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Italian Pages 412 [413] Year 2020
“‘In un certo reame, in un certo stato, c’era una volta’: è in questo modo tranquillo ed epico che comincia la fiaba di magia, ma è una tranquillità ingannevole. La fiaba è un susseguirsi di eventi di grande tensione. Non è per niente statica, non descrive e non caratterizza mai, passa subito all’azione.”
VLADIMIR PROPP LA FIABA RUSSA
Vladimir Propp (1895-1970) ha studiato Filologia slava all’Università di Pietrogrado. Terminati gli studi nel 1918, ha insegnato Lingua e letteratura russa nelle scuole, poi Lingua tedesca all’Università di Leningrado. Il campo principale della sua attività è stato lo studio del folclore. Tra le sue opere tradotte in Italia, I canti popolari russi (1966), Morfologia della fiaba (1966), Edipo alla luce del folclore (1975), Feste agrarie russe (1993) e Comicità e riso (2000).
VLADIMIR PROPP LA FIABA RUSSA PREFAZIONE DI GIANFRANCO MARRONE
ISBN 978-88-5756-970-3
MIMESIS
Mimesis Edizioni Insegne www.mimesisedizioni.it
25,00 euro
9 788857 569703
MIMESIS INSEGNE
Grazie alla geniale opera di Vladimir Propp, l’analisi folcloristica entra a pieno titolo tra gli strumenti di studio della semiotica generale. Questo libro può essere considerato la summa teorica del lavoro di Propp, che, per tutta la vita, ha cercato di elaborare una scienza della fiaba. Al di là dei contenuti, del contesto, della funzione sociale, ciò che distingue la fiaba è soprattutto la sua poetica specifica. Scomponendo un vasto numero di racconti popolari russi in unità narrative più piccole, Propp è stato in grado di estrarne una tipologia, più o meno fissa, di struttura narrativa. Così, il libro ripercorre le mille varianti delle fiabe di magia, di quelle in forma di novella, delle fiabe cumulative, con animali e così via, rintracciandone ogni volta tipologie e differenze, abbozzando classificazioni provvisorie. Tutto un immaginario fantasioso e, al tempo stesso, meccanico che è ancora il nostro o che, forse, dovrebbe esserlo.
MIMESIS / INSEGNE N. 27
Collana diretta da Paolo Fabbri † e Gianfranco Marrone Comitato Scientifico Jacques Fontanille (Università di Limoges) Jean-Marie Klinkenberg (Università di Liège) Jorge Lozano (Università Complutense, Madrid) Isabella Pezzini (Università La Sapienza, Roma)
Vladimir Propp
LA FIABA RUSSA Prefazione di Gianfranco Marrone
MIMESIS
Titolo originale dell’opera: Russkaja skazka.
MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Insegne, n. 27 Isbn: 9788857569703 © 2020 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383 L’editore ha effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare gli aventi titolo rispetto ai diritti dell’opera. Pertanto resta disponibile ad assolvere le proprie obbligazioni.
