La guerra civile spagnola. Una storia del Novecento 8843070991, 9788843070992

A sud dei Pirenei, fra il 1936 ed il 1939, i principali temi ed i conflitti sociali, culturali, economici, diplomatici,

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Italian Pages 255 [256] Year 2014

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La guerra civile spagnola. Una storia del Novecento
 8843070991, 9788843070992

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STUDI STORICI CAROCCI / 202

A tutte le mie famiglie, che sono la mia ricchezza

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 00186 Roma telefono 06 42 81 84 17 fax 06 42 74 79 31

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Paola Lo Cascio

La guerra civile spagnola Una storia del Novecento

Carocci editore

ra ra

ristampa, aprile 2014 edizione, luglio 2013 © copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino ISBN

978-88-430-7099-2

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa

7

Abbreviazioni

11

Introduzione. Passato e presente di una grande questione storiografica

13

I.

Due debolezze a confronto

29

I.I.

1.3.

La vittoria del Fronte popolare e l'aumento delle ten­ sioni politiche Colpo di Stato, rivolta militare e rivoluzione Spagna, Europa, mondo: l'internazionalizzazione del conflitto Una guerra a macchia di leopardo Al cuore dello Stato: l'assedio di Madrid

50 59 68

2.

Due eserciti, molti fronti

75

2.I.

Dalle milizie all'esercito popolare Armi, tempo, costrizioni diplomatiche Jarama e Guadalajara La guerra nel Nord Il fronte aragonese La battaglia dell'Ebro L'offensiva sulla Catalogna

1.2.

2.2.

2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7.

5

29

41

75 82 87 97 104 III

119

LA GCERRA CIVILE SPAGNOLA

3.

Le retrovie, teatro di guerra

129

3.1. 3.2.

Rivoluzione o guerra? La repressione nelle zone occupate dai nazionalisti Repressione e conflitto nella zona repubblicana La guerra aerea La vita quotidiana in tempo di guerra

129 138 1 47

3.3.

3.4.

3.5.

4.

Guerra di carta

4.1. 4.2. 4.3.

Armati di parole Vincere, più che convincere La Spagna al centro del mondo: la guerra civile nella stampa internazionale La Spagna in edicola: il discorso fascista sulla guerra civile nella stampa italiana

4.4.

160

171 181

200 210

Epilogo. La caduta di Madrid, l'esilio, la repressione e la costruzione della dittatura

227

Bibliografia

239

Indice dei nomi

249

6

Premessa

Il petto esposto all'aria, le gambe piegate, la testa rivolta a sinistra con una smorfia di dolore, con quel fucile in mano, il cappello e quelle bretelle. E la famosa foto di Robert Capa, il miliziano repubblicano colto mentre muore sul fronte di Cerro Murciano. "No pasaran", "Resistere è vincere". Oppure: "Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio! ", con accanto la faccia un po' così, da matrona severa di Dolores Ibarruri, detta La Pasionaria. Le facce scomposte con gli occhi di fuori e un terrore insal­ vabile delle mucche immortalate dal pennello di Picasso nel Guernica. Immagini e parole che per chiunque abbia avuto a che fare con il Nove­ cento, anche fosse soltanto perché c'è nato e ha passato una parte anche breve della sua vita in quel contesto, sono tremendamente familiari. In Europa, certamente, ma in definitiva in tutto il mondo. La guerra civile spagnola fu uno snodo fondamentale della storia del secolo scorso, un avvenimento che in qualche modo ha segnato il pano­ rama mentale collettivo di milioni di persone nelle più diverse parti del mondo, rappresentando un vero e proprio spartiacque nelle memorie individuali e collettive. Un avvenimento caratteristico, specifico, insosti­ tuibile, decisivo del Novecento. La scelta di confrontarsi con un tema che ha impegnato in un modo o nell'altro una fetta importante della storiografia degli ultimi sessant'anni però, trova le sue ragioni anche nell'esperienza di ricerca in archivi mili­ tari e civili, che restituisce un'immagine assai concreta e tangibile di quella vicenda. Un profilo quasi quotidiano che si interseca con gli aspetti vice­ versa più generali, legati ai grandi movimenti politici e sociali, agli equi­ libri della politica internazionale, alla circostanza innegabile che, a sud dei Pirenei alla metà degli anni Trenta, si stava giocando una partita deci­ siva per le stesse sorti del mondo. Ed è proprio questo doppio sguardo - di riflessione storiografica sui grandi temi del conflitto e di narrazione delle vicende della Spagna come teatro di guerra, ma anche di trasformazioni che avrebbero avuto riper7

LA GCERRA CIVILE SPAGNOLA

cussioni globali, segnando tutto un secolo - il filo che lega la struttura delle pagine che seguono. Il libro è diviso in sei parti, che coniugano aspetti tematici e crono­ logici. Una prima parte (Introduzione. Passato e presente di una grande que­ stione storiografica) presenta un tentativo di lettura diacronica e tematica delle molte storiografie della guerra, spagnole e internazionali. Uno sguardo sull'ingente produzione storiografica sulla guerra civile spagnola, che tenta di valorizzare le relazioni esistenti fra temi, paesi e momenti storici di pubblicazione dei molti, moltissimi libri pubblicati, perché si è creduto particolarmente interessante dare spazio alla dimensione dina­ mica, di dialogo con la società, della produzione scientifica, che sembra essere per quantità, qualità ed estensione, particolarmente importante non solo per il contesto spagnolo, ma anche internazionale. Il capitolo 1 (Due debolezze a confronto), invece è dedicato alle "debo­ lezze" (delle forze sociali, economico-istituzionali, militari), delle due parti che finiranno per scontrarsi militarmente, sulla base dell'idea che fu proprio l'impossibilità di prevalere di una delle due che aiuta a spie­ gare una parte importante dello scoppiare del conflitto. Il capitolo 2 (Due eserciti: molti fronti) fa riferimento alle questioni militari, con un approccio che tiene conto degli aspetti temporali, spa­ ziali, organizzativi e politici (sia interni sia internazionali) che furono alla base della vittoria franchista sul campo di battaglia. La scelta di incen­ trare un intero capitolo sulle vicende militari risponde anche all'esigenza di valorizzare l'impatto specifico generato dall'esperienza bellica, una dimensione senza la cui concretezza sarebbe impossibile spiegare e com­ prendere a fondo l'insieme degli avvenimenti. Il capitolo 3 (Le retrovie, teatro di guerra) rivolge l'attenzione alla dimensione politica e sociale del conflitto, dando spazio ai dibattiti poli­ tici interni dei due schieramenti, ai fenomeni repressivi, all'impatto del dilagare della guerra aerea sulle popolazioni civili (che cambiò per sempre il concetto stesso di guerra), alla vita quotidiana e alle condizioni mate­ riali di vita nelle due retrovie. Il capitolo 4 ( Guerra di carta) si occupa invece della dimensione per così dire "narrativa" della guerra civile spagnola: ciò che accadde al Sud dei Pirenei fra il 1936 e il 1939 fu uno dei primi eventi veramente globali, che mobilitò tutto il mondo dell'informazione e obbligò le opinioni pub­ bliche internazionali a schierarsi. E proprio in questa parte si dà spazio a un'analisi delle strategie di stampa e propaganda dei due attori coin­ volti direttamente nel conflitto, ma anche della lettura che fecero di quest'ultimo i mezzi di comunicazione internazionali, con un'attenzione 8

PREMESSA

specifica al caso della stampa italiana durante il fascismo, un tema fino a questo momento rimasto sostanzialmente nell'ombra. Nell'epilogo (La caduta di Madrid, l ) esilio, la repressione e la costru­ zione della dittatura) vengono infine analizzate le ultime confuse fasi del conflitto, la vittoria militare, politica e diplomatica dei generali ribelli, il dramma degli esiliati e soprattutto i meccanismi che portarono alla costru­ zione e all'istituzionalizzazione della dittatura franchista. In definitiva, questo libro tenta di collocare la vicenda nella guerra nel doppio contesto interno alla Spagna e internazionale, per quello che significò nella storia del Novecento, tenta di raccogliere i risultati delle ultime produzioni storiografiche e di rispecchiare il più possibile i vari aspetti di quel caleidoscopio che fu la guerra civile spagnola, come evento bellico, politico, sociale, diplomatico, ideologico. Ma soprattutto, si cerca qui di rendere la complessità di quel conflitto e delle sue implicazioni in un territorio e in un tempo che in definitiva è parte integrante del nostro passato, quando, già superato il primo decennio del nuovo millennio, le vicende, ma anche le categorie del Novecento, cominciano a sembrare lontane. Di ricordare insomma che gli occhi del miliziano della famosa foto di Robert Capa, saranno pure del secolo scorso, ma continuano a guardare dritti dentro ai nostri.

Ringraziamen ti Scrivere questo libro non sarebbe stato possibile senza l'aiuto di molte persone e il supporto delle istituzioni universitarie. Si vuol ringraziare qui soprattutto il Centre d'Estudis Històrics Internacionals de la Universitat de Barcelona-Pavell6 de la Republica (cEHI-cB), che mi ha dato l'opportunità di partecipare a diversi progetti di ricerca sulla guerra civile spagnola e ha messo a mia disposizione il suo importantissimo fondo bibliografico e d'archivio. Un ringraziamento al suo direttore, Antoni Segura Mas e soprattutto a tutti i miei colleghi ricercatori: Lola Harana, Oscar Monterde, Albert Planas, Elisenda Barbé, Daniel Roig, Alberto Pellegrini e José Manuel Rua. Grazie anche a tutte le documentaliste e bibliote­ carie del Pavell6 de la Republica (la direttrice Lourdes Prades, ma anche Olga Giralt,Judith Montserrat, Lidia Martinez e Fuensanta Marmolejo), senza l'aiuto delle quali questo libro non sarebbe semplicemente esistito. Un ringraziamento anche al professor Rafael Aracil, per la sua costante e generosa disponibilità. Grazie anche al professor Carles Santacana, direttore del Dipartimento di Storia contemporanea dell'Università di Barcellona presso cui da qualche anno ormai svolgo la mia docenza. Un ringraziamento speciale va al professor Joan Villar­ roya i Font, che mi ha introdotto alla ricerca sui temi della guerra civile spagnola con il progetto Atles de la Guerra Civil a Catalunya, ed è stato lettore critico ed 9

LA GCERRA CIVILE SPAGNOLA

attento del lavoro che qui si presenta. Grazie infinite al professor Fortunato Min­ niti dell'Università degli Studi di Roma Tre, per l'impegno nella lettura di questo studio e i decisivi consigli che mi ha dato. Grazie a Umberto Gentiloni, per tutti questi anni e per i consigli che mi ha voluto dare su questo lavoro. Grazie anche a Helen Graham, per le sue eccezionali ricerche e per una conversazione impor­ tante sul come impostare questo libro. Non saprò mai quanto e come ringraziare anche il professor Luciano Casali, per il costante confronto intellettuale sulla Spagna contemporanea e per i pre­ ziosi consigli su questo libro. Grazie ad Alessandra Tarquini, alla quale mi lega una profonda relazione personale e professionale, per tante cose che non entrano in poche righe e a Serena Boccaccini, per la forza tranquilla del suo appoggio morale. Grazie anche a tutta casa editrice Carocci, che ha voluto scommettere su questa pubblicazione. L'aiuto ricevuto, evidentemente, non toglie che tutti i possibili errori siano da imputare esclusivamente all'autrice. Infine, vale la pena ricordare che questa ricerca si inserisce nell'ambito del lavoro del Grup de Recerca i Anàlisi del M6n Actual, del Centre d'Estudis Històrics Internacionals de la Universitat de Barcelona, del quale faccio parte.

IO

Abbreviazioni

ACNP BOC CCMA CEDA CEP CIG CNT CTV ERC FAI FET-JONS

-

FETT GERO

-

IR

IRA JAP

JSU PCE

PNV

POUM PSOE PSUC RNE SIM

SUEP UDC UGT UHP UR

Asociaci6n cat6lica nacional de propagandistas Bloc obrer i camperol Comité centra! de milicias antifascistas Confederaci6n espafiola de derechas aut6nomas Comité ejecutivo popular Commissione delle industrie di guerra Confederaci6n nacional del trabajo Corpo di truppe volontarie Esguerra republicana de Catalunya Federaci6n anarquista ibérica Falange espafiola tradicionalista y de las Juntas de ofensiva nacional sindicalista Federaci6n espafiola de trabajadores de la tierra Gruppo d'eserciti della regione orientale lzquierda republicana Instituto de la reforma agraria Juventudes de acci6n popular Juventudes socialistas unificadas Partido comunista de Espafia Partido nacionalista vasca Partido obrero de unificaci6n marxista Partido socialista obrero espafiol Partit socialista unificat de Catalunya Radio nacional de Espafia Servicio de informaci6n militar Sindicato unico de espectaculos publicos Uni6 democràtica de Catalunya Uni6n genera! de trabajadores Unios hermanos proletarios Uni6 de rebassaires

II

Introduzione Passato e presente di una grande questione storiografica

La guerra civile spagnola, come è noto, fa concorrenza alla Seconda guerra mondiale quanto ali'attenzione che le hanno dedicato gli storici, ma anche i giornalisti, gli scrittori, gli intellettuali, gli artisti. A ben vedere, sembre­ rebbe uno sproposito: si trattò di un conflitto localizzato in una piccola parte del pianeta, addirittura un po' periferica in Europa. Durò tre anni, provocando circa mezzo milione di morti. Una bazzecola, paragonata all'inferno mondiale, totale e in qualche modo risolutivo che vissero l'Eu­ ropa e il mondo intero poco dopo, con la Seconda guerra mondiale, quando i fronti erano oceani e subcontinenti, il mondo scopriva l'orrore del male assoluto nazista e nasceva un nuovo ordine geopolitico desti­ nato a durare più di mezzo secolo. Le ragioni per le quali la guerra civile spagnola attirò, attira e pre­ sumibilmente continuerà ad attirare l'attenzione sono di vario tipo. Alcune di esse molto evidenti per gli storici del Novecento. Il conflitto spagnolo vide una contrapposizione ideologica, culturale, sociale e di classe. Come ha ricordato Paul Preston, la guerra spagnola si può e si deve leggere anche come lo scontro fra un progetto politico e sociale che tentava di far convergere una Spagna arretrata con i paesi europei più maturi da un punto di vista democratico, economico, politico e sociale e forze - che si dimostrarono potentissime - che invece erano disposte a tutto per impedirlo1 O, come ha scritto Gabriele Ranzato, si può leggere come dimostrazione dei limiti della cultura democratica della Spagna degli anni Trenta2 Nonché come una delle prove della durezza e crudeltà dello scontro fra un progetto rivoluzionario (con aspetti violenti innegabili) e uno controrivoluzionario (anch'esso vio­ lento), che negavano entrambi lo Stato liberaldemocratico, nello sce•



P. Preston, La guerra civil espanola, Circulo de Lectores, Barcelona 2006, p. 16. 2. G. Ranzato, L'eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini� I93I­ I939, Bollati-Boringhieri, Torino 2004. 1.

13

LA GCERRA CIVILE SPAGNOLA

nario del progressivo affacciarsi delle masse sulla scena pubblica. Si può e si deve leggere pure come la prima, e ancora incipiente, esperienza dell'invasività del fenomeno bellico rispetto alla società, al momento di svolta in cui smette di esistere una rigida divisione tra il fronte e le retrovie. E come lo scontro- di fatto, non ancora risolto-, tutto interno alla Spagna ma con derivazioni evidentemente universali, fra una con­ cezione centralista e autoritaria dello Stato e una invece attenta alle diversità interne e quindi favorevole al decentramento. Come l'espe­ rienza fondante e fondativa di una terribile dittatura antidemocratica e antipopolare che durò quarant'anni, rappresentò la vergogna di un'Eu­ ropa e di un mondo condizionati dalla guerra fredda, che escluse la Spagna dalle dinamiche di avanzamento delle condizioni di vita e di lavoro sperimentate negli altri paesi europei occidentali negli stessi decenni3• Si può leggere come un enorme conflitto fra settori della società che si mobilitarono e si organizzarono in forme nuove, dentro e fuori la Spagna. Come la prima guerra nella quale l'opinione pubblica mondiale ebbe un peso decisivo. Come uno degli scenari delle repressioni stali­ niste degli anni Trenta. Come la storia della sconfitta (o della codardia di alcuni degli attori coinvolti) del tentativo di mantenere sotto controllo una situazione internazionale tesa dall'ascesa dei fascismi. Si può leggere anche, appunto, come lo scenario nel quale si confrontarono, come fosse una specie di sinistro prologo alla Seconda guerra mondiale, il fascismo e l'antifascismo, nelle sue declinazioni democratico-liberali, marxiste e libertarie. Si può leggere ancora come il punto in cui si scontrarono gli interessi geopolitici di medie e grandi potenze europee. Uno snodo cruciale del Novecento insomma, senza il quale non sarebbe possibile interpretare la realtà successiva. Non è questa la sede per avanzare una ricostruzione storiografica esaustiva. Basti pensare che esistono più di 40.000 titoli di un certo rilievo pubblicati dalla fine della guerra. Soltanto negli ultimi dieci anni ne sono stati pubblicati più di duemila e molti stanno per essere andare in stampa proprio mentre si scrivono queste righe. Il tentativo è quello di tratteg­ giare lo sviluppo di alcune delle tendenze storiografiche più importanti nel corso dei decenni, anche e soprattutto perché il conflitto che dis­ sanguò la Spagna fra il 1936 e il 1939, come tutti gli avvenimenti storici periodizzanti, non solo non sembra aver perso appeal storiografico, ma ha superato ampiamente i limiti degli ambiti accademici investendo il dibattito pubblico. 3. Eric Hobsbawm ha parlato di quegli anni come di >46 • Il 14 poi, Roosevelt sposava apertamente, in un discorso a Chautauqua, l'iniziativa del non intervento e coniava la famosa formula dell'embargo morale rispetto alla vendita delle armi nel conflitto spagnolo. Però armi, e soprattutto petrolio, sarebbero continuati ad arrivare in Spagna ininterrottamente: nonostante fossero stati dilatati i termini del già esistente Neutrality Act del 1935- che vietava di esportare armi a paesi in guerra -, di fatto le forniture di petrolio statunitense non sarebbero mai mancate ai nazionalisti. ,, In questo scenario internazionale si faceva evidente quella che Angel Vifias, con una definizione concisa ma efficace, ha chiamato 47• Abbandonata dal governo fratello della Francia, bloccata dalla freddezza (e dall'ostilità) del gabinetto britannico e dalle inibizioni statunitensi, con un aiuto tedesco e italiano ai nazionalisti che, nella sostanza, nessuno aveva impedito, la Repubblica si trovava sempre più in una situazione d'inferiorità. Il governo Giral si era rivolto anche al governo di Mosca, il 25 luglio, chiedendo una fornitura di armi e materiali. La richiesta del primo mini­ stro spagnolo, ottenne, all'inizio, solo il silenzio del Cremlino. Stalin si trovava in una posizione difficile. Nel vn congresso del Comintern era stata approvata la tesi dei Fronti popolari - che aveva superato le tesi del social-fascismo -: l'alleanza del comunismo internazionale con le forze socialiste e democratiche contro il fascismo spingeva quasi natu­ ralmente l'Unione Sovietica a scendere in campo a fianco della Repub­ blica. Ciò nonostante, le preoccupazioni di Stalin erano legate alla con­ sapevolezza che l'uRss ancora non era in grado, alla metà degli anni Trenta, di sostenere un conflitto senza temere per la sua integrità e che, 45. Vale la pena ricordare come Roosevelt più tardi si pentì dell'atteggiamento che aveva adottato rispetto al conflitto spagnolo. In una lettera del 1939 indirizzata all'ex amba­ sciatore statunitense in Spagna Claude Bowers, che da Madrid già dal 1936 aveva chiesto al presidente di aiutare la Repubblica, scrisse: «Ci siamo sbagliati. Lei aveva ragione sin dall'inizio» (Preston, La guerra civil espafiola, cit., p. 105). 46. D. Tierney, FDR and the Spanish Civil War: Neutrality and Commitment in the Struggle That Divided America, Duke University Press, Durham (Ne) 2007, p. 47. 47. Vifias, La soledad de la Republica, cit.

55

LA Gt.:ERRA CIVILE SPAGNOLA

proprio perché la minaccia fascista e nazista era sempre più vicina, era fondamentale mantenere delle relazioni cordiali con Francia e Gran Bretagna. Le notizie sui movimenti rivoluzionari scatenatisi dopo il golpe non aiutarono certo a prendere una decisione, perché Stalin era cosciente che la Francia e soprattutto la Gran Bretagna avrebbero isolato l'uRss - o addirittura si sarebbero alleate con i fascismi contro di essa - se l'a­ vessero ritenuta responsabile di un allargamento della presenza comu­ nista in Europa. D'altra parte, la pressione dell'opinione pubblica interna48 e internazionale per un aiuto sovietico alla Repubblica si faceva sempre più forte. Se l'uRss voleva mantenere il primato e l'autorità che ostentava nel movimento operaio internazionale, semplicemente doveva intervenire. Lo fece a settembre, inviando alimenti e aiuti umanitari, quando, già costituito il Comitato di non intervento, tutti gli attori inter­ nazionali avevano fissato le loro posizioni, e quando, soprattutto, fu evi­ dente l'aiuto tedesco e italiano ai nazionalisti. In questo modo, l'inter­ vento in Spagna acquistava un senso antifascista che non permetteva ambiguità in merito alla sua interpretazione. L'obiettivo della politica estera sovietica, in definitiva, era evitare la sconfitta della Repubblica per frenare le potenze fasciste, senza che questo significasse una deriva rivoluzionaria. Gli aiuti sovietici - che più avanti furono pagati con le riserve d'oro del Banco de Espafia49 - , si concretizzarono in armi, istruttori militari e personale politico scelto, sovietico e dell'Internazionale comunista. La Spagna fu anche uno dei teatri della repressione stalinista all'interno del movimento comunista internazionale, perché Stalin era convinto della necessità di controllare i processi politici che si stavano verificando in campo repubblicano, potendone derivare conseguenze importanti per la stessa URSS. Oltre alle forniture di materiale e istruttori militari, l'uRss e il Comin­ tern50 decisero anche di impegnarsi a fondo in un altro tipo di intervento: convogliare tutti i volontari che fossero disposti a unirsi in armi per difen48. Il 3 agosto 1936 un corteo di 150. 000 persone aveva sfilato nella Piazza Rossa, in solidarietà con la Repubblica, mentre nelle fabbriche i lavoratori decisero di donare alla Spagna repubblicana lo 0,5 per cento del loro salario. 49. La polemica sull'uso delle riserve d'oro del Banco de Espaiia ha fatto versare, nel corso dei decenni, veri e propri fiumi di inchiostro. In realtà, la più recente storiografia ha sottolineato come le condizioni di vendita delle armi offerte dall'Unione Sovietica alla Repubblica spagnola non fossero diverse da quelle in vigore per qualsiasi altra transazione commerciale dello stesso tipo. Cfr. Viiias, La soledad de la Republica, cit., pp. 290-1. 50. Sull'attività del Comintern in Spagna, cfr. E. H. Carr, The Comintern and the Spanish Civil War, Macmillan, London 1984.

I.

