantasei casi di nuovi mercati, che negli Stati Uniti sono nati e si sono evoluti durante il Ventesimo secolo, si evince come agli inizi la quasi completa mancanza di barriere all’entrata porti all’ingresso e alla nascita di molte aziende che, allettate dalle potenzialità che un nuovo mercato propone, introducono i loro prodotti/servizi; allo stesso modo, l’uscita di società dal suddetto mercato avrà una frequenza molto bassa soprattutto nei primi
periodi di “vita” del nuovo mercato. Questo porterà a un valore netto di entranti/uscenti o “net entry” positivo, che tenderà ad aumentare soprattutto nelle prime fasi di strutturazione del nuovo mercato. Il numero di aziende che gradualmente entrano in un nuovo mercato, nelle prime fasi è un numero che aumenta in maniera importante; questo fenomeno è dovuto allo sforzo delle aziende che entrano nel mercato di lanciare un prodotto talmente innovativo da sbaragliare la concorrenza e conquistare i consumatori. Spesso in presenza di nuovi mercati l’iniziale aumento è seguito da una inversione di marcia in cui una certa percentuale di aziende esce dal mercato (spesso come conseguenza di un fallimento o perché decide in alcuni casi di operare in altri mercati). In questa fase, la percentuale di entranti
diventa esigua e quella di uscenti elevata, portando il valore net entry a essere negativo. In una successiva fase il fenomeno si ripete e nel mercato fioriscono una serie di nuove società entranti. Questo fenomeno è dovuto a una maggiore consapevolezza del mercato e una definizione di standard che offrono ora maggiore certezza alle nuove aziende. Le società già presenti nel mercato avranno superato le iniziali fasi e si troveranno ad avere alcuni vantaggi, forti dell’esperienza maturata, tali da renderle meno propense all’uscita dal mercato. In questa fase si avrà un aumento del numero di entranti e una diminuzione degli uscenti portando di nuovo a una inversione di tendenza e quindi di net entry, sino a una stabilizzazione del mercato che porti a un net entry pressoché pari a zero (Tempo t1). Graficamente l’andamento del net entry
nel tempo può essere rappresentato nel modo seguente:
Nel suo studio Geroski analizza il mercato delle automobili negli Stati Uniti, e attraverso un raffronto con altri settori presi in considerazione, definisce un range di tempo medio in anni per la prima fase di crescita pari a 15-25 anni. Al contrario nel caso specifico del mercato
delle auto, l’ondata di consolidamento ha avuto origine nel 1910 continuando gradualmente per 50-75 anni fino all’entrata di marchi stranieri nel mercato americano negli anni Sessanta. In generale la tendenza dei nuovi mercati è quella di seguire questa “onda” con una ampiezza più o meno estesa a seconda: – Del mercato; – Del periodo storico in cui il mercato ha avuto origine; – Degli innumerevoli fattori che possano inficiare o meno l’andamento e l’evoluzione del nuovo mercato. Alla luce delle precedenti considerazioni si può affermare senza dubbio che nei primi anni la struttura dei nuovi mercati in generale sia molto fluida e che questa fluidità si evinca rispetto a due differenti
aree: – Il numero di aziende entranti è molto elevato e una parte di esse tenderà a uscire dal mercato con una frequenza abbastanza elevata; – Il numero di prodotti introdotti nel mercato è elevato e ognuno di questi si distingue per l’elevato numero di nuove caratteristiche (“features”) offerte. Anche i prodotti, come le aziende, entreranno e usciranno dal mercato con elevata frequenza. 7.4.2 Colonizzazione dei nuovi mercati La dinamica che porta alla colonizzazione di nuovi mercati o mercati radicali scaturisce dalla combinazione di alcune forze che lavorano sotto la superficie per la nascita e crescita del mercato. Queste forze sono:
1. Combinazione di “Information Cascade” & “Wave of Enthusiasm”; 2. “Provision of Infrastructure”; 3. “Capture the First Mover Advantages”. 7.4.3 Combinazione di “Information Cascade” & “Wave of Enthusiasm” I primi entranti nel nuovo mercato decidono di farne parte perché intravedono delle opportunità di business profittevoli e perché ipotizzano di poter gestire efficacemente i rischi associati all’ipotesi che si siano sbagliati e che l’opportunità non vi sia. I successivi entranti o “Would-be Entrants” attendono alcune conferme poiché, a differenza dei primi, non hanno lo stesso livello di accettazione del rischio e perché vogliono essere sicuri che vi siano delle reali opportunità. Maggiore sarà il numero dei primi entranti che decideranno di operare
nel mercato, più elevata sarà la probabilità che i “Would-Be Entrants” decidano di farlo, rincuorati della genuinità delle opportunità. Come una cascata all’inizio la composizione del mercato è fatta di pochi competitor e poi con il passare del tempo, delle informazioni utili, questo si espanderà a dismisura, attraverso l’entrata degli iniziali scettici. A integrazione di questa information cascade vi è poi una “Wave of Enthusiasm” (onda di entusiasmo) che rappresenta il carburante o la lente di ingrandimento per tutti i “Would-Be Entrants”, che li pervade in questa fase portandoli a sovrastimare le prospettive che si potrebbero aprire nel nuovo mercato. L’entusiasmo sarà poi ancora più contagioso o virale se, in termini comunicativi, sarà veicolato attraverso una “Word of Mouth Communication”.
7.4.4 “Provision of Infrastructure” Un’altra forza che opera sottotraccia e che porta all’ondata di nuovi entranti agli inizi nel nuovo mercato è la cosiddetta: “Provision of Infrastructure” (fornitura di infrastrutture), a cui i vari entranti possono attingere. I nuovi mercati possono sfruttare l’esistenza di infrastrutture già esistenti che declinate e utilizzate in modi diversi offrano il terreno fertile per la sua nascita e colonizzazione. Ad esempio nel caso del mercato della vendita di libri su Internet con librerie virtuali, Amazon e i suoi competitor, non dovettero creare ex-novo un sistema di trasporto ma al contrario, utilizzare quello già esistente, effettuando al massimo dei piccoli cambiamenti evolutivi e migliorativi. Alcune infrastrutture quindi possono essere riciclate, ma a volte si devono forgiare
delle nuove competenze produttive, specializzazioni e nuove infrastrutture, che necessitano di tempo e investimenti ingenti per poter divenire profittevoli. In generale però anche in una fase in cui si necessiti di nuove infrastrutture, i fornitori chiave si attiveranno, perché identificheranno delle opportunità di business, portando le prime aziende ad avvicinarsi al mercato anch’esse attirate alle opportunità che le nuove e le preesistenti infrastrutture offriranno in termini di gestione del business, creando una specie di circolo virtuoso. 7.4.5 “Capture the First Mover Advantages” Ultima solo in ordine ma non in importanza, è la volontà da parte dei primi entranti di poter aggiudicarsi i vantaggi che derivano dal loro status di primi; questa opportunità di
avere dei vantaggi spesso spinge alcune aziende a entrare nelle primissime fasi della nascita di un mercato, per cercare di sviluppare competenze e acquisire il controllo su risorse essenziali per quel mercato o sviluppare una leadership tecnologica. Questi vantaggi si concretizzano quando i primi entranti si trovano nelle condizioni di poter alterare le condizioni di mercato per l’entrata di altri competitor, potendo divenire quasi dei monopolisti delle risorse scarse necessarie per operare nel mercato o quando si trovano nelle condizioni di “Lock-In” o di fidelizzare i consumatori con i loro prodotti in modo tale che, in presenza di nuovi competitor, questi non abbandonino il prodotto tradizionale per i nuovi. Questo non significa che i prodotti del first mover non si evolvano nel tempo o non cambino. La differenza tra vecchio e nuovo si riferisce alle aziende presenti e nuove all’interno di uno
specifico mercato. Più questi vantaggi saranno marcati e visibili ai potenziali primi entranti, più elevata sarà la probabilità e gli incentivi per loro a entrare il prima possibile. 7.4.6 Consolidamento dei nuovi mercati Il consolidamento dei mercati spesso avviene attraverso un percorso variegato; all’inizio entrano nel nuovo mercato alcuni prodotti, poi con il passare del tempo e l’interesse da parte di altre fasce di consumatori il mercato inizia a espandersi in termini di offerte di prodotti, tutti con caratteristiche distintive eterogenee, fino a che, anche sospinto dalle scelte fatte dal mercato (consumatori) e dagli accordi fra i vari competitor, si delinei un “Dominant Design” o standard di prodotto/servizio che porterà al consolidamento del mercato e alla sua evoluzione da mercato di nicchia a quello di
massa. In questa fase, a differenza della prima, i primi entranti o innovatori si troveranno a essere stati i traghettatori della colonizzazione ma saranno incapaci di poter portare il mercato verso la sua espansione, che è quasi sempre opera di società consolidate che con la loro forza economica potranno spingere il mercato verso la sua evoluzione naturale. Il consolidamento dei mercati porterà a uno stimolo nell’aumento degli investimenti in infrastrutture per i nuovi prodotti, creando maggiore appeal ai consumatori preesistenti e ai nuovi. L’identificazione del Dominant Design o del vincitore fra i vari prodotti/servizi nati durante la fase di colonizzazione, porterà a una spinta propulsiva per i produttori di “Complementary Goods”, i quali vedranno maggiori opportunità di guadagno in questa fase. Quindi il Dominant Design,
rappresentando uno standard, definisce e ordina le varie caratteristiche che costituiscono le basi costruttive dei nuovi prodotti e servizi; può essere considerato come una piattaforma al cui interno vi sono differenti tipi di prodotti con una struttura “core” simile. Definisce anche gli standard di performance che tenderanno a identificare le interfacce dei nuovi prodotti base che saranno sempre più riconoscibili dall’utente finale e anche le interfacce dei prodotti complementari che spingeranno sempre più consumatori a operare la scelta di acquisto del prodotto e dei suoi “Complementary goods”. In generale il Dominant Design è “Consensus Good”. Il Dominant Design nella fase di consolidamento del mercato tende ad essere il veicolo che, attraverso la standardizzazione, porta a: – La discesa dei costi, per un’efficace
miglioramento dei processi produttivi e per i fattori di network; – Economie di scala – altro driver che porterà a una riduzione dei costi e conseguente riduzione dei prezzi. 7.4.7 Barriere di ingresso L’effetto dovuto al network e alla sua esistenza rappresenta una delle forze importanti non solo al raggiungimento e definizione di un disegno dominante ma anche al consolidamento del mercato stesso. Si può declinare nella seguente definizione: “I network effects esistono quando i beni generano valore solo se vengono consumati da un numero elevato di persone che formano il network”. Gli effetti del network (o esternalità di rete) descrivono una situazione in cui l’utilità che un consumatore trae dal
consumo di un bene dipende (in modo positivo o negativo) dal numero di altri individui che consumano lo stesso bene. Lo studio delle esternalità è molto rilevante per lo studio delle reti a prescindere dalla loro natura. L’interdipendenza fra le utilità dei consumatori può essere di natura tecnologica o comportamentale. Esempi di interdipendenza tecnologica possono essere: – L’uso delle email: l’utilità di possedere una email è direttamente proporzionale al numero di altre persone che dispongono di una email (cioè dalla dimensione della rete); – L’uso del fax: l’utilità di possedere un fax è direttamente proporzionale al numero di altre persone che dispongono di un fax; – L’accesso a Internet: l’utilità di accesso a Internet è direttamente proporzionale alla
possibilità di poter dialogare con molte presone o poter viaggiare su altri computer simili a quello di partenza. Accedendo a Internet l’utente non trae beneficio solo per sé stesso ma anche per la comunità, perché aumentando la dimensione della rete, di conseguenza rende disponibili altre possibilità di collegamento per gli altri utenti. Esempi di interdipendenza comportamentale possono essere: – Le mode e/o i trend che costituiscono un fenomeno caratteristico, ad esempio, nel settore dell’abbigliamento, in cui il consumatore è influenzato dalle decisioni di acquisto altrui; – Le community presenti su Internet, come ad esempio l’appartenenza a social network esclusivi come ASmallWorld, in cui la scelta
di esserci è dettata da mode ma anche dalla distinzione rispetto a social network aperti a tutti, come ad esempio Facebook. Se nel primo esempio l’esclusività della community caratterizza l’utilità che i suoi membri ne traggono nel sentirsi parte di un circolo esclusivo, nel secondo esempio, quello di Facebook, il principio è esattamente il contrario: la potenziale disponibilità di milioni di connessioni invoglia gli utenti a farne parte per non sentirsi esclusi o per accedere a nuovi contatti e informazioni. Un’ulteriore importante considerazione riguardo alle caratteristiche economiche di una rete telematica deriva dalla definizione stessa di esternalità di rete. Se il valore di un bene dipende dalla quantità di beni dello stesso tipo presenti (o che ci si attende che saranno presenti nel futuro), allora segue che in presenza di esternalità di rete è
particolarmente rilevante la determinazione degli standard tecnici e della compatibilità tra questi. Su questo tema è possibile svolgere molte considerazioni interessanti riguardo a come i diversi attori di un mercato possono interagire strategicamente tra di loro, e di come queste interazioni influenzino l’adozione degli standard tecnici, i loro profitti, e il livello di benessere dei consumatori. In questa sede si noti soltanto che se le esternalità di rete sono rilevanti, allora non esistono risultati acquisiti nella possibilità di accesso a una particolare tecnologia. Per esempio, il fatto che oggi le tecnologie più avanzate di Internet (per esempio, le banche dati web) siano gratuite e utilizzabili su computer molto economici, non implica che domani, per così dire nella peggiore delle ipotesi, saremo comunque in grado di utilizzare la tecnologia di oggi. Infatti, se
domani un’impresa o una coalizione di imprese riusciranno a imporre un nuovo standard più costoso, le apparecchiature funzionanti con il vecchio standard, non essendo più in grado di connettersi con la rete, saranno inutili. 7.4.8 Market by Design Il Market Design rappresenta la nuova disciplina dell’economia che riconosce che il buon funzionamento dei mercati dipende da regole precise, da modalità. I market designers sono come degli ingegneri, loro cercano di capire le differenze che si presentano e le regole che esistono, le procedure che portano a far funzionare bene o male i differenti tipi di mercati. Il loro scopo è quello di conoscere il funzionamento e le esigenze di particolari mercati abbastanza bene in modo da poterli
“riparare” quando qualcosa inizi a non funzionare oppure ad avere gli strumenti per poterne costruire nuovi da zero. Il framework del market design si basa su due punti cardine: la teoria dei giochi (dove si studiano le “regole di gioco” e che viene presa come base per poter disegnare le regole per l’interazione) e il comportamento strategico che le “regole del gioco” suscitano. In aggiunta il framework viene completato attraverso l’utilizzo di una guida pratica, una metodologia denominata “Experimental Economics”, che offre gli strumenti sia per testare l’affidabilità delle previsioni della teoria dei giochi sia per testare i diversi design di mercato prima di introdurli nei mercati operativi. Uno dei motivi principali per i quali si effettua il design di un mercato è la necessità di affrontare e valutare i fallimenti di mercato. Per funzionare correttamente, i mercati hanno bisogno di fare almeno tre
cose: 1. Hanno bisogno di fornire spessore al mercato, cioè di mettere insieme una percentuale abbastanza elevata di potenziali acquirenti e venditori che possa produrre risultati soddisfacenti per entrambe le parti durante una transazione; 2. Hanno bisogno di rendere più sicuro il “territorio” per coloro i quali sono stati riuniti insieme, in modo che possano portare all’attenzione degli altri informazioni che al contrario tenderebbero a tenere solo per sé. Spesso il successo di un mercato dipende dalla divulgazione delle informazioni, quindi in alcuni casi il mercato stesso offre incentivi ai partecipanti in modo che rivelino ciò che sanno; 3. Hanno bisogno di superare la congestione che lo spessore (cioè il numero elevato di partecipanti all’interno del
mercato) può portare, offrendo ai partecipanti il tempo necessario per fare delle scelte soddisfacenti di fronte a una varietà di alternative. Come abbiamo sottolineato molte volte l’informazione è di particolare importanza nei mercati in generale e soprattutto nel mercato Internet; è fondamentale, ad esempio, quando il valore di una transazione dipenda da come un’altra transazione sta avvenendo. In alcune situazioni è necessario far circolare le informazioni come in altri casi c’è un maggior bisogno nel tenerle nascoste, come ad esempio probabilmente capita tra alcuni compratori quando partecipano a un’asta su eBay e attendono gli ultimi secondi per rivelare le loro intenzioni, quindi effettuare la loro offerta. Di seguito vedremo due esempi di mercati creati by design, evidenziando in particolare l’utilizzo delle teorie economiche delle aste
per risolvere dei problemi di pricing. 7.4.9 Sponsored Research Auction Le pubblicità sponsorizzate nei motori di ricerca (o annunci pubblicitari sponsorizzati) tendono a comparire sulla pagina insieme ai risultati di una ricerca effettuata per parole chiave. Queste opportunità di pubblicità sono preziose poiché se un utente effettua una ricerca specifica, ad esempio con le parole chiave “vacanze al mare giugno” si aspetta che i risultati della ricerca e quelli sponsorizzati siano correlati al suo interesse. Proprio qui intervengono le teorie delle aste che definiscono le regole, le modalità, l’approccio da dover seguire per identificare quale annuncio mostrare nelle differenti posizioni offerte nella pagina dei risultati, attraverso la specifica, da parte dell’inserzionista, delle parole chiave o
“keyword” in funzione delle quali l’inserzionista stesso pensa che il suo annuncio debba essere mostrato e sia correlato. Prima di addentrarci nella storia ed evoluzione delle teorie delle aste fino ai giorni nostri, vorremmo soffermarci su alcune caratteristiche del mercato dell’Internet Advertising che lo rendono unico nel suo genere: – Possibilità di cambiare l’offerta qualsiasi momento; – I motori di ricerca vendono flussi servizi pubblicitari deperibili; – Non esiste una “unità” di pubblicità Internet che sia naturale e condivisa tutte le parti coinvolte.
in di su da
Possibilità di cambiare l’offerta in qualsiasi momento
Ogni inserzionista può fare un’offerta per una particolare keyword, associata al suo annuncio, in qualsiasi momento fino a quando non decida di lasciare la partita. I motori di ricerca vendono flussi di servizi pubblicitari deperibili Se per caso non vi sono annunci per particolari ricerche in determinati periodi, l’asta non andrà a buon fine e verrà sprecata una possibilità di “search advertising”. Non esiste una “unità” di pubblicità su Internet che sia naturale e condivisa da tutte le parti coinvolte Dal punto di vista dell’inserzionista, l’unità rilevante è rappresentata dal costo da sostenere per attirare un cliente a effettuare un acquisto. Corrisponde a un modello tariffario in cui l’inserzionista paga solo quando un cliente completa effettivamente
una transazione. Dal punto di vista del motore di ricerca, l’unità rilevante è data da quello che ricava ogni volta che un utente compie una ricerca per una determinata parola chiave. Corrisponde a un modello tariffario in cui l’inserzionista paga ogni volta che il suo link è mostrato a un potenziale cliente. Le due “unità” di pubblicità non coincidono e sono difficilmente amalgamabili. Per questo motivo fu introdotta una “unità” di pubblicità, via di mezzo, fra i due modelli: “Pay-per-Click” cioè: l’inserzionista paga ogni volta che un utente fa clic sul suo link. In generale i tre metodi di pagamento sono ampiamente utilizzati in Internet ma nel caso delle aste per gli annunci sponsorizzati, viene utilizzato il metodo del Pay-per-Click. 7.4.10 Evoluzione dello “Sponsored Search Auction”
L’evoluzione della teoria delle aste per le ricerche sponsorizzate (“Sponsored Search Auction”) rappresenta un ottimo caso di studio in cui si mostra come e con quale velocità i mercati riescano a soddisfare le loro carenze strutturali, quindi rappresentano un ottimo esempio dei principi del Market by Design, dove a cause di alcune mancanze il mercato sia modificato attraverso l’introduzione di nuove regole per le aste. Vediamo come cronologicamente si sia evoluto il meccanismo delle aste per le ricerche sponsorizzate. Early Internet Advertising (1994) Prima dell’avvento di Internet il modello di pricing più usato per la pubblicità era quello basato sul costo per 1000 “impression” (CPM), dove una impression rappresentava un passaggio dell’annuncio. Questo modello era utilizzato dai media tradizionali come la
televisione, i giornali e i quotidiani. All’inizio del 1994, gli Internet content provider iniziarono a utilizzare lo stesso modello anche per il mercato Internet; quindi come per i media tradizionali, l’inserzionista pagava un costo fisso (CPM), al tempo molto elevato, e riceveva un numero fisso di passaggi del suo annuncio. I contratti e gli annunci erano gestiti uno a uno e avevano bisogno dell’intervento umano. Generalized First-Price Auctions (GFP – 1997) Nel 1997 Overture (poi divenuta Yahoo! Search Marketing) introdusse un nuovo modello per la vendita della pubblicità Internet. Il design proposto da Overture aveva almeno due punti innovativi: – Invece di vendere grossi e costosi pacchetti di spazio pubblicitario, ogni parola
chiave o keyword era venduta attraverso la sua asta (con prezzi minori di 1 dollaro per singolo slot); – Il pagamento era determinato dal metodo del Pay-per-Click (PPC) invece del CPM (gli inserzionisti pagavano solo quando qualche utente cliccava sull’annuncio). Per ogni keyword, venivano messi all’asta diversi slot (o spazi), ognuno di questi rappresentava una posizione relativa nella parte alta della pagina con i risultati mostrati in funzione della ricerca effettuata da un utente in funzione di una parola chiave. Questo diede alcuni vantaggi agli inserzionisti i quali poterono indirizzare i propri annunci, potendo specificare le parole chiave rilevanti per il loro annuncio e il peso che esse avessero per loro e per l’annuncio. Ogni volta che un consumatore cliccava un link sponsorizzato, il motore di ricerca faceva pagare all’inserzionista la cifra relativa alla
sua offerta più recente (riferita alla parola chiave). Il sistema fu chiamato Generalized FirstPrice Auction o GFP e definiva che nel caso ad esempio di più elementi, l’offerta più alta vinceva il primo elemento per il prezzo più alto e via via nelle posizioni successive. Il successo fu immediato ma si comprese poco dopo che il sistema era instabile perché le offerte potevano essere cambiate molto frequentemente. Generalized Second-Price Auctions (GSP – 2002) Google nel 2002 introdusse AdWords Select program cercando di eliminare i problemi che si erano riscontrati con il modello precedente, cioè: – Prezzi volatili; – Inefficienze allocative.
Google adottò quindi un meccanismo denominato “Generalized Second-Price Auction” o GSP, dove, in un’asta per più posizioni, l’offerta più alta (dell’offerente i) vinceva il primo posto al secondo prezzo più alto, ovvero al prezzo più alto dell’offerente alla posizione i+1. Questo nuovo modello semplificò il mercato, eliminò alcune instabilità, rendendolo meno suscettibile a strategie di gioco. Google introdusse anche un’altra novità basata sul fatto che gli inserzionisti effettuavano l’offerta e pagavano in funzione di un modello di pagamento PPC e non più CPM. Invece di assegnare gli spazi pubblicitari in ordine decrescente delle offerte, gli slot erano assegnati secondo l’ordine decrescente di entrata (rendita) prevista. Queste entrate erano calcolate come il prodotto dell’offerta dell’inserzionista e il tasso atteso “Click-
through rate” dell’inserzionista cioè una stima della probabilità che l’annuncio possa essere cliccato. Il design è caratterizzato da una serie di innovazioni incrementali: – Le offerte sono per-click e non perposizione —> Semplificazione; – Gli offerenti pagano la seconda offerta più alta non la loro offerta —>Stabilità; – Le offerte sono ponderate con un punteggio di qualità —> Rilevanza. 7.4.11 “Search in e-commerce” o “Consumer Auction” Il problema del matching riscontrato nelle ricerche sponsorizzate si ritrova anche nei portali di e-commerce e interagisce sia con il pricing sulla piattaforma che sulla natura della competizione fra venditori.
In questo caso però ci troviamo di fronte a due situazioni “estreme” rispetto al consumatore: – Il consumatore ha un’idea chiara e precisa del prodotto che sta cercando; – Il consumatore non ha un’idea chiara del prodotto (interessi meno specifici) oppure i fornitori offrono prodotti differenziati. Nel primo caso ci troveremo di fronte alla situazione in cui il consumatore sa cosa vuole e va alla ricerca del sito di e-commerce più affidabile che possa offrigli il prodotto al prezzo minore. I siti di comparazione dei prezzi rappresentano la soluzione al suo problema, poiché essi classificano i diversi venditori (siti di e-commerce) in base ai prezzi e spesso mostrano anche altre informazioni di costo, come ad esempio i costi di spedizione e la qualità del venditore
stesso. Spesso capita che i venditori tendano a manipolare o a interferire con i siti di comparazione rispetto al processo di ricerca al fine di ammorbidire la concorrenza riguardo ai prezzi. Nel secondo caso invece il problema è molto più grande perché il consumatore non ha un’idea precisa del prodotto che sta cercando (i suoi interessi sono meno specifici) oppure il rivenditore offre prodotti differenziati. Questo è il caso di piattaforme come Amazon, eBay e Etsy che vogliono semplificare al massimo all’acquirente la ricerca mentre fanno pagare una fee al fornitore per poter mostrare i loro prodotti al consumatore. Un esempio interessante è eBay, poiché agli albori ordinava i suoi risultati di ricerca in funzione della scadenza dell’asta, dando priorità prima alle aste in scadenza e offrendo a tutti i venditori le stesse opportunità senza distinguere in nessun
modo; per poi passare all’approccio che tuttora usa dell’ordinamento dei risultati per rilevanza o “best match” ranking. Dal lato del prodotto offerto all’asta su eBay ci si trova di fronte a un’asta al rialzo in cui tutti possono partecipare sino alla data di scadenza, dove la migliore offerta è la vincitrice. Una strana tendenza si sta diffondendo nelle aste su eBay, cioè quella denominata “late bids” o offerta all’ultimo secondo. Questa tendenza è strana poiché eBay offre un proprio agente virtuale (“proxy bidder”) per scongiurare le offerte all’ultimo secondo e che gestisce la cifra massima che l’offerente pagherebbe per quel bene messo all’asta. Una teoria è stata avanzata riguardo al motivo della presenza di questa tendenza e cioè che alcuni offerenti potrebbero non voler scoprire la propria strategia o interesse per quel bene per poter avere la possibilità di
vincerlo e di poterlo anche pagare un prezzo più basso. 7.5 specificità degli internet market Internet ha facilitato la creazione di nuovi mercati caratterizzati da una migliore misurazione, un’elevata personalizzazione, rapida innovazione e un design di mercato più consapevole. Internet ha portato a una riduzione o razionalizzazione dei costi associati all’organizzazione e gestione dei mercati. Analizzando gli Internet market in correlazione con le tecnologie (spesso origine della creazione di nuovi mercati), si possono identificare delle caratteristiche distintive, delle specificità che li rendono differenti dai mercati tradizionali e che potremmo schematizzare in:
– Scalabilità (intesa come ritorni incrementali); – Personalizzazione (intesa come matching fra utenti e opportunità); – Potenziale di innovazione (inteso come nuovi prodotti, nuovi B.M. ecc.); – Misurabilità. 7.5.1 Scalabilità Molte piattaforme Internet operano su scale molto grandi, si pensi a Facebook che ha oltre 700 milioni di utenti iscritti, o a Google che opera miliardi di aste sulla ricerca sponsorizzata (“Sponsored search auctions”). La maggior parte di esse è stata disegnata (progettata) per poter essere scalabile facilmente e a costi relativamente bassi. L’elevata scalabilità a bassi costi può portare a elevati ritorni incrementali. Questa sola caratteristica però non può
essere l’unica condizione necessaria e sufficiente per far sì che una determinata piattaforma possa risultare vincente e concentrare su di sé un numero elevato di utenti e quindi ritorni incrementali. Due sono le possibili origini: – Costi di struttura nell’operare con una piattaforma Internet (gli investimenti – costi fissi – operati per la creazione di una piattaforma che risponda alle esigenze degli utenti produce benefici scalabili); – Network Externalities. 7.5.2 Personalizzazione La seconda caratteristica distintiva di Internet è il grado con cui le esperienze degli utenti possano essere personalizzate. Il costo di personalizzazione in un Internet market è irrisorio a confronto di quello che si potrebbe
avere in un mercato tradizionale. Un esempio chiarificatore può essere l’advertising su TV o su Internet. Nel caso della TV il passaggio pubblicitario è identico per tutti e non personalizzabile a differenza di una pubblicità su Internet che è personalizzata in funzione della tipologia di utente, delle sue abitudini mentre esegue una “query” in un motore di ricerca. La personalizzazione può essere vista rispetto a una prospettiva economica come il matching fra gli utenti e le opportunità. 7.5.3 Potenziale di Innovazione L’ultima caratteristica distintiva di Internet è il potenziale dell’innovazione, cioè come creazione di nuovi prodotti e servizi, il raffinamento o introduzione di nuovi algoritmi di ricerca, i meccanismi di pricing e molto altro ancora.
Una delle caratteristiche distintive delle piattaforme Internet è quella di operare degli esperimenti, spesso molti, durante l’anno, poiché il costo di ricerca è minimo e se per caso, l’innovazione o il prodotto/servizio aggiunto non hanno un gradimento elevato da parte degli utilizzatori, in pochi secondi si può tornare indietro senza nessun costo. Per fare un esempio solo, Google in un anno ha effettuato più di 6000 sperimentazioni, dove alcune hanno avuto il favore del pubblico e sono divenute parti della struttura della piattaforma. 7.5.4 Misurabilità Questa caratteristica è l’elevato grado di controllo e di estensione di esso sulle varie azioni che possono avvenire in una piattaforma: dalla strutturazione della ricerca per gli utenti al controllo e
monitoraggio delle transazioni fino alla sperimentazione di nuove regole e parametri. In conclusione i mercati Internet a differenza di quelli tradizionali hanno un grado di progettazione del mercato stesso più elevato ma soprattutto più consapevole e dettagliato. Ha in sé la possibilità di analizzare e studiare gli aspetti del pricing e avere un vantaggio rispetto ai mercati tradizionali per l’analisi del comportamento dell’utente, avendo a disposizione un numero elevato se non infinito di informazioni.
capitolo 8 Business model nell’economia digitale
Nel capitolo precedente abbiamo analizzato le teorie economiche che insistono nella web economy. In questo capitolo ci soffermeremo invece sui modelli di business che troviamo nei mercati Internet cercando di identificare i modelli utilizzati a oggi dalle imprese che fanno business grazie all’online nei layer IT, Intermediary e Content. Nel 1998 per la prima volta si parlò di classificazione di business model per il commercio elettronico e da lì si sviluppò una corposa letteratura a riguardo dei business model Internet. Sin dal 1998 e negli anni successivi si comprese come le varie teorie sulla classificazione dei business model (classificazioni tipologiche) fossero troppo specifiche e che al contrario per poter essere
universalmente accettate e soprattutto applicate vi era bisogno di una classificazione più generale (classificazione tassonomica) dei business model. Anche in questo caso non vi è una tassonomia universalmente accettata dei business model, e anche sul concetto stesso di busieness model non vi è una definizione o un framework universamente condiviso. Per dare al lettore una panoramica soddisfacente dei modelli esistenti su Internet abbiamo dapprima analizzato la letteratura esistente e poi sulla base delle conclusioni a cui siamo giunti abbiamo redatto un nostro sistema classificatorio. 8.1 definizione di business model Intuitivamente l’espressione “business model” suggerisce che si tratti di qualcosa che abbia a che fare con le modalità con cui
si possa fare del business, in particolare quali sono i principali modelli che si possono utilizzare nel mondo del business. Rimanendo su di un livello molto generale, partiamo dalla definizione che il Dizionario Zanichelli dà delle due parole in questione: – Business: affare, transazione commerciale, attività di acquisto e vendita di beni e servizi; – Modello: schema teorico elaborato in varie scienze e discipline per rappresentare gli elementi fondamentali di uno o più fenomeni o enti. Unendo le due enunciazioni, ci troviamo di fronte a una prima definizione di business model e cioè la rappresentazione o schema teorico elaborato di come una società effettui transazioni commerciali o attività di acquisto e vendita di beni e servizi, al fine di produrre
profitti. Al contrario, come vedremo anche nei paragrafi successivi, non esiste una definizione condivisa a livello mondiale ma possiamo affermare in modo molto semplicistico che un business model rappresenta, anzi è, una storia che racconta come un’azienda opera, lavora, e come un’azienda crea profitto. Una storia per essere considerata valida deve “suonare” bene, non deve avere note stonate che la possano far inciampare durante la sua riproduzione. Un buon business model deve quindi rispondere a delle domande precise; riprendendo le domande proposte da Peter Drucker: – Chi è il cliente finale? – Qual è il “customer value”? – Come l’azienda produrrà profitti? – Quali sono le logiche economiche che possano spiegare come un’azienda possa
offrire valore al proprio cliente a un prezzo appropriato (e costo per l’azienda)? Quindi creare un business model, vuole dire scrivere una nuova storia che sia lineare per i propri clienti, che racconti come l’azienda porti al proprio cliente finale, un valore, un vantaggio, un prodotto e/o un servizio, in che modo ci riesca, a quale prezzo interno (costo) ed esterno (prezzo per il cliente finale), in funzione di accordi strategici (ad es. partnership), per poter generare dei ricavi profittevoli e sostenibili. Si potrebbe descrivere un business model come: – Un modello concettuale astratto che rappresenta le logiche di acquisizione di business e di profitto di un’azienda; – Un Business Layer, simile a un collante, fra la strategia di business e i processi di
business. Alla luce di tutto questo possiamo affermare che l’analisi e la definizione delineata da Alexander Osterwalder renda in modo inequivocabile il concetto espresso sin d’ora: “A business model is a conceptual tool that contains a set of elements and their relationships and allows expressing a company’s logic of earning money. It is a description of the value a company offers to one or several segments of customers and the architecture of the firm and its network of partners for creating, marketing and delivering this value and relationship capital, in order to generate profitable and sustainable revenue streams”.