Prefazione Gianfranco Marrone
Vladimir Jakovlevič Propp nasce a San Pietroburgo il 17 aprile 1895 e muore a Leningrado il 22 agosto 1970. Come dire che, pur essendo rimasto sempre nella stessa città, la storia gli è passata davanti, e quei luoghi hanno assunto nel corso del (suo) tempo tutt’altro senso e ben diverso sapore. Certo, per un folklorista come lui, abituato a riflettere sulla distanza dei secoli, se non dei millenni, quei settantacinque anni del Novecento saranno state bazzecole. Resta comunque il fatto che i pesanti cambiamenti epocali di cui è stato testimone – la rivoluzione russa e il lungo regime politico-culturale sovietico che ne è seguito – hanno parecchio pesato sul suo lavoro a dir poco geniale. A trentatré anni, nel 1928, Propp pubblica quello che resterà il suo capolavoro, Morfologia della fiaba, libro che cambia radicalmente il modo di considerare la narrazione folklorica (non regno della fantasia ma domino spirituale sottoposto a rigorose leggi antropologiche) e, soprattutto, inventa un nuovo metodo per analizzarla (lo studio strutturale del racconto). Analizzando un corpus di un centinaio di fiabe di magia raccolte dal folklorista Alexander Afanas’ev, Propp si rende conto che, al di là della grande ricchezza di personaggi e di situazioni, in queste storie la serie delle funzioni narrative resta costante. In botanica si usa distinguere tra varietà, specie e generi delle piante sulla base di quelle loro caratteristiche morfologiche che vanno a costituire una struttura unitaria. Allo stesso modo, secondo Propp, occorre procedere nello studio della fiaba: uno studio anch’esso morfologico poiché appunto, per poter dar luogo a un’analisi rigorosa del folklore narrativo, occorre andare alla ricerca di ciò che tiene insieme le singole parti, non solo di una singola storia, ma di una stessa specie e, di più, di un intero genere. Una tipologia di fiabe è possibile insomma se non si lavora tanto sui motivi fiabeschi (gli
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attributi dei personaggi, le motivazioni del loro agire, le loro modalità di apparizione e sparizione…) ma sulle forme che essi, strutturati fra loro, tendono ad assumere. Così come nella lingua occorre distinguere fra variabili (sostanza) e invarianti (forma), allo stesso modo ogni fiaba ha le sue particolarità, le sue ‘trovate’ narrative, che ne costituiscono il suo fascino estetico e il suo interesse storico-antropologico. Ma questa loro ricchezza è possibile perché, tutte, si fondano sulla medesima struttura: sulla medesima successione di 31 funzioni narrative. Gli elementi variabili sono i personaggi, i loro attributi fisici e psicologici, i modi più o meno fantastici in cui appaiono e agiscono; quelli invarianti sono le loro azioni, o, meglio, la funzione che quelle azioni svolgono rispetto all’insieme della storia. Che l’eroe sia un contadino o un principe, che il fine della sua avventura sia uccidere un drago o conquistare un regno, che la vicenda si svolga in un bosco fatato o in un ridente paesino, in ogni caso lo schema narrativo delle funzioni apparirà ricorrente. *** Una funzione narrativa, spiega Propp, è “l’operato d’un personaggio determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda”, dove il termine ‘significato’ va inteso, qui, in senso quasi matematico (il ruolo di un elemento e le sue variazioni in funzione del ruolo e delle variazioni degli altri elementi); o in senso economico (il valore dell’azione rispetto alle relazioni che intrattiene con le altre azioni). Se un personaggio, a un certo punto, si sposa, quel che va studiato è il ruolo che questo matrimonio ha rispetto alla vicenda complessiva, la sua collocazione rispetto al flusso narrativo. Se le nozze stanno alla fine della fiaba, vanno interpretate come il premio che l’eroe riceve per aver svolto bene il suo compito (per es.: il re gli dà in moglie la principessa che ha salvato dalle grinfie dell’antagonista); se invece stanno all’inizio, potranno essere intese come un esordio che, con buona probabilità, porterà a una situazione di mancanza (per es.: la sposa verrà rapita, e bisognerà ritrovarla); se invece sono collocate verso la metà, potrebbero essere intese come una specie di prova (per es.: l’eroe riceve come dono di matrimonio la spada fatata che lo aiuterà a svolgere il suo compito); ma, ovviamente, le nozze possono anche non avere