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dere la Repubblica, formando le Brigate internazionali (BI). Con questo, non si vuol affermare che la straordinaria partecipazione di cittadini di ogni parte del mondo al fianco della Repubblica 51 sia stata il riflesso di una decisione sovietica, ma che l'uRss, e soprattutto il Comintern, misero a disposizione la struttura e la capacità organizzativa perché questa fosse possibile. Già il 3 agosto il Comintern approvava un primo documento in questo senso, e il 18 settembre, la segreteria ne accoglieva un secondo nel quale si poteva leggere che l'organizzazione si sarebbe impegnata nel reclutamento di volontari con esperienza militare al fine di inviarli in Spagna. Alle parole seguirono presto i fatti: alla fine del mese venne cele­ brata a Parigi una riunione cui parteciparono varie organizzazioni - fra cui il Soccorso rosso internazionale, il Rot Front, la Confédération générale du travail (cGT) francese, l'Indipendent Labour Party britannico, Paix et Liberté, molti esuli antifascisti italiani e centroeuropei ed, evidentemente, molti dirigenti comunisti francesi, italiani, tedeschi, ungheresi -, nella quale venne deciso che il centro di reclutamento sarebbe stato Parigi. Punti di riferimento sul campo del processo organizzativo furono André Marty - dirigente del PCF e del Comintern -, Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio - a capo dei commissari politici-, Josip Broz (Tito), responsa­ bile del complesso sistema di trasporti per far arrivare volontari dall'Eu­ ropa centrale52 • Le Brigate internazionali divenivano così la manifestazione evidente del fatto che ciò che si stava giocando in Spagna andava ben al di là di una questione interna. Era la battaglia tra il fascismo e l'antifascismo. Forse, come alcuni dei superstiti hanno dichiarato, l'unica speranza affinché non scoppiasse un secondo conflitto mondiale. Il famoso slogan di Carlo Rosselli - dirigente di Giustizia e Libertà, esule antifascista in Francia e volontario al fianco della Repubblica- "Oggi in Spagna, domani in Italia", dava la misura di questa consapevolezza. Gli oltre 40.000 combattenti provenienti da tutto il mondo passavano da Parigi a Barcellona e a Valenza via terra, attraversando i Pirenei, o via 51. Vale la pena sottolineare che vi fu anche qualche caso - assolutamente minoritario e marginale, da un punto di vista sia quantitativo che qualitativo -, di combattenti effet­ tivamente volontari al fianco delle truppe di Franco. Fu questo il caso del cosiddetto Bat­ taglione irlandese del leader fascista O'Duffy.Si ricorda, anche, che vi furono combattenti irlandesi anche nelle fila delle Brigate internazionali.Sulla partecipazione degli irlandesi, cfr. R. Stradling, The Irish and the Spanish Civil War) I936-I939, Manchester University Press, Manchester 1999. 52. Cfr. R. Skoutelsky, Novedad en el/rente. Las Brigadas Internacionales en la guerra civil, Temas de Hoy, Madrid 2006, oltre al classico A. Castells Peig, Las Brigadas Interna­ cionales en la guerra de Espaiia, Ariel, Barcelona 1974.

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mare, dal porto di Marsiglia. Dopo un breve periodo d'istruzione militare ad Albacete, in Castiglia 53 , venivano inquadrati in formazioni, general­ mente per nazionalità o militanza politica, e destinati ai diversi fronti. Fra le unità più famose, vale la pena ricordare la Thalmann, formata da volon­ tari tedeschi, e la Brigata Lincoln, formata da nordamericani. Sulle Brigate internazionali è stato scritto molto, soprattutto sulla loro composizione sociale, sulla loro relazione con l'Unione Sovietica e sull'effettivo contributo militare che diedero alla guerra 54 • Certamente vi furono intellettuali, politici, , come li ha chia­ mati Beevor55 , che parteciparono alla guerra. Alcuni di loro, come George Orwell- che pure non era nelle brigate, ma in una formazione spagnola-, o Hemingway, che era in Spagna come giornalista, hanno lasciato testi­ monianze molto importanti di quell'esperienza. Di risulta, ne è scaturita un'immagine delle brigate come una specie d'avventura romantica per idealisti e intellettuali. E fuor di dubbio che questo fu un aspetto di quel fenomeno, ma bisogna tener pur presente che ben più della metà dei loro membri erano lavoratori, in particolare operai dell'industria. L'altra questione, quella relativa all'uRss, ha risentito, e molto, dell'in­ terpretazione che se ne è fatta in piena guerra fredda, di cui ha fatto largo uso la propaganda franchista: le BI erano uno strumento nelle mani dell'Unione Sovietica, ovvero una forma di intervento indiretto. Alla prova dei fatti, evidentemente questa interpretazione mostra tutte le sue debolezze. Se è vero che il Comintern facilitò la formazione delle brigate e vi impegnò i suoi membri presenti in Spagna, è pur vero che il feno­ meno fu talmente esteso che risulta altamente inverosimile attribuire a questo organismo la capacità di controllare e guidare l'attività degli stra­ nieri che si unirono ai repubblicani. Diverso è sottolineare come più del 70 % dei brigatisti fossero membri di partiti comunisti e dunque seguis­ sero una disciplina ideologica ben precisa. Infine, sulla questione del contributo militare, vale la pena ricordare che le BI furono le prime unità repubblicane ad accettare senza riserve la disciplina militare e che furono decisive in alcuni fronti concreti: Madrid, Guadalajara, in parte Aragona. Dato il limitato numero di effettivi, schie­ rati in diversi scenari, risulta difficile avanzare una valutazione comples­ siva sul loro contributo militare. In definitiva, la situazione internazionale e le scelte dei diversi paesi 53. Il primo contingente arrivò alla base di Albacete nell'ottobre 1936. 54. La bibliografia sulle B I è sterminata. Fra gli ultimi contributi di sintesi importante: Skoutelsky, Novedad en el /rente, cit. 55. Beevor, La guerra civil espanola, cit., p. 243.

I.

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erano destinate a condizionare in modo profondo il corso della guerra e le sue caratteristiche. Non solo per la dimensione di guerra ideologica planetaria che la formazione delle Brigate internazionali suggeriva - e ne fu un aspetto importante -, ma perché da un punto di vista diplomatico e militare, l'intervento, o piuttosto il non intervento, ne segnò in gran parte le sorti. La costituzione del Comitato per il non intervento, e in cambio l'im­ pegno militare sempre crescente da parte della Germania e dell'Italia al fianco di Franco, nel momento in cui venne accettato de facto, condanna­ rono la Repubblica a una guerra sempre difensiva. Gli accordi navali asso­ ciati alla politica di non intervento vennero rispettati per ciò che riguardava la Repubblica e furono ampiamente aggirati per quello che riguardava le forniture italiane e tedesche. La Marina italiana cominciò una guerra, ille­ gale e segreta - soprattutto con i suoi sommergibili -, che si estese fino al mar Egeo, tentando di affondare qualsiasi imbarcazione, soprattutto pro­ veniente dall'uRss, che volesse arrivare alle coste mediterranee repubbli­ cane56. A questo si aggiungeva anche l'appoggio dato sin dal primo momento ai ribelli del Portogallo di Antonio de Oliveira Salazar, che significava la possibilità di avere una frontiera "amica" e permeabile, contro il coraggioso ma sostanzialmente irrilevante appoggio del Messico alla Repubblica57. Quando il sistema di controllo navale a senso unico e le forniture tedesche e italiane arrivarono a regime, scandendo un rifornimento non più copioso ma certamente più costante per le truppe di Franco, di fatto, per la Repubblica la guerra era già persa. 1.4

Una guerra a macchia di leopardo Il mancato successo del golpe e la successiva reazione delle forze leali, dei partiti e dei sindacati operai, diedero origine a una situazione militare di difficile interpretazione secondo gli schemi tradizionali. Nonostante si possano fare delle considerazioni di carattere generale - per regione, per esempio -, all'interno di ogni zona e addirittura di ogni città gli avve­ nimenti militari si svolsero in modo diverso.

56. Secondo un dossier sovietico dell'epoca, soltanto fino al maggio del 1937 erano state attaccate 86 navi sovietiche: Bolloten, La guerra civil espaiiola, cit., p. 206. 57. Sul ruolo del Portogallo, cfr. M. S. G6mez de las Heras Hernandez, Portugal ante la guerra civil espaiiola, in "Espacio, Tiempo y Forma", s. v, Historia Contemporanea, 5, 1992, pp.273-92.

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Si è già ricordato che, all'indomani del golpe, i ribelli avevano trion­ fato totalmente nelle Canarie, in Galizia, nelle zone centrali della peni­ sola, nelle Baleari - a eccezione dell'isola di Minorca - e in Navarra. In Andalusia, invece, essi erano riusciti a penetrare e occupare solo due piccole porzioni di territorio: una intorno a Gibilterra e l'altra a sud di Siviglia, una sottile striscia di terra dalla quale assediavano la città. Allo stesso tempo, però, controllavano, assediati dalle forze repubblicane pre­ senti in tutto il territorio circostante, le città di Granada e di Cordova. Qualcosa di simile stava succedendo pure nelle Asturie: la regione era controllata dai repubblicani, ma i nazionalisti erano riusciti a prevalere nella città di Oviedo. Sempre nel Nord, poi, la spinta franchista da Pam­ plona e dall'Aragona settentrionale, riusciva ad arrivare alla frontiera con la Francia, isolando, di fatto, il Nord repubblicano. Nei dieci giorni successivi al golpe, la situazione era destinata a cam­ biare, soprattutto nel Sud: le forze del generale Queipo de Llano entra­ rono a Siviglia il 21 e occuparono prima l'aeroporto- elemento che sarebbe stato cruciale per far atterrare le truppe ribelli provenienti dal Marocco e trasportate dagli aerei italiani e tedeschi - e poi il resto della città. Le zone popolari di Triana- presa lo stesso 21 luglio con una violenza e una repressione feroci -, Macarena, San Julian, San Bernardo e Pumarejo riuscirono però a resistere agli assalti franchisti fino al 25. Una volta conquistata Siviglia, per i nazionalisti fu facile estendere il controllo: ormai, una fetta importante dell'Andalusia occidentale, che univa le città di Granada, Cadice e Huelva, era in mano alle truppe di Franco. Nei mesi successivi, sarebbe caduta pure Malaga e il controllo nazionalista sull'Andalusia sarebbe divenuto totale. Anche a Toledo, zona in cui il golpe era fallito, i ribelli si asserraglia­ rono nell'emblematico edificio dell'Alcazar, sede dell'Accademia di fan­ teria. All'inizio, l'allora colonnello Moscard6, direttore della Scuola di educazione fisica della città, poteva contare soltanto su pochi cadetti, visto che la maggior parte era in vacanza. In seguito, effettivi della Guardia civil provenienti dai paesi della zona, insieme con un certo numero di falangisti e di ufficiali, si unirono alla resistenza. Poco più di mille soste­ nitori del golpe presero in ostaggio più di 100 repubblicani. Così comin­ ciarono l'assedio (e gli interminabili negoziati). Durò tutta l'estate, fino al 27 settembre. In realtà, per i franchisti l'importanza strategica dell'obiet­ tivo era trascurabile, visto che per le truppe che venivano dal Sud non era necessario conquistare Toledo per arrivare a Madrid. Però Franco non solo volle a tutti i costi che fosse liberata, ma addirittura ordinò alle sue stesse truppe africane, in marcia verso Madrid, di deviare il loro per­ corso per intervenire nell'operazione. 60

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Si è scritto molto su questa scelta del futuro dittatore. Senz'altro, gli esperti di storia militare hanno sottolineato come, da un punto di vista della strategia bellica, fu una scelta praticamente senza senso. Tuttavia se si guarda la vicenda da un'angolatura più ampia, la decisione riacquista tutta la sua logicità. Franco, per formazione e per convinzioni voleva essere quanto di più lontano vi fosse dalla figura del politico. Fece invece, con l'assedio dell'Alcazar, oltre che un'importantissima operazione di propaganda (l'assedio riempì per giorni e giorni le pagine della stampa internazionale), una notevole operazione politica, che rese possibile un primo consolidamento del suo potere nelle file dei ribelli. Il fallimento del golpe e l'inizio della guerra, infatti, avevano scate­ nato problemi di atomizzazione dell'autorità e di leadership non solo fra i repubblicani, ma anche fra i generali golpisti. Dopo la morte di Sanjurjo il 20 luglio, il 24 Mola si era trasferito da Pamplona a Burgos e lì aveva favorito la creazione della cosiddetta Junta de Defensa Nacional. Vi era stato un breve dibattito su quali dovessero essere i criteri di scelta dei membri del nuovo organo. In un primo momento, infatti, si parlò della presenza anche di civili, ma alla fine Mola, con il consenso del resto dei generali, si era deciso per un direttorio totalmente militare. La scelta del presidente della Junta, rivelava la stessa logica: venne indicato infatti il generale Cabanellas, perché - si argomentava - in quel momento era il militare di maggiore anzianità nel grado presente nella zona Nord del territorio. La Junta aveva teoricamente lo scopo di coordinare l'azione dei generali e anche, come non sfuggì a nessuno, di offrire un'immagine di unità di fronte alle molte divisioni repubblicane. Da un punto di vista politico il nuovo organo non dava alcuna indica­ zione su quali fossero i programmi dei ribelli. Il primo manifesto dellaJunta reso pubblico pochi giorni dopo la sua costituzione, era assai ambiguo, proprio perché non conteneva indicazioni programmatiche: si poteva inter­ pretare addirittura che i generali non mettevano in discussione la legitti­ mità del regime contro cui si erano ribellati scatenando la guerra. Quando, giorni dopo, su un giornale nazionalista venne pubblicato un presunto programma politico dei generali, nel quale si affermava che questi avreb­ bero sottoposto a referendum la futura forma di governo, la Junta smentì seccamente e anzi si affrettò a sottolineare che i militari si erano mossi solo per , e che la loro funzione si sarebbe limi­ tata a questo scopo, dichiarandosi chiaramente apartitici58 • In ogni caso, al di là della costituzione della }unta, la cosiddetta 58. J. Tusell, La evoluci6n politica en la zona de Franco, in Tusell, Payne (eds.), La guerra civil. Una nueva visi6n del con/lieto, cit., p. 434. 61

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Spagna nazionalista era pure profondamente divisa. Non solo perché le forze politiche che avevano dato il loro appoggio agli insorti fremevano - anche se ritenevano, in questa fase, che solo i militari potessero scal­ zare definitivamente il Fronte popolare-, ma anche perché nello stesso centro del potere degli insorti, cioè l'esercito, coesistevano aspirazioni diverse e poteri locali scaturiti dalle vicende delle prime settimane della guerra. Vi erano come minimo tre grandi blocchi di potere militare, e quindi, nella logica dei generali, anche politico. Uno che faceva capo al generale Queipo de Llano, che, da Siviglia governava il Sud. Le possibilità di Queipo di conquistare tutto il potere, per molte ragioni, erano ben scarse. Della generazione anteriore a quella di Franco, Queipo era un generale di Divisione anziano, che nelle prime settimane del conflitto aveva visto crescere enormemente la sua popolarità fra gli insorti perché era riuscito nella difficile e sanguinosa conquista di Siviglia. Di fatto, però, era poli­ ticamente un cane sciolto- di famiglia conservatrice, era stato però repub­ blicano - e aveva poco interesse a raccordarsi con il resto dei generali ribelli. Stabilitosi nella capitale andalusa, si dedicò non solo a una repres­ sione senza precedenti, ma anche a legiferare sulle più diverse questioni economiche e sociali, seguendo quello che lui stesso aveva definito il "capitalismo paternalista", che cercava di "riassorbire" le masse conta­ dine. Si trattava più della pratica di un satrapo, condita da una repres­ sione sanguinaria, che di un programma politico, ma il problema, evi­ dentemente, non era di contenuti. I limiti di Queipo erano rappresentati proprio dalla sua indipendenza, una caratteristica che lo aveva isolato fra i generali pure in tempo di pace. Un secondo blocco di potere politico-militare era rappresentato dal generale Mola, che proprio da Burgos aveva spinto per una centralizza­ zione del potere con la costituzione della Junta. Ora, con il Nord che resisteva, si trovava in una situazione militare piuttosto complicata. Come già detto, era stato l'architetto (el director) della cospirazione e i militari ribelli avevano accettato che fosse lui a dare le direttive per il golpe. Nonostante ciò - e nonostante fosse più anziano di Franco -, era un mili­ tare di grado inferiore rispetto al futuro dittatore. Quest'ultimo, a 43 anni era infatti già generale di divisione, mentre Mola era ancora generale di brigata. Il problema di Franco - rappresentante dell'ultimo blocco di potere politico-militare della Spagna nazionalista - era trovare un modo per scalzare definitivamente Mola e consolidare la sua posizione, in maniera anche da far dimenticare a tutti certe timidezze iniziali rispetto al golpe. E una delle soluzioni che trovò - poi il problema fu risolto dalla morte

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dello stesso Mola, in un incidente aereo, nella primavera del 1937 - fu proprio l'Alcazar di Toledo. In questo modo, Franco conquistava tempo prezioso per muoversi politicamente con la sua mentalità da generale. Il futuro dittatore aveva capito - o forse non poteva immaginare che fosse in un altro modo? - che il golpe era stato preparato e sarebbe stato gestito in chiave militare. Per questo, si adoperò per farsi garante sia del controllo sulle forze politiche che pure lo avevano sostenuto- fra agosto e settembre incontrò falangisti, monarchici, tradizionalisti e uomini di Calvo Sotelo, promet­ tendo loro tutto e niente-, sia dei contatti con italiani e tedeschi, grazie ai quali, di fatto, l'esercito nazionalista stava avanzando. Soprattutto, però, aveva bisogno di una dimostrazione di forza come militare, sapendo che, in fin dei conti, l'inevitabilità 5 9 della sua nomina come capo supremo sarebbe dipesa quasi esclusivamente da quest'elemento. E, di fatto, in questo modo lessero la situazione gli altri generali, i sostenitori civili interni del golpe e i giornali stranieri vicini alle posizioni dei ribelli: Franco era indicato dai più, grazie alla travolgente avanzata delle sue truppe afri­ cane dal Sud (determinata dall'efficacia delle sue unità militari e dall'ac­ centramento nelle sue mani degli aiuti tedeschi e italiani), come il vero capo militare dei generali ribelli. Né Queipo, né Mola potevano vantare successi simili, anche perché le offensive delle loro truppe si erano svolte subito dopo il golpe e ora si trovavano a dover adottare un approccio militarmente difensivo, poco utilizzabile per la propaganda. Sull'onda dei successi militari dell'agosto, e grazie alla mediazione del generale monarchico dell'aeronautica Kindelan e del colonnello Yagiie, Franco si preparò a raccogliere i frutti delle sue mosse estive e a preparare quel percorso che, senza fretta, ma senza interruzioni, doveva portarlo a consolidare le sue posizioni. Fece organizzare per il 21 set­ tembre una riunione dei più alti capi militari a Salamanca, nella quale tutti i convenuti - meno, evidentemente, Cabanellas, presidente della Junta di Burgos - furono d'accordo sull'insufficienza di quest'ultima e sulla necessità di centralizzare ancor di più il comando militare, e in defi­ nitiva, il nuovo Stato che stava nascendo come frutto della guerra. Franco venne scelto, dopo aver mostrato una serie di perplessità sulla difficoltà della missione che gli si chiedeva di portare a termine (per modestia, come sostengono gli agiografi, o per calcolo politico, come suggerisce la

59 . Cfr. R. Carr, The Spanish Tragedy: The Civil War in Perspective, Phoenix Press, London 1986, p. 120. Su tutto il processo di riorganizzazione interna dei generali golpisti, cfr. ivi, pp. 119-26.

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maggior parte degli storici)60 • A quel punto, lo stesso 21 settembre egli decise di deviare le sue truppe verso Toledo: la vittoria dell'Alcazar pochi giorni dopo costituì il suggello di un percorso che non si poteva certo dichiarare concluso, ma che aveva subito un'accelerazione importante. La repressione dopo i fatti dell'Alcazar fu brutale e la scena della libera­ zione fu ripetuta per le telecamere dei cinegiornali. Anche in questo modo, un generale di mentalità e formazione ottocentesca dimostrava di saper utilizzare i meccanismi del potere del xx secolo61 • Senza dubbio, e al di là delle questioni legate alle sorti dei singoli generali - anche se sembra impossibile spiegare la guerra civile senza tenere conto della personalità di Franco -, ciò che stava avvenendo a tappe forzate tra i ribelli era un processo di ricostruzione e centralizza­ zione dell'autorità politica e militare, secondo una concezione che subor­ dinava chiaramente la prima alla seconda. In più, come poi lo ha definito con una certa lucidità Ramon Serrano Sufier, cognato di Franco e poi suo ministro degli Esteri, con la scelta del 21 settembre e il comando unico a Franco, nasceva una concezione dello Stato "campamentale" , cioè di stampo prettamente militare. Nel decreto che seguì alla nomina del 21 settembre, pubblicato il 29 , scritto da Yagiie e da Nicolas Franco, fratello del dittatore e factotum dell'operazione, Franco era nominato Genera­ lissimo di tutti gli eserciti e capo dello Stato. Sebbene non tutti i generali e i dirigenti politici che avevano appoggiato la rivolta fossero convinti che questa struttura dovesse essere permanente e, soprattutto, che a capo dovesse esserci Francisco Franco, tutti ne vedevano, e con ragione, l'uti­ lità per vincere un conflitto bellico. Come fosse un negativo fotografico di quanto stava succedendo nella Spagna nazionalista, probabilmente i primi mesi della guerra furono per la Repubblica il momento più caotico, sia da un punto di vista militare che politico. Più avanti si analizzerà più a fondo la situazione nella capi­ tale, ma se si guarda però l'insieme dell'iniziativa politica e militare repub­ blicana dei primi mesi della guerra, ci si rende rapidamente conto che le note dominanti sono la frammentazione del potere e, di conseguenza, le difficoltà militari. Già si è fatto cenno alla situazione della città di Barcellona e al dua­ lismo di poteri regnante dell'indomani del 19 luglio. La prima spedizione militare repubblicana- che non fosse strettamente difensiva-, fu quella che partì, a scaglioni durante tutta l'estate, dalla Catalogna verso l'Ara60. Tusell, La evoluci6n politica en la zona de Franco, cit. , pp. 43 6-7. 61.

L. Zenobi, La construcci6n del mito de Franco. De jefe de la Legi6n a Caudillo de

Espaiia, Catedra, Madrid 2011.

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gona. Si trattò in gran parte di un'iniziativa autonoma. Autonoma dal potere centrale, ma in parte autonoma anche rispetto al potere della Generalitat, che l'accompagnò e tentò di razionalizzarla (facendo buon viso a cattivo gioco per non restare completamente tagliata fuori), ma di fatto non la promosse. Già nelle ore immediatamente successive al golpe, gruppi di volontari erano partiti alla volta dell'Aragona. Si trattava in gran parte di anarchici, partiti per soccorrere i loro compagni aragonesi (l'Aragona era, dopo la Catalogna, la zona in cui era più forte il potere della CNT). Nel corso dell'estate, ai primi volontari se ne aggiunsero altri, formando quelle che vennero definite le "colonne", in contrapposizione alla nomenclatura in divisioni dell'esercito tradizionale. Tutti i partiti e i sindacati catalani ne formarono, con un sistema semplice: con un annuncio sulla stampa si faceva un avviso di reclutamento, si raccoglie­ vano i volontari e, dopo una brevissima e a volte inesistente istruzione militare, si formava la colonna, che sfilava per la città fra gli applausi entusiasti della popolazione e poi partiva. Anche su questo punto la pole­ mica storiografica è stata accesa negli anni: quante colonne, di quanti miliziani, quali fossero le forze politiche che riuscirono a mobilitare più volontari, la loro efficacia militare, i loro obiettivi ultimi (se far la guerra o esportare in Aragona la rivoluzione). Tutti questi sono stati temi ampia­ mente e anche aspramente discussi nel corso dei decenni, anche perché la documentazione di queste unità militari è assai scarsa. Qui si farà sol­ tanto qualche considerazione di carattere generale. In primo luogo, bisogna ricordare che tutti i partiti e i sindacati cata­ lani crearono colonne. Soprattutto all'inizio furono gli anarchici a for­ mare queste unità (la colonna più famosa fu quella guidata dal leader della CNT e della FAI Buenaventura Durruti, seguita dalla Colonna Ascaso, altro dirigente), ma anche il POUM (Colonna Lenin), e il Psuc (che, crea­ tosi il 23 luglio, fu in grado di organizzare una forza militare efficiente in meno di un mese, la colonna Carlo Marx). Alla fine dell'estate, l'ERC creò la sua colonna (la Macià-Companys) tentando in questo modo di far recu­ perare terreno alle istituzioni autonome. Ma vi furono anche colonne miste, su base territoriale, come quella che organizzò il municipio di Tar­ ragona, o istituzionali, come quella che tentarono di organizzare i lavo­ ratori del municipio di Barcellona e che poi fu aggregata alla Macià-Com­ panys. In questo modo, la Catalogna, nell'insieme (non sempre coordinato) dei suoi partiti, sindacati e istituzioni e nello spaventoso vuoto di potere di quelle prime settimane, dimostrava di avere capacità di autorganizza­ zione e risorse, anche umane, importanti per la Repubblica. Allo stesso tempo, però, dimostrava una certa difficoltà- o, si è detto, una mancanza di volontà - nel coordinarsi con il resto del territorio repubblicano. In

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altre parole, il terremoto istituzionale rappresentato dai fatti del 19 luglio ebbe conseguenze importanti su questo piano. Se già la Generalitat aveva dimostrato di voler essere autonoma rispetto al potere centrale, il prota­ gonismo degli anarchici catalani, che avevano messo in un angolo Com­ panys e le istituzioni autonome legali, era destinato ad aggiungere ancor più complessità al quadro. In secondo luogo vale la pena ricordare che, in questa fase, le colonne catalane in Aragona entrarono scarsamente in contatto con il nemico. L'attività bellica si intensificò in Aragona solo a partire dal 1937. Ciò signi­ fica che in tutta la seconda metà del 1936, queste forze non riuscirono a riconquistare nessuno dei capoluoghi di provincia aragonesi, che rima­ sero sempre in mano ai franchisti. In terzo luogo, c'è da ricordare come lo sforzo militare delle colonne in Aragona finì per costituire un elemento di divisione importante. Non solo per le critiche provenienti dal governo centrale, ma anche per le differenze interne ai repubblicani catalani e, ancor più, fra gli stessi anar­ chici. Per questi ultimi la pressione della spedizione aragonese significò l'inizio del manifestarsi di una debolezza interna che presto si sarebbe palesata a tutti. Per una parte di essi, infatti, lo sforzo militare si tradu­ ceva nella volontà di esportare la rivoluzione nelle campagne o, in ogni caso, di costruire istituzioni da essi controllate. La costituzione, nell'ot­ tobre 1936, del Consejo de Arag6n, un organo che doveva coordinare le collettivizzazioni agrarie, ne fu una prova evidente. Il Consejo però finì per mettere a nudo tutti i limiti dell'effettiva capacità di gestione poli­ tica della CNT, nel momento in cui i suoi scarsi risultati politici ed eco­ nomici lo rendevano oggetto delle critiche feroci non solo del governo di Madrid, ma anche del resto dei partiti catalani, a eccezione del POUM. Sotto pressione, la CNT diede l'impressione di saper accumulare grande potere, ma in definitiva, in una fase di guerra, di non saper bene come usar1062 • Considerazioni simili devono farsi anche per quanto riguarda l'altra spedizione militare portata a termine dai repubblicani catalani nelle 62. La polemica interna alla CNT ebbe come oggetto anche la ripartizione delle armi,

che secondo alcuni dirigenti si stavano pericolosamente accumulando e usando nella retro­ guardia, sottraendo risorse importanti per lo sforzo bellico. Fu questo il caso diJoan Peir6, uno dei quattro dirigenti anarchici - ex trentista - che sarebbe entrato nel governo di Largo Caballero nel novembre del 1936, durante l'assedio di Madrid, il quale denunciò in un pamphlet quelli che considerava veri e propri passi falsi della sua organizzazione. Alla fine del conflitto, Peir6 si esiliò in Francia, ma fu arrestato dalla Gestapo nel 1940, conse­ gnato alle autorità franchiste e fucilato nel 1942. Cfr. J. Peir6, Perill a la reraguarda, Lli­ bertat, Matar6 1936.