8.2 letteratura sulla classificazione dei business model Le tipologie sono prodotti derivati dalla
ricerca deduttiva e il loro grande vantaggio è quello della loro capacità di semplificare concetti complessi attraverso la classificazione determinata dall’utilizzo di uno o massimo due criteri classificatori. Questo vantaggio però porta con sé degli svantaggi, poiché se da una parte riesce a semplificare, dall’altra limita la sua applicabilità solo a casi specifici. Le tassonomie, al contrario, derivano in modo empirico e sono il risultato di una ricerca induttiva utilizzando un’analisi multivariata. In funzione delle definizioni e delle differenze esistenti fra i termini tipologie e tassonomie, si può affermare che fino a oggi una reale tassonomia dei business model non sia stata ancora realizzata ma che i vari tentativi di classificazione possano essere considerati più classificazioni tipologiche che tassonomiche. Nel 1998 Bambury identificò e classificò i
business model raggruppandoli in due categorie, in funzione solo dell’origine del modello: – Transplanted Real-World Business Model (modello proveniente dal mondo reale trapiantato in quello virtuale); – Native Internet Business Model (modello nato dentro Internet in funzione ad esempio di innovazioni disruptive). Definì questa classificazione una tassonomia ma nella realtà era un’ottima ma pur sempre solo classificazione. Paul Timmers nel 1998 introdusse la sua classificazione di business model basandosi su due gradi di differenziazione: grado di innovazione e quello di integrazione. Identificò undici categorie che però anch’esse avevano la caratteristica di non poter essere considerate delle tassonomie
perché in contrasto con alcuni dei principi cardine alla base della definizione di tassonomia data pocanzi. Peter Weill e Michael Vitale nel 2001 introdussero una classificazione molto strutturata degli Atomic e-business model basata su quattro variabili: – Obiettivi strategici; – Fonte di valore; – Fattori critici di successo; – Competenze chiave. Nella loro pubblicazione affermarono che in funzione delle quattro variabili avevano identificato e classificato tipologicamente otto Atomic e-business model e che essi rappresentavano gli elementi fondanti o building block di tutte le iniziative di ebusiness. Nei loro scritti sottolinearono come gli
Atomic e-business model fossero solo i blocchetti o building block e che non coincidevano con gli e-business model ma al contrario erano gli elementi che combinati fra di loro portavano alla classificazione degli e-business model. Non produssero quindi una tipologia di business model ma solo una tipologia di Atomic e-business model. Nel 2006 Michael Rappa identificò attraverso un’osservazione approfondita del web quella che lui definì: “Tassonomia dei business model osservati nel web”; dove identificò nove categorie di modelli da cui declinò quarantuno sottocategorie. Come detto in precedenza per Bambury, questa classificazione, utile ai fini della nostra analisi dei business model come vedremo nei capitoli successivi, non è possibile considerarla una tassonomia in funzione dell’accezione e delle proprietà definite in precedenza.
8.3 classificazione di brambury – internet commerce Paul Brambury nel 1998 introdusse una classificazione (da lui denominata erroneamente tassonomia) per descrivere le attività che si svolgono su Internet. Identificò due macrocategorie:
– Transplanted Real-World Business Model (modello proveniente dal mondo reale trapiantato in quello virtuale); – Native Internet Business Model (modello nato dentro Internet in funzione ad esempio di innovazioni disruptive). L’utilità di questa classificazione si trova nella possibilità di identificare quei modelli di business o attività che sono realmente originate da Internet e quelle invece che sono state trapiantate partendo dal mondo reale. 8.3.1 Transplanted Real-World Business Model Questa categoria di business model racchiude tutti quei modelli che applicati nel mondo reale sono stati poi trapiantati nel mondo Internet.
Fanno parte di questa categoria: – Mail-Order Model; – Advertising-Based Model; – Subscription Model; – Free Trial Model; – Direct Marketing Model; – Real Estate Model; – Incentive Scheme model; – B2B; – Combinations of the Above Model. Mail-Order Model È utilizzato da imprese come amazon.com, dove un “website shop” viene impiegato per vendere beni fisici che sono poi inviati o consegnati. Mentre i beni sono pubblicizzati, e il pagamento è effettuato tramite Internet, queste imprese hanno base e operano nel mondo reale ed effettuano le operazioni di vendita al dettaglio in modo tradizionale
all’interno dei loro website shop. Questo è probabilmente il più comune modello di business su Internet. Advertising-Based Model Ha rappresentato il modello per il successo di molti dei motori di ricerca come Google, Bing, Yahoo! ed è utilizzato anche da molti altri siti web gratuiti. Questo modello è simile a quello usato dalla televisione commerciale, dove i ricavi pubblicitari sostengono il funzionamento di un servizio gratuito. Esistono molte varianti a questo modello che si rifanno alla modalità di pagamento da parte dell’inserzionista o dallo strumento di advertising utilizzato se non dall’unità di misura con cui sono misurate le performance della pubblicità e quindi a un pagamento di un corrispettivo per il servizio utilizzato.
Subscription Model Questo modello è molto adatto in combinazione con la distribuzione digitale. Tipicamente, un utente sottoscrive un abbonamento per l’accesso a un catalogo di prodotti digitali per un determinato periodo di tempo. Eseguito l’accesso l’utente potrà usufruire dei prodotti a catalogo. Siti di stock photo come ad esempio Fotolia, iStockphoto operano anche con questo modello di subscription plan, dove sottoscrivendo un abbonamento si ha diritto a poter scaricare un certo numero di immagini, vettoriali e video al giorno. Free Trial Model Il modello free trial è spesso utilizzato per la prova di software ed è simile, a tutti gli effetti, al modello di vendita al dettaglio: “trenta giorni di prova gratuita”. In pratica il software è disponibile per il download gratuito, ma funziona solo per un periodo
limitato o non offre tutte le funzionalità presenti nel software completo. All’atto del pagamento di una fee e della registrazione del prodotto, tutte le funzionalità sono attivate o ripristinate (se il periodo di prova è scaduto). Questa tipologia di modello di business è spesso utilizzata sia da società di sviluppo software commerciale che da individui e sviluppatori indipendenti. Il software sviluppato da programmatori o software house indipendenti è spesso chiamato shareware e spesso la fee da corrispondere di dimensioni ridotte rispetto ai tradizionali software commerciali. Direct Marketing Model L’utilizzo del direct email marketing (noto anche come “spam”) su Internet è diventato così diffuso e invadente che nel tempo varie leggi ne hanno limitato l’applicazione. Questo rappresenta però solo un aspetto
negativo del direct marketing che dal mondo reale è stato trapiantato nel mondo virtuale. Lo spam nel corso del tempo non è diminuito nemmeno attraverso leggi emanate ad hoc dai governi del mondo. Real Estate Model Alcune imprese applicano questo modello per la vendita di spazi web, domini e indirizzi email. Mentre la parola “dominio” implica spesso l’idea di proprietà o di controllo di un territorio, la gestione di un “territorio immaginario” come quello dei Domain Name System risulta un po’ confusa e distorta da considerazioni di tipo commerciale. Alcune aziende web-based hanno nel tempo acquistato numerosi domini con nomi comuni per poi rivenderli nel mondo a prezzi maggiorati alla luce della loro scarsità dovuta all’unicità soprattutto di alcune parole che potrebbero identificare un prodotto, una categoria o altro meglio di altre.
Esempio di domini acquistati a prezzi molto alti sono: – Business.com 7,5 milioni di dollari; – AsSeenOnTv.com 5,1 milioni di dollari; – Altavista.com 3,3 milioni di dollari; – Wine.com 2,9 milioni di dollari; – Autos.com 2,2 milioni di dollari; – Express.com 1,8 milioni di dollari; – Wallstreet.com 1 milione di dollari; – Rock.com 1 milione di dollari; – Websites.com 970.000 dollari; – Drugs.com 830.000 dollari. Incentive Scheme Model Alcune volte sono combinati con l’advertising. Alcuni esempi sono i cosiddetti “permission-marketing” e concorsi. Le opportunità di vincere premi o di assicurarsi prodotti e/o servizi “gratuiti” o scontati sono utilizzati per invogliare la gente ad accettare
la pubblicità o a fornire informazioni personali. Vi sono, ad esempio, alcune società di ricerche di mercato web-based che utilizzano questo modello. B2B I modelli fin qui analizzati si concentrano sul mercato consumer, ma esistono una grande quantità di business che avvengono tra aziende attraverso l’uso di Internet. L’infrastruttura di pagamento dietro l’Internet commerce comporta attività tra venditori, società di carte di credito, banche, Internet Service Provider (ISP), autorità di certificazione (CA), società di software e altri. Si annoverano in questo modello anche transazioni che includano servizi finanziari, di ricerca, legali o per l’impiego. Combinations of the Above Model L’ambiente digitale favorisce
la
combinazione di diversi modelli di business e molte imprese che operano su e con Internet hanno creato nel tempo combinazioni creative con vari modelli. Ad esempio esistono molte aziende che offrono suite di software in uno shopping online attraverso pagamenti online. Un altro esempio è invece quello che offre la possibilità di consegna dei prodotti multimediali attraverso lo streaming online di video e audio digitali. 8.3.2 Native Internet Business Model È riconosciuto in generale che la maggior parte delle attività che si svolgono su Internet non comportino nessun esborso di denaro. La maggior parte del software che sta alla base di Internet e del web è freeware o shareware. Gran parte del valore creato e scambiato su Internet e le interazioni
coinvolte non sono di natura finanziaria, ma possono comportare al contrario un accumulo di reputation capital. A differenza del mondo reale l’economia nativa di Internet non è basata sulla scarsità, ma sull’abbondanza. C’è abbondanza di informazioni e tutti possono utilizzarle e creare valore con esse. Chiaramente il concetto di scarsità è basato sul sistema capitalista che domina l’economia del mondo reale che è marcatamente diversa da quella di Internet. Ricadono nei modelli di business nati e cresciuti nel mondo Internet i seguenti: – Library Model; – Freeware Model; – Information Barter Model; – Digital Products & Digital Delivery Model; – Access Provision Model; – Website Hosting & Other Models.
Library Model Internet e il web, in particolare, sono fonti della libera informazione. Gli studiosi e gli scienziati furono i primi gruppi a poter usufruire delle potenzialità della rete pubblica riguardo alla possibilità di diffusione e messa a disposizione di informazioni gratuite nella rete. Uno dei modelli di base per una presenza sul web è quello di avere un sito che offra informazioni gratuite. Molti dei siti creati fino a ora seguono questo tipo di modello di business. Freeware Model Il modello freeware è ampiamente utilizzato dalla comunità di sviluppatori dei software per Internet. Molti software, tra cui ad esempio i browser web più popolari, come Firefox, Chrome, Internet Explorer ecc., sono disponibili per il download gratuito. La Free Software Foundation promuove attivamente un modello di sviluppo di software
distribuito con un approccio non convenzionale verso il copyright. In campo commerciale, le versioni di base dei software spesso sono offerte gratuitamente per dare la possibilità all’utente di poterne valutare le potenzialità e poi passare alla versione completa a pagamento. Codice open source è spesso associato con il modello di business freeware. Il modello open source è stato in gran parte responsabile dello sviluppo della rete Internet pubblica, a differenza dello sviluppo di standard proprietari da parte di alcune aziende di software che operano in una logica diametralmente opposta a quella del freeware. Information Barter Model Il modello è molto comune e di solito comporta un qualche tipo di scambio di informazioni via Internet tra individui e
organizzazioni. Qualche volta si possono profilare delle implicazioni riguardo alla privacy in caso di scambio dati personali per un prodotto digitale o un servizio. In alcuni casi, invece, i dati personali possono essere venduti ad altri per creare mailing list o le informazioni possono essere utilizzate per creare profili personalizzati o pubblicitari. Alcuni dei più diffusi servizi Internet di notizie seguono questo modello. Digital Products & Digital Delivery Model I prodotti digitali esistono nel mondo digitale e spesso non hanno necessità di doversi manifestare come oggetti fisici. Questi prodotti includono immagini, filmati, animazioni, audio, testo, certificati e software. La loro consegna digitale può avvenire quando i prodotti sono acquistati o attraverso il baratto fornendo proprie informazioni personali all’azienda. Una grande quantità di materiale digitale che è
trasmesso o scambiato su Internet non implica una transazione finanziaria. Access Provision Model Questo modello è fondamentale per il funzionamento di Internet, ma è spesso trascurato nelle discussioni sull’Internet commerce. Questa attività permette di accedere a Internet attraverso l’utilizzo Internet Service Provider (ISP). Website Hosting & Other Models Molti ISP e aziende web-based forniscono servizi alle imprese come ad esempio server di web hosting, posta elettronica e URL. Alcune imprese offrono web hosting e posta elettronica gratuita. Queste aziende sono di solito finanziate attraverso l’inclusione di messaggi pubblicitari su alcuni siti o all’interno di email.
8.4 classificazione degli internet business model La classificazione di Brambury è molto interessante per il criterio classificatorio proposto cioè business model nativi di Internet e business model esistenti trapiantati su Internet. Tale classificazione è però del 1998 e i modi di fare business su Internet si sono certamente evoluti. Per tale motivo abbiamo deciso di creare una nuova classificazione dei business model che sia
aggiornata e quanto più possibile esaustiva. La tipologia utilizzata per la classificazione dei business model riprende la classificazione del prof. Rappa opportunamente riorganizzata e aggiornata per tenere conto delle evoluzioni di Internet. Inoltre è stato stabilito un criterio secondo il quale l’attività di tipologizzazione classifica i BM, criterio non presente nella classificazione originaria di Rappa. Si è infatti utilizzato come criterio di distinzione dei tipi la modalità con la quale avviene lo scambio tra domanda e offerta, andando a identificare tre famiglie di business model: – Transaction Based, ovvero i modelli di business che si fondano sulla transazione diretta tra domanda e offerta; – Advertising Based, ovvero i modelli di business che si fondano su una transazione indiretta tra domanda e offerta; – Free Based, ovvero i modelli dove lo
scambio tra domanda e offerta avviene gratuitamente o almeno in parte o almeno per un determinato periodo di tempo. 8.4.1 Modelli Transaction Based Nei modelli transaction based la domanda e l’offerta sono interessati tra di loro vicendevolmente e mutualmente. Si scambiano un bene o un prodotto direttamente o con l’ausilio di un terzo elemento abilitatore. All’interno dei transaction based models distinguiamo: – Brokerage Model – modello che prevede il far incontrare venditori e compratori, o facilitare le transazioni; – Merchant Model – incontro diretto tra venditore e compratore; – Subscription Model – Lo scambio tra
venditore e compratore avviene tramite fee ricorrente per usufruire del bene/servizio. – Utility Model – lo scambio tra venditore e compratore avviene tramite pagamento dell’effettivo utilizzo da parte del compratore del bene/servizio in oggetto.
8.4.2 Transaction Based Models: Brokerage Model Possiamo a sua volta individuare all’interno del Brokerage Model diversi modelli di business, in particolare: – Marketplace Exchange – offre una gamma di servizi che coprono tutto il processo della transazione, dalla valutazione del mercato alla negoziazione e alla realizzazione (ChemConnect); – Buy/sell fulfillment – raccoglie ordini dei clienti per comprare o vendere un prodotto o un servizio, includendo il prezzo e la consegna(respond.com); – Demand Collection System – potenziali compratori fanno un’offerta finale per un bene o servizio, e il broker arrangia la realizzazione (priceline.com); – Auction broker – conduce aste per i venditori (privati o commercianti). Il broker
carica il venditore di una fee e una % sulla transazione (eBay); – Group buying – conduce una vendita scontata per il venditore a patto di vender un numero minimo di pezzi. Revenue = % sul venduto (Groupon); – Transaction Broker – fornisce un meccanismo di pagamento da una terza parte per buyer e seller per risolvere una transazione (PayPal); – Distributor – è un catalogo che collega un gran numero di fabbricanti di prodotti con grossisti. Il broker facilita le transazioni commerciali tra i distributori e i loro partner commerciali; – Search agent – un software usato per ricercare il prezzo e la disponibilità per un bene e servizio specificato dal buyer; – Virtual marketplace – un servizio di hosting per venditori online i quali pagano per il setup, il listing e/o le transazioni. Il servizio può anche prevedere attività di
marketing (zShops di Amazon, negozi eBay).
8.4.3 Transaction Based Models: Merchant Model All’interno del Merchant Model individuiamo diversi modelli di business, in particolare: – Virtual Merchant – è un commerciante al dettaglio che opera esclusivamente attraverso il web (amazon.com); – Catalog Merchant – mail-order business con un catalogo web-based. Combina mail, telefono e ordinazione online; – Click and Mortar – tradizionale negozio di vendita al dettaglio con un web storefront (Barnes & Noble); – Bit Vendor – vendita di prodotti e servizi digitali attraverso il web. (Apple iTunes Music Store); – Manufacter Mode – il produttore
raggiunge direttamente gli acquirenti, comprimendo il canale di distribuzione (Apple).
8.4.4 Transaction Based Models: Subscription Model
All’interno del Subscription Model individuiamo diversi modelli di business, in particolare: – Content services – offerta di contenuti premium di diversa natura in cambio di una sottoscrizione dell’utente (Repubblica.it per la parte di notizie a pagamento); – Application services – offerta di servizi di diversa natura in cambio di una sottoscrizione dell’utente (Salesforce); – Person-to-person networking services – distribuzione di informazioni date dagli stessi utenti, come ad esempio la ricerca di ex-compagni di scuola, il dating online (Meetic); – Trust services – associazioni che si attengono a un codice di condotta esplicita, in cui i membri pagano una quota d’iscrizione (Truste);
8.4.5 Transaction Based Models: Utility Model All’interno dell’Utility Model individuiamo diversi modelli di business, in particolare: – Metered usage – misura e fattura agli
utenti per l’effettivo utilizzo di un servizio (Amazon Elastic Cloud); – Metered subscription – permette agli utenti abbonati di comprare contenuto o utilizzare servizi in porzioni prestabilite (Embed.ly);
8.4.6 Modelli Advertising Based I modelli advertising based sono modelli multisided ovvero sono presenti e coinvolti
più di due operatori, e lo scambio tra domanda e offerta non può avvenire senza un terzo operatore che funge da soggetto abilitante. Le aziende che vogliono pubblicizzare i propri prodotti cercano i potenziali clienti ma per raggiungerli hanno bisogno di operatori terzi che offrano contenuti e mezzi che attraggano il target dell’azienda. Possiamo dire quindi che generalmente le aziende sono interessate direttamente ai clienti per promuovere i propri servizi, mentre i clienti non sono interessati direttamente alle aziende ma a un contenuto o servizio che è offerto loro gratuitamente o quasi in cambio di pubblicità. Un caso particolare è quello delle Pagine gialle e dei siti di annunci, dove il contenuto offerto per attirare gli utenti è proprio il contenuto pubblicitario degli inserzionisti. All’interno degli advertising based models distinguiamo:
– Advertising Models – offerta di contenuti e servizi in modalità gratuita ma con l’inserimento di contenuti pubblicitari; – Intermediary Models – Modello basato sull’intermediazione pubblicitaria, ovvero sull’aggregazione di property e audience.
8.4.7 Advertising Based Models: Advertising Models All’interno degli Advertising Models individuiamo diversi modelli di business, in
particolare: – Content provider – offerta di contenuto di diversa natura, gratuitamente a fronte di ricavi provenienti dalla pubblicità insita nella fruizione di tali contenuti (huffingtonpost.com, notizie gratuite); – Service provider – offerta di servizi di diversa natura, gratuitamente a fronte di ricavi provenienti dalla pubblicità insita nella fruizione di tali servizi (Gmail); – Product provider – offerta di un prodotto, come ad esempio un gioco o programma scaricabile gratuitamente a fronte di ricavi provenienti dalla pubblicità insita nel prodotto; – Classified – lista di oggetti in vendita o ricercati per l’acquisto. Sono comuni le listing fee ma anche le membership fee (monster.com); – User registration – sito basato su contenuti che sono gratuiti ma che
richiedono che lo user si registri e fornisca dati demografici di valore per campagne advertising (winnerland.com); – Query based paid placement – vendita di link positioning (sponsored links) correlati a particolari termini di ricerca in una user query (Google). 8.4.8 Advertising Based Models: Intermediary Models All’interno degli Intermediary Models individuiamo diversi modelli di business, in particolare: – Advertising network – intermediazione tra inserzionisti e possessori di inventory tramite piattaforma tecnologica e in maniera automatizzata (Google Adwords/AdSense); – Concessionaria – intermediazione tra inserzionisti e possessori di inventory
tramite forza vendita e processi di determinazione prezzo non automatici (Bread & Butter); – Affiliation network – intermediazione di affiliazioni, ovvero offerta di incentivi basati su revenue o contatti a siti partner affiliati (Tradedoubler); – Metamediary – facilita le transazioni fornendo comparazioni tra più venditori. Revenue come traffico generato ai venditori o percentuale su vendita effettuata (Trovaprezzi).
8.4.9 Modelli Free Based I modelli free based sono modelli basati sull’erogazione di un prodotto o servizio in maniera gratuita o almeno in parte All’interno dei free based model distinguiamo:
– Community Model – modello basato sulla fedeltà degli utenti che investono tempo ed emozioni nello sviluppo di beni/servizi; – Free Model – modello basato sulla gratuità di beni/servizi, iniziale o permanente.
8.4.10 Free Based Models: Community Models All’interno
dei
Community
Model
individuiamo diversi modelli di business, in particolare: – Open source – software sviluppato in collaborazione da una comunità globale, che condivide il codice. I ricavi si basano sui servizi correlati (WordPress); – Donation – servizi e prodotti che sono offerti gratuitamente e si sostengono grazie alle donazioni degli utenti (Wikipedia).
8.4.11 Free Based Models: Free Models All’interno dei Free Models individuiamo diversi modelli di business, in particolare: – Freeware Model – servizi e prodotti rilasciati gratuitamente che danno visibilità o promozione all’autore/azienda (Bittorent); – Freemium – servizi rilasciati gratuitamente, ma che prevedono delle limitate feature che possono essere ampliate sottoscrivendo una fee (Dropbox).
capitolo 9 I principali mercati di Internet
Nei capitoli precedenti abbiamo visto i modelli economici che si adattano allo studio dei mercati Internet e i modelli di business adoperati dalle aziende che operano online. In questo capitolo scenderemo in profondità nell’analisi di due principali mercati Internet: l’advertising e l’ecommerce, tipici dei layer intermediary e content. La scelta di questi due mercati è dovuta al fatto che possono essere considerati i più rappresentativi dell’industria Internet, in quanto all’interno di ciascuno di essi è possibile trovare l’applicazione delle teorie economiche studiate fino a ora e vedere con maggior dettaglio il funzionamento di alcuni business model.
Per ogni mercato analizzeremo: – La struttura; – L’evoluzione; – Le principali innovazioni che lo differenziano dai mercati tradizionali offline; – I principali sotto-segmenti; – Il dimensionamento economico. 9.1 mercato online advertising Il mercato dell’online advertising nasce come trasposizione online del concetto di pubblicità offline. L’advertising permette all’inserzionista di veicolare un messaggio ad altre persone (gli “eyeballs”). L’attrazione tra advertiser e eyeball è asimmetrica in quanto gli advertiser vogliono raggiungere i potenziali clienti (attrazione diretta) mentre gli utenti
sono attratti dai content e non dagli advertisement (attrazione indiretta).
Nel caso delle Pagine gialle invece l’attrazione è mutuale: gli utenti hanno un bisogno e cercano gli inserzionisti che possono soddisfarlo e allo stesso tempo gli inserzionisti cercano gli utenti (attrazione diretta da entrambe le parti). Sebbene l’advertising abbia come fine
ultimo la generazione di vendite di beni e servizi, lo può fare in modi molto diversi: – Un tipo di pubblicità è concepita per generare vendite direttamente creando contatti, “leads”. La pubblicità nelle Pagine gialle ne è un esempio. La pubblicità nel listato degli inserzionisti nelle Pagine gialle è concepita per creare solide prospettive di vendita per gli advertiser; – Un altro tipo di pubblicità è quella informativa, che fornisce descrizione di prodotti e prezzi. La pubblicità informativa dei supermercati con i loro prodotti e le loro offerte è un esempio di questa tipologia di pubblicità; – Un altro tipo ancora di pubblicità è quella branding, atta ad alterare la percezione delle persone su un prodotto o un servizio. La pubblicità televisiva della Mastercard (“Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c’è Mastercard”)
è un esempio di ciò.
L’online advertising ha apportato tecnologie innovative soprattutto per la pubblicità generatrice di leads. La pubblicità, quale principale strumento commerciale per mettere in contatto fornitori con potenziali clienti (business o consumer), ha i media come principali canali. La redditività del business nel mercato dei media dipende dalla capacità di bilanciare e valorizzare le due offerte caratteristiche: la vendita del media ai fruitori (lettori, spettatori, utenti) e la vendita degli spazi agli inserzionisti (operatori commerciali). Contenuti, tecnologie e distribuzione sono gli strumenti con cui i media attivano i potenziali contatti fra advertiser e clienti. La nuova industria dell’advertising online ha molto in comune con la tradizionale. Le principali caratteristiche dell’online advertising sono l’uso di tecnologie basate su
Internet e i meccanismi di raccolta dati che permettono di profilare e tenere traccia di specifici individui e l’automatizzazione della compravendita degli spazi pubblicitari: – Il Web Advertising Model si basa su un web site (publisher) che fornisce contenuti (generalmente, ma non necessariamente, gratuiti) e servizi, combinati con messaggi pubblicitari; – Gli Ads possono essere la principale o l’unica sorgente di ricavi. Il publisher può essere un creatore di contenuti o un distributore di contenuti creati altrove; – L’Advertising Model funziona al meglio quando il volume del traffico di visitatori è molto ampio oppure estremamente specializzato; – L’Advertising online è simile all’offline per quanto riguarda la fruizione degli Ads in quanto permette di visualizzare testo (come gli annunci), grafica (come le riviste) e
video (come la TV). L’advertising online veicola pubblicità in varie forme: testuale, grafica, e video riuscendo così a coprire le varie tipologie appartenenti all’industria pubblicitaria tradizionale. I principali modelli di pricing dell’advertising online si basano sul Pay per Performance, vi sono anche altre tipologie che si basano sull’one time payment, un esempio dei quali è costituito dal flat fee model (Pay per Insertion) adottato dalle Pagine gialle.
Il mercato dell’advertising in generale può
essere considerato come un mercato creato dallo shift online di un mercato esistente offline. Alcuni segmenti di mercato invece possono considerarsi completamente nuovi e creati by design, come ad esempio il search advertising. L’advertising online non è un semplice canale in più, dove riversare pubblicità, bensì una vera e propria radical innovation che lo differenzia marcatamente dal canale offline: 1. Internet fornisce un meccanismo altamente efficiente per recapitare Ads ai singoli utenti e per raccogliere informazioni per targettizzare gli Ads; 2. Internet permette una più efficiente intermediazione nel mercato pubblicitario, si pensi al meccanismo ad asta per le keyword; 3. Economie della specializzazione: i pubblisher online puntano sempre più spesso a vendere gli spazi pubblicitari
attraverso piattaforme specializzate. La massimizzazione delle revenues pubblicitarie da parte dei media deriva dall’ottimizzazione del bilanciamento fra spazi resi disponibili e la diluizione delle informazioni e conseguente perdita di valore degli stessi spazi. Lo spazio su Internet è infinito solo virtualmente e la valorizzazione dell’advertising ha subito un’evoluzione nel tempo dovuta alle innovazioni del media Internet intercorse, come possiamo vedere nella Figura 9.4.
I primi anni del 2000 hanno segnato una evoluzione da un modello Content Driven a uno Tecnology Driven, frutto del fallimento dei modelli di revenue dei portali di prima generazione e dal cambio di paradigma imposto invece dal successo di Google, come rappresentato in Figura 9.5.
9.2 dimensioni del mercato Il mercato nel suo complesso cresce molto rapidamente, come è possibile vedere dall’evoluzione del mercato americano negli ultimi dieci anni riportata nella Figura 9-6.
Notiamo che il 2009 ha avuto una lieve decrescita, questo a causa della crisi economica globale, ma che già a partire dal 2010 c’è stata la ripresa. In generale possiamo dire che il mercato dell’online advertising è quello che ha retto meglio la recessione rispetto a ogni altra tipologia di advertising. Nel 2016 i ricavi annuali sono aumentati su base annua. Il tasso di crescita annuale composto (CAGR) nel corso degli
ultimi dieci anni per la pubblicità su Internet è stato del 16% negli Stati Uniti e ha superato la crescita del PIL americano che, nello stesso periodo, è stato del 3%. Dal 2010, la crescita pubblicità su Internet è stata alimentata da un CAGR del 123% in mobile (rispetto al 12% di crescita dei ricavi non mobile). Il mercato americano risente di fenomeni di concentrazione intorno ai principali dieci operatori, che insieme raggruppano il 71% del valore del mercato nel quarto trimestre del 2016. I successivi quindici operatori generano l’11% del totale del mercato, mentre i seguenti 25 operatori l’8%. In totale abbiamo il 90% del mercato americano dell’online advertising in mano alle prime 50 aziende. La pubblicità online continua a rimanere un mercato concentrato con le 10 principali aziende di vendita di online advertising che rappresentano il 73% dei ricavi totali nel 4°
trimestre del 2016, in leggero calo dal 75% registrato nel 4° trimestre 2015. Le aziende classificate tra 11° e il 25° posto nella classifica dei principali operatori, rappresentato il 10% dei ricavi nel Q4 2016, in rialzo rispetto al 9% registrato nel 4° trimestre del 2015. Nonostante l’emergere di alcuni pesi massimi nell’Internet advertising, la concentrazione dei top 10 delle entrate è rimasta relativamente invariata negli ultimi dieci anni, oscillando tra il 69% e il 75%. Il mercato della pubblicità online inoltre dimostra una forte crescita comparato agli altri media. Nel 2011, l’online advertising negli Stati Uniti, ha superato i ricavi pubblicitari della TV via cavo, nel 2013 ha superato la broadcast TV posizionandosi come primo media per dimensione di investimenti pubblicitari.
Dal 2005 al 2011 solo due forme di media hanno avuto, sul mercato pubblicitario americano, un tasso di crescita annuale composto (CAGR) positivo: la televisione via cavo al 4% e Internet al 16,7%. In ogni anno dal 2005, il tasso di crescita della pubblicità online ha superato quello di ogni altro media pubblicitario.
9.3 segmenti di mercato
Il mercato pubblicitario online può essere scomposto in national composto da large companies con obiettivi soprattutto di branding e local composto dalle PMI con obiettivi principalmente di direct response: – Nazionale: solitamente legato a una pubblicità di tipo branding che comunica a livello nazionale; – Locale: pubblicità locale (ricerche locali, directory, annunci ecc.). Il mercato national è presidiato da concessionarie, tipicamente possedute dagli editori e i più grandi acquirenti sono le agenzie media. Il mercato è quindi caratterizzato da molti operatori sulla parte offerta e pochi sulla domanda.
Il mercato local invece è caratterizzato da molti operatori sul lato della domanda e un contesto frammentato sul lato dell’offerta costituiti da diversi operatori locali, mentre a livello nazionale vi sono pochi operatori attivi con un’offerta industrializzata e in grado di gestire la complessità dovuta alla gestione di un gran numero di clienti. I principali player del mercato local sono le directory e Google con la sua parte di ricerche locali (cosa e dove). All’interno del mercato dell’advertising
possiamo andare poi a individuare dei segmenti di mercato più specifici basandoci sul formato pubblicitario. L’Internet Advertising Bureau, associazione di riferimento del settore, individua i seguenti sotto-segmenti di mercato: – Search – mercato del keyword advertising sui motori di ricerca; – Display – mercato della pubblicità tabellare; – Classified – mercato della pubblicità classificata (annunci, directory); – Rich Media & Digital Video – mercato dei formati pubblicitari che utilizzano tecnologie avanzate, come streaming video o animazioni flash, in grado di interagire con l’utente; – Lead Generation – mercato della pubblicità basato sulla generazione di contatti (es. compilazione di form o generazione di azioni da parte dell’utente);
– Sponsorship – mercato delle sponsorizzazioni online (es. pagine web brandizzate da un advertiser che raggruppano contenuti tematici, advertiser che sponsorizza una sezione di un sito); – Mobile – mercato della pubblicità online su dispositivi mobili.
I segmenti di mercato più importanti per peso economico sono il search e il mobile, che pesano nel mercato americano
rispettivamente il 24% e il 51%. Da segnalare la flessione delle search che sono passate dal 34% al 24% rispetto al mobile che è passato dal 35% al 51%. Complessivamente il valore dell’industry è di 72,5 miliardi di dollari nel 2016. I ricavi mobile hanno continuato a guadagnare con una quota del 51% sul totale dei ricavi del 2016, rispetto al 35% dei ricavi totali registrati nell’esercizio 2015 e del 25% nell’esercizio 2014; I ricavi da digital video sono aumentati del 16% rispetto al 2015; Tuttavia, la quota dei ricavi totali è rimasta costante in percentuale. La search ha perso la quota principale e rappresenta oggi il 24% dei ricavi dell’FY 2016. Il declino della sua quota complessiva è attribuibile alla crescita del mobile. Il modello di pricing basato sulle performance è il modello principale dal
2006, ed è sceso leggermente al 64% del fatturato totale nel 2016 dal 65% nel 2015. Il modello di pricing basato a impressioni (CPM) nel 2016 è arrivato al 35% dei ricavi totali del settore, leggermente in crescita dal 33% nel 2015, il punto più alto dal 2010. I modelli ibridi sono scesi all’1% dei ricavi totali nel 2016, rispetto al 2% registrato nel 2015. Sia il segmento search che display, si presentano a loro volta molto concentrati. Nella search in particolare vediamo Google come un monopolista di mercato, infatti secondo i dati ComScore, Google riceve quasi il 67% di tutte le ricerche online. Secondo una ricerca di eMarketer, nei prossimi anni si osserverà un incremento della concentrazione nei segmenti search e display, e i due segmenti valendo complessivamente oltre il 65% del totale del mercato dell’online advertising, si può affermare che l’intero mercato vedrà una
maggiore concentrazione, come dimostrano i dati sul mercato US forniti da eMarketer.