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alcun ruolo particolare. L’azione è la medesima, ma il suo significato cambia a seconda del posto che occupa nell’insieme. Per ricostruite l’ossatura della storia bisogna allora considerare, non le azioni in sé, ma le loro funzioni. Funzioni che, fra l’altro, sono in numero abbastanza limitato, e si succedono secondo il medesimo ordine. Al punto che, dice Propp, le fiabe di magia raccontano in fondo sempre la stessa storia. In cosa consiste questa storia comune? Seguendo la serie delle principali funzioni individuate da Propp, essa si racconta da sola. La Situazione iniziale in ogni fiaba è positiva: dominano equilibrio, armonia, benessere. Tale equilibrio si incrina già nelle funzioni d’esordio, dove c’è un Divieto e la sua Infrazione, ma soprattutto inizia l’Investigazione dell’Antagonista. Più il benessere iniziale è forte, spiega Propp, più contrasterà con la sciagura incombente, ossia con quel Danneggiamento procurato dall’Antagonista che dà inizio alla vicenda vera e propria: sia esso caratterizzato da un rapimento, da un furto, dalla distruzione del raccolto, da un assassinio, da una guerra o tanto altro. Il che equivale a dire che a compiere la prima mossa significativa – ossia funzionale – della fiaba è sempre l’Antagonista, il cattivo: più energico è il cattivo, più duro è il Danneggiamento che ha rotto l’equilibrio della Situazione iniziale, più il compito dell’Eroe sarà difficile, e più la fiaba sarà riuscita. Così, la notizia della Mancanza procurata dal Danneggiamento si sparge, e ha luogo la Mediazione, ossia la ricerca di chi dovrà occuparsi di riparare tale Mancanza, assumendo cioè il ruolo di chi diventerà, a cose fatte, Eroe. L’Eroe, in altre parole, non è tale già dall’inizio, ma lo diviene progressivamente grazie alla serie di Prove che dovrà intraprendere per svolgere il proprio compito, il quale gli viene affidato, di solito, da chi ha subito il Danneggiamento: può darsi il caso che la Vittima e l’Eroe coincidano, ma più spesso il protagonista è una terza persona, una persona qualsiasi, ad avere attribuito il compito di risolvere il problema. Il seguito della storia è presto detto: ecco la Partenza dell’Eroe alla ricerca dell’Antagonista, che si trova in un altrove spazio-temporale ben definito, quello che viene chiamato l’Altro Regno. La sua ricerca è innanzitutto un viaggio, lungo il quale egli incontra alcuni Aiutanti che gli fanno dono del mezzo magico (un cavallo alto, un anello che rende invisibili, un potere sovrannaturale, una spada invincibile…) necessario al momento della Lotta, oppure degli Oppositori a cui lo sottrae. L’acquisizione della Fornitura
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occupa gran parte della fiaba, e in qualche modo ne costituisce la parte centrale, poiché è qui che hanno luogo le avventure più importanti e fantastiche grazie alle quali quella che inizialmente era una persona qualsiasi inizia a trasformarsi, assumendo le sembianze di un Eroe. Raggiunto l’Altro Regno, ha finalmente luogo la Lotta vera e propria contro l’Antagonista, durante la quale ha luogo la Marchiatura (un segno impresso nel corpo, una cicatrice, ma anche un oggetto dell’Antagonista che resta in possesso dell’Eroe), che si conclude, in questo genere di fiabe, con una Vittoria, e dunque con la Rimozione della mancanza: la principessa rapita viene liberata, il denaro rubato è recuperato, la guerra si conclude etc. Ma qui si chiude solo una parte della fiaba, quella che riguarda la Vittima, la quale per parte sua torna alla Situazione iniziale. Dal punto di vista dell’Eroe, che durante le avventure legate alla Fornitura e alla Lotta s’è assai trasformato, la storia continua. Inizia infatti il suo Ritorno a casa, tutt’altro che facile, dove sarà sottoposto a nuove prove, nuovi rischi, nuove avventure. Arrivato là dove era partito, incontrerà per esempio dei Falsi Eroi che mentre lui era assente hanno preso il suo posto, contro i quali dovrà intraprendere un’ennesima sfida, vincendo la quale potrà farsi riconoscere, anche grazie alla Marchiatura subita, come colui il quale è l’unico e vero Eroe. La fase dello Smascheramento del falso Eroe ha un che di teatrale, si svolge quasi dinnanzi a un pubblico, composto da coloro i quali avevano inviato il protagonista nell’Altro regno, e che adesso, trovandolo molto diverso, devono operare il necessario Riconoscimento e garantire la sua Trasfigurazione. La favola si chiude così con le Nozze, ossia col meritato premio attribuito all’Eroe. *** Ogni fiaba racconta insomma due storie, una circolare e una lineare. Da una parte il racconto oggettivo, collettivo, sociale, dove il Danneggiamento viene superato e si torna alla Situazione Iniziale. Dall’altra il racconto soggettivo, individuale, dove l’Eroe supera tutte le sfide che incontra e da persona comune acquista un nuovo status, diviene qualcuno al di sopra della media, assume una nuova identità. Se nel primo caso c’è una conservazione, nel secondo che invece una trasformazione, ed è quest’ultima, a ben vedere, che è l’anima d’ogni fiaba. L’eroe si deve trasformare. Al termine della storia non è uguale a ciò che