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prime settimane della guerra, quella per liberare Maiorca. Anche qui, i veleni dell'esilio, riversati nelle molte memorie dei protagonisti dell'e­ poca, hanno fornito una visione frammentaria e feroce di quella vicenda. Sta di fatto però che la spedizione, progettata a Barcellona sotto il comando del tenente colonnello dell'aviazione Alberto Bayo Giraud e anch'essa nutrita di milizie di volontari, fu, da un punto di vista militare, un disastro. Le truppe repubblicane, dopo essere sbarcate nell'isola il 16 agosto 1936, dovettero ritirarsi il 4 settembre, per un ordine esplicito del presidente del governo centrale. Il fallimento della spedizione a Maiorca significò dare un enorme vantaggio strategico ai franchisti. L'i­ sola più grande delle Baleari si sarebbe trasformata in una specie di por­ taerei nel bel mezzo del Mediterraneo, da cui l'aviazione legionaria di Mussolini avrebbe castigato con facilità tutta la costa repubblicana del Levante, da Portbou a Cartagena. Ma le conseguenze furono pure di ordine interno: Bayo dovette subire un processo e l'autonomia militare catalana subì un primo duro colpo. Sul piano strettamente politico, poi, l'andamento della guerra era destinato a cambiare profondamente gli equilibri interni al fronte repub­ blicano, a creare nuove divisioni e nuove alleanze. La prima vittima poli­ tica della situazione fu il governo Girai, che rassegnò le dimissioni il 4 settembre, dopo la caduta della cittadina castigliana di Talavera de la Reina, che significava la minaccia franchista diretta contro Madrid. La scelta del successore, viste le condizioni, fu allo stesso tempo obbligata e perdente in partenza. Nella confusione e nel panico, quando quasi tutti vaticinavano una caduta imminente della capitale ed era evidente la disgregazione del potere repubblicano, l'imperativo era un governo d'u­ nità cui tutte le forze operaie - anche gli anarchici - potessero e doves­ sero partecipare. L'unico personaggio politico che poteva riuscire nell'im­ presa, per il suo ruolo di dirigente storico e simbolo del movimento operaio e sindacale, era Francisco Largo Caballero. Nel governo del "Lenin spagnolo", al quale, da novembre, avrebbero partecipato anche gli anarchici - erano entrati nel governo della Generalitat alla fine di set­ tembre -, Largo Caballero aveva anche il portafoglio della Guerra, benché le critiche sulla sua gestione militare furono costanti. Era il tentativo di ricucire i pezzi di una maggioranza politica e sociale e soprattutto di una struttura istituzionale che era andata in pezzi nell'estate, e che ora diffi­ cilmente l'antico leader della UGT sarebbe stato in grado di rimettere insieme. Come si vedrà più avanti, la disgregazione progressiva delle strutture statali repubblicane sarebbe continuata fino alla primavera dell'anno seguente, quando il conflitto interno scoppiò in forme violente e non vi fu più tempo per alcuna mediazione.

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Nel frattempo, nell'autunno, dopo la caduta di Toledo e con il nemico alle porte di Madrid, il governo di Largo Caballero cominciava con il piede sbagliato, decidendo - nonostante l'opposizione dei neoministri anarchici - di dar virtualmente per persa la capitale e di trasferirsi a Valenza. La reazione di una popolazione che accusava senza mezzi ter­ mini il governo di essere fuggito, di certo non avrebbe aiutato alla rico­ struzione del prestigio e dell'autorità perduta. 1.5

Al cuore dello Stato: l'assedio di Madrid Nelle istruzioni consegnate da Mola ai generali prima del golpe, le prio­ rità erano chiare: arrivare a Madrid da sud e da nord ed espugnarla. L'idea, evidentemente, era figlia di quella concezione classica secondo la quale, una volta fosse caduta la capitale, il resto dello Stato sarebbe rapi­ damente capitolato. In realtà, dopo le prime settimane di guerra, i gene­ rali erano coscienti che la loro rivolta non era andata come avevano pre­ ventivato e che in definitiva, erano di fronte a un fenomeno bellico per loro sostanzialmente inedito. Ciò nonostante, Madrid restava l'obiettivo da colpire e, forti degli avvenimenti delle prime settimane della guerra, quando l'avanzata delle truppe ribelli sembrava inarrestabile, si dispo­ sero ad attaccare la città. In realtà, proprio la superiorità militare fran­ chista e soprattutto il modo in cui questa si era manifestata fra l'agosto e il settembre, fecero compiere un gravissimo errore di calcolo agli stra­ teghi nazionalisti e in primis allo stesso Franco. Già si è ricordato che il futuro dittatore, per ragioni inerenti agli equilibri di potere interni ai generali, decise di rimandare l'attacco alla capitale per concentrarsi sull'assedio dell'Alcazar di Toledo. In realtà, nel mese e mezzo che intercorse fra la fine di settembre, nel momento in cui le truppe africane di Franco, sotto il comando di Yagiie, avrebbero potuto conquistare senza sforzo la città, e il novembre, quando l'offensiva franchista sulla capitale fu lanciata in grande stile, si susseguì una serie di avvenimenti politici e militari in campo repubbli­ cano che cambiarono, al meno in parte, il corso della guerra. In primo luogo, i generali repubblicani Asensio Torrado e Miaja - responsabili rispettivamente della difesa del territorio circostante alla città e della città stessa -, decisero di fortificare il perimetro di Madrid, mobilitando migliaia di cittadini per scavare le trincee. Al di là dell'effi­ cacia bellica, l'iniziativa dei due generali significava un primo importante coinvolgimento della popolazione in forma ordinata e pianificata. Allo 68

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stesso tempo, Asensio e Miaja ordinarono di concentrare in città il mag­ gior numero di miliziani e di armi6 3 • In secondo luogo, il 30 settembre, il governo Largo Caballero pro­ mulgava un decreto per il quale tutte le formazioni militari dovevano essere inquadrate secondo una struttura regolare, e il 10 ottobre venivano create le prime sei Brigate miste del nuovo Esercito popolare della Repub­ blica. L'efficacia dei provvedimenti legislativi del governo si limitava ancora praticamente alla zona del centro, restandone escluse la Catalogna, l'Aragona e, di fatto, i Paesi Baschi; però si trattava di un inizio. I bombardamenti franchisti del 2 e del 6 ottobre sulla città avevano accelerato la decisione. In realtà, i decreti di militarizzazione delle for­ mazioni armate repubblicane costituivano una dimostrazione del pro­ gressivo successo delle tesi del PCE: i comunisti infatti erano stati i primi - e di fatto gli unici -, dall'inizio della guerra a volere una struttura mili­ tare regolare, nella quale la disciplina e l'ordine fossero concepiti come ingredienti essenziali dell'azione militare. Lo avevano fatto con l'esempio, creando il Quinto Regimiento64 : formato da militanti comunisti e da mili­ tari di professione di convinzioni più che controllate, era di gran lunga l'unità militare più efficace di tutte le forze repubblicane. In terzo luogo, il 16 ottobre attraccava a Valenza il Komosol, la prima nave sovietica con armi e munizioni destinate ai repubblicani. Questo significava, fra le molte altre cose, anche l'arrivo dei primi aerei sovietici, i Tupolev SB - 2 (Katiuskas) e la rottura del monopolio aereo dei tedeschi e degli italiani. Infine, e sicuramente questo fu l'elemento con più conseguenze poli­ tiche, il 6 novembre - due giorni dopo l'entrata dei ministri della CNT - il governo decideva di abbandonare la città per ragioni di sicurezza, per stabilirsi a Valenza, dove già risiedeva il presidente Azafia. La decisione in realtà era stata presa in precedenza, però la sua attuazione, con il nemico alle porte- le truppe di Varela avevano conquistato Illescas il 19 e in quella data Franco aveva firmato le ultime istruzioni per la conquista di Madrid -, diede origine a un dibattito molto aspro nel governo. Prieto - ministro della Marina e dell'Aeronautica- contestava l'opportunità di procedere allo spostamento proprio nell'imminenza della battaglia, mentre i ministri anarchici erano direttamente contrari, anzi, accusavano lo stesso governo di aver chiesto loro di entrare proprio per ridistribuire le respon63 . G. Cardona, Rebeli6n militar y guerra civil, in S. Julia (coor. ) , Republica y guerra

en Espaiia (I936-I939), Espasa, Madrid 2004, pp. 242- 3 . 64. Cfr. J. A. Bianco Rodriguez, El Quinto Regimiento en la politica militar del en la guerra civil, LNED, Madrid 1993.

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sabilità dell'inevitabile sconcerto che la decisione avrebbe provocato nella popolazione. E lo sconcerto, anzi, l'indignazione, della popolazione, non tardò a farsi sentire. Addirittura, i ministri anarchici furono intercettati mentre uscivano dalla città in macchina e furono rispediti a Madrid, da dove alla fine dovettero prendere un aereo. Alvarez del Vayo, ministro socialista degli Esteri, che pure viaggiava in macchina, fu fermato da un gruppo di anarchici a Taranc6n e malmenato. Lo spostamento del governo a Valenza venne percepito come una vera e propria fuga, un abbandono, una dimostrazione del fatto che, nonostante le misure prese nell'ottobre, il governo non aveva mai cre­ duto possibile difendere la capitale. La stessa scelta di affidare la difesa di Madrid a Miaja, in un certo senso, poteva leggersi in questa prospet­ tiva. Miaja era stato per poche ore ministro della Guerra nel governo di Martinez Barrio e aveva rifiutato di entrare nel gabinetto Giral. Una parte della sua famiglia era in carcere nel Marocco franchista e il suo curri­ culum militare, dal 18 luglio in poi, non era stato dei più brillanti. Gene­ rale della 3a Divisione, inviato a Valenza, da lì aveva tentato un'infruttuosa offensiva per recuperare Cordova. Fallita la missione, era stato sostituito. Sembrava quindi, almeno sulla carta, tutto fuorché un militare prezioso per la Repubblica: un elemento che rafforzava ancor di più la percezione di un atteggiamento rinunciatario del governo. Le istruzioni per la difesa della città vennero consegnate a Miaja e al generale Sebastian Pozas - che, in qualità di nuovo comandante del distretto militare di Madrid avrebbe dovuto affiancarlo - la sera del 6, con l'ordine di non aprirle fino al mat­ tino dopo. Miaja e Pozas però le lessero la sera stessa, sottolineando con questo gesto la volontà di non perdere tempo prezioso e tutta la relatività dell'autorità del governo. A Miaja veniva ordinato di creare una Junta de defensa, insieme a tutti i partiti e i sindacati repubblicani, che avrebbe dovuto organizzare la resistenza . A Pozas venivano ordinati alcuni movimenti tattici e l'organizzazione di un nuovo quartier generale. Le condizioni nelle quali la Madrid repubblicana affrontava l'assalto franchista, cominciato il 7 novembre, non erano, almeno a priori, le migliori. Però il ritardo franchista nell'attacco, la sottovalutazione dell'o­ biettivo - Varela aveva previsto alla fine una manovra semplice, che non prevedeva rinforzi -, la sorprendente efficienza della }unta, le capacità militari del generale Vicente Rojo, secondo di Miaja, e di fatto vero stra­ tega della resistenza, gli aiuti sovietici che permisero di dare battaglia anche nei cieli, l'arrivo dei primi brigatisti internazionali 1'8 novembre e di una parte delle colonne catalane il 14 - che furono un'inimmaginabile iniezione di morale per i cittadini di Madrid - resero possibile quel che 70

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sembrava impossibile. Dopo una settimana di duri combattimenti - nei quali l'aviazione repubblicana era riuscita a neutralizzare l'aviazione ita­ liana -, la battaglia si era concentrata nella città universitaria. Si lottava per pochi metri di terreno, con un costo umano altissimo. Alla fine, il 23 novembre, Franco diede l'ordine d'interrompere l'offensiva. Madrid, a dispetto di tutto e tutti, aveva resistito6 5. Ci sono però due elementi - legati fra loro - fra quelli che resero possibile la resistenza di Madrid, che sembrano aver avuto un'importanza decisiva e sui quali vale la pena soffermarsi. Il primo di essi è la straordinaria mobilitazione dei cittadini nella difesa della città. Già si è fatto riferimento alla partecipazione di questi ultimi nelle fortificazioni militari. Durante l'assedio, ogni cittadino repub­ blicano di Madrid, uomo o donna, giovane o anziano, al fronte o nelle retroguardie, venne investito di una parte di responsabilità nel progetto collettivo della resistenza. Certamente, si può dire che questa definizione, come d'altro canto tutte le definizioni, pecca di generalizzazione e forse anche un po' di retorica. Sta di fatto però che la resistenza cittadina rap­ presentò uno straordinario fenomeno di mobilitazione di massa. Il famoso slogan , sembrò davvero in quella circostanza un messaggio condiviso, in qualche modo sentito, addirittura da settori che fino a quel momento parevano essere rimasti ai margini della controversia politica, come fosse scattata una sorta di meccanismo di sopravvivenza collettiva. Altrimenti non si spiegherebbero le documentate e impensabili, fino ad allora, dimostrazioni di affetto e di ammirazione popolare nei confronti di Miaja. Il cosiddetto "eroe di Madrid" divenne presto un simbolo: rico­ nosciuto per strada, addirittura amato dalle donne al pari di un attore del cinema. Questo aspetto appare ancor più interessante se si tiene conto del fatto che Miaja intervenne poco o nulla nella concezione delle stra­ tegie militari di difesa. Tutto il peso ricadde sulle spalle di Vicente Rojo, fino ad allora considerato un militare mediocre, che però, probabilmente per la sua modestia, aveva - come poi dichiarò - confezionato un piano di difesa applicando con rigore gli insegnamenti dei libri di tecnica mili­ tare66. Miaja, andando in giro per la città, visitando i quartieri, parlando con i responsabili dei comitati di difesa territoriale svolse una funzione di rappresentanza popolare che andava ben al di là del carisma personale 65. Un'interessante ricostruzione dell'assedio in forma di diario si può trovare in J. M. Reverte, La batalla de J.\1.adrid, Critica, Barcelona 2004. 66. Cfr. V. Rojo, Asi /ue la de/ensa de Madrid. Aportaci6n a la historia de la guerra de Espaiia, I936-39, ERA, México 1967. 71

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del generale. La difesa di Madrid, anche per i contemporanei, fu un'e­ popea collettiva, un'esperienza insieme terribile ed esaltante, e come tutte le epopee aveva bisogno di un eroe. L'altro elemento che risultò decisivo fu l'insieme di ordine e preci­ sione che caratterizzò il funzionamento della Junta de defensa. Non che non vi fossero conflitti tra le forze politiche o che non si consumassero atti di violenza. Proprio durante il mandato della Junta - e del suo gio­ vane consigliere di ordine pubblico Santiago Carrillo, consigliato dai sovietici -, si riuscì a metter fine alla violenza incontrollata delle prime settimane. Furono assassinati, però, in un clima di panico crescente per gli attacchi franchisti e per l'attività di spionaggio che i molti sostenitori di Franco in città stavano svolgendo67 più di 2.000 prigionieri, fucilati a Paracuellos de Jarama mentre erano trasferiti68 • Tuttavia, l'esperienza della Junta de defensa aveva dimostrato che era possibile costruire organismi militari e politici con la partecipazione di partiti e sindacati, che invece di aumentare la conflittualità riuscivano a cooperare nello sforzo bellico. E nel clima di disordine istituzionale che regnava nelle file repubblicane in tutto il territorio, questo non era affatto poco. Sarebbe storicamente falso affermare che il merito del buon funzionamento della }unta sia da attribuirsi unicamente allo sforzo del PCE. Però non c'è dubbio che nel vuoto politico lasciato dallo spostamento del governo a Valenza, i comunisti spagnoli seppero fornire due ingre­ dienti fondamentali perché la difesa della città potesse realizzarsi: orga­ nizzazione e disciplina. Non fu un caso che proprio durante l'assedio di Madrid il PCE vide lievitare i suoi iscritti: non perché vi fu un'improvvisa popolarità delle tesi leniniste, ma perché il PCE, per molti, era diventato un punto di riferimento per l'approccio che aveva dato alla questione bellica. Si pensi che il vero boom di iscritti si verificò soprattutto in tre set­ tori sociali. In primo luogo fra i militari repubblicani, che dopo mesi di incertezze e di confusione credettero di trovare nel PCE degli interlocu67. I sostenitori di Franco nella capitale erano talmente tanti che lo stesso futuro dit­ tatore aveva dato ordine di non bombardare alcuni quartieri benestanti, come ad esempio, il quartiere Salamanca. 68. Com'è logico, l'episodio del massacro di Paracuellos ha alimentato nel corso degli anni diverse polemiche, soprattutto perché Santiago Carrillo fu, per più di trent'anni, segretario generale del PCE. Negli ultimi anni è stato uno dei temi più trattati dalla cosid­ detta storiografia revisionista, con evidente finalità di uso politico della storia. Per una ricostruzione scientificamente sostanziosa, cfr. Preston, El holocausto espaiiol, cit., pp. 458-508; Vifias, El escudo de la Republica, cit., pp. 61 ss., e I. Gibson, Paracuellos: c6mo /ue, Argos Vergara, Barcelona 1983. 72

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tori che, senza la consueta diffidenza dimostrata nei loro confronti dal resto delle forze politiche repubblicane, avrebbero capito le loro esigenze e il loro modo di ragionare. In secondo luogo, fra la piccola e media bor­ ghesia cittadina, che vide nel PCE il soggetto politico che, ben lontano da qualsiasi rivoluzionarismo, aveva riportato l'ordine in città. E infine, nei giovani, che apprezzarono la scelta radicale dei comunisti nel volere, prima di tutto e a qualsiasi costo, vincere la guerra e sconfiggere il fascismo. In questo quadro, il PCE diveniva- al di là delle convinzioni ideologiche-, uno strumento in primo luogo utile ed efficiente. Fu proprio durante la difesa di Madrid che si consolidò il sorpasso anche organizzativo rispetto al PSOE. La Juventudes socialistas unificadas (1su), organizzazione nata nel marzo 1936 a ridosso della vittoria del fronte popolare dalla fusione delle federazioni giovanili del PCE e del PSOE, a partire dal novembre 1936 entrò definitivamente nell'orbita comunista. La maggior parte dei suoi affiliati, al momento di tesserarsi o rinnovare l'iscrizione, abbinò la militanza nell'organizzazione giovanile con quella nel PCE. La prima conseguenza del successo della difesa di Madrid fu che si confermava la realtà di un conflitto lungo, di una vera e propria guerra di eserciti. Il pronunciamiento di tipo ottocentesco, il colpo di mano rapido, e, specularmente, la possibilità di soffocare presto e bene la rivolta o di trovare il margine di un possibile accordo, tramontarono per sempre. La guerra sarebbe stata lunga, si sarebbe conclusa soltanto con l'occu­ pazione del territorio nemico e la sottomissione di tutti i suoi abitanti. Avrebbe comportato una lotta senza quartiere, l'utilizzo di tutti i mezzi disponibili, compresi, evidentemente, quelli della guerra ideologica. La battaglia di Madrid aveva dimostrato che i confini del fenomeno bellico si erano dilatati a dismisura. Non solo per le innovazioni tecnico-militari come l'aviazione da bombardamento e il suo uso su grande scala sui civili, che portava la morte anche dal cielo, ma anche perché la mobilitazione dei cittadini aveva dimostrato come la guerra arrivava in ogni singolo angolo della vita quotidiana. La seconda conseguenza importante fu che la necessità di una cen­ tralizzazione dell'autorità politica e militare repubblicana si fece evidente agli occhi di tutti. Il processo di ricostruzione dell'autorità statale repub­ blicana e la sua subordinazione alle esigenze belliche fu lungo, pieno di ostacoli e in buona sostanza incompiuto. Soprattutto, si scontrò con resi­ stenze forti da parte dei poteri autonomi costituiti - come la Generalitat de Catalunya o, il governo basco, o ancora, anche se in modo certamente diverso, perché sorto come conseguenza del movimento rivoluzionario posteriore al golpe, il Consejo de Arag6n -, sarà ostacolato dalla debo­ lezza o dalla contrarietà di alcune forze e dirigenti politici, e porterà allo 73

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scoppiare delle tensioni interne allo schieramento repubblicano nella primavera del 1937. In realtà, quello della centralizzazione fu il grande dibattito che attra­ versò con più intensità la vita della Repubblica in guerra, perché toccava gli obiettivi ultimi delle forze politiche e sindacali, i loro progetti e le loro alleanze, e perché aveva ripercussioni importanti anche su quanti stavano dando il loro appoggio alla Repubblica in campo internazionale e in primis l'Unione Sovietica. L'ultima importante conseguenza della difesa di Madrid fu l'aumento del peso e dell'importanza del PCE nell'insieme degli equilibri repubbli­ cani, proprio in virtù delle capacità organizzative che aveva dimostrato in quel frangente. Va detto che a questa circostanza corrispose anche un aumento della presenza quantitativa e soprattutto qualitativa dell'inter­ vento sovietico, non solo in termini militari, ma anche politici. Senza dubbio però, leggere queste mutazioni degli equilibri interni alla Repub­ blica come il frutto dell'intervento di Stalin, costituisce una semplifica­ zione che non aiuta a comprenderne il significato profondo6 9 • La diplo­ mazia - ufficiale e soprattutto ufficiosa - dell'Unione Sovietica fu uno degli attori del processo. Però non ne fu l'unico, né, in definitiva, quello determinante. Il PCE nell'insieme della Spagna, e il Psuc in Catalogna, furono per le ragioni che si sono ricordate una sponda per tutte quelle forze che credevano nella subordinazione di qualsiasi cambiamento socio­ politico alla vittoria nella guerra, come l'ERC in Catalogna, o una parte significativa del PSOE e dell'1R nel resto della Spagna. E, fondamentalmente per questo, aumentarono, e di molto, la loro forza.