Le principali aziende globali che operano
nell’advertising, sono dunque: – Google: è l’azienda cui il prodotto principale è il famoso motore di ricerca, nato nel 1997, e che oggi costituisce il sito più visitato al mondo. Google gestisce un circuito pubblicitario online che permette a inserzionisti di promuovere i propri annunci pubblicitari sulle pagine dei risultati del motore di ricerca, abbinando i propri messaggi alle parole chiave ricercate dall’utente. Inoltre gli inserzionisti possono pubblicare i propri messaggi sui siti web che aderiscono al network pubblicitario di Google, in questo caso Google divide i profitti ricavati dagli investimenti pubblicitari degli inserzionisti con i publisher dei siti web affiliati. La piattaforma che permette agli inserzionisti di creare le proprie campagne pubblicitarie si chiama Google Adwords, mentre la piattaforma che permette ai publisher di
affiliare i propri i siti web nel circuito pubblicitario di Google, si chiama AdSense. Google dal 2003 cresce con un CAGR del 50%, arrivando nel 2016 a un fatturato di oltre 89 miliardi di dollari, confermandosi di gran lunga la più importante online advertising company del mondo; – Facebook: il famoso social network è stato lanciato nel febbraio del 2004 e nell’ottobre del 2012 è arrivato a gestire un miliardo di utenti attivi registrati, dei quali più della metà utilizzano il social network da un dispositivo mobile. Gli utenti devono registrarsi prima di utilizzare il sito, dopo di che si può creare un profilo personale, aggiungere altri utenti come amici e scambiare messaggi, incluse le notifiche automatiche quando aggiornano il loro profilo. Inoltre, gli utenti possono aderire a gruppi di utenti organizzati intorno a un interesse comune, a un luogo di lavoro, alla scuola o all’università, o altre
caratteristiche, e classificare i loro amici in liste come “le persone dal lavoro” o “amici intimi”. I ricavi derivano principalmente dalla pubblicità (85%), poi ci sono i pagamenti per beni virtuali (15%). La pubblicità è di tipo tabellare o assume la forma di post o suggerimenti sponsorizzati. Il fatturato di Facebook è cresciuto da 7,87 miliardi di dollari nel 2013 a 27,64 miliardi di dollari nel 2016 con un margine netto di 10,22 miliardi di dollari; – Twitter è una rete sociale, creata nel marzo 2006 dalla Obvious Corporation di San Francisco, che fornisce agli utenti, attraverso l’omonima piattaforma, una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo con lunghezza massima di 140 caratteri. Gli aggiornamenti di stato possono essere effettuati tramite il sito stesso, via SMS, con programmi di messaggistica istantanea, posta elettronica, oppure tramite varie applicazioni basate
sulle API di Twitter. Twitter utilizza e contribuisce a numerosi progetti open source. Il nome “Twitter” deriva dal verbo inglese to tweet che significa “cinguettare”. Tweet è anche il termine tecnico degli aggiornamenti del servizio. I tweet che contengono esattamente 140 caratteri vengono chiamati “twoosh”. Gli aggiornamenti sono mostrati nella pagina di profilo dell’utente e comunicati agli utenti che si sono registrati per riceverli. È anche possibile limitare la visibilità dei propri messaggi oppure renderli visibili a chiunque. Il valore della rete sociale è stato stimato intorno agli 8,4 miliardi di dollari. Twitter nel 2012 ha raggiunto i 500 milioni di iscritti e 200 milioni di utenti attivi che fanno accesso almeno una volta al mese. Nel 2016 il fatturato di Twitter è pari a 2,53 miliardi di dollari in crescita rispetto ai 2,22 miliardi del 2015.
Nei successivi paragrafi faremo un approfondimento sui segmenti di mercato search e display in quanto, come abbiamo visto, sono tra i più importanti segmenti di
mercato della pubblicità online. Faremo inoltre un approfondimento sul fenomeno degli advertising network, piattaforme tecnologiche che intermediano la pubblicità, principalmente display, che rivestono un ruolo fondamentale nel panorama dell’online advertising. 9.4 approfondimento search advertising market Consiste nella possibilità per un inserzionista di fare pubblicità contestualmente all’esposizione dei risultati di un motore di ricerca. Il “trigger” della (possibile) esposizione dell’annuncio è dato dal “match” tra le parole chiave (keywords) scelte dall’inserzionista e quanto cercato dal consultatore sul motore di ricerca. L’annuncio pubblicitario esposto è
generalmente di tipo testuale (una insegna e due righe di testo “promozionale” nella versione più diffusa) sul quale sono evidenziate le parole che hanno fatto da “trigger” all’esposizione stessa. Possono esistere anche altre forme grafiche di esposizioni (banner, multimediali ecc.). I motori di ricerca hanno all’inizio esposto i risultati del keyword advertising solamente sulla destra del listato “organico” dei risultati; da qualche tempo sono esposti anche in testa ai risultati della search al fine di aumentare i “click” (spesso giocando sulla non chiara separazione tra “risultati a pagamento” e “risultati organici”). I più diffusi sistemi di gestione del keyword advertising (tipicamente composti da: creazione annuncio, gestione budget di spesa, distribuzione, reportistica) sono Google/AdWords-AdSense e Yahoo!/Search Marketing (Overture), Microsoft AdCenter, Miva.
9.4.1 Tassonomia della web search Le ricerche web degli utenti possono essere di tre tipologie: 1. Navigational. Lo scopo di questo tipo di ricerca è raggiungere un particolare sito che lo user ha già in mente. Le ricerche navigazionali solitamente hanno un solo risultato giusto; 2. Informational. Lo scopo di questa query è di ricercare informazioni disponibili sul web in forma statica. Nessuna ulteriore interazione se non leggere. Per forma statica s’intende che il documento target non è creato appositamente per la ricerca dell’utente; 3. Transactional. Lo scopo della ricerca transazionale è di ricercare un sito sul quale avverranno successive interazioni. Le principali categorie di questo tipo di ricerca sono lo shopping, vari web service, scaricare
diversi tipi di file, accedere a determinati data base (per esempio le Pagine gialle). La web search può essere effettuata attraverso due diverse tecnologie: • Full text; • Taxonomic. La ricerca può esplicitare poi un bisogno commerciale dell’utente oppure no, quindi possiamo distinguere la web user intention: • Not-commercial; • Commercial. Inoltre può essere geolocalizzata: • Nazionale; • Locale.
9.4.2 Dimensioni del mercato legato al search advertising
Il mercato del search based advertising è nato nel 1995 con Infoseek, uno dei primi motori di ricerca del web, iniziando a profilare la pubblicità dei banner in base alle keyword digitate dagli user. Il Cost per Click (CPC) fu introdotto per la prima volta in una trattativa di Procter & Gamble con Yahoo! nel 1996. Nel 1998 GoTo.com introduceva i primi Ads lungo i risultati della ricerca facendo pagare gli advertiser secondo il modello del CPC. Successivamente Go.To.com fu acquisita e divenne la ad search platform di Yahoo!. Altri motori seguirono il modello del CPC e nel 2000 Google lancia Adwords. Sebbene Infoseek abbia iniziato prima, non ci fu un leader nel mercato del search advertising fino 1999 con l’affermarsi di Yahoo! come leader fino al 2002. Nel 2003 Google, diventa leader nel settore del search advertising, nonostante essere nato dopo.
L’algoritmo di indicizzazione delle pagine web di Google è stato decisivo per far decretare Google come search engine leader ed è trattato come un segreto di stato. Il gap fra Google e i suoi rivali ha elevati tassi di incremento. Il mercato risulta molto concentrato. Nel 2008 le revenue della piattaforma leader (Google) misurano tre volte quelle della seconda piattaforma più grande (Yahoo!). Il mercato ha chiaramente una struttura two-sided, da un lato gli inserzionisti e dall’altra gli utenti che eseguono le ricerche. Nel dettaglio possiamo vedere effetti multihoming e singlehoming rispettivamente sul lato degli advertiser e sul
lato degli utenti: – Multihoming – gli advertiser usano mediamente più search-ad platform. Questo perché gli advertiser pagano solo quando l’utente clicca sui loro Ads pertanto non ci sono ragioni per adoperare un solo search engine; – Singlehoming – gli user invece tendono a adoperare una sola search-ad platform. I principali fattori economici che interessano la struttura two-sided del Search-Based Advertising e che influenza la struttura del mercato sono: – Pricing delle keyword – le platform che attirano pochi advertiser tendono ad avere un CPC più basso. Anche le platform che hanno meccanismi ad asta poco efficienti o che generano contatti di meno valore,
tendono ad avere CPC bassi; – Indirect Network Effect – un maggior numero di user determina un maggior numero di search che attirano un maggior numero di advertiser, aumentando la probabilità di un match profittevole tra le search e gli ads. L’aumento di attori in un “side” del mercato apporta benefici a tutto il sistema; – Costi fissi – gli advertiser incorrono in costi fissi nell’uso delle search-ad platform quali: costi di setup (installazione sw, imparare a usarlo ecc.), gestione e monitoraggio della campagna. Questi costi scoraggiano gli advertiser dal lanciare le loro campagne su piattaforme piccole; – Revenue per search – diverse search-ad platform, a parità di traffico e keyword bids, possono differenziarsi sul revenue-persearch (RPS). Questo capita se una piattaforma riesce meglio delle altre a estrarre valore dagli advertiser, avendo un
meccanismo ad asta più efficiente o stimando meglio i CTR. Questo permette di avere CPC più alti. 9.4.3 Principale innovazione nel search advertising La principale innovazione del search advertising riguarda gli algoritmi di ricerca adoperati dalle search platform. Lo sviluppo di algoritmi come strumenti alla base dei motori di ricerca è stato l’elemento chiave che ha scardinato gli asset delle aziende preesistenti creando nuove opportunità e di conseguenza nuovi mercati. Prima dell’avvento dei motori di ricerca la navigazione su Internet era pressoché basata sugli hyperlink che collegavano le pagine. Le pagine di accesso al web erano principalmente i portali come Yahoo! dove gli utenti venivano guidati verso i siti
contenenti il contenuto di proprio interesse tramite tassonomie che organizzavano e catalogavano i website. Successivamente, il comportamento dell’utente è maturato incominciando a diventare maggiormente attivo, il contenuto di proprio interesse veniva a questo punto ricercato con un motore di ricerca. Anche durante questo passaggio si è potuto constatare un crescendo di complessità nel comportamento dell’utente. Inizialmente le query erano composte in media da una o due parole. Successivamente le query sono diventate sempre più complesse comprendendo più di due parole fino a ricercare delle frasi intere. Tale maturità dell’utente si è poi rispecchiata nell’esigenza di avere risultati più pertinenti possibili con la propria interrogazione al motore. Questo ha fatto sì che si affermassero le search platform tecnologicamente più avanzate, dunque con i migliori algoritmi di ranking. Ecco come
Google, grazie alla sua tecnologia è riuscita a scalzare i player dell’epoca che erano già operatori affermati, diventando il leader indiscusso. Il distacco ora accumulato dal leader rende sempre più difficile la possibilità di una reale competizione da parte di eventuali competitor. Infatti il poter disporre di un’audience enorme permette al leader di accumulare dati statisticamente rilevanti (o comunque più rilevanti rispetto ai competitor) sul comportamento degli utenti di fronte ai risultati proposti per una determinata query. Tali dati possono essere analizzati e utilizzati per migliorare gli algoritmi di ricerca o per sviluppare nuove funzionalità meglio dei propri competitor come ad esempio le ricerche correlate, il misspelling (“forse cercavi…”) in caso di query nulle ecc. Le principali innovazioni lato advertiser consistono nel sistema ad asta e nel
meccanismo di abbinamento dell’annuncio con la query, il quale non avviene solo tramite match di keywords ma anche assegnando un punteggio di qualità all’annuncio. Questo avviene per il semplice motivo che la search platform guadagna solo se l’annuncio è cliccato, quindi deve cercare di massimizzare il suo ritorno cercando di esporre annunci di qualità che tendenzialmente ricevono più click rispetto ad annunci scadenti.
Possiamo a sintetizzare le due principali innovazioni lato advertiser:
– Keyword bidding system – le search advertising platform generalmente adoperano un sistema ad asta, dove gli advertiser fanno offerte per aggiudicarsi gli slot di maggior visibilità associati alla ricerca di determinate keyword; – CTR – la sola asta non determina però la posizione degli ads. Le search advertising platform per massimizzare i propri profitti stimano un punteggio di qualità dell’ad, il click through rate (CTR). Combinandolo con il meccanismo ad asta determinano il Cost per Click (CPC) e gli slot, dove appaiono gli advertiser. In tale modo le Search Platform si garantiscono la migliore allocazione degli slot. 9.4.4 Approfondimento Display Advertising Market A fine 2014 vi erano circa 1,1 miliardi di siti
web. Tutti questi siti hanno l’opportunità di rendere disponibile dello spazio per la pubblicità e ricevere in cambio denaro dagli inserzionisti per gli utenti che vedranno l’inserzione. Quasi tutti i website che hanno un volume significativo di traffico, hanno al proprio interno della pubblicità. La maggior parte dei siti su Internet deve la maggior parte delle proprie fonti di revenue proprio alla pubblicità. Tra gli editori di questi siti web vi sono aziende tradizionali che hanno creato estensioni online, come la Repubblica con repubblica.it, nuove aziende prettamente attivate su Internet, come YouTube, blog come tecnocrati.com, social network come Facebook, e infine portali web che operano con le proprie piattaforme come Msn e Yahoo!. Il settore della pubblicità su siti di editori web è un ecosistema complesso che ci proponiamo di analizzare e descrivere nelle restanti parti di questo manuale.
Gli editori web creano l’inventario pubblicitario mentre realizzano il layout delle loro pagine web, in modo tale da poter recepire grafica, testo o video in varie porzioni della pagina. Queste porzioni di pagina che sono riservate per la pubblicità includono del codice che permette di ricevere le inserzioni in tempo reale da varie sorgenti. Vista la necessità del codice, molti website non cambiano lo spazio dedicato agli annunci frequentemente, e quando non è disponibile della pubblicità, spesso usano gli spazi per l’autopromozione. Nell’immagine qui di fianco è mostrato un tipico layout di pagina web con i relativi spazi per ospitare gli annunci. L’ad inventory fornito dai publisher è dato dalla combinazione di due variabili chiave: la quantità di spazio dedicato alla pubblicità e la tipologia di lettori che attrae. Gli spazi forniti dai publisher sono molto eterogenei e di diversa qualità per diverse ragioni:
– Alcuni spazi sono più appetibili di altri (ad esempio il top right è preferibile al bottom left per via che gli user vi prestano più attenzione); – Alcuni user sono più appetibili di altri per gli advertiser (ad esempio lettori di 18-49 anni vs. 50+) e la tecnologia dell’online advertising permette agli editori e inserzionisti di stabilire dei prezzi per gli user che hanno particolari caratteristiche; – Alcuni siti sono di maggior valore rispetto ad altri (ad esempio siti che trattano temi di finanza vs. tempo libero), ciò è dovuto in parte al tipo di user che il sito attrae e in parte dalla predisposizione che gli user hanno all’acquisto (purchase intention).
9.4.5 Mercato del display advertising
Come avviene per ogni tipologia di mercato, in cui vi siano compratori e venditori, i publisher e gli advertiser necessitano di modalità per individuare le opportunità di scambio e di stabilire i prezzi della transazione. Esistono due modalità attraverso le quali avviene l’intermediazione tra il publisher e l’advertiser (o la media agency che rappresenta l’inserzionista): – Direttamente, attraverso scambi bilaterali tra publisher e advertiser, utilizzando una forza vendita; – Indirettamente, attraverso scambi multilaterali tra publisher e advertiser utilizzando degli advertising networks. Il punto fin dove advertiser e publisher utilizzino metodi diretti o indiretti varia. Piccoli editori tipicamente si affidano sull’intermediazione indiretta perché non è
per loro economicamente conveniente addossarsi i costi di gestione di una rete di vendita. I grandi editori e inserzionisti invece usano spesso entrambi i metodi. I grandi publisher vendono direttamente i loro spazi premium, come ad esempio gli spazi in homepage. Usano però anche metodi indiretti per vendere gli spazi di più bassa qualità, come gli spazi inferiori delle pagine, o per vendere gli spazi premium rimasti invenduti perché o non è stato venduto tutto l’inventory ai prezzi cercati nell’intermediazione diretta o perché il sito ha avuto un incremento imprevisto delle visite che ha comportato un aumento inaspettato dell’inventory. Con l’intermediazione diretta i publisher riescono a spuntare prezzi più alti per i propri spazi rispetto all’intermediazione indiretta. Una ricerca di Bain condotta in collaborazione con lo IAB ha evidenziato, indicativamente, che il 90% dell’inventory è
venduto indirettamente e il restante 10% tramite direct sales. In termini di valore il 10% di inventory venduto direttamente genera il 70% con un CPM (“cost per mille impression”) medio tra il 12 e 18 dollari mentre il 90% intermediato indirettamente è responsabile del 30% del valore del mercato con CPM medio che si attesta su 1 dollaro (vedi immagine). Inserzionisti e publisher dipendono da diversi servizi ai quali provvedono direttamente con soluzioni sviluppate in proprio o altrimenti si rivolgono a fornitori terzi: – Grandi inserzionisti e agenzie pubblicitarie prendono in licenza servizi di advertising come ad esempio AdManager di aQuantive o DART for Advertiser di DoubleClick. Tipicamente gestiscono pubblicità di diverso tipo su centinaia di siti. Il software permette loro di gestire
questa varietà di campagne pubblicitarie e istruisce il server su che tipo di pubblicità (creatività, formati ecc.) recapitare e dove recapitarla. Questi tool generalmente sono server-based software in hosting su web server del provider; – I grandi publisher generalmente utilizzano tool come ad esempio DART for Publisher di DoubleClick. L’editore integra del codice nelle proprie pagine che collegano gli spazi pubblicitari al tool di modo che il software li gestisca, faccia il reporting e provveda a recapitarvi le inserzioni. Quando uno user accede a una pagina il tool del publisher prende delle decisioni in base a delle regole prestabilite: controlla che lo spazio pubblicitario che lo user sta per vedere è stato venduto come premium, in caso contrario controlla che ci sia un advertising network che possa riempire quello spazio, successivamente recupera l’ad o si rivolge al server del
network o all’advertiser per recuperarlo il quale sarà poi mostrato nella pagina. Tutto questo processo avviene in un battito di palpebre. Sono pochi i grandi publisher che hanno sviluppato un proprio tool invece di affidarsi a un software di terze parti. Anche in questo caso sono server-based software in hosting sul web server del provider. Alcuni, pochi, provider forniscono poi soluzioni complete per advertiser e publisher. AdSense/AdWords di Google ad esempio è una di queste. I publisher possono collegare i loro spazi a AdSense che si prende cura di tutto: vendere lo spazio, recapitare l’ad, monitoraggio e gestione dello spazio, consegnare il ricavato al publisher previo trattenere una commissione per i servizi. Gli advertiser analogamente possono comprare spazi dal Google Content Network attraverso AdWords (in bundle con i servizi di search advertising). Yahoo! e Microsoft offrono
soluzioni simili. Tali soluzioni discendono dalle tecnologie sviluppate per il search advertising, specialmente i meccanismi ad aste per le keyword. 9.5 innovazione nel display advertising La principale innovazione tecnologica dell’online advertising rispetto alla pubblicità su media tradizionali è la capacità di indirizzare gli annunci a particolari consumatori. Nell’online advertising è possibile utilizzare diversi dati per colpire determinati individui e inoltre è possibile customizzare gli spazi pubblicitari per ogni visitatore: persone che accedono a uno stesso sito nello stesso tempo possono quindi vedere pubblicità diverse. Esistono fondamentalmente due tipologie di tecnologie di targeting: il contextual targeting e il non contextual targeting.
9.5.1 Contextual Targeting È basato sullo scanning del contenuto della webpage del publisher per potervi inserire un annuncio che sia contestuale al tema trattato. Le piattaforme dei motori di ricerca utilizzano i loro sistemi di keyword bidding per vendere pubblicità sui siti dei publisher che appartengono ai loro network. Gli advertiser fanno il bid sulle keyword esattamente come lo facessero per il search advertising. Successivamente la piattaforma contextual provvede a recapitare l’annuncio dell’inserzionista nelle pagine web dove compaiono le keyword che l’advertiser ha comprato. Oltre al sistema di keyword bidding gli advertiser possono scegliere il posizionamento degli ad anche in base ad altri criteri come l’orario del giorno, il tipo di website ecc.
Il contextual targeting per quanto diffuso e adottato dalle leading platform, come Google, mostra un profondo punto debole, quello di non essere abbastanza intelligente per comprendere a pieno il contesto della pagina che ospiterà l’ad. Questo è quello che si propone di fare la tecnologia successore del contextual: il semantic. Il contextual inserisce annunci nelle pagine basandosi sul fatto di trovare in essa determinate keyword che l’advertiser ha legato all’annuncio. Il limite di tale tecnologia è il gap semantico che non viene preso in considerazione. Una pagina web può parlare di vini senza per forza dover far riferimento alla parola vini, ma magari descrivendola o usando sinonimi e modi di dire, come il “nettare degli dei”, oppure una pagina nella quale si parla dell’attore Fabio Volo, la piattaforma potrebbe mostrare annunci di viaggi o compagnie aeree. O ancora in alcuni casi il contesto è giusto ma
non ne viene percepita l’indole negativa come la pubblicità di una compagnia aerea in una pagina che parla di disastri aerei. Il semantic advertising si ripropone di superare i limiti del contextual appunto cercando di comprendere il contesto e i concetti delle pagine web. Al momento la tecnologia non è ancora matura ma incominciano a vedersi i primi tentativi ed esperimenti. Ad Pepper ha per esempio acquistato una società che ha sviluppato tecnologia semantica per 8 milioni di dollari e ha integrato tale tecnologia nella propria piattaforma pubblicitaria. È comunque lecito aspettarsi che i passi più grandi in questa tecnologia saranno fatti dai motori di ricerca che utilizzeranno questa tecnologia anche per fornire migliori risultati ai propri user e la declineranno poi nelle loro piattaforme di advertising, come è avvenuto per il contextual.
9.5.2 Non Contextual Targeting Il non contextual targeting utilizza informazioni sulla navigazione e sull’utente per mostrare allo user una pubblicità svincolata dal contesto della pagina dove al momento si trova il lettore. Ci sono tre principali sorgenti d’informazione utilizzate a questo scopo: – Indirizzo IP di ogni visitatore è utilizzato per la geolocalizzazione degli utenti; – Cookie, inseriti dal sito sul computer dell’utente, permettono di raccogliere varie informazioni incluso le webpage che gli utenti hanno visitato; – Correlazione dell’IP con altre informazioni, visto che gli IP sono catturati da diverse sorgenti, è possibile, almeno in principio, arrivare a determinare chi sono esattamente gli utenti.
Tra le principali tecnologie del non contextual targeting che gli advertising network e le piattaforme utilizzano ci sono: geografico, socio-demografico, predittivo, collaborative, tecnico, comportamentale. Geografico Gli ip degli utenti sono identificati secondo la loro provenienza nazione/città. Un inserzionista può quindi scegliere di mostrare il proprio messaggio pubblicitario solo a user di una determinata aerea. La principale criticità di tale tecnologia è che può risultare imprecisa specie quando gli utenti dislocati in varie aree geografiche escono tutti dalla dorsale di collegamento del loro Internet provider (ad esempio utenti Fastweb). Socio-demografico Gli annunci verranno mostrati a utenti
profilati secondo dati socio-demografici come l’età, il sesso. I dati a tal proposito arrivano da registrazioni a servizi che l’utente ha fatto, oppure sono dedotti dai siti che visitano. Predittivo I dati utente acquisiti in tempo reale, riguardanti l’uso del web, sono valutati e collegati a quelli socio-demografici (come l’età e il sesso). La combinazione esatta d’interessi e caratteristiche sociodemografiche in accordo fra loro garantisce un aumento della copertura e un’accurata definizione dei gruppi target e dei loro interessi. Collaborative Si mettono in associazione gli annunci, se molti utenti cliccano due annunci, si crea una correlazione fra essi. Dato uno specifico
utente, si prelevano gli ultimi annunci cliccati e si visualizzano gli annunci più “correlati” a essi. Sfruttiamo il clickstream degli utenti per capire come correlare gli annunci. Tecnico È possibile valutare le varie informazioni tecniche: tipo di browser, plug-in istallati come Flash Player e, talvolta, perfino la velocità di richiamo. Comportamentale Il targeting comportamentale (behavioural) identifica gruppi di utenti o singoli individui le cui azioni rivelano un interesse specifico per un dato prodotto, servizio o marchio. Le informazioni a tal riguardo sono prese dall’analisi della navigazione dei siti da parte dell’utente, dalle pubblicità cliccate, dalle ricerche fatte e altre informazioni adoperate
dal non-contextual che abbiamo visto sino a ora. Ovviamente per l’analisi della navigazione bisogna avere un network di siti sui quali è monitorata l’attività dell’utente, al di fuori di questo network la navigazione non può essere tracciata. Di conseguenza per ottenere buoni risultati bisogna avere quanti più siti possibili all’interno del proprio network. Le informazioni riguardo alle ricerche che l’utente ha fatto derivano da siti interni al network che ospitano servizi di ricerca o dal referral del sito di provenienza che non è nel network: facendo una ricerca su Google, ad esempio, l’utente è portato sulla pagina dei risultati che nell’url ha inseriti i parametri della ricerca, se l’utente poi clicca su un risultato che lo porta a un sito che risulta essere in un network utilizzante il behavioural, la piattaforma in questione individuerà nel referral del sito di provenienza (in questo caso la pagina di
risultati del motore) le informazioni sulla ricerca fatta dall’utente che utilizzerà per la determinazione degli interessi dello stesso. Per quanto riguarda la determinazione degli interessi dedotta dall’analisi della navigazione questa è effettuata inserendo dei tag di codici nei siti del network che esplicitano alla piattaforma di cosa parla quella determinata pagina. Questa operazione è fatta dai webmaster e poi successivamente viene controllata dalla piattaforma tramite controllo umano o tramite un processo automatico che analizza il contenuto della pagina e verifica semanticamente (tramite uso di ontologia o sorgenti di sapere libere come Wikipedia) l’attinenza dei tag. Nello schema seguente le varie fonti di dati per la determinazione dei profili degli utenti. Sostanzialmente il behavioural si presuppone come obiettivo quello non di vendere pagine sulla quale poi andare a
riversare pubblicità, ma profili di persone.
Nello schema rappresentato nella Figura 9.26 mostriamo i processi semplificati di una piattaforma di behavioural targeting.
Una criticità del targeting comportamentale consiste nella privacy dell’utente sulla quale al momento non c’è un quadro legislativo preciso di riferimento ma piuttosto delle indicazioni.
9.6 approfondimento advertising networks market Come già accennato nei precedenti paragrafi, quando si parla di advertising network si fa riferimento a soggetti o imprese che si occupano di connettere gli advertiser con quei siti o portali interessati a inserire degli spazi pubblicitari. Date le dimensioni del fenomeno Internet, gli advertising network rappresentano una importante tipologia di player nell’ambito dell’online advertising. Se come già detto, reperire informazioni online è un’attività che richiede dei costi sia in termini di tempo sia di qualità delle informazioni raccolte, lo stesso vale per l’intermediazione pubblicitaria e la vendita di spazi. L’intermediazione diretta ha costi di gestione molto alti, dovuti principalmente alla necessità di attivare contatti di tipo oneto-one tra l’advertiser e il singolo gestore di ogni sito. I top 100 publisher vendono solo il
40% del loro inventario attraverso l’intermediazione diretta. Il 30-40% del totale della pagine web visitate possono essere attribuite ai dieci più trafficati domini, mentre il ricavato pubblicitario dei dieci più grandi publisher tracciato dall’Interactive Advertising Bureau (IAB) si attesta a circa il 70% dell’intero mercato. Questa concentrazione verso l’alto è destinata ad attenuarsi in breve tempo: gli Ad Network offrono un modo per diffondere il benessere e allo stesso tempo incrementano la crescita di ricavi dell’intero mercato. In un mondo senza Ad Network pochi grandi publisher sarebbero in grado di vendere tutto il proprio inventario. I piccoli publisher non possono permettersi una propria forza vendita e non sono in grado di fornire specifici servizi quali ricerca e statistiche per vendere i propri spazi direttamente. D’altra parte, anche i grandi
publisher non riescono a piazzare interamente tutto il proprio inventario agli inserzionisti ai tassi che loro devono applicare per sostenere l’integrità del loro marketplace. È fondamentale poi capire le motivazioni e i bisogni di due differenti gruppi di advertiser: i brand advertiser e direct marketer. Per i Brand Advertiser, come P&G o Colgate, un obiettivo di marketing è di comunicare con un certo target di audience stabilito, dopodiché questo obiettivo viene traslato in campagne media le quali possono includere o no l’uso di spazi online come banner o rich media. Bilanciando gli obiettivi contro i costi, un advertiser o la sua agenzia useranno un servizio di metriche e statistiche, come ComScore o Nielsen, per selezionare, in base a criteri demografici o altre caratteristiche dell’audience target, i potenziali siti dove inserire i propri ad. Dopo
aver individuato quali possono essere gli spazi web più adatti al singolo prodotto, a questo punto, tramite l’intermediazione diretta, avviene la trattativa per l’acquisto degli spazi interessati. Questi premium advertiser tipicamente acquisiscono spazi sui grandi portali e gli Ad Network possono essere inclusi come una voce nel budget di marketing e comunicazione (sia come strategia di media mix che come marketing plan) per ridurre i costi totali della campagna o per spingere il messaggio più in profondità in specifici subsegmenti (similmente a come avviene tra tv nazionali e tv satellitari). I direct marketer, come amazon.com, che vendono prodotti o acquisiscono contatti attraverso i canali online svilupperanno le loro campagne usando i sistemi di online a inventory. Per i direct marketer il ROI della campagna è essenziale. Basandosi su questo, un direct marketer continuamente ottimizzerà il posizionamento dei propri Ad.
Gli Ad Network rispondono esattamente a tale esigenza per il loro pricing efficiente e la loro amplia reach. Gli Advertiser, sia i brand advertiser che i direct marketer e le loro agenzie si ritrovano a far fronte a particolari situazioni nel mercato del digital advertising: – I piccoli siti sono percepiti come di bassa qualità per i grandi brand advertiser. I siti popolari o molto trafficati sono considerati generalmente di maggior valore dati i bisogni dei grandi brand advertiser di reach e di frequency; – Problemi di contesto a un livello concettuale (alcuni publisher sono accettabili altri no); – Comprare spazi da piccoli siti è molto oneroso in termini di tempo per i brand advertiser e i direct marketer; – Sono pochi i siti o i network che possono andare incontro da soli agli obiettivi dei
brand advertiser; – Frammentazione digitale e aumento dello share per siti di nicchia appartenenti alla mid tail e long tail; – L’esplosione in numero di diverse piattaforme digitali, dal mobile ai social network ai widget che frammentano ulteriormente il mercato. Gli Ad Network possono offrire soluzione a tutte queste perplessità:
una
– Direct Marketer possono procurarsi dell’inventario avanzato da publisher di maggior qualità e anche maggiore portata dai publisher della long tail; – Brand advertiser possono comprare display come hanno sempre fatto ma grazie a un modo più efficiente di comprare emerso con gli Ad Network, possono considerare la mid e long tail e altri
contenuti residuali mentre gestiscono meglio i costi dei media; – I costi per gestire l’acquisto da più fornitori per una campagna spingono gli advertiser verso i Network che possono fornire un one stop shopping per ottenere così evidenti efficienze; – Aggregano audience di milioni di persone. I più grandi network hanno reach del 90%. La risorsa chiave degli advertising network è la piattaforma tecnologica. Esistono due principali tipologie di piattaforma per la connessione degli advertiser con i publisher Integrated Contextual e Decentralized non-contextual. Integrated Contextual Fornisce una suite completa di servizi integrati per advertiser e publisher. Gli advertiser utilizzano lo stesso software delle
campagne di search advertising per fare le loro campagne di pubblicità contestuale. Fanno keyword bidding sulla piattaforma del network di publisher, la piattaforma IC inserisce poi gli Ad forniti dagli advertiser sui siti, corrispondenti per bid e per contenuto, del proprio network. Sostanzialmente i motori di ricerca hanno fatto leva sui propri assets tecnologici creandosi delle piattaforme per gestire network pubblicitari (AdWords/AdSense di Google, Yahoo! Content Publisher, MSN). Decentralized non-contextual Si basa su tecnologie di targeting che non prendono in considerazione il contenuto del sito ma piuttosto informazioni che riguardano il visitatore e informazioni generiche del sito (non contextual targeting). Si definiscono decentralizzate per il motivo che la piattaforma non gestisce l’intero processo che va del reperire l’Ad e dal
renderlo visibile agli occhi degli utenti: – Il publisher usa, generalmente, un tool per la gestione degli spazi. Vende i propri spazi sia direttamente, che indirettamente su Ad Network. L’Advertiser usa invece un tool per la gestione delle proprie campagne e per l’ottimizzazione della propria spesa. Compra spazi sia direttamente che indirettamente su diversi Ad Network. 9.7 mercato e-commerce Le tecnologie dell’informazione hanno iniziato a trasformare le relazioni impresemercati sin dagli ultimi anni Sessanta, quando furono sviluppate le prime applicazioni dell’EDI (Electronic Data
Interchange), seguite poi dalla rapida diffusione dei sistemi di EFT (Electronic Funds Transfert), di telemarketing, di banca telefonica e così via. Interi settori industriali hanno potuto modificare la propria struttura e processi produttivi grazie allo sviluppo di reti informatiche e il commercio elettronico rappresenta, senza dubbio, uno dei servizi più promettenti della rete e uno dei fattori chiave della società dell’informazione. Ma quali sono oggi il significato e la portata del commercio elettronico? Esso assume significati diversi a seconda della prospettiva entro la quale si pone l’osservazione: – Secondo una prospettiva di comunicazione, il commercio elettronico consiste nella diffusione di informazioni su imprese e organizzazioni, sulle loro attività e sui loro prodotti e servizi mediante linee
telefoniche, reti di computer o qualsiasi altro mezzo elettronico; – Secondo una prospettiva di relazione con la clientela, il commercio elettronico consiste nell’insieme di strumenti volti ad accrescere l’efficacia e l’efficienza dei sistemi impiegati dalle imprese per promuovere, sviluppare e consolidare le relazioni con i clienti presenti e futuri; – Infine, secondo una prospettiva di processo aziendale il commercio elettronico rappresenta l’applicazione della tecnologia all’automazione alle transazioni e ai cicli operativi. Due studiosi del MIT, Thomas W. Malone e Robert J. Laubacher, scrivono: “[…] con l’introduzione dei potenti personal computer e delle reti elettroniche di grande capacità […] l’equazione economica cambia. Gli individui possono essere manager di sé stessi,
coordinando i propri sforzi con quelli di altri operatori indipendenti attraverso collegamenti elettronici: Il piccolo diviene buono”.