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era all’inizio: si sposa, diventa ricco, viene in qualche modo premiato per le sue azioni. Questo riconoscimento sociale del suo ruolo si collega alla funzione finale delle Nozze, che manifesta il premio riconosciuto al protagonista e il cambiamento del suo statuto rispetto all’inizio della vicenda. In sintesi, ogni fiaba è strutturata secondo tre grandi Prove assegnate al protagonista per diventare Eroe: una Prova Qualificante (quella che Propp chiama Fornitura), dove il protagonista incaricato di risolvere il Danneggiamento ottiene da un Oppositore o da un Aiutante gli strumenti magici per agire; una Prova Decisiva (la Lotta), dove avviene il combattimento con l’Antagonista, la Marchiatura e la conseguente Vittoria; e una Prova glorificante (Smascheramento e Trasfigurazione), grazie alla quale l’Eroe assume a livello sociale il suo nuovo status. *** Il libro ha successo. A suo modo. Viene additato in tutti i manuali sovietici di folklore (anche scolastici) come il perfetto esempio di ciò che, in sede scientifica, non va fatto: ed è tacciato di sterile formalismo. Il nome di Propp va così a far compagnia a quelli di Jakobson e di Sklovskij, di Tynjanov e di Ejchenbaum. Tutta gente che egli personalmente nemmeno conosce, accomunata dal fatto di non esser gradita agli accigliati alfieri del materialismo dialettico. Eppure la sua idea di morfologia non discendeva affatto dal formalismo linguistico dell’Opojaz moscovita, quanto piuttosto dalla teoria goethiana delle piante, peraltro riccamente citata nel libro. È così che la ricerca di Propp cambia strada: la tesi di dottorato viene dedicata, come recita il titolo italiano del libro che ne conseguirà, alle Radici storiche dei racconti di fate: abbandonato il metodo morfologico per tornare alla storia, Propp va alla ricerca delle possibili origini delle favole slave, e le ritrova in certi riti di iniziazione del neolitico. Come l’eroe della fiaba parte verso l’altro regno e torna solo se trasfigurato, analogamente i giovani preistorici venivano abbandonati nella foresta ed erano considerati adulti se e solo se sapevano cavarsela da soli ritornando, malconci, nel villaggio. È la vecchia teoria folklorica dei residui che, discutibile in generale, produce in questo caso un esito ricco di fascino. Ma la passione per le strutture narrative non cessa di permeare le ricerche successive, di modo
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che le maggiori opere di Propp, una volta presa la cattedra universitaria, mescolano con non comune sagacia istanze formali e interessi storici. Il tutto alla luce di una visione antropologica di ampio respiro che ripensa il folklore come strato basilare dell’esperienza umana e sociale. Ed è la volta di volumi come Edipo alla luce del folklore, Comicità e riso, I canti popolari russi, Feste agrarie russe, oltre ai numerosissimi interventi sparsi in volumi e riviste d’ogni tipo. La svolta si ha per iniziativa dei due principali esponenti dello strutturalismo novecentesco, due eccelsi studiosi ebrei entrambi transfughi, durante la seconda guerra mondiale, a New York: il linguista Roman Jakobson, che fa tradurre in inglese la Morfologia della fiaba nel 1958, e l’antropologo Claude LéviStrauss, che nel 1960 gli dedica una lunga recensione destinata a far scalpore. Improvvisamente scoppia una specie di Proppmania. Al punto che, a metà degli anni Sessanta, la nascita della narratologia francese – con Barthes, Greimas, Todorov, Genette e tanti altri – si celebra in nome di opere come la Poetica di Aristotele e la Morfologia di Propp. Si parva licet. Tutti a usare la stringa delle 31 funzioni narrative presenti nella fiaba, elaborata trent’anni prima dallo studioso russo per analizzare racconti d’ogni tipo (popolari come letterari, mediatici come cinematografici, etc.), cambiandola e adattandola, ma tenendola sempre e comunque come basilare punto di riferimento metodologico. La