69 . Cfr. Graham, La Republica espaiiola en guerra, cit., pp. 349-51.

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Due eserciti, molti fronti

2.1

Dalle milizie ali' esercito popolare L'impatto del golpe sulla tenuta, per così dire istituzionale, dell'esercito della Repubblica fu semplicemente devastante. Non tanto o non solo perché una parte delle truppe e degli ufficiali (soprattutto gli oltre 30.000 soldati di stanza in Marocco) passarono in blocco agli ordini dei rivol­ tosi, ma perché lo shock politico e la conseguente frammentazione dell'au­ torità politica e militare resero molto difficile mantenere intatta la catena di comando, da un punto di vista sia gerarchico sia territoriale. Questo elemento, unito all'intervento delle masse popolari armate - dal governo, come a Madrid, o in maniera autonoma, come era accaduto a Barcel­ lona -, in difesa della Repubblica, conferirono alle prime iniziative mili­ tari leali durante la guerra caratteristiche del tutto peculiari. Il periodo miliziano dell'esercito repubblicano - o meglio, delle ete­ rogenee forze che si schierarono al fianco della Repubblica - venne segnato da molti fattori, in primis l'idea, sbagliata, che il conflitto sarebbe stato breve. La considerazione era figlia di una convinzione profonda­ mente radicata in una parte della sinistra politica e sociale spagnola secondo cui il grosso delle classi popolari spagnole era repubblicano e profondamente antimilitarista. In questo modo, si argomentava, per quanto l'esercito nemico potesse disporre di mezzi e uomini, questi ultimi erano percepiti come poco più che ostaggi in mano degli ufficiali ribelli, e dunque, pronti a sfiduciarli. Nonostante, come si vedrà più avanti, la disciplina militare spietata dell'esercito franchista fosse una delle carat­ teristiche fondamentali di quella compagine militare, in realtà non basta a spiegare le sue dinamiche di funzionamento. In secondo luogo, come è stato già ricordato, nell'aiuto armato nella difesa della Repubblica, avevano fatto la parte del leone - per determi­ nazione e soprattutto quantità di militanti -, la CNT e le basi del PSOE, 75

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essendo ancora il PCE un partito fortemente minoritario. Per i militanti delle prime due organizzazioni- soprattutto per gli anarchici, ma anche per una parte del PSOE, come dimostrerà l'avversione della sinistra del partito all'inquadramento delle milizie -, non si poteva e non si doveva cedere a un'organizzazione bellica tradizionale: in fondo l'esercito si era dimostrato uno dei nemici più acerrimi della Repubblica. Per molti, infatti, lo sforzo doveva essere assunto da un popolo in armi e non da un esercito tradizionale1 Benché in tutti i territori rimasti in mano alla Repubblica l'entusiasmo per l'arruolamento volontario fosse praticamente identico nelle prime settimane della guerra, la frammentazione del potere cui si faceva cenno poco innanzi generò situazioni diverse nella regione centrale, nel Nord - nei Paesi Baschi - in Catalogna e nel Levante. Nella regione centrale, e soprattutto a Madrid, dove era rimasto il grosso degli ufficiali leali alla Repubblica e dove, però, la distribuzione delle armi alla popolazione era stata autorizzata da subito da un governo in difficoltà, tutte le organizzazioni del Fronte popolare e i sindacati orga­ nizzarono le loro milizie. Avevano nomi suggestivi come Los Comuneros - ricordando i membri di una rivolta contro Carlo v-, o Aida Lafuente - dal nome di una miliziana comunista morta durante la rivolta delle Asturie del 1934 -, o Ernst Thalmann - il leader comunista tedesco incar­ cerato da Hitler -, Acero (Acciaio), UHP (Unfos hermanos proletarios, ossia Fratelli proletari unitevi ! ), Primero de Mayo, o Tierra y Libertad, dall'inequivoco sapore zapatista2 Il governo tentò di stare al passo con quanto stava accadendo già nelle strade: il 3 agosto promulgava un decreto secondo cui si sarebbero dovuti formare battaglioni di volontari, comandati da ufficiali e sottuffi­ ciali leali, che cominciarono l'arruolamento il 4 settembre, sotto il con­ trollo di una Junta central de reclutamiento, formata da dirigenti politici e militari come Diego Martinez Barrio ( delegato del governo per il Levante), Mariano Ruiz Funes (ministro dell'Agricoltura), o il generale Martfnez Monje. La sede de la Junta era ad Albacete. Il dualismo era evi­ dente: da una parte un'incipiente e insicura struttura militare messa in piedi da un governo che aveva dimostrato tutta la sua precarietà, dall'altra •



Gabriel Cardona sottolinea in questo senso che > dipendeva 16 • Di fatto, come è stato già ricordato, il grosso dei combattimenti sul Jarama si era concluso il 23 febbraio proprio per la difficoltà dei franchisti di avanzare e per la scelta di evitare di sacrifi­ care più uomini e più mezzi in un'offensiva che, tirate le somme, si era dimostrata inutile. Nelle settimane seguenti, c'erano stati altri combatti­ menti, ma la sostanza di quello che poteva ragionevolmente accadere sul Jarama era stata già più che decisa. E difficile sapere fino a che punto i comandi italiani fossero coscienti della situazione militare globale di quel fronte. Sembra ragionevole pen­ sare però che le pressioni politiche da Roma perché i soldati fascisti si muovessero presto e bene a onore e gloria del regime minimizzassero il messaggio che pure era contenuto - sempre se lo si volesse leggere - nella lettera di Franco del 5 marzo: il CTV doveva contare fondamentalmente sulle sue forze in quell'offensiva. C'è da dire che le forze del CTV destinate all'offensiva di Guadalajara erano notevoli. Si trattava di fatto delle più potenti forze d'assalto delle quali nessuno dei due contendenti aveva mai potuto disporre fino a quel momento. Non per una ragione solo quantitativa - 3 5.000 uomini, inqua­ drati in 5 divisioni formate da camicie nere, più la divisone regolare Lit­ torio, dotate di fanteria, artiglieria, carristi e genio -, ma anche qualita­ tiva. Molte di queste forze, infatti, potevano contare su un livello di motorizzazione impensabile sia per l'esercito repubblicano sia per gli stessi alleati franchisti. Non che fossero, come pure si è detto erronea­ mente, completamente motorizzate- di fatto, la fanteria, continuava ad avanzare fondamentalmente a piedi -, ma si stava parlando di più di 2. 500 autocarri per il trasporto di uomini, mezzi, viveri e munizioni, una pro­ porzione mai vista nel conflitto spagnolo. Il CTV doveva essere appoggiato dalla Divisione Soria, agli ordini dell'ormai famoso generale Moscard6, con circa 1 5.000 uomini. Il totale della massa d'impatto delle forze attaccanti era dunque impressionante: circa 50.000 uomini in totale. A fronteggiarli, almeno in un primo momento, quando 1'8 marzo cominciò l'attacco, c'erano solo gli interna15. Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, cit., p. 208. 16. lvi, p. 209.

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zionali della XII Brigata, quella in cui erano inquadrati gli italiani antifa­ scisti del Battaglione Garibaldi. L'8 marzo, le condizioni meteorologiche nella zona di Guadalajara erano pessime: pioggia, freddo e vento. Roatta però non volle posticipare l'attacco. Nel corso della prima giornata, il CTV era riuscito ad avanzare, a seconda delle diverse unità, fra i 6 e i 12 chilometri. Nonostante fosse un'avanzata significativa, certamente non si era di fronte a una dimostra­ zione di guerra celere, e fra l'altro, alla sera, quando venne dato l'ordine di rinviare all'indomani la continuazione delle operazioni, non si era riu­ scito a investire completamente il fronte. La lentezza diede il tempo ai repubblicani di organizzarsi e di cominciare a far affluire truppe di rin­ forzo dalla zona di Madrid. E anche se il giorno dopo il CTV riuscì a con­ quistare Almadrones e Cogollor e Roatta diede l'ordine alla III Divisione di avanzare rapidamente verso Brihuega, la realtà fu un caos: la manovra motorizzata doveva cominciare all'1,30, ma fra le condizioni della strada e il poco coordinamento si crearono veri e propri ingorghi di automezzi per i quali la marcia in realtà non cominciò praticamente fino all'ora di pranzo. Il contatto con i repubblicani della XI Brigata internazionale si verificò sulla strada di Saragozza. Nonostante i duri combattimenti, la sera del 9 si poteva dire che il complesso del fronte repubblicano era stato sfondato. E qui vale la pena ancora una volta posare l'attenzione sulla lettura che di quelle ore fecero i comandi del CTV. Lo sfondamento del fronte e le difficoltà repubblicane fecero pensare che, nonostante i contrattempi, il fatto che le truppe di Franco non avessero attaccato, come era stato previsto, sul Jarama, e le pessime condizioni climatiche che rendevano difficoltoso l'uso dell'aviazione ribelle (a differenza di quella repubblicana, che partendo da Madrid, utilizzava piste asfaltate), la grande marcia trionfale fosse iniziata. Invece, dalla mattina del 10 marzo e per i dieci giorni successivi, la battaglia si sarebbe svolta in una piccolissima zona intorno a Brihuega, nella quale i repubblicani dimostrarono tutta la loro capacità di resistenza e il CTV tutta l'erroneità delle sue previsioni iniziali e soprattutto tutti i suoi limiti. Se è pur vero, come afferma parte della storiografia legata agli ambienti militari italiani1 7 , che nelle difficoltà trovate dalle truppe del CTV ebbe un peso rilevante l'impegno, per così dire prudente delle truppe di Franco nella zona del Jarama - che impedì una preziosa pressione sui repubblicani -, è pur vero che quella offensiva rapida e fulminante che lo Stato maggiore fascista italiano aveva progettato non fu possibile per Cfr. A. Rovighi, F. Stefani, La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (I936-I939), Ufficio storico SME, Roma 1992-93 , 2 voli. 17.

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errori e limiti propri delle truppe del CTV. Dal 12 marzo, infatti, l'offen­ siva di Guadalajara del CTV, per come era stata progettata, era finita, ma Roatta non volle cambiare l'approccio per uso difensivo. Un ruolo impor­ tante poi fu giocato pure dalla propaganda repubblicana e, nello speci­ fico, dal Battaglione Garibaldi, l'unità di antifascisti italiani che era stata maggiormente coinvolta nella battaglia. Luigi Longo, comunista e coman­ dante dei garibaldini, infatti, dedicò particolare impegno a questa atti­ vità: lancio di volantini, appelli e messaggi trasmessi da altoparlanti a pochi metri dalle linee nemiche. Il tutto con due messaggi fondamentali: garanzia della vita per le camicie nere che si fossero arrese e solidarietà nazionale e di classe. Coverdale riproduce il testo del primo volantino che venne lanciato sui fascisti 1 ' 1 1 marzo, dopo che era stato fatto prigio­ niero un gruppo di soldati del CTV, con una dichiarazione a loro attri­ buita: Camerati, commilitoni ! Siamo 31 soldati del I battaglione mitraglieri ! [ . . . ] Ci hanno mandati avanti senza dirci che avevamo di fronte degli italiani, dei fratelli. La battaglia è stata dura: abbiamo avuto molte perdite. E sera, marciamo nel bosco. Siamo spersi, quando sentiamo parlare italiano. Ci dicono: "giù le armi " e noi non spariamo. Come sparare su dei fratelli nostri? [ . . . ] Invece di fucilarci ci hanno dato da mangiare, da bere e da fumare. Ci hanno parlato non da nemici, ma da fratelli. [ . . . ] Un velo è caduto dai nostri occhi. Le storie sui "banditi rossi" , gli "incendiari " , "gli assassini " , sono tutte fandonie. Dei lavoratori come noi, dei contadini come noi ci stavano di fronte. Ci hanno detto perché combattono e hanno ragione18 •

L'effetto sulle truppe fasciste, già stanche e provate, scarsamente moti­ vate, formate soprattutto, almeno per quello che riguardava le divisioni di camicie nere, da disoccupati con poca o nulla formazione politica, fu devastante. Roatta ne era cosciente e per questo voleva ritirare le truppe fasciste - che certamente non avevano mietuto successi, ma non erano neanche state umiliate - al più presto e il 1 4 inviò a Mussolini un tele­ gramma molto esplicito in questo senso. Però Roatta, in fondo, non era solo con Mussolini che doveva par­ lare, ma soprattutto con Franco. E questi, rispetto alle timidezze del mese precedente sull'impiego dei militari fascisti, ora aveva cambiato opinione: voleva che il CTV rimanesse nella zona di Guadalajara e opponeva forti resistenze, argomentando che la superiorità di uomini e mezzi dei fascisti in quel settore era tale da non giustificare un avvicendamento di truppe.

18 .

Coverdale, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, cit., pp.

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220- 1.

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Mentre andava avanti il negoziato a S alamanca tra Franco e Roatta, i repubblicani preparavano la controffensiva, senza che i comandi del civ - il colonnello Faldella, secondo di Roatta - dessero troppo peso alla questione . Alla fine , l' attacco repubblicano del 18 marzo - con aviazione, fan­ teria, carri e artiglieria - fu violento ed efficace, e obbligò il C1V a ritirarsi praticamente ovunque, con scene imbarazzanti da un punto di vista mili­ tare, con fughe in massa dei soldati fascisti . Fu il giorno più nero dell'in­ tervento fascista in Spagna. Non tanto o non solo per una questione stra­ tegica o quantitativa: Guadalajara era un obiettivo non determinante e le perdite repubblicane furono comunque superiori a quelle fasciste ( 2 . 000 morti e 4. 000 feriti repubblicani, contro 9 00 fra morti e dispersi e 1. 800 feriti per il c1V) , ma soprattutto per una questione qualitativa. Guadalajara aveva mostrato al mondo la fragilità della retorica dell 'effi­ cacia militare fascista e aveva rivelato la poca coesione ideologica delle truppe inviate in Spagna. Per questo il regime tentò velocemente di cor­ rere ai ripari. Il 24 marzo, poche ore dopo la sostituzione delle truppe fasciste con le truppe di Franco nella zona di Guadalajara, Virginio Gayda scriveva un lungo editoriale di prima pagina nel "Popolo d' Italia " , nel quale si sforzava di minimizzare quanto era avvenuto. E nonostante la censura e le difficoltà di comunicazione il messaggio era arrivato chiara­ mente pure in Italia: Guadalaj ara aveva dimostrato che Mussolini non aveva sempre ragione . A riprova di ciò c ' è il fatto che lo stesso duce si sentì in dovere di intervenire sull'argomento ancora settimane dopo: con un editoriale non firmato nel "Popolo d 'Italia " il 7 giugno , intitolato Guadalajara, dichiarava che in realtà la battaglia si era conclusa con una sostanziale vittoria italiana. Certamente, e questa fu una polemica che ebbe diversi strascichi durante tutto il conflitto, una parte della sconfitta fascista si poteva spie­ gare con il poco impegno di supporto dimostrato dai franchisti. Comunque, non spiegava tutto: pesarono, e molto , la sottovalutazione del nemico e l 'incapacità di leggere in maniera corretta il complesso della situazione dei militari franchisti . Le conseguenze di Guadalaj ara furono limitate da un punto di vista militare ( di fatto, così come la battaglia del arama, aveva spostato poco o nulla e consolidava l 'idea che Madrid sarebbe caduta soltanto alla fine del conflitto) , però importantissime da un punto di vista politico . Era la vittoria dell'antifascismo, italiano e internazionale, la dimostrazione della scarsa convinzione ideologica dei volontari fascisti italiani , quell"' Oggi in Spagna, domani in Italia " , coniato dai fratelli Rosselli, fatto realtà. D'altro canto , Guadalaj ara cambiò per sempre le modalità dell 'in-

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tervento fascista in Spagna. Seppure un Mussolini furioso continuasse a cercare occasioni per lavare l'onta e ristabilire il prestigio politico e mili­ tare fascista, il civ perdeva autonomia. Il fascismo italiano non sarebbe stato più il deus ex machina, l'elemento risolutivo del conflitto spagnolo, ma una delle forze che, pur mantenendo una grande importanza militare, avrebbe seguito gli ordini del generale Franco. 2 .4

La guerra nel Nord Il generale Mola, responsabile per l'esercito franchista dell'offensiva su quella parte del Nord della penisola che ancora rimaneva nelle mani della Repubblica - una parte dei Paesi Baschi (soprattutto la provincia di Bilbao), l'attuale Cantabria e parte delle Asturie -, era stato parco di parole ma chiaro, poco prima dell'inizio dell'attacco, alla fine di marzo del 1937: 19 • Nella frase del director técnico della ribellione, ci sono almeno due elementi importanti, che saranno decisivi per spiegare le caratteristiche di quella campagna militare. Il primo e più evidente è la volontà dichiarata di uti­ lizzare qualsiasi mezzo per sottomettere quelle che verranno poi definite le "province ribelli" . I Paesi Baschi tradizionalmente cattolici e storica­ mente carlisti, avevano deciso di stare dalla parte della Repubblica perché questa aveva garantito loro uno spazio d'autogoverno. Per i ribelli di Mola e di Franco, il cosiddetto separatismo basco - così come il cata­ lano - doveva essere semplicemente stroncato. Il secondo fa riferimento alle industrie di guerra. Euskadi e le Asturie per le caratteristiche della loro struttura industriale - erano da sempre il bacino metallurgico più importante della Spagna - costituivano praticamente gli unici distretti in cui era possibile mettere in piedi un'industria di guerra efficiente in poco tempo. Il riferimento di Mola in questo senso è più che eloquente. Il punto non era soltanto poter disporre di quel patrimonio industriale - di fatto le forniture tedesche e italiane erano copiose e arrivavano con regolarità -, ma soprattutto evitare che potesse essere messo a frutto dai repubblicani, come già avevano ordinato di fare i governi basco e cen­ trale e stava effettivamente avvenendo. D'altro canto, al di là delle parole di Mola, la conquista di tutte le province basche - a Vitoria i ribelli ave­ vano vinto sin dall'inizio e San Sebastian era caduta a settembre 19 . Preston, La guerra civil espanola, cit., p. 185.

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d'Euskadi e della costa cantabra fino alle Asturie voleva dire riuscire a controllare porti importanti e isolare una parte significativa della fron­ tiera repubblicana con la Francia. Infine, nella volontà di chiudere presto e bene la partita nel Nord, vi era una questione di prestigio personale da parte di Mola. Nella primavera del 1937 Franco aveva già compiuto passi significativi nell'ottica del consolidamento della sua leadership. Si sarebbe rafforzata ancor di più nell'aprile, quando Franco riuscì a far fondere in un solo movimento Falange e Requetés. Detto questo, la stessa logica che aveva portato a una prima concentrazione di poteri nelle mani del generale galiziano, e che trovava la sua più importante giustificazione nelle vittorie militari dell'autunno del 1936, valeva anche per Mola: in altre parole, le poche possibilità che aveva ancora per con­ tendere a Franco le posizioni di potere più importanti, o evitare la con­ centrazione assoluta di poteri nelle mani di quest'ultimo, dipendevano dalla brillantezza e dall'autorevolezza con le quali avrebbe condotto l'offensiva. Alla fine del marzo 1937, le unità di Mola attaccarono a Villareal. L'o­ biettivo era Bilbao, via Ochandiano. Si trattava di una massa di quasi 50 .000 soldati, in buona parte requetés navarri. Benché il primo movi­ mento dell'offensiva fosse stato rapido e relativamente ben riuscito, l'avanzata non fu certo facile. La resistenza dei repubblicani, nonostante le divergenze fra Aguirre e il generale Llano de la Encomienda, fu solida e robusta. Le difficoltà del terreno- le rocce, le colline boscose e l'arre­ tratezza delle vie di comunicazione - e soprattutto l'abile utilizzazione dei meccanismi di difesa, tra cui le mine anticarro, rallentarono e di molto i tempi previsti e ad aprile inoltrato i chilometri fatti erano ben pochi (si calcola circa 700 metri al giorno)20 e il numero di soldati franchisti morti in combattimento sempre più alto. In realtà, era ben nota la cura con la quale durante tutti gli ultimi mesi del 1936 e i primi del 1937 il governo basco si era dedicato a forti­ ficare il terreno e a mettere in piedi il sistema di difesa della capitale. Il cosiddetto cintur6n de hierro di Bilbao era stato magnificato dalla stampa repubblicana come un sistema di difesa moderno e pressoché inespu­ gnabile. E già dalla fine del 1936, in previsione di un lungo e difficile assedio, il governo basco aveva ordinato lo sfollamento del maggior numero di bambini, imbarcati verso la Gran Bretagna e soprattutto l'Unione Sovietica. M. Tufi6n de Lara, G. Cardona, J. L. Alcofar, La Guerra en el Norte. J.\f.arzo-dici­ embre I937: Guernica} Bilbao} Brunete} Santander} Asturias} Teruel, Historia 16, Madrid 199 6 (fa parte di La guerra militar, vol. 3 ) . 20.

2.