Al di là di questo tipo di analisi, vi sono numerose definizioni di commercio elettronico, alcune molto rilevanti in termini di autorevolezza e grado di diffusione: – “Il commercio elettronico ha come oggetto lo svolgimento degli affari per via elettronica. Esso si basa sull’elaborazione e trasmissione elettronica di informazioni digitalizzate, ivi compresi testi, suoni e immagini. Il commercio elettronico ricomprende molte attività diverse, quali la compravendita di beni e servizi per via elettronica, la distribuzione in linea di contenuti digitali, il trasferimento elettronico di fondi, le contrattazioni elettroniche di borsa, le gare d’appalto e le vendite all’asta, il design e la progettazione
in collaborazione, la selezione in linea dei fornitori, il marketing diretto di beni e servizi per il consumatore, nonché l’assistenza postvendita” (Commissione europea, 1997); – “Il commercio elettronico è un sistema che incluse non solo quelle transazioni che si manifestano nell’acquisto e nella vendita di beni e servizi al fine di generare ricavi, ma anche quelle transazioni che supportano la generazione dei ricavi, quali la promozione della domanda, l’offerta di assistenza di vendita e di servizio alla clientela, o lo sviluppo della comunicazione tra imprese” (Kosiur,1997); – “Il commercio elettronico è il termine generale per definire il processo di acquisto e di vendita supportato da mezzi elettronici” (Kotler, Armstrong, Saunders e Wong, 1999, p.966).
9.7.1 Le origini dell’e-commerce Nel 1979, Michael Aldrich, ha sviluppato un predecessore di shopping online, per permettere l’elaborazione delle transazioni online tra consumatori e imprese, o tra un lavoro e l’altro, una tecnica nota ai nostri giorni come e-commerce. Le origini dell’e-commerce risalgono, però ai primi anni Settanta nell’Electronic Data Interchange (EDI), sistema che consente il trasferimento di informazioni e documenti commerciali in un formato elettronico. Creato dalle imprese di trasporto, divenne molto importante nelle industrie in cui circolavano volumi molto elevati di scorte (come le industrie alimentari e automobilistiche). L’EDI è un modo molto semplice per automatizzare gli acquisti, i venditori al dettaglio di solito lo usano per permettere ai propri magazzini di raggiungere i fornitori
direttamente nel loro database. Ai tempi della sua nascita non esisteva una rete globale quale è Internet oggi, quindi il sistema era supportato da reti di telecomunicazione private e sicure. Nonostante i vantaggi prodotti, l’EDI era una soluzione molto costosa da realizzare, dato che era richiesta una linea di connessione dedicata tra i partner della transazione; inoltre non è un sistema interattivo, ciò significa che venditore e compratore non possono negoziare e discutere sul prezzo delle merci, possono solo accettare i termini dati della transazione. A causa di questi svantaggi l’EDI è rimasto a lungo alla portata esclusiva dalle grandi imprese. Con l’avvento di Internet tutto è cambiato: Internet è tutto ciò che l’EDI non è, è conveniente e facile da usare, è ovunque e chiunque può utilizzarlo. Prima dell’era del web, l’e-commerce era
un’attività quasi sconosciuta del business-tobusiness, ma in seguito la corsa all’oro delle Dot-com ha portato l’e-commerce alle luci della ribalta. Un comunicato stampa del 19 febbraio 1996 Olivetti Telemedia annunciava l’apertura di Cybermercato, il primo negozio virtuale italiano e uno dei primi in tutta Europa. All’indirizzo www.mercato.it era possibile acquistare libri, articoli da regalo, computer, prodotti multimediali e altro ancora. L’iniziativa era promossa da La Rinascente, le case editrici Franco Maria Ricci e McGraw-Hill, Apple, Olivetti, Vobis, Dessilani, Parmador e altri ancora. Poco prima dell’estate del 1999 molte aziende europee si sono affrettate per avviare un’attività su Internet, ma come attesta la Webmergers, una compagnia che si occupa di fusioni e acquisizioni, più di 100 società di e-commerce chiusero i negozi soprattutto perché non riuscivano a trovare il modo per
ottenere profitti. Gli scettici affermavano che l’e-commerce fosse morto prima ancora di nascere. Certamente la prima generazione di società che si è avventurata nel mondo del commercio elettronico si è mossa per tentativi: con un background praticamente inesistente, cercava di ottenere profitti e soprattutto il più velocemente possibile, in modo da conquistare le posizioni più vantaggiose. 9.7.2 Le tipologie di e-commerce Con il termine “commercio elettronico” (ecommerce) s’intende quell’insieme di transazioni commerciali fra produttore e consumatore realizzate con l’utilizzo del computer e reti telematiche e finalizzate allo scambio di informazioni direttamente correlate alla vendita di beni e servizi.
La storia del commercio elettronico risale agli anni Settanta, quando attraverso l’utilizzo di reti private le aziende potevano scambiarsi informazioni di tipo commerciale così che fornitori e acquirenti comunicavano tra loro aggiornandosi costantemente. Il commercio elettronico si presenta in modalità e ambienti diversi a seconda dei soggetti che ne prendono parte, cittadino, imprese, istituzioni ecc. Vengono di seguito descritte le modalità di commercio elettronico più diffuse. 9.7.3 E-commerce business to business (B2B) Riguarda il commercio tra aziende, quindi non interessa il consumatore finale di beni e servizi, si tratta di transazione che coinvolgono un numero limitato di soggetti e gli importi solitamente sono elevati e gestiti offline.
Comprende tutte le transazioni elettroniche effettuate tra le imprese e si sviluppa principalmente in tre aree principali: e-marketplace, e-procurement e edistribution. Il marketplace è il luogo, reale o metafisico, in cui avvengono gli scambi, più in particolare si tratta di un mercato online in cui sono raggruppate le merci di diversi venditori o diversi siti web. L’esempio più noto di marketplace è eBay, che ha reso possibile ai collezionisti di incontrarsi in rete scambiarsi gli oggetti più svariati. L’e-procurement indica quell’insieme di tecnologie, procedure, operazioni e modalità organizzative, che consentono l’acquisizione di beni e servizio online, tra aziende. Si tratta di una piattaforma elettronica sviluppata per sostenere l’azienda nella fase di approvvigionamento, permette a utenti identificati e qualificati la ricerca di venditori di beni e servizi (e-catalog), così come di
compratori. L’e-distribution è un’applicazione e-business che facilita ogni aspetto della catena di distribuzione, immagazzinaggio, ordini, inventario, consegna, pagamento fino alla gestione dei servizi. Il commercio elettronico B2B sta cambiando radicalmente le relazioni tra fornitori e clienti: le imprese utilizzano siti di e-commerce per aste, scambi a pronta cassa, cataloghi di prodotti online, siti di baratto, offerte di gruppo, beni digitali e altre risorse online per ottenere prezzi più vantaggiosi. L’obiettivo dell’e-commerce è garantire una maggiore efficacia dei rispettivi mercati. In passato la raccolta di informazioni su potenziali fornitori operanti in tutto il mondo richiedeva un elevato dispendio di energie; grazie a Internet oggi gli acquirenti dispongono di un facile accesso a un enorme volume di informazioni, che possono provenire da siti di e-commerce, business-to-
business, infomediari, ossia intermediari che offrono valore aggiunto aggregando le informazioni relative alle alternative disponibili, intermediari d’affari, cioè terze parti che creano nuovi mercati mettendo in contatto acquirenti e venditori e comunità dei consumatori, vale a dire siti, blog dove gli acquirenti si scambiano informazioni sui prodotti e servizi dei fornitori. Inoltre, grazie all’e-commerce B2B la gestione dell’inventario può essere effettuata in modo più efficiente; se si sincronizza il sito web alla gestione interna, si può avere a disposizione uno strumento di lavoro efficiente e aggiornato col magazzino e la fatturazione; si rende più facile anche l’automatizzazione delle vendite; migliora la gestione delle richieste dei clienti; è possibile ottenere prodotti sul mercato più rapidamente; si riducono i costi al personale, in quanto non si ha più bisogno di alcuni uffici.
Infine distinguiamo due tipi di siti di ecommerce B2B: siti di supporto alla rete di vendita tradizionale, nel caso si tratti di prodotti non commerciabili su Internet per varie ragioni, che supportano l’azione prevendita e post-vendita, e siti per la vendita online vera e propria. 9.7.4 E-commerce business to consumer (B2C) Il modello più noto di commercio elettronico riguarda l’acquisto di beni e servizi da parte del consumatore finale. La sua espansione ha coinciso con la capillare diffusione di Internet negli uffici, nelle case e nelle scuole. Di fatto rappresenta un nuovo canale di distribuzione, veloce ed economico, che permette alle aziende di saltare i canali classici della distribuzione e vendere direttamente al cliente finale.
I vantaggi derivanti da una soluzione del genere sono, per l’azienda, la possibilità di ottenere margini più alti grazie anche a un maggior controllo del mercato in cui ci si trova e un’estensione di quello potenziale, quindi si può entrare in contatto con consumatori altrimenti difficilmente raggiungibili; per il consumatore questi vantaggi si sostanziano in prezzi più convenienti e nella possibilità di aver accesso a un’offerta eccezionalmente ampia di prodotti e servizi, stando comodamente seduti davanti al proprio computer. Uno dei casi di maggior successo è quello di amazon.com, una vera e propria libreria virtuale che ha lanciato il suo sito nel 1995 e mette a disposizione oltre 2.000.000 di titoli. Oltre ai libri, Amazon ha ampliato la gamma dei prodotti venduti a DVD, CD musicali, software, videogiochi, prodotti elettronici, abbigliamento, mobilio, cibo, giocattoli ecc. L’e-commerce B2C è cresciuto fino a
includere, oltre ai libri, servizi come l’online banking, servizi di viaggio, aste online, informazioni sulla salute e siti immobiliari. Sotto il profilo della modalità di spedizione del prodotto, possiamo effettuare un’ulteriore distinzione tra commercio elettronico diretto e indiretto: Nel primo caso il bene, essendo in forma digitale – come ad esempio un software, un documento o un’informazione di borsa – o comunque un bene immateriale che non necessita, per il suo trasferimento, di un supporto fisico e quindi può essere inviato per via telematica. Si parla, invece, di commercio elettronico indiretto quando il prodotto è un bene fisico e quindi viene ordinato sul web e spedito tramite corriere espresso. 9.7.5 E-commerce business to employee (B2E)
L’evoluzione delle ITC ha toccato già tutti gli ambiti dell’operatività aziendale: non poteva trascurare quindi una delle aree più delicate, quella del personale. B2E viene usato per indicare tutte quelle infrastrutture e applicazione in grado di gestire il rapporto commerciale e operativo tra aziende, dipendenti e collaboratori. L’entità singola che meglio rappresenta questo interscambio e le transazioni sottostanti è il “Portale”. Possiamo definire il B2E come un “insieme di strumenti e metodologie che influenzano il modo d’interagire dei singoli lavoratori con le organizzazioni, aumentando l’impatto del singolo sul business”. Sono molte le discipline coinvolte in questo settore: si va dall’infrastruttura hardware a moltissimi tipi di applicazioni (Content Management, business intelligence, Knowledge Management, software di gestione amministrativa).
In senso lato, il B2E comprende tutto ciò che l’impresa deve fare per attrarre e mantenere personale altamente qualificato, in un contesto competitivo, e molto altro. Ad esempio l’ADP, fornitore mondiale di Servizi di Payroll e HR Outsourcing, offre una soluzione per una gestione precisa, veloce e affidabile dell’amministrazione del personale. I vantaggi sono numerosi: il decentramento delle attività dall’ufficio del personale al dipendente, l’accesso diretto del dipendente alla sua situazione –anagrafica, ferie, rimborso spese – minore dispersione di tempo e documentazione. Oggi tutti i fornitori di questo tipo di servizi si sono dotatati di un’interfaccia web, all’interno del portale aziendale. 9.7.6 E-commerce business to administration (B2A)
Con il termine B2A, s’intendono le transazioni elettroniche tra imprese e pubblica amministrazione: le richieste di forniture pubbliche vengono pubblicizzate su Internet e le imprese possono rispondere per via elettronica. Attraverso il B2A si sostiene l’interazione dell’azienda con il governo su questioni come il pagamento delle tasse e delle imposte, richiedere informazioni, la sicurezza sociale, appalti pubblici, l’occupazione e molti altre. I governi cittadini, provinciali e statali offrono una varietà di servizi tramite i loro siti web. La partecipazione del governo al commercio elettronico ha il potenziale per creare molti effetti benefici: in primo luogo, sia come consumatore sia come fornitore di servizi di e-commerce, i governi hanno l’opportunità di conoscere la realtà economica e imprenditoriale delle transazioni online, e capire l’interdipendenza tra settore pubblico e privato nelle
transazioni online. In secondo luogo, come partecipanti all’e-commerce, i governi hanno la possibilità di adottare norme e regolamenti per facilitare le proprie attività online. 9.7.7 E-commerce consumer to business (C2B) È un tipo di commercio elettronico in cui i consumatori (privati) offrono beni e servizi alle imprese e alle società: una completa inversione del modello di business tradizionale. In questa particolare forma, i consumatori stabiliscono il prezzo che sono disposti a pagare per un prodotto o servizio e allo stesso tempo le aziende possono accettare o rifiutare l’offerta. Questo tipo di relazione economica è qualificato come un modello di business invertito. L’avvento del sistema
C2B è dovuto a grandi cambiamenti. Il collegamento di un grande gruppo di persone a una rete bidirezionale ha creato questo tipo di rapporto commerciale possibile. A differenza degli altri media tradizionali, Internet è un media bidirezionale. Inoltre, la diminuzione dei costi della tecnologia permette agli individui di avere accesso a tecnologie che una volta erano disponibili solo alle grandi imprese (la stampa digitale e la tecnologia di acquisizione, computer ad alte prestazioni, potenti software). Ci sono molti tipi di società il cui modello di business può essere considerato come C2B. I siti di pubblicità online come Google AdSense, piattaforme di affiliazione e di monitoraggio, come Commission Junction e programmi di affiliazione sono i migliori esempi di regimi C2B. Attraverso l’iscrizione a siti di questo genere, gli individui potranno pubblicare
annunci di testo contestuali, banner pubblicitari o qualsiasi altro elemento promozionale sui loro siti web personali, scegliendo la posizione esatta e il tipo di annuncio in base alla pertinenza con il sito. A questo punto gli inserzionisti fanno offerte sullo spazio pubblicitario in un’asta in tempo reale e gli utenti saranno remunerati in base al numero di visite o click sugli annunci. Il nuovo modello di business C2B è una rivoluzione perché introduce un nuovo schema di scambio collaborativo aprendo la strada a nuove applicazioni e nuovi comportamenti socioeconomici, in una prospettiva in cui si va sempre di più verso una situazione di customer empowerment, cioè la leva del potere si sposta in favore di chi acquista. 9.7.8 E-commerce consumer to consumer (C2C)
Negli ultimi anni una nuova forma di ecommerce è entrata nel mercato, il C2C ecommerce, e sta diventando sempre più popolare grazie all’attivazione di numerosi siti che gestiscono aste online. In questo caso il sito gestisce l’ambiente in cui gli utenti interagiscono e gli importi delle transazioni sono piuttosto contenuti, dato che di solito si scambia un solo articolo per volta. Le modalità di regolazione della transazione sono stabilite dal venditore e dall’acquirente. Molte sono le sfide da affrontare per un mercato ancora in espansione come questo: in primo luogo, vi è la necessità di mettere in contatto acquirente e venditore, in quanto, a differenza dei commercianti tradizionali, i singoli consumatori non sono in grado di pubblicizzare e commercializzare i loro affari con facilità. Una volta che acquirente e venditore sono entrati in contatto sorge un problema legato alla fiducia: le parti della
transazione saranno affidabili e come è possibile determinarlo? Infine rimane il problema delle operazioni monetarie: i privati non hanno la possibilità di utilizzare tutti i metodi di ricezione del denaro, i sistemi di pagamento che invece hanno a disposizione le aziende. Due dei modelli di maggior successo nel commercio elettronico C2C, entrambi portati direttamente da mondo del fisico al dominio online sono stati le aste e gli annunci. Uno dei principali fattori di successo soprattutto per i siti di aste è una grande base di abbonati e nel settore C2C vi è un leader globale: eBay. 9.7.9 E-commerce pear-to-pear (P2P) Con il termine “Peer-to-Peer”, cioè rete paritaria, s’intende una rete di computer che condividono le proprie risorse multimediali,
documenti, filmati, file audio, immagini, interagendo tra loro in modo diretto senza la necessità di dispositivi server intermediari ma utilizzando semplicemente delle applicazioni software dedicate. Le reti P2P, sono costituite dall’interconnessione di singoli nodi, ossia i singoli computer, collegati tra loro attraverso la rete Internet. Il servizio di P2P si basa quindi su un’architettura opposta a quella dei servizi client-service dove è invece presente un’entità centrale di tipo server verso il quale sono indirizzate le comunicazioni dei vari client che non possono comunicare direttamente per scambiare file multimediali e documenti. Vale a dire, ogni nodo, mentre è in grado di richiedere informazioni provenienti da altri server, ha anche le capacità di fungere da server e rispondere alle richieste di informazioni da altri clienti, allo stesso tempo.
Quest’approccio aumenta la quantità di valore che ogni nodo della rete può aggiungere, perché non solo prende le informazioni da una fonte, ma ha anche la possibilità di condividere tali informazioni con altre fonti. Le funzioni importanti del P2P sono tre: il discovering, ovvero la scoperta di nuovi peer; lo sharing che è la condivisione di file all’interno di una rete di calcolatori comuni, questa può avvenire anche attraverso un’architettura client-server; e infine la funzione querying che comporta la richiesta di contenuti ad altri peer. Forse l’esempio più noto di tecnologia peer-to-peer è stata la musica di Napster: un programma di file sharing che consente di scambiare file musicali in formato MP3 anonimamente e gratuitamente. Ha accumulato dieci milioni di utenti nel giro di dieci mesi dal suo lancio. Chiaramente l’infrazione dei copyright è illegale, quindi
Napster è stato citato a giudizio da un consorzio di cinque grandi case discografiche. Nel luglio del 2000 un giudice americano ha ordinato la chiusura del sito. Ma altri servizi dello stesso tipo si sono diffusi velocemente, come Gnutella o WinMX. Nell’ottobre del 2000 Napster ha annunciato l’alleanza con Bertelsmann, l’accordo prevede l’operatività del sito previo pagamento di una sorta di retta d’iscrizione. È stato obbligato installare un software che impedisce lo scambio di file protetti da copyright e ha così perso gran parte del suo appeal. Tuttavia non era un peer-to-peer puro in quanto utilizzava un sistema di server centrali che mantenevano la lista dei sistemi connessi e dei file condivisi, mentre le transazioni vere e proprie avvenivano direttamente tra i vari utenti. Quindi usavano il modello client-server per alcuni servizi e quello peer-to-peer per tutti gli altri.
Proprio questa doppia presenza di modelli fa sì che tali reti siano definite “ibride”. Reti come Gnutella o Freenet, se definiscono invece dei veri modelli di rete peer-to-peer in quanto utilizzano una struttura peer-to-peer per tutti i tipi di transazione, e per questo motivo vengono definite “pure”. 9.7.10 Innovazione nell’e-commerce L’evoluzione dei sistemi di e-commerce non ha subito particolari cambiamenti dovuti all’introduzione di specifiche tecnologiche, ma ha piuttosto seguito i trend generali che riguardano Internet nel suo complesso. Possiamo affermare che per il commercio basato sul Web sia stata più forte l’innovazione dal punto di vista del business model che da un punto di vista meramente tecnologico. Infatti, la value proposition è stata fortemente impattata da esigenze molto
chiare come il basso costo e la velocità di trovare il prodotto che serve. L’infrastruttura aperta di Internet, il basso costo e l’aumento della larghezza di banda hanno permesso ai compratori e ai venditori di entrare facilmente nel mondo commerciale globale. Come già detto, Internet facilita lo scambio di informazioni, con una tendenza a ridurre i costi delle asimmetrie informative. In questo modo il trade-off di informazioni tipico dei rapporti tra clienti e venditori si attenua, creando le basi per un mercato competitivo quasi perfetto, nel quale il prezzo tende a rappresentare in maniera quasi del tutto fedele il punto di equilibrio tra domanda e offerta. In un mercato “senza attrito”, dove gli acquirenti e i venditori sono direttamente collegati, sia le aziende di e-commerce sia i clienti traggono vantaggio e acquisiscono valore (sia dal lato della domanda sia dell’offerta) in termini di riduzione dei costi di ricerca, di minor costi delle transazione e
di tempi di risposta migliorati. Inoltre, Internet rompe le barriere e le limitazioni del tempo e costruisce un mercato dove ogni impresa è ugualmente e direttamente accessibile a qualsiasi cliente. In pratica, le applicazioni web-based del modello di business possono essere classificati in Business-to-Customer (B2C), Business-toBusiness (B2B), Customer-to-Business (C2B), e da cliente a cliente (C2C). Il web-based commerce permette alle aziende di essere collegate direttamente ai propri clienti; questo permette di ridurre significativamente i costi di transazione, di manodopera, di promozione, di assistenza e di inventario. Per esempio, General Electronic (GE) ha tagliato di 500-700 milioni di dollari i suoi costi di acquisizione e ha ridotto i costi di manodopera del 30% utilizzando Internet su un periodo di tre anni.
9.7.11 Benefici derivanti dall’e-commerce Internet ha trasformato la c.d. supply chain (il percorso che porta dalla fornitura delle materie prime alla vendita al dettaglio) in “Demand chain”, tramite l’integrazione del cliente nella catena di produzione. Secondo gli esperti della new economy, solo le aziende che riusciranno a determinare un rapporto diretto con il cliente saranno in grado di creare valore. La fidelizzazione del cliente contraddistingue il fine primario delle aziende che concepiscono il sito web più come un’opportunità per il consumatore che un’occasione per aumentare strettamente il proprio profitto. Analizziamo gli effetti più rilevanti che il commercio elettronico determina, sia in termini di benefici per gli acquirenti, sia di opportunità per le imprese. Per quanto concerne benefici o vantaggi che gli acquirenti, consumatori e
organizzazioni traggono dal commercio elettronico, essi possono essere così individuati: – Maggiore ampiezza di scelta. Internet consente uno shopping interplanetario, possiamo acquistare non solo prodotti digitali ma anche generi di prima necessità, prodotti di nicchia e prodotti “unici” difficilmente reperibili sul mercato locale. Il processo di ricerca della fonte presso la quale acquisire un determinato prodotto o servizio potrà essere esteso a un numero di potenziali fornitori assai più ampio di quelli contattabili in condizioni ordinarie. L’acquirente potrà quindi sviluppare un più completo raffronto di prezzi, prestazioni, garanzie e altri elementi rilevanti. L’esistenza di portali e motori di ricerca che consente la ricerca di una varietà di prodotti a livello mondiale semplificano notevolmente la nostra navigazione.
L’intangibilità delle transazioni e la preferenza per il contatto diretto, obbliga le aziende a fornire prodotti di qualità e ricchezza d’informazioni, la merce viene ben illustrata e le caratteristiche vengono descritte in modo dettagliato. Secondariamente bisogna considerare la comodità insita nell’acquisto online, che, oltre ai già sottolineati benefici spazio/temporali, permette a chiunque di effettuare un acquisto che gli verrà recapitato direttamente a casa; i negozi di ecommerce sono aperti sempre, tutti i giorni, compreso i festivi: bastano pochi click da casa o dal lavoro per acquistare ciò che si desidera. La comodità nel ricevere la merce direttamente a casa è un importante valore aggiunto. Il consumatore ha, inoltre, una maggiore possibilità di personalizzare prodotti e servizi. L’interattività consentita dalle tecnologie dell’informazione permette al produttore di adattare automaticamente
la propria capacità produttiva alle singole e specifiche esigenze di un ampio numero d’acquirenti, senza che questo si rifletta sui costi. Quindi è possibile realizzare la produzione su misura ai prezzi di quella standardizzata. – Miglioramento del livello qualitativo dei servizi. Le tecnologie del commercio elettronico consentono di ampliare la gamma dei servizi precedenti e successivi alla vendita. Il grado di customer satisfaction tende conseguentemente a elevarsi, con aspetti positivi per la fidelizzazione della clientela, che oggi costituisce l’obiettivo primario per la maggior parte delle imprese. Il commercio elettronico può rappresentare una risposta più rapida per i propri bisogni. Proprio perché si tratta di un “negozio” online ventiquattro ore al giorno, 365 giorni all’anno. Infine, l’e-commerce consente alle aziende un notevole taglio dei costi
operativi con la conseguenza di un’offerta più competitiva e conveniente per il consumatore finale; l’impresa risparmia e può permettersi di offrire condizioni vantaggiose, prezzi contenuti, sconti e promozioni che invogliano la clientela. Tramite la rete possiamo anche innescare un’asta al ribasso da parte dei produttori, determinando così direttamente il prezzo del prodotto. La possibilità di confronto e decisione da parte del cliente capovolge i rapporti del mercato come tradizionalmente inteso, tramite la rete Internet il consumatore comanda ed esige e l’azienda esaudisce pena la sua esclusione dal mercato. Oltre agli sconti e alle promozioni che affollano la rete vi è convenienza nei movimenti e nel tempo risparmiato. Passando ora a considerare le principali opportunità che il commercio elettronico
dischiude al individuiamo:
sistema
delle
imprese,
– Una riduzione dei costi. Lo sviluppo del commercio elettronico estende i benefici dell’automazione della produzione alla distribuzione di beni e servizi, con notevole riduzione dei costi sia di produzione sia di distribuzione, determinando un abbassamento dei prezzi pagati dall’acquirente finale. Si riducono i costi relativi alla gestione delle richieste di offerta, alla fornitura dei prezzi dei prodotti e alla determinazione della disponibilità di magazzino. Tipicamente, lo sviluppo di un’operazione di e-commerce comporta dei costi fissi. È vero che i costi di gestione sono costi variabili, ma nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di costi trascurabili rispetto al costo di sviluppo iniziale. Questo vuol dire che un’operazione di commercio elettronico tende a divenire
sempre più conveniente col passare del tempo. In particolare, il commercio elettronico ha un’intensità di mano d’opera molto inferiore rispetto a un’attività di vendita tradizionale. Vendendo sulla rete, un’altra categoria di costi diminuisce, dato che si ha la possibilità di raggiungere i propri clienti senza l’impiego di intermediari; – Altro vantaggio che ne deriva è la possibilità di conoscere direttamente i propri clienti: lo sviluppo dell’economia dell’informazione rende possibile l’acquisizione da parte delle imprese di informazioni dettagliate sulle esigenze, le caratteristiche, i comportamenti dei singoli clienti. Potremmo definire tale capacità con l’espressione: alta tracciabilità. Ovvero la possibilità di capire da dove arriva il cliente, quali link ha seguito per arrivare al sito, oppure quali motori di ricerca e quali frasi di ricerca ha usato;
– Riduzione delle barriere d’accesso ai mercati. Poiché i costi derivanti dall’avviamento di un’attività online sono notevolmente più bassi rispetto a un’attività tradizionale. Lo sviluppo delle reti di comunicazione globali consente anche alle imprese di limitate dimensioni di accedere a mercati sempre più ampi. In particolare, le imprese che hanno sviluppato le proprie competenze chiave con riferimento a determinate nicchie di mercato, sono in grado di stabilire un matching ottimale con tali nicchie, a prescindere dalla loro localizzazione geografica. Hanno, quindi, la possibilità di vendere i loro prodotti e servizi in svariati mercati geografici. Come conseguenza della riduzione delle barriere all’entrata si avrà, infine, un aumento del grado di competitività dei mercati globali.
9.7.12 Dimensione mercato e-commerce Secondo le ultime previsioni di eMarketer, in tutto il mondo le vendite (B2C) e-commerce business-to-consumer aumenteranno nel 2020 del 18,7% per raggiungere 4.058
miliardi, pari al 14,6% del totale valore delle vendite retail. La crescita arriverà principalmente dalle rapida espansione della basi di utenti online e mobile nei mercati emergenti, dall’aumento delle vendite di ecommerce, dall’avanzamento della logistica e delle opzioni di pagamento, e dalla spinta verso nuovi mercati internazionali per i grandi marchi. Nel 2019 i consumatori in Asia-Pacifico continueranno a spendere di più per gli acquisti e-commerce rispetto a Nord America ed Europa, rendendolo il più grande mercato e-commerce regionale nel mondo. Solo quest’anno, le vendite B2C e-commerce si prevedono raggiungere i 525,2 miliardi di dollari nella regione, rispetto ai 482.600 milioni di dollari in Nord America. La Cina ha più di sei dei 10 dollari spesi per l’e-commerce in Asia-Pacifico nel 2014 e quasi tre quarti della spesa regionale entro il 2017. Il mercato e-commerce del paese è
secondo solo agli Stati Uniti. A partire dal 2016, la Cina ha superato gli Stati Uniti nella spesa. Gli enormi mercati della Cina, così come in India e in Indonesia, spingeranno la crescita della regione Asia-Pacifico. Questi paesi, insieme con l’Argentina, il Messico, il Brasile, la Russia, l’Italia e il Canada, guideranno la crescita delle vendite in tutto il mondo e-commerce. La forza delle vendite nei mercati emergenti è in gran parte a causa della loro grandi popolazioni che vanno online e acquistano per la prima volta. L’Asia-Pacifico affermerà più del 46% degli acquirenti digitali in tutto il mondo nel 2014, anche se questi utenti rappresenteranno solo per il 16,9% della popolazione della regione. La penetrazione sarà ancora bassa in Europa Centrale e Orientale, America Latina e Medio Oriente e Africa. Per ora, il Nord America e l’Europa Occidentale sono le uniche regioni in cui la maggioranza dei residenti farà acquisti tramite canali digitali. Le
potenzialità di espansione del mercato sono però ancora molte, infatti il commercio è però ancora una piccola percentuale del totale delle vendite. Osservando i dati del mercato più sviluppato, quello USA, osserviamo che le vendite online rappresentano l’8,2% del totale mercato (dall’analisi viene escluso il settore travel, vendite auto, rifornimento carburanti e vendita di biglietti per eventi). Tra le principali aziende globali che operano nell’e-commerce a livello globale, configurandosi come multisided platforms, vi troviamo Amazon e eBay: – Amazon: come già visto è un’azienda di commercio elettronico statunitense nata nel 1994, con sede a Seattle, negli Stati Uniti. È stata tra le prime grandi aziende a vendere merci su Internet e ha iniziato la propria attività rivendendo libri comprati dagli editori. Da allora l’azienda si è evoluta
e a oggi agisce come: I) un rivenditore, II) una piattaforma multisided, III) un fornitore tecnologico. Amazon è un rivenditore quando compra e rivende prodotti sul proprio sito. È una piattaforma multisided quando permette a venditori terzi di vendere sul proprio sito (e quindi di entrare direttamente a contatto con i clienti finali). La parte multisided del business è stata sviluppata nel 2000-2001. Ultimamente Amazon ha introdotto un altro business multisided, costituito dalla piattaforma Kindle: il dispositivo Kindle è un e-book reader che permette di leggere libri elettronici in formato Kindle; i libri in formato Kindle sono acquistabili solo sul sito di Amazon, accessibile da un PC, da un dispositivo mobile o da un Kindle. Kindle è una piattaforma multisided in quanto l’acquisto del libro è in pratica l’acquisto di una licenza del contenuto digitale concessa dall’editore, quindi c’è un’iterazione diretta
tra l’utente finale del libro e l’editore, iterazione permessa dalla piattaforma di Amazon. Infine Amazon AWS fornisce servizi tecnologici: data storage, cloud computing ecc.). Amazon oggi è la più grande azienda operante nel mercato ecommerce globale, e ha raggiunto un fatturato nel 2016 di 135 miliardi di dollari;
– eBay: è una piattaforma multisided che offre ai propri utenti la possibilità di vendere e comprare oggetti sia nuovi sia usati, in qualsiasi momento, da qualunque postazione Internet e con diverse modalità,
incluse le vendite a prezzo fisso e a prezzo dinamico, comunemente definite come “aste online”. Dunque eBay permette a compratori e venditori di incontrarsi sul proprio sito lasciando che la transazione commerciale avvenga. Diversi sono i formati di vendita (asta, compralo subito, compralo subito con proposta di acquisto, contatto diretto). La vendita consiste principalmente nell’offerta di un bene o un servizio da parte di venditori professionali e no; gli acquirenti fanno offerte per aggiudicarsi la merce. Vengono applicate tariffe, interamente a carico dei venditori, sia per pubblicare un qualsiasi tipo di inserzione sia come commissioni sul valore finale dell’oggetto venduto. Ci sono meccanismi della piattaforma per eliminare asimmetrie informative tra chi compra e chi vende, come ad esempio il feedback rilasciato dopo che la transazione è avvenuta, di modo che venditore e
compratore possono valutare l’esperienza fatta e segnalare agli altri l’affidabilità del soggetto con il quale ha avuto a che fare. Oggi eBay è un marketplace online con ricavi netti per 8,97 miliardi di dollari e un transato di 83,76 miliardi di dollari.