casa editrice Einaudi confeziona nel ’66 una versione italiana del testo proppiano di grandissimo prestigio (a cura di Gian Luigi Bravo), ponendo in appendice la traduzione della recensione lévi-straussiana (polemica su certi punti teorici) e la replica che lo stesso Propp, già in età avanzata, prova a fornire. È curioso: mentre l’antropologo francese, dichiarandosi seguace del folklorista russo, prova a rilanciarne le idee nel terreno spinoso della mitologia amerindia, quest’ultimo si chiude in ritirata, inneggiando al primato della storia sulla struttura, della letteratura artistica su quella popolare. Incomprensione reciproca? Per gran parte sì. Ma i sovietici sono ancora là, e sorvegliano ogni idea letteraria considerata eversiva. *** Il tutto si risolve in quello che sarà l’ultimo libro di Propp, uscito postumo a Leningrado nell’‘84 con il titolo La fiaba rus-
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sa. Lezioni inedite. Da considerare come la summa teorica del lavoro proppiano e, di conseguenza, come suo testamento spirituale. Il libro si legge facilmente: ha un carattere divulgativo alto, sebbene parole come ‘scienza’ o ‘scientifico’ ricorrano spesso. Elaborare una scienza della fiaba è stata la sfida epistemologica del lavoro di Propp, e queste lezioni inedite sono la testimonianza che ne valeva la pena. Ma di che scienza si tratta? Non certo un riadattamento ad hoc del positivismo ottocentesco, né tantomeno una riproposizione ingenua di quel mito dell’esattezza matematica e dell’oggettività dura e pura che ancor oggi è assai diffuso. Gettare uno sguardo rigoroso e condiviso alla narrazione folklorica significa piuttosto, per Propp, avere contezza dei numerosi problemi interpretativi che essa pone allo studioso e, ancor prima, al pubblico stesso della fiaba: materiale orale per eccellenza, dunque di difficilissima presa, roba che sfugge da tutti i lati, che si ripresenta in vesti sempre diverse, con personaggi, situazioni, intrecci e valori che cambiano a ogni momento, a seconda dei paesi e delle epoche, dei regimi di senso e delle poetiche implicite. Fare scienza della fiaba è dunque in primo luogo saper gestire il gioco fra oralità e scrittura, da un lato, fra varianti e invarianti, dall’altro. Due fenomeni strettamente legati fra loro che suscitano problemi d’ogni sorta, e su cui le migliori scienze umane di ieri e di oggi – antropologia, critica letteraria, linguistica, semiotica – non cessano di interrogarsi. Così nella Fiaba russa Propp si dilunga sui diversi modi, momenti e problemi della trascrizione, letteraria e no, del folklore narrativo: riportare sulla carta una fiaba significa al tempo stesso preservala dall’oblio e fissarla in un canone, garantirle una vita futura ma sempre uguale a se stessa. Trasformando così una singola variante narrativa in una specie di modello ideale per le narrazioni future. Da un lato infatti, scrive Propp, “la fiaba è il simbolo dell’unità fra i popoli; i popoli si capiscono a vicenda attraverso le fiabe”; d’altro canto però questa specie di patrimonio poetico comune “viene raccontato da ogni popolo in modo particolare”, da ogni gruppo sociale e perfino da ogni individuo in modo diverso, dando rilievo ora a un intreccio ora a un altro, ora a un personaggio ora a un altro, ora a un finale ora a un altro. Da un lato la stabilità, dall’altro la creatività: nessuna delle due istanze può vivere senza l’altra. Grande lezione di
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umiltà artistica che è insieme condizione di possibilità d’ogni invenzione umana e sociale. Così il libro ripercorre le mille e mille varianti delle fiabe di magia, di quelle a forma di novella, delle altre cumulative, delle favole con animali e così via, rintracciandone ogni volta tipologie e differenze, abbozzando provvisorie classificazioni. Leggiamo di personaggi tipici come la fanciulla perseguitata e il diavolo sciocco, i tre fratelli e l’eroe solitario, la sudiciona trasformata in principessa e la strega cattiva che salva i bambini in pericolo, il contadino gabbato dal nobile e la nave volante, gli indovini fortunati e i ladri furbi. Tutto un immaginario al tempo stesso fantasioso e meccanico che è ancora il nostro, o che forse dovrebbe esserlo, a dispetto delle stereotipie narrative che i media vecchi e nuovi pretendono di propinarci. In fondo, ancora una volta aveva ragione Italo Calvino quando scriveva, dopo averne lette e scritte a migliaia, che le fiabe, comunque, sono sempre vere.