DUE ESERCITI, M OLTI FROK TI

Le difficoltà di avanzare via terra portarono i franchisti ad alzare il livello dello scontro o, meglio, a compiere una di quelle mutazioni nella maniera di condurre la guerra, che poi si sarebbe consolidata nel tempo: se era difficoltoso avanzare via terra perché la resistenza era ben orga­ nizzata e i sistemi di difesa ben progettati, bisognava fare un salto di qua­ lità e impiegare l'aviazione in dosi massicce. Non che non fosse già stata utilizzata: durante l'assedio di Madrid, i bombardamenti sulla città erano stati continui. E pure nella prima fase dell'offensiva del Nord i bombar­ damenti erano stati frequenti. In questo caso, però, si trattava di ampliare il raggio d'azione, da un punto di vista sia geografico sia qualitativo. L'a­ viazione doveva servire non solo ad accompagnare l'azione delle truppe di terra, ma direttamente a terrorizzare la popolazione e a rompere qual­ siasi volontà di resistenza. L'esigenza franchista si sposava perfettamente con il desiderio del colonnello Wolfram von Richtofen, capo di Stato maggiore della Legione Condor - che partecipava all'offensiva dall'ae­ rodromo di Vitoria-, di provare le tecniche del bombardamento in pic­ chiata e del bombardamento di saturazione, entrambe poi incorporate alle tecniche della guerra lampo, la Blitzkrieg, utilizzate durante la Seconda guerra mondiale. La conseguenza di queste considerazioni finì per dare sostanza all'e­ pisodio probabilmente più tristemente famoso di tutta la guerra civile spagnola. Dopo una lunga riunione fra il generale Mola e von Richtofen, nella notte del 25 aprile, il piano era stato stabilito. Poco dopo l'ora di pranzo del giorno successivo, giornata di mercato, gli aerei tedeschi (affiancati anche da apparecchi italiani) cominciarono la sistematica distruzione del piccolo paese basco di Guernica (3.700 abitanti), del quale rimasero in piedi poco più di quattro rovine incendiate, provocando mol­ tissime vittime tra morti e feriti. Guernica era stata scelta per due ragioni fondamentali, fra di loro legate. In primo luogo era la città sacra per i baschi, perché la famosa quercia situata davanti alla Casa de Juntas della città era - ed è ancora oggi - simbolo delle loro libertà. Il lendakhari - il presidente del governo basco - Aguirre, proprio davanti all'albero sacro di Guernica, aveva pro­ nunciato il suo giuramento quando si era insediato, nell'ottobre del 1936. In secondo luogo, in quel frangente difficile per le truppe franchiste era fondamentale piegare il morale della resistenza. La scelta dell'obiettivo e la violenza degli attacchi dovevano produrre questo risultato. Di fatto, con Guernica venivano invertite le priorità nel condurre la guerra: era più importante distruggere un piccolo paese dall'alto valore simbolico e terrorizzare la popolazione che attaccare, per esempio, una fabbrica d'armi o una trincea nemica. 99

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Lo shock repubblicano, come è logico, fu immenso. Così come il dolore e lo sgomento. La notizia si diffuse subito, grazie anche al lavoro dei corrispondenti stranieri. Come nota Paul Preston, in molti contesti raccontare fedelmente una notizia come quella di Guernica non era affatto facile21 Soprattutto in una Gran Bretagna o in una Francia dove la scelta dei governi per il non intervento aveva bisogno praticamente ogni giorno di essere giustificata davanti all'opinione pubblica. George Steer, corrispondente del "Times" , fu uno dei primi ad arri­ vare a Guernica e scrisse un lungo e circostanziato servizio, che venne pubblicato il 28 aprile, non prima che Geoffrey Dawson, il direttore, non l'avesse ripassato più volte cercando di depurarne gli aspetti più crudi, quelli che sicuramente avrebbero messo in difficoltà il governo tedesco. Il risultato è un servizio asettico, ma sostanzialmente una ricostruzione fedele dei fatti. E proprio per questo dirompente. Si parla degli aerei, della quantità di bombe sganciate, soprattutto del fatto che i caccia 2 Non c'era spazio per le ambiguità. Guernica era stato un atto di terrore e violenza che aveva semplicemente cambiato il concetto stesso di guerra, generando la capa­ cità di immaginare una catastrofe dai contorni nuovi e più luttuosi. Molte delle ragioni che avevano spinto i giornali moderati a caldeggiare la stra­ tegia del non intervento erano legate alla pericolosità dei repubblicani e soprattutto al violento anticlericalismo che aveva accompagnato la fase rivoluzionaria del'estate. Ora, questi stessi giornali si trovavano a pub­ blicare - come accadde ancora al "Times" , pochi giorni dopo - testimo­ nianze come quelle del padre Alberto Onaindfa, religioso e rappresen­ tante ufficioso del governo di Aguirre a Londra, che giunto a Guernica il pomeriggio del 26 e avendo raccontato al giornale la paura, le grida, l'orrore di quelle ore, proseguiva: (Resistere è vin­ cere ! ), in fondo, era una buona traduzione di questa filosofia. E fu sulla base di tutto questo che all'inizio dell'estate 1938 venne progettata la grande offensiva dell'Ebro36 • Mentre Franco attaccava senza successo Valenza, Negrin e Rojo ordinavano di concentrare più di 90 .000 uomini e 80 batterie di artiglieria leggera lungo il fiume Ebro, fra Mequinenza e Cherta, su una linea di un'ottantina di chilometri. Fu creato un vero e proprio nuovo corpo d'armata, il Corpo d'armata dell'Ebro, agli ordini di Juan Modesto, formato dai corpi d'armata v, XII e xv, agli ordini, rispet­ tivamente, di Lister, Etelvino Vega e Tagiiefia. Si trattava di uno sforzo eccezionale - vennero chiamati alle armi tutti gli uomini tra i 17 (la cosiddetta leva del biberon) e i 40 anni -, anche se bisogna ricordare che le misure per la riorganizzazione dell'esercito e la creazione delle scuole militari dall'inizio del 1937 avevano cominciato a dare i loro risultati: i soldati repubblicani non erano più gli inesperti miliziani, ma truppe relativamente ben addestrate. Il piano di Rojo era ancora una volta ambizioso: l'idea centrale dell'of­ fensiva era riuscire ad attraversare in più punti il fiume e penetrare in territorio nemico da Gandesa in direzione di Alcafiiz, Saragozza e Tor­ tosa. Le condizioni del terreno presupponevano una preparazione impor­ tante e anche una quantità di materiali e di competenza di un certo livello: bisognava costruire ponti perché mezzi e uomini potessero attraversare il fiume (i carri lo avrebbero dovuto fare dopo la costruzione-lampo di un ponte di ferro all'altezza di Gandesa), disporre di chiatte e di barche. L'operazione cominciò la notte del 25 luglio 1938, quando i repubbli­ cani attraversarono il fiume in contemporanea in una ventina di punti diversi. Tagiiefia e le sue truppe lo passarono a nord, mentre Lister e le sue a sud, nella zona di Flix, Mora la Nova, Benisanet e Miravet. La

36. La letteratura sulla grande battaglia della guerra civile spagnola è molto vasta. Qui si ricordi il classico di Martinez Bande, La Batalla del Ebro, cit., e i più recenti E. Romero Garcia, La Batalla del Ebro, Laertes, Barcelona 200 1 , e J. M. Reverte, La Batalla del Ebro, Critica, Barcelona 2003 . Cfr., inoltre, G. Cardona, J. C. Losada Aunque me tires el puente: memoria oral de la batalla del Ebro, Aguilar, Madrid 2004. 116

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manovra iniziale fu un successo e ancora una volta l'effetto-sorpresa fun­ zionò: fino al pomeriggio del giorno dopo, il Corpo d'armata marocchino, agli ordini del colonnello generale franchista Yagiie, neanche si rese conto del movimento repubblicano. La sera del 26 luglio i franchisti reagirono, ma il vantaggio repubblicano era già consistente. Dopo una settimana di duri combattimenti, spesso corpo a corpo, l'Esercito popolare aveva con­ quistato 800 km 2 di territorio. Nel settore di Mora la Nueva le truppe di Yagiie batterono in ritirata per evitare di rimanere accerchiate. Le truppe di Lfster in pochi giorni avanzarono per più di 40 chilometri e vennero riconquistati dai repubblicani diversi paesi, come Flix, Asco, Campo­ sines, Pinell, la Fatarella, alcuni di essi ben lontani dal fiume. La velocità della manovra iniziale però aveva implicato un prezzo alto da pagare: la maggior parte del materiale pesante era difficile da tra­ sportare velocemente e, per esempio, i carri armati sovietici T26 non riu­ scirono a passare dall'altra parte del fiume fino a quando non fu ultimato un precario ponte di ferro. In quel momento la reazione franchista era già in marcia e le truppe di Yagiie erano riuscite a far scavare trincee che resero estremamente difficoltoso il passaggio. Anche l'acqua fu usata come arma: i franchisti, con un sistema di dighe a monte, provocarono portate artificiali del fiume che distrussero i ponti repubblicani e resero le manovre di trasporto estremamente difficili. Franco, con un certo ritardo, si rese conto del rischio che correva e decise di operare come sempre. Sospese l'offensiva su Valenza e il Levante e concentrò truppe provenienti da quelle zone, a cui aggiunse anche le divisioni che in quel momento erano nel resto del territorio aragonese. Proprio in quel momento, poco prima che i rinforzi mandati da Franco arrivassero, i repubblicani avevano avuto forse l'unica occasione di vincere sul serio, perché le truppe di Yagiie, da sole, potevano soltanto limitarsi a resistere. Invece, le truppe dell'Esercito popolare non riusci­ rono a consolidare le loro posizioni. Nei primi giorni d'agosto erano ancora inchiodate alle porte di Gandesa e di Villalba dels Arcs e l'arrivo dei rinforzi franchisti ne segnò drammaticamente le sorti. Anche qui, occorre fare una piccola digressione in merito alla con­ cezione strategica di Franco, che inevitabilmente si traduceva nella sua concezione politica. Con l'arrivo dei rinforzi, cominciava una seconda fase della battaglia, nella quale la superiorità di uomini e mezzi per i fran­ chisti era assoluta. In questa situazione, Franco avrebbe potuto osare e pianificare come minimo due grandi controffensive: una che rompesse il fronte del Segre per arrivare direttamente a Barcellona; e l'altra più a sud, verso Valenza. Arrivato al fronte il 2 agosto però decise di scartare sia la prima sia la seconda ipotesi, per concentrarsi invece a recuperare 117

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tutto il territorio che i repubblicani avevano conquistato in quei primi giorni della battaglia. In questo modo, non solo allungava il conflitto, ma condannava le sue truppe a una lunga e sfiancante guerra di trincea. Le motivazioni che lo portarono a questa scelta sono da un lato di tipo stret­ tamente militare, perché Franco era cosciente che lungo l'Ebro stavano combattendo le migliori unità repubblicane ed era necessario dunque mantenerle impegnate; dall'altro, però, vi erano considerazioni di altro tipo, relative alla volontà di annientare il poco morale repubblicano, sia nel fronte che nelle retrovie, e di riservare alla Catalogna un'offensiva specifica, che fosse una vera e propria marcia trionfale d'occupazione. Il risultato di questa decisione di Franco, e della capacità di resistenza dei repubblicani che fu, ancora una volta, estremamente alta - con molti e impressionanti episodi di eroismo-, fu una battaglia che si protrasse per 1 1 5 giorni, fino al 1 6 novembre 1 9 3 8 , dopo sei offensive dei franchisti e il recupero di tutto il territorio perduto. Il bilancio globale dei morti e dei feriti fu semplicemente spaventoso- 30.000 morti e 100 .000 feriti -, ma l'impatto sull'esercito repubblicano fu veramente devastante: 20 .000 morti, 5 0 . 0 0 0 fra feriti e prigionieri, nonché la perdita del grosso del materiale bellico più importante. Con queste cifre, sarebbe stato praticamente impossibile non solo pensare a una ripresa repubblicana, ma resistere in condizioni accetta­ bili, soprattutto nell'ottica della prossima, data per certa ormai da tutti, campagna della Catalogna. E questo, nonostante lo sforzo per i repub­ blicani fosse stato quasi sovrumano, non si dovette a ragioni strettamente militari. Anche se l'offensiva non era andata come avrebbe dovuto andare, uno degli obiettivi fondamentali di tutta la campagna - impedire un attacco franchista su Valenza - era stato raggiunto. E anche la ritirata, era stata significativamente diversa da quella, per esempio, dell'Aragona. Fu ordinata e programmata, proprio perché non scaturiva da una scon­ fitta militare chiara, ma da un disastro politico di ingenti dimensioni. Fu infatti sull'altro fronte sul quale combattevano i repubblicani - come lo ha chiamato con sagacia Helen Graham37 -, quello diplomatico e internazionale, che si consumò una sconfitta senza appello. Alla fine di settembre del 193 8 , la Gran Bretagna e la Francia avevano firmato il patto di Monaco, che di fatto aveva dato via libera alle pretese di Hitler sulla Cecoslovacchia. Firmando l'accordo che poneva fine all'indipendenza cecoslovacca, le democrazie occidentali annientavano anche la Repubblica spagnola. Se Francia e Gran Bretagna sceglievano l'appeasement, la stra­ tegia di resistenza che aveva portato allo stesso concepimento della bat37. Graham, La Republica espanola en guerra, cit., pp. 343 ss.

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taglia dell'Ebro - e che era il grande pilastro della politica di guerra di Negrin- ne usciva distrutta, senza nessuna possibilità di efficacia. D'altro canto, la riconfigurazione delle relazioni internazionali stabilita a Monaco avrebbe depotenziato anche l'impegno in Spagna dell'Unione Sovietica e avrebbe portato quest'ultima a innescare il processo che portò alla firma del patto Molotov-van Ribbentrop l'anno dopo. La Repubblica prostrata, dissanguata e affamata, ora era davvero sola. 2.7

L'offensiva sulla Catalogna Una volta che i franchisti arrivarono al mare, a Vinar6s, nell'aprile 1938, e si concluse quello sforzo immane e lunghissimo che era stato per la Repubblica la battaglia dell'Ebro, era chiaro che la guerra volgeva al suo termine e che lo scenario finale, almeno da un punto di vista militare, sarebbe stata la Catalogna. In realtà, già dopo la velocissima e cruenta avanzata dall'Aragona verso il mare e il contemporaneo arrivo delle truppe franchiste sul Segre e nella città di Lérida, più di un militare e di un com­ mentatore aveva suggerito la possibilità di farla finita allora, puntando dritti su Barcellona. Franco aveva scartato l'ipotesi, non solo per una questione strettamente militare - sarebbe stato difficile mantenere la capacità di progressione delle sue truppe in una retrovia, come quella catalana, che concentrava uomini e mezzi e che era, di fatto, il cuore pul­ sante di ciò che rimaneva della Repubblica-, ma anche e soprattutto per ragioni politiche. Franco sapeva - e anche Negrin lo sapeva, altrimenti non si spieghe­ rebbe la stessa battaglia dell'Ebro - che la realtà del dopoguerra sarebbe stata fatta della necessità di assicurarsi un controllo ferreo sul territorio. Ancor più nel caso del territorio catalano, la zona più repubblicana della Repubblica. Repubblicana e, nella terminologia franchista, separatista. Culla di quell'autonomismo che i ribelli avevano giudicato così perico­ loso da essere una delle ragioni fondamentali della necessità di scatenare la guerra. Il centralismo era una delle componenti dello stesso DNA della destra spagnola e dell'esercito. Senza ricordare precedenti più lontani, basti tenere presente la campagna che le destre avevano scatenato nel 1932, in occasione della discussione parlamentare sullo statuto d'auto­ nomia della Catalogna3 8 • Pur con differenze, nei modi e nei termini, tutta 38. T. Abello i Giiell, El Debat estatutari de I932, Generalitat de Catalunya, Barcelona 2007.

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la destra spagnola, anche quella più moderata, aveva gridato senza mezzi termini che lo Statuto era la rottura definitiva della sacra unità della patria e i catalani erano stati dipinti come poco meno che demoni. Durante la guerra, evidentemente, l'avversione dei ribelli per la Cata­ logna era aumentata: non tanto o non solo per il crescente protagonismo che aveva avuto la Generalitat - anche se, com'è stato ricordato, con gli scontri del maggio 1937 e l'arrivo di Negrin alla presidenza del governo si era assistito a un processo di centralizzazione politica nell'ottica dello sforzo bellico -, ma perché, con Madrid assediata e la zona di Valenza sotto minaccia, la Catalogna era la grande riserva repubblicana: politica, militare, diplomatica, addirittura demografica, visto che molti cittadini delle zone conquistate da Franco nel corso della guerra si erano rifugiati in territorio catalano. Barcellona poi era dall'autunno del 1937 la capitale di tutti e tre i governi legittimi ancora in piedi: quello basco rifugiato dopo il disastro del Nord, quello della Generalitat catalana, ovviamente, e quello cen­ trale, presieduto da Negrin. L'offensiva sulla Catalogna dunque, nella mente del futuro dittatore, doveva essere rapida, ma soprattutto imponente e meticolosa, studiata per conquistare, sottomettere e reprimere. Un assaggio di quello che sarebbe stata già lo si era avuto con l'occupazione nell'aprile di tutta la zona occidentale, dal Pallars Jussà fino al delta dell'Ebro, passando per Lérida. Appena entrate le truppe di Franco, era stato derogato lo statuto d'autonomia, come fosse un chiaro avvertimento di quello che sarebbe successo una volta che le truppe dell'esercito d'occupazione (come, giu­ stamente, si autodefinì) fossero entrate nel resto del territorio catalano. E gli episodi di violenza sulla popolazione erano stati spaventosi, al punto che lo stesso Franco dovette intervenire inviando, 1'11 aprile, un comunicato agli Stati maggiori delle unità che erano penetrate in terri­ torio catalano nel quale tentava di placare la spietatezza degli occupanti promettendo una feroce politica antiseparatista dopo la guerra e chie­ dendo però che nel frattempo si moderassero gli eccessi. Come nel pic­ colo paese di Santa Llinya nella zona della Noguera, dove erano entrate la 61 a e 62a Divisione franchista fra il 6 e il 7 aprile 1938 . Come ha notato Queralt Solé, il paese aveva accolto l'arrivo delle truppe franchiste con una certa tranquillità: non si trattava di un centro importante, né fra i suoi abitanti c'erano personaggi di rilievo politico o militare39 • I militari però convocarono al municipio una ventina di paesani, che arrestarono

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39 . Q. Solé i Barjau, Catalunya I939. L'ultima derrata, Ara Llibres, Barcelona 20.

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e mantennero rinchiusi in una prigione improvvisata. Di nove di essi non si è saputo più nulla, fino a oggi. Probabilmente furono assassinati e sepolti in qualche luogo intorno al paese. Le accuse rivolte ai detenuti, normalmente formulate grazie alle delazioni di altri compaesani - per paura, per convinzione o forse per invidie o dissapori-, cominciavano a consolidare quella mostruosità giuridica sulla quale si sarebbe fondato tutto il meccanismo repressivo franchista: "aiuto alla ribellione". Il che significava, in maniera perversa, sovvertire l'ordine della successione dei fatti in merito all'inizio della guerra: in linea di diritto, ribelli erano stati Franco e i suoi generali, che avevano perpetrato un golpe ai danni di uno stato legalmente costituito. La storia di Santa Llinya è la storia di molti altri paesi della prima Catalogna occupata e fu ancora più grave nel caso di luoghi in cui, soprat­ tutto nei primi mesi dopo il golpe, l'attività rivoluzionaria era stata più pronunciata. Questo era dunque il panorama alla fine del 193 8 , quando l'esercito franchista si apprestava a cominciare la sua ultima, grande offensiva. Due settimane dopo la fine della battaglia dell'Ebro, l'Esercito di manovra franchista si era schierato lungo le frontiere occidentali naturali catalane delimitate dai fiumi Segre ed Ebro. Le forze su cui poteva con­ tare per l'attacco erano imponenti: un totale di 280.000 uomini, 300 carri armati, più di 500 aerei (con nuovi modelli sia della Legione Condor che dell'aviazione fascista italiana, e nuovi piloti, molti di essi spagnoli) e più di 1.000 pezzi d'artiglieria40 • Si trattava di sei corpi d'armata. Sul Segre c'erano il Corpo d'Urge! (da poco creato), agli ordini di Mufioz Grande, il Corpo del Maestrazgo (Garcia Valifio), e quello d'Aragona (Moscard6). Nella zona in cui confluivano il Segre e l'Ebro, le forze fasciste italiane ( 5 5 .000 uomini, agli ordini di Gambara) e il Corpo di Navarra (Solchaga). Sull'Ebro, invece, c'erano le forze del Corpo marocchino di Yagiie. I repubblicani erano coscienti dell'inevitabilità della minaccia sulla Catalogna ed erano coscienti pure del fatto che sarebbe stato veramente il punto di svolta definitivo della guerra. Per questo motivo, e nell'ottica, tutta negrinista, della resistenza a oltranza, che implicava offensive di distrazione per distogliere truppe franchiste dal fronte principale, il 6 dicembre era stato approvato dallo Stato maggiore repubblicano un nuovo piano d'attacco. I repubblicani avrebbero dovuto attaccare in due punti: a Motril, in Andalusia - con l'appoggio della flotta - e nella zona del Centro, con l'obiettivo di tagliare le linee di comunicazione nemiche con l'Estremadura. I dissensi interni allo Stato maggiore repubblicano 40 .

Beevor, La guerra civil espanola, cit., p. 561. 1 21

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però erano destinati a paralizzare tutta la manovra: l'attacco su Motril, previsto per il 12 dicembre, venne bloccato dal diniego del generale Miaja e quello orientato all'Estremadura, alla fine, cominciò soltanto il 5 gen­ naio, quando le truppe franchiste erano entrate in Catalogna. I dissensi interni allo Stato maggiore, però, ne rivelavano altri ancora più profondi nell'ambito politico. La politica di resistenza di Negrfn era sempre più isolata, soprattutto nel suo stesso partito. Soltanto i comunisti - e per questo Negrfn fu accusato dallo stesso presidente Azaria di essere, in definitiva, un agente dell'Unione Sovietica41 - davano il loro appoggio senza riserve all'ipotesi di resistenza a oltranza. La situazione degli arma­ menti poi, di riflesso alla situazione generale della guerra e a quella diplo­ matica, non era certo favorevole alla Repubblica. Negrfn aveva chiesto a Stalin, a novembre, la più grande fornitura di armamento che fosse stata mai ordinata (2. 150 pezzi d'artiglieria, 120 cannoni antiaerei, 400.000 fucili, 10.000 mitragliatrici, 260 caccia, 1 50 bombardieri, fra le molte altre cose). Il credito per l'acquisto ( 103 milioni di dollari) e la fornitura furono concessi, ma quasi tutte le armi rimasero alla frontiera francese fino al 15 gennaio, quando era già stata compromessa qualsiasi possibilità di resistenza. Così, a fronteggiare l'attacco franchista, che cominciò il 23 dicembre - con 13 giorni di ritardo sulle previsioni, dato il maltempo e la necessità di Franco di poter contare sulla copertura aerea -, si trovò una parte del Gruppo d'eserciti della regione orientale (GERo) . Si trattava di 9 0 . 000 uomini, con solo 2 5 0 pezzi d'artiglieria (più della metà inservibili), 40 carri armati e 60 blindati, dei quali pochi erano in condizione di funzio­ nare. Le condizioni strettamente militari, dunque, erano disperate. A esse si aggiungevano, come già ricordato, le malferme condizioni politiche, il boicottaggio diplomatico al quale era sottoposta la Repubblica e le disa­ strose condizioni del morale. Per ciò che riguarda quest'ultimo punto, vale la pena ricordare che il grosso delle unità che parteciparono alla difesa della Catalogna era costituito da truppe che venivano dall'Ebro e almeno all'inizio dell'offensiva, seppur decimate e stremate, la loro qua­ lità e il loro morale erano ancora in grado di reggere una resistenza. Un discorso a parte deve esser fatto per la popolazione civile. Se è vero che la Catalogna continuò a essere bastione repubblicano fino alla fine e che l'esperienza brutale della guerra in casa l'avrebbe sperimentata (meno evidentemente la zona di Lérida, già occupata nella primavera del 19 3 8 ) soltanto a partire da quel fatidico dicembre, è pur vero che l'attacco arrivava in un momento in cui da più di due anni la Catalogna aveva vis­ suto tutte le calamità di una retroguardia di una guerra contemporanea. 41. A. Saborit, Julidn Besteiro, Losada, Buenos Aires 19 67, p. 42 1 .

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Gli attacchi aerei dei fascisti italiani a scopo di terrore dalle Baleari erano stati continui. Il blocco dei porti e la distruzione di questi ultimi- bom­ bardati dall'aviazione legionaria - avevano generato difficoltà grandis­ sime nell'approvvigionamento. E la vera e propria valanga di rifugiati che nel corso dei mesi era giunta in Catalogna scappando dall'orrore della repressione franchista aveva reso le già scarse risorse ancora più insufficienti. I racconti dei rifugiati e le informazioni che venivano dalle zone occupate in aprile, poi, non aiutavano certo ad alzare il morale delle popolazioni catalane. La fame, la fame più nera, la stanchezza della guerra, la paura della repressione, la consapevolezza che quasi tutto ormai fosse perduto: questo l'amalgama di sentimenti prevalenti nelle strade e nelle case delle città e dei paesi catalani, alla vigilia dell'offensiva franchista. Tutto ciò spiega anche perché i timori dello Stato maggiore franchista in merito alla possibilità che si ripetesse a Barcellona quanto era successo a Madrid fossero sostanzialmente infondati. Fra l'epopea del novembre 1936 e il freddo inverno del 1938-39, sembrano esserci non due anni, ma una distanza di anni luce. Non solo per tutto quello che era successo da un punto di vista militare, politico, diplomatico, ma anche e soprattutto per come veniva percepita la guerra dai politici, dagli ufficiali, dai sol­ dati, dagli osservatori e soprattutto dai cittadini. L'attacco cominciò, come detto, il 23 dicembre dalle teste di ponte di Ser6s e di Tremp. Da Ser6s attaccarono il Corpo d'armata Navarro e i fascisti italiani di Gambara con l'obiettivo di arrivare a Valls e Montblanc e la copertura degli aerei della Legione Condor, riuscendo a penetrare per più di 15 chilometri in una sola giornata. Il giorno dopo arrivarono a Mayals, ma il giorno di Natale furono bloccati dalla resistenza dei Corpi d'armata v e xv dei repubblicani. A Tremp, invece, attaccò il Corpo d'ar­ mata di Urgel, che si trovò davanti la 26a Divisione repubblicana, l'antica colonna Durruti. Qui la resistenza fu più dura e infatti, dopo cinque giorni, i franchisti furono obbligati ad attaccare più a sud, a Balaguer, concentrando molte truppe e un formidabile schieramento d'artiglieria e di carri armati. Come ha sottolineato Beevor, il giorno decisivo della campagna fu il 3 gennaio42 • In quella data il Corpo d'armata della Navarra tagliò la strada per Borges Blanques e le truppe di Yagiie riuscirono a passare l'Ebro e a stabilirsi ad Asc6. Contemporaneamente, più a nord, sul Segre i corpi d'armata di Urgel e del Maestrazgo fecero progressi decisivi. Il 6 le truppe di Solchaga entrarono a Vinaixa, mentre i legionari fascisti italiani e il Corpo d'armata d'Arag6n entrano a Mollerussa. 42.