capitolo 10 Economy of people e digital thinking
10.1 digital disruption Nella realtà della digital economy, un’area di interesse significativo è la “digital disruption”, ossia la rivoluzione digitale – in altre parole, i cambiamenti rivoluzionari apportati dall’implementazione delle tecnologie digitali nella creazione di nuovi prodotti e servizi. Questi ultimi costituiscono il punto di svolta nel rivoluzionare i modelli aziendali “legacy” dell’era industriale, che per rimanere competitive nel mercato devono adattarsi ai modelli aziendali delle nuove imprese innovative. I nuovi prodotti e servizi sono in grado di penetrare mercati più estesi e hanno risvolti a livello dell’intero settore di competenza. Secondo il quadro fatto del “disruptive change” (Christensen 1997), vi
sono due punti salienti che concernono la rivoluzione digitale: – Primo, dal punto di vista delle aziende mature o “legacy”, è importante prevedere e negoziare l’impatto degli avanzamenti tecnologici che sono potenzialmente di natura rivoluzionari; – Il secondo punto di ampia importanza per il futuro dell’economia locale concerne l’entrata sul mercato di nuove organizzazioni (e.g. startup ventures, giovani aziende innovative, microimprenditori), che possono avere più probabilità di sviluppare innovazioni col potenziale di rivoluzionare mercati e industrie. Queste ultime hanno la possibilità di penetrare mercati più estesi al di là di quello locale, potenzialmente su scala globale; – La sharing economy è un elemento chiave del “Cycle 2: Economy of People”, dove gli
individui guidano il cambiamento e cercano nuove opportunità di connettersi, lavorare e vivere. Nelle interviste, si denota un forte interesse nel capire come modelli di sharing economy possano essere adottati dalle organizzazioni già mature e presenti sul mercato. Un ulteriore esempio di sharing economy è quello di Seul, elevata a smart city, o meglio “sharing city”, dove il carsharing è stato introdotto in concomitanza con parcheggi del governo selezionati e edifici municipali aperti al pubblico fuori dalle ore d’ufficio e nei giorni festivi. Oggi i consumatori mostrano una netta preferenza per l’accesso piuttosto che alla proprietà di un bene. In alter parole, i servizi che offrono l’accesso ai beni sono preferibili al possesso dei beni. I consumatori passano dall’essere proprietari all’essere utenti. Vi è dunque uno spostamento
nell’economia verso modelli di consume e di business “collaborative”. Le implicazioni sono più alte asset productivity, disponibilità e qualità dell’offerta, minori buchi d’informazione, in quanto le tecnologie facilitano la tracciabilità dei materiali e component di cui si compongono i prodotti finiti. La sharing economy è una reinvenzione dei tradizionali comportamenti di mercato verso modelli di consume collaborativi nel senso di condivisi con altri. Questo rende, oltretutto, più accessibili beni altrimenti destinati solo alla fascia più alta e di nicchia del mercato dei consumatori. Questi modelli collaborative si fondano sulla massimizzazione dell’utilità degli asset tramite l’affitto, il prestito, lo scambio, il bartering, facilitati dalla tecnologia. La condivisione permette di sbloccare e utilizzare il valore sociale, economico e ambientale finora rimasto inutilizzato. La
sharing economy è guidata fondamentalmente da tre benefici primary: economico, con un uso più efficiente e resiliente delle risorse finanziarie; ambientale, un uso delle risorse più efficiente e sostenibile, che vede più riciclaggi e meno sprechi di risorse; infine, benefici per la comunità, con relazioni sociali più profonde tra le persone. Secondo le ricerche da parte della McKinsey Consulting in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation (“Towards the Circular Economy”), che si occupa di mettere in luce come la sharing economy, fra gli altri, sia un catalizzatore dell’economia circolare, tre principali sistemi operano all’interno della sharing economy e dei sistemi di consumo collaborativi: – I mercati di ridistribuzione – riallocano i prodotti non più richiesti laddove se ne ha bisogno;
– Sistemi di product service – permettono di pagare per l’uso senza dover acquistare (carsharing); – Piattaforme di collaborative lifestyle – permettono di condividere assets meno tangibili (Airbnb: lo spazio, Skillshare: le capacità di apprendimento peer-to-peer). Il business del produrre, conservare e spedire pezzi di ricambio è stato per lungo tempo fonte di spreco di tempo e costose difficoltà per i fornitori di pezzi di ricambio così come per i loro clienti. Custodire inventari eccessivi di pezzi non frequentemente ordinati è talmente costoso che spesso i fornitori semplicemente cessano di offrire quei pezzi di ricambio specifici. Ciò costringe i clienti a conservare di scorta grandi quantità di pezzi di ricambio in inventario o a rivolgersi a fornitori terzi. L’avvento delle stampanti 3D sta per cambiare tutto. Questa tecnologia di
“additive manufacturing”, lungamente usata per realizzare i prototipi di nuovi prodotti, renderà possibile ai fornitori realizzare e spedire componenti sulla base della domanda effettiva – e di farlo a livello locale, in prossimità del mercato in cui quei componenti sono maggiormente richiesti. Alternativamente, le aziende possono optare per stampare per conto proprio le componenti di cui hanno necessità, bypassando completamente i fornitori e il loro ruolo. Si prende ad esempio i fornitori di pezzi di ricambio per evidenziare i potenziali effetti del 3D printing. Notiamo dai risultati riportati dalle ricerche condotte da Strategy& di P&G nel 2015 su 38 compagnie tedesche, che i rispondenti erano d’accordo sul ruolo chiave che le stampanti 3D avrebbero giocato nell’industria dei pezzi di ricambio. Tuttavia, non tutti erano consci di tutti i benefici derivanti dal 3D printing. Sono stati trovati
nove risultati rilevanti: – Ad oggi, i fornitori di pezzi di ricambio non soddisfano la domanda dei loro clienti; 50% dei rispondenti hanno iniziato a stampare loro stessi con 3D printing i pezzi a loro necessari; – Nell’arco di cinque anni, oltre l’85% dei fornitori di pezzi di ricambio incorporerà la stampa 3D nel loro business; – Nell’arco di 10 anni, i fornitori di pezzi di ricambio tedeschi risparmieranno 3 bilioni di euro annui usando il 3D printing; – Le aziende non sono ancora consce dell’intero potenziale del 3D printing; – Le aziende che investono nella stampa di pezzi di ricambio oggi guadagnano un vantaggio competitivo sostenibile; – Oltre la metà delle aziende temono di perdere quota di mercato a favore di fornitori terzi di pezzi di ricambio; – La mancanza di competenza nel 3D
printing e della sua maturità tecnica sono visti come i problemi chiave da affrontare relativamente alla stampa 3D; – Stringere alleanze strategiche sarà un punto chiave per un sistema di stampa 3D di successo; – Le aziende pensano tuttora in modo troppo tradizionale; nel futuro si troveranno a vendere copyright invece che pezzi di ricambio effettivi; – Dal momento del suo incipit avvenuto circa un trentennio fa, il 3D printing, ossia la produzione additiva (additive manufacturing), è cresciuta fino a diventare una tecnologia con una dimensione di mercato che ha raggiunto 5,1 bilioni di dollari nel 2015. Essa ha visto una crescita annuale media del 30% sugli ultimi 4 anni, secondo il Wohlers Report (2016). La Gartner Research ha stimato che per il 2019, quasi 5,7 milioni di stampanti 3D
saranno spedite annualmente, in paragone alle 500.000 stampanti stimate nel 2016. Il fatto che le stampanti 3D facilitino la produzione di disegni complessi che non possono essere prodotti con tecnologie manifatturiere convenzionali costituisce il principale motivo alla base della sua crescita iperbolica. Questa tecnologia è maturata ampiamente nel corso degli ultimi cinque anni e i suoi costi sono calati in modo significativo; resta il fatto che la produzione di bassi volumi e parti complesse tramite la stampa 3D è economicamente conveniente solo nel caso in cui essa riduce le complessità e i costi della filiera produttiva. Nella maggior parte dei casi, vi è uno snellimento della filiera di approvvigionamento tanto da ridurre i leadtime e i costi di magazzino, inventario, trasporti e distribuzione. (Fonte: PwC Strategy& Germany, “PwC’s strategy consulting business”.)
I processi della tradizionale produzione sottrattiva si basano sulla rimozione man mano dei materiali in eccesso fino a ottenere il prodotto finale. Diversamente, la stampa 3D funziona costruendo un prodotto strato su strato – da cui il nome di produzione additiva. Vi è un’inversione del rapporto tra disegno e produzione. L’additive manufacturing è design-driven, in quanto è il disegno a determinare il metodo di produzione e le specificità tecniche: le limitazioni infrastrutturali non pongono più restrizioni al disegno. Ad oggi, vi sono cinque tecnologie di stampa 3D disponibili nel commercio internazionale: – Selective Laser Sintering (SLS); – Fused Filament Fabrication (FFF); – Stereolithography (SLA); – Selective Laser Melting (SLM); – Electron Beam Melting (EBM).
Ognuna di esse è disegnata per tipi specifici di materiali e applicazioni; quelli più comunemente usati sono SLS, FFF, e SLA. B. Limbert, Y. Wind e M. Beck in collaborazione con Deloitte, hanno esaminato la performance su 40 anni in base ai relativi dati finanziari delle 500 aziende S&P, per esaminare quale modello aziendale portasse a maggiori crescita e profitti. I risultati riportano chiaramente come il modello vincente sia il service o platform model ossia quello dei “network orchestrators”. Aziende come Airbnb, Amazon, eBay, Red Hat, Uber, TripAdvisor e Alibaba sono chiari esempi del successo di tale modello aziendale, che riduce i costi marginali e le spese operative al minimo, nonché i rischi operativi in alcuni casi come quello di Airbnb, dove il rischio è trasferito agli appartamenti, insieme ai costi di gestione. Airbnb gestisce la piattaforma, ottenendo una percentuale dei profitti dagli
affitti e non gestisce invece né possiede spazi fisici. Questo gli permette di fissare prezzi inferiori e di raggiungere quote di mercato paragonabili ad alcuni degli hotels e resorts a più alti livelli. Airbnb è un chiaro esempio di come si possa far leva sulla tecnologia e sul modello basato sulla piattaforma per offrire una “value proposition” più appetibile al consumatore. Il nuovo modello aziendale ha la funzione di interfaccia fra ciò che l’innovazione tecnologica rende possibile e ciò che il mercato desidera. I nuovi modelli aziendali si rivelano più flessibili di quelli “legacy”, più collaborativi, sostituiscono un modello “closed-loop”, che vede il riciclo dei prodotti, al tradizionale modello di consumo lineare, permettono la condivisione di high-end assets, offrono prodotti e servizi più personalizzati, fanno pagare al consumatore il prezzo nel momento dell’uso del prodotto o del servizio
invece di imporgli di comprare il prodotto. Si passa dunque dall’innovazione dei processi all’innovazione di interi modelli aziendali, spinti dalla creazione di concetti di prodotti e servizi innovativi. I nuovi modelli però richiedono un maggiore shift di risorse da parte dell’azienda media su investimenti nella piattaforma in vista del suo sviluppo e utilizzo strategico. Le sfide a livello manageriale che le aziende incumbent devono affrontare concernono il riformulare la strategia aziendale lungo tre dimensioni: – In che modo può l’azienda, o altri operatori, migliorare la propria offerta? La risposta risiede nella combinazione e integrazione di nuovi materiali; nel formulare soluzioni e opportunità più personalizzate; nell’adattamento rapido dell’offerta e dei processi interni all’evoluzione dei prodotti;
– Come possono le operazioni essere riconfigurate considerando le nuove opzioni disponibili. La risposta risiede in una riduzione delle fasi di assemblaggio dei materiali; la vendita diretta del design, il cliente realizzerà il prodotto autonomamente con le sue stampanti; la gestione dei processi aziendali diventerà più rilevante; – Come si evolverà l’ecosistema di business di riferimento? Esso presenterà differenze significative tra i vari settori. I limiti tradizionali scompariranno, le learning curves saranno meno rilevanti; comprendere il ruolo dell’azienda nella value chain sarà di rilevanza strategica; il rischio d’entrata di nuovi avversari incrementerà sia orizzontalmente che verticalmente; aumenterà, come già sottolineato, la rilevanza della piattaforma – il proprietario/gestore della piattaforma d’interazione su cui vengono costruite le
altre applicazioni avrà maggior rilevanza; i grandi system integrator saranno probabilmente grandi aziende in termini di dimensioni; le fasi di produzione diventeranno sempre meno importanti (fabbriche di stampanti). 10.2 sharing economy Gli ultimi anni hanno visto un proliferare di nuove aziende che sfruttano le peculiarità di Internet per offrire servizi a un costo minore rispetto al passato. Alcuni di questi servizi permettono di condividere l’auto, un posto per dormire, la bicicletta e molte altre cose, semplicemente connettendo i proprietari di asset sottoutilizzati con altri che sono intenzionati a pagare per poterli adoperare. Decine di aziende come Airbnb, che consente alle persone di affittare le camere vuote della propria casa, o Zipcar, che
permette di noleggiare la propria auto ad altre persone, agiscono come intermediari, allocando le risorse dove sono necessarie e prendendo in cambio un piccola percentuale sulla transazione. Tali schemi di noleggio peer-to-peer forniscono un comodo reddito supplementare per i proprietari e possono essere meno costosi e più convenienti per gli affittuari. Infatti il noleggio occasionale è più economico piuttosto che comprare qualcosa a titolo definitivo o rispetto all’affittare da un fornitore tradizionale come un albergo o una società di autonoleggio. Ciò è possibile perché Internet rende più economico e più facile che mai aggregare l’offerta e la domanda. Le reti sociali online e i sistemi di raccomandazione permettono di creare fiducia e i sistemi di pagamento via Internet sono in grado di gestire la fatturazione. Tutto questo consente a milioni di sconosciuti di affittare le cose tra di loro. Il fenomeno è
noto con diversi nomi: “sharing economy”, “consumo collaborativo”, “economia collaborativa” o “peer economy”. La varietà di nomi abbinati al fenomeno genera però della confusione in quanto a essi corrispondono significati precisi e diversi. Secondo Rachel Botsman, una delle prime studiose del fenomeno, le corrette definizioni del fenomeno sono: – Collaborative economy: un’economia costruita su reti distribuite di individui e comunità connessi in opposizione alle istituzioni centralizzare, trasformando il modo in cui produciamo, consumiamo, finanziamo e impariamo: • Produzione: design, produzione e distribuzione di beni attraverso reti collaborative; • Consumo: massima utilizzazione di asset attraverso modelli efficienti di redistribuzione e accesso condiviso; • Finanza: banca da persona a persona e
modelli di investimento crowd che decentralizzano la finanza; • Educazione: educazione aperta e modelli di apprendimento da persona a persona che democratizzano l’educazione. – Collaborative consumption: modello economico basato sulla condivisione, sullo scambio, sulla negoziazione o sull’affitto di prodotti e servizi permettendo l’accesso al di sopra della proprietà. Non reinventa solo cosa consumiamo ma come lo consumiamo: • Collaborative lifestyle: asset non fisici come spazio, abilità e denaro sono scambiati in nuovi modi; • Redistribution market: prodotti e servizi non voluti o sottoutilizzati vengono redistribuiti; • Product service system: pagare per il beneficio di un prodotto invece del bisogno di possederlo. Possono essere individuati tre distinti
modelli: • Business-to-consumer: l’azienda possiede l’inventory e facilita le transazioni tra gli utenti; • Peer-to-peer: gli asset sono posseduti e scambiati direttamente da persona a persona; • Business-to-business: soluzioni che permettono alle aziende di sbloccare e monetizzare capacità inutilizzata dei propri assets esistenti. – Sharing economy: un modello economico basato sulla condivisione di asset sottoutilizzati, dagli spazi alle competenze, per benefici monetari o non monetari. È largamente centrato sui marketplace P2P; – Peer economy: marketplace peer-to-peer che facilita la condivisione e la negoziazione diretta di prodotti e servizi costruiti sulla pari fiducia.
Definita l’economia collaborativa possiamo meglio comprenderne il dimensionamento del mercato. Al momento non ci sono molti studi organici che dimensionino l’intera economia collaborativa, bensì vi sono diverse analisi su segmenti specifici. Ad esempio Gartner Group stima che il mercato dei prestiti finanziari peer-to-peer abbia raggiunto i 5 miliardi di dollari nel 2013. Frost & Sullivan ha quantificato che il
mercato del carsharing nel solo Nord America ha raggiunto i 3,3 miliardi di dollari per il 2016. Botsman invece prova a quantificare il consumer peer-to-peer rental market in un settore da 26 miliardi di dollari e crede che la sharing economy nel suo complesso sia un mercato da oltre 300 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il mercato degli investimenti, possiamo osservare una certa vivacità come dimostra Altimeter (“The collaborative Economy”, 2013), che delle 200 startup dell’economia collaborativa prese in esame nel report, mostra che più di un terzo è stato finanziato da fondi di venture capital, per un totale di circa 2 miliardi di dollari, con una media di 29 milioni di dollari a startup. Non mancano i casi eclatanti come Uber, che si è vista ricevere un investimento di 280 milioni di dollari da investitori quali Google, e poi Airbnb con 130 milioni di dollari di investimento.
10.2.1 Origini Molti di questi servizi sono nati tra il 2008 e 2010, gli anni in cui la crisi economica globale era molto sentita, e il consumo collaborativo sembrava un antidoto alla crisi e all’uso smodato di risorse che impatta negativamente sull’ambiente. Il termine sharing economy ha visto la sua prima comparsa intorno alla metà degli anni Duemila, come nuova struttura di business abilitata dalle nuove tecnologie e ispirata da una crescente sensibilità ambientale dovuta all’incremento della popolazione e all’esaurimento delle risorse. Yochai Benkler, professore di Harvard e uno tra i primi proponenti del software open source, postulò nel 2002 che le tecnologie di rete potessero mitigare il problema dell’impoverimento delle risorse necessarie al bene comune tramite una produzione condotta da persone comuni in modo egualitario (commons-
based peer production). La potenzialità di un’economia sociale e condivisa di poter fronteggiare l’esaurimento delle risorse a livello mondiale e creare nuovi modelli per lo sviluppo del benessere e dei valori sociali è stata resa popolare nel 2010 da Rachel Botsman e Roo Rogers (What’s Mine is Yours). Botsman e Rogers hanno scoperto che CouchSurfing, una piattaforma online dove le persone offrono l’un l’altro un posto per dormire, non era l’unica piattaforma “collaborativa”. Nelle loro analisi erano incappati in articoli che rappresentavano tutti i tipi di scambi, scoprendo che “collaboration” era diventata la parola di moda per economisti, filosofi, analisti di business, trend spotter, marketer e imprenditori” (Botsman e Rogers 2010, p. XIV-XV). I due divennero convinti che tutti i comportamenti, le storie personali, le teorie sociali ed esempi di business che avevano trovato puntassero a una tendenza
socioeconomica emergente: le vecchie forme di cooperazione e condivisione erano state reinventate in forme più attraenti e importanti di collaborazione e di comunità. Botsman e Rogers hanno chiamato questa tendenza “Consumo collaborativo” e lo definiscono come: “condivisione tradizionale, baratto, prestito, commercio, locazione, donazione e scambio, ridefiniti attraverso la tecnologia e le comunità sociali – che sta trasformando il business, il consumismo e il modo in cui viviamo” (Botsman e Rogers 2010, p. XV). Le persone hanno un accesso incrementato a prodotti e servizi senza il bisogno di possederli. Dall’altro lato le persone possono beneficiare di cose che posseggono ma che non sempre usano. Questa trasformazione dalla proprietà all’utilizzo ha il vantaggio di essere pienamente nell’interesse dei consumatori e allo stesso tempo offre sostanziali vantaggi sociali, economici e
ambientali (Botsman e Rogers 2010). Per questi benefici il giornale Time ha considerato il consumo collaborativo come una delle idee che cambieranno il mondo (Time, 2011). Dalla ricerca di Botsman e Rogers, la letteratura si è limitata a specifici temi del consumo collaborativo come l’argomento della fiducia all’interno delle community (peer-to-peer trust) (Keetels, 2012; Pick, 2012), o ad alcuni specifici esempi di sharing economy. I fattori che spingono le persone al consumo collaborativo sono stati indagati da Khandker per quanto riguarda il carpooling (Khandker et alii 2011), Hamari e Ukkonen (2013), mentre una ricerca che evidenzia le motivazioni per le quali le persone non vogliono partecipare al consumo collaborativo è stata commissionata da Airbnb, piattaforma per la condivisione delle case come luoghi di ospitalità, e realizzata da Ipsos Public Affairs (2013).
10.2.2 Le forze di mercato che hanno permesso la collaborative economy La crescita dell’economia dello sharing è guidata e abilitata da forze di mercato che stanno convergendo. Poiché questa confluenza sta accelerando, così anche l’economia collaborativa cresce. Secondo una ricerca di Altimeter, “The collaborative economy”, i driver che guidano l’economia dello sharing sono di tre tipi: – Social drivers: • Aumento della densità della popolazione: la densità di popolazione consente alla condivisione di verificarsi con meno attrito. Lyft, RelayRides, e altri servizi di carsharing prosperano nelle aree urbane come Boston e San Francisco. L’accesso a più persone significa più punti di fornitura nell’economia collaborativa; • Sostenibilità: vi è una crescente
consapevolezza circa l’impatto ambientale delle nostre abitudini di consumo. Freecycle, un sito di web gifting di beni usati, afferma: “È tutta questione di riutilizzo e mantenere cose ancora buone fuori dalle discariche”. Kristin Sverchek di Lyft ci ha detto: “Il nostro obiettivo a lungo termine è di ostacolare non i taxi, ma la nozione di auto di proprietà individuale”. La rivendita, la locazione, la co-proprietarietà, massimizza l’utilizzo e riduce l’impatto di beni fisici che una volta erano comprati e scartati dopo un uso limitato; • Desiderio di comunità: Un desiderio latente di connettersi con persone e comunità è riaffiorato. Gli utenti di Airbnb preferiscono l’esperienza di soggiornare in una casa. I finanziatori di Kickstarter vogliono conoscere i creatori, gli inventori e gli imprenditori dietro i progetti; • Altruismo generazionale: un recente
sondaggio della UCLA ha rilevato che oltre il 75% delle matricole in arrivo, crede che sia “fondamentale o molto importante” aiutare gli altri in difficoltà, la cifra più alta in 36 anni. Neal Gorenflo, fondatore della rivista Sharable (www.shareable.net), ha detto: “Internet è una tecnologia persuasiva che insegna alla gente il potere della condivisione e della collaborazione. Una volta che le persone sperimentano quella forza, è naturale per loro utilizzare la stessa logica in ogni parte della loro vita”. – Economic driver: • Monetizzare l’inventario in eccesso o inattivo: le risorse inattive possono ora essere essere condivise e spesso monetizzate. Rachel Botsman, autore di What’s Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption, nel suo discorso in una conferenza TED ha riferito che l’uso medio totale di un trapano
elettrico è solo 12 minuti. Uber permette a conducenti professionali di raccogliere clienti quando le loro auto non sono già prenotate. David Hornik di August Capital ha riassunto in modo conciso: “Ogni volta che c’è una risorsa che rimane inattiva per gran parte della sua vita, c’è l’opportunità di approfittare di essa”; • Aumentare la flessibilità finanziaria: trovando nuovi usi per le cose inutilizzate, emerge per i proprietari la possibilità di guadagnare e di ottenere una maggiore autonomia finanziaria. oDesk ha rilevato che il 72% dei lavoratori cerca di “lasciare il proprio lavoro per essere indipendenti” e utilizzerebbero i servizi di freelance online come modo per realizzare la loro indipendenza. Vivian Wang di Sasson Capital afferma: “Siamo entrati nel nuovo mondo del libero professionista perpetuo e del microimprenditore. Le imprese dell’economia collaborativa stanno
costruendo nuovi strumenti e piattaforme per aiutarli ad aprirsi la strada”; • L’accesso invece della proprietà: anche i consumatori hanno i propri benefici dall’economia collaborativa. Gli individui che non possono permettersi beni di lusso ora possono affittarli; le aziende possono assumere lavoratori su richiesta o affittare uno spazio quando vogliono, per il tempo necessario. Uno studio sponsorizzato da Airbnb rileva che quasi 6 adulti su 10 sono d’accordo che “poter prendere in prestito o affittare online la proprietà di qualcuno o i suoi effetti personali è un ottimo modo per risparmiare denaro”; • Influenza dei finanziamenti da parte dei venture capital: gli investitori sono fondamentali per la crescita dell’economia collaborativa. Nell’analisi di Altimeter, 200 startup che operano nella sharing economy, hanno ricevuto in totale un afflusso di oltre 2 miliardi di dollari di
finanziamento. In altri mercati di Internet, il finanziamento dei fondi di venture capital è stata una delle forze principali per accelerare la crescita di quel settore. – Technology driver: • Social Networking: il social networking facilita le transazioni peer-to-peer facendo corrispondere la domanda all’offerta in un modo che non era possibile in precedenza. Sempre nell’analisi di Altimeter, si evidenzia che tra le 30 migliori startup della sharing economy, quasi i tre quarti (74%) hanno funzioni di profilo sociale e di reputazione, e oltre la metà (54%) hanno integrato Facebook Connect. Siti come Airbnb inoltre usano Open Graph di Facebook in modo che gli utenti possano identificare i punteggi e i commenti lasciati dai loro amici di Facebook. Queste caratteristiche aiutano a costruire la fiducia tra acquirenti e venditori; • Dispositivi e piattaforme mobili: molte
startup nel dell’economia collaborativa si basano principalmente su piattaforme mobili. Ad esempio, Lyft ha un sito web che indirizza gli utenti a scaricare la sua applicazione mobile per iniziare a utilizzare il servizio. L’ascesa dell’adozione degli smartphone significa che gli utenti possono sempre offrire o trovare beni e servizi in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo. L’analisi di Altimeter sulle 30 migliori imprese dell’economia dello sharing, mostra che la metà di esse è focalizzata nell’offrie agli utenti la propria applicazione mobile su App Store per iOS (53%) e Android (50%); • Sistemi di pagamento: piattaforme di ecommerce e di pagamento sono necessarie per le operazioni di intermediazione tra acquirenti e venditori. L’analisi di Altimeter mostra che 27 delle 30 migliori startup della sharing economy si affidano a sistemi di pagamento online o mobili legati alle
carte di credito. Ma ci sono anche esempi ove non si richiede lo scambio monetario e gli scambi si basano sul regalare o sul barattare, assume però fondamentale importanza in queste piattaforme la reputazione digitale degli utenti. 10.2.3 L’impatto dirompente della sharing economy sui settori tradizionali L’economia dello sharing è dirompente per le aziende tradizionali in quanto va a disintermediare i clienti che possono così connettersi tra di loro direttamente. Di seguito i principali settori in cui questo fenomeno di disintermediazione sta avvenendo: – Trasporti: sono nate molte startup di carsharing, da Lyft (peer-to-peer taxi), RelayRide (noleggio auto peer-to-peer),
carpooling.com (passaggi auto) e Uber (auto a noleggio come taxi). Uno studio dell’Università della California ha scoperto che ogni veicolo in carsharing sostituisce 913 veicoli, riducendo così il tempo in cui un auto rimane inattiva in un parcheggio; – Prodotti e abbigliamento: oggi, Chegg e BookCrossing permettono agli studenti di scambiare o affittare i libri l’uno con l’altro. Gli amanti della moda possono indossare le ultime tendenze affittando abbigliamento e accessori attraverso siti come Bag, Borrow o Steal e Rent the Runway, oppure scambiarsi i vestiti con 99dresses. Grazie a siti come UseSold o Toyswap, gli utenti possono affittare o scambiarsi, invece di dover comprare, qualsiasi tipo di prodotto, dall’elettronica di consumo ai giocattoli; – Ospitalità: gli utenti oggi possono “monetizzare il loro spazio in più” in casa affittando camere o case per i viaggiatori provenienti da tutto il mondo grazie a
Airbnb. Per gli amanti del lusso, Onefinestay collega affittuari con i proprietari di case di lusso a Londra. E i membri del HomeExchange scambiano le loro case per una tassa nominale. I viaggiatori possono ora bypassare gli hotel per vivere esperienze di viaggio più uniche, a prezzi accessibili, o addirittura convenienti; – Affitto uffici: siti come LiquidSpace, OpenDesk, PivotDesk o Desksurfing aiutano le persone di tutto il mondo a individuare e affittare facilmente, spazi di lavoro per un mese, un giorno, o anche un’ora, consentendo alle imprese di ridurre i costi dei loro contratti d’affitto a lungo termine; – Lavoro: piattaforme online come oDesk o Elance permettono ai lavoratori autonomi di trovare lavoro virtuale e consentono ai manager di assumere rapidamente on demand personale temporaneo, aggirando a
volte le costose soluzioni di personale di terze parti e razionalizzando il flusso di lavoro. TaskRabbit invece ci permette di trovare persone per svolgere lavori e mansioni domestiche nel nostro quartiere; – Banca: i siti di prestito peer-to-peer come Prosper e LendingClub consentono ai consumatori di prestarsi soldi direttamente tra loro a tassi più bassi. EToro permette agli operatori di condividere le strategie di investimento, mentre Kickstarter aiuta gli imprenditori a finanziare le loro attività attraverso il crowdfunding. Tutti questi servizi scavalcano i tradizionali servizi finanziari. 10.2.4 Le principali forze di mercato contrarie alla sharing economy La creazione di nuovi mercati quando avviene scardinando gli equilibri precedenti
porta sempre delle sfide e delle criticità che devono essere superate. All’interno della sharing economy possono essere individuate alcune di queste sfide: – I funzionari governativi si oppongono alla sharing economy in quanto sconvolge le normative esistenti. Airbnb, e una serie di servizi di car-sharing, hanno lottato con gli ostacoli normativi e con battaglie legali. Nel maggio del 2013, RelayRides ha ricevuto un ordine di cessare il servizio dallo stato di New York per aver violato leggi in merito all’assicurazione dei veicoli. Queste lotte continueranno ad affliggere startup dell’economia collaborativa nella misura in cui i regolatori dovranno fare i conti con un mercato delle transazioni peer-to-peer in crescita che violano leggi esistenti nel settore dell’ospitalità, del trasporto, delle tasse, dell’assicurazioni e così via; – La mancanza di fiducia tra peer-to-peer
“acquirenti” e “venditori”. Per i consumatori, la mancanza di fiducia rimane una sfida importante nell’economia collaborativa. Uno studio condotto da FlightCar, che offre un parcheggio gratuito per l’aeroporto in cambio della possibilità di affittare l’auto ad altri viaggiatori, ha scoperto che l’80% dei viaggiatori che fanno tappa al San Francisco Airport non proverà il servizio. Airbnb notoriamente ha aggiunto la copertura assicurativa agli affitti dopo che un residente di San Francisco è ritornato a casa trovandola svaligiata dagli affittuari trovati sul sito. La mancanza di fiducia nella qualità e nell’affidabilità del servizio sarà una sfida continua da affrontare; – La mancanza di sistemi di reputazione standard. La moneta nell’economia della collaborazione è la fiducia. Il fondatore di HomeExchange Ed Kushins ha dichiarato: “Pochissimi altri scambi possono essere più
personali del condividere la propria casa. Non si può improvvisare la sensazione di fiducia e affidabilità, senza raccomandazioni che provengono da una storia positiva di esperienza utente”. Mentre più della metà (53%) delle startup analizzate dal rapporto di Altimeter hanno adottato Facebook Connect, le altre fanno affidamento su propri sistemi di reputazione, frammentando ulteriormente l’identità online all’interno di questo grande ecosistema della sharing economy; – Le aziende tradizionali considerano la condivisione come una minaccia per i loro modelli di business attuali. Storicamente gli operatori tradizionali quando sono minacciati da nuovi modelli di business cercano di schiacciare la tendenza. Si vocifera che Microsoft Xbox stia progettando un DRM “always-on” che impedirebbe ai clienti di utilizzare giochi usati. Altre aziende probabilmente
seguiranno l’esempio; – L’incertezza su quale startup supererà la prova del tempo. All’inizio di ogni nuovo mercato vi è un’esplosione di nuovi entranti, molti di questi offrono soluzioni simili che causano confusione nel mercato. Nel settore dei servizi di car-sharing, si contano oltre 30 startup, nel settore della moda, ci sono più di 10 startup. Solo pochi sopravvivranno e i vincitori prenderanno gran parte del mercato.
capitolo 11 Economy of things e Internet of things
11.1 internet of things e ambiti applicativi L’Internet of things sta acquisendo sempre più rilevanza in ogni aspetto della vita quotidiana, ma la sua rilevanza strategica è nell’industria, dove connette i mondi reali e virtuali della produzione permettendo di superare le innovazioni incrementali per puntare a quelle dirompenti. Internet of things, o Internet delle cose, è un neologismo utilizzato per dare un nome agli oggetti reali connessi a Internet. L’evoluzione di Internet ha esteso Internet stesso a luoghi e oggetti che possono interagire con la rete trasferendo dati e informazioni. L’oggetto interagisce con il mondo circostante in quanto dotato di una propria “intelligenza” che lo rende idoneo a
trasferire informazioni tra rete Internet e mondo reale. I principali ambiti di applicazione dell’Internet of things sono rappresentati da quei contesti nei quali ci sono “cose” che possono “parlare” e generare nuove informazioni come ad esempio: – Casa, smart home, domotica; – Edifici intelligenti, smart building, building automation; – Monitoraggio in ambito industriale, robotica, robotica collaborativa; – Industria automobilistica, automotive, self driving car; – Smart health, sanità, mondo biomedicale; – Tutti gli ambiti della telemetria; – Tutti gli ambiti della sorveglianza e della sicurezza; – Smar city, smart mobility; – Nuove forme di digital payment tramite oggetti;
– Smart agrifood, precision farming, sensori di fields; – Zootecnia, wearable per animali. Studi di ricerca sostengono che si arriverà a oltre 25 miliardi di dispositivi IoT entro il 2020, questo aprirà importantissime prospettive in termini di rivisitazione dei sistemi informativi aziendali con opportunità di business in termini di diffusione di piattaforme di sviluppo e in termini di soluzioni di connettività.
11.1.1 Dimensioni del fenomeno Secondo un rapporto di IBM Marketing Cloud, “10 Key Marketing Trends for 2017”, il 90% dei dati del mondo è stato creato solo negli ultimi 2 anni. Connettività costante e dispositivi intelligenti conducono alla digitalizzazione e alla documentazione delle nostre attività quotidiane. I dati generati dall’uomo e dalla macchina
stanno vivendo un tasso di crescita complessivamente 10 volte superiore rispetto ai dati aziendali tradizionali e i dati provenienti da dispositivi connessi crescono ancora più rapidamente con una velocità di 50 volte superiore al tasso di crescita. L’Industrial Internet of things o Industry 4.0 ha un notevole impatto su tutti i settori dell’economia (cibo, manifattura, trasporti, salute, energia, automobilistico, servizi, logistica, governo, Ho.Re.Ca). I dati della ricerca 2017 dell’Osservatorio del Politecnico di Milano accreditano all’industria 4.0 una crescita del 25% per un valore pari a 1,7 miliardi di euro.