MIMESIS INSEGNE Collana diretta da Paolo Fabbri † e Gianfranco Marrone
1 René Thom, Arte e morfologia. Saggi di semiotica, a cura di Paolo Fabbri 2 Paolo Fabbri, Elogio di Babele, in preparazione 3 François Jullien, L’ansa e l’accesso. Strategie del senso in Cina, Grecia 4 Isabella Pezzini e Paolo Fabbri (a cura di) Le avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l’altro 5 Gianfranco Marrone e Alice Giannitrapani (a cura di), La cucina del senso. Gusto, significazione, testualità 6 James Elkins, La pittura cos’è. Un linguaggio alchemico 7 Gianfranco Marrone (a cura di), Semiotica della natura, (natura della semiotica) 8 Francesco Marsciani, Minima semiotica. Percorsi nella significazione 9 Stefano Jacoviello, La rivincita di Orfeo. Esperienza estetica e semiotica del discorso musicale 10 Dario Mangano e Gianfranco Marrone (a cura di), Dietetica e semiotica. Regimi di senso 11 Gianfranco Marrone, Figure di città. Spazi urbani e discorsi sociali 12 Louis Marin, Della rappresentazione, a cura di Lucia Corrain 13 Nicola Dusi, Dal cinema ai media digitali. Logiche del sensibile tra corpi, oggetti, passioni 14 François Rastier, Arti e scienze del testo. Per una semiotica delle culture, nuova edizione italiana a cura di Alice Giannitrapani 15 Gianfranco Marrone, Semiotica del gusto. Linguaggi della cucina, del cibo, della tavola 16 Paolo Fabbri, L’efficacia semiotica. Risposte e repliche, a cura di Gianfranco Marrone 17 François Jullien, Vivere di paesaggio o l’impensato della ragione, a cura di Francesco Marsciani 18 Tiziana Migliore, I sensi del visibile. Immagine, testo, opera 19 J. Louis Pietro, L’atto della comunciazione, a cura di P. Fabbri e U.M. Olivieri 20 Franciscu Sedda, Tradurre la tradizione. Sardegna: su ballu, i corpi, la cultura 21 Lucia Corrain, La pittura di mercato. Il “parlar coperto” nel ciclo Fugger di Vincenzo Campi, Postfazione di Gianfranco Marrone 22 Dario Mangano, Ikea e altre semiosfere 23 Paolo Fabbri, Vedere ad arte. Iconico e icastico, a cura di Tiziana Migliore
24 Dallo spazio alla città. Letture e fondamenti di semiotica urbana, antologia a cura di Isabella Pezzini e Riccardo Finocchi, 25 Francesca Polacci, Inquadrare per creare. Sulle tracce semio-estetiche della foto di scultura 26 Tarcisio Lancioni, E inseguiremo ancora unicorni. Alterità immaginate e dinamiche culturali
Finito di stampare nel mese di settembre 2020 da Digital Team – Fano (PU)