Beevor, La guerra civil espaiiola, cit., p. 563 . 1 23

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A partire da quella data, l'avanzata delle diverse unità franchiste e del CTV fu pressoché incontenibile e si passò a una seconda fase dell'of­ fensiva, cominciata con un bombardamento massiccio sul Montsant. Il 12 i franchisti arrivarono a Montblanc e il 1 5 entrarono a Tarragona. Proprio il giorno dell'arrivo a Tarragona, Franco pronunciò un discorso famoso, nel quale, dopo aver esaltato tutte le vittorie del suo esercito, così si rivolgeva ai catalani: 43 . Bisogna riflettere sull'impatto di questo discorso, anche e soprattutto alla luce di quello che è stato detto in merito alla percezione che della guerra aveva in quel momento la popolazione civile. La promessa di magnanimità fatta dal futuro dittatore (non sareb­ bero stati toccati né i soldati chiamati a leva, né i militanti repubblicani che non avessero partecipato a fatti di sangue) fu una trappola micidiale per migliaia di persone. Nonostante, come è stato detto, le informazioni di quanto avveniva nei territori occupati da Franco circolassero, la stan­ chezza della guerra fece che molti credessero alle promesse fatte e si ritro­ vassero invece nel girone infernale delle corti marziali, delle prigioni, dei campi di concentramento, nel peggiore dei casi nelle fosse comuni. Sin­ daci, semplici militanti, maestri di scuola, donne prese al posto dei loro mariti fuggiaschi, vittime della delazione di quanti credettero giusto, utile o prudente essere estremamente zelanti con i nuovi poteri. Tarragona dista da Barcellona poco più di un centinaio di chilometri. Il passo per arrivare al cuore, all'obiettivo centrale, a quello che avrebbe davvero chiuso la partita militare, era davvero breve. Fra l'altro, a diffe­ renza di quanto era avvenuto con Bilbao, la capitale catalana non dispo­ neva di fortificazioni di una certa entità che la proteggessero. Ma a quel punto, anche se fossero esistite fortificazioni, la situazione della Repubblica era davvero disperata. Negrfn ordinò la mobilitazione generale di tutti i cittadini, uomini e donne, dai 17 ai 5 5 anni di età. Il 18 gennaio, dopo una riunione del Consiglio dei ministri alla quale parte­ cipò anche il presidente catalano Companys, venne dichiarato lo stato di guerra, cosa che fino a quel momento il governo repubblicano si era ben guardato dal fare, perché in linea di diritto il conflitto era solo il risultato di una ribellione interna, del tradimento di un gruppo di generali, e la legittimità politica era e rimaneva nelle mani della Repubblica. Nono­ stante possa sembrare assurdo, vista la situazione, questa dichiarazione,

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alla quale Negrin diede un consenso che gli risultò doloroso e che arri­ vava più di due anni dopo inizio delle ostilità, era un messaggio preciso: tutto era perduto e ora si trattava solo di escogitare meccanismi per met­ tere in salvo il maggior numero di persone. Di fatto, neanche si prese in considerazione un dispositivo di difesa propriamente detto per la città di Barcellona. Nonostante gli appelli alla resistenza, in città soltanto i giovani della JSU si dichiararono disposti a resistere. Quando, il 22 gennaio, Rojo comunicò a Negrin che il nemico era arrivato all'altezza di Solsona, Olesa, Garraf e Manresa - da più parti, ma comunque da località a meno di 50 chilometri dalla città -, questi ordinò che tutti gli uffici governativi fossero spostati più a nord, a Girona e a Figueres, poco prima della frontiera francese. Nel frattempo l'attacco concentrico sulla città vedeva le truppe di Solchaga e Yagiie sul Llobregat, il fiume che fa da frontiera naturale meridionale alla città, dove le truppe repubblicane riuscirono a guadagnare tempo distruggendo i ponti; Mufioz Grandes e Garcia Valifio a ovest all'altezza di Sabadell e Terrassa e il civ di Gambara sfiorava la città ma proseguiva verso nord. Barcellona fu occupata il 26 gennaio 1939. Si dispone di varie testi­ monianze dei giorni immediatamente precedenti a quella data. Una di esse, probabilmente quella più famosa, è quella del generale Rojo, che osservò che Barcellona 48 ore prima della caduta era >. In realtà, quanto avvenuto a Santander significò una decisa "appropriazione" della guerra da parte del discorso ufficiale. Praticamente per la prima volta dall'inizio del conflitto, poi, si dava grande spazio agli artefici militari di quella vittoria, con nomi e • cognomi: Nel fare la cronaca e commentare la travolgente, vittoriosa avanzata che ha por­ tato alla capitolazione e alla occupazione di Santander, non possono essere dimenticati in quest'ora fulgida i nomi di valorosissimi generali italiani, parecchi dei quali sono cari a coloro che hanno combattuto nella guerra d'Etiopia. Citiamo i generali Bastico, Roatta e Berti, l'ispettore delle camicie nere generale Teruzzi e i comandanti delle colonne che spezzarono la ferrea resistenza dei rossi, gene­ rali Frusci, Piazzoni, Bergonzoli e Francisci, uomini, tutti, di alto valore, di sicura dottrina, di vasta esperienza guerriera, ma soprattutto trascinatori di uomini, vale a dire condottieri nel senso italiano e fascista della parola. Con loro dob­ biamo ricordare i generali Biscaccianti, Velardi e Manca e il generale Favagrossa, capo dell'intendenza57 •

Seguivano dettagliate biografie di tutti gli alti ufficiali citati e si menzio­ navano esplicitamente le unità che avevano partecipato all'offensiva. Si era passati dunque dal richiamo indistinto ai volontari e alle truppe legio­ narie a una ben precisa presentazione al pubblico (e quindi, anche indi­ rettamente alle autorità che avrebbero dovuto impedire l'intervento stra­ niero) dei protagonisti individuali e collettivi. E nel rivendicare i caduti si eliminava definitivamente l'ambiguità. La guerra di Spagna era una guerra fascista a tutti gli effetti, che solo avevano fino a quel momento impedito di riven­ dicare come tale: Ricordate i Volontari morti nei primi mesi del conflitto in terra di Spagna? Per varie considerazioni un'ombra di mistero Li awolse anche nei nomi; oggi non più; da quando più fitte le schiere travolsero con nove colonne concentriche le formidabili difese di Malaga, da quando a Guadalajara scrissero una pagina di 57. "La Stampa Sera", 28 agosto 1937, p.

1.

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valore che solo circostanze fortuite impedirono di tramutare nella più folgorante vittoria, da quando a Bermeo e contro il "cinturone di ferro" di Bilbao infransero a un tempo i baluardi rossi e le ignobili menzogne dei complici, i sacri nomi sfa­ villarono nella luce dell'eroismo. [ . . . ] Morti per l'Italia come quelli della Grande Guerra, come quelli della Rivoluzione fascista, come quelli dell'Impresa Etiopica; la continuità eroica, oltre che nel marmo è nelle opere, è nella storia. Un'Italia assente dai campi di battaglia della Spagna dove il bolscevismo aiutato dalla social­ massoneria aveva puntato la sua carta per minacciare il Mediterraneo e, abolendo i Pirenei, per prendere alle spalle la granitica barriera dell'asse Roma-Berlino, sarebbe stata inconcepibile; ma non poteva nemmeno durare una finzione umi­ liante. Nella rivendicazione dei Caduti è l'esaltazione dei Volontari combattenti per l'Idea, è la coscienza di un grandioso dovere che il Fascismo ha compiuto e compie verso la civiltà, verso la Spagna, verso se stesso. Il Popolo italiano con­ segna i suoi Morti ali'amico Popolo di Spagna che nella lotta e nel sacrificio si tempra per la sicura rinascita; custoditi nella Terra che vollero salvaguardata dalla barbarie dei bestemmiatori di Dio e della Patria, Essi costituiscono il pegno più certo di una fraternità, di un'amicizia, di un'alleanza che non potranno subire i vacillamenti di basse manovre politiche. Il dono del sangue non conosce calcoli; l'Italia Fascista e la nuova Spagna segnano nel culto dei Morti accomunati dal sacrificio e dalla gloria il patto eterno di solidale fedeltà58 •

Senza dubbio, però, l'apice del coinvolgimento della stampa italiana nella costruzione e nella diffusione del discorso del regime sulla guerra si veri­ ficò durante l'ultima fase del conflitto, e, nello specifico, durante la cam­ pagna della Catalogna, alla quale parteciparono non solo militari italiani in unità miste (le cosiddette Frecce), ma anche la Divisione regolare Lit­ torio, oltre che, evidentemente, l'Aviazione legionaria con base a Maiorca. Anche qui, bisogna ricordare che la volontà di glorificazione delle virtù militari del regime ebbe la meglio sulla prudenza informativa: alla fine di dicembre 1938, quando cominciò l'offensiva, il Comitato di non intervento aveva decretato e ottenuto almeno formalmente il rimpatrio di tutti i com­ battenti stranieri. E nonostante fossero rimasti combattenti internazionali anche tra le file repubblicane, l'esodo massiccio dei volontari antifascisti internazionali era stato celebrato anche dalla stampa italiana come un passo verso la fine dell'internazionalizzazione del conflitto. Eppure, non solo i combattenti di Mussolini erano rimasti in Spagna, ma la carta stampata nostrana non smise affatto di farsi eco delle loro gesta, come dimostra la pubblicazione periodica, in tutti i quotidiani importanti, dell'elenco nomi­ nativo degli . 58. Ibid. 222

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GCERRA DI CARTA

Se si prende come esempio il più importante quotidiano italiano, il "Corriere della Sera", la copertura delle azioni legionarie in Catalogna dimostra una ben precisa linea editoriale, con una coerenza interna di una certa solidità e uno spiegamento di uomini e mezzi del tutto rimar­ chevole. Un elemento che può servire a contestualizzare ulteriormente questa affermazione, in questo senso, è rappresentato dal fatto che nell'ar­ chivio del quotidiano italiano di maggior diffusione e prestigio non sono state trovate veline in merito a come bisognasse informare sulla cam­ pagna. Questo si dovette senz'altro all'alta fascistizzazione della redazione in quel momento (sono state controllate tutte le schede personali dei cor­ rispondenti mandati in Catalogna e tutti erano, alla fine del 1938, rego­ larmente iscritti al PNF) , ma probabilmente anche a ragioni più profonde, che in qualche modo si collegano a un approccio strettamente ideologico del regime rispetto al conflitto e che dava completezza a quanto nei mesi precedenti era stato forse solo accennato: la retorica sulla tecnologia, la modernità e la guerra era, nei fatti, uno degli elementi fondamentali della stessa sostanza ideologica del fascismo. E proprio per questo la si rite­ neva capace di parlare non solo ai propagandisti del regime o ai già con­ vinti, ma anche a settori molto più ampi della popolazione. Da questo punto di vista, il quotidiano di via Solferino fece seguire questa fase del conflitto a corrispondenti prestigiosi. I più importanti furono Renzo Segala, giornalista e intellettuale di spicco che aveva già pubblicato uno di quei libri che oggi si chiamerebbero paperbacks, dal titolo estremamente significativo: Trincee di Spagna, con i legionari alla difesa della civiltà59 , Virgilio Lilli, poi fondatore, nel 1945 del "Giornale della Sera", e Mario Massai. Quest'ultimo fu probabilmente uno dei primi casi della storia di giornalista aggregato alla truppa. Massai, giornalista­ pilota, si spostava sui diversi fronti con il suo piccolo aereo e spesso seguiva gli aerei legionari nelle loro missioni. La sua testimonianza sulla guerra in Catalogna è particolarmente interessante, perché si tratta allo stesso tempo di un intellettuale avventuriero (morì nel 1940 proprio durante un volo), legato al mondo dell'aeronautica militare. In questo quadro, dal 23 dicembre 1938 e fino all'arrivo delle truppe fasciste e franchiste alla frontiera francese nel febbraio 1939 , sul "Corriere della Sera" vennero pubblicate lunghe cronache ogni giorno, praticamente sempre in prima pagina e con titoli a grandi caratteri. Erano quasi sempre accompagnate da varie testimonianze grafiche (spesso da foto aeree) e da mappe che illustravano l'avanzata delle truppe. Si moltiplicò rispetto ai

1938 .

59 . R. Segala, Trincee di Spagna. Con i legionari a difesa della libertà, Treves, Milano

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mesi precedenti il numero degli articoli di tutti i tipi dedicati alla guerra di Spagna, in qualche modo in controtendenza rispetto a quanto stava avvenendo nel resto della stampa internazionale, dove già dalla primavera del 1938 gli avvenimenti spagnoli avevano decisamente perso spazio. Il quotidiano di via Solferino invece pubblicava ogni giorno cronache strettamente militari, articoli su retroscena politici di quello che veniva chiamato in modo sprezzante il "governo rosso". E volgeva lo sguardo anche sulle reazioni diplomatiche risultanti dalla campagna militare, mentre pubblicava lunghi resoconti dalle città e dai paesi "liberati". Il "Corriere della Sera", insomma, costruì una narrazione complessa e arti­ colata sull'ultima tappa della guerra spagnola. Multidimensionale e suc­ cessiva, nel senso che si configurava come una specie di romanzo d'av­ ventura a puntate (con certi parallelismi con l'immediatezza della stampa sportiva, come se le località occupate fossero partite vinte in un ipotetico campionato) costruito per invitare il lettore a seguirne giorno dopo giorno gli sviluppi. Il punto culminante di questa narrazione fu rappresentato dalla caduta di Barcellona, il 26 gennaio 1939 , evento al quale venne dato • uno spazio enorme. Nella trama di questo racconto, l'azione dell'aviazione sembra occu­ pare un ruolo speciale, che in qualche modo rappresentava la massima espressione del significato ideologico dell'intervento fascista in Spagna. I piloti dell'aviazione legionaria erano protagonisti, eroi impavidi, che coniugavano l'ardore guerriero, l'indifferenza per il pericolo, il gusto per l'azione e le moderne competenze per comandare macchine velocissime, perfette e micidiali. Come fossero una specie di sublimazione dell'uomo nuovo fascista. Scriveva per esempio Mario Massai il 24 gennaio, due giorni prima dell'occupazione di Barcellona: Violenta è stata l'azione aerea legionaria sulle direttrici delle colonne del Corpo Truppe volontarie. Infatti la formazione degli " Sparvieri" e delle "Cicogne " da bombardamento rapido hanno continuato per tutta la giornata a tempestare i rossi tanto sulla grande rotabile da lgualada a Barcellona, a nord di Esparra­ guera, quanto sulla strada e sulla ferrovia secondaria che da lgualada per Pobla de Claramunt va a Martorell. Le "Linci " da ricognizione hanno svolto un'attività fortissima e gruppi legionari da caccia hanno montato buona guardia sul fronte di battaglia, non permettendo agli aerei rossi la più breve puntata. Impressio­ nante un attacco a bassa quota con spezzonamento copioso e preciso da parte delle "Cicogne " d'assalto di alcune batterie nemiche postate a cavallo della grande rotabile di Barcellona per Esparraguera 60 •

60. "Corriere della Sera " , 24 gennaio 1939. 2 24

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Dettagli, alcuni anche tecnici ("spezzonamento"), nomi in gergo di modelli aerei, nomi di località catalane dati per conosciuti dai lettori. Insomma, un episodio di un racconto più lungo, che presuppone un certo grado di coinvolgimento da parte di chi legge. Lo stesso Massai, in un altro articolo apparso in prima pagina il 10 febbraio dal significativo titolo Gli eroici aviatori legionari, avrebbe riven­ dicato così la specificità e l'importanza della guerra aerea per il fascismo e il suo dittatore: Non si deve dimenticare che la funzione base dell'Armata aerea - di questa forza cui la lungimiranza di Mussolini ha dato indipendenza e grandioso sviluppo - è un'altra, insostituibile e tremenda, giacché il cielo è aperto, le velocità si fanno ogni giorno più alte e di conseguenza le distanze scompaiono, le possibilità di carico d'esplosivo sono forti e si può raggiungere, colpire e distruggere ogni gan­ glio vitale del nemico, ogni centro di produzione e di comunicazione: è la guerra ai mezzi che possono alimentare la resistenza dell'avversario, anche volendo escludere - se è possibile escluderla, in un grave conflitto - 1' azione implacabile sulla stessa massa dei civili come previde il Douhet, tenendo conto che ormai sono le intere nazioni impegnate nella lotta e non soltanto le tradizionali Forze Armate61 •

In definitiva, il discorso fascista sulla guerra di Spagna, con tutti i suoi cambiamenti nel corso del conflitto, che indicano una maturazione e un'intensità ideologica crescente, sembra superare un'indistinta retorica di potenza, per costituire uno strumento che, in qualche modo, contri­ buisce all'autodefinizione del fascismo stesso. L'azione dei militari fascisti in Spagna sembra essere in qualche modo una delle manifestazioni del fascismo vivente, con tutta la sua retorica della velocità, della tecnologia, del coraggio e del sangue. Quasi un ritorno a quelle origini del fascismo modernissimo degli inizi, quel figlio pericoloso del fascino del progresso partorito dalla Prima guerra mondiale.

61.

M. Massai, Gli eroici aviatori legionari, in "Corriere della Sera", 10 febbraio 1939, p. 1. 225

Epilogo La caduta di Madrid, l'esilio , la repressione e la costruzione della dittatura

Quando nel febbraio 1939 le truppe di Franco arrivarono alla frontiera catalano-francese, da un punto di vista militare la guerra era di fatto ter­ minata. Lo era anche da un punto di vista diplomatico: dopo Monaco e nonostante l'estremo tentativo compiuto con la battaglia dell'Ebro, ancor prima della vera e propria conquista della Catalogna, le sorti della Repub­ blica erano segnate. Senza dubbio, però, quasi un trenta per cento del territorio dello Stato spagnolo era ancora nelle mani della Repubblica, e, soprattutto, nonostante le sterminate code di rifugiati che tentavano di arrivare con tutti i mezzi possibili (nella maggior parte dei casi, a piedi) alla frontiera francese, la maggior parte dei combattenti e dei civili repubblicani si tro­ vava ancora nella penisola. L'ultima riunione delle Cortes repubblicane si celebrò nel castello di Figueres il 6 febbraio 1939, nell'Empordà catalano, a pochi chilometri dalla Francia. In quella sede lo scontro era stato durissimo: ancora una volta Negrin insisteva sull'opportunità della resistenza a oltranza. Ora più che mai, era il ragionamento del presidente, la guerra europea era vicina e in quella circostanza sarebbe stato possibile forzare un intervento di Francia e Gran Bretagna al fianco della Repubblica. In realtà, almeno per quello che riguardava la classe politica repubblicana, Negrin era disperatamente solo. Nello stesso giorno dell'ultima riunione del parla­ mento (alla quale, per altro, aveva assistito meno della metà dei deputati) , il presidente Azafia annunciava che sarebbe andato in esilio, rendendo palese quella convinzione dell'inevitabilità della sconfitta che covava già da molto tempo. Gli successe Martinez Barrio, presidente del parlamento; anch'egli pochi giorni dopo avrebbe scelto la via dell'esilio. Negrin pure attraversò la frontiera ai primi di febbraio, ma il 9 dello stesso mese tornò in aereo ad Alicante per organizzare la resistenza, dopo aver nominato il generale Miaja responsabile delle forze militari del Centro. La frattura politica però si era consumata senza possibile ricompo227

LA Gt.:ERRA CIVILE SPAGNOLA

sizione. Soltanto il PCE era disposto a seguire Negrfn nel suo tentativo di resistenza. Il resto delle forze del Fronte popolare, anarchici compresi (che in questo si fecero trasportare anche da un certo risentimento nei confronti dei comunisti) era convinto della necessità di cercare una pace e un accordo con Franco prima che fosse troppo tardi. Ancor più pro­ blematico per Negrfn era il fatto che anche i militari rimasti fedeli alla Repubblica (e che nel corso della guerra si erano avvicinati al PCE) comin­ ciavano a considerare l'ipotesi come plausibile, convinti del fatto che, in definitiva, deposte le ostilità, sarebbe stata possibile una resa onorevole con i loro antichi compagni d'armi. In realtà, vi erano degli elementi molto chiari per pensare il contrario. Se poteva essere considerata velleitaria la posizione di Negrfn e del PCE (anche perché proprio nel febbraio Francia e Gran Bretagna avevano riconosciuto il governo di Franco), probabilmente lo era ancor di più quella di tutti quegli attori, politici e militari, che credettero che Franco avesse qualche interesse a negoziare. Non solo per come era andata la guerra e per la scelta chiara a favore di una strategia di conquista e occu­ pazione. Ma soprattutto perché proprio il 9 febbraio 1939 Franco aveva promulgato la Ley de Responsabilidades Politicas1 , che sarebbe stata uno dei pilastri dell'azione repressiva dei vincitori e al contempo la manife­ stazione evidente del significato attribuito dai militari ribelli alla guerra che avevano appena vinto. La norma è un vero e proprio stravolgimento di qualsiasi concezione del moderno Stato di diritto. Basta leggere l'inizio del preambolo: Pr6xima la total liberaci6n de Espaii.a, el Gobierno, consciente de los deberes que le incumben respecto a la reconstrucci6n espiritual y materia! de nuestra Patria, considera llegado el momento de dictar una Ley de Responsabilidades Politicas, que sirva para liquidar las culpas de este orden contraidas por quienes contribuyeron con actos u omisiones graves a forjar la subversi6n roja, a mante­ nerla viva durante mas de dos aii.os y a entorpecer el triunfo, providencial e his­ t6ricamente ineludible, del Movimiento Nacional, que traduzca en efectividades; practicas las responsabilidades civiles de las personas culpables y que, por ultimo, permita que los espaii.oles que en haz apretado han salvado nuestro pais y nuestra civilizaci6n y aquéllos otros que borren sus yerros pasados mediante el cumpli­ miento de sanciones justas y la firme voluntad de no volver a extraviarse, puedan convivir dentro de una Espaii.a grande2 •

Ley de Responsabilidades Politicas de 9 de febrero de I939. 2. «Quando si awicina la liberazione totale della Spagna, il Governo, cosciente dei doveri di ricostruzione spirituale e materiale della nostra Patria, considera che sia giunto il momento di promulgare una Legge delle Responsabilità Politiche che serva a liquidare 1.