L’industria 4.0 è sostenuta dallo sviluppo di diversi fenomeni tecnologici. Il reparto del connected factory è il motore più robusto di questa crescita: il 63% del mercato generato dall’industria 4.0 vale qualcosa come 1 miliardo di euro ed è direttamente collegato alla connettività e all’Industrial Internet of things. Poi c’è l’intelligenza e ci sono gli Industrial Analytics che con 330 milioni di
euro rappresentano il 20% del mercato e poi un fenomeno importante come il Cloud Manufacturing che è oggi al 9%, e raggiunge un valore di 150 milioni di euro. Un tema a parte è rappresentato dalla robotica e dalla robotica collaborativa e dalle nuove “interfacce uomo-macchina”. La robotica e l’automazione sotto il segmento di Advanced Automation comprende sistemi di produzione e di movimentazione autonomi e collaborativi, e arriva a 120 milioni di euro, pari all’8% del mercato mentre l’Advanced Human Machine Interface mette a sistema il ruolo di visori per la realtà aumentata, scanner 3D, wearable, nuove interfacce uomo-macchina come display touch e per quanto strategica e importante è adesso limitata all’1% del mercato. L’Internet of things sta acquisendo sempre più rilevanza in ogni aspetto della vita quotidiana, ma la sua rilevanza strategica è nell’industria, dove connette i mondi reali e virtuali della
produzione permettendo di superare le innovazioni incrementali per puntare a quelle dirompenti. L’Industrial Internet of things o Industry 4.0 ha un notevole impatto su tutti i settori dell’economia (cibo, manifattura, trasporti, salute, energia, automobilistico, servizi, logistica, governo, Ho.Re.Ca). Secondo i dati, le connessioni IoT arriveranno nel 2020 a quasi 5,5 miliardi.
Come suggerito al TECHEXPO 2017 tenutosi negli USA a novembre, l’integrazione dei sistemi IT nella tecnologia aziendale può trasformare un’industria. L’IoT apporta trasformazioni chiave al business model e ai processi di produzione. La trasformazione operativa della manifattura porta a passare da un focus sul prodotto a un focus sull’outcome. L’obiettivo chiave dell’Industria 4.0 è la creazione della Smart Factory, un ambiente nel quale i Cyber-Physical-System comunicano tramite l’Internet of things e supportano il capitale umano aziendale e le macchine di produzione nell’esecuzione delle relative attività. Nell’area prettamente di produzione, i Cyber-Physical-System includono le Smart Machine, i sistemi di storage (immagazzinamento) e i sistemi di produzioni in grado di scambiarsi informazioni autonomamente, innescare azioni e controllarsi l’un l’altro
indipendentemente. L’automazione di sistemi e processi tramite l’implementazione di robot, ossia la robotica, costituisce il più elevato livello di tecnologia rivoluzionaria. La frontiera d’innovazione ancora da raggiungere è di apportare indipendenza non solo nelle azioni dei robot, guidate da comandi precedentemente impostati, ma anche nei loro processi mentali che li abilitino a sapere che azioni intraprendere in situazioni inesplorate o inaspettate, senza l’assistenza degli umani: questo è quanto viene definito “Intelligenza Artificiale”. Ad ogni modo, a oggi, in California e in Giappone, si possono vedere robot a lavoro non solo nei processi produttivi aziendali, ma anche come commessi in negozi d’abbigliamento o altro genere in grado di dare informazioni e assistenza ai clienti. Possono avere funzioni limitate o estese, nel secondo caso risultando in grado di interagire perfettamente in quanto
controllati a distanza da un operatore tramite un dispositivo al loro interno e in grado di comunicare col cliente facendo solo da tramite alla voce dell’operatore, che potrebbe trovarsi ovunque nel mondo. In Giappone, SoftBank ha venduto ai negozi un migliaio dei Pepper Robot (umanoidi) di Aldebaran Robotics, incluse le catene Nestlé e Loft in Giappone. L’utilizzo del robot nelle imprese segue in modo diretto nel momento in cui i comandi preimpostati includono operazioni di base utili all’interno dell’azienda. Ad esempio, ABB ha lanciato sul mercato YuMi, un robot a due braccia disegnato per assemblare insieme prodotti in supporto agli impiegati aziendali.
Secondo i dati le installazioni di robotica a livello globale aumenteranno del 10% annualmente nel prossimo decennio. Secondo le stesse fonti, quattro industrie costituiranno il 75% delle installazioni robotiche entro il 2025, ossia quelle dei macchinari, dell’attrezzatura e componenti elettronici, dei computer e prodotti elettronici, delle attrezzature per il trasporto. Altre tecnologie innovative derivanti dall’Industria 4.0 sono le produzioni additive (additive manufacturing), come il 3D
printing e la realtà aumentata. Le produzioni additive si basano sulla flessibilità, diversamente dalle tradizionali linee di produzione e assemblaggio basate sull’efficienza. Ne derivano prodotti e componenti unici e costumizzati, dove le economie di scopo acquistano rilevanza su quelle di scala, e ha luogo uno snellimento delle filiere produttive e di approvvigionamento, con la produzione leggera (lean manufacturing) predominante. Di conseguenza, si riducono il lead-time e i costi di magazzino e inventario, trasporto e distribuzione. A oggi, il 3D printing, ossia le stampanti 3D, sono la frontiera d’innovazione nella manifattura e vengono usate nell’industria produttiva di cinture di sicurezza per compagnie aeree, così da avere un prodotto più leggero e più intelligente, permettendo alle compagnie aeree di risparmiare quantità di carburante tutt’altro che indifferenti.
Lo strumento della realtà aumentata (augmented reality) fa riferimento all’integrazione delle informazioni digitali estrapolate dall’ambiente esterno tramite strumenti di Big Data con la visualizzazione in tempo reale dell’ambiente. L’utente ha accesso a questa tecnologia in avanzamento iperbolico soprattutto grazie a dispositivi indossabili (occhiali smart, orologio smart) oppure dispositivi mobili (tablet, smartphone), facendo leva sui sistemi di
geolocalizzazione. L’Oculus Rift di Facebook è uno degli esempi chiave di realtà virtuale. I benefici derivanti dai sistemi di realtà virtuale – e lo stesso vale per la robotica – hanno impatto sia a livello industriale sia aziendale. Per quanto concerne l’industria, i dispositivi di augmented reality danno spazio a un panorama imminente diverso da quello corrente, dal momento che fornisce nuove opportunità che impattano la performance del settore. Ad esempio, la realtà virtuale fa sì che gli utenti possano visitare virtualmente posti lontani e spazi interni, migliorando la performance di piattaforme come Airbnb conferendo maggior credibilità e affidabilità. Le persone possono realmente visitare l’appartamento scelto, non dovendosi più solo basare su poche foto. L’impatto totale sul settore Ho.Re.Ca sarà chiaramente notevole, con un possibile shift di quella parte di consumatori “scettici” verso il low cost. Il nuovo focus sulla qualità
reale dell’offerta da parte del consumatore informato – reso possibile da queste tecnologie – richiede che i differenziali di prezzo siano realmente giustificati da differenziali di qualità. Il quality/price ratio del settore impattato dovrà aumentare. Il trend verso la sharing economy – che vede il consumatore passare da proprietario di un prodotto a utente del servizio che fornisce il prodotto – è strettamente connesso a questo tipo di innovazioni. Secondo uno studio di PwC, in Europa dal 2015 si è assistito a una forte diffusione delle imprese che operano nella sharing economy e, considerando i cinque principali settori – finanza collaborativa, alloggi tra privati, trasporti tra privati, servizi domestici a richiesta e servizi professionali a richiesta –, questo mercato vale 28 miliardi di euro. Una cifra destinata a sfiorare i 570 miliardi di euro entro il 2025. Si prevede, inoltre, che i ricavi maturati dalle piattaforme nei cinque
settori chiave potrebbero raggiungere 83 miliardi di euro rispetto ai soli 4 miliardi di euro del 2017. A livello aziendale, i sistemi di realtà virtuale possono essere usati per ottenere informazioni come il product ID o la temperatura, e dagli impiegati aziendali per training virtuali, o come aiuto o guida nell’esecuzione di attività complesse, soprattutto per i meno skilled. Inoltre, lo strumento può essere usato per ottenere informazioni e dati tecnici in modo più rapido e attendibile durante la lavorazione; semplifica quindi il decision-making. I primi benefici che giungono all’azienda in modo tangibile sono riduzioni sui KPI aziendali come il consumo di energia e l’aumento invece dell’efficienza. Dopo questi, si materializza chiaramente la possibilità di differenziarsi con prodotti più smart e di più alta qualità, con il potenziale di rivoluzionare il settore. Lo scopo principale dell’applicazione
dell’Internet of things alle aziende è quello di minimizzare gli sprechi industriali. I concetti – ampiamente dibattuti – di “Lean Manufacturing” (produzione leggera) e “Lean Thinking” hanno in comune la parola “Lean”, ossia snello, suggerita originariamente perché le migliori macchine giapponesi usano meno di ogni cosa in paragone alla produzione di massa – metà degli sforzi del capitale umano in fabbrica, metà degli investimenti in strumenti, metà delle ore per sviluppare un nuovo prodotto. Inoltre richiedono di tenere metà dell’inventario normale, generando un minor numero di difetti, e producono una maggior quantità di prodotti e anche di maggior varietà. (Womack et alii, 1990, The Machine that Change the World, p. 13). L’Internet of things è il canale per raggiungere tale scopo. Anche se in Italia tali avanzamenti tecnologici procedono a rilento rispetto ad altri paesi e soprattutto rispetto
alla Silicon Valley e al Giappone, che sono gli epicentri, oggi vengono fatti nuovi passi nella giusta direzione. Il Lean Thinking è associato a un’ossessione per qualunque tipo di spreco (eccessiva produzione, tempo d’attesa, trasporti e gestione, eccessiva lavorazione, spostamento di lavoratori e strumenti senza aggiunta di valore, bassa qualità), riduzione delle irregolarità dei processi, standardizzazione e visual management. Una delle unità baseline per misurare la quantità di sprechi, derivanti dai processi produttivi e altro, è il Value Added Ratio (VAR) = value added time/leadtime x 100, così da avere gli sprechi = 100% – VAR. Un esempio di una misura delle irregolarità dei processi è il Coefficient of Variation (CV) = STANDARD DEV(σ)/AVERAGE (μ). 11.1.2 Big Data
Lo sviluppo dell’Internet of things e l’iperconnettività di ogni cosa in cui siamo sempre più immersi porta con sé lo sviluppo di nuovi sistemi di estrapolazione, elaborazione e condensazione dati, ossia gli strumenti di analisi di Big Data. Essi permettono di raccogliere ed elaborare dati in quantità inimmaginabili da diverse fonti – non parliamo solo dello spazio interno all’azienda, quindi di impianti e sistemi produttivi, ma anche esterno, ossia le preferenze dei consumatori e i vari trend di mercato, da cogliere e soprattutto adesso anticipare. Tali dati diventeranno una condizione necessaria per real time decision making e fonte di vantaggio competitivo per le prime aziende che ne faranno buon uso.
Notevoli esempi sono Amazon e BMW. BMW, per gestire la sua complessa filiera produttiva globale, ha recentemente sperimentato due strumenti che possono leggere, cercare, filtrare e selezionare importanti quantità di informazioni in modo sistematico, costruendo così profili aggiornati in tempo reale di ogni fornitore di
vario livello. Altre informazioni aggiuntive riguardanti terremoti e altre minacce naturali alla filiera produttiva vengono poi aggiunte, segnalate e mostrate su Google Maps su grandi schermi. Tutti i dati vengono poi condensati e spediti ai manager in formato testo tramite App da Ipad. Il rivoluzionario modello aziendale di Amazon permette ai suoi furgoni aziendali di aggirarsi per le strade delle città carichi di prodotti che i consumatori non hanno ancora ordinato ma che gli algoritmi di Amazon predicono che richiederanno. Nell’arco di cinque anni, la maggior parte dei prodotti di cui abbiamo bisogno con poco preavviso, saranno disponibili per consegna lo stesso giorno, grazie alle analisi dei Big Data e alle migliori interfacce disponibili, come le applicazioni di riconoscimento vocale per ordinare i prodotti a voce, sensori nei frigoriferi domestici che pensano a ciò che ci
manca ancor prima che siamo noi stessi ad accorgercene, sensori che indovinano cosa manca alla casa in generale. Amazon Echo è uno speaker intelligente che può essere comandato semplicemente usando la voce, e che è connesso con l’assistente vocale Alexa per poter riprodurre musica, controllare la nostra casa intelligente, acquisire informazioni, notizie, meteo e altro. I Big Data sono dunque un tassello fondamentale della digital disruption. I Big Data possono essere rilevanti per le aziende e per la società in generale a causa della gestione di una sempre più alta molte di dati che possono portare ad analisi più dettagliate. 11.1.3 Cloud Computing Fintanto che l’Industria 4.0 dilaga, anche le attività produttive richiedono un più elevato volume di dati che devono essere condivisi
fra i siti di produzione e le aziende partner. Dal momento che ci si aspetta un miglioramento nel tempo di trasferimento dati, diventa più conveniente raccogliere i dati sulle piattaforme cloud, così che i sistemi produttivi beneficino dei servizi legati ai dati. È anche molto probabile che le attività di monitoraggio del sistema e dei processi saranno trasferiti anche essi sulla piattaforma cloud. Infatti, molti fornitori oggi forniscono sistemi di esecuzione della produzione che hanno base sul cloud. 11.1.4 Simulation and Virtualization Le simulazioni fanno uso dei sistemi di realtà virtuale e si basano su dati raccolti in tempo reale, così da ricostruire l’ambiente di riferimento in un modello virtuale, che può includere macchinari, prodotti e human resource. A livello aziendale, gli utenti
saranno in grado di testare e ottimizzare le impostazioni dei macchinari di produzione nella realtà virtuale prima che in quella fisica. Questa comporta meno difetti, minori tempi di installazione e maggior qualità, dal momento che impatta le fasi di disegno e di ingegneria del prodotto e dei processi. 11.1.5 Cybersecurity Una più elevata connettività richiede anche un più alto grado di protezione dei sistemi di immagazzinamento di informazioni da potenziali attacchi cyber. Ingenti risorse devono essere investite in adeguati sistemi di identificazione e di coordinazione e gestione degli impiegati e degli impianti. In questo scenario, in un’azienda, se anche un solo computer venisse lasciato non in sicurezza ciò potrebbe causare un breach in security tale da compromettere l’intero sistema di
sicurezza e rendere quindi possibile un cyberattack. Le aziende non sono le uniche a doversi preoccupare: anche, e forse anche di più, il sistema bancario è un soggetto a rischio in tal senso. A causa dei milioni di clienti e relativi conto correnti che le banche possiedono, un’infrazione nel sistema di sicurezza di una banca (cyberattack) può causare la perdita di ingenti quantità di denaro, rubato dai conti correnti dei clienti. Anche se non è detto, nella realtà dei fatti, che i clienti vengano a conoscenza di tale perdita, in quanto assicurati, la banca non sarebbe in grado di ripagare l’intero ammontare; dovrebbe rivolgersi a misure di salvataggio che intaccherebbero la sua immagine. Un altro potenziale rischio a livello globale apportato dall’iperconnettività è legato agli attacchi terroristici che possono più facilmente essere messi in atto tramite mezzi
digitali, in un mondo sempre più interconnesso. Per questi motivi, numerose aziende hanno recentemente deciso di fondersi o acquisire compagnie di sicurezza IT. Stando alle accurate analisi disposte dal McKinsey Global Institute of Analysis, l’industria dei fornitori in relazione all’Internet of things potrebbe evolversi in tre fasi. La prima fase, dominata da fornitori di infrastrutture e hardware. Aziende come Cisco e 3Com hanno fornito i blocchi alle fondamenta delle infrastrutture durante l’era di Internet. Nella seconda fase, predominano la aziende che forniscono software, sistemi di sicurezza e piattaforme. Google e Yahoo! ad esempio forniscono servizi di ricerca. Nella terza fase, modelli aziendali tecnologici adiacenti appaiono sulla scena. Il lato Internet ha visto la rapida ascesa di Amazon, che ha guidato l’Internet retailing, e di
Airbnb, nei servizi di alloggi. A oggi, l’Internet of things risiede tra la prima e la seconda fase. Alcune aziende si focalizzano su connettività, sensori e altri dispositivi IoT, mentre altre fanno passi più ampi e si specializzano in software, analytics e sicurezza, con un potenziale di scalabilità. Attraverso le tre fasi vi sono almeno quattro distinte basi di competizione che possono portare a grandi opportunità di value capture per le aziende: tecnologia differenziata, dati distintivi, piattaforme tecnologiche, e l’abilità di fornire soluzioni complete. Distinctive technology Le aziende che hanno diritti di proprietà intellettuale nelle aree di sensori e connettività low cost, low power possono costruirsi posizioni sostenibili.
Distinctive data I proprietari di dati IoT di valore avranno relativamente maggior potere contrattuale. Technology platform Negli anni futuri, un ruolo chiave sarà quello dei proprietari delle piattaforme, che le forniscono e hanno creato piattaforme legate a software a larga base sulle quali altre aziende costruiscono le loro applicazioni. Le piattaforme sono anche un modo per fornire interoperabilità tra le varie applicazioni, ma il potere contrattuale rimane nelle mani dei proprietari della piattaforma. The ability to provide end-to-end solutions Dal momento che accurati sistemi IoT richiedo un alto grado di custumizzazione, aziende che possono fornire soluzioni complete – hardware, software, installazioni e servizio – avranno relazioni più stabili e
durature con i clienti. Fornitori end-to-end possono essere coloro che forniscono l’attrezzatura che usa la tecnologia IoT, le aziende di software o i system integrator.
capitolo 12 Economy of think e intelligenza artificiale
Dopo aver approfondito la branca dell’Economy of things e aver sottolineato l’importanza dei dispositivi connessi e la mole di dati generati, si passa alla definizione di una ulteriore evoluzione dell’economia digitale legata al concetto di “economia del pensiero”, con il proliferarsi di dispositivi intelligenti capaci non solo di raccogliere dati ma rielaborarli attraverso l’utilizzo di algoritmi di Intelligenza Artificiale per generare pronte risposte a seconda del contesto. Riprendendo la definizione di trasformazione digitale, che si basa su tecnologie digitali e processi di reingegnerizzazione con rotture di logiche di mercato per la ricerca di un nuovo vantaggio
competitivo, è evidente come l’Intelligenza Artificiale (AI) debba essere accostata a tale termine. Oggi le tecnologie di AI si stanno avvicinando al raggiungimento di livelli di maturità tali da poter essere applicate in diversi contesti aziendali e settori ridisegnando in un’ottica evolutiva i processi delle imprese e il loro vantaggio competitivo. Si può convenire che la combinazione di IoT, Big Data e Intelligenza Artificiale (AI) a oggi rappresenti la conformazione più evoluta della tecnologia digitale ed è innegabile il legame fra le tre componenti: i dati provenienti da dispositivi connessi (IoT) sono quasi impotenti senza analisi veloci e potenti in grado di renderli utili e funzionabili (Big Data); l’Intelligenza Artificiale (AI) risolve il problema della grande analisi dati, secondo Frost e Sullivan, gli avanzamenti nell’Intelligenza Artificiale degli ultimi anni consentono agli sviluppatori di scoprire un rapporto nascosto
tra i dati, facilitandone l’analisi.
12.1 intelligenza artificiale Il termine “Intelligenza Artificiale” o Artificial Intelligence (AI) è in uso da più di 50 anni, ma ha suscitato l’interesse delle
imprese e della ricerca solo di recente grazie al perfezionamento delle tecnologie e dei loro perimetri applicativi. Vi sono vari modi in cui è possibile definire l’Intelligenza Artificiale, Stuart J. Russell e P. Norvig in Artificial Intelligence: A Modern Approach definiscono l’AI sulla base di quattro diverse dimensioni: l’agire e l’uomo, il pensiero e la razionalità, andando a identificare due diverse definizioni: – Sistemi che pensano: come umani e razionalmente; – Sistemi che agiscono: come umani e razionalmente. L’Artificial Intelligence è pertanto, per prima cosa, inquadrabile come una visione di un’ampia e profonda intelligenza sovraumana, una branca della computer science che accelera tutte le altre tecnologie
e che risponde alla necessità di immagazzinare ed elaborare la conoscenza con l’obiettivo di raggiungere buone decisioni in un contesto dinamico e in continuo cambiamento. Lo scopo dell’AI non è pertanto quello di emulare l’essere umano ma di fornire un supporto alle sue azioni e alla sua missione. 12.2 classificazione delle tecnologie ai Le forme di AI in uso oggi includono gli assistenti digitali, i chatbots e il machine learning ed è possibile identificare cinque diverse categorie di intelligenza ognuna idonea ad avere impatto su società e persone: – Machine Learning; – Discovery & Analytics; – Natural Language Processing; – Speech Recognition;
– Image Recognition. 12.2.1 Machine Learning Il “Machine Learning” (apprendimento automatico) è una disciplina scientifica che si occupa della creazione e dello studio di algoritmi in grado di autoapprendere. Il ML è, pertanto, strettamente legato al riconoscimento di pattern e alla teoria computazionale dell’apprendimento e si basa sullo studio di algoritmi idonei ad apprendere da un insieme di dati e fare delle previsioni su questi; è dunque un sistema che comprende se sia possibile migliorare, a partire dall’esperienza raccolta, una determinata prestazione: l’apprendimento fa leva su scoperte di regole e strutture di dati all’interno di database che se individuate sono in grado di poter incrementare l’efficienza e l’efficacia nell’eseguire compiti
futuri. Le tecniche di Machine Learning si applicano quando vi è la necessità di analizzare grandi quantitativi di dati in tempo rapido, non essendo sufficiente la conoscenza per codificare. Machine Learning Reply, l’azienda del gruppo Reply specializzata in Machine Learning e AI, identifica tre tipi di Machine Learning: – Il supervised learning che agisce in base all’attività da svolgere: l’algoritmo prevede il comportamento di un agente, utilizzando l’esperienza del passato (regressione/classificazione); – Il unsupervised learning che agisce in base ai dati: l’algoritmo individua similitudini e strutture nascoste all’interno dei dati (clustering); – Il reinforcement learning che agisce in base all’ambiente: l’algoritmo impara a reagire all’ambiente e a tenere comportamenti intelligenti.
Nello specifico si definisce “supervised” il sistema che si basa su un algoritmo in grado di imparare dopo che gli vengono fornite informazioni di base per l’interpretazione. Il sistema viene costantemente monitorato e corretto da un agente esterno fino al raggiungimento di una soglia di performance. Il Machine Learning è invece unsupervised quando l’algoritmo scopre e apprende senza il supporto di un correttore. 12.2.2 Discovery & Analystics Si intende l’applicazione di soluzioni avanzate di analisi dati dove la tecnologia sviluppa nuovi meccanismi di rielaborazione e correlazione per fornire informazioni e risposte a domande complesse. 12.2.3 Natural Language Processing &
Speech Recognition Si riferisce alla capacità di analisi di un testo dal punto di vista della sintassi, della semantica e del discorso. I sistemi di questo tipo insieme alle tecnologie di Speech Recognition hanno numerose applicazioni tra cui le implementazioni di comandi vocali e le chatboat per la customer care. Un esempio di questa tecnologia è Siri, l’assistente digitale sviluppato dalla Apple nel 2010 in grado di comprendere e processare domande in linguaggio naturale. 12.2.4 Image Recognition Si riferisce alle capacità di agenti di identificare un determinato oggetto in una sequenza di immagini o video. È dunque la capacità dell’algoritmo di identificare oggetti, luoghi, persone, testi e azioni nelle
immagini.
12.3 come l’intelligenza artificiale sta cambiando le teorie economiche L’Intelligenza Artificiale sta già trasformando il mondo del lavoro, ma il futuro è difficile da prevedere. Alcuni vedono l’occupazione a rischio di automatizzazione, mentre altri replicano che i robot finiranno
per essere impiegati solo per un ristretto numero di attività nei decenni a venire. Nonostante ciò, è necessario un dibattito approfondito per formulare una politica economica condivisa in risposta alla nuova rivoluzione industriale. Cowen sostiene che l’81% delle aziende leader IT stia investendo in AI e si prevede che porterà la produttività degli utenti a livelli superiori. Il mercato dell’AI, nonostante sia composto da tecnologie in alcuni casi ancora in fase di sviluppo, sta infatti riscuotendo grande fiducia in termini di crescita nel breve-medio periodo. Grazie a complesse tecniche di apprendimento virtuali, le macchine sono oggi in grado di portare avanti un’ampia varietà di compiti fisici e cognitivi con le competenze da loro acquisite. L’automazione del digital marketing, CRM e data analytics sono i primi tre settori maturi per l’adozione dell’AI e del Machine Learning. L’efficienza e la precisione del loro lavoro è destinata ad
aumentare fin tanto che le macchine si evolvono con Machine Learning, Big Data e crescente capacità di calcolo. Non è un caso che in questo settore si stiano muovendo sia player più tradizionali del settore dell’informatica come IBM, Microsoft e Apple sia nuovi digital vendor del calibro di Amazon e Google. Lo studio condotto da Cowen and Company IT, “Artificial Intellgence: Entering A Golden Age For Data Science”, ha rivelato come il 43% delle principali aziende mondiali stia valutano e facendo delle Proof of Concept (PoC) in ambito AI, mentre il 38% è già operativo e sta progettando di investire ancora più risorse. Il seguente grafico mostra i risultati dello studio e fornisce una panoramica della disponibilità delle aziende per i progetti AI.
Le ragioni legate all’interesse crescente all’investimento in questo settore sono strettamente connesse ai benefici che le grandi aziende potranno ottenere da queste tecnologie. Più nel dettaglio, uno studio condotto dalla Boston Consulting Group, “Reshaping Business With Artificial Intelligence”, fornisce una rappresentazione delle ragioni che stanno spingendo le grandi corporate a investire in questo settore.
L’84% delle aziende afferma che l’AI consentirà loro di ottenere o mantenere una posizione di vantaggio competitivo sul mercato in cui operano. Il 75% afferma che l’AI consentirà loro di penetrare nuovi mercati. Lo studio evidenzia come l’AI svolgerà un ruolo di catalizzatore di nuovi modelli di business e principale attore nel cambiamento del panorama competitivo di intere industrie nei prossimi cinque anni. Così come ogni tecnologia di potenza significativa, l’Intelligenza Artificiale porta con sé un trade-off: la distruzione di posti di lavoro, cambiamenti nell’identità umana, amplificazione del rischio, contro un’infinitamente più rapido, migliore e meno costoso problem solving. Da un lato, i benefici sono chiari, dall’altro le incertezze riguardo ai rischi emergono per quanto concerne il futuro dell’occupazione (inteso come lavoro svolto da umani). Infatti, le macchine continueranno a evolversi e ad
acquisire competenze non solo seguendo i comandi precedentemente impostati ma generando azioni indipendenti da essi per conto loro, coerentemente con i tipi di ragionamenti e memoria installati in essi. L’Intelligenza Artificiale dei robot potrebbe renderli in grado di sostituire il lavoro umano e ridurre l’occupazione. John Maynard Keynes fu tra i primi a postulare la teoria della “disoccupazione tecnologica”, in contrasto alle teorie correnti che attribuiscono alla tecnologia effetti positivi sull’occupazione nel medio-lungo termine. Si potrebbe generalizzare affermando che l’AI ha un doppio impatto sull’occupazione: – Negativo, sottraendo agli umani il lavoro che svolgevano (effetto di riallocazione); – Positivo, facendo aumentare la domanda di lavoro in altre industrie che si sviluppano proprio per la nuova presenza dei robot e delle nuove tecnologie (effetto
produttività).
La vera domanda è quale dei due effetti dominerà nel futuro. Un chiaro esempio che non si può trascurare è rappresentato dall’introduzione dell’automobile nella vita quotidiana, che portò al declino dell’occupazione nelle industrie legate ai cavalli. Tuttavia, emersero nuove industrie, risultando in un complessivo impatto
positivo sui posti di lavoro, non solo per via dell’impennata dell’industria automobilistica, portando con sé più occupazione nel settore, ma anche per l’aumento di occupazione in altri settori sviluppatisi per il crescente numero di veicoli per strada. Esempi di tali industrie furono i motel nonché i fast food, per soddisfare la domanda di motociclisti e automobilisti. Dall’analisi di episodi passati possiamo dedurre che mentre nel breve termine l’effetto negativo domina, nel medio-ungo termine l’effetto positivo prende forma in seguito all’adattamento del mercato allo shock tecnologico. Tuttavia, come evidenziato dalle ricerche del McKinsey Global Institute, l’avvento dell’Intelligenza Artificiale avverrà molto più velocemente e su una scala molto maggiore, provocando indubbiamente un impatto ben maggiore degli shock passati di introduzione tecnologiche. Per questo motivo, questa volta
l’impatto potrebbe essere differente. L’incertezza va di pari passo con la nostra difficoltà di prevedere l’effetto di produttività, cioè quello positivo dello sviluppo di nuove industrie, sull’occupazione. L’effetto della diminuzione è stato analizzato da numerosi studi empirici e con ottiche diverse, mentre ben più difficile è immaginare quali industrie potrebbero sorgere come conseguenze dell’introduzione dell’Intelligenza Artificiale e i relativi scenari futuri. 12.4 la struttura dell’offerta Ai fini dell’analisi è utile fornire una rappresentazione dell’attuale scenario delle aziende operanti in ambito di Intelligenza Artificiale per poi approfondire il panorama complessivo dell’offerta in questo ambito evidenziano le principali caratteristiche e i
trend che le caratterizzano.
Nel report fornito da Essential Landscape of Companies”, emerge come di offerta di soluzioni AI
Topbots, “The Enterprise AI oggi le modalità varia a seconda
dell’ambito applicazione e della soluzione coinvolta, identificando diversi ambiti applicativi: – Business Intelligence: funzionalità in grado di acquisire intelligenza dai dati aziendali, comprendere le applicazioni aziendali, gli strumenti e i flussi di lavoro che riuniscono le informazioni provenienti da tutte le aree all’interno di un’azienda per permetterne un’analisi intelligente; – Produttività: la produttività in ambito lavorativo è spesso ostacolata da task “inutili” che comportano uno spreco di tempo e di risorse; sono emerse soluzioni di AI in grado di svolgere il ruolo di assistenti di pianificazione virtuale; – Customer Management: soluzioni pensate per rispondere in maniera puntale e prendersi cura dei propri clienti; – HR & Talent: soluzioni pensate per l’acquisizione di profili in linea con la
propria azienda; – B2B Sales & Marketing: soluzioni in grado di ottenere dati per la generazione di lead; – Consumer Marketing: soluzione di analisi di dati e informazioni da canali social, multimediali ecc. per curare in maniera puntale campagne di marketing; – Finance & Operations; – Digital Commerce: soluzioni di analisi di comportamento dei consumatori; – Data science; – Engineering: soluzioni per l’ingegnerizzazione del software per consentire agli sviluppatori di estrarre in tempo reale informazioni; – Security & Risk; – Industrial & Manufacturing: soluzioni legate alla produzione, alla supply chain e alla logistica. Per
semplificare
lo
studio
è
possibile
ricondurre l’analisi a quattro principali gruppi: – Le applicazioni AI; – Gli add-on di altre applicazioni; – I bulding block per gli sviluppatori; – Le attività di consulenza e sviluppo.
Le applicazioni di artificial intelligence possono essere suddivise in due principali categorie: applicazioni in modalità SaaS e applicativi on-premise. I principali vendor ICT si sono incanalati verso l’offerta di soluzioni in cloud con una strategia di cloudfirst. Un esempio è rappresentato da “Watson”, un sistema di Intelligenza Artificiale in grado di rispondere in linguaggio naturale sviluppato da IBM. Altri vendor, come Oracle e Salesforce hanno arricchito la propria suite applicativa con soluzioni di AI che integrano e potenziano le funzionalità dell’applicativo core. Altre aziende stanno invece rilasciando funzionalità e piattaforme ad hoc per gli sviluppatori: è il caso di IBM (con le API di Watson su Bluemix), AWS (con Amazon Polly, Amazon ML). L’AI è pertanto già parte integrante dei prodotti consumer e aziendali
di aziende del calibro di Facebook, Google, Microsoft che hanno iniziato già da tempo a investire in questa tecnolgia. CBInsight ne fornisce una mappatura. Dallo studio di CB Insights emerge l’interesse da parte delle big tech companies a fare investimenti nel settore AI: si pensi a Facebook che sta approfondendo il ramo dell’Image Recognition o Twitter che sta sperimentando soluzioni per rendere più friendly e consistente l’esperienza dell’utente. In questo contesto, è interessante in modo particolare la competizione che si sta sviluppando nel rampo del virtual agent e del virtual assistant. Ai fornitori di applicativi AI si affiancano i consulenti e i system integrator, che forniscono assistenza nella realizzazione di soluzioni ad hoc per sviluppare strategie di go-to-market per aziende operanti in vari settori.
12.5 i numeri di mercato dell’intelligenza artificiale 12.5.1 Grandezza del mercato Le previsioni del mercato dell’Intelligenza Artificiale variano, ma tutte prevedono una crescita significativa. IDC prevede che il mercato dei sistemi cognitivi e quelli dell’AI crescerà fino a raggiungere 47 miliardi di dollari nel 2020 con un CAGR del 55%. Questa previsione include 18 miliardi di dollari nell’applicazione software, 24 miliardi di dollari nei servizi e nell’hardware e 5 miliardi di dollari nelle piattaforme software. IBM afferma che il settore del Cognitive Computing sia un mercato di oltre 2 trilioni di dollari, Tractica prevede che le applicazioni dirette e indirette dei software AI crescano da 1,4 miliardi di dollari del 2016 a 59,8 miliardi di dollari entro il 2025 con un CAGR del 52%.
12.5.2 Settori di impiego e guadagni (futuri) La società di market intelligence Tractica, specializzata in analisi su interazione tra umani e tecnologia, ha diffuso i dati di una proiezione relativi ai casi d’impiego di AI più redditizi fino al 2025. Una prospettiva che vuole mostrare come a tendere le aziende sfrutteranno strumenti e funzionalità della
AI.
Secondo lo studio proposto da Tractica, il settore più redditizio, con più di 8 miliardi di dollari sarà legato al riconoscimento di immagini statiche, classificazione e tagging; a seguire ci sarà il settore degli algoritmi previsionali per migliorare le performance
strategiche di trading (7,5 miliardi di dollari) e la gestione dei dati in ambito sanitario (7,4 miliardi di dollari). Tra le diverse tipologie d’uso quella che promette ricavi interessanti è anche la Content distribution sui social media a rappresentare che il “contenuto” rappresenterà sempre di più un mezzo efficace nelle strategie di marketing e reputation online. 12.5.3 Investimenti nel settore AI Lo studio condotto dal MCKinsey Global Institue, “Artificial Intelligence: The Next Digital frontier” del 2017, mette in evidenza come gli investimenti nel settore dell’AI stiano crescendo rapidamente e siano dominati da giganti digitali come Google e Baidu. Globalmente si stima che le grandi aziende tech abbiano speso tra i 20 miliardi di dollari e i 30 miliardi di dollari nell’AI nel
2016, con il 90% di questo speso in ricerca e sviluppo e distribuzione e il 10% in acquisizioni. L’interesse crescente per la tecnologia AI è testimoniato dal numero crescente di startup operanti in questo settore. Il Machine Learning genererà il maggior numero di entrate e non è un caso che attualmente sia il settore con un numero di investimenti in capitale di rischio più elevato di tutte le aree dell’AI. Venture Scanner rileva che il Machine Learning è aumentato a più di 4 biliari di dollari (con più di 600 aziende). Il risultato non è un caso, in quanto il ML trova oggi applicazione in quei settori maturi per l’Intelligenza Artificiale che dallo studio di Cowen sono rinvenibili in: Automazione del marketing/marketing digitale, Salesforce Automation (CRM) e Data Analystics. La seguente grafica fornisce una panoramica delle aree software nelle quali Cowen ha scoperto il maggior
potenziale per gli investimenti di AI eML.
12.5.4 Operazioni di investimento di capitale di rischio Secondo CB Insights, il numero di operazioni di investimento di startup AI è aumentato di 10X dal 2011 al 2016, passando da 67 nel 2011 a 698 nel 2016, con più di 9 miliardi di
dollari complessivamente investiti negli ultimi 2 anni, prevalentemente nei settori FinTech, Health Care, Transport e Retail/ecommerce. Il grafico successivo fornisce una panoramica della storia finanziaria annuale dell’Intelligenza Artificiale dal 2011 al 2016.
12.5.5 Le operazioni di M&A Negli ultimi anni si è assistito a un aumento significativo del numero di operazioni di M&A che hanno riguardato imprese nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale. In particolare aziende del calibiro di Google, Apple, IBM, Intel e Salesforce hanno accelerato questo processo. CB Insights ha rilevato che nel 2017 le operazioni di
acquisizione sono state 105, compresa la più grande acquisizione da sempre nel settore di Argo AI per oltre un miliardo di dollari da parte di Ford. Tra le aziende più attive, sicuramente Google è quella più focalizzata già a partire dal 2013 soprattutto nei rami di Image Recognition, Chatbot e analisi predittive. Tra le altre grandi imprese attive nel mercato si annovera anche Apple con l’ultima acquisizione di RealFace specializzata in tecnologie di riconoscimento facciale.
12.5.6 Panorama mondiale dell’Intelligenza Artificiale Secondo CB Insights, oltre agli Stati Uniti anche altri paesi stanno avanzando investimenti in queste tecnologie. Nel 2016 il 62% degli investimenti erano di stampo americano e il restante suddiviso tra AsiaPacifico ed Europa.
Il Regno Unito, in particolare, è il secondo paese dopo gli Stati Uniti per investimenti in AI (6,5%), seguito da Israele (4,3%) e India (3,5%).
12.6 impatto dell’ai sulle aziende Le potenzialità della tecnologia AI interessano non solo tutti i settori ma anche tutti i domini aziendali. Gli strumenti per ampliare le dimensioni produttive, qualitative e la stessa efficienza delle imprese che l’AI mette a disposizione sono molteplici. Le aziende si trovano in condizione di dover cambiare il modo di concepire le macchine all’interno dei loro
processi aziendali. Sulla base di un’analisi dettagliata dell’impatto delle imprese di AI, uno studio condotto da PWC, “AI Analysis Sizing the Price Report 2017”, identifica le opportunità di mercato per le aziende e le modalità con cui trarne beneficio. AI è un termine riferito a quei sistemi informatici che possono sentire il proprio ambiente, pensare, imparare e agire in risposta a ciò che stanno rilevando e ai loro obiettivi: – Intelligenza automatizzata: automazione di attività manuali/cognitive e routine/non routine; – Intelligenza assistita: aiutare le persone a svolgere le attività più velocemente e meglio; – Intelligenza incrementata: aiutare le persone a prendere decisioni migliori; – Intelligenza autonoma: automazione dei processi decisionali senza intervento umano;
Lo studio condotto da PwC ha come obiettivo quello di evidenziare come l’AI possa migliorare e aumentare il potenziale delle imprese. L’analisi misura l’impatto economico dell’AI entro il 2030, per otto settori commerciali in tutto il mondo. L’indice di impatto AI, evidenzia significativi miglioramenti alla personalizzazione, qualità
e funzionalità che potrebbero aumentare il valore, la scelta e la domanda in quasi 300 casi di utilizzo di AI. Lo studio mostra un incremento della produttività dovuta a meccanismi di automazione, tramite AI, di attività di routine che permettono di massimizzare l’utilizzo della forza lavoro e ridurre i tempi. Il miglioramento dei prodotti e i cambiamenti nella domanda e nel comportamento del consumatore provenienti dall’AI avranno un effetto rilevante con un impatto di più di 9 miliardi di dollari di PIL supplementare nel 2030. I consumatori saranno per lo più attratti dalla qualità più alta e dalla personalizzazione dei prodotti e servizi, nonché dalla possibilità di sfruttare al meglio il proprio tempo: pensate a quello che potreste fare se non dovreste più guidare per andare a lavoro, ad esempio. A sua volta, un aumento del consumo genera un ciclo virtuoso di più punti di contatto dati e quindi più dati, migliori conoscenze,
prodotti migliori e quindi più consumo.
I frontrunner dell’AI avranno un vantaggio competitivo legato a una conoscenza approfondita del proprio cliente che si traduce in una capacità di sviluppare il
prodotto giusto nel momento giusto. Lo studio condotto dal MCKinsey Global Institute, “Artificial Intelligence: The next digital frontier” del 2017, identifica quattro aree lungo la catena del valore aziendale dove l’Intelligenza Artificiale può creare valore: – Progettazione: con una R&S più smart e dotata di strumenti di previsione; – Produzione: ottimizzare la produzione e la manutenzione; – Promozione: campagne targettizzate di vendita e di marketing; – Fornitura: migliore esperienza utente.
L’Intelligenza Artificiale è orientata a essere la fonte chiave di trasformazione, interruzione e vantaggio competitivo nell’economia di oggi in rapida evoluzione e ha il potenziale per irrompere nel mercato attraverso la creazione di nuovi servizi innovativi e modelli di business
completamente nuovi. Probabilmente nei prossimi di 10 anni si assisterà a un’ondata di digitalizzazione talmente disruptive da far cambiare le carte in tavola con nuovi leader di mercato che stanno oggi esplorando le opportunità. L’Intelligenza Artificiale non svolge semplicemente il lavoro in modo migliore, più veloce e più economico; aggiunge valore all’azienda: estende le competenze umane, migliora le predizioni e diminuisce le probabilità di errore e difetti, accelera la tempistica dei processi. Lo studio PWC fornisce una rappresentazione dell’impatto che l’AI potrà generare in 8 diversi settori (calcolato su un scoring da 15) e la probabilità associata all’orizzonte temporale di adozione (breve periodo 0-3 anni, medio periodo 3-7 anni, lungo periodo +7 anni).
Il risultato dell’analisi mostra come mediamente tutti i settori nel breve medio periodo saranno colpiti dall’ondata AI che genererà impatti rilevanti in maniera trasversale. L’Intelligenza Artificiale viene applicata già oggi per vari scopi: intraspexion usa il deep learning per avere un sistema di monitoraggio che avverta in anticipo del potenziale rischio dell’azienda di andare sotto processo. Non è una tecnologia perfezionata, ma è comunque conveniente dati gli alti costi di cause e processi. Inoltre,
le tecnologie di Intelligenza Artificiale vengono impiegate nell’health care come metodo di predizione di attacchi di cuore. Attualmente, la precisione di tali tecnologie è intorno all’80%, superiore a quella dei cardiologi che è del 60%. L’IA può essere impiegata per svolgere vari tipi di compiti: disegno, diagnosi, produzione, customer service, vendite. Esempi che sono già presenti sul mercato sono Alexa e Google Home. Jeff Bezos tiene occupati 1000 impiegati a lavorare su Alexa di Amazon. L’Intelligenza Artificiale rivoluzionerà sia le industrie con i prodotti e servizi offerti, sia i processi e modelli aziendali, sia, di conseguenza, la vita quotidiana delle persone. Essendo la nostra una fase di transizione, nel momento di una maggior concretizzazione sarà necessario un training generalizzato. Cowen prevede che l’“Intelligent App Stack” verrà integrata rapidamente dalle aziende a dimostrazione di
come il futuro del software aziendale sia già oggi definito da applicazioni sempre più intelligenti con algoritmi di ML che possono fornire intuizioni predittive su un’ampia base di scenari che coprono l’intera catena del valore di un’azienda. Il potenziale esiste per le applicazioni aziendali che modificano i comportamenti di vendita e acquisto, adattando risposte a dati in tempo reale per ottimizzare sconti, offerte, prezzi, campagne.
capitolo 13 Mobile economy e il fenomeno delle startup
Internet ha permesso un abbassamento delle barriere di ingresso per iniziare un business: – Internet mette a disposizione servizi e tecnologie a un costo minore e con una bassa complessità di implementazione (es. IT, IT Enabled Accounting, cloud computing). Google ha ad esempio stimato un risparmio dal 50% al 70% utilizzando le sue applicazioni cloud-based rispetto alle soluzioni tradizionali; – I motori di ricerca, i portali e i social network permettono di pubblicizzare i propri beni e servizi a budget decisamente più bassi rispetto ai canali tradizionali di promozione;
– Internet mette a disposizione canali distributivi potenzialmente globali a costi bassissimi (ad es. eBay, App store, Etsy); – Le piattaforme e-commerce e i motori di ricerca hanno anche permesso la creazione di microimprese (ad es. persone che vendono a tempo pieno su eBay). Tutto ciò ha creato le condizioni affinché ci fosse un vero e proprio boom di imprenditoria e potessero nascere migliaia di quelle che sono definite “startup”. Ma cosa si intende esattamente per startup? Letteralmente la startup è una nuova azienda ma è d’obbligo fare delle distinzioni: – Small Business Startup: sono la maggioranza delle nuove aziende che ogni giorno vengono create globalmente. Possono essere negozi, idraulici, web
agency. Questa tipologia di nuova azienda non è progettata per scalare, lo scopo dell’imprenditore è gestire il proprio business e creare del benessere per sé e per la sua famiglia. Gli unici capitali a disposizione di questi imprenditori sono i soldi propri, quelli che possono prendere in prestito da parenti e amici, e piccoli prestiti bancari. Questi imprenditori non diventano miliardari, ma sono la maggioranza del tessuto imprenditoriale (si pensi che in Italia oltre il 99% è costituito da piccole e medie imprese) e le loro aziende creano posti di lavoro locali; – Scalable Startup: questa tipologia di startup è l’azienda che aspira a diventare come Google, Skype, Facebook. Fin dall’inizio i fondatori credono che la loro visione possa cambiare il mondo e il loro interesse non è nel guadagnarsi da vivere ma piuttosto nel creare un’azienda di capitali che possa eventualmente approdare
sul mercato azionario, o essere acquisita, generando un ritorno multimilionario. Le startup scalabili necessitano di capitali di rischio per finanziare i loro progetti, generalmente forniti da investitori professionali, i venture capitalist. Il lavoro principale di questa tipologia di startup è trovare un business model che sia replicabile e scalabile, cioè che possa generare introiti sempre maggiori raggiungendo così i mercati di massa. Internet costituisce un ecosistema fertile affinché si possano costituire le startup definite scalabili, ovvero nuove aziende in grado di crescere velocemente per affermarsi sui mercati nazionali e internazionali. E proprio le startup appartenenti a questa tipologia hanno mosso le cronache economiche prima nel 2001 con la famosa “Bolla Dot-com”, e ora con la quotazione da 100 miliardi di dollari di Facebook sui
mercati finanziari mettendo così in luce un numero enorme di aziende che provano a replicare il successo globale. 13.1 i fattori che hanno fatto esplodere l’imprenditoria web Alcune tendenze in particolare hanno permesso l’esplosione delle startup scalabili su Internet, permettendo a team agili e di talento di creare prodotti tramite rapide iterazioni date dai feedback con il mercato. Di seguito andiamo a individuare le principali 13.1.1 Abbattimento dei costi di avvio Il costo decrescente di hardware e software è uno dei principali fattori nella proliferazione di startup nel corso degli ultimi cinque anni.
In precedenza ad esempio era necessario acquistare server nei data center per avviare attività tecnologiche, oggi la maggior parte delle startup utilizza il cloud nei primi giorni di vita perché costa molto poco. Ad esempio, costa meno di 0,16 dollari l’hosting di 1 Gigabyte al mese con Amazon Web Services nel 2011, mentre nel 2000 i costi di hosting erano circa di 19 dollari per Gigabyte e ciò comportava l’acquisto del proprio hardware il quale aveva bisogno anche della manutenzione.
Il software open source ha anche fatto una grande differenza. Dove le licenze per il software utilizzato costava migliaia di dollari, ora ci sono software simili e spesso anche di livello superiore disponibili gratuitamente. Framework di sviluppo della tecnologia dei servizi web e mobile includono Ruby on Rails, che è stato rilasciato nel 2004-2005, e Django uscito nel 2005. Il vero vantaggio di questi strumenti non è solo il loro basso costo, ma la comunità che li circonda, che consente agli sviluppatori di trovare aiuto e ottenere feedback sul loro codice. Un’altra tendenza è la “pay-as-you-go infrastrutture”. È possibile pagare costi mensili piuttosto che dover pagare ingenti somme up-front che può permettere ai fondatori di provare le cose prima di fare il grande passo e passare a grandi quantità. Gli esempi includono MailChimp che permette alle startup di gestire mailing list in modo efficace o servizi di project management come Basecamp o
Huddle che offrono i sistemi una volta disponibili solo per le organizzazioni di grandi dimensioni a prezzi accessibili per le piccole aziende. Anche altri costi sono diventati più bassi per le startup. Ora ci sono i fornitori di spazi per ufficio specializzati che permettono una maggiore flessibilità, contratti più brevi e persino eventi di networking. Il famoso ‘garage’, dal quale hanno iniziato aziende come Apple e Google, è ora lo spazio di coworking. Tutto questo significa che il costo maggiore di una giovane startup non è rappresentato dalla tecnologia, ma dalle persone; e spesso il primo problema che si presenta ai fondatori è proprio come coprire il costo della vita, mentre costruiscono il loro primo prodotto, ottengono i loro primi clienti o attirano il loro primo investimento.
13.1.2 Maggiore facilità nel raggiungere nuovi clienti Dave McClure, fondatore della società di investimento e programma di accelerazione 500 Startups, dice che il costo di gestione delle startup sono solo una parte della storia. Il cambiamento più radicale è che il costo di
acquisizione cliente (il costo della pubblicità per attirare un cliente che paga per il servizio) sono drasticamente calati e il perfezionamento degli strumenti disponibili per raggiungere clienti particolari e misurare l’efficacia di approcci diversi è migliorato notevolmente. Ci sono ora le piattaforme per l’acquisizione che danno a team di 2-3 persone accesso a tanti potenziali clienti quanto solo le grandi aziende con budget multimiliardari in dollari di pubblicità avevano in passato. Con la creazione di Google AdWords o Facebook Adverts, piccoli team possono verificare quanto costerà acquisire nuovi clienti utilizzando diversi approcci e raffinando la loro comunicazione e Call-to-Action. 13.1.3 Maggiore facilità nel raggiungere i ricavi
Insieme con i crudi numeri di potenziali clienti che sono disponibili per le imprese online oggi rispetto a un decennio fa, ci sono percorsi migliori per la monetizzazione, in particolare attraverso pagamenti diretti sotto forma di transazioni (e-commerce), vendita tramite App store e modelli di sottoscrizione: – Shopping Cart: una tecnologia che una volta era disponibile solo per la grande distribuzione è ora facile, veloce ed economica da installare in qualsiasi servizio; – PayPal e altre piattaforme di pagamento via Internet tolgono il fastidio di registrazione a conti merchant delle banche in cui è spesso richiesto una storia commerciale e il livello minimo di fatturato; – Gli App store come l’Apple App Store, l’Android Market o l’Amazon Android App Store offrono alle startup un modo di
monetizzare direttamente applicazioni con linee presentazione chiare.
le loro guida di
Inoltre il settore Internet del web ecosystem è maturato e i modelli di business sono diventati più conosciuti e compresi. È poi più disponibile l’esperienza delle aziende che sono diventate profittevoli, che forse era più rara nel boom degli anni Novanta delle Dotcom. Questi nuovi modelli di business più prevedibili e i modi di raggiungere nuovi clienti permettono alle startup di avere, rispetto che in passato, modi più semplici per fare soldi dal primo giorno. In precedenza il modello di business era elaborato dopo il grande successo ottenuto dalla startup tra gli utenti, ma, attualmente, non è più cosi. 13.2 l’approccio delle web scalable startup
Internet, per le caratteristiche che abbiamo analizzato in precedenza, ha creato un fertile ecosistema in cui sono proliferate le “scalable startup” o almeno i tentativi di esse. Proprio in questi ultimi anni abbiamo assistito alla creazione inefficace di molte scalable startup. Molti investitori hanno trattato le startup come versioni più piccole delle grandi aziende. Ma ciò non è stato corretto: mentre le grandi aziende eseguono modelli di business noti, le startup sono organizzazioni temporanee progettate per la ricerca di un modello di business scalabile e ripetibile. Questa intuizione ha cominciato a cambiare il modo in cui insegnare l’imprenditorialità, incubare e finanziare le startup. Di seguito andremo ad analizzare le principali metodologie di lavoro diffuse nelle web startup.
13.2.1 Lean Startup Methodology “Lean Startup” è un approccio di business coniato da Eric Ries nel suo best seller (The Lean Startup: How Today’s Entrepreneurs Use Continuous Innovation to Create Radically Successful Businesses), che mira a cambiare il modo in cui le aziende sono costruite e come i nuovi prodotti vengono lanciati. La Lean Startup si basa sull’apprendimento convalidato, sulla sperimentazione scientifica, su rilasci iterativi del prodotto in ottica di abbreviare i cicli di sviluppo, sulla misurazione dei progressi e sull’ottenimento di feedback dei clienti. In questo modo, le aziende, e in particolare le startup, possono progettare i propri prodotti o servizi per soddisfare le esigenze dei loro clienti senza richiedere grandi quantità di finanziamento iniziale o lanci di prodotti costosi.
Originariamente sviluppato con aziende high-tech in mente, la filosofia Lean Startup è stata ampliata come applicazione a qualsiasi individuo, gruppo o azienda che cerca di introdurre nuovi prodotti o servizi sul mercato. Oggi, la popolarità della metodologia Lean Startup è cresciuta al di fuori del suo luogo di nascita, la Silicon Valley, e si è diffuso in tutto il mondo, ed è particolarmente utilizzata dalle startup web proprio per le specificità che offre Internet: misurabilità, bassi costi, rapidità. Simile ai precetti del lean management e prendendo molto spunto dalle tecniche del Customer Development di S. Blank, la filosofia Lean Startup di Ries si propone di eliminare gli sprechi e di aumentare invece il valore introducendo pratiche di produzione durante la fase di sviluppo del prodotto in modo che le startup possano avere migliori possibilità di successo senza richiedere grandi quantità di finanziamenti esterni,
business plan elaborati o di essere giunti al prodotto perfetto. Ries ritiene che il feedback dei clienti durante lo sviluppo del prodotto è parte integrante del processo di Lean Startup, e ciò assicura che la startup non investa tempo nella progettazione e sviluppo di funzioni o servizi che i consumatori non vogliono. Ciò avviene principalmente attraverso due processi, utilizzando indicatori di performance chiave e un processo continuo di rilascio del prodotto. Poiché la startup in genere non può permettersi di far dipendere l’intero investimento dal successo del lancio di un prodotto unico, Ries sostiene che attraverso il rilascio del “Minimum Viable Product”, ovvero un prodotto che non è ancora concluso ma presenta le caratteristiche minime per poter essere lanciato, la società può fare uso dei feedback dei clienti per personalizzare ulteriormente il prodotto alle specifiche esigenze dei propri clienti.
La filosofia Lean Startup allontana le startup web o tecnologiche dall’ideologia precedente dell’era delle Dot-com fine anni Novanta, con l’obiettivo di ottenere una produzione redditizia attraverso la costruzione di un prodotto minimale e misurando il feedback dei clienti. Ries afferma che il “lean” non ha niente a che fare con quanti soldi una società è riuscita a rimediare, ma che “invece ha tutto a che fare con la valutazione delle specifiche esigenze dei consumatori e a come rispondere a tale domanda utilizzando la minor quantità di risorse possibile”. Ries per sviluppare una metodologia Lean Startup si appoggia alla creazione di alcuni concetti e pratiche fondamentali, oggi molto diffuse tra le startup web di tutto il mondo. Vediamo i principali. 13.2.2 Minimum Viable Product
Un Minimum Viable Product (MVP) è la “versione di un nuovo prodotto che consente a un team di raccogliere la massima quantità di informazioni sui clienti con il minimo sforzo”. L’obiettivo di un MVP è quello di testare ipotesi e assunzioni fondamentali di lavoro e per aiutare gli imprenditori a iniziare il processo di apprendimento il più rapidamente possibile. A titolo di esempio, Ries rileva che il fondatore di Zappos (sito di successo di e-commerce che vende scarpe, successivamente acquisito da Amazon), Nick Swinmurn, ha voluto verificare l’ipotesi che i clienti fossero pronti e disposti ad acquistare scarpe online: invece di costruire un sito web e un ampio database di calzature, Swinmurn andò in negozi locali di scarpe, prese le immagini dei loro inventari, pubblicò online le foto, acquistò le scarpe dai negozi a prezzo pieno e le vendette direttamente ai clienti che avevano acquistato le scarpe attraverso il suo sito web. Swinmurn dedusse che la
domanda era presente e Zappos si sarebbe poi trasformato in un business di miliardi di dollari. 13.2.3 Continuous Deployment Il Continuous Deployment è un processo “in cui tutto il codice che è scritto per un’applicazione web viene immediatamente rilasciato in produzione”, che si traduce in una riduzione dei tempi del ciclo di sviluppo. Ries afferma che alcune delle aziende in cui ha lavorato, rilasciavano nuovo codice in produzione anche cinquanta volte al giorno. 13.2.4 Split testing Una split test o una prova A/B, è un esperimento in cui “in un periodo di tempo, diverse versioni di un prodotto sono offerte
ai clienti”. L’obiettivo di uno split test è quello di osservare i cambiamenti di comportamento tra i due gruppi di clienti e misurare l’impatto di ciascuna versione su una metrica impugnabile. Il test A/B può essere eseguito anche in serie invece che in parallelo, dove un gruppo di utenti durante una settimana vede una versione del prodotto mentre la settimana prossima ne vede un’altra versione. Questo può comportare una criticità data dal fatto che eventi esterni possono influenzare il comportamento degli utenti in un periodo di test, ma non influenzare l’altro periodo. 13.2.5 Vanity metrics Le vanity metrics sono metriche che danno “il quadro più roseo possibile”, ma non riflettono accuratamente i fattori chiave di un business. Questo è in contrasto con
metriche “azione”, la cui misurazione può portare a una decisione commerciale e alla conseguente azione. Tipici esempi di vanity metrics sono il numero di nuovi utenti ottenuti al giorno. Un alto numero di utenti guadagnati al giorno sembra utile per qualsiasi azienda, ma se il costo di acquisizione di ogni utente, attraverso campagne pubblicitarie costose, è significativamente superiore a quello delle entrate per utente, si ottiene quindi che aumentando il numero di utenti si giungerà rapidamente al fallimento. Le metriche “vanità” per una società possono essere invece metriche “azione” per un’altra azienda. Ad esempio, una società specializzata nella creazione di dashboard web-based per i mercati finanziari potrebbe visualizzare il numero di visualizzazioni delle pagine web e questa sarebbe una metrica vanità in quanto le loro entrate non si basano sul numero di pagine viste. Tuttavia,
per un sito web editoriale online che vive di pubblicità, il numero di visualizzazioni di pagine web rappresenta una metrica “azione” poiché il numero di pagine viste è direttamente correlato alle entrate. 13.2.6 Pivot Un pivot è una “correzione di rotta strutturata per testare una nuova ipotesi fondamentale sul prodotto, sulla strategia e sul motore della crescita”. Un esempio notevole di una società che ha impiegato il pivot è Groupon. Quando la società ha iniziato, era una piattaforma di attivismo online chiamata The Point. Dopo scarsi e deludenti risultati, i fondatori aprirono un blog WordPress e lanciarono la loro prima promozione sotto forma di coupon per una pizzeria situata nel loro dell’edificio. Anche se solo venti persone avevano preso il
coupon, i fondatori si resero conto che la loro idea era significativa, e la svilupparono. Tre anni più tardi, Groupon sarebbe diventato un business da miliardi di dollari. 13.2.7 Customer Development Il Customer Development è una tecnica molto usata dalle startup web per iterare e testare rapidamente ogni parte del loro modello di business. Tale metodologia è stata sviluppata da Steve Blank (Four Steps to the Epiphany), ex imprenditore seriale e attuale professore nel cuore della Silicon Valley, alla Stanford University. Il Customer Development si esegue in modalità diverse a seconda della tipologia di azienda, ma Blank pone particolarmente in risalto l’adozione nel campo del software e delle web startup. Blank sostiene che la startup è
un’organizzazione costruita per ricercare un modello di business che sia ripetibile, cioè sostenibile, e scalabile.
Il lavoro dei fondatori della startup è verificare rapidamente, se il modello è corretto, vedendo se i clienti si comportano come il modello predice. Il più delle volte i clienti non si comportano come previsto. Il Customer Development è il processo che le startup utilizzano per iterare rapidamente e testare ogni elemento del loro modello di
business. L’Agile Development è il modo in cui le startup rapidamente correggono il loro prodotto mentre imparano. La metodologia Lean Startup di Eric Ries è l’intersezione di Customer Development, Agile Development e, se disponibili, piattaforme aperte e open source. Secondo Steve Blank, il Customer Development comprende quattro passi: 1. Customer Discovery: creare un’ipotesi su chi può essere il proprio cliente, e chiedere poi a questi client cosa vogliono, come lavorano, cosa odiano e cosa vogliono di più; 2. Customer Validation: sviluppare un processo di vendita ripetibile e scalabile. Questo perché si assume che nella prima fase i clienti siano stati early adopter che non rispecchiano le caratteristiche del cliente medio; 3. Customer Creation: dopo la prova delle
vendite, va impostata la strategia per la creazione di nuovi clienti; 4. Company Building: ricostruire l’organizzazione e il management dell’azienda in quanto i business model e l’acquisizione client sono processi ormai consolidati.
Ash Maurya, CEO di Spark59, per sottolineare l’importanza e l’utilizzo del Customer Development nelle startup web ha
leggermente riadattato lo schema di Blank, in particolare la fase di Customer Discovery e Customer Validation.
13.2.8 La Business Model Innovation Sia Blank sia Ries si rifanno molto nelle loro teorie al concetto di “business model” e di innovazione riferito in esso, con particolare attenzione al processo iterativo di test delle ipotesi. A oggi, lo strumento più diffuso, richiamato anche nelle teorie di Blank e Ries, è costituito dal Business Model Canvas del ricercatore svizzero Alex Osterwalder. Il Business Model Canvas è uno strumento potente che rende facile la comprensione
dell’attuale business model di un’azienda ma che rappresenta anche il mezzo con il quale apportare innovazione nei business model esistenti o nella creazione di nuovi. Attraverso l’uso degli elementi o building block, descritti da Osterwalder, rende semplice la comprensione del modello di business. In pratica il Business Model Canvas è un framework che identifica e visualizza gli elementi del business model e offre uno spaccato dell’azienda. Partendo dalla raffigurazione dei quattro pilastri: – Product; – Customer Interface; – Infrastructure Management; – Financial Aspect. A questi pilastri possono essere associate
delle macro domande che identificano il ruolo e cosa dovrà essere esplicitato nelle suddette aree.
Da questa rappresentazione dei quattro pilastri si passerà a una in cui siano mostrati
i 9 building block che costituiscono la struttura dei business model.
Si arriva alla seguente rappresentazione del Business Model Canvas mostrata nella Figura 13.9.
Utilizzando i building block o elementi del business model sul Business Model Canvas si potrà ottenere una rappresentazione grafica di un business così come il caso iPod di Apple preso ad esempio nel Figura 13.10.
Il processo di modellazione della Business Model Innovation raramente capita a causa di una coincidenza; è al contrario qualcosa che può essere gestito, strutturato in processi e utilizzato per sfruttare il potenziale creativo di un’intera organizzazione. La sfida spesso è che la
Business Model Innovation rimane disordinata e nascosta, nonostante i tentativi di attuare un’implementazione di processo. Necessita quindi di un’abilità nel poter affrontare l’ambiguità e l’incertezza che imperversano sino a che una soluzione ottimale emerga. Questa capacità deve poi essere utilizzata, partendo da uno “Starting Point”, sia esso proveniente da una startup o da un’azienda consolidata, rispetto a bisogni e necessità totalmente differenti fra loro, nell’analisi delle varie fasi che contraddistinguono il processo di design di un business model. Le cinque fasi sono: 1. Mobilitazione; 2. Comprensione; 3. Design; 4. Implementazione; 5. Gestione.
La progressione attraverso queste fasi non è mai lineare, anzi spesso le fasi 2 e 3, cioè di “comprensione” e “design”, tendono a essere processate in parallelo. La prototipazione del business model può facilmente iniziare nella prima parte della fase 2: “fase della comprensione”, nella forma di idee di business model disegnate preliminarmente. L’ultima fase, cioè la “gestione”, è focalizzata
sulla gestione continua del business model, ricordandosi sempre che un business model ora ottimale potrebbe non esserlo più dopo un certo periodo di tempo, anche in relazione alla fase in cui si trova il mercato in cui l’azienda opera. 13.3 il ruolo del venture capital nella creazione di startup In Europa, secondo l’ultimo rapporto di Dealroom (gennaio 2017), sono stati investiti circa 16,2 miliardi di dollari, circa 4 volte quanto è stato investito nel 2012. Il numero di operazioni è cresciuto anch’esso notevolmente, da 1300 operazioni nel 2012, a 3400 startup finanziate nel 2016. Inoltre, è stato aumentato il ticket di investimento medio che le startup ottengono a ogni round di investimento: da circa 3,3 milioni di dollari nel 2012 a circa 4,8 milioni
di dollari nel 2016. Se spostiamo l’analisi sugli Stati Uniti, le rispettive somme investite sono estremamente più alte rispetto a quelle analizzate pocanzi per il mercato del venture capital europeo, nel 2016 negli USA sono stati investiti circa 63,4 milioni di dollari contro i 36,6 milioni di dollari investiti nel 2012. Nonostante la disparità di investimenti tra Stati Uniti ed Europa, la crescita è nettamente inferiore negli Stati Uniti rispetto a quella europea. Nel panorama europeo, i mercati più attivi sono UK, Francia e Germania, che nel 2016 hanno investito 3,2 miliardi di euro, 2,7 miliardi di euro, 2 miliardi di euro rispettivamente (fonte Dealroom). L’Italia è ancora distante dalle cifre investite dai principali attori europei, avendo investito solamente 217 milioni di euro nel 2016 (fonte osservatori.net).
Il venture capital promuove la crescita economica, dirigendo flussi di capitale in startup innovative che creano posti di lavoro e guidano lo sviluppo dell’industria. L’ammontare di soldi spesi in un paese può essere un indicatore approssimativo del potenziale di crescita di quella economia e della sua sostenibilità. La Stanford Business School ha stimato come le società finanziate da venture capital negli Stati Uniti abbiano stravolto il panorama economico americano
negli ultimi 30 anni. È stato svolto uno studio sulle società finanziate da venture capital, come una percentuale delle società quotate americane, nate negli Stati Uniti dal 1979. Nonostante la giovane età dell’industria del venture capital, delle società prese in esame, il 43% di queste. Inoltre, la quota spesa per ricerca e sviluppo (R&D) da parte di società finanziate da venture capital ammonta al 42% del totale. Il fattore più rilevante riguarda il numero di posti di lavoro creati da società sovvenzionate da venture capital: circa 4 milioni di nuovi posti di lavoro creati. Come possiamo vedere dalla Figura 13.12, gli investimenti di venture capital rapportati al PIL in Italia sono ben al di sotto che negli Stati Uniti, e ancor di più distanti con Israele. In Italia solamente lo 0,01% del PIL viene investito in venture capital, contro lo 0,40% negli Stati Uniti (40x) e l’1,50% in Israele (150x).