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EPILOGO

Prima di tutto si parlava di sovversione rossa. Insomma, non erano stati i militari a ribellarsi, ma i rossi (in definitiva i partiti e i movimenti del Fronte popolare) a infrangere l'ordine delle cose. Poi si parlava del trionfo del cosiddetto Movimento nazionale. Si trattava dunque della scomunica definitiva per l'esperienza repubblicana. La scomunica, si diceva, della Storia. In questo quadro, la Repubblica costituiva una parentesi, una deviazione del corso naturale degli avvenimenti, che l'esercito di Franco aveva dovuto ripristinare. L'articolato, in questo senso, era ancora più preciso, nel momento in cui, all'art. 1 definiva il concetto di responsabilità politica: Se declara la responsabilidad politica de las personas, tanto juridicas corno fisicas, que desde primero de octubre de mil novecientos treinta y cuatro y antes de die­ ciocho de julio de mil novecientos treinta y seis, contribuyeron a crear o a agravar la subversi6n de todo orden de que se hizo victima a Espafia y de aquellas otras que, a partir de la segunda de dichas fechas, se hayan opuesto o se opongan al Movimiento Nacional con actos concretos o con pasividad grave3 •

Si stabiliva quindi un principio di retroattività che, nel momento in cui rompeva ogni logica giuridica, rappresentava la narrazione franchista di ciò che erano stati gli anni repubblicani e la guerra. E, nelle ultime sei parole di questo primo articolo, si dichiarava a chiare lettere quale sarebbe stato l'atteggiamento delle nuove autorità: non solo erano pas­ sibili di repressione tutti quelli che avevano collaborato con i repubbli­ cani, ma anche tutti quelli che avevano manifestato una , o, in altre parole, quelli che non avevano accettato con entusiasmo l'arrivo delle truppe di occupazione franchiste. La norma, poi, stabiliva tre altri principi, estremamente gravidi di conseguenze: in primo luogo, con una lunga lista, si mettevano fuori legge tutte le organizzazioni del Fronte popolare; in secondo luogo, si stabilivano oltre alle pene anche sanzioni amministrative estendibili ai parenti degli imputati nel caso in le colpe di tutti coloro i quali hanno contribuito con atti od omissioni gravi alla sower­ sione rossa, a mantenerla viva durante più di due anni e a ostacolare il trionfo, prowiden­ ziale e storicamente ineluttabile del Movimiento nacional, che traduca in atti concreti la responsabilità civile delle persone colpevoli e che, infine, permetta a tutti coloro i quali hanno serrato le fila e salvato il nostro paese e la nostra civiltà e a tutti coloro i quali can­ cellino gli errori passati scontando le giuste sanzioni e manifestino la ferma volontà di non errare di nuovo, possano convivere in una grande Spagna» (trad. nostra). 3. «Si dichiarano responsabili le persone, fisiche o giuridiche, che dal 1° ottobre 1934 e prima del 18 luglio 1936 hanno contribuito a creare o ad aggravare la sowersione della quale la Spagna fu vittima; e quelle che, a partire dalla seconda data si siano opposte o si oppongano al Movimiento Nacional con atti concreti o grave passività» (trad. nostra). 229

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cui questi non fassero stati reperibili e infine si stabiliva che i tribunali che avrebbero applicato la norma sarebbero stati formati da militari, magistrati, ma anche membri della Falange FET-JONS, tutti nominati dal governo. Il resto della legge è un dettagliato elenco dell'orrore che stava per abbattersi sulla nuova Spagna: erano passibili di essere giudicati in base alla nuova norma giudici, maestri, quadri politici, sindacali e delle istituzioni locali o centrali, in forma retroattiva, anche e soprattutto per attività che nel momento in cui erano state svolte erano perfettamente legali. Si stabilivano anche i meccanismi con i quali si sarebbe arrivati alle denunce e alle condanne, nei quali avrebbero giocato un ruolo deci­ sivo le delazioni. Si trattava dunque della proposizione di un vero e proprio sistema repressivo integrale, volto a stabilire un orizzonte sociale e civile fondato sull'emarginazione di tutti quelli che avevano avuto a che fare con le isti­ tuzioni e le organizzazioni repubblicane. Alla repressione in virtù della nuova legge, si sarebbe affiancata la generalizzazione di quella esercitata dai tribunali militari (che imponevano le pene capitali) e da successive legislazioni speciali (come quella contro la massoneria e il comunismo)4 • In definitiva, nel febbraio 1939 era molto chiaro che il progetto di Franco era pretendere e ottenere la resa incondizionata dei repubblicani e stabilire una dittatura che non lasciasse alcuna possibilità di scampo per chi era stato dall'altra parte delle barricate. Addirittura, il nuovo dit­ tatore diceva a chiare lettere che non vi sarebbe stato posto neanche per chi non aveva avuto la voglia o il coraggio di schierarsi con entusiasmo dalla sua parte delle barricate. Nella confusione delle ultime settimane invece vi fu chi pensò che un compromesso fosse ancora possibile e che, in definitiva, se era vera la propaganda franchista sul fatto che si era trattato di una guerra contro il bolscevismo internazionale, la messa in minoranza dei comunisti (spa­ gnoli o internazionali) avrebbe fornito le condizioni per un accordo. Furono probabilmente queste due considerazioni, l'emarginazione dei comunisti e la possibilità di una soluzione "fra militari", unite al pro­ fondo disgusto per la volontà manifestata da vari ministri di Negrin di andare in esilio, che spinsero il colonnello Segismundo Casado, coman­ dante dell'esercito del Centro e in quel momento sostituto di Miaja (che proprio in quei giorni era stato convocato dal presidente) a mettere in atto un colpo di Stato a Madrid contro il governo di Negrin, il 4 marzo

4. Ley 1 de marzo de 1. 940 (B.O.E. n . 12. 667) para la Represi6n del Comunismo y la Masoneria.

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EPILOGO

1939 5 • Casado era un militare ali'antica. Di Valladolid, figlio a sua volta di un militare, era entrato in Accademia a quindici anni. Massone, durante la Repubblica era stato il responsabile del corpo di sicurezza del presi­ dente della Repubblica. Dichiaratosi leale nell'estate del 1936, durante la guerra aveva partecipato alla difesa di Madrid, si era occupato della formazione delle Brigadas mixtas dell'Esercito popolare e aveva parte­ cipato alle battaglie del Jarama e di Brunete. Non aveva mai dimostrato particolare simpatia per il PCE e fino alla fase finale della guerra aveva mantenuto relazioni più o meno amichevoli con diversi militari di Burgos. I suoi alleati politici nell'impresa disperata che stava portando a termine furono fondamentalmente gli anarchici della capitale (il dirigente più importante dei quali era il "generale" anarchico Cipriano Mera 6 ) e una parte del PSOE, soprattutto i settori più moderati legati a J ulian Besteiro. Casado creò una Junta de defensa nella capitale e questa pubblicò un manifesto nel quale si stigmatizzavano duramente la scelta di Negrin a favore della resistenza (ritenendola soltanto un modo per prolungare uno strazio ormai inutile) e soprattutto la volontà di molti dei collabora­ tori del presidente del governo di abbandonare il paese. La notizia del golpe di Casado rappresentò una specie di terremoto nella già assai pre­ caria situazione del governo repubblicano. Mentre il 6 marzo, ali'alba, gli effettivi della nuova Junta arrestavano i comunisti della capitale e i dirigenti del PCE abbandonavano in fretta e furia il paese ( dalla Francia, il 7 resero pubblico un documento che attaccava frontalmente Casado), nel resto del territorio leale si verificavano contrapposizioni durissime. A Madrid, dal 10 si verificarono scontri armati, che cessarono solo quando le truppe di Mera riuscirono a prevalere e il grosso dei leali a Negrin, agli ordini del comandante Luis Barcel6, fu arrestato e fatto fucilare. Ma la decomposizione dell'autorità repubblicana fu più generale. Il comandante della zona di Valenza, José Aranguren, non volle cedere il comando al comunista e negrinista Lfster e, alla base navale di Cartagena, le forze leali al presidente, agli ordini del militare comunista Galan, dovet­ tero faticare molto per mantenere il controllo del porto. In quel caso si era verificata una circostanza che dava la misura della confusione della drammaticità del momento: quando i sostenitori di Casado si erano ribel-

5. Il racconto di quella vicenda fatto dal suo principale protagonista si può trovare in S. Casado, Asi cay6 Madrid. Ultimo episodio de la guerra civil espanola, Guadiana, Madrid 1968 . 6. Anche Mera ha raccontato l'episodio nelle sue memorie: C. Mera, La rivoluzione armata in Spagna: memorie di un anarcosindacalista, La fiaccola, Ragusa 1978.

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lati, si erano ritrovati accanto, a sparare contro le forze di Galan, anche i falangisti locali. In ogni caso, chiusa la partita a Madrid a favore di Casado, si sarebbe dovuti passare alla nuova fase. Mentre Negrin abbandonava il paese, Casado tentava la carta del negoziato con Burgos. Ed otteneva la risposta che era prevedibile: resa incondizionata. A quel punto, con le notizie che volavano più veloci della luce, i soldati repubblicani o si arresero, o cer­ carono disperatamente di tornare alle loro case, o si misero in cammino a piedi verso la Francia. Alcuni si rifugiarono nelle montagne, da dove cominciarono una lotta guerrigliera che durò fino all'inizio degli anni Cinquanta. Per Franco, ciò che restava del territorio repubblicano sarebbe stato un'immensa pianura nella quale avanzare senza praticamente trovare resistenza. Il 26 marzo ebbe inizio l'ultima offensiva e il 27 i franchisti entrarono in una Madrid terrorizzata e ferita dagli ultimi scontri. Da lì, l'esercito franchista cominciava una rapidissima avanzata verso est e il 31 marzo tutto il territorio repubblicano era nelle mani dei ribelli. Nel frattempo, chi non era riuscito ad arrivare alla frontiera francese si precipitava verso il porto di Alicante, sperando di poter salire su qualche nave straniera. Furono pochissimi quelli che ci riuscirono. Alcuni preferirono il suicidio piuttosto che cadere nelle mani dei falan­ gisti e dei soldati marocchini di Franco. Tutti gli altri furono arrestati e fatti prigionieri. Il 1 ° aprile Franco rendeva pubblico l'ormai famoso comunicato: Cautivo y desarmado . . . , che si chiudeva con le parole 7 • In realtà, se a quel punto era senz'altro vero che sarebbe finita la con­ trapposizione armata fra due eserciti, così come la si era conosciuta dall'estate del 1936, questo non avrebbe significato affatto che i franchisti ponessero fine alle ostilità. La guerra, in forme diverse, contro i repub­ blicani e contro tutto quello che aveva significato quel contraddittorio esperimento democratico, continuò dentro le frontiere del nuovo Stato. La maggior parte di chi aveva sostenuto la Repubblica e aveva com­ battuto lo sapeva bene e per questo scelse la via dell'esilio. La sorte degli oltre 400 .000 spagnoli che riuscirono ad arrivare in Francia non fu certo facile. Come ha scritto Javier Cercas nel suo romanzo Soldati di Salamina, 7. Parte o/icial de guerra, del cuartel generai del Generalisimo, correspondiente al dia

de hoy, primero de abril, de mil novecientos treinta y nueve, tercer aiio triun/al: En el dia de hoy, cautivo y desarmado el Ejército Rojo, han alcanzado las tropas nacionales sus ultimos objetivos militares. La guerra, ha terminado. Burgos, 1° abril I939, afio de la victoria, del Generalisimo Franco. 23 2

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EPILOGO

caratterizzando il suo protagonista Miralles, un anonimo soldato repub­ blicano, chi varcava la frontiera aveva la consapevolezza che da quel momento in poi si trovava senza rete. Cittadino di uno Stato che non esi­ steva più. La risposta delle autorità francesi fu stentata, con venature di ostilità. I rifugiati spagnoli vennero stipati in campi di concentramento costruiti in fretta e furia sulle spiagge del Sud francese, dove conobbero (o, nella maggior parte dei casi, ri-conobbero) il freddo, la fame, la rabbia e spesso la morte. Recintati con il filo spinato, i campi di Saint-Cyprien, Le Boulou, Le Barcarès, Argelès-sur-Mer (solo per citarne alcuni) erano sorvegliati giorno e notte dalla gendarmeria e da soldati senegalesi. Alcuni riuscirono a fuggire da quello che hanno definito l'inferno di sabbia8 • Pressato da una crescente campagna della destra francese (il giornale "Candide" si lamentava pubblicamente che il governo francese dovesse alimentare i rifugiati, ma "Action Française", "Le Petit Parisien", "La Dépeche du Midi", "La Croix" o addirittura "Le Figaro" non erano da meno), il governo di Edouard Daladier, che di per sé era molto riluttante nell'accogliere i repubblicani spagnoli, considerati pericolosi comunisti, tentò di risolvere il problema in modo relativamente rapido. Una volta separati donne, bambini e anziani, mandati nei diversi dipartimenti del paese, ai politici e ai soldati repubblicani vennero offerte quattro possi­ bilità: emigrare in altri paesi; entrare a far parte dei battaglioni di lavo­ ratori organizzati dal governo francese (alla fine si decisero per questa alternativa circa 60 .000 rifugiati); arruolarsi nella legione straniera (furono circa 6 . 000) oppure tornare in Spagna. Inutile dire che quest'ultima fu l'alternativa più caldeggiata dalle autorità francesi. A maggio vennero riaperte le frontiere e Franco fece pubblico un comunicato nel quale invitava i rifugiati a fare ritorno in patria dicendo che non avrebbero avuto nulla da temere tutti coloro i quali avessero un . Come ha fatto notare Beevor, quel che non diceva era che sareb­ bero stati i tribunali militari a decidere se il loro passato fosse stato suf­ ficientemente 9 • Alla fine del 1939 , 300 . 000 spagnoli avevano scelto l'esilio permanente. Di questi, soltanto una piccola parte riuscì ad arrivare in America Latina o in altri paesi del mondo. La nazione che si dimostrò più generosa nell'ac­ coglienza fu la repubblica messicana di Lazaro Cardenas, fervente soste­ nitore della Repubblica spagnola, che non riconobbe mai il governo fran8. Una testimonianza importante della vita nei campi francesi è raccolta nel libro J. Rubi6 i Cabeceran, Camp de/initiu. Diari d'un exiliat al Barcarès, ed. E. Barbe i Pou, Cossetània, Barcelona 2010. 9. Beevor, La guerra civil espaiiola, cit., p. 638.

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chista. Nella seconda metà del xx secolo, i quasi 2 0 . 0 0 0 spagnoli in Messico (molti dei quali erano dirigenti, quadri, intellettuali) diedero un apporto fondamentale alla vita culturale del paese. Ma molti rifugiati arrivarono, a seconda della disponibilità dei governi, anche in Argentina, in Cile, a Cuba, in Colombia. Quello americano fu in certo modo un esilio più prestigioso, nel senso che gli organismi di aiuto ai rifugiati (il Servicio de evacuacion de refugiados espafi.oles, negrinista, creato a feb­ braio e la Junta de auxilio a los refugiados espafi.oles, creata a luglio, socialista e anticomunista) ebbero come priorità il mettere in salvo diri­ genti, quadri politici, militari e sindacali, intellettuali, soprattutto verso le destinazioni più sicure come il Messico. Di fatto, anche all'interno dell'esilio repubblicano americano vi furono gerarchie e i meno fortunati finirono nella Repubblica Dominicana del dittatore Trujillo. Casi a parte, poi, furono quello dei baschi, che riuscirono ad aprire un canale con gli Stati Uniti, e quello dei dirigenti e quadri del PCE, che fondamentalmente andarono in URSS (circa 2 . 00 0 persone). Pochi, pochissimi invece, riusci­ rono ad arrivare e stabilirsi in Gran Bretagna. La parte più numerosa di quelli che avevano scelto di non tornare rimase in Francia e di lì a poco sarebbe precipitata nella voragine della Seconda guerra mondiale. Molti sarebbero finiti nei campi di concentra­ mento nazisti (soprattutto a Mauthausen, ma anche a Ravensbriick)10 Alcuni, come il presidente catalano Lluis Companys, il dirigente anar­ chico Peir6 o il mite socialista Julian Zugagoitia, furono arrestati dalla Gestapo nella Francia occupata e consegnati a Franco, che li fece fuci­ lare. Molti, poi, avrebbero combattuto con gli alleati durante tutta la Seconda guerra mondiale. Non bisogna dimenticare che i primi carri armati che entrarono nella Parigi liberata nel 1944 si chiamavano Gua­ dalajara, Brunete, Ebro, Teruel. E che i repubblicani spagnoli furono presenti accanto agli alleati in Nord Africa, in Eritrea, in Palestina, in Alsazia. Si trattava di uomini che avevano lottato quasi dieci anni in armi contro il fascismo e il nazismo. In ogni caso, chi era riuscito a espatriare era stato più fortunato di chi non era potuto arrivare alla frontiera, o di quei più di centomila che, ingannati dalle dichiarazioni di Franco sulla "clemenza" del nuovo regime, avevano deciso di tornare in Spagna. I primi anni della dittatura furono caratterizzati da una repressione sanguinaria. Lo stesso Ciano, dopo la sua visita in Spagna nell'estate del 1939, parla di una media di 200 fuci•

B. Bermejo, S. Checa, Libro memoria!. Espaiioles deportados a los campos nazis (I940-I945), Marcia! Pons, Madrid 2006. 10.

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!azioni al giorno a Madrid, 150 a Barcellona e 80 a Siviglia ll. Alla fine del 1940, più di 270.000 persone affollavano le carceri. I tribunali militari diedero prova di saper esercitare quella che oggi si chiamerebbe giustizia­ lampo. Se non fosse per la prima parte di quest'espressione, la parola "giustizia". Già si è fatto cenno allo stravolgimento de iure di qualsiasi logica giuridica propria di uno Stato di diritto. Nella prassi, questo ele­ mento era ancora più evidente. Giudizi con difensori d'ufficio, anch'essi militari, che duravano soltanto pochi minuti, che si concludevano molto spesso con la pena di morte. E dentro, fuori, tutt'intorno, un'immensa prigione, com'è stato scritto in un libro collettivo pubblicato all'inizio del passato decennio12 Prigione reale, con le sbarre e la violenza. Prigione dei campi di concentramento e dei battaglioni di lavoratori, che furono mano d'opera a costo zero per il regime ( 20 . 000 prigionieri lavorarono alla costruzione della Valle dei Caduti, il gigantesco mausoleo fatto eri­ gere da Franco, e nel quale poi fu seppellito) e per le imprese amiche del regime, che proprio in quegli anni fecero fortune miliardarie. Prigione anche fuori però: cancellazione di tutti i diritti civili, politici e sociali che si erano finalmente consolidati con la Repubblica. Né libertà politica, né sindacale. Organizzare uno sciopero era penalizzato con la prigione. Né, ovviamente, rispetto per le diversità interne: le lingue catalana, basca e galiziana furono oggetto di una repressione spietata. Non è questa la sede per portare a termine una dettagliata discus­ sione sulla natura del regime di Franco. Bisogna dire però che dopo i primi anni di uno scimmiottato totalitarismo, nei quali la Falange sognò di fare quella rivoluzione che tanto ammirava nei regimi italiano e tedesco, ben presto il franchismo si mostrò per quello che era al di là di tutto. Una dittatura spietata e reazionaria, appoggiata dalle oligarchie, dalla Chiesa e dall'esercito. La somma di interessi di classe senza scrupoli e una con­ cezione del mondo che non aveva voluto conoscere né l'Illuminismo, né tutto il pensiero che aveva portato la democrazia, la libertà e i tentativi d'uguaglianza in Europa e nel mondo. Il franchismo non conobbe mai quella preoccupazione di voler essere regime di massa che avevano avuto il fascismo italiano e il nazismo tedesco. Era regime perché aveva vinto una guerra. Per questo non ebbe mai alcun interesse a voler rimarginare le ferite del passato, nonostante la retorica sul regime come portatore di pace. Mantenne la divisione fra vincitori e vinti non solo attraverso la repressione politica, che fu una costante fino alle elezioni del 1977, •

Citato in Preston, La guerra civil, cit., p. 209 . 12. Cfr. R. Vinyes, El universo penintenciario durante el/ranquismo, in Molinero, Sala, Sobrequés (eds.), Una inmensa prisi6n, cit., pp. 155-76. 11.

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(anche se in forme diverse, che si adattarono alle nuove forme di un'op­ posizione che non riuscì a riorganizzarsi fino agli anni Sessanta), ma anche attraverso un sistema economico e sociale che si può definire chiaramente antipopolare. In questo senso, gli anni Quaranta furono soprattutto anni di miseria e di fame. La Spagna fu praticamente l'unico paese europeo che nel corso di quel decennio vide un controesodo dalle città alle campagne e la dimi­ nuzione della statura media della popolazione a causa della malnutri­ zione1 3. La combinazione di politiche economiche autarchiche (motivate in parte dalla difficile situazione di alleato delle potenze dell'Asse, in parte dal predominio del falangismo) e della volontà di ripristinare i pri­ vilegi messi in discussione dal breve esperimento democratico degli anni Trenta diede come risultato una vera e propria repressione economica ai danni di quelle classi popolari che erano state la base sociale della repubblica. Vinti, terrorizzati, repressi e affamati. Questo furono molti, moltissimi spagnoli nei primi anni di un franchismo impegnato dopo il 1945 a disfarsi del pesante fardello delle passate alleanze pericolose e a rendersi indispensabile nei nuovi scenari della guerra fredda. Lo sdoga­ namento del regime a livello internazionale fu difficile all'inizio (tra il 1946 e il 1952 la Spagna fu, almeno formalmente, oggetto di una politica d'emarginazione da parte delle Nazioni Unite), ma già all'inizio degli anni Cinquanta gli equilibri erano cambiati. Mentre i pochi guerriglieri repubblicani (i maquis) venivano lasciati soli e implacabilmente combat­ tuti dalle guardie civili e i cittadini continuavano a vivere tra il raziona­ mento e una florida e spietata borsa nera, il regime nel 1950 riceveva i primi aiuti dagli Stati Uniti, nel 1952 entrava all'UNESCO e firmava il Con­ cordato con il Vaticano, nel 1953 siglava un accordo bilaterale con gli Stati Uniti e nel 1955 era ammesso all'oNu. Franco aveva vinto la guerra con l'aiuto dell'Italia fascista e della Germania nazista. I suoi alleati erano stati spazzati via, ma il franchismo, invece, era destinato a restare. E restò per più di altri vent'anni, adattandosi ai tempi, ma mante­ nendo sempre l'idea che i vinti dovessero restare tali, dal punto di vista della repressione politica, economica, culturale. Senza dubbio negli anni Sessanta l'apparizione del Tribunale d'ordine pubblico, che sostituì in buona parte i tribunali militari (che continuarono però a funzionare) sembrò far intravedere un rilassamento del duro contesto repressivo. Ma J. M. Martinez Carri6n, J. Puche-Gil, J. M. Ramon-Mufioz, Nutrici6n y desigualdad socia! en la Espana de Franco: evidencia antropométrica, in A. Segura, A. Mayayo, T. Abel16 (dirs. ) , La dictadura /ranquista. La institucionalitzaci6 d'un règim, Universitat de Barce­ lona, Barcelona 20 12, pp. 171-84. 13.

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in realtà si può dire che fu soltanto un modo di allargare e socializzare la repressione di fronte a un'opposizione che cominciava a crescere. E cer­ tamente dal 19 57, quando vennero abbandonate le politiche autarchiche in favore di una liberalizzazione economica derivata dal pericolo di una vera e propria bancarotta e non certo da una precisa scelta di cambia­ mento delle politiche economiche del regime, le condizioni di vita di una parte degli spagnoli cominciarono a cambiare. Ma bisogna pur dire che la spettacolarità del cosiddetto miracolo economico spagnolo in buona parte derivò dalle disastrose condizioni di partenza. E che in ogni caso non si arrivò mai a colmare la divergenza con il resto dei paesi europei; ma, soprattutto, che la liberalizzazione economica non significò in alcun caso una liberalizzazione politica. In altre parole, la consapevolezza della vittoria allungò la sua ombra nei successivi trent'anni e oltre, non solo da un punto di vista ideologico ma anche sociale. Gli oppositori politici continuavano in esilio, in clan­ destinità o in carcere. E i settori popolari, in buona parte formati da spa­ gnoli nati dopo la guerra, quando cominciarono a riorganizzarsi, a volte utilizzando le stesse strutture del regime, furono incarcerati, repressi, portati di fronte ai tribunali speciali, come nel caso dei dirigenti di comi­ siones obreras, nel 1972 . Per questo sembra difficile parlare dell'esistenza di un primo e di un secondo franchismo, come a volte la storiografia ha fatto. Non c'è dubbio sul fatto che le condizioni materiali e le stesse articolazioni interne del potere, nel corso di quarant'anni, abbiano subito modificazioni impor­ tanti. Il franchismo si adattò, in qualche modo, al passaggio del tempo. Tuttavia, la natura profonda del regime continuò a essere determinata dall'evento che lo fece nascere, cioè la guerra, con tutte le sue motiva­ zioni, la tronfia consapevolezza dei settori sociali e politici che appoggia­ rono i ribelli circa la sicurezza delle loro posizioni e l'inamovibilità dei loro privilegi. Un sinistro cordone ombelicale, che non si ruppe fino alla fine. Che spiega, o aiuta a spiegare perché, in definitiva, Franco uscì di scena allo stesso modo in cui era entrato, uccidendo: le ultime condanne a morte furono eseguite nel settembre 1975 , meno di due mesi prima della morte del dittatore.

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Indice dei nomi

Abad de Santillan Diego, 135 e n Abell6 i Giiell Teresa, 119n Aquarone Alberto, 211, 211n Aguilera Munro Gonzalo de, 139 Aguirre y Lecube J osé Antonio, 33, 81, 98 -9 , I 0 I - 2 ,

Azcarate Pablo de, 112n Aznar y L6pez José Maria, 25 Aznar y Zubigaray Manuel, 15 e n Badia i Capell Josep, 45n Badia i Capell Miquel, 45n Balbo Italo, 161 Balmes Alonso Amado, 42n Barbé i Pou Elisenda, 9 Barcel6 i Javer Luis, 77 Barea y Ogaz6n Arturo, 207 Barroso y Sanchez Guerra Antonio, 91 Barrull Pelegrì Jaume, 37n Barzini Luigi, 85, 217 e n Bas i Blasi Marti, 186 Bastico Ettore, 104, 221 Batet Mestres Domingo, 44 e n Bayo y Giraud Alberto, 67 Beevor Antony, 22 e n, 38n, 40 e n, 41n, 50 e n, 52n, 58 e n, 106n , 121n, 123 e n, 139n, 233 e n Benavides (Domfnguez) Manuel, 43n Beneyto y Pérez Juan , 195 Bennassar Bartolomé, 22 e n, 109 e n, 111 Berenguer y Fusté Damaso, 31 Bergamin y Gutiérrez J osé, 190n Bergonzoli Annibale, 221 Bermejo Benito, 234 Bernecker Walther L. , 19 e n Berneri Camilla, 157 e n Bernhardt Johannes, 50 Berthet J acques, 202 Berti Mario, 221 Bessie Alvah Cecil, 208 Besteiro y Fernandez J ulian, 231 Blanco y Rodrfguez J uan Andrés, 15 e n, 69n Blinkhorn Martin, 17 e n

13 5

Agusti i Peypoch lgnasi, 195 Aiguader i Miro Jaume, 33 Alberti y Merello Rafael, 190 Alcala Zamora Niceto, 33 Alcofar Nassaes J ose Luis, 98n Alia Miranda Francisco, 92n Allen Jay, 203 e n Allotti Pierluigi, 212n, 217n, 219n Alpert Michael, 19 e n, 77 e n, 78n Altolaguirre y Bolin Manuel, 190n ,, Alvarez del Vayo Julio, 70, 80, 219 ,, Alvarez-Arenas y Pacheco Félix, 126 Ameche Don (Dominic Felix Amici) , 209 Amo Antonio del, 188 Ansaldo Vejarano Juan Antonio, 42n Araci! i Marti Rafael, 9, 126n, 169n, 191n Aragon Louis, 190 Aranda y Mata Antonio, 110 Aranguren y Roldan José, 47 Ardid y Pell6n Miguel A. , 36n Arellano Fontan Eutiquiano, 80 Arias Paz Manuel, 193 Armero J osé Mario, 201 e n Ar6stegui y Sanchez J ulio, 21 e n Arraras y Iribarren Joaquin, 15 e n Ascaso Budria J oaqufn, 105 Asensio y Cabanillas Carlos, 15 e n Asensio y Torrado J osé, 68-9 Aub y Mohrenwitz Max, 187, 190n Avilés y Farré Juan, 23 e n, 87n Azafia y Diaz Manuel, 32-3 , 35, 39, 44, 69, 108 , 122, 1 58 , 205, 227 249

IN DICE DEI NOM I

Blum Leon, 50-r Boccaccini Serena, ro Bolin y Bidwell Luis Antonio, 42, 50, ror, 1 94 Bolloten Burnett, r6 e n, 59n Bonamusa Francese, 19 e n Borghese J unio Valerio, 86 e n Borkenau Franz, 15 e n Botti Alfonso, 27 Bowers Claude, 55 Brademas John, 33n Brennan Gerard, r6 e n Bricall J osep M. , 21 Buchanan Tam, 52n Bufiuel Portolés Luis, 187, 190n Cabanellas y Ferrer Miguel, 44, 63 Cabeza y Sandeogracias J osé, 2ron Calder Alexander, 191 Calvo y Sotelo José, 38, 40-2, 63 Cambò i Batlle Francese , 38 Caminal i Badia Miquel, 155n Campo Rizo }osé Miguel, 92n Camps Montoliu Pedro, 76 Capa Robert (Endre Erno Friedmann) , 7, 9 Ca parros Lera José Maria, 188n Cardenas del Rio Lazaro, 196, 223 Cardona Gabriel, 21, 44n, 69n, 76n, 84 e n , 98n, 102n, 116n Cardozo Harold, 204 e n Carney William P. , 207, 208 e n Carr Raymond, 16 e n, 63 Carradine J ohn, 209 Carrasco i Formiguera Miquel, 33, 141n Carrillo y Solares Santiago, 72 e n Carroll Madeleine (Edith Madeleine Carroll) , 209 Casado y Lopez Segismundo, 230, 231 e n, 232 Casado y Veiga Fernando, 80 Casali Luciano, ro, 211 e n Casanova J ulian, 21, 22 e n, 147n, 151 e n Casares y Quiroga Santiago, 33 , 39, 40n, 44 Castells Peig Andreu, 57n Castillo y Saez de Tejada José del, 41 Catalan Jardi, 133n Catelan Valentina, 217 Cattini Giovanni C. , 157n Cebollino y von Lindemann J oaquin, 88

,,

Cenarro Lagunas Angela, 25 e n, 139n Centelles i Osso Agusti, 29 Cercas J avier, 23 2 Cernuda y Bidon Luis, 190n Cervera y Gil Javier, 189n Ceva Lucio, 27 e n Chabas y Marti J uan, 190n Chacel y Arimon Rosa, 190n Checa Sandra, 234 Ciano Gian Galeazzo, 50, 85, 234 Cierva y Hoces Ricardo de la, r8 e n Ciutat de Miguel Francisco, 102 Claudin Fernando, 18 Clavé i Sanmarti Antoni, 186 Cobb Christopher H. , 175n Cobo Romero Francisco, 25 e n Colomé Gabriel, 46n Comorera i Soler Joan, 154, 156 Companys i Jover Lluis, 37 e n, 46-7, 49, 66, 124, 127, 154n, 189, 234 Contreras Carlos (Vittorio Vidali) , 80 Corderot Didier, 195n Cordon y Garcia Antonio, 80 Correia Félix, 202 e n Cortada y Dolcet Roldan, 156 Coverdale John F. , 17 e n, 53 , 54n, 85 e n, 92 e n, 93 e n, 95 e n, 210 Cox Geoffry, 205, 206n Crusells i Valeta Magi, 2ron Cruz y Martinez Rafael, 23 e n ,,

Daladier Edouard, 233 Dali i Domènech Salvador, 185n Dany Marce!, 202 Davila y Arrondo Fidel, 126 Dawson Geoffrey, roo De Felice Renzo, 18 , 54 e n, 210, 2rrn Delaprée Louis, 206-7 del Valle Calzado Angel Ramon, 92n De Rossi Pier Filippo, 50 Diaz y Ferrer Emilio, 197 Diaz y Sandino Felipe, 78 Dieterle William, 209 Diez y Puertas Emeterio, 198n Di Febo Giuliana, 27n, 139, r95n Di Vittorio Giuseppe, 57 Dos Passos John, 205 Douglas Melvyn ( Melvyn Edouard Hesselberg) , 208 Douhet Giulio, 160n, 161 e n, 225 Dubosquet Lairys Françoise, 195n

IN DICE DEI NOM I

Duefias i !turbe Oriol, 145n Durruti y Dumange Buenaventura, 65, 172, 203 , 215 Ehrlich Charles E. , 38n Engel Carlos, 43 e n Escofet i Alsina Frederic, 46 e n Espinosa y Maestre Francisco, 21 e n, 25n Estrada y Manchon Manuel, 79-80 Fal Conde Manuel, 36, 40 F aldella Emilio, 91, 9 5 Fanjul y Goiii Joaquin, 45 Favagrossa Carlo , 221 Fernandez Soria J uan Manuel, 175n Fernandez y Barredo, Luis, 103 Fidelman Brodsky Maria, 112 Figueres J osep M. , 183 Fonda Henry Jaynes, 209 Fontana y Tarrats J. Maria, 194 Fontquerni Enriqueta, 177n Fontserè i Carrio Carles, 186 Fowler Gene, 209 Fox Elsie, 209 Fraga Irribarne Manuel, 18 F rancisci Enrico, 221 Franco Bahamonde Francisco, 16, 18, 22, 37, 40 e n, 41 e n, 42n , 43 , 50, 57n, 59-64, 68-9, 71, 72 e n, 79, 84-6, 88, 90 -2, 94-6, 98, 103-4, 106 -8, 115-8, 120, 122, 124-6, 136, 140, 142, 144, 146-7 ' 159, 163 , 164, 167, 179, 192-4, 197, 199, 201 - 2, 211 - 2, 214-6, 227-30, 232 Franco Bahamonde Nicolas, 64 Franzero Carlo Maria, 213 Fraser Ronald, 20 e n Frusci Luigi, 221 Galan y Rodriguez Francisco, 80, 231-2 Galinsoga Luis de, 15 e n Gallego Ferran, 24 e n, 155n Gallo Martinez Miguel, 80 Gambara Gastone, 121, 123 Garcia Escamez y Iniesta Francisco, 88 Garcia Funes J uan Carlos, 149n Garcia Marquez José Maria, 25n Garcfa y Lacalle Andrés ( An drés Lacalle) , 88 Garcia y Lopez Sonia, 210n Garcia y Oliver Juan, 80, 157, 189 Garcia y Sanchiz Federico, 196

Garcia y Serrano Rafael, 194 ,, Garcia y Verchés Angel, 187 Garcia y Vifiolas Augusto, 196 Garcia-Valiiio y Marcén Rafael, 121, 125 Garfias y Zurita Pedro, 190n Gasso! i Rovira Ventura, 49, 176 Gastaldi Sciltian, 209n Gay y Forner Vicente, 193 Gayda Virginio, 96 Gellhorn Marta, 205 Gentiloni Umberto, 10 Gibson Ian, 72n Gil Robles y Quifiones José Maria, 32, 36 en Gil Roldan Angel, 80 Giménez y Arnau Juan Antonio , 193 Giral y Pereira José, 44, 50, 55, 67, 70 Giralt i Reventòs Emili, 34n Giralt Olga, 9 Girona i Albuixech Albert, 21n Goded y Llopis Manuel, 40, 42, 48 Godicheau François, 24 e n Goicoechea y Omar Alejandro, 102 Goma y Tomas !sidro , 140-1 Gomez de la Serna y Puig Ramon, 190n Gomez de las Heras y Hernandez Maria Soledad, 59n Gonzàlez i Vilalta Arnau, 212n Gonzalez Marquez Felipe, 20 Gonzalez Portilla Manuel, 21 e n Gonzalez Tufi.on Raul, 190 Gonzalez y Calleja Eduardo, 40n Gonzalez y Duro Enrique, 146n Gonzalez y Inestal Miguel, 80 Goring Hermann Wilhelm, 53 e n Graham Helen, 10, 24 e n, 33n, 34n, 41n, 49n , 74n, 114n, 118, 118n, 131 e n Grassia Edoardo, 163n, 167n Guarner i Vivancos Vicenç, 81 Guillamon Agustin, 157n Guillén Batista Nicolas, 190 Halffter y Escriche Rodolfo, 190n Harana Lola, 9 Harvey Paul, 209 Hedilla y Larrey Manuel, 147 Heiberg Morten , 24 e n Hemingway Ernest, 58 , 90 e n, 190, 205, 208 Herin Ewald, 112 Hernandez y Gilabert Miguel, 190n

IN DICE DEI NOM I

Hernandez y Saravia Juan , 108 Herrera y Oria Angel, 36 Hitler Adolf, 46, 50, 52, 53 e n, 54 e n, 76, 115, 118 , 159, 163 Hobsbawm Eric J. , 14, 51 e n Hogan Hames, 209 Howard Lawson John, 209 Howson Gerald, 23 e n Ibarruri G6mez Dolores, 7, 189 Irujo Olla Manuel de, 176 Jackson Gabriel, 16 e n, 17 Jiménez de Asua Luis, 31, 41n Jones Norman, 37n Julia y Diaz Santos, 25 e n, 148n J urado Barrio Enrique, 103 J ust y Gimeno J ulio, 80 Kindelan Duany Alfredo, 63 King Henry, 210 King Norman, 51 Kléber Emilio ( Manfred Zalmanovich Stern) , 106 Kol' cov Michail Efimovic, 205 Kowalsky Daniel Monk, 24 e n Kulcsar Ilse, 207 La Fuente Penaos Aida de, 76 Ladd Alan (Alan Walbridge Ladd) , 209 Lain y Entralgo Pedro, 194 Langdon Davis J ohn, 167 Langenheim Adolf, 50 Largo Caballero Francisco, 33 , 39, 41n , 44, 66n, 67-9, 79, 8 1 , 105, 113-4, 14950, 158 , 18 5, 187 Le Chanois Jean-Paul (Jean-Paul Etienne Dreyfus) , 187 Lebrun Albert, 51 Ledesma J osé Luis, 25 e n , 149n Lerroux y Garcia Alejandro, 32-3, 36 Leslie Flynn Errol, 208 Leval Gaston, 19 e n Lidia Martinez, 9 Lilli Virgilio, 223 Lister y Forjan Enrique, 80, 89, 103 , 1067, 116-7 Llano de Encomienda Francisco, 47, 81, 98 Loach Ken , 129 Longo Luigi, 57, 9 5 L6pez y Felipe José Francisco, 142n ;'

Lorente Elena, 37n Losada Malvarez J uan Carlos, 116n Luccardi Giuseppe, 50 Ludec Nathalie, 195n Luengo y Camacho }osé, 34n Macià i Llussà Francese, 45n, 18 5n Macias Santiago, 27 e n Madariaga y Fernandez Francisco Javier de, 136n Madrid y Santos Francisco, 157n Maier Klaus A. , 19 e n, 165n Mainar i Cabanes Eladi, 78n Maldonado Maya José Maria, 105n Malefakis Edward E. , 16 e n , 17 Malraux André, 187, 190 Mantilla Fernando G. , 188 March Fredric, 208 March y Ordinas J uan, 38 Marco y Sola Luisa, 201n Marenco Reja Servando , 77 Marmolejo Fuensanta, 9 Marshall George, 209 Martin Aceiia Pablo, 133n, 179n Martin i Berbois J osep Lluis, 34n Martinez Bande José Manuel, 18 e n, 108n, 116n Martinez Barrio Diego, 44, 70, 76, 227 Martinez Reverte J orge, 71n, 116n Martinez y Cabrera Toribio, 80 Martinez y Ruiz Elena, 133n, 179n Martinez-Carri6n J ose Miguel, 236n Martinez-Monje y Restoy Fernando, 76 Martorell y Linares Miguel, 179n Marty André, 57 Massai Mario, 223-4, 225 e n Mateos y Fernandez Juan Carlos, 182n Matthew Herbert L. , 205, 207 Maura y Gamazo Miguel, 33 Maurin i Julia Joaquim, 38 e n Mayayo i Artal Andreu, 126n Mera y Sanz Cipriano, 108 Miaja y Menant }osé, 68-1, 89, 189 Millan d' Astray Terreros }osé, 36, 193 Minniti Fortunato, 10 Miquelarena y Regueiro J acinto, 197 Miravitlles i Navarra J aume, 185 e n, 186 Miro Joan, 191 Moa y Rodriguez Pio, 26 e n Modesto Guilloto Le6n Juan, 103 , 106-7, 110

IN DICE DEI NOM I

Mola y Vidal Emilio, 36, 40 e n, 41-4, 61-3 , 68, 97-9, 103, 139, 144, 165, 202, 213, 215 Molinero i Ruiz Carme, 25n Monasterio Ituarte José, 110 Montanelli Indro, 217 e n Monterde Òscar, 9 Montes y Dominguez Eugenio, 196 Montseny i Mafié Federica, 177 Montserrat J udith, 9 Moradiellos y Garcia Enrique, 112n, 23 e n, 24 e n Morales Encinas Olga Mercedes, 92n Moreno G6mez Francisco, 21 e n Moreno Torres J osé, 193 Morente y Valero Francisco, 140n Moro Renato , 27n , 195n Mortera Pérez Antemio , 88n Moscard6 y Ituarte José, 60, 93, 121, 204 Mujica Urrestarazu Mateo, 141 Mufioz Grandes Agustin, 121, 125 Mussolini Benito, 30, 38, 50, 52, 54, 67, 83, 85-6, 91-2, 95-7, 104, 211-2, 214, 216,

Payne Stanley, 17 e n, 22 e n, 23 e n, 35n, 36n, 37n Paz Lozano Octavio, 190 Peir6 Belis Joan, 66n, 80, 127 Pellegrini Alberto, 9 Peman y Pemartin J osé Maria, 196 Pérez Olivares Rogelio, 95 Peris y Arag6 José, 190n Permuy Lopez Rafael A. , 88n Pettinato Concetto, 219 e n Phillips William, 55 Piazzoni Alessandro, 221 Picasso Pablo, 7, 100 Pietromarchi Luca, 85 Pizarroso y Quintero Alejandro, 192 e n Pla y Deniel Enrique, 140-1 Planas Albert, 9 Polanco Fontecha Anselmo, 109 Portela Artur, 204 e n Pozas y Perea Sebastian, 70, 89 Pradas y Baena Maria Amàlia, 30n Prades Lourdes, 9 Prados y Such Emilio, 190n Preston Paul, 13 e n, 17, 19 e n, 22 e n, 25 e n, 3 5 e n , 37n, 40n, 42n , 44n, 51 e n, 5 5n , 72n , 97n , 100 e n , 139n , 141n , 201 - 2, 203 e n, 205, 23 5 Prieto y Tuero Indalecio, 33, 38, 44, 69, 80-1, 108, 114-5 Primo de Rivera y Orbaneja Miguel, 30, 41n Primo de Rivera y Saenz de Heredia J osé Antonio , 32, 38, 41 e n, 147, 193 , 212 Puche-Gil J avier, 236n Pujol i Casademont Enric, 18 5n Pujol Martinez J uan, 192

220 , 222, 22 5

Nash Mary Josephine, 22 e n, 177 Natoli Claudio, 195n Negrin y L6pez J uan, 23 , 81, 105, 108-9, 112-6, 119-20, 122, 124-5, 127, 158 , 183 , 227-8 , 23 Neruda Pablo, 190 Nieves Mario, 143 , 144n, 202 e n, 203 Nin i Pérez Andreu , 19, 38 e n, 1 58 Nufiez Seixas Xosé M. , 23 e n, 77n, 184 e n Nufiez y Diaz-Balart Mirta, 190n Ochoa de Albornoz Severo, 112 O'Duffy Eoin, 57n Oliveira Salazar Antonio de, 59, 144, 202 Olwer Nicolau d' , 33 Onaindia y Zuluaga Alberto, 100 Orgaz y Y oldi Luis, 92 Ors i Rovira Eugeni d' , 195 Ortega L6pez Teresa Maria, 25 e n Ortega y Martinez Daniel, 80 Orwell George (Eric Arthur Blair) , 58, 130 e n

Queipo de Llano y Sierra Gonzalo, 43, 60, 62-3, 142, 197, 199 Quinn Anthony ( An tonio Rodolfo Quinn-Oaxaca) , 209 Quiroga y Fernandez de Soto Alejandro, 3on, 4on Rada y Peral Ricardo, 88 Raguer i Sufier Hilari, 19 e n, 142n Ramon Mufioz }osep Maria, 236n Ranzato Gabriele, 13 e n, 19 e n, 21 e n, 22 e n, 23 e n, 27 e n, 140n Reig Tapia Alberto, 139n Renau i Berenguer Josep , 186

Pagès i Blanch Pelai, 38n Pàmies Bertran Teresa, 125 e n Pascuet Rafael, 18 5n Pastor i Petit Domingo, 210n 2 53

IN DICE DEI NOM I

Rey d ' Hancourt Domingo, 109 Richthofen Manfred van, 99, 165 Ridruejo y Jiménez Dionisio, 193 Riera i Llorca Vicenç, 183 Riquer i Permanyer Borja de, 38n Riquer Morera Marti de, 19 5 Roatta Mario, 54, 8 5, 91-2, 94-6 Rodrigo Javier, 25 e n, 143 e n, 144 e n, 145n Rodriguez Salas Eusebio, 156 Rodriguez y Mofiino Antonio, 190n Rodriguez Zapatero José Luis, 26 Roig Daniel, 9 Rojo i Lluch Vicente, 15 e n, 16n, 70, 71 e n, 80, 102-3 , 106, 108 , 114, 125 e n, 127 Romero Garcia Eladi, 116n Roosevelt Eleanor, 55, 208 Roosevelt Franklin D. , 54, 55 e n , 208 Rosales y Camacho Luis, 194 Rossanda Rossana, 130 Rosselli Carlo, 57, 96 Rosselli Nello, 96 Rovighi Alberto, 94, 126n Rua José Manuel, 9 Rubio i Cabeceran J osep; 233n Ruiz y Carnicer Miguel Angel, 147n Ruiz y Funes Mariano, 76, 133

Segura i Mas Antoni, 9, 126n, 191n Segura y Saenz Pedro, 36 Seidman Michael, 23 , 23n, 178 , 178n Semprun Jorge, 18 Sender y Garcés Ramon, 190n Sentis i Anfruns Carles, 195 Serrano Sufier Ramon, 64, 193 Serrano y Plaja Arturo, 190n Sert i Lopez Josep Lluis, 191 Sesé i Artas Antoni, 157 Silva y Barrera Emilio , 27, 27n Silva y Martinez José, 105 Simo Manuel, 37n Skoutelsky Rémi, 57n, 58n Sobrequés i Callico J aume, 25n Solchaga y Zala José, 121, 125 Solé i Barjau Queralt , 27 e n, 120 e n Solé i Sabaté Josep M. , 21, 162n, 170n Souchy Agustin, 19 e n Southworth Herbert Rutledge, 19 e n Stalin Yosif, 55, 56, 74, 122, 130, 159 , 205 Stanwyck Barbara ( Ruby C atherine Sevens) , 210 Steer George Lowther, 100, 207 Stefani Filippo, 94, 127n Stevens Louis, 209 Stradling Robert , 57n

Sabio Dutoit Fernando, 80 Saborit Andrés, 122n Saenz de Buruaga Eduardo, 88 Saenz de Tejada y de Lezama Carlos, 196 Saint-Exupéry Antoine de, 203 , 204n Sala Margarida, 25n Salas Bosch J avier de, 194 Salas y Larrazabal Ramon, 18 e n Sanchez Asiain José Angel, 135 e n, 178n, 179n Sanchez Recio Glicerio, 149n Sanchez y Biosca Vicente, r88n , 196n ,

Tagiiefia y Lacorte Manuel, 116 Tamames y Gomez Ramon, 30n Tarquini Alessandra, ro Tarradellas i J oan Josep, 136, 185 Tarrago Vietar (Josep Maria Tarrag6 i Ballus) , 201n Taylor Robert, 210 Termes i Ardèvol Josep, 156n Teruzzi Attilio, 221 Tezanos Gandarillas Marisa, 201n Thalmann Ernst , 76 Thomas Hugh, 16 e n , 17, 112n, 200 e n Thomàs Joan M. , 147n Tierney Dominic, 55n Tito (Josip Broz) , 57, 155n Torcellan Nanda, 19n Torrente Ballester Gonzalo, 194 Toryho Jacinto , 187 Tranche Rafael R. , 196 Trapiello Andrés, 190n Trockij Lev Davidovic, 38n Trujillo Molina Rafael Leonidas, 234 Tufion de Lara Manuel, 98n, 108n, 175

21 0 0

Sanchez y Jiménez José, 133n Sandri Sandro, 216 e n , 218 e n Sanjurjo y Sacanell José, 36, 40, 42 e n, 61 , 21 2

Santacana i Torres Carles, 9 , 157n Santos Mateo, 187 Sanz Ricardo, 172n Schwartz Fernando, 51n, 54n Scicolone Anna, 196n Scovazzi Tullio, 161n Segala Renzo, 223 , 223n 2 54

INDICE DEI NOMI

,,

Tusell y Gémez Javier, 22n, 61n, 64n

Vifias y Martin Angel, 19 e n, 21, 24 e n, 42n, 55 e n , 56n, 72n, 159 Vinyes Ribas Ricard, 23 5n Vivanco Luis Felipe, 194 Volkmann Hellmuth , 111

Ugarte y Pagés Eduardo, 190n Unamuno y Jugo Miguel, 199, 213 Unik Pierre, 187 Uribe y Galdeano Vicente, 80, 133

Watanabe Chiaki, 36n Welles George Orson, 208 Whitaker John Thompson, 139 Wyler Robert, 209

Vallejo y Mendoza César, 190 Van Paassen Pierre, 203 e n Varela y Iglesias José Enriq ue, 69, 70, 110 Vazquez i Osuna Federico, 137 Vazquez Montalban Manuel, 130 Vega Sombria Santiago, 149n, Vega y Martinez Etelvino, 116 Velardi Vincenzo, 221 Venza Claudio , 27 Vergés i Matas Josep, 195 Vidal y Barraquer Francisco de Asis, 141 Vidal y Manzanares César, 26 e n Vierucci Luisa, 161n Villarroya i Font Joan, 9, 21 e n , 162n, 167n, 169n, 170n

Yagiie y Blanco J uan, 63-4, 117, 125-6, 203 Y este i Piquer Elena, 26 e n, 148n Y oung Loretta ( Greychen Michaela Young) , 209 Zambrano Maria, 190n Zenobi Laura, 64n Zugazagoitia Mendieta Julian, 16 e n, 109 e n, 234

2 55