Come mostrato dalla Figura 13.13, si può notare come le società nate da meno di 5 anni contribuiscano a creare quasi il 100% dell’occupazione netta negli Stati Uniti. Nel solo 2014, le nuove società sono riuscite a creare 1,5 milioni di nuovi posti lavoro. 13.3.1 Economia delle Multisided Platform Startup
L’avvio di una nuova impresa su Internet è particolarmente difficile quando l’iniziativa si basa sulla realizzazione di una piattaforma multisided. Infatti, oltre alle solite difficoltà legate all’avvio di una nuova azienda, i fondatori devono fare i conti con il ben noto problema legato alle piattaforme multisided: il problema dell’uovo e della gallina. Gli imprenditori devono assicurarsi un numero sufficiente di clienti su entrambi i lati, e nelle giuste proporzioni, per garantire un valore soddisfacente per entrambi i gruppi di clienti e per realizzare una crescita sostenibile della piattaforma. L’incapacità di raggiungere la massa critica provoca rapidamente l’implosione della piattaforma. Il problema dell’uovo e della gallina è centrale nella letteratura economica delle piattaforme multisided, ma mentre la maggior parte dei ricercatori si concentra sullo studio di piattaforme mature soffermandosi sull’analisi della struttura del
pricing, pochi sono gli studi sulla criticità di questo problema nella fase di avvio di una piattaforma. Tra questi, David Evans (“How Catalysts Ignite: The Economics of PlatformBased Start-Ups”, 2008) è colui che si sofferma maggiormente sull’analisi della fase di avvio di una multisided platform. Di seguito illustreremo i principali punti delle sue analisi. Il problema che si trovano davanti le giovani piattaforme multisided è far fronte alla necessità di recuperare, in quale modo e in quali tempi, i diversi gruppi di clienti che la piattaforma promette di mettere in contatto: bisogna portare a bordo prima il gruppo di clienti A o B? oppure entrambi contemporaneamente? Questo comporta un difficile compito di coordinamento tra la piattaforma e i gruppi di clienti. Ma il problema non si limita solo all’ordine di apparizione, ma anche alle proporzioni: quanti clienti A deve avere la piattaforma
affinché un cliente B ricavi valore dal partecipare alla piattaforma, affrontandone i costi che ne derivano? E il contrario? Queste domande permettono di capire che esiste una quantità minima di clienti in ogni gruppo che, se raggiunta, fornisce un mercato sufficientemente dinamico da consentire una crescita sostenibile della piattaforma. Questa quantità viene definita come “massa critica”. Il raggiungimento di questa massa critica può dipendere da numerosi fattori, compreso il pricing, ma il punto è che è necessario raggiungerla, altrimenti subentra l’implosione. Google Video, ad esempio, fallì a raggiungere la massa critica perché non generava abbastanza contenuto da attrarre abbastanza visitatori che a loro volta stimolassero la creazione di user generated content. Ci sono dunque diverse strategie per portare a bordo i vari gruppi di clienti, e in quale proporzione. Prima di analizzare le
principali strategie che le multisided platform startup possono adottare, vediamo quali sono i casi che possono ritrovarsi di fronte: – Entrata sequenziale: in alcuni casi è possibile portare un gruppo di clienti a bordo nel tempo e quindi rendere disponibili questo gruppo per l’altro gruppo di clienti, più avanti nel tempo. Questa è la situazione che capita con le piattaforme multisided in ambito advertising. Si può utilizzare il contenuto per attirare gli spettatori e quindi portare gli inserzionisti a bordo dopo. Questa dinamica funziona perché ci sono effetti indiretti di rete non positivi tra le due parti: gli spettatori non sono interessati agli inserzionisti (e potrebbero non amare la pubblicità), ma arrivano sulla piattaforma per il contenuto che essa offre; – Ingresso con significativo pre-impegno di
investimento: in altri casi, un gruppo di clienti ha bisogno di fare degli investimenti nel tempo per poter partecipare alla piattaforma. Questo è il caso con le piattaforme basate su software, come i sistemi operativi. Gli sviluppatori di giochi e applicazioni devono investire nella creazione di software per la prossima release di un sistema operativo senza sapere quanti consumatori saranno interessati a utilizzare quella piattaforma quando questa sarà disponibile. La piattaforma deve convincere gli sviluppatori che ci sarà in futuro un numero adeguato di clienti, o fornire loro alcune garanzie finanziarie che gli acquirenti appariranno, o autoprodurre giochi fino a quando la piattaforma non viene lanciata; – Entrata simultanea: infine ci sono casi in cui i gruppi di clienti prendono la decisione di aderire alla piattaforma nello stesso tempo e vi devono partecipare allo stesso
tempo affinché la piattaforma possa fornire loro valore. Alcune piattaforme richiedono una simultaneità quasi perfetta. Uomini eterosessuali lascerebbero rapidamente una discoteca nuova ove non vi fossero donne e viceversa. Analogamente online, in una piattaforma di dating gli uomini non si iscriverebbero se non vi fossero delle donne già iscritte e viceversa. Altre piattaforme possono fornire un po’ più di latenza. Gli acquirenti non possono abbandonare subito una piattaforma di scambio se non ci sono i venditori, ma vi è la prospettiva che arrivino presto. In tutti i casi, tuttavia, la crescita della piattaforma non è sostenibile finché essa non raggiunga una massa critica. Pertanto, la sfida chiave per le nuove piattaforme è capire il modo di raggiungere la massa critica in fretta. Andiamo ora a illustrare le principali strategie per raggiungere la massa critica:
– Zig-zag: una strategia di base per raggiungere la massa critica è costruire la partecipazione sui due lati in modo incrementale. La piattaforma inizia con un piccolo numero di agenti economici su entrambi i lati. Si convince poi gli agenti su entrambi i lati a aderire. Essa si basa anche sui processi naturali di diffusione del prodotto. A causa di effetti di rete indiretti, la piattaforma diviene più preziosa per ogni successivo gruppo di potenziali clienti. eBillMe fornisce un esempio di questa strategia. I consumatori che fanno clic sul simbolo di eBillMe alla cassa di un e-tailer, così facendo possono pagare con il proprio conto bancario online. Ricevono quindi una email contenente i dati per il pagamento e dopo che hanno inserito tali informazioni sul proprio conto bancario online ricevono una ricevuta e il prodotto viene spedito. Questa alternativa di pagamento è interessante per le persone che sono
preoccupate per la sicurezza dei pagamenti con carta online. Per iniziare, eBillMe convinse l’e-store ToolKing a offrire eBillMe nelle possibilità di pagamento offerte dal sito. Una piccola percentuale di clienti usarono questo tipo di pagamento alternativo. eBillMe andò poi da altri rivenditori online. Ognuno portò a eBillMe ad avere più persone abituate a usare il proprio servizio. Per ogni commerciante successivo l’offerta di questo nuovo sistema di pagamento era sempre più rilevante dal momento che aveva sempre più utenti predisposti a utilizzare questa alternativa di pagamento. Allo stesso tempo, questo consentiva agli utenti di sapere che potevano pagare in più luoghi aumentando così il valore anche ai loro occhi. eBilleMe è cresciuto da 1 commerciante e centinaia di utenti nel corso del suo primo anno di vita nel 2005, a centinaia di negozi online, con un range dal 2% al 10% del volume delle
loro transazioni nel 2008 intermediato con questo sistema di pagamento; – Pre-impegno di entrambe le parti: alcune piattaforme come eBillMe sono in grado di iniziare con un membro su un lato della piattaforma, che viene poi utilizzato per attrarre membri sull’altro lato. Più comunemente le piattaforme necessitano di avere più membri dalle due parti per avviare il processo di zig-zag di cui sopra. Hanno quindi bisogno di convincere un numero minimo di early adopter su entrambi i lati affinché la piattaforma si presenti alla partenza in modo credibile. Ciò richiede sempre di far credere a entrambe le parti che, quando la piattaforma aprirà, saranno presenti anche i membri dell’altra parte. I sistemi operativi sono un valido esempio di ciò. Questi sono piattaforme che collegano gli sviluppatori di applicazioni con gli utilizzatori. L’utilizzatore non acquisterà l’hardware e il sistema operativo
senza una sufficiente base di applicazioni e giochi, e gli sviluppatori non investiranno il proprio tempo se non saranno sicuri che ci sarà abbastanza gente che comprerà le loro applicazioni. Questo perché la creazione di un’applicazione è un processo lungo, e la piattaforma deve assicurarsi che ci saranno abbastanza applicazioni e giochi nel momento del lancio; – Strategia del singolo o doppio influenzatore: la strategia prevede di acquisire un influente o prestigioso membro su un lato. L’annuncio può attirare un numero sufficiente di membri nell’altro lato all’inizio. La strategia dei centri commerciale è un classico esempio: il centro commerciale trova un venditore che interessa a molti clienti; – Le due fasi: la strategia in due fasi comporta sempre il portare prima abbastanza membri di una parte a bordo della piattaforma, e quindi portare dopo
membri dell’altro lato a bordo. Come accennato in precedenza questo funziona quando il primo lato non è interessato al valore del secondo lato come avviene nelle piattaforme pubblicitarie. I motori di ricerca seguono questa strategia. Hanno attratto gli utenti che hanno fatto ricerche sul world-wide-web. I risultati sono stati visualizzati su una serie di pagine. Una volta ottenuto un numero sufficiente di pagine visitate hanno venduto l’accesso a quelle pagine gli inserzionisti. Google, per esempio, gestì il suo motore di ricerca per 23 mesi prima dell’apertura agli inserzionisti pubblicitari. A quel tempo aveva più di un miliardo di pagine indicizzate e 18 milioni di ricerche al giorno; – Zig-zag con autofornitura: i fondatori possono essere in grado di avviare le loro piattaforme, sostituendosi a una delle stesse parti, almeno inizialmente.
Prendiamo ad esempio YouTube, che è una piattaforma a tre lati: i contenuti generati dagli utenti attirano gli spettatori, gli spettatori attirano i fornitori di contenuti che desiderano un pubblico, e l’accesso agli spettatori può essere poi venduto agli inserzionisti. YouTube ha iniziato concentrandosi sugli utenti e spettatori. I suoi fondatori disseminarono il sito di contenuti che si erano autogenerati e iniziarono il processo di diffusione suggerendo ai membri delle loro reti sociali personali di guardare i loro video. Usarono anche diverse strategie di marketing per attirare gli spettatori: pubblicarono annunci su Craigslist per spingere donne attraenti a pubblicare sul loro sito in cambio di partecipare all’estrazione giornaliera di un iPod.
Da un punto di vista matematico, il raggiungimento della massa critica per innescare la creazione di valore, dovrebbe essere istantaneo. In pratica, sembra che le piattaforme abbiano un po’ di tempo, anche se limitato, per raggiungere la massa critica. Gli early adopter sono i primi che utilizzano una piattaforma. Se tornano e se anche i later adopter vi trovano del valore, allora è
possibile raggiungere la massa critica. Se la piattaforma non cresce abbastanza velocemente per raggiungere la massa critica, gli early adopter perdono di interesse, un minor numero di later adopter sopraggiunge, e il passa-parola si ferma o diventa negativo, con la conseguenza finale dell’implosione della piattaforma. 13.4 venture capital e principali settore di interesse Il venture capital ha giocato un ruolo fondamentale nella creazione e sviluppo delle startup web. Anche se le startup Internet al giorno d’oggi, come abbiamo visto, necessitano di pochi soldi per avviare e testare l’idea, nella fase in cui bisogna invece scalare il business sui mercati c’è bisogno di grandi capitali in quanto la competizione è globale. Ma anche i potenziali ritorni sono
molto interessanti. L’economia digitale sta creando incredibili opportunità in tutti settori industriali mentre al tempo stesso sta scardinando gli equilibri in cui operavano i tradizionali operatori. La velocità e la dimensione di questo cambiamento è fenomenale ed è accelerato dai nuovi giganti tecnologici, dagli “Unicorni”, startup con oltre il miliardo di valutazione, e dai venture capitalist. Il 2 marzo 2017 Snap Inc., società famosa principalmente per l’applicazione Snapchat, si è quotata in borsa al NYSE a un valore di 24 miliardi di dollari. Alcuni tra i primi investitori nella società, tra cui LightSpeed Venture Partners, che aveva investito 485.000 dollari nel 2012, hanno visto un ampio ritorno di quanto era stato investito inizialmente. Infatti, dato che deteneva l’8,6% della società al momento della quotazione, il valore delle proprie quote Post-IPO ammontava a circa 2,1 miliardi di dollari, ossia più di 4000 volte il valore
dell’investimento iniziale. Viviamo in un tempo nel quale ci sono cambiamenti molto veloci ed esponenziali guidati da una potenzialità senza precedenti di connettere e riconfigurare quasi ogni cosa in nuove soluzioni innovative. Il risultato è un panorama di giovani unicorni che stanno dirompendo vecchi mercati o forgiandone di nuovi. Uno studio di PitchBook del 2016 prende in esame gli unicorni presenti negli Stati Unti, andando a individuare i principali settori di appartenenza. Come si evince dal grafico, la maggior parte degli unicorni presenti negli Stati Uniti riguardano il settore del software, rappresentando più del 50% delle startup valutate oltre 1 miliardo di dollari.
Inoltre, è stato analizzato a che round di investimento una startup riesca effettivamente a diventare un unicorno. PitchBook riferisce che il numero di startup tecnologiche che diventano unicorni è in calo nell’ultimo anno, da 43 nuovi unicorni nel 2015, nel 2016 (dati fino al 31.8.16) i nuovi unicorni sono solamente 11.
13.4.1 Big data Big data è il termine per descrivere una raccolta di dataset così grande e complessa da richiedere strumenti differenti da quelli tradizionali, in tutte le fasi del processo: dall’acquisizione, alla curation, passando per condivisione, analisi e visualizzazione. Il progressivo aumento della dimensione dei dataset è legato alla necessità di analisi su un unico insieme di dati, con l’obiettivo di estrarre informazioni aggiuntive rispetto a
quelle che si potrebbero ottenere analizzando piccole serie, con la stessa quantità totale di dati. Ad esempio, l’analisi per sondare gli umori dei mercati e del commercio, e quindi del trend complessivo della società e del fiume di informazioni che viaggiano e transitano attraverso Internet. Big data rappresenta anche l’interrelazione di dati provenienti potenzialmente da fonti eterogenee, quindi non soltanto i dati strutturati, come i database, ma anche non strutturati, come immagini, email, dati GPS, informazioni prese dai social network. Con i Big Data la mole dei dati è dell’ordine dei Zettabyte, ovvero miliardi di Terabyte. Quindi si richiede una potenza di calcolo parallelo e massivo con strumenti dedicati eseguiti su decine, centinaia o anche migliaia di server. Questo è stato e continua a essere un territorio interessante dove nascono le startup da oltre il miliardo di valutazione.
Aziende come MongoDB, Nutanix, Nimble e Splunk stanno gettando le basi in termini di gestione e di archiviazione dei dati. L’onere si sposta ora verso strumenti come Tableau in grado estrarre preziose informazioni da enormi moli di informazioni e soluzioni che strutturano, normalizzano e consolidano diversi insiemi di dati, come Palantir. Unicorni come Clima-Corp, Marketo, RocketFuel, e Veeva Systems dimostrano che vi sono opportunità insite negli algoritmi stessi, molti dei quali sono agnostici al contesto, mentre altri si stanno specializzando in soluzioni verticali e personalizzate. Il traguardo è rappresentato da risultati che sono molto più rilevanti per le ricerche dell’utente e consegnati velocemente attraverso l’analisi predittiva basata su dati storici e sull’ambito della ricerca. Per quanto riguarda gli individui e la nostra crescente mole di dati dovuta all’insieme di dispositivi e sensori che
adoperiamo, l’utilizzo di questi dati nel mondo reale è la sfida dei prossimi innovatori che vogliono raggiungere lo status di unicorno, come fatto da Nest e Waze. In altre parole gli investitori si aspettano grandi opportunità nel settore dell’Intelligenza Artificiale e del deep learning.
13.4.2 Cloud L’infrastruttura cloud sta cercando una maggiore ottimizzazione e costi più bassi,
pur continuando a catturare nuovi strumenti e servizi che l’adoperano. Questa tendenza ha partorito numerosi servizi cloud, come Box, Dropbox ed Evernote che stanno emergendo come il nuovo standard per le operazioni aziendali distribuite. Giganti come Amazon Web Services e Rackspace probabilmente manterranno il loro dominio sull’hosting mentre si estenderanno con servizi accessori. Il bilanciamento del carico, la gestione energetica, la dissipazione del calore e il posizionamento del sito dei centri dati guiderà la linea di sviluppo dell’efficienza. La virtualizzazione e la gestione dinamica di reti continuerà a svincolare i servizi dalle infrastrutture, ed è guidata da leader come VMware, Citrix e Palo Alto Networks. Ancora, una grande sfida/opportunità è già in corso nella gestione di un numero esponenziale di richieste, dispositivi e identità in movimento tra le reti e inoltre la crescente vulnerabilità
sta esercitando pressioni evolutive sulla memorizzazione e la sicurezza dei dati. Soluzioni di sicurezza si stanno affermando con lo status di “Unicorno”, come l’acquisto di FireEye da parte di Mandiant per 1,1 miliardi di dollari. In questo contesto, vi è una grande opportunità nel risolvere la federazione e la fornitura di identità tra reti diverse, flessibili e globali.
13.4.3 E-commerce L’e-commerce è ora più che mai sui dati. L’analisi rigorosa di approvvigionamento e logistica, l’utilizzo di algoritmi per la determinazione di pricing dinamici, i canali di consumatori di nicchia come Etsy e Quirky, le pubblicità iperpersonalizzate e gli
strumenti di localizzazione come iBeacons, sempre più stanno permettendo il soddisfacimento della domanda proprio al momento giusto. Questo movimento dirompente on demand, avvenuto prima sul mobile, segue le orme di Uber e Lyft. Questi unicorni hanno cambiato il trasporto e la proprietà di automobili, offrendo nuove opportunità di lavoro per i proprietari di auto. Ora, i clienti con lo smartphone occupano due spazi in una volta: un negozio fisico e un negozio digitale, confrontando le offerte online, e ciò forza l’introduzione di nuove dinamiche di pricing. Dati e algoritmi, influenzatori ed effeti di rete, queste sono le innovazioni nell’economia comportamentale alla base di servizi verticali come Gilt nel campo della moda Airbnb nell’ospitalità. I 5,7 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato di Yelp è un grande esempio di questa simbiosi. I servizi che aiutano i consumatori a trovare le offerte migliori per
le cose che realmente vogliono faranno leva sulla personalizzazione e sulla Network analysis per poter aumentare le vendite. Nuove piattaforme mobili-centric come Square e Stripe stanno cambiando il modo in cui paghiamo e prefigurano un futuro senza registratori di cassa dove i prodotti troveranno noi più facilmente di quanto noi troveremo loro.
13.4.4 Enterprise L’impresa
deve
affrontare
due
sfide
fondamentali per una maggiore efficienza e una maggiore innovazione. In primo luogo, la comunicazione e la collaborazione tanto necessaria tra i diversi gruppi funzionali e attraverso l’ecosistema di stakeholder, offerta da strumenti come LinkedIn e DocuSign, ha lottato per emergere come una nuova categoria a sé stante, come molte startup sono state acquisite e integrate in grandi piattaforme prima di ottenere lo status di unicorni. Ad esempio Microsoft ha acquisito Yammer, un enterprise social network, per 1B di dollari. Soluzioni che allineano business intelligence, budgeting, le prestazioni e la collaborazione tra le unità di business consentiranno notevoli aumenti di produttività. In secondo luogo, molte aziende sono ancora troppo rigide e lente a rispondere adeguatamente alle crescenti pressioni competitive. Esse devono diventare più snelle, agili, piatte e adattive. La struttura organizzativa sta cominciando a diventare
più sensibile all’ambiente in cui opera. Vi è una crescente domanda di strumenti come ServiceNow, sensibili alle condizioni ambientali, che forniscono le probabilità dei cambiamenti in arrivo, e, come Workday, che permettono la modellazione e la riconfigurazione della struttura organizzativa in base ai mutamenti fututi attesi. Visto che anche l’enterprise si sta spostando sul cloud, che sia pubblico, privato o ibrido, nuovi bisogni infrastrutturali stanno creando unicorni come Fusin-io, Pure Storage e Palo Alto Networks.
13.4.5 Mobile Il settore mobile sta già cominciando a essere riformulato in diversi dispositivi – wearable, elettrodomestici e qualsiasi altra macchina computazionale collegata in rete. Eppure, c’è ancora grande opportunità per fare i cosiddetti smartphone ancora più intelligente. La convergenza della posizione precisa, la consapevolezza del contesto e l’analisi predittiva offrono la possibilità non
solo di applicazioni mobili più personalizzate e pertinenti, ma di formulazioni del tutto nuove per i sistemi operativi mobili. La recente acquisizione di AirWatch da parte di VMware per quasi 1,5 miliardi di dollari sottolinea le sfide nella gestione di un rapida crescita della popolazione di dispositivi mobili, che entrano ed escono dalle reti, facendo continue richieste di accesso. Si segnala anche il ruolo emergente delle macchine virtuali nel rendere le aree di lavoro accessibili ovunque, da qualsiasi dispositivo. Nel frattempo, il comportamento umano continua a guidare la rivoluzione nel settore delle telecomunicazioni, come recentemente sottolineato dall’acquisto di Facebook del servizio di messaggistica universale WhatsApp per 19 miliardi di dollari, così come l’offerta rifiutata di Facebook di 3 miliardi di dollari per Snapchat.
13.4.6 Media Il settore “Media” continuerà a essere frammentato, guidato da una sempre maggiore diversità. I TV Broadcaster stanno lentamente perdendo spettatori verso invece un ricco mercato di servizi on demand, canali di nicchia e la lunga coda di contenuti generati dagli utenti. Netflix, Amazon e Hulu producono ora i propri spettacoli originali, in concorrenza diretta con artisti del calibro di NBC e CBS. L’azienda che produce la bevanda Red Bull ha un popolare canale di sport estremi, e Twitch ha 45 milioni di
visitatori unici ogni mese per il suo servizio di visualizzazione di video game. YouTube ha più di 100 ore di video caricate ogni minuto, in gran parte provenienti dagli onnipresenti smartphone. Chiunque può essere una superstar: Jenna Marbles, ventisettenne di Rochester (NY), ha 13 milioni di abbonati sul suo canale YouTube e un miliardo e mezzo di visioni. Hollywood ha già iniziato a adattarsi alla nuova realtà MNC (Multi-channel Networks). Il costo di strumenti di produzione continua a scendere, le performance migliorano e tutti hanno accesso alle piattaforme di trasmissione globali. Con un piccolo, conveniente, e durevole sistema di telecamere, GoPro ha aggiunto una nuova esperienza per il nostro consumo di media, raggiungendo una stima di 2,5 miliardi di dollari nel processo. La recente acquisizione di Oculus Rift da parte di Facebook, ha creato un nuovo unicorno che prospetta un futuro fatto di una
profonda immersione nei media, come anche dimostrano i video giochi casual e in formati ad alta risoluzione, come Zynga, con incassi maggiori dell’industria di Hollywood. Dietro le quinte, gli algoritmi stanno migliorando nel seguire le nostre abitudini di visione. Sono sempre più in grado di “guardare” il video e capirne il contenuto. Stanno anche brandendo intuizioni da neuro-marketing per rendere la pubblicità più interessante. Netflix ha utilizzato i dati di visualizzazioni per determinare il miglior sceneggiato da produrre. Il risultato è House of Cards, serie di grande successo interpretata dall’attore premio Oscar Kevin Spacey.
13.4.7 Social Networking Il social networking ha partorito una serie limitata di piattaforme esclusive, spesso con
singoli operatori che dominano i mercati regionali dei consumatori, come Tencent e Weibo in Cina, LINE in Giappone e Corea, ognuno dei quali sono stati ispirati da Facebook e Twitter. Il social networking ha contribuito con un modello di interazione fondamentale per molte delle altre startup unicorno. Non si possono davvero costruire servizi Internet senza un certo grado di integrazione sociale. I modelli di progettazione, le architetture e le migliori pratiche di social networking sono integrati in tutti i servizi digitali, di fatto abbiamo unicorni in altri settori che adottano messaggistica, strumenti reputazione, e profili da Uber a Airbnb.
La ricerca del prossimo “unicorno” ha attratto i capitali dagli investitori in quantità senza precedenti. Osservando il mercato americano, senza dubbio è quello che vede il più grande sviluppo del settore Internet e del venture capital: dal 2003 al 2013, secondo l’NVCA (“National Venture Capital Association”) oltre 16.000 startup Internet sono state finanziate. Nello stesso arco temporale sono emersi sul mercato americano 39 unicorni (startup che sono nate dal 2003 in poi e che hanno una valutazione superiore al miliardo di dollari),
circa lo 0,2% di quelle finanziate, ovvero circa una ogni 410 startup finanziate da venture capitalist, diventa una “one billion company” o più.
Facebook è ciò che viene chiamato un super-unicorno: rappresenta quasi la metà del valore dei 260 miliardi di dollari aggregato delle imprese sulla lista di unicorni presa in esame. I decenni precedenti hanno anche dato vita a superunicorni tech. Il 1990 ha dato vita a Google, attualmente del valore di quasi 3 volte Facebook; e Amazon, del valore di approssimativo di 160.000 milioni di dollari. Ogni grande ondata di innovazione tecnologica ha dato luogo a uno o più superunicorni: negli anni Novanta, l’alba dell’Internet moderno, Google e Amazon; negli anni Duemila, l’era del social networking, Facebook; la prossima decade probabilmente vedrà l’affermarsi di un super-unicorno nell’ambito del mobile. Gli unicorni consumer-oriented sono stati più abbondanti e hanno creato più valore in
aggregato, anche escludendo Facebook. Ma gli unicorni enterprise-oriented mediamente valgono singolarmente di più rispetto ai consumer-oriented e hanno necessitato di molto meno capitale privato, fornendo un maggiore ritorno sugli investimenti dei VC. Ci sono voluti sette anni in media per le 24 aziende sulla lista per diventare società quotate o acquisite, escludendo i valori anomali estremi come YouTube e Instagram, entrambi i quali sono stati acquisiti per oltre 1 miliardo di dollari dopo circa due anni dalla fondazione. Le startup enterprise-oriented ci mettono mediamente un anno in più a raggiungere l’evento di liquidità rispetto alle startup consumer-oriented. L’età media dei fondatori di queste startup è di 34 anni, il più giovane è stato il fondatore di Facebook, creata quando aveva 20 anni, il più anziano il fondatore di Workaday con 52 anni. Un altro dato interessante è che 27 delle 39 startup dell’analisi hanno base nella Silicon Valley.
13.5 il ruolo degli acceleratori Visto che i costi per creare una startup sono diminuiti rapidamente, il settore del venture capital ha lottato per adattarsi. Il VC si è ritirato da investimenti iniziali, in particolare in Europa, e la composizione della fase iniziale di investimento sta cambiando. Sia negli Stati Uniti e in Europa, i business
angels sono intervenuti per colmare questa lacuna dal 2000. Negli Stati Uniti, Angelo Capital Association ha rilevato che il numero degli investimenti da parte di angels è triplicato negli ultimi dieci anni 1999-2009. Nel 2009 l’importo totale investito da angels è stato di 17 miliardi di dollari in circa 57.000 investimenti in startup. Nel Regno Unito, la quota degli investimenti di business angels del settore privato è raddoppiato, dal 15% al 30% tra il 2001 e il 2007. Il costo decrescente del mettere in piedi una startup tecnologica Internet, unito al fatto che molto spesso i fondatori sono tecnici, senza una formazione di business alle spalle, ha fatto sì che i programmi di accelerazione si diffondessero rapidamente. Il primo progetto in tal senso è stato Y Combinator, fondato nel 2005 da Paul Graham in Mountain View, California. Nel 2007, David Cohen e Brad Feld, fondano Techstars nel Colorado, mentre a Londra
nasce Seedcamp. Da allora ne sono nati molti altri e il numero di startup che partecipa a un programma di accelerazione aumenta ogni anno. Alla fine del 2014, secondo le stime di Seed-DB si contano nel mondo 227 programmi di accelerazione, che in totale hanno accelerato 4247 startup. Secondo una stima al ribasso e incompleta, che tiene conto solo di dati resi pubblici, queste startup che hanno partecipato ai programmi di accelerazione hanno attratto ulteriori investimenti per circa 7,2 miliardi di dollari e, sempre considerando solo i dati resi noti, 245 delle aziende accelerate hanno generato eventi di exit per un valore pari a circa 3,4 miliardi di dollari. 13.5.1 Caratteristiche dei programmi di accelerazione
I programmi di accelerazione non sono tutti uguali e possono distinguersi in vari aspetti ma la ricerca di Nesta, “The Startup Factories”, indica cinque caratteristiche distintive che gli acceleratori hanno in comune: – Processo di selezione aperto e molto competitivo: i programmi di accelerazione hanno processi di selezione basati sul web ai quali chiunque può partecipare, generalmente da qualsiasi parte del mondo. Il materiale scritto che gli applicanti devono produrre è ridotto al minimo, di solito limitato alla descrizione dell’idea e del team. I programmi sono molto selettivi, e le startup che partecipano sono scelte da giudici esperti; – Investimento micro-seed: l’investimento che i programmi di accelerazione danno ai team selezionati è variabile, ed è basato sull’idea di coprire i costi del vivere per il
team durante il periodo di accelerazione e per un breve periodo successivo. La forbice dell’investimento varia tra i 10mila e 50mila euro e in cambio l’acceleratore prende una piccola quota societaria; – Focus sui team, non sui singoli: gli acceleratori molto raramente selezionano startup composte da un solo fondatore, ma sempre almeno da due o tre, mentre difficilmente si superano i quattro; – Supporto limitato nel tempo che comprende eventi programmati e mentoring intensivo: gli acceleratori forniscono supporto al team per un periodo di tempo che generalmente va dai 3 a i 6 mesi. In questo periodo il team ha il tempo di sviluppare la prima versione del prodotto. Inoltre durante il periodo hanno frequenti incontri con imprenditori esperti e di successo, investitori e altre professionalità rilevanti. Gli acceleratori sviluppano reti estese di conoscenza e
coinvolgono mentori dalle alte competenze che mettono a disposizione delle startup partecipanti. Ed è proprio la qualità dei mentori e del network uno dei principali elementi discriminanti nella scelta del programma di accelerazione da parte dei team. I temi trattati nel programma di accelerazione variano dal legale, al marketing, dalla fiscalità a come fare una presentazione del proprio prodotto (pitch). Generalmente il programma di accelerazione culmina con un demo day, dove investitori e giornalisti sono invitati a vedere le presentazioni delle startup fatte dagli stessi fondatori; – Classi di startup: i programmi di accelerazione selezionano per la durata del periodo di accelerazione un numero di startup, come a formare una classe di studenti, dove gli studenti sono i fondatori di tutte le startup del lotto. Un vantaggio chiave di questo approccio è il supporto tra
gli studenti stessi, come per esempio avviene quando i fondatori si scambiano soluzioni tecniche per i propri progetti. Gli acceleratori offrono anche spazi di coworking, dove i fondatori lavorano ai propri progetti di fianco agli altri. 13.5.2 Perché un imprenditore entra in un acceleratore In uno studio sui programmi di accelerazione realizzato da J. Christiansen all’Università di Cambridge, vengono analizzate le principali motivazioni che spingono un imprenditore a partecipare a un programma di accelerazione: – Supporto finanziario iniziale: i fondatori della startup ricevono un piccolo ammontare che gli permette di vivere e sviluppare il loro prodotto nel periodo del
programma e per un breve periodo successivo; – Supporto nello sviluppo prodotto: gli imprenditori, sebbene in possesso della vision che li ha portati a immaginare il proprio prodotto, sono consapevoli che gli esperti che li seguiranno nel programma di accelerazione, di solito ex imprenditori o manager di successo, gli permetteranno, grazie alla loro esperienza, di sviluppare un prodotto migliore; – Supporto nel business: gli acceleratori sono molto utili soprattutto a chi è imprenditore per la prima volta. L’esperienza dei mentori li aiuta a non fare errori comuni e inoltre ricevono formazione finanziaria, legale, di marketing e su tutti gli altri temi che si troveranno ad affrontare da imprenditori; – Connessione al brand: i fondatori delle startup spesso vedono l’accettazione al programma di accelerazione come una
validazione della propria idea e del proprio lavoro, e la sfruttano per il marketing e nel cercare i successivi investimenti; – Connessione a capitali futuri: forse l’aspetto più importante per i quali gli imprenditori partecipano ai programmi di accelerazione è il network di investitori che l’acceleratore mette a disposizione.
Conclusioni
In estrema sintesi questo libro è volto a dimostrare che il digitale è una rivoluzione che ha caratteristiche uniche (cioè non si erano mai presentate prima) nella storia dell’umanità. Ecco quelle più salienti e distintive: – è una rivoluzione permanente e pervasiva, le cui caratteristiche sono innovazioni continue e multiple (anche radicali, cioè che cambiamo la vita di ognuno di noi) che coinvolgono immediatamente almeno 3 miliardi di persone (numero di persone che a oggi accedono a Internet). I precedenti modelli di adozione dell’innovazione (che passavano da ristrette élite di governo / militari / grandi aziende, per poi diventare
di massa, sono ormai ristrette a pochi casi). – Mette al centro ognuno di noi in quanto consumatore finale, dando accesso a ciascuno alle numerose ultime tecnologie disponibili prima che queste siano adottate da aziende e governi che per la prima volta nella storia sono costretti a inseguire e adeguarsi (la cosiddetta digital transformation). – Gli abilitatori di questa rivoluzione sono: – tecnologici: in particolare i progressi esponenziali nella a) miniaturizzazione dei componenti di elaborazione, con gli impatti nelle capacità di elaborazione, di trasmissione nelle telecomunicazioni, di tecnologie del software. Lo smartphone è il risultato di tutto ciò: infatti è il prodotto di consumer electronics di maggior successo di tutti i tempi (1.5 milardi di unità vendute ogni anno con un tempo medio di riacquisto piuttosto breve di circa 20 mesi).
b) Internet come meta-piattaforma (cioè piattaforma delle piattaforme) permette di unificare e semplificare, rispetto al consumatore finale, moltissime tecnologie / standard / processi, creando una sorta di “telecomando universale” dal quale tutto o quasi è possibile. – Scolarizzazione. Il tasso di alfabetizzazione / scolarizzazione dal dopoguerra a oggi è salito nel mondo in modo esponenziale, aumentando la capacità del consumatore finale di usare strumenti sempre più sofisticati. – Economici e di Mercato. Si è creato il più grande mercato globale di tutti i tempi con 3 milardi di consumatori in tutto il mondo che possono accedere in ogni momento a una quantità di prodotti senza precedenti. Uno dei fenomeni più controversi delle economie digitali è il tasso di concentrazione dei mercati globali in pochissime aziende: Amazon ha il 46
percento del mercato Usa Ecommerce e poco meno in quello globale (Cina esclusa); Google e Facebook hanno più del 60 percento del mercato advertising online mondiale (sempre Cina Esclusa). Sono tassi di concentrazione senza precedenti. – Teoria Economica. La stessa teoria economica subisce e subirà un impatto importante dovuto alla rivoluzione digitale: dalle modalità di test delle teorie stesse, alle ipotesi di base che sempre più dovranno incorporare la tecnologia digitale come fattore produttivo. Come tutti coloro che vivono dentro una rivoluzione, non sappiamo bene dove ci condurrà. La velocità e la profondità del cambiamento non ci aiutano. Spero che questo libro aiuti a capirne almeno gli elementi essenziali.
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Sorgenti statistiche usate nel libro
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